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MARIO SIRIMARCO ANCORA SU APOCALITTICI ED INTEGRATI: OVVERO TRA HERMES E NARCISO 1. L’avvento di Internet, con la sua carica indubbiamente “sov- versiva” rispetto alle tradizionali categorie delle scienze sociali e dei tradizionali sistemi informativo-normativi, della Rete delle reti, della comunicazione-informazione in tempo reale, del cyberspace e delle sue innumerevoli applicazioni 1 , pongono importantissimi interrogativi al pensiero filosofico, inteso come riflessione critica sul proprio tempo. Interrogativi che toccano il tema nevralgico della condizione umana di Questo lavoro rappresenta l’ulteriore tappa di un itinerario di ricerca iniziato con la pubblicazione del saggio Tra apocalittici ed integrati. Spunti di riflessione sul rapporto uomo- internet, nel volume di A.C. AMATO MANGIAMELI (a cura di), Parola chiave: informazione, Milano, 2005, dal quale il presente lavoro parte per offrire nuovi spunti, diverse precisa- zioni, necessari rimaneggiamenti e opportune riconsiderazioni. 1 Sulle origini del cyberspazio, dagli studi di Vannevar Bush e del suo me- mex fino al Neuromante di William Gibson, v. C. FORMENTI, Incantati dalla rete. Immagini, utopie e conflitti nell’epoca di Internet, Milano, 2001 e, in una prospettiva postumanista che considera cioè la tecnologia in genere come simbionte cogni- tivo, come vero e proprio partner di conoscenza, R. MARCHESINI, Post-human. Verso nuovi modelli di esistenza, Torino, 2002. Cfr., inoltre, A.C. AMATO MAN- GIAMELI, Diritto e cyberspace. Appunti di informatica giuridica e filosofia del diritto, To- rino, 2000, per una esaustiva rassegna delle problematiche filosofiche, giuridiche e politiche, connesse all’avvento del cyberspazio, delle tecnologie informatiche e dell’intelligenza artificiale.

A H N 1. L’avvento di Internet, con la sua carica ......1 Sulle origini del cyberspazio, dagli studi di Vannevar Bush e del suo me-mex fino al Neuromante di William Gibson, v. C

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MARIO SIRIMARCO

ANCORA SU APOCALITTICI ED INTEGRATI: OVVERO TRA HERMES E NARCISO ∗

1. L’avvento di Internet, con la sua carica indubbiamente “sov-

versiva” rispetto alle tradizionali categorie delle scienze sociali e dei tradizionali sistemi informativo-normativi, della Rete delle reti, della comunicazione-informazione in tempo reale, del cyberspace e delle sue innumerevoli applicazioni1, pongono importantissimi interrogativi al pensiero filosofico, inteso come riflessione critica sul proprio tempo. Interrogativi che toccano il tema nevralgico della condizione umana di

∗ Questo lavoro rappresenta l’ulteriore tappa di un itinerario di ricerca iniziato con

la pubblicazione del saggio Tra apocalittici ed integrati. Spunti di riflessione sul rapporto uomo-internet, nel volume di A.C. AMATO MANGIAMELI (a cura di), Parola chiave: informazione, Milano, 2005, dal quale il presente lavoro parte per offrire nuovi spunti, diverse precisa-zioni, necessari rimaneggiamenti e opportune riconsiderazioni.

1 Sulle origini del cyberspazio, dagli studi di Vannevar Bush e del suo me-

mex fino al Neuromante di William Gibson, v. C. FORMENTI, Incantati dalla rete. Immagini, utopie e conflitti nell’epoca di Internet, Milano, 2001 e, in una prospettiva postumanista che considera cioè la tecnologia in genere come simbionte cogni-tivo, come vero e proprio partner di conoscenza, R. MARCHESINI, Post-human. Verso nuovi modelli di esistenza, Torino, 2002. Cfr., inoltre, A.C. AMATO MAN-GIAMELI, Diritto e cyberspace. Appunti di informatica giuridica e filosofia del diritto, To-rino, 2000, per una esaustiva rassegna delle problematiche filosofiche, giuridiche e politiche, connesse all’avvento del cyberspazio, delle tecnologie informatiche e dell’intelligenza artificiale.

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fronte al dilagare delle nuove tecnologie e in particolare delle tecnolo-gie informatiche.

Come ha giustamente sostenuto Gianni Vattimo “il problema de-terminante della filosofia del ventesimo secolo è stato il rapporto tra libertà e razionalizzazione tecnico-scientifica del mondo [...] si può a buon diritto pensare che il tema che si propone alla filosofia della fine di questo secolo e dei decenni che lo seguiranno è quello di ripensare l’esistenza umana – ancora, la questione della libertà e della storia – in relazione al delinearsi della rete”2. E così come la filosofia del secolo appena trascorso può essere inquadrata sulla base dell’atteggiamento dei filosofi rispetto alla civiltà tecno-scientifica, anche per la riflessione sui temi delle nuove tecnologie informatiche gran parte del dibattito può essere ricostruito secondo una chiave di interpretazione che foca-lizzi la disputa tra i fautori entusiastici e gli ipercritici, tra gli integrati e gli apocalittici, tra quanti vedono nella rete la panacea di tutti i mali e quanti, invece, vi intravedono solo i segni di un nuovo invadente, po-tente e sofisticato potere totalitario.

Scopo di queste brevi riflessioni non è quello di optare per l’uno o per l’altro degli schieramenti ma cercare, negli argomenti degli uni e degli altri, tracce per impostare nel modo più completo possibile la di-scussione su un problema che, altrimenti, alimentando le opposte pas-sioni, rischierebbe di essere risolto in modo parziale. Resta più che mai vivo ciò che Sergio Cotta, sviluppando la lezione capograssiana (il cui “rigore intellettuale e morale non dà mai luogo a pre-giudizi intel-lettualistici o moralistici apocalittici o trionfalisti sulla situazione, ma di questa vale a mettere in evidenza la profonda e sfidante pluralità di possibilità”), scriveva ne La sfida tecnologica: “finché i dati, pur ricchi, restano spartiti fra le contrastanti interpretazioni, rischiano di rimane-re inutili, di scadere a banalità, di suscitare solo sterili contrapposizio-ni. Occorre ricondurli ad unità, ricomporli, per così dire, in partita doppia per poter riacquistare piena consapevolezza che questa resta una situazione umana, e come tale non fatalmente determinata in un senso o nell’altro, ma aperta, nella sua ambivalente possibilità, per le

2 G. VATTIMO, È una rete senza centro ma ci dà un premio: la libertà, in “Telèma”,

8/1997.

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antinomie che racchiude, agli esiti più diversi. Occorre porsi dentro tale situazione, riflettere su di essa assumendola in proprio, con di-sponibile apertura e con atteggiamento di umiltà verso la lezione dell’esperienza per poterla comprendere nella sua integrale dimensio-ne e per individuarne la forza originante”3. E resta più che mai attuale ciò che lo stesso Cotta diceva circa la trasformazione che la età tecno-logica, di cui la rivoluzione informatica non è che uno degli ultimi più eclatanti sviluppi, impone alla vita degli uomini. Si tratta – scriveva Cotta verso la fine degli anni Sessanta – di “un fenomeno globale e rivoluzionario che investe tutta l’umanità odierna e impegna quindi ogni uomo, poiché non riguarda soltanto la trasformazione delle con-dizioni e dei modi esterni di vita, ma di questi penetra fino alla più in-tima situazione spirituale e strutturale del vivere stesso”4.

2. Nell’individuare il paladino dei fautori dell’atteggiamento iper-

critico e ai limiti, molto spesso in verità superati, dell’apocalittico nei confronti della rete, sicuramente il candidato più accreditato è il filo-sofo-urbanista Paul Virilio che, soprattutto nel libro La bomba informa-tica5, presenta il suo manifesto contro quello che lui stesso ha definito, in più occasioni, l’integralismo tecnologico.

Il discorso di Virilio, spesso affascinante e coinvolgente, si artico-la su una serie di argomenti che in questa sede è possibile solo rico-struire a grandi linee, trattandosi, tra l’altro, di tesi abbastanza cono-sciute dal lettore italiano anche per la grande eco che esse hanno avu-to sulla stampa periodica.

3 S. COTTA, La sfida tecnologica, Bologna, 1968, pp. 16-17. 4 S. COTTA, La sfida tecnologica, cit., p. 18. Per una rilettura delle acute, pionie-

ristiche e profetiche riflessioni cottiane, contenute oltre che nel testo appena citato nell’altro capolavoro L’uomo tolemaico, Milano, 1975, rinvio al mio, L’armonia perduta, Roma, 2006.

5 P. VIRILIO, La bomba informatica, Milano, 2000. Tra i cybercritici cfr. N. PO-STMAN, Technopoly, Torino, 1993; E. FIORANI, La comunicazione a rete globale, Mi-lano, 1998 e J. BAUDRILLARD, Il delitto perfetto, Milano, 1996.

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Mi sembra, innanzitutto, che uno dei fili conduttori dei suoi sva-riati scritti6, sia dato dal legame profondo tra globalizzazione, bomba informatica e bomba genetica. Si tratta di tre fenomeni strettamente connessi perché si sono potuti affermare proprio grazie all’emergere della dimensione della informatizzazione/virtualizzazione e della ve-locità istantanea che diventano momenti centrali per comprendere le dinamiche della contemporaneità7.

L’individuazione di questo legame permette, tra l’altro, di cogliere in modo adeguato il fenomeno della globalizzazione nella cui defini-zione l’elemento tecnologico-informatico diventa costitutivo in quan-to “la globalizzazione concerne l’effetto serra dromosferico dell’internamento nell’accelerazione limite delle telecomunicazioni”8.

6 Oltre alle opere citate nel presente lavoro, cfr. dello stesso autore, La mac-

china che vede, Milano, 1989; Lo schermo e l’oblio, Milano, 1994; Velocità e politica. Saggio di dromologia, Milano, 1981; L’orizzonte negativo. Saggio di dromoscopia, Geno-va, 2004.

7 P. VIRILIO, La bomba informatica, cit., pp. 112-114, spiega così questo pas-saggio: “alle tre dimensioni geometriche che determinavano, non molto tempo fa, la percezione del rilievo dello spazio reale si aggiunge ora la terza dimensione della materia: dopo la massa e l’energia, la dimensione dell’informazione fa il suo ingresso nella storia della realtà, sdoppiando con ciò la presenza reale delle cose e dei luoghi grazie alla telesorveglianza e al controllo dell’ambiente [...] Al volu-me materiale e geometrico di un oggetto succede allora quello, immateriale ed elettronico, dell’informazione; un’informazione sonora, visiva, ma anche tattile, grazie al ‘guanto a ritorno di sforzo’, e olfattiva, con la recente invenzione dei sensori chimici digitalizzati [...] Dopo l’era dell’accelerazione energetica dei mo-tori a vapore, di quelli a scoppio o del motore elettrico, viene dunque l’epoca dell’accelerazione informatica degli ultimi motori: motore a ‘inferenza logica’ del computer e del suo software, motore di ‘realtà’ dello spazio virtuale e ‘mo-tore di ricerca’ della rete, in cui la velocità del calcolo succede a quella del tur-bocompressore del motore automobile, o anche a quella delle turbine e degli ugelli dell’aviazione supersonica”. Sulla bioinformatica, o biocomputing, cfr. A. DINI, La ricerca genetica? Si fa al computer, in “Il Sole 24 ore”, del 14-10-2003; A.M. LESK, Introduzione alla bioinformatica, Milano, 2004; AA. VV., Bioinformatica. Sfide e prospettive, Milano, 2007.

8 P. VIRILIO, La bomba informatica, cit., p. 110. Cfr. anche P. VIRILIO, Allarme nel cyberspazio!, in Mondo diplomatico, settembre, 1995: “I termini stessi di ‘globa-lizzazione’ o di ‘mondializzazione’ sono miraggi [...] Non esiste mondializzazio-

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Questo legame tra globalizzazione, bomba informatica e bomba genetica definisce, soprattutto, quell’integralismo tecnologico che ca-ratterizza il nostro tempo. Integralismo che, per Virilio, è finalizzato a preparare la terza grande rivoluzione (dopo quella dei trasporti e delle teletecnologie): l’avvento dell’uomo-macchina quale culmine di “un processo di fagocitazione della tecnica. La tecnica si introduce nel vi-vente: è in un certo modo realizzato il sogno futurista di Marinetti: l’uomo si alimenta di tecnica, non soltanto di chimica, come chimica degli alimenti, ma di tecnica delle micro-macchine”9.

Ma qual è la radice “culturale” dell’integralismo tecno-scientifico, o di quel pensiero tecnomorfo, che caratterizza e governa il nostro tempo?

