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Vogliamo potere! le nostre rivendicazioni 1

#9o - #17o Le nostre rivendicazioni

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Reddito // Welfare // Conoscenza // Democrazia #vogliamopotere #siamoincredito

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INDICE

Vogliamo potere! 5

Conoscenza 7 Scuola 9

Università 12

AFAM e ITS 13

Ricerca scientifica 14

Proprietà intellettuale 14

Formazione permanente 15

Apprendimento informale e accesso alla cultura 15

Reddito e welfare 17 Lavoro di qualità ed equamente retribuito 19

Reddito e riforma fiscale 20

Servizi pubblici 21

Democrazia 25 Una riforma istituzionale in senso autoritario 27

Spazi di partecipazione e patrimonio pubblico 28

Socialità e aggregazione vs decoro e mercificazione 28

Vogliamo potere... Muoverci 29

Vogliamo potere... Vivere i nostri

territori 30

Vogliamo potere... Essere noi stesse_i 31

In breve 33

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Vogliamo potere! Nelle scuole, nelle università, nei nostri territori, sulle nostre vite

Nel corso dello scorso anno il Governo Renzi ha tra-sformato il Paese in piena continuità con gli Esecuti-vi precedenti. Con lo Sblocca Italia, il Jobs Act e la Buona Scuola le nostre vite sono peggiora-te e la nostra società è sempre più basata sul-la precarietà, sul ricatto, sul saccheggio indi-scriminato delle risorse e sulla dequalificazio-ne dei percorsi formativi. Questi risultati sono stati raggiunti grazie a delle forzature antidemocrati-che ed autoritarie, disconoscendo totalmente le realtà sociali, le organizzazioni e i movimenti che in questi mesi hanno messo in campo una radicale al-ternativa all’esistente. È anche per questo motivo che l’anno si è concluso con un arretramento del Governo sul terreno del consenso, eroso dal-la straordinaria e ostinata mobi-litazione del mondo della scuo-la.

Nei prossimi mesi l’azione del Governo Renzi tornerà a colpire ill mondo della formazione coin-volgendo probabilmente anche l’università, con una riforma le cui premesse non sono affatto positive sia rispetto al metodo – la consultazione farsa alla quale sono stati sottoposti i soggetti sociali delle università – sia per quanto riguarda il merito dei contenuti della propo-sta, stando alle prime indiscrezioni. Inoltre con l’au-tunno l’azione politica del Governo sarà orientata, secondo le parole di Renzi all’Assemblea Nazionale del PD, sulla centralità della questione fiscale: nes-suna novità rispetto al passato, anche in questo campo un Governo nuovo solo di facciata mette al centro dell’agenda tagli pesantissimi per i servizi pubblici – in particolare la sanità, con un taglio di 10 mld di € – al fine di ridurre la tassazione patrimonia-le. Uno schema perfettamente congruente con le politiche di austerità che hanno colpito le nostre vite negli ultimi anni e che hanno redi-stribuito risorse dal basso verso l’alto.

A livello europeo, la drammatica situazione della Grecia ha svelato definitivamente ciò che da anni denunciamo: la questione del debito e dell’au-sterità, lungi dall’essere un tema esclusiva-mente economico o addirittura meramente tecnico, rappresenta la leva politica del go-verno del nostro Continente. Il ricatto del debito si riproduce su più piani, dentro e tra i Paesi euro-pei, e alimenta una continua redistribuzione di risor-se dal basso verso l’alto. La lotta tra alto e basso, tra élite economico-finanziarie e popoli europei, è caratterizzata da rapporti di forza drammaticamente impari. Per ribaltare questi rapporti di forza e aprire spazi reali di trasformazione delle nostre vite in Eu-ropa è necessario innanzitutto attaccare la retorica del debito. Noi, la generazione che vive per la prima volta dal Dopoguerra condizioni materiali peggiori dei propri genitori, dopo anni di tagli e misure d’au-sterità, non siamo affatto in debito con nessuno. Piuttosto, siamo più che mai in credito: di dirit-

ti, di risorse, di democrazia.

Per queste ragioni crediamo che sia necessario mobilitarsi fin da subito, a partire dalle scuole e dalle università ma con lo sguardo rivolto all’intera so-cietà che oggi subisce con vio-lenza gli attacchi di queste poli-tiche. Vogliamo potere, inte-so come verbo e non so-stantivo: poter studiare, po-

ter scegliere il nostro futuro, poter vivere una vita dignitosa, poter cambiare collettivamente la nostra condizione di subalternità. Vogliamo potere, e non siamo disponibili a contrattare le bri-ciole rispetto all’esistente: non scenderemo a patti. Del resto è dall’alto che è arrivata la rottura con ogni meccanismo democratico, che si è mandata in soffitta la ricerca del compromesso sociale in favore di relazioni di potere nella società fondate sulla com-petizione, sulla valutazione e sulla distruzione dei di-ritti sociali e del lavoro. Tuttavia non siamo nostalgi-ci dei vecchi ‘equilibri': il ‘no’ del popolo greco ha aperto un campo inedito di possibilità per identifica-re chiaramente la nostra controparte e forzare la storia in nostro favore.

Il 9 ottobre torneremo a riempire le strade e

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Dopo anni di tagli e misure d’austerità, non siamo affatto

in debito con nessuno. Piuttosto, siamo più che mai in credito: di diritti, di risorse, di

democrazia.

Vogliamo potere, inteso come verbo e non come sostantivo.

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le piazze del nostro Paese con una mobilita-zione nazionale studentesca. Lungo tutto l’arco della giornata del 9 realizzeremo iniziative nelle scuole, nelle università e nelle città per costruire in-sieme un’altra idea di formazione, welfare e società a partire da nostri bisogni sempre più impellenti. Dal 9 ottobre inizieremo una settimana di mo-bilitazione che ci porterà verso il 17 ottobre, la giornata mondiale per l’eradicazione della povertà nella quale come ogni anno Libera e il Gruppo Abele si attiveranno per il reddito di dignità e il rifinanziamento dei servizi pubbli-ci. Sarà per noi una giornata in connessione con la tre giorni di mobilitazione europea lanciata da Bloc-kupy per il 15-16-17 ottobre a Bruxelles.

Riempiremo la settimana dal 9 al 17 ottobre di azioni e iniziative sul piano della formazione, del reddito e del welfare, della cittadinanza studen-tesca, della relazione tra formazione e lavoro, della democrazia, che metteranno in luce l’esistenza di un’alternativa concreta e radicale alle miserie dell’e-sistente. Lo faremo dentro il percorso della coalizione sociale che stiamo contribuendo a co-struire assieme a molti altri sui territori, provando a costruire uno spazio di protagonismo per tutti coloro i quali oggi non sono rappresentati da nessuno e su-biscono più di altri gli attacchi di questo Governo e della governance europea.

È tempo di fare una scommessa: dobbiamo attaccare i tempi drammatici che stiamo vi-vendo con un’alternativa reale, radicale e concreta all’esistente. Oggi rompere l’orizzonte unico dell’autoritarismo e dell’austerità è necessario per fare spazio all’Europa dei diritti, della dignità e della democrazia. Non saremo soli in questa batta-glia: la sfida per la costruzione di un’altra società a partire dalle mobilitazioni che si sono intrecciate nel corso degli ultimi anni, e a partire dalle tante e dai tanti che qualcuno oggi vorrebbe ridurre ai margini della storia, è solo all’inizio.

Liberarci dalle miserie del presente per fare spazio alla ricchezza del possibile è oggi più che mai una necessità storica.

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Scuola

La Riforma della scuola approvata nel mese di Luglio concretizza un processo che, negli anni, diversi Go-verni hanno cercato di portare avanti, ossia la pro-spettiva della completa privatizzazione dei saperi e conseguentemente del passo indietro dello Stato in termini di risorse investite col fine di stimolare la crescita del privato anche nel settore della formazio-ne. I tagli degli anni precedenti, infatti, non erano che un presagio della direzione verso cui verteva l’i-dea neoliberale di ristrutturazione della società.

La “Buona Scuola”, dunque, calca i precedenti modelli tracciati dalla riforma Gelmini e dal tentativo di riforma della scuola portato avanti nel 2012 dal governo Berlusconi: la legge “Aprea”. Oggi leggiamo chiaramente, nella legge 107, l’intento di assimilare le scuole al sistema aziendale: dal reperimento dei fondi, alla struttura interna, dal-la governance, alla chiamata di-retta degli insegnanti. La scuola che ci si è ritrovati questo set-tembre è un prodotto della cul-tura privatistica, che tende ad ottimizzare tempi e risorse ai fini di rendere l’investimento più produttivo ed efficiente possibi-le. In tal senso vanno anche le modifiche peggiorati-ve apportate all’autonomia scolastica, già trasforma-ta in strumento di restrizione democratica, che con questa riforma diventa in via definitiva strumento di centralizzazione del potere decisionale degli istituti.

La scuola-impresa voluta dal governo Renzi, oltre a non rappresentare un “onere” per lo Stato, è un apparato incentrato sulla valuta-zione punitiva e sulla competizione, tanto tra docenti i quali dovrebbero porsi li uni contro li altri per ambire a premi o assunzioni, tanto tra scuole: stilando classifiche che certificherebbero le eccellen-ze.

Questa riforma ci consegna dunque una scuola svili-ta a risorsa economica, utile se produce funzional-mente ai parametri del mercato del lavoro. Una

scuola controllata a livello centrale dallo Stato-im-presa che verifica costantemente le performance del sistema formativo pubblico.

