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ASPETTI GIURIDICI DELLA PROFESSIONE INFERMIERISTICA

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NOTAGli autori, i curatori, l’editore e tutti coloro che in qualche modo coinvolti nella preparazione o pubbli-cazione di quest’opera hanno posto ogni attenzione per garantire che le informazioni ivi contenutesiano accurate e complete in ogni loro parte, compatibilmente con le conoscenze disponibili al mo-mento della stampa; essi tuttavia, non possono essere ritenuti responsabili di eventuali errori, omis-sioni o dei risultati ottenuti dall’utilizzo di tali informazioni.

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ASPETTI GIURIDICI DELLA PROFESSIONE INFERMIERISTICA

Sesta edizione

Luca Benci

McGraw-Hill

Milano • New York • San Francisco • Lisbon • London • Madrid • Mexico City • Montreal • New Delhi • San Juan • Singapore • Sidney • Tokyo • Toronto

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Copyright © 2011, 2008, 2005, 2002, 1999, 1995 The McGraw-Hill Companies, srlPublishing Group Italiavia Ripamonti, 89 - 20139 MilanoTel. 02 535718.1 - Fax 02 5397527

I diritti di traduzione, di riproduzione, di memorizzazione elettronica e di adattamento totale e parziale conqualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i paesi.Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun vo-lume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5,della legge 22 aprile 1941 n. 633.Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque peruso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata daAIDRO, Corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, e-mail [email protected] e sito web www.aidro.org.

Editor: Teresa MassaraDevelopment Editor: Giuseppe Di RienzoProduzione: Donatella GiulianiRedazione: Lorenza DaineseCopertina: Elisabetta Del ZoppoFotocomposizione: Centrofotocomposizione Dorigo, PadovaStampa: Lalitotipo s.r.l., Settimo Milanese (Milano)

ISBN 978 88 386 3699-8123456789LITLIT 2015 2014 2013 2012 2011

6ª edizione: settembre 2011

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INDICE

Autore XI

Presentazione XIII

Capitolo 1

LA FORMAZIONE INFERMIERISTICA 1Cenni storici 1La formazione universitaria 2Il superamento del diploma universitario e l’istituzione delle lauree 3La laurea 4La laurea magistrale 5Le indicazioni europee sulla formazione infermieristica 5

Capitolo 2

L’ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE INFERMIERISTICA 7Cenni storici 7Le varie figure infermieristiche 8L’esercizio professionale 13Il riconoscimento della funzione specialistica: la classificazione apportata

dalla legge 43/2006 19L’equipollenza dei titoli 20L’equipollenza con i titoli stranieri 22Le fonti extramansionariali residue 23Le fonti normative successive all’abrogazione del mansionario che attribuiscono compiti

agli infermieri 26Le innovazioni apportate dalla legge 251/2000 28Le norme relative all’esercizio professionale 28Un nuovo obbligo per i professionisti sanitari: l’aggiornamento obbligatorio dell’ECM 29Il riordino del sistema ECM 32

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Capitolo 3

LA FUNZIONE DI COORDINAMENTO E LA FUNZIONE DIRIGENZIALE 35La funzione di coordinamento 35La funzione dirigenziale 43

Capitolo 4

GLI OPERATORI DI SUPPORTO, GLI OPERATORI A ESAURIMENTO E LE INFERMIERE VOLONTARIE DELLA CROCE ROSSA 47

L’operatore socio-sanitario: autonomia, rapporti con i professionisti e responsabilità giuridica 47

L’infermiere generico 66L’infermiere psichiatrico 69La puericultrice 70Le infermiere volontarie della Croce Rossa 70

Capitolo 5

L’INQUADRAMENTO CONTRATTUALE DELLA PROFESSIONE INFERMIERISTICA NEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE 77

Cenni storici 77Gli effetti della privatizzazione del rapporto di lavoro nei contratti collettivi 81Le innovazioni del contratto economico integrativo 2000-2002 82Le innovazioni del CCNL 2004 84Il contratto 2006-2009 84Gli sviluppi futuri dell’inquadramento contrattuale dopo la Riforma Brunetta 85

Capitolo 6LA RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE: LA RESPONSABILITÀ PENALE 87La responsabilità professionale 87La responsabilità penale 87Le qualifiche di pubblico ufficiale, di incaricato di pubblico servizio e di esercente

un servizio di pubblica necessità 94La qualificazione giuridica dell’infermiere: analisi della casistica giurisprudenziale 96La posizione di garanzia 102

Capitolo 7I PRINCIPALI REATI A CARICO DELL’INFERMIERE 109L’esercizio abusivo della professione 109La somministrazione e la detenzione di farmaci guasti o imperfetti 125La disciplina dei farmaci campioni 133

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La detenzione di farmaci difettosi o contenenti corpi estranei 134La rivelazione del segreto professionale 134La rivelazione del segreto d’ufficio 138L’omissione di soccorso 139Il rifiuto di atti d’ufficio 142L’omissione di referto 146Lesioni personali e omicidio colposo 151Il sequestro di persona 154La violenza privata 155L’abbandono di persone minori o incapaci 155L’interruzione di pubblico servizio 157La violenza sessuale 158

Capitolo 8

LA RESPONSABILITÀ DELL’INFERMIERE IN DETERMINATE SITUAZIONI OPERATIVE 161

L’infermiere in sala operatoria 161L’infermiere di sala operatoria 162L’infermiere strumentista 165Il sistema dell’emergenza sanitaria: il ruolo dell’infermiere in centrale operativa

e sui mezzi di soccorso 171Gli aspetti giuridici e i profili di responsabilità nel triage di pronto soccorso ospedaliero 175L’infermiere in psichiatria 190La contenzione in geriatria e l’esperienza internazionale 203La responsabilità per la somministrazione di farmaci 205La somministrazione di sangue, emocomponenti e plasmaderivati 216Il ruolo e la responsabilità dell’infermiere nei servizi di tossicodipendenza 225L’infermiere nell’assistenza domiciliare 230

Capitolo 9LA PROFESSIONE MEDICA 239La riforma ospedaliera del 1968 239La riforma sanitaria del 1978: l’inquadramento del D.P.R. 761/1979 241L’inquadramento dato dalla riforma ter 244

Capitolo 10LE ALTRE PROFESSIONI SANITARIE 249Professione infermieristica e ostetrica 249Professioni riabilitative 251Professioni tecnico-sanitarie 258Professioni tecniche della prevenzione 265

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Capitolo 11LA RESPONSABILITÀ CIVILE 267L’illecito civile: la responsabilità extracontrattuale e la responsabilità contrattuale 267La valutazione del danno e il risarcimento: dal risarcimento delle conseguenze

economiche al riconoscimento del danno biologico ed esistenziale 268I limiti alla responsabilità del professionista 270Le conseguenze civilistiche della mancata iscrizione al collegio professionale

per l’infermiere libero professionista 271La responsabilità del dipendente del Servizio sanitario nazionale 271La responsabilità civile per fatto dello studente infermiere 273

Capitolo 12LA RESPONSABILITÀ DISCIPLINARE 275Gli obblighi del dipendente 275Le attuali sanzioni disciplinari 276

Capitolo 13IL NURSING E LA DEONTOLOGIA 291La deontologia 291

Capitolo 14IL CONSENSO INFORMATO 305Premessa 305L’informazione 306La forma del consenso 310Il ruolo dell’infermiere nel consenso informato: brevi riflessioni 318

Capitolo 15L’INFERMIERE E LA LIBERA PROFESSIONE 321La Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza 322La pubblicità sanitaria 323Le norme di comportamento 323Il nomenclatore tariffario 324

Capitolo 16LA DOCUMENTAZIONE SANITARIA 325Nozioni preliminari sugli atti 325La documentazione sanitaria 327

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L’infermiere e la cartella clinica 328I compiti infermieristici 330Il registro operatorio 334La natura giuridica della cartella infermieristica e di altra documentazione sanitaria

o di competenza degli infermieri 336Il registro degli stupefacenti dei reparti di degenza e nei servizi 338Il registro degli stupefacenti informatico 345Il fascicolo sanitario elettronico 348

Capitolo 17

LA LEGGE SULLA PRIVACY E LE RIPERCUSSIONI SULL’ASSISTENZA SANITARIA 357

Premessa 357Il codice della privacy 358La finalità e le definizioni 358La notificazione e le modalità di raccolta dei dati personali 359Il titolare, il responsabile e l’incaricato 360Le misure di sicurezza di dati e sistemi 360Il garante 361La privacy in ambito sanitario 362

Capitolo 18GLI ORGANI DI TUTELA PROFESSIONALE 371Gli ordini, i collegi e gli albi professionali 371Il potere disciplinare 375La Federazione Nazionale dei Collegi 376L’obbligatorietà dell’iscrizione all’albo 376