Carlo Formenti, che a differenza del filosofo francese ha un at-teggiamento di grande apertura nei confronti della rete, nella Postfazio- ne, esiste invece una virtualizzazione. Poiché ciò che è effettivamente mondia-lizzato dall’istantaneità è il tempo. Tutto si gioca in questa prospettiva del tem-po reale; un tempo ormai unico. Per la prima volta, la storia si giocherà in un tempo unico: il tempo mondiale. La storia si è svolta fino ad ora in tempi locali, in spazi locali, quelli delle regioni, delle nazioni”. Per i riflessi sul giuridico di questo tempo unico e più in generale per un inquadramento teorico della globa-lizzazione e delle sue diverse definizioni, cfr. M.R. FERRARESE, Il diritto al presen-te, Bologna, 2003, Il diritto sconfinato, Roma-Bari, 2007 e, soprattutto, Le istituzioni della globalizzazione, Bologna, 2001.

9 P. VIRILIO, La velocità assoluta, in www.mediamente.rai.it del 25-06-2003. Rimando al mio L’armonia perduta, cit. Avverte questa preoccupazione A.C. AMATO MANGIAMELI, Tra pre-cogs e cyborg: le ragioni del diritto, in “Teoria del Di-ritto e dello Stato”, n. 3/2002, pp. 532-533, “quando la tecnologia, invadendo, prolungando, trasfigurando i corpi, induce trasformazioni profonde e con esse sconvolge l’uomo come lo conosciamo”. Per la Amato le grandi questioni giu-ridiche non possono essere rimosse, anzi la grande sfida della riflessione giuri-dica (e del diritto in quanto realtà indissolubilmente connessa all’essere-uomo) sarà proprio quella di evitare il rischio che le tecniche di sostituzione possano dissolvere “ogni confine, qualunque vecchia barriera: naturale-artificiale, mente-corpo, manufatto-creato, cosa-rappresentazione, e poi ancora io-altro, uomo-essere vivente”, possano, insomma, “produrre (li si può indicare in vari modi: postumani, sim-bionti totali, macchine del corpo-mente, cyborgs) in ogni caso dei s/oggetti, nei confronti dei quali proprio in quanto s/oggetti qualsiasi azione può considerarsi lecita”. Cfr. ID., Corpi docili, corpi gloriosi, Torino, 2007.

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ne a La bomba informatica, ha sottolineato il legame fra Virilio e il pen-siero cattolico-conservatore. In particolare, il pensiero di Virilio è considerato come “un nuovo episodio della guerra fra la corrente ‘i-conoclasta’ del cattolicesimo e il culto ‘gnostico’ per le immagini, e fra la tradizione cattolica che valorizza il corpo attraverso il progetto di salvezza fondato sull’incarnazione e la tradizione gnostica che, al con-trario, identifica la materia e il corpo con il male assoluto”10. Ebbene, in un altro importante lavoro di Virilio, L’incidente del futuro, questo e-lemento “religioso” è esplicitato e sviluppato. Le derive antiumane dell’integralismo tecnologico sono addebitate al pensiero gnostico che alimenta, per Virilio, il pensiero della Riforma. Il passo seguente è e-stremamente significativo e conferma pienamente la lettura proposta da Formenti: “è [...] interessante osservare che all’epoca in cui la Ri-forma religiosa predicava il ritorno della cristianità alla purezza della sua origine biblica, e raccomandava il dialogo diretto di ciascuno con il Dio della Genesi, l’immaginario scientifico attuava un movimento analogo, una sorta di evasione eretica, che elaborava il confronto dell’uomo d’eccezione con il monoteismo, non cessando, a sua volta, di rifarsi allo scenario biblico della Creazione dell’Universo nella sua versione più ortodossa [...] Gemelli antitetici, la Riforma religiosa e la rivoluzione del giovane pensiero scientifico, marciarono paradossal-mente alla pari. E con lo sviluppo, nel sedicesimo secolo, della fisica e della matematica, la scienza non si accontenterà più solo di enunciare, ma realizzerà una seconda storia di vita e di morte che, senza la prima, non avrebbe alcun senso. Quella, cioè, dell’uomo senza limiti, dell’essere che si è liberato di Dio”11.

L’ondata iconoclasta dei riformatori tedeschi e svizzeri asseconda il progetto scientista mirando a distruggere ogni manifestazione visibi-le dell’incarnazione del Cristo. Da qui la sua tesi secondo la quale

10 C. FORMENTI, Postfazione, a P. VIRILIO, La bomba informatica, cit., p. 149. Di Formenti cfr., inoltre, Incantati dalla rete, cit., e Gettare la rete. Parole e realtà nell’epoca di Internet, in Aut aut, n. 289-290/1999.

11 P. VIRILIO, L’incidente del futuro, Milano, 2003, pp. 15-16. Sulla matrice cul-turale del pensiero tecnomorfo, come radice culturale della crisi ecologica, rin-vio ai miei lavori, L’armonia perduta, cit. e Ecosistema diritto e ambiente, in T. SERRA, L’uomo programmato, Torino, 2003, p. 145 e ss.

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l’integralismo tecnologico non sarebbe altro che il frutto “di un passa-to settario, ingombro di vestigia gnostiche che si organizzano attorno all’odio ricorrente verso la materia [...] l’immaginario tecnoscientifico, da circa seicento anni, non ha smesso di ruotare attorno al concetto di sparizione: inesorabile messa in opera della spoliazione del Mondo, della sostanza del mondo vivente”12.

Il motivo gnostico sarebbe, dunque, alla base dell’atteggiamento antiumano che caratterizza la terza grande rivoluzione che porterà, ec-co la nuova decisiva sfida, all’avvento di “generazioni di macchine in-telligenti capaci di autoprodursi: macchine che, dopo essere a lungo servite da giocattoli, sarebbero ora capaci di farsi gioco di noi”13. In-somma, “dopo l’uomo biologico, ci sarà l’uomo virtuale: un individuo che, dopo aver vissuto, pensato e agito come se avesse un’esistenza soltanto e i suoi simili non fossero che vane ombre, puri fantasmi, sa-rebbe esortato a diventare, a sua volta, l’ombra di se stesso”14.

12 P. VIRILIO, L’incidente del futuro, cit., p. 18. Sullo gnosticismo, tra i tanti, cfr.

H. JONAS, Lo gnosticismo, Torino, 1991. 13 P. VIRILIO, L’incidente del futuro, cit., p. 20. 14 P. VIRILIO, L’incidente del futuro, cit., p. 23. Cfr. C. FORMENTI, Postfazione,

cit., p. 147, che offre la sua lettura del pensiero di Virilio: “Alla manipolazione di piante e animali seguirà fatalmente quella del genoma umano: la sostanziale omologia fra codice informatico e codice genetico [...] dischiude infatti la possi-bilità di realizzare il transfert delle pulsioni espansionistiche dell’Occidente dalla geografia esaurita del corpo terrestre al corpo dell’uomo. Estrema avventura co-lonialista che ha già individuato i commandos disposti a stabilire teste di ponte in territorio ‘nemico’, arruolandoli nell’arcipelago delle sottoculture tecnofile: dagli entusiasti dell’Intelligenza Artificiale alle avanguardie artistiche che teoriz-zano il ‘postumano’, dalle sette dei tecnognostici californiani al cyberpunk”. Per un approfondimento del tema del postumanesimo, cfr. il ricchissimo lavoro di R. MARCHESINI, Post-human, cit., p. 9 e ss., dove l’uomo è considerato un “esse-re transizionale eteroriferito”, “plurale” e “ibrido” e dove si sostiene la tesi se-condo la quale “la soggettività inizia a giocarsi nella promiscuità ontologica, do-ve l’ibridazione e la contaminazione con realtà non umane (animali e macchine) non rappresentano più minacce alla definizione identitaria, bensì divengono l’espressione più autentica di soggettività” (p. 70). Cfr. M. SIRIMARCO, L’armonia perduta, cit. e supra il saggio di S. PRATESI.

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Le tesi di Virilio hanno anche una notevole valenza filosofico-politica: il processo di virtualizzazione, che ha come corollario il pro-cesso di globalizzazione, è espressione di un novello potere totalitario, che senza troppi giri di parole è incarnato dagli USA e dagli interessi dei suoi potentati economico-finanziari. La prosa del filosofo francese è su questo punto estremamente polemica soprattutto laddove, anche se in modo non del tutto originale, traccia una linea di continuità tra totalitarismo nazista e globalizzazione-americanizzazione15.

Lo strumento con cui questo nuovo potere può raggiungere i suoi fini è, appunto, la virtualizzazione con cui si mira ad una sorta di

15 C. FORMENTI, Postfazione, cit., p. 141 e ss. e Incantati dalla rete, cit., ricorda

come in realtà non sia completamente nuova l’idea di una paradossale continui-tà storica tra totalitarismo nazista e imperialismo americano. In particolare que-sta idea controfattuale e ucronica ricorre in Philip Dick nel suo romanzo di fan-tascienza La svastica del sole; probabilmente da qui viene ripresa in Velocità e politi-ca di Virilio. Parte da questa constatazione, Formenti, per sostenere che il nu-cleo centrale del pensiero del filosofo francese si fonda “su categorie geopoliti-che: non solo per l’ennesimo riferimento alla geografia, ma anche per l’esplicita rivendicazione di un punto di vista continentale europeo”. Cfr., sui temi accen-nati, i lavori di A. CORDA, Nuove tecnologie e fantascienza e Philip K. Dick: fantascien-za e filosofia, in www.futureshock-online.it. Sulla poetica di Dick, cfr. G. FRASCA, La scimmia di Dio. L’emozione della guerra mediale, Genova, 1996. Per una rassegna sulla fantascienza, cfr. G. DE LAURETIS, Fantascienza e futuro: note sulla letteratura fantascientifica, in E. BAGLIONI (a cura di), Ospiti del futuro?, Torino, 2000, p. 159 e ss. Sulla trasformazione dello statuto della fantascienza che nel XX secolo as-sume una funzione epistemologica e interrogativa, cfr. R. MARCHESINI, Post-human, cit., p. 382 e ss. È interessante notare che da quello che chiama punto di vista continentale europeo Virilio esclude l’Italia perché gli Stati Uniti sono considerati più italiani che europei in quanto, afferma, “l’America è stata ‘inven-tata’ tra la fine del Quattrocento e i primi anni del Cinquecento dal navigatore fiorentino Amerigo Vespucci (dopo l’impresa del genovese Cristoforo Colom-bo), mentre altri italiani, per esempio il genovese Leon Battista Alberti, inizia-vano l’Occidente alla visione prospettica. L’ever changing skyline della storica corsa verso l’Ovest americano è allora la linea d’orizzonte, il punto di fuga del Rinasci-mento italiano, e ciò nel senso più stretto del vocabolo perspectiva, letteralmente vedere attraverso. Il vero eroe dell’utopia americana non è né il cowboy né il solda-to, ma il pioniere, il pathfinder, colui che porta il suo corpo là dove si è posato il suo sguardo” (P. VIRILIO, La bomba informatica, cit., pp. 19-20).

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visualizzazione generalizzata, ad un sistema di telesorveglianza (grazie al live, alla diretta, che “provocata dall’attuazione della velocità limite delle onde, trasforma l’antica ‘tele-visione’ in una grande ottica plane-taria”16). Virtualizzazione non significa altro che appiattimento dell’esperienza umana sulla dimensione ottica; lo schermo diventa la nuova finestra sul mondo che inganna perché offre un orizzonte che annichilisce la possibilità di un’esistenza completa per il soggetto u-mano17.

Emblematica, in questa prospettiva, la trasformazione della città in città virtuale, con tutta la sua valenza giuridica, economica e politi-ca: “la città reale, localmente situata e che dava persino il suo nome alla politica delle nazioni, cede il passo alla città virtuale, questa metacittà deterritorializzata che diventerebbe così la sede di una metapolitica il cui carattere totalitario, o piuttosto globalitario, non sfuggirà a nessu-no”18.

Tutte queste caratteristiche dell’età di Internet si riverberano ne-gativamente sulla condizione umana. Innanzitutto sull’uomo come

16 P. VIRILIO, La bomba informatica, cit., p. 12. Cfr. D. LYON, La società sorve-

gliata, Milano, 2002 e A. C. AMATO MANGIAMELI, Diritto e cyberspace, cit., pp. 22-23: “se le linee [...] di confine tra interno ed esterno sono problematiche, se il centro e la periferia si riorganizzano di continuo e casualmente, la sorveglianza non può non diventare orizzontale: sì da trasformare tutti (attori umani e non) in potenziali sorveglianti di qualcosa e di qualcuno”. Se con le metafore del Grande Fratello (Orwell) o del Panopticon (Foucault) si afferma l’idea di un potere che consente a pochi di controllare molti, nell’era di Internet si passa alla meta-fora del Synopticon, di natura globale, caratterizzato dal fatto che gli oggetti si tra-sformano da guardati in guardanti.