Ad oggi, per quanti intendono non solo opporsi a questa legge, ma anche realizzare un progetto di scuola diametralmente opposto, pare evidente la ne-cessità di un’azione concreta che miri a costruire un processo di riappropriazione del tema dell’istruzione, tanto nel dibattito pubblico, tanto sul piano della conquista di un nuovo protagonismo delle compo-nenti della scuola all’interno delle stesse scuole. Il percorso referendario proposto dalla grande assem-blea di Bologna del 5 e 6 Settembre, apre una pro-spettiva a medio e lungo termine che guarda all’esi-genza di un’espressione complessa del mondo della conoscenza. Questa nuova fase referendaria, che passerebbe dunque dall’abrogazione di parti della legge n. 107, non sarebbe possibile però senza la ri-vendicazione di un’idea chiara di politiche di istruzio-ne, quelle che da anni si esprimono nelle piazze e

nei luoghi della formazione, ma che puntualmente rimangono ai margini del dibattito. La scuola oggi ha bisogno di potere, a partire dalla facoltà di poter decidere su quanto avviene al proprio interno e su come essa si debba relazionare col territorio circostante.

Una nuova Legge di Iniziativa Popolare, aggiornata alle esigenze sociali e culturali del nostro paese, è una delle più valide forme di contrapposizione e parallelamente di cambiamento attuabile nella scuola italiana.

Ciò che la Buona Scuola calca è la marginalità, l’e-sclusione ed il classismo, utilizzando di facciata una non espressa volontà di “abbattere le disuguaglian-ze” e “implementare la qualità dell’istruzione”. È inaccettabile, infatti, che in un Paese che ha subito anni di tagli e distruzione della scuola pubblica sta-tale, non si individuino prioritarie ed essenziali misu-re di contrasto alla povertà e sostegno del diritto allo studio. I dati ISTAT rispetto al costo della scuola secondaria di secondo grado sono infatti disarmanti, ci consegnano una situazione disastrosa che può solo aumentare la condizione di subalternità e di esclusione dai canali formativi per evidenti ostacoli

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La Riforma della scuola approvata nel mese di Luglio concretizza un processo che,

negli anni, diversi Governi hanno cercato di portare

avanti, ossia la prospettiva della completa privatizzazione

dei saperi.

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socio-economici. Tale situazione rende chiara l’ur-genza di agire delle politiche nella prospettiva di rendere l’istruzione completamente gratuita, senza che essa gravi sulle famiglie per sottrarre queste ul-time dal ricatto economico. Vogliamo raggiunge-re la gratuità dell’istruzione non solo per libe-rarci dal ricatto, ma anche perché pensiamo possa essere un passo di civiltà per un Paese, per raggiungere la democrazia economica (decidere cosa e come produrre) e la democrazia cognitiva (raggiungere alti livelli di sapere condiviso, che au-tomaticamente implementano la partecipazione de-mocratica).

L’istruzione gratuita rappresenta solo un primo pas-so verso una maggiore inclusività ed una scuola realmente democratica, cioè in cui ognuno ha la possibilità materiale di partecipare alla vita politica e alle attività extracurriculari. Un dibattito aperto or-mai da mesi nel nostro paese è quello del reddito, uno strumento utile all’emancipazione degli individui soprattutto coloro i quali si tro-vano in condizione di povertà assoluta. Riteniamo necessario, in Italia, aprire una riflessione sul tema anche per quanto ri-guarda gli studenti. Questo strumento, sicuramente non ri-solutore assoluto dei bisogni nè risposta esaustiva, può però essere un passo in avanti per una maggio-re giustizia sociale, per emancipare gli studenti dal bivio tra scuola e lavoro e persino renderli protago-nisti reali delle scelte dei loro percorsi formativi.

Abbiamo visto negli ultimi anni un irrigidi-mento della differenziazione tra scuole di alta formazione e scuole professionalizzanti, la scelta delle quali è legata alle condizioni di partenza degli studenti. Ripensare un nuovo mo-dello di scuola significherebbe, invece, non solo ab-battere il muro del classismo e della marginalità economica, ma anche dare valore formativo a quelli “indirizzi” di scuole considerati di serie B: i percorsi che, dovendo esclusivamente formare alla pratica, sono svuotati dei contenuti e a pagarne le spese è la stessa formazione tecnico-professionale.

Dequalificare un sapere significa esautorarlo della sua complessità, parcellizzarlo. Oggi questo avviene negli istituti tecnici e professionali attraverso una ri-

duzione sempre maggiore del sapere “teorico” ed una sua riduzione all’essenziale (basti guardare alle differenze dei programmi nei tipi di scuole). Una scuola che voglia realmente combattere le disugua-lianze dovrebbe smantellare questa divisione genti-liana alla radice: l’idea di costruire un biennio unico ed un triennio specializzante, orientato per aree di interesse, va proprio in questo senso, posta la ne-cessità di ridare complessità ai saperi.

Passaggio fondamentale in questo processo è una riformulazione della didattica, in un Paese come il nostro, in cui l’unico metodo di insegnamento è quello frontale, si dà centralità alle nozioni singole, a quante informazioni si riesce a immagazzinare e in quanto tempo. L’assurdità della Buona Scuola è il volere delegare il tema dell’ “innovazione” dei meto-di alla digitalizzazione. Pur non demonizzando l’im-portanza delle tecnologie nei processi di apprendi-mento per la nostra generazione, va considerato che questi ultimi devono passare per un’interazione

maggiore tra studenti e studen-ti, tra studente e docente. Im-maginare modelli di educazione tra pari, in cui si apprende dal dialogo con l’altro e si rimette al centro lo studente con i suoi in-teressi e le sue curiosità. Allora

perchè non scrivere dei programmi partecipati in cui docenti e studenti assieme costruiscono gli appro-fondimenti che tratteranno durante l’anno? Perchè non immaginare una scuola in cui si da spazio all’in-terdisciplinarietà?

Una scuola basata sulla trasmissione unidirezionale delle conoscenze e sulla valutazione punitiva è una scuola immobile, che non guarda all’espressione del-le potenzialità ma solo al controllo di un percorso che si ripete e si riproduce negli anni.

Per rendere la scuola un motore di cambia-mento, la valutazione va intesa come una par-te del processo di apprendimento, non come il suo fine. Produttività ed efficienza, dunque, non dovrebbero essere dei parametri, il centro dovrebbe essere la capacità di condividere quanto si è appre-so e renderlo proprio. La scuola dovrebbe innanzi-tutto rendere gli studenti capaci di “imparare ad im-parare e a pensare liberamente ”, stimolarli nel voler accrescere le loro conoscenze spronandoli a criticare

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L’istruzione gratuita rappresenta solo un primo passo verso una maggiore inclusività ed una scuola realmente democratica.

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e riflettere senza mortificarli con la minaccia del voto negativo. Un numero, infatti, non può esaurire l’intero apprendimento, non può esprimere un “livel-lo” di competenze acquisite, non può esprimere il bagaglio personale del singolo e tantomeno giudi-carne interessi o opinioni: la valutazione dovrebbe servire a capire quali passaggi non sono chiari allo studente e come il docente deve orientare la didatti-ca.

Oggi invece si vuole tendere ad una maggiore quan-tificazione, guardando alle INVALSI come un model-lo verso cui orientarsi, un modello in cui interessa il risultato e non come lo si raggiunge. Bisogna imma-ginare dei momenti di valutazione collettiva all’inter-no delle classi, in cui costruire insieme la compren-sione di quanto ci sia da implementare, una valuta-zione utile ai fini dell’apprendimento e dell’accresci-mento delle conoscenze dovrebbe essere “narrativa”, e cioè spiegare non solo quali siano le falle del processo, ma anche come colmarle, senza puntare il dito contro i singoli e andando alla radice dell’even-tuale disinteresse. Di pari passo è necessaria nel nostro Paese una riflessione del mondo della formazione sul tema della boc-ciatura, l’Italia è uno dei paesi in Europa con il maggior nume-ro di “ripetenti”, persone classi-ficate come “non sufficienti”, co-strette a ripetere l’anno senza un effettivo supporto e spesso senza la comprensio-ne di una simile punizione. Si abusa della bocciatu-ra, utilizzata come strumento di repressione nei con-fronti dei soggetti “pericolosi” nelle classi che ha come conseguenza nella maggior parte dei casi l’ab-bandono del percorso di studi. Se questo avviene, poi, prima del secondo anno di scuola secondaria di II grado, lo studente quasi sicuramente non arriverà neanche a completare la scuola dell’obbligo.

La bocciatura è l’emblema degli errori e delle falle del sistema d’istruzione italiano, evidenzia tutte le contraddizioni di una scuola che non sa mettersi in contraddizione. La bocciatura non rappresenta un fallimento per la famiglia e per lo studente ma bensì un fallimento per il consiglio di classe e per la scuola tutta. La bocciatura in una scuola inclusiva non

avrebbe senso di esistere.

Per queste ragioni, insieme ad un nuovo sistema di valutazione collettiva, rivendichiamo il diritto al recu-pero: ogni studente ha tempi di apprendimento dif-ferenti e in questo percorso la scuola non può sot-trarsi dal compito di rispettare le specificità, se un traguardo lo si raggiunge assieme è la comunità a crescere. Ognuno ha valori aggiunti, interessi e cu-riosità dovrebbero essere ammirati come opportuni-tà e non come distrattori del programma.

Come se non bastasse la differenza tra scuola di se-rie A, i licei, e scuole di serie B, gli istituti tecnici e professionali, si è andata a creare anche una sorta di serie C dell’istruzione secondaria, gli IeF.P. su base regionale. La chiave di analisi sugli istituti tec-nici professionali e sugli IeF.P. è senza dubbio il rap-porto che intercorre tra la scuola e il lavoro. La Buo-na scuola si fregia di aver reso l’alternanza scuola lavoro obbligatoria per tutti gli studenti, tuttavia non si va a sanare quello che è uno dei problemi princi-

pali ossia il fatto che spesso l’alternanza scuola lavoro non ha una reale valenza formativa ma è una forma di manodopera gratuita per cui sarebbe necessario regolar-la tramite un apposito statuto e permettere che gli studenti possano valutare il percorso di alternanza. Inoltre è inaccetta-

bile che gli studenti affrontino questi percorsi in aziende che devastano il territorio o che hanno noti legami con la criminalità organizzata.

