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ACCADEMIA ITALIANA DI ECONOMIA AZIENDALE GRUPPO DI STUDIO SUGLI IAS/IFRS DOCUMENTO N° 4 FINALITÀ DEL BILANCIO: PROSPETTIVE A cura di Roberto Di Pietra Approvato il 26 novembre 2005

Accademia Italiana di Economia Aziendale - DOCUMENTO N° 4 … · 2012. 4. 17. · ACCADEMIA ITALIANA DI ECONOMIA AZIENDALE GRUPPO DI STUDIO SUGLI IAS/IFRS DOCUMENTO N° 4 FINALITÀ

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ACCADEMIA ITALIANA DI ECONOMIA AZIENDALE

GRUPPO DI STUDIO SUGLI IAS/IFRS

DOCUMENTO N° 4 FINALITÀ DEL BILANCIO:

PROSPETTIVE

A cura di Roberto Di Pietra

Approvato il 26 novembre 2005

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I N D I C E

PREMESSA ..................................................................................................................... pag. 3

CAPITOLO I

OMOLOGAZIONE DEGLI IAS/IFRS, EVOLUZIONE LEGISLATIVA E

RUOLO DEL FRAMEWORK DELLO IASB ROBERTO DI PIETRA

1. – Introduzione .......................................................................................................... pag. 11 2. – L’endorsment degli IAS/IFRS in Europa ..………………………………………. » 11 3. – Il “quadro concettuale” posto a base degli standards contabili internazionali … » 14 4. – La funzione del Framework: il ricorso alla logica deduttiva rispetto ad una

impostazione di problem solving ………………………………………………..

» 15 5. – L’obiettivo conoscitivo del Bilancio perseguito dallo IASB .…………………… » 18 6. – Riflessioni di sintesi ed osservazioni critiche .………………………………….. » 20

CAPITOLO II

I POSTULATI DELLA PRUDENZA E DELLA COMPETENZA NELLA REDAZIONE DEL BILANCIO D’ESERCIZIO:

NORMATIVA ITALIANA E STANDARDS DELLO IASB GIOVANNI MELIS

1. – Introduzione …………………………………………………………………….. pag. 23 2. – I criteri generali di valutazione nell'ambito dei principi IASB e nella

determinazione del Bilancio d'esercizio secondo la clausola della chiarezza e rappresentazione veritiera e corretta ...…………………………………………..

» 24 2.1. – I principi della prudenza e della competenza nel Codice civile e nei

principi IASB ..………………………………..……………………………….

» 26 2.2. – Il reddito d’esercizio ed il capitale di funzionamento secondo la

rappresentazione veritiera e corretta ed i principi contabili internazionali: significatività ed attendibilità ………………………………………………...

» 29 2.3. – L’obiettivo informativo del Bilancio d’esercizio ed i criteri di redazione … » 32

3. – I principali motivi sottostanti le differenze del trattamento degli utili da fair value fra Italia e IASB …………………………………………………………..

» 34

3.1. – Gli assetti proprietari e la struttura finanziaria e del controllo aziendale ..... » 35 3.2. – Il concetto di azienda ……………………………………………………… » 36

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3.3. – Prudenza ed avversione all’incertezza …………………………………….. » 37 4. – L’utilizzazione del Comprehensive Income Statement …………………............ » 38

4.1. – Aspetti introduttivi ....……………………………………………………… » 38 4.2. – I diversi modelli di Comprehensive Income .....…………………………… » 40 4.3. – La soluzione prospettata dallo IASB ..…………………………………….. » 42 4.4. – L'adozione del Comprehensive Income Statement in Italia: una proposta

operativa ....……………......……………......…………….....…………..……

» 44 4.5. – Riflessioni conclusive sul Comprehensive Income ……………..……..….. » 57

CAPITOLO III

NOZIONE E MODALITÀ DI RILEVAZIONE DEGLI ELEMENTI COSTITUTIVI

DELLO STATO PATRIMONIALE E DEL CONTO ECONOMICO NEL FRAMEWORK DELLO IASB

LUIGI PUDDU

1. – Andamento economico e risultato d’esercizio …………………………………. pag. 59 2. – I Ricavi …..……………………….……………………………………………... » 60 3. – I Costi e gli oneri

…………………………………………………....................... » 61

4. – La rilevazione degli elementi costitutivi i prospetti di Bilancio ………………... » 63 4.1. – La rilevazione delle Attività e delle Passività ............................................... » 64 4.2. – La rilevazione dei Ricavi e dei Costi ……………………………………… » 68

5. – Riflessioni di sintesi …………………………………………………………..... » 72

CAPITOLO IV

DEFINIZIONE E RILEVAZIONE DEGLI ELEMENTI PATRIMONIALI DI BILANCIO

MARGHERITA POSELLI

1. – Le indicazioni del Framework in merito alla rappresentazione della Situazione patrimoniale ……………………………………………………………………..

pag. 75

2. – La rilevazione degli elementi patrimoniali di Bilancio ……………………….... » 76 2.1. – Lo Stato patrimoniale Attivo …………………………………………….... » 78 2.2. – Lo Stato patrimoniale Passivo …………………………………………….. » 80 2.3. – Il Patrimonio netto …………………………………………….................... » 83

3. – Il Prospetto delle variazioni di Patrimonio netto ………………………….......... » 84 4. – La Rivalutazione e la svalutazione degli elementi patrimoniali ………………... » 86 5. – La presentazione del Bilancio ………………………………………………….. » 90 6. – Il rendiconto finanziario e la variazione della struttura finanziaria dell’impresa » 93

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CAPITOLO V

I PUNTI CONTROVERSI DELLE VALUTAZIONI AL FAIR VALUE EMERGENTI DALL’ESAME DEL FRAMEWORK DELLO IASB

ANTONIO DEL POZZO

1. – Introduzione …………………………………………………………………….. pag. 97 2. – Criteri generali di valutazione ………………………………………………...... » 98 3. – L’evoluzione incerta e le differenti accezioni dei fair value negli standards

contabili internazionali …………………………………………………………..

» 99

4. – Contesto valutativo e misurazione dei risultati aziendali: un legame inscindibile » 102 5. – La scelta di valori di mercato: le possibili incongruenze ...……………………... » 103 6. – Il trattamento contabile delle differenze emergenti tra schema generale di

valutazione adottato e fair value ………………………………………………...

» 104 7. – Le motivazioni del percorso di avvicinamento al fair value …………………… » 104 8. – Considerazioni di sintesi ………………………………………………………... » 105

CAPITOLO VI

FUNZIONE DEL BILANCIO E CAPITAL MANTEINANCE: CONCEZIONI ORIGINARIE NELLA DOTTRINA TEDESCA E SPUNTI DI RIFLESSIONE SUL FRAMEWORK DELLO IASB

CORRADO CORSI

1. – Il quadro concettuale di riferimento ……………………………………………. pag. 107 2. – Genesi e peculiarità della concezione statica del Bilancio ……………………... » 109 3. – L’enfasi sul significato dinamico della rappresentazione dei valori …………… » 112 4. – Conservazione del capitale, determinazione del risultato economico e funzione

del Bilancio: considerazioni sugli orientamenti espressi dal Framework ………

» 115

CAPITOLO VII

LA POLITICA DI REMUNERAZIONE E L’INTEGRITÀ ECONOMICA DEL CAPITALE PROPRIO:

RIFLESSIONI CRITICHE SUL FRAMEWORK DELLO IASB GIUSEPPE CERIANI

1. – La politica di remunerazione del capitale proprio ……………………………… pag. 121 2. – Le metodologie di assestamento suggerite dalla dottrina economico-aziendale

per la conservazione dell’integrità del capitale ...………………………..............

» 123

3. – La teoria della duplice tecnica di valutazione …………………………………... » 131 4. – Analisi critica del concetto di integrità del capitale …………………….............. » 136 5. – Considerazioni di sintesi ………….……….……….……….……….……….…. » 140 6. – Osservazioni critiche del "Quadro sistematico (Framework) dello IASB" ….…. » 143

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OSSERVAZIONI CRITICHE E PROPOSTE DI MIGLIORAMENTO DEL FRAMEWORK DELLO IASB .......................................................................................................................

pag. 147

Riferimenti bibliografici .............................................................................................. pag. 153

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PREMESSA

Nel presente documento intendiamo sviluppare il tema delle finalità del Bilancio muovendo dalle basi dottrinali evidenziate nel terzo documento per esaminare criticamente e propositivamente quanto si sta profilando nella prospettiva dell’ormai imminente transizione agli standards contabili internazionali.

Nello sviluppo delle nostre osservazioni sulle finalità del Bilancio riconducibili all’adozione delle norme emanate dallo IASB abbiamo ritenuto opportuno scandagliare il contenuto del suo “quadro concettuale” (ovvero Framework for the preparation of financial statements, o più brevemente Framework).

A tale documento, approvato e pubblicato nel 1989, lo IASB aveva attributo una funzione di servizio che avrebbe dovuto comportare la rilettura di tutti gli standards fino a quel momento approvate e che avrebbe dovuto informare il contenuto delle norme emanate successivamente a tale anno. Il Framework for the preparation of financial statements costituisce il quadro concettuale di riferimento per tutti gli standards vigenti seppure esso non può essere annoverato tra essi e non può essere considerato come gerarchicamente sovraordinato agli stessi1.

Nel Framework dello IASB viene proposta una base che, nelle intenzioni dei suoi estensori, dovrebbe assumere i caratteri della organicità e della sistematicità. In tale documento lo IASB ha cercato di affrontare e definire le principali tematiche che riguardano la redazione del Bilancio a cominciare proprio dalla indicazione delle relative finalità.

Tra i punti affrontati all’interno del Framework possiamo elencare quelli relativi all’identificazione delle differenti categorie di destinatari, all’enunciazione dei postulati e delle caratteristiche qualitative dell’informazione di Bilancio, alla definizione degli elementi patrimoniali e di Conto economico, all’effettuazione delle rettifiche per la conservazione del capitale, alla conoscenza dei criteri di valutazione, alla comprensione del concetto di capitale e della sua conservazione.

In sintesi, esaminando il quadro concettuale è possibile desumere il modello di Bilancio che unifica le numerose norme emanate dallo IASB siano esse standards contabili (IAS o IFRS), oppure interpretazioni ufficiali (SIC o IFRIC). Proprio considerando tale prospettiva riteniamo opportuno procedere ad un esame dettagliato del Framework alla luce delle conoscenze che muovono dalla esperienza e dalla tradizione della dottrina economico – aziendale italiana, nel tentativo di mettere in luce le affinità e le differenze che possono contribuire ad una migliore comprensione delle caratteristiche insite nel modello di Bilancio sottostante all’adozione degli standards contabili internazionali.

Nel contempo, riteniamo ed auspichiamo che i risultati delle nostre riflessioni possano sollecitare una rilettura del modello di Bilancio definito dallo IASB nel 1989 assumendo una prospettiva più ampia di quella all’interno del Framework e, soprattutto, riconoscendo una inevitabile esigenza di partecipazione delle diverse tradizioni contabili che compongono il ricco scenario europeo.

In relazione agli auspici appena indicati abbiamo proceduto suddividendo il lavoro ed il contenuto del presente documento in sei capitoli ciascuno dei quali è stato dedicato ad una delle seguente questioni:

1 È lo stesso Framework che al paragrafo 2 precisa tali caratteristiche rispetto al contenuto ed al ruolo gerarchico nei confronti di tutti gli standards emanati dallo IASB.

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1) omologazione IAS/IFRS, evoluzione legislativa, ruolo del Framework dello IASB, finalità del Bilancio e suoi destinatari;

2) principi di redazione con specifico riferimento alla relazione tra prudenza e competenza economica;

3) valutazioni al fair value; 4) rilevazione dei Ricavi, dei Costi, delle Attività, delle Passività e del Patrimonio netto; 5) la struttura del Bilancio (Stato patrimoniale, Conto economico, Rendiconto finanziario,

Prospetto delle variazioni del Patrimonio netto e Note esplicative); 6) concetto di capitale sua conservazione e metodologie di assestamento per la conservazione

dell’integrità del capitale; 7) politica di renumerazione ed integrità del capitale proprio2. La sequenza degli argomenti affrontati in ciascun capitolo trae spunto dalle differenti parti

individuabili all’interno del Framework dello IASB. In questo senso i differenti contributi che costituiscono il presente documento hanno inteso esaminare il quadro concettuale definito quale base di riferimento degli IAS/IFRS. L’esame delle differenti parti del Framework segue un percorso necessariamente critico che, superando i preconcetti, intende enfatizzare il contributo che la dottrina economico – aziendale italiana può offrire in una prospettiva di miglioramento dello stesso documento emanato dall’allora IASC nel 1989. Riteniamo importante assumere la posizione dello IASB in una logica di progressivo miglioramento tale da avvalersi dei patrimoni di conoscenza che le specifiche esperienze nazionali possono mettere al servizio della comunità internazionale.

In tale prospettiva occorre richiamare il progetto in atto dall’ottobre 2004 con il quale lo IASB sta operando per giungere ad una versione rinnovata del Framework. In verità tale progetto è stato avviato nell’intento di migliorare la comparabilità degli IAS/IFRS con gli standards di generale accettazione adottati nello scenario statunitense. La ricerca di una linea di coerente dovrebbe, infatti, passare attraverso la progressiva convergenza del Conceptual Framework dello IASB con il corrispondente documento del FASB (Statements of Financial Accounting Concepts)3.

Nel progetto del Board dello IASB sono previste diverse fasi attraverso cui realizzare la predetta convergenza e di conseguenza l’aggiornamento del quadro concettuale. Una attenzione particolare ed iniziale è stata posta sulla tematica degli obiettivi del Bilancio, nonché sulle caratteristiche qualitative dell’informazione, sugli elementi che costituiscono tale documento di sintesi annuale, ovvero sul loro riconoscimento e valutazione.

Il progetto congiunto avviato dallo IASB e dal FASB costituisce una importante occasione per rimettere in discussione alcune scelte compiute nel 1989 in tema di obiettivi del Bilancio, di utilizzatori delle relative informazioni, di postulati e principi di redazione, di metodi di valutazione. In particolare, la realizzazione di tale progetto potrebbe finalmente costituire l’occasione per rimettere al centro del dibattito il ruolo che il quadro concettuale deve assumere. Esso deve cioè realmente divenire il riferimento concettuale rispetto al quale tutte gli standards emanati, le loro successive modificazioni e tutti gli standards successivamente approvati” possono risultare coerenti. Tale coerenza deve sussistere rispetto al quadro concettuale e tra tutti gli standards al

2 Anche se il lavoro è frutto del dibattito sviluppato all’interno del gruppo di studio e della conseguente condivisione rispetto ai temi ed alle impostazioni assunte ciascuno dei capitoli che seguono sono riconducibili al lavoro di redazione specificamente segnalato nella prima nota. In particolare, il primo Capitolo è stato redatto da Roberto Di Pietra, mentre il secondo, terzo e quarto capitolo sono stati curati rispettivamente da Giovanni Melis, Luigi Puddu e Margherita Poselli. Della redazione del capitolo quinto ne è stato autore Antonio Del Pozzo, mentre il sesto ed il settimo capitolo sono stati rispettivamente redatti da Corrado Corsi e Giuseppe Ceriani. La presente premessa ed il paragrafo conclusivo sono stati redatti dal curatore del Documento n° 4 Roberto Di Pietra. 3 Per informazioni sul progetto in atto presso il Board dello IASB rinviamo ai documenti disponibili sul sito www.iasb.org ed in particolare all’ultima sintesi proposta sullo stato di avanzamento del progetto (maggio 2005), nonché al documento congiunto dello IASB e del FASB intitolato Revisiting the Concepts (H. G. BULLEN, K. CROOK, 2005).

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punto da attribuire all’intero corpus delle norme il carattere della organicità e della sistematicità in un dato momento e con riferimento al progressivo modificarsi degli standards emanati4.

Le precedenti riflessioni ed intenzioni espresse nel progetto congiunto dello IASB e del FASB riteniamo supportino una serie di valutazioni emerse nell’ambito del presente documento in quanto finalizzate a dare una reale posizione sovra ordinata del Framework rispetto agli standards capace di dare effettiva coerenza interna all’interno complesso di norme.

Naturalmente l’effettiva rilevanza del quadro concettuale costituisce uno dei primi passi da compiere cui debbono necessariamente seguire ulteriori riflessioni in merito al suo contenuto. Proprio in tale prospettiva si inseriscono i contributi proposti nel presente documento.

4 La funzione che deve essere attribuita ad un quadro concettuale è chiaramente indicata nel contributo di H. G. BULLEN e K. CROOK (2005: 1) quando precisano che “For standards on various issues to result in coherent financial accounting and reporting, the fundamental concepts need to constitute a framework that is sound comprehensive, and internally consistent. Without the guidance provided by an agreed –upon framework, standard setting ends up being based on the individual concepts developed by each member of the standard-setting body”.

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CAPITOLO I

OMOLOGAZIONE DEGLI IAS/IFRS, EVOLUZIONE LEGISLATIVA E RUOLO DEL FRAMEWORK DELLO IASB

SOMMARIO: 1. – Introduzione; 2. – L’endorsment degli IAS/IFRS in Europa; 3. – Il “quadro concettuale” posto a base degli standards contabili internazionali; 4. – La funzione del Framework : il ricorso alla logica deduttiva rispetto ad una impostazione di problem solving; 5. – L’obiettivo conoscitivo del Bilancio perseguito dallo IASB; 6. – Riflessioni di sintesi ed osservazioni critiche.

1. – INTRODUZIONE5

Per apprezzare il significato ed il ruolo che sta assumendo la recente introduzione degli IAS/IFRS nello Spazio Economico Europeo (SEE) occorre necessariamente tentare di seguire in modo ordinato il percorso normativo che ha determinato tale cambiamento. La necessaria ricognizione delle norme che, a livello europeo, sono state emanate costituisce, inoltre, un utile riferimento per comprendere meglio le finalità che nello schema concettuale dello IASB vengono assegnate alla redazione dei Bilanci (Framework for the preparation of financial statements).

Anche se tale documento non costituisce uno degli standards emanati dallo IASB ed anche se per esplicita indicazione in esso contenuto il Framework risulta comunque sotto ordinato alle disposizioni degli IAS/IFRS appare comunque evidente l’esistenza di una qualche relazione di coerenza tra il quadro concettuale e le disposizioni previste dai singoli standards.

In questo senso, l’indagine sulle finalità del Bilancio nella prospettiva degli standards contabili internazionali non può esulare dalla congiunta lettura di tali norme rispetto all’impostazione indicata all’interno del Framework.

2. – L’ENDORSMENT DEGLI IAS/IFRS IN EUROPA

Tenendo conto della prospettiva appena indicata faremo innanzitutto riferimento al percorso seguito in Europa in favore delle norme emanate dallo IASB. La scelta strategica compiuta dall’Unione Europea nel 1995 (con la Comunicazione n° 508 del 1995) e la successiva attuazione attraverso l’emanazione di una serie di Regolamenti e Direttive ha decisamente modificato la preesistente situazione nello SEE. Il processo avviato dall’Unione Europea ha di fatto attribuito valore giuridico agli IAS/IFRS o quanto meno ha trasformato in norme de jure le versioni che di quegli standards sono state omologate (endorsed) in ambito europeo attraverso la pubblicazione di un apposito regolamento6.

Gli standards omologati dall’Unione Europea in base ad un esame di conformità alle Direttive emanate in materia di Bilancio sono oggi norme che alcune categorie di aziende dovranno adottare per redigere il loro Bilancio consolidato a partire dai documenti in approvazione nel corso del 2005. La scelta compiuta interessa tutti i soggetti emittenti valori ammessi alla negoziazione in un

5 Il presente capitolo è stato redatto da Roberto Di Pietra (Università degli Studi di Siena, Dipartimento di Studi Aziendali e Sociali). In alcuni passaggi di questo capitolo sono state inserite le integrazioni proposte da componenti il gruppo di studio. L’autore desidera, a tal proposito, ringraziare Gianfranco Capodaglio per il prezioso contributo offerto. 6 Nel processo di omologazione è previsto un livello tecnico assolto dallo European Financial Reporting Advisory Group – EFRAG ed un livello politico compiuto dal Comitato di Regolamentazione Contabile (Accounting Regulation Committee – ARC).

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mercato regolamento nello SEE estendibile anche alla redazione dei Bilanci di esercizio in relazione a particolari categorie di aziende (banche e compagnie di assicurazione) sulla base di specifiche previsioni nazionali7.

Occorre precisare che per le aziende rientranti nei dispositivi dei regolamenti dell’Unione Europea le norme da applicare sono quelle i cui testi sono stati oggetto di pubblicazione sulla GUCE. Per tutte le aziende le norme dello IASB continuano ad essere volontariamente adottabili salvo che non confliggano con norme nazionali aventi carattere de jure8.

Al solo scopo di compiere una sintesi degli interventi normativi compiuti dall’Unione Europea presentiamo nella seguente tabella la sequenza delle principali Direttive e Regolamenti aventi ad oggetto la materia contabile ed il recepimento degli standards contabili internazionali:

Tabella 1. – Norme dell’Unione Europea in materia contabile

Norme Argomento 1 Direttiva 1978/660/CE Direttiva del Consiglio del 25 luglio 1978 che enuncia le regole e i principi sulla

redazione dei conti annuali delle società 2 Direttiva 1983/349/CE Direttiva del Consiglio del 13 giugno 1983 che enuncia le regole e i principi sulla

redazione dei conti consolidati delle società 3 Direttiva 1986/635/CE Direttiva del Consiglio dell’8 dicembre 1986 che enuncia le regole e i principi sulla

redazione dei conti annuali e consolidati delle banche e degli altri istituti finanziari 4 Direttiva 1991/674/CE Direttiva del Consiglio del 19 dicembre 1991 che enuncia le regole e i principi sulla

redazione dei conti annuali e consolidati delle imprese di assicurazione 5 Com. 1995/508 Comunicazione della Commissione del 1995, Armonizzazione contabile: una nuova

strategia nei confronti del processo di armonizzazione internazionale 6 Com. 2000/359 Comunicazione della Commissione del 13 giugno 2000, La strategia dell’UE in

materia di informativa finanziaria: la via da seguire 7 Direttiva 2001/65/CE Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 settembre 2001 che modifica

le Direttive 78/660/CE, 83/349/CE e 86/635/CE per quanto riguarda le regole di valutazione per i conti annuali e consolidati di taluni tipi di società, nonché di banche e di altre istituzioni finanziarie

8 Direttiva 2001/34/CE Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, relativa ai mercati degli strumenti finanziari, che modifica le direttive 85/611/CEE e 93/6/CEE del Consiglio e la direttiva 2000/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 93/22/CEE del Consiglio

9 Reg. (CE) n. 1606/2002 Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L. 243 dell’11 settembre 2002)

10 Direttiva 2003/51/CE Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 giugno 2003 che modifica le direttive 78/660/CE, 83/349/CE, 86/635/CE e 91/674/CE relative ai conti annuali e consolidati di taluni tipi di società, delle banche e altri istituti finanziari e delle imprese di assicurazione

11 Reg. (CE) n. 1725/2003 Regolamento che adotta taluni principi contabili internazionali conformemente al regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L. 261 del 13 ottobre 2003)

12 Direttiva 2004/39/CE Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, relativa ai mercati degli strumenti finanziari, che modifica le direttive 85/611/CEE e 93/6/CEE del Consiglio e la direttiva 2000/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 93/22/CEE del Consiglio

13 Reg. (CE) n. 2004 707/CE Regolamento della Commissione del 6 aprile 2004 che modifica il regolamento (CE) n. 1725/2003 della Commissione che adotta taluni principi contabili internazionali conformemente al regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio

7 L’estensione nella utilizzazione degli IAS/IFRS riguarda anche il nostro Paese, dato che la Legge comunitaria 2003 (L. n. 306 del 31 ottobre 2003) attribuiva al Governo la possibilità di esercitare una specifica delega. In virtù di tale delega è stato emanato il D. Lgs. n. 394 del 30 dicembre 2003 con il quale l’obbligo di adozione degli standards contabili internazionali viene esteso per alcune categorie di aziende anche ai Bilanci di esercizio. 8 Resta sempre potenziale il caso di una discrasia tra un testo approvato dallo IASB e la versione omologata dall’Unione Europea. Tale situazione potrebbe essere riconducibile a cause di ordine temporale (il recepimento richiede tempo) oppure potrebbe essere legata a disaccordo sulle soluzioni adottate dallo IASB (e tale contrasto non è stato possibile risolverlo in sede di emanazione dello standard). Al momento non è dato sapere cosa potrebbe succedere se nella definizione di un nuovo IFRS venisse accolto un metodo contabile in aperto contrasto con le impostazioni presenti all’interno dell’Unione Europea.

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14 Reg. (CE) n. 2086/2004 Regolamento della Commissione del 19 novembre 2004 che modifica il regolamento (CE) n. 1725/2003 che adotta taluni principi contabili internazionali conformemente al regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda l’inserimento dello IAS 39

15 Direttiva 2004/109/CE Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 dicembre 2004 sull’armonizzazione degli obblighi di trasparenza riguardanti le informazioni sugli emittenti i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione di un mercato regolamentato e che modifica la Direttiva 2001/34/CE

16 Reg. (CE) n. 2236/2004 Regolamento della Commissione del 29 dicembre 2004 che modifica il regolamento (CE) n. 1725/2003 che adotta taluni principi contabili internazionali conformemente al regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, per quanto riguarda gli International Financial Reporting Standards (IFRS) 1 e da 3 a 5, i principi contabili internazionali (IAS) 1, 10, 12, 14, da 16 a 19, 22, 27, 28 e da 31 a 41 e le interpretazioni dello Standard Interpretation Committee (SIC) 9, 22, 28 e 32

17 Reg. (CE) n° 2237/2004 Regolamento della Commissione del 29 dicembre 2004 che modifica il regolamento (CE) n. 1725/2003 che adotta taluni principi contabili internazionali conformemente al regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, per quanto riguarda lo IAS 32 e l’IFRIC 1

18 Reg. (CE) n° 2238/2004 Regolamento della Commissione del 29 dicembre 2004 che modifica il regolamento (CE) n. 1725/2003 che adotta taluni principi contabili internazionali conformemente al regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, per quanto riguarda l’IFRS 1, gli IAS da 1 a 10, da 12 a 17, da 19 a 24, da 27 a 38, 40 e 41 e i SIC da 1 a 7, da 11 a 14, da 18 a 27 e da 30 a 33

19 Reg. (CE) n. 211/2005 Regolamento della Commissione del 4 febbraio 2005 che adotta taluni principi contabili internazionali conformemente al regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, per quanto riguarda gli International Financial Rerporting Standards (IFRS) 1 e 2 e i principi contabili internazionali IAS 12, 16, 32, 33, 38 e 39

20 Reg. (CE) n° 1073/2005 Regolamento della Commissione del 7 luglio 2005 che adotta taluni principi contabili internazionali conformemente al regolamento (CE) n° 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, per quanto riguarda l’IFRS 2

21 Reg. (CE) n° 1751/2005 Regolamento della Commissione del 25 ottobre 2005 che adotta taluni principi contabili internazionali conformemente al regolamento (CE) n° 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, per quanto riguarda l’IFRS 1, lo IAS 39 e il SIC 12

22 Reg. (CE) n° 1864/2005 Regolamento della Commissione del 15 novembre 2005 che adotta taluni principi contabili internazionali conformemente al regolamento (CE) n° 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, per quanto riguarda l’IFRS n° 1 ed i principi contabili internazionali (IAS) 32 e 39

23 Reg. (CE) n° 1910/2005 Rego lamento della Commissione del 24 novembre 2005 che adotta taluni principi contabili internazionali conformemente al regolamento (CE) n° 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, per quanto riguarda gli IFRS 1 e 6, i principi contabili internazionali (IAS) 1, 16, 19, 24, 38 e 39 e le interpretazioni dell’IFRIC 4 e 5

Da un primo e sommario esame delle precedente tabella emerge chiaramente come il cammino intrapreso per l’adozione delle norme dello IASB nel contesto europeo è ormai ampiamente avviato. Le aziende emittenti valori ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato nello SEE e che redigono il Bilancio consolidato saranno le battistrada di un numero più ampio di soggetti chiamati ad utilizzare gli IAS/IFRS. Occorre peraltro rilevare come sul cambiamento in atto si stia innestando ed integrando la profonda trasformazione connessa alla realizzazione del secondo accordo di Basilea9.

L’esigenza di garantire efficienza e trasparenza al funzionamento dei mercati finanziari sembra dunque ormai orientata in favore degli standards contabili internazionali. A tale esigenza non risulta, peraltro, estranea l’attività di revisione contabile espressamente richiamata dalla Direttiva 2004/109/CE. La Direttiva in parola riguarda tutta una serie di soggetti che “sollecitano il pubblico risparmio” presso uno dei mercati mobiliari dello spazio economico dell’UE al fine di garantirne e

9 Nella valutazione della rischiosità delle aziende richiedenti credito le banche dovranno avvalersi di informazioni economico – finanziarie prodotte anche attraverso l’utilizzazione degli standards contabili internazionali. Nel contempo le stesse aziende di credito saranno chiamate alla redazione dei loro documenti di sintesi annuale ricorrendo all’applicazione delle norme IASB omologate all’interno dell’Unione Europea.

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migliorarne le condizioni di efficienza e trasparenza10. In questa prospettiva l’attenzione del legislatore europeo si appunta sulle caratteristiche che l’informazione finanziaria annuale deve presentare sia dal punto di vista quantitativo (specificando le informazioni da rendere pubbliche) sia da quello qualitativo (illustrando le modalità attraverso cui quelle informazioni devono essere prodotte). Nella Direttiva si fa esplicito riferimento alle principali e tradizionali forme di comunicazione economico – finanziaria, ovvero al Bilancio sottoposto a revisione (di esercizio e consolidato), alle necessarie parti a corredo (la relazione sulla gestione), nonché ai documenti pubblicati semestralmente.

Capisaldi della comunicazione economico – finanziaria degli emittenti valori mobiliari restano sempre la Quarta Direttiva (78/660/CE) e la Settima Direttiva (83/349/CE) con le relative disposizioni che dispongono l’obbligo della revisione. La relazione di revisione, firmata dalle persona o dalle persone responsabili, è comunicata al pubblico integralmente insieme al Bilancio.

3. – IL “QUADRO CONCETTUALE” POSTO A BASE DEGLI STANDARDS CONTABILI INTERNAZIONALI

Il Framework dell’International Accounting Standards Board (IASB) è stato approvato e pubblicato nel luglio del 1989 allo scopo di sostenere il perseguimento dell’obiettivo della standardizzazione contabile internazionale, attraverso la definizione di un quadro concettuale da cui far discendere per via deduttiva un insieme coerente degli standards contabili11. Tale documento si inserisce in un più ampio progetto dell’allora International Accounting Standards Committee (IASC) finalizzato a perseguire una migliore comparabilità internazionale delle informazioni contabili12.

Nel documento in parola vengono affrontate le questioni fondamentali per la definizione del Bilancio e del relativo processo di redazione. All’interno del Framework devono, per definizione, essere affrontate tutte le principali questioni riguardanti la finalità del Bilancio, l’identificazione dei destinatari delle informazioni contabili, la struttura da attribuire al documento di sintesi annuale, la gerarchia dei postulati e dei principi di redazione da rispettare, il significato delle principali voci di Stato patrimoniale e di Conto economico.

Nella versione del 1989 del suo quadro concettuale lo IASC aveva ritenuto di favorire il processo di standardizzazione contabile internazionale grazie alla definizione di un Bilancio capace di fornire informazioni utili ai processi decisionali delle numerose categorie di utilizzatori. Tali soggetti compiono le specifiche scelte valutando la solidità finanziaria dell’azienda, la capacità di distribuire dividendi, la possibilità di pagare gli stipendi ai dipendenti, etc. Per conseguire tale risultato occorreva ampliare il contenuto informativo dei Bilanci, pur dovendo comunque ricorrere a fonti estranee alle rilevazioni contabili.

L’iniziale impostazione del Framework ha subíto una rilevante modificazione durante il processo di riforma avviato nel 1995 accogliendo l’idea che la finalità delle informazioni di Bilancio deve essere primariamente orientata alla soddisfazione dei bisogni degli investitori. Tale cambiamento può essere ricondotto all’accordo intervenuto con l’International Organization of Securities Commissions (IOSCO) al fine di favorire l’accoglimento degli IAS presso le principali borse mondiali.

A questa evoluzione occorre tuttavia premettere come la stessa struttura iniziale del Framework è stata ampiamente influenzata da differenti impostazioni teoriche sulla finalità dei Bilanci e, tra 10 Ai sensi della Direttiva 2004/39/CE gli “emittenti” possono essere: persone giuridiche di diritto privato o pubblico (compreso uno Stato), i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato (per i certificati di deposito rappresentativi di valori mobiliari vanno considerati gli emittenti di questi ultimi valori). 11 Sulla nozione e sul significato di Framework si faccia riferimento ai contributi di E. PERRONE (1992: 283), B. CAMPEDELLI (1994: 39 e ss.), S. AZZALI (1996: 95 e ss.), A. PICOLLI (1998: 19 ess.), E. SANTESSO , U. SOSTERO (1999: 1 e ss.), P. NAVA (2000: 581). Più estesamente sullo stesso argomento ci sia consentito rinviare ad un precedente contributo (R. DI PIETRA, 2002). 12 Sui problemi e la nozione di comparabilità rinviamo a quanto proposto in un precedente contributo (R. DI PIETRA , 2000: 25 e ss.).

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queste, ha assunto particolare rilevanza l’esperienza del quadro concettuale adottato dal Financial Accounting Standards Board (FASB) nelle versioni del 1978 e del 1985. I riflessi dell’esperienza statunitense sono, in questo senso, evidenti quando si consideri che anche nel caso del FASB la finalità primaria attribuita al Bilancio consisteva nell’esigenza di fornire a tutti gli utilizzatori ed in particolare agli investitori informazioni utili ai loro processi decisionali13.

Nel presente contributo cercheremo di presentare le caratteristiche del Framework dello IASB nell’intento di apprezzare, anche in chiave critica, la difficoltà di conciliare un’impostazione metodologica prettamente deduttiva su un preesistente impianto di tipo induttivo.

Occorre fin da subito chiarire come l’idea e l’esigenza di fare riferimento ad un quadro concettuale discende da un modo di intendere la contabilità ed il Bilancio come il frutto di una costruzione che, partendo da assiomi di carattere generale, giunge alla progressiva identificazione di regole particolari. La consapevolezza di potere fare ricorso ad un sistema coerente ed organico di regole, ovvero ad una teoria del Bilancio, si infrange nella possibilità (per niente remota) che si manifestino situazioni estranee all’originaria impostazione, magari frutto dell’evoluzione dello scenario economico – aziendale. In queste situazioni la “tenuta” della base teorica dipende dalla possibilità di ricondurre a questa il caso non previsto od emergente attraverso un processo di interpretazione “per analogia”. Proprio la natura soggettiva di questi processi contribuisce a rendere significativamente ampia la serie di soluzioni individuate per affrontare una specifica questione contabile, cosa che presumibilmente non favorisce la comparabilità dei Bilanci.

In posizione opposta alla precedente si colloca quella che prevede la risoluzione di casi particolari da cui derivare, per induzione, un insieme di regole cui fare riferimento per affrontare il problema generale della redazione del Bilancio. La logica del problem solving consente così di individuare una soluzione che può essere indicata come univocamente accettabile in un determinato momento al punto da costituire lo standard di riferimento cui convergere ed uniformarsi. In questo senso, la definizione e l’accettazione di uno standard costituisce una soluzione efficace ed efficiente fino a quanto non emergeranno variazioni di contesto o punti di vista particolari che richiederanno una revisione, un aggiornamento o ancora un ripensamento dello standard medesimo. Nella impostazione appena menzionata la definizione di una serie di soluzioni specifiche ed il loro progressivo cumularsi non necessariamente discende da una visione complessiva ed organica del Bilancio. In essa possono convivere posizioni tra loro differenziate rispetto alla logica sottostante, nonché rispetto al momento storico in cui esse sono state formulate ed adottate. L’accumularsi di differenti soluzioni presume, inoltre, la possibilità che si manifestino problemi da risolvere che, o non ricadono all’interno di uno specifico standard contabile, oppure si pongono al margine di diversi documenti senza interessarne uno in particolare.

Alle due prospettive appena indicate fanno riferimento due mondi che, pur guardando al medesimo oggetto, ovvero il Bilancio, lo affrontano sulla base di teorie, metodologie e prassi chiaramente opposti. Nel paragrafo seguente cercheremo di illustrare come all’interno dello IASB, nella seconda metà degli anni ottanta, sia stata tentata una qualche forma di conciliazione ricorrendo alla definizione di un Framework a sostegno ed integrazione delle soluzioni specificamente previste dagli standards contabili internazionali.

4. – LA FUNZIONE DEL FRAMEWORK: IL RICORSO ALLA LOGICA DEDUTTIVA RISPETTO AD UNA IMPOSTAZIONE DI PROBLEM SOLVING

In termini generali una delle prime asserzioni relative al Conceptual Framework chiarisce la funzione di servizio che tale documento è destinato ad assolvere. Il quadro concettuale intende essere di ausilio, non solo all’attività di emanazione dello IASB, contribuendo anche all’operatività

13 In particolare, vengono enfatizzate le esigenze informative relative all’assunzione di decisioni sulla capacità di una data azienda di generare flussi di cassa od equivalenti (cfr. E. PERRONE, 1992: 287 e ss.).

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di altri enti contabili nazionali ed internazionali, ma anche al miglioramento qualitativo dei processi di redazione e di revisione dei Bilanci, nonché all’utilizzazione delle informazioni da parte di tutti i soggetti comunque coinvolti.

Nello stesso documento viene chiaramente stabilito che il Framework non si colloca in posizione sovra-ordinata rispetto agli standards. Nel testo attuale del quadro concettuale si può infatti leggere che il Framework non è uno standard contabile internazionale applicabile e non può essere utilizzato per giustificare deroghe agli standards approvati. Il documento in esame non è uno standard contabile e non definisce principi di valutazione né obblighi di informativa per nessuno specifico aspetto.

Il Board dello IASB ha, tuttavia, precisato che in alcuni casi particolari si possano manifestare situazioni di conflitto tra il quadro concettuale ed alcuni standards contabili. In tali circostanze prevale sempre lo standards contabile internazionale.

Il primo obiettivo perseguito dal Framework consiste nel fornire assistenza al Board dello IASB nella definizione dei nuovi standards contabili internazionali, nonché nei processi di revisione ed aggiornamento degli standards emanati prima del 1989. In particolare, tale documento intende sostenere le scelte relative alla riduzione ed eliminazione dei metodi contabili alternativi presenti negli IAS, in coerenza ed in coordinamento con il progetto comparabilità definito con la pubblicazione nel 1990 dello Statement of intent .

Secondo lo IASB gli enti di regolazione contabile nazionale, siano essi istituzioni private od enti governativi, possono trovare nel Framework un sistema interpretativo cui fare ricorso nei processi di emanazione degli standards nazionali ed internazionali.

Il quadro concettuale si rivolge, inoltre, a tutti i professionisti della contabilità che si occupano della redazione dei documenti di sintesi, nonché dei processi legati alla loro revisione.

Per i redattori del Bilancio il Framework costituisce un utile ausilio per l’interpretazione ed applicazione degli standards contabili internazionali, nonché per dedurre le soluzioni da adottare rispetto alle questioni contabili non ancora affrontate dallo IASB. Nel caso dei revisori dei conti il quadro concettuale costituisce un opportuno riferimento per valutare la conformità dei documenti di sintesi sottoposti all’attività di revisione rispetto agli standards contabili internazionali.

Al Framework fanno ricorso gli utilizzatori delle informazioni di Bilancio che trovano in esso la chiave interpretativa delle voci di Stato patrimoniale e di Conto economico, potendo così giungere alla razionale assunzione delle decisioni. Occorre, in ogni caso, ricordare che né nel Framework né in alcuno degli standards viene indicato un prospetto di Stato patrimoniale o di Conto economico cui fare riferimento perché ritenuto come preferito o raccomandato.

Il quadro concettuale dello IASB fornisce, infine, utili informazioni per comprendere e ricostruire il processo che ha condotto all’emanazione degli IAS.

La definizione ed adozione del Framework da parte dell’allora IASC si inserisce all’interno del progetto denominato comparabilità e costituisce un chiaro tentativo di dare un contenuto unitario ed organico ad un insieme di documenti da considerare separatamente. Con tale scelta si è quindi tentato di introdurre un tipico strumento di derivazione metodologica deduttiva su una struttura originaria esplicitamente induttiva.

L’integrazione effettuata deve, tuttavia, ritenersi parziale dato che, comunque, è stata sancita la netta prevalenza delle soluzioni contabili previste dagli standards, non necessariamente coerenti rispetto ai singoli standards o rispetto al quadro concettuale.

La qualità dell’integrazione tra uno schema deduttivo ed un approccio induttivo risulta peraltro carente rispetto alla definizione di uno schema di limitata generalità, posto che il Framework prefigura per il Bilancio un obiettivo nel quale trova riscontro una specifica tipologia aziendale.

Riguardo al contenuto del Framework, ovvero alla individuazione dei temi connessi alla redazione dei Bilanci, viene proposta la seguente articolazione relativa a: a) gli obiettivi; b) i postulati; c) le caratteristiche qualitative che le informazioni devono possedere affinché siano utili per i processi decisionali; d) le regole per la definizione delle voci di Stato patrimoniale e di Conto

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economico e le norme da seguire per la loro corretta iscrizione e valutazione; e) i concetti di capitale e di “conservazione” dello stesso.

Il quadro concettuale dello IASB riguarda la corretta redazione dei documenti di sintesi annuale siano essi i Bilanci di esercizio, oppure quelli consolidati.

Nell’impostazione dell’allora IASC il Bilancio veniva inteso come uno dei principali strumenti utilizzati dalle aziende per realizzare la comunicazione economico – finanziaria nei confronti di tutti i potenziali destinatari esterni ed interni.

Il Bilancio comprende lo Stato patrimoniale, il Conto economico e lo schema di rendiconto finanziario. Il documento in parola deve contenere anche i prospetti esplicativi delle voci di Bilancio e della gestione aziendale. Ad esso si aggiungono alcuni schemi supplementari relativi ad informazioni di dettaglio (come nel caso dei risultati conseguiti in specifici settori d’attività o in particolari aree geografiche).

Occorre notare, infine, come nel Framework si dichiari la possibilità di applicazione a tutte le tipologie aziendali, prescindendo dalla loro specifica attività economica (come nel caso delle aziende che operano nell’ambito di settori specializzati e tradizionalmente separati dal punto di vista normativo) e dalla differente natura giuridica (aziende private o pubbliche). Come vedremo questa dichiarazione sembra più apparente che reale, data la difficoltà di rendere accettabile la prospettiva del Framework per aziende di non grande dimensione e non soggette alla quotazione del loro capitale di rischio.

Le precedenti considerazioni hanno consentito di evidenziare come il ricorso alla definizione di un quadro concettuale da parte dello IASB non consente di trovare una piena integrazione tra l’impostazione induttiva (o di problem solving) e quella deduttiva. Infatti, l’espressa indicazione che il Framework non può essere considerato come uno standards e l’ulteriore precisione secondo cui prevalgono questi ultimi su qualsiasi indicazione prevista dal quadro concettuale evidenziano di fatto la netta prevalenza dell’impostazione induttiva su quella deduttiva.

Lo IASB emana standards e questi sono le norme da applicare nella risoluzione di problemi connessi alla redazione dei Bilanci. Al riguardo occorre sottolineare come il ricorso al termine principio per tradurre in italiano la parola standard conferma, come non mai, la possibilità di tradire il significato semantico presente in un determinato linguaggio. Culturalmente, prima che tecnicamente, il termine standard presuppone un processo che ipotizza la definizione di soluzione, ovvero di uno stato, verso cui convergere attraverso un processo di standardizzazione. Tale impostazione ipotizza di fatto un contesto di generale accettazione che rende possibile la validità di un qualsiasi standard e che, ove mancante o non più presente perché si è modificato lo scenario operativo richiede la definizione di un nuovo standard verso cui convergere.

La traduzione dell’espressione Accounting standards con quella italiana Principi contabili non riproduce, a nostro parere, questo significato dato che il termine “principio” evoca un significato differente, ovvero quello di una soluzione individuata come generalmente valida perché coerente rispetto ad un determinato quadro concettuale sovra ordinato e quindi accettabile in termini di principio. La traduzione ufficiale riscontrabile a livello normativo sui documenti della GUCE riproduce di fatto questo equivoco (se non questo tradimento) del traduttore. Meglio sarebbe stato lasciare ed utilizzare l’espressione originale di standards contabili internazionali con la quale si identifica uno specifico modo di regolare le questioni contabili nell’ambito di un approccio normativo tipico del contesto culturale anglofono 14.

Tale contesto culturale, inoltre, essendo per natura propenso ad una logica meramente induttiva, spiega l’apparente contrasto in precedenza indicato, che caratterizza il rapporto tra il Framework e gli standards contabili: al Framework non si può attribuire alcuna qualità sistemica, così come l’insieme degli IAS non costituisce un sistema di principi, ma semplicemente un’elencazione di

14 Sul carattere culturale che determinate modalità di regolazione presentano e sul loro possibilità che la loro esportazione – importazione possa discendere da atteggiamenti di etnocentrismo rinviamo al contributo di R. S. O. WALLACE , H. GERNON (1991).

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mere prassi, prive di qualsiasi riferimento scientifico, mutevoli nel tempo e fra di loro non coordinate. Che gli IAS/IFRS non costituiscano un sistema di principi, ma un insieme di prassi, è confermato dal fatto che non esistono vere e proprie “definizioni”, elemento base di ogni sistema classificatorio, ma piuttosto “rappresentazioni esemplificative”, incapaci di fornire tutti gli attributi necessari per la classificazione degli elementi15.

Il Framework mostra, dunque, come uno dei suoi principali limiti il non costituire una norma di ordine superiore rispetto al contenuto dei singoli standards emanati dallo IASB. Tale limite permane, a nostro parere, nonostante la recente previsione contenuta nel rinnovato contenuto dello IAS 1 (omologato con Regolamento della CE n° 2238 del 29 dicembre 2004). In particolare, nel rinnovato contenuto del paragrafo 17 di quello standards si precisa che “In circostanze estremamente rare in cui la direzione aziendale conclude che la conformità con una disposizione contenuta in un Principio o in un’interpretazione sarebbe così fuorviante da essere in conflitto con le finalità del bilancio esposte nel Quadro sistematico, l’entità deve disattendere tale disposizione secondo quanto esposto nel paragrafo 18 se il quadro sistematico di regolamentazione applicabile lo richiede o comunque non proibisce tale deviazione”.

Il riferimento appena riportato sembrerebbe riportare ad un ordine gerarchico il contenuto del Framework quasi a volere sancire un meccanismo di deroga ben noto alla legislazione italiana (in coerenza alle disposizioni dell’art. 2423 del Codice Civile). Ed in effetti, la nuova versione del paragrafo 17 dello IAS 1 intende proprio fare riferimento a quei contesti normativi (ovvero a quei quadri sistematici di regolamentazione applicabili) che prevedono come prevalente la logica della rappresentazione fedele tipicamente riconducibile allo scenario europeo basato sulle disposizioni della Quarta Direttiva. Nella generalità dei casi e, quindi, al di là del quadro fedele il Framework resta purtroppo un mero documento di riferimento che non supera il contenuto degli standards contabili internazionali.

5. – L’OBIETTIVO CONOSCITIVO DEL BILANCIO PERSEGUITO DALLO IASB

Prima di esporre le finalità del Bilancio di esercizio, occorre precisare che il Framework dello IASB nella iniziale versione proponeva una propria classificazione dei diversi e potenziali destinatari delle informazioni contabili.

Gli utilizzatori sono distinti in relazione ai rapporti che intrattengono con l’azienda ed alle decisioni economiche che devono assumere. Per ogni possibile destinatario vengono indicate le differenti esigenze conoscitive e le informazioni di Bilancio che, più di altre, possono favorire l’assunzione delle decisioni. Lo IASB in questo modo ribadisce il fine principale assegnato al Bilancio, ovvero la diffusione di informazioni sulla situazione patrimoniale e finanziaria e sul risultato economico conseguito allo scopo di consentire la consapevole e razionale assunzione di decisioni da parte di un’ampia comunità di destinatari.

Nella prospettiva dello IASB tutti gli utilizzatori del Bilancio non si collocano sullo stesso livello, dato che è possibile individuare due categorie in base al potere di cui gli utilizzatori dispongono nell’ottenere le informazioni necessarie all’assunzione delle decisioni.

Appartengono al primo gruppo tutti i destinatari che, nell’esercizio di una specifica competenza, possono acquisire dalle aziende le informazioni contabili di cui necessitano per assumere decisioni. Tali utilizzatori, di norma, si rivolgono direttamente agli amministratori, ottenendo informazioni che, oltre al Bilancio, riguardano ulteriori strumenti conoscitivi (si pensi ad esempio ai flussi informativi derivanti dalla contabilità dei costi). Nelle categorie in esame rientrano sicuramente le aziende di credito, che nella prospettiva di erogare un finanziamento, dispongono del potere di chiedere all’azienda informazioni particolareggia te sulle sue condizioni finanziarie.

15 Queste ultime riflessioni sono state proposte da Gianfranco Capodaglio e condivise dall’autore del presente Capitolo.

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Nell’altro gruppo di utilizzatori lo IASB include tutte le categorie che sono prive del potere di ottenere dall’azienda informazioni aggiuntive rispetto a quelle normalmente disponibili. Fanno parte di questo gruppo i creditori commerciali, oppure i piccoli risparmiatori, per i quali il Bilancio costituisce la principale, ed in alcuni casi unica, fonte per il reperimento di informazioni.

Nel quadro concettuale si afferma che nella redazione dei Bilanci dovrebbero essere enfatizzate proprio le esigenze conoscitive di questa seconda categoria di utilizzatori.

Nel primo gruppo rientrano tutti i soggetti che, a vario titolo, apportano il capitale di rischio, nonché i loro consulenti. Le loro esigenze conoscitive intendono trarre dalle informazioni di Bilancio elementi utili per apprezzare la rischiosità dell’investimento effettuato e l’entità della redditività che ne potrà conseguire (sia sotto forma di dividendi che di eventuali plusvalenze). Gli investitori necessitano, pertanto, di un’informazione contabile che permetta di valutare la convenienza ad acquistare, detenere o vendere una quota del capitale di una qualsiasi azienda, considerando inoltre le opportunità alternative d’investimento (offerte da altre aziende o relative ai mercati dei prodotti finanziari).

Il riferimento agli investitori nel modo in cui risultato formulato nel Framework appare chiaramente richiamarsi alla realtà operativa di aziende orientate al mercato nel reperimento dei mezzi propri. Questo pone l’esigenza di precisare come la traduzione del termine investor non riesca ad evocare correttamente il significato originale, visto che con il termine investitori solo parzialmente, e non quasi esclusivamente, si pensa al ruolo ed alla posizione degli azionisti (effettivi e potenziali, di maggioranza e di minoranza). A questo in realtà e primariamente fa riferimento il quadro concettuale dello IASB e da ciò si ricostruisce la centralità delle società di capitali, per azioni e quotate in un listino ufficiale. Nella traduzione del termine investor prevale nettamente il significato di azionista piuttosto che quello di imprenditore amministratore (manager) che potremmo comunque associare alla nozione di investitore.

Nel caso dei dipendenti e delle organizzazioni sindacali i fabbisogni informativi riguardano principalmente la redditività e la solidità dell’azienda presso cui essi prestano la loro attività lavorativa, nell’intento di definire le richieste salariali e di apprezzare il livello di sicurezza del rapporto di lavoro. I dipendenti sono, inoltre, interessati a valutare la capacità dell’azienda nel garantire per il futuro la corresponsione delle remunerazioni pattuite e delle indennità pensionistiche accantonate, nonché di comprendere le opportunità di lavoro esistenti in termini prospettici.

Per quanto riguarda le istituzioni finanziarie ed i risparmiatori che hanno finanziato l’azienda (ad esempio, con l’accesso ad operazioni bancarie o ricorrendo all’acquisto di titoli di credito), occorre rilevare come tali soggetti siano primariamente interessati a raccogliere informazioni che consentano di effettuare una valutazione sul rischio di credito e di interesse, ovvero sulla possibilità di rimborso delle somme finanziate e di riscossione degli interessi dovuti. Tali obiettivi conoscitivi richiedono la realizzazione di un’articolata analisi della situazione finanziaria allo scopo di individuare eventuali situazioni di insolvenza.

Nel caso dei fornitori l’esigenza di fornire adeguata tutela ai loro crediti commerciali si traduce nella ricerca di informazioni che permettano di comprendere se il credito concesso sulle forniture sarà regolarmente onorato. I fornitori normalmente si limitano a valutare la solvibilità dell’azienda nel breve periodo.

Nei casi di stringente relazione tra azienda e fornitore (l’azienda è uno dei principali clienti del fornitore che per questo motivo si trova in una situazione di dipendenza) il fornitore sarà interessato ad avere informazioni idonee a valutare la stabilità del rapporto commerciale nel medio e lungo termine. Un’analoga prospettiva si verifica quando la relazione commerciale riguarda beni a lento rigiro che vengono pagati con dilazioni di pagamento pluriennali.

Anche nel caso dei clienti assumono una particolare rilevanza le informazioni relative alla stabilità del rapporto commerciale (soprattutto nei casi di dipendenza del cliente dall’approvvigionamento di beni e servizi).

Il Governo e le istituzioni pubbliche sono interessati ad ottenere informazioni sull’attività delle aziende allo scopo di conoscere l’allocazione e l’impiego delle risorse produttive, per programmare

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le politiche industriali o fiscali, nonché per determinare il reddito nazionale o per realizzare le rilevazioni statistiche nazionali. Nel caso delle comunità locali e degli enti che le governano, il Bilancio di esercizio per una comunità locale può, infine, rappresentare lo strumento attraverso cui apprezzare le prospettive di sviluppo economico.

Le precedenti riflessioni sulle diversificate esigenze conoscitive degli utilizzatori dei Bilanci hanno condotto lo IASB a ritenere estremamente difficoltosa la piena e contemporanea soddisfazione all’interno dei documenti di sintesi annuale. All’interno del quadro concettuale lo IASB rileva, tuttavia, come una parte delle informazioni contabili richieste alle aziende risulti comune ad una vasta gamma di utilizzatori.

In particolare, le informazioni che consentono di soddisfare un’esigenza comune a tutti i destinatari del Bilancio riguarda la possibilità di valutare la capacità dell’azienda di generare adeguati flussi di cassa o equivalenti (valori prontamente liquidabili). Tale valutazione si fonda sull’analisi della situazione patrimoniale, economica e finanziaria.

La presenza di comuni esigenze informative per tutti i possib ili destinatari ha condotto lo IASB ad operare la seguente scelta: “Nonostante le esigenze dei citati utilizzatori non possono essere tutte soddisfatte dal bilancio, vi sono alcune esigenze comuni a tutti. Poiché gli investitori sono i fornitori di capitale di rischio all’impresa, un bilancio che soddisfi le loro esigenze informative soddisferà anche la maggior parte delle esigenze di altri utilizzatori del bilancio” (Framework, paragrafo 10).

Il quadro concettuale in esame di fatto individua nella categoria degli investitori i principali destinatari delle informazioni di Bilancio, riconoscendo tale gruppo costituito primariamente da azionisti. Nel testo del documento in esame tale scelta non sembra pregiudicare le esigenze informative degli altri destinatari, dato che i documenti di sintesi redatti nella prospettiva degli investitori consentono di soddisfare anche le altre categorie di utilizzatori attraverso l’adeguata rappresentazione della situazione patrimoniale e finanziaria, nonché del risultato economico.

In definitiva, il procedimento logico seguito dallo IASB è consistito nella costruzione di un Bilancio funzionale alle necessità informative e decisionali degli investitori (azionisti), ritenendo che il documento così redatto può consentire di aiutare gli altri utilizzatori nell’assunzione delle loro specifiche decisioni.

6. – RIFLESSIONI DI SINTESI ED OSSERVAZIONI CRITICHE

La struttura ed il contenuto del Framework emanato nel 1989 dall’allora IASC intendono rispondere all’esigenza di definire un sistema interpretativo in grado di offrire una visione organica dei fenomeni che interessano la redazione dei Bilanci. Dall’esame del quadro concettuale emerge una serie di contenuti tutti finalizzati all’obiettivo di favorire l’assunzione di decisioni economiche da parte dei destinatari dei Bilanci. Tale obiettivo costituisce principio unificante cui si connettono i postulati, le caratteristiche qualitative, la struttura del Bilancio, i suoi prospetti ed i sottostanti metodi di valutazione.

Il Framework costituisce uno strumento che, in quanto tale, consente allo IASB di individuare una costante relazione tra gli standards contabili e gli obiettivi di fondo cui essi sono chiamati ad ispirarsi e che devono condizionare la finalità del Bilancio. L’esistenza di questa relazione giustifica la revisione e l’aggiornamento degli standards emanati anteriormente al 1989 o gli interventi che, anche successivamente, si sono resi necessari. Nello stesso tempo, il riferimento al quadro concettuale definisce l’orientamento che pervade ogni nuovo standard, permettendo di individuare la soluzione adeguata all’emergere di particolari e nuove questioni contabili.

Alla capacità di fornire soluzioni molto dettagliate e puntuali che tipicamente caratterizza gli standards contabili, la creazione del quadro concettuale ha tentato di aggiungere l’esigenza di un adeguamento continuo rispetto al divenire degli scenari economico – aziendali. Se, almeno inizialmente, la funzionalità del Framework si inseriva nell’ambito del “progetto comparabilità”

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(che comprendeva anche il successivo documento denominato Statement of intent) nella situazione attuale occorre porsi una serie di interrogativi sulla portata ed il ruolo che il quadro concettuale dello IASB può e deve assumere nella qualificazione dell’informativa economico – finanziaria.

Occorre cioè tentare di comprendere se il Framework nella sua vigente versione corrisponde alle esigenze perseguite dall’Unione Europea attraverso il processo di omologazione degli IAS/IFRS, oppure se esso mostra i segni di un chiaro superamento.

Se, da un lato, lo IASB ha inteso avvalersi di una impostazione deduttiva, capace di dare completezza ed organicità, dall’altro, appare evidente come il ruolo del Framework rimanga confinato ad uno strumento di orientamento degli standards che sono e restano primario strumento di risoluzione di problemi operativi connessi alla redazione del Bilancio. Ed in tal senso, basti richiamare le precisazioni poste ai punti 2 e 3 del quadro concettuale, laddove si precisa il ruolo del documento stesso ed il rilievo degli standards contabili internazionali. In altri termini, il tentativo di conciliare in una logica sincretica due differenti e, se si vuole, opposte metodologie incontra il suo limite nel riconoscere al Framework una funzione di riferimento sotto ordinata rispetto agli standards contabili internazionali, anche in presenza di evidenti contraddizioni tra questi ultimi ed il quadro concettuale, nonché tra differenti standards contabili.

Alla precedente osservazione occorre, inoltre, aggiungere (in una chiave prospettica) come alcune scelte effettuate nel Framework pongano più di un dubbio sulla reale possibilità di considerare gli standards dello IASB come adottabili per la redazione dei Bilanci di una qualsivoglia impresa. In particolare, la piena adozione degli IAS/IFRS risulta difficilmente perseguibile nel caso delle Piccole e Medie Imprese (PMI).

Non è solo un problema di eccessiva complessità delle disposizioni previste dagli standards contabili e, quindi, di evidente asimmetria tra costi e benefici, quanto piuttosto di una concezione del Bilancio difficilmente proponibile per le PMI. Il riferimento al punto di vista degli investitori ed il conseguente obiettivo di fornire informazioni utili per l’assunzione di decisioni economiche per stimare la capacità dell’impresa di generare disponibilità liquide e mezzi equivalenti costituisce una richiesta che appare coerente per aziende di grandi dimensioni ed orientate alla sollecitazione del pubblico risparmio. Tale prospettiva non corrisponde, invece, ai bisogni informativi che caratterizzano l’operare di aziende di medio – piccola dimensione e non presenti sul mercato dei capitali.

La circostanza rileva dunque un Framework i cui contenuti non definiscono una situazione generale riferibile a tutte le realtà aziendali. Volendo perseguire l’obiettivo della piena ed estesa utilizzazione degli IAS / IFRS si aprono due strade che, o conducono ad un ripensamento in chiave più generale del Framework, oppure impongono una scelta di separazione e specializzazione degli stessi standards contabili riferiti ad uno specifico Framework elaborato per le PMI. Occorre ulteriormente sottolineare come la definizione del quadro concettuale richieda quanto meno un aggiornamento delle posizioni espresse nel 1989 per tenere conto dei profondi cambiamenti che hanno determinato la creazione dello IASB, la sua struttura di governance e la sua operatività.

Occorre inoltre richiamare le difficoltà emerse nel valutare il corretto e pieno significato di alcuni termini inglesi che, come rilevato nei precedenti paragrafi, solo parzialmente trovano traduzione in italiano. In alcuni casi, il retroterra culturale connesso alla terminologia utilizzata nei documenti originali (standard, investor, conservatism) presuppone una logica ed una ratio che non riesce ad emergere dalla traduzione e che, di fatto, consiglierebbe il mantenimento della espressione iniziale.

In ultimo segnaliamo l’opportunità che il progetto congiunto dello IASB e del FASB di convergenza dei rispettivi quadri concettuali possono costituire per affrontare e risolvere alcune tra le debolezze sopra evidenziate. In particolare, il progetto avviato nell’ottobre 2004 e tuttora in corso di realizzazione ha posto la questione della reale rilevanza che il Framework dovrebbe assumere nel dare organicità e sistematicità agli standards emanati ed a quelli che via via verranno approvati. L’esigenza di conseguire l’obiettivo della progressiva convergenza tra gli standards dello IASB e

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quelli del FASB potrebbe divenire in questo senso l’occasione per rinnovare il ruolo del Framework e dei relativi suoi contenuti proprio a partire dall’obiettivo da assegnare al Bilancio.

In tale processo riteniamo dovrebbero inserirsi tutti i contributi che, in una logica partecipativa, potrebbero rendere più accettabile l’impostazione di problem solving soprattutto rispetto ai Paesi tradizionalmente ancorati ad una visione deduttiva. Purtroppo dalla lettura dei documenti fin qui prodotti nello sviluppo del progetto in parola (almeno limitatamente al maggio 2005) continua a prevalere un’impostazione nella quale il modello di Bilancio privilegia un obiettivo informativo legato alla logica finanziaria rispetto alla quale valutare la liquidità e la solvibilità di un’azienda16.

16 Nell’ultima sintesi del progetto congiunto sul Conceptual Framework si può leggere infatti che “the financial statements should provide information to help users to assess an entity’s liquidity and solvency” (documento del giugno 2005).

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CAPITOLO II

I POSTULATI DELLA PRUDENZA E DELLA COMPETENZA NELLA REDAZIONE DEL BILANCIO D’ESERCIZIO:

NORMATIVA ITALIANA E PRINCIPI CONTABILI IASB

SOMMARIO: 1. – Introduzione; 2. – I criteri generali di valutazione nell’ambito dei principi IASB e nella determinazione del Bilancio d’esercizio secondo la clausola della chiarezza e rappresentazione veritiera e corretta; 2.1. – Il principi della prudenza e della competenza nel Codice Civile e nei principi IASB; 2.2. – Il reddito d’esercizio ed il capitale di funzionamento secondo la rappresentazione veritiera e corretta ed i principi contabili internazionali: significatività ed attendibilità; 2.3. – L’obiettivo informativo del Bilancio d’esercizio ed i criteri di redazione; 3. – I principali motivi sottostanti le differenze del trattamento degli utili da fair value fra Italia e IASB; 3.1. – Gli assetti proprietari e la struttura finanziaria e del controllo aziendale; 3.2. – Il concetto di azienda; 3.3. – Prudenza ed avversione all’incertezza; 4. – L’utilizzazione del Comprehensive Income Statement; 4.1. – Aspetti introduttivi; 4.2. – I diversi modelli di Comprehensive Income ; 4.3. – La soluzione prospettata dallo IASB; 4.4. – L’adozione del Comprehensive Income Statement in Italia: una proposta operativa; 4.5. – Riflessioni conclusive sul Comprenhensive Income .

1. – INTRODUZIONE17

Il processo di globalizzazione dell’economia e l’esigenza di armoniz-zare i criteri di redazione dei bilanci ha comportato il recepimento dei principi contabili internazionali IASB (International Accounting Standards Board) nella legislazione nazionale che ha scelto di estendere la loro applicazione non solo al bilancio consolidato ma anche al Bilancio d’esercizio delle società indicate dai Regolamenti CE 1606/2002 e 1725/2003.

S’intende analizzare la modificazione dei criteri di redazione del bi- lancio d’esercizio alla base della clausola generale della chiarezza e della rappresentazione veritiera e corretta, introdotti con il recepimento della IV Direttiva CEE, a seguito dell’adozione dei principi contabili IASB. Tali modificazioni riguardano in particolare il ruolo e significato attribuito ai postulati della competenza e della prudenza, influenzando l’entità del capitale di funzionamento e del reddito d’esercizio e la loro significatività ed attendibilità.

I principi di redazione del Bilancio d’esercizio riflettono le finalità conoscitive e gli interessi che s’intendono tutelare con la sua determinazione. Nell’impostazione nazionale, l’asimmetria fra cost or market nelle valutazioni ed il riferimento al costo storico tende a garantire i terzi creditori evitando di rendere distribuibili utili non ancora realizzati. Nell’ambito dei principi IASB, l’attenzione prioritaria alla competenza e alla significatività dell’informazione contabile con la conseguente l’introduzione del fair value, sono rivolti a fornire, con l’evidenziazione di valori di bilancio più omogenei con quelli di mercato, un quadro conoscitivo più adeguato e funzionale per il processo decisionale degli investitori.

Nel merito i diversi orientamenti dei principi valutativi riflettono caratteristiche aziendali, ambientali e culturali proprie dei sistemi d’impresa nel cui ambito sono maturati gli stessi principi. La decisione di recepire i principi internazionali nella redazione del bilancio d’esercizio ha comportato in Italia un intervento normativo nella direzione di recuperare, pur nel quadro IASB, gli effetti della tradizionale prudenza valutativa con la prescrizione di accantonare ad una riserva indistribuibile gli utili da fair value.

17 Il presente capitolo è stato curato da Giovanni Melis. Anche se frutto di lavoro congiunto e comune il primo ed il secondo paragrafo sono stati redatti da Giovanni Melis, mentre il terzo ed il quarto sono stati redatti, rispettivamente da Andrea Melis e da Alessandro Pili .

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Nel testo si analizzano, inoltre, le motivazioni di tale decisione e le modalità di rappresentazione in bilancio degli effetti economici derivanti dall’utilizzo del fair value nel bilancio d’esercizio delle imprese quotate non finanziarie.

2. – I CRITERI GENERALI DI VALUTAZIONE NELL’AMBITO DEI PRINCIPI IASB E NELLA DETERMINAZIONE DEL BILANCIO D’ESERCIZIO SECONDO LA CLAUSOLA DELLA CHIAREZZA E RAPPRESENTAZIONE VERITIERA E CORRETTA

L’introduzione degli standards contabili internazionali emanati dallo IASB nella formazione dei bilanci d’esercizio, implica una sostanziale modificazione dei criteri di redazione alla base della clausola generale della chiarezza e della rappresentazione veritiera e corretta introdotti con il recepimento della IV Direttiva CEE.