17 Sul ruolo rivoluzionario dello schermo, cfr. il saggio di R. LELLOUCHE, Théorie de l’ecran, in “Traverses”, rivista on line sul sito www.cnac-gp.fr/traverses.

18 P. VIRILIO, La bomba informatica, cit., p. 10. Cfr. ID., La velocità assoluta, cit., “In un certo senso non si deve più parlare di ‘cosmopolis’, ma di ‘omnipolis’, la città delle città [...] questa specie di città virtuale delle telecomunicazioni è il ve-ro centro. Ma non è più un centro geometrico e tutte le città reali non sono che la periferia di questo iper-centro delle telecomunicazioni. Una specie di città delle città che non è situata in nessun luogo, ma che sta da per tutto ed è il luo-go del potere”.

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soggetto della conoscenza. E su questo punto i toni di Virilio diventa-no, più che mai, apocalittici e la distanza con gli ‘integrati’ risulta in-colmabile. Estremamente significativa è la seguente affermazione che sintetizza mirabilmente tutto il suo pensiero: “la rivoluzione tecnica che si annuncia è probabilmente, più che un dramma, una tragedia della conoscenza, la confusione babelica dei saperi individuali e collet-tivi”19.

Il primo effetto diretto sulla condizione umana è che la memoria morta del calcolatore rischia di provocare la perdita della memoria vi-va dell’uomo20. È il pericolo dell’inerzia, della sterilità del movimento, della passività. L’uomo non ha più bisogno di andare incontro all’evento; è l’evento che grazie alla velocità delle onde elettro-magnetiche va incontro a lui facendo venir meno la partenza e soprat-tutto la memoria del viaggio che, tradizionalmente, come documenta il mito di Ulisse, grande importanza ha avuto nella formazione delle giovani generazioni.

L’altro rischio paventato da Virilio è quello, come vedremo me-glio fra breve, della perdita della percezione del reale o, meglio, dello sdoppiamento nella percezione del reale da cui derivano alcune gravi conseguenze che investono la sfera della soggettività e dell’identità umana, della relazionalità e, quindi, della dimensione giuridica e politi-ca21.

Lo sdoppiamento del reale provoca, infatti, uno sdoppiamento dell’esistenza al mondo, uno sdoppiamento del corpo. Abbiamo, da una parte, “la realtà fisica, un uomo e una donna in carne e ossa, e poi, accanto a loro, un avatar: un tempo si diceva un clone, ma ormai si parla di avatar per non confonderlo con la biotecnologia. L’avatar è un essere virtuale che ci rappresenta, è il nostro doppione, una copia

19 P. VIRILIO, La bomba informatica, cit., p. 101. 20 Cfr., su questo tema, L. DE CARLI, Internet. Memoria e oblio, Torino, 1997. 21 Cfr. i saggi raccolti nel volume di A.C. AMATO MANGIAMELI (a cura di),

Parola chiave: informazione, Milano, 2005.

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elettromagnetica, la quale però può agire in maniera terribile o ludica nell’una dimensione e nell’altra”22.

Naturalmente, la perdita della percezione del reale ha effetti di-rompenti sulla dimensione politica della esistenza umana. Altro che cyberdemocrazia! Il rischio è la fine dell’agorà e del res publica: “quello che si prepara è un turbamento della percezione del reale: è un trauma [...] la negatività specifica delle autostrade dell’informazione è preci-samente questo disorientamento dell’alterità, del rapporto con l’altro, del rapporto con il mondo. È del tutto evidente che il turbamento di coloro che saranno disorientati e de-situati colpirà la società e con es-sa la democrazia. La tirannia della velocità-limite andrà a contrapporsi alla democrazia rappresentativa. Quando alcuni saggisti ci parlano di cyberdemocrazia, di democrazia virtuale, e quando altri dicono che la democrazia d’opinione sostituirà la democrazia dei partiti, non riu-sciamo a vedere in questo null’altro che il disorientamento del politico [...] l’avvento del regno dell’auditel, del regno dei sondaggi sarà neces-sariamente favorito da questo tipo di tecnologia”23.

22 P. VIRILIO, Il futuro nello spazio stereoreale, cit. Un esempio del fenomeno

dello sdoppiamento del corpo è rappresentato dalla telesessaulità vero e proprio “preservativo universale in quanto tutto è elettronico e non si rischia niente”.

23 P. VIRILIO, Allarme nel cyberspazio!, cit. Ancora una volta gli italiani sono, per Virilio, all’avanguardia in questo processo di disorientamento del politico grazie al “colpo di stato mediatico” di Silvio Berlusconi del 1994 e del 2001: l’Italia ha preso ad oscillare in un’alternanza non tra destra e sinistra, ma tra la politica e il mediatico. Del resto, “dopo l’era della standardizzazione dei prodot-ti e dei comportamenti della società industriale dei consumi, è la volta dell’era della sincronizzazione dell’opinione: l’età di una rivoluzione dell’informazione in cui la geopolitica parlamentare cede d’improvviso davanti alla priorità di una cronopolitica dell’istantaneità, del live, di cui la televisione detiene il segreto, in at-tesa di una vera democrazia virtuale, ossia ludica, per telecittadini infantilizzati” (L’incidente del futuro, Milano, p. 37). Di fronte alla deriva del mezzo televisivo, l’autore non coglie adeguatamente l’importanza della rete (anche per superare il rischio della sincronizzazione dell’opinione) che, a mio avviso, diventa, o me-glio può diventare, un mezzo straordinario per recuperare quel bisogno di par-tecipazione avvertito dal cittadino ma represso dal deficit rappresentativo che caratterizza le nostre democrazie. Sul tema della democrazia telematica, cfr, an-che, P. ZOCCHI, Internet. La democrazia possibile, Milano, 2003. Per una riflessione

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Su questa strada ci si avvia verso la negazione della democrazia che si caratterizza, invece, come spazio pubblico di discussione, come riflessione in comune e non come solitaria, e quindi velleitaria, atten-zione alla gestione della cosa pubblica. L’impressione è che “dietro la propaganda libertaria per una democrazia diretta (live), in grado di rinnovare la democrazia rappresentativa dei partiti politici, s’installa [...] l’ideologia di una democrazia automatica in cui l’assenza di delibe-razione sarebbe compensata da un automatismo sociale simile a quello del sondaggio d’opinione o alla misurazione dell’audience della televi-sione. Democrazia riflesso e senza riflessione collettiva, in cui [...] il carattere ‘dimostrativo’ del programma dei partiti cederebbe il passo al carattere strettamente ‘mostrativo’ e spettacolare di un ammaestra-mento dei comportamenti individuali di cui la pubblicità ha da molto tempo saggiato il parametro”. E, ancora, in direttissima polemica con Lévy, “fenomeno di contaminazione ideologica senza precedenti, la promozione del WEB e dei suoi servizi on line non ha, in effetti, più nulla in comune con la commercializzazione di una tecnologia pratica [...] poiché si tratta, questa volta, della più vasta impresa di trasmuta-zione dell’opinione mai tentata in ‘tempo di pace’; un’impresa che se ne infischia dell’intelligenza collettiva come della cultura delle nazio-ni”24.

A tutto ciò non c’è evidentemente alcuna via d’uscita. Se, per Lèvy, il modello Cnosso, in antitesi a Micene, può rappresentare l’antidoto contro il rischio della confusione e nello stesso tempo un modello organizzativo e regolativo della rete, che possa, anche e so-prattutto, proteggere da derive totalitarie, per Virilio non c’è alternati-va a Babele: “la cibernetica della rete delle reti non è tanto una tecnica quanto un sistema – un tecno-sistema di comunicazione strategica che comporta il rischio sistemico di una reazione a catena dei danni, non

sulla difficile condizione della democrazia del nostro tempo, del suo cammino senza fine tra utopismo ed anacronismo, cfr. i lavori di T. SERRA. La democrazia redenta. Il cammino senza fine della democrazia, Torino, 2002, La disobbedienza civile. Una risposta alla crisi della democrazia?, Torino, 2002, Lo stato e la sua immagine, To-rino, 2006.

24 P. VIRILIO, La bomba informatica, cit., p. 103.

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appena la mondializzazione sarà effettiva”25. Sul piano più generale dell’etica tradizionale, la confusione babelica può avere effetti dirom-penti nel momento in cui i soggetti che per lungo tempo abbiamo considerato il prossimo diventano soggetti lontani anche se fisicamen-te adiacenti: “il vicino e il lontano si confondono [...] Assistiamo a una straordinaria inversione: il lontano la vince sul prossimo [...] Colui che bussa alla mia porta è il nemico, mi infastidisce, mi disturba, è la soli-tudine dei grandi insiemi urbani. Al contrario, colui che appare sullo schermo è sublimato perché è, in un certo senso, uno spettro, uno zombi, un’ombra fuggevole, che io posso controllare con il mio zapping. È un segno notevole, questo, della rottura del legame sociale [...] una volta fare una città era mettere insieme le persone perché si

25 P. VIRILIO, La bomba informatica, cit., p. 101. Sulla contrapposizione dei

modelli Cnosso/Micene cfr. P. LÉVY, L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio, Milano, 1996, pp. 243-244: “Molto diverso dalla fortezza di Micene, e ben più antico, il palazzo di Cnosso fu per sette secoli il principale centro di diffusione della civiltà minoica. Il palazzo cretese è sprovvisto di fortificazioni. La pacifica cultura minoica ha concentrato i propri sforzi sulla complessità dell’architettura, sulla decorazione delle sale, sulla bellezza e l’ingegnosità dei collegamenti interni (rete fognaria, dell'acqua potabile ecc.). Tutta l’energia inve-stita a Micene nella mole delle mura difensive venne impiegata a Cnosso per af-finare lo stile di vita, per complicare la pianta del palazzo, per far proliferare tut-ta una ricercatezza di dettagli architettonici: scale, corti, colonne, statue, piani, terrazze, anticamere, saloni di rappresentanza, piccole stanze segrete, camere del tesoro, corridoi, gradini, vicoli ciechi [...] Il palazzo di Cnosso è infinitamen-te complesso, ma aperto sul cielo e il sole grazie alle sue corti e ai suoi cavedi, affacciato sul mondo e sulla città grazie alle sue porte e finestre. È collegato da strade lastricate agli altri palazzi delle grandi città cretesi. E poiché non viveva-no in una civiltà guerriera, ma avevano orientato il proprio spirito verso pro-blemi di natura diversa da quelli della difesa, dell’attacco, dei rapporti di forza e di dominio, i minoici, mentre si aprivano alle arti e al commercio con altre so-cietà, hanno piegato e ripiegato il loro mondo su se stesso, facendo fiorire la fa-volosa ricchezza estetica che precede e forse influenza il ‘miracolo greco’. Non avendo eretto mura difensive, i minoici hanno inventato il labirinto, ovvero la complessità culturale, l’intelligenza collettiva proiettata nello spazio architetto-nico”. Cfr. A.C. AMATO MANGIAMELI, Diritto e cyberspace, cit., pp. 34-35:

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incontrassero nell’agorà, nel foro, perché entrassero in società. Oggi siamo di fronte ad una disintegrazione”26.

Mi sembra interessante collegare questa riflessione, importante anche per le ripercussioni nell’ambito degli altri sistemi informativo-normativi come diritto e politica e nella quale si evidenzia ancora una volta tutta la carica polemica e irreversibilmente pessimistica di Virilio, con quella di Bauman per il quale il processo che porta alla globalizza-zione “negativa” accentua la trasformazione della considerazione del prossimo che caratterizza la vita nella città: si affermano addirittura nuovi prodotti urbanistici (spazio sfuggente, pungente, stressante) che hanno soprattutto, se non esclusivamente, il compito “di dividere, se-gregare ed escludere, non di costruire ponti, facili passaggi e luoghi di incontro, o di facilitare la comunicazione e avvicinare in altri modi gli abitanti della città […] anziché difendere la città e tutti i suoi abitanti dal nemico esterno, vengono eretti per separare e tenere separati gli uni dagli altri (e lontano dai problemi) le diverse categorie di residenti della città”27. L’informatizzazione-virtualizzazione, con il divario digi-tale che molto spesso comporta, si inserisce in questo processo con-tribuendo a caratterizzare le grandi città come un insieme variegato dove convivono mixofobia e mixofilia, globalizzati e locali che si muovono tra cyberspace ed enclaves identitarie.