Altro tema annoso che rimane immutato è quello dell’apprendistato, una forma di contratto di lavoro a tutti gli effetti, che viene considerato funzionale al-l’assoluzione dell’obbligo formativo anche se nella realtà dei fatti si tratta di un escamotage per iniziare il lavoro a 16 anni ed eludere l’obbligo scolastico. Per questo è necessario innalzare l’obbligo sco-lastico a 18 anni di età e prevedere la possibi-lità di fare esperienze di apprendistato, che siano realmente formative, solo dopo l’assolu-zione dell’obbligo scolastico.

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Un numero non può esaurire l’intero apprendimento, non può esprimere un “livello”

di competenze acquisite,non può esprimere il bagaglio

personale del singoloe tantomeno giudicarne

interessi o opinioni.

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Università

Le riforme che hanno coinvolto l’università dal 2008 in avanti hanno progressivamente svuotato l’università di risorse sia finanziarie, con i continui tagli all’FFO, che umane, tramite un blocco delle assunzioni che perdura ormai da anni, generando peraltro profonde sperequazioni tra di-verse aree del Paese.

Ma, come spesso accade, le ricadute materiali pro-vocate da alcune norme sono solo una parte rispet-to ai gravi danni prodotti sul piano immateriale: in-fatti è il concetto stesso di istruzione superio-re, come fonte di emancipazione individuale e collettiva, che è stato aggredito senza scrupo-li dalle campagne mediatiche che hanno accompa-gnato i provvedimenti legislativi. Denunciamo da anni come il nostro sistema uni-versitario sia stato affossato e ridotto allo sfinimento: sempre più caratterizzato da disugua-glianze tra studenti e tra aree del Paese, non risponde più al-l'idea di un’istruzione pubblica e di massa.

Il tema dei finanziamenti diventa quindi, ovviamen-te, essenziale in un ripensamento complessivo del sistema universitario, non solo in relazione alla loro entità ma anche alle modalità di distribuzione. Infat-ti è necessario aprire una riflessione generale sul sistema di riparto dei fondi e sulla distri-buzione delle quote diverse dalla quota base: attualmente la quota premiale rappresenta una per-centuale crescente della quota totale e viene asse-gnata su criteri essenzialmente competitivi. Credia-mo debba essere abolita: nessun fondo deve essere assegnato su base competitiva o sulla base di risul-tati di una valutazione distorta tra i diversi atenei.

Crediamo sia assolutamente necessario rivedere e ampliare l’utilizzo del fondo perequativo, con cui il Ministero dovrà intervenire, sulla base di scelte poli-tiche condivise con la comunità accademica, per rie-quilibrare e sanare le devastanti condizioni dei diver-si atenei, investendo in modo strategico in alcune

aree del paese o in alcuni settori scientifici con il fine di livellare verso l’alto la qualità complessiva del sistema universitario italiano.

Da anni, inoltre, portiamo avanti con caparbietà bat-taglie finalizzate a rendere sostenibile il percorso universitario, dovendoci quotidianamente scontrare con i costi di molteplice natura di cui gli studenti de-vono farsi carico, che sono tra le cause più gravi e drammatiche di abbandono dell’università. Nel no-stro mirino ci sono in particolar modo i sistemi iniqui di tassazione, con rette altissime che arrivano me-diamente a 1000 € e collocano l’Italia in testa ai Paesi europei per costi dell’università (eccetto Belgio e Olanda, che tuttavia compensano con sistemi di welfare avanzatissimi). In un Paese che davvero si ponga l’obiettivo di investire in formazione, co-struendo un sistema universitario realmente aperto ed accessibile, le battaglie per conquistare le briciole non sono più sufficienti: o si persegue la gratuità

dell’università o la sfida per la trasformazione del Paese è per-sa. Per noi, l’università gra-tuita oggi non rappresenta un’utopia, ma una necessità reale a cui già molti Paesi europei, e non solo, hanno dato risposta.

All’impoverimento degli Atenei, si aggiunge infatti l’assoluta insufficienza del sistema di Diritto allo Stu-dio del nostro Paese che, oltre a conservare un ina-deguato impianto assistenzialista e familista, è l’uni-co a fregiarsi della figura degli idonei non beneficiari della borsa, che ammontano a più del 25%, a causa del mancato finanziamento complessivo da parte di Regioni e MIUR. Quest'anno la situazione si rende ancor più drammatica a causa della riforma dell'I-SEE: gli indicatori della situazione economica e pa-trimoniale vengono calcolati secondo parametri nuo-vi, così da escludere - a condizioni di reddito invaria-te - tantissimi studenti dalla richiesta dei benefici del DSU. A seconda delle regioni si stima che le percen-tuali di studenti che perderanno l'idoneità alla borsa di studio a causa di questo paradosso saranno tra il 10% e il 40%, prevedendo in generale un aumento dei costi rispetto alle tasse universitarie calcolate sulla base di questo erroneo indicatore. Per risolvere questo enorme disastro causato dal Governo, chie-

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Le battaglie per conquistarele briciole non sono più

sufficienti: o si perseguela gratuità dell’università o

la sfida per la trasformazione del Paese è persa.

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diamo che venga immediatamente abolito il parametro ISPE scisso dall' ISEE, che ci sia un innalzamento della soglia massima isee previ-sta a livello ministeriale per l’idoneità ad usu-fruire dei servizi del DSU e misure di tutela per coloro che quest' anno sono colpiti dagli effetti del nuovo indicatore.

Queste incurie ci lasciano sempre più convinti che un’estensione universalistica del sistema di diritto allo studio (e oggi, imprescindi-bilmente, di tutto il sistema di welfare) sia un passo necessa-rio da compiere anche nel no-stro Paese: l’università deve poter garantire l’uguaglianza delle opportunità, deve essere strumento di mobilità sociale e non il perimetro su cui si co-mincia e determinare l’esclusio-ne sociale, si legittimano ed anzi rafforzano le situazioni di subaltenità che molti giovani scontano sulla propria pelle, attraverso l’espulsione dai luoghi di formazione a causa dell’insostenibilità dei loro costi.

L’accesso all’università, come se non bastas-sero le succitate barriere economiche, oggi viene gravemente ostacolato per oltre la metà dei corsi di laurea dal numero chiuso e pro-grammato: uno strumento introdotto principal-mente per far fronte al sottofinanziamento degli ate-nei ed al blocco delle assunzioni dei docenti, am-mantato da una retorica rispetto alle prospettive di occupabilità, continuamente tradita dagli effettivi dati ISTAT. Nonostante le mille promesse, il Ministe-ro non è intervenuto su questo dramma che riguar-da ogni anno più di 100.000 studenti, che devono giocarsi il proprio futuro, con un test a crocette ina-datto e inefficiente.

Noi rifiutiamo il modello aziendalista su cui si sono basate le ultime riforme del sistema universitario: idee vecchie, in cui la formazione superiore è solo assunzione di competenze e macinatura di esami. Crediamo fortemente che l’Università debba avere un ruolo propulsivo e propositivo nel contesto che la circonda, ristrutturando - in modo inedito - l’organiz-zazione del sistema universitario sul territorio, il rap-

porto che costruisce con esso, il modo in cui genera sapere e lo trasmette. Ma l’università non può fare questo da sola: c’è bisogno di un cambio radicale nelle politiche governative, che dia al sapere il suo ruolo emancipatore, abbattendo le barriere di carat-tere economico e culturale all’accesso all’università, restituendo alla ricerca e alla didattica la loro auto-nomia da una valutazione che si traduce di fatto in una forma di controllo esterno, di un ricatto econo-

mico da cui diventa sembra sempre più difficile smarcarsi.

Per questo, consci che la tra-sformazione dell’università non possa avvenire con gli attuali vincoli normativi, chiediamo l’abrogazione della riforma Gelmini e pro-poniamo l'idea di una Nuova Università, che esca da sé stessa e si liberi dal vincolo della produttività, per mettersi al ser-vizio della società tutta.

AFAM e ITS

Accademie, Conservatori e Istituti Tecnici Superiori vengono spesso dimenticati dalla politica per via del limitato peso che questi hanno a livello di numeri di studenti/esse coinvolti/e, tuttavia i timidi tentativi di riforma che si sono prodotti negli ultimi mesi sono stati in continuità con quanto avvenuto nelle scuole e nelle università, senza alcuna volontà di immagi-narsi una revisione complessiva del sistema formati-vo terziario. Nel settore AFAM risulta particolarmen-te preoccupante la volontà di applicare alla produ-zione artistica e culturale gli stessi modelli di valuta-zione della didattica e della ricerca che sono stati introdotti all'università. Per quanto riguarda gli ITS la sostanziale subalternità rispetto agli interessi di breve termine delle imprese, associata al finanzia-mento premiale (30%) sulla base di un generico cri-terio di occupabilità, senza riguardo a qualità del la-voro e inquadramento contrattuale, determinano un sistema di alta formazione tecnica assai poco ‘alta’,

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C’è bisogno di un cambio radicale nelle politiche

governative, che dia al sapere il suo ruolo emancipatore,

abbattendo le barrieredi carattere economicoe culturale all’accesso

all’università, restituendo alla ricerca e alla didattica

la loro autonomiada una valutazione.

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incapace cioè di produrre innovazione e riconvertire le produzioni. Per questo chiediamo una profon-da revisione del sistema di formazione terzia-ria, con il riconoscimento vero del diritto allo studio e un modello di governance - interna ai singoli istituti e a livello di sistema - parteci-pata dalle parti sociali.

