58
02 ovvero. progetti, pensieri, storie, persone, luoghi, racconti, sentimenti, utopie: tutto ciò dentro il campo visivo dell’Accademia di Belle Arti d’Urbino

ACCADE #02

Embed Size (px)

DESCRIPTION

Ovvero. progetti, pensieri, storie, persone, luoghi, racconti, sentimenti, utopie:tutto ciò dentro il campo visivo dell’Accademia di Belle Arti d’Urbino

Citation preview

02ovvero. progetti, pensieri, storie, persone, luoghi, racconti, sentimenti, utopie:tutto ciò dentro il campo visivo dell’Accademia di Belle Arti d’Urbino

1970Anni 1940 1950 1960 1980

CONTIAMOLIetà e provenienza dei professori dell’Accademia di Belle Arti di Urbino

Dia

gram

ma

Vale

rio B

osi,

Die

go G

iust

i

TRADIZIONALE MULTIMEDIALE COBASLID

1970Anni 1940 1950 1960 1980

CONTIAMOLIetà e provenienza dei professori dell’Accademia di Belle Arti di Urbino

Dia

gram

ma

Vale

rio B

osi,

Die

go G

iust

i

TRADIZIONALE MULTIMEDIALE COBASLID

Ed io ho avuto un maestro,ne ho avuto uno, Luciano Anceschi, che ha impersonato la perfetta e umana figura del maestro.Debbo a lui quel che oggi sostanzialmente sono, non solo gli interessi diretti verso l’estetica che insegno, ma il modo di affrontare l’estetica non escludendo la filosofia dell’arte, la coltivazione della critica, degli studi letterari ed artistici tenendo fede all’impostazione fenomeno-logica ricevuta.Dal lato degli interessi spe-ciali che coltivo nelle mie ricerche (che siano inclini più alla teoria o alla storia, alla fenomenologia diretta delle arti che non disprezzo al contrario di molti colleghi italiani) risulta costante-mente un motivo di continu-ità con la lezione di Anceschi. Oggi più che mai, lui assente, sento tutte le corde della mia impostazione vibrare in risonanza con quella ispirazi-one che continua a orientare quel che faccio, come risulta evidentemente dai lavori che pubblico. Il libro più recente è un’edizione critica del capo-lavoro di Francesco Arcangeli, della contestata monografia su Giorgio Morandi che non aveva mai visto la luce nella sua “stesura originaria” (Al-lemandi, 2007). In preparazi-one ho invece l’edizione della corrispondenza epistolare fra Luciano Anceschi e Anto-nio Banfi (il grande filosofo milanese che gli fu maestro) incentrata sulle origini di una nostra estetica novecentesca autonoma da Croce. Molte altre cose sono in pectore (lavori su Argan e una mostra da Fontana a Yvaral che si in-augurerà a Verucchio il pros-simo luglio). Ma tornia

/ Paucis passibus ambulationemonstrata, totum quid sitambulare cognoscet

di Luca Cesari

Penso di essere uno studioso prima che un professore;

e credo lo si avverta.La maggior parte dei

professori a livelloaccademico anche lo è,

naturalmente;ma al novanta per centoognuno è, intimamente,

più l’uno o più l’altro.La sintesi perfetta delle due

identità è incarnata dalla figura del maestro.

Ed io ho avuto un maestro,ne ho avuto uno, Luciano Anceschi, che ha impersonato la perfetta e umana figura del maestro.Debbo a lui quel che oggi sostanzialmente sono, non solo gli interessi diretti verso l’estetica che insegno, ma il modo di affrontare l’estetica non escludendo la filosofia dell’arte, la coltivazione della critica, degli studi letterari ed artistici tenendo fede all’impostazione fenomeno-logica ricevuta.Dal lato degli interessi spe-ciali che coltivo nelle mie ricerche (che siano inclini più alla teoria o alla storia, alla fenomenologia diretta delle arti che non disprezzo al contrario di molti colleghi italiani) risulta costante-mente un motivo di continu-ità con la lezione di Anceschi. Oggi più che mai, lui assente, sento tutte le corde della mia impostazione vibrare in risonanza con quella ispirazi-one che continua a orientare quel che faccio, come risulta evidentemente dai lavori che pubblico. Il libro più recente è un’edizione critica del capo-lavoro di Francesco Arcangeli, della contestata monografia su Giorgio Morandi che non aveva mai visto la luce nella sua “stesura originaria” (Al-lemandi, 2007). In preparazi-one ho invece l’edizione della corrispondenza epistolare fra Luciano Anceschi e Anto-nio Banfi (il grande filosofo milanese che gli fu maestro) incentrata sulle origini di una nostra estetica novecentesca autonoma da Croce. Molte altre cose sono in pectore (lavori su Argan e una mostra da Fontana a Yvaral che si in-augurerà a Verucchio il pros-simo luglio). Ma tornia

/ Paucis passibus ambulationemonstrata, totum quid sitambulare cognoscet

di Luca Cesari

Penso di essere uno studioso prima che un professore;

e credo lo si avverta.La maggior parte dei

professori a livelloaccademico anche lo è,

naturalmente;ma al novanta per centoognuno è, intimamente,

più l’uno o più l’altro.La sintesi perfetta delle due

identità è incarnata dalla figura del maestro.

mo al punto iniziale. Insegno estetica in questa Accademia, e non provo imbarazzo nel dire che insegno filosofia dell’arte (anche quella storica) e scommetto convintamente sulla necessità di avviare un’educazione letteraria che costituisce l’ossatura della presa globale di una cultura artis-tica comunque concepita. Letteraria e filosofica in senso esteso. L’idea che l’istruzione (specialmente teorica) dei nostri studenti debba orientarsi es-clusivamente sul contemporaneo (generalmente confuso con l’attualità-ansa dell’arte) mi ripugna: porta, secondo me, ad una specie di appiattimen-to sul politically correct, a un grande equivoco sulla funzione reale della storia o sul suo “danno”, come direbbe Nietzsche in tutto un altro senso. Proprio di recente Agamben, a proposito della nozione di “contemporaneo”, ci ha ricordato

l’idea nietzscheana dell’“intempestivo”: ciòmediante cui si prende posizione nel presente:“Un uomo intelligente può odiare il suo tempo, ma sa in ogni modo di appartenergli irrevocabil-mente, sa di non poter sfuggire al suo tempo”. Perciò vi aderisce prendendone insieme le dis-tanze. Senza prenderne le distanze, non si potrà mai essere contemporanei del “contemporaneo” che in se stesso è un’entità astratta.È più contemporaneo del suo tempo Bacon o Bal-thus? Ovviamente né l’uno né l’altro ed entrambi. Il secolo appena nato – continua Agamben – ha la “schiena rotta” e solo in tali condizioni si volge al passato. Bene: i contemporanei, Bacon e Bal-thus, sono le “vertebre spezzate” che guardano al passato vivendo nel presente e nel presente non potendo assolutamente vivere.

mo al punto iniziale. Insegno estetica in questa Accademia, e non provo imbarazzo nel dire che insegno filosofia dell’arte (anche quella storica) e scommetto convintamente sulla necessità di avviare un’educazione letteraria che costituisce l’ossatura della presa globale di una cultura artis-tica comunque concepita. Letteraria e filosofica in senso esteso. L’idea che l’istruzione (specialmente teorica) dei nostri studenti debba orientarsi es-clusivamente sul contemporaneo (generalmente confuso con l’attualità-ansa dell’arte) mi ripugna: porta, secondo me, ad una specie di appiattimen-to sul politically correct, a un grande equivoco sulla funzione reale della storia o sul suo “danno”, come direbbe Nietzsche in tutto un altro senso. Proprio di recente Agamben, a proposito della nozione di “contemporaneo”, ci ha ricordato

l’idea nietzscheana dell’“intempestivo”: ciòmediante cui si prende posizione nel presente:“Un uomo intelligente può odiare il suo tempo, ma sa in ogni modo di appartenergli irrevocabil-mente, sa di non poter sfuggire al suo tempo”. Perciò vi aderisce prendendone insieme le dis-tanze. Senza prenderne le distanze, non si potrà mai essere contemporanei del “contemporaneo” che in se stesso è un’entità astratta.È più contemporaneo del suo tempo Bacon o Bal-thus? Ovviamente né l’uno né l’altro ed entrambi. Il secolo appena nato – continua Agamben – ha la “schiena rotta” e solo in tali condizioni si volge al passato. Bene: i contemporanei, Bacon e Bal-thus, sono le “vertebre spezzate” che guardano al passato vivendo nel presente e nel presente non potendo assolutamente vivere.

Bacon in proposito ha parlato di “ottimismodel nulla”. E Balthus si è circondato di grazie giapponesi nel buen retiro svizzero dove pochi anni fa è morto, per attorniarsi solo di un mon-do di bellezza. Sì, insegno la filosofia dell’arte, anche quella “storica”. Penso all’esempio di un uomo eccezionale come Arcangeli che con gesto intempestivo ricomponeva la colonna vertebrale dello svolgimento dell’arte emiliano-bolognese da Wiligelmo a Morandi con la schie-na che urlava per le fratture del suo corpo di contemporaneo inattuale, immerso nell’oscuro substrato schopenhaueriano del suo sentimento irrazionale della natura.O come Giulio Carlo Argan (l’antipode di Arcan-geli) che in epoca di già incipiente post-moder-nità esaltava il dettato razionale di una “storia moderna dell’arte” non di una “storia dell’arte moderna”. Per questo tengo corsi dove si affron-tano prevalentemente le nozioni centrali della

storia dell’estetica, anche recentissima.Il corso che tengo quest’anno è visto dall’angolazione della produzione intellettuale-riflessiva degli artisti.Come reagisce l’arte, a cominciare dal magistrale documento epistolare delle lettere di Van Gogh, alla profezia circa la morte dell’arte di Hegel (con cui ha inizio la moderna filosofia dell’arte) e a quella sulla morte di Dio da parte di Nietz-sche? Da qui, tutto un discorso che porta ad affrontare la letteratura “seconda” degli artisti. Con molta modestia insegnare, per me, vuol dire indicare (lo affermava anche S. Agostino nel De Magistro). Essere un punto d’appoggio, forse non importante, qualcuno che si è incontrato, in un dato tempo della vita, e dal quale si è avuto almeno uno sprazzo nella tenebra.

“Mostragli pochi passi di cammino, capirà che cosa sia camminare in generale”.

Luca Cesari è un noto scrittore di poesie ed anche un critico e curatore di varie edizioni letterarie. Dirige per le edizioni Scheiwiller la collana dei Quaderni della Fondazione G. Arcangeli. Insegna nel corso di Estetica all’Accademia di Belle Arti di Urbino. Il corso: Congedo del viaggiatore cerimonioso nell’età degli immateriali, prende il titolo dall’omonima raccolta di versi di Giorgio Caproni edita nel 1965, questo Congedo recita una sor-ta di emblematica dimissione dell’uomo, quasi un concludersi del suo tragitto storico (e metafisico), dinanzi all’espansione del mondo tecnico moderno che trasforma, con lui, l’ambito della conoscenza e della civiltà.Il corso si propone di analizzare la linea contraddittoria delle reazioni a questo tipo di mutazione in atto.

Bacon in proposito ha parlato di “ottimismodel nulla”. E Balthus si è circondato di grazie giapponesi nel buen retiro svizzero dove pochi anni fa è morto, per attorniarsi solo di un mon-do di bellezza. Sì, insegno la filosofia dell’arte, anche quella “storica”. Penso all’esempio di un uomo eccezionale come Arcangeli che con gesto intempestivo ricomponeva la colonna vertebrale dello svolgimento dell’arte emiliano-bolognese da Wiligelmo a Morandi con la schie-na che urlava per le fratture del suo corpo di contemporaneo inattuale, immerso nell’oscuro substrato schopenhaueriano del suo sentimento irrazionale della natura.O come Giulio Carlo Argan (l’antipode di Arcan-geli) che in epoca di già incipiente post-moder-nità esaltava il dettato razionale di una “storia moderna dell’arte” non di una “storia dell’arte moderna”. Per questo tengo corsi dove si affron-tano prevalentemente le nozioni centrali della

storia dell’estetica, anche recentissima.Il corso che tengo quest’anno è visto dall’angolazione della produzione intellettuale-riflessiva degli artisti.Come reagisce l’arte, a cominciare dal magistrale documento epistolare delle lettere di Van Gogh, alla profezia circa la morte dell’arte di Hegel (con cui ha inizio la moderna filosofia dell’arte) e a quella sulla morte di Dio da parte di Nietz-sche? Da qui, tutto un discorso che porta ad affrontare la letteratura “seconda” degli artisti. Con molta modestia insegnare, per me, vuol dire indicare (lo affermava anche S. Agostino nel De Magistro). Essere un punto d’appoggio, forse non importante, qualcuno che si è incontrato, in un dato tempo della vita, e dal quale si è avuto almeno uno sprazzo nella tenebra.

“Mostragli pochi passi di cammino, capirà che cosa sia camminare in generale”.

