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famiglia domani VENTISETTESIMA REDAZIONE ALLARGATA 7-8 novembre 2015 SESTRI LEVANTE (GENOVA) Opera Madonnina del Grappa Piazza Enrico Mauri, 1 - tel. 0185-45.71.31 -- fax 0185-48.54.03 La moltiplicazione dei pani e dei pesci Bartolomeo Letterini, La moltiplicazione dei pani e dei pesci (particolare), 1721, Chiesa di San Pietro Martire a Murano (Venezia) A T T I

A T T I 2015.pdf · Gesù: soffre assieme a noi, soffre con noi, soffre per noi. E il segno di questa compassione sono le numerose guarigioni da ... Signore Dio nostro, noi ti ringraziamo

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famiglia domani

VENTISETTESIMA REDAZIONE ALLARGATA

7-8 novembre 2015

SESTRI LEVANTE (GENOVA)

Opera Madonnina del Grappa Piazza Enrico Mauri, 1 - tel. 0185-45.71.31 -- fax 0185-48.54.03

La moltiplicazione dei pani e dei pesci

Bartolomeo Letterini, La moltiplicazione dei pani e dei pesci (particolare), 1721, Chiesa di San Pietro Martire a Murano (Venezia)

A T T I

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PROGRAMMA

SABATO 7.11.2015

ore 14.00 – Accoglienza e sistemazione

ore 15.00 – Preghiera iniziale

ore 15.15 – Relazione introduttiva (don Carlo Gasperi, Carpi - Modena)

ore 16.00 – Primo modulo: Relazione di Dante Colli (Carpi, Modena)

ore 16.20 – Discussione in assemblea

ore 18.00 – Pausa

ore 18.15 – Eucaristia

ore 19.30 – Cena

ore 21.00 – Secondo modulo: Relazione di Paolo Borgherini (Milano)

ore 21.20 – Discussione in assemblea

ore 23.00 – Conclusione della giornata - Compieta - riposo

DOMENICA 8.11.2015

ore 7.30 – Sveglia

ore 8.15 – Prima colazione

ore 8.40 – Recita di Lodi

ore 9.00 – Terzo modulo: Relazione di Gabriella Del Signore (Roma)

ore 9.20 – Discussione in assemblea

ore 10.30 – Pausa

ore 10.45 – Quarto modulo: Relazione di Francesco Ghia (Trento)

ore 11.05 – Discussione in assemblea

ore 12.45 – Saluto conclusivo – pranzo (ore 13.00) - partenze.

BUON LAVORO A TUTTI

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LA MOLTIPLICAZIONE DEI PANI E DEI PESCI – PREGHIERA INIZIALE 27° Redazione allargata di “Famiglia Domani” – 7.8-11-2015 – Sestri Levante

CANTO INIZIALE

Rit. Dove troveremo tutto il pane

per sfamare tanta gente

Dove troveremo tutto il pane

se non abbiamo niente?

Io possiedo solo cinque pani, io possiedo solo due pesci, io possiedo un soldo soltanto, io non possiedo niente. Rit. Dove troveremo tutto il pane...

Io so, suonare la chitarra, io so dipingere, e fare poesie, io so scrivere, e penso molto, io non so fare, niente.

Rit. Dove troveremo tutto il pane...

Io sono, un tipo molto bello, io sono, intelligente, io sono, molto furbo, io non sono, niente. Rit. Dio ci ha dato tutto il pane

per sfamare tanta gente.

Dio ci ha dato tutto il pane

anche se non abbiamo niente.

(lettore a): “Il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci (Mt 14,13-21) Gesù lo compì lungo il lago di Galilea, in un luogo isolato dove si era ritirato con i suoi discepoli. Ma tante persone li seguirono e li raggiunsero; e Gesù, vedendole, ne sentì compassione e guarì i malati fino alla sera. Allora i discepoli, preoccupati per l’ora tarda, gli suggerirono di congedare la folla perché potessero andare nei villaggi a comperarsi da mangiare. Ma Gesù, tranquillamente, rispose: «Voi stessi date loro da mangiare»; e fattosi portare cinque pani e due pesci, li benedisse, e cominciò a spezzarli e a darli ai discepoli, che li distribuivano alla gente. Tutti mangiarono a sazietà e addirittura ne avanzò! In questo avvenimento possiamo cogliere tre messaggi.” (Papa Francesco alla recita dell’Angelus, 03.08.2014)

(lettore b): LA COMPASSIONE

(lettore c): Di fronte alla folla che lo rincorre e – per così dire – "non lo lascia in pace", Gesù non reagisce con irritazione, non dice: "Questa gente mi dà fastidio". No, no. Ma reagisce con un sentimento di compassione, perché sa che non lo cercano per curiosità, ma per bisogno. Ma stiamo attenti: compassione – quello che sente Gesù – non è semplicemente sentire pietà; è di più! Significa con-patire, cioè immedesimarsi nella sofferenza altrui, al punto di prenderla su di sé. Così è Gesù: soffre assieme a noi, soffre con noi, soffre per noi. E il segno di questa compassione sono le numerose guarigioni da lui operate. Gesù ci insegna ad anteporre le necessità dei poveri alle nostre. Le nostre esigenze, pur legittime, non saranno mai così urgenti come quelle dei poveri, che non hanno il necessario per vivere. . (Papa Francesco alla recita dell’Angelus, 03.08.2014) (lettore a) Noi parliamo spesso dei poveri. Ma quando parliamo dei poveri, sentiamo che quell’uomo, quella donna, quei bambini non hanno il necessario per vivere? Che non hanno da mangiare, non hanno da vestirsi, non hanno la possibilità di medicine… Anche che i bambini non hanno la possibilità di andare a scuola. E per questo, le nostre esigenze, pur legittime, non saranno mai così urgenti come quelle dei poveri che non hanno il necessario per vivere. (Papa Francesco alla recita

dell’Angelus, 03.08.2014)

(1° coro) Signore, quando ho fame, dammi qualcuno che ha bisogno di cibo; quando ho sete, mandami qualcuno che ha bisogno di una bevanda e quando ho freddo, mandami qualcuno da scaldare. (2° coro) Quando ho un dispiacere, offrimi qualcuno da consolare; quando la mia croce diventa pesante, fammi condividere la croce di un altro e quando sono povero, guidami da qualcuno nel bisogno. (1° coro) Quando non ho tempo, dammi qualcuno che io possa aiutare per qualche momento; quando sono umiliato, fa’ che io abbia qualcuno da lodare e quando sono scoraggiato, mandami qualcuno da incoraggiare.

(2° coro) Quando ho bisogno della comprensione degli altri, dammi qualcuno che ha bisogno della mia; quando ho bisogno che ci si occupi di me, mandami qualcuno di cui occuparmi e quando penso solo a me stesso, attira la mia attenzione su un’altra persona. (1° coro) Rendici degni, Signore, di servire i nostri fratelli che in tutto il mondo vivono e muoiono poveri e affamati. (2° coro) Da’ loro, oggi, usando le nostre mani, il loro pane quotidiano e da’ loro, per mezzo del nostro amore comprensivo, pace e gioia. Amen. (Santa Teresa Di Calcutta)

(lettore b): LA CONDIVISIONE

(lettore c) È utile confrontare la reazione dei discepoli, di fronte alla gente stanca e affamata, con quella di Gesù. Sono diverse. I discepoli pensano che sia meglio congedarla, perché possa andare a procurarsi il cibo. Gesù invece dice: date loro

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voi stessi da mangiare. Due reazioni diverse, che riflettono due logiche opposte: i discepoli ragionano secondo il mondo, per cui ciascuno deve pensare a sé stesso; ragionano come se dicessero: "Arrangiatevi da soli". Gesù ragiona secondo la logica di Dio, che è quella della condivisione. (Papa Francesco alla recita dell’Angelus, 03.08.2014) (lettore a): Quante volte noi ci voltiamo da un’altra parte pur di non vedere i fratelli bisognosi! E questo guardare da un’altra parte è un modo educato per dire, in guanti bianchi, "arrangiatevi da soli". E questo non è di Gesù: questo è egoismo. Se avesse congedato le folle, tante persone sarebbero rimaste senza mangiare. Invece quei pochi pani e pesci, condivisi e benedetti da Dio, bastarono per tutti. E attenzione! Non è una magia, è un "segno": un segno che invita ad avere fede in Dio, Padre provvidente, il quale non ci fa mancare il "nostro pane quotidiano", se noi sappiamo condividerlo come fratelli. (Papa Francesco alla recita dell’Angelus, 03.08.2014)

VOCI FEMMINILI

Signore compassionevole e misericordioso, che doni il cibo a quanti te lo chiedono, benedici coloro che lo preparano per noi e rendici capaci di condividere il frutto del nostro lavoro con coloro che ne hanno bisogno. Così che tutti potranno lodarti e ringraziarti ora e sempre.

VOCI MASCHILI Signore Dio nostro, noi ti ringraziamo Per tutto ciò che ci concedi nel tuo amore. Fa che sappiamo procurare del pane a quelli che hanno fame E siamo capaci di destare fame in quelli che hanno del pane.

(tratto da “Preghiere della tavola” comunità di Bose, ed. Qiqaion)

(lettore b): LA EUCARISTIA

(lettore c) il prodigio dei pani preannuncia l’Eucaristia. Lo si vede nel gesto di Gesù che «recitò la benedizione» (v. 19) prima di spezzare i pani e distribuirli alla gente. E’ lo stesso gesto che Gesù farà nell’Ultima Cena, quando istituirà il memoriale perpetuo del suo Sacrificio redentore. Nell’Eucaristia Gesù non dona un pane, ma il pane di vita eterna, dona Sé stesso, offrendosi al Padre per amore nostro. (Papa Francesco alla recita dell’Angelus, 03.08.2014) (lettore a) Noi dobbiamo andare all’Eucaristia con quei sentimenti di Gesù, cioè la compassione e quella volontà di condividere. Chi va all’Eucaristia senza avere compassione dei bisognosi e senza condividere, non si trova bene con Gesù. (Papa Francesco alla recita dell’Angelus, 03.08.2014)

INSIEME Celebrando il memoriale della nostra riconciliazione annunziamo, o Padre, l'opera del tuo amore. Con la passione e la croce hai fatto entrare nella gloria della risurrezione il Cristo, tuo Figlio, e lo hai chiamato alla tua destra, re immortale dei secoli e Signore dell'universo. Guarda, Padre santo, questa offerta: e Cristo che si dona con il suo corpo e il suo sangue, e con il suo sacrificio apre a noi il cammino verso di te. Dio, Padre di misericordia, donaci lo Spirito dell'amore, lo Spirito del tuo Figlio. Fortifica il tuo popolo con il pane della vita

e il calice della salvezza; rendici perfetti nella fede e nell'amore. Donaci occhi per vedere le necessità e le sofferenze dei fratelli; infondi in noi la luce della tua parola per confortare gli affaticati e gli oppressi: fa' che ci impegniamo lealmente al servizio dei poveri e dei sofferenti. La tua Chiesa sia testimonianza viva di verità e di libertà, di giustizia e di pace, perché tutti gli uomini si aprano alla speranza di un mondo nuovo. ( tratto dalla Preghiera Eucaristica 5/c)

(lettore b) COMPASSIONE, CONDIVISIONE, EUCARISTIA

(lettore a) Compassione, condivisione, Eucaristia. Questo è il cammino che Gesù ci indica in questo Vangelo. Un cammino che ci porta ad affrontare con fraternità i bisogni di questo mondo, ma che ci conduce oltre questo mondo, perché parte da Dio Padre e ritorna a Lui. La Vergine Maria, Madre della divina Provvidenza, ci accompagni in questo cammino. (Papa

Francesco alla recita dell’Angelus, 03.08.2014) (insieme) PREGHIERA FINALE

Santa Maria, donna del pane, quando ci vedi brancolare insoddisfatti attorno alle nostre vite stracolme di beni, muoviti a compassione di noi, placa il nostro bisogno di felicità,

e torna a deporre nella mangiatoia, come quella notte facesti a Betlemme, "il pane vivo disceso dal cielo" perché solo chi mangia di quel pane non avrà più fame in eterno. Amen.