Ricerca scientifica

Da anni ormai la ricerca scientifica nel nostro Paese è colpita dai violenti attacchi basati su una politica fatta di tagli e precarizzazione, ridimensionandone enormemente il potenziale. Il crollo dei finanziamen-ti pubblici alle università e agli enti di ricerca presenti sul terri-torio nazionale è stato infatti accompagnato da una progres-siva frammentazione all’interno della comunità scientifica, attra-verso i dispositivi di valutazione premiale. Il risultato è la totale dipendenza della ricerca pubbli-ca dallo sforzo di un settore pri-vato interessato esclusivamente ad un ritorno in termini di pro-fitto immediato, senza una vi-sione di lungo termine che ten-ga al centro le esigenze dei territori e della sua po-polazione, rafforzando invece il ricatto ai danni di migliaia di giovani che successivamente alla fine de-gli studi decidono di intraprendere un percorso al-l’interno del mondo accademico. Secondo l’Innova-tion Union Scoreboard della Commissione Europea l’Italia è solo un moderato innovatore, appena avan-ti al Portogallo. I 20 mld di € spesi per la R&S rap-presentano pari all’1,2% del PIL sono ben al di sotto della media europea (2%) ma anche dell’obiettivo Europa 2020 (1,53%). Per queste ragioni chiedia-mo un rifinanziamento massiccio del settore della ricerca pubblica, lo sblocco del turnover nelle Università e negli Enti di ricerca e un piano di recupero delle risorse private in favo-re dell’innovazione di sistema.

Proprietà intellettuale

La rivendicazione della libertà di accesso ai saperi si scontra oggi con i processi di messa a valore che in-vadono sempre più complessivamente le nostre vite. La mercificazione della conoscenza si sostanzia in-fatti nei meccanismi di diffusione della stessa: la sua circolazione si fonda sull’idea del sapere come una merce, all’interno di una filiera che nei suoi vari pas-saggi prevede un accumulo di profitto. E’ un’impo-stazione che limita il diritto individuale ad accedere alla conoscenza nelle sue diverse forme, ma che ha anche effetti profondamente recessivi dal punto di vista economico, limitando lo scambio, l’ibridazione e l’innovazione tecnologica e sociale. A tutto ciò è

necessario opporre la prati-ca di un modello alternativo che favorisca la libera circo-lazione di saperi e materiali ma che sappia porsi anche la questione della giusta re-tribuzione del lavoro imma-teriale. La rivendicazione di un reddito universale - anche nella sua forma indiretta della gratui-tà dell’accesso alle fonti artisti-che e culturali - può essere uno degli elementi che possono con-tribuire a scardinare questi pro-

cessi, permettendo la pratica di un sapere realmente di tutti/e. Chiediamo anche una profonda revi-sione del sistema della proprietà intellettuale, che tuteli il diritto d’autore ma attacchi le grandi rendite ‘di posizione’ per favorire la libera circolazione delle opere artistiche e d’ingegno, a partire dai prodotti di ricerca delle Università e degli altri Enti di ricerca.

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Secondo l’Innovation Union Scoreboard della Commissione

Europea l’Italia è soloun moderato innovatore,

appena avanti al Portogallo.I 20 mld di € spesi per la R&S rappresentano pari all’1,2%

del PIL sono ben al di sotto della media europea (2%)

ma anche dell’obiettivoEuropa 2020 (1,53%).

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Formazione permanente

Il nostro Paese è agli ultimi posti per la percentuale di cittadini coinvolti in percorsi formativi. Nel 2013 solo il 6,2% della popolazione italiana tra i 25 e i 64 anni era coinvolta in un percorso di formazione. La media UE era del 10,2%, l’o-biettivo previsto dalla strategia Europa2020 è fissato al 15%. Il dato più allarmante è che per l’Italia il trend non è affatto in crescita: assistiamo infatti a un calo dal 6,6% del 2012 al 6,2% del 2013.

Non si tratta esclusivamente di fermare la continua espulsione di studenti dalle scuole e dalle università, ma anche di rendere i percorsi di for-mazione permanente una parte strutturale del sistema formativo, slegandoli dalle esi-genze esclusive delle imprese e connettendoli con un progetto di innalzamento complessivo delle capacità e delle competenze di tutta la popolazione, anche al di là del semplice aggiorna-mento professionale. Per fare questo, è necessario un aumento ma soprattutto una gestione radical-mente diversa dei fondi stanziati per la formazione permanente: oggi le risorse sono spesso distribuite con logiche clientelari e criteri poco trasparenti, mentre è necessario che i progetti formativi siano oggetto di una programmazione partecipata a livello locale.

Sul fronte dell'apprendimento informale, invece, è necessario garantire un accesso universale alle fonti culturali, come approfondito nel punto successivo.

Apprendimento informale e accesso alla cultura

Così come la nostra generazione subisce sempre più i processi di esclusione dai percorsi formativi classi-

ci, allo stesso modo nella profonda crisi economica viviamo un forte allontanamento dal tessuto cultura-le presente nei nostri territori. Un tessuto fondato su uno dei patrimoni più ricchi al mondo, la cui tutela e gestione è stata in gran parte privatizzata, ripropo-nendo l’esigenza di mettere in primo piano il profit-to. La naturale conseguenza è stata l’impossibilità per tanti e tante di accedere a quel mondo, per via dei sempre più alti costi, diventati talora insostenibi-

li. Ribaltare questa tendenza vuol dire contribuire alla rialfa-betizzazione delle nuove gene-razioni, sperimentando al con-tempo pratiche di apprendimen-to informale nuove e fondate su un modello cooperativo, in op-posizione all’estrema competi-zione cui siamo soggetti nella nostra vita quotidiana. Per que-sto chiediamo la totale gra-

tuità dell’accesso alle fonti artistiche e cultu-rali, con una gestione pubblica dei beni cultu-rali che tuteli anche il diritto a un lavoro retri-buito e tutelato.

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L'Italia possiede un tessuto culturale fondato su unodei patrimoni più ricchi al

mondo, la cui tutela e gestione è stata in gran parte

privatizzata, riproponendo l’esigenza di mettere

in primo piano il profitto.

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La crisi finanziaria scoppiata nel 2008 e divenuta, nell’Europa dell’austerità, recessione strutturale ha rappresentato e continua a rappresentare una straordinaria occasione di sottrazione della ricchezza sociale dal basso verso l’alto. La for-bice fra i redditi si è profondamente ampliata, con il l’1% più ricco che detiene il 15% della ricchezza mentre il 40% meno abbiente si deve spartire il 5%. Non certo una peculiarità italiana, ma una realtà da inserire nello scenario internazionale, dove nel 2014 l’1% più ricco - l’élite economica e finananziaria del capitalismo globale - detiene il 48% della ricchezza.

L’avvento del neoliberismo ha determinato processi su scala europea di accumula-zione e della ricchezza e del potere, a fronte di crescenti fa-sce della popolazione che scivo-lano verso la povertà e l’impos-sibilità materiale di decidere sul-la propria vita. È sempre più urgente ricostruire i rapporti di forza per riappropriarsi delle risorse in fa-vore della collettività, prospettiva che ci porta ad ag-gredire i temi della fiscalità generale, dei servizi, del welfare e del lavoro di qualità.

Lavoro di qualitàed equamente retribuito

L’aumento delle disuguaglianze in Europa e in particolare in Italia è da imputare in larga parte, secondo l’OCSE, al contenimento e alla dispersione dei salari: part-time involontario, la-vori atipici e a tempo indeterminato, lavoro sottopa-gato o gratuito ci portano a fare i conti con una di-mensione nuova del ricatto e della povertà, che non sta più fuori dal mercato del lavoro ma si inserisce dentro il regime del salario. L’aumento esponenziale dei cosiddetti working poors, persone che pur lavo-rando si trovano in una condizioni di povertà, rap-presenta la cifra di questo fenomeno morboso: circa 2 milioni e 800.000 persone in Italia fra lavoratori

dipendenti e autonomi.

Il Governo Renzi ha portato a termine una ristruttu-razione neoliberale del mercato del lavoro che ha smantellato diritti e tutele conquistati dalle lotte sin-dacali e del movimento operaio, reso più ricattabile chi lavora e chi è in cerca di un’occupazione e con-sentito un’ulteriore contenimento dei salari. Decre-to Poletti, Jobs Act e relativi decreti attuativi hanno istituzionalizzato i processi già in atto di precarizzazione del lavoro e di trasforma-

zione del welfare in un si-stema di workfare forte-mente condizionante.

La nostra generazione è co-stretta sempre di più a confron-tarsi precocemente con il mer-cato del lavoro, a partire dal proprio percorso di studi o per poter studiare. Serve un radica-le cambiamento per combattere disoccupazione, salari da fame, asservimento dei percorsi for-

mativi alla logica del profitto a breve termine di im-prese che non investono in innovazione e ricerca, produzione di cattiva occupazione legata a un mo-dello di sviluppo predatorio.

Per queste ragioni rivendichiamo:

- nuove tutele e diritti universali: il mercato del lavo-ro ha cambiato decisamente pelle rispetto a quello novecentesco, con l’aumento esponenziale delle ti-pologie contrattuali - estrema fonte di precarietà - ma anche con il potenziamento del settore dei pro-fessionisti atipici e del terziario avanzato, spesso giovani con un alto tasso di specializzazione formati-va. Oggi non è sufficiente rivendicare un ritorno al sistema di protezione sociale proprio del sistema fordista, ma è necessario lottare per tutele uni-versali che garantiscano equa retribuzione, continuità di reddito e diritti per tutti i lavora-tori, dai dipendenti ai titolari di partita IVA. Serve un nuovo Statuto dei lavoratori che vada a tu-telare anche i settori del lavoro atipico e precario;

- salario minimo europeo: il modello economico in-ternazionale si basa palesemente sulla svalutazione competitiva del costo del lavoro e sulle esportazioni, innescando conseguenze sociali devastanti, su tutte

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È sempre più urgente ricostruire i rapporti di forza

per riappropriarsi delle risorse in favore

della collettività, prospettiva che ci porta ad aggredire i temi

della fiscalità generale,dei servizi, del welfaree del lavoro di qualità.