Luca Cesari è un noto scrittore di poesie ed anche un critico e curatore di varie edizioni letterarie. Dirige per le edizioni Scheiwiller la collana dei Quaderni della Fondazione G. Arcangeli. Insegna nel corso di Estetica all’Accademia di Belle Arti di Urbino. Il corso: Congedo del viaggiatore cerimonioso nell’età degli immateriali, prende il titolo dall’omonima raccolta di versi di Giorgio Caproni edita nel 1965, questo Congedo recita una sor-ta di emblematica dimissione dell’uomo, quasi un concludersi del suo tragitto storico (e metafisico), dinanzi all’espansione del mondo tecnico moderno che trasforma, con lui, l’ambito della conoscenza e della civiltà.Il corso si propone di analizzare la linea contraddittoria delle reazioni a questo tipo di mutazione in atto.

ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI URBINO

GUARDALONTANOVISITING, SEMINARI, CONFERENZE

volgere, fissare lo sguardo su “qualcosa”,su “qualcuno”; guardare... un paesaggio... una città...i passanti, guardarsi dentro, sentirsi... ;essere lontano dal percepire l’arrivo, ma sempre abbastanza vicini per immaginarlo, permettendoci superare i limiti del pensiero e di “scrutare” nuove strade.Percepire, osservare, studiare, progettare, vivere.Guardare lontano ci mostra direzionipossibili verso cui volgere la nostraattenzione, è una mappa, una segnaletica, una guida, un percorso vita, un momento di riflessione e di confronto; diversi punti di vista che partono da un pressante presente verso un’ incalzante e sfuocato futuro.In pochi sono dotati di lenti speciali per Guardare Lontano, e chi ancora non ne fosse in possesso, potrà trovarle più vicino di quanto egli creda al solo costo di undesiderio, un’ obiettivo, un’ideale,un progetto.

GUARDARE LONTANO SIGNIFICA:

/ guardalontano 1, 2, 3

Giulia Giordani

Diego Giusti

ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI URBINO

GUARDALONTANOVISITING, SEMINARI, CONFERENZE

volgere, fissare lo sguardo su “qualcosa”,su “qualcuno”; guardare... un paesaggio... una città...i passanti, guardarsi dentro, sentirsi... ;essere lontano dal percepire l’arrivo, ma sempre abbastanza vicini per immaginarlo, permettendoci superare i limiti del pensiero e di “scrutare” nuove strade.Percepire, osservare, studiare, progettare, vivere.Guardare lontano ci mostra direzionipossibili verso cui volgere la nostraattenzione, è una mappa, una segnaletica, una guida, un percorso vita, un momento di riflessione e di confronto; diversi punti di vista che partono da un pressante presente verso un’ incalzante e sfuocato futuro.In pochi sono dotati di lenti speciali per Guardare Lontano, e chi ancora non ne fosse in possesso, potrà trovarle più vicino di quanto egli creda al solo costo di undesiderio, un’ obiettivo, un’ideale,un progetto.

GUARDARE LONTANO SIGNIFICA:

/ guardalontano 1, 2, 3

Giulia Giordani

Diego Giusti

GUARDARE LONTANO CI MOSTRA DIREZIONI POSSIBILI VERSO CUI VOLGERE LANOSTRA ATTENZIONE

Nato quattro anni fa all’ultimo piano dell’accademia nella sede operativa di Campivisivi, Guardalontano è il coraggioso frutto di un bisogno, di un desiderio e di un’esigenza di confrontarsi ed apprendere attingendo a piene mani dalla conoscenza di professionisti, designer, filosofi, mu-sicisti, illustratori che si sono susseguiti nel corso delle conferenze organizzate in questi anni. Guardare lontano per allargare i campi visivi, aprirsi all’esterno per ar-ricchirsi dentro. Questo lo spirito con cui vengono organizzate le conferenzeed i workshop di Guarda Lontano.Seguendo questo intento ogni anno è organizzata una settimana di lavorocarat-terizzata da un tema inizialmente affron-tato con un dibattito frontale, attraverso il coinvolgimento di relatori esterni alla “comunità” di Urbino, per creare unconfronto tra realtà differenti rispettoalla nostra attuale condizione di studenti.

“LAVORARE IN GRUPPO È PIÙ DIFFICILEPERCHÈ DEVI IMPARARE A REAGIREAL GIUDIZIO DELLE PERSONECHE STANNO CON TE”

GUIDO SCARABOTTOLO

GUARDARE LONTANO CI MOSTRA DIREZIONI POSSIBILI VERSO CUI VOLGERE LANOSTRA ATTENZIONE

Nato quattro anni fa all’ultimo piano dell’accademia nella sede operativa di Campivisivi, Guardalontano è il coraggioso frutto di un bisogno, di un desiderio e di un’esigenza di confrontarsi ed apprendere attingendo a piene mani dalla conoscenza di professionisti, designer, filosofi, mu-sicisti, illustratori che si sono susseguiti nel corso delle conferenze organizzate in questi anni. Guardare lontano per allargare i campi visivi, aprirsi all’esterno per ar-ricchirsi dentro. Questo lo spirito con cui vengono organizzate le conferenzeed i workshop di Guarda Lontano.Seguendo questo intento ogni anno è organizzata una settimana di lavorocarat-terizzata da un tema inizialmente affron-tato con un dibattito frontale, attraverso il coinvolgimento di relatori esterni alla “comunità” di Urbino, per creare unconfronto tra realtà differenti rispettoalla nostra attuale condizione di studenti.

“LAVORARE IN GRUPPO È PIÙ DIFFICILEPERCHÈ DEVI IMPARARE A REAGIREAL GIUDIZIO DELLE PERSONECHE STANNO CON TE”

GUIDO SCARABOTTOLO

“L’UNICA RESPONSABILITÀDELL’ARTISTA È L’ESSEREIRRESPONSABILE”0100101110101101.ORG

Il tutto termina poi con un confronto diretto e pratico nelle intense giornate dedicate ai workshop. Nel corso del primo anno è stato affrontato il tema della Città. Questi spazi ridotti ad un ruolo marginale, unicamente scenografico in cui l’uomo preferisce intervenire su ciò che già esiste, su ciò che è concreto, evitando di contare su un futuro prossimo troppo incerto.Un tema che ha posto molti quesiti sulla nostra posizione all’interno di questerealtà, offrendoci nuove suggestioni e spunti di lavoro che hanno protratto l’analisi di questo tema anche nel corso della seconda edizione delle conferenze.In questi due primi cicli, al microfono di Guardalontano, si sono susseguiti i nomi di: Mario Piazza, Carlo Branzaglia, Mirko Pajè, Ruggero Pierantoni, Guido Scarabot-tolo, Mauro Bubbico, Pier Luigi Cervellati, Pietro Palladino, 0100101110101101.orge molti altri. Guardalontano/3 ha puntato l’attenzione su di un argomento dal carat-tere immateriale legato al Sentire il pro-getto. Un ripido percorso tra arte, tecnica e filosofia, che puntava a delineare i labili confini tra pensiero filosofico e progetto, mostrando che quest’ultimo, su piano

“L’UNICA RESPONSABILITÀDELL’ARTISTA È L’ESSEREIRRESPONSABILE”0100101110101101.ORG

Il tutto termina poi con un confronto diretto e pratico nelle intense giornate dedicate ai workshop. Nel corso del primo anno è stato affrontato il tema della Città. Questi spazi ridotti ad un ruolo marginale, unicamente scenografico in cui l’uomo preferisce intervenire su ciò che già esiste, su ciò che è concreto, evitando di contare su un futuro prossimo troppo incerto.Un tema che ha posto molti quesiti sulla nostra posizione all’interno di questerealtà, offrendoci nuove suggestioni e spunti di lavoro che hanno protratto l’analisi di questo tema anche nel corso della seconda edizione delle conferenze.In questi due primi cicli, al microfono di Guardalontano, si sono susseguiti i nomi di: Mario Piazza, Carlo Branzaglia, Mirko Pajè, Ruggero Pierantoni, Guido Scarabot-tolo, Mauro Bubbico, Pier Luigi Cervellati, Pietro Palladino, 0100101110101101.orge molti altri. Guardalontano/3 ha puntato l’attenzione su di un argomento dal carat-tere immateriale legato al Sentire il pro-getto. Un ripido percorso tra arte, tecnica e filosofia, che puntava a delineare i labili confini tra pensiero filosofico e progetto, mostrando che quest’ultimo, su piano

LAVORARE IN GRUPPOÈ UN’ESPERIENZAFORMATIVA RICCA DI STIMOLI E QUESTI WORKSHOP NE SONO SICURAMENTE LA CONFERMA

ascoltare determinati temi considerandoli troppo lontani a noi e per fare ciò occorre preparare anche il nostro corpo a sentire davvero, rendere nostre sensazioni scono-sciute, sentendoci parte integrante di una città, di un progetto o di un ambiente.Tutti questi sforzi non risulteranno vani, anzi, ci costringeranno ad affrontare diret-tamente i nostri limiti e a superarli in qual-che modo.Ogni volta che si conclude un ciclo diconferenze ci si scopre nuovi, più arricchiti e stimolati a non fermarsi a ciò che è aportata di mano.Dopo ormai quattro edizioni, Guardalon-tano è parte integrante del percorsoformativo dell’Accademia e del biennio in Visual Design. Un’esperienza di rilievo per qualunque studente disposto a focalizzare meglio un’obiettivo, un’ideale, un progetto, esaltando la propria voglia di imparare e confrontarsi.

pratico, non si arrende dinanzi alledifficoltà, ripiegando unicamente sulsupporto della tecnica. Il valore del silen-zio, del sentire il progetto e sulle sensazioni che scaturiscono dalla volontà di ascoltarsi e prendere coscienza delle proprie scelte nel campo della progettualità. Questa terza edizione è stata caratterizzata dalla col-laborazione dell’Accademia di Belle Arti di Urbino con la vicina Isia, sinergia creata dallo sforzo di Beppe Chia e Marcello Signorile, che anche per questo ciclo di conferenze hanno assicurato la presenza di relatori autorevoli quali Enzo Mari, Mauro Vespa, Walter Branchi e Franco Bertossa e altrettanto stimolanti i nomi che hanno articolato i workshop ne sono sicuramente la conferma. In pochi giorni si produce e si impara moltissimo, scambiandosi idee e pareri con persone sconosciute e tutto ciò amplia le conoscenze di ognuno e permette di sviluppare un senso critico ed estetico più profondo.Guardare Lontano è anche questo.Preventivare uno sforzo considerevole, sia psicologico che fisico. All’inizio non si è pronti ne capaci di vedere certe cose o

“IO SONO UN SOLDATO. SIAMOIN GUERRA FRA CHI VUOL MIGLIORAREIL MONDO E FRA CHI PENSA CHE IL MONDO VADA BENE COSÌ...SE SIAMO IN GUERRA CON IL MONDOÈ UN PROBLEMA DI ARMI,DI EFFICIENZA E QUINDI DI QUALI ARMIPROGETTARE, REALIZZARE”ENZO MARI

LAVORARE IN GRUPPOÈ UN’ESPERIENZAFORMATIVA RICCA DI STIMOLI E QUESTI WORKSHOP NE SONO SICURAMENTE LA CONFERMA

ascoltare determinati temi considerandoli troppo lontani a noi e per fare ciò occorre preparare anche il nostro corpo a sentire davvero, rendere nostre sensazioni scono-sciute, sentendoci parte integrante di una città, di un progetto o di un ambiente.Tutti questi sforzi non risulteranno vani, anzi, ci costringeranno ad affrontare diret-tamente i nostri limiti e a superarli in qual-che modo.Ogni volta che si conclude un ciclo diconferenze ci si scopre nuovi, più arricchiti e stimolati a non fermarsi a ciò che è aportata di mano.Dopo ormai quattro edizioni, Guardalon-tano è parte integrante del percorsoformativo dell’Accademia e del biennio in Visual Design. Un’esperienza di rilievo per qualunque studente disposto a focalizzare meglio un’obiettivo, un’ideale, un progetto, esaltando la propria voglia di imparare e confrontarsi.

pratico, non si arrende dinanzi alledifficoltà, ripiegando unicamente sulsupporto della tecnica. Il valore del silen-zio, del sentire il progetto e sulle sensazioni che scaturiscono dalla volontà di ascoltarsi e prendere coscienza delle proprie scelte nel campo della progettualità. Questa terza edizione è stata caratterizzata dalla col-laborazione dell’Accademia di Belle Arti di Urbino con la vicina Isia, sinergia creata dallo sforzo di Beppe Chia e Marcello Signorile, che anche per questo ciclo di conferenze hanno assicurato la presenza di relatori autorevoli quali Enzo Mari, Mauro Vespa, Walter Branchi e Franco Bertossa e altrettanto stimolanti i nomi che hanno articolato i workshop ne sono sicuramente la conferma. In pochi giorni si produce e si impara moltissimo, scambiandosi idee e pareri con persone sconosciute e tutto ciò amplia le conoscenze di ognuno e permette di sviluppare un senso critico ed estetico più profondo.Guardare Lontano è anche questo.Preventivare uno sforzo considerevole, sia psicologico che fisico. All’inizio non si è pronti ne capaci di vedere certe cose o