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LA CASA COMUNE, MADRE E SORELLA – PREGHIERA DEL MATTINO DELLA DOMENICA 27° Redazione allargata di “Famiglia Domani” – 7.8-11-2015 – Sestri Levante

(GUIDA) Vogliamo iniziare il nostro discernimento domenicale nella dimensione della preghiera, con un atteggiamento di umiltà e di apertura gioiosa e autentica verso la casa comune che ci è stata affidata per la nostra cura responsabile. Una responsabilità che si realizza non solo nella preoccupazione nei confronti della natura, ma nell’attenzione verso tutto ciò che è debole, i più poveri, coloro per i quali nessuno prega, la società che pare abbia smarrito il senso e il significato del suo cammino, la pace interiore unica garanzia per la faticosa realizzazione della pace universale. Ci mettiamo dunque in atteggiamento di ascolto di quanto lo Spirito ci suggerisce e in atteggiamento di lode al Signore di tutte le creature. (CANTO) Laudate omnes gentes (si ripete tre volte) (Laudate, omnes gentes, laudate Dominum ; laudate omnes gentes, laudate Dominum…) (GUIDA) Frate Francesco ci introduce al discernimento:

(LETTORE A) Il Cantico delle creature, di Francesco d’Assisi.

Altissimu, onnipotente, bon Signore,

tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.

Ad te solo, Altissimo, se konfano,

et nullu homo ène dignu te mentovare.

Laudato sie, mi Signore, cum tucte le tue creature,

spetialmente messor lo frate sole,

lo qual è iorno, et allumini noi per lui.

Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:

de te, Altissimo, porta significatione.

Laudato si’, mi Signore, per sora luna e le stelle:

in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.

Laudato si’, mi Signore, per frate vento

Et per aere et nubilo et sereno et omne tempo,

Per lo quale a le tue creature dài sostentamento.

Laudato si’, mi Signore, per sor’aqua,

la quale è molto utile et humile et pretiosa et casta.

Laudato si’, mi Signore, per frate focu,

per lo quale enallumini la nocte:

et ello è bello et iocundo et robustoso et forte.

Laudato si’, mi Signore, per sor nostra madre terra,

la quale ne sustenta et governa,

et produce diversi fructi con coloriti fiori et herba.

Laudato si’, mi Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore

et sostengo infirmitate et tribolazione.

Beati quelli ke ‘l sosterrano in pace,

ka da te, Altissimo, saranno incoronati.

Laudato si’, mi Signore, per sora nostra morte corporale,

da la quale nullu homo vivente può skappare:

guai a quelli che morrano ne le peccata mortali;

beati quelli che troverà ne le tue santissime voluntati,

ka la morte secunda no’l farrà male.

Laudate et benedicete mi Signore et rengratiate

E serviteli cum grande humilitate.

(CANTO) Laudate omnes gentes (si ripete tre volte) (Laudate, omnes gentes, laudate Dominum ; laudate omnes gentes, laudate Dominum…)

(GUIDA) Scriveva Dietrich Bonhoeffer che solo chi ama la terra, in tutta la sua dimensione cosmica, desidera che sia eterna. Tutta la cristianità è sempre stata in bilico tra amore del cielo e amore della terra: Francesco d’Assisi , che pur visse dentro di sé questa crisi, in un tensione continua tra rigore, talvolta addirittura stravagante, e cordialità, tra sospetto e amicizia nei confronti dei beni della terra, la risolse infine in una

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sintesi ascetica che incorpora l’esperienza del dare, della generosità, con quella del ricevere e dell’umiltà: si potrebbe dire un’ascetica di modalità maschile e un’ascetica di modalità femminile, un’ascetica cioè di tipo mistico. (LETTORE B) San Giovanni della Croce insegnava che tutto quanto c’è di buono nelle cose e nelle esperienze del mondo «si trova eminentemente in Dio in maniera infinita o, per dire meglio, Egli è ognuna di queste grandezze che si predicano» (Cántico Espiritual, XIV, 5). Non è perché le cose limitate del mondo siano realmente divine, ma perché il mistico sperimenta l’intimo legame che c’è tra Dio e tutti gli esseri, e così «sente che Dio è per lui tutte le cose» (ibid.). Se ammira la grandezza di una montagna, non può separare questo da Dio, e percepisce che tale ammirazione interiore che egli vive deve depositarsi nel Signore. «Le montagne hanno delle cime, sono alte, imponenti, belle, graziose, fiorite e odorose. Come quelle montagne è l’Amato per me. Le valli solitarie sono quiete, amene, fresche, ombroso, ricche di dolci acque. Per la varietà dei loro alberi e per il soave canto degli uccelli ricreano e dilettano grandemente il senso e nella loro solitudine e nel loro silenzio offrono refrigerio e riposo: queste valli è il mio Amato per me» (ibid. XIV, 6-7). (Francesco, Laudato si’, 234).

(CANTO) Nada te turbe (si ripete tre volte) (Nada te turbe, nada te espante : quien a Dios tiene nada le falta. Nada te turbe, nada te espante : solo Dios basta). (GUIDA) Sì, nulla deve turbare il nostro cuore… Ma come restare insensibili di fronte alle fatiche umane, al pianto dei bambini, al dolore di miliardi di uomini e di donne che non hanno cibo a sufficienza, che non hanno acqua, casa, pace? Come non lasciarci interpellare dai profughi che si affidano al mare senza avere la certezza di trovare un porto sicuro? Dalle donne violentate, buttate sulla strada, defraudate della loro dignità di persone? Come recuperare la coscienza di un’origine comune, di una mutua appartenenza, di un futuro condiviso? Come integrare nella società umana coloro che si accontenterebbero del nostro spreco? Come puntare su un altro stile di vita che dia spazio a tutto questo? (LETTORE C) Dal momento che il mercato tende a creare un meccanismo consumistico compulsivo per piazzare i suoi prodotti, le persone finiscono con l’essere travolte dal vortice degli acquisti e delle spese superflue. Il consumismo ossessivo è il riflesso soggettivo del paradigma tecno-economico. Accade ciò che già segnalava Romano Guardini: l’essere umano «accetta gli oggetti ordinari e le forme consuete della vita così come gli sono imposte dai piani razionali e dalle macchine normalizzate e, nel complesso, lo fa con l’impressione che tutto questo sia ragionevole e giusto» (“La fine dell’epoca moderna”, Brescia 1987, p. 61). Tale paradigma fa credere a tutti che sono liberi finché conservano una pretesa libertà di consumare, quando in realtà coloro che posseggono la libertà sono quelli che fanno parte della minoranza che detiene il potere economico e finanziario. In questa confusione, l’umanità postmoderna non ha trovato una nuova comprensione di se stessa che possa orientarla, e questa mancanza di identità si vive con angoscia. Abbiamo troppi mezzi per scarsi e rachitici fini. (Francesco, Laudato si’, 203).

Salmo 146 (a cori alterni: D = donne; U = uomini)

D. Voglio lodare il Signore.

A lui canterò per sempre, loderò il mio Dio finché avrò vita.

U. Il Signore ha fatto il cielo e la terra,

il mare e tutto quello che esiste; mantiene la sua parola, difende la causa dei perseguitati.

D. Il Signore libera i prigionieri,

dà il pane agli affamati;

il Signore apre gli occhi ai ciechi, rialza chi è caduto e ama gli onesti.

U. Il Signore protegge lo straniero,

difende l’orfano e la vedova e sbarra il cammino agli oppressori.

D. Questo è il tuo Dio, o Sion.

Egli è re in ogni tempo, il suo potere rimane per sempre. Alleluia. Gloria al Signore.

(CANTO) Bonum est confidere (si ripete tre volte) (Bonum est confidere in Domino. Bonum sperare in Domino). (GUIDA) La fiducia e la speranza nel Signore non contraddicono il nostro impegno attivo e responsabile per trasformare in un giardino la terra in cui abitiamo. È l’amore che trasforma; l’amore può trasformare non solo la nostra madre e la nostra sorella terra, ma la stessa nostra identità di esseri umani. Che ci proietta, come raccomandava Gesù a Nicodemo, in una nuova nascita. Che ci orienta, come per Abramo, verso nuovi orizzonti, anche molto lontani, per scoprire la speranza

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dell’Evangelo. E che fa della Chiesa un luogo di amicizia per tutti, soprattutto per coloro che sono oppressi e che si percepiscono stranieri. (LETTORE D) È sempre possibile sviluppare una nuova capacità di uscire da sé stessi verso l’altro. Senza di essa non si riconoscono le altre creature nel loro valore proprio, non interessa prendersi cura di qualcosa a vantaggio degli altri, manca la capacità di porsi dei limiti per evitare la sofferenza o il degrado di ciò che ci circonda. L’atteggiamento fondamentale di auto-trascendersi, infrangendo la coscienza isolata e l’autoreferenzialità, è la radice che rende possibile la cura per gli altri e per l’ambiente, e fa scaturire la reazione morale di considerare l’impatto provocato da ogni azione e da ogni decisione personale al di fuori di sé. Quando siamo capaci di superare l’individualismo , si può effettivamente produrre uno stile di vita alternativo e diventa possibile un cambiamento rilevante nella società. (Francesco, Laudato si’, 208).

Proclamazione dell’EVANGELO (Marco 12, 41-44)

P. Il Signore è con noi T. E con il tuo spirito P. Lettura dall’Evangelo secondo Marco:

Gesù andò a sedersi vicino al tesoro del Tempio e guardava la gente che metteva i soldi nella cassetta delle offerte. C’erano molti ricchi i quali buttavano dentro molto denaro. Venne anche una povera vedova e vi mise soltanto due monetine di rame. Allora Gesù chiamò i suoi discepoli e disse: «Io vi assicuro che questa vedova, povera com’è, ha dato un’offerta più grande di quella di tutti gli altri! Infatti gli altri hanno offerto quel che avevano d’avanzo, mentre questa donna, povera com’è, ha dato tutto quel che possedeva, quel che le serviva per vivere».

P. Parola del Signore! T. Rendiamo grazie a Dio. (insieme) PADRE NOSTRO

(insieme) PREGHIERA A MARIA

O Vergine, bella come la luna, delizia del cielo, madre e sorella di ogni essere umano come la nostra madre e sorella terra, nel cui volto guardano i beati e si specchiano gli angeli, fa che noi, tuoi figli, ti assomigliamo e che le nostre anime ricevano un raggio della tua bellezza, che non tramonta con gli anni, ma che rifulge nell'eternità. O Maria, risveglia la vita dovunque è morte e rischiara gli spiriti dove sono le tenebre. Amen (CANTO) Ubi caritas (si ripete tre volte) (Ubi caritas et amor, ubi caritas, Deus ibi est).

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CANTI

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In ascolto della ParolaIn ascolto della ParolaIn ascolto della ParolaIn ascolto della Parola

La prima moltiplicazione dei pani nell’Evangelo di Matteo

6Quando fu il compleanno di Erode, la figlia di Erodìade danzò in pubblico e piacque

tanto a Erode 7che egli le promise con giuramento di darle quello che avesse chiesto.

8Ella,

istigata da sua madre, disse: «Dammi qui, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». 9Il re si

rattristò, ma a motivo del giuramento e dei commensali ordinò che le venisse data 10e mandò a

decapitare Giovanni nella prigione. 11La sua testa venne portata su un vassoio, fu data alla

fanciulla e lei la portò a sua madre. 12I suoi discepoli si presentarono a prendere il cadavere, lo

seppellirono e andarono a informare Gesù. 13Avendo udito questo, Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo

deserto, in disparte. Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. 14Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i

loro malati. 15Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto

ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». 16Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare».

17Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!».

18Ed egli disse:

«Portatemeli qui». 19E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i

cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla.

20Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via

i pezzi avanzati: dodici ceste piene. 21Quelli che avevano mangiato erano circa

cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini. (Mt 14,13-21)

La seconda moltiplicazione dei pani nell’Evangelo di Matteo

29Gesù si allontanò di là, giunse presso il mare di Galilea e, salito sul monte, lì si

fermò. 30Attorno a lui si radunò molta folla, recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi e

molti altri malati; li deposero ai suoi piedi, ed egli li guarì, 31tanto che la folla era piena di

stupore nel vedere i muti che parlavano, gli storpi guariti, gli zoppi che camminavano e i ciechi che vedevano. E lodava il Dio d’Israele.

32Allora Gesù chiamò a sé i suoi discepoli e disse: «Sento compassione per la

folla. Ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non vengano meno lungo il cammino».

33E i discepoli gli

dissero: «Come possiamo trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così grande?».

34Gesù domandò loro: «Quanti pani avete?». Dissero: «Sette, e pochi

pesciolini». 35Dopo aver ordinato alla folla di sedersi per terra,

36prese i sette pani e i

pesci, rese grazie, li spezzò e li dava ai discepoli, e i discepoli alla folla. 37Tutti

mangiarono a sazietà. Portarono via i pezzi avanzati: sette sporte piene. 38Quelli che

avevano mangiato erano quattromila uomini, senza contare le donne e i bambini. 39Congedata la folla, Gesù salì sulla barca e andò nella regione di Magadàn.

(Mt 15,32-35)

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La prima moltiplicazione dei pani nell’Evangelo di Marco 30Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che

avevano fatto e quello che avevano insegnato. 31Ed egli disse loro: «Venite in disparte,

voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.

32Allora andarono

con la barca verso un luogo deserto, in disparte. 33Molti però li videro partire e

capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero. 34Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché

erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose. 35Essendosi ormai fatto tardi, gli si avvicinarono i suoi discepoli dicendo: «Il luogo è

deserto ed è ormai tardi; 36congedali, in modo che, andando per le campagne e i

villaggi dei dintorni, possano comprarsi da mangiare». 37Ma egli rispose loro: «Voi

stessi date loro da mangiare». Gli dissero: «Dobbiamo andare a comprare duecento denari di pane e dare loro da mangiare?».

38Ma egli disse loro: «Quanti pani avete?

Andate a vedere». Si informarono e dissero: «Cinque, e due pesci». 39E ordinò loro di

farli sedere tutti, a gruppi, sull’erba verde. 40E sedettero, a gruppi di cento e di

cinquanta. 41Prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la

benedizione, spezzò i pani e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero a loro; e divise i due pesci fra tutti.

42Tutti mangiarono a sazietà,

43e dei pezzi di pane

portarono via dodici ceste piene e quanto restava dei pesci. 44Quelli che avevano

mangiato i pani erano cinquemila uomini. (Mc 6,30-44)

La seconda moltiplicazione dei pani nell’Evangelo di Marco

1In quei giorni, poiché vi era di nuovo molta folla e non avevano da mangiare,

chiamò a sé i discepoli e disse loro: 2«Sento compassione per la folla; ormai da tre

giorni stanno con me e non hanno da mangiare. 3Se li rimando digiuni alle loro case,

verranno meno lungo il cammino; e alcuni di loro sono venuti da lontano». 4Gli

risposero i suoi discepoli: «Come riuscire a sfamarli di pane qui, in un deserto?». 5Domandò loro: «Quanti pani avete?». Dissero: «Sette».

6Ordinò alla folla di sedersi

per terra. Prese i sette pani, rese grazie, li spezzò e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero; ed essi li distribuirono alla folla.

7Avevano anche pochi pesciolini;

recitò la benedizione su di essi e fece distribuire anche quelli. 8Mangiarono a sazietà e

portarono via i pezzi avanzati: sette sporte. 9Erano circa quattromila. E li congedò.

10Poi salì sulla barca con i suoi discepoli e subito andò dalle parti di Dalmanutà.

(Mc 8,1-10)

La moltiplicazione dei pani nell’Evangelo di Luca

12Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo:

«Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta».

13Gesù disse loro: «Voi

stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due

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pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». 14C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a

gruppi di cinquanta circa». 15Fecero così e li fecero sedere tutti quanti.

16Egli prese i

cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla.

17Tutti mangiarono a

sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste. (Lc 9, 12-17)

La moltiplicazione dei pani nell’Evangelo di Giovanni

1Dopo questi fatti, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di

Tiberìade, 2e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli

infermi. 3Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli.

4Era vicina la

Pasqua, la festa dei Giudei.

5Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a

Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». 6Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere.

7Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo».

8Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea,

fratello di Simon Pietro: 9«C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci;

ma che cos’è questo per tanta gente?». 10Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta

erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini. 11Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e

lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. 12E quando furono saziati, disse ai suoi

discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». 13Li raccolsero e

riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.

14Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è

davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». 15Ma Gesù, sapendo che venivano a

prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo. (Gv 6,1-15)

La Chiesa della moltiplicazione dei pani a Tabga, sulla riva del Mare di Galilea, Israele

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APPUNTI

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Relazione introduttiva

LA MOLTIPLICAZIONE DEI PANI

Don Carlo Gasperi

(Marco 6, 34–44; Giovanni 6, 1–15)

(Schema della relazione)

Il miracolo della moltiplicazione dei pani è ricordato da tutti e quattro gli evangelisti; cosa che non accade per nessun altro miracolo. Per di più in Marco e Matteo, oltre la prima moltiplicazione dei pani (Mc 6, 34–44; Mt 14, 13–21) abbiamo una seconda moltiplicazione dei pani (Mc 8, 1–10; Mt 15, 32–38). Il racconto giovanneo (6, 1–15) assomiglia molto a quello di Marco (6, 34–44); tuttavia vi sono anche delle notevoli differenze. In tal modo per cogliere tutta la ricchezza teologica di questo miracolo è bene esaminare ambedue i racconti e metterli a confronto. 1. Anzitutto il clima in cui ci si muove è differente. In Marco il fatto

miracoloso risponde a uno stato di necessità: è tardi e la gente ha bisogno di sfamarsi. Mc 6, 35–36: Essendosi ormai fatto tardi, si avvicinarono a

Gesù i suoi discepoli dicendo: “Il luogo è deserto ed è ormai tardi;

congedali, in modo che, andando per le campagne e i villaggi dei dintorni,

possano comprarsi da mangiare”. In Giovanni invece non vi è nulla di simile: l’iniziativa è di Gesù ed è totale e gratuita, ed intende compiere unicamente un gesto di grazia per quel popolo. Non appare alcun stato di necessità. Per Marco, in sostanza, sono i discepoli che richiamano l’attenzione di Gesù sul bisogno della folla; in Giovanni è Gesù che attira l’attenzione dei discepoli.

2. Propria del Vangelo di Giovanni è pure la tonalità festosa; è Pasqua, siamo quindi in primavera. La gente è come invitata a una specie di rito gioioso all’aria aperta. E se pure Marco ricorda che in quel luogo vi era dell’erba verde, Giovanni aggiunge il particolare che vi era “molta” erba, segno primaverile e del tempo pasquale.

3. Proprio di Giovanni è il dialogo di Gesù con Filippo e poi con Andrea. Questo dialogo mette in risalto l’incapacità dell’uomo a risolvere il caso, la situazione di radicale impossibilità nella quale ci si trova: la salvezza è un

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dono, viene da Dio, non dall’uomo. Solo Gesù appaga in pienezza ogni necessità e aspirazione dell’uomo.

4. Nel testo di Giovanni vi sono varie annotazioni che danno al segno dei pani un’accentuazione eucaristica. Ricordiamo come in Giovanni (a differenza dei tre Vangeli sinottici) non sia narrata nell’ultima cena l’istituzione dell’Eucarestia. Gv 6, 11: “Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti”. “Rendere grazie”: abbiamo in Giovanni (come in Marco 8, 6) il verbo che ha la radice del nostro termine “Eucarestia”. Inoltre secondo Giovanni è Gesù in persona che distribuisce a tutti i pani, mentre in Mc 6, 41, più realisticamente e “giudiziosamente”, i pani vengono distribuiti per mezzo dei discepoli. In Mc 14, 22 Gesù nell’ultima cena fu lui che prese il pane, recitò la benedizione (lo stesso verbo di Gv 6, 11), lo spezzò e lo diede ai dodici. Né più né meno fa Gesù per i cinquemila di Giovanni.

5. È di Giovanni la comparsa del ragazzo con pani e pesci, mentre in Marco è detto semplicemente che vi erano disponibili per tante migliaia di persone solo “cinque pani e due pesci”. È pure di Giovanni la precisazione che si tratta di cinque pani “d’orzo”, per indicare il pane dei poveri. Nel “sacrificio” richiesto a questo ragazzo di privarsi del suo piccolo “tesoro” a favore di Gesù per compiere il grande miracolo della moltiplicazione dei pani, noi possiamo scorgere la verità fondamentale che il Signore chiede ad ognuno di compiere la propria parte, di fare quanto è in nostro potere e quanto dal Signore ci viene chiesto. Cinque pani e due pesci sono poco più di nulla. “Che cosa è questo per tanta gente?” (Gv 6, 9). Ma Gesù prese quei pani e li diede a quelli che erano seduti e lo stesso fece dei pesci, quanti ne volevano (Gv 6, 11). Il Signore “parte” dai pani e dai pesci che appartenevano a quel ragazzo per compiere lo strepitoso miracolo.

6. Mc 6, 34–37: a parere dei discepoli di Gesù, quella folla di cinquemila uomini era assolutamente da congedare; e doveva provvedere lei a se stessa. Il comando di Gesù agli apostoli è al contrario: “Voi stessi date loro da mangiare”. La comunità ecclesiale non può assolutamente disinteressarsi di chi ha fame.

7. Ultima notazione eucaristica: in Giovanni, Gesù dà ordine agli Apostoli di raccogliere i pezzi avanzati “perché nulla vada perduto” (Gv 6, 12). È lo stesso gesto che veniva compiuto nella Chiesa delle origini, la quale ben conosceva il valore dei frammenti nella celebrazione eucaristica.

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8. Secondo la folla che è stata testimone di quello strepitoso miracolo,

Gesù è il vero Messia in senso politico sociale, come da tanti in quel momento storico era atteso. Secondo l’evangelista Giovanni la folla vuole prendere il Signore per farlo re. Davanti a questo gesto equivoco, a Gesù non resta altro da fare che fuggire, e “si ritirò di nuovo sul monte lui da solo” (Gv 6, 15). Lui da solo: queste parole che concludono in Gv il miracolo della moltiplicazione dei pani esprimono l’intenzione dell’evangelista: mettere al centro Gesù.