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impoverimento di massa e minori spazi di agibilità per contrattare condizioni di lavoro migliori. La bat-taglia per una remunarazione degna che met-ta al bando il lavoro gratuito o sottopagato non può che giocarsi sul piano internazionale, vista la mobilità del capitale economico e finanzia-rio: per questo rivdenchiamo un salario minimo eu-ropeo che in tutto lo spazio continentale dica chiara-mente che non si lavora sotto una certa cifra di re-tribuzione oraria;

- piani industriali per l’innovazione: accanto alla bat-taglia per le tutele e per il salario, è urgente rico-struire una visione politica e strategica per il Paese. Un vero rilancio dell’occupazione in un Paese da anni in recessione è impensabile senza veri e propri piani industriali, attraverso i quali orientare con le politiche pubbliche i processi di produzione. Si tratta di una prospettiva che è stata totalmente assente nei Governi che si sono succediti negli anni della cri-si, mentre il Governo Renzi ha palesememte dimo-strato con lo Sblocca Italia di privilegiare gli inter-venti che vanno a tutelare gli interessi economici dei poteri forti - tanto del settore energetico che di quello delle infrastrutture - come chiave di volta per far ripartire il Paese, senza preoccuparsi della deva-stazione ambientale e dei nostri territori che queste politiche stanno producendo.

Inoltre, l’Italia investe soltanto l’1,25% del proprio Pil in Ricer-ca e Sviluppo, ben al di sotto della media europea (2%) e degli obiettivi di Europa 2020 (1,53% del Pil). Una situazione inaccettabile e che si riflette in un sistema economico a basso tasso di innovazione e in un mercato del lavoro con impre-se alla ricerca di basse competenze standardizzate. È sempre più necessario costruire piani indu-striali che si pongano il tema dell’innovazione, innalzando le risorse per la Ricerca e lo Svi-luppo fino a triplicare la quota attuale.

- piano di piccole opere per il territorio. Il modello di sviluppo che è stato promosso negli ultimi 30 anni è stato capace di dirottare quote crescenti di risorse pubbliche verso Grandi Opere in grado di generare ingenti profitti per i principali gruppi economici del

Paese. L’utilità sociale di questi interventi è nella maggior parte dei casi molto dubbia, mentre risulta spesso grave e pericoloso il loro impatto sull’am-biente.

Gli investimenti pubblici devono essere radi-calmente ripensati, orientandosi in primo luo-go verso le “infrastrutture sociali” che consen-tono di aumentare il benessere collettivo (scuole, ospedali, parchi pubblici, ecc.) e mettendo in campo un piano strutturale di cura e manu-tenzione del territorio, attraverso piccole opere mirate contrapposte al modello della cementificazio-ne selvaggia.

Reddito e riforma fiscale

L’Italia è un Paese sempre più diseguale. In questi anni il regime di austerity ha comportato la demoli-zione tassello dopo tassello (sotto la parola d’ordine

del contenimento della spesa pubblica o “spendig review”) lo Stato Sociale conquistato in anni di mobilitazioni. Un welfa-re che per anni abbiamo denun-ciato essere estremamente escludente, in quanto aggancia-to ad un sistema produttivo, quello fordista, e sociale, quello della centralità della famiglia e dei grandi luoghi collettivi di la-

voro e aggregazione.

La tragedia sociale impostaci dall’alto in que-sti anni è riassumibile in alcuni dati: 10 milio-ni di persone in condizioni di povertà relativa (16,6% della popolazione), 6 milioni in povertà assoluta (9,9%), 3,2 milioni di disoccupati, 3,5 milioni di inattivi, 3,3 milioni di precari, disoc-cupazione al 12% (20% al Sud), disoccupazio-ne giovanile al 44,2%. A fronte di questo non si può tornare indietro, non ha senso rivendicare un si-stema di welfare tarato su un modello sociale non più riproducibile: è necessario aprire strade nuove, definire nuovi modelli sociali solidali, emancipatori, collettivi, a partire dalla rivendicazione centrale del

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Un vero rilancio dell’occupazione in un Paese

da anni in recessioneè impensabile senza

veri e propri piani industriali, attraverso i quali orientare

con le politiche pubblichei processi di produzione.

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reddito.

Per questo rivendichiamo:

- un reddito universale: consideriamo il Reddito di Dignità proposto da Libera nell'ambito della campagna Miseria Ladra una misura non più rimandabile, per rendere illegale la povertà, rom-pere il ricatto al lavoro coercitivo e sottopagato, re-stituire dignità al lavoro, alla formazione, alle com-petenze di milioni di persone. Un reddito pienamen-te universale, individuale ed emancipatorio rispetto alle con-dizioni familiari,economiche e sociali di partenza.

Un reddito necessario a colma-re le diseguaglianze sociali del Paese, ad aggredire le enormi ricchezze illecitamente accumu-latesi, restituendo dignità e po-tere decisionale ai milioni di cittadini a cui sono stati negati. Un reddito a tutela della democrazia che ne-cessariamente dovrà finanziarsi attraverso delle mi-sure redistributive della ricchezza e quindi anche at-traverso un intervento sulla fiscalità generale;

- un reddito di formazione: i dati sulla dispersione scolastica (17% a livello nazionale, con punte del 25% nelle regioni meridionali) e sui canali di acces-sompre se più ristretti all’università (-45.000 iscritti in 10 anni) riflettono una situazione drammatica di esclusione sociale, nella quale si materializzano le profonde connessioni tra espulsione dai processi for-mativi e povertà culturale da un lato con la condizio-ne di subalternità e deprivazione.

Vogliamo un reddito che rompa completamente con una visione del welfare legata esclusivamente al la-voro fordista e che non si pone il tema di garantire universalmente l’accesso ai saperi. Vogliamo un reddito di formazione individuale, che consen-ta a tutti di poter studiare indipendemnete dai condizionamenti economici e familiari;

- una riforma della tassazione in senso progressivo: il Governo ha lanciato la sua campagna d’autunno sull’abbassamento delle tasse. Crediamo che l’inter-vento sulla fiscalità generale (riducendo la pressione fiscale sui redditi medio-bassi, sulla formazione e sulle tasse indirette) sia oggi necessario, ma che questo non può finanziarsi con un ulteriore innalza-

mento dei costi sociali per la maggior parte della po-polazione. Se ripensare il fisco significa imprimere un nuovo modello sociale, crediamo che quello del Governo Renzi sia un Paese in cui non possiamo credere: una vuota e superficiale tutela dello status quo e degli attuali livelli di disuguaglianza, una ma-novra regressiva che sposterà ulteriore ricchezza dal basso verso l’alto.

C’è urgenza di intervenire sulla fiscalità ma puntando alla redistribuzione e al ridimensio-

namento della forbice socia-le, uno spostamento di risorse dalla parte più ricca a quella più povera, dalle zone industrializza-te e i centri finanziari alle parti del paese a rischio di “sottosvi-luppo permanente” (Svimez) o depresse dalla crisi economica e i tagli al welfare, dalle rendite e

dai patrimoni a chi ha di meno.

La nostra riforma del Fisco parte dal Reddito, per ri-pensare il Paese e il welfare, ridistribuire ricchezze, invertire l’austerity. Il reddito non è e non potrà es-sere, come tanti stanno provando a fare per deviare il consenso crescente che si sta creando intorno a questa misura, una proposta assistenziale generaliz-zata che da un tanto ad ognuno indiscriminatamen-te: quella semmai è la riforma fiscale che ci sta pro-ponendo il Governo stesso.

Servizi pubblici

Il sistema dei servizi ha ceduto sotto i colpi dei tagli e delle privatizzazioni, comportando aumento dei costi e peggioramento della qualità del servizio, ag-gravando così così le condizioni di vita di milioni di persone. La finanziarizzazione dell’economia e l’in-nalzamento del potere della rendita finanziaria han-no aperto uno spazio inedito di sfruttamento del ter-ritorio e delle risorse della collettività. I processi di privatizzazione dei beni comuni e dei servizi collettivi rappresentano emblematicamente le nuove dinamiche di accumulazione finanziaria che, col sostegno della retorica del debito e del con-

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Esigiamo un reddito pienamente universale,

individuale ed emancipatorio rispetto alle condizioni

familiari,economiche e sociali di partenza.

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tenimento della spesa pubblica, determinano ingenti profitti privati per pochi e un aumento dei costi so-ciali per la cittadinanza.

Riteniamo imprescindibile riaprire un ragionamento sul ruolo del reddito indiretto, in termini di servizi e di strumenti a sostegno delle fasce di popolazione più colpite dalla crisi: è necessario costruire a partire dai territori piattaforme per una profonda rivisitazio-ne del welfare municipale, nell’ottica di dare risposte materiali ai bisogni fondamentali, e di ribaltare con-cretamente la pratica del governo dall’alto delle ri-sorse e del territorio. Alla concentrazione del po-tere decisionale, fortemente condizionato da-gli interessi dei maggiori stakeholders econo-mici, contrapponiamo un modello fondato sul-la partecipazione e sulla gestione democratica del pubblico e dei beni co-muni. Affermare nuovamente il principio della democrazia par-tecipata è una premessa fonda-mentale per realizzare avanza-menti sostanziali.

Per questo rivendichiamo:

- Diritto all’abitare. Il costo de-gli affitti, soprattutto nelle grandi città e nelle sedi universitarie, si abbatte sugli studenti fuori sede, ar-rivando a punte di 600€ mensili per una camera sin-gola. La situazione è aggravata dall’insufficiente nu-mero di residenze universitarie degli enti regionali per il diritto allo studio, tanto che anche chi avrebbe diritto all’alloggio per legge non lo riceve a causa delle carenze del sistema. In generale, il diritto all’a-bitare è una parola d’ordine che oggi interseca di-verse condizioni - studenti fuori sede, giovani preca-ri, famiglie a basso reddito, ecc. - che pur nelle loro diversità si trovano ugualmente di fronte a pesanti ostacoli di ordine economico nell’accedere all’abita-zione. Servono politiche pubbliche in grado di contrastare la speculazione e garantire a tut-te e tutti il diritto alla casa.