“IO SONO UN SOLDATO. SIAMOIN GUERRA FRA CHI VUOL MIGLIORAREIL MONDO E FRA CHI PENSA CHE IL MONDO VADA BENE COSÌ...SE SIAMO IN GUERRA CON IL MONDOÈ UN PROBLEMA DI ARMI,DI EFFICIENZA E QUINDI DI QUALI ARMIPROGETTARE, REALIZZARE”ENZO MARI

sigla GL 1 evento workshop GL 3 laura safred gianni lavacchini allestimento GL 2

vittorio bergamaschi carlo branzaglia marco signorini pier luigi capucci pier luigi cervellati

stefano dal tin evento GL 3 mauro bubbico sigla GL 3 giandomenico semeraro

roberto paci dalò franco bertossa walter branchi enzo mari mario vespa

otolab alberta pellacani elio grazioli sandra lischi 0100101110101101.org

mirko pajé mario piazza pietro palladino ruggero pierantoni guido scarabottolo

sigla GL 1 evento workshop GL 3 laura safred gianni lavacchini allestimento GL 2

vittorio bergamaschi carlo branzaglia marco signorini pier luigi capucci pier luigi cervellati

stefano dal tin evento GL 3 mauro bubbico sigla GL 3 giandomenico semeraro

roberto paci dalò franco bertossa walter branchi enzo mari mario vespa

otolab alberta pellacani elio grazioli sandra lischi 0100101110101101.org

mirko pajé mario piazza pietro palladino ruggero pierantoni guido scarabottolo

/ guarda lontano 4

IN UN’EPOCA IN CUI ANCHE L’ULTIMO ANGOLO DEL GLOBO TERRESTRE È STATOCONQUISTATO DALLA TECNICA ED È DIVENTATO ECONOMICAMENTE SFRUTTABILE [...]LA DECADENZA SPIRITUALE DELLA TERRA È COSÌ AVANZATA CHE I POPOLI RISCHIANO DI PERDERE L’ESTREMA FORZA DELLO SPIRITO, QUELLA CHE PERMETTEREBBE ALMENO DI VALUTARE COME TALE QUESTA DECADENZA.MARTIN HEIDEGGER

TERRAAMBIENTE, IDENTITÀ, RESPONSABILITÀ

fabrizio rebagliati

fabian negrin

gea

imago mundi

/ guarda lontano 4

IN UN’EPOCA IN CUI ANCHE L’ULTIMO ANGOLO DEL GLOBO TERRESTRE È STATOCONQUISTATO DALLA TECNICA ED È DIVENTATO ECONOMICAMENTE SFRUTTABILE [...]LA DECADENZA SPIRITUALE DELLA TERRA È COSÌ AVANZATA CHE I POPOLI RISCHIANO DI PERDERE L’ESTREMA FORZA DELLO SPIRITO, QUELLA CHE PERMETTEREBBE ALMENO DI VALUTARE COME TALE QUESTA DECADENZA.MARTIN HEIDEGGER

TERRAAMBIENTE, IDENTITÀ, RESPONSABILITÀ

fabrizio rebagliati

fabian negrin

gea

imago mundi

L’importanza di chiamarsi come un villaggio albanese vicino a BeratCome qualmente Luciano dialogando conPerondi si accorse dell’inutilità della tipografiae del curioso sofismo

Luciano: Torniamo, disse Luciano, al nostro argomento.

Perondi: Quale? Cacare?

L: Ma no, la tipografia!

P: Ma paghereste una mezza brenta di vin di Brettagna, se io vi mettessi con le spalle al muro sull’argomento?

L: Volentieri.

P: Non è possibile la tipografia, se prima non si è ben pensato alla scrittura.

L: Oh quanto senno! Uno di questi giorni ti promuoveranno dottore alla Sorbona ché hai più saviezza che anni. Ma seguita ora, ti prego, l’argomento tipograficulativo.

P: Ego sic argumentor. Onnis tipographiatipographabilis in tipographerio tipographando tipographans tipographativo tipographare fecit tipographabiliter tipographantes. Perondus ha-bet tipographias. Ergo gluc!Ah, per la tipografia! passò quel tempo che facevo il diavolo a quattro in argomentare tipografico. Presentemente non fo che farneticare: d’ora in-nanzi null’altro mi conviene che buon vino, buon letto, buon fuoco alle spalle, il ventre a tavola e scodella ben profonda.

L: Non traccheggiare nella tua turpitudine im-monda. Vieni tosto al dunque.

P: D’accordo, per Bodoni, riprendiamo. Imparai l’alfabeto così bene che lo recitavo a memoriaanche alla rovescia. Intanto imparavo a scrivere con caratteri gotici, ché l’arte della stampa non usava ancora. E pure quando la stampa fu intro-dotta, imparavo a destreggiarmi con le curve di grado terzo e di secondo (vir sapiens non abhor-rebit eam). Mi avvidi però che da codesti inseg-namenti non traevo profitto anzi, ciò ch’è peggio, ne diventavo matto, cretino, fantastico, fanatico, farneticante, sfrucugliante, curculiformeggiante. Ché la tipografia è arte vilmente ottusa, se la si prende con eccessiva serietà.

di Luciano Perondi

Luciano Perondi, nato a Busto Arsizio nel lontanissimo 1976, ivi tuttora vivente. Come principale attività si dedica alla lettura di libri di fantascienza e di prosa islandese medievale, nei ritagli di tempo si occupa di type e information design. Ha fondato uno studio, Molotro, e una associazione non profit, EXP, che si occupa di ricerca sulla lettura e sulla scrittura. Socio AIAP, ADI, IIDD, ATypI, sceglie le associazioni di cui far parte in base alla tipogenicità dell’acronimo. Insegna Type Design al secondo anno del biennio in Visual Design presso l’Accademia di Belle arti di Urbino.

L’importanza di chiamarsi come un villaggio albanese vicino a BeratCome qualmente Luciano dialogando conPerondi si accorse dell’inutilità della tipografiae del curioso sofismo

Luciano: Torniamo, disse Luciano, al nostro argomento.

Perondi: Quale? Cacare?

L: Ma no, la tipografia!

P: Ma paghereste una mezza brenta di vin di Brettagna, se io vi mettessi con le spalle al muro sull’argomento?

L: Volentieri.

P: Non è possibile la tipografia, se prima non si è ben pensato alla scrittura.

L: Oh quanto senno! Uno di questi giorni ti promuoveranno dottore alla Sorbona ché hai più saviezza che anni. Ma seguita ora, ti prego, l’argomento tipograficulativo.

P: Ego sic argumentor. Onnis tipographiatipographabilis in tipographerio tipographando tipographans tipographativo tipographare fecit tipographabiliter tipographantes. Perondus ha-bet tipographias. Ergo gluc!Ah, per la tipografia! passò quel tempo che facevo il diavolo a quattro in argomentare tipografico. Presentemente non fo che farneticare: d’ora in-nanzi null’altro mi conviene che buon vino, buon letto, buon fuoco alle spalle, il ventre a tavola e scodella ben profonda.

L: Non traccheggiare nella tua turpitudine im-monda. Vieni tosto al dunque.

P: D’accordo, per Bodoni, riprendiamo. Imparai l’alfabeto così bene che lo recitavo a memoriaanche alla rovescia. Intanto imparavo a scrivere con caratteri gotici, ché l’arte della stampa non usava ancora. E pure quando la stampa fu intro-dotta, imparavo a destreggiarmi con le curve di grado terzo e di secondo (vir sapiens non abhor-rebit eam). Mi avvidi però che da codesti inseg-namenti non traevo profitto anzi, ciò ch’è peggio, ne diventavo matto, cretino, fantastico, fanatico, farneticante, sfrucugliante, curculiformeggiante. Ché la tipografia è arte vilmente ottusa, se la si prende con eccessiva serietà.

di Luciano Perondi

Luciano Perondi, nato a Busto Arsizio nel lontanissimo 1976, ivi tuttora vivente. Come principale attività si dedica alla lettura di libri di fantascienza e di prosa islandese medievale, nei ritagli di tempo si occupa di type e information design. Ha fondato uno studio, Molotro, e una associazione non profit, EXP, che si occupa di ricerca sulla lettura e sulla scrittura. Socio AIAP, ADI, IIDD, ATypI, sceglie le associazioni di cui far parte in base alla tipogenicità dell’acronimo. Insegna Type Design al secondo anno del biennio in Visual Design presso l’Accademia di Belle arti di Urbino.

L: Cosa intendi con serietà?

P: Beh, la contorta idea secondo cui, dato che i caratteri hanno origine lontanamente calligrafica, le interpretazioni moderne impongono ad esem-pio che le forme nuove ricalchino l’andamento della penna d’oca ben temperata. Oppure che la tipografia abbia da essere distinta dalla scrittura e che il progettar caratteri debba tenere in conto solo della sequenza pedestre.

L: Per il buon vecchio Giovan Francesco Cresci! Attento che la tua anima conservatrice potreb-be ribellarsi! E poi il lettore potrebbe sentirsi coglionato da questo tuo favellare. Già una volta hai provato a stuzzicare i lettori, ma hai tralasciato di farti capire, di svelare il gioco.

P: Coglionare i lettori è per alcuni una ragione di vita.

L: E con questo? Si dice che Pitagora avesse una coscia d’oro. Ma quel che mi cale è conoscer come uscisti da questo guazzabuglio d’errore e d’eresia?

P: In quella stessa stagione avvenne che giungessi all’Accademia di Urbino. Tutta la gente restava a bocca aperta ad ammirarmi. La studentaglia d’Urbino infatti è tanto balorda e scema di sua natura che un ciarlatano, un monaco questuante, un mulo co’ suoi sonagli, uno strimpellatore di viola a un quadrivio, chiaman più gente che un predicatore del Modernismo. Tanto molesta-mente dunque gli tenevan dietro che fui costret-to a riposarmi sulle torri del palazzo del duca, le trovai però alquanto appuntite.E là seduto, vedendo tanta gente intorno a me dissi chiaramente: “Mi pare che questi bricconi

vogliano da me una definizione di tipografia.È giusto. Ora gli offro subito una bicchierata”.E, tutto sorridente, spalancai la mia bella braghet-ta e spianando il bischero in aria li scompisciai sì aspramente e copiosamente che ne annegai due-centosessantamila quattrocento e diciotto, senza contare le donne e i fanciulli.

L: Ah! Questa è la cagione della cronica penuria di studenti alla specialistica dell’Accademia.

P: Così è.

Dopo la pisciata, tutta l’Accademia fu in sub-buglio. Alle sommosse, come sapete, sono tanto inclini, che i forestieri stupiscono della pazienza di Signorile il quale non li frena, come giustizia vorrebbe, dati gli inconvenienti che sorgono ogni giorno. Ah volesse Dio che io conoscessi l’officina dove si fabbricano tanti scismi e macchinazioni, ben io vorrei denunciarla alla confraternita della mia parrocchia!

L: Vorresti sostenere che argomentasti la tua posizione tipograficulativa unicamente con una copiosa minzione sui crani studenteschi?

P: Ben detto.

L: Ma come venne in mente a quel fitofago di Signorile di chiamare un simile sfracellatore di cervelli, spezzator di braccia e gambe, slogator di vertebre del collo, demolitor di reni, aspor-tator di nasi, sacramentator di occhi, fenditor di mascelle, cacciator di denti in gola, sfonda-tor di omoplati, stritolator di gambe, sgangh-erator di ischi, frantumator di ossa, fracassator di suture lamboidali?

P: Penso abbia chiesto prima a tutta questaciurmaglia di tipografi che sono in tutto ilmondo, così avidi in fatto di viveri e poi cidicono che non hanno altro che la loro tipografia in questo mondo. E che Baskerville hanno i ree i grandi principi?

L: Quanta finezza di pensiero, parrebbe che non fosti straordinariamente savio a raccon-tare queste frottole e piacevoli canzonature.

P: Io ti rispondo che voi non siete molto più savii divertendovi a leggerle. Tuttavia se per passatem-po le leggete e per passare il tempo io le scrissi; voi ed io siamo più degni di perdono che un gran branco di saraboviti, bacchettoni, lumaconi, ipocriti, baciapile, beghini, tartufi e altre tali sette che si camuffano come maschere per ingannare il mondo. I quali fanno credere al popolino che ad altro non sono intesi se non a tipografia e proget-tazione, digiuni e macerazione della sensualità, per non altro che per sostentare e alimentare la loro umana fragilità; ma per contro fan la grassa vita, e Tschichold sa quale et Nouarenses simu-lant, sed bacchanalia vivunt. Lo potete leggere a grosse lettere alluminate sui loro specimen scar-latti e sulle loro brochure a cotechino.Quanto al loro studio, è volto tutto alla lettura di libri tipografici, non tanto per disegnarcarat-teri allegramente, quanto per nuocere malvagia-mente a qualcuno; cioè articolando, monorticol-ando, collotortando, culattando, coglionettando e diavoliculando, vale a dire calunniando. Somigli-ano a quei bricconi di campagna che frugano e sparpagliano la merda dei bambini alla stagione delle ciliege e delle prugne, per trovarvi i noccioli da vendere ai droghieri che fabbricano l’olio di Maguelet. Fuggiteli, costoro, aborriteli, odiateli

quanto fo io e ve ne troverete bene in fede mia. E se desiderate esser buoni tipografi, cioè vivere in pace, gioia, salute, e far sempre buona vita, non vi fidate mai della gente che spia attraverso buchi.

L: Che virulenza invettiva! Invidia?

P: Questo senza dubbio. Sono ben cattivo sog-getto, quando ne ho occasione.