Il Framework dello IASB individua nella capacità di fornire informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e sulle variazioni della struttura finanziaria dell’impresa la finalità del Bilancio d’esercizio18. Tali informazioni si ritengono utili per una grande varietà di utilizzatori per effettuare le proprie decisioni economiche e d’investimento. In particolare, le informazioni contabili devono evidenziare la “capacità dell’impresa di produrre flussi di cassa o equivalenti, nonché i tempi e la certezza di generare tali flussi” 19.

Nella logica del Framework IASB si propone una gerarchia fra i vari principi di redazione del bilancio. I due postulati base, underlying assumptions, che orientano la formazione del Bilancio, sono individuati nei princ ipi della competenza (Accrual basis) e della continuità di funzionamento dell’impresa (Going concern), su un piano sottostante si pongono le caratteristiche qualitative (Qualitative characteristics) che l’informazione di bilancio deve possedere20.

Per quanto riguarda l’Accrual basis, il Framework stabilisce che “gli effetti delle transazioni e degli altri eventi sono rilevati al momento della loro maturazione economica (e non al momento della loro manifestazione finanziaria) e sono quindi registrati in contabilità e nel bilancio del periodo a cui si riferiscono”21.

Il Going concern postula la verifica della capacità o intenzione dell’impresa di continuare la propria attività nel prossimo futuro. Da tale verifica deriva la valutazione dei futuri benefici economici attribuibili alle operazioni in corso. Per quanto riguarda l’informazione di bilancio, il Framework non assegna una priorità tra le diverse Caratteristiche qualitative e riconosce che è spesso necessario ricercare un equilibrio appropriato tra le stesse in modo da perseguire la finalità del Bilancio22.

Il Going concern postula la verifica della capacità o intenzione dell’impresa di continuare la propria attività nel prossimo futuro. Da tale verifica deriva la valutazione dei futuri benefici economici attribuibili alle operazioni in corso. Per quanto riguarda l’informazione di Bilancio, il Framework non assegna una priorità tra le diverse Caratteristiche qualitative e riconosce che è spesso necessario ricercare un equilibrio appropriato tra le stesse in modo da perseguire la finalità del Bilancio23.

Le quattro caratteristiche qualitative del bilancio d’esercizio sono così specificate24: 1) Comprensibilità (Understandability); l’informazione contabile possiede tale qualità se il suo

18 Framework (1989, paragrafo 12). 19 Framework (1989: paragrafo 12 e 15). 20 Framework (1989: paragrafi 24-46). 21 Framework (1989: paragrafo 22). 22 Framework (1989: paragrafo 45). 23 Framework (1989: paragrafo 45). 24 Nella versione più recente dello IAS n° 1, Presentazione del bilancio d’esercizio, in regolamento CE 2238/2004, nei paragrafi 23 e 25 si richiamano i principi della continuità e della competenza, mentre non vengono richiamate le caratteristiche qualitative della rappresentazione fedele, della prevalenza della sostanza sulla forma, della neutralità, della prudenza e della completezza dell’informazione indicate nella precedente versione, rivista nel 1997.

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significato può esser facilmente compreso dagli utilizzatori del Bilancio con una ragionevole conoscenza dell’attività economica e del mercato;

2) Significatività (Relevance); l’informazione è significativa se influenza il processo decisionale dell’utilizzatore e lo può aiutare nella valutazione degli eventi passati, presenti o futuri o nel confermare o meno le precedenti previsioni; qualifica la significatività dell’informazione il carattere della Rilevanza (Materiality); un’informazione è rilevante solo se la sua omissione o la sua imprecisione può influenzare le decisioni economiche prese sulla base dei Bilanci;

3) Attendibilità (Reliability); l’informazione è attendibile se è ragionevolmente scevra di errori e pregiudizi e rappresenta fedelmente la realtà che tende a raffigurare; per essere attendibile, un’informazione deve possedere i seguenti attributi: a) rappresentazione fedele (Faithful representation), vi deve esser una corrispondenza tra la misura o la descrizione del fatto contabile e l’evento che s’intende rappresentare; b) prevalenza della sostanza sulla forma (Substance over form), l’informazione deve essere rilevata ed esposta in bilancio avendo riguardo alla sostanza ed alla realtà economica dell’operazione superando il mero aspetto formale e legale; c) neutralità (Neutrality), l’informazione è neutrale se priva di pregiudizi tesi ad ottenere un risultato predeterminato o un comportamento particolare; d) prudenza (Prudence), la prudenza è definita come “l’uso di un certo grado di cautela, necessario quando sussistano condizioni di incertezza, in modo tale da non sopravalutare le attività e i ricavi e non sotto-valutare le passività e i costi”25; tuttavia l’esercizio della prudenza non deve giustificare eccessivi accantonamenti ai fondi rischi e oneri futuri, né la deliberata sottostima di Attività e ricavi o la sovrastima di Passività e costi; e) completezza (Completeness), l’informazione contabile attendibile deve contenere tutte le informazioni rilevanti per rappresentare fedelmente ed in modo completo l’evento sottostante;

4) Comparabilità (Comparability), l’informazione comparabile permette agli utilizzatori di sottolineare e identificare similitudini e differenze tra gli eventi economici e di misurare i trend e le performance economiche e finanziarie raggiunte dall’impresa. In tal senso, appare importante evidenziare le tecniche contabili ed i criteri di valutazione adottati dall’impresa nell’esercizio e negli esercizi precedenti.

Possibili ostacoli (Pervasive constraints) alla presentazione di informazioni contabili significative e attendibili sono rappresentati dalla tempestività (Timeliness) e dall’equilibrio tra i costi per produrre l’informazione e i benefici traibili dalla stessa (Balance between Benefit and Cost). L’informazione contabile deve esser tempestivamente resa disponibile agli utilizzatori del bilancio se dalla stessa dipendono in maniera significativa le proprie scelte economiche. Al contrario, l’urgenza di render disponibile l’informazione può far perdere alla stessa la qualità dell’attendibilità. Occorre quindi bilanciare le due caratteristiche qualitative tenendo conto nel contempo della tempestività delle informazioni e dei loro costi/benefici.

Va osservato che nell’impostazione dello IASB, il Framework non costituisce un principio contabile, tuttavia l’insieme analitico delle indicazioni particolari contenute nelle caratteristiche qualitative e nei singoli principi contabili costituisce il riferimento base per fornire il quadro chiaro e fedele (true e fair view) della situazione patrimoniale, del risultato economico e delle variazioni della struttura finanziaria d’impresa26.

In Italia, il codice civile, a seguito del recepimento della IV Direttiva CEE, definisce, all’art. 2423, gli obiettivi del Bilancio d’esercizio. Si stabilisce che esso deve fornire con chiarezza una rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale, finanziaria e del risultato dell’esercizio, che riflette la traduzione dell’espressione anglossassone true and fair view richiamata dalla direttiva europea. Tale clausola assume un valore sovraordinato (overriding) rispetto ai criteri generali ed analitici di valutazione. In tal senso, si prevede esplicitamente l’obbligo di derogare agli stessi criteri se la loro applicazione risulta incompatibile con la clausola generale della

25 Framework (1989: paragrafo 46). 26 Framework (1989: paragrafo 46).

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rappresentazione veritiera e corretta. Peraltro, il significato sostanziale della stessa espressione resta implicito, in quanto il legislatore non chiarisce l’obiettivo economico su cui orientare le valutazioni di bilancio, e richiama l’utilizzo della clausola generale ne i casi eccezionali27.

L’art. 2423 bis del Codice civile e gli stessi principi contabili nazionali nel documento n° 11 sulle finalità e postulati del Bilancio d’esercizio, indicano come criteri generali di valutazione i principi della continuità aziendale, della prudenza, della prevalenza della sostanza sulla forma, della competenza economica e della costanza dei criteri di rappresentazione e di valutazione 28.

Al di là delle similitudini nominali, tale quadro di principi presenta differenze sostanziali rispetto ai postulati base proposti dal Framework IASB. Da un lato, non si stabilisce un ordine gerarchico fra gli stessi principi, dall’altro appare differente il significato sostanziale attribuito ai principi della competenza e della prudenza. Inoltre, l’esame dei criteri analitici di valutazione dei componenti del capitale di funzionamento consente di osservare nei principi nazionali un’attenzione prioritaria ai principi della prudenza e del costo29.

Ne deriva che il significato attribuibile all’espressione chiarezza e rappresentazione veritiera e corretta del Codice civile True and fair view non appare omogeneo rispetto al contenuto richiesto dal Framework IASB, quindi, il Bilancio d’esercizio nazionale presenta valenza economica differente rispetto al bilancio redatto secondo gli standards contabili internazionali.

2.1. – I principi della prudenza e della competenza nel codice civile e nei principi IASB

La formulazione del principio della prudenza nel codice civile e nei principi contabili nazionali fa riferimento al noto criterio dell’asimmetria delle stime, per cui nel conto economico si possono indicare solo gli utili già realizzati alla data di chiusura dell’esercizio, mentre si deve tener conto degli oneri per i rischi e le perdite relativi alle operazioni in corso, anche se solo presunti o conosciuti dopo la data di chiusura.

Il costo di produzione o di acquisto, pur non essendo esplicitamente indicato dall’art. 2423 bis fra i criteri generali di valutazione, rappresenta il criterio di riferimento nella valutazione delle principali attività patrimoniali30. In via prudenziale, occorre contabilizzare le attività patrimoniali al valore di mercato quando lo stesso è inferiore al costo. Il valore di mercato è inteso come valore recuperabile tramite l’uso per le immobilizzazioni tecniche, o come valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato per le rimanenze di magazzino, e le attività finanziarie destinate allo scambio.

A conferma di tale orientamento, quando con riguardo a specifiche fattispecie valutative si attribuiscono valori superiori al costo storico, si richiede, in aderenza al postulato della prudenza, di accantonare il maggior valore attribuito, in riserve patrimoniali non distribuibili fino al suo recupero con l’ammortamento o con il realizzo diretto.

Riflettono situazioni emblematiche di tale orientamento gli accantonamenti a riserva indisponibile delle plusvalenze che si generano per effetto:

- della rivalutazione di attività patrimoniali in casi eccezionali prevista dall’art. 2423 c.c. con cui si tende a adeguare il valore contabile derivante dal costo storico a quelli correnti di mercato in coerenza con la clausola generale della rappresentazione veritiera e corretta;

27 Nella stessa direzione sembrano orientarsi i principi IASB. Infatti, nell’ultima formulazione dell’IAS n° 1, al paragrafo 17, si legge che nelle circostanze qualificate come estremamente rare, in cui la direzione aziendale valuta che l’applicazione di un principio o una disposizione interpretativa possa risultare fuorviante rispetto alla presentazione del quadro chiaro e fedele, secondo l’impostazione definita nel Framework , si deve disattendere tale disposizione, al fine di fornire una rappresentazione più attendibile, evidenziando le motivazioni e gli effetti economici e patrimoniali della deviazione. Cfr. IAS n° 1, cit., paragrafi 17-18. 28 Principio Contabile n° 11, Bilancio d’esercizio, finalità e postulati, OIC, 2005. 29 Più ampiamente si veda: G. MELIS, P. CONGIU, (2001: 28 e ss.). 30 Il costo come criterio base delle valutazioni di Bilancio dell’impresa in funzionamento è invece considerato fra i postulati del Bilancio d’esercizio nei principi contabili nazionali, si veda il Principio Contabile n° 11, Bilancio d’esercizio, finalità e postulati, cit.

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- della valutazione secondo il metodo del patrimonio netto delle partecipazioni immobilizzate in società controllate e collegate;

- dell’adeguamento al tasso di cambio a pronti alla data di chiusura delle Attività e delle Passività monetarie in valuta, finalizzati ad attribuire per competenza all’esercizio l’incremento patrimoniale verificatosi durante lo stesso esercizio.

Costituisce, invece, un’eccezione al rispetto dei principi del costo e della prudenza, la possibilità di contabilizzare le rimanenze di lavori in corso su ordinazione sulla base dei corrispettivi contrattuali maturati, in alternativa al costo di produzione. Infatti, in tal modo, si attribuiscono all’esercizio in chiusura gli utili lordi in corso di formazione, secondo competenza economica. Tale opportunità, peraltro, riflette la particolare natura economica dell’operazione. Si tratta di rimanenze di beni e di servizi per i quali le condizioni di vendita (quantità, qualità e prezzo) sono state già contrattualmente definite. Inoltre, va osservato che la deroga al criterio generale della prudenza, con l’anticipazione di margini lordi positivi in corso di formazione, può essere effettuata in assenza di ragionevoli incertezze sull’entità dei costi di realizzazione dell’opera e sull’ottenimento del corrispettivo pattuito da parte del committente.

Un’ulteriore eccezione alla valutazione al costo storico e al principio della prudenza è previsto dal D. Lgs. n° 87/92 con il quale si è recepita la Direttiva CEE n° 635/86 relativa alla redazione dei bilanci delle banche e degli altri istituti finanziari. Esso prevede all’art. 20 che i titoli, che non costituiscono immobilizzazioni finanziarie e che sono quotati in mercati organizzati, possano esser valutati al valore di mercato in alternativa al principio del minor valore tra il costo di acquisto e il valore di mercato. In tal caso, i plusvalori e i minusvalori derivanti dalle variazioni delle quotazioni, verranno rilevati nel conto economico di fine esercizio a norma dell’art. 14 del medesimo decreto.

Per quanto riguarda invece i Bilanci delle società diverse dalle banche e degli altri istituti finanziari, il D. Lgs. n° 394/2003 non ha recepito appieno la modifica della IV Direttiva avviata con l’emanazione della Direttiva CE n° 65/2001. Essa, infatti, ha autorizzato gli Stati membri a valutare gli strumenti finanziari, compresi i derivati, al fair value31. Il nostro legislatore si è invece limitato all’introduzione del nuovo articolo 2427 bis del Codice civile che con riferimento agli strumenti finanziari derivati prevede che il fair value venga esposto ne lla Nota integrativa, specificando la loro natura ed entità. Deve esser inoltre indicato, per le immobilizzazioni finanziarie iscritte ad un valore superiore al valore equo, il relativo fair value e se questo risulta inferiore al valore contabile delle immobilizzazioni i motivi della mancata svalutazione. Il fair value non è ancora considerato dal nostro legislatore un parametro di valutazione delle attività finanziarie, ma solo un riferimento per evidenziare, nel rispetto del principio della prudenza, possibili perdite in corso di formazione.

Si è affermato in precedenza che nella logica del Framework IASB si propone una gerarchia fra i vari principi di redazione del Bilancio. I due postulati base, underlying assumptions, che orientano la formazione del Bilancio, sono individuati nei principi della competenza (accrual basis) e della continuità di funzionamento dell’impresa (going concern) ed i principi che esprimono le caratteristiche qualitative del Bilancio.

Per effetto del principio della competenza “the effects of transactions and other events” si contabilizzano al momento della loro maturazione economica a prescindere dall’epoca della manifestazione dell’aspetto finanziario 32. Gli IAS/IFRS specificano la nozione di competenza con le definizioni delle Attività e Passività patrimoniali e dei costi e dei ricavi 33. In particolare, le Attività sono risorse dalle quali sono attesi futuri benefici economici, mentre i ricavi esprimono un afflusso o rivalutazione di attività o decremento di passività. Le Passività derivano dal regolamento di operazioni che comportano un deflusso di risorse economiche ed i costi una fuoriuscita di risorse

31 Si veda la Direttiva CE n° 65/2001, articolo 1. 32 Cfr. Framework (1989: paragrafo 22). 33 Nel seguito si userà in termine IFRS per riferirsi tanto agli IAS quanto agli IFRS. Gli IAS sono gli International Accounting Standards emanati International Accounting Standards Committee, mentre gli IFRS, International Financial Reporting Standards, sono emanati dall’International Accounting Standards Board .

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economiche che generano un beneficio economico. Ne consegue che sono attribuibili alla competenza dell’esercizio i valori che si creano per effetto

degli scambi gestionali del periodo e quelli che maturano nei beni per effetto della loro semplice appartenenza al patrimonio aziendale. In tal modo, si supera il riferimento al completamento del processo produttivo ed all’effettuazione dello scambio, elementi cardine nell’individuare la competenza dei ricavi secondo i principi contabili nazionali34.

Il Framework IASB nel definire il principio della prudenza raccomanda l’uso nel processo valutativo “di un certo grado di cautela, necessario quando sussistano condizioni di incertezza, in modo da non sopravvalutare le attività e i ricavi e non sottovalutare le passività e i costi”35. La formulazione è meno vincolante rispetto a quella in uso nel contesto normativo nazionale. In via di principio, non esclude la possib ilità di attribuire all’esercizio in chiusura i positivi margini lordi in formazione sulle operazioni in corso o di adeguare il costo storico dei beni posseduti ai valori correnti di mercato.

Per la loro contabilizzazione, appare, infatti, decisiva la valutazione che gli stessi margini siano individuabili e quantificabili con ragionevole attendibilità. In particolare, la rilevazione dei ricavi deve effettuarsi quando: a) si ha il trasferimento del controllo e dei rischi significativi sul bene all’acquirente, ovvero il risultato di una prestazione di servizi può essere attendibilmente stimato; b) il valore dei ricavi può essere attendibilmente quantificato; c) è probabile che l’impresa possa ottenere i benefici economici dell’operazione; d) i costi sostenuti e da sostenere per l’operazione possano essere attendibilmente determinati36.

Sulla base di tali riferimenti, si configurano, in modo meno rigido, i margini di discrezionalità nella redazione del Bilancio sul piano della competenza economica e della prudenza valutativa. L’introduzione da parte degli IFRS del criterio del fair value (valore equo) per la valutazione di diversi elementi del patrimonio s’inserisce logicamente nella rilevanza attribuita al principio della competenza ed al ridimensionamento di que llo della prudenza 37.

Tendenzialmente, il fair value orienta la stima sui valori di mercato e, quindi, comporta, nei casi in cui determina una rivalutazione del costo storico, l’inserimento di plusvalenze patrimoniali non realizzate. Lo IAS 36 Riduzione durevole di valore di attività, considera come valore recuperabile il più alto tra il fair value, al netto dei costi di vendita, ed il valore d’uso, inteso come valore attuale dei flussi finanziari futuri attesi dall’attività. Con tale impostazione, in assenza dell’effettivo realizzo del bene, di fatto, si ritiene accoglibile nell’ambito del capitale di funzionamento un valore basato sulla logica di una potenziale liquidazione, mentre il recupero dell’investimento nell’attività resta affidato alla capacità di reintegrazione economica della gestione di funzionamento38.

Il fair value al momento dell’acquisizione di un bene coincide con il suo costo d’acquisto, comprensivo degli oneri accessori diretti, espressione del valore di scambio realizzato nell’ambito dell’ordinario svolgimento dell’attività operativa dell’impresa39. Con il succedersi degli esercizi, il costo storico tende ad allontanarsi dal valore corrente di mercato, per gli effetti dell’innovazione tecnologica, della dinamica dei prezzi, per diversi apprezzamenti sull’utilizzo nell’economia dell’impresa del fattore o dei prodotti che lo stesso concorre a realizzare.

La valutazione al fair value tende a riflettere in Bilancio il prezzo a cui lo stesso bene potrebbe essere liberamente commercializzato, valore corrente di mercato o valore economico dello scambio. Nel caso delle passività il fair value esprime il corrispettivo che consente di estinguere la stessa passività.

34 Cfr. CNDC E CNR (2002: 15). 35 Si veda il Framework (1989: paragrafo 37). 36 In merito si veda lo IAS n° 18, Ricavi, in regolamento CE 2238/2004, paragrafi, 9-28. 37 Il fair value viene definito dallo IAS 18, Ricavi, al paragrafo n° 7 come “il corrispettivo al quale un’attività può essere scambiata o una passività estinta, in una libera transazione fra parti consapevoli” IAS n° 18 (paragrafo 7). 38 In merito si veda anche G. ROBERTO (2004: 102 e ss.). 39 Se la transazione non avviene secondo scambi di mercato, ad esempio nelle transazioni infragruppo o con parti correlate, il costo può non coincidere con il fair value.

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Naturalmente, nel complesso delle stime del capitale di funzionamento le valutazioni al fair value esprimono valori potenziali che l’impresa potrebbe realizzare con lo scambio di mercato. Per i beni che non hanno un mercato attivo su cui possano formarsi attendibili quotazioni, nel definire il fair value occorre far riferimento a tecniche di valutazione affidabili. Gli IFRS riguardanti le specifiche poste di Bilancio indicano, come tecniche accettabili, il ricorso ai valori definiti in operazioni similari svo lte fra parti indipendenti e consapevoli, le perizie estimative, l’analisi dei flussi di cassa ottenibili dall’attività. Nei casi di carenza di mercato attivo e nelle situazioni in cui le tecniche di valutazione forniscono valori scarsamente attendibili il fair value non si può applicare.

Nel quadro degli IFRS tale prescrizione recupera l’aspetto della prudenziale attendibilità dei valori patrimoniali. Inoltre, in alcuni casi, si veda la successiva tabella n° 1, le plusvalenze non realizzate connesse con l’utilizzo del fair value, comportano un adeguamento dei valori dell’attivo patrimoniale, ma sono direttamente accantonate a riserva e non influenzano il reddito d’esercizio distribuibile.

La valutazione secondo il criterio del costo storico per sua natura riflette in Bilancio valori caratterizzati da una modesta variabilità e riduce per effe tto dell’asimmetria delle stime, cost or market , la discrezionalità nel processo valutativo di Bilancio40. Il ricorso al fair value, invece, genera una maggiore volatilità nel valore delle poste patrimoniali, in sintonia con la dinamica dei prezzi di mercato. Tale effetto può essere sensibile soprattutto nella fase di prima applicazione degli IFRS. Si fa riferimento all’adeguamento al maggior o minor valore rispetto al costo di acquisto o di produzione che sul mercato beni patrimoniali, come impianti, fabbricati, attività finanziarie, etc. possono avere in correlazione all’andamento dei prezzi degli stessi beni, o in rapporto alla valutazione della loro futura capacità di generare flussi di cassa.

Occorre, inoltre, considerare che nel processo di valutazione correlato con l’applicazione dei principi IFRS, accanto alla soggettività insita nelle stime sulle ipotesi di conclusione delle operazioni in corso a fine esercizio, s’inserisce quella collegata con la valutazione del grado di attendibilità del fair value e, quindi, sulla sua applicabilità e misura.

Va infine osservato che nella stessa direzione di una più puntuale attenzione al principio della competenza si pongono le indicazioni degli IFRS per rendere omogenei i valori finanziari attivi e passivi la cui disponibilità o esigibilità e variamente posticipata con riferimento alla data di Bilancio.

2.2. – Il reddito d’esercizio ed il capitale di funzionamento secondo la rappresentazione veritiera e corretta ed i principi contabili internazionali: significatività ed attendibilità

Il ruolo attribuito dai principi contabili internazionali alla competenza economica e la ridefinizione in termini meno rigidi del criterio della prudenza incidono sulla significatività ed attendibilità dei valori di sintesi del Bilancio: capitale di funzionamento e reddito d’esercizio.

Il reddito d’esercizio determinato secondo chiarezza e rappresentazione veritiera e corretta, nel rispetto dei principi tradizionali della prudenza, del costo e della costanza dei criteri di valutazione esprime, con una configurazione convenzionale, il reddito prodotto, che costituisce la base prudenziale di riferimento nel definire le politiche di distribuzione dei dividendi e di accantonamento a riserva per rafforzare la dotazione patrimoniale dell’impresa41.

Secondo l’impostazione del codice civile, il riferimento al costo storico e la rilevanza del principio della prudenza non consentono di evidenziare, se non in casi eccezionali, il valore creato nell’esercizio nelle attività patrimoniali, ma non ancora realizzato. Il prudenziale rinvio del recepimento di utili non realizzati, a parità di altre condizioni, da un lato comprime il reddito d’esercizio, dall’altro non evidenzia potenziali valori patrimoniali. Si tratta, infatti, di una

40 In realtà, il costo storico derivante da un processo di acquisto da terzi trova una definizione oggettiva nel prezzo pattuito, nel caso delle costruzioni interne la definizione del costo di produzione riflette anche le stime soggettive correlate con l’attribuzione della quota di costo dei fattori comuni alle altre produzioni. 41 Per un’analisi di tale configurazione di reddito si veda G. MELIS, P. CONGIU (2001: 28 e ss.).

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configurazione di reddito e di patrimonio attenta a garantire gli stakeholders che non hanno immediato potere decisionale sulle scelte di bilancio (creditori, dipendenti, pubblica amministrazione), interessati alla solidità patrimoniale ed alla continuità aziendale, contro i rischi della distribuzione di utili solo presunti o contingenti, che possono vanificarsi con la successiva conclusione delle operazioni in corso.

Nel Bilancio determinato secondo i principi contabili internazionali, il ruolo prioritario attribuito al postulato della competenza comporta la definizione di valori patrimoniali più omogenei con quelli correnti di mercato. Per molti aspetti, il processo valutativo orienta l’entità del capitale di funzionamento verso la configurazione di capitale economico calcolato con il metodo patrimoniale semplice42.

Si tratta, peraltro, di una configurazione di valore economico parziale, in quanto da un lato il costo storico prevale nelle situazioni in cui il fair value non è attendibilmente valutabile, dall’altro in alcuni casi il criterio del fair value è indicato come alternativa possibile rispetto al costo. Inoltre, la contabilizzazione di poste significative, come le rimanenze di magazzino, continua a basarsi sul valore minore fra il costo e quello di netto realizzo, anche se con l’applicazione del criterio convenzionale di rotazione del magazzino FIFO si tende a considerare i costi più recenti43. Sulle modalità di contabilizzazione e valutazione delle poste di bilancio fra principi contabili nazionali e IFRS si veda la seguente tabella 1.

Tabella 1 – Contabilizzazione con l’utilizzo del Fair value

Posta di bilancio Principi Italiani IAS / IFRS Principi IFRS adottati in Italia in

relazione alle disposizioni del D. Lgs. n° 38/2005

Destinazione delle variazioni di valore Conto Economico

Riserva del Patrimonio

Netto

Conto Economico

Riserva del Patrimonio Netto

Immobilizzazioni immateriali e materiali Costo Storico Fair Value (o Costo)

Fair Value da accantonare in una

Riserva non distribuibile

Investimenti immobiliari Costo Storico - Possibile non

ammortizzare Fair Value (o Costo)

Fair value da accantonare in

una Riserva non distribuibile

Partecipazioni in Imprese Controllate, Collegate, Joint venture nel Bilancio

Separato della Capogruppo

Se immobilizzate : - Metodo del Patrimonio Netto o Costo rettificato. Le

rivalutazioni vanno accantonate a Riserva..

Se iscritte nell'attivo circolante - Costo o se minore valore di

mercato

Fair Value (o Costo)

Se destinate alla vendita IFRS 5

Fair value. Se destinate alla vendita IFRS 5

Altre Partecipazioni

Se immobilizzate : - Costo rettificato.

Se iscritte nell'attivo circolante - Costo o se minore valore di

mercato

Fair value (Vedi categorie sottostanti: Possedute per la negoziazione,

Disponibili per la vendita)

Fair value (Vedi categorie sottostanti: Possedute per la negoziazione,

Disponibili per la vendita)

Attività finanziarie disponibili per la negoziazione

Nell'attivo circolante costo o se minore valore di mercato

Fair value

Fair value – Le variazioni

partecipano alla formazione del

reddito distribuibile

Attività finanziarie disponibili per la vendita

Nell'attivo circolante costo o se minore valore di mercato Fair Value

Fair Value da accantonare in una

Riserva non distribuibile

Fair Value Option di tutte le Attività Finanziarie Non previsto Fair value

Fair value da accantonare in

una Riserva non distribuibile

Strumenti di copertura da fair value Non previsto Fair value

Fair value – Le variazioni

partecipano alla formazione del

reddito distribuibile

42 In tal senso s’inserisce anche il non riconoscere fra le attività gli oneri pluriennali come spese d’impianto ed ampliamento e le spese di pubblicità. Sul metodo patrimoniale semplice ed, in generale, sui diversi metodi di valutazione del capitale economico d’impresa, si vedano, fra gli altri, L. GUATRI (1990: 16 e ss.), O. PAGANELLI (1990: 9 e ss.), J. VIEL, O. BREDT, M. RENARD (1986), G. ZANDA, M. LACCHINI, T. ONESTI (1992: 25 e ss.). 43 L’ultima versione dello IAS 2, Rimanenze, ha cassato, come criterio alternativo consentito il LIFO, mantenendo l’opzione FIFO e costo medio ponderato, che attribuiscono, in periodi di prezzi crescenti, alle scorte di magazzino valori più prossimi a quelli correnti.

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Strumenti di copertura da flussi finanziari e investimenti in gestioni estere

Non previsto Fair value

Fair value – Le variazioni sono

accantonate in una Riserva non distribuibile

Passività Finanziarie possedute per la negoziazione

Valore presunta estinzione Fair value

Fair value – Le variazioni

partecipano alla formazione del

reddito distribuibile

Fair value option di tutte le Passività finanziarie Non previsto Fair value Non previsto

Attività biologiche Costo o se minore Valore di mercato

Fair value

Fair value da accantonare in

una Riserva non distribuibile

Differenze di cambio sulle Elementi patrimoniali Non - monetari al Fair value

Non previsto

Cambio di chiusura quando le Differenze di Fair Value sono accreditate in

C.E.

Cambio di chiusura quando le Differenze di Fair Value sono accreditate in

P.N.

Cambio di chiusura quando le Differenze di Fair Value sono accreditate in

C.E. da accantonare in

una Riserva non distribuibile

Cambio di chiusura quando le

Differenze di Fair Value sono

accreditate in P.N. in una Riserva non

distribuibile

Utili/Perdite attuariali da fair value relative ai Piani pensionistici a Benefici

Definiti Non previsto

Possibili 2 approcci Corridor

approach e Immediate recognition approach

Possibili 2 approcci Corridor

approach e Immediate recognition approach da

accantonare in una Riserva non

distribuibile

Nella tabella, oltre al criterio di valutazione proposto, si indica, per le diverse poste, ove viene contabilizzata la variazione da fair value (conto economico o stato patrimoniale) secondo i principi IFRS e secondo le disposizioni di cui al D. Lgs. n° 38/2005. Con la contabilizzazione allo Stato Patrimoniale si indica l’accantonamento diretto a riserva patrimoniale durante l’esercizio, ment re con la contabilizzazione al Conto Economico si indicano anche i casi in cui gli stessi importi devono essere successivamente destinati a riserva in sede di destinazione del risultato dell’esercizio.

L’adeguamento del costo storico dei beni patrimoniali ai valori correnti consente di approssimare la misura del capitale di funzionamento ai potenziali valori di mercato, nonché in alcuni casi di comprendere nel reddito d’esercizio plusvalenze potenziali non realizzate. Tale informazione appare utile per gli investitori attuali e potenziali che intendono apprezzare la capacità dell’impresa di generare redditi e flussi di cassa, anche se non comporta la rappresentazione in bilancio del valore economico del capitale d’impresa. Ne deriva che anche lo stesso reddito non esprime con compiutezza il risultato economico del periodo, inteso nella sua espressione più ampia del valore economico creato nell’esercizio.

Infatti, nel Bilancio d’esercizio non si contabilizza l’incremento dei beni immateriali verificatosi nel periodo non derivante da processi di acquisto e di produzione o che non ha generato beni distintamente individuabili, brevetti, marchi, diritti d’autore, ecc. In altri termini, gli elementi patrimoniali del capitale di bilancio non comprendono l’insieme di risorse intangibili per l’operatività aziendale che concorrono a definire il valore del suo avviamento originario44. La conoscenza di tale risorsa è certamente importante per orientare il processo decisionale degli investitori sulla capacità di creare valore e sulle prospettive dell’impresa.

L’informazione sulle capacità prospettiche dell’impresa di produrre flussi di liquidità, finalità conoscitiva ritenuta prioritaria dal Framework risulta, pertanto, limitata in quanto condizionata dalle regole convenzionali di contabilizzazione e di valutazione proprie della redazione del Bilancio.

L’orientamento alla competenza fornisce, tuttavia, un quadro conoscitivo più puntuale sul patrimonio aziendale, esprimendo con maggiore chiarezza potenzialità economiche e finanziarie

44 Si distingue fra avviamento originario e quello derivativo. Il primo riflette il complesso di beni immateriali riconducibili ad un’azienda avviata, ed espressi in sintesi dal maggior valore attribuibile al capitale economico rispetto al capitale di funzionamento, rettificato a valori correnti. L’avviamento derivativo costituisce il valore iscrivibile nel bilancio di un’azienda in quanto espressione del prezzo sostenuto in sede di acquisto di un complesso aziendale del relativo avviamento originario.

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prospettiche, utili per il processo decisionale dell’utilizzatore di Bilancio. La contabilizzazione di valori non realizzati aumenta, peraltro, il grado di incertezza e di volatilità dei valori di Bilancio, in rapporto al mutevole andamento che i prezzi di mercato e le condizioni di realizzo degli investimenti possono presentare in futuro.

Va osservato che i principi contabili internazionali non contabilizzano in modo omogeneo tali plusvalenze nei documenti di bilancio. In alcuni casi, le stesse plusvalenze si rilevano nel conto economico e concorrono a definire l’entità del reddito d’esercizio. Ad esempio, è il caso delle plusvalenze derivanti dall’applicazione del fair value nella valutazione degli investimenti immobiliari, delle attività finanziarie detenute per la negoziazione e delle attività biologiche, delle partecipazioni in imprese controllate e collegate nel Bilancio separato.

Nel caso delle immobilizzazioni tecniche materiali e immateriali la rivalutazione del costo per adeguare il valore al fair value non concorre alla formazione del reddito d’esercizio, ma viene direttamente appostata in una riserva del netto patrimoniale, sulla cui distribuibilità gli IFRS non indicano specifici vincoli.

Ne deriva che l’apprezzamento del maggior valore patrimoniale attribuito all’impresa con l’adeguamento del costo storico al fair value non sempre influenza il reddito d’esercizio. Naturalmente, per effetto della logica contabile, il processo d’ammortamento dei beni rivalutati influenza la redditività degli esercizi successivi.

Considerato che nella comunità contabile internazionale si rafforza la tendenza ad ampliare l’impiego della fair value accounting, emerge come criticità l’esigenza di trovare un equilibrio fra il processo valutativo teso a fornire informazioni patrimoniali, finanziarie ed economiche orientate ai valori correnti con l’utilizzo del fair value, utili per gli investitori per apprezzare le potenzialità prospettiche dell’impresa di generare flussi di liquidità e le esigenze più prudenziali degli altri stakeholders in merito alla gestione contabile degli utili non realizzati45. In sintesi, appare opportuno trovare un maggiore equilibrio fra i caratteri della significatività e dell’attendibilità dell’informazione di Bilancio.

2.3. – L’obiettivo informativo del Bilancio d’esercizio ed i criteri di redazione

Nella dottrina economico-aziendale la possibilità di attribuire alle poste di Bilancio valori superiori al costo storico era stata approfondita in passato, nel quadro della determinazione del cosiddetto reddito consumabile o distribuibile46.

Con tale espressione si intendeva la possibilità di determinare attraverso il Bilancio d’esercizio una configurazione di reddito che poteva essere distribuito ai soci senza intaccare la possibilità dell’impresa di continuare ad operare secondo criteri di economicità.

La determinazione del reddito consumabile si basava sulla valutazione analitica delle operazioni in corso al fine di attribuire, alle attività, valori non superiori a quelli ottenibili con la loro realizzazione, al netto degli stessi oneri di realizzazione, ed alle passività valori non inferiori a quelli necessari per la loro futura estinzione. I valori, definiti con riferimento alla specifica proiezione dell’operatività aziendale sulle operazioni in corso, venivano, in un quadro che privilegiava la riservatezza aziendale, riesaminati con un approccio sistemico per verificare la loro coerenza rispetto al valore economico dell’impresa e per tener conto delle politiche di stabilizzazione dei dividendi e di autofinanziamento.

Secondo tale approccio, nel rispetto sostanziale della prudenza amministrativa, le stime analitiche per la determinazione del capitale di funzionamento non dovevano generare un valore del patrimonio netto superiore al valore economico dell’impresa, espressione della sua capacità

45 “Fair value will be a dominant standard for reporting. Here I refer mainly to financial instruments and to obligations and provisions. It will perhaps apply rather less to buildings, machinery and the like, but valuation according to fair value will certainly also apply to tangible and intangible fixed assets in the longer term” (M. N. HOOGENDOORN , 2003: 229-230). 46 In merito si veda P. ONIDA (1951: 54 e ss).

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prospettica di reddito47. La configurazione del reddito consumabile era coerente con l’utilizzo del Bilancio d’esercizio

come strumento di comportamento “quando i soggetti che governano l’azienda orientano le informazioni desumibili dal medesimo Bilancio verso particolari obiettivi operativi (es. rimunerazione del capitale proprio, politica fiscale, richiesta di quotazione in borsa delle azioni, etc.)”48. Non risultava coerente con le esigenze di trasparenza sulla situazione patrimoniale e finanziaria e sull’andamento economico richiesta all’informazione di Bilancio dai mercati finanziari e, più in generale, dagli stakeholders non espressione del soggetto economico.

L’impostazione IASB prevede la definizione di analitici e specifici criteri di valutazione per i diversi elementi del patrimonio, orientata a calcolare il valore più coerente con il valore dei potenziali flussi di cassa ottenibili dall’attività o da cedere per l’estinzione delle passività. Va osservato, infatti, che il riferimento al fair value nella misura in cui fa riferimento ai valori potenziali degli scambi di mercato tende ad approssimarsi agli specifici flussi monetari realizzabili dall’impresa.

Nell’impostazione degli IAS/IFRS, i valori di sintesi del Bilancio, capitale di funzionamento e reddito d’esercizio, esprimono la somma algebrica dei valori individuati per le singole poste e non sono oggetto di rielaborazioni prudenziali in funzione dell’analisi dell’evoluzione prospettica degli andamenti congiunturali o di eventuali politiche aziendali di distribuzione dei dividendi e di autofinanziamento. Tale circostanza rafforza l’importanza dei sistemi di controllo sull’attendibilità delle determinazioni di Bilancio in stretto collegamento con le modalità con cui si articolano la corporate governance e le procedure e modalità di controllo sull’operato degli amministratori.

In particolare, pare di poter interpretare che l’orientamento degli IAS/IFRS prefigura come azienda tipica di riferimento la grande impresa, quotata su mercati finanziari, capaci di esprimere con efficacia una funzione di controllo economico sulle performance espresse nel bilancio d’esercizio. Tale situazione non appare comunque generalizzabile soprattutto nei contesti ambientali in cui è ancora significativa la presenza di realtà aziendali il cui controllo è svolto dal soggetto economico espressione del socio di riferimento. Quest’ultima circostanza è destinata ad ampliarsi, in quanto il processo di armonizzazione internazionale spinge verso l’estensione dell’utilizzo degli IAS/IFRS alle società non quotate. Tale circostanza comporta l’emerge della problematica sulla discrezionalità che il sistema normativo, legale o derivante dai principi contabili, deve lasciare sulla distribuibiltà degli utili non realizzati da fair value agli azionisti.

Considerato l’interesse generale all’operatività dell’impresa secondo condizioni di economicità, in un quadro di equilibrata attenzione alle attese di tutti gli stakeholders, accanto alla puntuale e significativa rappresentazione del risultato economico e della potenzialità del patrimonio aziendale di generare flussi di cassa (carattere qualitativo dell’informazione di bilancio) su cui confluiscono le attese di tutti gli stakeholders, si pone anche l’esigenza di tutelare le attese dei finanziatori, del personale, dei creditori in genere, che possono avere un pregiudizio dalla distribuzione di utili non realizzati o contingenti.

Si tratta, infatti, degli stakeholders, stabilmente interessati alla solidità patrimoniale a garanzia della continuità aziendale, che non partecipano direttamente al processo decisionale relativo alla formazione del bilancio. Nell’ambito della chiarezza informativa di bilancio, tale aspetto può essere affrontato, da un lato, evidenziando adeguatamente nel conto economico gli effetti delle rivalutazioni da fair value, dall’altro, con l’istituzione di specifici accantonamenti a riserva degli utili non realizzati, effettuati nella fase della destinazione del risultato d’esercizio, senza contrastare la qualità conoscitiva dell’impostazione degli IAS/IFRS (carattere qualitativo delle scelte economiche di Bilancio).

Le scelte economiche di Bilancio possono ricondursi alle politiche aziendali ed essere, quindi, oggetto di valutazione da parte degli stakeholders, soprattutto gli investitori attuali e potenziali,

47 Sul punto si veda P. ONIDA (1951: 62 e ss.). 48 F. DEZZANI, (1974: 19).

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oppure, orientate da un quadro normativo (principi contabili o indirizzi legislativi), in particolare nelle situazioni in cui il controllo dei mercati finanziari non è efficace.

Il Decreto Legislativo del 28 febbraio 2005 n° 38 regola la contabilizzazione e l’utilizzo nell’economia del bilancio delle rivalutazioni emergenti dalla applicazione dei principi contabili internazionali, ponendo specifici vincoli prudenziali nella distribuzione del reddito d’esercizio. Esso, infatti, sanc isce all’art. 6 che le società che redigono il bilancio d’esercizio secondo i principi contabili internazionali non possono distribuire utili o riserve derivanti dall’applicazione del fair value nella valutazione delle attività e degli strumenti finanziari con la sola eccezione delle plusvalenze da fair value degli strumenti finanziari di negoziazione (held for trading), degli strumenti di copertura (fair value hedge) e dell’operatività nei mercati dei cambi. Quest’ultima eccezione del legislatore appare non coerente con l’impostazione di fondo dei criteri di valutazione civilistici ed introduce elementi di convenzionalità giustificati con la considerazione della maggiore significatività dei prezzi e liquidabilità degli investimenti che caratterizzano i mercati finanziari49.

Le riserve di rivalutazione così costituite sono indisponibili e indistribuibili. Vengono liberate a seguito della realizzazione diretta (cessione o dismissione) o indiretta (svalutazioni o ammortamenti) dell’Attività patrimoniale.

Occorre sottolineare che le riserve da fair value possono esser utilizzate per la copertura delle perdite ove non fossero capienti le altre riserve, compresa la riserva legale50. Nel caso in cui il risultato complessivo del conto economico non fosse sufficiente per costituire le indicate riserve, a seguito di perdite derivanti dalle altre poste reddituali o in caso di utilizzo per la copertura di perdite, negli esercizi successivi devono esser accantonati gli utili conseguiti fino al completo reintegro delle stesse riserve.

Ad evidenza, con le disposizioni del decreto si vuol evitare di distribuire utili solo potenziali legati all’applicazione del fair value rischiando in tal modo di intaccare il patrimonio netto d’azienda. Peraltro, per gli inevitabili collegamenti che esistono fra i valori dei Bilanci dei diversi esercizi, i maggiori valori patrimoniali generati dall’utilizzo del fair value comportano negli esercizi successivi maggiori vincoli sul piano della reintegrazione economica delle attività, ad esempio in termini di maggiori quote d’ammortamento delle immobilizzazioni tecniche rivalutate.

3. – I PRINCIPALI MOTIVI SOTTOSTANTI LE DIFFERENZE DEL TRATTAMENTO DEGLI UTILI DA FAIR VALUE FRA ITALIA E IASB

La scelta italiana di bilanciare i principi di significatività (relevance) e di prudenza è chiaramente basata sull’importanza che il principio della prudenza ha nel codice civile e nei principi contabili italiani. Tale rilevanza emerge con riferimento ai menzionati limiti posti dal legislatore italiano alla libera decisione dell’assemblea dei soci circa la distribuzione degli utili derivanti da applicazioni del fair value.

49 La soluzione adottata appare ancor più incoerente se si pensa al fatto che una società che adotta i principi contabili italiani deve accantonare a norma dell’art. 2426 – 8 – bis) gli eventuali utili su cambi sulle poste monetarie in valuta estera in una riserva non distribuibile del Patrimonio netto, mentre se adotta i principi contabili internazionali può distribuire gli stessi utili a norma dell’art. 6 comma 1 del D. Lgs. 38/2005. 50 Il comma 5 dell’art. 6 del D. Lgs. 38/2005 afferma che le riserve formatesi per mezzo dell’accantonamento degli utili da fair value transitati al conto economico possono essere utilizzati per la copertura delle perdite, tacendo di fatto sulla possibilità di un medesimo utilizzo anche delle riserve formatesi per l’accredito diretto al patrimonio netto degli utili da fair value. Tale possibilità non si ritiene in ogni caso preclusa per due ordini di motivi. In primo luogo, il comma 2 l’art. 7 del medesimo decreto, che disciplina le variazioni del patrimonio netto da apportare nella formazione del primo bilancio di apertura redatto secondo gli IFRS, equipara le riserve da valutazione non transitate al conto economico al regime di indisponibilità dell’art. 6 e sancisce espressamente al comma 6 che le stesse riserve possono essere utilizzate per la copertura di perdite. In secondo luogo stante l’obbligo di reintegro per entrambe le riserve da fair value (formatesi da utili transitati a conto economico o accreditati direttamente al Patrimonio netto) non si ravvisano pericoli per l’integrità del capitale.

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Il recupero del principio della prudenza al momento della distribuzione appare dovuto all’influenza esercitata dal sistema di corporate governance, lato sensu, che caratterizza le imprese non finanziarie italiane che adottano gli standards contabili internazionali.

Tenendo presente la mancanza di univocità, sia in dottrina che nella prassi, circa il concetto di sistema di corporate governance, ai fini della nostra analisi con tale termine ci si riferisce agli assetti proprietari, alla struttura del controllo aziendale ed a quella finanziaria, al concetto di azienda generalmente accettato in un dato Paese ed al ruolo riconosciuto agli interessi dei diversi stakeholders aziendali51. Sono inclusi nel concetto in questione anche gli aspetti legali e culturali nella misura in cui essi possono influenzare il sistema d’informazione esterna d’impresa ed, in particolare, l’impostazione degli standards contabili.

3.1. – Gli assetti proprietari e la struttura finanziaria e del controllo aziendale

Sebbene lo IASB dichiari che i principi contabili da esso proposti siano utili a diverse tipologie di aziende, nel Framework, ed in diversi standard contabili, sembra prendere in considerazione una tipologia di “entità aziendale” in cui tanti piccoli azionisti forniscono capitale proprio ad una grande impresa quotata in borsa, caratterizzata da una piena separazione fra proprietà e controllo, dove, pertanto, il ruolo di soggetto economico è assunto dall’Alta direzione 52.

In tale ottica, il problema di corporate governance riguarda le modalità attraverso le quali i fornitori di capitale di rischio pieno (gli azionisti) salvaguardano il proprio interesse circa la remunerazione, nelle forme concordate, dello stesso53.

Il sistema d’informazione esterna d’impresa deve pertanto fornire un’informazione utile agli investitori (intesi come azionisti ed investitori potenziali) in modo che siano in grado sia di prendere decisioni economiche sia di controllare l’operato dell’Alta direzione.

Il sistema di corporate governance che caratterizza le imprese italiane non finanziarie quotate in borsa è assai differente. Studi empirici evidenziano come il sistema di corporate governance prevalente presso le imprese italiane sia caratterizzato da uno scarso orientamento al mercato, un grado di concentrazione della struttura proprietaria e del controllo aziendale relativamente elevato rispetto agli standard internazionali e, conseguentemente, un ruolo marginale del mercato per il controllo aziendale 54.

Almeno tre quarti delle imprese quotate in borsa in Italia è caratterizzato da una struttura di controllo in cui vi è un azionista (o di un gruppo di azionisti) di riferimento, che agisce come soggetto economico55.

La presenza di un azionista di riferimento in grado di controllare efficacemente l’operato dell’Alta direzione tende ad esercitare un’influenza sul processo di redazione del Bilancio d’esercizio. Tali condizioni riducono gli incentivi a comunicare attraverso il sistema d’informazione esterna d’impresa utili non ancora realizzati al fine di aumentare il prezzo delle azioni sul mercato ed evitare scalate ostili.

Inoltre, le imprese italiane non finanziarie hanno una struttura finanziaria (intesa come rapporto fra capitale di terzi e capitale proprio) sensibilmente differente da quella comune nelle 51 Si noti che Corporate Governance - An International Review, la più importante rivista accademica specializzata sulle problematiche di corporate governance riconosce nella sua editorial policy tale fatto, osservando quanto segue: “We also believe that the theoretical underpinnings of corporate governance are still evolving. So we do not ask our referees to be gatekeepers of a particular paradigm or theoretical perspective” (R. TRICKER, 1999: 2). Per una rassegna della letteratura internazionale, ci sia permesso il rinvio a quanto osservato in A. MELIS (2002: 109 ss). 52 Cfr. IAS 1, Preparation of Financial Statements, cit. Per un ulteriore approfondimento circa il concetto e le relative problematiche di piena separazione fra proprietà e controllo nella grandi imprese, si vedano, su tutti, i contributi di A. BERLE, G. MEANS (1932: 8-9 e cap. 6); G. ZANDA (1974: 273 ss); ed ancora cfr. A. MELIS (2002: 57-75). 53 A riguardo, si veda la nota definizione del concetto fornita dagli autorevoli studiosi americani in A. SHLEIFER, R. VISHNY (1997: 737 ss). 54 Cfr. M PAGANO, F. PANETTA , L. ZINGALES (1998: 27–64). Per un ulteriore approfondimento a riguardo si vedano: R. LA

PORTA, F. LOPEZ-DE-SILANES, A. SHLEIFER (1999: 471–517); A. MELIS (1999: Capp. 2-3). 55 Cfr. CONSOB (2004).

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corrispondenti imprese che operano in altri Paesi sviluppati, con un rilevante ruolo del capitale di terzi rispetto al capitale proprio56.

Da una simile struttura finanziaria deriva l’importanza del ruolo dei creditori come utenti del sistema d’informazione esterna d’impresa, in quanto tendenzialmente forniscono una quantità di capitale sostanzialmente pari a quella degli azionisti57.

I creditori sono meno interessati rispetto agli azionisti che l’impresa comunichi degli utili “potenziali” (ovvero degli utili generati dall’introduzione del fair value, ma che non sono ancora pienamente realizzati), in quanto il loro principale interesse è che tali utili sia detenuti all’interno dell’impresa, piuttosto che essere distribuiti agli azionisti, al fine di “garantire” la solvibilità della medesima.

3.2. – Il concetto di azienda

È concetto generalmente accettato sia nella dottrina sia nella prassi aziendale che i principi contabili devono regolamentare il processo d’informazione economico-finanziaria con il fine primario di beneficiare gli utenti del bilancio stesso.

Sebbene lo IASB identifichi diversi soggetti come utenti del bilancio, sembra anche assumere che l’informazione che soddisfa i bisogni degli investitori è in grado di soddisfare anche quelli degli altri utenti58. Ciò sembra basarsi sul paradigma, ancora dominante nei sistemi di corporate governance anglo-americani, che vede la creazione di va lore per gli azionisti come obiettivo ultimo delle imprese, le quali sono solite essere considerate come beni di scambio59.

In Italia l’azienda viene considerata, sia nella dottrina sia nella prassi, un istituto economico atto a perdurare nel tempo, piuttosto che una finzione legale che serve come nesso per un insieme di contratti fra i vari soggetti che interagiscono con l’attività economica60. Inoltre, specialmente alle grandi imprese viene richiesto di tenere in considerazione, oltre agli interessi degli azionisti, quelli di altri soggetti. In particolare, le imprese - o, più correttamente, il soggetto economico - dovrebbero tenere in considerazione gli interessi dei dipendenti, attenti all’entità della loro remunerazione ed alla sicurezza del posto di lavoro, dei creditori, i quali sono interessati alla solidità dell’azienda, e dello Stato, per il quale l’impresa è importante non solo come soggetto d’imposta, ma anche come veicolo dello sviluppo socio-economico del Paese.

I principi contabili nazionali (assieme al Codice civile) incoraggiano un approccio prudenziale alla valutazione delle poste di Bilancio, in maniera simile a quanto avviene in Germania61.

La difficoltà circa la dimostrabilità di alcune stime relative al fair value può fornire all’azionista di riferimento, che è in grado di monitorare efficacemente chi redige il Bilancio, l’incentivo di introdurre delle “distorsioni” sull’informazione fornita (il noto problema del Bilancio come “strumento di comportamento”, in luogo di strumento di informazione). Proteggendo il capitale dell’impresa mediante l’applicazione prudenziale, il legislatore cerca di salvaguardare gli interessi dei suddetti stakeholders aziendali.

56 Ad esempio, uno studio empirico condotto su un campione di imp resa non finanziarie appartenenti ai Paesi del G7 evidenzia come le imprese italiane, insieme con le francesi, sono caratterizzate da un elevato rapporto capitale di terzi su capitale proprio. Cfr. K. MCCLURE , R. CLAYTON, R. HOFLER (1999: 141-164). 57 Cfr. CENTRALE DEI BILANCI (2002). 58 Cfr. IASB (2004: par. 9 e 10). 59 Cfr. J. CHARKHAM (1990: 34-42). Tuttavia, Deakin nota quanto segue: “It is surprisingly difficult to find support within company law for the notion of shareholder primacy”. S. DEAKIN (2005: 11, 16 -18). L’Autore osserva, inoltre, come la “supremazia” degli azionisti rispetto agli altri soggetti sia essenzialmente basata su un aspetto culturale, piuttosto che avere una base giuridica. 60 Su tutti si vedano i contributi di: G. ZAPPA (1927), P. ONIDA (1968). A riguardo, su tutti, si veda quanto osservato in M. JENSEN, W. MECKLING (1976: 310 ss). 61 Cfr. T. HARRIS, M. LANG, H. MOLLER (1994: 187-209); C. LEUZ (2003: 445-427).

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3.3. – Prudenza ed avversione all’incertezza

L’importanza del principio della prudenza in Italia non è dovuta soltanto alle suddette caratteristiche degli assetti proprietari e della struttura finanziaria e di controllo aziendale che fanno differire le imprese quotate italiane rispetto agli standard anglo-americani. La rilevanza della prudenza ha, in realtà radici culturali, non solo economico-aziendali. Nel precedente paragrafo si sono osservate le differenze fra il concetto di azienda in Italia rispetto a quello prevalente nei Paesi anglo-americani, nel presente l’analisi si soffermerà sulle differenze circa l’avversione all’incertezza, l’ambiguità ed il rischio, la quale sembra influenzare l’importanza della prudenza in un determinato sistema-Paese.

Il grado di tolleranza per l’incertezza, l’ambiguità ed il rischio in una determinata società è stimabile tramite il cosiddetto indice di avversione all’incertezza sviluppato da Hostede62.

Un valore elevato di tale indice indica un basso grado di tolleranza. Ciò riflette una società basata sulle regole piuttosto che sugli accordi, in cui le leggi ed i meccanismi di controllo sono orientati a diminuire il grado di incertezza e di percezione del rischio. Al contrario, un basso valore dell’indice rivela una maggiore tolleranza all’incertezza ed al rischio. Ne consegue una società maggiormente orientata al rischio, in cui le leggi non tendono ad essere onnicomprensive.

L’indice di avversione all’incertezza sembra spiegare, assieme alle ragioni precedentemente evidenziate, la scelta del legislatore italiano di limitare per legge la distribuibilità degli utili da fair value, invece di lasciare la scelta alla libera decisione dell’assemblea dei soci. Invero, con riferimento all’Italia l’indice assume un valore relativamente elevato (pari a 75 su una scala di 100), specia lmente se paragonato ai valori dei Paesi anglosassoni (vedi Tabella 2).

Tabella 2 - Indice di avversione all’incertezza: confronto fra Italia e Paesi angloamericani Paese Valore Indice

Italy 75 Australia 51 New Zealand 49 Canada 48 USA 46 Ireland 35 United Kingdom 35

Fonte: Nostra elaborazione dal database di Hofstede (1980)

Un’ulteriore conferma a quanto osservato viene dal caso del Regno Unito. Con riferimento a tale Paese l’indice di avversione all’incertezza assume un valore relativamente basso (pari a 35 su 100). Tale valore non solo è coerente con quanto osservato da Evans e Nobes in riferimento all’assenza della prevalenza del principio di prudenza nella versione in lingua inglese della IV direttiva CEE (in contrasto con la versione francese), ma anche con la decisione del legislatore britannico di non specificare quali utili da fair value siano da considerarsi come realizzati (e pertanto distribuibili) e come non realizzati (quindi non distribuibili)63. Tale scelta viene lasciata a chi elabora i principi contabili64.

62 Cfr. G. HOFSTEDE (1980). 63 Cfr. L. EVANS, C. NOBES (1996: 368). 64 Si osservi, tuttavia, come il legislatore britannico non abbia posto alcun obbligo, al momento in cui si scrive, alle imprese quotate nel regno Unito circa l’adozione dei principi contabili internazionale con riferimento al Bilancio d’esercizio, limitandosi solamente all’applicazione della normativa europea con riferimento al Bilancio consolidato.

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4. – L’UTILIZZAZIONE DEL COMPREHENSIVE INCOME STATEMENT

4.1. – Aspetti introduttivi

Si vuole porre l’accento su come le attuali forme e strutture del conto economico previste dal legislatore europeo dovranno adeguarsi alla nuova configurazione di reddito prevista dagli IAS/IFRS. L’Unione Europea ha, infatti, già avviato un processo di revisione della IV e VII Direttiva CEE al fine di render comparabili e omogenei i Bilanci IFRS ed i Bilanci che continueranno ad essere redatti in base alle norme del Codice civile65.

In particolare si è avuto modo di porre l’accento sul fatto che gli incrementi (decrementi) delle attività e passività valutate al fair value, per quanto soddisfino la definizione di income (expensive) dello IASB, non vengono sempre esposti nel conto economico. In tali casi le variazioni del fair value troveranno sistemazione nel patrimonio netto (Tabella 1).

La diversità di esposizione degli utili/perdite da fair value (conto economico/patrimonio netto), presente anche in altri Paesi, ha intensificato la ricerca da parte di vari organismi internazionali preposti all’emanazione del proprio corpus di principi contabili di un adeguato documento contabile che dia piena esposizione a tutti i componenti di reddito realizzati ed in corso di realizzazione propri della nuova configurazione di reddito che si va delineando anche nell’Unione Europea, e dove trovino riscontro anche dal punto di vista reddituale variazioni finora considerate solo nel patrimonio netto66.

In effetti, in alcuni Paesi (Stati Uniti, Regno Unito, Australia, Canada e Nuova Zelanda) ormai da tempo sono previste diverse possibilità di esposizione in bilancio degli utili/perdite non realizzate (Unrealized gains and losses) derivanti dall’adeguamento delle poste di bilancio al valore corrente che non vengono fatte concorrere alla determinazione del reddito d’esercizio. Alternativamente alla creazione di una riserva patrimoniale di rivalutazione/svalutazione delle attività e passività valutate al fair value, i principi contabili di questi paesi prevedono la possibilità di redigere un apposito prospetto variamente denominato (Statement of performance, Reporting Financial Performance, Comprehensive Income), che si prefigga come obiettivo quello di evidenziare e tener distinto l’utile dell’esercizio ritenuto realizzato e l’utile ugualmente di competenza dell’esercizio ma che non può essere assimilato agli altri componenti di reddito in

65 Si intende far riferimento alla Direttiva CE n° 51/2003 non ancora recepita dal nostro ordinamento. In particolare al punto 5 si legge: “Poiché i conti annuali e i conti consolidati delle società che rientrano nell’ambito d’applicazione delle direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE, che non saranno redatti a norma del regolamento IAS, continueranno ad avere come fonte principale della normativa contabile comunitaria le suddette direttive, è importante assicurare che le società comunitarie che applicano gli IAS e quelle che non li applicano possano operare in condizioni di parità”. Al livello comunitario è manifesta l’intenzione di modificare la IV e VII Direttiva CE affinché quest’ultime rispettino la normativa contabile internazionale. Per quanto riguarda le modifiche da apportare alla IV Direttiva, la Direttiva n° 51/2003 prevede tra l’altro: a) una piena applicazione del criterio della prevalenza della sostanza sulla forma (art. 1 comma 2); b) un nuovo schema di stato patrimoniale con distinzione delle poste correnti non – correnti (art. 1 commi 3 e 6); c) un conto economico nella forma dello Statement of Performance (art. 1 comma 8); d) la possibilità di rivalutare le immobilizzazioni (art. 1 comma 10); e) la possibilità di valutare le attività diverse dagli strumenti finanziari al fair value con accredito delle variazioni nel conto economico (art. 1 comma 12); f) delle modifiche alla relazione sulla gestione (art. 1 comma 14). 66 Lo stesso IAS 1 – Presentazione del Bilancio (2004) al paragrafo 99 afferma che: “Il presente Principio richiede che tutte le voci di ricavo e di costo rilevate in un esercizio debbano essere incluse nel conto economico a meno che un altro Principio o una Interpretazione dispongano diversamente. Altri Principi richiedono che alcuni utili o perdite (quali aumenti o diminuzioni dovuti a valutazioni, differenze di cambi esteri particolari, utili o perdite sulla rivalutazione di attività finanziarie disponibili alla vendita e relativi importi di imposte correnti e differite) siano rilevati direttamente come variazioni delle poste di patrimonio netto. Poiché è importante considerare tutte le voci dei ricavi e dei costi nella valutazione delle variazioni della posizione finanziaria di un’entità tra due date di riferimento del bilancio, il presente Principio richiede la presentazione di un prospetto delle variazioni delle poste di patrimonio netto che evidenzi i ricavi e le spese totali di un’entità, incluse quelle che sono rilevate direttamente nel patrimonio netto”.

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quanto non realizzati67. Il prospetto può far parte del Conto economico dell’esercizio o costituire un documento autonomo.

Tale fermento internazionale ha fatto convergere l’attenzione dello stesso IASB verso il Comprehensive Income. Già negli anni ’90 si è avviata un’intensa collaborazione con i Boards dei sopra menzionati Paesi, in particolare con il FASB statunitense, al fine di predisporre un proprio prospetto contabile68.

Con questo studio si intendono sottolineare i diversi approcci al Comprehensive Income, le scelte intraprese in seno allo IASB e una proposta che tenga conto sia delle disposizioni relative alla indistribuibilità degli utili da fair value prevista dal D. Lgs. 38/2005 e della diversa concezione e importanza data dal Codice Civile e dai Principi contabili nazionali al concetto di prudenza e realizzazione. Da tale modello si prenderà spunto per evidenziare la necessit à di una più generale rivisitazione della struttura di conto economico attualmente prevista dalle direttive comunitarie che meglio si adatti ai nuovi criteri valutativi e alla nuova configurazione di reddito che, come accennato, investirà a breve la generalità delle imprese europee.

Una differente proposta di conto economico che si distingua dalle proposte avanzate in ambito internazionale prende spunto dalla constatazione che i modelli di Comprehensive Income dello IASB e FASB cercano di dare particolare visibilità ai componenti di reddito accreditati direttamente al patrimonio netto, tralasciando la problematica della realizzazione degli stessi.

Si consideri, inoltre, che lo IASB ritiene che i componenti positivi e negativi di reddito possono essere presentati con modalità differenti al fine di privilegiare o sottolineare le informazioni più significative per il processo decisionale degli utilizzatori del Bilancio. In tal senso, gli IAS/IFRS non individuano una forma e struttura del conto economico (tradizionale) obbligatoria e predefinita, limitandosi ad indicare il contenuto minimo delle sue voci e soffermandosi sull’utilità delle analisi di un prospetto in cui i costi siano classificati per natura o per destinazione 69.

Nel nostro contesto normativo può essere opportuna una nuova forma di Conto economico che pur prefiggendosi ugualmente l’obiettivo di mostrare le performance complessivamente raggiunte dall’impresa, dia nel contempo una particolare evidenza ai componenti reddituali in corso di formazione che non assurgono, per la diversa concezione di realizzazione, alla definizione di reddito guadagnato e distribuibile dell’esercizio. Occorre inoltre che tale struttura sia predefinita e adeguatamente articolata al fine di garantire una maggiore comparabilità e omogeneità al livello europeo, non raggiungibile con la previsione di un contenuto minimo.

In altri termini, non occorrerà preoccuparsi solo dei componenti reddituali attualmente attribuiti dagli IAS/IFRS al Patrimonio netto, ma di tutti i componenti reddituali e in particolare di tutte le variazioni del fair value, che non sono considerati dal nostro legislatore, redditi realizzati per quanto di competenza dell’esercizio, dando loro un’adeguata esposizione al fine di garantire nel contempo la significatività, la competenza e la prudenza, omogeneità e comparabilità delle informazioni contabili.

67 Gli standards contabili statunitensi ritengono che il Comprehensive income debba “report a measure of all changes inequity of an enterprise that result from recognized transactions and other economic events of the period other than transactions with owners in their capacity as owners”. SFAS 130 - Reporting Comprehensive Income (1997) paragrafo 11. 68 S’intende far riferimento all’incontro tra i diversi comitati (Boards) per la statuizione dei principi contabili degli Stati Uniti, Inghilterra, Australia, Canada, Nuova Zelanda e lo IASC come osservatore (G4+1 Organization), avvenuto nell’ottobre del 1999 per predisporre ed individuare delle linee guida uniformi e comuni per la emanazione all’interno dei propri paesi di un principio contabile che trattasse il Comprehensive Income. Il risultato di tale incontro è contenuto nel documento “Reporting Financial Performance: proposals for change. Recommendations of the G4+1”. La G4+1 Organization si pone come obiettivo principale quello di garantire e provvedere ad un’informazione contabile internazionale uniforme, di qualità e soprattutto utile per i suoi utilizzatori. Per tale motivo si raduna periodicamente al fine di stabilire e predisporre un medesimo linguaggio contabile e degli strumenti collettivi per affrontare e analizzare le differenze tra le diverse giurisdizioni di appartenenza. 69 Si veda lo IAS 1 – Presentazione del bilancio (2004) paragrafi 81 e 91 – 93.

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4.2. – I diversi modelli di Comprehensive Income

Al fine di meglio comprendere le decisioni intraprese in seno allo IASB riguardo allo Statement of performance e per meglio inquadrare la proposta che si avanza, si richiameranno le principali strutture di Comprehensive Income indicate in ambito internazionale. In recente incontro IASB-FASB sono stati proposti cinque differenti modelli di Comprehensive Income, e per ciascuno si è posto l’accento sui rispettivi pregi e difetti senza che venisse indicato un modello preferibile70. I modelli possono integrarsi vicendevolmente e presentare un grado di dettaglio e approfondimento differente secondo le informazioni cui si intende dare risalto. Tali prospetti verranno ora brevemente richiamati:

Primo Modello: Componenti Eccezionali/Non eccezionali. Tale modello prevede la distinzione tra le poste eccezionali e non. Una posta è considerata eccezionale se il suo ammontare o incidenza è rilevante ed inusuale per quanto ricada nell’attività ordinaria d’impresa. In tal senso si distinguono dalle poste straordinarie che si caratterizzano da un alto grado di anormalità e che non si possono ascrivere all’attività ordinaria dell’impresa. Il Comprehensive Income in questo caso vuol sottolineare le performance raggiunte dall’impresa attraverso la propria redditività tipica e ricorrente epurata delle componenti inusuali. Grazie alla sua individuazione, infatti, sarà più facile stimare i futuri cash flow e gli utili generati dall’attività che l’impresa svolge con maggiore frequenza e stabilità. Per contro il modello appare altamente soggettivo e discrezionale. Solo il management, infatti, può decidere ed individuare le componenti ritenute eccezionali in un esercizio. Non è detto che le stesse componenti reddituali posseggano tale attributo in altre realtà aziendali o nella stessa realtà aziendale in periodi differenti. Paradossalmente tale discrezionalità e difficoltà comparativa tra i bilanci delle diverse aziende o della stessa azienda in tempi differenti, rende difficile stimare i futuri flussi di cassa attesi dallo svolgimento della attività gestionale normale dell’impresa. Vi è, infatti, il rischio che il management abbia l’interesse nel classificare gli utili eccezionali come performance ricorrenti e per contro tenda ad identificare le perdite usuali come eccezionali, con il risultato di esaltare esclusivamente le componenti reddituali ricorrenti adombrando le performance complessivamente raggiunte nell’esercizio. I componenti reddituali attualmente accreditati al patrimonio netto (Other Comprehensive Income - OCI) potrebbero trovare collocazione nell’area dei componenti non eccezionali o eccezionali.