Edilizia Residenziale Pubblica e rifinanziamento Legge 338/00: è necessaria una strategia di recupe-ro degli immobili in disuso e di nuovi investimenti per aumentare il patrimonio a disposizione per gli alloggi popolari. Parallelamente, servono risorse per un nuovo bando di fiananziamenti sulla base della

Legge 338/00, destinato alla realizzazione di resi-denze per studenti borsisti.

Accordo territoriale per il canone concordato: le amministrazioni comunali devono promuovere la stesura di accordi territoriali fra le parti per l’istitu-zione del contratto di locazione a canone concorda-to, una soluzione che consente di contenere il costo dell’affitto e di garantire tutele contrattuali all’affit-tuario.

Requisizione del patrimonio sfitto: mettere al bando la speculazione è un obiettivo prioritario in molte città dove i grandi proprietari tengono sfitti appartamenti e immobili per produrre una distorsio-ne al rialzo nel mercato immobiliare. Diverse senten-ze, a partire dal pronucniamento della Corte di Cas-sazione del 2007 sul caso del X Municipio di Roma,

hanno stabilito che la requisizio-ne in via urgente e temporanea degli appartamenti sfitti non co-stituisce un abuso da parte del Pubblico, ma una misura coe-rente con il soddisfacimento di un bisogno primario come il di-ritto alla casa.

Parallelamente serve un ripensamento del ruolo del-le Agenzie per la casa delle amministrazioni comu-nali: oltre alla facilitazione dell’incontro fra domanda ed offerta e alla promozione del contratto a canone concordato, queste agenzie devono avere la possi-blità di disporre degli appartamenti sfitti per disporre di nuove risorse contro l’emergenza abitativa.

- Sanità. Il Sistema Sanitario Nazionale è tutto fuor-ché sovradimensionato. Negli ultimi anni da più parti si sono sollevate voci di denuncia sui rischio a cui andiamo incontro: una riduzione progressiva del personale medico-sanitario del SSN, di specialisti e di medici di base, che si traduce in un peggioramen-to del diritto alla salute per la collettività.

Il divario in negativo di più di 10.000 profes-sionisti entro il 2018 è frutto del combinato disposto dei tagli alla Sanità Pubblica, delle barriere in ingresso alla formazione medica, dei prepensionamenti e del blocco del turn over che nel complesso restitusicono un fabbisogno basato sui vincoli di spesa e non sulle esigenze reali della società. Abbiamo bisogno di una profonda in-

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Affermare nuovamenteil principio della democrazia partecipata è una premessa

fondamentale per realizzare avanzamenti sostanziali

sul piano dei servizi sociali.

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versione di tendenza.

Rifinanziamento del SSN: la cosiddetta spending review del Governo Renzi ha nel mirino la Sanità pubblica come principale obiettivo. Si tratterebbe di un ulteriore colpo destabilizzante, da sommare ai 4 miliardi di minori stanziamenti alle Regioni decisi nella scorsa Legge di Stabilità. Al contrario rivendi-chiamo un rifinanziamento del sistema, in termini economici e di risorse umane, affinché venga rico-nosciuto il diritto alla salute di tutte e tutti, in parti-colare dei redditi medio-bassi che non hanno la pos-siblità economica di rivolgersi alle strutture sanitarie private.

Diritto alla salute per fuori sede: garantire l’accesso senza costi aggiuntivi alle cure e alle prestazioni del SSN a tutti colo-ro che per motivi di studio o di lavoro vivono in una città diver-sa da quella di residenza.

Rilancio del ruolo dei Con-sultori: nel contesto di tagli al welfare e alla sanità, i Consulto-ri sono fra le prime strutture che stanno subendo un pesante ridimensionamento. Riteniamo, al contrario, che tali strutture vadano potenziate, tanto sul piano dei servizi che possono offrire per la prevenzione, l’assistenza e la tutela della salute, quanto nel rapporto con il territorio e, in particolare, i luoghi della formazione.

- Trasporti. La programmazione politica sul settore dei trasporti è decisamente fallimentare nel nostro Paese. Per anni sono state destinate ingenti risorse pubbliche sull’Alta Velocità e sul trasporto ferroviario a lunga distanza, penalizzando il trasporto urbano e le tratte dei pendolari. Il diritto alla mobilità quotidiano è fortemente messo in discussione dalla carenza di corse e dall’aumento dei costi a carico dell’utenza. Inoltre, non esiste un ragio-namento serio sulla sostenibilità ecologica e sulla ri-duzione delle emissioni, attraverso la promozione del trasporto pubblico a discapito dei mezzi privati.

Per questo chiediamo un sistema di agevolazioni per il diritto alla mobilità rivolto in primo luogo a studenti, giovani precari e famiglie a basso reddito;

la ripubblicizzazione del Trasorto Pubblico Lo-cale, sottraendolo alle dinamiche di speculazione e garantendo un politica pubblica di gestione rivolta all’accessibilità del servizio; un Piano straordina-rio per il trasporto quotidiano e il pendolari-smo, rivedendo nettamente la spesa destinata alle Grandi Opere e all’Alta Veocità.

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La programmazione politica sul settore dei trasporti

è decisamente fallimentare nel nostro Paese. Per anni

sono state destinate ingenti risorse pubbliche sull’Alta

Velocità e sul trasporto ferroviario a lunga distanza,

penalizzando il trasporto urbano e le tratte

dei pendolari.

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Nella società della crisi economica e finanziaria gli spazi di democrazia e partecipazione sono in via d’e-stinzione.

Il ricatto del debito non è soltanto quel mec-canismo che ha redistribuito risorse dal basso verso l’alto nel corso degli ultimi anni, ma è anche quello strumento retorico con il quale, a livello locale così come a livello nazionale e internazionale, è stato operato un enorme trasferimento verso l’alto della capacità di de-cidere delle vite di tutti. In nome della crisi, del-l’emergenza, della necessità impellente di riforme e interventi strutturali, sono stati smantellati molti dei diritti e delle conquiste di civiltà degli ultimi decenni, dal lavoro, al welfare, ai diritti individuali. Per questo oggi affermiamo che non c’è nulla da perdere: non vogliamo affatto rinchiuderci in una dimensione no-stalgica perché crediamo che quello che ci spetta è un nuovo modello di formazione, di welfare, di lavo-ro per un altro modello di sviluppo. Siamo in credito di diritti, di risorse, di democrazia, e li esigeremo fino in fondo. È questo il nostro Piano A con il quale vogliamo cambiare radicalmente volto all’Europa.

Per questo dal 9 ottobre in poi, con le nostre mobilitazioni e le iniziative che costruiremo a li-vello locale, nazionale e interna-zionale intendiamo afferma-re con forza che vogliamo potere: poter studiare, poter scegliere il nostro fu-turo, poter vivere una vita dignitosa, poter cambiare collettivamente la nostra condizione di subalternità!

Una riforma istituzionalein senso autoritario

L’utilizzo parossistico del tema dell’emergenzialità da parte del Governo Renzi per promuovere misure ne-cessarie a “far ripartire il Paese” ha di fatto sospeso il nostro ordinamento democratico, esautorato il Par-lamento dal suo legittimo potere legislativo e fatto passare tutti i provvedimenti più importanti come

Sblocca Italia, JobsAct e Buona Scuola attraverso l’abuso di voti di fiducia, decreti legge e deleghe in bianco al governo.

Come se ciò non bastasse, il Governo Renzi, dopo aver approvato una legge elettorale paradossalmen-te in grado di garantire la maggioranza assoluta an-che ad una minoranza del paese attraverso l’intro-duzione del doppio turno e di un premio di maggio-ranza enorme, ha messo il piede sull’acceleratore sul tema delle “riforme istituzionali”: il cosiddetto ddl Boschi.

Il metodo in cui si sta svolgendo la discussione sul disegno di legge da questo punto di vista è già indi-cativo dei suoi contenuti: una discussione a tappe forzate, chiusa dentro i tatticismi delle stanze dei palazzi e dei partiti, completamente esterno alle ca-pacità di costruire un dibattito reale nel Paese, tutto incentrato sul principio della “governabilità” e della “palude”, una discussione che avrà una ricaduta in un referendum dai caratteri sempre più “plebiscitari” di giudizio sul Governo.

Questa riforma, con questo me-todo, è per noi completamente irricevibile. Non possiamo ac-cettare delle forzature demo-cratiche nelle tempistiche di modifica della carta fondamen-tale del nostro Paese. Il supe-ramento del bicameralismo attraverso un senato non

elettivo, e quindi del sistema dei contrappesi de-mocratici, nell’ottica di un presidenzialismo di fatto (garantito attraverso il combinato disposto con la legge elettorale), l’introduzione di sempre mag-giori dispositivi di urgenza, e del relativo snatu-ramento del dibattito parlamentare, nell’approvazio-ne delle leggi è il segno più evidente della trasfor-mazione accentratrice della governance del nostro Paese che dal piano materiale del sempre maggiore isolamento delle parti sociali e della parte-cipazione popolare all’indirizzamento del Paese, che per noi non si può ridurre all’esercizio del diritto di voto, si trasforma in una sostanziale revisione del piano formale del nostro ordinamento democratico.

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Siamo in credito di diritti,di risorse, di democrazia,

e li esigeremo fino in fondo.È questo il nostro Piano A

con il quale vogliamo cambiare radicalmente volto all’Europa.

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Spazi di partecipazionee patrimonio pubblico

I contesti cittadini in cui viviamo appaiono sempre più controllati dall’alto piuttosto che dal basso: patti di stabilità imposti, decreto Sblocca Italia, gestione verticista e spesso connessa a poteri forti e mafiosi. Il caso di Mafia Capitale è solo il più emblematico, di un giro di potere esistente in moda-lità e forme diverse sui nostri territori.