Allegato

IL CODICE DEONTOLOGICO DELL’INFERMIERE 2009 381

Bibliografia 389

Indice analitico 393

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LUCA BENCI

Giurista, direttore dal 1998 al 2004 della Rivista di diritto delle professioni sanitarie, LauriEdizioni. Autore di pubblicazioni sul diritto sanitario e sulle professioni sanitarie tracui La riforma Brunetta – implicazioni giuridiche e operative, McGraw-Hill, 2010; Ele-menti di legislazione sanitaria e di biodiritto, McGraw-Hill, 2009; La prescrizione e la som-ministrazione di farmaci: responsabilità giuridica e deontologica, McGraw-Hill, 2007; Leprofessioni sanitarie non mediche: aspetti giuridici, deontologici e medico legali, McGraw-Hill, 2002; Manuale giuridico professionale per l’esercizio del nursing, 2/ed., McGraw-Hill, 2001; 118 Un sistema integrato per l’emergenze sanitarie (coautore insieme a Cuniale Cipolotti), McGraw-Hill, 1999; Il medico e l’infermiere a giudizio (a cura di), Atti delconvegno nazionale sulle responsabilità condivise, Lauri Edizioni, 1997; è compo-nente della redazione della Rivista Italiana di Emergenza - Urgenza Pediatrica, e delboard editoriale di Emergency Care Journal.È coordinatore del Comitato scientifico del Convegno “Il medico e l’infermiere a

giudizio”.Svolge attività di consulenza e docenza presso Aziende USL e ospedaliere, società

di formazione, Università degli Studi, Associazioni, Collegi e Ordini professionali inmateria di diritto sanitario, responsabilità professionale e biodiritto.È professore a contratto presso l’Università degli Studi di Firenze per i corsi di lau-

rea specialistica delle classi di laurea delle professioni sanitarie.È presidente della Commissione conciliativa mista dell’Azienda ospedaliera Meyer

di Firenze.

AUTORE

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XIII

PRESENTAZIONE

Questo volume giunge alla sua VI edizione (la prima è datata 1995) e tratta dell’inquadramentogiuridico di una professione che in questi anni ha operato una vera rivoluzione copernicana.

Nella prima edizione le condizioni formative, di autonomia e di responsabilità erano profon-damente diverse: scuole regionali, mansionario, bassa autonomia, subordinazione al medicoerano i tratti caratterizzanti della figura infermieristica.

Nell’attuale edizione gli elementi distintivi sono invece quelli relativi a una professione lau-reata e con titoli post laurea, criteri ampi e flessibili di esercizio professionale e riconoscimentoper legge dell’autonomia professionale.

Sono aumentate le pronunce giurisprudenziali, i contributi dottrinari e professionali pubbli-cati in questi anni e il dibattito si è enormemente arricchito.

La preziosa frase di Antonio Gramsci in epigrafe – astratta dal suo contesto originario – ponel’accento sull’importanza universale della conoscenza, motivo per cui si è pensato di citarla. Iprofessionisti sanitari non possono rinunciare a usare la propria professionalità a favore dei loroassistiti per una lettura frettolosa di sentenze o leggi, che potrebbe travisarne il senso e orientareil loro agire professionale verso una pericolosa medicina e un’infermieristica difensiva.

Non sempre le strutture hanno adeguato la loro organizzazione al nuovo contesto giuridico,ma sono rimaste talvolta ancorate agli schemi organizzativi stratificati con le vecchie e abrogatenorme e, quando si sono sperimentate nuove organizzazioni, non sono mancate contestazionie resistenze.

In questo libro, nelle varie edizioni che si sono succedute, sono aumentate le parti legate allaresponsabilità penale e professionale nei vari contesti operativi in cui l’infermiere si trova adagire.

Come di consueto questo volume si rivolge agli studenti, ai professionisti del settore e ai cul-tori della materia.

Luca Bencihttp://www.lucabenci.it

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Studiate perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenzaAntonio Gramsci

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Capitolo

LA FORMAZIONE INFERMIERISTICA

CENNI STORICI

Le prime scuole di formazione infermieristica sorgono in Italia nei primi anni del XX secolo periniziativa di organizzazioni private, in particolare della Croce Rossa e delle istituzioni religiose.

La prima normativa statale specificamente indirizzata a regolamentare l’istituzione e il fun-zionamento delle scuole infermieristiche risale al 1925 attraverso il R.D.L. 15 agosto 1925, n.1832 “Facoltà dell’istituzione di scuole-convitto professionali per infermiere e di scuole specia-lizzate di medicina, igiene pubblica e assistenza sociale per assistenti sanitarie visitatrici” e delR.D. 21 novembre 1929, n. 2330 “Approvazione del regolamento per l’esecuzione del R. decreto-legge 15 agosto 1925, n. 1832, riguardante le scuole-convitto professionali per infermiere e lescuole specializzate di medicina, pubblica igiene e assistenza sociale per assistenti sanitarie vi-sitatrici”.

Nel 1934 le norme di formazione infermieristica vengono inserite all’interno del Testo unicodelle leggi sanitarie.

Fino al 1971 alle scuole infermieristiche potevano accedere solo le donne e vi era l’obbligodell’internato. La durata era di due anni. L’apertura agli uomini venne operata con la legge 25febbraio 1971, n. 124 “Estensione al personale maschile dell’esercizio della professione di infer-miere professionale, organizzazione delle relative scuole e norme transitorie per la formazionedel personale di assistenza diretta”. Con la legge 124/1971 le scuole-convitto per infermiere ven-gono trasformate in scuole per infermieri professionali e viene abolito l’obbligo dell’internato. Irequisiti per l’accesso alle scuole per infermieri professionali vengono stabiliti nel possesso deldiploma di scuola media superiore e, a partire dall’inizio dell’anno scolastico 1973/1974, anchequello di un certificato attestante l’ammissione al terzo anno di scuola secondaria di secondogrado. Gli aspiranti all’ammissione delle scuole devono avere compiuto il sedicesimo anno (il di-ciassettesimo entro il 31 dicembre). La legge 124 stabilì anche delle facilitazioni per gli infermierigenerici che potevano essere ammessi direttamente al secondo anno della scuola infermieri.

Nel 1972 la formazione infermieristica, in applicazione all’art. 117 della Costituzione, passadalla competenza statale a quella regionale con la devoluzione operata dal D.P.R. 15 gennaio1972, n. 10 “Trasferimento alle regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative stataliin materia di istruzione artigiana e professionale e del relativo personale”. Rimangono di com-petenza dello Stato la determinazione dei requisiti di ammissione ai corsi, la definizione dei pro-grammi, della durata dei corsi e la regolamentazione degli esami di Stato e dell’abilitazioneall’esercizio professionale.

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Nel 1973 l’Italia ratifica l’accordo di Strasburgo del 25 ottobre 1967, che stabilisce nell’otticadell’integrazione e della libera circolazione tra Paesi europei, gli standard minimi per la forma-zione degli infermieri. Il recepimento avviene con la legge 15 novembre 1973, n. 795 “Ratificaed esecuzione dell’accordo europeo di Strasburgo sull’istruzione e formazione degli infermieri”e con il D.P.R. 13 ottobre 1975, n. 867 “Modificazioni all’ordinamento delle scuole per infermieriprofessionali e ai relativi programmi di insegnamento”.

A partire da tale data la formazione infermieristica ha la durata di tre anni, dieci anni di sco-larità pregressa e un programma base di 4600 ore di formazione teorico-pratica.

La professione infermieristica è suddivisa tradizionalmente in tre figure: oltre all’infermiereprofessionale convivono a tutt’oggi altre due figure, ovvero l’Assistente sanitaria e la Vigilatriced’infanzia.

L’Assistente sanitaria/o nasce come infermiere specializzato in sanità pubblica fino dal 1925mentre la Vigilatrice d’infanzia, come figura sanitaria infermieristica operante esclusivamentein età pediatrica, e la figura della puericultrice come arte ausiliaria per l’assistenza al bambinosano sono state istituite e disciplinate attraverso la legge 19 giugno 1940, n. 1098. La forma-zione infermieristica tradizionalmente prevedeva degli specifici corsi, che oggi chiameremmodi carattere manageriale, per l’infermiere abilitato a funzioni direttive (caposala), che sono statichiusi con la riforma universitaria. Inoltre anche le Università avevano istituito dei corsi di ca-rattere dirigenziale con varia denominazione, di durata biennale, tendenti a formare dirigenti edocenti infermieristici. I titoli variavano a seconda della singola Università: DAI (dirigente dell’as-sistenza infermieristica), IID (infermiere insegnante dirigente), DDSI (dirigente e docente dell’as-sistenza infermieristica). Questi corsi sono stati progressivamente disattivati e trasformati inlaurea specialistica. Fino al 1992 il sistema di formazione infermieristico resta collocato nell’am-bito del Servizio sanitario nazionale e gestito direttamente dalle Regioni e dalle Unità sanitarielocali sotto il controllo per le funzioni di competenza del Ministero della sanità.

LA FORMAZIONE UNIVERSITARIA

La formazione universitaria viene introdotta con la riforma aziendalistica della sanità avutasicon il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni, in primis quelle operate conil D.Lgs. 7 dicembre 1993, n. 517.