Per saperne di più: Bruno Maggioni, Il racconto di Marco. Cittadella Editrice – Assisi Bruno Maggioni, Il racconto di Giovanni. Cittadella Editrice – Assisi

Carlo Gasperi

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APPUNTI

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APPUNTI

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Primo modulo

HANNO FAME… CONGEDALI

Dante Colli

La Bibbia cita 400 volte il termine pane a iniziare dalla caduta dell'uomo nel Paradiso terrestre e alla conseguente condanna nelle sue attività essenziali: la donna sarà madre e sposa nel dolore e l'uomo dovrà lottare contro una terra divenuta ostile: «...Con il sudore del tuo volto mangerai il pane...». (Gen 3, 17-19). Il disordine che il peccato introduce nell'armonia della creazione lascia anche intravedere un primo barlume di salvezza annunziando un'ostilità tra la razza del serpente e quella della donna: «questa ti schiaccerà la testa…» (Gen 3,15) preparando così l'interpretazione messianica del versetto che molti Padri espliciteranno. Il lungo cammino ci conduce a Gv 6, un capitolo del quarto vangelo che si apre con due miracoli, la moltiplicazione dei pani e il cammino di Gesù sulle acque. Eccezionale il colpo d'occhio: un monte, un prato con l'erba verdeggiante e alta, una folla immensa, i discepoli, un ragazzo, Gesù che siede sulla montagna e la moltitudine che gli si raccoglie attorno. Mostra subito benevolenza verso di lei, ispirato protagonista della cultura dell'incontro, e non possiamo non vedere in questa scena l'immagine del Regno. Tutto il capitolo è un vivacissimo dibattito. Gesù è preso tra due povertà. Da un lato gli Apostoli che di fronte all'avanzata della sera in quel luogo deserto e in evidente imbarazzo non esitano a suggerire a Gesù: «Congedali...» (Lc 9,12; Mc 6,36; Mt 14,15) motivati da esigenze pratiche, ma soprattutto dalla pochezza della loro fede. Solo Giovanni evita l'uso di questo verbo mantenendo Gesù al centro della situazione. Gesù chiede: «Dove possiamo comprare il pane...?» (Gv 6,5). C'è una folla di 5000 persone la cui povertà è evidente e che, muta, gli rivolge la domanda che ci appare come la più naturale di tutte, come recitiamo nel Padre Nostro. «…Il Signore che orienta il nostro sguardo su ciò che è essenziale, sull'unica delle nostre necessità terrene e ci inviterà tuttavia a pregare per il nostro cibo e a trasmettere così la nostra preoccupazione a Dio». (Joseph Ratzinger, Gesù di Nazareth, Rizzoli, Milano 2007). UN VIVACE DIBATTITO Quello che sottolineiamo è l'aspetto dialogico di questa pagina del vangelo di Giovanni che si caratterizza dagli altri vangeli per il quadro complessivo, i racconti, i discorsi, la forma letteraria, la visione teologica. Giovanni è «anche molto raffinato nel costruirne la scenografia. Sono racconti

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da vedere, non soltanto da leggere», ma altrettanto efficace è la capacità di Giovanni di «ragionare in bianco e nero, esprimendosi per opposizioni: vita e morte, verità e menzogna, luce e tenebre» (Bruno Maggioni, La brocca dimenticata, Vita e Pensiero, Milano 1999). Questo dualismo di linguaggio e di concezione si evidenzia costante nei dialoghi di Gesù. L'incontro con Dio però è reso possibile da una disponibilità radicale, senza pregiudizi a percorrere la strada da Lui tracciata, sempre segnata dall'inatteso «…perché questo comporta l'aprirsi alla libertà di una persona» (op. cit.). Possiamo chiederci innanzitutto quale sia l'oggetto del dibattito e possiamo individuare due elementi: il bisogno della folla mentre «il giorno cominciava a declinare» (Lc 9,12) e l'identità di Gesù. Rispetto al primo oggetto c'è alle spalle tutta una cultura biblica: «Un tozzo di pane secco con tranquillità è meglio di una casa piena di banchetti festosi e di disordine» (Pr 17,1); «Indispensabile alla vita sono l'acqua, il pane, il vestito e una casa che serva da riparo» (Sir 29,28); «Dà il tuo pane a chi ha fame» (Tb 4,6). Dio viene spesso rappresentato come Colui che «è fedele per sempre, rende giustizia all'oppresso, dà il pane all'affamato» ( Sal 146,7); «Il Signore vostro Dio è il Dio grande, forte, terribile, che non usa parzialità e non accetta regali, rende giustizia all'orfano e alla vedova, ama il forestiero e gli dà pane e vestito» (Dt 10, 17-18). Il pane, infine, è considerato simbolo di ogni altro elemento culturale e spirituale: «Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» ( Mt 4,4). Il discorso si intreccia tra i protagonisti: la folla, i Giudei increduli, i discepoli, poi andrà via via restringendosi affrontando il secondo tema, quello dell'identità di Gesù. Per quanto ci riguarda, in questa fase iniziale Gesù è mosso dalla premura per la folla di cui interpreta il bisogno. Non indugia nell'organizzazione ed emerge tanto più chiaramente il suo agire sovrano. «Allora ordinò loro di farli mettere tutti a sedere, a gruppi, sull'erba verde...di cento e di cinquanta. Presi i cinque pani e due pesci, levò gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai discepoli perché li distribuissero; e divise i due pesci fra tutti» (Mc 6,39-41). La voce di Cristo sovrasta l'attesa che ha originato un dilagante silenzio, trasmette la parola di Dio che realizza ciò che dice. Non parole vuote e superflue. Moltiplicando i pani e i pesci, Gesù dimostra la sua autorità divina di Cristo. Con la sola forza delle sue parole libera i presenti dal bisogno. La parola di Dio fa stupore, non opprime le persone, libera dalle necessità e dall'orgoglio, cambia il cuore e la vita, ci trasforma con la sua forza redentrice, orienta le nostre inclinazioni. Le parole di Gesù sono un pane autorevole e azione significativa, sono la nuova teologia insegnata con autorità. Il quotidiano contatto con il Vangelo, è la forza che ci converte. LA RISPOSTA DEI PROTAGONISTI La perplessità degli Apostoli e la loro titubanza ad affidarsi completamente a Gesù ci stupisce. Pietro, con il fratello Andrea, faceva parte della classe più povera dei pescatori, quelli che possedevano soltanto una rete, mentre Giacomo e suo fratello Giovanni erano di una classe sociale più elevata e lavoravano con i pescherecci. La vita di Pietro non era esente dal

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bisogno, conosciamo i suoi interventi abituali animati sempre da grande sicurezza e forte pathos. Dopo una ricchissima pesca, ecco che Pietro cade ai piedi di Gesù e dice: «Allontanati da me, Signore, poiché io sono un peccatore!» (Lc 5,8). Riconosce la propria realtà... che «viveva lontano dalla verità di sé» (Anselm Grün, Lottare e amare, Ed. San Paolo, Milano 2004). Ma Pietro è anche un impulsivo, risponde sempre spontaneamente. Citiamo il passo in cui Gesù chiede ai discepoli «chi la gente crede che sia il Figlio dell'uomo»; subito viene la conclusione da Pietro: «Tu sei il Messia, il Figlio del Dio vivente!» (Mt 16,16), e Gesù lo loda. Così quando Gesù chiede ai dodici: «Volete andarvene anche voi?» Simon Pietro gli risponde: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Gv 6,68) «I Vangeli non ci presentano un Pietro noioso – conclude Anselm Grün – ma un Pietro impulsivo, che subito balza in piedi e risponde a quanto gli viene chiesto... un uomo il cui cuore risplende. Questo cuore conosce tutti gli abissi che anch'io sento in me: desiderio, amore, ma anche viltà, paura, sfiducia, tradimento... Pietro corre il rischio di restare ferito. Ma combatte per ciò che sente» (op. cit.). Per tutto questo ci si aspetterebbe, nell'evento della moltiplicazione dei pani e dei pesci, l'intervento di Pietro, così sicuro di sé, pieno d'amore, a volte pauroso, ma anche pieno di fiducia. Resta nascosto ed evita di immergersi nella situazione. Anche degli altri apostoli sembra di avvertire la mancanza, testimoni assenti e neutrali, se non fosse per il Vangelo di Giovanni «il discepolo prediletto che viene descritto in tutto il Vangelo come colui che “vede”, che guarda più in profondità, che riconosce il mistero di Gesù». (Anselm Grün, op. cit.). In Giovanni é Gesù che in attesa della folla, solleva la questione del come procurare cibo per tanta gente. L'ingresso in scena di Filippo a cui Gesù chiede: «Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?» ha lo scopo di metterlo alla prova. La sua risposta è evasiva. Segue l'intervento di Andrea, fratello di Simon Pietro: «C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci; ma che cos'è questo per tanta gente?» (Gv 6, 5-9). Soltanto Giovanni menziona un giovane (o “servo”) e alcuni pani d'orzo. Ma c'è molto di più. Il racconto di Giovanni presenta taluni dettagli tesi a ricordare al lettore l'Eucaristia (cf. Gv 6, 51-58). Molte del resto sono le differenze tra il quarto vangelo e i sinottici: dettagli, precisati da Raymond E. Brown in Il Vangelo e le Lettere di Giovanni (Queriniana, Brescia 1994) e precisamente:

a) solo Giovanni utilizza il verbo eucharisteo, “render grazie” dal quale deriva “eucaristia”;

b) è Gesù stesso che distribuisce i pani, come farà nell'ultima cena; c) riferisce l'ordine di Gesù ai discepoli di raccogliere synago i pezzi

avanzati perché nulla andasse perduto. d) In Marco Gesù ordina ai discepoli di salire sulla barca e precederlo

sull'altra riva (Mc 6, 45); soltanto Giovanni dà la ragione di tanta immediatezza e cioè che la folla voleva prendere Gesù e farlo re.

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Da una parte si erge luminosa la figura del Cristo, dall'altra c'è l'uomo, creatura coi suoi limiti e la sua indigenza. Ci sono anche i discepoli con la loro fede ancora incerta che abbiamo voluto rappresentare con Pietro e Giovanni. Altra sarà la loro storia. Scrive ancora Anselm Grün: «Il discepolo prediletto segue Gesù in altra maniera rispetto a Pietro, il quale con il suo agire trasforma il mondo; Giovanni, è colui che in ogni momento è aperto per Cristo, che viene a lui per abitare presso di lui... Egli trasforma il mondo da mistico» (op. cit.). A TAVOLA CON GESÙ Il pane è centrale nella storia dell'umanità. È il cibo più semplice, se ne lodano le caratteristiche e le peculiarità, la necessità e la versatilità. Condividere il pane vuol dire iniziare un reciproco rapporto, comunicare con l'altro, realizzare un'esperienza che lascia i suoi frutti. Rudyard Kipling scriveva: «Se mangio il tuo pane come potrò dimenticarti?». Pane e vino personificano la Sapienza: «Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato» (Pr 9,5). La sua costante presenza testimonia in modo indiretto sull'unità della scrittura. Ci basti richiamare Eliseo, che ordina di distribuire le primizie che gli vengono offerte, al centinaio di persone affamate che l'attorniano secondo la parola del Signore che lo premia; e anche in questo caso ne avanza (cf. 2 Re 4,42-44), perché il profeta è l'intermediario della parola di Dio. Ma per non allontanarci troppo dal contesto non sono pochi gli episodi del Vangelo in cui Gesù si intrattiene in pranzi; si tratta di occasioni di comunicazioni che hanno cambiato la vita delle persone a cominciare dall'incontro con i primi apostoli sino all'ultima cena che ha cambiato la storia dell'uomo. Il cuore della nostra terra risponderà sempre col pane e col vino alle nostre domande. Che tutto questo si colleghi alla moltiplicazione dei pani e dei pesci è evidente. In questa, e in ognuna delle situazioni ricordate, troviamo dei parallelismi che ci colpiscono e ci emozionano. Innanzitutto Gesù ci fa capire che Lui è il Messia venuto al mondo per portare la gioia e la salvezza a tutti. Questa realtà è rifiutata dai Farisei che chiedono ai discepoli la ragione del «perché il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori». Perentoria la risposta di Gesù: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate e imparate cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9, 10-13). UNA PARABOLA SIGNIFICATIVA Questo piano di Dio è ripresentato nella parabola del banchetto nuziale (Mt 22, 1-14; Lc 14, 15-24) e dagli invitati che non accettano di parteciparvi. Il re indignato ordina ai suoi servi: «... andate ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze». Quanti ne trovarono: buoni e cattivi in Matteo, poveri, storpi, ciechi e zoppi in Luca. Tutti, così come è avvenuto nell'episodio della moltiplicazione dei pani nel quale tutti i 5000 vengono sfamati senza discernere.