3. Tra gli “integrati”, o comunque tra chi valuta soprattutto gli

aspetti positivi della rivoluzione informatica, è il caso di annoverare lo stesso Vattimo che, fra l’altro, utilizza la metafora della rete per dare un senso ad una espressione che per molti non ne ha: il post-moderno. Si tratta di una tesi interessante: “se il termine post-moderno ha un senso [...] esso si fonda nella dissoluzione del modello centrale del motore e della sua sostituzione, ancora semplicemente abbozzata e vaga, con la rete”. Per il teorico del pensiero debole, in altri termini, è possibile indagare proprio nei filosofi che più hanno avversato la modernità tecno-scientifica, ed in particolare in Heideg-

26 P. VIRILIO, L’integralismo tecnologico, cit. 27 Z. BAUMAN, Modus vivendi. Inferno ed utopia del mondo liquido, Roma-Bari,

2007, p. 88 e ss.

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ger, per scoprire le ragioni che possano far guardare positivamente alla rete e alle nuove tecnologie. Per Vattimo, infatti, “se si guarda al fon-do dell’atteggiamento antimoderno e antitecnico di filosofi, peraltro così diversi fra loro, come Heidegger e Adorno, si trova ovunque que-sta paura: che le ragioni dell’esistenza, ossia il carattere imprevedibile, rischioso, ma soprattutto, libero dell’esistere umano, siano dissolte dall’organizzazione razionale della società, la quale ha bisogno di pre-vedibilità, coordinamento, in una parola, del dominio incontrastato di un centro”28. La metafora del motore rappresenta questa idea di cen-tro, l’idea filosofica “di un movimento centrale che mobilita le perife-rie”.

Il post-moderno, come dissoluzione del modello centrale del mo-tore, come avvento della rete, come esplosione di una scienza-tecnica che “rende progressivamente impossibile qualunque immagine centrale del mondo”29, come dissoluzione del fondamento ultimo: nel modello della rete è decisiva, infatti, “la presenza di nodi e incroci che non ri-

28 G. VATTIMO, E’ una rete senza centro, cit. Tra gli integrati inserirei, oltre ai

già ricordati R. MARCHESINI, Post-human, cit. e C. FORMENTI, Incantati dalla rete, cit., N. NEGROPONTE, Essere digitali, Milano, 1995 e D. DE KERCKHOVE, La pelle della cultura, Genova 1996.

29 G. VATTIMO, E’ una rete senza centro, cit.. In questa prospettiva è Martin Heidegger, tra i nemici della modernizzazione, colui che sembra intuire, per Vattimo, le possibilità positive della rete. Cfr. M. HEIDEGGER, L’epoca delle im-magini del mondo, in ID., Sentieri interrotti, Firenze, 1968. Per Vattimo, Heidegger “non fornisce solo [...] l’indicazione dell’esplodere delle visioni centrali del mondo e della dissoluzione del fondamento ultimo, un altro aspetto della sua filosofia da cui il nostro pensiero non potrà prescindere è la critica dell’umanesimo, inteso nel suo aspetto di concezione della struttura ‘centrale’ del soggetto umano, definito dalla autocoscienza e dalle sue evidenze. Nietzsche e Freud sono qui i precursori di Heidegger; e Nietzsche più ancora di Freud, giacché non si tratta tanto di considerare la coscienza come superficie [...] ma di guardare a essa come a una pluralità strutturata per l’appunto nella forma di un sistema di rimandi senza centro. Prima ancora che determinare [...] nuove mo-dalità del lavoro intellettuale, e dunque anche filosofico, l’instaurarsi della rete rivolge alla filosofia un appello molto più sostanziale, quello di ripensare l’esistenza e la stessa essenza del pensiero fuori dai modelli ereditati dalla mo-dernità”.

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chiedono un nodo ultimo; è la reciprocità della comunicazione, che esclude la stessa idea di istanza suprema o, in termini filosofici, di un fondamento”30.

Tra gli autori che maggiormente e sistematicamente hanno esalta-to le valenze “positive” della rivoluzione informatica, Pierre Lévy ha offerto un contributo molto importante31.

Il punto filosoficamente più importante e centrale della sua rifles-sione è quello che concerne il concetto di “virtuale” e di “virtualizza-zione”. Già da questa propedeutica riflessione emerge la distanza no-tevole che lo separa da Virilio per il quale, è il caso di ribadirlo, il fe-nomeno delle virtualizzazione è caratterizzato in primis dalla amplifica-zione dello spessore ottico delle apparenze del mondo reale: da qui l’attenzione critica per la problematica del rischio del controllo orwel-liano, della telesorveglianza, del potere totalitario e in generale degli aspetti quasi tutti negativi della rete.

Filosoficamente ‘virtuale’ indica, diversamente dal linguaggio comune, una dimensione importante della realtà. E Lévy, richiaman-dosi all’etimologia latina, da virtus, indica con virtuale, ponendo così l’espressione in senso speculare e dialogico non tanto a termini come concreto o reale ma diacronicamente a attuale o possibile, una poten-zialità non attuata, qualcosa che esiste potenzialmente, che esiste sen-za essere qui: “è virtuale un’entità ‘deterritorializzata’, in grado di ge-nerare molteplici manifestazioni concrete in momenti diversi e in luo-ghi determinati, senza essere tuttavia di per se stessa legata a uno spa-zio – a un tempo particolari”32.

30 G. VATTIMO, E’ una rete senza centro, cit. 31 Oltre ai testi precedentemente citati, cfr. di P. LÉVY, Il virtuale, Milano,

1997 e, insieme a M. AUTHIER, Gli alberi di conoscenze. Educazione e gestione dinami-ca delle competenze, Milano, 2000.

32 P. LÉVY, Cybercultura, cit., p. 51. Cfr. ID., Il virtuale, cit., p. 11: “Quando una persona, una collettività, un atto, un’informazione si virtualizzano, si pon-gono ‘fuori dal ci’, si deterritorializzano. Una sorta di disinnesto li stacca dallo spazio fisico e geografico consueto nonchè dalla temporalità dell’orologio e del calendario”. Cfr. i saggi di T. SERRA, La defattualizzazione tra virtualità e simulazio-ne e F. RICCI, La realtà assente: tecnologia e virtualità, in E. BAGLIONI (a cura di), Ospiti del futuro?, cit. Per una riflessione sulla valenza filosofico-giuridica e filoso-

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Il virtuale, dunque, come modo di essere del reale diverso dall’attuale, superiore e più potente rispetto a quest’ultimo. Lévy si sofferma molto su questo punto: “il virtuale è come il complesso pro-blematico, il nodo di tendenze e di forze che accompagnano una si-tuazione, un evento, un oggetto o un’entità qualsiasi, e che richiede un processo di trasformazione: l’attualizzazione”. Quindi “la virtualizza-zione non è una de-realizzazione (la trasformazione di una realtà in un insieme di possibili), ma un cambiamento di identità, uno spostamen-to del centro di gravità ontologico dell’oggetto in questione: anziché definirsi fondamentalmente attraverso la sua attualità … l’entità trova ora la propria consistenza essenziale in un campo problematico”33.

In una prospettiva antropocentrica e iperumanistica, più che po-stumanistica34, dunque Lévy considera il virtuale come una nuova di-mensione del reale. Altri autori, penso in particolare a Baudrillard, hanno sottolineato, invece, come il virtuale si esplichi in una forma di iperrealtà, un mix di rappresentazione e finzione in cui si attua un ri-baltamento con la finzione che diventa reale e il reale confinato sem-pre più ad un ruolo marginale35.

Si tratta di un tema che necessita di essere approfondito soprat-tutto tenendo presente il concetto di digitale come fa, per esempio, Marchesini, che non accetta né la tesi di Lévy, sull’analogia virtuale-potenziale, né quella di Baudrillard, del virtuale come simulacro. Al centro del fenomeno virtuale c’è, infatti, il concetto di digitale: “per

fico-politica del concetto di virtualità, cfr. T. SERRA, Virtualità e realtà delle istitu-zioni, Torino, 1998. Sulla deterritorializzazione e sulle sue implicazioni politiche e giuridiche, cfr. A.C. AMATO MANGIAMELI, Diritto e cyberspace, cit. Cfr. anche B. ROMANO, Globalizzazione del commercio e fenomenologia del diritto, Torino, 2001.

33 P. LÉVY, Il virtuale, cit., p. 6 e ss. “Il problema del seme , per esempio, è di far crescere un albero. Il seme è questo problema, anche se non si esaurisce in esso. Questo non significa che il seme conosca esattamente quale sarà la forma dell’albero che in seguito stenderà il proprio fogliame sopra di lui. A partire dai vincoli che gli sono propri, dovrà inventarlo, coprodurlo insieme alle circostan-ze in cui si imbatterà”.

34 Sulla differenza tra pensiero postumano, transumano, iperumano, rinvio al mio L’armonia perduta, cit.

35 J. BAUDRILLARD, Il delitto perfetto, cit.

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comprendere pienamente l’avvento della dimensione virtuale è neces-sario capire il lento passaggio da un’infosfera analogica – inerte, fede-le, parcellizzata – a un’infosfera digitalica, processo ancora in corso di ultimazione ma capace di dar vita ad un vero e proprio universo evo-lutivo delle inforeferenze. La rivoluzione digitalica promossa negli ul-timi decenni del Novecento si candida come uno dei fenomeni più consistenti nella definizione dimensionale di alcuni concetti come re-altà, arificio, rappresentazione, virtualità […] L’era digitale si prean-nuncia come una nuova realtà comprensiva di tutto ciò che era analo-gicamente rappresentato, il che ci consente di affermare che la caduta di referenze analogiche decreta inevitabilmente la perdita di significato e riconoscibilità al concetto baudrillardiano di simulacro, ossia di qualcosa che sta per qualcos’altro”36.

36 R. MARCHESINI, Post-human, cit., p. 382 e ss. In modo ancora più chiaro: “nell’avvento dell’universo digitalico l’articolato catalogo di rappresentazioni perde quella parcellizzazione che faceva di ogni referenza – un quadro, un libro, una pellicola, una cornetta telefonica, un tubo catodico, un disco in polivinile – un elemento a sé stante, attraverso una vera e propria sussunzione del virtuale […] Per leggere un libro, ascoltare un disco, sfogliare un giornale, guardare la televisione, osservare delle fotografie l’individuo doveva necessariamente passa-re da uno strumento all’altro attraverso la dimensione reale […] La rivoluzione digitalina, unificando le differenti referenze, di fatto le colloca in un’altra di-mensione in grado di offrire l’intero spettro di esperienze proiettive: non ho più tanti strumenti che mi consentono una specifica esperienza, ma mi avvalgo di un articolato repertorio di possibilità di accesso all’universo unitario delle espe-rienze possibili. E d’altro canto, proprio per il fatto che, quantunque differenti, i diversi accessi si equivalgono, la residenza dell’individuo nel mondo reale diven-ta irrilevante ai fini dell’esperienza proiettiva: ossia nella possibilità di comunica-re con le altre persone, di reperire informazioni, di godere uno spettacolo, di esprimere la propria creatività” (p. 386). Mi sembra molto interessante, per co-gliere l’estrema complessità del concetto di virtuale, la recente vicenda che ha interessato il mondo di Second Life (www.secondlife.com), il famoso sito tridi-mensionale che consente di avere una vita digitale, indipendente da quella reale, che ha richiamato l’attenzione del Congresso americano nel tentativo di disci-plinare, soprattutto dal punto di vista fiscale, l’intensa attività commerciale che quotidianamente vi si svolge. E che dire del caso del ragazzo arrestato per aver rubato mobili virtuali? (www.dirittoalsapere.blogspot.com) Per una panoramica sul mondo di second life, M. GEROSA, Second life, Milano, 2007. Per una riflessione

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C’è un altro aspetto che merita una veloce considerazione. Il concetto di digitale è alla base di quella autoreferenzialità della rete di cui ha parlato Longo per il quale il passaggio dall’analogico al digitale è l’arma di conquista della Rete con la conseguenza che tutto ciò che è fuori di essa semplicemente non esiste. Si tratta di un punto partico-larmente importante perché la fagocitazione operata dal digitale ri-schia di mettere in crisi, anche se la cosa può sembrare a prima vista paradossale se si pensa alla struttura del cyberspace, le culture che non riescono ad accedere alla rete per tutta una serie di motivi (non a caso una delle sessioni di lavoro dell’ultimo Internet Governance Forum è stata dedicata proprio alla tutela della diversità. Nonostante la varietà illimi-tata delle possibilità che la rete offre, essa rischia di essere strumento che condanna queste culture “alla scomparsa, magari dopo un periodo più o meno lungo di sopravvivenza artificiale a livello di reperto mu-seale o di relitto affidato alla curiosità accademica degli antropologi o all’interesse speculativo degli operatori turistici. E più queste diversità scompaiono più trionfa il pensiero unico, sostenuto dal mercato glo-bale. La Rete finisce con l’essere il canale che uniforma la cultura e di-venta uno specchio molteplice le cui mille facce riflettono la stessa immagine”37.