L: Lasciamo perdere allora queste volgari in-famie prive di senno. Descrivi invece gli eser-cizi fatti sinora.

P: Sì.

L: Quanti ne fate?

P: Tre.

L: Di cosa trattano?

P: Di scrittura.

L: Di quale?

P: Dipende.

L: Da cosa?

P: Dall’esercizio.

L: Ma bene… parliamo del primo.Di cosa tratta?

P: Di scrittura.

Luciano: Ma no? Alla maniera di chi?

L: Cosa intendi con serietà?

P: Beh, la contorta idea secondo cui, dato che i caratteri hanno origine lontanamente calligrafica, le interpretazioni moderne impongono ad esem-pio che le forme nuove ricalchino l’andamento della penna d’oca ben temperata. Oppure che la tipografia abbia da essere distinta dalla scrittura e che il progettar caratteri debba tenere in conto solo della sequenza pedestre.

L: Per il buon vecchio Giovan Francesco Cresci! Attento che la tua anima conservatrice potreb-be ribellarsi! E poi il lettore potrebbe sentirsi coglionato da questo tuo favellare. Già una volta hai provato a stuzzicare i lettori, ma hai tralasciato di farti capire, di svelare il gioco.

P: Coglionare i lettori è per alcuni una ragione di vita.

L: E con questo? Si dice che Pitagora avesse una coscia d’oro. Ma quel che mi cale è conoscer come uscisti da questo guazzabuglio d’errore e d’eresia?

P: In quella stessa stagione avvenne che giungessi all’Accademia di Urbino. Tutta la gente restava a bocca aperta ad ammirarmi. La studentaglia d’Urbino infatti è tanto balorda e scema di sua natura che un ciarlatano, un monaco questuante, un mulo co’ suoi sonagli, uno strimpellatore di viola a un quadrivio, chiaman più gente che un predicatore del Modernismo. Tanto molesta-mente dunque gli tenevan dietro che fui costret-to a riposarmi sulle torri del palazzo del duca, le trovai però alquanto appuntite.E là seduto, vedendo tanta gente intorno a me dissi chiaramente: “Mi pare che questi bricconi

vogliano da me una definizione di tipografia.È giusto. Ora gli offro subito una bicchierata”.E, tutto sorridente, spalancai la mia bella braghet-ta e spianando il bischero in aria li scompisciai sì aspramente e copiosamente che ne annegai due-centosessantamila quattrocento e diciotto, senza contare le donne e i fanciulli.

L: Ah! Questa è la cagione della cronica penuria di studenti alla specialistica dell’Accademia.

P: Così è.

Dopo la pisciata, tutta l’Accademia fu in sub-buglio. Alle sommosse, come sapete, sono tanto inclini, che i forestieri stupiscono della pazienza di Signorile il quale non li frena, come giustizia vorrebbe, dati gli inconvenienti che sorgono ogni giorno. Ah volesse Dio che io conoscessi l’officina dove si fabbricano tanti scismi e macchinazioni, ben io vorrei denunciarla alla confraternita della mia parrocchia!

L: Vorresti sostenere che argomentasti la tua posizione tipograficulativa unicamente con una copiosa minzione sui crani studenteschi?

P: Ben detto.

L: Ma come venne in mente a quel fitofago di Signorile di chiamare un simile sfracellatore di cervelli, spezzator di braccia e gambe, slogator di vertebre del collo, demolitor di reni, aspor-tator di nasi, sacramentator di occhi, fenditor di mascelle, cacciator di denti in gola, sfonda-tor di omoplati, stritolator di gambe, sgangh-erator di ischi, frantumator di ossa, fracassator di suture lamboidali?

P: Penso abbia chiesto prima a tutta questaciurmaglia di tipografi che sono in tutto ilmondo, così avidi in fatto di viveri e poi cidicono che non hanno altro che la loro tipografia in questo mondo. E che Baskerville hanno i ree i grandi principi?

L: Quanta finezza di pensiero, parrebbe che non fosti straordinariamente savio a raccon-tare queste frottole e piacevoli canzonature.

P: Io ti rispondo che voi non siete molto più savii divertendovi a leggerle. Tuttavia se per passatem-po le leggete e per passare il tempo io le scrissi; voi ed io siamo più degni di perdono che un gran branco di saraboviti, bacchettoni, lumaconi, ipocriti, baciapile, beghini, tartufi e altre tali sette che si camuffano come maschere per ingannare il mondo. I quali fanno credere al popolino che ad altro non sono intesi se non a tipografia e proget-tazione, digiuni e macerazione della sensualità, per non altro che per sostentare e alimentare la loro umana fragilità; ma per contro fan la grassa vita, e Tschichold sa quale et Nouarenses simu-lant, sed bacchanalia vivunt. Lo potete leggere a grosse lettere alluminate sui loro specimen scar-latti e sulle loro brochure a cotechino.Quanto al loro studio, è volto tutto alla lettura di libri tipografici, non tanto per disegnarcarat-teri allegramente, quanto per nuocere malvagia-mente a qualcuno; cioè articolando, monorticol-ando, collotortando, culattando, coglionettando e diavoliculando, vale a dire calunniando. Somigli-ano a quei bricconi di campagna che frugano e sparpagliano la merda dei bambini alla stagione delle ciliege e delle prugne, per trovarvi i noccioli da vendere ai droghieri che fabbricano l’olio di Maguelet. Fuggiteli, costoro, aborriteli, odiateli

quanto fo io e ve ne troverete bene in fede mia. E se desiderate esser buoni tipografi, cioè vivere in pace, gioia, salute, e far sempre buona vita, non vi fidate mai della gente che spia attraverso buchi.

L: Che virulenza invettiva! Invidia?

P: Questo senza dubbio. Sono ben cattivo sog-getto, quando ne ho occasione.

L: Lasciamo perdere allora queste volgari in-famie prive di senno. Descrivi invece gli eser-cizi fatti sinora.

P: Sì.

L: Quanti ne fate?

P: Tre.

L: Di cosa trattano?

P: Di scrittura.

L: Di quale?

P: Dipende.

L: Da cosa?

P: Dall’esercizio.

L: Ma bene… parliamo del primo.Di cosa tratta?

P: Di scrittura.

Luciano: Ma no? Alla maniera di chi?

P: Andersch.

L: Andersch?

P: Martin.

L: E di che scrittura tratta?

P: Inventata.

L: E come?

P: Che pazienza… che portino oggetti di ogni tipo per tirar linee e che, per la barba che ho tagliato a Luglio, non lesinino sulle idee, ma le saggino prima!

Provaron a tracciar segni con un copricapo, con un passamontagna, con una spugna, con uno strascico da sposa, con una pantofola, con un rossetto, con un dito insanguinato, con una presa per la corrente, con un carniere, con un paniere, ma quello era proprio un gran brutto calamo!Poi con un cappello di panno; e notate che di questi cappelli certi son di panno rasato, altri di feltro, altri uso velluto, altri uso seta, ed altri sati-nati; ma il migliore fra tutti è sempre quello di feltro perché fa un’ottima adesione della materia scrivente. Poi si valsero di una gallina, un gallo, un pollastro, una zampa di pollo, una pigna, un seda-no, una carota, un nefilim, una busta da tè usata; della pelle di un vitello, d’una lepre, d’un piccione,

d’un cormorano; della servetta di un avvocato, di una barbuta, di una cuffia, di un cappuccio da falchi, di asticelle di balsa di varie sezioni. Ma, in conclusione, affermo e sostengo, che non v’è miglior calamo di un papero ben piumato: purché si abbia l’avvertenza di tenergli la testa in mezzo alle zampe. E potete credermi sulla parola.Perché sentirete al tatto una mirifica voluttà: sia per la soavità di quel suo piumetto, che per il temperato calor naturale del papero, il quale facilmente si comunica alla mano, e quindi al braccio, risalendo così fino alla regione del cuore e del cervello.E vorrei credeste che la beatitudine degli eroi e semidei, che stanno nei Campi Elisi non è già nel loro asfodelo, o nell’ambrosia o nel néttare, come raccontano queste vecchiette; ma bensì, secondo il parer mio, nel fatto che calligrafano sempre con un papero, e tale è altresì l’opinione del nostro maestro Gian Scoto.È altresì buona cosa procurarsi oggetti minuscoli e in gran copia, da usare come materia scrivente, quali puntine, granelli di farina o di sabbia ma-rina, pulviscolo atmosferico e candele, e, invece di mezzabrenta, sessanta barili, dico di quel nero inchiostro del Catai, che poi non si fa per nulla in Catai, ma qui nel nostro paese di Padania.

L: Sfrontatezza poiché senza ragione, né causa, né verosimiglianza, ha osato imporre di sua autorità personale il significato dei caratteri; usanza questa, di tiranni che vogliono sosti-

tuire l’arbitrio alla ragione, non di savi e sapi-enti che con ragioni manifeste appagano i let-tori. Bestialità, poiché ha potuto credere che la gente regolasse la propria scrittura secondo le sue sciocche imposizioni, senza dimostrazioni e argomenti convincenti.

E quali furono i risultati del loro lavoro?

P: Qualsiasi cosa fecero ebbero la prudenza di non metterci il nome; ma quanto al contenuto non so se più ammirare la sfrontatezza o la besti-alità degli autori.Dice bene il proverbio: “A far la bocca d’un forno ci vogliono tre pietre.” (che non c’entra niente, ma l’originale è molto più sconcio e non penso che il fitofago me l’avrebbe passata…).

L: Tralasciamo allora il secondo esercizio, quello della progettazione dei caratteri.

P: E perché? L’involontaria qualità del lavoro prodotto in tal senso significa con evidenza come anche studente lurido, infame e fetente quanto può essere sozza immondizia, possa giovarsi di tale insegnamento. Questo in tutto non diame-tralmente contrario a quanto sopra detto sulla sperruccancluzelubeluzerirelutezza degli autori. Ma meglio ancora fanno gli studenti di Milano, alle prese con parametri e equazioni da cui far scaturire caratteri, senza por mano a stilo!

L: Fortunato il medico chiamato sulla fine della malattia!Verrei ora all’ultima.

P: La trangugiavanguardia.Dove si mangia e beve tipografia. Non semplici vivande in foggia di lettere, ma il concetto stesso di tipografia.

L: Beh, qui si fa della cultura vera,allora. Quella alta.

P: E ciò lo trovo esatto, senza alcuna eccezione. Come dice bene il proverbio: Torna il bel tempo, passa il tempo brutto, mentre si trinca intorno al buon prosciutto.

L: Già.

P: Vuoi concludere tu?

L: È meglio: non sono tanto ruffiano, furfante, scellerato da forca, sozzo puzzolente e infetto, lebbroso, brigante, ladro e farabutto quanto te.

Buona sera, signori. Perdonate mi, e non pensate troppo agli altrui falli quanto ai vostri. Cantare e fischiare da oca tra i cigni piuttosto che fra tanti gentili poeti e facondi oratori muto del tutto esser stimato. Chiedo scusa a Rabelais e al suo italico traduttore per lo spregevole saccheggio.

P: Andersch.

L: Andersch?

P: Martin.

L: E di che scrittura tratta?

P: Inventata.

L: E come?

P: Che pazienza… che portino oggetti di ogni tipo per tirar linee e che, per la barba che ho tagliato a Luglio, non lesinino sulle idee, ma le saggino prima!

Provaron a tracciar segni con un copricapo, con un passamontagna, con una spugna, con uno strascico da sposa, con una pantofola, con un rossetto, con un dito insanguinato, con una presa per la corrente, con un carniere, con un paniere, ma quello era proprio un gran brutto calamo!Poi con un cappello di panno; e notate che di questi cappelli certi son di panno rasato, altri di feltro, altri uso velluto, altri uso seta, ed altri sati-nati; ma il migliore fra tutti è sempre quello di feltro perché fa un’ottima adesione della materia scrivente. Poi si valsero di una gallina, un gallo, un pollastro, una zampa di pollo, una pigna, un seda-no, una carota, un nefilim, una busta da tè usata; della pelle di un vitello, d’una lepre, d’un piccione,

d’un cormorano; della servetta di un avvocato, di una barbuta, di una cuffia, di un cappuccio da falchi, di asticelle di balsa di varie sezioni. Ma, in conclusione, affermo e sostengo, che non v’è miglior calamo di un papero ben piumato: purché si abbia l’avvertenza di tenergli la testa in mezzo alle zampe. E potete credermi sulla parola.Perché sentirete al tatto una mirifica voluttà: sia per la soavità di quel suo piumetto, che per il temperato calor naturale del papero, il quale facilmente si comunica alla mano, e quindi al braccio, risalendo così fino alla regione del cuore e del cervello.E vorrei credeste che la beatitudine degli eroi e semidei, che stanno nei Campi Elisi non è già nel loro asfodelo, o nell’ambrosia o nel néttare, come raccontano queste vecchiette; ma bensì, secondo il parer mio, nel fatto che calligrafano sempre con un papero, e tale è altresì l’opinione del nostro maestro Gian Scoto.È altresì buona cosa procurarsi oggetti minuscoli e in gran copia, da usare come materia scrivente, quali puntine, granelli di farina o di sabbia ma-rina, pulviscolo atmosferico e candele, e, invece di mezzabrenta, sessanta barili, dico di quel nero inchiostro del Catai, che poi non si fa per nulla in Catai, ma qui nel nostro paese di Padania.