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Quei 5000 rappresentano l'umanità. Il Messia è venuto al mondo per portare la gioia e la salvezza. Di tutti si fa servo per servirci con una generosità che solo Dio possiede. Egli non aspetta che gli gridiamo la nostra fame, la previene e provvede a saziarla. Questa la risposta di Dio alla preoccupazione umana, un miracolo che si ripete in noi con l'Eucaristia. La posizione presa dagli apostoli è assai vicina alla nostra sensibilità di cristiani d'oggi, così razionali e di poca fede. Si arriva presto a una conclusione, per la via più breve: «Congedali...». È il peccato dell’indifferenza che produce individualismo, isolamento, ignoranza, egoismo e dunque disimpegno. Non per niente Papa Francesco ha voluto che il tema della 49ª Giornata Mondiale della Pace del prossimo 1° gennaio 2016 fosse “Vinci l’indifferenza e conquista la pace”. La risposta di Gesù è altrettanto immediata. Prepara Lui stesso un banchetto per tutti e richiama gli apostoli all'impegno: «Voi stessi date loro da mangiare». Così inizia la Chiesa alla sua missione. È necessario un comune impegno perché l’indifferenza si può vincere solo affrontando insieme le sfide che si presentano. L'invitato che non ha voluto mettersi l'abito nuziale (fra l'altro fornito dal padrone di casa) verrà legato e gettato fuori nelle tenebre dove «sarà pianto e stridore di denti. Perché molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti» (Mt 22, 11-14). Ancora oggi il miracolo del pane continua a compiersi per farci scoprire con luce nuova che Dio ci dona non solo il necessario, ma molto di più. Dio ci provoca in ogni fase della vita. Basta fidarsi ed essergli fedeli per vedere compiersi le sue meraviglie. Lui ci chiede il coinvolgimento diretto nel donare i pochi pani e pesci e nel distribuire alla folla il suo cibo. Siamo chiamati a un dinamismo di dono, offerte e servizio, come conclude il sussidio «Date voi stessi da mangiare» (A.C.I., Roma, 2012/2013), perché siamo designati a dare il nostro piccolo contributo alla costruzione del Regno e a comprendere fino in fondo che “l'altro” non è un “fardello” da evitare o da sopportare, ma un fratello da soccorrere e amare. Un'ultima osservazione ci riporta alla dialettica iniziale che ha visto Gesù a confronto con due povertà, quella degli apostoli e quella della folla. Abbiamo parlato di parallelismo ed è evidente il richiamo al primo miracolo di Gesù, un altro banchetto, a Cana. Accanto a Lui, sua madre, Maria. Il miracolo per i 5000 si compie come a Cana. Basta fidarsi ed essere fedele a Dio per vedere compiere le sue meraviglie. La vita di chi incontra Dio cambia e ne esce rinnovata, conclude «Và e anche tu fa lo stesso» (A.C.I., Roma, 2006/2007). DACCI OGGI IL NOSTRO PANE QUOTIDIANO Nella valle del Giordano, dal Mar Morto all'Ermon, si sono ritrovati vari falcetti di silice che servivano alla mietitura e giustificano ulteriormente il fatto che gli etnologi e i botanici ritengano la Palestina la culla del frumento. Tutta la Bibbia è piena della storia del grano: dalle messi opulente di Isacco (cf. Gen 26,12), fino a quei campi di grano che Gesù invitava a guardare nelle terre di Sicar: «Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura» (Gv 4,35); dal covone di Giuseppe ritto in

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mezzo agli altri (Gen 37,7) fino a quel chicco di grano che muore di cui parla Gesù (Gv 12,24); dai pani moltiplicati da Elia fino alla dichiarazione sorprendente di Gesù che dice: «Io sono il pane di vita» (Gv 6,35). Il mistero del grano prosegue quando il pane diventa simbolo della Sapienza (Pr 9,15), fino alle parole della consacrazione nella Messa: «Prendete e mangiate questo è il mio Corpo» (Mt 26,26). Ciò che Gesù vuol dare non è un dono, anche se inteso in senso mistico, ma è Lui stesso. Non si può non pensare che l'episodio della moltiplicazione dei pani pone Gesù al centro della questione sociale. Del resto un'interpretazione della parabola del banchetto nuziale immagina due categorie diverse: da una parte i poveri e gli «impuri», dall'altra i pagani. Possiamo allora chiederci quali scelte ha fatto Gesù e non manca l'autore che avanza questo sviluppo consequenziale: «I Vangeli presentano Gesù vivo e attivo non solo per risanare le ferite delle persone e ridare loro dignità, ma soprattutto per correggere anche le situazioni sociali che generano quelle ferite. Attraverso la Parola possiamo scoprire quale sia il suo modo di pensare, il progetto che gli brucia in petto. Le scelte di Gesù partono dai conflitti che attraversano la convivenza sociale del popolo di Israele ai suoi tempi» (Battista Borsato. Chi è Gesù? Quali scelte ha fatto?, 1994). L'autore individua questo primo conflitto in quello esistente tra il centro, identificato in Gerusalemme, sede indiscussa del potere, e la periferia, indicata nella disprezzata e malfamata terra di Galilea. Si chiede poi se Gesù sta dalla parte dei giusti o dei peccatori e la sua scelta per questi ultimi «malgrado le miserie umane, è l'espressione dell'incrollabile fede di Dio nell'uomo» (op. cit.). Il passo successivo è Gesù che si mette dalla parte dei poveri perché «sentì compassione per loro... vuole iniziare una nuova cultura religiosa dove gli ultimi diventino i primi... non vuole sacrifici ma amore e giustizia» (op. cit.) L'autore, poi, fa un affondo assai critico chiedendosi perché la Chiesa ha perso, lungo i secoli, lo smalto profetico di Gesù, ma volendo si potrebbe rispondere citando e percorrendo tre encicliche di riferimento attuale: la Rerum novarum, la Populorum progressio e la Laudato sii, ma l’approfondimento ci porterebbe su un piano critico-storico al di fuori dall'assunto. Senza evitare l'interrogativo appare più appropriato rifarsi all'invito di Gesù «Voi dunque pregate così» per non sprecare parole come i pagani «perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate» (Mt 6, 7-14) ed è la vera preghiera: il Pater. Il tema trova la sua continuità con la quarta domanda del Padre nostro: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano» perché è vero che il mondo si sta restringendo per mancanza di cibo e che questa carestia unisce forzatamente i popoli tra loro; è vero che Dio ha destinato all'umanità l'intero bene del mondo ed è significativo che all'Expo di Milano nel padiglione della santa Sede sia stato posto, al centro, un grande tavolo che sottolinea il valore non solo simbolico del cibo. «Dacci oggi vuol dire che domani torneremo a chiedere. Vuol dire accettare, rallegrarsi, che tutta la nostra vita dipende completamente da Lui. “Come dei viandanti...”. Dio ci ha fatto come dei pellegrini che vivono giorno per giorno» (Louis Evely, Padre Nostro, Ed. Ancora, Milano 1958) similmente a quei cinquemila che lo seguivano. Resta l'atteggiamento diffuso della diffidenza nei confronti della bontà del Padre e la sostanziale inquietudine di

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chi cerca ulteriori sicurezze tormentati da una domanda cruciale: «Che cosa ci aspettiamo da Dio?», e non può esserci che una risposta che solo la fede può dare e in essa incontrare la nostra umanità e la verità di chi siamo in quanto figli del Padre e fratelli dell'Unigenito. LECTIO CONTINUA Nel brano del Vangelo in esame ci sono, concludendo, tre temi fondamentali:

1) il pane, Gesù che sfama, che dà il pane alla gente, come segno attraverso il quale annuncia se stesso, coinvolge e conduce a una crescita per i suoi amici. Da qui è nata la considerazione sul significato simbolico del pane, visione totale nell'approfondimento di Joseph Ratzinger. Da qui la collocazione dell'uomo tra Dio e i beni del mondo. I legami con Dio Creatore hanno una pienezza indiscutibile. Gesù con chiarezza esige la libertà interiore nei confronti della ricchezza che può ostacolare l'ingresso nel Regno di Dio. La frase determinante è: «Cercate prima di tutto il Regno di Dio e la sua giustizia. Tutto il resto vi sarà dato in aggiunta». (Mc 6,33).

2) il secondo tema è la domanda sull'identità di Gesù, cioè la ricerca della gente e dell'idea che si fa la gente di lui (cf. Gv 6,14-15).

3) infine il rapporto che Gesù coltiva con i suoi discepoli. Già abbiamo esaminato il ruolo di alcuni di essi. Il gruppo è reduce dalla partecipazione a una festa a Gerusalemme e da un lungo discorso di Gesù «sull'opera del Figlio» e su un primo rifiuto della Rivelazione (cf. Gv 5, 1-47). In ogni caso I discepoli ci sono stati rappresentati come persone generose, desiderose di fare e di andare, ma anche persone che faticano a capire e a muoversi nella direzione indicata da Gesù. La scena cambia d'un tratto. I discepoli salgono in barca. «C'è un aspetto teologico fondamentale – commenta don Luca Baraldi – Sul più bello Gesù toglie loro la possibilità di gustarsi le congratulazioni finali. Nella storia della salvezza non tutti fanno tutto, qualcuno semina e qualcuno raccoglie. Tale aspetto è fondamentale per uno stile di servizio reale. Questo essere costretti a salire sulla barca è un richiamo alla necessità di compiere quel discernimento personale ed ecclesiale che permette di non credersi l'onnipotente di turno. Il Signore li toglie da quel gustare la gratificazione e li spinge ad andare verso Betsaida» (Centro D, n. 4/265, 2014).

4) I successivi comportamenti della folla sono dettati dall'entusiasmo: «Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati.» ( Gv 6,24-35). Incontriamo qui la comune paura per la sofferenza e per il futuro, il desiderio del popolo di un vero capo. Il Signore non dà risposte evasive.

A conclusione non resta che sottolineare che quanto avvenuto è iniziativa di Gesù; è dono ed è abbondante oltre misura; che l'azione di Gesù non ha confini; la fede cresce nel dubbio, lievito della fede; la vita va vissuta come relazione; la missione della chiesa è di essere profetica non di mostrare la sua regalità.

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La moltiplicazione dei pani è segno eminente della missione messianica del Cristo ed è lo spartiacque del suo cammino verso la croce evidenziando come teologia dell'incarnazione e teologia della croce si intrecciano tra loro. Da quanto passato in rassegna appare chiaro che nel prodotto che chiamiamo pane è contenuto il mistero della Passione, dono del Corpo di Cristo come pane per la vita del mondo.