La formazione infermieristica viene gradualmente inserita all’interno dell’Università. I re-quisiti ai corsi vengono equiparati a quelli di tutta l’istruzione universitaria e viene di conse-guenza introdotto l’obbligo di possedere il diploma di maturità quinquennale per l’accesso aicorsi di diploma universitario (DU), titolo di studio istituito con la riforma universitaria del 1990,legge 19 novembre 1990, n. 341.

Fino al 1995 le Regioni conservavano la possibilità di continuare a istituire i corsi per infer-mieri professionali realizzando così in quel periodo un doppio canale formativo – regionale euniversitario – per la formazione infermieristica.

A partire dal 1998 la formazione infermieristica è rimasta solo universitaria da attuarsi conspecifici protocolli di intesa da stipularsi tra Regione e Università.

In seguito alla riforma universitaria del 1990 le Università rilasciavano quattro tipologie dititoli di studio:

1. diploma universitario (DU);2. diploma di laurea (DL);3. diploma di specializzazione (DS);4. dottorato di ricerca (DR).

Capitolo 1 – la formazione infermieristica

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Il diploma universitario aveva il fine di “fornire agli studenti adeguata conoscenza di metodie contenuti culturali e scientifici orientata al conseguimento del livello formativo richiesto da spe-cifiche aree professionali” e aveva una durata non inferiore a due e non superiore a tre anni, li-mite quest’ultimo diventato lo standard di riferimento.

La stessa legge 341/1990 definiva invece il diploma di laurea come un corso che doveva avere“una durata non inferiore a quattro anni e non superiore a sei e ha il fine di fornire agli studenti ade-guate conoscenze di metodi e contenuti culturali, scientifici e professionali di livello superiore”.

Il primo ordinamento didattico per il corso di diploma universitario denomina il corso stessoin scienze infermieristiche e viene recepito con il D.M. 2 dicembre 1991 “Modificazioni all’or-dinamento didattico universitario relativamente al corso di diploma universitario in scienze in-fermieristiche” e in particolare con l’allegato in esso contenuto, la tabella XXXIX ter, che vieneannessa al R.D. 30 settembre 1938, n. 1652 “Disposizioni sull’ordinamento didattico universita-rio e successive modificazioni”.

Il secondo ordinamento didattico dei corsi di diploma universitario viene recepito dal decretoministeriale 24 luglio 1996 che cambia nome al corso in scienze infermieristiche denominandolocorso per infermiere (Diploma universitario per infermiere).

Per specifica previsione della legge 26 febbraio 1999, n. 42 “Disposizioni in materia di pro-fessioni sanitarie” e dei decreti del Ministero della sanità 27 luglio 2000 vengono resi equipollentii diplomi non universitari ai diplomi universitari.

IL SUPERAMENTO DEL DIPLOMA UNIVERSITARIO E L’ISTITUZIONE DELLE LAUREE

L’Università ha regolamentato inizialmente la riforma dei cicli universitari con il D.M. 3 novem-bre 1999, n. 509 “Regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei”(nota come riforma del c.d. 3+2) suddividendo il tradizionale corso di studi che aveva una duratacompresa tra i quattro e i sei anni in due corsi di laurea. Il primo titolo viene conseguito dopo unpercorso triennale conseguendo il diploma di laurea (DL) e uno successivo ed eventuale di du-rata biennale per il conseguimento della laurea specialistica (LS).

Inoltre l’Università può rilasciare anche il diploma di specializzazione (DS) e il dottorato diricerca (DR).

Successivamente il D.M. 509/1999 è stato superato dal D.M. 22 ottobre 2004, n. 270 “Modifi-che al regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei, approvato condecreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica 3 novembre 1999, n.509”. Pur essendo denominato come “Modifiche” si tratta di vera e propria sostituzione integraledi decreto come ben specifica l’art. 13 dello stesso.

Le Università oggi rilasciano i seguenti titoli:

1. laurea (L);2. laurea magistrale (LM).

Rilasciano altresì il diploma di specializzazione (DS) e il dottorato di ricerca (DR). La lau-rea, la laurea magistrale, il diploma di specializzazione e il dottorato di ricerca sono conseguitial termine, rispettivamente, dei corsi di laurea, di laurea magistrale, di specializzazione e di dot-torato di ricerca istituiti dalle università.

Il corso di laurea ha l’obiettivo di assicurare allo studente un’adeguata padronanza di me-todi e contenuti scientifici generali, anche nel caso in cui sia orientato all’acquisizione di speci-

la formazione infermieristica – Capitolo 1

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fiche conoscenze professionali. Il corso di laurea quindi può essere preordinato al conseguimentodi un titolo professionale.

Il corso di laurea magistrale ha l’obiettivo di fornire allo studente una formazione di livelloavanzato per l’esercizio di attività di elevata qualificazione in ambiti specifici.

Il corso di specializzazione ha l’obiettivo di fornire allo studente conoscenze e abilità perfunzioni richieste nell’esercizio di particolari attività professionali e può essere istituito esclusi-vamente in applicazione di specifiche norme di legge o di direttive dell’Unione europea.

Le università inoltre possono attivare, disciplinandoli nei regolamenti didattici di ateneo, corsidi perfezionamento scientifico e di alta formazione permanente e ricorrente, successivi al con-seguimento della laurea o della laurea magistrale, alla conclusione dei quali sono rilasciati i ma-ster universitari di primo e di secondo livello.

Gli attuali ordinamenti didattici dei corsi di laurea sono stati recepiti, per le lauree triennalidal D.M. 19 febbraio 2009 “Determinazione delle classi dei corsi di laurea per le professioni sa-nitarie, ai sensi del decreto ministeriale 22 ottobre 2004, n. 270”, e per le lauree magistrali dalD.M. 8 gennaio 2009 “Determinazione delle classi delle lauree magistrali delle professioni sani-tarie, ai sensi del decreto ministeriale 22 ottobre 2004, n. 270”.

L’art. 13 del D.M. 270/1994 precisa che a coloro che conseguono la laurea compete il titolodi dottore, a coloro che conseguono la laurea magistrale compete il titolo di dottore magistralee a coloro che conseguono il dottorato di ricerca spetta il titolo di dottore di ricerca.

Nel campo infermieristico quindi compete al laureato triennale il titolo di dottore in infer-mieristica e al laureato magistrale (ex specialistico) il titolo di dottore magistrale in scienze in-fermieristiche. La qualifica di dottore magistrale compete anche a coloro che hanno un titolo dilaurea precedente alla riforma dei cicli.

LA LAUREA

Il diploma di laurea diventa il normale titolo per poter esercitare un qualsivoglia tipo di profes-sione sanitaria non medica. I corsi sono attivati dalle facoltà di medicina e chirurgia con il con-corso, ove previsto dallo specifico profilo formativo, di altre facoltà.

I regolamenti e gli ordinamenti didattici sono stati recepiti nel decreto 19 febbraio 2009 “De-terminazione delle classi dei corsi di laurea per le professioni sanitarie, ai sensi del decreto mi-nisteriale 22 ottobre 2004, n. 270”.

Tutte le professioni sanitarie vengono raggruppate in quattro distinte classi di laurea:

1. classe delle lauree in professioni sanitarie infermieristiche e professione sanitaria ostetrica;2. classe delle lauree in professioni sanitarie della riabilitazione;3. classe delle lauree in professioni sanitarie tecniche;4. classe delle lauree in professioni sanitarie della prevenzione.

Afferiscono alla prima classe le professioni di infermiere, infermiere pediatrico e ostetrica. Afferiscono alla seconda classe le professioni di podologo, fisioterapista, logopedista, ortot-

tista-assistente di oftalmologia, terapista della neuro- e psicomotricità dell’età evolutiva, tecnicodella riabilitazione psichiatrica, terapista occupazionale e di educatore professionale.

Afferiscono alla terza classe il tecnico audiometrista, il tecnico sanitario di laboratorio bio-medico, il tecnico sanitario di radiologia medica, il tecnico di neurofisiopatologia, il tecnico or-topedico, il tecnico audioprotesista, il tecnico della fisiopatologia cardiocircolatoria e perfusionecardiovascolare, l’igienista dentale e il dietista.

Capitolo 1 – la formazione infermieristica

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Afferiscono infine alla quarta classe il tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi dilavoro e l’assistente sanitario.1

La prova finale (redazione di un elaborato e dimostrazione di abilità pratiche) ha valore diesame di stato e abilita all’esercizio professionale.

Gli obiettivi formativi qualificanti e le attività formative indispensabili verranno elencate neicapitoli relativi a ciascuna classe di laurea.

LA LAUREA MAGISTRALE

Gli ordinamenti didattici delle lauree specialistiche sono oggi regolamentati dal decreto ministe-riale 8 gennaio 2009 “Determinazione delle classi delle lauree magistrali delle professioni sani-tarie, ai sensi del decreto ministeriale 22 ottobre 2004, n. 270”.

L’esatta numerazione e denominazione delle lauree magistrali ricalca la classificazione dataper le lauree triennali:

1. classe delle lauree magistrali nelle scienze infermieristiche e ostetriche;2. classe delle lauree magistrali nelle scienze delle professioni sanitarie della riabilitazione;3. classe delle lauree magistrali nelle scienze delle professioni sanitarie tecniche;4. classe delle lauree magistrali nelle scienze delle professioni della prevenzione.