L: Sfrontatezza poiché senza ragione, né causa, né verosimiglianza, ha osato imporre di sua autorità personale il significato dei caratteri; usanza questa, di tiranni che vogliono sosti-

tuire l’arbitrio alla ragione, non di savi e sapi-enti che con ragioni manifeste appagano i let-tori. Bestialità, poiché ha potuto credere che la gente regolasse la propria scrittura secondo le sue sciocche imposizioni, senza dimostrazioni e argomenti convincenti.

E quali furono i risultati del loro lavoro?

P: Qualsiasi cosa fecero ebbero la prudenza di non metterci il nome; ma quanto al contenuto non so se più ammirare la sfrontatezza o la besti-alità degli autori.Dice bene il proverbio: “A far la bocca d’un forno ci vogliono tre pietre.” (che non c’entra niente, ma l’originale è molto più sconcio e non penso che il fitofago me l’avrebbe passata…).

L: Tralasciamo allora il secondo esercizio, quello della progettazione dei caratteri.

P: E perché? L’involontaria qualità del lavoro prodotto in tal senso significa con evidenza come anche studente lurido, infame e fetente quanto può essere sozza immondizia, possa giovarsi di tale insegnamento. Questo in tutto non diame-tralmente contrario a quanto sopra detto sulla sperruccancluzelubeluzerirelutezza degli autori. Ma meglio ancora fanno gli studenti di Milano, alle prese con parametri e equazioni da cui far scaturire caratteri, senza por mano a stilo!

L: Fortunato il medico chiamato sulla fine della malattia!Verrei ora all’ultima.

P: La trangugiavanguardia.Dove si mangia e beve tipografia. Non semplici vivande in foggia di lettere, ma il concetto stesso di tipografia.

L: Beh, qui si fa della cultura vera,allora. Quella alta.

P: E ciò lo trovo esatto, senza alcuna eccezione. Come dice bene il proverbio: Torna il bel tempo, passa il tempo brutto, mentre si trinca intorno al buon prosciutto.

L: Già.

P: Vuoi concludere tu?

L: È meglio: non sono tanto ruffiano, furfante, scellerato da forca, sozzo puzzolente e infetto, lebbroso, brigante, ladro e farabutto quanto te.

Buona sera, signori. Perdonate mi, e non pensate troppo agli altrui falli quanto ai vostri. Cantare e fischiare da oca tra i cigni piuttosto che fra tanti gentili poeti e facondi oratori muto del tutto esser stimato. Chiedo scusa a Rabelais e al suo italico traduttore per lo spregevole saccheggio.

è nato in Iran nel 1977.Laureato in Grafica all’Università d’Artedi Teheran.In Italia dal 2004, studia all’Accademiadi Belle Arti di Urbino, frequentandoil primo anno del biennio specialisticodel corso di scultura.Docente Umberto Cavenago.

ALIREZAAMIRIMOGHADDAMNEJAD

/ portfolio

“Da circa quattro anni mi sono trasferitoin Italia per studiare.in questo condizione nuovo, sempre ero costretto di selezionare e di togliere con elementi basilari.Per un lavoro nuovo semplicementecomincio a pensare, immaginare e faredegli schizzi...Qualche volta in un viaggio in memoria e qualche volta vedere meglio la realtà che mi e circondato, ma devo dire che alla fine, di solito quando che non ho più speranza,il progetto mi fa vedere, con un semplice disegno si comincia a ragionare e realizzare.Del resto si viene da solo.”

/ Disegni / 2007- 2008 / tecnica mista

è nato in Iran nel 1977.Laureato in Grafica all’Università d’Artedi Teheran.In Italia dal 2004, studia all’Accademiadi Belle Arti di Urbino, frequentandoil primo anno del biennio specialisticodel corso di scultura.Docente Umberto Cavenago.

ALIREZAAMIRIMOGHADDAMNEJAD

/ portfolio

“Da circa quattro anni mi sono trasferitoin Italia per studiare.in questo condizione nuovo, sempre ero costretto di selezionare e di togliere con elementi basilari.Per un lavoro nuovo semplicementecomincio a pensare, immaginare e faredegli schizzi...Qualche volta in un viaggio in memoria e qualche volta vedere meglio la realtà che mi e circondato, ma devo dire che alla fine, di solito quando che non ho più speranza,il progetto mi fa vedere, con un semplice disegno si comincia a ragionare e realizzare.Del resto si viene da solo.”

/ Disegni / 2007- 2008 / tecnica mista

2008 Arte e Sport, Museo del Corso, Roma2008 Fiera Del Levante, Bari2008 Premio Nazionale delle Arti, edizione

2007 Catania.2007 Premio Edgardo Mannucci, 14ª edizione, Arcevia.2007 Dislocazioni, Palazzo Ducale, Casa Castellare, Urbino.2007 Talenti di marca, Ancona, Mole Vanvitelliana.

2006 Premio acquisito per l’opera Sima. L’Artista Nel Suo Farsi XXIV, Gubbio.

2005 Promesse, Rocca Malatestiana, Montefiore

Conca (RN).

/ Le scarpe di sale / 2007 / sale, resina e tessuti (installazione)/ Livello 2 n.4 / 2008 / alluminio, sabbia, resina e legno (scultura) / 20x70x70 cm

2008 Arte e Sport, Museo del Corso, Roma2008 Fiera Del Levante, Bari2008 Premio Nazionale delle Arti, edizione

2007 Catania.2007 Premio Edgardo Mannucci, 14ª edizione, Arcevia.2007 Dislocazioni, Palazzo Ducale, Casa Castellare, Urbino.2007 Talenti di marca, Ancona, Mole Vanvitelliana.

2006 Premio acquisito per l’opera Sima. L’Artista Nel Suo Farsi XXIV, Gubbio.

2005 Promesse, Rocca Malatestiana, Montefiore

Conca (RN).

/ Le scarpe di sale / 2007 / sale, resina e tessuti (installazione)/ Livello 2 n.4 / 2008 / alluminio, sabbia, resina e legno (scultura) / 20x70x70 cm

SIMONIURINO

è nato a Bolzano il 5 Gennaio 1986. Diplomato presso il Liceo artistico di Bolzano nel 2005, studio di storia dell’arte presso la Hauptuni a Vienna dal 2005 al 2007, stage dallo scultore Pino Castagna nel 2007.Frequenta dal 2007 all’Accademia di Belle Arti di Urbino, il corso di scultura.Docente Umberto Cavenago.

Insegna litografia presso la Corte della miniera di Urbino.

“La mia ricerca parte dall’essenziale.Ripetendo solo quello che valga la pena di ripetere, attraverso processi ancestrali, quanto immediati.A volte il materiale é più intelligente di me stesso.”

/ portfolio

SIMONIURINO

è nato a Bolzano il 5 Gennaio 1986. Diplomato presso il Liceo artistico di Bolzano nel 2005, studio di storia dell’arte presso la Hauptuni a Vienna dal 2005 al 2007, stage dallo scultore Pino Castagna nel 2007.Frequenta dal 2007 all’Accademia di Belle Arti di Urbino, il corso di scultura.Docente Umberto Cavenago.

Insegna litografia presso la Corte della miniera di Urbino.

“La mia ricerca parte dall’essenziale.Ripetendo solo quello che valga la pena di ripetere, attraverso processi ancestrali, quanto immediati.A volte il materiale é più intelligente di me stesso.”

/ portfolio

2008 concorso nazionale biennale di ceramica d’arte contemporanea premio Lucio de Maria presso la Certosa Reale di Collegno2008 mostra a Cagli “spazio espositivo”

2008 concorso nazionale biennale di ceramica d’arte contemporanea premio Lucio de Maria presso la Certosa Reale di Collegno2008 mostra a Cagli “spazio espositivo”

Intervistatore: quali sono gli elementi della natu-ra da cui trae ispirazione per le sue composizioni?

Bach con espressione seriosa si prende il tempo necessario per rispondere ma prima che possa farlo squilla il cellulare dell’intervistatore.

I: occielo! mi scusi, sono mortificato, mi sono dimenticato di spegnere il telefono, mi perdoni maestro, proceda pure..

Bach: no no no per cortesia, mi porga gentil-mente quel curioso organetto la prego, emette un suono delizioso, ma come si adopera? me lo illustri, su, su lo faccia suonare ancora..

I: certo, si assolutamente, ma veramente le avevo chiesto… ad ogni modo prego lo tenga pure in mano, ascolti… a questo punto non posso fare a meno di chiedere cosa può pensare lei, esimio maestro di queste suonerie, così infatti si chia-mano questi motivetti, mi dica dunque!

B: ma com’è costruito questo oggetto!! ha una cassa di risonanza ridicola! eppure i suoni che emette sono ben calibrati e squillanti com’è pos-

sibile dunque comporre con questo strumento? come si accorda? la prego mi parli dei composi-tori dei vostri giorni capaci di crear musica con un simile strumento dalle dimensioni talmente inusuali ma di grandiosa potenza!

I: vede maestro, la devo correggere, questoapparecchio non è altro che un telefono, infatti la sua funzione primaria è quella di permet-tere alle persone di comunicare nonostante la distanza, diciamo un messaggero o un colombo viaggiatore dei tempi vostri; la musica che sente fuoriuscirne possiamo definirla un’ acclame, per catturare l’attenzione di colui che è destinatario della chiamata.

B: mi incuriosisce sempre più questo argomento; mi dica quindi, al giorno d’oggi si compone così? e che fine hanno fatto gli strumenti dei miei tempi?

I: sa, in verità queste “suonerie” non nascono come tali, la maggior parte di esse sono reinter-pretazioni o riproduzioni di brani musicali già es-istenti e che non sono comunque stati composti così. vede, per farle un’esempio concreto le faccio

Riesumato

JohannSebastian Bachdurante le operazioni di ripristinodell’immagine ormai sfioritadai lunghi anni passati sottoterra, si è deciso di sfruttare questairripetibile opportunità per rac-cogliere informazioni importan-tissime per la storia della musica e non solo. Indagare il musicista sia come uomo che come com-positore, pupillo del regnante e soprattutto per far luce sui retro-scena, competizioni, gelosie e al-leanze tra gli esponenti massimi del panorama culturale del periodo. L’intervistatore quindisi accomoda dentro al loculo dandoinizio all’intervista.

Valentina Mingucciinterviste impossibile

Intervistatore: quali sono gli elementi della natu-ra da cui trae ispirazione per le sue composizioni?

Bach con espressione seriosa si prende il tempo necessario per rispondere ma prima che possa farlo squilla il cellulare dell’intervistatore.

I: occielo! mi scusi, sono mortificato, mi sono dimenticato di spegnere il telefono, mi perdoni maestro, proceda pure..

Bach: no no no per cortesia, mi porga gentil-mente quel curioso organetto la prego, emette un suono delizioso, ma come si adopera? me lo illustri, su, su lo faccia suonare ancora..

I: certo, si assolutamente, ma veramente le avevo chiesto… ad ogni modo prego lo tenga pure in mano, ascolti… a questo punto non posso fare a meno di chiedere cosa può pensare lei, esimio maestro di queste suonerie, così infatti si chia-mano questi motivetti, mi dica dunque!

B: ma com’è costruito questo oggetto!! ha una cassa di risonanza ridicola! eppure i suoni che emette sono ben calibrati e squillanti com’è pos-

sibile dunque comporre con questo strumento? come si accorda? la prego mi parli dei composi-tori dei vostri giorni capaci di crear musica con un simile strumento dalle dimensioni talmente inusuali ma di grandiosa potenza!

I: vede maestro, la devo correggere, questoapparecchio non è altro che un telefono, infatti la sua funzione primaria è quella di permet-tere alle persone di comunicare nonostante la distanza, diciamo un messaggero o un colombo viaggiatore dei tempi vostri; la musica che sente fuoriuscirne possiamo definirla un’ acclame, per catturare l’attenzione di colui che è destinatario della chiamata.

B: mi incuriosisce sempre più questo argomento; mi dica quindi, al giorno d’oggi si compone così? e che fine hanno fatto gli strumenti dei miei tempi?

I: sa, in verità queste “suonerie” non nascono come tali, la maggior parte di esse sono reinter-pretazioni o riproduzioni di brani musicali già es-istenti e che non sono comunque stati composti così. vede, per farle un’esempio concreto le faccio

Riesumato

JohannSebastian Bachdurante le operazioni di ripristinodell’immagine ormai sfioritadai lunghi anni passati sottoterra, si è deciso di sfruttare questairripetibile opportunità per rac-cogliere informazioni importan-tissime per la storia della musica e non solo. Indagare il musicista sia come uomo che come com-positore, pupillo del regnante e soprattutto per far luce sui retro-scena, competizioni, gelosie e al-leanze tra gli esponenti massimi del panorama culturale del periodo. L’intervistatore quindisi accomoda dentro al loculo dandoinizio all’intervista.

Valentina Mingucciinterviste impossibile

losamente i componenti della sua folle orchestra.

B: Su, su mi dia una mano a disporre corret-tamente i pezzi, non stia li impalato come un lombardone!

una volta posizionati tutti i cellulari come la più prestigiosa orchestra di musicisti professionisti, costringe il giornalista, che già da un po’ tiene ben in vista le uscite più vicine cominciando a temere per la sua incolumità, ad assisterlo nell’esecuzione.