Dante Colli

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Secondo modulo

VOI STESSI DATE LORO DA MANGIARE

Paolo Borgherini

INTRODUZIONE

Cerchiamo di sviluppare qualche riflessione su questa frase, anche se in realtà è difficile focalizzarsi su una frase di un racconto, senza far riferimento a quanto precede e a quanto segue: è il rischio di enucleare una frase per farla diventare il tutto, mentre il tutto è l’intero racconto. Peraltro ognuna delle frasi scelte per frammentare il racconto ha una sua forza intrinseca che vale la pena approfondire. IL TESTO

Come già fatto rilevare da don Carlo, il segno della moltiplicazione dei pani è ripreso (caso unico) da tutti e quatto i vangeli (in Marco e Matteo addirittura due volte, rispettivamente sulla sponda ebraica e sulla sponda pagana del lago di Tiberiade): questo per sottolineare che l’evento è stato veramente straordinario. Premetto che, per evitare indebiti mixage tra i sei racconti, mi atterrò al testo di Marco (il vangelo più antico), relativamente alla prima moltiplicazione (Mc 6,30-44). Se tralasciamo Giovanni che, come al solito, ha una sua originalità, possiamo subito rilevare che, nei tre sinottici, le condizioni al contorno (ciò che accade prima e dopo) sono simili, ma non identiche; mentre la frase “voi stessi date loro da mangiare”, è riportata in modo identico (almeno nel testo italiano, non ho competenze sul testo greco) da Marco, Matteo e Luca. È un invito, un comando, una provocazione? Cominciamo col rilevare che non si tratta di una prima assoluta. Nel secondo Libro dei Re, al capitolo 4, insieme con altri eventi prodigiosi attribuiti al profeta Eliseo (IX secolo a.C.), si narra: Da Baal-Salisà venne un uomo, che portò pane di primizie all’uomo di Dio: venti pani d’orzo e grano novello che aveva nella bisaccia. Eliseo disse: «Dallo da mangiare alla gente». Ma il suo servitore disse: «Come posso mettere questo davanti a cento persone?». Egli replicò: «Dallo da mangiare alla gente. Poiché così dice il Signore: “Ne mangeranno e ne faranno avanzare”». Lo pose davanti a quelli, che mangiarono e ne fecero avanzare, secondo la parola del Signore. A parte la diversa sproporzione (20 pani per 100 persone, contro 5 pani per 5000 persone) ci troviamo di fronte ad un evento ugualmente prodigioso, ma quello che appare più interessante per il nostro argomento è

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che anche il servo di Eliseo, al pari dei discepoli di Gesù, si oppone subito alla richiesta dichiarandola “impossibile”. LA LOGICA ECONOMICA

A parziale scusante della incomprensione dei discepoli, possiamo rilevare che essi erano di ritorno da una “missione” nei paesi vicini (Mc 6,7-12) e che avevano voglia di parlarne a Gesù (Mc 6,30). Gesù, avvedutosi della loro stanchezza (non avevano avuto nemmeno il tempo per mangiare) e del loro desiderio di raccontarsi, aveva proposto di ritirarsi, loro soli, a riposare in una località isolata. Ma quando vi arrivano, via barca, trovano una folla che li aveva preceduti a piedi. Riposo annullato e racconto rinviato: Gesù, di fronte a una folla, simile a pecore senza pastore, preso da compassione si mise a insegnare loro molte cose (Mc 6,34). Come al solito, Marco non ci mette al corrente dei contenuti degli insegnamenti di Gesù. Possiamo anche capire una certa delusione e una certa impazienza da parte dei discepoli: eravamo venuti qui per stare soli, riposare e parlarti di quello che abbiamo combinato in “missione”; ti sei trovato tutta questa gente e hai voluto accontentarla con la tua parola e il tuo insegnamento; va tutto bene, ma ora torniamo al progetto originale: se vogliamo starcene un po’ soli, congedali, sia perché si è fatto tardi, sia perché tutta questa gente dovrà pure trovare il tempo per procurarsi di che mangiare, dato che qui siamo in un luogo isolato. Uomini di “buon senso”! Alzi la mano chi non avrebbe ragionato allo stesso modo. È qui che il Maestro li spiazza: “voi stessi date loro da mangiare”. Che cos’è: un indovinello, un tranello, una provocazione? La replica non si fa attendere: “ci vogliono almeno 200 denari (il corrispondente di 200 salari giornalieri) per comprare solo il pane necessario”. Di nuovo il “buon senso” dei discepoli, non diverso dal nostro: la logica economica per dare risposta alle situazioni. Che cosa occorre? quanto costa? dove andiamo a procurarcelo? LA LOGICA DEL REGNO

E qui appare tutta la distanza fra la logica dei discepoli e quella di Gesù; tra la logica economica e la logica del dono gratuito, che potremmo anche definire la logica del Regno. Già abbiamo visto come Gesù, arrivato in loco con altri intenti, preso da compassione per la folla, abbandona i suoi propositi, per “nutrire” quelle persone con il suo insegnamento. E il suo nutrimento è tanto efficace che la gente non sente neppure gli stimoli della fame, tanto è vero che non chiede niente: sono i discepoli che si fanno interpreti del loro bisogno, dimostrando, da questo punto di vista, attenzione; smentendo così quanto poco fa, un po’ maliziosamente, avevo addebitato ad impazienza. Apro una parentesi. Consideriamo come la sequenza di questo miracolo, non segua le cadenze cui siamo abituati negli altri racconti di miracoli: non c’è una esplicita dichiarazione di fede, che precede l’intervento

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miracoloso, anche se potremmo considerare una implicita dichiarazione di fede l’ascolto attento delle parole di Gesù; non c’è una richiesta di intervento da parte dei diretti interessati; non c’è nemmeno il tripudio della folla che ha assistito all’evento, dando quasi la sensazione che nessuno se ne sia accorto se non i discepoli stessi. Chiusa parentesi. Ecco allora che Gesù si sente impegnato a completare il dono del nutrimento spirituale con il dono del nutrimento corporale. Ma per fare questo chiede la collaborazione dei discepoli “date voi stessi…”; i quali, bloccati dalla loro logica economica, per la verità non capiscono, ma pur tuttavia obbediscono/si adeguano: cercano la solidarietà di qualcuno più avveduto che si è portato delle provviste da casa; riescono a trovare 5 pani e due pesci; li portano a Gesù, senza avere ancora ben chiaro che cosa potesse farne; Gesù benedice e spezza i pani (una anticipazione dell’ultima cena?) e la affida ai discepoli perché provvedano alla condivisione. PAROLE CHIAVE

A conclusione di questa rapida disamina del racconto, con una particolare focalizzazione sul “date voi stessi…”, mi sembra di cogliere in Marco la preoccupazione di mettere in evidenza il coinvolgimento dei discepoli, posti come intermediari fra il Maestro e la folla. Solo attraverso di loro, il pane che Gesù ha spezzato è offerto alla gente. Il discepolo “sta in mezzo” fra la folla e Gesù e solo attraverso la sua mediazione la gente riceve il pane. Al tempo stesso, indagando sulla logica del Regno, ci sono venuti a galla tre termini: “dono”, “solidarietà”, “condivisione” che possiamo assumere come parole chiave, per una attualizzazione del racconto di moltiplicazione dei pani, giacché è fuor di dubbio che il “date voi stessi…”, riguarda anche noi, persone del primo mondo, rispetto al resto dell’umanità, ed in particolare rispetto a quella consistente quota di umanità che ancora soffre e muore di fame.

Paolo Borgherini

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CINQUE PANI D’ORZO E DUE PESCI

Gabriella Del Signore La moltiplicazione dei pani, nel vangelo di Giovanni, è preceduta dallo sguardo di Gesù che si "alza" verso una grande folla che viene a lui. Gli occhi sono un elemento importante per combattere la durezza del cuore come dice il profeta Isaia: "Perché il cuore di questo popolo si è indurito, son diventati duri di orecchi, e hanno chiuso gli occhi, per non vedere con gli occhi, non sentire con gli orecchi e non intendere con il cuore e convertirsi, e io li risani (Is 6,9-10). Gesù al contrario ha occhi aperti sul mondo ed occhi rivolti al Padre "Quindi, alzati gli occhi al cielo, disse: «Padre, è giunta l'ora, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te" (Gv 17,1). Il volto di Gesù si solleva in entrambi i casi nella contemplazione trinitaria. Nel primo caso Gesù incontra il Volto del Padre nello Spirito attraverso questa folla apparentemente anonima che con fatica lo segue e accorre a lui come pecore senza pastore; nel capitolo 17, invece, il Volto del Padre è contemplato nella ferma volontà di Gesù di dare compimento "all'ora", ovvero nell'amare fino alla fine, fino al margine estremo, fino al tutto. Anche nella moltiplicazione dei pani si pone in atto un amore che giunge al limite estremo: non viene saziata solo una necessità fisica essenziale, ma viene soprattutto "vista" e saziata la fatica di ciascuno, i passi di ciascuno, la debolezza, la disperazione, la forza la costanza di ciascuno. È lo sguardo premuroso su ciascuno che consente alla "folla" di diventare "uomini". Dio ha questo sguardo verso di noi, per lui non siamo "massa", ma figli, tutti, non solo i cristiani, non solo i cattolici, ogni uomo creato e pertanto sua eterna immagine. Ciò che a molti appare come una plebaglia disorganizzata, confusa, difficile da gestire, nello sguardo di Gesù è invece Volto del Padre, gioiello unico del Dio Altissimo. Nell'accoglienza di questa umanità rumorosa e numerosa si compie il giudizio di Dio, un giudizio che divide coloro che si sono fatti carico della "fame" della moltitudine da coloro che si sono alienati da essa (cf. Mt 25 31-46). Accanto a Gesù che contempla la folla ci sono i discepoli e con alcuni Gesù si pone in dialogo e pertanto chiede a Filippo: “…«Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova". Perché proprio Filippo? E perché in seguito sarà Andrea ad unirsi a tale confronto? Chi sono questi interlocutori preferenziali e perché vengono coinvolti più di chiunque altro nel problema della "fame" dei cinquemila? Andrea è stato discepolo di Giovanni Battista; un giorno udendo il Battista affermare di Gesù «Ecco l'agnello di Dio!» (Gv 1,35) aveva iniziato a

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seguire Gesù. Accortosene Gesù aveva chiesto: «Che cercate?» (Gv 1,38); la risposta di Andrea era stata «Rabbì, dove abiti?» (Gv 1,39). In seguito Andrea, primo discepolo, aveva incontrato, " per primo" suo fratello Simone, e lo aveva chiamato alla sequela di Gesù affermando con certezza: «Abbiamo trovato il Messia" (Gv 1,41). E lo condusse a Gesù. Filippo invece, nel vangelo di Giovanni, è il primo apostolo chiamato direttamente da Gesù: "Il giorno dopo Gesù ...incontrò Filippo e gli disse: «Seguimi»(Gv 1,43). Anche Filippo come Andrea condivide la gioia della chiamata: " Filippo incontrò Natanaèle e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazareth». Natanaèle esclamò: «Da Nazareth può mai venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi»(Gv 1,45-46). Dunque i due discepoli sono la "primizia" del nucleo dei seguaci di Gesù. Essi sono stati i primi "comunicatori" della fede in Gesù. Gesù domanda a Filippo come sfamare la folla perché questa folla è lì per un susseguirsi di "vieni e vedi" che proprio lui ed Andrea hanno iniziato. Davanti ai loro occhi il "vieni è vedi", di bocca in bocca, si è trasformato in una moltitudine di cinquemila uomini. Gesù si rivolge a coloro che hanno dato inizio al "contagio" della chiamata. Ma ciò che in un primo momento era stata una lieta condivisione dell'incontro con Gesù ora sembra essere divenuto un "problema" irrisolvibile, faticoso, da arginare attraverso l'istituzionalizzazione del bisogno, la "pianificazione contabile": «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo».La moltitudine rischia di essere percepita non più come Volto di Dio che si avvicina (per ricevere premura e tenerezza, cf. Mt 25, 31-46), ma come "insopportabile" presenza che richiede uno sforzo organizzativo ed economico. Anche oggi la percezione delle folle che giungono alla nostra ormai vecchia Europa, sono avvertite come una realtà faticosa, per alcuni insopportabile; tutto questo perché esse vengono viste come una realtà globale e perciò "anonima", non conosciuta, e pertanto non amate in esclusivo. In esse si percepisce un'aggressione solo per la loro presenza. Tutto questo avviene perché non abbiamo, come Gesù, uno sguardo verso di loro, li vediamo, ma come un tutto; non ci soffermiamo a scrutare lo smarrimento negli occhi, la rabbia nel cuore per aver visto morire i propri amici, per essere scacciati via solo perché nel bisogno. Il Padre invece li vede in modo esclusivo, tenero, non come massa da contare (contiamo arrivi, morti, spese, quote ma nel frattempo sono le persone che non "contano" davvero più nel loro essenziale bisogno di amicizia, di fine del dolore, fine della paura, fine dei "muri" di difesa o peggio ancora di "attacco"). Noi non li "vediamo": però quando preghiamo vogliamo che Dio ci "veda", che ci consideri in modo personale, esclusivo; e quando e siamo nella paura per una malattia o perché temiamo la morte, vogliamo che venga in nostro soccorso in modo particolare, cerchiamo quel soccorso che invece non siamo disposti a donare. Le nazioni, i governi, le comunità si impigliano nella quantificazione delle presenze, per poi immancabilmente trovare qui e là il pretesto di