E’ necessario costruire una opposizione alle ammini-strazioni locali che rivendichi una gestione parteci-pata dal territorio, rigettando in primo luogo le spe-culazioni e promuovendo un’altra idea di svi-luppo territoriale con formazione e cultura al centro contro i quartieri dormitorio nei grandi centri e contro le città fantasma nei piccoli centri. E’ nelle nostre città, infatti, che si può ag-gredire dal basso il senso di impotenza sulle nostre vite e sui nostri territori, sperimentando pratiche di democrazia partecipativa come la progettazione par-tecipata e le delibere partecipa-te, che siano espressione di chi anima e vive i quartieri e le città giorno dopo giorno e non di chi vi specula.

Purtroppo assistiamo invece al progressivo smantellamento e dismissione del patrimonio pub-blico, che sarà vittima di un’ on-data di privatizzazioni necessa-rie a far quadrare i conti e finanziare le misure del governo in campo fiscale. L’attacco al patrimonio pubblico è anche riflesso delle politiche di austerity che impongono la svendita del proprio patrimonio, anche produttivo, agli stati in difficoltà: basti pensa-re alle svendita del porto e degli aeroporti in Grecia come conseguenza del Memorandum imposto al paese nel mese di luglio.

All’interno delle nostre città, al contrario, è ne-cessario aggredire la solitudine ed il deserto con l’apertura di spazi di socialità. La presenza di spazi è fondamentale nei frammentati contesti ur-bani di fronte a cui ci troviamo per ricostruire il tes-

suto sociale, costruire identità nel quartiere e nel contesto cittadino, promuovere esperienze mutuali-stiche e culturali. Rivendichiamo come soluzione al-ternativa alla dismissione ed all’abbandono la speri-mentazione di esperienze di pubblico-partecipato che possano costruire con la cittadinanza sperimen-tazioni di nuova gestione del territorio. Vogliamo quindi ripartire dalle nostre città per riappropriarci dello spazio che ci spetta: sia pretendendo gli spazi di partecipazione che oggi ci sono sottratti, sia rilan-ciando e rendendo più aperti e inclusivi i luoghi fisici che già possediamo, sia mettendo in campo delle pratiche di riappropriazione del patrimonio pubblico dismesso e abbandonato.

Socialità e aggregazionevs decoro e mercificazione

Nelle nostre città è esplosa una nuova ondata re-pressiva a suon di ordinanze anti degrado. Sarebbe degradante, infatti, secondo i Prefetti e le Ammini-

strazioni Comunali, tutto ciò che sfugge all’ordine ed al con-trollo, tutti noi, studenti, mi-granti, clochard. Il decoro co-struito tramite restrizioni per l’utilizzo di alcool fuori orario, per la permanenza nei parchi e nelle piazze, non è altro che un modo per camuffare esteticamen-

te la frammentazione del tessuto sociale, te-nendo ancor più fuori gli esclusi e gli invisibili dalle nostre città, senza agire in nessun modo sul cuore del problema. Quelle piazze sono oggi gli unici luo-ghi di aggregazione e gli unici luoghi realmente vis-suti.

Il diritto alla città, alla socialità ed alla partecipazio-ne di tutte e tutti non può essere represso, ma va costruita una idea diversa di città, che scardini il rapporto centro-periferie dormitorio abbandonate e metta al centro la socialità e l’aggregazione. Le città sono nostre, gli invisibili siamo tutti noi esclusi dalle decisioni di una politica urbana che incita ancor più

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Le città sono nostre, gli invisibili siamo tutti noi

esclusi dalle decisioni di una politica urbana che incita

ancor più all’odio verso la diversità ed all’ordine contro una idea collettiva di socialità.

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Vogliamo potere! le nostre rivendicazioni

all’odio verso la diversità ed all’ordine contro una idea collettiva di socialità. Praticheremo resistenza alle politiche ani-degrado in ogni città, sperimentan-do nuovi modelli di socialità contro i paradigmi del-l’ordine che annullano i nostri sogni e desideri.

In questi anni abbiamo visto ridursi gli spazi di ag-gregazione e di partecipazione anche dentro le scuole e le università. Dopo la riforma Gelmini infatti gli spazi di agibilità democratica all’interno degli Ate-nei si sono ridotti radicalmente. Quella che era una comunità accademica si è trasformata in una sorta di pseudo - azienda guidata dalle scelte tecniche di un Cda che prendono il sopravvento alla duiscussio-ne più democratica e politica del senato accademico. Con “La Buona Scuola” allo stesso modo, assistiamo alla aziendalizzazione della scuola ed all’accentra-mento dei poteri nella figura del preside, con l’aper-tura ai finanziamenti privati. La riduzione degli spazi di agibilità politica e di democrazia ha un impatto fortemente ne-gativo nella costruzione di una partecipazione consa-pevole alla vita della pro-pria scuola o del proprio Ateneo che è ovviamente il presupposto per costruire con-sapevolezza rispetto alle scelte che uno studente opera al di fuori del luogo della formazio-ne.

Se ci rassegnamo a questo fat-to assumiamo che il fine delle numerose riforme di questi anni è stato raggiunto: trasfor-mare il percorso formativo da processo di formazione critica di cittadini in un mero strumen-to di acquisizione delle competenze necessarie alla mansione. Per questo motivo è necessario ricostrui-re percorsi di partecipazione in scuole e università a partire dalla riappropriazione di spazi di rappresen-tanza fino alla messa in campo di pratiche mutuali-stiche che aggregino gli studenti a partire dai loro bisogni materiali.

Vogliamo potere... Muoverci Per la libertà di movimento e il diritto all'accoglienza

Le drammatiche vicende di questi giorni, che hanno riportato la questione dell’immigrazione al centro del dibattito pubblico, dovrebbero indurre tutti ad una presa di posizione decisa. Le stragi in mare e adesso anche sul continente continuano sen-za sosta e la risposta dell’Europa è spesso af-fidata a soluzioni di polizia: i manganelli come unica risposta ai migranti che a Ventimiglia, come al

confine serbo, chiedevano liber-tà e dignità, l’erezione di muri e filo spinato come quello unghe-rese e infine il comportamento agghiacchiante della polizia e dell’esercito sui confini dell’Euro-pa orientale. Tutto questo men-tre il regolamento di Dublino non viene messo mai in di-scussione a partire dalle sue radici che ne suggerirebbero l’a-bolizione più che la modifica. Quelle radici che pongono le fondamenta di una Fortezza Eu-ropa che somiglia sempre più ad una terra di apartheid tra i “nati-vi” del vecchio continente e co-loro che fuggono dalle guerre, dai regimi, dalla fame, da un

neocolonialismo di ritorno fondato sullo strapotere delle multinazionali e sulla devastazione del lavoro e dell’ambiente e di cui l’Occidente e l’ Europa hanno enormi responsabilità e colpe.

E’ assolutamente necessario quindi riaprire il dibatti-to su quale sia la risposta che come Europa voglia-mo dare alla questione. Non possiamo pensare di la-sciare che singoli Stati come la Germania, dall’alto della loro forza economica costruita sacrificando sul-l’altare dell’austerità i Paesi del Sud Europa, prenda-

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La Fortezza Europa somiglia sempre più ad una terra

di apartheid tra i “nativi”del vecchio continente

e coloro che fuggono dalle guerre, dai regimi, dalla fame,

da un neocolonialismodi ritorno fondato

sullo strapotere delle multinazionali e sulla

devastazione del lavoroe dell’ambiente e di cui

l’Occidente e l’ Europa hanno enormi responsabilità e colpe.

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no l’iniziativa e si facciano carico solo di una parte dei richiedenti asilo.

Per questo abbiamo lanciato la proposta “Scuo-le ed università #senzaconfini”, che prevede l’utilizzo delle palestre e degli spazi di scuole ed uni-versità per promuovere l’accoglienza dei migranti, con il protagonismo attivo degli studenti. Intendia-mo promuovere come studenti esperienze di mutua-lismo capaci di dare strumenti di integrazione a chi intende restare, attraverso lezioni peer-to-peer per insegnare ai migranti l’italiano ed agli italiani le loro lingue, arricchendo la comunità con eventi multicul-turali. Riteniamo che scuole ed università siano i luoghi più adatti per costruire comunità attorno ai migranti, immaginare iniziative sociali e studentesche, costruire un mo-dello di accoglienza che non sia di mera gestione dell’emergen-za in termini numerici, ma spe-rimentazione di processi colletti-vi di apertura delle comunità.

Vogliamo un’Europa della solidarietà che rifiuti auste-rità, vincoli di bilancio, egoi-smi nazionali; vogliamo un’accoglienza rispettosa dei diritti dei migranti, con-tro il modello di Mafia Capitale con cui profittatori senza scru-poli hanno fatto affari sulla pelle dei migranti e delle risorse pub-bliche; vogliamo un’inclusione sociale vera dei migranti nella scuola, nel lavoro, nel welfare, contro leggi razziste come la Bossi-Fini che favori-scono la marginalizzazione e lo sfruttamento nelle nicchie subalterne di un mercato del lavoro neolibe-rale sempre più ingiusto; chiediamo con forza un corridoio umanitario che salvi vite; rifiutiamo la mili-tarizzazione delle frontiere; rivendichiamo canali di accesso legale e sicuro in Europa contro il proibizio-nismo che arricchisce i trafficanti. Sosteniamo quindi con forza il diritto di ogni essere umano di muoversi e migrare attraverso i confini: è la circolazione di ca-pitali che deve subire dei limiti per garantire un wel-fare dignitoso per tutti.

Vogliamo potere... Vivere i nostri territori Per un altro modello di sviluppo

Risulta evidente la subordinazione che esiste tra ca-pitale e ambiente e lavoro. Da oltre vent’anni le poli-tiche neoliberiste applicate a livello globale hanno

mostrato come, con il solo fine di accumulare capitale, qualsia-si azione fosse contemplata: dalla distruzione di territori ed ecosistemi, alla selvaggia estra-zione e privatizzazione delle ri-sorse, passando inevitabilmente per il peggioramento delle con-dizioni di salute delle popolazio-ni.