B: dobbiamo accendere tutti gli apparecchi e dar inizio alle suonerie, ogni strumento in maniera simultanea. Lei! si occupi di sistemare i fiati e le percussioni, io penserò al resto!

Sovraeccitato e travolto dall’impulso creativo il musicista si accinge a dar inizio all’opera unica, ignaro però del fatto che tutti i nuovi cellulari necessitino insindacabilmente di 14 ore di carica elettrica prima di poter essere operativi.Il diversivo creato dal bug elettronico offre all’intervistatore la possibilità di scappare richiu-dendosi dietro la pietra tombale riaffidando Bach al sepolcro con i suoi apparecchi cellulari, dove finalmente potrà comporre e suonare la suaopera massima per l’eternità, o almeno finché glielo permetteranno le batterie al litio.

I: non credo che sia stata una buona ideariesumare Bach.

ascoltare la mia opera preferita, che non a caso è una sua composizione; si tratta infatti dell’aria sull’ottava corda e colgo l’occasione per complimentarmi con lei per il meraviglioso risultato: quale opera è mai stata tanto dolce, commovente e al tempo stesso imponente!

B: capisco, sono obsoleto, credevo che la mia musica sarebbe stata immortale e a quanto pare ho vissuto più io della mia opera! Oggi sono qui dopo tutti questi anni e l’unica cosa di cui sono certo è che la tecnologia è alla portata di tutti e che veramente se adesso mi trovassi a com-porre potrei raggiungere ogni persona in ogni parte del mondo…

I: maestro la prego! non lo dica neanche per scherzo! sa quanto lei sia importante nel panorama dei compositori; oltre che essere stato un grande pioniere del pas-sato la sua opera continua ad ispirare e far sognare le generazioni future.

Bach con gli occhi scintillanti di furore:

B: Bene allora, mi conduca dove io posso entrare in possesso di tali apparecchi, non tollererò una risposta negativa.

Sconcertato, l’intervistatore accetta einsieme si dirigono al negozio di elettron-ica più vicino; per l’intero tragitto Bach non abbandona nemmeno per un’attimo il telefono continuando a far suonare le differenti suonerie.

I: maestro… posso.. domandarle cos’ha in mente? sa, sinceramente sono anche un pò turbato e….

B: NON ORA NON ORA!!! la smetta di mugugnare! non mi metterà i bastoni fra le ruote, omuncolo! ho capito! ho capito finalmente come tornerò in auge! ho in mente l’opera massima, Massima.. … … … .. .

arrivati dal rivenditore Bach si fa incartare 10 cellulari dall’aspetto baritonale, 15 af-fusolati come archi, 5 cordless ben piazzati per le percussioni, 3 modelli di prestigio per i fiati e chiaramente il violino solista.tornati nel sepolcro Bach dispone metico-

drinnn!

losamente i componenti della sua folle orchestra.

B: Su, su mi dia una mano a disporre corret-tamente i pezzi, non stia li impalato come un lombardone!

una volta posizionati tutti i cellulari come la più prestigiosa orchestra di musicisti professionisti, costringe il giornalista, che già da un po’ tiene ben in vista le uscite più vicine cominciando a temere per la sua incolumità, ad assisterlo nell’esecuzione.

B: dobbiamo accendere tutti gli apparecchi e dar inizio alle suonerie, ogni strumento in maniera simultanea. Lei! si occupi di sistemare i fiati e le percussioni, io penserò al resto!

Sovraeccitato e travolto dall’impulso creativo il musicista si accinge a dar inizio all’opera unica, ignaro però del fatto che tutti i nuovi cellulari necessitino insindacabilmente di 14 ore di carica elettrica prima di poter essere operativi.Il diversivo creato dal bug elettronico offre all’intervistatore la possibilità di scappare richiu-dendosi dietro la pietra tombale riaffidando Bach al sepolcro con i suoi apparecchi cellulari, dove finalmente potrà comporre e suonare la suaopera massima per l’eternità, o almeno finché glielo permetteranno le batterie al litio.

I: non credo che sia stata una buona ideariesumare Bach.

ascoltare la mia opera preferita, che non a caso è una sua composizione; si tratta infatti dell’aria sull’ottava corda e colgo l’occasione per complimentarmi con lei per il meraviglioso risultato: quale opera è mai stata tanto dolce, commovente e al tempo stesso imponente!

B: capisco, sono obsoleto, credevo che la mia musica sarebbe stata immortale e a quanto pare ho vissuto più io della mia opera! Oggi sono qui dopo tutti questi anni e l’unica cosa di cui sono certo è che la tecnologia è alla portata di tutti e che veramente se adesso mi trovassi a com-porre potrei raggiungere ogni persona in ogni parte del mondo…

I: maestro la prego! non lo dica neanche per scherzo! sa quanto lei sia importante nel panorama dei compositori; oltre che essere stato un grande pioniere del pas-sato la sua opera continua ad ispirare e far sognare le generazioni future.

Bach con gli occhi scintillanti di furore:

B: Bene allora, mi conduca dove io posso entrare in possesso di tali apparecchi, non tollererò una risposta negativa.

Sconcertato, l’intervistatore accetta einsieme si dirigono al negozio di elettron-ica più vicino; per l’intero tragitto Bach non abbandona nemmeno per un’attimo il telefono continuando a far suonare le differenti suonerie.

I: maestro… posso.. domandarle cos’ha in mente? sa, sinceramente sono anche un pò turbato e….

B: NON ORA NON ORA!!! la smetta di mugugnare! non mi metterà i bastoni fra le ruote, omuncolo! ho capito! ho capito finalmente come tornerò in auge! ho in mente l’opera massima, Massima.. … … … .. .

arrivati dal rivenditore Bach si fa incartare 10 cellulari dall’aspetto baritonale, 15 af-fusolati come archi, 5 cordless ben piazzati per le percussioni, 3 modelli di prestigio per i fiati e chiaramente il violino solista.tornati nel sepolcro Bach dispone metico-

drinnn!

Daniele Lisi

UNASEGNALETICAAMERICANA

Hoover Dam

Las Vegas

Peach Springs

Grand Canyon

Los Angeles

San Diego

/ viaggi visivi

Daniele Lisi

UNASEGNALETICAAMERICANA

Hoover Dam

Las Vegas

Peach Springs

Grand Canyon

Los Angeles

San Diego

/ viaggi visivi

corsi su strade senza prati-camente alcun accenno di curva o depressione; il de-serto sconfinato e la natura sembrano volersi ribellare dall’oppressione dei grandi centri urbani. Non essendoci incroci o altri tipi di svincoli a cui prestare particolare attenzione la segnaletica è ridotta all’essenziale: qual-che avviso qua e là delimita le aree di sorpasso, mentre un’altra serie di cartelli ci avverte dei pericoli in strada. Con sorpresa noto che la maggior parte di essi non utilizzano il pittogramma come mezzo di comunicazi-one, ma al contrario la parola scritta, che nell’indicazione sostituisce l’elemento gra-fico. Questa particolarità è resa ancor più interessante dalla flessibilità e dalla par-ticolare semplicità della lingua inglese che permette questo tipo di sostituzione. La parola, che identifica im-mediatamente l’elemento fonico della frase ha così lo stesso potere comunicativo dell’immagine.WATCH FOR ANIMALS WATCH FOR ROCKSWATCH FOR ICEWATCH FOR TRUCKS,mantengono, ad esempio, la stessa forma grammati-cale cambiando il soggetto a seconda delle necessità. Al contrario un punto di incon-tro tra parola e immagine si trova realizzato nella segna-letica per gli attraversamenti pedonali dove il pittogram-ma che convenzionalmente ritrae l’uomo che cammina

euforia per una località che da sempre ha fatto parte del mio immaginario. La pos-sibilità di noleggiare un’auto ha aumentato quello spirito d’avventura che il paesaggio sconfinato infonde e che ri-porta alla mente suggestioni associate fin dall’infanzia allo stereotipo iconografico e cinematografico ameri-cano. All’ufficio noleggi di Las Vegas mi viene fornita una semplice brochure che introduce le principali norme di sicurezza stradale americana consigliate dalla California State Highway: un riassunto della segnaletica e delle principali differenze cromatiche tra i segnali. Il primo approccio avviene la sera stessa in una piccola stazione di servizio nei pressi di Seligman, (Arizona). Mi trovo subito a dover risol-vere il primo di una serie di problemi: la colorazione delle pompe per identificare le diverse tipologie di car-burante è del tutto diversa da quella Europea; il colore nero identifica la benzina normale (”normal”, o senza piombo, come diremmo noi) mentre il verde è associato al diesel. Nonostante l’elevato rischio di errore faccio la scelta giusta! (questo non era menzionato nella brochure).Centinaia i chilometri per-

UN VIAGGIO È COME UN DIARIOFATTO DI PERSONE,LUOGHI, SUONI, ODORI:

è solitamente affiancato alla parola che ne descrive la medesima azione:DON’T WALK, WALK o PUSH BUTTON FOR WALK. Percorro la 40 Highway in attesa di arrivare a Los Ange-les, un tragitto che si svi-luppa per lo più su tracciati polverosi e poco spesso bat-tuti dove le crepe sull’asfalto disegnate dal calore del de-serto e la presenza sporadica di qualche distributore di benzina delineano un paesag-gio hopperiano segnando il confine tra il deserto selvag-gio e la convulsa metropoli californiana. Gradualmente le corsie aumentano arrivando a quattro per senso di marcia e se consideriamo anche la “car pool”, che qui rappresen-ta una la corsia preferenziale per chi viaggia con più di un passeggero a bordo arriviamo a ben cinque,davvero troppe per un italiano abituato ai vicoli dei centri storici.

Los Angeles infatti come ogni altra città degli Stati Uniti ha una sua conformazione terri-toriale e urbana ben precisa, dove per entrambi gli aspetti lo studio della segnaletica ha rappresentato in passato un problema crescente.

CIÒ NONOSTANTESULLE AUTOSTRADEIL PROBLEMADELLA SEGNALETICAÈ GESTITODIVERSAMENTE CHE ALTROVE.

imm

agin

i tra

tte

da

ww

w.c

lear

view

hw

y.co

m

corsi su strade senza prati-camente alcun accenno di curva o depressione; il de-serto sconfinato e la natura sembrano volersi ribellare dall’oppressione dei grandi centri urbani. Non essendoci incroci o altri tipi di svincoli a cui prestare particolare attenzione la segnaletica è ridotta all’essenziale: qual-che avviso qua e là delimita le aree di sorpasso, mentre un’altra serie di cartelli ci avverte dei pericoli in strada. Con sorpresa noto che la maggior parte di essi non utilizzano il pittogramma come mezzo di comunicazi-one, ma al contrario la parola scritta, che nell’indicazione sostituisce l’elemento gra-fico. Questa particolarità è resa ancor più interessante dalla flessibilità e dalla par-ticolare semplicità della lingua inglese che permette questo tipo di sostituzione. La parola, che identifica im-mediatamente l’elemento fonico della frase ha così lo stesso potere comunicativo dell’immagine.WATCH FOR ANIMALS WATCH FOR ROCKSWATCH FOR ICEWATCH FOR TRUCKS,mantengono, ad esempio, la stessa forma grammati-cale cambiando il soggetto a seconda delle necessità. Al contrario un punto di incon-tro tra parola e immagine si trova realizzato nella segna-letica per gli attraversamenti pedonali dove il pittogram-ma che convenzionalmente ritrae l’uomo che cammina

euforia per una località che da sempre ha fatto parte del mio immaginario. La pos-sibilità di noleggiare un’auto ha aumentato quello spirito d’avventura che il paesaggio sconfinato infonde e che ri-porta alla mente suggestioni associate fin dall’infanzia allo stereotipo iconografico e cinematografico ameri-cano. All’ufficio noleggi di Las Vegas mi viene fornita una semplice brochure che introduce le principali norme di sicurezza stradale americana consigliate dalla California State Highway: un riassunto della segnaletica e delle principali differenze cromatiche tra i segnali. Il primo approccio avviene la sera stessa in una piccola stazione di servizio nei pressi di Seligman, (Arizona). Mi trovo subito a dover risol-vere il primo di una serie di problemi: la colorazione delle pompe per identificare le diverse tipologie di car-burante è del tutto diversa da quella Europea; il colore nero identifica la benzina normale (”normal”, o senza piombo, come diremmo noi) mentre il verde è associato al diesel. Nonostante l’elevato rischio di errore faccio la scelta giusta! (questo non era menzionato nella brochure).Centinaia i chilometri per-

UN VIAGGIO È COME UN DIARIOFATTO DI PERSONE,LUOGHI, SUONI, ODORI:

è solitamente affiancato alla parola che ne descrive la medesima azione:DON’T WALK, WALK o PUSH BUTTON FOR WALK. Percorro la 40 Highway in attesa di arrivare a Los Ange-les, un tragitto che si svi-luppa per lo più su tracciati polverosi e poco spesso bat-tuti dove le crepe sull’asfalto disegnate dal calore del de-serto e la presenza sporadica di qualche distributore di benzina delineano un paesag-gio hopperiano segnando il confine tra il deserto selvag-gio e la convulsa metropoli californiana. Gradualmente le corsie aumentano arrivando a quattro per senso di marcia e se consideriamo anche la “car pool”, che qui rappresen-ta una la corsia preferenziale per chi viaggia con più di un passeggero a bordo arriviamo a ben cinque,davvero troppe per un italiano abituato ai vicoli dei centri storici.