Secondo Modello: Componenti Ricorrenti/Straordinari. Un evento è considerato straordinario se è attribuibile a transazioni che non ricadono ne lla normale e ordinaria attività d’impresa e se non ci si aspetta che possano ricorrere con frequenza. In tal senso gli eventi straordinari in quanto non ascrivibili all’attività ordinaria non devono esser confusi con gli eventi eccezionali che al contrario ricadono nell’attività ordinaria d’impresa, sebbene presentino caratteristiche inusuali per ammontari o incidenza. Gli obiettivi, pregi e difetti di tale classificazione sono i medesimi della classificazione precedente. Gli Other Comprehensive Income (OCI) potrebbero esser collocati sia nell’area dei componenti ricorrenti che nell’area straordinaria.

Terzo Modello: Componenti Realizzati/Non realizzati. Tale modello considera realizzati quei componenti reddituali che sottostanno ad operazioni, eventi o processi definitivamente completati e prontamente convertibili in danaro o suoi equivalenti. Tale modello di Comprehensive Income ha l’obiettivo di rendere distinguibile con immediatezza i compenti reddituali definitivamente realizzati e guadagnati dagli utili/perdite (gains/losses) in corso di realizzazione tipicamente legate alle variazioni del fair value. Ciò permette all’utilizzatore dell’informazione contabile di predire le conclusioni delle operazioni in corso, valutarne il grado di attendibilità e ponderare il peso delle componenti non realizzate nella formazione delle performance globali raggiunte nell’esercizio. Tra i difetti di tale modello si possono annoverare secondo lo IASB il fatto che un differente concetto di

70 Tale incontro denominato Joint international group (JIG) on performance reporting, si è tenuto a New York nel giugno 2005.

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realizzazione nei diversi contesti internazionali potrebbe portare a prospetti di Comprehensive Income non facilmente comparabili. Se i principi contabili accettassero la definizione di realizzazione sopra menzionata gli OCI dovrebbero esser collocati tutti nell’area dei componenti non realizzati.

Quarto Modello: Componenti Operativi/non operativi. I risultati dell’attività operativa dell’impresa si focalizzano sui ricavi per i prodotti ceduti o le prestazioni rese nel mercato e i costi concepiti come sacrifici per l’ottenimento dei quei determinati output. Tale modello ha il vantaggio di evidenziare con immediatezza il valore aggiunto che l’impresa ha creato con la propria attività e di individuare il core business che essa svolge e le relative performance. In tal modo l’user del bilancio potrà meglio predire i futuri cash flow ad esso associati e prendere più facilmente le proprie decisioni economiche. Gli svantaggi sono ravvisabili nell’impossibilità di definire e distinguere un’attività operativa di impresa rispetto ad un’altra. Esemplificando, la cessione di un’immobilizzazione finanziaria e la realizzazione di una plusvalenza potrebbe esser considerata attività operativa per un’impresa ma non per un’altra. Molti componenti reddituali (ad esempio le differenze di cambio) possono esser ricondotti tanto ad attività operative quanto alle attività extra-operative. Se le stesse fossero raggruppate in un’unica voce si perderebbe l’intento classificatorio del modello. D’altra parte una loro precisa distinzione risulterebbe problematica se non arbitraria. Tali elementi possono generare difficoltà di lettura e comparazione tra i bilanci di diverse aziende, soprattutto allorquando esse operano in settori economici molto diversi. I componenti reddituali accreditati dagli IAS/IFRS al Patrimonio netto potrebbero esser riferiti tanto all’area operativa quanto alla attività extra-operativa in relazione alla tipologia di impresa e al suo core business.

Quinto Modello: CME (Cash-Accruals – Market Value – Estimated Value). L’utilizzo crescente dei valori correnti, accompagnato dal minore utilizzo del criterio del costo storico, ha ampliato l’utilizzo nelle valutazioni contabili di stime e congetture. Per tali motivi potrebbe essere opportuno che l’utilizzatore delle informazioni aziendali possa conoscere il processo estimativo e valutativo seguito dal redattore del bilancio. In tal senso è utile distinguere i componenti reddituali in relazione ai processi valutativi ed estimativi che ad essi si riferiscono. In particolare lo IASB e il FASB hanno individuato tre grandi aree in cui suddividere il Comprehensive Income. L’area dei ricavi/costi monetari e non monetari di competenza dell’esercizio (Cash-Accruals). Le attività e passività ad essi correlate sono tipicamente valutate al costo storico. L’area dei componenti valutati al valore di mercato (Market value) dove trovano collocazione tutte le variazioni subite dalle attività e passività per via della fluttuazione dei prezzi di mercato. Rientrano tipicamente in questa sezione le variazioni delle Attività e Passività valutate al fair value, le svalutazioni e ripristini da impairment, le differenze di cambio, ecc. L’area dei componenti reddituali stimati (Estimated value) che include le variazioni delle attività o passività derivanti dal cambiamento delle stime effettuate. Sono tipicamente i componenti positivi e negativi di reddito legati al cambiamento delle stime sui piani pensionistici, le variazioni dei tassi di attualizzazione, gli accantonamenti per eventi futuri, ecc. Questa classificazione ha il vantaggio di distinguere gli elementi reddituali derivanti dalle valutazioni dei valori patrimoniali al costo storico, al valore corrente o la cui determinazione ha richiesto l’utilizzo di particolari stime valutative. Tale modello aiuta l’utilizzatore a distinguere i valori maggiormente volatili e incerti che riflettono i cambiamenti dell’ambiente socio – economico e le stime e ipotesi che il redattore di bilancio ha dovuto effettuare. La distinzione dei componenti monetari e non monetari può permettere una più puntuale valutazione del cash flow atteso. Per contro tale suddivisione può richiedere che taluni componenti reddituali vengano disaggregati per esser inclusi nelle varie aree71.

71 Ad esempio: i costi pensionistici che riflettono i costi riguardanti la prestazione lavorativa svolta nell’esercizio, i cambiamenti nelle stime relativi all’età pensionabile, ai tassi di attualizzazione o alla speranza di vita, le variazioni del fair value delle attività al servizio del piano, etc.

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Come conseguenza si avrebbero utili/perdite della stessa natura in aree differenti del Comprehensive Income. Ciò può generare confusione e difficoltà nell’individuare le performance raggiunte nelle varie aree della gestione, mancando peraltro l’evidenziazione dei risultati parziali quali il margine lordo, e l’utile operativo. I componenti reddituali che attualmente trovano collocazione nel patrimonio netto (OCI) potrebbero essere esposti sia nella sezione dei Market value (tipicamente le variazioni da fair value accreditate al Patrimonio netto) sia nella sezione degli Estimated Value (ad esempio nei casi in cui il fair value sia stimato con l’attualizzazione dei flussi di cassa, nei casi di Cash flow hedge, etc.).

4.3. – La soluzione prospettata dallo IASB

Lo IASB ha avviato fin dal 2001 uno specifico studio per l’emanazione di un futuro principio contabile sul conto economico onnicomprensivo denominato Reporting Comprehensive Income (Performance Reporting) Project 72. Il progetto si propone di individuare, anche attraverso l’esame delle diverse realtà internazionali, un documento facente parte del bilancio d’esercizio nel quale vengano esposte tutte le variazioni delle attività e passività subite dal patrimonio d’impresa per via delle diverse transazioni ad esclusione di quelle da e verso gli azionisti (relative ad esempio apporti o distribuzioni), per permettere ai lettori del bilancio di comprendere le reali performance raggiunte nell’esercizio e conseguentemente prevedere le loro evoluzioni future. Il modello che attualmente lo IASB sembra privilegiare si avvicina molto alla struttura di Comprehensive income prevista dai principi contabili inglesi73.

Il Board individua tre grandi aree del Comprehensive Income (vedi Tabella 3): a) Operations per le attività legate al business d’impresa; b) Financing and investing activities connesse alla gestione finanziaria e d’investimento; c) Tax; d) Discontinuing operations derivanti da cessioni o scorporazioni nell’accezione prevista dall’IFRS 5; e) Comprehensive income74.

72 Anche lo IASB, come il FASB, ha iniziato dal 2003 ad usare maggiormente il termine statunitense di Comprehensive Income al posto dell’iniziale denominazione di Statement of performance. 73 Il principio contabile FSR 3 – Reporting Financial Performance (1992) è oggetto di una profonda revisione da parte del Accounting Standard Board anglosassone che ha emanato nel dicembre del 2000 il Financial Reporting Exposure Draft n° 22 (FRED 22) che dovrebbe nel prossimo futuro sostituire il contenuto dello FSR 3. In esso è previsto un prospetto di Comprehensive income molto simile alla soluzione ricercata dallo IASB. 74 L’IFRS 5 - Attività non correnti possedute per la vendita e attività operative cessate (2004) al paragrafo 6 afferma: “Un’entità deve classificare un’attività non corrente (o un gruppo in dismissione) come posseduta per la vendita, se il suo valore contabile sarà recuperato principalmente con un’operazione di vendita anziché con il suo uso continuativo”.

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Tabella 3 - Modello: IASB75

I componenti reddituali sono classificati ne lle diverse aree in base alla loro natura. Lo IASB ritiene preminente evidenziare le performance raggiunte nell’area operativa, finanziaria – d’investimento e nelle Attività destinate a cessare avendo riguardo della volatilità, certezza e realizzabilità delle valutazioni solo in un secondo momento.

I componenti positivi e negativi di reddito, infatti, sono esposti in due distinte colonne. La prima (Income and Expenses Other than Remeasurements) accoglie i ricavi e i costi che non derivano dalla modifica delle stime e delle valutazioni delle Attività e Passività. La seconda (Remeasurements) espone i redditi derivanti dalla revisione nelle stime, nelle valutazioni o nei valori e tassi di mercato che hanno rideterminato nel corso dell’esercizio i valori contabili delle relative Attività e Passività. La terza colonna (Total) espone i totali delle due precedenti colonne.

L’esposizione dei componenti reddituali tralascia la problematica della realizzazione in quanto lo

75 Tale prospetto di Conto economico onnicomprensivo è il risultato dell’incontro dello IASB tenutosi a Londra nel giugno del 2003. A tale incontro ne sono seguiti altri aventi come oggetto il Reporting Comprehensive Income (l’ultimo nel giugno 2005) ma la soluzione prospettata non si è modificata nella sostanza da questa qui esposta.

Totali Importi che non derivano da

Rideterminazioni

Rideterminazioni

Area Operativa Ricavi Costi del venduto Costi di distribuzione Costi amministrativi ………..

Svalutazione Rimanenze, Impairment

Immobilizzazioni, Variazioni delle stime su piani pensionistici,

ecc. Utile/Perdita operativa Plusvalenze da cessione immobilizzazioni Rivalutazioni/svalutazione immobilizzazioni al fair value

Utili/Perdite da Investimenti immobiliari Impairment Avviamento ………..

Plusvalenze da cessione, Variazioni

fair value immobilizzazioni e

investimenti immobiliari, Impairment

avviamento, ecc. Altri Ricavi/Perdite del Business d’impresa Area Finanziaria/D’investimento

Dividendi Svalutazione Crediti Proventi/oneri su Partecipazioni Proventi/oneri su Strumenti di Debito/Credito Interessi Attivi/Passivi Proventi/oneri su Attività/Passività relative ai Piani pensionistici

………..

Svalutazione crediti, Rivalutazione partecipazioni,

Variazioni fair value attività finanziarie,

Variazioni fair value attività al servizio dei Piani pensionistici e variazioni ipotesi

attuariali del tasso di sconto, etc.

Utile/Perdita Area Finanziaria/D’investimento

Imposte dell’esercizio

Operazioni destinate a cessare

Proventi/oneri su Cash Flow Hedge

Variazioni fair value degli strumenti di

copertura da cash flow Comprehensive Income

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IASB ritiene che la stessa possa variare nei diversi contesti internazionali. Mentre, infatti, in Europa i redditi realizzati sono nella generalità dei casi distribuibili creando un’associazione tra i due concetti, negli Stati Uniti e nella stessa impostazione IASB si tende a collegare il concetto di realizzazione all’integrità del capitale (capital maintenance). Il Board ritiene che il problema della distribuzione degli utili rientri nella sfera giuridica del reddito d’impresa e non riguardi le problematiche contabili e di esposizione che sono focalizzate nel garantire e fornire un’informazione contabile utile e trasparente all’utilizzatore.

Il Comprehensive Income dello IASB, al contrario del FASB statunitense, adotta il cosiddetto Component approach che individua e classifica i componenti reddituali in relazione alla natura degli stessi prescindendo dalla loro effettiva o potenziale realizzazione. Quest’ultima viene vista e osservata come semplice conferma del reddito già maturato e rilevato. Per tali ragioni la transizione del componente di reddito da realizzabile a realizzato non viene sottolineata poiché non muta la sua natura economica. Se la misurazione di tale provento od onere è sufficientemente attendibile allora risulta molto più chiaro e utile ai fini di una informazione orientata alle performance che lo si classifichi nelle diverse aree in base alla natura dello stesso, evitando di duplicare l’informazione o in ogni caso di appesantirla.

Il Component approach si distingue dall’Holding tank approach usato negli Stati Uniti dove la sezione denominata Other gains and losses viene considerata come un grosso recipiente nel quale trovano collocazione tutti componenti reddituali in attesa di realizzazione. Lo standard contabile SFAS 130 - Reporting Comprehensive Income prevede un particolare procedimento di registrazione del passaggio dei componenti reddituali dalla situazione di utili/perdite ancora in corso di realizzazione (da esporre nella Sezione degli Other gains and losses) alla situazione di proventi/perdite realizzate (che troveranno collocazione nella sezione dei proventi e oneri realizzati: Business profit o Financing and Investing activities). Tale procedimento, che prende il nome di recycling, è stato rifiutato dallo IASB. L’Holding tank approach e l’utilizzo del recycling al fine di render palese la partecipazione dei componenti non realizzati al reddito realizzato e distribuibile, risulta maggiormente legato al principio della realizzazione rispetto al Component approach che risulta più orientato al principio della competenza.

4.4. – L’adozione del Comprehensive Incombe Statement in Italia: una proposta operativa

Ci soffermerà ora su una possibile rappresentazione delle integrazioni da fair value, derivanti dall’applicazione dei principi contabili IFRS, e delle collegate modalità di accantonamento a riserva secondo i dettati del decreto legislativo D. Lgs. n° 38/2005. A tal fine si opererà avendo come riferimento l’articolazione del conto economico per classi proposta dallo IASB: Gestione Operativa, Attività di investimento e finanziamento, Attività destinate a cessare. Si propone di inserire una specifica sezione destinata ai Proventi e oneri in corso di realizzazione ove far confluire tutte le componenti reddituali non realizzate, in particolare quelle collegate all’utilizzo del fair value, senza la distinzione attualmente in vigore presso gli IAS/IFRS tra utili e perdite da accreditare in conto economico e da imputare direttamente al Patrimonio netto. In altri termini nel Comprehensive Income Statement (CIS) andrebbero rilevati tutti i componenti reddituali non realizzati collegati con l’applicazione del fair value e del metodo del patrimonio netto, per essere accreditati in sede di distribuzione del reddito alle riserve ind istribuibili così come previsto dall’art. 6 del citato Decreto. In caso di utili di esercizio di importo inferiore a quello delle plusvalenze, la riserva sarà integrata, per la differenza, utilizzando le riserve di utili disponibili o, in mancanza, accantonando gli utili degli esercizi successivi. Via via che tali componenti trovano realizzazione diretta (con la cessione) o indiretta (con l’ammortamento, le svalutazioni e le perdite durevoli di valore) verrebbero collocati (recycling) nelle altre aree del CIS più idonee ad evidenziare il reddito realizzato e distribuibile, trasferendo nel contempo gli stessi importi dalle riserve indisponibili alle riserve libere e distribuibili, secondo i dettati del decreto. In tal modo la movimentazione delle riserve è analizzata anche dal conto economico che integra e completa il prospetto delle variazioni del Patrimonio netto.

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Vi è da precisare che laddove si registrasse una svalutazione, un impairment o una diminuzione (aumento) del fair value di una Attività (Passività) in assenza di una precedente rivalutazione, per il principio della prudenza, tali componenti negativi di reddito troverebbero collocazione direttamente nell’area dei componenti realizzati al fine di non sopravvalutare il reddito distribuibile dell’esercizio76.

Si verrebbero in tal modo a creare due grandi macroaree del Conto economico, quella dei componenti il cui risultato è realizzato e distribuibile e quella dei componenti in corso di realizzazione legati alla valutazione delle poste di bilancio al fair value che non possono esser distribuiti per disposizione legislativa. Potrebbero far eccezione i soli utili/perdite derivanti dalle variazioni del fair value degli strumenti finanziari di negoziazione (held for trading) e di copertura (fair value hedge) e i risultati legati all’operatività in cambi che essendo stati esclusi dai vincoli di accantonamento e distribuibilità del D. Lgs. n° 38/2005 potrebbero partecipare appieno alla formazione del reddito più propriamente distribuibile.

In particolare il CIS potrebbe esser suddiviso in quattro grandi sezioni. Gestione operativa che dovrebbe raccogliere i componenti reddituali derivanti da scambi di

mercato e dai collegati processi di produzione economica. Verranno indicati in tal modo i ricavi che l’impresa ottiene con la vendita dei propri prodotti e servizi nonché i costi che in maniera diretta o indiretta partecipano alla loro produzione ed erogazione. Nella sostanza tale sezione dovrebbe accogliere la maggior parte dei proventi e oneri che l’impresa sostiene nell’esercizio, compresi gli oneri e proventi straordinari ad eccezione di quelli che sono da includere nelle altre sezioni. Si dovrebbe indicare il risultato raggiunto nell’area operativa e il relativo carico tributario.

Gestione di finanziamento e investimento che accoglierebbe tutti i proventi e oneri di natura finanziaria quali interessi attivi, passivi, proventi da partecipazioni e altri titoli, costi e ricavi da investimenti immobiliari e da altre attività o passività, gli utili o perdite su cambi, le variazioni di valore delle attività finanziarie detenute per la negoziazione. Anche in tal caso andrebbe evidenziato l’onere fiscale riconducibile a tale area

Attività destinate a cessare. Tale sezione del CIS potrebbe esser destinata ad accogliere i proventi e gli oneri connessi con unità di business appartenenti ad una determinata area geografica o ad una linea produttiva al quale sono riconducibili determinate attività e passività operative e finanziarie che devono esse cedute o dismesse e che come tali non fanno più parte dell’attività caratteristica dell’impresa.

Proventi e oneri in corso di realizzazione. Nell’ultima sezione andrebbero collocati al netto del relativo carico fiscale le variazioni delle poste patrimoniali (incrementi/decrementi) non ancora pienamente realizzate nell’esercizio.

In particolare potrebbero rientrare a far parte di tale sezione: a) Rivalutazioni e svalutazione degli Investimenti immobiliari valutati al fair value; b) Rivalutazioni e svalutazioni delle Partecipazioni in società controllate, collegate, joint

venture e altre partecipazioni valutate al fair value o al patrimonio netto; c) Rivalutazioni e svalutazioni delle Attività finanziarie al fair value option; d) Rivalutazioni e svalutazioni delle Passività finanziarie possedute per la negoziazione; e) Variazioni del fair value delle Attività biologiche; f) Variazioni dei cambi di elementi Patrimoniali non monetari valutati al fair value; g) Utili o perdite attuariali relative ai piani pensionistici a Benefici definiti; h) Rivalutazioni e svalutazione delle Immobilizzazioni materiali e Immateriali valutate al fair

value; i) Rivalutazioni e svalutazioni delle Attività finanziarie disponibili per la vendita; j) Variazioni dei Cambi nella conversione dei risultati di una gestione estera;

76 Tale procedura che risponde pienamente al principio della prudenza così come inteso dal legislatore e dai principi contabili nazionali è in accordo anche con il dettato dell’art. 6 del D. Lgs. n° 38/2005 che non prevede alcuna liberazione delle riserve da rivalutazione nel caso di diminuzione del valore di attività precedentemente non rivalutate.

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k) Valutazioni delle Operazioni di copertura dei flussi finanziari e degli Investimenti netti in gestioni estere;

l) Variazioni dei cambi di elementi Patrimoniali non monetari valutati al costo77. Il Comprehensive Income Statement (CIS) avrebbe una forma scalare con l’evidenziazione dei

risultati intermedi raggiunti nelle diverse aree e si configurerebbe secondo la Tabella 4.

77 Mentre i componenti reddituali indicati dalla lettera a) alla lettera g) vengono attualmente riconosciuti dagli IFRS direttamente nel conto economico tradizionale, i restanti plusvalori/minusvalori (lettere h) – l)) vengono imputati al patrimonio netto per preservare l’integrità del capitale. Se il Comprehensive Income non dovesse sostituire pienamente l’attuale conto economico IASB, restandone sostanzialmente distinto, sarebbe opportuno suddividere i componenti reddituali non realizzati in due micro sezioni. La prima accoglierebbe i redditi attualmente imputati al Conto Economico, la seconda i componenti accreditati al Patrimonio Netto. Quest’ulteriore suddivisione permetterebbe un miglior raccordo con il Conto Economico tradizionale. Se al contrario il Comprehensive income dovesse sostituire le attuali strutture di conto economico tale suddivisione perderebbe la sua utilità.

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Tabella 4 - Schema del CIS78

78 Ad evidenza lo schema riassume le poste operative e della gestione di finanziamento e investimento al fine di focalizzare l’attenzione sulle poste più innovative della Sezione Proventi e oneri in corso di realizzazione.

Totale Anno X + 1

Totale Anno

X

Gestione Operativa Ricavi operativi Costi operativi Risultato gestione operativa ante - imposte Imposte Utile / Perdita Operativa

Gestione Finanziaria e D’investimento

Proventi/oneri finanziari Proventi/oneri d’investimento Risultato gestione finanziaria e d’investimento ante - imposte Imposte

Utile/Perdita Gestione Finanziaria e D’investimento

Operazioni destinate a cessare

Risultato d’esercizio Realizzato

Proventi e oneri non realizzati

Rivalutazioni e svalutazione degli Investimenti immobiliari valutati al fair value

Rivalutazioni e svalutazioni delle Partecipazioni in società controllate, collegate, joint venture e altre partecipazioni valutate al fair value o al patrimonio netto

Rivalutazioni e svalutazioni delle Attività finanziarie al fair value option

Rivalutazioni e svalutazioni delle Passività finanziarie possedute per la negoziazione

Variazioni del fair value delle Attività biologiche Variazioni dei cambi di elementi Patrimoniali non monetari valutati al fair value

Utili o perdite attuariali relative ai piani pensionistici a Benefici definiti

Imposte

Proventi e oneri non realizzati imputati al Conto economico Rivalutazioni e svalutazione delle immobilizzazioni materiali, immateriali valutate al fair value

Rivalutazioni e svalutazioni delle Attività finanziarie disponibili per la vendita

Variazioni dei Cambi nella conversione dei risultati di una gestione estera

Valutazioni delle operazioni di Copertura dei flussi finanziari e degli investimenti netti in gestioni estere

Variazioni dei cambi di elementi Patrimoniali non monetari valutati al costo

Imposte

Proventi e oneri non realizzati imputati al Patrimonio netto

Proventi e oneri non realizzati al netto del carico fiscale Comprehensive Income

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Con il supporto di due esemplificazioni si tende chiarire come gli elementi in corso di realizzazione associati all’adozione del fair value possano trovare esposizione nello schema di CIS esposto in precedenza.

Esempio – Immobilizzazione Materiale79 Si presenta dapprima il caso di una immobilizzazione materiale valutata al fair value quale

esempio di componente reddituale in corso di realizzazione non distribuibile80. Si ipotizzi di acquisire per 100 un’immobilizzazione per la quale è presente un mercato attivo di riferimento. Si decide di valutarla secondo la metodologia della rideterminazione del valore così come previsto dallo IAS 1681. La vita utile stimata è pari a 4 anni. In assenza di rivalutazioni e svalutazioni il piano di ammortamento nei primi due esercizi è rappresentato dalla Tabella 5.

Tabella 5 – Piano di ammortamento Si ipotizzi inoltre il seguente andamento del fair value nei due periodi amministrativi (vedi

Tabella 6)82.

Tabella 6 – Variazioni del Fair Value Al termine del primo esercizio il valore netto contabile (75) è inferiore al valore equo (90). Si

effettua la rivalutazione per la differenza (15 = 90 – 75). Lo IAS 16 indica due metodologie differenti di rivalutazione. Si può rivalutare sia il costo storico del bene e proporzionalmente il rispettivo fondo ammortamento o eliminare l’ammortamento cumulato e adeguare il valore netto contabile al fair value83. Si sceglie di adottare la prima metodologia. La rivalutazione è in percentuale pari al 20% (15/75). Per la stessa percentuale si rivaluta sia il costo storico (100) sia il fondo ammortamento (25), ottenendo così rispettivamente 120 come valore lordo dell’immobilizzazione (100+20%) e 30 come fondo ammortamento (25+20%). Il nuovo piano di ammortamento è mostrato nella Tabella 7.

Tabella 7 – Nuovo piano di ammortamento

79 Negli esempi proposti si prescinderà per semplicità dagli eventuali effetti fiscali delle rivalutazioni da fair value. 80 La valutazione delle immobilizzazioni immateriali e delle attività possedute per la vendita avrebbero posto problematiche del tutto simili, infatti, gli IAS/IFRS prevedono l’accantonamento al patrimonio netto delle variazioni del loro fair value. 81 Per approfondimenti si legga lo IAS 16 (2004: paragrafi 31-42). 82 Si presume che il valore recuperabile sia sempre simile o maggiore al fair value. Il valore recuperabile è il più alto tra il valore d’uso e il valore di netto realizzo (fair value – costi di vendita). Nel nostro esempio si presume un fair value sempre più alto del valore d’uso e non si stimano costi di dismissione per cui il valore di netto realizzo non può essere inferiore al fair value. In tali condizioni non si può generare una riduzione durevole di valore da impairment. Si veda in tal senso lo IAS 36, Riduzione durevole delle attività (2004: paragrafo 5). 83 Cfr. IAS 16, Immobili, impianti e macchinari (2004; paragrafo 35).

Esercizio 1 Esercizio 2Fair value 90 60Valore recuperabile = Fair Value 90 60

Esercizio 1 Esercizio 2Costo Storico Immobilizzazione 1 0 0 100Ammortamento 25 2 5Fondo Ammortamento 25 5 0Valore netto contabile 75 5 0

Eserc iz io 1 Eserc iz io 2Cos to S to r i co Immob i l i zzaz ione 1 2 0 1 2 0Ammor tamen to 2 5 30Fondo Ammor tamen to 3 0 60Valore net to contab i le 9 0 60Riva lu taz ione da fa i r va lue 1 5

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Lo IAS 16 richiede che la plusvalenza da fair value venga iscritta in una riserva del patrimonio netto. Nel CIS verrà invece iscritta nella sezione dei Proventi e oneri in corso di realizzazione e successivamente girata in sede di destinazione dell’utile alla riserva da rivalutazione così come richiesto dal nostro legislatore.

Si supponga che il secondo esercizio, il fair value sia pari al valore netto contabile (60). Non si rende necessario nessun adeguamento. La riserva di rivalutazione diviene però distribuibile per un valore pari alla differenza tra l’ammortamento calcolato sul valore rivalutato (30) e l’ammortamento riferito al costo storico dell’attività (25), e viene per questo girata ad una riserva disponibile del patrimonio netto (5 = 30 – 25). Gli IAS/IFRS nello stesso caso richiedono di stornare tale importo dalla riserva di rivalutazione alla voce Utili portati a Nuovo.

Nel terzo esercizio, l’immobilizzazione viene ceduta ad un valore di 80. Si realizza una Plusvalenza di 20 (80 – 60) non ricorrendo i presupposti per procedere all’ammortamento dell’immobilizzazione essendo appena iniziato il terzo periodo amministrativo (vedi Tabella 8).

Tabella 8 – Plusvalenza da cessione Gli standards contabili internazionali in caso di cessione dell’attività rivalutata richiedono di

liberare interamente la riserva da rivalutazione eventua lmente ancora presente in Bilancio trasferendola alla voce Utili portati a nuovo. Nel nostro esempio la riserva si libera per 10.

Al fine di evidenziare le problematiche connesse con le diverse modalità di esposizione e le informazioni che da esse si possono trarre si riassumono nel prospetto (vedi Tabelle 9-10) la tradizionale impostazione italiana (colonna Italia prima degli IFRS), la proposta del CIS (colonna Ipotesi CIS), l’attuale impostazione IFRS (colonna IFRS) e infine l’ipotesi del CIS in studio presso lo IASB (colonna Ipotesi CIS IASB).

I ricavi operativi, i costi operativi, le imposte della gestione operativa, il risultato della gestione di finanziamento-investimento e il capitale sociale sono assunti come dati84.

La colonna Italia prima degli IFRS evidenzia il trattamento in vigore per le società che non sono tenute all’applicazione dei principi contabili internazionali85. Non essendo consentita la valutazione delle immobilizzazioni al fair value, essa rimane ancorata al costo storico86.

84 Per la specificazione dei costi operativi del secondo esercizio si veda la nota 89. 85 Tale colonna mostra anche l’esposizione in Bilancio delle imprese che, pur tenute all’adozione degli IAS/IFRS, utilizzano il trattamento contabile alternativo di valutazione al costo delle immobilizzazioni. 86 Nel primo esercizio non si rileva nessun componente positivo. Nel secondo esercizio, a parità di condizioni e costi operativi, avremo minori costi per 5 (700 e non 705) in quanto l’ammortamento sarà pari a 25. Il terzo esercizio avremo l’evidenziazione della plusvalenza nell’area operativa per 30 (80 – 50).

Valor i - Fa i r Value Inizio 3° Esercizio

Valor i - Cos to S tor ico Iniz io 3° Eserciz io

Costo Storico Immobil izzazione 1 2 0 100Ammor tamento - - Fondo Ammortamento 6 0 50Valore ne t to contabi le 6 0 50

Valore di cess ione 8 0 80

Plusvalenza real izzata 2 0 30Riserva da r ivalutazione l iberata 1 0

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Tabella 9 - Comprehensive Income Statement (CIS) – Ipotesi Italiana e IASB

Italia Prima degli IAS

I p o t e s i CIS - Italia IAS

Italia Prima degli IAS

I p o t e s i CIS - Italia IAS

I p o t e s i CIS - IASB

Italia Prima degli IAS

I p o t e s i CIS - Italia IAS

I p o t e s i CIS - IASB

Anno 1 Anno 1 Anno 1 Anno 1

Before Remeasur

ementRemeasur

ement Anno 2 Anno 2 Anno 2 Anno 2 Anno 3 Anno 3 Anno 3 Anno 3

Gest ione Operat iva

Ricavi operativi 1.000 1.000 1.000 1.000 1.000 1.000 1.000 1.000 1.000 1.000 1.000 1.000 1.000

Plusvalenze su Immobilizzazioni - - - 15 - 15 - 5 - - 30 30 20 20

Costi operativi (700) (700) (700) (700) (700) (700) (705) (705) (705) (700) (700) (700) (700)

Risultato gestione operativa ante imposte 300 300 300 315 300 300 300 295 295 330 330 320 320

Imposte relative (90) (90) (90) (90) (90) (90) (90) (90) (90) (90) (90) (90) (90)Risul ta to ne t to Ges t ione Operat iva 210 210 210 225 210 210 205 205 240 240 230 230

Gest ione di Finanziamento e Invest imento

Proventi e oneri finanziari (10) (10) (10) (10) (10) (10) (10) (10) (10) (10) (10) (10) (10)

Proventi e oneri d'investimento

Risultato gestione di Finanziamento e Investimento (10) (10) (10) (10) (10) (10) (10) (10) (10) (10) (10) (10) (10)

Imposte relative

Risul tato net to Gest ione di Finanziamento e Investimento (10) (10) (10) (10) (10) (10) (10) (10) (10) (10) (10) (10)

Risultato d'esercizio 200 200 200 215 200 200 195 195 230 230 220 220

Proventi e Oneri da F.V. in corso di realizzazione

Rivalutazione / Svalutazione immobilizzazioni materiali - 15 - - - - - (5) - - - (10) - -

Imposte relativeTot. Proventi e Oneri in corso di realizzazione al netto del carico fiscale - 15 - - - - - (5) - - - (10) - -

Risultato d'esercizio Onnicomprensivo 200 215 200 215 200 195 195 195 230 220 220 220

Ipotesi CIS - IASB

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Tabella 10 - Patrimonio Netto con l’indicazione dell’accantonamento a Riserva della quota indisponibile dell’Utile onnicomprensivo87

87 Per ipotesi l’utile disponibile nell’esercizio precedente e le riserve libere vengono distribuite interamente nel corso dell’esercizio preso in considerazione.

Italia Prima degli

IASIpotesi

CIS - Italia IAS

Ipotesi CIS - IASB

Italia Prima degli

IAS

Ipotesi CIS - Italia IAS

Ipotesi CIS - IASB

Italia Prima

degli IAS

Ipotesi CIS - Italia IAS

Ipotesi CIS - IASB

Anno 1 Anno 1 Anno 1 Anno 1 Anno 2 Anno 2 Anno 2 Anno 2 Anno 3 Anno 3 Anno 3 Anno 3Patrimonio NettoCapitale Sociale 100.000 100.000 100.000 100.000 100.000 100.000 100.000 100.000 100.000 100.000 100.000 100.000Riserva da Rivalutazione - 15 15 15 - 10 10 10 - - - - Riserve libere (Utili a nuovo) - - - - - 5 5 5 - 10 10 10

Utile disponibile 200 200 200 200 200 195 195 195 230 220 220 220

Tot. P.N. 100.200 100.215 100.215 100.215 100.200 100.210 100.210 100.210 100.230 100.230 100.230 100.230

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L’applicazione del CIS secondo l’impostazione proposta da un lato consente di evidenziare nello Stato patrimoniale il valore equo delle poste di Bilancio, dall’altro ne neutralizza la disponibilità con l’accantonamento in una riserva indisponibile del valore non realizzato attraverso il recupero indiretto tramite l’ammortamento e le perdite di valore o diretto con la cessione o dismissione. In pari tempo il CIS evidenzia attraverso il recycling la formazione dei plusvalori in corso e la loro partecipazione al reddito distribuibile una volta realizzati88. Tale metodologia ha il vantaggio di evidenziare e far partecipare direttamente ai risultati riferibili alle componenti realizzate (Gestione Operativa o Finanziaria e d’Investimento) quei componenti iscritti nei precedenti esercizi nella sezione Proventi e oneri in corso di realizzazione. In mancanza del recycling, infatti, il compito di evidenziare il processo di realizzazione dei componenti reddituali da fair value verrebbe lasciato solo alla movimentazione delle riserve del patrimonio netto attraverso il passaggio della riserva da rivalutazione alle riserve distribuibili o alla voce Utili portati a nuovo se si utilizza la prassi IASB.

La terza (IFRS) e quarta colonna (CIS Ipotesi IASB) analizzano, infine, l’attuale impostazione IFRS e l’ipotesi che si sta prospettando in seno allo IASB per il Comprehensive Income Statement. Tale progetto prevede di evidenziare gli utili/perdite da fair value sulla base della natura dell’evento di gestione (operativo, finanziario, d’investimento, attività destinate a cessare), avendo riguardo alla sua realizzabilità solo in un secondo momento.

Come si può notare il conto economico (IFRS) nel primo esercizio non viene influenzato dalla plusvalenza in corso di realizzazione poiché i principi contabili prevedono l’accreditamento direttamente alla riserva di rivalutazione. Tale riserva viene progressivamente trasformata in Utili portati a nuovo (o altre riserve libere) per effetto dell’ammortamento del valore rivalutato e della definitiva cessione. Il risultato operativo del secondo esercizio non riflette la realizzazione indiretta della rivalutazione da fair value della immobilizzazione. Nel terzo esercizio al momento della cessione la plusvalenza partecipa alla formazione del reddito come differenza tra il valore di cessione e il costo rivalutato al netto dell’ammortamento non evidenziando l’effettiva realizzazione della stessa89. Il patrimonio netto anche in questo caso viene aggiornato trasformando la riserva di rivalutazione in una voce del patrimonio netto liberamente distribuibile.

Nella proposta IASB (CIS Ipotesi IASB), invece, gli utili non realizzati vengono distintamente indicati nella colonna Remeasurements. Non evidenziando l’area dei Proventi e oneri in corso di realizzazione i plusvalori concorrono a definire il Risultato Operativo. Tale informazione seppur appare più idonea ad evidenziare le performance raggiunte nelle diverse aree non consente una percezione immediata della realizzabilità o meno dei vari risultati intermedi. Vista l’attenzione che la disciplina legislativa nazionale ha posto sulle rivalutazioni da fair value tale approccio non pare particolarmente idoneo.

In conclusione, si può notare come la soluzione proposta nel rispetto della normativa nazionale consente non solo di evidenziare i componenti reddituali realizzati e per questo distribuibili, ma anche di neutralizzare in termini di risultati operativi gli effetti dei maggiori ammortamenti

88 Nell’esempio nel secondo esercizio la rivalutazione da fair value si realizza indirettamente attraverso l’ammortamento per 5. Tale valore viene portato tra gli Utili realizzati nell’area Operativa e stornarti dall’area dei Proventi in corso di realizzazione. Nel terzo esercizio si cede l’immobilizzazione. Al fine di evidenziare nell’area Operativa, finanziaria e delle attività operative destinate a cessare i soli redditi realizzati e distribuibili si calcola la plusvalenza realizzata non come differenza tra il valore di cessione (80) e il valore contabile dell’immobilizzazione (60), ma tra il valore di cessione e il valore netto contabile che si sarebbe avuto in assenza di rivalutazione (50). Tale plusvalenza rilevata per 30 (80 – 50) nell’area Operativa esprime, infatti, il componente di reddito effettivamente realizzato con la cessione dell’immobilizzazione in quanto calcolata sul suo costo storico residuo alla data della vendita. In altre parole nell’area operativa si evidenzia la plusvalenza nelle sue due componenti: la parte attribuibile alla vendita come differenza tra il valore di cessione e il valore netto contabile rivalutato (80–60=20) e la parte relativa ai plusvalori formatesi nei precedenti esercizi con le rivalutazioni che non hanno ancora trovato realizzazione diretta o indiretta (15–5=10). Per tali ragioni nell’area dei Proventi in corso di realizzazione si storna la restante parte di plusvalenza ancora iscritta nella riserva di rivalutazione (– 10). 89 In altri termini si perde l’informazione contabile della plusvalenza calcolata come differenza tra valore di cessione e costo di acquisto residuo (non rivalutato).

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derivanti dalla rivalutazione delle immobilizzazioni al fair value. Ciò permette una maggiore comparabilità tra i CIS delle società che adotteranno tale metodologia di valutazione e le società che continueranno ad applicare il costo storico. Nel contempo possono essere reperite nel conto economico tutte le informazioni necessarie per prevedere in termini di flussi di cassa futuri le potenzialità connesse all’operazione in corso. Al contrario, nell’approccio IASB che non utilizza il recycling le informazioni relative alla realizzazione delle operazioni in corso devono esser reperite nelle movimentazioni del Patrimonio netto. La rivalutazione e gli ammortamenti influenzano in maniera considerevole le performance operative degli esercizi in cui il bene è rivalutato e utilizzato.

Esempio – Investimento immobiliare Si propone il caso di un componente reddituale in corso di realizzazione attribuito dagli IFRS

direttamente al conto economico tradizionale al fine di evidenziare le insidie dell’utilizzo del fair value come strumento di valutazione delle poste di Bilancio se non si recupera il principio della prudenza in sede di destinazione dell’utile dell’esercizio.

Si supponga di acquisire un immobile come investimento immobiliare per 10090. Essendo presente un mercato attivo di riferimento si decide di valutarlo al fair value contabilizzando le variazioni nel conto economico secondo lo IAS 4091. Si ricorda che tale principio contabile non pone vincoli né di accantonamento a Riserva degli utili da fair value né di una loro eventuale distribuzione.

Il valore equo nei primi tre esercizi è rispettivamente pari a 120 al termine del primo esercizio e 130 al termine del secondo. Nel terzo esercizio si cede l’attività a 110 (vedi Tabella 11).

Tabella 11 – Variazioni del Fair Value

Per semplicità si presuma che gli unici componenti reddituali dell’area Finanziaria e d’Investimento siano riferibili all’operazione di cui sopra. Il risultato della gestione Operativa e il Capitale Sociale sono assunti come dati92.

Si confrontano gli effetti tra: il metodo proposto dallo IASB, la proposta del CIS e il Conto economico attualmente utilizzato dalle società italiane (Tabella 12)93. Le differenze tra le diverse impostazioni sul piano della prudenza ai fini della salvaguardia dell’integrità del Capitale sono

90 La valutazione delle partecipazioni in imprese controllate, collegate, joint venute, altre imprese nel bilancio separato, attività e passività finanziarie disponibili per la negoziazione, attività biologiche e attività finanziarie al fair value option avrebbero posto problematiche del tutto simili posto che gli IAS/IFRS prevedono la partecipazione al risultato d’esercizio distribuibile delle variazioni del loro fair value. 91 Per approfondimenti si legga lo IAS 40, Investimenti immobiliari (2004: paragrafi 33-55). 92 Occorre ricordare che gli investimenti immobiliari non sono soggetti ad ammortamento se valutati al fair value secondo le disposizioni dello IAS 40 – Investimenti immobiliari (2004), paragrafi 33-52. Anche l’OIC 16, Le immobilizzazioni materiali (2005), precisa al punto D.XI.5) che: “i fabbricati civili rappresentanti un’altra forma di investimento possono non essere ammortizzati”. Nell’esempio al fine di meglio evidenziare gli effetti dell’applicazione del fair value si è deciso di non procedere all’ammortamento anche nel caso dell’impostazione italiana prima degli IAS/IFRS. 93 Nei casi in cui gli IFRS prevedono l’imputazione dei componenti in corso di realizzazione al Conto economico tradizionale la proposta del CIS dello IASB coincide ai fini delle composizione del Patrimonio Netto con l’impostazione attuale. Semplicemente la colonna dei Remeasurements accoglierà le variazioni da fair value, ma le stesse parteciperanno pur sempre alla formazione del reddito distribuibile. Ragion per cui non si evidenziano come nel caso precedente le due colonne IFRS e Ipotesi CIS IASB ma la sola colonna IFRS.

Acquisto Esercizio 1Esercizio 2 Cessione

Fair value 100 120 130 110Rivalutazione - Fair value da attribuire al conto economico 20 10

Minusvalenza 20

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notevoli. Esse possono esser rimarcate e meglio analizzate riportando anche i movimenti del patrimonio netto (Tabelle 13 – 14).

Si può notare che l’approccio dello IASB è meno prudenziale rispetto a quello italiano. Infatti, gli IFRS facendo partecipare gli Utili da fair value al reddito distribuibile ne permettono l’erogazione ai soci sotto forma di dividendi. Nel primo esercizio i soci del bilancio IFRS possono ricevere un reddito pari a 40 (20 da risultati operativi e 20 da plusvalenze non realizzate). Allo stesso modo al secondo esercizio si vedono premiati con un dividendo di 20 (10 da redditi operativi e 10 da plusvalenze non realizzate). Il terzo esercizio però si vedono depauperare il capitale sociale di 20 non essendosi realizzata appieno la plusvalenza (il valore di cessione è stato inferiore al fair value dell’ultimo esercizio).

La soluzione del CIS unitamente al vincolo della riserva indistribuibile degli utili da fair value consente invece di evidenziare il reddito potenziale in corso di formazione, fornendo le informazioni per valutare le performance raggiunte e i futuri flussi di cassa attesi dalle operazioni in corso, senza però pregiudicare l’integrità del patrimonio aziendale con la distribuzione di redditi che non si sono realizzati.

L’investitore o in ogni caso lo stakeholder fin dal secondo esercizio ha potuto apprezzare i possibili margini positivi in corso di formazione e ha avuto informazioni utili per poter prendere le proprie decisioni economiche. Nell’informazione contabile e nelle decisioni di Bilancio il principio della prudenza convive con quello della competenza

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Tabella 12 - Comprehensive Income Statement (CIS) – Ipotesi Italiana e IASB

Italia Prima degli IAS

Ipotesi CIS - Italia IAS

Italia Prima degli IAS

Ipotesi CIS - Italia IAS

Italia Prima degli IAS

Ipotesi CIS - Italia IAS

Anno 1 Anno 1 Anno 1 Anno 2 Anno 2 Anno 2 Anno 3 Anno 3 Anno 3

Gestione Operativa

Ricavi operativi 1.000 1.000 1.000 1.000 1.000 1.000 1.000 1.000 1.000

Costi operativi (950) (950) (950) (960) (960) (960) (970) (970) (970)

Risultato gestione operativa ante imposte 50 50 50 40 40 40 30 30 30Imposte (30) (30) (30) (30) (30) (30) (30) (30) (30)

Risultato netto Gestione Operativa 20 20 20 10 10 10 - - -

Gestione di Finanziamento e InvestimentoProventi e oneri d'investimento - - 20 - - 10 10 10 (20)

Risultato gestione di Finanziamento e Investimento - - 20 - - 10 10 10 (20)Imposte - - - - - - - - -

Risultato netto Gestione di Finanziamento e Investimento - - 20 - - 10 10 10 (20)

Risultato d'esercizio 20 20 40 10 10 20 10 10 (20)

Proventi e Oneri in corso di realizzazione

Rivalutazione / Svalutazione Investimenti immobiliari - 20 - - 10 - - (30) - Imposte - - - - - - - - -

Tot. Proventi e Oneri in corso di realizzazione al netto del carico fiscale - 20 - - 10 - - (30) -

Risultato d'esercizio Onnicomprensivo 20 40 40 10 20 20 10 (20) (20)

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Tabella 13 - Patrimonio Netto con l’indicazione dell’accantonamento a Riserva della quota indisponibile dell’Utile onnicomprensivo94

Tabella 14 - Incrementi del Patrimonio Netto Distribuibili

94 Per ipotesi l’utile disponibile nell’esercizio precedente e le riserve libere vengono distribuite interamente nel corso dell’esercizio preso in considerazione.

Italia Prima degli IAS

Ipotesi CIS - Italia IAS

Italia Prima degli IAS

Ipotesi CIS - Italia IAS

Italia Prima degli IAS

Ipotesi CIS - Italia IAS

Anno 1 Anno 1 Anno 1 Anno 2 Anno 2 Anno 2 Anno 3 Anno 3 Anno 3Patrimonio NettoCapitale Sociale 100.000 100.000 100.000 100.000 100.000 100.000 100.000 100.000 100.000

Riserva da Rivalutazione - 20 - - 30 - - - - Riserve libere (Utili portati a nuovo) - - - - - - - 30 -

Utile disponibile 20 20 40 10 10 20 10 (20) (20)

Totale Patrimonio Netto 100.020 100.040 100.040 100.010 100.040 100.020 100.010 100.010 99.980

Italia Prima degli IAS

Ipotesi CIS - Italia IAS

Italia Prima degli IAS

Ipotesi CIS - Italia IAS

Italia Prima degli IAS

Ipotesi CIS - Italia IAS

Anno 1 Anno 1 Anno 1 Anno 2 Anno 2 Anno 2 Anno 3 Anno 3 Anno 3

Incremento Patrimonio Netto Distribuibile 20 20 40 10 10 20 10 10 (20)

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4.5 – Riflessioni conclusive sul Comprehensive Income

Le performance finanziarie ed economiche raggiunte nell’esercizio e le loro proiezioni future sono sempre più di fondamentale importanza per tutti gli stakeholders che necessitano di un’informazione onnicomprensiva, pertinente, affidabile e tempestiva.

Se da una parte gli IAS/IFRS hanno affrontato le problematiche e le misurazioni connesse con il crescente utilizzo del fair value, dall’altra esiste un approfondimento ancora in corso sulle tematiche inerenti l’esposizione in bilancio delle sue variazioni.

In tal senso, la proposta del CIS dovrebbe aiutare gli utilizzatori a valutare le capacità dell’impresa di generare risorse e nel contempo evidenziare come tali risorse sono remunerate. In altre parole il suo obiettivo deve esser focalizzato sulla “capacità dell’impresa di generare flussi di cassa o equivalenti, nonché i tempi e la certezza di tali flussi”, assistendo gli stakeholders non solo nella previsione delle future performance dell’impresa ma anche chiarendo il significato e il valore di ogni componente reddituale in relazione alla sua affidabilità e stabilità95.

Se il fair value, infatti, troverà sempre maggiore utilizzo come criterio di valutazione sarà necessario che si evidenzino gli elementi maggiormente volatili e le modalità con cui gli stessi partecipano alla formazione del reddito. Questo obiettivo può esser raggiunto raggruppando tali componenti in una specifica sezione del conto economico come nella ipotesi prospettata.

Una facile individuazione della loro natura, del loro ammontare e del loro “peso” sul reddito onnicomprensivo e sul Patrimonio netto permette, infatti, di mostrare con immediatezza se alla formazione dello stesso abbiamo contribuito maggiormente i componenti realizzati o non realizzati. Inoltre consente di segnalare come quest’ultimi elementi fluttuino nel tempo, avverte l’utilizzatore della presenza più o meno accentuata di stime valutative maggiormente soggettive o comunque previsionali. Sarà necessario in quest’ultimo caso una lettura ed un esame più approfondito dei valori espressi in bilancio per capire la maggiore o minore attendibilità e concretezza delle stime effettuate.

Se fino ad oggi i principi contabili italiani e comunitari hanno privilegiato criteri di valutazione per la determinazione di un reddito distribuibile e un patrimonio aziendale disponibile, l’adozione degli standards contabili internazionali sposterà l’attenzione sulle performance raggiunte in ciascun esercizio e sulle potenzialità insite nel patrimonio aziendale espresso tendenzia lmente verso i valori corrent i.

L’adozione del fair value come valore corrente degli elementi che costituiscono il patrimonio aziendale, la partecipazione alla formazione del risultato d’esercizio anche dei plusvalori e minusvalori derivanti dalla valutazione del patrimonio al fair value non devono però intaccare l’integrità del capitale associata alle potenzialità di suo realizzo alla fine del periodo amministrativo.

Diminuisce l’asimmetria introdotta dal principio valutativo della prudenza. Ecco il perché il Comprehensive Income Statement e il Prospetto delle variazioni del patrimonio netto devono ben sottolineare tali aspetti in accordo anche con le direttive del legislatore.

Per tali ragioni appare opportuno aggiungere alla consueta suddivisione del conto economico in aree operative, extraoperative e finanziarie un’altra suddivisione al livello più generale tra area dei proventi/oneri realizzati e area dei proventi/oneri in corso di formazione, potendosi svolgere le nuove analisi reddituali sopra accennate. Il Conto economico non è più sbilanciato verso il principio della prudenza, ma trovano ugualmente riscontro i componenti di reddito, positivi e negativi, prodotti e di competenza dell’esercizio anche se non ancora ufficializzati da un processo di scambio.

L’adozione del recycling permette, inoltre, non solo di meglio evidenziare il passaggio dei componenti reddituali dalla situazione di componenti in corso di formazione alla natura di componente realizzato, ma consente di ottenere risultati della gestione operativa e finanziaria

95 Framework (1989: paragrafo 10).

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omogenei e più facilmente confrontabili con i corrispondenti risultati delle imprese che non applicheranno le valutazioni al fair value previste dagli IFRS. È vero, infatti, che la valutazione al fair value resta per molte poste patrimoniali solo un’alterna tiva alle valutazioni al costo storico (si veda la Tabella 1). L’adozione del recycling permetterà quindi di meglio confrontare l’impatto sul reddito realizzato delle poste valutate al valore equo rendendo più omogenei e comprabili le performance dell’area operativa e finanziaria delle imprese che continuano ad utilizzare il costo storico96.

Il prospetto delle variazioni del patrimonio netto accompagna e rende ancor più chiara la partecipazione dei plusvalori al reddito distribuibile. Si supera il limite del costo storico nell’espressione dei valori patrimoniali, approssimandosi ai valori correnti, ma non si trascura la prudenza nella fase della sua distribuzione. Non si pregiudica con le scelte economiche di bilancio la capacità dell’impresa di perdurare nel tempo.

Alla luce delle considerazioni svolte non pare particolarmente puntuale la scelta dello IASB di distinguere i componenti reddituali solo in relazione alla loro natura, spalmando i valori non realizzati nelle diverse aree del conto economico, vietando nel contempo l’utilizzo del recycling. Tale scelta se da una parte permette di evidenziare meglio le performance raggiunte nelle diverse aree (operativa, finanziaria e attività destinata a cessare) dall’altra forse non demarca sufficientemente la potenzialità e le insidie di tali elementi di reddito nel caso fossero distribuiti, non consentendo parimenti le analisi e le valutazioni sopra richiamate. La scelta di un’unica sezione, si ribadisce, appare in Italia ancor più opportuna per i vincoli legislativi che coinvolgeranno tali elementi del reddito.

Il cambiamento che finora ha riguardato le sole società indicate dai Regolamenti CE n° 1606/2002 e 1725/2003, ben presto potrà investire la globalità delle imprese tenute alla redazione del bilancio d’esercizio. In tal senso, il Conto economico di stretta derivazione comunitaria non pare esser idoneo ad accogliere il cambiamento in atto, in quanto basato su una diversa impostazione e concezione delle finalità del bilancio e dei rispettivi criteri generali di redazione. Infatti, non permette di accogliere e dare una chiara esposizione ai valori correnti collegati alle valutazioni al fair value. D’altra parte i contenuti minimi di conto economico previsti dagli IAS/IFRS mal si prestano a perseguire l’omogeneizzazione nell’esposizione e comparazione dei risultati delle imprese comunitarie. Appare opportuno quindi adottare una struttura predefinita e adeguatamente articolata97.

In conclusione pare opportuno che accanto agli sviluppi futuri del Comprehensive Income in ambito nazionale e comunitario, le nuove Direttive CE, che si ripete devono necessariamente tener conto dei nuovi criteri valutativi previsti dagli IAS/IFRS, predispongano una generale rivisitazione delle forme e strutture di conto economico atte ad accogliere la nuova impostazione dei principi di redazione del Bilancio e la nuova configurazione di reddito perseguiti dagli standards contabili internazionali.

96 In tal senso, si veda l’esempio proposto sulla valutazione delle immobilizzazioni materiali (esempio 1). Occorre ricordare che le rivalutazioni/svalutazioni delle poste patrimoniali, in particolare delle immobilizzazioni, si riverberano sul conto economico non solo in termini di plusvalenze/minusvalenze da fair value, ma anche sotto forma di maggiori o minori ammortamenti, svalutazioni da impairment, plusvalenze/minusvalenze da cessione, etc. Ad esempio, a parità di tutte le altre condizioni, un’impresa che rivaluta le proprie immobilizzazioni materiali al fair value vedrà negli esercizi successivi, le proprie performance operative penalizzate da maggiori ammo rtamenti rispetto ad un’impresa che valuta le attività fisse al costo storico. Il recycling, come si è potuto apprezzare, permette in tal senso di render confrontabili le performance operative, compensando i maggiori ammortamenti con l’evidenziazione del realizzo indiretto, attraverso l’ammortamento, della plusvalenza da fair value. 97 IAS 1 – Presentazione del bilancio (2004: paragrafi 81 e 91 – 93).

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CAPITOLO III

NOZIONE E MODALITÀ DI RILEVAZIONE DEGLI ELEMENTI COSTITUTIVI DELLO STATO PATRIMONIALE E DEL CONTO ECONOMICO

NEL FRAMEOWRK DELLO IASB

SOMMARIO: 1. – Andamento economico e risultato d’esercizio; 2. – I Ricavi; 3. – I Costi e gli oneri; 4. – La rilevazione degli elementi costitutivi i prospetti di Bilancio; 4.1. – La rilevazione delle Attività e delle Passività; 4.2. – La rilevazione dei Ricavi e dei Costi; 5. – Riflessioni di sintesi.

1. – ANDAMENTO ECONOMICO E RISULTATO D’ESERCIZIO98

Il Framework, trattando il contenuto del Conto Economico, definisce l’importante concetto dell’”andamento economico”, o “performance” aziendale (Framework 69-73). Elemento chiave per definire tale andamento è l’utile d’esercizio, base di partenza per altre misurazioni quali la remunerazione del capitale investito o il rapporto utile per azioni. Ovviamente l’utile deriva direttamente dai costi e ricavi, oggetto del Framework 74-98.

Nel considerare la richiesta da parte degli utilizzatori di informazioni più esaurienti sull’”andamento economico”, misurato in senso più ampio dell’”utile” esposto nel conto economico, lo IAS 1 introduce una nuova disposizione per un prospetto primario che esponga quei proventi e oneri non inclusi attualmente nel conto economico. Il nuovo prospetto può essere presentato sia come una “tradizionale” riconciliazione del patrimonio netto in forma verticale, sia come un prospetto dell’andamento economico a sé stante. Il Board dello IASC concordò in linea di principio, nell’aprile 1997, di effettuare una revisione del modo in cui l’andamento economico è misurato ed esposto. È probabile che il progetto considererà, in primo luogo, l’interazione tra l’esposizione dell’andamento economico e gli obiettivi di presentazione previsti dal Quadro sistematico dello IASC.

Sempre lo IAS 1 definisce il Bilancio come rappresentazione, in modo strutturato, della situazione patrimoniale – finanziaria dell’impresa e delle operazioni poste in essere dalla stessa. La finalità del Bilancio redatto con scopi di carattere generale è quella di fornire informazioni sulla situazione patrimoniale – finanziaria, sull’andamento economico e sui flussi finanziari di una impresa che siano di utilità per una vasta gamma di utilizzatori nell’assumere decisioni di carattere economico.

Il Conto economico, dunque, contiene tutti i componenti di ricavo e di costo rilevanti in un esercizio, che devono partecipare alla determinazione dell’utile o della perdita d’esercizio, a meno che un principio contabile internazionale richieda o consenta un trattamento diverso. Ad esempio, lo IAS 8 tratta le correzioni di errori e gli effetti del cambiamento di principi contabili e dispone di

98 Il presente capitolo è stato redatto dai componenti il gruppo di studio coordinato da Luigi Puddu (Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Economia Aziendale). Anche se il presente contributo costituisce il frutto di riflessioni ed opinioni condivise all’interno del gruppo di studio che ha condotto le analisi sui punti 69-98 del Framework occorre precisare che la Dott.ssa Vania Tradori ha redatto il paragrafo 1, la Dott.ssa Simona Alfiero il paragrafo 2, il Dott. Bruno Armano il paragrafo 3. La Dott.ssa Silvana Seminaro ha curato la redazione delle riflessioni relative al concetto di rilevazione, ai problemi dei benefici economici futuri ed alla rilevazione delle passività; la Dott.ssa Alessandra Indelicato ha, invece, provveduto ad esaminare le questioni connesse alla attendibilità delle valutazioni ed alla rilevazione delle attività; i Dottori Christian Rainero ed Alberto Solazzi si sono rispettivamente occupati dei problemi concernenti la rilevazione dei ricavi e dei costi.

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imputare tali componenti non direttamente nel Conto economico, ma direttamente in una riserva di Patrimonio netto, modificando i dati di apertura.

Generalmente, tutti i componenti di ricavo e di costo rilevati in un esercizio partecipano alla determinazione dell’utile e della perdita d’esercizio. Possono, tuttavia, esistere dei casi in cui certi componenti possono essere esclusi dalla determinazione dell’utile o della perdita d’esercizio corrente perché, ad esempio imputati al patrimonio netto. È il caso, ad esempio, delle variazioni di fair value delle immobilizzazioni materiali quanto l’impresa adotta il metodo del costo rivalutato.

Lo IAS 8 tratta due di questi casi: la correzione di errori e gli effetti del cambiamento di principi contabili.

Esistono, inoltre, principi contabili internazionali che trattano di componenti che possono soddisfare le definizioni di ricavo e di costo contenute nel Framework, ma che sono solitamente escluse dalla determinazione dell’utile o della perdita d’esercizio. Esempio sono le riserve di rivalutazione (IAS 16), gli utili e le perdite derivanti dalla conversione in moneta di conto di valori del Bilancio di un soggetto estero (IAS 21) e gli utili e le perdite derivanti dalla valutazione delle attività finanziarie classificate nella categoria available for sale (IAS 39).

Il Framework definisce i ricavi come “gli incrementi nei benefici economici di competenza dell’esercizio amministrativo che si manifestano sotto forma di nuove attività in entrata o accresciuto valore delle attività esistenti o diminuzione delle passività che si concretizzano in incrementi del patrimonio netto, diversi da quelli connessi alle contribuzioni da parte di coloro che partecipano al capitale”.

La voce ricavi comprende sia i ricavi di vendita sia quelli derivanti dalle prestazioni, sia altri profitti. Secondo lo IAS 18 i ricavi sono proventi che si manifestano nel corso dell’attività ordinaria dell’impresa e ai quali ci si riferisce con dizioni differenti quali vendite, commissioni, interessi, dividendi e royalties.

I costi sono, invece, definiti come “decrementi nei benefici economici di competenza dell’esercizio amministrativo, che si manifestano sotto forma di flussi finanziari in uscita o riduzioni di valore di attività o sostenimento di passività che si concretizzano in decrementi di patrimonio netto, diversi da quelli relativi alle distribuzioni a coloro che partecipano al capitale. Un’impresa può utilizzare benefici economici al fine di creare attività. Quando il costo che sostiene non soddisfa i criteri per la contabilizzazione di un’attività, allora deve essere contabilizzato come costo ed imputato al conto economico. Anche le riduzioni di attività derivanti dalle perdite di valore di attività materiali o finanziarie sono costi”.

Il Framework fornisce definizioni generiche, identificando gli aspetti essenziali dei due elementi, non specificando le condizioni che dovrebbero essere soddisfatte prima che essi siano rilevati in conto economico.

2. – I RICAVI

Nel Framework, in particolare dal punto 74 fino al 77, viene illustrata la definizione dei Ricavi. La novità, rispetto la normativa precedente (art. 53, 54, 55, 57 e 58 del TUIR) è la distinzione all’interno del più generale concetto di “ricavi”, visto come componente positivo di reddito, nonché come incremento dei benefici economici, dei ricavi e dei proventi. In particolar modo, i Ricavi trovano origine nello svolgimento dell’attività ordinaria dell’impresa, mentre i proventi possono, o non possono, derivare dall’attività ordinaria dell’azienda.

All’interno dei Ricavi ricadono, inoltre, anche i proventi non realizzati, quali ad esempio quelli che derivano dalla rivalutazione di titolo negoziabili o quelli derivanti da rivalutazioni di attività di lungo periodo.

I proventi sono esposti separatamente in conto economico, in quanto la loro conoscenza è utile ai fini del processo decisionale economico. I Ricavi comprendono solo “i flussi lordi di benefici economici ricevuti e ricevibili dall’impresa, in nome e per conto proprio. I corrispettivi riscossi per

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conto terzi, quali le imposte sulle vendite, le imposte sui beni e servizi e l’imposta sul valore aggiunto non sono benefici economici fruiti dall’impresa e non determinano un incremento del patrimonio netto”.

Il problema principale nella contabilizzazione dei Ricavi è la determinazione del momento della rilevazione: i Ricavi devono essere rilevati quando è probabile che i benefici economici futuri saranno fruiti dall’impresa e la loro valutazione è attendibile.

Un’ulteriore novità rispetto la normativa precedente è che spesso i proventi vengono riportati al netto dei costi a essi connessi. Le Attività che sorgono o si incrementano in contropartita dei Ricavi sono: disponibilità liquide, i crediti, e beni e servizi ricevuti in cambio di beni e servizi forniti. Inoltre, un Ricavo può sorgere anche a seguito di una diminuzione o estinzione di una passività (esempio la fornitura di beni o servizi a un finanziatore per estinzione di un debito esistente precedentemente).

Schematizzazione dei ricavi: - Vendita di beni, - Prestazione di servizi, - Utilizzo, da parte di terzi, di beni dell’impresa che generano interessi, royalties e dividendi. Vendita di beni: - “I beni considerati sono quelli prodotti dall’impresa per essere venduti e quelli acquistati per

la rivendita (es: merci acquistate da un dettagliante)”. Prestazione di servizi: - “La prestazione di servizi implica, tipicamente, lo svolgimento da parte dell’impresa di un

incarico contrattualmente concordato in un periodo di tempo prefissato; i servizi possono essere erogati in uno o più esercizi. Un esempio di prestazione di servizio può essere la prestazione di servizio da parte del responsabile di progetto o degli architetti nelle commesse di lungo periodo”.

Utilizzo, da parte di terzi, di beni dell’impresa che generano interessi, royalties e dividendi: - Con interessi si intendono gli “addebiti a terzi per l’utilizzo di disponibilità liquide o mezzi

equivalenti o di ammontari dovuti all’impresa”. - Le royalties, invece sono gli “addebiti a terzi per l’utilizzo di attività a lungo termine

appartenenti all’impresa, quali brevetti, marchi di fabbrica, diritti di autore, software per computer”.

- I dividendi sono la parte di utile distribuita ai possessori di partecipazioni azionari in proporzione alla loro quota e al tipo di partecipazioni.

3. – I COSTI E GLI ONERI

La definizione di Costi (expenses nella versione inglese) viene introdotta dal punto 78 del Framework. Vi si afferma testualmente che “la definizione di costo comprende gli oneri (losses nella versione inglese) così come tutti i costi che sorgono nello svolgimento dell’attività ordinaria dell’impresa”.

Successivamente la categoria dei Costi che sorgono nell’attività ordinaria dell’impresa viene chiarita attraverso gli esempi del costo del venduto, dei salari e degli ammortamenti.

Ancora si afferma che i Costi che sorgono nell’attività ordinaria prendono la forma di flussi (finanziari) in uscita o di riduzioni di valore di attività come la cassa, i suoi equivalenti o le rimanenze o gli immobili, gli impianti e i macchinari.

Il Framework al punto 79 tenta una definizione degli oneri. Questi possono sorgere o meno dall’attività ordinaria dell’impresa e rappresentano riduzioni di benefici economici. Non sono distinti dagli altri costi e pertanto non sono presentati nel quadro sistematico (Framework) come elementi distinti.

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Al punto 80 vengono forniti esempi di oneri. Essi possono derivare da incendi ed allagamenti e da dismissioni di attività non correnti.

Nella definizione di Costo rientrano anche gli oneri non realizzati. La traduzione migliore dovrebbe forse essere non sostenuti. L’esempio che viene fornito al riguardo è quello dell’effetto (positivo) derivante dalla variazione del tasso di cambio in relazione a finanziamenti contratti in valuta.

Si afferma, infine, che quando gli oneri sono rilevati nel conto economico sono esposti separatamente perché così facilitano il processo decisionale economico.

L’ultima considerazione relativa ai Costi nel Framework al punto 80 riguarda la modalità di esposizione degli oneri che sono spesso presentati al netto dei ricavi ad essi connessi.

La trattazione dei Costi è pertanto diffusa in numerosi principi contabili internazionali. Ad esempio, lo IAS 19 si occupa dei compensi a breve termine ai lavoratori, lo IAS 16 affronta la

tematica dell’ammortamento, lo IAS 36 si occupa di numerose tipologie di svalutazioni, etc. La struttura dei Costi, così come presentata dal Framework, può essere schematizzata come nella

seguente figura99:

La problematica della classificazione dei Costi è ripresa nello IAS 1 nell’ambito della presentazione del contenuto minimo del conto economico. In tale documento si afferma che la classificazione può essere per natura o per destinazione. La scelta tra le due metodologie deve essere effettuata in base al principio secondo il quale si devono fornire le informazioni più rilevanti100.