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respingere, nel migliore dei casi, adducendo motivazioni economiche (Duecento denari di pane non sono sufficienti). Mentre Filippo si "arrovella" nel calcolo dei pani c'è uno sconosciuto, un ragazzo che fino a un attimo prima era "indistinguibile", anonimo tra una folla anonima, che si fa avanti mostrando ad Andrea i suoi cinque pani d'orzo e due pesci. Il ragazzo è un "nessuno" della folla, nessuno conosce il suo volto, la sua storia, nessuno mai la conoscerà, la sua vita ci è sconosciuta come è sconosciuta la vita di tanti umili e invisibili che hanno attraversato la storia senza lasciare apparentemente alcuna traccia in essa, ma che forse sono i 36 giusti che salvano il mondo (una leggenda ebraica narra che nel mondo vi sono trentasei donne e uomini giusti, ignoti al mondo e persino a sé stessi, essi salvano ogni giorno la terra dal rischio della distruzione perché la loro giustizia non consente al male di sovrastare il bene). Il ragazzo ha presumibilmente ascoltato il dialogo tra Gesù e Filippo e si è fatto avanti, si è avvicinato nello stesso modo in cui Andrea si era avvicinato a Gesù, ascoltando frasi non rivolte a lui, ma delle quali si fa carico. Andrea e il ragazzo hanno qualcosa in comune: sono attenti a recepire gli eventi che possono condurre al Maestro. Andrea per un attimo sembra "vedere" il dono del ragazzo come la soluzione al problema della fame dei cinquemila, sembra lasciarsi condurre dalla speranza, ma poi soffoca tale speranza con la "logicità" dell'asserzione "ma che cos'è questo per tanta gente?». I cinque pani sono lì a segnare l'incommensurabile distanza tra la speranza e la concretezza, tra il dono e la pianificazione dei beni materiali. Il ragazzo sconosciuto li offre semplicemente , anche lui è cosciente che ciò che sta offrendo è sproporzionatamente inadeguato per risolvere il problema, ma non è questa inadeguatezza che lo trattiene, egli non vuole "risolvere" tutto vuole solo "condividere" tutto quello che ha con sé. Tutto ciò che facciamo (e perfino noi stessi) è sempre inadeguato, questa mia condivisione con voi del brano evangelico è immensamente inadeguata rispetto alla Parola di Dio, tuttavia attraverso queste piccole gocce inadeguate che reciprocamente offriamo gli uni agli altri si compone l'immensità del mare: nessuno di noi è più grande di una goccia! La moltiplicazione dei pani e dei pesci per i cinquemila è l'incontro tra la smisurata tenerezza onnipotente di Dio e la smisurata e generosa inadeguatezza dei mezzi umani. I cinquemila non vengono sfamati per mezzo di una raccolta di fondi (duecento denari) e tantomeno con una pianificazione socio-politica dell'evento "moltitudine". Essi vengono sfamati dalla condivisione e dalla speranza di uno sconosciuto consegnate nelle mani del Signore buono (se fossimo in grado, ancora oggi, di credere al vangelo non ci sarebbero tante moltitudini di dolore). Il ragazzo non è un burocrate della carità, non è un esperto in finanza, ma è un audace, come solo i giovani sanno esserlo. Egli non spera di sfamare cinquemila uomini, ma spera di sfamarne cinque o forse dieci. Egli non si ritrae nel compie il bene a lui possibile. In questo è il "tutto"! Gesù accoglie questa offerta del poco e la fame di tutti viene saziata!

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Noi dobbiamo, possiamo ringiovanire nella speranza, possiamo rinascere dall'alto, possiamo rivedere le problematiche personali e sociali con la speranza della nostra fede iniziale quando l'audacia del cuore ci spingeva a condividere senza paura ad andare senza trattenere il cuore. Dobbiamo dischiuderci alla vita soprattutto se non siamo più giovani perché abbiamo il dovere, anzi di più, abbiamo il diritto di sperare e vivere compiendo scelte di speranza. Gesù il Signore può e vuole operare la moltiplicazione delle risorse, delle idee, della solidarietà, dell'amore, della gioia anche e soprattutto per noi, uomini di una società triste ripiegata su se stessa. Dobbiamo alzare lo sguardo verso le folle, quelle del nostro tempo, non possiamo attendere le pianificazioni di governi paurosi, dobbiamo seguire lo slancio del cuore offrire noi i nostri pani, i nostri pesci, vincere le proprie consuetudini, dobbiamo mutare il corso della storia, ricominciare a vivere in Cristo Gesù, vedere la realtà con i suoi occhi, vedere l'invasione dei poveri che giunge a noi come un dono, un Volto, il Volto di Dio che ci interpella e attende da noi una condivisione reale, uno sguardo nuovo, un cuore... nuovo!

Gabriella Del Signore

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«RACCOGLIETE I PEZZI AVANZATI, PERCHÉ NULLA VADA PERDUTO»

Francesco Ghia

Hans-Urs von Balthasar, oltre a essere un raffinatissimo teologo, possedeva anche l’estro dell’editore. E, come tutti gli editori che si rispettano, disponeva di un intuito particolare per i titoli. Il titolo di un libro dev’essere evocativo, ma non troppo: ha il compito cioè di richiamare immediatamente l’oggetto trattato, ma nel contempo anche di stimolare la curiosità e la fantasia del lettore. Se si pensa a titoli balthasariani come «Apocalisse dell’anima tedesca», «Teodrammatica», «Solo l’amore è credibile», «Cordula, ovverosia il caso serio» si può facilmente intendere come le espressioni in essi contenute abbiano goduto di una fortuna e di una diffusione con tutta probabilità persino più ampie del numero di persone che quei libri hanno effettivamente letto.

IL TUTTO NEL FRAMMENTO Un caso sintomatico è quello dell’opera «Il tutto nel frammento». Un titolo che, editorialmente parlando, non si sbaglierebbe a definire felicissimo. Sintetico, quasi lapidario, eppure in tutto e per tutto esaustivo. Decisamente, davvero, uno splendido titolo. Chi può negare, infatti, il fascino potentemente seduttivo del frammento? Non è forse vero che, nella storia dell’arte, per esempio, le opere rimaste frammento, le incompiute, siano proprio quelle che maggiormente attirano su di sé l’interesse degli intenditori o anche solo dei semplici appassionati? Tutti proviamo un senso di ammirazione al cospetto della perfezione assoluta della Pietà michelangiolesca in San Pietro: ogni cesellatura del marmo è lì esattamente come deve essere, la materia sembra quasi aver prodotto la forma spontaneamente, tutta da sé. Eppure, quanto magnetismo in più si espande dalla imperfezione e dalla incompiutezza della Pietà Rondanini! Quel che nella Pietà Vaticana è perfezione assoluta, nella Pietà Rondanini appare invece provvisorietà, materia grezza che ha quasi pudore di farsi forma compiuta. Una provvisorietà, tuttavia, che dilata lo sguardo del fruitore: ecco davanti ai nostri occhi una mamma che piange addolorata il suo figlio, morto ammazzato. Che lo sorregge con fatica, con una torsione dei due corpi che si slancia verso l’alto, verso l’infinito. Quella mamma è Maria, ma in quel volto incompiuto ogni donna, ogni madre affranta dal dolore vede rispecchiato il suo e lo completa con le proprie stesse fattezze. In quel pianto strozzato si rispecchia ogni pianto, ogni lacrima versata viene lì raccolta.

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Insomma, il frammento, il non ancora compiuto o non ancora terminato, invoca una collaborazione: è come se nel frammento l’artista chiedesse alla mano e all’occhio del fruitore di completare l’opera. Probabilmente, non è solo una leggenda quella che vuole Michelangelo aver lavorato alla Pietà Rondanini fino ad ancora pochissimi istanti prima di morire… E non avviene la stessa cosa anche con le grandi opere musicali rimaste allo stadio di torso? Con le sinfonie incompiute di Schubert o di Mahler, per esempio? Una melodia accenna un tema, ma il tema d’improvviso si interrompe. Rimane voce spezzata, grido inesaurito. L’orecchio dell’ascoltatore completa l’opera, la fa sua, la riporta alla unità che avrebbe dovuto originariamente avere. Nel frammento, dunque, c’è il tutto. Un tutto da completare, che implora collaborazione e completamento, che denuncia la sua estrema fragilità.

COLLIGITE FRAGMENTA La nuova traduzione della Cei traduce l’espressione greca ta

perisseusanta klasmata di Gv 6,12 con la locuzione «pezzi avanzati». Letteralmente, l’espressione significa «i frammenti in eccesso» (la Vulgata Sixto-Clementina traduce con «quae superaverunt fragmenta»). Non sono un filologo, ma dico che forse sarebbe stata auspicabile, nella nuova traduzione, una versione un po’ più letterale del versetto. In fondo, «frammento» è termine più pregnante di «avanzi»… Come che sia, il lemma «avanzi», «pezzi avanzati» richiama comunque immediatamente l’attenzione del lettore su un aspetto importantissimo, segnalato nella seconda parte del versetto, ossia il «perché nulla vada perduto». Al di là delle implicazioni teologiche di questa seconda parte del versetto, su cui mi soffermerò a breve, vi è qui un invito che ha un significato anche molto pratico e importante. L’idea cioè che è un peccato (e senza esagerazioni si potrebbe intendere qui l’espressione anche nella sua accezione teologica) avanzare il cibo. Siamo in tempi di Expo, e sarebbe quantomeno auspicabile che le masse oceaniche che hanno preso parte a questo evento paraliturgico di ostentazione dell’opulenza e di celebrazione della Vita (ricordiamo tutti il per molti aspetti inquietante «siam pronti alla vita» con cui Renzi l’ha inaugurato!) avessero almeno imparato a portare al cibo un po’ più di rispetto: non sprecarlo, non avanzarlo, non consumarne in eccesso, ricordare sempre che dietro al cibo (al pari di ogni altro mezzo utile a soddisfare i nostri bisogni primari) c’è il sudore e la fatica di qualcuno che, dalla fase iniziale a quella conclusiva, ha lavorato per noi. Quanto sarebbe bello se nelle nostre comunità prendessimo un po’ più alla lettera la splendida sequenza eucaristica del ‘pane degli angeli’: «Ecco il pane degli angeli, pane dei pellegrini, vero pane dei figli: non dev’essere gettato».

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Quanto si insegna ancora nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità a non gettare il pane, ad averne rispetto come qualcosa di sacro, perché c’è in esso lavoro? Ad averne rispetto perché è fragile, può deperire, e perché è precario, oggi c’è, ma domani, sulle nostre tavole, potrebbe anche non esserci più?

