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Joyce Carol Oates Acqua nera Traduzione di Maria Teresa Marenco

Acqua nera

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Joyce Carol Oates

Acqua nera

Traduzione di Maria Teresa Marenco

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© il Saggiatore S.p.A., Milano 2012 Prima edizione: il Saggiatore, Milano 2002 © The Ontario Review, Inc. Prima edizione americana, Dutton 1992 Titolo originale: Black Water

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L’OPERA – 4 luglio, metà anni ’90. Grayling Island, Mai-ne. Una Toyota nera corre a tutta velocità. È notte e gli alberi riducono la visibilità. Al volante un senatore degli Stati Uniti, uomo grande e rassicurante, guidatore ag-gressivo e alticcio, macina la strada con aria decisa: gli restano solo pochi minuti per raggiungere il traghetto che porterà lui e la giovane Elizabeth «Kelly» Kelleher, appena conosciuta nel corso di un esclusivissimo party, verso la terra ferma. Poi, una curva, gli pneumatici per-dono aderenza, l’auto impazzita esce di strada, sprofon-da nell’acqua nera dell’Indian River. L’uomo riemerge dalla palude e si salva. Ventisei anni, una laurea in Sto-ria americana, una ricerca sulla figura del Senatore, Kel-ly Kelleher perde la vita.

Da questo episodio di cronaca che sconvolse l’Ame-rica (l’uomo era Ted Kennedy, la ragazza la sua giova-ne segretaria), Joyce Carol Oates ha tratto un romanzo intenso, una storia che scorre nei minuti in cui Kelly, in-trappolata nell’auto, ripercorre per rapidi lampi le ore precedenti l’incidente e la sua intera esistenza. La co-scienza abbandona la ragazza, le immagini le affollano la mente mescolandosi e correggendo la sua imprecisa visione della realtà. Ricordi e riflessioni, impressioni e brani di dialogo si alternano in una serie di schegge sem-pre più confuse.

Attorno a questa cupa istantanea, reiterata senza pie-tà capitolo dopo capitolo, Joyce Carol Oates assembla un quadro brutale della tracotanza del potere e della po-litica. Acqua nera si rivela un’opera lucidissima, clau-

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strofobica e disturbante che concilia sperimentazione linguistica e critica politica e sociale in un terribile, per-fetto congegno narrativo.

L’AUTRICE – Joyce Carol Oates è una delle voci più impor-tanti della narrativa americana contemporanea.

Finalista al premio Pulitzer con Per cosa ho vissuto, usci-to per il Saggiatore, Oates ha vinto tra gli altri il Natio-nal Book Award, il Pen Faulkner Award e il Prix Femina Étranger.

Insegna all’Università di Princeton e fa parte inoltre della prestigiosa American Academy of Arts and Letters.

Tra i suoi libri più recenti tradotti in Italia: Le cascate (2009), L’età di mezzo (2009), La figlia dello straniero (2009),Tu non mi conosci (2009), Sorella, mio unico amore (2011), Uccel-lino del paradiso (2012), La ragazza tatuata (2012), pubblica-ti da Mondadori; Blonde (2007), Una brava ragazza (2010), Doppio nodo (2011), pubblicati da Bompiani. Per Marco Tropea Editore, Zombie (1996), Perché sono uomini (1998), Storie americane (2005) e la raccolta di racconti da lei cu-rata Figlie e madri (2003). Nelle edizioni tascabili Net sono usciti Acqua nera (2002) e Ragazze cattive (2004); per il Sag-giatore Tascabili La ballata di John Reddy Heart (2010) e Una famiglia americana (2010).

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alle Kelly…

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PARTE PRIMA

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I

La Toyota a noleggio, guidata con impaziente esube-ranza dal Senatore, filava lungo la strada sterrata sen-za nome, imboccando le curve con vertiginose sbandate strisciando sul terreno, poi, all’improvviso, uscì chissà come di strada per finire nell’impetuosa acqua nera do-ve, inclinata sul lato destro, affondò rapidamente.

Devo morire?… così?

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II

Era la sera del 4 luglio. In tutta Grayling Island, spe-cialmente lungo la costa settentrionale, fervevano ricevi-menti, e file di auto erano parcheggiate lungo le stradine sabbiose che portavano alle spiagge. Più tardi, con l’ad-densarsi della notte, vi sarebbero stati i fuochi di artifi-cio, alcuni elaborati e vistosi in scintillante Technicolor come la guerra televisiva nel Golfo Persico.