Los Angeles infatti come ogni altra città degli Stati Uniti ha una sua conformazione terri-toriale e urbana ben precisa, dove per entrambi gli aspetti lo studio della segnaletica ha rappresentato in passato un problema crescente.

CIÒ NONOSTANTESULLE AUTOSTRADEIL PROBLEMADELLA SEGNALETICAÈ GESTITODIVERSAMENTE CHE ALTROVE.

imm

agin

i tra

tte

da

ww

w.c

lear

view

hw

y.co

m

Il primo approccio per risol-vere la questione risale al 1949, quando per conto della California Department of Trasportation il designer Ted Forbes eseguì il primo di una serie di processi direstyling del carattere uf-ficiale della FHWA (Federal Highway Administration) passando dal vecchio(Series-D) al più aggiornato Series-E-modified. Questo presentava l’adeguamento del font precedente(Series-D) in una forma corsiva più bilanciata, grazie anche all’aumento della spa-ziatura tra le singole lettere

aumentandone la leggibilità. In seguito, nel 1989 una nota industria americana, la 3M, introdusse un materiale di supporto completamente autoriflettente, ampliando così la visibilità anche nelle ore notturne. L’ E modified venne ulteriormente sosti-tuito dall’attuale Clearview 5-W che, al contrario del precedente, prevedeva un’apertura maggiore sulle terminali delle lettere, l’abbassamento delle mi-nuscole e l’allargamento dei margini interni. Questi ac-corgimenti hanno rafforzato dunque l’identità di tutta

la segnaletica statunitense, specialmente quella delle autostrade che, con milioni di utenti ogni giorno,rappresentano il puntocentrale degli spostamenti sul territorio.Per due settimane mi sono mosso per oltre un migliaio di chilometri, attraverso Nevada, Arizona e California; la strada diventa simbolo e libertà di movimento in un territorio sconfinato e selvag-gio che spesso la mappatura del navigatore non arriva a coprire, ma dove la piccola ma efficace mappa fornita dall’autonoleggio, con

annessa pubblicità dihamburger e prodotti per auto si rivela assai utile. Concludo con una citazione di J.Kerouac che come le tematiche dei suoi racconti è profondamente legata al tema del viaggio ed al sim-bolo che la strada da sempre rappresenta.

“It is strange to be far away from home, when there’s a whole continent in between and you dont’t even know where your home is and the only home you’ve left is the one in your mind”

Il primo approccio per risol-vere la questione risale al 1949, quando per conto della California Department of Trasportation il designer Ted Forbes eseguì il primo di una serie di processi direstyling del carattere uf-ficiale della FHWA (Federal Highway Administration) passando dal vecchio(Series-D) al più aggiornato Series-E-modified. Questo presentava l’adeguamento del font precedente(Series-D) in una forma corsiva più bilanciata, grazie anche all’aumento della spa-ziatura tra le singole lettere

aumentandone la leggibilità. In seguito, nel 1989 una nota industria americana, la 3M, introdusse un materiale di supporto completamente autoriflettente, ampliando così la visibilità anche nelle ore notturne. L’ E modified venne ulteriormente sosti-tuito dall’attuale Clearview 5-W che, al contrario del precedente, prevedeva un’apertura maggiore sulle terminali delle lettere, l’abbassamento delle mi-nuscole e l’allargamento dei margini interni. Questi ac-corgimenti hanno rafforzato dunque l’identità di tutta

la segnaletica statunitense, specialmente quella delle autostrade che, con milioni di utenti ogni giorno,rappresentano il puntocentrale degli spostamenti sul territorio.Per due settimane mi sono mosso per oltre un migliaio di chilometri, attraverso Nevada, Arizona e California; la strada diventa simbolo e libertà di movimento in un territorio sconfinato e selvag-gio che spesso la mappatura del navigatore non arriva a coprire, ma dove la piccola ma efficace mappa fornita dall’autonoleggio, con

annessa pubblicità dihamburger e prodotti per auto si rivela assai utile. Concludo con una citazione di J.Kerouac che come le tematiche dei suoi racconti è profondamente legata al tema del viaggio ed al sim-bolo che la strada da sempre rappresenta.

“It is strange to be far away from home, when there’s a whole continent in between and you dont’t even know where your home is and the only home you’ve left is the one in your mind”

Flower AttackCome succede ormai da anni in Inghilterra, Canada, Stati Uniti e Giappone, ora anche nelle città italiane iniziano a verificarsi i primi atti di “green terrorism”. Questa pratica, nata a New York negli anni ‘70 consiste nell’ incursione not-turna di gruppi di volontari nelle aree verdilasciate all’ abbandono da parte del comune o degli enti a cui appartengono. Questi paladini del verde, armati di semi, bulbi, vanghe e fertil-izzante, lavorano abusivamente per trasformare queste zone lasciate al degrado in vere e proprie

oasi nel cemento. Tramite la rete stanno nascen-do le prime comunità di green terrorist, dove si può venire a contatto con i vari gruppi di lavoro, ammirare i frutti delle loro azioni, capire meglio le cause che li spingono nella loro missione ma anche apprendere consigli utili per chi volesse cimentarsi nel giardinaggio urbano abusivo, come ad esempio le istruzioni per costruirsi una “flower bomb”. Chiunque sia disposto a rimboc-carsi le maniche per contrastare gli effetti della cementificazione di cui sono vittime le città, può organizzarsi per compiere un atto di giar-dinaggio abusivo; bastano pochi accorgimenti,

in primo luogo è necessario non farsi cogliere sul fatto, poiché una volta completato il lavoro, generalmente questo viene ben tollerato dagli enti a cui appartiene l’area e inoltre, di solito, gli abitanti della zona sono contenti di “adottare” il giardino per provvedere alla manutenzione fu-tura. Per chi volesse cimentarsi in un’impresa di giardinaggio urbano può trovare le informazi-oni utili in questi siti:www.guerrillagardening.itwww.guerrillagardening.orgcrepeurbane.noblogs.org/summary.php

Werner HerzogThe Wild Blue Younder.“Come avete fatto a non diventare mostri senza sapere da dove venivate o perché avete iniziato il viaggio?” Questo l’interrogativo di un person-aggio che ci vuol far credere di essere un alieno, melancolico e provato da un’esistenza che trop-po poco gli ha dato e si rivolge direttamente allo spettatore, raccontando la propria storia, tenta-tivo fallito dai suoi simili di stabilire un contat-to con i terrestri e il tentativo suicida di questi ultimi verso il suo pianeta, alla ricerca di nuove risorse da poter sfruttare, vista la morte prossi-ma della Terra. Un colonna sonora insolita(i canti sacri del coro di Orosei) per un “film fan-tascientifico” snocciola una narrazione surreale su immagini già viste o familiari ma totalmente

snaturate dal racconto allucinato del nostro nar-ratore. Werner Herzog, uno degli autori meno convenzionali e decifrabili del cinema tedesco ci offre uno sconnesso semi documentario, tec-nicamente inaccettabile, dalle ambizioni che non sembrano né troppo poche, né piccole. Per lui ciò che sembra vero può essere finto e vice-versa e il risultato è sorprendente. Questo film è la rivisitazione emotiva che cambia diame-tralmente le nostre convinzioni, raccontandoci una storia ben diversa da quella che in realtà le immagini ci suggeriscono: vediamo quindi se-quenze di astronauti che fluttuano all’interno della navicella spaziale sopportando la dilatazi-one del tempo e la meraviglia dell’ignoto, spazi profondi, distese magmatiche, abissi acquatici e la visione sconvolgente di una Terra tornata improvvisamente preistorica. Questa sorta di

“testamento” per il pianeta morente trasmette l’angoscia poetica del senso infinito del tempo portando l’uomo allo smarrimento di fronte alla vicinanza con il nulla. The Wild Blue Yonder è una straordinaria riprova del potere del cinema di manipolare il reale modificandone il signifi-cato, piegandolo alle proprie esigenze e di come sia possibile con mezzi semplici, lanciare un seg-nale d’allarme e dire “più del vero” sottolineando la vocazione all’autodistruzione dell’umanità, il grido di dolore e d’allarme della Terra, la picco-lezza dell’essere umano rispetto all’immensità dell’universo. Herzog ci guida in tutte queste sensazioni e ci incanta con lo spazio ipnotico più lontano che ci possa essere, laggiù dove nessun uomo è mai giunto prima, in un turbinio di an-ime, sensazioni e sentimenti difficilmente spie-gabili.

all’interno della copertina è alloggiato un cd-rom dal contenuto multimediale: per ogni artis-ta invitato è riservata una sezione specifica dove sono elencate le opere in esposizione oltre ad una breve ma esaustiva descrizione della poetica del compositore stesso. Dunque non si tratta di una mostra sul silenzio: chi deve tacere è lo spet-tatore mentre percorre un sentiero sia fisico che concettuale all’interno delle molteplici visioni, o per meglio dire, dei molteplici ascolti. Silence. Listen to the show potrebbe risultare di difficile fruizione per le orecchie meno preparate, ma al-tresì un ottimo stimolo per avvicinarsi a ciò che è stato e ciò che è sperimentazione musicale.

Silence.Listen to the show.Una mostra da ascoltare. Dal 1 giugno al 23 settembre 2007 presso la Fondazione San-dretto Re Rebaudengo, Torino. Il tema urgente dell’inquinamento acustico ha ispirato la con-cezione di questa mostra che riflette sul suono, considerato come fenomeno della nostra con-temporaneità. La musica e i rumori della quotidi-anità sono al centro di una narrazione formulata dallo sguardo di cinquanta artisti, tra cui alcuni storici ed altri emergenti. L’invito è quello ad isolarsi acusticamente e a concentrarsi su speci-fiche sensazioni uditive, un’esperienza resa pos-

sibile dal particolare allestimento: le opere sono fruibili attraverso cuffie con le quali il visitatore si muove nello spazio espositivo, in apparenza silenzioso, eppure invaso da una molteplicità di fonti sonore. “Il silenzio è lo spazio della musica. Il movimento che avviene in musica è movi-mento attraverso il silenzio. Nello spazio (visivo) il movimento è questione di dis-locazione, ri-locazione, o di materia, che è sempre in qualche luogo, viene da qualche luogo, e va verso qualche luogo. Nella musica, i suoni vengono dal silenzio e ritornano al silenzio.” (Don Ihde e Thomas F. Slaughter) Il catalogo della mostra è ben curato e rigoroso nel trattamento di testi ed immagini;

cultura monodose

Flower AttackCome succede ormai da anni in Inghilterra, Canada, Stati Uniti e Giappone, ora anche nelle città italiane iniziano a verificarsi i primi atti di “green terrorism”. Questa pratica, nata a New York negli anni ‘70 consiste nell’ incursione not-turna di gruppi di volontari nelle aree verdilasciate all’ abbandono da parte del comune o degli enti a cui appartengono. Questi paladini del verde, armati di semi, bulbi, vanghe e fertil-izzante, lavorano abusivamente per trasformare queste zone lasciate al degrado in vere e proprie

oasi nel cemento. Tramite la rete stanno nascen-do le prime comunità di green terrorist, dove si può venire a contatto con i vari gruppi di lavoro, ammirare i frutti delle loro azioni, capire meglio le cause che li spingono nella loro missione ma anche apprendere consigli utili per chi volesse cimentarsi nel giardinaggio urbano abusivo, come ad esempio le istruzioni per costruirsi una “flower bomb”. Chiunque sia disposto a rimboc-carsi le maniche per contrastare gli effetti della cementificazione di cui sono vittime le città, può organizzarsi per compiere un atto di giar-dinaggio abusivo; bastano pochi accorgimenti,

in primo luogo è necessario non farsi cogliere sul fatto, poiché una volta completato il lavoro, generalmente questo viene ben tollerato dagli enti a cui appartiene l’area e inoltre, di solito, gli abitanti della zona sono contenti di “adottare” il giardino per provvedere alla manutenzione fu-tura. Per chi volesse cimentarsi in un’impresa di giardinaggio urbano può trovare le informazi-oni utili in questi siti:www.guerrillagardening.itwww.guerrillagardening.orgcrepeurbane.noblogs.org/summary.php

Werner HerzogThe Wild Blue Younder.“Come avete fatto a non diventare mostri senza sapere da dove venivate o perché avete iniziato il viaggio?” Questo l’interrogativo di un person-aggio che ci vuol far credere di essere un alieno, melancolico e provato da un’esistenza che trop-po poco gli ha dato e si rivolge direttamente allo spettatore, raccontando la propria storia, tenta-tivo fallito dai suoi simili di stabilire un contat-to con i terrestri e il tentativo suicida di questi ultimi verso il suo pianeta, alla ricerca di nuove risorse da poter sfruttare, vista la morte prossi-ma della Terra. Un colonna sonora insolita(i canti sacri del coro di Orosei) per un “film fan-tascientifico” snocciola una narrazione surreale su immagini già viste o familiari ma totalmente

snaturate dal racconto allucinato del nostro nar-ratore. Werner Herzog, uno degli autori meno convenzionali e decifrabili del cinema tedesco ci offre uno sconnesso semi documentario, tec-nicamente inaccettabile, dalle ambizioni che non sembrano né troppo poche, né piccole. Per lui ciò che sembra vero può essere finto e vice-versa e il risultato è sorprendente. Questo film è la rivisitazione emotiva che cambia diame-tralmente le nostre convinzioni, raccontandoci una storia ben diversa da quella che in realtà le immagini ci suggeriscono: vediamo quindi se-quenze di astronauti che fluttuano all’interno della navicella spaziale sopportando la dilatazi-one del tempo e la meraviglia dell’ignoto, spazi profondi, distese magmatiche, abissi acquatici e la visione sconvolgente di una Terra tornata improvvisamente preistorica. Questa sorta di