LA FRAZIONE DEL PANE «Fragilità» e «frammento» sono parole sorelle. Derivano infatti dalla stessa radice, che indica il «frangere», l’atto dello spezzare. Una cosa fragile si può spezzare facilmente, andare in mille pezzi. Non necessariamente, tuttavia, spezzare ha un significato negativo. Nel caso del pane, per esempio, spezzarlo significa essenzialmente condividerlo. Quanta fraternità in più, quanta, letteralmente, “com-pagnia” in più nel gesto di spezzare il pane insieme, rispetto all’atto in fondo banale del tagliarlo a fette! Nella frazione del pane si ha come l’impressione che nel frammento, nel piccolo pezzo vi sia il tutto, si ha la percezione di ricevere la parte di una totalità che, insieme con gli altri, ci si aiuta a ricostruire. Nella frazione del pane, il pane va mangiato insieme, aspettandosi a vicenda… Non è forse per questa valenza simbolica e nel contempo potentemente reale di ricomposizione del frammento in unità che Gesù si è dato a riconoscere ai discepoli smarriti proprio nell’atto della frazione del pane?

CHE IO NON PERDA NULLA DI QUANTO EGLI MI HA DATO… L’invito di Gesù ai discepoli a raccogliere i frammenti, ossia i pezzi in eccesso, sovrabbondanti, perché nessuno tra essi vada perduto è l’invito rivolto alla Chiesa perché non lasci disperdere neanche una briciola della Grazia sovrabbondante che egli ha sparso con la sua vita, morte e risurrezione. Ora, è interessante che il verbo utilizzato per esprimere il concetto del «perdere», ossia «apoluo», che indica, letteralmente, il «corrompersi», lo «sciogliersi», il «dissolversi», il «perire», sia il medesimo verbo che ritorna, con accenti che lasciano poco spazio per equivocare, alcuni versetti dopo con un rimando chiaramente escatologico: «E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno» (Gv 6, 39). «Che lo risusciti nell’ultimo giorno» (anastēso auto tē[i] eschatē[i] ēmera[i]): perché nulla e nessuno, dunque, vada perduto, occorre raccogliere i frammenti… Dal pane spezzato in abbondanza sorge la Grazia della ricomposizione e re-integrazione di una umanità divisa e smarrita. Il frammento, come si diceva all’inizio, è la parte non conclusa di un’opera aperta. Concluderla spetta ora a ciascuno di noi…

Francesco Ghia

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FE t wÉÅxÇ | vt w x Ä à xÅÑ É É Ü w |Çt Ü | É ÂUÊ

L E T T U R E 1Re 1 7 , 10 - 16 S a l 1 45 ( 1 46 ) E b 9 , 24 - 28 M c 12 , 38 - 4 4

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PRIMA LETTURA - 1Re 17,10-16

10Egli si alzò e andò a Sarepta. Arrivato alla porta della città, ecco una

vedova che raccoglieva legna. La chiamò e le disse: «Prendimi un po’ d’acqua

in un vaso, perché io possa bere». 11Mentre quella andava a prenderla, le

gridò: «Per favore, prendimi anche un pezzo di pane». 12Quella rispose: «Per

la vita del Signore, tuo Dio, non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un po’ d’olio nell’orcio; ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a prepararla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo». 13Elia le disse: «Non temere; va’ a fare come hai detto. Prima però prepara

una piccola focaccia per me e portamela; quindi ne preparerai per te e per tuo

figlio, 14poiché così dice il Signore, Dio d’Israele: “La farina della giara non si

esaurirà e l’orcio dell’olio non diminuirà fino al giorno in cui il Signore manderà

la pioggia sulla faccia della terra”». 15Quella andò e fece come aveva detto

Elia; poi mangiarono lei, lui e la casa di lei per diversi giorni. 16La farina della

giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elia.

SALMO 145 (146)

1 Loda il Signore, anima mia:

2 loderò il Signore finché ho vita, canterò inni al mio Dio finché esisto. 3 Non confidate nei potenti, in un uomo che non può salvare. 4 Esala lo spirito e ritorna alla terra: in quel giorno svaniscono tutti i suoi disegni. 5 Beato chi ha per aiuto il Dio di Giacobbe: la sua speranza è nel Signore suo Dio, 6 che ha fatto il cielo e la terra, il mare e quanto contiene, che rimane fedele per sempre, 7 rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati. Il Signore libera i prigionieri, 8 il Signore ridona la vista ai ciechi, il Signore rialza chi è caduto, il Signore ama i giusti, 9 il Signore protegge i forestieri, egli sostiene l’orfano e la vedova, ma sconvolge le vie dei malvagi. 10 Il Signore regna per sempre,

il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione.

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SECONDA LETTURA – Eb 9,24-28

24Cristo infatti non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo,

figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto

di Dio in nostro favore. 25E non deve offrire se stesso più volte, come il

sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui: 26in questo caso egli, fin dalla fondazione del mondo, avrebbe dovuto

soffrire molte volte. Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se

stesso. 27E come per gli uomini è stabilito che muoiano una sola volta,

dopo di che viene il giudizio, 28così Cristo, dopo essersi offerto una sola

volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza.

VANGELO - MC 12, 38-44

38Diceva loro nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli

scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle

piazze, 39avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei

banchetti. 40Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi

vedere. Essi riceveranno una condanna più severa». 41Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava

monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. 42Ma, venuta una vedova

povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. 43Allora, chiamati a

sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così

povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. 44Tutti infatti hanno

gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

Giovanni Lanfranco, La vedova di Sarepta dà il pane a Elia, Los Angeles, J. Paul Getty Museum

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FrammentiFrammentiFrammentiFrammenti

Il magistero di una donna Marco 12,38-44

C'è un luogo nel tempio dove tutti passano, Gesù siede lì, davanti ai tredici piccoli

forzieri delle offerte, di fronte al sacerdote che controllava la validità delle monete e

dichiarava a voce alta, per la folla, l'importo dell'offerta.

In quel luogo, dove il denaro è proclamato, benedetto, invidiato, esibito, Gesù

osserva invece le persone, e nota tra la folla una vedova, povera e sola: non ha più

nessuno, non è più di nessuno, e perciò è di Dio.

«L'uomo guarda le apparenze, Dio guarda il cuore» (1 Sam 16,7), ed ecco che il

denaro si dissolve, è pura apparenza, il tesoro è la persona.

I poveri chiedono e supplicano, qui un povero non chiede nulla per sé, ma è capace

di dare tutto. Allora Gesù chiama i discepoli e indica un maestro della fede in una

donna povera e sola, capace di dare anche l'ultimo sorso, gli ultimi spiccioli di vita.

Tutti danno del loro superfluo, e i loro beni restano intatti; lei invece dà ciò che ha

per vivere, e le rimane solo Dio. D'ora in poi, se vivrà, lo farà perché

quotidianamente dipendente dal cielo. Ma chi ha il coraggio di dare tutto, non si

meraviglierà di ricevere tutto.

Beati i poveri che non hanno cose da dare, e perciò hanno se stessi da dare. Come

un povero, puoi donare ciò che hai per vivere, ma ancor più ciò che ti fa vivere: le

spinte, le sorgenti, le passioni vitali.

Non c'è vita insignificante o troppo piccola, nessuno è così povero o debole, nessuno

così vuoto o cattivo da non poter donare la ricchezza delle esperienze, le intuizioni,

le forze del cuore, le energie della mente, il segreto della bellezza che ha visto e

goduto, i motivi della sua gioia, i perché della sua fede.

E ricominciamo, con il magistero di una donna, a misurare il mondo non con il

criterio della quantità, ma con quello del cuore. Non c'è nessun capitalismo nella

carità, agli occhi di Colui che guarda il cuore la quantità non è che apparenza. Ciò

che conta non è il denaro ma quanto amore vi è stato messo, quanta vita contiene.

Talvolta tutto il Vangelo è racchiuso in un bicchiere d'acqua fresca, dato solo per

amore; tutta la fede è in due spiccioli, dati con tutto il cuore.

Paolo Zamengo

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FAMIGLIA DOMANI Sussidio per le famiglie, i gruppi-famiglia, le coppie,

coloro che progettano di sposarsi e per chi è impegnato nella pastorale familiare

Il periodico è pubblicato a cura dei CPM (Centri di Preparazione al Matrimonio). Dal 2015 l’editore è GAZZETTA D’ASTI srl. L’abbonamento annuale 2016 (4 numeri di 80 pagine) costa euro 23,50 e può essere effettuato tramite conto corrente postale n. 1014947939 intestato a GAZZETTA D’ASTI s.r.l., oppure su conto corrente bancario: IBAN ���� IT 82C 06085 103 000000000 34 200 Ogni anno viene fissato un tema che viene trattato sotto varie prospettive. I numeri sono monografici. Ogni numero è arricchito da tracce per la revisione di vita, testimonianze, varie rubriche e un dossier di 16 pagine. Alcune pagine autogestite possono inoltre venire utilizzate dagli Uffici Famiglia diocesani, da altre realtà familiari, da Onlus, etc. L’ottica della rivista è formativa e segue il metodo dei CPM “vedere-giudicare-agire”. Propone approfondimenti, motivazioni, suggerimenti, indica cammini di fede, di ricerca e di preghiera.

Programma 2016 Famiglia Domani, affronta nel 2016 il tema de La parabola del seminatore: 1/2016 ���� La strada 2/2016 ���� Le pietre 3/2016 ���� I rovi 4/2016 ���� Il terreno buono Chi è il seminatore? Che cosa rappresentano per la coppia e la famiglia la strada, le pietre, i rovi, e il terreno buono? Un tema importante non solo per chi si occupa di pastorale familiare, per i richiami pastorali che vi sono connessi, ma altresì per tutte le coppie e le famiglie che oggi vivono situazioni complesse e di grande fatica… Famiglie che vanno accolte, accompagnate con discrezione, amate, sostenute, comprese, mai giudicate. Chi siamo noi per giudicarle? I vari temi verranno affrontati nelle consuete prospettive della rivista: psicologiche, antropologiche, sociologiche, etiche, spirituali, pastorali, di esperienza quotidiana e con varie testimonianze di vita vissuta Collaboratori nel 2016: AltritAsti; Anonimo Monferrino; Luigi Binello; Carla e Paolo Borgherini; Battista Borsato; Maria Pia Cavaliere; Lidia e Dante Colli; Michele Consiglio; Paolo Contini; Domenico Cravero; Marianna e Rinaldo Crivello; Vittorio Croce; Lina Dal Covolo; Fulvio De Giorgi; Gianantonio Dei Tos; Gabriella Del Signore; Angela Dessimone; Antonia Fantini; Bruno Ferrero; Ileana Gallo; Francesco Gesualdi; Francesco Ghia; Giorgio Ghia; Guido Ghia; Luigi Ghia; Giuseppe Goisis; Daniela Grassi; Daniele Hosmer; Gianfranco Laiolo; Lidia Maggi; Paola e Valter Mantelli; Marco Massara; Gabriella e Paolo Messina; Paolo Mirabella; Silvana e Luca Molinero; Simone Morandini; Giuliana e Giacomo Mussino; Cinzia e Aldo Panzia Oglietti; Valeria e Tony Piccin; Annamaria e Franco Quarta; Francesco Ravinale; Veronica Salvetti; Giovanni Scalera; Floriano Vassalluzzo; Paolo Zamengo; Federica e Gian Maria Zanoni; Stefano Zerbini.

FORMULA DI ABBONAMENTO

Da gennaio a dicembre 2016 ���� 4 numeri di 80 pagine - Euro 23,50 Abbonamento cumulativo: Famiglia Domani + Gazzetta d’Asti = Euro 80,00

Da versare sul conto corrente postale n. 1014947939 intestato a GAZZETTA D’ASTI s.r.l ., oppure su conto corrente bancario: IBAN ���� IT 82C 06085 103 000000000 34 200.

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