Le due metodologie sono peraltro presenti anche nella IV direttiva comunitaria, anche se il legislatore italiano ha adottato solo quella che presenta i costi per natura. La classificazione dei Costi per natura proposta nello IAS 1 è pertanto simile a quella dell’articolo 2425 del Codice Civile.

99 Tra gli oneri possiamo ricondurre a titolo esemplificativo gli oneri derivanti da incendi, da allagamenti o dalla dismissione di attività non correnti. Per quanto riguarda gli non sostenuti questi possono sussistere, ad esempio, nel caso di variazione dei tassi di cambio relativi a finanziamenti contratti in valuta. Relativamente ai costi derivanti dall’attività ordinaria questi possono essere riferiti al costo del venduto, ai salari, agli ammortamenti. 100 “Un’entità deve presentare un’analisi dei costi utilizzando una classificazione basata o sulla natura degli stessi o sulla loro destinazione all’interno dell’entità scegliendo quella fra le due che fornisce indicazioni che sono attendibili e più rilevanti” (IAS 1, paragrafo 88).

Costi

Oneri

Costi derivanti dall’attività ordinaria

Rappresentano decrementi di benefici economici

(anche se non sostenuti)

Possono derivare: -da attività ordinaria - non da attività ordinaria

Provocano: -flussi in uscita oppure - riduzioni di valore delle attività

-di cassa -equivalenti della cassa -rimanenze -immobili -impianti -macchinari

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Conto economico per natura101 Ricavi X Altri proventi X Variazioni nelle rimanenze di prodotti finiti e prodotti in corso di lavorazione

X

Materie prime e materiali di consumo utilizzati X Costi connessi a benefici per i dipendenti X Ammortamenti X Altri costi X Costi totali (X) Utile X

La seconda metodologia di classificazione, quella dei Costi per destinazione, o metodo del Costo del venduto, richiede una aggregazione dei costi, distinguendo fra costi amministrativi, commerciali, etc.

Con un Conto economico a costo del venduto è possibile fornire informazioni più rilevanti ma la ripartizione e la successiva aggregazione dei costi è comporta una certa discrezionalità.

Si presenta di seguito il prospetto del conto economico che espone i costi per destinazione.

Conto economico per destinazione 102 Ricavi X Costo del venduto (X) Utile lordo X Altri proventi X Costi di distribuzione (X) Costi amministrativi (X) Altri costi (X) Utile X

In base ai dettami dello IAS 1, le imprese che scelgono di esporre i Costi per destinazione devono fornire ulteriori informazioni circa la natura dei costi, ad esempio riguardo agli ammortamenti ed ai costi del personale 103.

4. – LA RILEVAZIONE DEGLI ELEMENTI COSTITUTIVI I PROSPETTI DI BILANCIO

- Il concetto di rilevazione La rilevazione è definibile come il processo tramite cui una posta, che soddisfa determinate

condizioni, tra cui la definizione di elemento, viene iscritta nello Stato patrimoniale o nel Conto economico. L’iscrizione nello Stato Patrimoniale o nel Conto economico esige, in primo luogo, la descrizione attraverso l’attribuzione di appositi termini alle poste e, in secondo luogo, l’attribuzione di un importo monetario, che concorrerà a determinare il totale dei dati inseriti nello Stato patrimoniale o nel Conto economico.

Ogni elemento del Bilancio deve essere rilevato se concorrono determinate condizioni, che sono così riassumibili:

101 Conto economico per natura (OIC, 2005). 102 Conto economico per destinazione (OIC, 2005). 103 “Le entità che classificano i costi per destinazione devono riportare ulteriori informazioni sulla natura dei costi, gli ammortamenti e i costi di benefici per i dipendenti” (IAS 1, paragrafo 93).

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- probabilità che ogni beneficio economico futuro associato all’elemento affluirà o defluirà dall’impresa;

- attendibilità nella valutazione del costo o valore associato all’elemento. In altri termini, le condizioni per la rilevazione degli elementi di Bilancio devono rispettare la

probabilità della manifestazione economica futura e l’attendibilità della valutazione dell’elemento da rilevare.

Accanto ai principi civilisti di redazione del Bilancio, secondo cui la valutazione delle voci deve essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva della continuazione dell’attività, nonché tenendo conto della funzione economica dell’elemento dell’attivo o del passivo considerato, si uniscono due criteri di rilevazione di importanza internazionale, legati alla probabilità della realizzazione del beneficio associato all’elemento e l’attendibilità della sua valutazione.

Una voce che soddisfa le condizioni per essere considerata elemento da rilevare in Bilancio richiede automaticamente la rilevazione di un altro elemento. Consideriamo, a esempio, una passività: la sua rilevazione implicherà la rilevazione di un costo o di una Attività. Viceversa, un’attività implicherà la rilevazione di un ricavo o di una Passività.

- La probabilità dei benefici economici futuri La probabilità dei benefici economici futuri rappresenta uno dei due requisiti per la rilevazione

delle voci, poi considerabili elementi, in Bilanci. Il concetto di probabilità è strettamente connesso all’incertezza che caratterizza l’ambiente in cui un’impresa opera. È, quindi, chiaro che le valutazioni del grado di incertezza, o di probabilità che dir si voglia, sono compiute in base alle conoscenze disponibili nel momento in cui il Bilancio è preparato: per esempio, quando è probabile che un credito di cui un’impresa è debitrice venga pagato, allora è giustificabile rilevare il credito tra le attività. Esiste, però, un certo grado di non ricuperabilità del credito, che nella normalità dei casi è considerato probabile: è, quindi, da rilevare un costo che rappresenta la riduzione attesa dei benefici economici connessi al credito vantato.

- L’attendibilità della valutazione Per la rilevazione di un elemento è necessario, come seconda cond izione, che questo possieda un

costo o un valore che possa essere valutato con attendibilità. L’uso di stime ragionevoli, in quanto sovente accade che sia necessario effettuare una stima del costo o del valore, rappresenta un elemento fondamentale alla predisposizione del Bilancio e non ne pregiudica l’attendibilità. Può accadere che non sia possibile effettuare stime ragionevoli e, in questo caso, la posta non è rilevata nello Stato Patrimoniale e nel Conto Economico, ma verrà indicata nelle note. A tale proposito , può essere esemplificativo l’esempio di un provento atteso da un’azione legale: esso può presentare sia requisiti della definizione di attività sia di ricavo come quella della condizione di rilevazione, ma se non è attendibilmente quantificabile non deve essere rilevata in qualità di attività o ricavo, ma solamente indicata nelle note, nel materiale esplicativo o nei prospetti supplementari.

Se un elemento non rispecchia i requisiti necessari per la rilevazione in un particolare momento può presentarli in una data successiva; al contempo, se possiede le caratteristiche essenziali per essere considerato posta di Bilancio, ma non possiede le condizioni previste per essere oggetto di rilevazione e la conoscenza della posta è considerata significativa degli utilizzatori del Bilancio (per quanto concerne la valutazione da parte degli stessi della situazione patrimoniale – finanziaria, l’andamento economico e i cambiamenti della situazione patrimoniale – finanziaria di un’impresa), potrà essere indicato nelle note.

4.1. La rilevazione delle Attività e delle Passività

- Le Attività I requisiti generali per l’iscrizione di attività in Bilancio sono i seguenti: - esistenza di un costo o un valore; - probabilità dell’afflusso di benefici economici;

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- attendibile valutazione. La rilevazione in Stato patrimoniale di un’attività è quindi rilevata quando è probabile (e non

certo) che benefici economici futuri affluiranno all’impresa e l’attività ha un costo o un valore che può essere valutato attendibilmente.

Se si è sostenuta una spesa per la quale difficilmente si otterranno benefici economici successivamente all’esercizio amministrativo in corso, allora, l’attività risulta non essere rilevabile nello Stato patrimoniale. Questo non implica che l’intenzione nel sostenimento della spesa non fosse quella della generazione di benefici economici futuri per l’impresa, ma unicamente che la sicurezza dell’afflusso dei benefici economici, anche dopo l’esercizio amministrativo in corso, non è sufficiente per consentirne la rilevazione come Attività correlate.

A titolo esemplificativo analizziamo nel dettaglio alcuni effetti di questi requisiti: per esempio un bene acquistato deve essere sempre iscritto a Bilancio solo se il venditore ha effettivamente trasferito all’acquirente tutti i benefici e i rischi ad esso correlati.

Prendiamo in considerazione i crediti finanziari: fanno parte delle attività correnti e, dovendo essere iscritti nella categoria dei “Finanziamenti e crediti originati dall’impresa”, vanno valutati al “costo ammortizzato”, pari al valore iniziale al netto dei rimborsi già ottenuti, rettificando in base all’ammortamento complessivo di eventuali differenze tra valore iniziale e finale e ridotti di svalutazioni per perdite permanenti di valore e per presunte perdite di inesigibilità.

Il valore iniziale si intende il valore attuale di tutti i futuri incassi per capitale ed interessi, attualizzati non al tasso proprio del prestito ma al tasso prevalente di mercato per uno strumento simile di un emittente con simile merito creditizio e non il valore nominale. Al contempo, l’eventuale perdita durevole di valore è determinata calcolando il valore attuale del credito in base non ai tassi di mercato ma al rendimento effettivo.

Le attività finanziarie non immobilizzate, ossia le azioni, altre partecipazioni e titoli di debito destinati alla rivendita a breve, sono da includere nelle classi “possedute per essere negoziate” o “disponibili per la vendita” e da valutare al fair value, mentre nel Bilancio italiano si trovano valutati al minore fra costo e valore di mercato. Rientrano tra le attività le immobilizzazioni, le rimanenze e i crediti e partecipazioni.

Gli IAS di riferimento per le sopra indicate macrocategorie risultano essere rispettivamente: - IAS 16, IAS 17, IAS 38 e IAS 36 per quel che concerne le immobilizzazioni; - IAS 2 per le rimanenze; - IAS 39 per i crediti; - IAS 27 per le partecipazioni. Riguardo ai criteri di valutazione delle immobilizzazioni lo IAS 16 prevede che “il costo di un

elemento, come immobili, impianti e macchinari, debba essere rilevato come attività quando” è probabile che i futuri benefici economici collegati al bene saranno goduti dall’impresa e il costo del bene possa essere determinato in modo attendibile. Per ciò che riguarda, ad esempio, i beni in Leasing, lo IAS 17 prevede che il locatario ha diritto all’utilizzo del bene unicamente dalla data di iscrizione in Bilancio.

Il momento dell’iscrizione in Bilancio di un’immobilizzazione, coincide con il momento in cui i benefici e i rischi connessi dall’utilizzo del bene siano stati trasferiti all’azienda. Prima dell’iscrizione è necessario una verifica delle condizioni d’acquisto attraverso la misurazione del costo. La misurazione deve risultare attendibile, ossia il costo deve essere certo nella sua quantificazione. Nei casi di vendita o acquisto l’indicazione a riguardo è riconoscibile nel contratto che perfeziona la vendita.

Esempio: acquisto di un terreno per la costruzione di un’immobile L’attività di costruzione dell’immobile non può essere contabilizzata come investimento

immobiliare, in quanto lo IAS 40 esclude gli immobili che al momento della rilevazione sono costruiti per un utilizzo futuro. Sia il terreno che l’immobile saranno contabilizzati secondo le regole dello IAS 16, nel momento in cui lo sviluppo e la costruzione saranno terminati. La differenza

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tra il fair value alla data di trasferimento e il valore contabile alla data in cui lo sviluppo e la costruzione saranno terminati, si contabilizza in Conto economico.

Le immobilizzazioni immateriali sono regolate dallo IAS 38 che ne stabilisce le regole contabili e ne definisce le informazioni aggiuntive, non trattate da altri IAS. Quando esistono beni, diritti, o attività composti da più elementi, di natura immateriale e non, è necessario valutare quale tra questi sia il più significativo.

Le attività immateriali (attività non monetarie, identificabili e prive di consistenza fisica), devono sottostare ai seguenti requisiti:

- siano identificabili; - siano sottoposte al controllo dell’azienda; - generino futuri benefici economici. Le immobilizzazioni immateriali sono valutate al costo, ossia all’importo pagato, monetario o

equivalente, oppure al valor equo contabile dato per l’acquisizione dell’attività al momento dell’acquisto o di costruzione. Possono essere suddivise in immobilizzazioni immateriali:

a) a vita definita; b) a vita indefinita. Il loro valore residuo corrisponde alla stima dell’ammontare che l’impresa otterrebbe in caso di

cessione. Il valore contabile iscritto in Stato patrimoniale risulta essere al netto dall’ammortamento accumulato e delle perdite di valore ovvero reintegro in caso di ripristino del valore.

I criteri di valutazione delle rimanenze Le rimanenze possono essere iscritte in Bilancio quando ci si aspetta che generino benefici

economici futuri e il costo può essere valutato attendibilmente. I lavori in corso su commessa saranno rilevati nel momento in cui il contratto sarà perfezionato.

La valutazione iniziale delle rimanenze viene effettuata tramite il costo e, dopo la loro contabilizzazione , la valutazione risulta essere al minore tra il costo e il valore netto di realizzo. Sono inclusi nei costi di acquisto i dazi e le altre tasse, i costi di trasporto, di assicurazione e tutti quei costi direttamente collegabili all’acquisto; non rientrano invece, le differenze di cambio. Il costo del bene è identificato nell’ordine d’acquisto.

La scelta del criterio di valutazione è legata alle caratteristiche dell’impresa stessa. I metodi di determinazione del costo utilizzabili sono:

- il metodo del FIFO; - il metodo del costo medio ponderato. Se l’impresa decide di utilizzare un metodo rispetto all’altro, deve impiegare lo stesso criterio

per tutte le rimanenze che hanno natura o uso simile nell’impresa.

Esempio L’azienda vende due prodotti la cui produzione e vendita avviene in Paesi differenti (Francia,

Cina e Stati Uniti). La società dovrà utilizzare per lo stesso prodotto gli stessi criteri in ogni nazione.

Prodotto Francia Cina Stati Uniti A FIFO FIFO FIFO

B costo medio ponderato costo medio ponderato costo medio ponderato

I criteri di valutazione dei crediti I crediti sono inizialmente rilevati al fair value del corrispettivo da ricevere. I crediti a breve, per

i quali non è stato concordato un interesse, sono valutati al valore nominale indicato nel documento contabile, mentre per i crediti a lungo, si utilizza il fair value attraverso l’attualizzazione dei futuri flussi si cassa.

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Esempio L’impresa A presta 100.000 Euro all’impresa B. Il prestito ha una durata di 5 anni su cui

maturano interessi del 5% annuo. Se l’impresa B si fosse rivolta a una banca per lo stesso capitale avrebbe dovuto pagare un tasso d’interesse del 10%. Il fair value del prestito, calcolato come valore attuale netto dei pagamenti di interessi e rimborso del capitale, attualizzato al 10% è di 81.050 Euro.

Il prestito a basso tasso di interesse verrà così contabilizzato: - l’impresa A contabilizza il prestito a euro 81.050; - la differenza tra il valore nominale e il fair value è imputata a conto economico in qualità di

perdita sulla concessione del prestito; - rappresenta per A il costo sostenuto; - sul credito matura un interesse al tasso effettivo del 10% che dovrà essere rettificato alla fine

del quinto anno sul suo valore nominale. Lo IAS 39 stabilisce i criteri di valutazione dei crediti commerciali; la valutazione iniziale è

quella al fair value e quella successiva al costo ammortizzato e, il metodo di calcolo è quello del tasso di interesse effettivo (sono esclusi i crediti a breve per i quali non vi è un tasso di interesse prestabilito).

I criteri di valutazione delle partecipazioni Le partecipazioni sono valutate in modo differente a seconda che siano rappresentate nel

Bilancio consolidato o in quello della capogruppo. In termini generali, lo IAS 27 regolamenta le partecipazioni valutate al costo mentre, nel caso la valutazione avvenga al fair value, lo IAS di riferimento risulta essere lo IAS 39.

- Le Passività I requisiti generali per l’iscrizione di passività in Bilancio sono i seguenti: - esistenza di un’obbligazione attuale, legale o implicita; - probabilità dell’esborso; - attendibile valutazione. Una Passività è, pertanto, rilevata nello Stato patrimoniale quando è probabile che l’esborso di

denaro o di risorse che incorporano benefici economici sarà la conseguenza dell’estinzione di un’obbligazione attuale e, al tempo stesso, quando l’importo in base al quale avverrà l’estinzione dell’obbligazione stessa può essere determinato in maniera attendibile.

Per quanto riguarda il Fondo Trattamento di Fine Rapporto (TFR), a esempio, che non trova istituti equivalenti in altri Paesi, non può essere calcolato con il “metodo italiano”, in quanto la corresponsione della relativa indennità è un beneficio a lungo termine successivo alla fine del rapporto di lavoro. Deve, dunque, essere effettuato, per ciascun dipendente, il ricalcalo del valore attuale finanziario – attuariale della passività con il metodo “di proiezione del credito unitario”, previsto dallo IAS 19. Nel dettaglio, lo IAS 19 distingue i benefici per i dipendenti in:

- “benefici a breve termine, dovuti interamente entro 12 mesi dal termine dell’esercizio nel quale i dipendenti hanno prestato la relativa attività lavorativa (a esempio, salari, stipendi, ferie maturate, bonus e mensilità aggiuntive);

- benefici successivi al rapporto di lavoro, dovuti dopo la cessazione del rapporto di lavoro (a esempio, fondi specifici);

- altri benefici a lungo termine, che includono, per esempio, assenze a lungo termine retribuite per permessi legati all’anzianità di servizio o disponibilità per periodi sabbatici;

- benefici dovuti per la cessazione del rapporto di lavoro, ossia accordi formalizzati, in base ai quali l’impresa fornisce, a uno o più dipendenti, benefici successivi alla fine del rapporto di lavoro;

- benefici retributivi con pagamenti basati su azioni (a esempio, stock option)”. L’International Financial Reporting Interpretation Committee (IFRIC) ha stabilito che il TFR è

assimilabile a un “beneficio successivo al rapporto di lavoro”, il cui ammontare già maturato deve

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essere proiettato al futuro per stimare l’ammontare da pagare al momento della risoluzione del rapporto di lavoro e poi attualizzato, utilizzando il “projected unit credit method” per tener conto del tempo che trascorrerà prima dell’effettivo pagamento. Alla data di riferimento di Bilancio si contabilizza un’obbligazione di contenuto complesso, perché basata anche su piani di carriera, e da aspettative di aumenti di retribuzione, basati su prassi aziendali.

Se consideriamo l’iscrizione dei fondi in Bilancio, che secondo i principi contabili nazionali viene fatta in osservanza in particolare del principio della prudenza, deve rispettare i tre requisiti generali: il fondo non può essere iscritto se non esiste una obbligazione attuale, legale o implicita; pertanto, sulla base di quanto sopra enunciato, non potranno essere iscritti in Bilancio i fondi manutenzione e riparazione. Inoltre, per quanto riguarda l’importo, esso deve essere attualizzato, se l’effetto è significativo, a un tasso al lordo delle imposte che rifletta il rischio insito in quella passività. I fondi per rischi e oneri sono trattati nello IAS 37, “che utilizza il termine accantonamenti e non fondi. Quando un accantonamento comporta un’obbligazione attuale dell’impresa derivante da eventi passati, costituisce una passività. È il caso degli accantonamenti per pagamenti che devono essere effettuati in base a garanzie esistenti e accantonamenti per coprire indennità pensionistiche”.

In base allo IAS 37, “gli accantonamenti sono passività di ammontare o scadenza incerto che dovranno essere rilevati in bilancio alle seguenti condizioni:

- l’impresa ha un’obbligazione attuale, in corso alla data di riferimento del bilancio; - è probabile che per adempiere all’obbligazione si renderà necessario un impiego di risorse

economiche; - può essere effettuata una stima attendibile dell’importo necessario all’adempimento

dell’obbligazione”. Il principio contabile nazionale identifica i fondi oneri, destinati ad accogliere Passività certe

nell’an, ma incerte nel quantum, e i fondi rischi, relativi alle passività incerte nell’an e nel quantum; lo IAS 37, invece, non introduce differenze tra oneri e rischi, ma tra Passività probabili, a fronte delle quali si costituisce un accantonamento) e passività potenziali o possibili, che rientrano nella categoria delle Passività per le quali non si rileva alcun accantonamento. L’accantonamento, quindi, non può essere iscritto se non esiste un’obbligazione attuale alla data di riferimento del Bilancio. Pertanto, per esempio, i fondi per oneri “manutenzione ciclica” e “copertura perdite di società partecipate”, previsti dal Principio Contabile Nazionale 19, non sono iscrivibili in base ai principi contabili internazionali.

La metodologia di misurazione di un accantonamento non presenta sostanziali differenze tra il nostro ordinamento, i principi contabili nazionali e gli IAS: ci si affida a un processo di stima dell’obbligazione, attraverso la ponderazione delle probabilità dell’accadimento.

Sulla base dei requisiti generali di iscrizione di passività in Bilancio, quindi, le obbligazioni contrattuali che sono ugualmente e proporzionalmente non eseguite da alcuna della parti coinvolte non sono generalmente rilevate come passività in Bilancio. Ne sono un esempio le passività connesse a rimanenze ordinate, ma non ancora ricevute. Queste obbligazioni possono, tuttavia, soddisfare la definizione di passività e possono, quindi, qualificarsi per la rilevazione: in questo caso la rilevazione delle passività comporta anche la rilevazione delle connesse attività o dei costi sempre collegati. Prendendo, a esempio, le rimanenze ordinate, ma non ancora ricevute, queste saranno rilevate tra le Passività di Bilancio, se saranno soddisfatti i requisiti di attualità dell’obbligazione, probabilità dell’esborso e attendibilità della valutazione, ma saranno rilevati altresì i costi e le attività strettamente connessi.

4.2. La rilevazione dei Ricavi e dei Costi

- I Ricavi Gli aspetti contabili relativi ai ricavi sono trattati nei seguenti standards contabili internazionali: - IAS 18 (Ricavi);

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- IAS 16 (Immobili, impianti, macchinari); - IAS 38 (Attività immateriali); - IAS 39 (Strumenti finanziari); - IAS 40 (Investimenti immobiliari); - IAS 41 (Agricoltura). L’analisi è limitata al principio contabile IAS 18, il cui ambito di applicazione fa riferimento alle

vendite di beni prodotti o acquistati e alle prestazioni di servizi.

- Rilevazione dei ricavi delle vendite La contabilizzazione della vendita può essere effettuata quando si verificano le seguenti

condizioni: - l’impresa ha trasferito all’acquirente i rischi ed i benefici significativi correlati alla proprietà

del bene; - l’impresa non ha conservato né un coinvolgimento manageriale nella gestione del bene, né

l’effettivo controllo sul bene venduto; - l’ammontare dei ricavi può essere stimano attendibilmente; - è probabile che i benefici economici connessi all’operazione verranno conseguiti dall’impresa; - i costi sostenuti o da sostenere in relazione all’operazione possono essere misurati

attendibilmente. Il trasferimento all’acquirente dei rischi significativi e dei benefici connessi alla proprietà, nella

maggior parte dei casi coincide con il trasferimento della titolarità (es. vendite al dettaglio); in altri tale trasferimento avviene in un momento diverso. Nel caso in cui l’impresa mantiene soltanto un rischio insignificante connesso con proprietà, l’operazione di vendita è identificabile e quindi il ricavo deve essere contabilizzato. Se, viceversa, il rischio non è trasferito il ricavo non può essere contabilizzato. La valutazione dei ricavi deve essere fatta al fair value del corrispettivo ricevuto. Questo implica che deve essere tenuto conto di eventuali sconti commerciali o abbuoni concessi dall’impresa. Per esempio, nel caso di vendita con pagamento differito, il fair value deve essere determinato scontando tutte le future entrate (di natura finanziaria) utilizzando un tasso di interesse figurativo104.

La quota scorporata dal valore nominale del corrispettivo per ottenere il fair value viene rilevata come provento finanziario. Altra peculiarità connessa alla rilevazione dei ricavi è che i costi relativi alla stessa operazione devono essere contabilizzati simultaneamente.

Esempio: Vendita di beni per un totale di €. 10.000 (+ IVA 20%), con pagamento a 120 giorni. Viene

utilizzato un tasso di attualizzazione del 6%. Il credito deve essere attualizzato al tasso del 6% per i giorni di dilazione:

I proventi finanziari sono pari a: 12.000 – 11.767,87 = 232,13 I ricavi di vendita ammontano a: 11.767,87 – 2.000 = 9.767,87

104 Il tasso di interesse figurativo deve essere identificato fra: a) il tasso prevalente per uno strumento simile di un emittente con situazione finanziaria simile; o b) un tasso di interesse che sconti il valore nominale dello strumento al prezzo di vendita corrente per pagamento in contanti delle merci o dei servizi.

87,767.11)

365120*06,01(

000.12 =+

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- Rilevazione delle prestazioni di servizi La contabilizzazione dei ricavi derivanti da servizi è legata allo stadio di avanzamento alla data

del Bilancio. Le condizioni per la contabilizzazione sono le seguenti: - l’ammontare del ricavo può essere stimato attendibilmente; generalmente un’impresa dopo gli

accordi contrattuali è in grado di fare stime attendibili sui diritti che ciascuna parte può far valere relativamente al servizio che deve essere prestato o ricevuto dalle controparti, sul corrispettivo dell’operazione e sui modi e termini dell’adempimento;

- è probabile che i benefici economici connessi all’operazione saranno conseguiti dall’impresa; - lo stadio di completamento può essere valutato in modo attendibile; i relativi ricavi vanno

infatti rilevati con riferimento allo stadio di completamento alla data di chiusura del Bilancio utilizzando il cosiddetto metodo della percentuale di completamento.

- i costi necessari per completare l’operazione possono essere valutati attendibilmente. Il riferimento allo stadio di completamento è spesso coincidente con il metodo della percentuale

di completamento per la rilevazione dei ricavi derivanti da prestazioni di servizi. La determinazione dello stadio di completamento può avvenire utilizzando uno dei seguenti metodi:

- valutazioni del lavoro svolto; - percentuale dei servizi resi sul totale dei servizi che devono essere resi; - proporzione tra i costi sostenuti effettivamente ed i costi totali dell’operazione stimati.

Rilevazione dei ricavi: normativa italiana e principi contabili internazionali a confronto Normativa Italiana Principi Internazionali

Valutazione - secondo prudenza - fair value

Competenza del ricavo

- completamento del processo produttivo

- passaggio del titolo di proprietà (scambio avvenuto)

Ricavi delle vendite:

- L’impresa ha trasferito all’acquirente i rischi ed i benefici significativi correlati alla proprietà del bene

- L’impresa non ha conservato né un coinvolgimento manageriale nella gestione del bene, né l’effettivo controllo sul bene venduto

- L’ammontare dei ricavi può essere stimato attendibilmente

- È probabile che i benefici economici connessi all’operazione verranno conseguiti dall’impresa

- I costi sostenuti o da sostenere in relazione all’operazione possono essere misurati attendibilmente

Competenza dei costi (connessi ai

ricavi)

- Relazione causa effetto tra ricavi e costi

- Effettivo consumo del costo, ossia ripartizione temporale dell’utilità del fattore produttivo

- Simultaneamente a quella dei ricavi di vendita

- I Costi Il quadro sistematico (Framework) dei Principi Contabili Internazionali nei paragrafi dal numero

94 al numero 98 precisa quando si possono rilevare i costi sostenuti dall’impresa. Precedentemente nei paragrafi dal numero 78 al numero 80 il Quadro sistematico ha definito il

concetto di costo; in tale concetto si possono distinguere i costi, sostenuti dall’impresa nello “svolgimento dell’attività ordinaria”(Framework, paragrafo 78), ne sono esempio sia “il costo del venduto, gli stipendi e gli ammortamenti”(Framework, paragrafo 78) e gli oneri, che sono elementi aventi le caratteristiche di costo e perciò non vengono considerati all’interno del Framework come

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“elemento distinto dai costi”(Framework, paragrafo 79), sia i maggiori oneri “derivanti da effetti di incremento nel tasso di cambio di una valuta estera in relazione ai finanziamenti”(Framework, paragrafo 80) in valuta di una impresa.

I costi vengono rilevati in conto economico quando: - sia ha un decremento dei benefici economici futuri da cui scaturisce un decremento di attività o

un aumento delle passività; - vi è correlazione tra i ricavi conseguiti e i costi sostenuti per l’ottenimento di quei ricavi; - non producono alcun beneficio economico futuro oppure quando i benefici economici futuri

cessano e di conseguenza, non risultano più nello stato patrimoniale come attività; - si ha la rilevazione di una passività senza la contabilizzazione di attività. Con beneficio economico all’interno del Quadro sistematico dei Principi Contabili Internazionali

si intende il potenziale contributo, diretto od indiretto, ai flussi finanziari e mezzi equivalenti che affluiranno all’impresa; una impresa, perciò, se rileva una diminuzione del valore di un bene iscritto tra le attività oppure registra un aumento del valore di una passività, dovrà procedere alla rilevazione del collegato costo.

Nello svolgimento della sua attività economica esempio tipico della rilevazione di riduzione di valore di un bene iscritto nell’attivo di Stato Patrimoniale è l’ammortamento.

L’ammortamento è una procedura tecnico – contabile attraverso la quale il valore di una attività a fecondità ripetuta viene ripartito in base a un criterio sistematico durante la sua vita utile. Il criterio però utilizzato per questa ripartizione deve riflettere le modalità con le quali si suppone che i benefici economici futuri del bene siano utilizzati dall’entità”(IAS, par. 60).

Parimenti si dovrà procedere alla rilevazione del costo collegato all’incremento del valore dell’obbligazione attuale dell’impresa derivante da eventi passati, cioè di una passività; ne sono esempio i benefici per i dipendenti, previsti dalla IAS 19. Su questo Principio vi è attualmente un forte dibattito a livello nazionale, incentrato sulle modalità da utilizzare per rilevare il trattamento di fine rapporto, che rappresenta una fattispecie tipica italiana.

I costi, da un punto di vista di normativa civile, devono essere correlati con i ricavi di competenza di un determinato esercizio. I costi, infatti, rappresentano “la remunerazione di fattori produttivi” e “sono di competenza del periodo amministrativo nel quale i medesimi (…) sono stati utilizzati per conseguire i ricavi”105.

La correlazione tra ricavi e costi può essere attuata: - “per associazione di causa ed effetto (ad esempio, provvigioni a fronte di determinate vendite)

o sulla base di assunzioni del flusso di costi (ad esempio, criteri per la valutazione del magazzino);

- per ripartizione dell’utilità pluriennale su base sistematica (ad esempio, ammortamento)”106. Considerando invece il reddito, secondo il principio di competenza esso viene a formarsi nel

momento della realizzazione dei fatti amministrativi che è cosa del tutto distinta, anche se connessa, dal verificarsi dell’incasso o del pagamento. Ne consegue, quindi, che occorre ricercare la corrispondenza tra i ricavi da una parte e i costi dall’altra, ossia, una volta determinati i ricavi di un esercizio, contrapporre a questi tutti i costi correlati. Per fare ciò, bisogna individuare le regole per determinare il momento in cui sono conseguiti i ricavi e sostenute le spese.

Per i beni mobili, i corrispettivi si reputano conseguiti e i costi sostenuti alla consegna o alla spedizione; pertanto, è rilevante il momento in cui l’acquirente entra nell’effettiva disponibilità dei beni.

Per i beni immobili e per le aziende i ricavi si reputano conseguiti e i costi sostenuti al momento della stipulazione dell’atto di trasferimento della proprietà a meno che non sia previsto che il trasferimento della proprietà si abbia in un momento diverso.

105 Sull’argomento rinviamo a F. DEZZANI, P. PISONI, L. PUDDU (2001). 106 Cfr. F. DEZZANI, P. PISONI, L. PUDDU (2001).

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Per le prestazioni di servizio in generale, i ricavi si reputano conseguiti e i costi sostenuti quando le prestazioni sono ultimate.

Per i contratti dai quali conseguono corrispettivi periodici (ad es. somministrazione di energia, gas, etc.) alla scadenza delle singole forniture.

Si deve, inoltre, procedere alla rilevazione in conto economico di tutti quei costi che non producono benefici futuri, cioè tutti quei costi legati all’acquisizione di fattori produttivi a fecondità semplice.

Per lo IAS 1 le voci di costo possono essere classificate in base alla “natura degli stessi” o in base alla “loro destinazione all’interno dell’entità” (IAS 16, par. 60).

Se i benefici economici futuri vengono meno, in parte o totalmente, tale decremento deve essere contabilizzato come costo di competenza dell’esercizio in cui si sono verificate le cause.

Lo IAS 38 ha previsto la possibilità di iscrivere tra le Attività le immobilizzazioni immateriali aventi vita utile indeterminata, esempio tipico l’avviamento, per le quali si dovrà procedere annualmente alla verifica del mantenimento del valore attraverso un controllo definito come impairment test, attuando cioè un confronto tra valore contabile e valore corrente. Nel caso in cui il valore corrente risulti essere inferiore al valore contabile, la differenza, che costituisce una perdita di valore, ovvero la diminuzione di un beneficio economico futuro, deve essere rilevata nel Conto economico come un Costo.

Si deve infine rilevare in Conto economico il sorgere di un Costo nel caso in cui si dovrà sostenere una Passività, il cui ammontare, ancorché non sia determinato ma sia solo stimabile, poiché l’impostazione del Framework prevede che una Passività sia definita come “una obbligazione attuale dell’impresa derivante da eventi passati” (Framework, paragrafo 49).

“Quando un accantonamento comporta una obbligazione attuale e soddisfa il resto della definizione, costituisce una passività anche se l’importo deve essere stimato. È il caso, per esempio, degli accantonamenti per pagamenti che devono essere effettuati in base a garanzie esistenti”107.

Lo IAS 37 introduce il concetto di “passività probabili” e passività potenziali; ma solamente per la prima tipologia di passività prevede la rilevazione di un accantonamento108.

“L’accantonamento è una passività di scadenza e ammontare incerti” (IAS 37, par. 10), che deve essere contabilizzato in Bilancio quando:

- “l’impresa ha una obbligazione attuale, quale risultato di un evento passato; - è probabile che sarà necessario l’impiego di risorse (…) per adempiere all’obbligazione; - può essere effettuata una stima attendibile dell’obbligazione”(IAS 37, par. 14).

5. – RIFLESSIONI DI SINTESI

Il Framework dei principi contabili internazionali non è un principio contabile, ma semplicemente un quadro di riferimento che detta le linee guida e le definizioni necessarie ad interpretare ed applicare i principi contabili IAS/IFRS.

Esso è diviso sostanzialmente in quattro parti; nel presente lavoro sono stati analizzati i punti 68-98 del Framework concernenti la definizione, la contabilizzazione e la valutazione degli elementi che costituiscono i prospetti contabili. Gli elementi in oggetto sono i seguenti:

- Attività; - Passività; - Patrimonio netto; - Ricavi; - Costi.

107 OIC (2005). 108 Sul contenuto dello IAS 37 occorre, tuttavia, tenere presente che è in corso un processo di revisione.

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La misurazione degli elementi di Bilancio deve essere effettuata selezionando il criterio di valutazione, o la combinazione di essi, più adatto. Tali criteri, come riportato dal Framework, possono essere:

- costo storico: le Attività sono iscritte all’importo monetario (o suo equivalente) pagato o al fair value del corrispettivo versato per l’acquisizione delle attività; le Passività sono valutate al valore del corrispettivo ricevuto in cambio dell’obbligazione, o a quello del denaro (o suo equivalente) che ci si attende di dover versare per estinguere l’obbligazione stessa;

- costo corrente: le Attività sono valutate all’importo di denaro (o suo equivalente) che dovrebbe essere pagato se la stessa attività o un’altra equivalente fosse acquistata al momento attuale; le Passività sono valutate all’ammontare di denaro necessario per estinguere l’obbligazione al momento attuale;

- valore di realizzo: le Attività sono iscritte al valore del denaro (o suo equivalente) che si potrebbe ottenere dalla vendita dell’attività stessa; le Passività sono iscritte al valore del denaro (o suo equivalente) che si suppone debba essere pagato per estinguere le passività nel normale svolgimento dell’attività;

- valore attuale: le Attività sono valutate al valore attuale dei futuri flussi di cassa in entrata che si prevede che l’elemento possa generare nel normale svolgimento dell’attività; le Passività sono valutate al valore attuale dei futuri flussi di cassa in uscita che si prevede siano necessari per estinguere le passività nel normale svolgimento dell’attività.

Nella legislazione italiana e nei principi contabili nazionali non esiste un documento assimilabile al Framework a livello di contenuti e linee guida. Alcune linee guida, che per i princ ipi contabili internazionali sono presenti nel Framework, a livello di principi nazionali sono contenute nello stesso Codice Civile. Non esiste, tuttavia, alcuna fonte ufficiale che definisca i concetti di Attività, Passività, Patrimonio Netto, Costi e Ricavi; ciononostante la dottrina e la prassi utilizzano concetti simili a quelli delineati nel Framework.

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CAPITOLO IV

DEFINIZIONE E RILEVAZIONE DEGLI ELEMENTI PATRIMONIALI DEL BILANCIO

SOMMARIO: 1. Le indicazioni del Framework in merito alla rappresentazione della situazione patrimoniale; 2. – La rilevazione degli elementi patrimoniali di Bilancio; 2.1. – Lo Stato patrimoniale Attivo; 2.2. – Lo Stato patrimoniale Passivo; 2.3. – Il Patrimonio netto; 3. – Il Prospetto delle variazioni di Patrimonio netto; 4. – La rivalutazione e la svalutazione degli elementi patrimoniali; 5. – La presentazione del Bilancio; 6. – Il rendiconto finanziario e la variazione della struttura finanziaria dell’impresa..

1. – LE INDICAZIONI DEL FRAMEWORK IN MERITO ALLA RAPPRESENTAZIONE DELLA SITUAZIONE PARTIMONIALE109

Le indicazioni del framework in merito alla rappresentazione della situazione patrimoniale, si fondano sul principio della convergenza di tutte le Attività di costruzione del Bilancio alla determinazione dell’effettivo valore del patrimonio al momento della redazione. Questa indicazione di effettività apre una precisa questione in merito alla dicotomia tra criteri che identificano l’evoluzione storico contabile del patrimonio e quelli che invece sono indirizzati alla rilevazione originaria dell’effettivo valore finanziario della situazione patrimoniale. Conseguentemente, la concezione del bilancio che emerge dall’impostazione IAS varia profondamente le condizioni create dal disegno prudente, garantista e formale del legislatore del Codice.

L’impostazione a cui rinviano gli IAS, rivaluta la dinamica della patrimonialità nella dimensione temporale della redazione del documento di bilancio e quindi, sotto il profilo contestuale, dell’attimo in cui si svolge la valutazione, a riscontro di una accresciuta attenzione per il rapporto che influenza reciprocamente il patrimonio e la gestione.

La lettura dell’attivo patrimoniale secondo il disegno IAS, che trova nel meccanismo dell’impairment test e nelle precise prescrizioni per l’appostazione delle risorse immateriali le più significative novità rispetto al modello conosciuto, risulta essere maggiormente orientata verso una interpretazione finanziaria del complesso delle risorse aziendali, nella prospettiva di far apprezzare al lettore, il grado di effettiva fruibilità delle risorse da destinare alle finalità aziendali.

In tal senso è certamente da sottolineare che questa impostazione dimostra proprio nei tratti legati alla rappresentazione delle sostanze patrimoniali, il suo solido radicamento nella cultura economico contabile anglo-americana, dove l’estrema attenzione per la componente finanziaria alimenta il processo di condivisione capitalistica delle finalità d’impresa, attraverso il meccanismo della partecipazione al capitale stesso. Così tale prospettiva rispetto al modello sperimentato in Italia sposta, come già accennato, il baricentro delle attività di redazione del bilancio, dalla dimensione strettamente legalista ad una che antepone gli interessi del mercato dei capitali, con il proprio correlato di esigenze di attendibilità dei processi di accountability, e che sostituisca alla

109 Il presente capitolo è stato redatto dai componenti il gruppo di studio coordinato da Margherita Poselli (Università degli Studi di Catania, Facoltà di Economia). Anche se il presente contributo costituisce il frutto di riflessioni ed opinioni condivise all’interno del gruppo di studio che ha condotto le analisi sul Framework (paragrafi 15, 16, 18, 19, 51, 65-68, 77, 81, 82, 91, 96-101) occorre precisare che il Dott. Pier Luigi Catalfo ha redatto i paragrafi 1 e 2.1; il Dott. Giuseppe Davide Caruso il paragrafo 2; il Dott. Giuseppe Di Dio i paragrafi 2.2 e 2.3 e la parte relativa alla variazione della struttura finanziaria dell’impresa del paragrafo 6; la Dott.ssa Silvia Molina il paragrafo 3 e la parte relativa al rendiconto finanziario del paragrafo 6; la Dott.ssa Elena Cardillo il paragrafo 4; la Dott.ssa Elisa Rita Ferrari il paragrafo 5.

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dimensione della dogmaticità normativa, tecniche contabili e criteri di valutazione che garantiscano i terzi e il loro affidamento.

Passare dalla visone normativo formale a quella sostanziale e temporalmente contestualizzata suggerita dagli IAS, implica una maggiore attenzione alle questioni tecniche relative alle stime e alle procedure contabili, ed uno spostamento netto del fondamento delle prassi costitutive del Bilancio, dall’ambito giuridico garantista a quello economico finanziario.

In questo quadro si può certamente intravedere la complessità e l’incertezza del periodo di transizione che dovrà trovare negli sforzi di dinamismo interpretativo delle imprese, dei tecnici che redigeranno i Bilanci, di quanti cominceranno ad adoperare quel grado maggiore di discrezionalità insita nel modello IAS e, compagine non marginale, della magistratura che dovrà svolgere nelle delicate controversie che si proporranno il ruolo di snodo operativo capace di realizzare, senza impoverimenti della portata culturale dell’impostazione IAS, il cambiamento.

2. - LA RILEVAZIONE DEGLI ELEMENTI PATRIMONIALI DI BILANCIO

Il Framework dedica una sezione (punti da 82 a 91) all’iscrizione delle poste patrimoniali in bilancio, chiarendo dapprima il concetto di “iscrizione”, valido tanto per gli aspetti patrimoniali quanto per quelli reddituali, ed evidenziando poi le condizioni che devono ricorrere affinché si possa procedere all’inserimento delle poste in uno dei due prospetti fondamentali di Bilancio. Tali requisiti, tuttavia, costituiscono non soltanto condizioni fondamentali minime per l’iscrizione in bilancio, ma anche caratteristiche la ricorrenza delle quali fa insorgere in capo al redattore del bilancio un preciso “obbligo” di inserimento di tali poste nello stato patrimoniale o nel conto economico: ciò si evince dalla sancita insanabilità di una eventuale mancata loro iscrizione in bilancio, anche qualora la tecnica contabile adottata suggerisse soluzioni alternative, ovvero anche nel caso in cui tale mancata iscrizione venisse motivata nelle note al bilancio o in altri prospetti.

La tassatività ed esaustività delle condizioni previste nel Framework (probabilità di futuri benefici economici e attendibilità della valutazione) ai fini dell’iscrizione in Bilancio comporta rilevanti conseguenze, specie nel primo anno di applicazione dei principi contabili internazionali, poiché sarà possibile iscrivere solo e soltanto le poste che soddisfino entrambe le citate condizioni. Sarà quindi necessario procedere, da un lato, alla rilevazione di tutte le attività e passività la cui iscrizione è richiesta dagli IAS/IFRS, stornando, al tempo stesso, quegli elementi patrimoniali per i quali non ricorrono i menzionati requisiti e che, pertanto, non sono iscrivibili.

- La probabilità di futuri benefici economici Secondo il Framework (e nel pieno rispetto del principio della prudenza), possono essere iscritte

in bilancio solo quelle poste per le qua li, sulla base delle informazioni disponibili al momento della predisposizione del bilancio, sia possibile prevedere un probabile futuro beneficio economico che affluisca all’impresa o defluisca dalla stessa. Ciò implica la necessità di un processo di valutazione del grado di incertezza in capo a ciascuna operazione aziendale. Tale prima condizione per l’iscrizione delle poste in bilancio viene ripetutamente ribadita nei singoli IAS/IFRS, ove peraltro si esplicita anche la necessità del cennato processo di valutazione del grado di incertezza. A titolo meramente esemplificativo, lo IAS 40 sugli investimenti immobiliari specifica che un’attività immobiliare si contabilizza tra le attività quando è probabile che l’impresa otterrà i futuri benefici economici associati a tale attività e il costo può essere misurato in modo affidabile. La valutazione delle condizioni interne ed esterne all’azienda, finalizzata all’individuazione dell’esatto momento in cui la possibilità che vi sia un futuro beneficio economico si trasformi in probabilità che ciò avvenga, diventa allora un momento focale e assolutamente centrale dell’intero processo di strutturazione dell’architettura contabile, di cui la predisposizione del bilancio rappresenta il terminale di maggiore evidenza esterna.

In soccorso al redattore del bilanc io, tuttavia, giunge lo stesso Framework nel punto in cui - chiarendo con un esempio il concetto di probabilità di futuri benefici economici - specifica che

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“quando per esempio è probabile che un credito commerciale sarà regolarmente pagato, se non sussistono elementi che provano il contrario, è corretto iscrivere tale credito tra le attività”. L’esemplificazione contiene un inciso il cui impatto è rilevantissimo in termini sostanziali. Riportando il concetto a livello generale, si può infatti affermare che il Framework consente di classificare un futuro beneficio economico come probabile non se vi siano fondati motivi per ritenere che lo sia, ma anche solo se non vi sono elementi che suggeriscano che sia vero il contrario. In sostanza, ad ogni posta può essere collegato un probabile futuro beneficio economico, a meno che non si dimostri il contrario. È di tutta evidenza come tale impostazione consenta una più agevole dimostrazione della probabilità del verificarsi del futuro beneficio economico, in quanto in tale categoria possono essere ricompresi anche tutti gli eventi non improbabili, rendendo pertanto più ampio il numero di poste considerate iscrivibili in bilancio.

- L’attendibilità della valutazione Il concetto di attendibilità della valutazione - seconda condizione richiesta dal Framework

affinché una posta possa (e debba) essere iscritta in bilancio - è riconducibile al problema della corretta determinazione del valore da attribuire alla posta in questione.

Il Framework indica nell’“uso di ragionevoli stime” il criterio cui rifarsi per determinare l’attendibilità o meno del valore, chiarendo altresì che una eventuale inattendibilità comporta, come già prima evidenziato, l’impossibilità dell’iscrizione della posta in bilancio. Occorre allora che il quantum sia non solo determinabile, ma attendibilmente determinabile, il che sposta l’attenzione sulla congruità del criterio di valutazione scelto rispetto all’evento aziendale verificatosi. L’utilizzo di un criterio valido ma che conduca a stime inattendibili, in quanto inadeguato a ben rappresentare gli effetti generati dall’evento, comporterebbe, infatti, l’esclusione dell’elemento patrimoniale così valutato (e del correlato effetto economico) dai prospetti di bilancio.

Appare evidente come tale previsione sia in perfetta linea con il principio sovraordinato della true and fair view (il cui valore assoluto è ulteriormente ribadito dal Framework al paragrafo 46), ma anche con il nuovo principio della prevalenza della sostanza sulla forma.

In ossequio al primo, infatti, la scelta di un criterio formalmente valido ma conducente a valori non rappresentativi dell’effettività dei fatti aziendali non sarà - di fatto - consentito; nel rispetto del secondo, invece, il Framework specifica che una posta il cui valore non sia determinabile in modo attendibile, pur non potendo essere iscritta in bilancio, potrà (rectius: dovrà) essere menzionata nelle note al bilancio o in altri prospetti, se - e solo se - la conoscenza dell’esistenza di tale voce fosse considerata “significativa per una corretta valutazione della situazione patrimoniale, del conto economico e delle variazioni nella struttura finanziaria dell’impresa” (paragrafo 88).

Queste ultime considerazioni sono ulteriormente suffragate dai paragrafi 31-38 del Framework stesso, che, avvertendo l’esistenza di un raccordo tra il concetto di attendibilità e quello di significatività, collega il primo a quelli di rappresentazione fedele, prevalenza della sostanza sulla forma, neutralità, prudenza e completezza.

- Iscrizione delle attività e delle passività I punti 89-91 del Framework rinforzano i concetti esposti nei punti precedenti, applicando i due

criteri per l’iscrizione in bilancio rispettivamente alle attività (paragrafi 89-90) e alle passività (paragrafo 91). Viene pertanto ribadita la necessità, ai fini della suddetta iscrizione, della probabile affluenza (per le attività, defluenza per le passività) di un futuro beneficio economico e della attendibilità della sua quantificazione in termini di valore.

Tali punti riprendono inoltre altri due concetti già espressi in termini generali nei punti precedenti, vale a dire:

1. l’automaticità del meccanismo per cui se un’attività possiede le condizioni per l’iscrizione in bilancio, allora anche un altro elemento (ricavo o passività) li possiede, così come se una passività possiede tali requisiti, allora anche il correlato costo (o la correlata attività) li possiede;

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2. la mancanza di un sufficiente grado di probabilità di affluenza (defluenza) del beneficio economico, ovvero la mancanza di attendibilità della valutazione, non implica una impossibilità sine die di iscrizione in bilancio, in quanto il verificarsi di fatti o circostanze che eliminino la causa ostativa determina l’iscrivibilità della posta nel bilancio successivo.

2.1. - Lo Stato patrimoniale Attivo

La distinzione che regge la struttura dello stato patrimoniale attivo nel modello descritto dagli IAS è quella fra poste correnti e non correnti. Tuttavia l’esame delle caratteristiche che descrivono le attività di stato patrimoniale ha bisogno di una necessaria premessa che collochi adeguatamente le indicazioni specifiche fornite in tal senso dai paragrafi 53-56 del Framework IAS. In questo senso innanzi tutto, una specifica enfasi sembra essere stata posta, nel disegno IAS, alla dimensione temporale, nella quale vanno osservati i fatti di gestione che modificano le sostanze aziendali. Viene suggerita cioè una concezione dell’attivo patrimoniale inserita in modello che sembra privilegiare una attenta lettura del valore e della gestione delle risorse, resa secondo l’assioma: misura del valore monetario delle risorse in funzione del tempo.

In sintesi potremmo dire che il criterio ordinatore dell’impostazione finanziaria del bilancio, e quindi nello specifico della poste dell’attivo patrimoniale, è quello che lega la posta da iscrivere in bilancio al suo appartenere ad una situazione contingente, per la quale possa essere corrente o non corrente, laddove poi nel primo caso valga la correlazione della posta al criterio della liquidità (meglio utilizzabile dalle imprese più tipicamente correlate alla natura finanziaria, come le imprese bancarie, le società finanziarie ed assicurative) o al ciclo dell’operatività aziendale che meglio rappresenta l’attività industriale.

Tale impostazione del criterio ordinatore, in altro modo, può così essere rappresentata:

In generale, quindi, l’impostazione suggerita dagli IAS sembrerebbe privilegiare una lettura dei processi di gestione delle risorse nella prospettiva del risultato finanziario, stabilendo innanzi tutto il significato di valore corrente quale valore monetario presente, contingente rispetto alle esigenze di impiego produttivo delle risorse al momento della redazione del bilancio e quindi la liquidità come criterio minimo comune che sorregge le logiche di rappresentazione del patrimonio. La conseguenza che ne discende è che, in effetti, la liquidità diventa il criterio interno per la rappresentazione delle attività correnti e non correnti, proprio perché la contingenza monetaria è la misura del grado di disponibilità delle risorse ad essere impiegate utilmente in termini finanziari nel processo produttivo dell’azienda.

Seguendo un ragionamento di ricostruzione generale dei presupposti relativi agli elementi di stato patrimoniale, in termini istitutivi il paragrafo 49 del Framework definisce il concetto di attività affermando che esse “sono risorse controllate dall’impresa, risultato di operazioni svolte in passato,

CRITERIO FINANZIARIO ORDINATORE DELLE POSTE DELL’ATTIVO

Posta corrente Posta non corrente

Criterio della liquidità Criterio dell’appartenenza al ciclo operativo

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dalle quali sono attesi futuri benefici economici per l’impresa”. Il concetto di Attività viene quindi ancorato all’esistenza della reale prospettiva di conseguire un beneficio in una dimensione nella quale esso sia chiaramente atteso e cioè che sia fortemente probabile.

Intercettando implicitamente il concetto di posta dell’attivo da ricondurre temporalmente, nel suo valore, alle operazioni produttive e quindi indicando la separazione temporale della parte corrente da quella non corrente, lo schema IAS afferma la centralità della logica finanziaria del criterio di liquidità, e nel paragrafo 54 crea il nesso di causalità tra il processo di impiego delle risorse secondo le finalità dell’impresa e il processo di collocamento nel mercato dei risultati dell’attività produttiva, individuando in tale nesso l’origine per l’impresa dei flussi finanziari in entrata che a loro volta finanzieranno la nuova gestione di risorse ed attività.

La specificazione del disegno IAS per l’attivo patrimoniale non si è sottratta alla esigenza di rappresentare la diversa natura fisica delle risorse che dotano l’impresa, costruendo la dicotomia tra le risorse fisicamente evidenti e tangibili e quelle invece di carattere intangibile. Tale impostazione non aggiunge nulla di nuovo rispetto all’assetto conosciuto attraverso il nostro legislatore ed il complesso delle prescrizioni operate dai principi contabili, fatte salve le ovvie specificità in tema di iscrizione delle poste relative all’intangible asset previste dallo IAS 38. L’affermazione della non essenzialità della dimensione materiale dei beni correlabili alle poste di attivo di stato patrimoniale discende dai paragrafi 56-57 che prendono in considerazione la modalità di acquisizione del bene come momento originario a base della posta dell’attivo di stato patrimoniale, correlando il concetto di acquisito con quello di controllo dei benefici che ne derivano.

Tale fattispecie si verifica in modo esplicito, secondo il tratto esemplificativo proposto dallo schema IAS, nell’acquisto degli immobili in leasing, beni che secondo questo principio sono iscrivibili fra le attività poiché è l’impresa che ne gestisce i benefici. La gestione dei benefici, quindi, è il criterio innovativo rispetto alla prassi italiana, in considerazione del fatto che, seguendo tali indicazioni, diventano iscrivibili nell’attivo di stato patrimoniale anche quelle attività i cui diritti - dai quali discendono per l’impresa le possibilità di controllo dei benefici generati - sono tutelati legittimamente a qualunque titolo.

In questa direzione che supera il nesso diritto riconosciuto-tutelato/iscrivibilità, il paragrafo 57 in modo esplicativo, propone il caso del know-how aziendale realizzato come risultato di ricerche condotte all’interno dell’azienda, quale attività che genera valore controllato dall’impresa attraverso il segreto e pertanto senza un classico sistema di tutela della privativa.

Gli scenari innovativi aperti dai paragrafi 56 e 57 costituiscono un sostanziale momento di cambiamento dell’accezione conosciuta per l’iscrizione di una posta nell’attivo di stato patrimoniale ed un grande riposizionamento delle esigenze di competenze tecniche che devono essere detenute dal redattore del bilancio. L’attività del redattore del bilancio diventa quindi frutto dell’esercizio di grandi capacità interpretative e di conoscenza della realtà aziendale.

Dato di assoluto rilievo, è l’esplicito richiamo (paragrafo 58) al fatto che le attività, sia pur nella ampiezza dei criteri di acquisizione, sono tali ed iscrivibili solo nel caso in cui siano risultato di operazioni o di altri eventi verificatisi nel passato. Ciò ovviamente rassicura il fruitore dell’informativa di bilancio dal rischio di non ritrovare fra le poste dell’ attivo valori corrispondenti a risorse e sostanze, ma intenzioni e previsioni sia pur specifiche ed identificabili.

In ultimo a chiudere il complessivo disegno del concetto di attività interviene il paragrafo 59 che divarica in modo preciso l’aspetto del sostenimento del costo, dall’aspetto dell’acquisizione del bene, sottolineando che le due specificità non devono necessariamente coesistere. In particolare ciò significa che il semplice fatto che l’impresa abbia sostenuto un costo non implica che il bene acquisito e quindi il suo valore, possano fare parte dell’attivo patrimoniale.

Il bene infatti potrebbe non essere in condizione di generare alcun beneficio economico futuro e quindi uscire comunque dal criterio di iscrivibilità previsto per le poste dell’attivo. Mentre, per converso, la mancanza della spesa e quindi dell’avvenuto sostenimento di un costo per l’acquisizione di un bene, può in generale verificare il caso dell’acquisizione ad altro titolo di un

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bene capace di generare utilità economiche nel futuro, come ad esempio nella fattispecie delle donazioni, e quindi essere iscritto all’attivo di Bilancio.

In definitiva, il quadro che restituisce dai fatti aziendali la possibilità di delineare una attività iscrivibile in bilancio può essere verificato come segue:

In altri termini quindi in funzione di una identificazione di titolarità correlata alla capacità di controllo e disposizione delle risorse, all’avvenuto e concluso processo di formazione della risorsa, che quindi deriva da una fatto passato, e alla precisa stima della probabilità che la risorsa possa generare, nelle condizioni di contesto in cui si trova l’azienda, benefici futuri si ricava la possibilità di iscrivere in bilancio la risorsa all’attivo di stato patrimoniale, nella sua rappresentazione finanziaria decritta dalla duplice dimensione monetaria e temporale.

2.2. - Lo Stato patrimoniale Passivo

Il Framework nel trattare le passività, nei paragrafi da 60 a 64, detta alcuni principi di riferimento finalizzati alla definizione della delle stesse. In particolare, il Framework cerca, attraverso un processo di ricostruzione concettuale, di delimitare i confini di tali elementi del bilancio, di individuarne le caratteristiche, di identificare le condizioni di esistenza affinché un elemento possa essere considerato una passività aziendale e dunque rappresentato in bilancio ad uso delle decisioni economiche dei vari stakeholder110.

Nella sua accezione più ampia (paragrafo 49) il Framework definisce le passività aziendali come delle obbligazioni attuali (present obligation) derivanti da eventi passati e il cui adempimento si suppone che si concretizzi nell’impiego di risorse atte a produrre benefici economici. La definizione riportata dal Framework attribuisce, nel suo valore positivo, una specifica evidenza ad una caratteristica ritenuta essenziale per l’identificazione delle passività aziendali e cioè l’esistenza di una obbligazione attuale, definita come il dovere o l’impegno di tenere un determinato comportamento. Per quanto concerne la natura dell’obbligazione, la stessa potrebbe essere di natura

110 Si precisa che per l’interpretazione dei punti analizzati del Framework si è proceduto ad uno studio sistemico di concetti che trovano una precisa interpretazione in vari documenti, in particolare: Paragrafi 60-64 del Framework , IAS 1, 8, 19, 32, 37, IFRS 1. Sulla nozione di Passività si tenga presente che il contenuto dello IAS 27 è tuttora oggetto di un processo di aggiornamento.

Possibilità di controllo della

risorsa

Completa genesi della risorsa nel

passato

Probabilità effettiva che nel

contesto aziendale la risorsa generi

Rappresentazione monetaria della risorsa secondo la

dimensione finanziaria (tempo

Posta dell’Attivo di Stato patrimoniale

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legale o di natura contrattuale ovvero trarre origine da normali prassi ed usi commerciali o dal desiderio di mantenere corretti comportamenti negli affari111.

L’elemento che caratterizza il processo cognitivo di rappresentazione strutturale delle diverse poste del bilancio è riferito all’esistenza di regole di corrispondenza, che sintetizzano la complessità degli accadimenti e dei comportamenti aziendali nei diversi elementi di struttura collocati in un sistema di correlazioni logiche e di “percorsi” interpretativi. Tali regole di corrispondenza si declinano nell’ambito delle passività di bilancio in una serie di nessi logici che portano all’identificazione delle diverse poste. Innanzitutto il Framework sottolinea che le passività aziendali derivano necessariamente da operazioni o da eventi passati (paragrafo 63), escludendo, dunque, dal novero delle fattispecie considerate, gli accadimenti futuri come possibili eventi che provocheranno obbligazioni in capo all’impresa. In altri termini, l’anticipazione di eventi o di operazioni di cui si presume una “ipotetica” verificazione nel futuro non dà origine a passività. L’evento passato deve comunque generare un adempimento “vincolante” che provochi, nel futuro, operazioni di impiego di risorse finalizzate a produrre benefici economici112.

Le due condizioni, adempimento “vincolante” e impiego di risorse, si devono verificare in modo concomitante: infatti, per l’azienda vi deve essere un vincolo formalizzato nell’assumere determinati comportamenti per il futuro, senza il quale non si genera un’obbligazione ma soltanto un “impegno informale”, che potrebbe essere completamente disatteso non provocando un’uscita di risorse da parte della azienda stessa. In merito alla seconda condizione il Framework richiede l’impiego di risorse per l’estinzione del vincolo adempimentale, risorse atte a produrre benefici economici. La mancanza di tale processo, pur in presenza di una obbligazione, genererebbe una operazione “neutrale” con riferimento alla dimensione economico – finanziaria presente e futura e pertanto non potrebbe essere annoverata fra le passività riportate nel Bilancio.

Con riferimento alle passività il Framework rafforza ancor di più la sua definizione (paragrafo 61) specificando che è opportuno operare una distinzione tra obbligazione attuale e impegno futuro, precisando, attraverso degli esempi, che quest’ultimo non costituisce un obbligo e quindi non soddisfa il requisito essenziale dell’adempimento vincolato, escludendo l’operazione dal novero delle Passività113.

Per l’adempimento di un’obbligazione attuale l’azienda rinuncia alla disponibilità di risorse fino a quel momento possedute dalla stessa. Nella prassi aziendale l’adempimento può avvenire con l’utilizzo di risorse finanziarie: con mezzi monetari o con la sostituzione di un’obbligazione con un’altra (mezzi finanziari); con il trasferimento di beni: merci, prodotti, o altri beni; con la fornitura di un servizio; con la trasformazione dell’obbligazione in patrimonio netto (ad esempio, le obbligazioni convertibili); con la rinuncia della controparte ai propri diritti (paragrafo 62).

111 A tal proposito lo IAS 37 a differenza dello nostra attuale disciplina contabile prevede che l’accantonamento non possa essere iscritto se non esiste un’obbligazione attuale. In tal senso alcuni Fondi previsti dal principio contabile nazionale n° 19: fondo manutenzione ciclica e il fondo copertura perdita società partecipate, non potranno più essere identificati come passività. 112 Il Framework inoltre porta degli esempi di eventi passati che generano delle obbligazioni (paragrafo 63): l’acquisto di beni o servizi dà origine a debiti commerciali se il pagamento non è contestuale o anticipato; gli sconti sulle quantità annuali vendute a certi clienti, in questo l’operazione da cui trae origine la passività è riferita alle vendite effettuate in passato. In merito a tali considerazioni il principio contabile OIC n° 19 “Il Fondo per rischi ed oneri – Il trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato – I debiti sottolinea al punto C.VI.g: Gli stanziamenti per rischi generici sono in contrasto con i postulati del bilancio d’esercizio in quanto non si riferiscono a situazioni e condizioni che alla data del bilancio hanno originato una passività effettiva o che hanno determinato a quella data il deterioramento o la perdita di un’Attività. A fronte di tali rischi possono però essere destinate apposite riserve di utili da costituirsi in sede di riparto degli utili e che vanno pertanto classificate tra le voci di patrimonio netto”. Per vincolante si intende un’obbligazione in cui è comunque previsto nel suo impianto adempimentale una situazione onerosa per l’azienda nelle possibili alternative di uscita. 113 Un impegno futuro potrebbe essere rappresentato da un accordo tra due parti in cui si identificano alcune intese progettuali comuni o linee di sviluppo, che comunque non hanno una specifica connotazione operativa ad adempiere ad alcuna attività comunemente condivisa.

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Tabella 1. - Strutturazione del processo cognitivo per l’identificazione delle Passività aziendali

DEFINIZIONE DI PASSIVITÀ Accezione Positiva Accezione Negativa

COSTITUISCONO PASSIVITÀ AZIENDALI

Le obbligazioni attuali generate da eventi passati che per essere estinte provocano l’impiego di risorse aziendali atte a produrre benefici futuri

NON COSTITUISCONO PASSIVITÀ AZIENDALI

Gli impegni futuri o ipotetiche obbligazioni generate da eventi futuri, ovvero obbligazioni che non prevedono l’impiego futuro di risorse per la loro estinzione.

Per quanto concerne le diverse tipologie di obbligazioni attuali esse si possono distinguere, in base alla loro origine, in due grandi macro classi: a) le obbligazioni legali; b) le obbligazioni implicite.

Le obbligazioni legali (legal obbligation) sono obbligazioni che vengono originate da un contratto, dalla normativa, o da altre disposizioni che hanno forza di legge. Le obbligazioni implicite (constructive obligation) invece traggono origine da azioni poste in essere dall’impresa o da comportamenti conclusivi in cui emerge:

- uno stato di assenso all’assunzione di responsabilità, derivante da un consolidato modello di prassi, da politiche aziendali manifeste o da un annuncio corrente sufficientemente specifico;

- una valida aspettativa dei terzi sugli impegni presi. Una importante precisazione contenuta nel Framework (paragrafo 64) fa riferimento ad una

visione allargata delle passività aziendali in relazione alla loro quantificazione monetaria (valore) che in alcune circostanze può richiedere l’utilizzo di stime, a differenza invece di alcuni Paesi che adottano una definizione ristretta di passività considerando solo le obbligazioni in cui l’importo può essere misurato senza il ricorso a stime. É chiaro che quest’importante precisazione ha un impatto diretto sugli elementi di struttura che costituiscono le passività, poiché amplifica la fattispecie considerata, includendo tutte le obbligazioni attuali che rispondano alle caratteriste suesposte e che vengono valutate attraverso il ricorso a processi estimativi.

A tal proposito risulta utile definire le diverse tipologie di passività aziendali che trovano uno specifico riconoscimento nella struttura del bilancio. Infatti dall’intersezione del criterio della probabilità, che fa riferimento all’incertezza nell’impiego delle risorse aziendali per l’estinzione di un’obbligazione, con il criterio dell’affidabilità, che fa invece riferimento alla quantificazione monetarie delle risorse impiegate, si identificano le diverse tipologie di passività aziendali:

- i debiti, rappresentano delle obbligazioni attuali con importi certi e con una scadenza determinata;

- i fondi, sono passività in cui esiste un adempimento vincolante provocato da un evento passato ma con scadenza e/o ammontare incerti;

- le passività accantonate (o stanziamenti per debiti presunti), sono delle obbligazioni da estinguere per beni e servizi che sono stati ricevuti o forniti ma non pagati, non fatturati o non formalmente concordati con il fornitore, inclusi gli importi dovuti ai dipendenti; anche se alcune volte bisogna stimare l’importo o determinare la scadenza di tali poste il loro livello di incertezza è sicuramente inferiore a quello dei fondi114.

Invece quando un’obbligazione è considerata probabile alla data di bilancio poiché la sua esistenza sarà confermata solamente dal verificarsi o meno di uno o più eventi futuri incerti si è in

114 A tal proposito si veda lo IAS 37 tenendo, comunque presente che il suo contenuto è oggetto di un processo di revisione tuttora in corso.

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presenza di una passività potenziale che non va rilevata115. Le Passività vengono, infine, rappresentate in Bilancio distinguendo le Passività correnti da quelli non correnti116.