Ma ritorniamo a Lévy ... Il virtuale, che è alla base della cybercul-tura e dell’intelligenza collettiva, non è un elemento esterno, ma un carattere costitutivo dell’essere dell’uomo e l’idea di virtualizzazione può offrire, fra l’altro, un utile parametro per cogliere lo sviluppo della storia umana. Di questo sviluppo, dunque, il cyberspazio, con la sua dimensione più importante la cybercultura, rappresenta un naturale prolungamento38. generale sulla portata sociale della rivoluzione digitalica, cfr. G. GRANIERI, La società digitale, Roma-Bari, 2006.

37 G. LONGO, Prove di umanità futura, cit., p. 104. 38 P. LÉVY, La comunicazione in rete? Universale e un pò marxista, in

www.mediamente.rai.it, 26-6-03: “tre elementi che definiscono l’umanità, in rapporto agli animali, sono il linguaggio, la tecnica e l’organizzazione sociale complessa, questi tre elementi appaiono simultaneamente e sono veramente co-stitutivi dell’umano. E ogni volta, se si analizzano precisamente le cose, ci si rende conto che si tratta di virtualizzazione. Per esempio grazie al linguaggio, si

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L’altro concetto-chiave su cui ruota la riflessione di Pierre Lèvy è quello di universale senza totalità, grazie al quale, mi sembra, si evitano gli eccessi temuti da Virilio. Il cyberspazio rappresenta una tendenza all’universale, che segue le magnifiche sorti della virtualizzazione-digitalizzazione, delle sempre più strette forme di integrazione, inter-connessione e interdipendenze39. Quanto più queste forme si afferme-ranno, tanto più si affermerà la universalizzazione.

Nelle società orali si produceva, per Lévy, una totalità senza uni-versale nel senso che non era possibile separare il discorso dal suo contesto e la conoscenza trasmessa da persona a persona non poteva staccarsi da quel contesto che, quindi, rappresentava una totalità per chi ne faceva parte ma non un universale perché è inseparabile dalla particolarità degli individui e delle relazioni interpersonali. L’avvento della scrittura, grazie alla quale i testi si separano dal contesto in cui sono stati generati, offre, in cambio della perdita dell’immediatezza propria della relazione faccia a faccia, uno spazio di comunicazione maggiore, ed è l’occasione per la nascita del sapere concettuale, con la sua aspirazione all’universalità. L’universalità del libro, tuttavia, è di natura totalizzante: il testo è qualcosa di limitato e in sé conchiuso: per avere un senso deve, almeno in qualche aspetto, pretendere di e-saurire in sè tutto il senso, lasciando fuori la pluralità aperta dei conte-sti attraversati e la diversità delle comunità che li fanno circolare. I me-dia tradizionali, continua Lévy, proseguono sulla falsariga

sfugge al qui e all’ora, si sfugge all’attualità, perché si può raccontare il passato, prevedere il futuro, inventare delle narrazioni [...] se invento e costruisco un u-tensile, questo utensile rappresenta una riserva virtuale di azione, che non è più legata al corpo proprio di una persona, ma può circolare [...] si può considerare il contratto, per esempio, che è in qualche modo l’elemento di base della rela-zione sociale complessa, e che non esiste tra gli animali, come la virtualizzazio-ne di un rapporto di forza, la definizione di un rapporto tra esseri umani che sfugge all’hinc et nunc ed entra in circolazione”.

39 P. LÉVY, Cybercultura, cit., p. 109: “Il significato ultimo della rete, o il valo-re portato dalla cybercultura, è precisamente l’universalità. Questo media tende all’interconnessione globale delle informazioni, delle macchine e degli uomini. E dunque se, come affermava McLuhan, il media è il messaggio, il messaggio di questo media è l’universale, o la sistematicità trasparente e illimitata”.

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dell’universalizzazione totalizzante iniziata dalla scrittura: giornali e te-levisioni devono coinvolgere - essendo una forma di comunicazione di tipo uno-tutti - il maggior numero di persone possibili, e per questo devono incontrare il minimo comune denominatore mentale dei de-stinatari. Il loro spazio di comunicazione è privo di interazioni, dato che i riceventi sono tecnicamente costretti ad essere passivi: per que-sto, devono fabbricarsi un pubblico indifferenziato, e giocare su emo-zioni e conoscenze elementari. Per definizione i media contemporanei totalizzano, cioè pretendono di racchiudere - o di essere - il mondo, con una pretesa di esaustività. Non a caso questi media, intrinseca-mente autoritari, sono stati e sono il veicolo privilegiato della propa-ganda totalitaria - sia essa politica od economica - e del totalitarismo della propaganda40. Mentre, quindi, quasi tutte le forme culturali deri-vanti dalla scrittura sono universalizzanti e, allo stesso tempo, totaliz-zanti, “il principale evento culturale preconizzato dall’emergere del cyberspazio è la separazione di questi due operatori sociali o meccani-smi astratti che sono l’universalità e la totalizzazione”41. La rete rende pensabile qualcosa di differente sia dalla totalità senza universale delle culture orali, sia dall'universale totalizzante delle culture scritte e me-diatiche. Al dispositivo comunicativo di tipo uno-uno (posta, telefo-no) e di tipo uno-tutti (televisione, giornale), si è aggiunta la possibilità di una comunicazione tutti-tutti, cioè di un nuovo modo di distribuire la conoscenza, cui tutti coloro che sono connessi possono partecipare interattivamente e ove non esiste un emittente virtualmente privilegia-to. Diventa così possibile sia comunicare l'informazione in maniera universale, come nella civiltà della scrittura, sia interagire e creare dei contesti, come nelle culture orali.

Nel concetto di universale (diverso da quello geografico di plane-tario o da quello economicistico di globale-globalizzazione) c’è inscin-dibile l’idea di umanità (soprattutto nel senso che sono i soggetti u-mani in ultima istanza a disporre), c’è forte (anche se su questo punto il pensiero di Lévy procede con molta prudenza e non sembra adegua-tamente esplicitato) l’idea di responsabilità, di partecipazione. Si sente,

40 P. LÉVY, Cybercultura, cit., p. 107 e ss. 41 P. LÉVY, Cybercultura, cit., p. 114.

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in altri termini, la forte necessità di categorie etiche, giuridiche e poli-tiche, che consentano la scissione universale-totale e che, quindi, im-pediscano la deriva totalizzante-totalitaria a cui guarda con terrore Vi-rilio (definito in modo colorito “uccello del malagurio”42).

Estremamente significativo, per dimostrare la fondatezza della lettura proposta, è il passo seguente dove si afferma che la rivendica-zione di un accesso per tutti alla rete mostra che “la partecipazione a questo spazio che lega qualsiasi essere umano a qualsiasi altro, che può far comunicare le comunità tra loro e al proprio interno, che eli-mina i monopoli di trasmissione e consente a chiunque di comunicare con chi è coinvolto o interessato, questa rivendicazione rivela [...] che la partecipazione a questo spazio si lega a un diritto, e che la sua co-struzione si apparente a una sorta di imperativo morale”43.

Il carattere della rete che ha riflessi più importanti sulla vita dell’uomo del nostro tempo è, dunque, la cybercultura, nel momento in cui diventa intelligenza collettiva che non è da intendere come l’intelligenza di una entità superumana ma che si riverbera positiva-mente sull’intelligenza individuale. L’intelligenza collettiva, per Lévy, rappresenta la principale ricchezza dell’umanità perché permette alle persone di unire le loro forze intellettuali, le loro conoscenze, in mo-do spontaneo, senza che nessuna società e nessun governo tiri le fila44.

42 P. LÉVY, Cybercultura, cit., p. 212. 43 P. LÉVY, Cybercultura, cit., p. 115. Per una panoramica delle principali pro-

blematiche giuridiche della rete, cfr. S. RODOTÀ, Quali sono i limiti di Internet?, in www.emsf.rai.it, 5-03-02; M. IASELLI, La natura giuridica di Internet, in www.diritto.it, 9-07-03; G. FIORIGLIO, Temi di informatica giuridica, Roma, 2003, reperibile gratuitamente sul sito www.dirittodellinformatica.it.

44 P. LÉVY, Cybercultura, cit., p. 198: “è impossibile per un soggetto, foss’anche potentissimo, dominare, o anche solo conoscere, l’insieme dei fattori che concorrono all’avvento della tecnocultura contemporanea, e questo è tanto più vero in quanto nuove idee, nuove pratiche, nuove tecniche non cessano di sorgere dai luoghi più inattesi. D’altra parte, il divenire della cybercultura non è dominabile semplicemente perché, spessissimo, parecchi soggetti, parecchi pro-getti, parecchie interpretazioni sono in conflitto tra loro”. Ecco perchè “il pro-getto dell’intelligenza collettiva presuppone l’abbandono della prospettiva del potere. Intende aprire il vuoto centrale, il cavedio di luce che permette il gioco con l’alterità, la concezione di utopie e la complessità labirintica” (L’intelligenza

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L’intelligenza collettiva come prospettiva di sviluppo umano: mi sem-bra questa la parte più feconda, ma nello stesso tempo più delicata, della riflessione levyniana.

Più feconda in quanto si evidenzia il fatto che la rete sia uno strumento al servizio della persona umana e dell’umanità: “l’intelligenza collettiva è un’intelligenza varia, distribuita, continua-mente valorizzata e messa in sinergia in tempo reale, che sfocia in una mobilitazione ottimale delle competenze [...] la finalità dell’intelligenza collettiva è mettere le risorse di vaste collettività al servizio delle per-sone singole e di piccoli gruppi – e non il contrario. Si tratta, dunque, di un progetto fondamentalmente umanista, che si fa nuovamente ca-rico, con gli strumenti del nostro tempo, dei grandi ideali di emanci-pazione della filosofia dei Lumi”45. collettiva, cit., p. 245). Ma attenzione, mette in guardia l’apologeta Lévy: il model-lo di Cnosso, caratterizzato dal labirinto, cioè dalla complessità culturale, dalla intelligenza collettiva proiettata nello spazio architettonico, dimostra alla fine “l’incapacità di trovare una via d’uscita pacifica. Sia rispetto al lontano passato cretese sia nell’orizzonte dell’opaco futuro del pianeta, la cultura della potenza e della pace sembra indecifrabile”. Dimostra che l’unico modo per poter pro-muovere l’intelligenza collettiva, anche e soprattutto nella prospettiva della pa-ce, è quello di recuperare il modello originario di Cnosso, di decifrare il lineare A, di inventare l’ideografia dinamica e la nuova lingua dei collettivi intelligenti. Occorre, in altri termini, invece che rafforzare i baluardi del potere raffinare l’architettura del cyberspace”. V. supra, nota n. 25. Sul confronto tra il concetto di intelligenza collettiva e quello di intelligenza connettiva di De Kerchove, cfr. S. GARASSINI, Dizionario dei new media. Internet, multimedia, tv digitale, realtà virtuale, telecomunicazioni, intelligenza artificiale, Milano, 1999.

45 P. LÉVY, Cybercultura, cit., p. 198. Lévy contrappone la sua concezione, al servizio della persona, dell’intelligenza collettiva a quella di Kevin Kelly, che la interpreta sul modello degli insetti sociali, a quella di Joël De Rosnay, che parla di un essere simbiotico riunito dalla rete, e a quella di Howard Rheigold, che la intende in termini politici e comunitari. R. MARCHESINI, Post-human, cit., pp. 372-373, sviluppa in prospettiva postumanistica l’intelligenza collettiva di Lévy: “la rivoluzione informatica della seconda metà del Novecento consente di tra-sformare l’esternalizzazione dell’informazione in autonomia della stessa: in altri termini, non solo viene attualizzato il processo di spersonalizzazione e di laten-za – ovvero di oggettivizzazione dell’informazione – ma si preconizza una vera e propria evoluzione delle idee al di fuori del nostro cervello […]I nuovi stru-

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In altri termini, l’avvento della civiltà informatica realizzerebbe appieno il sogno della modernità46.

menti informatici permettono di trasformare i contenuti in entità operative; le informazioni cioè perdono la loro passività, e quindi non vengono più sedimen-tate nell’infosfera, ma si trasformano in infobionti solo parzialmente sotto il controllo dell’uomo”. Per una lettura diversa, cfr. G. LIVRAGHI, La coltivazione dell’internet, in www.percheinternet.it, 1-9-2003, che parla di società della relazio-ne più che dell’informazione: “l’imperio dei grandi mezzi di massa ‘a senso uni-co’ ha portato a una diffusione senza precedenti dell’informazione. Ma la socie-tà connessa è qualcosa di diverso; accentua i valori delle relazioni, delle comuni-tà, rispetto al puro e semplice concetto di informazione [...] Non si tratta solo di uno sviluppo nella tecnologia, ma di una evoluzione nei rapporti umani; e che non si realizza solo all’interno di un ambito (internet) ma più diffusamente nella società e nell’economia”. Si tratta per questo autore dell’affermazione della logi-ca dello stormo e non dell’uccello-guida. Di Livraghi, cfr. L’umanità dell’internet. Le vie della rete sono infinite, in www.gandalf.it/uman/01.htm, 09-09-2003.