I provvedimenti politici at-tuati nel nostro paese se-guono in maniera lineare il modello neoliberista: l’ulti-mo Decreto Sblocca Italia (2014), così come il prece-dente Decreto Sviluppo (2012) sono due esempi lam-panti ai quali continuiamo ad

opporci. Attraverso queste due leggi, infatti, si auto-rizza la ricerca e l’estrazione di fonti fossili, tramite trivellazioni marine e terrestri. Si promuove dunque l’utilizzo di fonti energetiche obsolete, con tecnolo-gie assai pericolose e dannose per l’ecosistema, nonché volte alla produzione di un materiale non degradabile ed altamente inquinante come la plasti-ca; a guadagnarci, in termini economici, sono le grandi lobby multinazionali petrolifere.

Sul nostro territorio i casi che mostrano il conflitto tra capitale, ambiente e lavoro, sono molteplici. Spesso poi, in questi stessi luoghi, scuole ed univer-sità risultano assenti o al più assoggettate alle stes-se aziende che li distruggono. L’offerta formativa, ancor più con la presenza dei privati nei Consigli di

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Da oltre vent’anni le politiche neoliberiste applicate a livello globale hanno mostrato come, con il solo fine di accumulare

capitale, qualsiasi azione fosse contemplata: dalla

distruzione di territori ed ecosistemi, alla selvaggia

estrazione e privatizzazione delle risorse, passando

inevitabilmente per il peggioramento delle

condizioni di salute delle popolazioni.

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Amministrazione, è organizzata secondo le necessità degli interessi capitalistici anzichè secondo le esi-genze del territorio. È così anche che il rapporto tra università/scuole e territorio viene stravolto. La co-noscenza non è considerata uno strumento di eman-cipazione e cambiamento, ma di riproduzione del modello produttivo attuale.

E’ prioritario quindi rovesciare questo rapporto, ridare ai saperi la propria funzione, per risolve-re le contraddizioni del sistema anche a partire dal campo am-bientale.

La Conferenza sul clima di Parigi 2015 (COP21) è uno spazio in cui sarà possibile portare alcune rivendicazio-ni, nazionali ma anche glo-bali, rispetto alla necessità di modificare questo modello di sviluppo e smascherare l’ipocrisia delle scelte politiche dei go-verni europei e non, in materia energetica e di svi-luppo, a partire da quello italiano.

Vogliamo potere... Essere noi stesse_i Per i diritti e la dignità di tutte_i

La frammentazione sociale prodotta dalla crisi e dal-le forme di precarietà ha bloccato del tutto in Italia l'avanzamento culturale di consapevolezza ed inclu-sione delle differenze di genere, identità e orienta-mento sessuale. Anzi, registriamo una sempre maggiore diffusione di concetti discriminatori, oltre che oscurantisti e retrogradi, da parte del-le realtà estremiste del mondo cattolico. Tali concet-ti, impugnati anche da formazioni neofasciste, sono permeate nella società civile grazie allo strumento della disinformazione: ne è il principale esempio l'in-venzione - del tutto strategica - dell'ideologia del

gender.

D'altra parte, sul piano politico-istituzionale, il Governo Renzi mostra un uso propagandi-stico delle tematiche di Genere ed LGBT senza promulgare interventi sostanziali, scadendo nel fe-nomeno di pink washing (basta pensare alla consul-tazione sulla violenza di genere). Sono tanti gli epi-

sodi in cui l'Esecutivo ha pale-sato una mancanza di volontà politica di entrare nel merito dei fenomeni, lasciando ampi spazi di mediazione con la destra cat-tolica su entrambe le tematiche nel nome della stabilità di go-verno. A essere però ancora più allarmante è il modo in cui le ultime riforme ignorino plateal-mente un'ottica di welfare uni-versale e la centralità dei luoghi

di formazione nella battaglia agli stereotipi, alla se-gregazione e per la dignità di tutti i cittadini.

È per noi fondamentale rivendicare una nuova idea di democrazia nei luoghi della formazione e nelle nostre città, dove la libertà di esprimersi e la dignità di tutti i cittadini è garantita anche da un'opposizio-ne netta e chiara a qualsiasi forma di discriminazio-ne. Modello che portiamo avanti con la Carta Nes-suno Escluso nelle scuole e nelle università, garantendo da parte delle istituzioni scolastiche e accademiche una presa di posizione a tutela di tutte e tutti per la lotta contro le intimidazioni, le pratiche e i linguaggi omotransfobici e sessisti. Vogliamo fatti concreti e non briciole di clausole aleatorie sugli ste-reotipi presenti nella Buona Scuola. Nostra è anche l’apertura dello Sportello Nessuno Escluso, fatto da studenti per studenti, visto che nei luoghi della for-mazione mancano riferimenti a cui studenti discrimi-nati possano rivolgersi.

La didattica deve essere attraversata da un'ottica includente tutte le differenze di ge-nere e di identità e orientamento sessuale con pari dignità, oltre a doversi liberare dagli ste-reotipi. Più che mai c'è bisogno di un programma ministeriale sull'educazione sessuale e all'affettività, su cui per ora c'è stato solo silenzio nella Buona scuola. Al più è ancora regolata da una legge del 97, come mera educazione all'affettività da scegliere nel

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A essere allarmante è il modo in cui le ultime riforme

sui diritti civili ignorino platealmente un'ottica

di welfare universale e la centralità dei luoghi

di formazione nella battaglia agli stereotipi,

alla segregazione e perla dignità di tutti i cittadini.

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pacchetto di attività per la salute, cosa che con la Buona Scuola dipenderà solo ed esclusivamente dal preside, non garantendo pari educazione a tutti. A tale vuoto rispondiamo con la Guida Al Sesso, cre-dendo fortemente nel valore emancipatorio dell'in-formazione.

Il progressivo e costante smantellamento del welfare, culminato con il Jobs Act, si sostan-zia anche nell'esclusione sociale di soggetti non maschi ed eterosessuali. I tagli alla sanità colpiranno con vigore i Consultori Famigliari e i Cen-tri Sociali, conquiste politiche che rappresenterebbe-ro forti tutele sociali per le donne. Basta pensare al-l'incontrastato fenomeno dell'obiezione di coscienza, così come la totale assenza di servizi per studentes-se madri nelle università. Lo stesso ddl Cirinnà sulle unioni civili non permette a persone dello stesso sesso di costituirsi in una famiglia legittimamente ri-conosciuta e di accedere alla totalità dei diritti che ne derivano.

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In breveCi mobilitiamo...

Per l'istruzione gratuita e un sapere accessibile a tutte e tutti

Per l'abrogazione della Riforma Gelmini

Per un ripensamento radicale dell’impostazione at-tuale dei cicli formativi

Per la promozione di un efficace Statuto delle Stu-dentesse e degli Studenti in Stage

Per l’istituzione di un finanziamento strutturale in istruzione in legge di stabilità

Per un’altra idea di valutazione dello studente e di valutazione nazionale, che non sia punitiva

Per un nuovo modello di governance ed una scuola più democratica e partecipativa

Per l'abolizione della bocciatura

Per un ripensamento della didattica frontale e l’in-troduzione di forme di didattica alternativa, a scuola e all'università

Per un'università gratuita e accessibile a tutti

Per una revisione riforma ISEE che ha escluso tante studentesse e studenti dalla possibilità di accesso alla borsa di studio

Per maggiori finanziamenti per tutte le università e piano strategico per le università in difficoltà: aboli-zione Ava e criteri di merito

Per l'abolizione dei test d'ingresso per l'accesso alle facoltà a numero chiuso e programmato

Per uno Statuto delle studentesse e degli studenti ti-rocinanti

Per finanziamenti gestiti in forma partecipata per la formazione permanente

Per il libero accesso alla cultura: musei, cinema, tea-tri, libri per tutte e tutti!

Per l'approvazione di una legge nazionale sul diritto allo studio che abbatta le differenze socio-economi-che e territoriali, con borse di studio, servizi e reddi-

to di formazione per studenti delle scuole superiori, delle università, di ITS e AFAM

Per il rifinanziamento massiccio alla ricerca pubblica per costruire un modello di sviluppo più sostenibile

Per una revisione del sistema della proprietà intellet-tuale, che tuteli il diritto d’autore ma attacchi le grandi rendite ‘di posizione’ per favorire la libera cir-colazione delle opere artistiche e d’ingegno

Contro la precarietà esistenziale e lavorativa: diritti universali per tutte e tutti!

Per l'istituzione di un reddito di dignità pienamente universale, individuale ed emancipatorio rispetto alle condizioni familiari,economiche e sociali di partenza, finanziato attraverso una riforma della tassazione re-distribuiva che faccia pagare davvero i più ricchi

Per l'istituzione di un reddito di formazione indivi-duale, che consenta a tutti di poter studiare indipen-dentemente dai condizionamenti economici e fami-liari

Contro una riforma istituzionale antidemocratica

Per la gestione partecipata dei territori contro di-smissione ed abbandono del patrimonio pubblico

Per l'apertura spazi di socialità al servizio della col-lettività

Contro le politiche repressive e le leggi antidegrado: vogliamo poter vivere appieno piazze, parchi e luo-ghi della città

Per il diritto al movimento e alla libera circolazione dei migranti, contro il Trattato di Dublino

Per il diritto all'accoglienza e all'integrazione sociale dei migranti

Contro lo Sblocca Italia e il Decreto Sviluppo

Perché il Governo Italiano concorra a costruire impe-gni concreti in vista della Conferenza sul clima di Pa-rigi

Contro l'oscurantismo e il bigottismo, per l'educazio-ne sessuale e alle differenze

Per una vera equiparazione dei diritti tra coppie ete-rosessuali e omosessuali

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