2.3. -Il Patrimonio netto

Il Framework , nella parte in cui descrive il processo di identificazione degli elementi di struttura del bilancio d’esercizio, fa riferimento al patrimonio netto come un valore residuo delle attività dell’impresa dopo aver detratto tutte le passività (paragrafo 49 c). Un valore residuale, dunque, che trae origine dalla differenza dei valori dell’attivo con i valori delle passività aziendali117.

Nel Bilancio il patrimonio netto può presentare comunque delle sottoclassificazioni, che permettono al lettore di interpretare tale valore residuo attraverso una scomposizione funzionale con cui si evidenzia la natura dei diversi elementi che in esso sono contenuti. Infatti, tale scomposizione risulta utile a definire le relazioni di corrispondenza tra le operazioni e gli accadimenti aziendali, nella loro complessa e sistematica incidenza sul patrimonio, e la disponibilità del capitale netto, come valore residuo di pertinenza degli shareholders. Come tutti i valori residuali esso risente dei riflessi che si manifestano come conseguenza dell’adozione di diversi criteri di valutazione che incidono sulle poste costituenti le Attività e le Passività aziendali. Il Framework riporta alcuni esempi di poste che possono essere ricompresi come elementi del patrimonio netto nel caso di una società avente personalità giuridica:

- il capitale conferito dagli azionisti - gli utili non distribuiti; - le riserve derivanti da utili netti; - le riserve che rappresentano correzioni apportate per la conservazione del capitale 118. La classificazione degli elementi che compongono il patrimonio netto, o in senso contrario la

scomposizione del valore residuo, consente di rappresentare la “fruibilità” del patrimonio eccedente le passività e inoltre, con le dovute informazioni aggiuntive, il sistema di governance in cui si ritrovano i diversi interessi e i diversi diritti che regolano la distribuzione dei dividendi o la restituzione del capitale.

Successivamente, il Framework (paragrafo 66) si sofferma ad analizzare il processo di costituzione delle riserve ed in particolare l’origine, la finalità e la natura di taluni elementi che sono parti integranti del patrimonio netto. Le riserve possono essere costituite perché richiesto da disposizioni aventi forza di legge o dallo statuto sociale quale espressione dell’autonomia privata; in tali ipotesi la finalità per cui si costituisce una riserva può essere fatta risalire ad una maggiore garanzia offerta ai terzi sul rischio futuro di perdite. Altre riserve traggono origine da disposizioni fiscali: in questo caso la finalità potrebbe essere identificata nell’armonizzazione degli effetti fiscali agevolativi in un preciso arco temporale. Il Framework per quanto concerne la natura delle riserve che fanno parte del patrimonio netto è abbastanza categorico nel definire che gli accantonamenti a riserve non costituiscono spese, bensì destinazioni di utili non distribuiti.

Uno dei problemi più delicati con riferimento ai componenti del patrimonio netto è rappresentato dal processo di identificazione degli elementi di struttura dello stesso rispetto agli elementi facenti parte delle passività aziendali. In particolare, per alcuni elementi esiste una certa ambiguità di identificazione, generata da una discordanza tra la forma legale, che sintetizza i tratti peculiari dell’elemento, e il contenuto sostanziale, che fa emergere invece un diverso profilo più coerente alle tecniche di rappresentazione contabile. Per esempio, alcuni strumenti finanziari assumono la forma

115 A tal proposito per quanto concerne le informazioni aggiuntive riportate nelle note del Bilancio e la distinzione dei diversi livelli di incertezza si rimanda alle analisi e alle classificazioni descritte nello IAS 37. 116 Per l’approfondimento della rappresentazione in Bilancio delle Passività si rimanda all’analisi degli altri punti del Framework . 117 A tal proposito, si rinvia al principio contabile nazionale n° 28 in cui viene espresso lo stesso concetto di Patrimonio netto, in particolare esso definisce il patrimonio netto come la differenza tra attività e passività di Bilancio. 118 A tal proposito, lo IAS 1 e la Guidance on Implementing IAS 1 stabiliscono, nell’ambito dell’identificazione del contenuto minimo dello stato patrimoniale, che nel Patrimonio netto deve essere fornita separata indicazione del Capitale emesso, delle Riserve e degli Utili (Perdite) portate a nuovo.

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legale di capitale ma nell’analisi della sostanza emerge come gli stessi siano in realtà delle Passività aziendali119.

Per quanto concerne la valutazione del Patrimonio netto il Framework stabilisce, dato il carattere residuale di tale area di Bilancio, che la quantificazione del suo ammontare non può prescindere dalla valutazione delle Attività e delle Passività aziendali. In tal modo, solo raramente il valore del Patrimonio netto, così determinato, coincide con il valore di mercato o con il valore della liquidazione separata delle attività ovvero con il valore di liquidazione del complesso aziendale in funzionamento.

Risulta chiaro come la discordanza dei suddetti valori non dipende dall’applicazione dei principi contabili di riferimento, ma dalla rilevanza e dall’incidenza di taluni fattori che intervengono nei processi di creazione del valore ma che, per diversi motivi, non trovano corrispondenza nella rappresentazione in Bilancio 120.

Con riferimento al Patrimonio netto si deve necessariamente rilevare come l’applicazione dei principi contabili internazionali crei all’interno dello stesso una caratteristica che l’OIC definisce di “modificabilità intrinseca”. Cioè la possibilità, in applicazione dei principi contabili internazionali, di aumentare e/o ridurre parti del patrimonio netto in conseguenza della rivalutazione o svalutazione di altre poste di bilancio121.

Il Framework generalizza la definizione di patrimonio netto estendendola anche alle imprese che hanno differenti strutture legali e statutarie a cui fanno capo differenti sistemi di governance rispetto a quelli che disciplinano le classiche società di capitali.

3. - IL PROSPETTO DELLE VARIAZIONI DI PATRIMONIO NETTO

Secondo lo IAS 1 (revised 2003) tra i documenti obbligatori componenti il bilancio d’esercizio vi è il prospetto delle variazioni del patrimonio netto, il quale non trova spazio all’interno del contenuto delle note, né tanto meno rappresenta un allegato, ma costituisce parte integrante del bilancio, redatto secondo i principi contabili internazionali. La previsione dello standard internazionale dà dunque una rilevanza fondamentale a tale prospetto, conferendogli un ruolo centrale nel sistema informativo di bilancio. Al riguardo si tenga presente che il legislatore della riforma del diritto societario ha disposto la necessaria indicazione dei movimenti del Patrimonio netto in Nota integrativa 122. Il prospetto delle variazioni del patrimonio netto, secondo quanto previsto dal paragrafo 96 dello IAS 1, deve evidenziare:

a) l’utile o la perdita di periodo, b) i ricavi e i costi imputati direttamente a Patrimonio netto,

119 Lo IAS 32 per esempio stabilisce che uno strumento finanziario è rappresentativo del patrimonio netto se soddisfa le seguenti condizioni: 1) lo strumento non include nessuna obbligazione contrattuale; 2) lo strumento sarà o potrà essere estinto negli strumenti rappresentativi di capitale proprio dell’emittente. A tal proposito, si rimanda all’applicazione del principio della sostanza sulla forma che trova una sua valenza operativa nelle disposizione elencate negli IAS. 120 Con riferimento per esempio alla differenza tra valore di mercato e valore contabile si rinvia ai molteplici studi che analizzano i fattori intangibili, non misurati e non rappresentati in bilancio, come elementi che stanno alla base dei processi di produzione del valore. 121 Con riferimento agli standards contabili internazionali che ci aiutano a definire, nei diversi aspetti, le varie parti del patrimonio netto posiamo elencare: lo IAS 1 per gli aspetti generali di struttura e definizione; lo IAS 8 rideterminazione delle riserve iniziali per l’applicazione dei principi contabili e per errori; lo IAS 12 nella parte delle rilevazione delle imposte correnti e differite; IAS 16, 32 e 39 nella parte della rivalutazione e svalutazione delle attività e nella parte relativa alla distinzione tra elementi del passivo e del Patrimonio netto; IAS 20 per i contributi che incidono contabilmente sul patrimonio netto. Guida operativa per la transizione agli standards contabili internazionali (IAS/IFRS), OIC, maggio 2005. Come per esempio la possibilità prevista dallo IAS 16, 38 e 39 di valutazione delle Attività al fair value con corrispondente accredito in contropartita ad una riserva del Patrimonio netto, inoltre la possibile svalutazione futura di tali attività provoca, in contropartita, una riduzione delle riserva. 122 Si vedano i Principi contabili n° 12 e n° 28 dell’OIC.

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c) i ricavi e i costi totali di periodo, che mostrano separatamente gli importi totali attribuibili a chi detiene una partecipazione e la quota di pertinenza di terzi, e

d) gli effetti dei cambiamenti nei principi contabili e delle correzioni di errori, per cia scuna voce di Patrimonio netto.

In generale, va sottolineata la tipicità di tale prospetto che risulta in linea con l’impostazione dei principi dello IASB, i quali consentono l’imputazione dei costi e dei ricavi direttamente al patrimonio netto, ma certamente discordante rispetto alla nostra tradizione contabile, che prescrive un’incidenza indiretta di tali poste, attraverso il loro contributo alla formazione del reddito d’esercizio. In particolare, circa gli effetti dei cambiamenti nei principi contabili e delle correzioni di errori, lo standard in esame, rinviando allo IAS 8 (revised 2003) per gli aspetti applicativi, richiede di procedere ad una revisione della voce di patrimonio netto interessata da un cambiamento dei principi o dei metodi contabili in esso normati. In altri termini, una modifica dei principi contabili deve essere applicata in modo retroattivo, rettificando il saldo di apertura di ciascuna posta di patrimonio netto interessata, nell’esercizio di entrata in vigore della norma ed in quelli antecedenti, richiamati dal prospetto ai fini dell’analisi comparativa123.

Il principio, se da un lato favorisce la comparabilità dei bilanci, dall’altro attua la singolare scelta di modificare valori contabili contenuti in bilanci già approvati, divulgati e redatti in conformità ai principi contabili internazionali. Tale procedura sarebbe in contrasto con quanto previsto in Italia, dove non è ammessa, se non in casi eccezionali, la rettifica delle riserve di utili e dei dati comparati124.

Inoltre, lo IAS 1 richiede di fornire i valori (paragrafo 97): a) inerenti le operazioni di capitale con i detentori di partecipazioni e le distribuzioni effettuate

agli stessi, b) relativi al saldo delle riserve di utili all’inizio del periodo ed alla data di chiusura del

Bilancio, nonché i movimenti del periodo, e c) sulla riconciliazione tra il valore contabile di ciascuna classe di capitale proprio versato e di

ciascuna riserva all’inizio ed al termine del periodo, evidenziando distintamente ogni variazione.

L’informativa sugli elementi indicati si riferisce, nella prassi, agli ultimi due esercizi, al fine di permettere la comparabilità dei dati.

L’evidenziazione delle variazioni può avvenire attraverso l’impiego di un prospetto a struttura matriciale capace di compendiare tutte le richieste informative dello IAS in esame. Nello schema riepilogativo proposto dallo stesso principio internazionale si registrano i saldi di apertura delle diverse voci di patrimonio netto relativi agli ultimi due o più esercizi, e se ne registrano le variazioni intervenute nei periodi considerati, pervenendo alla evidenziazione dei singoli saldi finali. In tal modo, sarà possibile riconciliare i saldi di apertura e di chiusura di ciascuna componente del patrimonio netto, risultando facilmente leggibile tanto la variazione subita dalla singola posta di netto che i relativi risultati economici di periodo.

Una soluzione alterna tiva proposta in appendice al principio n° 1, è rappresentata da uno schema che pone a confronto, su colonne accostate, le variazioni del risultato di periodo, quale effetto dell’incidenza dei costi e dei ricavi sul patrimonio netto, nonché dei cambiamenti nei principi contabili e delle correzioni di errori. Tale metodo non permette di evidenziare i saldi di apertura e di

123 Cfr. M. POZZOLI, F. ROSCINI VITALI (2005). 124 L’applicazione dello standard n° 8 comporta, nei casi in cui non è determinabile il risultato complessivo prodotto dalla modifica dei principi, l’effettuazione di una scrittura contabile per la rettifica degli utili portati a nuovo dell’esercizio in cui si è verificato il cambiamento e la corrispondente rettifica dei dati comparativi. Nella nuova versione dello IAS 8, non è dunque più ammessa la possibilità di imputare l’effetto del cambiamento a Conto economico, attraverso la rilevazione di sopravvenienze attive o passive, come invece richiesto dal Documento n° 19 dell’OIC.

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chiusura delle voci dello Stato patrimoniale interessate, i quali dovranno trovare punt uale descrizione nelle note al Bilancio 125.

4. – LA RIVALUTAZIONE E LA SVALUTAZIONE DEGLI ELEMENTI PATRIMONIALI

Le problematiche in tema di rivalutazione e svalutazione delle poste del Patrimonio netto costituiscono una base di riflessione degna di nota per alcune questioni di natura economica e contabile che emergono alla luce del cambiamento che le modalità di rilevazione di tali elementi hanno subito con l’introduzione dei principi contabili internazionali. Una differenza sostanziale derivante dall’introduzione degli standard internazionali è l’affermazione del criterio del fair value (valore equo o valore di mercato) rispetto a quello del costo storico. L’affermazione di tale criterio di valutazione, inteso quale corrispettivo al quale un’attività può essere scambiata o una passività estinta tra parti consapevoli e disponibili potrà comportare una più elevata soggettività nella valutazione delle voci di bilancio, data la maggiore aleatorietà e variabilità che caratterizza i valori correnti. L’utilizzazione del criterio mark to market consente, infatti, la conoscenza del valore corrente del patrimonio, utile all’assunzione di decisioni di investimento o di disinvestimento da parte degli stakeholder. Tale orientamento, che predilige una prospettiva previsionale rispetto alla possibilità di valutare attraverso l’utilizzo di valori storici e quindi “certi”, trova la sua piena rispondenza nei valori di performance potenziale e reddito potenziale emersi con l’affermazione degli standard, sostitutivi del principio prudenziale e del reddito prodotto propri dei princ ipi contabili naziona li.

Il fair value viene applicato a tutte le voci del Bilancio e determina notevoli differenziazioni valutative all’interno di tali voci.

- Contenuto del Framework Il quadro sistematico di riferimento per la redazione del bilancio secondo gli schemi IAS

(Framework for the preparation of financial statements) oltre a definire gli elementi per la rappresentazione della situazione patrimoniale quali le attività, passività e Patrimonio netto, individua nel punto 81 (“Aggiustamenti per la conservazione del capitale”) le fattispecie relative alle operazioni di rivalutazione e svalutazione di Attività e Passività126.

Il Framework premette che tali elementi, pur originando costi e ricavi, non trovano collocazione nelle rispettive voci di Conto economico in base ad alcune teorie sulla conservazione del capitale ma vanno invece ad incidere sulla consistenza del Patrimonio netto. Tali considerazioni si riconducono alla definizione di due concetti di capitale contenuti nel Framework ed in particolare il concetto di capitale monetario ed il concetto di capitale fisico. Il primo, inteso come quantità monetarie investite che individuano la consistenza del patrimonio netto di fine periodo, nell’accezione di conservazione di tale elemento, non necessita dell’adozione di un determinato criterio di valutazione; il secondo corrispondente alla capacità produttiva dell’impresa il cui incremento nell’esercizio di riferimento rappresenta l’utile, presuppone l’adozione del criterio di valutazione del valore di mercato. Secondo tale logica le variazioni verificatesi nel valore delle attività e passività, modificando la capacità produttiva dell’impresa, devono considerarsi come rettifiche patrimoniali incidenti sul patrimonio netto e non come realizzazione di utile.

- Rivalutazione e svalutazione delle immobilizzazioni materiali (IAS 16 – IAS 36) Secondo i principi contabili nazionali la svalutazione delle immobilizzazioni materiali deriva dal

verificarsi di una perdita durevole successiva alla prima iscrizione. Il valore deve essere pertanto rettificato attraverso un’opportuna svalutazione derivante da una reale perdita di valore che abbia il carattere della durevolezza.

125 Per una esemplificazione dei due prospetti descritti si veda PRICEWATERHOUSECOOPERS (2004). 126 Il Framework (1989: paragrafi 49-68).

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Le operazioni di rivalutazione possono aver luogo solo in quanto esse derivino dall’applicazione di leggi speciali che lo consentano ed in ogni caso il valore della rivalutazione non può superare il valore d’uso dell’immobilizzazione.

Lo IAS 16 individua due metodi alternativi di valutazione dell’immobilizzazione successiva all’iscrizione: il criterio del costo (cost model) che evidenzia il costo al netto degli ammortamenti accumulati e di qualsiasi perdita per riduzione di valore, ed il criterio del costo rivalutato (revaluation model) basato sul fair value alla data di rideterminazione del valore al netto degli ammortamenti e delle eventuali perdite di valore. Pur non indicando alcuna scelta preferenziale tra i due criteri, gli standard internazionali riconducono la possibilità di adottare il criterio del fair value (valore equo) all’ipotesi in cui esso sia attendibilmente determinabile.

Con riferimento alla frequenza di rideterminazione valutativa degli elementi materiali che non subiscono ripetute modificazioni del loro valore equo, si può procedere ad una verifica triennale o quinquennale dello stesso, contrariamente a quegli elementi che subiscono frequenti oscillazioni tali da richiederne una verifica annuale. La rideterminazione del valore di un elemento delle immobilizzazioni materiali comporta, inoltre, una valutazione dell’intera classe alla quale tale elemento si riferisce.

L’incremento di valore determinato da una procedura di rivalutazione costituisce un ricavo nel caso in cui riduce una svalutazione precedentemente rilevata e viene accolto nel Patrimonio netto sotto la voce riserva di rivalutazione. Di contro, il decremento costituirà pertanto un costo e ridurrà la riserva di rivalutazione nella misura in cui tale diminuzione non superi la consistenza di tale riserva.

Alle immobilizzazioni materiali iscritte a valori rivalutati in base al fair value si applica lo IAS 36 al fine di stabilire se un’attività abbia subito una riduzione durevole di valore e pertanto se il suo valore recuperabile sia inferiore al valore contabile (Impairment test)127. Tale riduzione di valore, se realizzata e riferita ad un elemento attivo rivalutato, costituisce una diminuzione della rivalutazione precedente.

- Rivalutazione e svalutazione delle immobilizzazioni immateriali (IAS 38 - IAS 36) Rilevanti e più evidenti differenziazioni si riscontrano nei criteri di valutazione degli intangible

assets dettati dagli standard internazionali rispetto a quelli previsti dalle norme civilistiche e dai principi contabili nazionali.

Considerato che il valore iscritto in Bilancio delle immobilizzazioni non deve comunque superare quello recuperabile, inteso come il maggiore tra il valore realizzabile dall’alienazione e il valore d’uso, i principi contabili nazionali, anche in tale fattispecie, prevedono la possibile verifica dei valori per perdite durevoli successive all’iscrizione che, nel caso siano straordinarie e durature, comportano una relativa svalutazione. Anche per le attività immateriali le eventuali rivalutazioni ed i relativi criteri di applicazione devono conformarsi alle leggi speciali.

Gli standard internazionali individuano diversi elementi che identificano le risorse immateriali tra i quali la distinta identificabilità, l’esistenza di benefici economici futuri derivanti da tali attività e il potere di controllo sulle stesse nonché precisi criteri di classificazione (attività immateriali “finite” e “indefinite”) che conseguentemente si riflettono sulla rideterminazione del loro valore.

Lo IAS 36 disciplina la procedura relativa alla rilevazione di perdite durevoli delle attività immateriali e la conseguente determinazione del valore recuperabile. Il predetto standard, pur richiamando una disposizione già implicitamente contenuta nelle norme civilistiche nazionali, prescrive l’attuazione dell’Impairment test o Test del “danneggiamento” o “deterioramento” per

127 Lo IAS 36 nei paragrafi 59-64 stabilisce la determinazione e la rilevazione di perdite per riduzione durevole di valore di una singola attività diversa dall’avviamento. Il valore recuperabile di un’attività o di un’unità generatrice di flussi finanziari è il maggiore tra il suo fair value dedotti i costi di vendita e il suo valore d’uso (IAS 36, paragrafo 6). Il valore contabile è il valore di un’attività dedotto l’ammortamento e le eventuali riduzioni rilevate (IAS 36, paragrafo 6).

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verificare l’entità del valore recuperabile attraverso la comparazione tra il valore di vendita e il valore d’uso128.

A tal fine la perdita da deterioramento (impairment loss) costituisce un costo da inserire nel conto economico o una diminuzione di attività rivalutate, da rettificare nell’ipotesi susseguente in cui si verifichi un cambiamento nelle stime precedentemente determinate.

Lo IAS 38 come precedentemente accennato, introduce una distinzione nell’ambito delle attività immateriali in funzione della possibilità di stabilire o meno la durata della loro “vita utile”. Le immobilizzazioni immateriali hanno una “vita utile” indefinita quando dall’analisi di fattori rilevanti non vi è un limite all’esercizio fino al quale si prevede che esse generino flussi finanziari in entrata, al contrario nel caso delle immobilizzazioni aventi “vita utile” definita. Tale classificazione assume particolare rilievo in considerazione del fatto che le prime non devono essere ammortizzate (IAS 38, paragrafo 107), le seconde sono invece soggette all’ammortamento sistematico che ha inizio nel momento in cui l’attività è disponibile per l’uso, per esempio quando si trova nelle condizioni necessarie per operare coerentemente con gli obiettivi della direzione aziendale (IAS 38, paragrafo 97)129.

Si rileva pertanto che le immobilizzazioni immateriali cosiddette a durata indeterminata sono sottoposte ad un riesame periodico per verificare se sussistono cambiamenti nella stima della loro “vita utile” e perdite durevoli di valore tali da comportarne la relativa svalutazione.

L’applicazione dell’impairment test, potrebbe generare nei processi valutativi elementi di instabilità e incisività superiori rispetto alla consueta procedura di ammortamento, sia per il venir meno del carattere della sistematicità e metodicità nella rettifica dei valori sia per l’entità delle variazioni nelle valutazioni delle voci di Bilancio che, nel caso di consistenti svalutazioni, potrebbero risultare anche considerevoli.

Gli standard internazionali prevedono dunque una stima del va lore recuperabile, almeno alla fine di ogni periodo amministrativo, a prescindere da eventuali indicazioni di perdite durevoli di valore, per le attività immateriali non ancora disponibili per l’uso e per le attività immateriali la cui vita utile supera i venti anni dalla data in cui esse siano disponibili per l’uso130.

Diversamente dal dettato dei principi contabili nazionali, la rivalutazione dei valori di Bilancio delle immobilizzazioni immateriali avviene attraverso due approcci alternativi: il criterio del costo al netto degli ammortamenti e delle perdite rilevate (benchmark treatment ) ed il criterio del fair value o valore equo (allowed treatment) determinato alla data di rivalutazione ed esclusivamente nell’ipotesi limitativa che si riferisca ad un mercato attivo (IAS 38, paragrafo 75)131.

In ogni caso il modello alternativo del fair value non consente la rideterminazione del valore di immobilizzazioni immateriali che non siano state precedentemente rilevate come attività o la cui rilevazione iniziale non sia avvenuta al costo132.

128 In particolare, l’a rt. 2426 prevede l’Impairment test nella previsione normative che stabilisce che “il costo delle immobilizzazioni, materiali ed immateriali, la cui utilizzazione è limitata nel tempo deve essere sistematicamente ammortizzato in ogni esercizio in relazione con la loro residua possibilità di utilizzazione”. Il fair value meno i costi di vendita è l’ammontare ottenibile dalla vendita di un’attività o unità generatrice di flussi in una libera transazione tra parti consapevoli e disponibili dedotti i costi della dismissione (IAS 36, paragrafo 6). Il valor d’uso è il valore attuale dei flussi finanziari futuri che si prevede abbiano origine da un’attività o da un’unità generatrice di flussi finanziari (IAS 36, paragrafo 6). 129 Come precisato dagli stessi standard internazionali, il termine ammortamento per le immobilizzazioni immateriali è considerato come sinonimo di “svalutazione” (amortization). Il periodo e il metodo d’ammortamento per un’attività immateriale con una vita utile definita devono essere rivisti almeno ad ogni chiusura di esercizio (IAS 38, paragrafo 104). 130 Cfr. VISCONTI R. G. (2005). 131 Il mercato attivo è un mercato nel quale gli elementi commercializzati risultano omogenei, gli acquirenti e venditori disponibili possono essere normalmente trovati in qualsiasi momento e i prezzi sono disponibili al pubblico (IAS 38, paragrafo 8). 132 Il modello della rideterminazione del valore si applica pertanto solo dopo che l’attività sia stata rilevata in precedenza in base al costo.

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L’incremento di valore che deriva dalla rivalutazione incide sulla consistenza del Patrimonio netto attraverso la realizzazione di un surplus che a sua volta costituirà un provento nel momento in cui ripristina una diminuzione di valore precedentemente rilevata. Il decremento invece rappresenta un costo e deve essere portato a riduzione della riserva di rivalutazione nel patrimonio netto, nei limiti del valore della riserva stessa (IAS 38, paragrafi 85-86). L’eccedenza complessiva di rivalutazione può essere trasferita nella voce utili portati a nuovo quando viene realizzata.

Tabella 2. - Rivalutazione e svalutazione delle immobilizzazioni finanziarie (IAS 27, 28, 36, 39 - altri IAS per operazioni finanziarie)

Voci RIVALUTAZIONE SVALUTAZIONE IAS PRINCIPI

CONTABILI NAZ. IAS PRINCIPI

CONTABILI NAZ. Immobilizzazioni materiali

Valore iniziale: costo Valore successivo: model cost (benchmark treatment ) o fair value (allowed treatment)

Può avvenire solo in applicazione di leggi speciali e non può superare il valore d’uso

Si effettua la riduzione del valore per perdite durevoli attraverso l’applicazione dell’Impairment test (IAS 36)

Si può procedere alla svalutazione per perdite durevoli (art. 2426 c.c. - Principio contabile N.16)

Immobilizzazioni immateriali

Valore iniziale: costo Valore successivo: model cost (benchmark treatment ) o fair value (allowed treatment) riferito ad un mercato attivo

Può avvenire solo in applicazione di leggi speciali nei limiti del valore recuperabile

Si effettua la riduzione del valore per perdite durevoli attraverso l’applicazione dell’Impairment test (IAS 36). È obbligatorio effettuare il test con cadenza annuale per il goodwill e gli intangibles “indefiniti”; in tal caso l’impairment test sostituisce l’ammortamento

Si può procedere alla svalutazione per perdite durevoli (art. 2426 c.c. - Principio contabile N. 24)

Secondo i principi contabili nazionali il criterio base di valutazione dei titoli immobilizzati è quello del costo. Tale criterio deve essere modificato se viene accertata una perdita durevole di valore o se il titolo diventa negoziabile. Pertanto se la consistenza del titolo risulta inferiore al valore del costo occorre svalutare lo stesso in funzione della riduzione di valore verificatasi. Il ripristino di valore, nell’ipotesi in cui vengano meno le cause della svalutazione, non può comunque superare il costo originario. Anche per le partecipazioni (valutabili secondo il costo o il metodo del Patrimonio netto), nel caso di perdite durevoli, si deve procedere ad una svalutazione del valore delle stesse. Le rivalutazioni invece si possono effettuare solo in applicazione di leggi speciali.

Le attività finanziarie, previste dallo IAS 39, sono soggette a revisione al fine di verificare se le stesse abbiano subito una durevole perdita di valore. Inoltre, nell’ipotesi di cambiamento della destinazione economica dei titoli, questi devono essere valutati al fair value133.

La partecipazione in imprese controllate avviene secondo uno dei seguenti criteri: costo o fair value secondo le disposizioni indicate nello IAS 39. Con riferimento alle imprese collegate la partecipazione va valutata con l’equity method e, se essa viene mantenuta per essere negoziata entro l’esercizio, al fair value. In particolare lo IAS 28 stabilisce che il costo rappresenta un metodo di contabilizzazione con il quale la partecipazione è inizialmente rilevata al costo medesimo e successivamente “rettificata in conseguenza dei cambiamenti di valore della quota della partecipante nel patrimonio netto della partecipata. L’utile o la perdita della partecipante riflette la propria quota nei risultati d’esercizio della partecipata”134.

133 Secondo lo IAS 39 i titoli e le partecipazioni aventi un carattere strategico vanno iscritti al costo ammortizzato utilizzando il criterio del tasso effettivo di interesse e cioè il tasso che attualizza esattamente i pagamenti o incassi futuri stimati lungo la vita attesa dello strumento finanziario o un periodo più breve al valore contabile netto dell’attività o passività finanziaria (IAS 39, paragrafo 9) 134 Cfr. AA.VV (2005).

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La perdita durevole relativa al valore delle partecipazioni (impairment test) è regolata dallo IAS 36 che disciplina la suddetta fattispecie nel caso delle partecipazioni in imprese controllate (IAS 27), collegate (IAS 28) e joint-venture (IAS 31)135.

5. – LA PRESENTAZIONE DEL BILANCIO

- Scopo del documento ed oggetto di studio La finalità dello IAS 1 è quella di definire i criteri per la presentazione del bilancio redatto con

scopi di carattere generale, al fine di assicurarne la compatibilità sia con riferimento ai Bilanci della medesima entità degli esercizi precedenti, sia con i bilanci di altre entità136. Tale documento fornisce un elenco dettagliato dei documenti che compongono il bilancio, comprendendo quindi: a) Stato patrimoniale; b) Conto economico; c) ed un prospetto che esponga le variazioni delle poste di patrimonio netto, le variazioni di patrimonio netto diverse da quelle derivanti da operazioni con i possessori di capitale proprio che agiscono in tale loro qualità; il Rendiconto finanziario; e le Note esplicative ed altre note contenenti un elenco dei principi contabili rilevanti.

Verranno qui analizzati i criteri seguiti nella rilevazione degli elementi patrimoniali, ponendo particolare attenzione dal punto 51 al punto 77 dello IAS 1, aventi ad oggetto lo Stato patrimoniale.

- Il concetto di ciclo operativo. I criteri di classificazione delle voci di stato patrimoniale Per lo stato patrimoniale sono previsti due diversi criteri di classificazione: il primo distingue le

attività e le passività rispettivamente in correnti e non correnti; il secondo prevede una classificazione in base al grado - crescente o decrescente - di liquidità (paragrafo 51).

Alla base di questa distinzione vi è un fondamento: il concetto di ciclo operativo. In generale, da un punto di vista economico-aziendale è noto che il ciclo di produzione di un’azienda costituisce un insieme coordinato di operazioni dalle quali scaturisce il risultato economico d’impresa rispetto ad un determinato periodo di tempo. A seconda dei fattori impiegati nella realizzazione del ciclo di produzione, questo può essere definito in maniera differente. Se si considera solamente il costo dei fattori produttivi a fecondità semplice – ossia che esauriscono la loro utilità in un unico atto produttivo – si parla di ciclo produttivo in senso fisico – tecnico di breve durata, denominato anche ciclo operativo aziendale. Su questo concetto si basa la distinzione tra i due criteri di classificazione delle voci attive e passive di stato patrimoniale. Più precisamente, le poste dell’attivo e del passivo sono classificate in base al criterio finanziario in correnti e non correnti quando il ciclo operativo aziendale è chiaramente identificabile e consente di distinguere gli elementi patrimoniali per i quali il ciclo produttivo in senso fisico – tecnico si esaurisce in un solo periodo di riferimento (di solito l’esercizio) o si prolunga per più d’uno. A tale distinzione corrispondono rispettivamente i concetti di elemento patrimoniale corrente ed elemento patrimoniale non corrente (paragrafo 53). Inoltre il criterio del normale ciclo operativo (paragrafo 61) deve essere applicato in modo coerente per classificare sia le attività che le passività137.

In alternativa, quando l’applicazione del criterio sulla liquidità fornisce informazioni attendibili e più significative, quest’ultimo si preferisce al precedente criterio e quindi tutte le attività e le 135 Lo IAS 36 definisce perdita durevole di valore l’ammontare per il quale il valore contabile di un’attività eccede il valore di realizzo che viene valutato per ciascuna società singolarmente. 136 L’uso dell’espressione scopi di carattere generale equivale alla definizione propria della tradizione economico-aziendale e della normativa di riferimento di azienda in normale funzionamento . Il termine entità impiegato nella traduzione italiana degli IAS, verrà sostituito, nel presente scritto dal termine azienda. La numerazione tra parentesi indica il punto dello IAS oggetto di analisi 137 Il paragrafo 59 dello IAS 1 definisce il ciclo operativo di un’entità come “il tempo intercorrente tra l’acquisizione di beni per il processo produttivo e la loro realizzazione in disponibilità liquide o mezzi equivalenti. Quando il normale ciclo operativo non è chiaramente identificabile, si suppone che la durata sia di dodici mesi”. Esistono dei casi in cui il ciclo operativo aziendale è superiore rispetto al normale periodo di riferimento (12 mesi). In tal caso viene accettata la classificazione basata sulla durata prevista (ad esemp io 15 mesi) e quindi il criterio di classificazione segue l’effettivo periodo di realizzazione del ciclo operativo.

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passività devono essere presentate in ordine alla loro capacità di monetizzazione (paragrafo 51). Ovviamente, tale criterio risulta più consono per quelle aziende – quali le istituzioni finanziarie – per le quali non è sempre agevole l’identificazione di un ciclo operativo aziendale (paragrafo 54). Possono poi verificarsi dei casi di aziende in cui - a seconda delle esigenze informative e di rappresentazione - lo stato patrimoniale presenti una base di rilevazione mista, cioè quando le poste sono classificate rispettivamente con l’un criterio o con l’altro. Ciò deriva dalla significatività che tale eterogenea rilevazione conferisce ai dati di bilancio (paragrafo 55). Si pensi ad esempio al caso di aziende caratterizzate da aree d’affari eterogenee: in questo caso, per la rappresentazione degli elementi in Bilancio, collegati alle diverse aree, può risultare più significativo impiega re le due differenti modalità.

In generale, qualunque sia il criterio di classificazione adottato, l’impresa deve evidenziare - per ogni voce dell’attivo e del passivo comprendenti parti che si presume di trasformare entro ed oltre 12 mesi - l’importo che prevede di recuperare o di regolare oltre i 12 mesi (paragrafo 52). Infatti, l’informativa sulle date di scadenza di attività e passività fornisce utili riferimenti sulla liquidità e sulla solvibilità dell’azienda. A tal proposito, viene qui richiamato lo IAS 32, che, distinguendo le attività finanziarie (comprendenti crediti commerciali ed altri crediti) dalle passività finanziarie (comprendenti debiti commerciali ed altri debiti), richiede l’indicazione delle rispettive date di scadenza; ed inoltre è specificata l’importanza di indicare anche per le attività e le passività non monetarie (rimanenze e fondi) la data di realizzo o regolamento, a prescindere dal fatto che le stesse siano classificate come correnti o non correnti (paragrafo 56).

In conclusione si sottolinea che il termine non corrente, riferito alle attività materiali, immateriali e finanziarie a lungo termine, può essere sostituito, purché venga mantenuto il significato originario e la terminologia adottata in alternativa risulti coerente alla classificazione effettuata (paragrafo 58).

- Le Attività Lo IAS 1, dopo aver esplicitato il criterio finanziario di classificazione delle voci di bilancio,

offre un elenco puntuale delle attività che possono essere classificate come correnti e definisce le attività non correnti in modo residuale rispetto alle prime. È considerata corrente quella attività che soddisfa uno dei seguenti requisiti (paragrafo 57): a) quando ci si aspetta che sia realizzata, o si prevede che sia venduta o utilizzata nel normale ciclo operativo dell’azienda; b) è posseduta principalmente per essere negoziata; c) si prevede che si realizzi entro dodici mesi dalla data di riferimento del Bilancio, d) si tratta di disponibilità liquide o mezzi equivalenti (per una completa definizione degli stessi si rinvia allo IAS 7 Rendiconto finanziario) a meno che non sia preclusa dall’essere scambiata o utilizzata per estinguere una passività per almeno dodici mesi dalla data di riferimento del bilancio.

Oltre a quanto stabilito dallo IAS 1, è importante prendere in considerazione il contenuto dell’IFRS 5 - International Financial Reporting Standard – Attività non correnti possedute per la vendita ed attività operative cessate – il quale, con Reg. CE n° 2236/2004 ed entrando in vigore a partire dal 1 gennaio 2005, ha modificato il contenuto originario dello IAS 1, precisamente integrandone il contenuto con l’inserimento del punto 68A (lettera a). Secondo tale principio, le “attività destinate alla dismissione” – discontinuing operation – sono “una componente di un’azienda che possono essere dismesse o destinate alla alienazione e che possono:

- rappresentare una linea di business separata dal resto dell’impresa oppure rappresentare un’area geografica;

- essere parte di un piano relativo alla sua dismissione; - essere una controllata acquistata con il solo intento di essere rivenduta”. Tali attività destinate alla dismissione vanno considerate non correnti se il loro valore contabile

sarà recuperato attraverso una vendita piuttosto che attraverso l’utilizzo continuo. Per soddisfare ciò, l’attività deve essere immediatamente disponibile, nelle sue attuali condizioni ad essere

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venduta; la vendita deve essere “altamente probabile e soggetta ai normali termini per attività similari”138.

Oltre alla possibilità di cedere delle attività singolarmente considerate, è importante sottolineare che l’IFRS 5 ha introdotto il concetto di “gruppo di componenti destinati alla cessione”, intendendo in tal modo “un insieme di attività e di passività direttamente associate destinate alla cessione tramite una vendita o in altro modo in un’unica transazione”.

Infine è stato introdotto anche il concetto di “attività destinate all’abbandono”, ossia quelle attività immobilizzate che sono utilizzate al termine della loro vita utile e quelle attività immobilizzate che sono state accantonate anziché essere vendute. In estrema sintesi, l’IFRS 5 stabilisce che:

- le attività che soddisfano i criteri per essere classificate come possedute per la vendita e la dismissione, siano valutate al minore tra il valore contabile ed il fair value al netto dei costi di vendita e che l’ammortamento su tali attività cessi; - le attività che soddisfano i criteri per essere classificate come possedute per la vendita e la dismissione siano esposte separatamente nello Stato patrimoniale e che i risultati delle attività operative cessate siano esposti separatamente nel conto economico.

- Le Passività Nello IAS 1 è inserito un elenco delle passività classificate come correnti, mentre le passività non

correnti sono definite in modo residuale rispetto alle prime. Una Passività deve essere classificata come corrente quando soddisfa uno dei seguenti criteri (paragrafo 60): a) è previsto che sia estinta nel normale ciclo operativo di un’azienda; b) è assunta principalmente per essere negoziata; c) deve essere estinta entro dodici mesi dalla data di riferimento del Bilancio; d) l’azienda non ha un diritto incondizionato a differire il regolamento della Passività per almeno dodici mesi dalla data di riferimento del Bilancio. Esistono delle passività – debiti commerciali ed accantonamenti relativi al personale e ad altri costi operativi – che vengono considerate correnti, poiché facenti parte del capitale di funzionamento usato nel normale ciclo operativo, di cui si è detto in precedenza. Tale classificazione rimane invariata anche se l’estinzione delle passività medesime avverrà oltre i dodici mesi dalla data di riferimento del Bilancio (paragrafi 61).

Un altro caso di distinzione tra passività correnti e passività non correnti è rappresentato dalle passività con scadenza rinegoziata. È stabilito che le passività finanziarie di un’impresa che devono essere estinte entro dodici mesi dalla data di bilancio sono classificate come correnti anche se (paragrafo 63):

- il termine originale era superiore a dodici mesi; - esiste un accordo per la rinegoziazione dei termini contrattuali o per il rifinanziamento oppure

per la ridefinizione dei termini di pagamento dopo la data di chiusura del Bilancio ma prima che esso sia approvato.

Se invece l’azienda ha la possibilità di posticipare, rinnovare o rifinanziare la data di scadenza di una passività per almeno dodici mesi dalla data di bilancio, questa viene classificata come non corrente anche se alla data di bilancio tale passività era dovuta per un periodo di tempo più breve (paragrafo 64).

138 L’appendice A all’IFRS 5 definisce una transazione altamente probabile quando presenta una percentuale di realizzazione superiore al 51%. In termini operativi, perché la vendita sia altamente probabile (paragrafi 6-9 IFRS 5), il management deve essersi impegnato ad un adeguato livello in un programma per la dismissione dell’attività e devono essere state avviate le procedure per individuare un acquirente e completare il programma. L’attività deve essere scambiata sul mercato ed offerta in vendita ad un prezzo ragionevole rispetto al proprio fair value corrente. Il completamento della vendita deve realizzarsi entro un anno dalla data della classificazione; l’eventuale estensione del periodo richiesto per completare la vendita può non comportare una diversa classificazione delle attività soltanto se il ritardo è causato da eventi o circostanze fuori dal controllo dell’azienda e se vi sono sufficienti evidenze che l’azienda stessa resti impegnata ad attuare il suo programma di dismissione. La verifica di ciò prevede il rispetto delle condizioni previste nell’appendice B – Estensione del periodo richiesto per completare una vendita (IFRS 5).

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Inoltre, se l’impresa ha una Passività a lungo termine assistita da clausole di garanzia – Passività con covenants - che hanno l’effetto di renderla pagabile a richiesta qualora siano violate specifiche condizioni relative alla situazione finanziaria del debitore, l’osservanza di tali clausole costituisce un elemento di distinzione per l’iscrizione della passività stessa. Infatti, nel caso in cui l’impresa non rispetti le clausole di garanzia previste alla data di Bilancio – con l’effetto che la passività diventa pagabile a vista – quest’ultima deve essere classificata come corrente, anche se il finanziatore ha concordato di non richiederne il pagamento nonostante la violazione della clausola (paragrafo 65). Tale Passività potrà essere classificata come non corrente soltanto qualora il finanziatore abbia concordato prima della data di chiusura del bilancio un periodo di tolleranza di almeno dodici mesi intercorrenti tra la data di chiusura del medesimo bilancio e quella del bilancio successivo, periodo entro il quale rispettivamente l’impresa potrà rettificare la violazione ed il finanziatore non potrà richiedere l’immediato rimborso (paragrafo 66). Se i fatti precedentemente citati su cui si fonda la riclassificazione di alcune passività correnti, si verificano tra la data di chiusura del bilancio e la data di approvazione dello stesso, tali fatti – definiti Fatti intervenuti dopo la data di riferimento del bilancio - soddisfano le condizioni informative previste dallo IAS 10 e vengono rilevati secondo quanto previsto da quest’ultimo 139.

- Informazioni da esporre nel prospetto di Stato patrimoniale In conclusione, lo IAS 1 stabilisce il contenuto minimo del prospetto di Stato patrimoniale

(paragrafo 68, lettere a-p), ma non prescrive una struttura specifica. Pertanto il redattore del bilancio - fatta eccezione di alcune informazioni di base che devono essere presentate nel prospetto e nelle note esplicative - può adottare discrezionalmente strutture diverse: con voci più o meno dettagliate in sub-classificazioni (paragrafo 73), subordinate alle disposizioni degli IFRS ed alla dimensione, natura e funzione dei relativi importi (paragrafo 75), classificate con modalità adeguate all’attività dell’impresa (paragrafo 74). In generale, qualunque modifica ed aggiunta è consentita nel caso in cui esse risultino rilevant i per la comprensione della situazione patrimoniale e finanziaria di un’azienda (paragrafi 69,71 e 72)140.

Infine, sono previste informazioni specifiche (paragrafi 76 e 77) da evidenziare nel prospetto di stato patrimoniale per:

- ciascuna categoria di azioni costituenti il capitale sociale; - una descrizione della natura e dello scopo di ciascuna riserva inclusa nel patrimonio netto; - informazioni analoghe, relative al patrimonio netto, per le imprese il cui capitale sociale non è

rappresentato da azioni.

6. – IL RENDICONTO FINANZIARIO E LA VARIAZIONE NELLA STRUTTURA FINANZIARIA DELL’IMPRESA

Lo IAS 1 (revised 2003) statuisce che l’obiettivo del bilancio d’esercizio è quello di fornire informazioni su: a) la situazione patrimoniale – finanziaria; b) il risultato economico; c) le variazioni della posizione finanziaria. La richiesta compresenza di tali elementi informativi risponde alla generale impostazione dei principi contabili internazionali, i quali interpretano il bilancio in un’ottica dinamica ed il risultato di esercizio in chiave prospettica.

Lo standard dispone che l’informativa di bilancio risulta completa ed in linea con i principi contabili internazionali se, tra le sue componenti, è presente anche un rendiconto finanziario (Cash Flow Statement), rendendone in tal modo obbligatoria la redazione per la generalità delle imprese.

139 Rifinanziamento della Passività per un periodo di almeno dodici mesi; possibilità di sanare la violazione della clausola sulla passività; concessione all’impresa da parte del finanziatore di un periodo di tolleranza per sanare la violazione. 140 L’IFRS 5, come già descritto, ha previsto l’aggiunta di altre voci rappresentative di particolari classi di attività e passività (paragrafo 68 a).

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Il rendiconto finanziario rappresenta il principale prospetto contabile che sintetizza la situazione finanziaria della società.

Il prospetto, che fornisce indicazioni supplementari sui movimenti di cassa, permette ai lettori di comprendere con maggiore chiarezza lo stato di salute finanziaria dell’azienda e di prevederne le prospettive future di generare cassa e mezzi equivalenti e i fabbisogni di impiego di tali flussi finanziari, al fine di poter indirizzare le proprie decisioni economiche (paragrafo 102). La previsione obbligatoria di un rendiconto che attesti i movimenti del cash flow è il segno tangibile della particolare enfasi attribuita alle informazioni finanziarie, tipica della tradizione anglosassone 141.

Lo IAS 1 rinvia al contenuto dello standard specifico emanato sul Cash Flow Statement, il principio 7, che ne definisce finalità e contenuto, proponendo un modello a forma scalare nel quale si distinguono i flussi finanziari in funzione della natura dell’attività da cui sono stati generati, ovvero di tipo operativo, di investimento e finanziaria142. Si badi che l’obiettivo di tale documento è di mettere in evidenza esclusivamente i movimenti delle disponibilità liquide (cash) e dei mezzi equivalenti (cash equivalent), e non dei flussi finanziari nel loro complesso143.

Il Framework attraverso la sua impostazione di carattere generale, di inquadramento della disciplina contabile, sottolinea (paragrafo 18) l’utilità delle informazioni relative alle variazioni intervenute nella struttura finanziaria dell’impresa (cash flow statement), concetto evidenziato tra l’altro anche nel paragrafo 12 in cui si definiscono le finalità del Bilancio (“fornire informazioni sulla situazione patrimoniale,sul risultato economico e sulle variazioni nella struttura finanziaria dell’impresa, utili ad un ‘ampia gamma di utilizzatori per prendere decisioni in campo economico”). L’utilità a cui si riferisce il Framework fa riferimento alla sensibilità e alla rilevanza delle suddette informazioni che alimentano il processo di valutazione operato dai diversi Framework. La rappresentazione della dinamica finanziaria dell’impresa costituisce, dunque, un momento di analisi basilare per ricostruire, in un quadro sistemico, le specifiche correlazioni di causa e di effetto che si evidenziano tra le variabili che incidono su tali processi. Nel caso delle variazioni della struttura finanziaria dell’impresa l’informazione, strutturata in uno specifico e separato documento (paragrafo 19), è finalizzata a fornire una “base di valutazione”, ad uso dei diversi portatori di interesse, che consenta di interpretare la dinamica dei flussi finanziari, con specifico riferimento alla capacità dell’impresa di generare flussi di cassa o equivalenti, nonché la capacità di impiego di tali flussi. Questa tipologia di informazioni consente dunque non solo una valutazione sulla struttura finanziaria dell’impresa (analisi della liquidità e della solvibilità) ma anche una valutazione su alcuni risultati operativi attraverso la cui interpretazione viene reso comprensibile il tendenziale raggiungimento o meno degli equilibri finanziari futuri.

Infine il punto 18 evidenzia l’esigenza, nella fase preparatoria del rendiconto finanziario, di definire una precisa configurazione delle fonti, quali ad esempio le risorse finanziarie, il capitale circolante o le disponibilità liquide. In merito alla risoluzione di tale problematica si rimanda allo IAS 7. Inoltre il Framework fa riferimento alla necessità di rappresentare le variazioni della struttura finanziaria in un apposito documento separato ed “autonomo” rispetto agli altri prospetti contabili. La volontà di indicare le suddette informazioni in un report autonomo sta a ribadire la valenza strategica ed operativa che assume l’analisi dei flussi finanziari nei processi decisionali che

141 La centralità dell’aspetto finanziario negli standards IAS/IFRS è stata sottolineata da vari studiosi italiani. Si veda, ad esempio, A. QUAGLI (2004). 142 L’Attività operativa include i flussi finanziari connessi all’attività principale di produzione di reddito della società, quali: a) incassi da vendite di beni o forniture di servizi; b) pagamenti per acquisizioni materie prime; c) pagamenti di stipendi, etc. I flussi finanziari connessi all’attività operativa possono essere esposti nel prospetto: per mezzo del Metodo diretto (indicando le principali categorie di incassi e pagamenti); per mezzo del Metodo indiretto (indicando le voci meramente economiche – ammortamenti, svalutazioni, rivalutazioni – e rettificando i valori di competenza dell’esercizio che non hanno generato movimentazioni finanziarie). 143 Le disponibilità liquide equivalenti devono essere prontamente convertibili in un ammontare noto di denaro e devono essere soggette ad un rischio di variazione di valore non rilevante.

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sovrintendono i percorsi di crescita e di sviluppo delle aziende, nonché la capacità di informazione dell’impresa nei confronti degli stakeholder interessati. L’applicazione degli standard internazionali, comporterà la redazione obbligatoria del rendiconto finanziario anche nel nostro Paese, il quale ha, fino ad oggi, previsto un regime facoltativo in merito. Tanto la normativa civilistica che i principi contabili nazionali non ne prevedono, infatti, l’obbligo di redazione. Tuttavia, mentre il legislatore si è limitato a richiedere l’indicazione delle variazioni intervenute nella consistenza delle voci dell’attivo e del passivo e delle movimentazioni delle immobilizzazioni in nota integrativa, senza prevedere esplicitamente la redazione di un report specifico, il principio contabile n° 12 dell’OIC sottolinea “la particolare importanza” di tale documento, giudicandolo necessario, sebbene non obbligatorio 144. L’assenza del rendiconto finanziario sarebbe infatti giustificata solo per aziende di ridotte dimensioni, le quali risultano amministrativamente meno dotate.

144 L’OIC, nel Documento n° 12, ha proposto tre modelli di rendiconto finanziario che sono rappresentati, in via esemplificativa, in altrettanti allegati.

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CAPITOLO V

I PUNTI CONTROVERSI DELLE VALUTAZIONI AL FAIR VALUE EMERGENTI DAL FRAMEWORK DELLO IASB

SOMMARIO: 1. – Introduzione; 2. – Criteri generali di valutazione; 3. – L’evoluzione incerta e le differenti accezioni dei fair value negli standards contabili internazionali; 4. – Contesto valutativo e misurazione dei risultati aziendali: un legame inscindibile; 5. – La scelta di valori di mercato: le possibili incongruenze; 6. – Il trattamento contabile delle differenze emergenti tra schema generale di valutazione e fair value; 7. – Le motivazioni del percorso di avvicinamento al fair value; 8. – Considerazioni di sintesi.

1. – INTRODUZIONE145

I paragrafi 98-101 del Framework IAS hanno generato entusiasmo e perplessità. Alcuni vi hanno intravisto un superamento dei sistemi contabili tradizionali, motivato dalle critiche che vengono riportate al criterio generale del costo storico. Altri, quelli più vicini alla ortodossia contabile, hanno rifiutato subito le novità, ritenendolo uno stravolgimento eccessivo e immotivato, un “salto nel vuoto”.

Ne è discesa una generale confusione, in particolare in tutti quei paesi dove la tradizione dei principi contabili internazionali è minore; peraltro, si è dovuto familiarizzare con una categorie concettuale di cui è persino difficile la traduzione: il fair value. È questo l’obiettivo di questa nota: individuare i punti controversi riferibili alla scelta dei criteri generali di valutazione. Sotto questo punto di vista, i limiti del Framework appaiono quelli:

1) di non esplicitare che i differenti criteri devono essere espressione di un fair value, nella sua accezione di valore equo o veritiero;

2) di non chiarire cosa si possa intendere per fair value, lasciando di conseguenza tale compito ai singoli principi contabili, che si sono gradualmente evoluti sino alla nozione di fair market value;

3) di non definire il contesto valutativo che può indurre a modificare il criterio generale del costo per abbracciarne uno diverso;

4) di non individuare i limiti con i quali la discrezionalità si può esercitare; 5) di non specificare il trattamento contabile da riservare alle eventuali differenze tra costo

storico e fair value, aprendo la strada all’imputazione dei maggiori valori al conto economico. Il Framework, riconoscendo implicitamente tali problemi, assegna al management, al citato par.

110, ed alle singole prassi contabili nazionali, il compito di trovare un equilibrio tra “relevance” e “reliability” dell’informazione di Bilancio 146.

Tuttavia, tale equilibrio sembra rompersi, sia negli stessi orientamenti dello IASB sia nelle posizioni dottrinali, e si assiste ad alcune degenerazioni verso una fair value accounting che appaiono per certi versi delle direttrici di marcia, ma per altri delle suggestioni in conflitto con i principi generali di redazione del Bilancio.

Il motivo per cui gli equilibri sembrano saltati può essere individuato nella eccessiva genericità del Framework, oltre che la previsione esplicitamente contenuta nello stesso che i singoli principi contabili vi possano derogare147.

145 Il presente capitolo è stato redatto da Antonio Del Pozzo (Università degli Studi di Messina, Dipartimento di Discipline Economico Aziendali). 146 Il Framework (1989: paragrafo 31), afferma: “To be useful, information must also be reliable. Information has the quality of reliability when it is free from material error and bias and can be depended upon by users to represent faithfully that which il either purports to represent or could reasonably be expected to represent”.

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Il Decreto Legislativo 25/2/2005, riconoscendo implicitamente i possibili rischi derivanti dall’applicazione dei principi contabili internazionali, ha previsto, all’art. 6, che non si possono distribuire gli utili derivanti dall’applicazione del fair value, “non riferibili agli strumenti finanziari di negoziazione e all’operatività in cambi e di copertura” e le riserve iscritte direttamente a patrimonio netto.

2. – CRITERI GENERALI DI VALUTAZIONE

Il Framework individua quattro criteri generali di valutazione da seguire nel processo di determinazione del valore delle attività e delle passività, che si applicano sia in fase di riconoscimento iniziale che di valutazione di fine esercizio:

- il costo storico, assunto equivalente alla variazione di denaro o equivalenti del denaro al momento dell’acquisizione di un’attività o di assunzione di una passività. In assenza di movimento di denaro, può essere assunto, in sostituzione, il fair value sempre corrispondente all’epoca dell’acquisizione;

- il valore corrente. Le attività sono iscritte all’ammontare dell’uscita che dovrebbe essere sostenuta per acquisirle al momento della va lutazione. Le passività sono riportate al valore, non attualizzato, che dovrebbe, sempre in atto, essere corrisposto per estinguere le passività;

- il valore di realizzo. Le attività sono riportate al valore che potrebbe essere ottenuto da una vendita ordinaria delle stesse. Le passività sono iscritte al loro valore corrente cioè, come detto, al valore, non attualizzato, di normale estinzione delle passività;

- il valore attuale. Le attività sono riportate al valore attuale dei flussi di cassa in entrata che ciascun fattore si stima possa generare nel futuro. Le passività sono indicate al valore attuale dei flussi di cassa in uscita che devono essere sostenuti per estinguerle.

Il Framework non considera esplicitamente i valori di mercato quale criterio generale di valutazione. Tuttavia, sia le definizioni fornite (di valore corrente e di valore di realizzo), sia le esemplificazioni contenute al paragrafo 101 (marketable securities may be carried at market value), consentono di desumere che il valore di mercato può essere considerato il fondamento logico sia del valore corrente (il valore di mercato nella prospettiva dell’acquirente) sia del valore di realizzo delle poste di Bilancio (il valore di mercato nella prospettiva del venditore).

Il Framework assegna pari dignità ai differenti criteri, anche se individua nel costo storico quello più comunemente utilizzato. Riconosce che, una volta scelta una base di valutazione, possono applicarsi, per le singole poste, valutazioni condotte sulla base di un differente criterio; il Framework, in tal senso, indica alcune prassi di valutazione (per le rimanenze, titoli negoziabili, debiti pensionistici) in cui differenti criteri possono coesistere, ovvero è preferibile una valutazione differente dal costo storico. Ammette, quindi, che il costo storico delle attività non costituite da denaro (o da strumenti assimilati al denaro) possa essere meno rappresentativo di valutazioni a valori correnti in quanto incapace di considerare gli effetti dei cambiamenti dei prezzi.

Nel Framework IAS, così come nel FASB 5 da cui sembra trarre origine, non si cita espressamente il fair value quale criterio generale di valutazione. Esso, tuttavia, è un criterio sotteso, tanto che i successivi principi contabili hanno delineato la definizione di fair value; è inoltre un progetto del FASB (ma anche dello IASB) modificare il Framework per includere il fair value quale criterio generale di valutazione.

Benché non esplicitato, i differenti criteri di valutazione appaiono in ogni caso subordinati ad una rappresentazione chiara e veritiera (true and fair view) della situazione economico-finanziaria. Il punto debole del Framework è proprio di non chiarire questo nesso.

147 Il Framework non assume, infatti, il carattere di principio contabile sovra-ordinato rispetto agli altri, prevalendo invece i singoli criteri di valutazione.

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Sembra opportuno precisare che il fair value, nel Framework, non si sovrappone integralmente con nessuno dei quattro criteri prima citati, pur potendo coincidere con ciascuno di essi. Il Framework è inoltre privo di una descrizione di cosa si possa intendere per fair value. Si precisa solamente che è un criterio sostitutivo del costo per tutti i fattori produttivi per i quali l’acquisizione non è comprovata da una uscita di denaro.

Tuttavia, nel Framework si riconosce che eventi esterni o interni all’impresa possono fare divergere il costo dal fair value, e richiedere una valutazione al valore corrente o al valore di realizzo. Sembra desumersi inoltre che può verificarsi l’incapacità dell’impresa di recuperare il valore dell’investimento, e richiedersi pertanto una valutazione ancorata ai valori attuali.

Il fair value, nel Framework, appare dunque un principio generale di riconoscimento iniziale dei valori e di valutazione di fine esercizio, identificabile sostanzialmente con un valore equo. Tutti i criteri possono esprimere una valutazione corretta, un fair value, ovvero allontanarsi da questa.

Il fair value dovrebbe essere, dunque, il corretto risultato di un processo valutativo che richiede la ponderazione delle seguenti ipotesi:

- l’accezione di risultato economico cui si vuole dare rappresentazione; - la prospettiva di funzionamento aziendale (no rmale continuazione o di cessazione

dell’attività) anche in considerazione di eventi esterni (esistenza di rapporti concessori o autorizzativi, probabile default finanziario, etc.).

- la natura particolare dell’Attività o della Passività di cui si procede alla valutazione; - lo scopo per il quale è detenuta l’Attività o la Passività o è impiegato un fattore produttivo; - gli eventuali legami (di gruppo, di cointeressenza, ecc.) esistenti con i terzi. La considerazione del fair value quale principio generale di valutazione, guida di riferimento per

i criteri adottati, richiede, tuttavia, alcune precisazioni. Essa, infatti, è stata stravolta dai successivi principi contabili.

Nel Regolamento (CE) n° 1725/2003, il fair value è stato tradotto letteralmente come valo re equo, anche se a volte, in altri documenti ufficiali, è stato preferito il termine valore corrente o valore di mercato.

La mancanza di tale esplicito richiamo è stato causa di numerosi equivoci. In molti casi, il fair value è stato assimilato al criterio dei valori correnti, in altri al valore di mercato.

In effetti, alcune affermazioni generiche dei §§ 98-101, peraltro confermate dai singoli principi contabili (in particolare, IAS 40), fanno capire che tale principio si è evoluto sino a divenire un equo valore di mercato (fair market value) che potrebbe, se non adeguatamente ricondotto ai principi generali di redazione del Bilancio (come peraltro riconosciuto dallo stesso Framework al par. 110) condurre ad evidenti violazioni al principio generale di prudenza e alla stessa competenza economica.

3. – L’EVOLUZIONE INCERTA E LE DIFFERENTI ACCEZIONI DEI FAIR VALUE NEGLI STANDARDS CONTABILI INTERNAZIONALI

Occorre considerare che la nozione di fair value si è sedimentata nei principi contabili per effetto di una lenta evoluzione, per certi versi costante ed incerta. Gran parte di questa evoluzione è stata guidata, con una certa cautela, dai principi contabili statunitensi FAS; recentemente, lo IASC ha dimostrato di voler svolgere un ruolo ancora più dinamico, tracciando una direttrice di cambiamento delle prassi contabili ancora più netta e costringendo, in un certo senso, il FASB ad inseguire le novità.

Originariamente, così come nel Framework IAS, anche nei FAS (e in particolare nell’analogo Concepts Statement FASB 5) il fair value non viene considerato un criterio generale di valutazione. Esso viene considerato un sostituto del criterio generale del costo storico nel caso di acquisto di fattori produttivi non testimoniati da uscite di denaro.

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Come detto, questa accezione delinea una originaria interpretazione del fair value come valore equo. Si tratterebbe, infatti, di attribuire un giusto valore a quei fattori produttivi per i quali non vi è una documentazione probatoria che ne attesti l’uscita di denaro. Ciò può riguardare i beni acquisiti in leasing e patrimonializzati, i conferimenti o le donazioni in natura.

La prima definizione di fair value, in sintonia con tale esigenza, è contenuta nel FAS 13 (1976, Accounting for Leases), dove si chiarisce il riferimento al prezzo formatosi in uno scambio tra soggetti autonomi: Fair value: The price for which a property could be sold in an arm’s-length transaction between unrelated parties. (paragraph 5c).

Nel FAS 67 (FASB, 1982) la definizione di fair value si arricchisce della base volontaria che deve contraddistinguere lo scambio : Fair value: The amount in cash or cash equivalent value of other consideration that a real estate parcel would yield in a current sale between a willing buyer and a willing seller (i.e. selling price), that is, other than in a forced or liquidation sale. (paragraph 28)

Nel FAS 87 (FASB, 1985), il fair value si precisa ulteriormente, chiarendosi che occorre prescindere dalle condizioni specifiche dello scambio. Si è giunti, quindi, alla nozione che riconduce il fair value ad un valore astratto ottenibile in uno scambio tra due parti indipendenti, razionali e che liberamente, senza costrizioni, decidono di concluderlo. Si tratterebbe quindi di determinare il c.d. fair market value, cioè il probabile prezzo di mercato di un bene, prescindendo dalle specifiche condizioni soggettive dello scambio.

Nel FAS 107 (1991), il FASB amplia ulteriormente la nozione di fair value, sino a comprendere: il valore di mercato; il valore di strumenti finanziari comparabili; il valore attuale; altri procedimenti di valutazioni accettati dalla comunità finanziaria (ad esempio, per le opzioni, il modello Black-Scholes)148:

Quoted market prices, if available, are the best evidence of the fair value of financial instruments. If quoted market prices are not available, management’s best estimate of fair value may be based on the quoted market price of a financial instrument with similar characteristics or on valuation techniques (for example, the present value of estimated future cash flows using a discount rate commensurate with the risks involved, option pricing models, or matrix pricing models). (paragraph 11).

In mancanza di un mercato attivo, la valutazione dovrebbe quindi avvenire sulla base del valore attuale dei frutti o valore uso, o valore intrinseco o investment value, considerato come funzione dei flussi reddituali o finanziari attesi che quel bene può produrre prescindendo, oltre che dalle circostanze soggettive dello scambio, anche dalle altre utilità che quel bene può produrre (sinergie nel caso di acquisto di aziende, c.d. merger synergies149). Da un punto di vista teorico, dunque, il fair market value dovrebbe coincidere con il fair investment value. Lo scambio, infatti, per compiersi a valori non condizionati dall’irrazionalità o dalle posizioni specifiche delle parti, dovrebbe avvenire proprio sulla base della considerazione astratta dei flussi che la posta che si vuole valutare può cedere.

Il fair investment value dovrebbe, a sua volta, sovrapporsi con il valore d’uso, anche se i principi contabili distinguono tali valutazioni proprio perché il primo non include il valore delle sinergie, mentre il secondo rappresenta il valore attuale di tutti i flussi ottenibili dall’impresa, come si desume dallo IAS 40, par. 43: “il fair value (valore equo) riflette la conoscenza e le stime dei soggetti economici presenti sul mercato … al contrario, il valore d’uso riflette la conoscenza e le stime dell’impresa, come pure i fattori specifici di una determinata entità economica e non applicabili alle imprese nel loro insieme”.

148 I. K. KHURANA, M. S. KIM (2003: 19-42). “Recently the Financial Accounting Standards Board (FASB) made a fundamental decision that fair value is the most relevant attribute for financial instruments (FASB, 2000, p. 8). Although the quoted market value is the prescribed measure of fair value, the FASB adopted the term ‘‘fair value’’ instead of market value to encompass estimated values for financial instruments that are not traded in active markets. 149 Per un approfondimento, si veda, in particolare, M. MASSARI, L. ZANETTI (2004: 312).

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Probabile prezzo di mercato, valore dell’investimento e valore d’uso, tuttavia, normalmente divergono perché i mercati si allontanano in modo più o meno sensibile dalle condizioni di efficienza perfetta. Anche nella dottrina economico aziendale si è sempre operata la distinzione tra prezzo e valore astratto in particolare con riferimento alla valutazione delle aziende.

Appare necessario chiarire che gli allineamenti al fair value, sino a questo stadio di evoluzione, vengono considerati elemento solo del “comprehensive income statement” (FASB, 1997) e non influenzano il conto economico tradizionale (FASB, 1984). Il controvalore della rivalutazione viene accantonato a riserva indisponibile.

Ma è con il FAS 133 (FASB, 1998) che il fair value comincia a delineare un nuovo sistema

contabile: la fair value accounting. Si riconosce, infatti, che i prodotti derivati detenuti per la vendita devono essere valutati al fair value e che i cambiamenti di valore devono essere imputati a conto economico.

Lo IASB imprime una ulteriore accelerazione con il principio contabile n° 40 destinato alla valutazione degli investimenti immobiliari di godimento (IAS 40, 2000) ed il n° 41 (agricoltura)150. Si riconosce, per la prima volta nei principi contabili internazionali, la possibilità di valutare gli immobili al loro fair value, facendo partecipare i plusvalori o i minusvalori direttamente al conto economico, delineando compiutamente la Fair value accounting151. Peraltro nella traduzione in italiano, si concretizza la confusione accennata in premessa, accostando il termine di fair value a

150 IAS 40, 3: “Un investimento immobiliare è definito come proprietà immobiliare (terreno o edificio o parte di un edificio – o entrambi) posseduto (dal proprietario o dal locatario per tramite un contratto di leasing finanziario) al fine di percepire canoni di locazione o per l’apprezzamento del capitale investito o per entrambi i motivi …”. 151 IAS 40, 7: “Questa è la prima volta che il Board ha introdotto la contabilizzazione al fair value (valore equo) per attività non finanziarie”.

Costo storico

Esclusione dei fattori specificidella singola impresa relativi a sinergie

Valori per l'acquirente

Area del fair value nella sua più recente evoluzione

(Fair market value)Fair o investment value

Valore d'uso

Flussi di cassa in entrata e in uscitaFlussi di cassa in uscita

Flussi di cassa in entrata

Valore di realizzo

Valore corrente

Valore di mercato

Venditore

attualizzati

Flussi di cassa in entrataPassività

AttivitàFlussi di cassa in uscita

Fair value di acquisizione

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quello di valore equo, mentre abbiamo visto che oramai l’accezione implicita è quella di fair market value.