46 Questa tesi si contrappone nettamente a chi, come Vattimo, vede nella cybercultura i tratti definitori del postmoderno. Per Lévy (Cybercultura, cit., p. 245) la cybercultura non è altro che la materializzazione tecnica degli ideali mo-derni: “se mai siamo stati moderni, la cybercultura non sarà postmoderna ma assolutamente in linea con gli ideali rivoluzionari e repubblicani di libertà, ugua-glianza e fraternità. Solo che, nella cybercultura, questi ‘valori’ si incarnano in dispositivi tecnici concreti. Nell’era dei media elettronici, l’uguaglianza si realizza come possibilità per ciascuno di emettere per tutti; la libertà si concretizza in software utili alla crittazione e in un accesso al di là delle frontiere a molteplici comunità virtuali; la fraternità, infine, traspare nell’interconnessione mondiale”. Ma Lévy, coerentemente con queste premesse, si spinge oltre nel momento in cui sostiene che la rivoluzione informatica realizzerebbe, addirittura, l’obiettivo marxiano dell’appropriazione dei mezzi di produzione da parte dei produttori stessi. Secondo altri, invece, grazie alla possibilità di accedere direttamente e li-beramente a informazioni e conoscenze e alla restituzione ai singoli individui del controllo sui mezzi di produzione, internet realizzerebbe l’utopia liberale ampliando a dismisura la sfera dell’autonomia e della libertà individuali anche se contro questa prospettiva si muovono le politiche occidentali che si preoccupa-no soprattutto di erigere barriere legali sotto forma di proprietà intellettuale (cfr. Y. BENKLER, La ricchezza della Rete. La produzione sociale trasforma il mercato e aumenta la libertà, Milano, 2007, disponibile parzialmente in rete sul blog www.omniacommunia.org).

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Più delicata perché l’intelligenza collettiva presenta un carattere ambivalente: è certamente un grande strumento di libertà, ma può rappresentare anche l’ennesima occasione di discriminazione e di e-sclusione per chi non vi prende parte. I dati più recenti ci dicono, per fare qualche esempio del digital divide che nonostante tutto comunque si sta riducendo, che solo un sesto della popolazione mondiale è col-legata ad Internet, il 40 per cento degli asiatici può usufruire della banda larga che invece raggiunge appena lo 0,1 per cento degli africa-ni, del resto secondo altri dati addirittura il 70 per cento della popola-zione mondiale non sa neppure di cosa si tratti quando si parla di internet47. Naturalmente il libero accesso alla rete è molto spesso un miraggio se consideriamo i costi della connessione, sia in termini mo-netari, sia in termini di competenza.

Si configura una discriminazione resa ancora più grave dal fatto che oggi l’umanità sembra sempre più costituirsi come un’unica socie-tà. Di fronte a questa possibilità, anche per Lévy, reale, non basta au-spicare la riduzione dei suddetti costi di connessione, occorre avviare, come cercheremo di vedere meglio fra breve, una riflessione che re-cuperi l’essenzialità della dimensione morale, giuridica e politica dell’esistenza umana, contro una realtà, quella della rete, che muta profondamente alcune categorie morali, giuridiche e politiche.

4. Pur non condividendo l’eccessivo ottimismo di Lévy, che non

approfondisce adeguatamente la riflessione sulle ripercussioni del fe-nomeno informatico sulla sfera pratica e sulla condizione umana, né la ipercriticità senza sbocchi di Virilio, che trascura gli evidenti effetti positivi della rivoluzione informatica e di Internet in particolare, alcu-ne considerazioni si rendono a questo punto necessarie.

47 Per un monitoraggio sui dati riguardanti l’utilizzo della rete, cfr. il sito www.gandald.it. Sul digital divide, cfr. P. ZOCCHI, Internet. La democrazia possibile, cit., diffusamente. I dati a cui ho fatto riferimento mi sembrano estremamente significativi e dimostrano quella “non contemporaneità dei mondi” che caratte-rizza il nostro tempo e che rappresenta uno dei fattori culturali che, sul piano giuridico, rendono difficile la reale garanzia dei diritti umani sul piano interna-zionale. Sviluppa questo concetto T. SERRA, I diritti prima oltre e contro lo Stato in La disobbedienza civile, cit., p. 9 e ss).

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Internet è senza dubbio, nonostante segnali di controtendenza, un grande strumento di libertà soprattutto quando per esempio, non prescindendo dalla politica, diriga la sua potenzialità verso la riforma dei sistemi democratici. L’avvento della società dell’informazione, o della conoscenza, ha profonde incidenze sulle istituzione politiche de-terminando soprattutto l’attenuazione della rigida contrapposizione tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa. Di fronte alla cri-si palese in cui versano le nostre democrazie, crisi che investe in primis proprio l’istituto della rappresentanza, Internet permette nuove co-niugazioni della cittadinanza: “la vera novità democratica delle tecno-logie dell’informazione e della comunicazione […] non consiste nel dare ai cittadini l’ingannevole illusione di partecipare alla grandi deci-sioni attraverso referendum elettronici. Consiste nel potere dato a cia-scuno e a tutti di servirsi della straordinaria ricchezza di materiali mes-sa a disposizione dalle tecnologie per elaborare proposte, controllare i modi in cui viene esercitato il potere, organizzarsi nella società. Con questo vasto mondo – in cui la democrazia si manifesta in maniera di-retta, ma senza sovrapporsi a quella rappresentativa – i Parlamenti de-vono trovare nuove forme di comunicazione, attraverso consultazioni anche informali, messa in rete di proposte sulle quali si sollecita il giu-dizio dei cittadini, procedure che consentano di far giungere in parla-mento proposte elaborate da gruppi ai quali, poi, vengano riconosciu-te anche possibilità di intervento nel processo legislativo”48.

48 S. RODOTÀ, I sette peccati capitali di Internet (e le virtù), cit. Per Rodotà è indi-

spensabile, essenziale, procedere oltre che, come meglio vedremo fra poco, ad una definizione dei diritti dell’internauta, ad una ridefinizione dei beni comuni per evitare che il sapere possa essere chiuso in recinti proprietari: “il conflitto tra interessi proprietari e interessi collettivi non si svolge soltanto intorno a ri-sorse scarse, in prospettiva sempre più drammaticamente scarse come l’acqua. Nella dimensione mondiale assistiamo ad una creazione incessante di nuovi be-ni, la conoscenza prima di tutto, rispetto ai quali la scarsità non è l’effetto di dati naturali, ma di politiche deliberate, di usi impropri del brevetto e del copyright, che stanno determinando un movimento di chiusura simile a quello che, in In-ghilterra, portò alla recinzione delle terre comuni, prima liberamente accessibili. Questa scarsità artificiale, creata, rischia di privare milioni di persone di straor-dinarie possibilità di crescita individuale e collettiva, di partecipazione politica”.

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Certamente la Rete offre straordinarie opportunità di conoscen-za, ma anche su questo tema occorre essere prudenti. La conoscenza, infatti, si sviluppa in forme completamente nuove; non si tratta più di apprendere “ma documentarsi, non più studiare ma consultare, non più organizzare il sapere intorno a concetti e idee di fondo, ma accu-mulare dati relativi a parole chiave”49. Del resto migliaia e migliaia di informazioni che si possono reperire in rete incontrano il limite delle nostre capacità: “tutto il resto è superfluo, anzi rappresenta un eccesso che può portare allo smarrimento, all’ansia, all’angoscia. Oppure porta a scambiare il possesso dell’enciclopedia con la padronanza del suo contenuto, il controllo dei dati con il dominio dell’informazione”50. Anche Umberto Eco avverte questa preoccupazione nel momento in cui riconosce l’avvento di una nuova ‘democrazia della cultura’ ma, nello stesso tempo, invoca la costituzione di ‘centri di garanzia’, in grado però di mettere a rischio la feconda anarchia del sistema, per gli utenti telematici: occorre insegnare alla gente a fare da filtro pena l’inutilità di tutta questa informazione51.

Accennavo a segnali in controtendenza: si pensi solo alle restri-zioni imposte dal governo americano ai siti commerciali per gli affari con stati come Cuba o l’Iraq o alle limitazioni alla libertà di navigazio- Per un approfondimento, v. dello stesso autore, Tecnopolitica. La democrazia e le nuove tecnologie dell’informazione, Roma-Bari, 2004.

49 G. LONGO, Prove di umanità futura, cit., p. 106. 50 G. LONGO, luogo ult. cit. 51 U. ECO, Le notizie sono troppe. Imparate a decimarle, subito, in www.telema.it..

Eco, che non è certo un apocalittico, si sofferma anche sul rischio di nuove forme di discriminazione: “al gradino inferiore c’è un nuovo proletariato com-posto da persone che non sanno usare il computer e le cui uniche informazioni provengono dalla TV. A questo livello si viene esclusi da qualsiasi partecipazio-ne al potere. Al gradino intermedio c’è una petite bourgeoisie che sa usare il computer ma non programmarlo […] Sul piedistallo c’è la nomenclatura, in senso sovietico, ovvero l’insieme delle persone che sanno interagire col compu-ter. Risultato: una classe proletaria che segue le indicazioni di qualche stupido presentatore, una classe media che va appresso a Bill Gates e una classe che, in-vece, legge Marvin Minsky”. Sul tema della democrazia della cultura cfr. C. FORMENTI, Incantati dalla rete, cit., p. 149 e ss. e F. CARLINI, Lo stile del Web. Pa-role e immagini nella comunicazione in rete, Torino, 1999.

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ne per gli abitanti di alcuni stati, da ultimo il caso della Birmania, per impedire l’accesso ad informazioni non conformi alla politica interna. Ma si pensi anche alla compressione dei diritti in rete che avviene nei paesi occidentali che, con l’argomento della lotta al terrorismo, im-pongono per esempio lunghe conservazioni dei dati riguardanti ogni forma di comunicazione elettronica, consegna di informazioni delicate ad autorità di polizia, schedature delle persone52. Si corre il rischio, cioè, accogliendo solo in parte le promesse di cui la tecnologia è pro-diga, che Internet e le tecnologie dell’informazione possano essere uti-lizzati come strumenti per dare vita orwellianamente ad una società del controllo e della sorveglianza e di una società che, invece di esalta-re la libertà e l’uguaglianza, produce, come abbiamo accennato, nuove forme di diseguaglianze.

Internet rappresenta, dunque, senza dubbio il più grande spazio pubblico che gli uomini hanno avuto a disposizione, una grande occa-sione per la creazione di una società globale, di una koinè, che, di con-tro ad una globalizzazione che si presenta sempre più come prevalen-za dell’economico sulle altre sfere delle vita pratica, recuperi la dimen-sione della relazionalità, come auspicato dal concetto di cybercultura di Lévy. In modo non del tutto inappropriato si può ricorre alla meta-fora dell’ecosistema, all’idea di un equilibrio sostanziale, di una coope-razione non solo tra uomini, ma anche tra uomini e macchine. Fin dai primi studi sul ciberspazio si è affermata l’idea che, accanto alla bio-sfera, si potesse individuare un’altra dimensione, la noosfera, di cui parlava Teilhard de Chardin, o l’infosfera53. In parallelo con quanto

52 Cfr. il sito di Reporters sans frontières, www.rsf.fr, dove si ricorda che sono 45

i paesi nel mondo che limitano l’accesso ad Internet costringendo i loro cittadi-ni ad abbonarsi a providers direttamente controllati dallo Stato mentre sono 20 quelli che impediscono totalmente l’accesso alla rete con il pretesto di protegge-re i cittadini da idee sovversive.