Rispetto alle lauree triennali qui compare la denominazione “scienze”.Per accedere ai corsi di laurea specialistica bisogna essere in possesso della laurea trien-

nale o dei titoli che i regolamenti didattici dei singoli atenei indicano come requisito per l’ac-cesso. Gli stessi regolamenti possono disporre “eventuali integrazioni curricolari” come requi-sito per l’accesso.

Una volta stabilito il requisito per l’accesso, il regolamento didattico di ateneo deve fis-sare le “modalità di verifica della adeguatezza della personale preparazione” tenendo contoanche delle “specifiche esperienze professionali, maturate in almeno cinque anni di attivitàlavorativa dipendente in strutture sanitarie accreditate, caratterizzate dall’esercizio di fun-zioni professionali proprie del titolo di laurea conseguito e coerenti con l’obiettivo del corsodi laurea specialistica”.

LE INDICAZIONI EUROPEE SULLA FORMAZIONE INFERMIERISTICA

Il nostro Paese ha recentemente recepito due direttive europee sulla circolazione dei professio-nisti2 e ha precisato alcuni capisaldi già previsti da norme precedenti che vale comunque la penaricordare.

Si conferma che per l’accesso alla formazione di “infermiere responsabile di assistenza ge-nerale” è necessario un curriculum scolastico precedente di almeno dieci anni – in Italia, essendo

la formazione infermieristica – Capitolo 1

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1 Per l’approfondimento delle altre professioni sanitarie non mediche si rimanda a Benci L., Le professionisanitarie (non mediche). Aspetti giuridici, deontologici e medico-legali, McGraw-Hill, Milano, 2002.2 D.Lgs. 9 novembre 2007, n. 206 “Attuazione della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento dellequalifiche professionali, nonché della direttiva 2006/100/CE che adegua determinate direttive sulla liberacircolazione delle persone a seguito dell'adesione di Bulgaria e Romania”.

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formazione universitaria, ne sono previsti tredici – e comprendere almeno tre anni di studi o 4600ore d'insegnamento teorico e clinico.

Per insegnamento teorico si intende quella parte di:

“formazione in cure infermieristiche con cui il candidato infermiere acquisisce le conoscenze, la com-prensione, le competenze e gli atteggiamenti professionali necessari a pianificare, dispensare e valutarecure sanitarie globali”

mentre per insegnamento clinico si intende:

“la parte di formazione in cure infermieristiche con cui il candidato infermiere apprende, nell'ambito diun gruppo e a diretto contatto con individui o collettività sani o malati, a pianificare, dispensare e valu-tare le necessarie cure infermieristiche globali in base a conoscenze e competenze acquisite”.

Capitolo 1 – la formazione infermieristica

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Capitolo

L’ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE INFERMIERISTICA

CENNI STORICI

Tradizionalmente in Italia – e non solo – pur parlando di professioni sanitarie al plurale, si è sem-pre fatto riferimento, quanto meno durante tutto il XIX secolo, alla professione medica. In realtàva osservato che all’epoca rivestivano grande importanza anche i farmacisti (speziali) e le oste-triche (levatrici); entrambe queste professioni, però, nel corso del secolo successivo, subironouna involuzione professionale.1

Da un punto di vista giuridico sono condizioni indispensabili per una professione l’obbliga-torietà di iscrizione in albi o elenchi e la potestà disciplinare di cui si fa carico la professionestessa, secondo quanto disposto dall’art. 2229 del c.c. Tutte queste condizioni esistono per la pro-fessione infermieristica.Le professioni sanitarie sono state tradizionalmente suddivise nel nostro ordinamento (art. 99

del R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 “Approvazione del testo unico delle leggi sanitarie”) in:

1. professioni sanitarie cosiddette principali, rappresentate dal medico-chirurgo, dal veterina-rio, dal farmacista e, dal 1985, dall’odontoiatra;

2. professioni sanitarie ausiliarie, rappresentate dalla levatrice (oggi ostetrica/o), dall’assistentesanitaria visitatrice (oggi assistente sanitario) e dall’infermiera diplomata (oggi infermiere) e,fino al febbraio 1999, da tutte le professioni che avevano avuto la pubblicazione di un profiloprofessionale;2

3. arti ausiliarie delle professioni sanitarie, rappresentate dall’odontotecnico, dall’infermiere ge-nerico e dal massofisioterapista.

1 Tousjin W., Il sistema delle occupazioni sanitarie, Il Mulino, Bologna, 2000.2 Professioni infermieristiche e professione ostetrica: D.M. 14 settembre 1994, n. 739 “Regolamento concernentel’individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’infermiere”; D.M. 14 settembre 1994, n. 740“Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’ostetrica/o”;D.M. 17 gennaio 1997, n. 70 “Regolamento concernente l’individuazione della figura e relativo profilo profes-sionale dell’infermiere pediatrico”. Professioni della riabilitazione: D.M. 14 settembre 1994, n. 666 “Regola-mento concernente l’individuazione della figura e relativo profilo professionale del podologo”; D.M. 14 set-tembre 1994, n. 741 “Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professio-nale del fisioterapista”; D.M. 14 settembre 1994, n. 742 “Regolamento concernente l’individuazione della fi-gura e del relativo profilo professionale del logopedista”; D.M. 14 settembre 1994, n. 743 “Regolamento con-

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Capitolo 2 – l’esercizio della professione infermieristica

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Sul punto sono intervenute due leggi di profonda riforma delle professioni e dell’esercizioprofessionale:

1. la legge 26 febbraio 1999, n. 42 “Disposizioni in materia di professioni sanitarie” che all’art. 1,comma 1 abolisce la suddivisione proveniente dal Testo unico delle leggi sanitarie (T.U.L.S.)del 1934 e, ferma rimanendo la categoria delle arti ausiliarie delle professioni, inquadra tuttele figure professionali (ex principali ed ex ausiliarie) come professioni sanitarie;

2. la legge 10 agosto 2000, n. 251 “Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecni-che, della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica” che istituiscela dirigenza infermieristica (e delle altre professioni sanitarie ex ausiliarie) e la laurea spe-cialistica.

Gli effetti e le ricadute operative delle due leggi di riforma verranno analizzati analiticamentenei paragrafi che seguono.

LE VARIE FIGURE INFERMIERISTICHE

La professione infermieristica non è mai stata inquadrata in modo unitario dalla legislazione,tanto è vero che l’ordine professionale non è quello degli infermieri o degli infermieri professio-nali, bensì il Collegio IPASVI. L’acronimo indica tre distinte figure professionali: l’infermiere pro-fessionale, l’assistente sanitario e la vigilatrice d’infanzia.L’infermiere professionale (oggi infermiere) ha ottenuto la pubblicazione del profilo profes-

sionale per primo, recepito nel D.M. 14 settembre 1994, n. 739, atto normativo che doveva ri-

cernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’ortottista-assistente di oftalmo-logia”; D.M. 17 gennaio 1997, n. 56 “Regolamento concernente l’individuazione della figura e relativo profiloprofessionale del terapista della neuro- e psicomotricità dell’età evolutiva”; D.M. 29 marzo 2001, n.182 “Re-golamento concernente l’individuazione della figura del tecnico della riabilitazione psichiatrica”; D.M. 17 gen-naio 1997, n. 136 “Regolamento concernente l’individuazione della figura e relativo profilo professionale delterapista occupazionale”; D.M. 8 ottobre 1998, n. 520 “Regolamento recante norme per l’individuazione dellafigura e del relativo profilo professionale dell’educatore professionale, ai sensi dell’articolo 6, comma 3, delD.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502”. Professioni tecnico-sanitarie: D.M. 14 settembre 1994, n. 667 “Regolamentoconcernente l’individuazione della figura e relativo profilo professionale del tecnico audiometrista”; D.M. 26settembre 1994, n. 745 “Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo profes-sionale del tecnico sanitario di laboratorio biomedico”; D.M. 26 settembre 1994, n. 746 “Regolamento con-cernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale del tecnico sanitario di radiologiamedica”; D.M. 15 marzo 1995, n. 183 “Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativoprofilo professionale del tecnico di neurofisiopatologia”; D.M. 14 settembre 1994, n. 665 “Regolamento con-cernente l’individuazione della figura e relativo profilo professionale del tecnico ortopedico”; D.M. 14 set-tembre 1994, n. 668 “Regolamento concernente l’individuazione della figura e relativo profilo professionaledel tecnico audioprotesista”; D.M. 27 luglio 1998, n. 316 “Regolamento recante norme per l’individuazionedella figura e relativo profilo professionale del tecnico della fisiopatologia cardiocircolatoria e perfusionecardiovascolare”; D.M. 15 aprile 1999, n. 137 “Regolamento recante norme per l’individuazione della figurae relativo profilo professionale dell’igienista dentale”; D.M. 14 settembre 1994, n. 744 “Regolamento con-cernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale del dietista”. Professioni della pre-venzione: D.M. 17 gennaio 1997, n. 58 “Regolamento concernente l’individuazione della figura e relativo pro-filo professionale del tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro”; D.M. 17 gennaio 1997,n. 69 “Regolamento concernente l’individuazione della figura e relativo profilo professionale dell’assistentesanitario”.