I due erano nella zona abbandonata e deserta dell’iso-la, molto probabilmente si erano perduti. Lei muoveva le labbra a vuoto, cercando il coraggio di articolare la parola perduti.

Le capitava la stessa cosa con il preservativo che te-neva in borsetta da chissà quando. Prima nella borset-ta di camoscio, e ora in quella estiva, di grazioso tessuto a fiori di Laura Ashley. In verità quell’oggetto era stato ospitato da un’altra borsa ancora, quella grande e visto-sa, di paglia con le rifiniture di cuoio rosso che era an-data in pezzi tanto l’aveva usata. Il preservativo era ben confezionato, aveva un casto odore farmaceutico, occu-pava poco posto. In tutti quei mesi lei non l’aveva nep-pure toccato, era rimasto lì in attesa di essere esibito, per suggerire a un eventuale «lui», a qualsiasi uomo, amico

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o collega o semisconosciuto, di usarlo o di prendere in considerazione l’idea di usarlo. Ci si prepara alle emer-genze, ma alla fine non si riesce ad aprir bocca, le paro-le vengono meno.

Erano da qualche parte nella zona paludosa di Gray-ling Island, nel Maine, a una ventina di minuti di tra-ghetto da Boothbay Harbor a nordovest. Avevano chiacchierato amichevolmente, e avevano riso insieme con disinvoltura, come vecchi e collaudati amici, e Kel-ly, furtivamente, stava cercando di tener ferma la mano del Senatore di modo che quanto restava della vodka tonic non debordasse dal bicchiere di plastica che lui reggeva mentre guidava, quando, all’improvviso, co-me una pellicola che durante la proiezione comincia a sussultare quasi scossa dal singhiozzo per poi slittare via, così all’improvviso da lasciarla sbalordita di fronte a tanta rapidità, la strada sparì da sotto la macchina e i due si trovarono a lottare per la vita affondando nell’ac-qua nera che s’infrangeva contro il parabrezza cercando di forzarlo, come se l’onirica palude circostante si fos-se ridestata alla vita e si stesse protendendo verso di lo-ro per divorarli.

Devo morire?… così?

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III

Buffy si era offesa o almeno glielo aveva dato a intende-re. Con Buffy, che era tutta scena, non si poteva mai sa-pere. Aveva detto a Kelly Kelleher: Sì, ma perché andare via adesso, non puoi aspettare ancora un po’? e Kelly Kelleher aveva risposto con un borbottio vago e imba-razzato, incapace di dire: Perché lui vuole che vada, in-siste.

Incapace di dire: Perché se non faccio quello che vuo-le non ci sarà un secondo appello. Lo sai.

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IV

Tutt’attorno il penetrante odore salmastro della palude, l’umido odore della decomposizione, della terra, dell’ac-qua nera. Il fresco odore pungente dell’Atlantico sembra-va lontano, lì, come i ricordi, portato nell’entroterra da lievi folate del vento dell’Est. Niente sciacquio di onde, lì. Solo insetti notturni. Il vento tra gli alberi soffocati dai rampicanti.

Afferrando la cintura di sicurezza Kelly Kelleher, che non era ubriaca, sorrise pensando: Che strano trovarsi qui e tuttavia non sapere dove sia qui.

Correvano per arrivare al pontile di Brockden in tem-po per il ferry delle 20.20. Erano circa le 20.15 quando la Toyota a noleggio, senza che nessuno la vedesse, precipi-tò nell’acqua – ruscello? torrente? fiume? – che né il Sena-tore né la sua passeggera Kelly Kelleher si aspettavano di trovare al culmine della curva.

Circa dieci metri più avanti, anch’esso nascosto alla vi-sta, c’era un ponticello di legno fatto di assi logore; ma nes-sun cartello annunciava la sua presenza, e men che meno la presenza della curva pericolosa che lo precedeva.

Non ora. Non così.Aveva ventisei anni e otto mesi, troppo giovane per

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morire e quindi troppo stupita, troppo incredula per ur-lare mentre la Toyota schizzava fuori strada e finiva sulla superficie dell’acqua seminvisibile e per un istante parve che potesse non affondare ma galleggiare; o che la traiet-toria del volo potesse portarla nonostante il suo peso oltre l’acqua, nell’intrico di arbusti e di alberelli e di rampicanti della sponda opposta.

In un posto del genere ci si sarebbe aspettati un’acqua bassa, un fossato e nulla più. Ci si sarebbe aspettati che il guardrail fosse più robusto. E non di ritrovarsi, così re-pentinamente così violentemente così disperatamente, in un’acqua nera e fangosa odorante di fogna.