53 Sulla controversa lettura di Teilhard de Chardin e del suo L’uomo nell’universo, Milano, 1981, cfr. R. MARCHESINI, Post-human, cit., p. 360 ss., che ricorda appunto il concetto di noosfera inteso come una sorta di cervello plane-tario, dimensione olistica dei processi cognitivi in parallelo con la biosfera intesa come dimensione unitaria dei processi biologici. Anche C. FORMENTI, Incantati dalla Rete, cit., coglie gli aspetti eretici del pensiero del gesuita francese proprio

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avviene nella riflessione etico-ambientale con le letture radicali dell’ecosistema, della sua valenza epistemica ed etica, portate avanti dagli autori che si richiamano alla deep ecology54, questo concetto può essere interpretato, come accennato, sia in chiave post o transumani-

nell’idea che la evoluzione, generando la specie umana, ha creato una sorta di cervello del pianeta, la noosfera ossia l’insieme delle tecnologie, dei codici e dei sistemi di comunicazione che ricoprono il mondo come un immenso sistema pensante artificiale. Gli uomini non sarebbero che un organo della Terra grazie al quale essa acquisterebbe auto consapevolezza scegliendo dove andare: op-porsi alla unificazione della coscienza planetaria, condannandosi però alla estin-zione, o, viveversa, assecondare tale processo fino al punto Omega in cui il cer-vello della Terra non sarà più la sommatoria di tanti piccoli sé, ma un’unica immane sfera pensante. Grazie a queste tesi Teilhard è diventato una specie di profeta per i tecnofili o i postumanisti. In realtà le sue riflessioni andrebbero lette in modo più complesso, considerando il suo tentativo di coniugare cristia-nesimo e teorie dell’evoluzione e tenendo conto della sua concezione teologica preoccupata di dimostrare la centralità di Cristo nella vita e nella storia. Senza queste premesse non si capirebbe adeguatamente il punto Omega che non è una forza cosmica impersonale ma è qualcuno, è il Dio personale, è Cristo. C’è la mistica di San Paolo in questa idea: il punto Omega come sospiro della crea-tura verso la Rivelazione della gloria dei figli di Dio. Ecco perché il fenomeno u-mano è essenzialmente un fenomeno cristiano. Cfr. il capolavoro di P. TEILHARD DE CHARDIN, Il fenomeno umano, Brescia, 2006. Per una lettura più completa del pensiero del gesuita francesce rimando a H. DE LUBAC, Il pensiero religioso di padre Teilhard de Chardin, Brescia, 1966.

54 Sulla valenza filosofica del concetto di ecosistema con riferimento all’etica ambientale, cfr. M. SIRIMARCO, Ecosistema, diritto e ambiente, cit. Sull’idea della rete come ecosistema cfr. L. CODINA, El ciberspacio y el ecosistema informativo de la WWW, in http://uoc.terra.es del 17-06-03. Per un approfondimento, v. R. PA-STOR-SATORRAS, A. VESPIGNANI, Evolution and Structure of the Internet, Cambri-dge, 2004, che presentano Internet come un sistema fisico simile ad un ecosi-stema, ad un sistema culturale costituito da un grandissimo numero di elementi in maniera cooperativa e competitiva. Così come nell’ipotesi Gaia di Lovelock (Le nuove età di Gaia, Torino, 1991), in cui la biosfera viene concepita come un unico essere vivente, anche in questo caso c’è un unico grande organismo al quale apparteniamo come cellule e che ha anche un nome: Metaman … Cfr. G. STOCK, The Merging of Humans and Machines into a Global Superorganism, New Jork, 1993.

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sta55, ovvero in un senso tradizionale che, pur cogliendo l’importanza della rivoluzione tecnologica, riafferma con forza la centralità dell’essere umano.

La metafora dell’ecosistema può essere utile per impostare una serie di ulteriori interrogativi. Esiste, al di là della pur grave patologia dello spam, un problema ecologico della rete? Il cyberspace, inteso come ambiente virtuale, può essere messo in crisi, come viene messo in crisi l’ambiente naturale, dalla divaricazione tra una razionalità strumentale che procede a ritmi serrati e una razionalità rispetto ai valori che inve-ce segna il passo? E qui entra in gioco la necessità della riflessione giu-ridica perché senza l’intervento del diritto, con la sua funzione di or-dine, di misura, di limite, c’è il rischio che l’interazione uomo-computer, la coestensione tra sistema virtuale e sistema sociale, dege-neri e si ripercuota negativamente sulla condizione umana56.

55 V., per esempio, G. LONGO, Prove di umanità futura, cit., p. 87 e ss., per il

quale “la distinzione tra uomo e tecnologia non è netta come spesso si ritiene, perché se l’uomo produce la tecnologia, questa a sua volta concorre a formare l’essenza dell’uomo: i due cioè sono in uno stretto rapporto di coevoluzione […] di conseguenza, l’evoluzione dell’uomo non si è affatto arrestata, anzi, grazie alla tecnologia e in genere alla cultura, è oggi più rapida che mai. Le due evolu-zioni, dell’uomo e della tecnologia, si sono intimamente intrecciate in un’evoluzione biculturale e biotecnologica, al cui centro sta una sorta di sim-bionte in via di formazione, l’homo technologicus, costituito da una componente biopsichica e da una componente macchinina molto rilevante […] nell’homo te-chnologicus la componente artificiale si presenta sotto due forme: da una parte l’uomo è collegato al calcolatore e alla rete, dunque viene prolungato dalla tec-nologia; dall’altra esso è invaso da una tecnologia informatico-protetica, spesso miniaturizzata se non addirittura nanometrica, che lo trasforma organo per or-gano, cellula per cellula, rendendolo più simile ai cyborg della fantascienza […] i simbionti uomo-calcolatore si stanno collegando a rete tra loro per formare una sorta di creatura planetaria, la quale, almeno sotto il profilo cognitivo, potrebbe costituire un nuovo stadio evolutivo di tipo supersocietario”.

56 Cfr. A. C. AMATO MANGIAMELI, Diritto e cyberspace, cit., p. 31, che giusta-mente ricorda che “la realtà virtuale, lungi dall’essere momento di sconforto – dal momento che non conoscerebbe regole e sarebbe inutile affannarsi ad in-ventarle, se l’elaboratore, così si dice, viola impunemente ogni confine ed ogni limite – può costituire l’input per una rinnovata ricerca del diritto”.

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È all’ordine del giorno, anche per impedire le crescenti violazioni in rete di diritti fondamentali, in particolare quelli che attengono alla libertà di manifestazione del pensiero e alla tutela dei dati personali, la necessità di procedere alla definizione di una Carta dei diritti dell’internauta, da redigere, non secondo le tradizionali modalità costi-tuzionali, ma tenendo conto della natura della rete, come luogo di di-scussione diffusa (Rodotà ha parlato giustamente di una impostazione multistakeholder e multilevel) 57. La Carta dei diritti, nella prospettiva di una più generale Internet Governance, dovrà essere discussa dal basso, e non essere quindi appannaggio dei governi o delle corporations, coin-volgendo sulla rete una molteplicità di attori sociali, in coerenza con la definizione di Internet Governance, data dal World Summit on Information Society (Tunisi, novembre 2005) e intesa come lo sviluppo e l’applicazione da parte dei governi, del settore privato e della società civile di principi, norme, regole, procedure decisionali e programmi condivisi che determinano l’evoluzione e l’uso di Internet58.

Anche per quanto riguarda l’approccio giuridico diventa prelimi-nare, per poter parlare di Internet Bill of Rights, il riconoscimento di un diritto all’accesso che non significa solo possibilità tecnica ed econo-mica di connessione alla rete, ma soprattutto, da un parte, sapere, i-struzione, formazione adeguati e, dall’altra, considerazione dei beni disponibili in rete come beni comuni, ripensando così in modo radica-le tutti gli istituti relativi alla tutela della proprietà intellettuale. Le nuove figure del free software, dell’open source, dei creative com-

57 S. RODOTÀ, Perché Internet ha bisogno di una Carta dei diritti, in “La Repubbli-

ca”, 14/11/2006 e Towards an Internet Bill of Rights, Relazione al Dialogue Forum on Internet Rights, Roma 27 settembre 2007, in www.computerlaw.it.

58 Mentre scrivo queste note si sta svolgendo a Rio de Janeiro il secondo Internet Governance Forum; il primo si è svolto ad Atene nel 2006 e, suddiviso in tre categorie (governi, settore privato, società civile), si è articolato in quattro sessioni: opennes, dedicata alla libertà in rete in tutte le sue manifestazioni; security, sulla sicurezza, sugli accorgimenti per contrastare gli usi distorti della rete; diver-sity, sulla questione della tutela della diversità culturale come patrimonio comu-ne di tutta l’umanità; access, sul tema prioritario e pregiudiziale della connettività intesa come accesso alle tecnologie, ai contenuti, ai servizi della rete.

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mons si muovono in questa direzione mitigando o annullando la rigi-dità del tradizionale copyright59.

Naturalmente il tema della giuridificazione è particolarmente de-licato perché “la società dell’informazione si presenta oggi come un campo di battaglia, dove continuamente si confrontano hard law e soft law, etica e diritto. Alle difficoltà di ricorrere ai tradizionali strumenti della legge nazionale e delle convenzioni internazionali si aggiungono valutazioni di principio, secondo le quali l’autoregolamentazione sa-rebbe comunque preferibile a regole imposte dall’esterno, che avreb-bero un carattere autoritario o almeno paternalistico. Il soft law sarebbe lo strumento più adeguato a regolare una società in perenne cambia-mento, mobile, diffusa, per certi aspetti persino inafferrabile, quale è appunto la società dell’informazione”60.

Un’altra considerazione è importante fare per cogliere la difficol-tà e la complessità del mondo in cui viviamo e della sua ripercussione sul modo di intendere la giuridicità, coinvolgendo la relazionalità che l’essenza del diritto. Un altro tratto caratterizzante la nostra epoca è il venir meno di ogni forma di mediazione sociale. Esistono solo forme di mediazione ‘evanescente’61 o ‘prismatiche’, con diretto riferimento alla comunicazione informatica: “la mediazione prismatica raccoglie la frantumazione e l’organizza nella geometria del prisma. Il prisma è il nuovo organizzatore della monadicità individuale e, allo stesso tempo, la sua dissoluzione nella fuga delle immagini non comunicanti. Il mo-dello implicito della mediazione prismatica è la grande trama dei cir-

59 Cfr. L. LESSIG. Cultura libera. Un equilibrio fra anarchia e controllo, contro

l’estremismo della proprietà intellettuale, Milano, 2005 e Il futuro delle idee, Milano, 2006. Per Y. BENKLER, La ricchezza della rete, cit., pp. 3-4, la nuova economia dell’informazione in rete può convivere accanto all’economia industriale senza danneggiarsi, anzi generando valore aggiunto. Assistiamo, infatti, all’emergere di una nuova fase dell’economia dell’informazione definita networked information eco-nomy, economia dell’informazione in rete, caratterizzata dal fatto che “azioni in-dividuali decentrate – cioè le nuove e rilevanti condotte cooperative coordinate per mezzo di meccanismi non commerciali radicalmente distribuiti, che non di-pendono da strategie proprietarie – giocano un ruolo molto più grande”.

60 S. RODOTÀ, Towards an Internet Bill of Rights, cit. 61 Cfr. A. NEGRI, Guide. Cinque lezioni sull’impero e dintorni, Milano, 2003.

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cuiti dell’informatica e la struttura del rapporto che si istituisce fra sin-golo e ‘macchina pensante’. Il computer è, infatti il nuovo candidato a mediatore ed esclusivo fra io e mondo”62. E se apparentemente la comunicazione informatica realizza il massimo di personalizzazione del rapporto fra il singolo e il mondo esterno, anche Barcellona con-divide la preoccupazione secondo la quale “la mediazione prismatica è la connessione formalizzata dell’isolamento estremo del singolo; è la forma dello stare insieme di una società frantumata, la connessione di una società senza socialità”63.

Si tratta di un punto estremamente delicato sul quale si incontra la convergenza di opinioni di autori di diversa formazione e operanti nei più disparati ambiti scientifico-disciplinari. L’uomo del nostro tempo, sempre più virtualizzato, vive sul difficile crinale del paradosso che separa Hermes e Narciso: agogna le possibilità di viaggi e cono-scenze che la rete gli offre, ma rischia di non incontrare di fatto l’alterità perché prigioniero dell’autoreferenzialità64. L’utilizzo delle tecnologie e delle tecnologie dell’informazione in particolare incidono sulla percezione della propria identità e della relazionalità con l’altro. C’è chi ha ricordato come la rete favorisca un sostanziale abbassamen-to delle difese inibitorie così da facilitare l’espressione pulsionale. È stato sostenuto che l’assidua frequentazione di Internet può provocare fenomeni dissociativi dal momento che l’io viene sempre più vissuto come mosaico di frammenti; la rete, infatti, consente la realizzazione di svariati e imprevedibili giochi di identità con la conseguenza che il

62 P. BARCELLONA, Diritto senza società. Dal disincanto all’indifferenza, Bari,

2003, p. 129. 63 P. BARCELLONA, Diritto senza società, cit., p. 130. 64 Le figure mitologiche di Hermes e Narciso ricorrono con significati diver-

si in tanti autori. Per R. MARCHESINI, Post-human, cit., p. 393 e ss., “Hermes e Narciso rappresentano sicuramente i numi tutelari dell’infonauta: il primo, in grado di ispirare quella mercuriale leggerezza che sola permette il vagabondag-gio nella piacevole deriva che si sperimenta viaggiando nelle confuse maglie del Web; il secondo capace di mantenere fortemente egocentrata l’attenzione di ogni info-Teseo, rendendolo un virtuoso nel diminuire qualsiasi incon-tro/scontro con l’alterità”.