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condurre a unità la professione infermieristica; solo successivamente sono stati emanati sia ilprofilo dell’assistente sanitario che dell’infermiere pediatrico nonché i criteri sull’equipollenza.Nulla è innovato invece sulla qualificazione di arte ausiliaria delle professioni sanitarie ri-

guardante l’infermiere generico.Il successivo art. 100 del T.U.L.S. stabilisce che “nessuno può esercitare la professione di me-

dico-chirurgo, veterinario, farmacista, levatrice, assistente sanitaria visitatrice o infermiera pro-fessionale, se non sia maggiore di età e abbia conseguito il titolo di abilitazione all’esercizio pro-fessionale, a norma delle vigenti disposizioni”.Non è questa la sede per approfondire la differenza che intercorre tra “professione” e “arte”.

La distinzione però riveste una grande importanza dal punto di tutela penalistica che le profes-sioni ricevono.La classificazione delle figure della professione infermieristica è stata successivamente mo-

dificata dal D.M. 29 marzo 2001 “Definizione delle figure professionali di cui all’art. 6, comma 3,del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502”, e successive modificazioni, da includere nelle fattispeciepreviste dagli articoli 1, 2, 3 e 4, della legge 10 agosto 2000, n. 251 (art. 6, comma 1, legge n.251/2000) e dai decreti 2 aprile 2001 “Determinazione delle classi delle lauree universitarie delleprofessioni sanitarie” e “Determinazione delle classi di laurea specialistiche universitarie delleprofessioni sanitarie”.Arriviamo infine agli attuali ordinamenti didattici dei corsi di laurea che sono stati recepiti,

per le lauree triennali dal D.M. 19 febbraio 2009 “Determinazione delle classi dei corsi di laureaper le professioni sanitarie, ai sensi del decreto ministeriale 22 ottobre 2004, n. 270” e per le lau-ree magistrali dal D.M. 8 gennaio 2009 “Determinazione delle classi delle lauree magistrali delleprofessioni sanitarie, ai sensi del decreto ministeriale 22 ottobre 2004, n. 270”.La tripartizione classica della professione infermieristica viene cambiata. La professione in-

fermieristica viene suddivisa solo nei profili professionali di infermiere e di infermiere pediatrico,mentre la figura dell’assistente sanitario viene spostata nella classe delle professioni della pre-venzione. Per motivi storico-sistematici tratteremo in questa sede anche il profilo dell’assistentesanitario, tenendo però presente la nuova collocazione che la normativa ha dato a questa figura.Riportiamo qui di seguito per esteso i profili dell’infermiere, dell’assistente sanitario e dell’in-

fermiere pediatrico con relativo commento, mentre uno specifico paragrafo viene dedicato all’equi-pollenza dei titoli.

D.M. 14 settembre 1994, n. 739 Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’infermiere

1. È individuata la figura professionale dell’infermiere con il seguente profilo: l’infermiere è l’operatore sani-tario che, in possesso del diploma universitario abilitante e dell’iscrizione all’albo professionale è respon-sabile dell’assistenza generale infermieristica.

2. L’assistenza infermieristica preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa è di natura tecnica, relazionale,educativa. Le principali funzioni sono la prevenzione delle malattie, l’assistenza dei malati e dei disabilidi tutte le età e l’educazione sanitaria.

3. L’infermiere:a) partecipa all’identificazione dei bisogni di salute della persona e della collettività;b) identifica i bisogni di assistenza infermieristica della persona e della collettività e formula i relativi

obiettivi;c) pianifica, gestisce e valuta l’intervento assistenziale infermieristico;d) garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche;e) agisce sia individualmente sia in collaborazione con gli altri operatori sanitari e sociali;

l’esercizio della professione infermieristica – Capitolo 2

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Capitolo 2 – l’esercizio della professione infermieristica

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f) per l’espletamento delle funzioni si avvale, ove necessario, dell’opera del personale di supporto;g) svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie pubbliche o private, nel territorio e nell’assistenza

domiciliare, in regime di dipendenza o libero-professionale.4. L’infermiere contribuisce alla formazione del personale di supporto e concorre direttamente all’aggiorna-

mento relativo al proprio profilo professionale e alla ricerca.5. La formazione infermieristica post-base per la pratica specialistica è intesa a fornire agli infermieri di assi-

stenza generale delle conoscenze cliniche avanzate e delle capacità che permettano loro di erogare speci-fiche prestazioni infermieristiche nelle seguenti aree:a) sanità pubblica: infermiere di sanità pubblica;b) pediatria: infermiere pediatrico;c) salute mentale-psichiatria: infermiere psichiatrico;d) geriatria: infermiere geriatrico;e) area critica: infermiere di area critica.

6. In relazione a motivate esigenze emergenti dal Servizio sanitario nazionale, potranno essere individuate,con decreto del Ministero della sanità, ulteriori aree richiedenti una formazione complementare specifica.

7. Il percorso formativo viene definito con decreto del Ministero della sanità e si conclude con il rilascio di unattestato di formazione specialistica che costituisce titolo preferenziale per l’esercizio delle funzioni speci-fiche nelle diverse aree, dopo il superamento di apposite prove valutative. La natura preferenziale del titoloè strettamente legata alla sussistenza di obiettive necessità del servizio e recede in presenza di mutate con-dizioni di fatto.

Decreto 17 gennaio 1997, n. 69Regolamento concernente l’individuazione della figura e relativo profilo professionale dell’assistente sanitario

Art. 11. È individuata la figura professionale dell’assistente sanitario con il seguente profilo: l’assistente sanitario è

l’operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante e dell’iscrizione all’albo profes-sionale, è addetto alla prevenzione, alla promozione e alla educazione della salute.

2. L’attività dell’assistente sanitario è rivolta alla persona, alla famiglia e alla collettività; individua i bisogni disalute e le priorità di intervento preventivo, educativo e di recupero.

3. L’assistente sanitario:a) identifica i bisogni di salute sulla base dei dati epidemiologici e socio-culturali, individua i fattori bio-

logici e sociali di rischio ed è responsabile dell’attuazione e della soluzione degli interventi che rien-trano nell’ambito delle proprie competenze;

b) progetta, programma, attua e valuta gli interventi di educazione alla salute in tutte le fasi della vita dellapersona;

c) collabora alla definizione delle metodologie di comunicazione, ai programmi e a campagne per la pro-mozione e l’educazione sanitaria;

d) concorre alla formazione e all’aggiornamento degli operatori sanitari e scolastici per quanto concernela metodologia dell’educazione sanitaria;

e) interviene nei programmi di pianificazione familiare e di educazione sanitaria, sessuale e socio-affet-tiva;

f) attua interventi specifici di sostegno alla famiglia, attiva risorse di rete anche in collaborazione con imedici di medicina generale e altri operatori sul territorio e partecipa ai programmi di terapia per la fa-miglia;

g) sorveglia, per quanto di sua competenza, le condizioni igienico-sanitarie nelle famiglie, nelle scuole enelle comunità assistite e controlla l’igiene dell’ambiente e del rischio infettivo;

h) relaziona e verbalizza alle autorità competenti e propone soluzioni operative;i) opera nell’ambito dei Centri congiuntamente o in alternativa con i Servizi di educazione alla salute, ne-

gli uffici di relazione con il pubblico;l) collabora, per quanto di sua competenza, agli interventi di promozione ed educazione alla salute nelle

scuole;

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l’esercizio della professione infermieristica – Capitolo 2

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m) partecipa alle iniziative di valutazione e miglioramento della qualità delle prestazioni sanitarie rile-vando, in particolare, i livelli di gradimento da parte degli utenti;

n) concorre alle iniziative dirette alla tutela dei diritti dei cittadini con particolare riferimento alla pro-mozione della salute;

o) partecipa alle attività organizzate in forma dipartimentale, sia distrettuali che ospedaliere, con fun-zioni di raccordo interprofessionale, con particolare riguardo ai dipartimenti destinati a dare at-tuazione ai progetti-obiettivo individuati dalla programmazione sanitaria nazionale, regionale e lo-cale;

p) svolge le proprie funzioni con autonomia professionale anche mediante l’uso di tecniche e strumentispecifici;

q) svolge attività didattico-formativa e di consulenza nei servizi, ove richiesta la sua competenza pro-fessionale;

r) agisce sia individualmente sia in collaborazione con altri operatori sanitari, sociali e scolastici, avva-lendosi, ove necessario, dell’opera del personale di supporto.

4. L’assistente sanitario contribuisce alla formazione del personale di supporto e concorre direttamente all’ag-giornamento relativo al proprio profilo professionale.

5. L’assistente sanitario svolge la sua attività in strutture pubbliche e private, in regime di dipendenza o li-bero-professionale.