In fase di recepimento dei principi contabili internazionali, tuttavia, tale facoltà è passata quasi inosservata, anche se - applicata concretamente - condurrebbe ad una violazione dei principi di redazione del Bilancio ed è dunque preclusa. Significativo è rilevare, al proposito, come la sospensione di alcuni principi contabili (lo IAS 32 e 39) non sia stata richiesta per questo principio, che tuttavia appare ancora più problematico.

4. – CONTESTO VALUTATIVO E MISURAZIONE DEI RISULTATI AZIENDALI : UN LEGAME INSCINDIBILE

La maggiore lacuna dei paragrafi in commento appare riconducibile alla mancata definizione del contesto valutativo che può indurre ad abbandonare il criterio generale del costo. In particolare, non viene esplicitato che tale esigenza si deve porsi il fine di una migliore rappresentazione del risultato reddituale. La conseguenza è che si potrebbe abbandonare il criterio del costo anche per la misurazione di un accrescimento del valore del patrimonio svincolato dalle capacità di produzione di flussi di reddito e finanziari.

È questo uno dei punti maggiormente controversi del Framework, che appare opportuno sintetizzare alla luce anche delle posizioni esistenti in dottrina.

È pur vero che il Framework, ai paragrafi 104-110, delinea i concetti di capital maintenance (finanziaria e operativa) che dovrebbero fornire gli ambiti valutativi nei quali può operarsi l’allineamento dei valori, ma tali paletti sembrano poi saltati, come detto, dai singoli principi contabili.

Bisogna chiarire subito, al riguardo, che l’esigenza del mantenimento dell’integrità del valore del capitale è stata riconosciuta come causa di rivalutazione del capitale. La dottrina italiana assume l’opportunità di abbandonare, in particolari situazioni, il criterio generale del costo storico per accrescere la significatività dei risultati di Bilancio. In tale senso, il contributo di Masini, che ha approfondito le operazioni di rivalutazione del capitale di funzionamento, identificandole come una specifica classe di operazioni aziendali152. Secondo tale impostazione, alla fine dell’esercizio, occorre procedere ad una valutazione degli elementi del patrimonio al fine di verificare se i valori iscritti siano in grado di contribuire correttamente alla formazione del reddito di esercizio.

Le cause della rivalutazione sono state individuate in fenomeni quali l’inflazione, il cambiamento generale dei prezzi, le modifiche nelle possibili destinazioni d’uso dei beni, etc. Il controvalore delle rivalutazioni del capitale di funzionamento trova rappresentazione nel patrimonio netto d’impresa, in apposito fondo di riserva.

Anche il Ferrero ha riconosciuto le necessità di adeguamento dei valori di Bilancio, distinguendo le mere esigenze di adeguamento alla dinamica inflativa, da quelle di adeguamento dei valori di sostituzione.

Il patrimonio, in tale accezione, diviene un fondo astratto di utilità, sino ad includere nell’attivo la disponibilità dei fattori produttivi che, sotto il profilo funzionale, ancora devono cedere la loro utilità per l’ottenimento del risultato economico, al netto delle poste rettificative e dei debiti assunti.

I costi esprimono il valore finanziario del consumo dei fattori produttivi utilizzati per l’ottenimento della produzione. Cambiando il valore dei fattori produttivi, mutano di conseguenza i valori dei consumi. La relazione tra misura del patrimonio e misura del reddito è stata chiarita nella dottrina economico aziendale nel senso che la prima deve essere funzionale alla corretta determinazione del reddito di esercizio. Essa risponde alla prospettiva della continuazione dell’attività aziendale tipica della nozione di capitale di funzionamento.

La misura di reddito corrisponde, in sostanza, a quella del reddito conseguito senza compromettere nel tempo l’ordinata successione dei cicli acquisti, produzione e vendite. Esso, nel

152 Cfr. C. MASINI (1970).

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lungo termine, è anche un reddito prelevabile in quanto la capacità espressa dal reddito di rigenerazione dei fattori produttivi impiegati è premessa logica per la distribuzione dello stesso.

Parte significativa della dottrina economico-aziendale ha riconosciuto, quindi, alla rivalutazione del capitale di funzionamento il ruolo di consentire la modifica della misura del netto patrimoniale per giungere ad una migliore rappresentazione contabile dei redditi futuri; ha ipotizzato, infatti, di far transitare i maggiori valori iscritti nel capitale di funzionamento direttamente tra i conti di riserva del netto patrimoniale.

La dottrina ha anche chiarito che si deve abbandonare il criterio del costo storico quando vengono meno le prospettive di continuazione dell’attività aziendale. Dai valori del capitale di funzionamento, si deve giungere a valori rappresentativi del valore del capitale netto di liquidazione, il quale deve recepire i valori di realizzo delle attività e non più i costi sostenuti.

Anche nella legislazione vigente, il confronto tra i costi storici, valori d’uso e valori di mercato è comunemente accettato, e può condurre alla rilevazione di “perdite durevoli di valore” disciplinate anche dall’art. 2426 c.c. Non sembra opportuno dilungarsi su tale problematica, che costituisce una versione più restrittiva dell’impairment test previsto dallo IAS 36.

5. – LA SCELTA DEI VALORI DI MERCATO: LE POSSIBILI INCONGRUENZE

La genericità del Framework in ordine alle esigenze di abbandonare il criterio del costo storico appare eccessiva. Di conseguenza, si potrebbero recepire valutazioni disancorate al costo per esigenze non riconducibili alla migliore rappresentazione del risultato reddituale, ma per mero allineamento ai valori di mercato. Come si è detto, tra valutazioni al costo storico e valutazioni al valore d’uso non vi è alcuna contrapposizione e anzi è sempre stata riconosciuta la necessità di un confronto tra costi storici e possibilità di reintegro in condizioni economicamente convenienti degli stessi. Il valore d’uso, di conseguenza, è stato considerato come un valore limite prudenziale.

La considerazione del fair value come valore di mercato, disancorato dai valori d’uso, è invece estranea alla dottrina economico-aziendale e pone particolari problemi nel caso in cui sia superiore al costo storico e al valore recuperabile.

L’impresa, secondo quanto previsto dallo IAS 36, può scegliere, nel test di impairment, uno qualsiasi dei valori (di mercato o d’uso) secondo lo schema che segue:

Occorre ribadire, al riguardo, che il riferimento ai valori di mercato è stato ulteriormente

amplificato con lo IAS 40, relativo agli investimenti immobiliari di godimento. Le perplessità crescono, in quanto si tratta di beni per i quali non si può individuare di norma un mercato attivo

Fair value di acquisizione

TEST DI IMPAIRMENT Valore d'uso

Costo storico

(Fair market value)Valore di mercato Fair o investment value

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che esprima prezzi sufficientemente stabili; i tempi di conclusione dello scambio sono inoltre normalmente lunghi.

L’effetto sarebbe quello di contabilizzare il valore economico dei beni, compreso l’avviamento (nella sua accezione di capacità di produrre sovraredditi). Peraltro, occorre considerare che proprio i mercati immobiliari hanno conosciuto negli anni ‘90 turbolenze significative, con la presenza di forti bolle speculative che sono state all’origine anche di crisi congiunturali.

Lo IASB è consapevole di tali obiezioni, tanto da consentire l’utilizzo solo facoltativo, e in alternativa allo IAS 16, di tale principio contabile153. Non è difficile ipotizzare, comunque, che la valutazione al fair value si estenda facilmente alle partecipazioni finanziarie.

Anche per quanto riguarda i debiti, la valutazione al fair value potrebbe indurre ad alcune incongruenze logiche in quanto, all’aumentare del rischio finanziario, si ridurrebbe il loro valore astratto di mercato.

6. – IL TRATTAMENTO CONTABILE DELLE DIFFERENZE EMERGENTI TRA SCHEMA GENERALE DI VALUTAZIONE E FAIR VALUE

Altro limite dei paragrafi in commento del Framework è riconducibile, per quanto detto, alla mancata specificazione del trattamento contabile da riservare alle eventuali differenze tra costo storico, valori d’uso e valori di mercato.

Un eventuale maggiore valore dei beni dovrebbe essere imputato al patrimonio netto, limitando gli impatti positivi alle operazioni che hanno già prodotto conseguenze definitive, misurabili in termini di accrescimenti permanenti del patrimonio.

Come abbiamo visto, invece, si sta delineando una fair value accounting in cui le Attività (al momento solo quelle da godimento) non misurano più il loro valore a costo storico eventualmente rivalutato, ma direttamente il valore economico del capitale operativo.

Le incongruenze logiche di tale sistema contabile sono sinteticamente riconducibili alle seguenti motivazioni:

a) non si procede più all’ammortamento dei beni, con la conseguenza di non consentire un apprezzamento delle capacità d’impresa di remunerare l’investimento originario, di cui si apprezza solo la modificazione di valore nel tempo;

b) eventuali cambiamenti nei valori economici non solo non riguarderebbero utili sperati, ma anche l’avviamento relativo a più esercizi di competenza (nel caso di attualizzazione illimitata, la capacità di produrre sovra-redditi sino all’infinito);

c) anche eventuali modifiche nella stima dei flussi di cassa e nei tassi di attualizzazione si ripercuoterebbero in una rappresentazione dell’avviamento o di plusvalori non realizzati al conto economico.

7. – LE MOTIVAZIONI DEL PERCORSO DI AVVICINAMENTO AL FAIR VALUE

La direttrice tracciata sia dal FASB che dallo IASB al momento non sembra contrastabile. Peraltro, la marcia verso le valutazioni al valore di mercato sembra solo all’inizio, posto che è oramai riconosciuto che il fair market value sia il criterio di valutazione più rappresentativo, non solo per la generalità delle imprese ma anche per le banche, ai fini di rappresentare valori rilevanti per gli investitori (consentendo di cogliere più immediatamente le relazioni tra valore dell’investimento e

153 IAS 40, 8: “…il Board ritiene che non sia possibile, allo stato attuale, richiedere che gli investimenti immobiliari siano rilevati in bilancio esclusivamente al fair value (valore equo). Allo stesso tempo, il Board ritiene che è consigliabile consentire la contabilizzazione al fair value (valore equo). Questo processo evolutivo consentirà a redattori e utilizzatori del bilancio di acquisire maggiore esperienza con la contabilizzazione al fair value (valore equo) e darà tempo ad alcuni mercati immobiliari di ottenere una maggiore maturità”.

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potenzialità di accrescimento del valore del capitale), e per il management ai fini delle decisioni strategiche 154.

Nelle intenzioni, rappresenterebbe l’esigenza di dare maggiore significatività ai bilanci, in particolare di consentire un apprezzamento della performance economica complessiva, riducendo il divario tra valori contabili e valori economici155.

Altro obiettivo è quello di responsabilizzare il management attraverso comportamenti maggiormente discrezionali, evitando che questi si trinceri in un atteggiamento di osservanza di regole contabili preconfezionate (il costo storico) che possono invece non essere rappresentative della realtà. Si cita la circostanza che l’orientamento alle valutazioni al costo può costituire uno scudo che protegge dalle responsabilità, anche in casi di palese violazione degli obblighi di diligenza degli amministratori, come nei recenti scandali finanziari. Tali obiettivi, tuttavia, appaiono difficilmente raggiungibili con la fair value accounting.

Per quanto riguarda il primo obiettivo, le numerose ricerche empiriche condotte non hanno evidenziato un legame diretto tra valutazioni al fair value e significatività dell’informazione di Bilancio; le relazioni con l’andamento dei corsi azionari sono deboli. Non si vede poi quale nesso vi possa essere tra maggiore grado di responsabilità del management e trasparenza dei bilanci.

8. – CONSIDERAZIONI DI SINTESI

Il fair value è un principio guida generico e sostanzialmente non assimilabile ad alcun criterio specifico di valutazione. La dicotomia con il costo storico non è contenuta nel Framework, nel quale il fair value assume il significato di valore equo da recepire nelle valutazioni. La eccessiva genericità del Framework ha consentito tuttavia la sua assimilazione al fair market value. La mancanza dei limiti con i quali si può derogare al costo storico può condurre a valutazioni di fine esercizio incompatibili con i principi generali di redazione del Bilancio.

Le incongruenze principali riguardano il recepimento di valori di mercato che siano superiori rispetto ai valori d’uso. Ciò può consentire la rilevazione al Conto economico di plusvalori non realizzati, non di competenza economica ovvero espressione dell’avviamento su beni propri.

154 I. K. KHURANA, M. S. KIM (2003: 19-42). “The decision to mandate fair value disclosures was made amidst a long-standing debate between the advocates of fair value accounting and advocates of historical cost accounting. The basic premise underlying the FASB_s decision is that fair value of financial assets and liabilities better enables investors, creditors and other users of financial statements to assess the consequences of an entity’s investment and financing strategies. Advocates of historical cost, on the other hand, point to the reduced reliability of fair value estimates relative to historical cost. Their arguments suggest that investors would be reluctant to base valuation decisions on the more subjective fair value estimates (Barth, 1994, p. 3)”. I. K. KHURANA, M. S. KIM (2003: 19-42). “The FASB (2000, p. 8) has stated that its long-term goal is to have all financial assets and liabilities recognized in statements of financial position at fair value rather than at amounts based on historical cost. It has also issued several significant pronouncements on fair value disclosures, SFAS No. 107, Disclosures about Fair value of Financial Instruments (FASB, 1991), SFAS No. 115, Accounting for Certain Investments in Debt and Equity Securities (FASB, 1993), and SFAS No. 133, Accounting for Derivative Instruments and Hedging Activities (FASB, 1998). Underlying the issuance of these pronouncements is the belief that fair value provides information about financial assets and liabilities that is more relevant than amounts based on historical cost. The FASB_s (2001, p. 9) intermediate objective is to issue a statement that would describe more specifically how to determine fair value for financial instruments and improve the form and content of the disclosures required by SFAS No. 107”. 155 B. BARLEV, J. R. HADDAD (2003: 383–415). “Accounting information is used to analyze (a) liquidity, (b) solvency, (c) profitability, (d) efficiency, (e) dividend policy, and (f) business policy. (A comprehensive analysis may be found in Rees (1995) and White et al. (1998).) The HCA model distorts many items in the income statement and the balance sheet and diminishes the value of the analysis2. Accounting purports to be an instrumental tool for decisions and to report value relevance information. The accounting profession, however, preferred reliability to relevance, used HCA, and failed to perform this task”.

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CAPITOLO VI

FUNZIONE DEL BILANCIO E CAPITAL MAINTENANCE: CONCEZIONI ORIGINARIE NELLA DOTTRINA TEDESCA

E SPUNTI DI RIFLESSIONE SUL FRAMEWORK IASB

SOMMARIO: 1. – Il quadro concettuale di riferimento; 2. – Genesi e peculiarità della concezione statica del Bilancio; 3. – L’enfasi sul significato dinamico della rappresentazione dei valori; 4. – Conservazione del capitale, determinazione del risultato economico e funzione del Bilancio: considerazioni sugli orientamenti espressi dal Framework .

1. – IL QUADRO CONCETTUALE DI RIFERIMENTO156

Il dibattito dottrinale sulla funzione informativa del Bilancio d’esercizio e sulle connesse implicazioni riguardanti la stima e l’interpretazione dei valori che ne costituiscono, ad un tempo, l’intima essenza ed il fondamento per la determinazione dei risultati di sintesi, ha rappresentato, sin dalle sue origini, uno dei temi di maggior interesse per la disciplina economico-aziendale, la cui evoluzione ha portato alla formazione ed alla progressiva diffusione, anche a livello europeo, di una cultura contabile saldamente ancorata a solide basi teoriche.

Sotto questo profilo, giova, peraltro, sottolineare come taluni concetti cardine - approfonditamente trattati dai numerosi Autori italiani che hanno promosso la formazione ed il consolidamento dell’attuale patrimonio di conoscenze in campo aziendale - possano essere rinvenuti anche nei contributi elaborati, tra la fine dell’Ottocento ed i primi decenni del Novecento, da alcuni tra i più illustri Esponenti della dottrina tedesca.

L’analisi dei suddetti contributi svela, in particolare, non pochi interessanti riferimenti a problematiche che, alla luce dei recenti provvedimenti legislativi in tema di redazione del Bilancio, assumono notevole rilievo, quali la nozione di “conservazione del capitale” - strumentale ai fini della determinazione e della corretta interpretazione del risultato netto di esercizio - e l’individuazione dei destinatari del Bilancio, aspetto, quest’ultimo, che ne condiziona direttamente l’obiettivo conoscitivo, il contenuto informativo nonché i risvolti di natura formale e sostanziale.

Le differenti impostazioni dottrinali delineatesi in Germania nell’arco temporale considerato possono essere ricondotte a due filoni principali, formati l’uno dalle “teorie di Bilancio” (Bilanztheorien) dualistiche, l’altro dalle cosiddette teorie monistiche, secondo un criterio classificatorio fondamentalmente basato sugli scopi assegnati al Bilancio 157.

L’approccio dualistico trovò nello sviluppo della concezione organica di Fritz Schmidt una delle sue più note e significative espressioni158.

156 Il presente capitolo è stato redatto da Corrado Corsi (Università degli Studi di Verona, Dipartimento di Economia Aziendale). 157 P. ONIDA (1951: 9); C. CAMPANINI (1988: 36). È doveroso precisare che, per la dottrina tedesca dell’epoca, il termine Bilancio (Bilanz) valeva ad identificare il solo “stato patrimoniale”, assumendo, pertanto, un significato più circoscritto rispetto a quello attuale. Tale significato “restrittivo” del termine è stato, peraltro, a lungo accolto anche dal Codice Civile italiano, il quale, nel dettato antecedente al D. Lgs. 127/91, identificava nel “bilancio” sia l’insieme dello stato patrimoniale e del conto economico (artt. 2423 ultimo comma, 2431, 2432, 2433 ecc.) sia il solo stato patrimoniale (artt. 2217, 2423, 2424, 2427, etc.). 158 F. SCHMIDT (1929). Come osserva R. FERRARIS FRANCESCHI (1978: 44-45) “l’unità produttiva, secondo Schmidt, non è un meccanismo chiuso in se stesso da osservare e gestire, ma un complesso di quantità in diretto collegamento con il mercato. Le aziende sono ‘organi’ dell’economia in quanto ogni mutamento qualitativo, quantitativo ed ogni trasferimento di beni provoca variazioni nei valori che tali quantità rappresentano”, in effetti, “la parte centrale della

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Il presupposto teorico di tale impostazione - che concepiva il Bilancio come strumento idoneo alla congiunta determinazione del valore complessivo del patrimonio aziendale e del risultato economico di esercizio - si fondava sull’assunto che la corretta misurazione dell’utile o della perdita da assegnare ad un determinato periodo non potesse prescindere dalla prevent iva salvaguardia della continuità aziendale 159.

Quest’ultima condizione poteva dirsi realizzata soltanto allorché, in chiusura di esercizio, risultasse preliminarmente garantito l’approvvigionamento di risorse almeno sufficienti ad assicurare all’azienda la medesima competitività inizialmente espressa, sia in termini di potenzialità produttiva sia in termini di capacità reddituale, tenuto conto del continuo mutamento di condizioni indotto dal progresso tecnologico ed economico.

Ciò implicava, dunque, la necessità di premettere alla quantificazione del risultato economico - interpretato come incremento o decremento della dotazione di capitale iniziale - la determinazione del valore di ricostituzione del patrimonio, necessario al fine di mantenerne l’integrità economica, nell’accezione sopra richiamata, e di impedire l’inclusione, tra i componenti reddituali, di variazioni di valore non classificabili in termini di nuova ricchezza generata (o di ricchezza distrutta) per effetto dell’attività svolta nel periodo.

Tale concetto di integrità economica, definita in termini relativi e sostanziali, del capitale si dimostrava, dunque, fondato non tanto sulla conservazione di un equivalente monetario, quanto su quella di un equivalente fisico, con specifiche caratteristiche quantitative e qualitative, espresso in valori monetari correnti alla data del Bilancio.

In effetti, quello del “prezzo corrente” risultava essere il criterio comunemente assunto per tutti gli elementi patrimoniali soggetti a valutazione in fase di determinazione del capitale di Bilancio. Quest’ultimo veniva, pertanto, sistematicamente riespresso a valori di ricostituzione, allogando le contropartite delle eventuali variazioni di valore apportate ai singoli elementi - dovute tanto a fenomeni inflazionistici, peraltro assai frequenti nella Germania del tempo, quanto a cause di altra natura verificatesi nel corso del periodo - in un apposito conto di capitale acceso alle “variazioni di valore” (Wertänderungskonto) riferite al patrimonio160.

Coerentemente con il concetto di integrità economica del capitale così formulato, il risultato economico d’esercizio era, dunque, concepito da Schmidt come differenza tra ricavi di vendita e costi attuali di acquisto o riproduzione dei beni venduti, determinati al momento del completamento

ricerca teoretica di Schmidt è dedicata all’azienda inserita nel contesto economico e con precisione all’analisi del sistema di rapporti reciproci tra quella e questo”. Sull’argomento si rinvia anche a A. CECCHERELLI (1961: 52); G. CATTURI (1992: 413). Per un approfondimento sull’impostazione teorica elaborata da Schmidt si veda, utilmente, L. BAGNOLI (1997). Al filone dualistico appartiene anche l’elaborazione teorica proposta da K. Sewering (si veda, in proposito, K. SEWERING (1933), il quale, peraltro, si differenzia da Schmidt in ordine alla definizione dei criteri di valutazione adottati in sede di redazione del Bilancio. Per Sewering, infatti, “le rimanenze di beni destinati alla vendita, ad es., si dovrebbero valutare a presunto ricavo attuale, nello Stato attivo e passivo, ma dovrebbero farsi concorrere alla formazione del reddito, in base al costo passato, salvo che questo costo non potesse ritenersi definitivamente superiore al presunto ricavo attuale. ... Diverso è anche il pensiero dei due Autori per quanto concerne la valutazione delle immobilizzazioni attive. Gl’impianti, secondo il Sewering, si dovrebbero valutare a costo passato e non a costo attuale di riproduzione”; P. ONIDA (1951: 9). 159 Commenta, in proposito, P. ONIDA (1951: 8-9): “Lo Schmidt dopo aver osservato che l’imprenditore ha due scopi fondamentali da raggiungere: a) conservare il ‘valore relativo’ dell’impresa nel mercato, nel seno dell’economia collettiva di cui essa è cellula: b) trarre il massimo reddito possibile dall’impiego del capitale, assegna corrispondentemente al bilancio d’esercizio un duplice intento: rilevare il valore attuale del patrimonio ed insieme il reddito d’esercizio”. 160 Sul punto lo stesso F. SCHMIDT (1929: IV) precisa, infatti, che la sua teoria “è sorta al tempo dell’inflazione monetaria. Ma già nella prima edizione [1921, n.d.r.] si fece notare che si tratta di una fondamentale presa di posizione nel problema delle variazioni di valore d’ogni specie che si ripercuotono sulla gestione”; (traduzione tratta da U. DE DOMINICIS , 1959: 55). “Tutte le variazioni del ‘patrimonio in riposo’ (ruhende Vermögen) dovrebbero riferirsi ad un sottoconto del capitale netto, che l’A. chiama ‘Conto variazioni di valore’”; P. ONIDA (1951: 46).

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del ciclo economico, proprio al fine di quantificare correttamente il costo di ricostituzione di tutte le risorse utilizzate per l’ottenimento di tali beni161.

Nel caso di operazioni ancora in corso di svolgimento alla data di chiusura del Bilancio, l’iscrizione delle relative “rimanenze” doveva avvenire in base al prezzo corrente del giorno; la differenza tra quest’ultimo valore ed il corrispondente valore storico, precedentemente rilevato come costo di acquisto, trovava la propria contropartita nel suddetto conto acceso alle variazioni del netto, in quanto non rappresentava un componente di reddito, bensì una variazione di capitale da contabilizzare in risposta alle variazioni dei prezzi dei fattori di produzione verificatesi nel corso dell’esercizio162.

La convinzione di poter apprezzare, attraverso un unico processo di valutazione, tanto il risultato economico di esercizio, quanto il valore complessivo dell’aggregato patrimoniale non trovò, peraltro, piena condivisione nell’ambiente dottrinale tedesco dell’epoca, lasciando spazio al diverso orientamento che riteneva, invece, possibile cogliere correttamente, attraverso la redazione del Bilancio, solo una delle dimensioni quantitative sopra richiamate.

Tra le impostazioni mono-finalistiche, definite, per l’appunto teorie monistiche, rispondenti all’orientamento in parola assunsero rilievo, da un lato, la concezione statica del bilancio, che perseguiva l’obiettivo della determinazione del valore della sostanza patrimoniale, e, dall’altro, la concezione dinamica del medesimo - fermamente sostenuta, in particolare, da Autori come Schmalenbach, Walb, Kosiol - che ne identificava, invece, il fine principale nella quantificazione del reddito d’esercizio e nell’individuazione delle sue determinanti163.

2. – GENESI E PECULIARITÀ DELLA CONCEZIONE STATICA DEL BILANCIO

Con riferimento alle origini della concezione statica del Bilancio, un doveroso cenno meritano le disposizioni concernenti la valutazione dei beni presenti nell’inventario contenute nell’Ordonnance de Commerce francese del 1673, dalle quali emerge abbastanza chiaramente lo scopo che ne aveva ispirato la redazione, rappresentato, in estrema sintesi, dalla tutela degli interessi dei terzi creditori164.

Tale obiettivo era perseguito, nella fattispecie, attraverso la rappresentazione del presunto “vero” quadro del momento della situazione patrimoniale, secondo un’interpretazione inequivocabilmente materialistica del concetto stesso di patrimonio, completamente refrattaria alla percezione degli effetti legati alla dinamica dei fenomeni che, nel concreto, ne influenzano l’entità. 161 “Secondo questo Autore, il reddito dovrebbe determinarsi dalla differenza tra i ricavi delle vendite ed i costi attuali di riacquisto o di riproduzione dei beni venduti, nel momento in cui questo scambio avviene. Dalla formazione del reddito dovrebbero restare, quindi, escluse non solo le variazioni di valore dei beni di durevole uso nell’azienda (ad es. di macchine e impianti destinati alla produzione) ma anche le differenze tra i costi passati di acquisto o di produzione e quelli attuali dei beni venduti... Tutte queste variazioni dovrebbero – secondo la concezione in esame – essere riferite unicamente al patrimonio”; (P. ONIDA, 1951: 45-46). 162 In effetti, nell’impostazione in esame il reddito di esercizio doveva determinarsi “indipendentemente dalle variazioni di valore di scambio delle merci o dei prodotti durante la loro giacenza presso l’impresa fino all’epoca della vendita”; P. ONIDA (1951: 46). “Quando il reddito di esercizio scaturisce dalla contrapposizione dei ricavi di vendita con i costi di sostituzione dei beni venduti, i redditi assumono il significato di incremento o decremento del valore di ricostituzione del capitale netto ottenuto dalla somma algebrica dei valori di ricostituzione degli elementi attivi e passivi. L’insieme delle differenze tra componenti di reddito di derivazione numeraria e componenti di reddito ricalcolati sul fondamento dei costi di sostituzione ... tende dunque ad esprimere quote di ‘risparmio’ ricollegabili in via esclusiva alle variazioni intervenute, durante il periodo, nei prezzi dei fattori della produzione”; G. CERIANI (1991: 329). 163 Per un approfondimento sull’impostazione in parola si vedano, tra gli altri: H. V. SIMON, (1886); J. F. SCHAER, (1890); R. FISCHER (1905, 1908); R. PASSOW (1923); W. OSBAHR (1923). In merito alla concezione dinamica del Bilancio d’esercizio si consultino: E. SCHMALENBACH (1956); E. WALB (1926); A. HOFFMANN (1929); E. KOSIOL (1973). 164 C. CAMPANINI (1988: 47). Sul dettato dell’Ordonnance de Commerce, emanata da Colbert, ministro del Re Luigi XIV, fu, in seguito, modellato il Codice di Commercio francese del 1808, successivamente assunto, a sua volta, quale riferimento nell’ordinamento giuridico di numerosi paesi europei, Germania inclusa. Cfr. E. PERRONE (1997: 273).

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Alla luce di ciò appare, allora, del tutto comprensibile l’estrema attenzione riservata, in generale, dai promotori della concezione statica del Bilancio (tra i quali figurano Autori quali Nicklisch, Le Coutre, Rieger) all’aspetto formale della sua redazione. In effetti, solo attraverso precise indicazioni in merito alle voci da esporre nello stato patrimoniale, alla loro disposizione ed al loro significato, era possibile pervenire alla stesura di un documento pienamente rispondente alle esigenze di trasparenza così fortemente avvertite, dal quale si pretendeva, altresì, di ottenere, grazie al confronto temporale dei valori, indicazioni utili ai fini del giudizio di economicità della gestione 165.

In tale contesto, la rappresentazione e l’analisi del processo di formazione del reddito costituivano, pertanto, aspetti del tutto secondari, in quanto ritenuti non indispensabili alla misurazione del capitale da porre a garanzia dell’interesse dei terzi. Il reddito di esercizio era, in effetti, concepito essenzialmente come valore patrimoniale differenziale, scaturente dal semplice confronto tra due consistenze patrimoniali consecutivamente determinate, secondo uno schema interpretativo che identificava nell’analitica ed autonoma attribuzione di valore ad ogni singolo elemento patrimoniale il fine ispiratore dell’intero procedimento di stima.

Con riguardo alla definizione del criterio di valutazione da adottare, va preliminarmente osservato come la logica di fondo dell’impostazione in esame avesse, inizialmente, suggerito l’adozione generalizzata del valore di liquidazione, indicato quale migliore approssimazione al valore vero od oggettivo, in grado di riflettere il valore del capitale effettivamente detenuto dall’impresa166.

Alla luce di tale orientamento, le attività erano valutate in ragione del “valore comune di realizzo diretto ed immediato per i singoli beni” e le passività sulla base del “valore di estinzione del singolo debito”167. L’accoglimento del criterio in parola implicava, in buona sostanza, l’esclus ivo inserimento, tra le poste dell’attivo, di valori relativi a crediti e beni dotati di consistenza materiale, ammettendo l’iscrizione di valori relativi a beni immateriali (acquisiti comunque a titolo oneroso) o di valori sospesi solo nel caso in cui gli stessi, a fronte di uscite passate, incorporassero il diritto ad una prestazione futura ben determinata in sede di ipotetica liquidazione.

Tra i valori del passivo trovavano, invece, posto i debiti ed i valori sospesi ai quali, a fronte di entrate passate, corrispondesse l’obbligo di fornire prestazioni future, sempre con implicito riferimento all’ipotesi di liquidazione.

Dal quadro di sintesi delineato traspare, a tutta evidenza, una visione asistemica e frammentaria dei fenomeni e dei valori, caratterizzata da una congenita incapacità di percepire i forti vincoli di complementarietà che avvincono gli elementi del patrimonio dell’azienda, soprattutto nella fase del suo normale funzionamento.

Il patrimonio era concepito, in effetti, come un semplice aggregato di beni, crediti e debiti economicamente indipendenti ed oggetto di autonoma valorizzazione, palesando, pertanto, l’implicita negazione del rapporto di causalità che lega la valutazione del capitale di funzionamento alla stima del reddito di esercizio, in merito al quale si giunse, addirittura, a sostenere l’assoluta autonomia del Bilancio annuale, nonché del singolo esercizio a cui lo stesso era riferito168.

I successivi sviluppi, intervenuti tanto sotto il profilo dottrinale quanto sotto quello normativo, portarono al progressivo abbandono dell’ottica di liquidazione, per lasciare spazio a criteri

165 Si confrontino H. NICKLISCH (1932); W. LE COUTRE (1934); W. RIEGER (1928); E. GUTENBERG (1975: 165). Sulla funzione attribuita al Bilancio “statico” si veda L. BAGNOLI (1997: 15). 166 Secondo Moxter, l’assunzione del valore di liquidazione quale parametro di riferimento per l’esposizione in Bilancio derivava dalla diffusa convinzione che, grazie ad esso, potessero dirsi pienamente soddisfatte le esigenze di informazione e di garanzia dei creditori; A. MOXTER (1984: 6). Sul punto si veda, inoltre, R. POLI (1971: 15-16). 167 C. CAMPANINI (1988: 59). 168 Cfr. C. CAMPANINI (1988: 64).

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maggiormente orientati alla prospettiva del funzionamento operativo, più idonei a riflettere il carattere della normale continuità temporale dell’attività aziendale169.

Alla nozione di valore comune di realizzo immediato, a cui si era in precedenza ispirata la valutazione dei diversi elementi patrimoniali, si aggiunse que lla di valore d’impresa (Geschäftswert), rappresentato dal valore attribuibile a ciascun bene patrimoniale nell’ottica del proseguimento della gestione. Il nuovo riferimento – elaborato mutuando alcuni concetti propri dell’economia politica - presupponeva, sostanzialmente, l’individuazione del “valore di scambio” al momento della redazione del Bilancio per i beni destinati alla vendita, nonché del “valore d’uso” per quelli destinati all’utilizzo durevole all’interno dell’azienda170.

Poiché, nonostante il mutamento di tendenza sopra accennato, la ricerca del presunto valore comune di realizzo diretto per ciascun elemento patrimoniale continuava a rappresentare il riferimento principale, e posto che la determinazione di un simile valore riusciva estremamente difficoltosa – se non, addirittura, impossibile – per i beni a fecondità ripetuta, la giurisprudenza del tempo giunse, infine, a quantificare il valore “vero” di questi ultimi in ragione della capacità futura di generare reddito attraverso il loro economico impiego 171.

Alla luce di tale pronunciamento, gli elementi attivi potevano, quindi, essere iscritti per un valore che – pur mantenendo come limite superiore il costo di acquisto del bene stesso – scaturiva da un processo estimativo più coerente con l’ipotesi di continuità della gestione, soprattutto con riferimento a quei fattori, strumentali alla produzione, vocati a permanere per lungo tempo nel sistema dei valori d’azienda.

Dall’analisi che precede emerge, dunque, il graduale passaggio dall’adozione di un unico valore “obiettivo” all’accoglimento di differenti criteri valutativi, rappresentati, a seconda delle circostanze, dal “valore comune”, dal “valore d’impresa” o dal “valore di redditività degli impianti”.

Un cenno a parte merita, infine, la disciplina introdotta dalla legge sulle società per azioni del 1884, la quale, nell’intento di scongiurare la distribuzione di utili “non realizzati”, stabilì, per i beni destinati alla vendita, l’obbligo di valutazione ad un valore non superiore al minore tra costo e “valore generale di scambio”, assumendo quest’ultimo come valore “comune” di riferimento. La stessa norma contemplava, tuttavia, la facoltà di iscrizione dei suddetti beni anche a valori inferiori al “valore generale di scambio”, qualora questo fosse stato uguale o inferiore al costo. Per i beni ad

169 Tra gli Autori che contribuirono a tale evoluzione si distingue, in particolare, H. V. SIMON (1886). Sulla necessità di avvicinare maggiormente i criteri di valutazione all’ipotesi generale di continuazione dell’attività d’impresa si espresse anche il Tribunale Superiore di Commercio tedesco con una importante sentenza emanata nel 1873. 170 “Quanto al valore di scambio per i beni da vendita, si precisava che esso doveva figurare in bilancio al netto dei costi di vendita, di spedizione e delle relative provvigioni” (C. CAMPANINI, 1988: 64). Il valore limite così individuato, pur avvicinandosi significativamente al concetto di valore di presunto realizzo diretto comunemente accolto dalla dottrina economico-aziendale più accreditata, ne differisce in maniera sostanziale per il riferimento non già al ricavo futuro previsto al momento della vendita del bene, bensì al ricavo conseguibile attuandone la vendita nel momento in cui avviene la valutazione di Bilancio, il quale potrebbe non essere in grado di rispecchiare fedelmente l’esito prospettico dell’operazione in corso di svolgimento alla data del Bilancio. A fronte dell’opinione, diffusasi al tempo, che il valore d’uso del bene durevole potesse configurarsi come costo passato – d’acquisto o di fabbricazione – del medesimo al netto dell’ammortamento effettuato, C. CAMPANINI (1988: 63-64) osserva acutamente: “Tale opinione si deve considerare erronea. Innanzitutto, rispetto alla data del bilancio, il valore di costo diminuito degli ammortamenti è un valore passato, mentre il valore d’uso, come valore delle utilizzazioni future del bene considerato, è un valore futuro. Inoltre, trattandosi di valore d’uso nell’ambito di un’impresa, esso dovrebbe commisurarsi ad un valore di redditività: è superfluo osservare che il valore di costo di un impianto diminuito degli ammortamenti non coincide, in linea di principio, col suo valore di redditività. ... Anziché di valore d’uso, si sarebbe dovuto parlare, in modo più proprio e meno indeterminato, di valore di realizzo indiretto”. Il riferimento al valore di realizzo indiretto avrebbe, peraltro, consentito il superamento dell’apparente contraddizione insita nel principio di valutazione in esame, che postulava l’adozione di valori di “generale realizzo” in ipotesi di continuazione dell’impresa, con conseguente impossibilità di determinare il valore “oggettivo” connesso alla effettiva vendita del bene. 171 Sul punto si confronti quanto riportato in C. CAMPANINI (1988: 65).

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utilizzo pluriennale, infine, il valore “vero” poteva sempre essere sostituito dal costo diminuito dell’ammortamento.

La norma in oggetto, fissando un limite massimo per la valutazione degli elementi attivi, ma ammettendo, nel contempo, la possibile sottovalutazione degli stessi, favorì, peraltro, il diffondersi di una interpretazione volta ad esaltare il cosiddetto principio di solidità economica, che finì per prevalere sullo stesso principio di verità del Bilancio.

Attraverso la sottovalutazione delle attività e la sopravvalutazione delle passività si ritenne, in effetti, realizzata la massima espressione della tutela per i terzi creditori, per i quali risultava oltremodo garantito il margine di sicurezza rappresentato dalla valorizzazione del patrimonio aziendale.

Tutto questo comportava, d’altra parte, un sensibile allontanamento dal principio del valore “vero”, che da sempre aveva orientato i fautori dell’impostazione statica. Se, da un lato, la suddetta interpretazione poteva apparire in linea con la ratio stessa della norma – tesa, sostanzialmente, a scongiurare l’esposizione e, soprattutto, la distribuzione di eventuali utili non ancora realizzati – dall’altro risultava innegabile la distorsione informativa che ne derivava 172.

Proprio con riferimento a quest’ultimo aspetto, il Bilancio redatto secondo l’orientamento sopra richiamato assumeva un contenuto non più coerente con la definizione di “Bilancio del patrimonio” inteso come documento rappresentativo del “vero” stato del patrimonio dell’impresa, secondo l’accezione propria dell’impostazione “statica”.

Nella fattispecie risultava, in effetti, ben più appropriata la diversa definizione di “Bilancio dell’utile da ripartire” (Gewinnverteilungsbilanz), che rifletteva pienamente il particolare scopo assegnato al documento in questione, assunto quale necessario fondamento legale per procedere alla periodica distribuzione dei dividendi173.

3. – L’ENFASI SUL SIGNIFICATO DINAMICO DELLA RAPPRESENTAZIONE DEI VALORI

Alla diffusione della concezione dinamica del Bilancio contribuì, principalmente, l’opera di Eugen Schmalenbach, il quale sin dall’apparizione, nel 1908, del suo articolo intitolato Die Abschreibung, pubblicato sulla rivista Zeitschrift für handelswissenschaftliche Forschung da Lui stesso fondata due anni prima, aveva iniziato a porre le basi della propria originale teoria 174.

Un primo elemento distintivo rispetto al paradigma statico è rappresentato dal concetto di “patrimonio”, definito da Schmalenbach non già come somma dei valori “oggettivi” – o presunti tali – attribuiti ai diversi elementi attivi e passivi, bensì come espressione della potenzialità produttiva dell’impresa, introducendo, per questa via, l’accezione di valore complessivo del patrimonio in termini di valore dipendente alla redditività futura175.

Il fine istituzionale dell’azienda di produzione era espressamente individuato da questo Autore nel durevole espletamento di una funzione produttiva e sociale a vantaggio dell’intera collettività, e ciò a prescindere dall’eventuale caratterizzazione privata o pubblica dell’azienda stessa176.

172 In merito alla prassi invalsa in materia di distribuzione degli utili nelle società per azioni, C. CAMPANINI (1988: 72) puntualizza: “la legge sulle società per azioni mirava ad evitare la distribuzione di utili ‘non realizzati’ e a tale scopo le norme di valutazione erano formulate in modo da impedire anche l’esposizione in bilancio di tali utili. Dal che si credette di poter evincere il principio secondo cui, per la legge, tutti gli utili figuranti in bilancio dovessero necessariamente essere distribuiti”. 173 C. CAMPANINI (1988: 73). 174 Tra i primi ad orientarsi verso la visione “dinamica” del Bilancio si ricordano: H SCHEFFLER (1879), B. WILMOWSKY (1896). Per un utile approfondimento sul pensiero di Eugen Schmalenbach si vedano, tra gli altri, P. E. CASSANDRO (1941), R. FERRARI S FRANCESCHI (1978:29 e segg.) ed E. PERRONE (1988). 175 Cfr. E. SCHMALENBACH (1939: 34 e 123). Sul tema si vedano E. PERRONE (1988: 54) e C. CAMPANINI (1988: 181-182). 176 P. ONIDA (1951: 41); P. E. CASSANDRO (1974: 999). Come è stato sottolineato, per Schmalenbach l’azienda “è soltanto uno strumento economico che svolge una funzione produttiva per la collettività”; (P. E. CASSANDRO, 1941: 9). Si confronti anche P. ONIDA (1942: 14-15). Sull’interpretazione unitaria del concetto di azienda e sulla necessaria

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Sulla scorta di tale assunto, e forte della convinzione che il controllo sull’efficienza economica dell’azienda - da giudicarsi non tanto con riguardo al suo soggetto giuridico, bensì relativamente al complessivo sistema economico di riferimento - dovesse necessariamente fondarsi sull’attenta analisi e sul confronto periodico dei risultati generati, Schmalenbach propose una diversa, ed innovativa, interpretazione del contenuto del bilanz. Al significato “statico” di valore assegnato in chiusura d’esercizio a singoli elementi del capitale elencati nel documento in parola Egli sostituì quello “dinamico”, che interpretava i medesimi valori in termini di “immagine dei movimenti” generati dalla gestione nel corso del tempo.

Rilevanti appaiono, sotto questo profilo, le concezioni di costo e di ricavo accolte dall’Autore; per Schmalenbach la nozione di costo risultava strettamente connessa al consumo, espresso in termini monetari, di beni o servizi da parte dell’azienda nel corso del periodo considerato, configurando, pertanto, un concetto di “costo di utilizzo” nettamente distinto da quello di “costo di acquisto” largamente diffuso presso la dottrina economico – aziendale italiana. Il ricavo, pur in assenza di una precisa definizione – fatta eccezione per il sintetico riferimento a “ciò che viene fornito all’economia complessiva in merci, servizi ed altre prestazioni” – era, invece, sostanzialmente configurato in termini di produzione ottenuta nell’arco temporale di riferimento177.

Il risultato economico d’esercizio scaturiva, dunque, dalla contrapposizione tra “valore economico sociale” o “valore intrinseco” della produzione ottenuta (“ricavi”) e valore delle risorse consumate (“costi”) nell’atto produttivo; a differenza di quanto avveniva per il risultato economico globale, tuttavia, tali quantità non risultavano necessariamente riflesse, per il singolo esercizio, rispettivamente nel totale delle entrate e delle uscite monetarie in esso verificatesi.

In effetti, la stretta derivazione logica del concetto di costo dal “consumo” ammetteva, implicitamente, la possibilità di sostenere uscite nel corso del periodo senza necessariamente generare “costi” in senso proprio.

Era il caso, per esempio, degli acquisti di fattori a fecondità semplice giacenti in magazzino a fine esercizio e degli acquisti di fattori a fecondità ripetuta per la parte non ancora ammortizzata, il cui utilizzo avrebbe condotto solo in futuro alla generazione dei corrispondenti “costi di consumo”.

Nella medesima classe rientravano, inoltre, i valori connessi ad operazioni iniziate con la manifestazione di flussi monetari in uscita in relazione alle quali non si attendevano futuri “consumi”, bensì flussi monetari in entrata a conclusione dell’operazione medesima, tipicamente rappresentata dalla concessione di finanziamenti a terze economie in attesa di rimborso.

Analogamente, la qualificazione del ricavo in termini di “produzione ottenuta” nel periodo implicava l’esistenza sia di ricavi derivanti da operazioni che solo in futuro avrebbero generato flussi monetari in entrata (rimanenze finali di prodotti, crediti di fornitura, ratei attivi) sia di ricavi privi della relativa manifestazione monetaria, in quanto connessi alla produzione diretta di beni destinati all’utilizzo interno ed esclusi dalla vendita.

Seguendo il medesimo ragionamento, risultavano pure configurabili costi di utilizzo in attesa della corrispondente uscita monetaria (debiti di fornitura relativi a fattori utilizzati ma non ancora pagati, fondi spese e fondi rischi relativi ad eventi che avrebbero richiesto pagamenti futuri, ratei

economicità che dovrebbe, in ogni caso, contraddistinguerne la gestione Giannessi sottolinea che, nonostante la diffusa distinzione tra settore pubblico o privato, la gestione aziendale non dovrebbe essere “né ‘pubblica’ né ‘privata’, ma solo economica. Se la gestione non fosse economica, il servizio non offrirebbe alcuna garanzia di continuità e di sviluppo: in caso di gestione aziendale, sarebbe destinato ad esaurirsi per dissoluzione della combinazione produttiva sovrastante; in caso di gestione “pubblica”, sarebbe fonte di perdite più o meno rilevanti che, prima o poi, in un modo o nell’altro, andrebbero a gravare sulla Collettività interessata” (E. GIANNESSI, 1961: 45-46). In effetti, chiarisce A. BROGLIA (2003: 144 e 147), non devono essere “confuse le condizioni di economicità - indispensabili per la sopravvivenza di qualsiasi strumento aziendale - con i modelli amministrativi da adottare nella singola fattispecie per far sì che quelle condizioni siano probabilisticamente raggiunte, preservate e potenziate ... La tensione verso obiettivi di ‘interesse pubblico’ - per quanto lodevoli e condivisibili - che trascurasse o perdesse di vista le esigenze dello strumento a tal fine apprestato, non solo risulterebbe ben presto vana, ma finirebbe altresì per essere causa di distruzione di ricchezza, traducendosi in una perdita di valore, sociale oltre che economico, per l’intera collettività”. 177 E. SCHMALENBACH (1956: 42 e 67).

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passivi) o per i quali si attendeva direttamente la manifestazione di un ricavo (fondo manutenzione e riparazione) ed, infine, entrate monetarie in attesa di tramutarsi in ricavi di produzione (per esempio anticipi da clienti o risconti passivi) nonché entrate monetarie alle quali erano correlate solo uscite future (ottenimento di finanziamenti da rimborsare)178.

Sulla scorta delle considerazioni dianzi formulate, l’attivo dello stato patrimoniale dinamico risultava, dunque, composto dalle disponibilità liquide e da quattro classi di elementi, per le quali era possibile formulare una interpretazione con riferimento sia alla gestione passata sia a quella futura:

CLASSI DI ELEMENTI ATTIVI Interpretazione consuntiva Interpretazione prospettica liquidità esistente - - uscite premessa di futuri costi passati flussi monetari in uscita connessi

all’acquisto di fattori non consumati futuri costi emergenti all’atto del “consumo” dei fattori acquistati

uscite premessa di future entrate passati flussi monetari in uscita non connessi all’acquisto di fattori

futuri flussi monetari in entrata a com-pensazione delle passate uscite

ricavi premessa di futuri costi passati ricavi in natura ottenuti da produzioni interne non destinate alla vendita (assenza di flussi monetari direttamente correlati)

futuri costi di utilizzo emergenti all’atto del consumo delle produzioni interne (assenza di flussi monetari direttamente correlati)

ricavi premessa di future entrate passati ricavi per vendite ancora da incassare o per ottenimento di prodotti destinati alla vendita

futuri flussi monetari in entrata connessi ad incassi da realizzare

In contrapposizione all’attivo si trovava l’aggregato formato dal capitale netto (inteso come debito nei confronti della proprietà) e da quattro classi di elementi passivi, anch’esse interpretabili, con perfetta simmetria rispetto all’attivo, secondo il duplice punto di vista consuntivo o prospettico:

CLASSI DI ELEMENTI PASSIVI Interpretazione consuntiva Interpretazione prospettica capitale netto passati flussi monetari in entrata futuri flussi monetari in uscita connessi

al rimborso delle quote versate costi premessa di future uscite passati costi per “consumo” di fattori

ancora da pagare o per accantonamenti a fondi spese o fondi rischi in vista di pagamenti futuri

futuri flussi monetari in uscita connessi a pagamenti da effettuare

entrate premessa di future uscite passati flussi monetari in entrata non connessi a vendite di prodotti

futuri flussi monetari in uscita a com-pensazione delle passate entrate

costi premessa di futuri ricavi passati costi per accantonamenti a fondi spese non connessi a pagamenti futuri (assenza di flussi monetari direttamente correlati)

futuri ricavi emergenti all’atto della prestazione (assenza di flussi monetari direttamente correlati)

entrate premessa di futuri ricavi passati flussi monetari in entrata connessi a prestazioni ancora da eseguire

futuri ricavi emergenti all’atto della prestazione

Prescindendo dalle passate uscite destinate a tramutarsi in future entrate, dalle passate entrate alle quali sarebbero seguiti future uscite, dai mezzi liquidi e dal capitale proprio - che costituivano poste esclusive dello stato patrimoniale - i restanti elementi patrimoniali rappresentati nel bilanz risultavano, dunque, sostanzialmente valorizzati in funzione del collegamento logico stabilito tra la dinamica gestionale passata e futura considerata sotto il profilo reddituale.

Il valore degli elementi patrimoniali in parola risultava, in effetti, espressivo del peso in termini di costi e ricavi delle diverse operazioni in corso di svolgimento, dalla cui valutazione scaturivano, in ultima analisi, i diversi elementi patrimoniali secondo una visione profondamente diversa dall’impostazione “statica” consistenziale.

Le entrate e le uscite non ancora tramutatesi in ricavi e costi esprimevano, infa tti, le premesse per la nascita di componenti, rispettivamente, positivi e negativi di reddito a carico dei futuri

178 Secondo la logica interpretativa adottata dall’Autore, l’accantonamento al fondo manutenzione e riparazione rappresentava un costo relativo al “consumo” futuro del servizio di manutenzione che veniva, tuttavia, imputato preventivamente in quanto economicamente già maturato per effetto dell’utilizzo del fattore nel corso dell’esercizio. La successiva manutenzione avrebbe condotto al diretto conseguimento di una sorta di ricavo per produzione interna, rappresentato dal recupero di valore attribuibile al bene per effetto della manutenzione stessa.

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esercizi mentre, nel contempo, non provocavano alcun effetto sul reddito dell’esercizio in chiusura (tali poste non trovavano, infatti, alcun valore di contropartita nel conto economico).

I ricavi premessa di futuri costi o di future entrate, da un la to, ed i costi premessa di futuri ricavi o di future uscite, dall’altro, rappresentavano, invece, le contropartite di altrettanti componenti positivi e negativi di reddito imputati a conto economico.

In quest’ultimo prospetto, nel quale ai componenti sopra richiamati si affiancavano costi di utilizzo connessi ad uscite od a ricavi già contabilizzati (nel corso dell’esercizio in chiusura o dei precedenti), nonché ricavi corrispondenti ad entrate o a costi già rilevati (durante l’esercizio in chiusura o nei precedenti), risultava, dunque, rappresentato il valore della produzione ottenuta (sia venduta che invenduta) in contrapposizione al valore dei consumi effettuati per ottenerla (relativi sia a fattori acquistati sul mercato, sia a beni prodotti internamente)179.

Appare del tutto evidente, pertanto, come la concezione dinamica del bilanz presupponesse la redazione di un ulteriore prospetto informativo – il conto economico - al quale era assegnato il compito di dimostrare come i “movimenti” prodottisi nell’arco temporale cons iderato avessero condotto l’azienda dallo stato iniziale a quello finale, rappresentando nel dettaglio i fattori determinanti che avevano condotto alla rilevazione del reddito dell’esercizio.

Infine, riguardo al concetto di conservazione del capitale quale necessaria premessa alla quantificazione del risultato economico riferito ad un determinato arco temporale, per Schmalenbach, e, più in generale, per i sostenitori dell’interpretazione dinamica, il riferimento fondamentale era rappresentato non già dall’integrità sostanziale accolta da Schmidt, bensì dal concetto di integrità reale del capitale, fondato sull’invarianza, nel corso di un dato esercizio, del potere d’acquisto generico dei mezzi propri investiti ne ll’attività d’impresa180.

Più precisamente, l’integrità reale del suddetto capitale si sarebbe realizzata se, al termine del periodo considerato, il suo valore monetario fosse stato in grado di assicurare l’acquisto di una quantità di beni generici ma di valore equivalente a quello dei beni inizialmente presenti nel patrimonio aziendale, attribuendo, in tal senso, al risultato di esercizio un significato del tutto diverso da quello proprio della configurazione di risultato economico legata al mantenimento dell’integrità sostanziale del capitale.

4. – CONSERVAZIONE DEL CAPITALE, DETERMINAZIONE DEL RISULTATO ECONOMICO E FUNZIONE DEL BILANCIO: CONSIDERAZIONI SUGLI ORIENTAMENTI ESPRESSI DAL FRAMEWORK IASB

L’emanazione del Regolamento (CE) n° 1606/2002 del 19 luglio 2002, che ha sancito l’introduzione dei principi contabili internazionali IAS nell’ordinamento dei diversi Paesi dell’Unione Europea, segna, senza dubbio, una tappa fondamentale nell’evoluzione della disciplina sulla redazione del Bilancio di esercizio e consolidato181.

179 Al riguardo sembra opportuno far notare come i crediti e i debiti numerari o di fornitura potessero rientrare, rispettivamente, tra i ricavi non ancora entrate e tra i costi non ancora uscite solo nel caso in cui la produzione venduta fosse già stata realizzata ed il consumo dei fattori acquistati a credito fosse già avvenuto. Per conseguenza, risultava, ad esempio, incoerente con la logica di fondo l’iscrizione di valori relativi a fattori, tanto a lento quanto a veloce ciclo di utilizzo, acquistati a credito e non ancora utilizzati, nonché di eventuali crediti verso soci per versamenti ancora dovuti. 180 Cfr. U. DE DOMINICIS (1959: 63-64). 181 Il testo dei suddetti principi tradotti in lingua italiana e rilevante ai fini del SEE è stato pubblicato nel Regolamento (CE) n° 1725/2003 del 29 settembre 2003, relativo all’adozione di “taluni principi contabili internazionali conformemente al regolamento (CE) n° 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio”, apparso sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 13 ottobre 2003. Attenta considerazione merita, inoltre, l’attuazione della direttiva 2003/51/CE, con la quale risulteranno modificate tutte le direttive contabili precedentemente approvate: essa si propone, in particolare, di conferire al quadro giuridico comunitario la flessibilità necessaria a garantire, in prospettiva, un armonico sviluppo degli standards contabili adottati, orientando la modifica degli assetti giuridici interni dei singoli Stati dell’Unione in modo tale da uniformare agli IAS anche la redazione dei Bilanci delle imprese escluse da tale vincolo ai sensi del Regolamento comunitario 1606/2002.

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Per effetto di tale provvedimento può dirsi, in effetti, definitivamente superato il regime delle opzioni diffusosi con il recepimento della IV e della VII direttiva CEE che, pure, erano state originariamente concepite, almeno nelle intenzioni del legislatore, al fine di favorire l’armonizzazione degli ordinamenti contabili degli Stati membri182.

In realtà, a seguito del mancato accordo, in sede comunitaria, circa la convergenza delle disposizioni in materia contabile adottate dai diversi Paesi, questi ultimi hanno continuato a mantenere in vita corpi di principi contabili sostanzialmente difformi, in quanto concettualmente ispirati alla coerenza, più o meno realizzata, rispetto ai principi ed ai criteri sanciti dalla dottrina e dalla prassi contabile nazionale.

La recente imposizione, per alcune tipologie d’impresa, dello standard comune modellato sullo schema IAS - di matrice prettamente anglosassone e, pertanto, estraneo al modello contabile storicamente affermatosi nell’Europa continentale - configura, dunque, uno scenario del tutto nuovo, destinato a produrre conseguenze tutt’altro che trascurabili, sia sotto l’aspetto dell’interpretazione delle informazioni desumibili dai valori esposti in Bilancio sia con riguardo alla funzione stessa che a tale documento può essere assegnata.

Con specifico riferimento all’ambito italiano, il recepimento dei principi contabili in questione è sancito dalla Legge Comunitaria del 31 ottobre 2003, n° 306, la quale, all’art. 25, ne definisce puntualmente il campo di applicazione obbligatorio e facoltativo individuandone, nel contempo, i casi di esclusione.

Sulla base di tale disposto, a partire dal 1° gennaio 2005 dovranno obbligatoriamente redigere il Bilancio di esercizio ed il Bilancio consolidato secondo i principi IAS:

- le società quotate; - le società aventi strumenti finanziari diffusi presso il pubblico di cui all’art. 116 D. Lgs. 24

febbraio 1998, n° 58 (Regolamento CONSOB, art. 2, adottato con delibera n° 11971 del 14 maggio 1999, modificato con delibera n° 13616 del 12 giugno 2002: società dotate di un patrimonio netto non inferiore a cinque milioni di Euro e con un numero di azionisti o obbligazionisti superiore a 200);

- le banche e gli intermediari finanziari sottoposti alla vigilanza da parte della Banca d’Italia. L’obbligo di applicazione dei principi IAS riguarda, inoltre, il solo Bilancio consolidato delle

imprese di assicurazione quo tate (D. Lgs. 26 maggio 1997, n° 173) nonché il Bilancio di esercizio per le imprese di assicurazione quotate che non redigono il Bilancio consolidato.

È data, invece, facoltà di scelta tra la redazione del Bilancio di esercizio e del Bilancio consolidato in base agli IAS in alternativa ai “principi civilistici” alle società non quotate. Esulano, infine, dal campo di applicazione degli IAS la redazione del Bilancio di esercizio e consolidato delle imprese di assicurazione non quotate (D. Lgs. 26 maggio 1997, n° 173) e la redazione del Bilancio di esercizio delle società per le quali è ammessa la forma abbreviata ex-art. 2435-bis del –Codice Civile.

Al fine di favorire l’opportuna “armonizzazione della normativa, dei principi e delle procedure contabili connesse alla preparazione e alla presentazione dei bilanci”, lo IASB183 ha adottato, nell’aprile 2001, il “Quadro sistematico (Framework) per la preparazione e la presentazione del bilancio”, secondo il testo approvato dallo IASC già nell’aprile del 1989 e pubblicato nel luglio dello stesso anno 184.

182 Direttive attuate, in Italia, con D. Lgs. 9 aprile 1991, n° 127, ai sensi dell’art. 1, comma 1, della Legge 26 marzo 1990, n° 69. 183 Come è noto, a partire dal 1° aprile 2001, l’organismo internazionale che si occupa della elaborazione dei principi contabili ha assunto la denominazione di IASB ed ha sostituito il precedente IASC. Con l’entrata in funzione dello IASB, gli standards contabili internazionali già esistenti ed approvati anche da quest’ultimo continueranno ad essere identificati dalla sigla IAS, mentre quelli di nuova elaborazione assumeranno la denominazione di IFRS. 184 Framework (1989: paragrafo 12): la presente e le successive citazioni sono tratte dalla traduzione italiana del Framework for the Preparation and Presentation of Financial Statements. Al paragrafo 4 del Framework del 1989 si legge: “Il Quadro sistematico sarà rivisto periodicamente sulla base dell’esperienza pratica maturata dal Board in

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Nella prefazione del documento in parola si precisa che il Quadro sistematico di riferimento “non costituisce un Principio contabile internazionale e, di conseguenza, non contiene principi per nessuna specifica tematica concernente la valutazione o l’informativa”. Pertanto, in caso di contrasto tra quanto esposto nel Quadro in esame ed un Principio contabile internazionale, “le disposizioni del Principio contabile internazionale prevalgono su quelle del Quadro sistematico”; al contenuto del Framework - sviluppato “in maniera tale da poter essere applicabile a diversi sistemi contabili e a diversi concetti di capitale e di mantenimento del capitale” - è, tuttavia, riservato un ruolo basilare ai fini della elaborazione e dello sviluppo di nuovi Principi contabili da parte dello IASB, nonché per il riesame di quelli già in vigore185.

Secondo il documento in questione, lo scopo assegnato al Bilancio resta sostanzia lmente individuato nella esposizione di “informazioni in merito alla situazione patrimoniale - finanziaria, all’andamento economico e ai cambiamenti della situazione patrimoniale - finanziaria di un’impresa, utili a un’ampia serie di utilizzatori nel processo di decisione economica”; a tale riguardo il Framework sembra, peraltro, privilegiare, in particolare, la salvaguardia delle esigenze informative di una specifica categoria di fruitori del Bilancio, ovvero gli investitori, assumendo l’ipotesi di base secondo cui, essendo questi ultimi “i fornitori di capitale di rischio all’impresa, un Bilancio che soddisfi le loro esigenze informative soddisferà anche la maggior parte delle esigenze di altri utilizzatori del Bilancio”186.

Più precisamente, secondo quanto riportato dal testo in esame, tanto gli «investitori» quanto i loro “consulenti” sarebbero principalmente interessati al rendimento dell’investimento nel capitale proprio d’impresa da ponderare in funzione del rischio a cui esso risulta assoggettato. Per tale motivo i citati soggetti necessitano “di informazioni che li aiutino a decidere se comprare, mantenere o vendere. Gli azionisti, inoltre, sono interessati a usufruire delle informazioni che li mettano in grado di valutare la capacità dell’impresa di pagare dividendi”: sulla base di tali premesse, al Bilancio di esercizio risulta, peraltro, attribuito il ruolo di principale strumento per il soddisfacimento delle suddette finalità conoscitive187.

Alla luce di quanto sopra si spiegano, dunque, i ripetuti richiami al concetto di distribuibilità del reddito di esercizio, a fronte dei quali si evidenzia, di contro, la mancanza di espliciti riferimenti alla salvaguardia delle condizioni di equilibrio prospettico della gestione e di durabilità dell’impresa, che, ferma restando l’attitudine dell’istituto economico-aziendale a perdurare nel tempo, dovrebbero costituire la logica premessa alla eventuale distribuzione degli utili rilevati188. L’unico cenno al carattere della continuità, appare, in effetti, nella definizione delle istanze informative di altre due particolari categorie di “utilizzatori del Bilancio”, rappresentate dai fornitori e dai clienti dell’impresa, rispetto ai quali, peraltro, il carattere in esame appare temporalmente circoscritto alla durata del rapporto tra i citati soggetti e l’impresa189. merito”; tuttavia, il testo attualmente assunto come riferimento dallo IASB risulta ancora invariato rispetto alla stesura originale approvata nel 1989. Si confronti International Accounting Standards 2002 - The full text of all International Accounting Standards, SIC Interpretations and IAS 39 Implementation Guidance - Questions and Answers extant at 1 January 2002. 185 Framework , (1989: prefazione e paragrafi 2 e 3). 186 Framework (1989: paragra fo 12 e paragrafo 9, lettera g). 187 Framework (1989: paragrafo 9, lettera a). 188 Oltre che alla lettera (a) del paragrafo 9, il Framework riporta espliciti riferimenti ai concetti di “utili distribuibili” e “distribuzione di dividendi” ai soci anche alla lettera (f) della Prefazione, al paragrafo 15 (nell’ambito della definizione della “finalità del bilancio”) ed, ancora, al paragrafo 28 (in relazione alla “significatività” dell’informativa di Bilancio). 189 “I fornitori e gli altri creditori commerciali sono interessati alle informazioni che possono metterli in grado di determinare se gli importi per cui sono creditori saranno pagati alle scadenze stabilite. È probabile che i creditori commerciali siano interessati alle sorti dell’impresa loro debitrice per un periodo più breve dei finanziatori, a meno che essi non siano interessati alla permanenza in vita dell’impresa stessa in quanto questa rappresenta uno dei loro maggiori clienti”; Framework , paragrafo 9, lettera (d). “I clienti hanno interesse ad acquisire informazioni in merito alla continuità dell’impresa, specialmente quando essi hanno un coinvolgimento di lungo termine e dipendono dalla stessa”; Framework , paragrafo 9, lettera (e)

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Se, da un lato, la preminenza accordata al carattere della distribuibilità del risultato economico d’esercizio appare in tutta la sua evidenza, dall’altro desta qualche perplessità la mancata esplicitazione di un preciso concetto di integrità del capitale a cui poter univocamente riferire tale distribuibilità.

A questo proposito si deve preliminarmente osservare che, per il Framework, la consistenza patrimoniale dell’impresa può essere alternativamente concepita secondo due differenti accezioni, ricondotte al “concetto finanziario” ed al “concetto fisico” di capitale.

Il “concetto finanziario” di capitale presuppone che quest’ultimo possa essere inteso sia come “denaro investito” sia in termini di “potere d’acquisto investito”; la conseguente definizione di “conservazione del capitale” legata a tale accezione conduce all’individuazione di utili “solo se l’importo finanziario (o monetario) dell’attivo netto alla chiusura dell’esercizio è superiore all’importo finanziario (o monetario) dell’attivo netto all’inizio dell’esercizio, dopo aver escluso qualsiasi distribuzione ai soci e contributo da parte di questi avvenuto nel periodo. La conservazione del capitale finanziario può essere misurata in unità monetarie nominali o in unità aventi costanza di potere d’acquisto”190.

In base al “concetto fisico” il capitale è, invece, concepito in termini di “capacità produttiva dell’impresa, basata, per esempio, sulle unità prodotte giornaliere”; secondo la connessa definizione di “conservazione del capitale fisico” si può ritenere di aver conseguito un utile “solo se la capacità produttiva fisica (o operativa) dell’impresa (o le risorse o i fondi necessari per ottenere tale capacità) alla chiusura dell’esercizio è superiore alla capacità produttiva fisica all’inizio dell’esercizio, dopo aver escluso qualsiasi distribuzione ai soci e contributo da parte di essi avvenuto nel periodo”191.

Lo stesso Framework precisa, infine, come la definizione del “concetto di conservazione del capitale” rappresenti, in ultima analisi, il “collegamento tra i concetti di capitale e i concetti di utile, poiché fornisce il punto di riferimento da cui ha inizio la quantificazione dell’utile; è un requisito preliminare per la distinzione tra remunerazione del capitale investito e rientro del capitale; solo i flussi in entrata di attività che superano gli importi necessari per conservare il capitale possono essere considerati come utili e, di conseguenza, come remunerazione sul capitale. Perciò, l’utile è il valore residuo che resta dopo che sono stati dedotti dai ricavi i costi (incluse le rettifiche per la conservazione del capitale, laddove appropriate)”192.

La necessità di preordinare la definizione dell’integrità in parola alla determinazione, prima ancora che alla distribuzione, del risultato economico di esercizio rappresenta, in effetti, un aspetto di fondamentale rilievo sotto il profilo logico ed operativo193.

La disamina condotta nei paragrafi precedenti ha evidenziato come già la dottrina tedesca del primo ‘900 avesse, in effetti, posto l’accento sull’esistenza di differenti nozioni di integrità del capitale alle quali correlare configurazioni di risultato economico diverse tanto nel significato quanto nella relativa misura.