Non così. No.Era stupefatta, era incredula, e forse anche il Senatore

provava la stessa cosa, visto che quel 4 luglio a Grayling Is-land nella casa dei genitori di Buffy St. John era stato festo-so e spensierato, pieno di risate e di conversazioni animate e di innocenti ed entusiasmanti speranze per il futuro (quel-lo prossimo e quello lontano – poiché indubbiamente l’uno determina l’altro) ed era quindi praticamente impossibile accettare che il tono della serata cambiasse così di colpo.

Diverse volte in vita sua Kelly Kelleher si era trova-ta coinvolta in eventi di carattere altrettanto repentino e sconcertante e ogni volta si era scoperta incapace di ur-lare e ogni volta, dal primo istante in cui aveva capito di aver perso il controllo degli eventi – il destino del suo cor-po sottratto al controllo del cervello – non aveva avuto la percezione coerente di quello che stava succedendo.

Perché in quei momenti il tempo subisce un’accele-razione. Con l’avvicinarsi del punto di impatto, il tempo procede alla velocità della luce.

Chiazze di amnesia che si allargano nel cervello come vernice bianca rovesciata.

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V

Mentre la Toyota urtava contro il guardrail che, ridotto a un colabrodo dalla ruggine, parve non opporre alcu-na resistenza, Kelly sentì l’esclamazione stupita del Se-natore: «Ehi!».

Poi come sorta dal nulla l’acqua li sommerse. Sul co-fano. Sul parabrezza incrinato. Mulinando in torbidi flut-ti come se fosse viva e furibonda.

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VI

Alla Brown University, dove si era laureata in letteratura e storia americana col massimo dei voti, Kelly Kelleher, per l’anagrafe Elizabeth Anne Kelleher, nel quarto anno aveva scritto una tesina di novanta pagine sul Senatore.

Il sottotitolo era: «Idealismo jeffersoniano e pragma-tismo del “New Deal”: strategie progressiste in tempi di crisi».

Ci aveva lavorato con impegno, facendo ricerche sul-le tre campagne elettorali del Senatore, sulla sua carriera al Senato, sulla sua influenza nell’ambito del Partito de-mocratico e la possibilità che il partito lo scegliesse co-me candidato alla presidenza, e i suoi sforzi erano stati premiati con il voto più alto – Kelly Kelleher aveva pre-so quasi sempre il massimo dei voti nelle materie in cui intendeva specializzarsi – e con una pagina di elogi scrit-ti a mano dal suo relatore.

Questo era successo cinque anni prima. Quando lei era giovane.

Quel pomeriggio, quando aveva conosciuto il Sena-tore, la sua fragile mano imprigionata nella stretta vigo-rosa di quella manona cordiale, Kelly si era imposta di non tirare fuori quell’argomento.

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E così non lo aveva fatto. Se non molto più tardi.Quando, dato il rapido evolversi della situazione, non

vi sarebbe stata alcuna ragione per non farlo.La sera prima, lei, Buffy e Stacey avevano letto ghi-

gnando sull’ultimo numero di Glamour l’oroscopo dello Scorpione per il mese di luglio: Troppa prudenza nel rivela-re agli altri i vostri impulsi e desideri! Una volta tanto impone-tevi! Gli influssi astrali, cari Scorpioni, sono molto romantici, dopo un periodo di delusioni… BUTTATEVI!

Povero Scorpione, così facile da ferire. Così facile da dissuadere.

Quell’aria imbronciata e sdegnosa che tanto irrita-va Artie Kelleher, il padre; quell’aria di tormentata in-trospezione che tanto preoccupava Madelyn Kelleher, la madre. Sì vi voglio bene ma perché non mi lasciate in pace?

Povero Scorpione, ventisei anni e otto mesi ma anco-ra soggetta a problemi adolescenziali di pelle! Che ver-gogna, che rabbia. La sua pelle chiara e fine era troppo chiara e troppo fine. Quei misteriosi sfoghi, quell’ortica-ria. Le allergie che le arrossavano gli occhi. Eh sì, anche l’acne, foruncolini quasi invisibili ma scabri lungo l’at-taccatura dei capelli…

Quando il suo amico l’aveva amata lei era bella. Quand’era bella il suo amico l’aveva amata. Una propo-sizione semplice, apparentemente quasi tautologica, che però non era comprensibile appieno.

E allora non avrebbe neppure provato a capirla. Si sarebbe lanciato in una nuova vita in una nuova avven-tura un’avventura follemente romantica, l’incauto Scor-pione.