Art. 21. Il diploma universitario di assistente sanitario, conseguito ai sensi dell’art. 6, comma 3, del D.Lgs. 30 di-

cembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, abilita all’esercizio della professione, previa iscrizioneall’albo professionale.

Decreto 17 gennaio 1997, n. 70Regolamento concernente l’individuazione della figura e relativo profilo professionale dell’infermiere pediatrico

Art. 11. È individuata la figura professionale dell’infermiere pediatrico con il seguente profilo: l’infermiere pedia-

trico è l’operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante e dell’iscrizione all’alboprofessionale è responsabile dell’assistenza infermieristica pediatrica.

2. L’assistenza infermieristica pediatrica, preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa è di natura tecnica, re-lazionale, educativa. Le principali funzioni sono la prevenzione delle malattie, l’assistenza dei malati e deidisabili in età evolutiva e l’educazione sanitaria.

3. L’infermiere pediatrico:a) partecipa all’identificazione dei bisogni di salute fisica e psichica del neonato, del bambino, dell’ado-

lescente, della famiglia;b) identifica i bisogni di assistenza infermieristica pediatrica e formula i relativi obiettivi;c) pianifica, conduce e valuta l’intervento assistenziale infermieristico pediatrico;d) partecipa:

1) a interventi di educazione sanitaria nell’ambito della famiglia e della comunità;2) alla cura degli individui sani in età evolutiva nel quadro di programmi di promozione della salute

e prevenzione delle malattie e degli incidenti;3) all’assistenza ambulatoriale, domiciliare e ospedaliera dei neonati;4) all’assistenza ambulatoriale, domiciliare e ospedaliera dei soggetti di età inferiore a 18 anni affetti

da malattie acute e croniche;5) alla cura degli individui in età adolescenziale nel quadro dei programmi di prevenzione e supporto

socio-sanitario;e) garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche;f) agisce sia individualmente sia in collaborazione con gli operatori sanitari e sociali;g) si avvale, ove necessario, dell’opera del personale di supporto per l’espletamento delle funzioni.

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Capitolo 2 – l’esercizio della professione infermieristica

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4. L’infermiere pediatrico contribuisce alla formazione del personale di supporto e concorre direttamenteall’aggiornamento relativo al proprio profilo professionale.

5. L’infermiere pediatrico svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie pubbliche o private, nel ter-ritorio e nell’assistenza domiciliare, in regime di dipendenza o libero-professionale.

Art. 21. Il diploma universitario di infermiere pediatrico, conseguito ai sensi dell’art. 6, comma 3, del D.Lgs. 30

dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, abilita all’esercizio della professione, previa iscrizioneall’albo professionale.

Commento ai profili professionali dell’infermiere e dell’infermiere pediatrico In questa sede ci limiteremo al commento sulle linee generali dei profili approfondendo più avantile ricadute operative sulla responsabilità e sull’esercizio professionale.Non vi sono dubbi sul fatto che i profili professionali siano costruiti su basi volutamente am-

pie che risentono del dibattito politico, giuridico e professionale degli anni Novanta dello scorsosecolo. All’epoca furono salutati per la loro carica di innovazione. Occore porre in evidenza al-cune sottolineature in relazione al momento storico in cui tali profili furono emanati. La scomparsa dell’aggettivo professionale oggi viene ancora ricordata per la convivenza del

vetusto sistema ordinistico che obbliga gli infermieri a iscriversi all’albo degli “infermieri pro-fessionali” oggi non più esistenti nel sistema formativo. Di particolare attuale importanza è l’affermazione di responsabilità del profilo relativa all’in-

fermiere “responsabile dell’assistenza generale infermieristica” per quanto concerne l’infermieregeneralista, e di responsabilità dell’assistenza “infermieristica pediatrica” per quanto riguardal’infermiere pediatrico. La responsabilità dell’assistenza generale deve essere congiuntamenteletta con le successive evoluzioni normative di cui abbiamo già accennato nel precedente para-grafo relative, in particolare, alle statuizioni della legge 26 febbraio 1999, n. 42 recante “Dispo-sizioni in materia di professioni sanitarie” laddove si individua per l’infermiere e per l’infermierepediatrico – e anche per tutte le professioni sanitarie che hanno visto la pubblicazione di profiliprofessionali (vedi cap. 10) – “un campo proprio di attività e di responsabilità”. L’interpretazionedi “campo proprio” potrebbe essere “che riveste carattere esclusivo”, il che porterebbe quindi astabilire che l’attività attribuita a una particolare figura professionale risulterebbe “protetta” equindi non invadibile e non esercitabile da altre professioni (sui concetti di “attività esclusiva”,di “attività protetta” e di “attività riservata” vedi cap. 7 relativo all’esercizio abusivo della pro-fessione). Secondo questa interpretazione quindi nessuna figura sanitaria non abilitata potrebbeesercitare attività tipiche ed esclusive della professione riguardante lo specifico profilo.Una sentenza della Corte di Cassazione ha stabilito un paletto riguardante la professione me-

dica, precisando che la normativa che riguarda i profili professionali “si riferisce ai non laureati(al tempo quindi anche agli infermieri, N.d.A.) e non al medico, che in quanto titolare della lau-rea in medicina e chirurgia è abilitato ad esplicare assistenza sanitaria in funzione di preven-zione, diagnosi, e cura…”. Non solo, la Suprema corte precisa che il “medico, in quanto iscrittoall’ordine, può esplicare lecitamente attività professionale, la quale è caratterizzata dall’auto-nomia sia nella scelta dell’area di intervento, sia nell’accettazione o meno delle domande di as-sistenza rivoltegli”.3

Anche il punto 5 del profilo è degno di menzione con delle riflessioni mature. Negli anni Set-tanta dello scorso secolo, politiche di impronta prevalentemente sindacale portarono alla crea-

3 Cassazione penale, VI sez., 25 novembre 2003, n. 49116.

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zione di quella figura che venne chiamata “infermiere unico e polivalente”. Si trattava di una fi-gura di carattere generalista – la maggior parte degli infermieri lo è a tutt’oggi – in grado di lavo-rare in qualunque contesto senza bisogno di ulteriori momenti formativi specifici. Con la pubbli-cazione del profilo professionale del 1994 si è voluto, per l’infermiere – e non anche per l’infer-miere pediatrico – aprire la strada a dei percorsi maggiormente specialistici ancorché generica-mente chiamati percorsi formativi “post-base”. Sono state individuate nel profilo dell’infermierecinque aree: la sanità pubblica, l’infermieristica pediatrica (di fatto superata dalla pubblicazionedel profilo dell’infermiere pediatrico nel 1997 anche se non viene certo esclusa la possibilità dellaformazione pediatrica post-base per l’infermiere generalista), la psichiatria, la geriatria e l’areacritica. Il profilo dell’infermiere è l’unico, insieme al profilo del fisioterapista, a prevedere diret-tamente nella norma i percorsi di “formazione complementare”.All’epoca suscitò polemiche la mancata previsione, proprio per la formazione complemen-

tare, della figura dell’infermiere addetto al controllo delle infezioni ospedaliere e si preferì inveceinserire l’infermiere geriatrico in quanto ritenuto prioritario.4

Sembrava cioè che nel dibattito dell’epoca la mancata previsione, all’interno del profilo pro-fessionale, della formazione complementare specifica ne precludesse il percorso stesso. Si è poivisto che non è stato così e oggi la formazione post-base si è notevolmente sviluppata – in se-guito alle riforme universitarie, attraverso il conseguimento dei master di primo e secondo livello– e anche notevolmente arricchita di ricchi e articolati percorsi formativi (per tutoraggio clinico,infermieristica legale, risk management, vulnologia ecc.) ben oltre le previsioni del profilo del1994.Come vedremo oltre, per effetto del disposto contenuto nella legge 1 febbraio 2006, n. 43 “Di-

sposizioni in materia di professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sa-nitarie e della prevenzione e delega al Governo per l’istituzione dei relativi ordini professionali”si sancisce il pieno riconoscimento della formazione post-base delle professioni sanitarie attra-verso la qualifica di “specialista” a coloro che hanno conseguito un master (non afferente all’areagestionale).Possiamo notare invece il ritardo delle disposizioni contrattuali in materia che non menzio-

nano la figura dello specialista.Registriamo infine, in questa sede, l’ormai storico cambiamento di nome della figura della vi-

gilatrice d’infanzia – denominazione in realtà non felicissima – e la sua trasformazione in infer-miere pediatrico. Per i ritardi normativi dovuti al mancato riordino del sistema ordinistico la vi-gilatrice d’infanzia sopravvive come denominazione negli albi professionali che oggi contengonogli elenchi degli infermieri pediatrici. Il limite di esercizio professionale è limitato alla – inveroampia – fascia di età dei diciotto anni.