Tralasciando l’accezione di integrità nominale del capitale - fondata sulla mera conservazione dell’ammontare nominale del capitale inizialmente investito e strettamente subordinata all’ipotesi

190 Framework (1989: paragrafo 102 e paragrafo 104, lettera a). 191 Framework (1989: paragrafo 102 e paragrafo 104, lettera b). 192 Framework (1989: paragrafo 105). 193 Sulla stretta relazione tra distribuzione del reddito di esercizio e mantenimento dell’integrità del capitale di funzionamento, riconosciuta a prescindere dalla teorica di riferimento, si sono da tempo espressi numerosi Esponenti della dottrina economico-aziendale italiana. Già F. DE GOBBIS (1931: 67), tra i primi Autori italiani ad affrontare il problema, puntualizzò in tal senso: “La integrità del capitale dev’essere il presupposto nella determinazione dell’utile da ripartire e, conseguentemente, il concetto a cui devono essere informate le valutazioni di bilancio”. Sulla problematica in questione si vedano, tra gli altri: G. ZAPPA (1937: 338), L. DE MINICO (1964: 224), T. D’IPPOLITO (1958: 181), U. DE DOMINICIS (1959: 63), A. CECCHERELLI (1961: 213). Per una interessante analisi del concetto di integrità del capitale si rinvia utilmente a G. CERIANI (1979: 94 e segg.).

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semplificatrice di costanza dei prezzi - si sono delineate, al riguardo, due distinte logiche: una orientata al concetto di integrità sostanziale, l’altra legata a quello di integrità reale.

Secondo la prima delle due linee di pensiero, affermatasi nell’ambito della teoria organica del Bilancio, la conservazione temporale del potenziale produttivo dell’impresa è realizzata preservando un equivalente monetario in grado di ricostituire la “sostanza” patrimoniale iniziale, con particolare riferimento ai fattori specifici impegnati nel processo produttivo. Rigua rdo a questi ultimi, risulta, pertanto, essenziale la completa reintegrazione sotto il profilo sia quantitativo sia, soprattutto, qualitativo dei fattori ut ilizzati.

Per altro verso, la conservazione del capitale in termini reali, promossa dai sostenitori dell’approccio dinamico, impone, invece, che rimanga invariato, nel corso dei diversi esercizi, il potere d’acquisto generico dei mezzi propri investiti nell’impresa.

È appena il caso di osservare, alle luce dei richiami brevemente tratteggiati, come non sia difficile intravedere, con riguardo alla nozione di “conservazione del capitale finanziario” accolta dal Framework, la chiara allusione alle due accezioni di integrità nominale e reale. Analogamente, per quanto attiene la seconda definizione, ovvero que lla relativa alla “conservazione del capitale fisico”, risulta altrettanto evidente il riferimento al mantenimento della cosiddetta integrità sostanziale.

Pur cogliendo le differenze, di carattere logico e metodologico, che l’adozione di ciascuna delle tre nozioni di integrità sopra richiamate comporta, il documento in esame non assume, quindi, una precisa posizione in merito, limitandosi a sostenere che la scelta del concetto “appropriato” di capitale deve essere effettuata sulla base delle “esigenze informative degli utilizzatori del bilancio. Perciò”, prosegue il documento, “si dovrà adottare il concetto finanziario di capitale se gli utilizzatori del bilancio sono principalmente interessati alla conservazione del capitale nominale investito o al potere di acquisto del capitale investito. Se, peraltro, il principale problema degli utilizzatori riguarda la capacità operativa dell’impresa, deve essere usato il concetto fisico di capitale. La scelta del concetto determina l’obiettivo da raggiungere nella determinazione dell’utile”194.

D’altra parte, anche alla luce di queste ultime considerazioni, non si può fare a meno di notare come, a parità di valori, l’applicazione di criteri di valutazione tesi alla salvaguardia dell’integrità nominale, reale oppure sostanziale del capitale possa indurre sensibili differenze nella misurazione del reddito “distribuibile”, con tutte le conseguenze del caso.

Sotto questo punto di vista, l’assenza di specifiche indicazioni circa l’accezione di capital maintenance da preferire appare, dunque, pregiudizievole per la stessa capacità informativa del Bilancio nei confronti suo “principale” utilizzatore, stante la fondamentale importanza attribuita alla conoscenza del reddito “distribuibile” ai fini del processo decisionale attuato dall’investitore-azionista.

Pare opportuno rilevare, inoltre, come le tre nozioni di integrità sopra richiamate fossero state introdotte in un contesto dottrinale - quello tedesco - in cui si privilegiava il carattere della comparabilità dei risultati economici più che quello della loro prudente prelevabilità.

Nel Framework le medesime nozioni appaiono, invece, trasposte in un quadro concettuale che, pur contemplando - tra le caratteristiche qualitative del Bilancio - il carattere della comparabilità, manifesta, com’è stato in precedenza rilevato, uno spiccato orientamento verso quello della “distribuibilità” del risultato economico, invertendo, pertanto, l’ordine di priorità più sopra accennato.

Preme, da ultimo, rilevare come tanto l’integrità sostanziale quanto quella reale, entrambe prive della necessaria visione prospettica dei fenomeni indagati, sottintendano, in ogni caso, un concetto di prelevabilità alquanto diverso da quello affermatosi in seno alla scuola redditualista italiana.

Secondo quest’ultima accezione, la prelevabilità del reddito netto assegnato ad un esercizio e, prima ancora, la stessa integrità economica del capitale di funzionamento quantificato al termine del 194 Si vedano, in particolare, Framework (1989: paragrafi 103, 106, 107, 108 e 109).

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medesimo esercizio, risultano garantite allorché la proiezione al futuro delle operazioni in corso di svolgimento alla fine del periodo amministrativo, effettuata sulla base di appropriati piani economici e finanziari prospettici, sia in grado di assicurare un adeguato flusso reddituale futuro, da porre come base per la periodica remunerazione del capitale proprio 195.

In altri termini, la misurazione del reddito di esercizio prelevabile appare, in tal caso, strettamente subordinata alla necessità di garantire, in primis, la possibilità di conservare l’adeguata remunerazione futura dei mezzi propri investiti; il valore del connesso capitale di funzionamento, dovrà, per conseguenza, essere determinato in modo tale da creare ed assicurare, per tutta la durata delle operazioni in corso alla data del Bilancio, idonee condizioni di equilibrio economico e finanziario prospettico, dalle quali dipende, in ultima analisi, la stessa sopravvivenza dell’impresa196.

L’integrità del suddetto capitale di funzionamento si fonda, allora, non già sul mantenimento di un determinato potere d’acquisto, sia esso particolare o generale, dell’equivalente monetario dei mezzi investiti, bensì sul rispetto di un limite cautelare che trova la sua misura massima nel valore attualizzato del flusso reddituale futuro esprimente il livello atteso di remunerazione adeguata.

Dall’impostazione in parola emergono, pertanto, concetti di capitale e di conservazione del capitale - da tempo largamente accolti in dottrina e fonte di ispirazione per la concreta realtà operativa - che si discostano sensibilmente da quelli più sopra delineati con riferimento alle linee guida esposte nel Framework, in base alle quali si configura un’accezione di prelevabilità del risultato che non pare sufficientemente ancorata al mantenimento delle sopra accennate condizioni prospettiche di equilibrio197.

Ciò vale, dunque, a fornire ulteriore testimonianza delle difficoltà implicite ne lla forzata adozione, specie in ambito nazionale, di schemi concettualmente difformi da quelli consolidatisi attraverso l’evoluzione dottrinale avvenuta nel corso dell’ultimo secolo, con la quale si è assistito alla progressiva affermazione della “prudenza” nel ruolo di principio cardine per la determinazione e rappresentazione di valori di Bilancio informati alla sopravvivenza ed allo sviluppo dell’impresa.

195 Al riguardo osserva L. DE MINICO (1946: 224): “In generale, se vogliamo che il capitale determinato alla fine di un esercizio abbia significato e conservi nell’avvenire la sua capacità lucrativa, esso deve esprimere, oltre ai valori numerari, un complesso di valori non numerari tale che la prevedibile loro sorte riesca ad assicurare la almeno normalità, nei suoi confronti, dei redditi degli esercizi avvenire”. 196 Come sintetizza G. CERIANI (1991: 342-343), in effetti, “le operazioni in corso di svolgimento, dalla cui valutazione scaturiscono gli elementi attivi e passivi del capitale di funzionamento, debbono essere attentamente considerate in relazione ai piani e programmi predisposti per conservare la sopravvivenza dell’impresa nel tempo. In sede di determinazione del reddito di esercizio e del capitale di funzionamento è, quindi, necessario assicurare l’integrale possibilità di attuazione dei piani e dei programmi predisposti per indirizzare la gestione al conseguimento dei fini istituzionali dell’impresa. Per conseguenza, la nozione di capitale di funzionamento in argomento deve consentire l’attuazione dei piani e dei programmi predisposti per garantire la sopravvivenza dell’impresa nel tempo”. 197 Ammonisce, al riguardo, P. ONIDA (1951: 56) “se non si vogliono scientemente effettuare rilevazioni e distribuzioni di utili che, dopo tempo forse anche breve, abbiano a rivelarsi puramente immaginari, i valori di bilancio relativi ad operazioni in corso non si possono determinare prescindendo dalla ponderazione (almeno finché questa riesca possibile) dell’esito che le operazioni in corso avranno negli esercizi venturi”.

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CAPITOLO VII

LA POLITICA DI REMUNERAZIONE E L’INTEGRAITÀ DEL CAPITALE PROPRIO:

RILFESSIONI CIRTICHE SUL FRAMEWORK DELLO IASB

SOMMARIO: 1. – La politica di remunerazione del capitale proprio; 2. – Le metodologie di assestamento suggerite dalla dottrina economico-aziendale per la conservazione dell’integrità del capitale; 3. – La teoria della duplice tecnica di valutazione; 4. – Analisi critica del concetto di integrità del capitale; 5. – Considerazioni di sintesi; 6. – Osservazioni critiche sul “Quadro sistematico (Framework) dello IASB”.

1. – LA POLITICA DI REMUNERAZIONE DEL CAPITALE PROPRIO198

Le imprese comunemente vengono concepite come strumenti di produzione della ricchezza. In effetti, le imprese sono istituti economici ordinati alla soddisfazione dei bisogni umani, in quanto questa soddisfazione esiga consumo di beni economici che le imprese si assumono appunto il compito di produrre199. Tuttavia, non bisogna dimenticare che le imprese hanno, anche, la funzione di distribuzione della ricchezza; quest’ultima funzione viene attuata attraverso diversi canali fra i quali assumono preminente importanza quello delle rimunerazioni del lavoro di ogni specie e quello delle rimunerazioni dei capitali in qua lsiasi modo vincolati200.

Nell’ambito della politica volta alla rimunerazione dei finanziamenti, assume particolare importanza, nelle imprese capitalistiche o di finanziatori, quella riguardante la rimunerazione del capitale proprio. Tale politica deve, da un lato, assegnare il reddito all’esercizio in chiusura, dall’altro, predisporre le basi richieste dalla permanenza futura di un adeguato flusso reddituale 201.

L’assegnazione del reddito ad un dato esercizio rende così necessario il calcolo di un complesso di valori che per quantità e struttura costituisca la base di riferimento idonea a garantire l’adeguata rimunerazione di tutti i fattori produttivi necessari all’equilibrato svolgimento della gestione futura. In altri termini, per pervenire ad una corretta misura del reddito di esercizio, è necessario ricercare una adatta quantità e qualità della categoria logica capitale. Le quantità d’azienda richiamate vengono simultaneamente rilevate in un apposito documento amministrativo che viene denominato bilancio di esercizio o di funzionamento.

Ora la dottrina economico-aziendale italiana ha ormai da tempo posto in chiara evidenza che il bilancio di funzionamento delle imprese non è costituito da un aggregato di valori attribuibili a distinti oggetti, considerati a sé stanti, ma da un sistema di valori202.

198 Il presente capitolo è stato redatto da Giuseppe Ceriani (Università degli Studi di Verona, Dipartimento di Economia Aziendale). 199 P. ONIDA (1968: 82). 200 Osserva al riguardo l’ONIDA: “Ma non può dimenticarsi che le imprese esercitano una vasta e profonda azione, diretta o indiretta, anche sulla distribuzione sociale della ricchezza e che, secondo il modo nel quale questa funzione viene esercitata, la produzione, nel suo complesso, e le singole imprese, possono risultare variamente favorite o danneggiate nel loro sviluppo. Le imprese operano sulla distribuzione sociale della ricchezza per diverse vie, fra le quali ricordiamo, come particolarmente notevoli, la politica dei dividendi e dell’autofinanziamento, la politica dei salari e la politica dei prezzi” (P. ONIDA, 1968: 83). 201 L. DE MINICO (1935: 281). 202 P. ONIDA (1974: 202). Osserva in altro luogo l’Autore citato: “Il bilancio appare come un complesso ragionamento sull’economia dell’azienda, contemplata bensì, in un dato esercizio, ma in quanto questo costituisce un momento del mutevole divenire della gestione: momento che deve quindi essere esaminato e interpretato alla luce delle sue relazioni con l’andamento passato e col presumibile andamento futuro della gestione stessa. Il complesso ragionamento economico di cui si è detto, trova sintetica espressione e conclusione nel sistema dei valori di bilancio; questi valori,

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Per conseguenza vi è la necessità di ricercare un “principio unificatore” che tenda logicamente a legare insieme la determinazione dei distinti valori.

Il principio unificatore si identifica con lo scopo del Bilancio di esercizio; lo scopo, quindi, assunto a principio unificatore, compone il Bilancio in unità logica e informa tutte le valutazioni203.

La razionalità e la coerenza dei criteri di valutazione devono quindi essere giudicate unicamente alla luce del principio unificatore che impone di indirizzare ad un unico scopo, o a più scopi tra loro compatibili, tutti i criteri di valutazione, nel senso che il perseguimento di uno scopo non deve esigere valutazioni diverse da quelle richieste da altri scopi. Solo alla luce di tale principio unificatore i criteri per una corretta formazione del Bilancio di esercizio possono considerarsi razionali.

Per conseguenza tali criteri devono essere ricavati da una attenta disamina dello scopo assegnabile al bilancio di funzionamento; tra gli scopi convenientemente assegnabili a tale bilancio vi è proprio quello di costituire un orientamento per ordinare la politica di rimunerazione dei finanziamenti attinti con vincolo di capitale proprio.

Si noti che questo é un tipico problema, che si presenta periodicamente a cadenza annuale, e riguarda tutte le imprese di finanziatori indipendentemente dalla forma assunta dal soggetto giuridico, cioè imprese individuali, imprese rette da società di persone ed imprese rette da società di capitali nelle quali il rischio è sopportato dai finanziatori con vincolo di capitale proprio, di proprietà o di rischio.

Le conoscenze indispensabili, ma non sufficienti, per orientare la politica di rimunerazione del capitale proprio in rapporto ai fini istituzionali dell’impresa, sono date primariamente dal reddito di esercizio rilevato nel conto economico.

Si tratta di calcolare il massimo valore che può essere prelevato senza pregiudicare le condizioni prospettiche di equilibrio economico futuro oppure il minimo valore che deve essere apportato per ripristinare le condizioni prospettiche di equilibrio economico futuro. Tale calcolo si concreta nel valutare le operazioni in corso di svolgimento secondo due principi che conducono a valutare le singole operazioni sulla base del valore di presunto realizzo diretto o indiretto oppure sulla base di presunta estinzione; é necessario inoltre, in un secondo momento, apprezzare l’attribuzione dei prudenziali valori limite con una valutazione di “sintesi” in modo da evitare di pregiudicare l’integrità economica del capitale. Tuttavia, la politica in argomento deve soddisfare anche particolari esigenze finanziarie: essa, infatti, non può prescindere dalla dinamica temporale dei flussi e dei deflussi finanziari della futura gestione aziendale che coinvolgono la futura copertura di capitale, il fabbisogno e le riserve attuali e potenziali di liquidità204.

Al riguardo, l’orientamento della politica in parola, per quanto attiene alle esigenze finanziarie, è dato prevalentemente dal capitale di funzionamento rilevato nella situazione patrimoniale che costituisce l’altra parte del Bilancio di esercizio. La complessa politica, volta alla rimunerazione dei finanziamenti attinti con vincolo di capitale proprio, deve tendere a soddisfare opportunamente tanto le esigenze economiche quanto quelle finanziarie.

Sotto l’aspetto economico, la politica in argomento deve proporsi l’obiettivo di graduare nel tempo i prelievi necessari per rimunerare il capitale proprio in modo da assicurare una sua adeguata rimunerazione anche negli esercizi futuri.

Sotto l’aspetto finanziario, la politica citata deve proporsi l’obiettivo di assicurare in futuro un conveniente andamento dei flussi e dei deflussi finanziari, senza turbare le condizioni prospettiche di equilibrio finanziario. In effetti, il Bilancio di esercizio, concepito come il principale strumento

pertanto, non possono essere correttamente intesi, quando non si conoscono i termini del ragionamento che essi concludono e tanto meno quando vengono esaminati ciascuno a sé, astrattamente, al di fuori del sistema di valori che concorrono a integrare. Così esaminati, i valori di bilancio riescono senza significato o difficilmente interpretabili, come le parole di un discorso contemplate al di fuori delle relazioni che le collegano in proposizioni e periodi” (P. ONIDA, 1945: 80). 203 P. ONIDA (1974: 202). 204 G. CERIANI (1985: 644).

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per l’attuazione della politica di rimunerazione del capitale proprio, contiene valori che in gran parte sono correlati ad eventi che dovranno verificarsi in futuro e che il compilatore del Bilancio deve attentamente ponderare e prendere in considerazione.

Ora uno dei contributi che hanno dato gli studiosi italiani di Ragioneria è proprio quello di aver messo in luce, non solamente il carattere ipotetico del bilancio di esercizio, ma anche la possibilità di limitare l’arbitrio delle soluzioni irrazionali, mediante il ricorso alla pianificazione e programmazione d’impresa205.

Vi è chi ha suggerito di unire al Bilancio di esercizio il progetto del bilancio preventivo dell’anno successivo e possibilmente di un certo numero di anni successivi. Infatti, collegando il bilancio di esercizio al bilancio preventivo o alla serie dei bilanci preventivi che si riferiscono alla gestione futura, si potrà avere un quadro indicativo sulla possibilità che i valori di bilancio si innestino con quelli che la futura gestione potrà originare206. In effetti, tale Bilancio, assolve tanto meglio allo scopo per il quale viene compilato, quanto più dimostrabile è il suo collegamento con razionali piani e programmi di gestione. D’altronde, viene dimostrata la necessità di inserire il capitale di funzionamento quale capitale preventivo ai fini di una corretta formazione del piano di esercizio207.

Per conseguenza i valori degli elementi del capitale di funzionamento devono essere basati sulla possibilità del loro inserimento nei piani degli esercizi futuri.

L’importanza dei piani nella valutazione delle operazioni in corso di attuazione discende dal fatto che essi costituiscono la predeterminazione delle operazioni da porre in essere per raggiungere anche in futuro i fini istituzionali dell’impresa. Essi, infatti, costituiscono il principale strumento della preordinata volontà di condurre, secondo una direttiva concordata tra coloro a cui compete il governo dell’impresa, lo svolgimento dei processi produttivi futuri208.

In sede di compilazione del Bilancio di esercizio si deve, quindi, armonizzare l’attribuzione dei valori con le esigenze di detti piani in quanto il bilancio di esercizio appare come il punto di partenza della futura attività gestionale contemplata dai piani. D’altra parte, tali piani vengono predisposti allo scopo fondamentale di conservare all’impresa la sua redditività che ne giustifichi la sopravvivenza nel tempo209.

Il fondamento logico della teoria dei piani utilizzabili nelle valutazioni del Bilancio di esercizio, è dato proprio dalla teoria delle condizioni di equilibrio aziendale nell’ipotesi di normale funzionamento operativo210.

2. – LE METODOLOGIE DI ASSESTAMENTO SUGGERITE DALLA DOTTRINA ECONOMICO-AZIENDALE PER LA CONSERVAZIONE DELL’INTEGRITÀ DEL CAPITALE

La determinazione del reddito di esercizio e del capitale di funzionamento presuppone l’impiego di uno strumento idoneo ad esprimere in termini omogenei quantità per lo più eterogenee. Tale strumento è notoriamente la moneta di conto la quale consente di ridurre una pluralità eterogenea di quantità in una unità omogenea di valori. D’altra parte, la necessaria premessa logica delle rilevazioni contabili sistematiche si ritrova nell’omogenea determinazione dei valori scaturenti dagli scambi dell’impresa con terze economie sempre mediante l’impiego dello strumento della moneta di conto211.

È noto che la moneta di conto, mentre si conserva nominalmente immutata, può presentare variazioni più o meno sens ibili nel suo valore economico. In effetti, il valore economico di una 205 N. ROSSI (1958: 134). 206 Aldo AMADUZZI (1961: 263). 207 E. ARDEMANI (1961: 243). 208 N. ROSSI (1958: 134). 209 N. ROSSI (1958: 233). 210 Aldo AMADUZZI (1961: 29) e M. CATTANEO (1959: 263). 211 G. ZAPPA (1950: 267).

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determinata quantità di moneta, espresso in termini di un altro bene idoneo allo scambio, appare come la quantità di questo bene che si può scambiare contro quella quantità di moneta212.

Più in dettaglio si deve parlare di valore economico particolare della moneta rispetto a un dato bene: sotto questo aspetto una data moneta può avere tanti valori economici quanti sono i beni con i quali essa può essere scambiata; ne consegue che il valore di ciascuno di questi beni risulta inequivocabilmente determinato dal prezzo al quale quel bene viene scambiato in un dato mercato e in un dato momento213.

Per valore economico generale della moneta s’intende, invece, il potere di acquisto della moneta rispetto, non già a questo o a quel bene specifico, ma a vasti gruppi di beni. Il valore economico generale della moneta non può avere in concreto che espressione e misurazione affatto convenzionale e astratta.

Comunemente esso si esprime mediante numeri indici generali dei prezzi riferiti a dati gruppi di beni. Si osserva al riguardo che un numero indice dei prezzi riesce tanto più idoneo a segnalare le variazioni del valore economico generale della moneta, quanto maggiore è la vastità del gruppo di beni preso in esame e l’ampiezza e frequenza delle negoziazioni nelle quali si formano i prezzi di questi beni.

Come è dimostrato da recenti esperienze in quasi tutti i Paesi, il potere di acquisto della moneta è soggetto a brusche variazioni, anche in brevi periodi di tempo, in connessione a fenomeni di inflazione o molto più raramente di deflazione.

I riflessi di tali variazioni sull’economia dell’impresa sono in genere complessi e molto vari a causa delle profonde ripercussioni che esse suscitano nei mercati di sbocco in rapporto ai cambiamenti intervenuti nei mercati di incetta dei fattori produttivi: i movimenti dei prezzi- ricavi non sempre sono sincroni e tali da compensare completamente quelli dei prezzi-costi. Per conseguenza, rispetto ad ogni singola impresa, tali movimenti si riflettono indistintamente, in un senso o nell’altro, sui risultati economici dell’esercizio.

Si aggiunga che le oscillazioni del valore economico della moneta possono arrecare danni o vantaggi alle singole aziende anche in relazione alle posizioni di debito o di credito in cui queste si trovano. In effetti, la moneta, pur variando anche fortemente nel suo valore economico, conserva immutato il suo valore nominale e quindi - salvo patto contrario - il suo potere liberatorio delle obbligazioni espresse in quantità nominale della stessa moneta. In altri termini, nonostante il variare del potere di acquisto di una data moneta, non varia il valore nominale dei debiti o dei crediti, espressi in quella moneta; pertanto il valore economico dei debiti o dei crediti diminuisce o aumenta nella stessa misura in cui diminuisce o aumenta il valore economico della moneta in cui sono espressi e con la quale possono essere liberati. In connessione a queste condizioni, la svalutazione della moneta arreca - a parità di altre condizioni - vantaggi ai debitori e danni ai creditori di moneta, mentre effetti opposti sono prodotti dalla rivalutazione.

Ora, si osservi che, comunque venga configurato il reddito di esercizio, la sua determinazione può definirsi “razionale e corretta” solo quando viene presumibilmente assicurata l’integr ità economica dell’investimento effettuato in condizioni di capitale proprio ne ll’impresa di finanziatori considerata.

Al riguardo, è stato da tempo puntualizzato che “prima di poter giustificare un reddito deve essere conservato un capitale di uguale potenza economica”214; ciò consente di pervenire alla

212 G. ZAPPA (1950: 222). 213 C. MASINI (1955: 54) e M. CATTANEO (1959: 95). 214 Il primo Autore a sottolineare più di 80 anni fa tale problematica è stato E. WALB, il quale così scrive: “Prima di poter giustificare un reddito deve essere conservato un capitale di uguale potenza economica ovvero, come anche si può dire appoggiandosi alla terminologia invalsa per il salario, lo stesso capitale originario reale” (E. WALB, 1921: 341-343; 1926). In Italia il DE GOBBIS, qualche anno più tardi, scriveva: “la integrità del capitale deve essere il presupposto nella determinazione dell’utile da ripartire e, conseguentemente, il concetto a cui devono essere informate le valutazioni di bilancio” (F. DE GOBBIS, 1931: 67); al riguardo, osserva anche il DE DOMINICIS : “Comunque venga concepito il reddito di impresa relativo a un determinato periodo amministrativo, non vi è dubbio che alla base della sua determinazione contabile vi sia il concetto di integrità economica del capitale nello stesso intervallo di tempo” (U.

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conclusione che “gli adeguamenti per variazioni monetarie tendono ad evitare, direttamente o indirettamente, che risulti compromessa l’integrità strutturale e funzionale del capitale”215.

Prima dell’avvento delle perturbazioni monetarie la dottrina economica-aziendale non ebbe motivo di interessarsi particolarmente al problema delle ripercussioni delle oscillazioni del valore economico della moneta in quanto queste ultime, essendo molto contenute, non alteravano sensibilmente l’attendibilità dei risultati di gestione. Tuttavia, allorché la degradazione del potere di acquisto della moneta assunse proporzioni vistose, gli studiosi di economia di azienda non poterono restare indifferenti a tale fenomeno. Si avvertì, quindi, la necessità di studiarlo attentamente al fine di proporre rimedi che consentissero di attenuarne al massimo possibile gli effetti sulla gestione di impresa e in particolare sulla determinazione del capitale di funzionamento e del reddito di esercizio.

I risultati delle ricerche hanno dato contenuto a differenti metodologie, nessuna delle quali ha tuttavia polarizzato nel tempo generalità di consensi216. In effetti, sul problema dei provvedimenti da adottare in sede di bilancio in connessione alle variazioni del potere di acquisto della moneta si riflettono le differenti impostazioni teoriche dei vari Autori.

Nei periodi di oscillazione del valore economico della moneta di conto la compilazione dei bilanci nelle imprese in funzionamento diventa un compito arduo; in effetti, quando nelle valutazioni di fine esercizio non si tengano nel dovuto conto le ripercussioni causate da tali oscillazioni, i bilanci presentano per lo più risultati illogici, incomprensibili o inattendibili. Per rendere intelleggibili i Bilanci compilati secondo criteri tradizionali anche nei periodi di oscillazione del valore economico della moneta di conto sono state proposte diverse metodologie di assestamento intese a separare i cosiddetti “redditi apparenti” dai “reddit i reali”.

Il reddito “apparente” sarebbe determinato applicando criteri di valutazione che non contemplino le variazioni del potere d’acquisto della moneta di conto. Il “reddito reale” tenderebbe, invece, a rappresentare il risultato economico della gestione d’impresa depurato dalle ripercussioni causate dalle oscillazioni del valore economico della moneta di conto.

Secondo una prima metodologia la rettifica necessaria ad eliminare l’influenza della variabilità del modulo monetario potrebbe essere operata sui costi al fine di renderli monetariamente omogenei ai ricavi, o viceversa, oppure sull’utile complessivo; al riguardo, si osserva che solo in rari casi la correzione può utilmente applicarsi ai costi o ai ricavi correlativi217. In effetti, ben di rado ciascun costo può correlarsi con un dato ricavo se non per alcuni suoi elementi; d’altra parte, difficilmente ciascun ricavo è esclusivamente correlativo ad un unico costo. In altri termini, la complessità della gestione aziendale consente solo raramente di istituire una diretta e compiuta correlazione fra costi e ricavi.

Comunque, anche se tale correlazione fosse esattamente individuabile per tutti i componenti reddituali, la rettifica per rendere monetariamente omogenei i costi ai ricavi, o viceversa, si verrebbe a disperdere in un numero rilevante di confronti. Per conseguenza la metodologia in esame propone che la rettifica attinente alla variazione del valore economico della moneta di conto venga di norma rilevata come un distinto componente di reddito da inscrivere direttamente nel conto

DE DOMINICIS , 1959: 63). Anche il D’IPPOLITO è dello stesso avviso: “La misura del reddito rilevato è corretta quando è presumibilmente assicurata l’integrità del capitale preesistente, al lume delle previsioni che possono porsi all’epoca del bilancio sul futuro manifestarsi delle operazioni aziendali in corso” (T. D’IPPOLITO , 1958: 181). 215 A. RIPARBELLI (1960: 245). 216 A. PROVASOLI (1975: 660). 217 Osserva ancora lo ZAPPA: “Tale opportunità d’eccezione si avrà forse specialmente nelle imprese industriali che intendono ad una od a poche fabbricazioni speciali: in genere nelle imprese che sostengono un solo o pochissimi costi di prodotto da realizzarsi in un unico od in pochi ricavi. In queste imprese i cosiddetti costi generali di produzione, ed i costi commerciali - se pur si sogliono, a scopi statistici come si dice, tener per qualche tempo distinti dai cosiddetti costi speciali - affluiscono poi in un’unica imputazione, o in poche facili imputazioni al costo unico od ai limitati costi speciali. Sicché all’atto della realizzazione del ricavo, quando ogni costo giunge all’ultimo stadio del suo divenire, il costo stesso si potrà rettificare, mediante una variazione passiva, di addebitamento nel conto che raccoglie i vari elementi di costo” (G. ZAPPA, 1950: 255).

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profitti e perdite alla fine dell’esercizio; in correlazione viene proposta la costituzione di una apposita appostazione denominata “Fondo oscillazione valuta”218.

La quota al “Fondo oscillazione valuta” appare come un “componente integrativo” del risultato economico di esercizio, in quanto ha il compito di sottrarre a quest’ultimo tutti quegli elementi illusori di reddito dipendenti dalle oscillazioni del valore economico della moneta; ne consegue che il conto del risultato economico raccoglie i soli componenti di reddito definiti “reali” e pone così in evidenza la misura corretta di tale reddito219.

Per quanto concerne l’ammontare della rettifica in esame coloro che propongono il metodo dianzi citato ritengono che esso vada calcolato extracontabilmente sui costi complessivi. In particolare si osserva che si dovrà avere il dovuto riguardo ai tempi vari nei quali i diversi componenti dei costi e dei ricavi sono stati sostenuti o conseguiti; i periodi che tra detti tempi decorrono segnano infatti la durata per la quale si dovrà computare la rettifica ai vari elementi costitutivi dei valori nominali cons iderati220. In altri termini, si suggerisce di classificare i costi e i ricavi in gruppi omogenei in relazione ai tempi in cui essi sono stati rispettivamente sostenuti o conseguiti, al fine di applicare un diverso coefficiente di conversione a seconda dell’intensità delle oscillazioni del valore economico della moneta di conto.

Secondo il metodo indicato il coefficiente di correzione per rendere monetariamente omogenei i costi ai ricavi, o viceversa, potrebbe essere determinato o con riferimento all’aggio sull’oro o in base ai cambi con paesi a valuta aurea o in base all’indice generale dei prezzi221. È evidente che i primi due procedimenti appaiono superati dalle vicende economiche e monetarie dei nostri giorni.

La metodologia in esame, tendendo a rendere omogenei i costi ai ricavi, o viceversa, ottiene tanti utili lordi riferiti a diversi istanti temporali che dovrebbero, a rigore, essere resi monetariamente omogenei tra di loro. Al fine di raggiungere tale intento sarebbe quindi necessario procedere anche alla rettifica di ciascun utile lordo dal momento in cui si suppone conseguito alla data di chiusura dell’esercizio. Sostanzialmente, a questo risultato giungono anche coloro che propongono di rettificare tutti i costi e tutti i ricavi in modo tale che questi ultimi, espressi in monete economicamente diverse secondo il momento di loro formazione, vengano resi omogenei con riferimento al valore economico della moneta di conto esistente alla fine dell’esercizio.

La proposta conversione dovrebbe essere effettuata moltiplicando ciascun costo e ciascun ricavo per un adeguato coefficiente espressivo della svalutazione subita dalla moneta di conto dal momento del sostenimento del costo o del conseguimento del ricavo alla data di chiusura dell’esercizio. Tale rettifica, che converte tutti i costi e tutti i ricavi in relazione al valore economico della moneta esistente alla data di chiusura dell’esercizio, conduce all’ottenimento di un unico utile monetario omogeneo al potere di acquisto della moneta corrente alla data di formazione del bilancio.

Secondo l’impostazione in parola, tuttavia, non basta alla costituzione del “Fondo oscillazione valuta” il contributo apportato sull’unica base degli elementi citati.

Una corretta determinazione del reddito di esercizio deve, infatti, tenere in giusta considerazione non solo le correzioni attinenti ai beni e servizi già venduti ma anche quelle che con relativa certezza possono presumersi sui costi e sui ricavi in formazione nonché sugli elementi costituenti il capitale di funzionamento222.

La rettifica per le oscillazioni del valore economico della moneta di conto non dovrà, quindi, trascurare, tra l’altro, i va lori a costo crescente, i ricavi in corso di formazione e gli altri componenti negativi o positivi di reddito di probabile verificazione futura223. 218 G. ZAPPA (1950: 257). 219 L. DE MINICO (1935: 302). 220 G. ZAPPA (1950: 256); prosegue l’Autore citato: “La ricerca - mediante medie aritmetiche di tempi ponderati per rispetto ai correlativi valori - di scadenze adeguate può abbreviare i necessari conteggi” (G. ZAPPA, 1950: 256). 221 L. DE MINICO (1935: 302). 222 G. ZAPPA (1950: 256); anche il DE MINICO (1935: 300) è dello stesso avviso. 223 G. ZAPPA (1950: 257); prosegue l’Autore citato: “Questa rettificazione complementare è tanto più necessaria quando non si prevedano scadenze passive, il cui soddisfacimento possa essere fonte di “utili” compensativi per le

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Non è difficile intuire come la metodologia ora illustrata sia quanto mai ardua e laboriosa. Tuttavia viene fa tto osservare come la determinazione corretta del reddito di esercizio, in presenza di sensibili variazioni del valore economico della moneta, sia un problema suscettibile solo di una soluzione sufficientemente approssimata; pertanto, le esigenze della pratica ed i fini che essa intende perseguire, consiglieranno caso per caso, il grado di approssimazione da raggiungere, e la convenienza o meno di moltiplicare il lavoro per ottenere dati sempre più precisi224.

Alcuni Autori tedeschi e francesi suggeriscono una metodologia che si fonda sulla conversione dei valori iscritti in ciascuno dei conti accesi agli elementi attivi e passivi del capitale di funzionamento aperti all’inizio dell’esercizio. Essi sostengono che tale metodologia, denominata progressiva, risulta completa e razionale, in quanto rende omogenei sia i valori del conto economico sia quelli dello stato patrimoniale, consentendo di analizzare compiutamente la rettifica da apportare al reddito225.

Si tratta preliminarmente di classificare i movimenti totali, registrati durante l’esercizio, in ciascun conto, per periodi caratterizzati da sensibili alterazioni del valore economico della moneta di conto.

Il movimento avvenuto nel periodo considerato, nel dare e nell’avere di ciascun conto, viene moltiplicato poi per un adatto coefficiente di conversione desunto dalle variazioni intervenute nel livello generale dei prezzi. Tale coefficiente deve essere uguale per tutti i movimenti avvenuti in ciascun conto nel periodo preso a base della conversione. Reiterando progressivamente il procedimento citato si arriva ad esprimere tutti i saldi dei conti in moneta avente valore economico riferito alla fine dell’esercizio.

A questo punto si procede alle normali operazioni di assestamento per la determinazione del capitale netto finale e del reddito di competenza economica dell’esercizio. Le differenze tra i valori convertiti in moneta a fine esercizio e quelli prescelti in sede di chiusura confluiscono norma lmente nel conto economico. Tuttavia non tutti gli Autori sono concordi nel proporre la conversione dei valori numerari: alcuni sostengono che debbono essere rettificati anche i crediti e i debiti, mentre altri sono di avviso contrario 226.

L’applicazione della metodologia illustrata condurrebbe alla determinazione di un reddito di esercizio e di un capitale di funzionamento in moneta con potere di acquisto riferito alla fine dell’esercizio. Tuttavia, seguendo con gli opportuni adattamenti le indicazioni fin qui illustrate, non è difficile arrivare alla determinazione di valori in moneta con potere di acquisto riferito all’inizio del periodo cons iderato.

Applicando, infatti, il metodo illustrato sul Bilancio di verifica compilato prima di procedere alle operazioni di assestamento si può arrivare ad un Bilancio che esprime il capitale e il reddito in moneta avente valore economico riferito all’inizio dell’esercizio. In tale ipotesi il procedimento viene denominato non più progressivo ma regressivo o retrogrado in quanto la direzione della rettifica va a ritroso nel tempo.

perdite testé accennate. L’ammontare di detta correzione deve computarsi secondo norme analoghe a quelle date per le correzioni riguardanti costi ai quali già corrispondono ricavi realizzati. Ma al contrario di queste non può ritenersi definitiva. Quando infatti i costi, che mentre erano in formazione già diedero luogo all’accantonamento di una prudenziale perdita di valuta, giungono all’ultima loro fase segnata dal conseguimento del ricavo, la rettificazione già registrata dovrà per norma variarsi mediante una scrittura aggiuntiva o di storno, in base alle alterazioni di valore della moneta numeraria accertate allorché il ricavo appunto è stato realizzato. Sicché per evitare faticose ricerche di variazioni già registrate e non difficili errori nelle nuove scritture, potrebbe anche ritenersi opportuno, all’inizio di ogni esercizio, di stornare senz’altro la rettificazione registrata al termine del precedente esercizio. Salvo a ripetere la operazione, agli effetti della correzione del reddito nominale al chiudersi ed al riaprirsi di ogni susseguente esercizio” (G. ZAPPA, 1950: 257). 224 Osserva al riguardo il DE MINICO: “I1 problema si presenta di una struttura tale da non adattarsi ad una soluzione di eccessivo rigore, ma da consentire un procedimento non molto empirico, che possa servire con sufficiente approssimazione ai fini pratici della determinazione del reddito nelle imprese”. L. DE MINICO , Riserve, p. 306. 225 E. SCHMALENBACH (1939: 236); G. BRÜNDLER (1954: 49) per una applicazione della metodologia in esame si veda U. DE DOMINICIS (1959: 149 e segg). 226 U. DE DOMINICIS (1959: 156); D. AMODEO (1970: 860).

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Una terza metodologia propone di rettificare i singoli valori, costituenti lo Stato patrimoniale iniziale, al fine di renderli monetariamente omogenei ai valori dello Stato patrimoniale finale 227.

In effetti, il reddito di esercizio si ottiene oltre che dalla somma algebrica dei suoi molteplici componenti negativi e positivi, formatisi in epoche diverse, anche dal confronto del capitale netto iniziale con quello finale; per conseguenza la correzione per le oscillazioni del valore economico della moneta può più speditamente essere attuata rettificando i singoli elementi del capitale esistente all’inizio dell’esercizio in modo da esprimerlo nella stessa moneta in cui è stato valutato il capitale esistente alla fine dell’esercizio. A questo proposito si sottolinea la necessità che - per poter applicare la metodologia in esame - i valori attivi e passivi dello stato patrimoniale siano tra loro omogenei dal punto di vista monetario; infatti tali valori debbono essere tutti espressi secondo la moneta di conto avente valo re economico riferito all’inizio dell’esercizio228.

D’altra parte, è inoltre necessario che la valutazione degli elementi del capitale finale sia fatta con riferimento al valore economico della moneta di fine esercizio.

Nell’ipotesi che i valori dello stato patrimoniale iniziale non siano monetariamente omogenei è necessario, se si vuole seguire questa metodologia, procedere preliminarmente alle opportune rettifiche in modo da esprimere i valori secondo la moneta esistente all’inizio dell’esercizio229.

Si osserva a questo proposito, che l’uniforme applicazione di un coefficiente di conversione per correggere le ripercussioni causate dalle variazioni di valore della moneta, presuppone che gli elementi del capitale ai quali si applica siano stati approvvigionati tutti in periodo monetario non perturbato, senza di che si dovrebbero usare coefficienti di correzione diversi.

D’altra parte, la rettifica tendente ad eliminare gli utili o le perdite, originate dalle variazioni del valore economico della moneta di conto, deve essere applicata tanto sulle rimanenze non numerarie di esercizio, quanto su quelle numerarie 230.

Per applicare la correzione ai diversi elementi del capitale si possono seguire due vie: o ridurre i singoli valori in base al coefficiente di conversione o lasciare inalterati i valori originari raccogliendo in un’apposita partita il complessivo importo della correzione. Si ritiene che quest’ultimo procedimento sia preferibile: la sua applicazione conduce alla iscrizione di una posta di bilancio che viene denominata “Fondo oscillazione valuta”231.

La correzione in esame si basa sulla scelta di adatti indici di variazioni dei prezzi; il numero indice da utilizzare risponde tanto meglio allo scopo cui dovrebbe servire, quanto più esteso e vario, nella sua composizione, è il gruppo di prezzi che vengono considerati e quanto più vasti sono i mercati nei quali i prezzi hanno avuto formazione 232.

La correzione brevemente illustrata ha tuttavia il solo scopo di rettificare i valori di Bilancio in rapporto alle avvenute variazioni del valore economico della moneta di conto. Si ritiene però necessario, almeno finché la moneta è fortemente instabile, procedere anche alla costituzione di adeguati fondi rischi in relazione alle presunte variazioni monetarie future a causa della maggior incertezza che queste ultime originano nelle stime di Bilancio e delle eventuali conseguenze negative che da esse possono derivare all’impresa. Si arriva, quindi, alla conclusione che tanto le rettifiche relative alle avvenute variazioni del valore economico della moneta, quanto gli stanziamenti per rischi inerenti alle eventuali variazioni future, possono fondersi insieme e fra loro compensarsi per intero o in parte, così da determinare l’iscrizione di una sola posta complessiva, nel conto profitti e perdite e nello stato patrimoniale233.

227 P. ONIDA (1945: 95). 228 P. ONIDA (1945: 95). 229 A. CECCHERELLI (1961: 237-238). 230 P. ONIDA (1945: 95). 231 A. CECCHERELLI (1961: 238). 232 P. ONIDA (1945: 97). 233 P. ONIDA (1945: 99).

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Una quarta metodologia propone di rettificare il capitale ne tto iniziale in modo da renderlo monetariamente omogeneo al capitale netto finale234. In effetti, l’applicazione di un identico coefficiente di conversione monetaria a tutti gli elementi attivi e passivi del capitale di funzionamento iniziale equivale all’applicazione del medesimo coefficiente all’entità del capitale netto iniziale. In altri termini, la metodologia in esame ottiene lo stesso risultato conseguibile attraverso la rettifica dei singoli valori attivi e passivi esistenti all’inizio del periodo considerato235.

Per l’applicazione di tale metodologia è necessario inoltre che i valori di tutte le attività e passività finali siano espressi in moneta di fine esercizio al fine di poter avere una misura del capitale netto finale confrontabile con quella del capitale netto iniziale, debitamente rivalutato mediante un indice generale di variazioni dei prezzi.

La metodologia in esame, denominata “procedimento sintetico di rettifica integrale dei valori costanti”, risulta caratterizzata da una estrema semplicità. La sua applicazione richiede, infatti, in primo luogo la conversione in moneta corrente di fine esercizio del capitale netto iniziale mediante l’impiego in un opportuno coefficiente espressivo della variazione del generico potere di acquisto della moneta; in secondo luogo è sufficiente valutare tutti gli elementi del capitale di funzionamento finale “sulla base di valori attuali, siano essi costi presunti di riacquisto o di riproduzione, siano costi rivalutati mediante appropriati indici particolari di prezzi, siano infine, per i beni destinati alla vendita, prezzi di ricavo congruamente decurtati”236.

La variazione di valore del capitale netto iniziale può essere imputata nel conto economico con contropartita il “Fondo oscillazione valuta” che confluisce nello stato patrimoniale finale. Il fondo in questione rappresenta una rettifica indistinta del capitale di funzionamento finale e consente di esprimere il capitale netto iniziale nella stessa moneta in cui è espresso quello finale o, per converso, il capitale netto finale nella moneta in cui risulta espresso quello iniziale.

Nella prima ipotesi il “Fondo oscillazione valuta” rappresenterebbe una quota ideale del capitale netto finale, nella seconda esso avrebbe analoga natura dei fondi rischi237.

Qualora nel corso dell’esercizio vi siano nuovi apporti o rimborsi di capitale proprio è necessario operare la conversione dei relativi ammontari; per ciascun apporto o rimborso, è necessario applicare un coefficiente espressivo della variazione del generico potere di acquisto della moneta dal momento dell’avvenuta variazione di capitale fino alla chiusura dell’esercizio. Per conseguenza, al capitale netto iniziale rettificato sono da aggiungere il valore degli eventuali apporti e da detrarre il valore degli eventuali rimborsi anch’essi ovviamente opportunamente rettificati. Vi è poi da detrarre anche l’importo degli utili distribuiti nell’esercizio, anche se questi ultimi non sono stati effettivamente pagati: essi infatti si considerano accreditati ai soci fin dall’inizio dell’esercizio238.

Per alcuni Autori dal capitale netto iniziale dovrebbero essere esclusi anche quegli elementi attivi del capitale (al netto degli eventuali fondi passivi ad essi correlati), le cui variazioni di valore, verificatesi nel corso dell’esercizio, non vengano fatte concorrere alla formazione del reddito dell’esercizio239.

Una quinta metodologia si basa sul convincimento che in periodi di oscillazione del valore economico della moneta il reddito debba essere determinato dalla differenza tra i ricavi di vendita ed i costi di riacquisto dei beni venduti calcolati all’epoca dello scambio240.

Il carattere fondamentale della metodologia in esame è la “tendenziale sistematica uniformità del criterio accolto nella misurazione dei valori e del riferimento di fondo assunto: i prezzi correnti”241. 234 U. DE DOMINICIS (1959: 147). 235 U. DE DOMINICIS (1959: 119). 236 U. DE DOMINICIS (1959: 127). 237 P. D’ALVISE (1932: 92). 238 U. DE DOMINICIS (1959: 130). 239 T. D. IPPOLITO (1958: 113). Anche il Coda è dello stesso avviso; tuttavia è opportuno sottolineare come per questo ultimo Autore la metodologia in parola sia strettamente connessa ad una particolare tecnica valutativa denominata di esercizio: per conseguenza, in ipotesi di generale rivalutazione, le rettifiche in precedenza operate dovrebbero estinguersi nel corso del processo di rivalutazione del capitale di bilancio (V. CODA, 1973: 70). 240 F. SCHMIDT (1929: 211).

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La determinazione del reddito di esercizio e del capitale di funzionamento mediante l’impiego dei prezzi correnti si propone di misurare l’efficienza della gestione tipica dell’impresa; si ritiene in tal modo di poter enucleare dal complessivo risultato reddituale il contributo apportato dalle variazioni dei prezzi dei fattori impiegati nella combinazione produttiva 242.

Quando il reddito di esercizio scaturisce dalla contrapposizione dei ricavi di vendita con i costi di sostituzione dei beni venduti, i redditi assumono il significato di incremento o decremento del valore di ricostituzione del capitale netto ottenuto dalla somma algebrica dei valori di ricostituzione degli elementi attivi e passivi.

L’insieme delle differenze, tra componenti di reddito di derivazione numeraria e componenti di reddito ricalcolati sul fondamento dei costi di sostituzione, deve secondo questa metodologia essere opportunamente accantonato in un apposito fondo il quale concorre, congiuntamente alle altre quote ideali, a rappresentare il valore del capitale netto iniziale espresso in termini dei beni reali in cui esso è investito alla fine dell’esercizio. Il fondo in oggetto tende dunque ad esprimere valori ricollegabili in via esclusiva alle variazioni intervenute, durante il periodo amministrativo, nei prezzi dei fattori della produzione 243.

La determinazione dei costi di sostituzione costituisce dunque il principale strumento della metodologia in esame. In effetti, essi sono necessari a scindere astrattamente il reddito in due parti: una prima parte si ricollega alla gestione caratteristica dell’impresa; una seconda è connessa ai mutamenti intervenuti nei prezzi dei fattori produttivi. Inoltre i costi di sostituzione concorrono ad evidenziare, nella situazione patrimoniale, elementi valutati, tenendo conto del loro stato e della funzionalità economica del loro futuro impiego, in termini di valori correnti244.

La metodologia in esame si basa quindi sul concetto di costo di sostituzione o valore corrente che appare come quel prezzo al quale un bene o un servizio può essere acquistato o venduto dall’impresa in un dato istante. Vi è quindi la necessità di predisporre una raccolta continua e sistematica dei prezzi negoziati o negoziabili per i diversi fa ttori produttivi impiegati nella combinazione riferiti possibilmente a condizioni contrattuali relativamente uniformi. Tuttavia, se per i fattori produttivi oggetto di assidue negoziazioni la determinazione del costo di sostituzione è relativamente agevole essa appare ardua per tutti quei fattori di cui non vi sia un vasto mercato245.

Ancora più difficile si appalesa la determinazione del costo di sostituzione per alcuni elementi immateriali del capitale come le spese di impianto, i brevetti ecc. In tali ipotesi si ritiene che la rilevazione dei prezzi dei fattori occorrenti per la riproduzione delle condizioni citate consenta di superare l’ostacolo 246.

Al fine di agevolare la determinazione dei costi di sostituzione, si suggerisce di affiancare alla raccolta dei prezzi dei diversi fattori produttivi la costruzione di appositi indici soprattutto per quanto attiene ai fattori più rappresentativi della combinazione produttiva. Tali indici potrebbero assumere opportunamente come base i prezzi accolti con riferimento alle valutazioni eseguite alla fine del precedente periodo amministrativo o, in assenza, i primi prezzi negoziati nel periodo in corso di svolgimento247.

In conclusione, con il metodo in esame, sarebbe possibile determinare, nell’ipotesi in cui la valutazione del capitale finale fosse basato sui valori di presunto realizzo diretto e indiretto, le seguenti quote ideali di capitale netto: il capitale netto iniziale, una quota connessa alle variazioni

241 A. PROVASOLI (1975: 739). 242 A. PROVASOLI (1975: 737). 243 A. PROVASOLI (1975: 726). 244 A. PROVASOLI (1975: 733). 245 Osserva al riguardo il Provasoli: “Basti pensare alla possibile varietà, in un dato tempo, dei prezzi fatti e fattibili per un medesimo fattore produttivo, varietà dovuta all’esistenza di una pluralità di mercati o alla molteplicità delle condizioni contrattuali caratterizzanti l’approvvigionamento, alla stessa inesistenza di prezzi per mancanza di veri e propri mercati. Le condizioni da ultimo citate non sono certo eccezionali per condizioni produttive quali impianti, macchine e fabbricati ad uso più o meno specifico” (A. PROVASOLI, 1975: 729). 246 A. PROVASOLI (1975: 729). 247 A. PROVASOLI (1975: 739).

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intervenute nei prezzi dei fa ttori produttivi, un’altra quota attinente all’insieme delle cond izioni produttive in attesa di realizzo diretto o indiretto e infine il risultato economico pertinente alla gestione tipica dell’impresa248.

3. – LA TEORIA DELLA DUPLICE TECNICA DI VALUTAZIONE

Le più o meno sensibili alterazioni del livello generale dei prezzi, secondo gli indici che empiricamente le esprimono e le misurano, sono dovute a sensibili variazioni della massa di moneta legale o bancaria disponibile, nonché della sua velocità di circolazione in un dato paese e tempo, mentre restano fermi il reddito nazionale e le quantità di beni offerte sul mercato in quel dato paese ed in quel dato tempo. D’altra parte, non tutte le variazioni del sistema dei prezzi si accompagnano ad alterazioni nel livello generale dei prezzi medesimi, mentre queste ultime si accompagnano immancabilmente a modificazioni anche profonde nei rapporti di scambio tra i vari beni. In effetti, si può osservare che il sistema dei prezzi varia incessantemente.

Le variazioni del potere di acquisto della moneta sono sempre accompagnate da perturbazioni economiche che incidono in vario grado sulla situazione economico-finanziaria della singola impresa. Le variazioni strutturali del sistema dei prezzi, qualsiasi ne sia l’origine, determinano variazioni di diversa ampiezza, non sempre simultanee, nel sistema dei costi-ricavi di ciascuna impresa, con effetti ben dissimili sull’andamento economico dell’esercizio: in alcuni casi i ricavi variano prima e più ampiamente dei costi, in altri casi accade invece il contrario. Per conseguenza i riflessi delle variazioni in esame possono essere diversi da settore produttivo a settore produttivo e al limite da impresa a impresa.

In definitiva, le perturbazioni dell’ambiente circostante hanno un’importanza più o meno rilevante a seconda delle modificazioni che esse provocano o possono provocare sulla situazione economico-finanziaria dell’impresa. Quest’ultima può variare anche in relazione alle condizioni interne vincolanti lo svolgimento della gestione aziendale.

Si può così concludere che le perturbazioni monetarie sono sempre accompagnate da perturbazioni economiche, mentre non è vero il contrario; per la singola impresa, tuttavia, interessa l’influenza che queste perturbazioni determinano sulla sua situazione economico-finanziaria.

Alla luce delle considerazioni precedenti ci si può domandare se sia vero che la razionalità dei principi di Bilancio deve essere ricercata anche in relazione alla generalità della loro applicazione in presenza di qualsiasi variazione delle circostanze interne ed esterne all’impresa vincolanti lo svolgimento della gestione, o se sia utile impiegare dei criteri di valutazione dive rsi in relazione alla maggior o minor stabilità della situazione economico-finanziaria dell’impresa.

Nella dottrina economico-aziendale italiana si è formata una corrente di pensiero che propone l’impiego complementare di due tecniche ai fini della determinazione del reddito di esercizio e del capitale di funzionamento; tali tecniche vengono denominate “tecnica di valutazione di esercizio” e “tecnica di valutazione fuori esercizio”249.

L’autorevolezza di tale corrente di pensiero impone di procedere ad una accurata analisi della relativa impostazione concettuale allo scopo di effettuare un rigoroso esame sulle differenti alternative che possono prospettarsi al presente studio.

Già nell’opera dello Zappa è possibile avvertire le premesse della posizione di pensiero più sopra citata; in effetti, nella concezione di questo Autore, la determinazione del reddito di esercizio si fonda, qualora la gestione non muti con assidua frequenza, sulla costanza dei valori immobilizzati del capitale nei confronti delle oscillazioni dei valori di mercato; tale ipotesi, a giudizio dell’Autore citato, è utile in quanto consente la rapida rilevazione di notevoli classi di componenti di reddito e di capitale: essa, però, non può resis tere per ampi periodi di tempo “al superiore influsso dell’ambiente economico sul complesso aziendale, che in esso dispiega la sua perturbata

248 A. PROVASOLI (1975: 727). 249 C. MASINI (1955: 357 e segg).

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esistenza”. Per l’Autore in questione, la rilevazione sistematica del reddito di esercizio nel lungo andare non può prescindere, al fine di una consapevole e ben fondata determinazione dello stesso, “dalla considerazione del valore economico di gruppi notevoli di valori capitali”250. Per conseguenza lo Zappa sostiene la necessità, soprattutto in tempi succedentesi a periodi di notevoli alterazioni nei prezzi dei valori immobilizzati del capitale, di procedere ad una rivalutazione dei valori assegnati in bilancio a tali fattori produttivi nella prospettiva di costituire “una nuova base non effimera, né troppo eterogenea, alla determinazione attendibile dei futuri redditi”251.

In conclusione, nel pensiero zappiano la costanza dei valori immobilizzati del capitale, è utile solo per limitati periodi di tempo e nell’ipotesi di lenti cambiamenti delle circostanze di impresa e di ambiente, vincolanti lo svolgimento della gestione aziendale; quando muta l’ipotesi enunciata, è necessario procedere “a generali o a particolari rivalutazioni, che offrano rinnovato fondamento alla rilevazione dei redditi di esercizio”252.

Il merito di aver teorizzato in forma sistematica l’esigenza di impiegare due distinte tecniche valutative, complementari ma diverse, spetta però, a Carlo Masini e al suo allievo Vittorio Coda253. Alla base della teoria di tali Autori vi è il presupposto che la produzione economica di impresa si misuri determinando le variazioni, positive o negative, che il capitale subisce per effetto della gestione configurata periodicamente in esercizi.

Le variazioni di capitale prodotte dalla gestione d’impresa sono distinte dagli Autori citati in “variazioni di capitale di esercizio” e “variazioni di capitale di rivalutazione”. Le variazioni di capitale di esercizio sono rilevate periodicamente con i bilanci di esercizio, nei quali esse appaiono sia come differenza tra il capitale netto finale con quello iniziale, sia come risultato della somma algebrica dei componenti positivi e negativi di reddito di competenza dell’esercizio. Le variazioni di capitale di rivalutazione vengono rilevate, invece, saltuariamente, qualora si proceda ad una valutazione fuori esercizio del capitale di funzionamento; esse sono misurate dal confronto tra il capitale netto rivalutato con quello da rivalutare, entrambi riferiti al medesimo istante temporale.

Le variazioni di capitale, di esercizio e di rivalutazione, congiuntamente considerate, misurano, secondo l’impostazione teorica citata, la produzione economica dell’impresa: le prime sono pertinenti ad un esercizio, le seconde a più esercizi.

Per conseguenza, secondo l’impostazione in argomento, la metodologia per la determinazione del reddito di esercizio e del connesso capitale di funzionamento si deve estrinsecare in due distinte tecniche di rilevazione applicate in modo intrecciato e congiunto. Una prima tecnica tende alla rilevazione del reddito di competenza dell’esercizio; un’altra tecnica si propone lo scopo di predisporre, mediante valutazione fuori esercizio, un nuovo sistema di valori per le future determinazioni dei risultati economici di periodo254.

La tecnica di valutazione di esercizio prende in esame esclusivamente correlazioni con condizioni passate e con quelle previste nell’immediato futuro. La tecnica di rivalutazione, anche se

250 G. ZAPPA (1950: 93). 251 G. ZAPPA (1950: 583); prosegue l’Autore citato: “Nella rivalutazione degli impianti, si potrebbe credere che essi in genere dovessero essere valutati nell’insieme come un complesso, atto alla produzione economica. Tale determinazione, che tra l’altro spezzerebbe l’unità del capitale dell’impresa in avviamento, presenta tante e tali difficoltà logiche e di fatto, che nel concreto viene sostituita con l’attribuzione, a ciascun gruppo di elementi più strettamente vincolati in un’unità economica, di un valore di ricompera o di riproduzione, modificato eventualmente anche in relazione allo stato di deperimento degli impianti valutati. Questa ardua valutazione a presunto costo attuale di beni che spesso non sono oggetto di negoziazione corrente, subisce numerosi adattamenti imposti da molteplici e mutevoli circostanze di fatto, ma soprattutto non può prescindere dall’azione di riflesso esercitata su ogni valutazione stimata dalla situazione economica dell’impresa. In particolar modo può affermarsi che solo una buona situazione economica può giustificare un generale aumento dei valori già nei conti attribuiti agli impianti” (G. ZAPPA, 1950: 584). 252 G. ZAPPA (1950: 93). 253 C. MASINI (1955: 379 e segg.; 1957: 2 e segg.; 1961: 39 e segg.); V. CODA (1963: 11 e segg.; 1966: 26 e segg.; 1973: 19 e segg). 254 C. MASINI (1955: 372).

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trova un rilevante vincolo nel sistema dei valori di azienda derivati dal passato, è soggetta al dominio di condizioni presenti e soprattutto previste in un futuro di non breve periodo255.

Nel pensiero degli Autori citati, le valutazioni sono, quindi, differenti nelle due tecniche in relazione alla diversa prospettiva temporale considerata al momento dell’attribuzione dei valori: la tecnica di valutazione di esercizio si limita a prendere in esame un ristretto numero di esercizi, mentre la tecnica di rivalutazione si distende ad indagare più vasti insiemi di operazioni nell’ambito della unitaria vita dell’impresa.

In altri termini, la penetrazione in prospettiva è più ampia nella rivalutazione in quanto quest’ultima ha come scopo la predisposizione dei dati utili per le future determinazioni di esercizio256.

Per la determinazione del reddito di esercizio, gli Autori in esame propongono, quindi, di impiegare una tecnica valutativa per la quale alcuni valori attivi del capitale di funzionamento o vengono tenuti costanti per più periodi amministrativi o, tutt’al più, al termine di ogni esercizio, vengono fatti variare indirettamente, attraverso la variazione di correlate poste passive. Per converso alcuni valori passivi del capitale di funzionamento hanno una variabilità definita in ciascun esercizio dal calcolo di quote congetturate in relazione al limitato orizzonte temporale proprio della valutazione di esercizio257.

Anche il capitale netto ha una variabilità circoscritta di esercizio in esercizio dalla rilevazione dell’utile netto o della perdita netta e dalle eventuali variazioni estranee alla gestione ordinaria258.

Al fine di definire esattamente i valori che secondo la tecnica citata hanno una variabilità limitata, gli Autori in parola distinguono “i valori economici comuni a due esercizi con correlazione non lontanamente mediata alle variazioni di esercizio, dai valori economici comuni a più di due esercizi”259.

I valori economici comuni a due esercizi concorrono direttamente e globalmente alla formazione del reddito di ciascun esercizio; essi possono venire valutati in ogni esercizio con riferimento ai previsti cambiamenti sia delle combinazioni produttive sia delle condizioni di ambiente. Tali valori danno origine, contabilmente, alle rimanenze attive e passive, ai ratei attivi e passivi, ai risconti attivi e passivi. I valori economici comuni a più di due esercizi partecipano, invece, alla formazione del reddito di esercizio indirettamente o per quote parti congetturate.

I valori appartenenti a tale classe vengono distinti dagli Autori in esame “in valori con formazione unitaria e in valori che si formano per aggregazione successiva di quote congetturate espressive del concorso alla determinazione dei risultati netti degli esercizi di valori economici comuni a più esercizi della prima specie, già rilevati o di manifestazione futura”260.

I valori economici comuni a più di due esercizi che si formano per aggregazione successiva danno origine ai “fondi ammortamento”, ai “fondi spese future”, ai “fondi rischi”261. I valori

255 C. MASINI (1955: 432); prosegue l’Autore citato: “Nella tecnica delle valutazioni di esercizio dominano le condizioni di svolgimento dell’economia di azienda e di ambiente dell’esercizio; ... Nella tecnica di generale rivalutazione, i risultati trovano per vero una rilevante condizione nel sistema di valori di azienda in atto, conseguenza anche del passato, ma sono dominati dal concorso alla valutazione di condizioni presenti e previste future” (C. MASINI, 1955: 433). 256 C. MASINI (1955: 433). 257 V. CODA (1966: 57). 258 V. CODA (1966: 57); come è noto le variazioni estranee alla gestione ordinaria si concretano solitamente in nuovi conferimenti, rimunerazioni e rimborsi. Si veda al riguardo il paragrafo primo dell’ultimo capitolo. 259 C. MASINI (1957: 15); a proposito dei “valori comuni a più esercizi” lo stesso Autore osserva “La correlazione tra fenomeni d’azienda, considerati costituiti in processi, per non limitati gruppi, di frequente non si esaurisce in un esercizio: componenti di reddito rilevati come quantità di un esercizio hanno relazioni avvincenti anche con componenti di reddito rilevati come quantità di altri esercizi; si ha così il sorgere di «valori comuni a più esercizi” espressione tipica della continua unità dell’azienda. Il succedersi di numerosi e diversi processi produttivi, il formarsi “periodico di processi differenti, la congiunzione di molti processi con altri processi lontani, sono caratteristiche salienti dell’economia delle imprese” (C. MASINI, 1955: 383). 260 V. CODA (1963: 21). 261 V. CODA (1963: 21).

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economici comuni a più di due esercizi con formazione unitaria vengono suddivisi a seconda che concorrano o non concorrano, per quote parti congetturate, alla determinazione dei redditi degli esercizi a cui sono comuni. Appartengono alla prima specie i valori delle immobilizzazioni tecniche, siano essi valori originari di acquisto o valori congetturati per lavori di costruzione o di installazione eseguiti in economia o valori di apporto o valori di rivalutazione. Non sono invece oggetto di ripartizione congetturale i valori delle partecipazioni, i valori delle aree fabbricabili ed altri valori analoghi262.

I valori economici comuni a più di due esercizi della prima specie sono correlati a particolari poste rettificative denominate “fondi ammortamento”, altrimenti possono essere correlati ad appositi “fondi rischi”. La tecnica di valutazione di esercizio, si basa, quindi, sulla ipotesi di invariabilità dei valori originari economici comuni a più di due esercizi: tale modo di procedere non darebbe luogo ad alcun inconveniente se il mondo economico fosse statico ed esattamente predeterminabile nei suoi svolgimenti futuri263.

In presenza di cambiamenti nelle condizioni interne ed esterne all’impresa, di entità però limitata, con la tecnica in argomento è possibile attuare solo una “rivalutazione graduale” dei valori economici comuni a più di due esercizi nei limiti consentiti dalla loro misura originaria o dalle ristrette previsioni temporali. D’altra parte, secondo la tecnica valutativa di esercizio, teorizzata dagli Autori indicati, se la valutazione delle rimanenze di esercizio viene attuata con criteri che non tengono adeguatamente conto delle particolari fluttuazioni intervenute nei prezzi riguardanti i processi produttivi in corso, è necessario introdurre una indiretta rettificazione del valore delle rimanenze di esercizio correlata all’inserzione tra gli elementi del capitale di un equivalente valore di solito denominato “fondo oscillazione prezzi”264.

Quando, invece, sono intervenute fluttuazioni in diverse serie di prezzi o indici di prezzi secondo la tecnica di valutazione di esercizio è necessario procedere ad una indiretta rettificazione che viene inserita direttamente tra i componenti del reddito di esercizio e in un correlato elemento del capitale sotto la denominazione di “fondo oscillazione valori”265. Tale rettifica ha lo scopo preciso di dare una voluta misura al reddito di esercizio, tenendo conto delle variazioni delle quantità economiche osservate266.

Frequentemente i mercati raggiungono nuovi livelli dei prezzi diversi da quelli esistenti al tempo della valutazione originaria dei valori economici comuni a più di due esercizi. D’altra parte, l’impresa può mutare le sue combinazioni produttive rispetto a quelle in essere al momento in cui si formano gli accennati valori.

In realtà, le circostanze, le condizioni e le prospettive delle imprese sono sempre soggette a mutare, non solo saltuariamente o per periodi brevi; ne consegue che i valori formatisi in dati tempi, se vengono mantenuti invariati o se hanno una variabilità sommessa alle esigenze di calcolo dei risultati di competenza dei singoli esercizi, sono fatalmente destinati a divenire espressioni di condizioni superate e, a un certo punto, non possono più accogliersi come base significativa per le determinazioni dei redditi degli esercizi futuri. Per tali motivi, secondo gli Autori in parola, la tecnica semplificatrice impiegata nelle determinazioni di esercizio non consente di esprimere

262 V. CODA (1963: 21). 263 V. CODA (1966: 57-58). 264 C. MASINI (1955: 438). 265 C. MASINI (1955: 440); prosegue l’Autore citato: “Sia le rettificazioni del reddito di esercizio sia gli elementi di capitale della classe in oggetto sono valori non numerari di reddito. Le rettificazioni del reddito di esercizio sono poste in generale correlazione con tutti gli altri valori, così come gli elementi del capitale non sono termini rettificativi di particolari altre classi di elementi del medesimo capitale. Il fondo oscillazione valori è un valore di reddito comune a più esercizi; non costituisce una riserva: solo la parte eccedente di una misura giudicata conveniente di un fondo oscillazione valori iscritto al passivo, potrebbe talora essere definita riserva impropria. Si assimila ai fondi rischi, quando iscritto al passivo fu rilevato in relazione a prospettive di avverse fluttuazioni future dei valori economici della moneta e al momento dell’osservazione tali prospettive sono ancora valide” (C. MASINI, 1955: 446). 266 C. MASINI (1955: 440).