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sé non viene esperito come unitario ma come multiplo65. C’è chi, an-cora, ha sostenuto che “l’abuso di Internet sarebbe determinato da un senso di vuoto, da un vissuto di solitudine e dalla difficoltà di investire la realtà off line. In alcuni casi estremi, la partecipazione alla realtà on line è finalizzata alla negazione di quella concreta, quotidiana, avvertita come minacciosa. Questa dinamica, in un certo senso, è simile a quella che si verifica nel caso della dipendenza da sostanze”66.

Il pensiero filosofico è, allora, chiamato a riflettere, soprattutto, sul rischio che riguarda la condizione umana rispetto ad un uso distor-to delle tecnologie, in questo caso delle tecnologie dell’informazione. Occorre riflettere sulla cultura tecnologica e non sulla tecnica perché non si può non riconoscere l’importanza dello sviluppo tecnologico, ma è necessario saperlo interpretare, governare, umanizzare. Il rischio è dato, questo mi sembra il momento maggiormente condivisibile del pensiero di Virilio, soprattutto dal fatto che l’uomo rischia di perdere contatto con la realtà, perde i suoi punti di riferimento nello spazio reale, l’uomo rischia “di precipitare nel disordine, di arrivare a uno sdoppiamento dell’identità del reale”67. L’individuo corre, in altri ter-

65 Per una rassegna e un approfondimento di queste problematiche, v. i saggi

raccolti nel volume di V. CARETTI, D. LA BARBERA (a cura di), Psicopatologia del-le realtà virtuali, Milano, 2001 e S. TURKLE, La vita sullo schermo. Nuove identità e relazioni sociali nell’epoca di Internet, Milano, 1997.

66 A. FATA, Internet dipendenza, in www.psiconline.it, 18-10-2003. Si tratta del cd. Internet Addiction Desorder, una vera e propria malattia che provoca uno stato confusionale da Internet-dipendenza. Cfr. K.S. YOUNG, Presi nella rete. Intossica-zione e dipendenza da Internet, Bologna, 2000, la quale analizza le diverse psicopa-tologie da connessione tra cui la IAD che provoca, tra le altre cose, anche una infobulimia, una fame inesauribile di informazioni, per questo molti studiosi preferiscono parlare di Internet Related Psycopatology; cfr. V. CARETTI, D. LA BAR-BERA, Psicopatologia delle realtà virtuali, cit.

67 P. VIRILIO, Il futuro nello spazio “stereoreale”, in www.mediamente.rai.it del 25/06/2003 (ma si tratta di un testo del 1999). Da qui la tesi secondo la quale lo spazio si percepisce, oggi, come la stereofonia: c’è uno spazio attuale, della presenza concreta, e c’è uno spazio virtuale.

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mini, un rischio dirompente: quello di dissolvere la vita nell’apparenza della vita68.

Il rischio è che il soggetto umano, che nessuna macchina (ricordo che dal mondo greco all’età moderna il termine machina ha un duplice significato, indica uno strumento o in senso metaforico una macchi-nazione, un inganno …), e nessuna ingegneria genetica, riuscirà a so-stituire completamente nella sua identità, si perda, si distragga del tut-to dai suoi bisogni essenziali69.

L’individuo corre il rischio della passività, dell’inerzia, della non partecipazione sul piano della politica. Corre il rischio che da padrone del mondo si trasformi in un suo ospite; un ospite marginalizzato, ro-botizzato, asservito ad un potere che si costituisce sempre più lontano dalla realtà esistente concentrando tutta la sua forza nel creare un con-senso senza nessuna forma di controllo da parte dei cittadini.

68 Del resto, come ha scritto P. BARCELLONA, Diritto senza società, cit., p. 117,

“l’erede (il soggetto) della filosofia tedesca è ormai immerso in un gioco senz’altro significato che una breve palpitazione per l’estemporanea emozione di apparire nel gigantesco palcoscenico dello spettacolo permanente della pro-duzione illimitata di offerte consumabili”. Tutto ciò porta ad una destruttura-zione della personalità individuale e dei rapporti interpersonali, alla riduzione dell’individuo al ‘desiderio’ e del potere a ‘manipolazione o controllo’.

69 Cfr. P. SAVARESE, Relazione e linguaggio nell’era cibernetica, in E. BAGLIONI (a cura di), Ospiti del futuro?, cit., p. 23 e ss., per il quale “la soggettività viene infatti chiamata in causa dal mutamento del mondo, che con la sua rapidità e pervasi-vità sembra non lasciarle altro spazio che una passività pura, sia pur spesso ben dissimulata in forme e modi di movimento e di attività anche vorticosi. La pas-sività, però, portata all’estremo nell’adesione senza residui al movimento ad e-xtra, finisce nell’annientamento naturalistico della soggettività stessa, che viene meno al suo statuto di parlante, per rifluire in uno stare nel linguaggio assorbito ed esaurito negli automatismi, espressivi e istituzionali, di questo”. Di fronte ad un simile scenario, occorre riflettere “se l’uomo nella sua specificità di parlante, specificità certo a sua volta da chiarire, venga posto ai margini di una evoluzio-ne asoggettiva del mondo, in cui egli tende a residuare come un elemento tra gli altri, se non addirittura come una sorta di oggetto di antiquariato”. Sulle pro-blematiche della soggettività e della relazione giuridica, cfr. B. ROMANO, Globa-lizzazione del commercio e fenomenologia del diritto, cit.

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Si tratta di una preoccupazione presente nelle opere di Giuseppe Capograssi, specialmente quelle dell’ultima fase della sua vita, quando il grande filosofo avvertiva: “il pericolo è che invece di prendere la via lunga di portare l’esperienza così automatica com’è ad arricchire la vi-ta spontanea ed intangibile dell’individuo [...] si voglia portare l’individuo alla vita automatica dell’esperienza, renderlo omogeneo all’automatismo dell’esperienza organizzata; si voglia invece di uma-nizzare l’esperienza, automatizzare l’individuo [...] sopprimere, rendere impossibili, spegnere le profonde vocazioni umane dell’individuo, quelle che ne fanno un essere intelligente morale e libero, fonte di tut-te le novità le scoperte e le imprevedibili creazioni della storia” 70.

Se volessimo tentare una conclusione su un tema come questo, ancora non completamente sviluppato e tematizzato, essendo la rivo-luzione informatica in costante progresso, potremmo dire che non è tanto il caso di parteggiare per una parte o per l’altra delle tesi che si contendono il campo, non conta tanto atteggiarsi ad apocalittici o professarsi integrati. È il caso, però, che l’individuo contemporaneo, che è il vero protagonista della storia, continui sempre a dispiegare, di fronte alle trasformazione del suo tempo, di fronte alle rivoluzioni più o meno eclatanti, la sua capacità di critica e di riflessione per evitare che si realizzi il proposito, coltivato spesso dai detentori del potere, di renderlo un essere superfluo, secondo l’ammonimento sempre attuale, oggi più che mai attuale, di Hannah Arendt.

5. Ho ricordato Capograssi, concludo con un’altra riflessione ca-

pograssiana, che sposta la questione su un piano differente, ma in fondo forse si tratta della vera questione. Spesso, e molte statistiche sui fruitori della rete lo dimostrano, internet si riduce ad uno svago, ad un grande gioco, ad un intrattenimento, ad una grande distrazione che rischia di far perdere di vista i bisogni essenziali che caratterizzano in definitiva l’essere dell’uomo. La tecnica non può sostituire completa-

70 G. CAPOGRASSI, L’ambiguità del diritto contemporaneo, in Incertezze

sull’individuo, Milano, 1969, p. 118. Sia consentito rinviare al mio I bisogni di una vita futile. Rileggendo alcune pagine di Giuseppe Capograssi, in “Nuova Fase”, n. 6/2001, soprattutto per i riferimenti all’attualità del pensiero capograssiano.

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mente l’uomo perché, soprattutto, non riesce a soddisfarne alcuni bi-sogni essenziali che sono propri della vita dell’uomo come essere rela-zionale e indigente71.

Alcuni bisogni umani possono essere facilmente saziati dalla tec-nica; altri (amore, amicizia, tempo libero) possono solo essere surro-gati, sostituiti con effimere procedure o degradanti espedienti.

Rispetto ad altri (penso all’essenziale, capograssiano, bisogno del-la speranza che caratterizza l’essere umano in quanto lo apre alle di-mensione della trascendenza e dell’infinito), la tecnica può solo agire distraendo il soggetto umano; e non è un caso che i teorici del pensie-ro debole, guardino con simpatia al modello della rete come dissolu-zione del ‘motore’, come passaggio da strutture forti a strutture debo-li72.

La distrazione dell’individuo dai bisogni essenziali, come Capo-grassi ci ha insegnato, si realizza quando, anche grazie alla tecnica, aumenta la produzione di tutto ciò che attiene alla vita ‘frivola’, alla vita lontana dai bisogni essenziali, alla vita lontana (con tutto ciò che questo significa anche nella sfera politica e giuridica) dal bisogno di Dio73, grande assente dai discorsi sulla rete.

L’aspetto negativo della rete emerge nel momento in cui, da strumento tecnico al servizio della persona e delle collettività, della qualità della vita dei singoli e delle collettività, essa degenerasse pre-sentandosi, in modo preponderante, come ‘distrazione’ dai bisogni es-senziali, come contributo a quel processo, operato dal pensiero tec-nomorfo, di logoramento e di superamento del principio essenziale della intangibilità della persona umana74.

71 S. COTTA, Il diritto nell’esistenza, Milano, 1991. 72 Cfr, naturalmente, il manifesto del pensiero debole G. VATTIMO, P. A.

ROVATTI, Il pensiero debole, Milano, 1983. 73 Cfr. G. CAPOGRASSI, Su alcuni bisogni dell’individuo contemporaneo, in Incertezze

sull’individuo, cit, pp. 163-219. Cfr. il fondamentale saggio Il diritto dopo la catastro-fe, in Incertezze sull’individuo, cit., pp. 3-42 e Introduzione alla vita etica in G. CAPO-GRASSI, Opere, III, Milano, 1959.

74 Cfr. L. MONTAGNINI, Le armonie del disordine. Norbert Wiener matematico-filosofo del Novecento, Venezia, 2005, che ripercorrendo la genesi e le tematiche affrontate nel celebre Cybernetics e ricordando che l’esito ultimo del pensiero di

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Wiener è comunque un meccanicismo inesorabilmente immanentistico, così conclude: “questo esito sembra per alcuni versi raggelare Wiener stesso in quanto egli è consapevole che la cibernetica non è una semplice filosofia, dot-trina tra le dottrine, ma una tecnologia. È questo il punto su cui fino alla sua morte non smetterà di insistere: la cibernetica si è incarnata in macchine, in teo-rie scientifiche che servono alla tecnologia. Chi potrà vietarci di invocare la sa-cralità dell’uomo, l’irriducibilità della res cogitans alla res extensa come aveva fatto Cartesio? Ma questa invocazione non può salvaguardare l’intengibilità dell’uomo dalla manipolazione tecnologica, una volta che il muro di divisione sia stato frantumato non da una filosofia eretica ma dalla scienza stessa e preci-samente dalla scienza applicata”. Sul pensiero di Wiener (di cui ricordo le tradu-zioni italiane La cibernetica: controllo e comunicazione nell’uomo e nella macchina, Tori-no, 1968; Introduzione alla cibernetica, Torino, 1970) v. anche F. CONWAY, J. SIE-GELMAN, L’eroe oscuro dell’età dell’informazione. Alla ricerca di Norbert Wiener, il padre della cibernetica, Torino, 2005 e supra il saggio di E. GRAZIANI. Di Wiener è mol-to importante un altro libro (Dio & Golem SpA. Cibernetica e religione, Torino, 1991), nel quale l’implicazione profondamente religiosa del rapporto uomo-macchina è ancora una volta presente come emerge già dal titolo che richiama la figura biblica del Golem, triste metafora di una impresa che sfugge di mano al suo creatore con esiti drammatici. Ma il Golem in Wiener ha anche altri signifi-cati: soprattutto l’uso della figura serve a mettere in guardia dal rischio di una progressiva de-responsabilizzazione dell’uomo a vantaggio dell’automa che, pur potendo compiere una serie di operazioni automatiche, non riesce a cogliere le complessive e reali problematiche e si limita, così come fa la magia, ad una in-terpretazione meramente letterale del desiderio che non tiene conto delle effet-tive intenzioni di chi lo formula (emblematica la citazione del racconto La zam-pa di scimmia di William Jacobs).