L’ESERCIZIO PROFESSIONALE

Le attribuzioni dell’infermiere: il superamento del sistema mansionariale Il sistema tradizionale di abilitazione all’esercizio professionale era stabilito dal cosiddetto man-sionario, recepito dal D.P.R. 14 marzo 1974, n. 225. Più esattamente il mansionario contenevaun insieme di funzioni e mansioni di carattere rigido ed esaustivo.

l’esercizio della professione infermieristica – Capitolo 2

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4 Si riporta la premessa contenuta all’interno del D.M. 739/1994: “Ritenuto che, in considerazione dellapriorità attribuita dal piano sanitario nazionale alla tutela della salute degli anziani, sia opportuno prevedereespressamente la figura dell'infermiere geriatrico addetto all'area geriatrica anziché quella dell'infermiereaddetto al controllo delle infezioni ospedaliere, la cui casistica assume minor rilievo”.

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Ne conseguiva che tutto ciò che non era specificamente compreso era da considerarsi di com-petenza medica. Come vedremo nel proseguimento di questo capitolo, vi erano anche altri riferimenti nor-

mativi che regolavano le mansioni degli infermieri professionali – le fonti extramansionariali,di cui oggi ne residuano solo alcune – ma è indubbio che il mansionario ne costituiva il corpusprincipale. Il profilo professionale recepito con il D.M. 14 settembre 1994, n. 739, pur avendo innovato i

criteri per l’esercizio professionale, indicando una cornice ampia, di competenza infermieristica,conservava un rapporto di convivenza non facile con il mansionario. Il mansionario5 si compo-

Capitolo 2 – l’esercizio della professione infermieristica

14

5 Per completezza riportiamo qui di seguito e per esteso gli articoli 1-4 abrogati:Art. 1 – Mansioni dell’infermiere professionaleLe attribuzioni di caratterere organizzativo e amministrativo degli infermieri professionali sono le seguenti:a) programmazione di propri piani di lavoro e di quelli del personale alle proprie dipendenze, loro presenta-

zione ai superiori e successiva attuazione;b) annotazione sulle schede cliniche degli abituali ri lievi di competenza (temperatura, polso, respiro, pres -

sione, secreti, escreti) e conservazione di tutta la documentazione clinica sino al momento della conse-gna agli archivi centrali; registrazione su apposito diario delle prescrizioni mediche, delle consegne edelle osservazioni eseguite durante il servizio;

c) richiesta ordinaria e urgente di interventi medici e di altro personale a seconda delle esigenze sanitarie,sociali e spirituali degli assistiti;

d) compilazione dei dati sul movimento degli assistiti e collaborazione alla raccolta ed elaborazione di datistatistici relativi al servizio;

e) tenuta e compilazione dei registri e dei moduli di uso corrente;f) registrazione del carico e scarico dei medicinali, dei disinfettanti, dei veleni e degli stupefacenti; loro cu-

stodia e sorveglianza sulla distruzione. Custodia delle apparecchia ture e delle dotazioni di reparto;g) controllo della pulizia, ventilazione, illuminazione e riscaldamento di tutti i locali del reparto;h) sorveglianza sulle attività dei malati affinché le stesse si attuino secondo le norme di convivenza pre-

scritte dai regolamenti interni.Gli infermieri professionali sono inoltre tenuti:1. a partecipare alle riunioni periodiche di gruppo e alle ricerche sulle tecniche e sui tempi dell’assistenza;2. a promuovere tutte le iniziative di competenza per soddisfare le esigenze psicologiche del malato e permantenere un clima di buone relazioni umane con i pazienti e con le loro famiglie;

3. a eseguire ogni altro compito inerente alle loro funzioni.Art. 2 Le attribuzioni assistenziali dirette e indirette degli infermieri professionali sono le seguenti:1. assistenza completa dell’infermo;2. somministrazione dei medicinali prescritti ed e se cuzione dei trattamenti speciali curativi ordinati dal medico;3. sorveglianza e somministrazione delle diete;4. assistenza al medico nelle varie attività di reparto e di sala operatoria;5. rilevamento delle condizioni generali del paziente, del polso, della temperatura, della pressione arte-riosa e della frequenza respiratoria;

6. effettuazione degli esami di laboratorio più semplici;7. raccolta, conservazione e invio in laboratorio del materiale per le ricerche diagnostiche;8. disinfezione e sterilizzazione del materiale per l’assistenza diretta al malato;9. opera di educazione sanitaria del paziente e dei suoi familiari;10. opera di orientamento e di istruzione nei confronti del personale generico, degli allievi e del personale

esecutivo;11. interventi d’urgenza (respirazione artificiale, ossigenoterapia, massaggio cardiaco esterno, manovre

emostatiche) seguiti da immediata richiesta di intervento medico;12. somministrazione dei medicinali prescritti ed esecuzione dei seguenti trattamenti diagnostici e curativi

ordinati dal medico:a) prelievo capillare e venoso del sangue;

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neva di sei articoli di cui solo i primi due erano dedicati specificamente all’infermiere professio-nale, il terzo definiva le mansioni delle vigilatrici di infanzia, il quarto le mansioni dell’infermiereprofessionale specializzato in anestesia e rianimazione, il quinto riguardava gli assistenti sani-tari, il sesto le mansioni degli infermieri generici, unico articolo sopravvissuto all’abrogazione.

l’esercizio della professione infermieristica – Capitolo 2

15

b) iniezioni ipodermiche, intramuscolari e test al ler go-diagnostici;c) ipodermoclisi;d) vaccinazioni per via orale, per via intramuscolare e percutanee;e) rettoclisi;f) frizioni, impacchi, massaggi, ginnastica medica;g) applicazioni elettriche più semplici, esecuzione di ECG, EEG e similari;h) medicazioni e bendaggi;i) clisteri evacuanti, medicamentosi e nutritivi;l) lavande vaginali;m) cateterismo nella donna;n) cateterismo nell’uomo con cateteri molli;o) sondaggio gastrico e duodenale a scopo diagnostico;p) lavanda gastrica;q) bagni terapeutici e medicati;r) prelevamento di secrezioni ed escrezioni a scopo diagnostico; prelevamento dei tamponi.

Le prestazioni di cui ai punti d), g), n), o), p), debbono essere eseguite su prescrizione e sotto controllo me -dico.È consentita agli infermieri professionali la pratica delle iniezioni endovenose. Tale attività potrà esseresvolta dagli infermieri professionali soltanto nell’ambito di orga nizza zioni ospedaliere o cliniche universi-tarie e sotto indicazione specifica del medico responsabile del reparto.Art. 3 – Mansioni della vigilatrice d’infanziaLa vigilatrice d’infanzia, oltre alle mansioni previste per gli infermieri professionali, limitatamente all’in-fanzia, è autorizzata a procedere alla somministrazione con sonda gastrica degli alimenti ai neonati; e hala responsabilità della preparazione, conservazione e somministrazione degli alimenti per i neonati, per iminori a essa affidati, il tutto su prescrizione medica.Art. 4 – Mansioni dell’infermiere professionale specializzatoL’infermiere professionale specializzato in anestesia o rianimazione o in terapia intensiva, oltre alle man-sioni indicate per gli infermieri professionali, ha le seguenti attribuzioni assistenziali dirette o indirettedell’infermo, nell’ambito dell’ospedale:– assistenza al medico specialista nelle varie attività di reparto (visite preoperatorie, consulenze), di sa -

la operatoria presso centri di rianimazione;– raccolta, conservazione e archiviazione delle schede di anestesia e delle cartelle di rianimazione;– somministrazione della medicazione preanestetica prescritta dallo specialista;– preparazione delle apparecchiature e del materiale necessario per l’anestesia generale;– pulizia, disinfezione e sterilizzazione delle apparecchiature e del materiale occorrente per l’anestesia;– assistenza allo specialista nel corso dell’anestesia limitatamente alla sola sorveglianza e al trattamento

di supporto del paziente (richieste di sangue, sostituzioni di fleboclisi, approvvigionamento di sostanzefarmacologiche varie, controllo del polso e della pressione, compilazione della scheda di anestesia);

– sorveglianza del polso, della pressione e del respiro nell’immediato periodo post-operatorio, nella saladi risveglio, ed esecuzione di pratiche terapeutiche inerenti alla sua qualifica (iniezioni intramuscolari,rinnovo di fleboclisi-ossigenoterapia con maschera e tenda e su ordine e sotto controllo dello specia-lista);

– controllo, in reparto, della esecuzione di tutte le prescrizioni della cartella di anestesia;– sorveglianza della regolarità del funzionamento de gli apparecchi di respirazione automatica, di moni-

toraggio, di emodialisi, dei materassi ipotermici ecc., per richiedere al primo segno di anormale fun-zionamento l’immediato intervento medico;

– alimentazione attraverso il sondino.