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adeguatamente nelle valutazioni di Bilancio il dinamismo delle condizioni di impresa e di ambiente vincolanti lo svolgimento della gestione aziendale.

Allorché la dinamica dell’impresa e quella ambientale risultano intense o soggette a lenti cambiamenti in non brevi spazi temporali, è necessario, secondo l’impostazione in esame, modificare la portata dell’ipotesi di invariabilità dei valori originari comuni a più di due esercizi267. In tali condizioni nella determinazione dei redditi di esercizio non può più essere utilizzata, secondo il Masini e il Coda, la tecnica di valutazione di esercizio; è quindi necessario dare nuovo fondamento a tutto il sistema dei valori mediante una rivalutazione generale.

Il mancato soddisfacimento di questa esigenza non può che accrescere il divario tra i valori contenuti nel Bilancio e i valori che sarebbe auspicabile rilevare per una significativa misurazione dei redditi di esercizi futuri268.

Molto frequentemente, tale esigenza è desunta da numerosi sintomi che pongono in evidenza la non aderenza del sistema dei valori, ottenuti impiegando la tecnica valutativa di esercizio, in relazione alle nuove prospettive dell’impresa e dell’ambiente economico generale. L’esigenza di una rivalutazione del capitale non è avvertita solamente nei tempi di instabilità del valore economico generale della moneta, espressi dalle variazioni di indici generali dei prezzi. Anche in tempi di relativa stabilità monetaria possono aversi nelle condizioni interne ed esterne di impresa cambiamenti tali da suscitare nuovi indirizzi di gestione o mutate prospettive economiche. D’altra parte, la rivalutazione generale è necessaria con varia frequenza in tempi di lenta e di intensa dinamica economica essendo strettamente collegata all’attuazione di particolari politiche economiche e finanziarie269.

Per ridare omogeneità ai valori di Bilancio, secondo l’impostazione in esame, è necessario impiegare una tecnica valutativa diversa che abbandoni l’ipotesi di invarianza dei valori originari economici a più di due esercizi e consenta di esprimere adeguatamente nelle valutazioni le mutate condizioni presenti e prospettiche di impresa e di ambiente.

Solo procedendo in tal modo è possibile evitare che le determinazioni dei redditi degli esercizi futuri risentano degli errori previsionali compiuti nelle valutazioni di bilancio degli esercizi passati.

Al riguardo si osservi come, secondo il Coda, risulti inaccoglibile la proposta di attuare, al termine di ciascun periodo amministrativo, una generale rivalutazione del capitale; essa consentirebbe la rilevazione di una “variazione di capitale di rivalutazione” che integrerebbe la nozione del reddito rilevato con la tecnica valutativa di esercizio. In effetti, secondo l’Autore citato, la rivalutazione del capitale è un processo logico assai complesso, che, di norma, non è utilmente attuabile sia nell’ipotesi di cambiamenti dell’economia riflettentesi in una insignificante eterogeneità dei valori economici comuni a più di due esercizi rispetto agli altri valori del sistema, sia nell’ipotesi di una eccessiva dinamica economica in atto, tale da non consentire la formulazione di consapevoli previsioni sufficientemente orientative per le valutazioni270.

In conclusione, secondo la posizione di pensiero delineata, la determinazione del reddito di esercizio costituisce il fine preminente della tecnica valutativa di esercizio; il perseguimento di tale fine non viene ritenuto compatibile con quello connesso alla determinazione di una idonea configurazione del capitale di funzionamento.

Per conseguenza, secondo tale impostazione, nella tecnica valutativa di esercizio la valutazione del capitale di funzionamento “viene ad essere piegata alla rilevazione del reddito di esercizio”271. D’altra parte, lo stesso corretto calcolo del risultato economico dell’esercizio esige che saltuariamente si proceda ad una generale rivalutazione del capitale con una tecnica valutativa completamente svincolata dalle finalità della rilevazione del reddito; la tecnica di rivalutazione

267 V. CODA (1966: 59). 268 V. CODA (1973: 74). 269 Sui più frequenti motivi che inducono ad attuare una generale rivalutazione si veda la dettagliata elencazione di C. MASINI (1955: 424). 270 V. CODA (1963: 22). 271 V. CODA (1966: 12; 1973: 8).

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deve, infatti, essere basata sull’indagine prospettica intorno al grado di funzionalità che gli elementi del capitale potranno avere nei processi della gestione futura.

Procedendo in tal modo si ottiene una corretta configurazione del capitale di funzionamento coerente con il carattere di strumento della gestione futura; sotto un altro aspetto si predispone un sistema di valori che costituisce un’idonea base per la rilevazione dei redditi degli esercizi futuri.

È interessante osservare come la teoria della duplice tecnica di valutazione sia caratterizzata dall’esigenza di postulare due differenti nozioni di capitale di funzionamento: una prima nozione è connessa alla tecnica di valutazione di esercizio, una seconda è correlata alla tecnica di rivalutazione272.

Delle due nozioni di capitale indicate l’unica che appare pienamente coerente con il carattere di strumento per l’interpretazione delle combinazioni produttive future è quella connessa con la tecnica di rivalutazione; in effetti, solo seguendo tale tecnica si tengono nel dovuto conto le concrete prospettive di partecipazione degli elementi del capitale ai processi della gestione futura273.

Sottolinea il Coda che unicamente la nozione citata è veramente aderente alla funzione strumentale del capitale rispetto alla gestione ed è perciò la nozione con maggiore proprietà designabile come capitale di funzionamento274.

L’impostazione che propone due distinte tecniche valutative riveste una enorme importanza pragmatica soprattutto in quelle imprese che non adottano i piani e i programmi come strumento di gestione; essa può anche soddisfare pienamente agli scopi di altre logiche conoscitive che investono il bilancio di periodo delle imprese in normale funzionamento operativo. In effetti, la teoria della duplice tecnica di valutazione si adatta a risolvere i problemi sollevati dalla redazione dei bilanci pubblici in quanto, applicando la tecnica di valutazione di esercizio si dovrebbe pervenire normalmente ad una sottostima del reddito di esercizio che risulta compatibile con i criteri prudenziali che informano le norme contenute nel Codice civile.

Anche da un punto di vista fiscale la teoria in questione assume notevole interesse perché consente di dirimere le prevedibili controversie tra amministrazione finanziaria e contribuente sull’attendibilità delle stime e delle previsioni, necessario presupposto per una corretta compilazione del bilancio di esercizio quale base di partenza per il calcolo del reddito imponibile.

4. – ANALISI CRITICA DEL CONCETTO DI INTEGRITÀ DEL CAPITALE

Come è stato in precedenza osservato, le problematiche connesse all’attuazione della politica di remunerazione del capitale proprio in condizioni monetarie od economiche perturbate, richiedono di predisporre ed applicare gli opportuni adeguamenti. Gli adeguamenti in parola danno contenuto a diverse metodologie di assestamento che non hanno, tuttavia nel tempo, come è già stato osservato in precedenza, polarizzato unanimità di consensi; tali metodologie si basano sul comune fondamento che in periodi di alterazione del potere di acquisto della moneta di conto, o di mutamenti nell’ambito della situazione economico-finanziaria dell’impresa, la misura del reddito risulti corretta solo qualora sia salvaguardata l’integrità economica del capitale netto esistente all’inizio dell’esercizio. Tale integrità viene postulata non in senso puramente fisico ma esclusivamente in termini di valore275.

L’integrità economica del capitale nel tempo pur essendo comunemente concepita in termini di valore viene, tuttavia, intesa in modo affatto vario.

In una prima concezione si possono far rientrare tutte que lle metodologie che propongono l’utilizzo di coefficienti di correzione desunti dalle variazioni dell’indice generale dei prezzi.

272 Osserva al riguardo il MASINI: “Il capitale di funzionamento nei suoi elementi e nella sua misura sintetica ha significato tra l’altro in relazione alla tecnica di rilevazione” (C. MASINI, 1955: 462). 273 V. CODA (1973: 8). 274 V. CODA (1963: 40). 275 U. DE DOMINICIS (1959: 64) ed E. ARDEMANI (1961: 211).

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Come si può osservare la concezione in esame si fonda sul presupposto che il reddito di esercizio sia la variazione del capitale netto iniziale, alla fine dell’esercizio considerato, nell’ipotesi in cui quest’ultimo venga mantenuto invariato nei confronti delle oscillazioni del valore economico generale della moneta di conto276.

Si osserva, infatti, che il reddito di esercizio viene solitamente definito come l’incremento o il decremento che subisce il capitale netto iniziale per effetto della gestione durante un periodo amministrativo. Tuttavia, questa nozione di reddito di esercizio è accettabile solo in via di prima approssimazione, in quanto astrae dalle variazioni del valore economico della moneta di conto.

Qualora si volesse tener conto di tali variazioni, il reddito di esercizio potrebbe piuttosto essere definito come l’incremento o il decremento che subisce per effetto della gestione, il capitale netto iniziale, rivalutato mediante l’applicazione di un coefficiente espressivo dell’alterazione del potere di acquisto della moneta verificatasi nel periodo amministrativo277. Tale concezione si basa sul fondamento che la salvaguardia dell’integrità economica del capitale consista nel mantenere invariato il generico potere di acquisto della quantità di moneta espressa da quel capitale; per conseguenza, quest’ultimo appare come “un fondo astratto di valori monetari, un quantum suscettibile di mutar forme specifiche di investimento, sia nell’ambito della stessa impresa, sia fuori di essa ed anche, a lungo andare, di essere distolto da impieghi produttivi per ricevere una destinazione al consumo”278. In effetti, solamente dalla nozione di capitale come entità monetaria che trascende gli specifici investimenti di una combinazione produttiva può discendere la conseguenza logica che l’integrità economica del capitale nel tempo debba essere misurata dalle variazioni dell’indice generale dei prezzi279.

Ora tale proposizione appare correttamente formulata solo nell’ipotesi di liquidazione dell’impresa mentre non sembra che sia del tutto appropriata qualora la gestione si svolga in condizioni di normale funzionamento operativo.

L’invarianza in termini monetari del capitale netto non è il fine caratteristico delle imprese in funzionamento, in quanto queste ultime perseguono l’obiettivo di rimunerare adeguatamente tutti i fattori produttivi necessari per garantire ad esse la sopravvivenza nel tempo. D’altra parte, l’impiego di un indice di variazione del valore economico della moneta allo scopo di assicurare l’invarianza monetaria del capitale netto si basa sul presupposto che un solo dato esterno all’economia dell’impresa sia efficace espressione delle variazioni particolari di tutte le componenti il sistema dei valori di azienda. In effetti, nell’ipotesi che metà dei prezzi esistenti in un dato sistema economico si muovano con la stessa intensità ma in direzione opposta alla variazione dei prezzi costituenti l’altra metà si è in presenza di una variazione di tutti i valori economici particolari della moneta e di una costanza del valore economico generale del modulo monetario.

Gli effetti delle variazioni dei valori economici particolari della moneta sono per le singole imprese sostanzialmente equivalenti ad analoghe variazioni del valore economico generale della stessa moneta per il sistema economico.

Il valore economico generale del modulo monetario è, quindi, un dato quasi del tutto trascurabile per la singola impresa mentre i valori economici particolari della moneta rispetto ai beni e servizi utilizzati dall’impresa considerata costituiscono dati di estrema importanza ai fini della stesura dei piani e programmi, e di conseguenza ai fini della determinazione del reddito e del capitale del bilancio di esercizio. In altri termini, l’impostazione che ritiene integro il capitale in relazione al potere di acquisto generico della moneta conduce ad una rettifica automatica del capitale netto

276 V. CODA (1966: 52). 277 V. CODA (1973: 69). 278 U. DE DOMINICIS (1959: 67) 279 U. DE DOMINICIS (1959: 68); osserva l’Autore citato: “Si può dunque ritenere che un indice medio generale tra l’indice dei prezzi all’ingrosso, quello dei salari e stipendi e quello dei prezzi al minuto sia il più idoneo al calcolo del variabile potere di acquisto generico di un capitale e quindi del valore che assicuri la sua reintegrazione economica” (U. DE DOMINICIS, 1959: 71).

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iniziale che non tiene nel dovuto conto le condizioni particolari in cui si svolge la gestione dell’impresa considerata.

Al riguardo, si può osservare come l’intricata formazione dei valori si opponga a troppe ingenue regole di collegamento tra dati indici e dati valori per attuare la conversione 280.

Sotto un altro aspetto la concezione della salvaguardia dell’integrità economica del capitale in termini monetari si fonda sul postulato che si possano distinguere e determinare separatamente due specie di risultati economici: uno connesso alle sole variazioni dei valori economici della moneta, l’altro connesso alla gestione dell’impresa.

In sede di attuazione della politica di rimunerazione del capitale proprio non appare corretto supporre che le variazioni delle quantità di azienda possano essere in parte originate dalle oscillazioni del generale valore economico della moneta di conto.

Le stime necessarie per la determinazione del reddito e del capitale di Bilancio si basano sui molteplici sintomi, espressione della differente considerazione di condizioni interne ed esterne all’economia dell’impresa; per il loro tramite si tende all’accertamento di tendenze o di relative costanze negli andamenti delle quantità di azienda e di mercato. In altri termini, ne i processi di valutazione si tende a percepire il concorso congiunto dei molteplici fattori e l’influsso complessivo di condizioni presenti e future dominanti lo svo lgimento dell’economia dell’impresa.

Non è quindi consentito formulare ipotesi che si propongono la distinta determinazione degli effetti originati da una condizione rispetto all’influsso di tutte le altre in quanto, le diverse condizioni agiscono sempre e necessariamente in via affatto complementare. Per conseguenza non sembra possa reggere la determinazione di un distinto risultato attribuibile ai mutamenti del potere di acquisto della moneta rispetto a quello dovuto congiuntamente alla dinamica dei mercati, ai cambiamenti delle combinazioni produttive di azienda, al progresso tecnologico, etc.

In una seconda concezione si possono far rientrare tutte quelle metodologie di assestamento che utilizzano coefficienti desunti dalle variazioni degli indici particolari dei prezzi: secondo tale concezione l’integrità economica del capitale viene intesa come tendente alla costanza del valore degli investimenti effettuati dall’impresa in dati beni specifici: tale concezione si fonda, quindi, sul fondamento che il capitale è mantenuto integro con riferimento ai beni reali in cui è investito.

L’elaborazione concettuale in esame si differenzia nettamente da quella prima criticata; in effetti, l’impostazione in argomento persegue l’obiettivo di assicurare l’invarianza del capitale in termini di beni investiti nella impresa ed espressi in unità monetarie. In altre parole, si tende a preservare la capacità della gestione di riprodurre le stesse combinazioni produttive assicurando la continuità dell’impresa anche in futuro. Sotto questa angolazione, la cessione di un elemento del capitale comporta per l’impresa cons iderata il problema della sostituzione dello stesso con un altro elemento avente le medesime caratteristiche; per conseguenza la convenienza di una operazione viene giudicata contrapponendo al ricavo di vendita il costo dell’elemento che sostituisce quello ceduto e non il costo storico dell’elemento alienato.

Si sostiene che solo in tal modo risultano salvaguardate le risorse reali dell’impresa e ne è assicurata la continuità. Ne consegue la necessità di impiegare indici che riflettono le variazioni dei valori economici particolari della moneta desunti dalle oscillazioni avvenute nei prezzi dei beni specifici che sono investiti nell’impresa.

L’impostazione in esame si basa sul fondamento che il reddito di esercizio sia la variazione del capitale netto iniziale, alla fine dello esercizio considerato, nell’ipotesi che quest’ultimo venga mantenuto invariato rispetto alle oscillazioni dei valori particolari della moneta, dei singoli mezzi a disposizione dell’impresa all’inizio dell’esercizio. Per conseguenza, in tale ipotesi il reddito potrebbe essere definito come l’incremento o il decremento che subisce, per effetto della gestione, il valore di ricostituzione del capitale netto iniziale, opportunamente adeguato mediante l’applicazione ai suoi singoli elementi di coefficienti espressivi delle variazioni particolari della moneta di quei beni e servizi oggetto della gestione dell’impresa. Giova, tuttavia, osservare come

280 C. MASINI (1955: 631).

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l’impresa sia soggetta a frequenti e continui cambiamenti nei processi e nelle combinazioni produttive; per conseguenza, non si può fare troppo affidamento sul fatto che gli indici prescelti rappresentino veramente il tasso di incremento dei prezzi dei beni particolari investiti nell’impresa281.

D’altra parte, la costanza in termini dei valori di investimento del capitale netto non è anche in questo caso lo scopo caratteristico dell’impresa la quale, come si è sopra scritto, ha come fine istituzionale l’adeguata e duratura rimunerazione di tutti i fattori produttivi atti a garantirne anche in futuro la sopravvivenza. Pertanto non è corretto formulare l’ipotesi unica e generale che le imprese tendano al conseguimento di un reddito costante e di un capitale netto costante in termini di valori investiti secondo i prezzi di riferimento di un dato tempo base in quanto ciò implicherebbe un’irreale espressione dei risultati economici dell’impresa considerata.

È stato acutamente osservato come si cada in un “grossolano errore quando si parla di integrità ‘del capitale reale di impresa’ o di ‘costanza del capitale di impresa in termini reali’, come se fosse ottenibile con i vari meccanismi dei metodi di valutazione applicati alle diverse specie di valori in tempi di svalutazione monetari”282. D’altra parte, gli assidui cambiamenti delle combinazioni produttive d’impresa e delle condizioni di ambiente economico non possono essere desunti solo dalle passate variazioni di valori economici particolari della moneta.

Le conversioni di valore proposte per salvaguardare l’integrità economica del capitale in termini di valori investiti hanno invece dominante fondamento nel passato in quanto si basano sulle avvenute variazioni dei valori economici della moneta rispetto a dati beni particolari. Esse, quindi, non introducono nella rettificazione dei valori la osservazione in prospettiva dell’economia di impresa nonché di ambiente e perciò non tengono nel dovuto conto le molteplici ripercussioni sui valori del sistema dovute ai cambiamenti dei processi produttivi di presunta attuazione futura.

Il mancato riferimento alle future combinazioni produttive può spesso provocare la determinazione di valori che sono espressione di particolari momenti congiunturali di dati mercati risultando quindi estranei alle concrete circostanze economiche che qualificano le prospettive della combinazione produttiva. Queste ultime circostanze, invece che in passate variazioni dei valori economici particolari, “si reputa siano meglio rintracciabili in dinamiche, anche di ampia prospettiva, quali quelle palesate, ad esempio, dai piani di rinnovo ed ampliamento delle immobilizzazioni nel quadro dello sviluppo delle tecnologie, dell’evoluzione dei prezzi e dei comportamenti della concorrenza”283. Per conseguenza, per una corretta determinazione del reddito e del capitale di funzionamento è necessario disporre di strumenti che consentano di apprezzare la futura politica di rinnovo dei fattori produttivi connessi con le operazioni in corso di svo lgimento alla data di chiusura dell’esercizio284.

Non bisogna, infatti, dimenticare che i redditi che l’impresa frutterà in futuro dipendono da un complesso di condizioni e circostanze, interne ed esterne all’impresa stessa, delle quali il capitale non è né la sola né, spesso, quella di maggior rilievo. In altri termini, il reddito promana dall’unitaria gestione dell’impresa e non solo dal fattore produttivo generico rappresentato dal capitale285.

281 Osserva al riguardo il Masini: “L’azienda cambia continuamente i suoi processi di produzione e le sue combinazioni produttive; il capitale netto di funzionamento è soggetto a continue e difformi variazioni, i capitali economici di impresa sono sempre in movimento. Nelle aziende le valutazioni sono fatte anche servendosi di termini di riferimento propri di calcoli vari di supposta costanza in termini reali di date misure di capitale secondo date nozioni; ma porre il fine di perseguire “una costanza del capitale di impresa in termini reali”, e perciò porre un’uguale ipotesi come fondamentale per le determinazioni di esercizio e fuori esercizio, è profondamente errato ed è fonte di effetti nocivi che molto si protraggono nel tempo anche nella pratica” (C. MASINI, 1955: 615). 282 C. MASINI (1955: 615). 283 A. PROVASOLI (1975: 741). 284 A. PROVASOLI (1975: 718). 285 Osserva al riguardo lo Zappa: “Il reddito ... promana da tutto il complesso, ma pur coerente svolgersi della gestione” (G. ZAPPA, 1950: 283).

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Ne consegue che il principio della salvaguardia dell’integrità economica del capitale deve essere esteso fino a considerare il conveniente svolgimento della gestione futura limitatamente, almeno, al periodo che può essere oggetto di fondate previsioni.

5. – CONSIDERAZIONI DI SINTESI

Come è stato osservato in precedenza, qualora si assuma come logica conoscitiva del Bilancio di esercizio quella di costituire valido orientamento per la politica di rimunerazione del capitale proprio, il reddito di esercizio ed il connesso capitale di funzionamento appaiono univocamente determinati sulla base dei piani e dei programmi che contemplano il futuro nella prospettiva di garantire la sopravvivenza dell’impresa nel tempo.

In sede di attuazione di tale politica si deve tendere ad armonizzare l’attribuzione dei valori con le esigenze dei piani e programmi compilati per garantire la sopravvivenza dell’impresa nel tempo, in quanto il capitale di funzionamento costituisce il punto di partenza della futura attività gestionale contemplata dagli stessi piani. In effetti, come si è osservato in precedenza, le operazioni in corso di svolgimento, dalla cui valutazione scaturiscono gli elementi attivi e passivi del capitale di funzionamento, debbono essere attentamente considerate dal punto di vista economico e finanziario in relazione a tali piani.

In sede di determinazione del reddito di esercizio e del capitale di funzionamento è, quindi, necessario assicurare l’integrale possibilità di attuazione dei piani economici e di quelli finanziari predisposti per indirizzare la gestione al conseguimento dei fini istituzionali dell’impresa. Per conseguenza, la nozione di capitale di funzionamento in argomento deve consentire l’attuazione dei piani e dei programmi predisposti per garantire la sopravvivenza dell’impresa nel tempo.

Al riguardo è possibile osservare che i principi per la determinazione del reddito di esercizio, prelevabile o apportabile, impongono di valutare il capitale di funzionamento in modo da garantire l’equilibrio economico-finanziario della gestione futura. Per conseguenza, tali principi permettono di esprimere correttamente la misura del capitale netto di funzionamento, il quale, a sua volta, consente di attuare i piani e i programmi predisposti per assicurare la sopravvivenza dell’impresa nel tempo.

L’arco di tempo contemplato dai piani e programmi dovrebbe abbracciare tutti gli esercizi futuri durante i quali avranno compimento le operazioni in corso all’epoca di chiusura dell’esercizio. In caso contrario sarà necessario integrare le informazioni desunte dai piani con opportune previsioni temporali al fine di coprire l’arco di tempo contrassegnato dal termine finale dei piani con quello delle operazioni in corso di svolgimento.

Senza dubbio la concreta applicazione dei criteri di valutazione, ispirati ai principi teorici connessi con l’attuazione della politica di remunerazione del capitale proprio, incontra notevoli difficoltà che possono apparire insormontabili soprattutto allorché vasti sconvolgimenti economici e monetari sopprimano addirittura ogni possibilità di attendibili congetture anche sul più immediato avvenire. Ciò non esclude, tuttavia, la necessità di porre ugualmente tali principi a base delle valutazioni.

Ora le fluttuazioni del potere di acquisto della moneta rendono più che mai ardue le previsioni necessarie per la stesura dei piani e dei programmi in quanto si aggravano, per esempio, le incognite relative ai costi che si dovranno sostenere per la futura ricostituzione degli impianti e delle scorte. Tuttavia, la formazione dei piani e dei programmi, pur non eliminando le incertezze inerenti alle previsioni sulle future vicende dell’impresa e dell’ambiente, può spesso consentire di meglio affrontare lo straordinario e l’imprevisto, inserendolo, con minor disturbo possibile, nell’ordinario e nel previsto286.

Gli indici riflettenti le variazioni dei valori economici particolari della moneta sono di estrema importanza per procedere ad una attenta revisione dei piani e dei programmi in corso di attuazione. 286 P. ONIDA (1968: 509).

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All’uopo, la determinazione di appropriati indici di variazioni del valore economico della moneta relativamente a dati beni particolari può utilmente servire per percepire le future tendenze dei prezzi dei beni considerati. Tuttavia, gli indici di variazione dei valori economici della moneta sono solo alcuni tra i possibili termini necessari nella scelta dei valori; essi possono servire come mezzi di paragone per le ispezioni di insieme e per appurare il grado di attendibilità dei componenti di reddito di origine stimata. Tali indici hanno, quindi, il solo valore di mezzi di riferimento concorrenti con molti altri alla composizione delle complesse valutazioni.

A tale scopo, in periodi di alterazione del potere di acquisto della moneta, possono servire utilmente indici particolari dei prezzi dei beni utilizzabili anche in futuro dall’impresa considerata. In effetti, un indice idoneo a rappresentare il movimento generale di tutti i prezzi, oltre ad essere di non facile determinazione, appare come un dato statistico medio che può servire egregiamente nelle indagini macroeconomiche ma che mal si adatta ad essere impiegato nelle ricerche economico – aziendali.

Per la stesura e la revisione dei piani e dei programmi si ricorre, quindi, a diversi indici di variazione dei valori economici della moneta e allo studio della loro dinamica connessa con quella di molteplici altri fenomeni come fondamento alla determinazione delle tendenze in atto nonché di quelle presunte future dei movimenti di impresa e di mercato.

Si noti inoltre come in tutte le metodologie - tese ad eliminare gli effetti provocati dalle oscillazioni del potere di acquisto della moneta - si insista sulla necessità di ricondurre ad omogeneità, tutti i diversi componenti reddituali. Al riguardo è forse opportuno precisare che i costi ed i ricavi, rilevati in diretta correlazione di variazioni numerarie durante l’esercizio, non sono nominali, come non di rado si afferma. Si può, infatti, osservare che la gestione aziendale si inserisce nella dinamica dei mercati e la rilevazione sistematica di conto accoglie quanto accade e non quanto dovrebbe accadere secondo supposte ipotesi di costanza dei valori287.

L’omogeneità di tutti i valori del sistema aziendale è indispensabile che sia intesa in una più ampia accezione. Essa non deve essere concepita in relazione a trascorse variazioni del potere di acquisto del modulo monetario desunte da indici di valori particolari o generali della moneta rapportati al tempo di chiusura dell’esercizio.

L’applicazione integrale dei principi e dei criteri connessi alla politica di remunerazione del capitale proprio consente di pervenire ad una omogeneità di complesso, pertinente a tutti i valori, in quanto determinati rispetto ad uno stesso insieme di condizioni presenti e previste future di svolgimento della gestione aziendale: tra le soggette condizioni sono anche comprese le variazioni future dei valori economici della moneta di conto.

L’omogeneità del sistema dei valori di Bilancio trova i naturali termini di riferimento nei piani e nei programmi in vigore alla data di chiusura dell’esercizio. Quando tutti gli elementi del capitale di funzionamento e tutti i componenti di reddito vengono valutati su tale fondamento non è più necessario procedere ad artificiose rettifiche in relazione alle passate variazioni del potere di acquisto della moneta.

La rettifica in discorso si rende opportuna nell’ipotesi in cui i piani e i programmi non si proiettino sufficientemente nel lungo andare; in tal caso torna conveniente stanziare adeguati fondi spese e rischi che coprano l’imponderabile futuro non contemplato dai piani stessi.

Lo stanziamento in parola è previsto anche in rapporto alle valutazioni basate sui piani e programmi in corso di attuazione alla data di chiusura dell’esercizio. In effetti, è necessario stanziare adeguati fondi spese future e fondi rischi, specifici e generici, in relazione alla possibilità che le ipotesi assunte a fondamento dei piani si dimostrino più o meno attendibili.

La funzione dei fondi alle spese presunte future è quella di sollevare la gestione futura di componenti negativi di reddito che possono pregiudicare la sopravvivenza dell’impresa nel tempo. I fondi in questione attuano, quindi, una sorta di ammortamento anticipato di componenti negativi di reddito di manifestazione futura e presunta nel loro ammontare. La funzione dei fondi in questione

287 C. MASINI (1957: 88).

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non può essere quella di trasferire la spesa a terze economie, ma quella di tendere a trasformarla in una spesa fissa, costante, prevista e calcolata in anticipo attraverso la ripartita imputazione nel tempo degli oneri di incerta manifestazione futura e presunti nel loro ammontare.

I fondi rischi vengono, invece, originati dall’incertezza di non pochi valori stimati che concorrono alla formazione del bilancio di funzionamento. I fondi in questione hanno ragione di esistere come strumenti atti ad attenuare le conseguenze negative connesse con i rischi aziendali che si formano in relazione alle operazioni in corso all’epoca di formazione del bilancio di esercizio. Tali rischi si manifestano come scostamenti tra i valori inseriti nei piani e quelli che si verificheranno effettivamente288.

I fondi rischi sogliono anzitutto riguardare rischi specifici relativi a determinate operazioni o a determinati impieghi in corso alla epoca del bilancio: rischi i cui presumibili oneri si reputano imputabili, per intero o in parte, ai risultati dei trascorsi esercizi, in quanto i ricavi direttamente riferibili alle considerate operazioni, concorrono o si ritiene partecipino, nella loro totalità o parzialmente, a formare i suddetti risult ati289.

Accanto a questo tipo di fondi rischi, connesso alla valutazione di determinate operazioni considerate singolarmente, ve n’è un altro tipo che deriva dall’indagine delle operazioni in corso, osservate nel loro complesso.

La solidarietà fra i successivi esercizi, costituenti la vita dell’impresa, si manifesta solitamente in relazione ai costi comuni ad una lunga serie di esercizi; tali costi sono correlati indirettamente ai ricavi dei futuri esercizi.

Data l’estrema difficoltà di prevedere esattamente le cond izioni di vita dell’impresa nel futuro lontano è indispensabile procedere anche in questo caso alla costituzione di adeguati fondi rischi. Ma la necessità o la convenienza di costituire adeguati fondi rischi si manifesta ancora qualora la vita dell’impresa venga proiettata fuori dal ristretto ambito dei singoli esercizi. Rimane fermo comunque che la costituzione di tutti i tipi di fondi rischi esaminati mira alla conservazione della capacità di sopravvivenza dell’impresa nel tempo.

Si osservi ancora come non di rado le ipotesi su cui si fondano i piani vengano mutate in relazione ai cambiamenti delle circostanze di impresa e di ambiente vincolanti lo svolgimento della futura gestione aziendale. In tali casi, le operazioni in corso di svolgimento riceveranno una nuova valutazione coerentemente alle mutate modalità di attuazione della gestione futura.

I principi ed i criteri di Bilancio coerenti con la configurazione di reddito prelevabile o apportabile presentano quindi una estrema adattabilità alle prospettive economico-finanziarie esistenti al momento della redazione del Bilancio. In tal modo, il dinamismo della situazione economico-finanziaria dell’impresa si riflette automaticamente sulla valutazione delle operazioni in corso di attuazione in quanto queste ultime si adeguano alle mutate prospettive economico-finanziarie dell’impresa.

In conclusione, a parere di chi scrive, i principi che presiedono alla valutazione del capitale di funzionamento consentono di ottenere, di esercizio in esercizio, una configurazione di capitale di funzionamento coerente con la funzione di determinare il reddito di esercizio e di predisporre le basi per la determinazione dei redditi degli esercizi a venire nonché di interpretare la gestione futura dell’impresa. L’integrale applicazione dei principi e dei criteri di valutazione richiamati conduce, infatti, al conseguimento simultaneo sia dell’obiettivo della determinazione del reddito di esercizio sia di quello di una adeguata struttura del capitale di funzionamento.

In definitiva, le considerazioni fin qui svolte portano alla conclusione che per ovviare agli inconvenienti prodotti dalle perturbazioni economiche o monetarie è necessario stanziare in sede di determinazione del reddito adeguati fondi spese presunte e congrui fondi rischi. Per conseguenza, non sembra necessario in sede di determinazione del reddito ricorrere alla costituzione di appositi

288 Osserva il GIANNESSI che i rischi aziendali “si formano in conseguenza delle operazioni a cui dà luogo l’azienda per conseguire le proprie finalità e si manifestano con uno scostamento tra le ipotesi fatte e gli andamenti reali, tra le aspettative che possono avere mosso un’azienda ad agire e i risultati ottenuti” (E. GIANNESSI, 1960: 275). 289 P. ONIDA (1939: 239).

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fondi di riserva in quanto l’integrale applicazione di principi di bilancio richiamati in precedenza conduce alla determinazione di valori che già tengono nel dovuto conto gli effetti causati dalle perturbazioni economiche o monetarie. D’altra parte, la natura dei vari fondi rivalutazione costituiti in sede di determinazione del reddito di esercizio, con contropartita il conto economico, non è forse quella di fondi rischi o di fondi alle spese presunte future?

Di questi ultimi, infatti, hanno per lo più la stessa origine e anche lo stesso scopo, ma sono spesso calcolati sul fondamento di condizioni esterne all’impresa superate, come lo possono essere le avvenute variazioni del valore economico della moneta di conto. È, invece, necessario proiettarsi nel futuro poiché solo in tal modo si garantisce l’integrale attuazione dei piani e dei programmi che mirano a salvaguardare la sopravvivenza dell’istituto economico aziendale nel tempo.

6. – OSSERVAZIONI CRITICHE AL “QUADRO SISTEMATICO (FRAMEWORK) DELLO IASB”

Durante la stesura della parte finale del contributo, è parso opportuno riportare integralmente e testualmente una riflessione dello Zappa - considerato il fondatore dell’economia aziendale italiana - che ben si adatta a costituire la premessa per affrontare la problematica sottesa alla rete concettuale di riferimento del Quadro sistematico (Framework) dello IASB; tale riflessione si trova già nella originaria pubblicazione sulla determinazione del reddito nelle imprese del 1920 ed è ripresa “nelle successive puntate” nonché edizioni e ristampe del Il reddito di impresa290.

“È appunto trattando di una questione connessa con la determinazione del reddito, che uno scrittore, degli americani tra i più reputati, poté asserire che nel caso considerato «...common sense is a better accounting principle than any rule or formula... Unusual conditions may at any time lead to a departure from general principles». L’intera contabilità non sarebbe infatti altro «but sublimated common sense applied to finding and telling the truth about business»”. Ma non solo in America è diffusa la credenza di poter risolvere alla lesta ogni difficoltà contabile, senza preparazione dottrinale, col solo sussidio del buon senso. Anche da noi è frequente l’aspirazione degli empirici «al buon senso, alla verità che ciascuno può trovare immediatamente in se stesso, senza gli stenti, e le sottigliezze e le esagerazioni» degli studiosi. Se non che, diremo noi pure accogliendo ancora altre parole di Benedetto Croce «il sospiro è sterile». Noi, si intende, non osiamo punto affermare che quanto inconsapevolmente l’empirico compie sia irrazionale; diciamo solo che non sempre la conoscenza intuitiva può sostituire, anche per il «pratico», la conoscenza logica; diciamo che difficilmente l’azione può utilmente condurre ad uno scopo definito, quando ignoti ne siano i motivi. Al senso comune spesso si fa ricorso non per altro che perché esso consente all’empirico di adagiarsi nella comoda superficialità delle più semplici osservazioni: esso ignora la varietà dei fatti e la loro interconnessione, li isola, e spinge ciecamente gli individui ad un’azione pronta ma disordinata. E questo non possono volere nemmeno coloro che, non illuminati dalla coscienza della propria ignoranza, hanno in semplicistico dispregio i «teorici» e le loro «dottrine»”291.

Alla luce della riflessione poc’anzi esposta, nonché dell’analisi effettuata in precedenza, non si può non rilevare come i concetti riportati nel “Quadro sistematico (Framework) per la preparazione e la presentazione del bilancio” dello IASB, approvato dal Board nell’aprile 1989, pubblicato nel luglio del 1989, a cui fa riferimento l’ultima edizione dei principi contabili internazionali, con particolare riferimento ai paragrafi dedicati ai “Concetti di capitale e di conservazione del capitale”, destino forti dubbi e perplessità in merito alla loro razionalità e coerenza.

L’ampia libertà di scelta prevista dal paragrafo 110, in merito ai criteri valutativi ed al concetto di conservazione del capit ale, non consente di individuare, né di interpretare, correttamente la

290 G. ZAPPA (1920: 221). 291 G. ZAPPA (1937: 322; 1950: 273-274). All’interno della Sua notazione il Maestro citava un passo del contributo di W. M. COLE (1915: 307), nonché un’illuminante espressione di B. CROCE (1913: 13).

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nozione di reddito di esercizio e del connesso capitale di funzionamento assunti come base concettuale di riferimento per la formulazione e l’applicazione dei criteri di valutazione adottati dagli IAS/IFRS.

È appena il caso di sottolineare la grave carenza che ne deriva sotto il profilo logico, in quanto, preliminarmente si deve configurare in modo preciso la nozione di reddito che si vuole determinare, e solo in seguito è possibile enucleare i principi a cui seguono i criteri di valutazione da applicare ai singoli casi concreti; vano è discutere sui criteri quando non vi sono ben saldi principi, e altrettanto vano è discutere sui principi quando non è chiaro quello che si vuole determinare.

I concetti di capitale indicati al paragrafo 102 del Framework sono sostanzialmente due; al riguardo si legge, infatti, che “la maggior parte delle imprese, nella preparazione dei bilanci, adotta il concetto finanziario di capitale. Secondo il concetto finanziario di capitale, inteso come il denaro investito o il potere d’acquisto investito, capitale è sinonimo di attivo netto o di patrimonio netto dell’impresa. Invece, secondo il concetto fisico di capitale, inteso come capacità operativa dell’impresa, il capitale è concepito come capacità produttiva dell’impresa, basata, per esempio, sulle unità prodotte giornaliere”.

Lo stesso Framework, al paragrafo 103, precisa che “la scelta del concetto appropriato di capitale da parte di un’impresa deve essere basata sulle esigenze informative degli utilizzatori del bilancio. Perciò, si dovrà adottare il concetto finanziario di capitale se gli utilizzatori del bilancio sono principalmente interessati alla conservazione del capitale nominale investito o al potere di acquisto del capitale. Se, peraltro, il principale problema degli utilizzatori riguarda la capacità operativa dell’impresa, deve essere usato il concetto fisico di capitale. La scelta del concetto determina l’obiettivo da raggiungere nella determinazione dell’utile, anche se vi possono essere difficoltà valutative nel rendere operante il concetto”.

I concetti di conservazione del capitale e di determinazione dell’utile, a cui fa riferimento il Framework al paragrafo 104, punto (a) “conservazione del capitale finanziario”, precisano che “secondo questo concetto è stato conseguito un utile solo se l’importo finanziario o monetario dell’attivo netto alla chiusura dell’esercizio è superiore all’importo finanziario o monetario dell’attivo netto all’inizio dell’esercizio, dopo aver escluso qualsiasi distribuzione ai soci e contributo da parte di questi avvenuto nel periodo. La conservazione del capitale finanziario può essere misurata in unità monetarie nominali o in unità aventi costanza di potere d’acquisto”.

Da quanto sopra si evince che esistono almeno due concetti di conservazione del capitale finanziario: uno nominale e l’altro reale, quest’ultimo collegato alla costanza del potere d’acquisto della moneta.

Al punto (b) “conservazione del capitale fisico”, si definisce un’ulteriore concetto di integrità del capitale: “secondo questo concetto è stato conseguito un utile solo se la capacità produttiva fisica (o operativa) dell’impresa (o le risorse o i fondi necessari per ottenere tale capacità) alla chiusura dell’esercizio è superiore alla capacità produttiva fisica all’inizio dell’esercizio, dopo aver escluso qualsiasi distribuzione ai soci e contributo da parte di essi avvenuto nel periodo”.

Il paragrafo 105 si sofferma a sottolineare l’importanza di tali concetti; si legge, infatti: “il concetto di conservazione del capitale riguarda come un’impresa definisce il capitale che intende conservare. Esso fornisce il collegamento tra i concetti di capitale e i concetti di utile, poiché fornisce il punto di riferimento da cui ha inizio la quantificazione dell’utile; è un requisito preliminare per la distinzione tra remunerazione del capitale investito e rientro del capitale; solo i flussi in entrata di attività che superano gli importi necessari per conservare il capitale possono essere considerati come utili e, di conseguenza, come remunerazione sul capitale. Perciò, l’utile è il valore residuo che resta dopo che sono stati dedotti dai ricavi i costi (incluse le rettifiche per la conservazione del capitale, laddove appropriate). Se i costi superano i ricavi, il valore risultante costituisce una perdita netta”.

Al paragrafo 106 si osserva che “il concetto di conservazione del capitale fisico richiede l’adozione del costo corrente come criterio valutativo. Il concetto di conservazione del capitale finanziario, peraltro, non richiede l’uso di uno specifico criterio valutativo. La scelta del criterio

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secondo questo concetto dipende da quale tipo di capitale finanziario l’impresa intende conservare”. Tuttavia, il paragrafo 105 sottolinea che “la principale differenza tra i due concetti di conservazione del capitale sopra descritti consta nel trattamento degli effetti dei cambiamenti dei prezzi delle attività e passività di un’impresa. In termini generali, un’impresa ha conservato il proprio capitale se, alla fine dell’esercizio, l’entità di capitale posseduta è pari a quella di inizio esercizio. Qualsiasi importo eccedente quello richiesto per conservare il capitale all’inizio dell’esercizio costituisce un utile”.

Il paragrafo 108 puntualizza che “secondo il concetto di conservazione del capitale finanziario nel caso in cui il capitale è definito in termini di unità monetarie nominali, l’utile rappresenta l’incremento del capitale monetario nominale avvenuto nel periodo. Quindi, incrementi dei prezzi delle attività verificatisi nel corso del periodo, cui convenzionalmente si fa riferimento con il termine di plusvalenze non realizzate, sono, concettualmente, degli utili. Essi possono tuttavia non essere rilevati come tali, sino a che le attività non sono alienate in operazioni di scambio. Nel caso in cui il concetto di conservazione del capitale finanziario è definito in termini di unità costanti di potere di acquisto, l’utile è rappresentato dall’incremento nel potere di acquisto investito nel corso del periodo. Quindi, solo la parte dell’incremento nei prezzi delle attività che eccede l’incremento del livello generale dei prezzi è considerato un utile. La restante parte dell’incremento è trattata come una rettifica della conservazione del capitale e, quindi, come parte del patrimonio”.

Il paragrafo 109, invece, sottolinea che “secondo il concetto di conservazione del capitale fisico, quando il capitale è definito in termini di capacità fisica produttiva, l’utile rappresenta l’incremento di tale capitale nel corso del periodo. Tutti i cambiamenti di prezzo riguardanti le attività e le passività dell’impresa sono visti come cambiamenti nella misurazione della capacità fisica produttiva dell’impresa; quindi, essi sono trattati come rettifiche per la conservazione del capitale che sono parte del patrimonio e non come utili”.

Infine, il paragrafo 110 conclude osservando che “la scelta dei criteri valutativi e del concetto di conservazione del capitale determinerà il modello contabile utilizzato nella preparazione del bilancio. I diversi modelli contabili mostrano diversi gradi di significatività e di attendibilità e, come in altre aree, la direzione aziendale deve ricercare un equilibrio tra significatività e attendibilità. Il presente quadro sistematico è applicabile a una serie di modelli contabili e fornisce un orientamento per la preparazione e per la presentazione del bilancio articolato secondo il modello scelto”.

Curiosamente, il paragrafo 110 si conclude testualmente con la seguente affermazione: “Al momento attuale, non è intenzione del Board dello IASC definire un particolare modello, se non in circostanze eccezionali, come nel caso di imprese che presentano bilanci nella valuta di un’economia iperinflazionata. Tale intendimento sarà, comunque, rivisto alla luce degli sviluppi internazionali”. Come si può notare, la dichiarazione di cui sopra lascia ampia libertà di manovra ai redattori del Bilancio, non prendendo alcuna posizione in merito alla configurazione di reddito di esercizio ed alla sua imprescindibile correlazione con un preciso e definito concetto di conservazione dell’integrità economica del capitale nel tempo.

Infine, non si può non rilevare come, alla luce dei contributi della dottrina economico-aziendale italiana ed internazionale citata nei paragrafi precedenti, dubbi e perplessità risultano di tutta evidenza; in effetti, si noti come il paragrafo 81 del Framework, denominato “rettifiche per la conservazione del capitale” preveda: “la rivalutazione o la riscrittura di attività e passività dà luogo ad incrementi o decrementi nel patrimonio netto. Benché tali incrementi o decrementi soddisfino la definizione di ricavo o costo, essi non sono inclusi nel conto economico in base ad alcuni concetti propri della conservazione del capitale. Tali elementi sono invece inclusi nel patrimonio netto come rettifiche per la conservazione del capitale o riserve di rivalutazione. Tali concetti di conservazione del capitale sono discussi nei paragrafi compresi tra 102 e 110 del presente Quadro sistematico".

I dubbi e le perplessità si riferiscono all’indicazione di non far transitare nel Conto economico le “rettifiche” (ma anche le integrazioni) per la conservazione dell’integrità economica del capitale;

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tali rettifiche ed integrazioni vengono infatti direttamente imputate a “patrimonio netto”; in tal modo non si può non rilevare mancanza di coordinamento nonché trasparenza tra Stato patrimoniale e Conto economico.

A conclusione, non si può fare a meno di ribadire, ancora una volta, la totale assenza di un substrato logico sistematico in relazione alla natura dei valori considerati e la presenza di numerose tautologie, espresse attraverso enunciazioni vaghe e generiche - talvolta addirittura lapalissiane - che lasciano del tutto irrisolto il problema della individuazione della base concettuale alla quale fare riferimento nella concreta applicazione dei criteri valutativi elencati nel Regolamento (CE) n° 1725 del 2003 della Commissione del 29 settembre 2003 che adotta taluni principi contabili internazionali conformemente al Regolamento (CE) n° 1606 del 2002 del Parlamento europeo e del Consiglio (Testo rilevante ai fini dello SEE), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 13 ottobre 2003.

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OSSERVAZIONI CRITICHE E

PROPOSTE DI MIGLIORAMENTO DEL FRAMEWORK DELLO IASB

Come indicato nel paragrafo di premessa al presente documento, ne i precedenti capitoli abbiamo cercato di esaminare le principali parti che costituiscono il Framework dello IASB. L’impostazione seguita ha inteso mettere a confronto la ricca e solida tradizione di studi economico – aziendali del nostro Paese rispetto alle soluzioni definite all’interno del quadro concettuale voluto dallo IASB nel 1989.

Proprio il riferimento all’anno nel quale è stato emanato tale quadro concettuale può contribuire a rendere evidente l’esigenza del superamento e dell’aggiornamento delle disposizioni in esso contenute, dato che esse sono, in positivo ed in negativo, il risultato di una visione sulla struttura del Bilancio progettato nella seconda metà degli anni ottanta, ovvero alcuni anni prima rispetto all’avvio dei progetti strategici dell’Unione Europea e della IOSCO.

Occorre, peraltro, ricordare alcuni aspetti di indubbio valore a sostegno della scelta compiuta dall’allora IASC nella seconda metà degli anni ottanta.

In primo luogo, proprio con riferimento alla redazione ed approvazione di un quadro concettuale si è operata una apertura significativa rispetto all’idea secondo cui le specifiche soluzioni contabili abbisognassero di una visione unitaria ed organica. Tale fatto costituisce il tentativo, purtroppo non ancora riuscito, di mediare l’impostazione voluta da un impianto di tipo induttivo da raccordare ad una visione generale di tipo deduttivo. Con la scelta di ricorrere alla definizione del proprio quadro concettuale lo IASC intendeva favorire la generale accettazione degli IAS proprio in quei contesti che per cultura contabile presupponevano l’esistenza di una visione “teorica” sul Bilancio da cui fare discendere tutte le soluzioni specifiche secondo una visione organica, unica e coerente. Il ricorso al Framework, più che nella precedente esperienza statunitense operata dal FASB, assumeva nel caso dello IASC una prospettiva strategica rispetto alla quale si auspicava il superamento dei limiti critici rivolti a quello standards setter internazionale.

Un secondo fattore degno di nota riguarda la visione generale che ha da sempre ed in numerose manifestazioni accompagnato l’attività dello IASB. Nel Framework del 1989 viene ampiamente ribadita l’esigenza di definire un sistema di regole che consenta la migliore comunicazione economico – finanziaria delle aziende a livello internazionale, intendendo con ciò andare necessariamente, oltre le peculiarità che caratterizzano un determinato contesto nazionale siano esse di tipo macroeconomico, microeconomico, normativo, etc. Nella prospettiva dello IASB il Bilancio è strumento di comunicazione sovra nazionale predisposto per soddisfare i fabbisogni conoscitivi di una sterminata platea di decisori, ovvero di soggetti ed istituzioni effettivamente o potenzialmente interessati ad una determinata azienda. La sostanza di tale impostazione si rivolge alla rilevanza della comunicazione e, pertanto, non distingue rispetto al tipo di documento che deve veicolarla (Bilancio di esercizio o Bilancio consolidato), né tanto meno si preoccupa delle differenti tipologie

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aziendali e delle ricorrenti classificazioni (aziende private o pubbliche, ovvero aziende manifatturiere, bancarie, assicurative, etc.).

Un terzo elemento che occorre menzionare a favore del quadro concettuale approvato nel 1989 dallo IASB risiede nella scelta, molto in anticipo sui tempi (e peraltro tuttora moderna), di individuare una struttura di Bilancio nella quale il rendiconto finanziario costituisce imprescindibile componente, unitamente al prospetto delle variazioni del Patrimonio netto. Il rilievo posto sull’esigenza di apprezzare i flussi finanziari che hanno interessato un determinato aggregato patrimoniale nell’ultimo periodo amministrativo deve trovare adeguata rappresentazione in un apposito prospetto di Bilancio, che si accompagna allo Stato patrimoniale, al Conto economico ed agli allegati esplicativi (ovvero la nostra Nota integrativa).

Nella impostazione emergente dal Framework appare evidente la prevalenza della logica economica rispetto a quella giuridica. Gli standards sono il prodotto delle esperienze e delle conoscenze degli esperti della contabilità ed in tale prospettiva la “lettura” dei fatti aziendali e, quindi, la loro, rilevazione in contabilità, valutazione e rappresentazione in Bilancio non può che discendere da tale impostazione. Numerose esemplificazioni menzionate nel Framework ed ancor più numerose soluzioni adottate nei differenti standards contabili costituiscono la chiara applicazione di un know-how basato sulla conoscenza della realtà economica delle aziende. Le regole emanate dai professionisti della contabilità seguono questa logica che troppo spesso abbiamo faticato a ritrovare nelle norme di legge prodotte dai giuristi in materia di Bilancio (molte volte lontani dal ricevere qualsiasi influenza derivante dalla solida tradizione di studi economico – aziendali).

Nel quadro concettuale dello IASB si ricorre ad un interessante tentativo di definizione delle principali grandezze di Bilancio, ovvero a quelle di Attività, Passività, Patrimonio netto, Ricavi e Costi. Tale sforzo definitorio, giova ricordarlo, non trova riscontro in alcuna fonte normativa.

Si noti infine come dalla concreta applicazione di quanto indicato nel Framework derivi una serie, quanto mai puntuale, di casi che non sono previsti sia dalle norme di legge sia dai principi contabili nazionali.

Se le precedenti considerazioni consentono di segnalare l’indubbio interesse che il Framework dello IASB suscita, occorre tuttavia richiamare quanto, ad un attento esame, può costituire oggetto di un necessario ed a nostro parere irrinunciabile aggiornamento, proprio a cominciare dal ruolo effettivo che deve essere assegnato ad un quadro concettuale. Dai differenti contributi che hanno caratterizzato il presente documento emergono una serie di riflessioni che, pur accogliendo gli elementi di interesse contenuti nel quadro concettuale, ne intendono auspicare e sollecitare una profonda revisione.

Il bisogno di aggiornamento del Framework è stato peraltro assunto come improrogabile dallo stesso IASB. Proprio nel corso del 2004 è stato avviato il processo di revisione di tale documento nell’ambito del progetto di conformità definito con il Financial Accounting Standards Board (FASB). Proprio tale situazione deve fare riflettere, dato che la revisione del quadro concettuale può costituire un’occasione che non può essere lasciata al rapporto tra lo IASB ed lo standards setter statunitense292.

Lo schema partecipativo che costantemente pervade l’attività del Board costituisce l’occasione per intervenire sulla definizione del nuovo e rinnovato contenuto del Framework. In questo senso si apre uno spazio significativo affinché anche da parte della tradizione economico – aziendale italiana possa pervenire un fattivo contributo al miglioramento del contenuto del quadro concettuale dello IASB definito nel lontano 1989.

292 In tal senso, si faccia riferimento al paper “Revisiting the concepts” di H. G. BULLEN, K. CROOK, (FASB , maggio 2005) ed ancora al documento sullo stato di avanzamento del progetto sul Conceptual Framework (IASB, maggio 2005). In entrambi i casi si ricorra al sito www.iasb.org.

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La prima di tali sollecitazioni e critiche risiede proprio nella fiducia e nel ruolo che deve essere attribuito al quadro concettuale. Fino a quando esso non assume una posizione gerarchicamente sovra ordinata a tutti gli standards di volta in volta emanati dallo IASB non potremo realmente affermare che esso assolva alla sua effettiva funzione che consiste nel dare unità e coerenza ad un insieme di regole altrimenti caratterizzate da lacune e contraddizioni sia tra i singoli standards emanati sia con riferimento al modificarsi nel corso del tempo. Fino a quanto al quadro concettuale non viene data l’opportunità di imporre una solida ed invalicabile linea di coerenza esso non può costituire lo strumento per migliorare la qualità dell’intero corpus di standards contabili emanati dallo IASB, rendendoli più facilmente accettabili in contesti contabili diversi rispetto a quello anglosassone. Questo limite prescinde, peraltro, dal contenuto che è stato dato e si darà al Framework, ovvero dall’idea di Bilancio che si intende proporre come base concettuale di riferimento293.

Si consideri, inoltre, come l’iniziale emanazione del Framework nel 1989 si inseriva nell’ambito del più vasto progetto finalizzato al miglioramento della comparabilità dei Bilanci a livello internazionale. Nello stesso quadro concettuale si ritiene che una delle qualità primarie che deve avere l’informazione di Bilancio debba risiede nella sua comparabilità quanto meno rispetto al tempo. A fronte di tale situazione pone più di un dubbio la scelta di non riservare alcuna attenzione alla definizione di prospetti di Stato patrimoniale, di Conto economico o di rendiconto finanziario, quasi che la logica della comparazione debba essere declinata solo in senso sostanziale e non anche formale. A questo si aggiunta l’estrema complessità che generano, in termini di comparabilità, gli ampi spazi di discrezionalità lasciati ai redattori dei Bilanci nella scelta di metodi di valutazioni basati sulla logica del costo piuttosto che su quella del fair value. In questo senso, appare difficile conciliare, quanto meno all’interno dello scenario europeo, l’impostazione che pone l’accento solo sulla comparabilità di tipo sostanziale rispetto alla tradizionale attenzione posta nella definizione ed utilizzazione di prospetti e/o schemi regolati da specifiche e puntigliose norme (Direttive europee e relative Leggi nazionali di recepimento). Rinunciare alla comparabilità formale significa comunque attenuare una opportunità di confronto che ha da molto tempo caratterizzato i modelli di regolazione nazionali e da oltre quindici anni il modello seguito dall’Unione Europea.

Se, da un lato, può essere considerata positivamente la scelta di definire un quadro valido per una qualsivoglia tipologia di azienda, dall’altro appare estremamente difficile ritenere che essa sia validamente estendibile oltre il limite delle aziende di grandi dimensioni operanti sui principali mercati dei capitali. In altri termini, appare scarsamente percorribile l’estensione degli standards contabili internazionali al mondo delle Piccole e Medie Imprese (PMI), seppur limitato a quelle che si caratterizzano per una situazione di public accountability. Non è solo un problema di eccessiva complessità delle disposizioni previste dagli standards contabili e, quindi, di prevalenza dei relativi costi sui benefici, quanto piuttosto di una concezione del Bilancio difficilmente applicabile al mondo delle PMI.

La precedente riflessione critica consente di aprire il vasto capitolo delle osservazioni che riguardano il contenuto del Framework, ovvero quanto viene disposto in merito alle finalità ed ai destinatari del Bilancio, alle definizione delle principale grandezze di Bilancio, alle logiche ed ai metodi di valutazione.

Il riferimento al punto di vista degli investitori ed il conseguente obiettivo di fornire informazioni utili per l’assunzione di decisioni economiche per stimare la capacità dell’impresa di generare disponibilità liquide e mezzi equivalenti costituisce una richiesta che appare coerente per aziende di grandi dimensioni ed orientate alla sollecitazione del pubblico risparmio. Essa non sembra corrispondere ai bisogni informativi che caratterizzano l’operare di aziende di medio – piccola dimensione e non presenti sul mercato dei capitali.

293 Analoghe considerazioni critiche sono state proposte in J. L. CEA GARCÍA (2005: 233-235).

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Ed inoltre, non necessariamente l’enfasi sull’esistenza di disponibilità liquide distribuibili appare elemento conoscitivo da privilegiare, soprattutto con riferimento a tutta una solida e ricca tradizione di studi che riguarda il nostro Paese. In questo senso prevale l’interesse conoscitivo per la complessiva capacità di ciascuna azienda di generare valore, ovvero reddito, piuttosto che accentuare la parte che di esso si tradurrà in disponibilità liquide da distribuire agli investitori294.

Se, da un lato, la logica della distribuibilità del reddito induce ad aumentare l’informazione verso l’esterno e verso la sua immediata utilizzazione, dall’altro, appare evidente come essa influenzi il significato ed il valore che assumono le principali grandezze di Bilancio. Il Framework contiene una visione teorica basata sull’analisi del rischio dell’investitore, ovvero sulla capacità dell’Attivo patrimoniale di fare fronte al Passivo, e del conseguente problema della sua valutazione. Le oscillazioni di valore dei Debiti possono, in tal senso, fare emergere spazi di discrezionalità significativi.

Come già rilevato le definizioni dei Attività, Passività, Patrimonio netto, Ricavi e Costi costituiscono un utile tentativo per consentire l’identificazione e la classificazione delle differenti voci di Bilancio. Tale tentativo appare, tuttavia, migliorabile e comunque non completo. In particolare non è affatto chiara o sufficientemente approfondita definizione di Patrimonio netto e la sua distinzione rispetto alle Passività.

E peraltro, la necessità – o semmai la possibilità – di iscrivere in Bilancio una Passività più o meno “probabile” ricorda una questione largamente trattata dalla dottrina italiana nella seconda metà del secolo passato, nota sotto il titolo di “politiche di bilancio”, ovverosia la prassi, allora assai diffusa, di stimare il risultato economico d’esercizio, anche alla luce della possibile stabilizzazione degli utili nel tempo. Attualmente una simile prassi viene generalmente criticata, in ossequio ad una visione “deterministica” del Bilancio d’esercizio, caparbiamente perseguita dai giuristi. Non così si pensava alcuni decenni or sono: ai nostri più grandi e venerati Maestri non sembrava blasfemo ipotizzare che “una politica di ammortamenti elastici nel senso ora adombrato, mentre limita il rischio di effettuare indebite e dannose distribuzioni di utili (rischio sempre connesso alle previsioni ed alle congetture inerenti a qualunque processo di ammortamento delle immobilizzazioni tecniche) favorisce la stabilizzazione dei dividendi”, tanto più che “al conguaglio dei redditi di bilancio ed alla stabilizzazione dei dividendi tendono anche, non di rado, i fondi di vario titolo (fondo svalutazione crediti, fondo manutenzioni i riparazioni, fondo oscillazione prezzi, fondo rischi diversi, ecc.)…”295. L’inevitabile soggettività e convenzionalità delle valutazioni di Bilancio fanno riconoscere come “sfumati” i confini tra “fondi-passività” e “fondi di riserva”, talché risulta altrettanto sfumato il confine tra Patrimonio netto e vere e proprie Passività296.

Il tema della definizione delle principali grandezze di Bilancio offre lo spunto per apprezzare come nel Framework sia presente un’impostazione patrimonialista. Tale visione appare confermata, innanzitutto dal rilievo posto sulla nozione di Attività e di Passività, unitamente alla determinazione derivata del Patrimonio netto297.

In secondo luogo, dalla definizione proposta dei concetti di Costo e di Ricavo. Nell’esaminare i componenti positivi e negativi di reddito, occorre tener presente che gli IAS/IFRS rispondono

294 In tal senso J. L. CEA GARCÍA (2005: 242) precisa che: “Aunque no hay una definición explicíta, clara y de síntesis, de lo que debe ser el resultado contabile periódico según el MC.IASB ... Esta carencia debe ser superada por nuestra futura regulación contable donde, dentro de su declaración de MC en el aparado relativo a frandes conceptos, magnitudes o EF básicos, debería incluirse una definición expresa del concepto de resultado contable periódico de una empresa ...”. 295 P. ONIDA (1965: 610 e 613). 296 Le riflessioni dell’intero capoverso sono state proposte da Gianfranco Capodaglio. Sulle politiche di Bilancio e per una approfondita rassegna bibliografica su tale tema rinviamo a P. DI TORO , G. IANNIELLO (1996). 297 Il riferimento all’impostazione del sistema di rilevazione patrimoniale presente nel Framework e nelle soluzioni proposte dagli standards contabili internazionali si pone come una chiara diversità rispetto alla nostra tradizione contabile. Nello stesso occorre comunque ricordare come proprio l’impostazione del sistema patrimoniale risulti ampiamente diffusa nel mondo e non necessariamente nei Paesi di matrice anglosassone. Su questo tema rinviamo anche alle considerazioni proposte in P. DEMARTINI (2004: 79-89).

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rigidamente ad una logica patrimonialista, difficilmente conciliabile con la tradizione contabile italiana, che l’ha ormai superata ed abbandonata da molti decenni.

In tale ottica non deve sorprendere la difficoltà che gli standard trovano nel considerare i costi se non come diminuzioni di attività o aumenti di passività e viceversa per i ricavi. Né dobbiamo meravigliarci della mancanza del princ ipio di generale contrapposizione di ricavi e costi, a noi cara, e della conseguente ricerca di risultati parziali (ricavi e costi riferiti a singoli elementi) 298.

Una ulteriore osservazione critica sul contenuto del Framework deve essere posta con riferimento ad un’evidente lacuna dello stesso, dato che mancano i riferimenti ai principi di redazione che devono essere seguiti per l’effettuazione delle rettifiche sugli elementi patrimoniali.

Numerose considerazioni sono state proposte sulla nozione, tanto temuta, di fair value. In questa sede occorre ricordare come essa costituisce un principio guida generico che non deve essere assimilato ad un criterio specifico di valutazione 299.

Se nel Framework non è rintracciabile la tante volte richiamata dicotomia tra principio del costo storico e fair value, occorre tuttavia notare come proprio la genericità delle espressioni adottate in tale documento abbiano finito per assimilare quel concetto all’idea di fair market value.

La mancanza di limiti espliciti con i quali si possono recepire i maggiori valori può condurre a valutazioni di fine esercizio che risultano incompatibili rispetto ai principi generali di redazione del Bilancio. Possono così manifestarsi situazioni in cui vengono recepiti valori di mercato superiori rispetto a quelli d’uso, ovvero valori d’uso maggiori di quelli di mercato. Tali situazioni di palese incongruenza possono riguardare la rilevazione al Conto economico di plusvalori che non solo non sono stati realizzati, ma che non risultano di competenza economica o che, addirittura, sono espressione dell’avviamento su beni propri.

Il tema della distribuibilità del reddito d’esercizio risulta logicamente legato a quello della conservazione del capitale. Nel Framework appare evidente la mancanza di un esplicito riferimento alla salvaguardia delle condizioni di equilibrio prospettico della gestione aziendale e della sua continuità nel tempo.

Di fatto non viene definito il concetto di integrità economica del capitale inteso quale necessario presupposto per potere garantire la distribuibilità del reddito. Dal testo del Framework si possono desumere le differenti nozioni di conservazione del capitale (nominale, reale e sostanziale), ma manca l’indicazione di una precisa posizione in merito riconducendo la scelta alla coerenza con le generiche esigenze informative degli utilizzatori del Bilancio.

Analoghi dubbi sono da ricondurre al tema delle metodologie di assestamento necessarie per garantire la conservazione dell’integrità del capitale dato che nel Framework non è stato affrontato a quale tra le numerose metodologie occorre o si possa correttamente fare riferimento.

Anche nel caso delle rettifiche e dell’integrazioni il tema viene enunciato (peraltro in modo poco chiaro) senza poi procedere ad un esame completo dello stesso e, soprattutto senza giungere alla individuazione di una specifica posizione da assumere come riferimento per i comportamenti contabili previsti dagli specifici standards contabili.

Sia nel caso della conservazione dell’integrità del capitale sia nel caso delle rettifiche e degli assestamenti si assiste alla mancata presa di posizione all’interno del Framework che si traduce in una ampia discrezionalità concessa ai redattori del Bilancio.

Appare quanto meno dubbia l’indicazione di imputare al patrimonio netto le rettifiche e le integrazioni piuttosto che imputarle al Conto economico. L’opacità che ne deriva è, peraltro, legata alla mancanza di coordinamento e di trasparenza che questa indicazione comporta rispetto alla necessaria relazione che deve sussistere tra Stato patrimoniale e Conto economico.

Ancora una volta e quasi come comune denominatore di tutte le questioni esaminate nel presente documento, emerge una situazione che nella migliore delle ipotesi potrebbe essere intesa come

298 Il capoverso è stato proposto da Gianfranco Capodaglio. 299 “No se aprecia en el MC.IASB una línea o modelo valorativo general claramente definido con una explicación solida de la lógica a que obedece” (J. L. CEA GARCÍA, 2005: 245).

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l’intenzione di lasciare ampi spazi di discrezionalità ai redattori dei Bilanci e che, a volere essere più corretti, non può che segnalare la scarsa sistematicità delle disposizioni, ovvero la loro ampia genericità e lacunosità.

Il valore del Framework ne esce ampiamente ridimensionato e, se si vuole, ciò risulta coerente con la scelta del 1989 di attribuire a quel documento il connotato di mero riferimento.

L’introduzione obbligatoria nello scenario europeo degli standards contabili internazionali richiederebbe, a nostro parere, l’attribuzione al Framework di un ruolo rilevante a patto che esso venga profondamente rivisto cercando di costruire una linea di organicità indubbiamente necessaria all’intero impianto delle norme emanate dallo IASB.

Se il Framework deve costituire utile strumento capace di definire il quadro generale delle regole che presiedono alla redazione del Bilancio di esercizio attraverso la specifica applicazione degli standards, allora occorre non solo l’esplicita indicazione della sua dichiarata rilevanza, ma anche la coerente, organica e razionale definizione del suo contenuto. A questo obiettivo crediamo debba indirizzarsi l’azione di revisione ed aggiornamento di tale documento. Nella logica partecipativa che caratterizza tutti i processi seguiti dallo IASB riteniamo che rispondano le riflessioni proposte nel presente documento frutto della solida e ricca tradizione di studi della dottrina economico – aziendale italiana.

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