“testamento” per il pianeta morente trasmette l’angoscia poetica del senso infinito del tempo portando l’uomo allo smarrimento di fronte alla vicinanza con il nulla. The Wild Blue Yonder è una straordinaria riprova del potere del cinema di manipolare il reale modificandone il signifi-cato, piegandolo alle proprie esigenze e di come sia possibile con mezzi semplici, lanciare un seg-nale d’allarme e dire “più del vero” sottolineando la vocazione all’autodistruzione dell’umanità, il grido di dolore e d’allarme della Terra, la picco-lezza dell’essere umano rispetto all’immensità dell’universo. Herzog ci guida in tutte queste sensazioni e ci incanta con lo spazio ipnotico più lontano che ci possa essere, laggiù dove nessun uomo è mai giunto prima, in un turbinio di an-ime, sensazioni e sentimenti difficilmente spie-gabili.

all’interno della copertina è alloggiato un cd-rom dal contenuto multimediale: per ogni artis-ta invitato è riservata una sezione specifica dove sono elencate le opere in esposizione oltre ad una breve ma esaustiva descrizione della poetica del compositore stesso. Dunque non si tratta di una mostra sul silenzio: chi deve tacere è lo spet-tatore mentre percorre un sentiero sia fisico che concettuale all’interno delle molteplici visioni, o per meglio dire, dei molteplici ascolti. Silence. Listen to the show potrebbe risultare di difficile fruizione per le orecchie meno preparate, ma al-tresì un ottimo stimolo per avvicinarsi a ciò che è stato e ciò che è sperimentazione musicale.

Silence.Listen to the show.Una mostra da ascoltare. Dal 1 giugno al 23 settembre 2007 presso la Fondazione San-dretto Re Rebaudengo, Torino. Il tema urgente dell’inquinamento acustico ha ispirato la con-cezione di questa mostra che riflette sul suono, considerato come fenomeno della nostra con-temporaneità. La musica e i rumori della quotidi-anità sono al centro di una narrazione formulata dallo sguardo di cinquanta artisti, tra cui alcuni storici ed altri emergenti. L’invito è quello ad isolarsi acusticamente e a concentrarsi su speci-fiche sensazioni uditive, un’esperienza resa pos-

sibile dal particolare allestimento: le opere sono fruibili attraverso cuffie con le quali il visitatore si muove nello spazio espositivo, in apparenza silenzioso, eppure invaso da una molteplicità di fonti sonore. “Il silenzio è lo spazio della musica. Il movimento che avviene in musica è movi-mento attraverso il silenzio. Nello spazio (visivo) il movimento è questione di dis-locazione, ri-locazione, o di materia, che è sempre in qualche luogo, viene da qualche luogo, e va verso qualche luogo. Nella musica, i suoni vengono dal silenzio e ritornano al silenzio.” (Don Ihde e Thomas F. Slaughter) Il catalogo della mostra è ben curato e rigoroso nel trattamento di testi ed immagini;

cultura monodose

/ erasmus

Valentina Mingucci

Come ti chiami?

Qual’è la tua città di provenienza?

Come mai hai scelto Urbino per i tuoi studi?Ho scelto Urbino perch[e e’ la citta del rinascimento dove si studia l’arte e questa citta’ me l’hanno suggerito i miei professori egiziani che anche loro negli anni settanta sono venuti qui. Sono laureata nell’Accademia del Cairo e ho fatto anche la specializ-zazione in Grafica. Urbino e’ la citta dell’incisione per questo ho scelto Urbino. Ho fatto Cartone Animato al Cairo ma ho sempre un grande desiderio dell’arte.

Cairo (Egitto)

Soha Khalili Ibrahim(biennio grafica)

Perché il corso chefrequento, progettazione multimediale, c’è in pochi luoghi in Italia e Urbino mi sembrava all’epoca, il più praticabile di questi, per me, in quanto a distanza(abito in provincia diverona), materie e costo della vita.

Io sono di Sarajevo ma il mio percorso di studi dalla seconda elementare in poi, si è svolto in Italia.

Kajo Sartori(2° anno progettazionemultimediale)

era una scelta casuale,cmq studiava già ad Urbino un mio compaesa-no, quindi mi aveva parlato dell’ accademia di Urbino.

Xanthi (Grecia)

Kandylis Panagiotis(3° anno pittura)

/ erasmus

Valentina Mingucci

Come ti chiami?

Qual’è la tua città di provenienza?

Come mai hai scelto Urbino per i tuoi studi?Ho scelto Urbino perch[e e’ la citta del rinascimento dove si studia l’arte e questa citta’ me l’hanno suggerito i miei professori egiziani che anche loro negli anni settanta sono venuti qui. Sono laureata nell’Accademia del Cairo e ho fatto anche la specializ-zazione in Grafica. Urbino e’ la citta dell’incisione per questo ho scelto Urbino. Ho fatto Cartone Animato al Cairo ma ho sempre un grande desiderio dell’arte.

Cairo (Egitto)

Soha Khalili Ibrahim(biennio grafica)

Perché il corso chefrequento, progettazione multimediale, c’è in pochi luoghi in Italia e Urbino mi sembrava all’epoca, il più praticabile di questi, per me, in quanto a distanza(abito in provincia diverona), materie e costo della vita.

Io sono di Sarajevo ma il mio percorso di studi dalla seconda elementare in poi, si è svolto in Italia.

Kajo Sartori(2° anno progettazionemultimediale)

era una scelta casuale,cmq studiava già ad Urbino un mio compaesa-no, quindi mi aveva parlato dell’ accademia di Urbino.

Xanthi (Grecia)

Kandylis Panagiotis(3° anno pittura)

Puoi farmi un breve paragonetra l’Accademia di Urbino che staifrequentando e gli studi intrapresi nel tuo paese di provenienza considerandoi pro e i contro di quest’esperienza?

Puoi fare una descrizione del tuo lavoro?Il mio lavoro si basa nell’incisione, pittura, acquarello ho fatto l’anno scorso anche il libro d’Arte intitolato: Urbino fram-menti di sogno presentato da Silvia Cuppini.

Creare opere multimediali, artistiche o meno,che abbiano un’interfaccia e degli elementi di inter-attività. Questo in linea generale. Poi è possibile anche non fare alcunché di multimediale ma fermarsi magari al disegno vet-toriale, al fotoritocco, alla grafica etc.. Queste però sono solo delle parzialità di quello che dovrebbe essere il ben più complesso lavoro del progettista multimedi-ale. Io personalmente per ora ho prodotto solo opere grafiche, con il computer, senza elementi interattivi.

i miei lavori si trattano delle foto stampate su le tele e poi una voltastampate ritoccate con lapittura. è una tecnica che mi affascina molto e mi fa esprimere al massimo. e poi con questo modo di creare, faccio l’uso delle mie passioni, cioè lafotografia ma anchela pittura.

Voglio dire che mi trovo bene, i professori sono molto socievoli e mol-to preparat. Il pregio dell’Accademia di Urbino [e’ che esiste il contatto umano cosa che non si trova nei grandi Istituti.

(senza risposta) non posso fare questo paragone, per il semplice motivo che nn ho mai studiato l’arte a paese mio, quindi in consequensa nn ho mai fatto liceo artistico. ho studiato liceo classico. cmq una cosa vorrei sottolineare, sarei contento se almeno i professori dell’accademia di Urbino, delle matterie pratiche si impegnassero di più, tranne pochi che sono sempre presenti,come il professore diaffresco per esempio.

Puoi farmi un breve paragonetra l’Accademia di Urbino che staifrequentando e gli studi intrapresi nel tuo paese di provenienza considerandoi pro e i contro di quest’esperienza?

Puoi fare una descrizione del tuo lavoro?Il mio lavoro si basa nell’incisione, pittura, acquarello ho fatto l’anno scorso anche il libro d’Arte intitolato: Urbino fram-menti di sogno presentato da Silvia Cuppini.

Creare opere multimediali, artistiche o meno,che abbiano un’interfaccia e degli elementi di inter-attività. Questo in linea generale. Poi è possibile anche non fare alcunché di multimediale ma fermarsi magari al disegno vet-toriale, al fotoritocco, alla grafica etc.. Queste però sono solo delle parzialità di quello che dovrebbe essere il ben più complesso lavoro del progettista multimedi-ale. Io personalmente per ora ho prodotto solo opere grafiche, con il computer, senza elementi interattivi.

i miei lavori si trattano delle foto stampate su le tele e poi una voltastampate ritoccate con lapittura. è una tecnica che mi affascina molto e mi fa esprimere al massimo. e poi con questo modo di creare, faccio l’uso delle mie passioni, cioè lafotografia ma anchela pittura.

Voglio dire che mi trovo bene, i professori sono molto socievoli e mol-to preparat. Il pregio dell’Accademia di Urbino [e’ che esiste il contatto umano cosa che non si trova nei grandi Istituti.

(senza risposta) non posso fare questo paragone, per il semplice motivo che nn ho mai studiato l’arte a paese mio, quindi in consequensa nn ho mai fatto liceo artistico. ho studiato liceo classico. cmq una cosa vorrei sottolineare, sarei contento se almeno i professori dell’accademia di Urbino, delle matterie pratiche si impegnassero di più, tranne pochi che sono sempre presenti,come il professore diaffresco per esempio.

Diag

ram

ma

Vale

rio B

osi, B

ianc

a Fa

bbri

Diag

ram

ma

Vale

rio B

osi, B

ianc

a Fa

bbri

stampa + ritaglia + attaccatrasforma i luoghi del tuo quotidiano in falsi d’autore

Accade #2 - giugno 2008

Lo Zen dice: se qualcosa diventa noiso dopo due minuti, vai avan-ti per quattro. Se è ancora noioso, vai avanti per otto, sedici, tren-tadue, e così via. Alla fine si può scoprire che non era affatto una cosa noiosa, ma anzi molto inter-essante. (John Cage)un progetto di Campivisivi,Accademia di Belle Arti di Urbinovia dei Maceri, 2www.accademiadiurbino.ittel. 0722-320287

Docenti:Alessandro Sibilia (Fenomenologia degli stili)Marcello Signorile (Video design)con l’aiuto di:Totto Renna (Illustrazione digitale)

Studenti in redazione per questo numero:Valerio Bosi (l’astuta giraffa delle lande)Bianca Fabbri (paguro di Comacchio)Francesco Fanti (piccolo colibrì del Massachusetts)Giulia Giordani (l’infingardo licaone)Diego Giusti (il tenero e roseo gamberetto)Daniele Lisi (la cavalletta delle saline di Giza)Silvia Mengarelli (l’elegante pulcinella di mare)Valentina Mingucci (non è il vento. è il Puma)Manuel Pasini (tonno qualità pinne gialleche si spezza con un grissino)

Hanno collaborato:Luciano PerondiLuca Cesari

Ringraziamenti:Umberto PalestiniMassimo CastellucciAmneris De AngeliAnna Fucili

© autori e campivisivi

www.campivisivi.net

Chiuso in redazione il 18/06/08

stampa + ritaglia + attaccatrasforma i luoghi del tuo quotidiano in falsi d’autore

Accade #2 - giugno 2008

Lo Zen dice: se qualcosa diventa noiso dopo due minuti, vai avan-ti per quattro. Se è ancora noioso, vai avanti per otto, sedici, tren-tadue, e così via. Alla fine si può scoprire che non era affatto una cosa noiosa, ma anzi molto inter-essante. (John Cage)un progetto di Campivisivi,Accademia di Belle Arti di Urbinovia dei Maceri, 2www.accademiadiurbino.ittel. 0722-320287

Docenti:Alessandro Sibilia (Fenomenologia degli stili)Marcello Signorile (Video design)con l’aiuto di:Totto Renna (Illustrazione digitale)

Studenti in redazione per questo numero:Valerio Bosi (l’astuta giraffa delle lande)Bianca Fabbri (paguro di Comacchio)Francesco Fanti (piccolo colibrì del Massachusetts)Giulia Giordani (l’infingardo licaone)Diego Giusti (il tenero e roseo gamberetto)Daniele Lisi (la cavalletta delle saline di Giza)Silvia Mengarelli (l’elegante pulcinella di mare)Valentina Mingucci (non è il vento. è il Puma)Manuel Pasini (tonno qualità pinne gialleche si spezza con un grissino)

Hanno collaborato:Luciano PerondiLuca Cesari

Ringraziamenti:Umberto PalestiniMassimo CastellucciAmneris De AngeliAnna Fucili

© autori e campivisivi

www.campivisivi.net

Chiuso in redazione il 18/06/08