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Anche fonti terziarie, e segnatamente circolari, erano intervenute nell’interpretazione dellenorme mansionariali.6

I criteri e i limiti all’esercizio professionale Le innovazioni apportate con la legge 26 febbraio 1999, n. 42, recante disposizioni in materiadi professioni sanitarie, sono rilevanti ed epocali. Per la prima volta si delinea un esercizio pro-fessionale senza mansionario. Data l’importanza del cambiamento, riportiamo la parte dell’art. 1che sancisce l’abrogazione del mansionario:

Dalla data di entrata in vigore della presente legge sono abrogati il regolamento approvato con D.P.R. 14 marzo1974, n. 225,7 a eccezione delle disposizioni previste dal titolo V, il D.P.R. 7 marzo 1975, n. 1638 e l’art. 24del regolamento approvato con D.P.R. 6 marzo 1968, n. 6809 e successive modificazioni. Il campo proprio diattività e di responsabilità delle professioni sanitarie di cui all’art. 6, comma 3, del D.Lgs. 30 dicembre 1992,n. 502, e successive modificazioni e integrazioni, è determinato dai contenuti dei decreti ministeriali istitutividei relativi profili professionali e degli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di diploma universitario e di for-mazione post-base nonché degli specifici codici deontologici, fatte salve le competenze previste per le pro-fessioni mediche e per le altre professioni del ruolo sanitario per l’accesso alle quali è richiesto il possesso deldiploma di laurea, nel rispetto reciproco delle specifiche competenze professionali.

Viene abolito il mansionario e vengono indicati tre criteri guida e due criteri limite. I criteriguida sono dati dal contenuto dei profili professionali, dalla formazione di base e post-basericevuta e dal codice deontologico.10

Il “campo proprio di attività e di responsabilità” corrisponde dunque al combinato dispostodei contenuti del profilo professionale – unico atto normativo a cui si richiama la legge – che ap-pare, giustappunto come una guida ampia non destinata a entrare nel dettaglio. Le espressioniutilizzate, in parte già viste – del seguente tenore: l’infermiere è “responsabile dell’assistenza ge-

Capitolo 2 – l’esercizio della professione infermieristica

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6 Il riferimento è alla circolare del Ministero della sanità in data 12 aprile 1986, n. 28, in cui si rendeva notoil parere del Consiglio superiore di sanità, che riportiamo per esteso:“L’applicazione semplice della fleboclisi – con esclusione della cateterizzazione – può considerarsi equiva-lente alla iniezione endovenosa e quindi praticabile dall’infermiere professionale, il quale ha già per altro laben maggiore responsabilità della preparazione del flacone contenente i farmaci prescritti dal medico, allestesse condizioni della inie zione endovenosa la quale comporta:a) la possibilità di esecuzione solo in ambito ospedaliero perché l’iniezione endovenosa è considerata pra-

tica medica;b) prescrizione specifica del medico responsabile di reparto in cartella clinica con indicazione sulla ese-

cuzione;c) annotazione in cartella clinica da parte del medico responsabile sui farmaci che comportano rischi per

il paziente e che debbono essere somministrati con la presenza del medico.L’infermiere professionale cui è delegata l’esecuzione dell’iniezione endovenosa, quando ricorrono le predettecondizioni, non ha difficoltà a sottrarsi a tale compito.L’abilitazione dell’infermiere professionale all’esecuzione delle iniezioni endovenose e all’applicazione del lefleboclisi non può, allo stato attuale della normativa, essere trasfe rita anche nella pratica dell’assistenza do-miciliare. Infatti la limitazione all’ambito di or ga nizzazioni ospedaliere voluta dalla normativa vi gente nonpuò non essere riferita alle garanzie che solo l’ambiente ospedaliero offre sulla possibilità di un tempestivointervento del medico in caso di necessità”. Successivamente il Consiglio di stato con parere espresso in data3 giugno 1987 ha ritenuto lecita l’ese cuzione della iniezione endovenosa anche nelle case di cura private.7 Mansionario infermieri (a eccezione dell’articolo che riguarda le competenze dell’infermiere generico).8 Mansionario ostetriche.9 Mansionario tecnici sanitari di radiologia medica.10 Benci L., “Professioni sanitarie non più ausiliarie”, Ri vi sta di diritto delle professioni sanitarie, 1, 1999.

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nerale infermieristica”; “pianifica, gestisce e valuta l’intervento assistenziale infermieristico”;“garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche” ecc. – sono de-stinate a essere di volta in volta interpretate in relazione alle singole questioni poste.L’altro criterio guida per l’esercizio professionale è dato dal contenuto degli ordinamenti di-

dattici dei corsi di laurea e di laurea magistrale che sono stati recentemente cambiati11 senzatuttavia apportare grandi e rilevanti modifiche. Sono di pertinenza invece di ogni singola uni-versità gli ordinamenti dei corsi post-laurea denominati master. In questo caso le problemati-che interpretative si accrescono visto che, anche a parità di denominazione del master, possonocorrispondere programmi parzialmente diversi. In verità deve essere riconosciuta la non semplicità dell’interpretazione di questo criterio

guida posto dalla legge 42/99 che per fortuna si pone come solo uno dei tre criteri guida e chedeve essere letto congiuntamente agli altri due.Infine l’ultimo criterio guida è dato dal codice deontologico di categoria che è stato emanato

dalla Federazione Nazionale dei Collegi IPASVI. Per una lettura e un commento approfondito sirimanda al capitolo 13 sottolineando, in questa sede, come la legge abbia voluto demandare auna normativa posta in essere dagli ordini professionali la codificazione di questioni etiche e co-munque non giuridiche. Tra l’altro, deve essere ricordato che il rimando a una normativa deon-tologica costituisce un riconoscimento forte di autonomia per la professione infermieristica.Oltre ai tre criteri guida la legge pone due criteri limite: il limite delle competenze previste

per i medici e per gli altri professionisti sanitari laureati. Il limite dell’atto medico si connota perla sua difficile individuazione per motivi che potremmo definire storici, in quanto nel nostro or-dinamento da sempre vi è una sorta di equivalenza tra l’atto sanitario e l’atto medico. Equiva-lenza che ha trovato recentemente anche l’avallo della giurisprudenza della suprema Corte diCassazione che ha avuto modo di precisare che “solo una fonte normativa può consentire a sog-getti diversi da quelli esercitanti la professione di medico interventi invasivi sulla sfera corpo-rale, sulla base di un ragionevole riconoscimento di competenze tecniche e professionali”.12

A fronte di una situazione di equivalenza, venuta meno, tra atto sanitario e atto medico, ri-sulta non facile il lavoro dell’interprete per l’individuazione degli atti di non esclusiva compe-tenza medica, e può esserci un certo rischio di ondeggiante giurisprudenza sul punto. Apparechiaro che il nostro ordinamento è passato da una situazione di evidente rigidità interpretativa,caratterizzata dall’esistenza stessa di mansionari, a una situazione di maggiore flessibilità, conuna interpretazione dei ruoli e delle funzioni di ciascuna figura in modo non precostituito, madestinato a letture di carattere storico-evolutivo, con particolare riguardo all’evoluzione delleconoscenze necessarie per compiere determinati atti. Il limite testuale richiamato dalla legge42/1999 è quindi dato dalla “competenza prevista per le professioni mediche” e per le altre pro-fessioni sanitarie. La dottrina si è divisa sul significato di competenza avendo notato che il ter-mine assume una duplice valenza: competenza come “ciò che compete”, “ciò che è di perti-nenza”, ma anche competenza come “capacità”, come “insieme di conoscenze”. Con una ri-flessione matura potremmo dire che entrambe le interpretazioni avrebbero diritto di cittadi-

l’esercizio della professione infermieristica – Capitolo 2

17

11 D.M. 19 febbraio 2009 “Determinazione delle classi dei corsi di laurea per le professioni sanitarie, ai sensidel decreto ministeriale 22 ottobre 2004, n. 270”, e per le lauree magistrali D.M. 8 gennaio 2009 “Determi-nazione delle classi delle lauree magistrali delle professioni sanitarie, ai sensi del decreto ministeriale 22 ot-tobre 2004, n. 270”.12 Cassazione penale, VI sez., 21 febbraio 1997. La sentenza si riferiva a un caso di esercizio abusivo di pro-fessione, contestato a un biologo che effettuava prelievi ematici. La Corte ha sta bilito che “nessuna fontenormativa, primaria o regolamentare, abilita i biologi a effettuare prelievi di sangue finalizzati all’analisi”,non riconoscendo quindi tale attribuzione co me lecita ai biologi.

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nanza, senza però offrire spunti decisivi per la risoluzione di alcune contraddizioni che sonoda fare risalire al dato testuale della legge. La nuova situazione si presenta pressoché antite-tica rispetto all’interpretazione tradizionale della suprema Corte di Cassazione che conside-rava vincolante per l’esercizio professionale il possesso del titolo e dell’abilitazione arrivandoad affermare che dovevano “considerarsi irrilevanti la perizia, la capacità e l’abilità del sog-getto”,13 criteri che oggi vengono invece posti, come abbiamo visto, come criteri guida perl’esercizio professionale. È anche vero che i tradizionali ambiti peculiari della professione me-dica sono da sempre, nella pubblicistica, nella trattatistica e nella giurisprudenza, individuaticome l’ambito della diagnosi e della cura.14

Limiti insopprimibili dell’attività medica ma non sempre esclusivi. I riferimenti, anche nor-mativi, in questi anni non sono mancati,15 tanto da poter azzardarsi ad affermare che le normecontenute nella legge appena approvata costringono a un ripensamento e a un ridisegnamentodelle competenze delle professioni sanitarie non mediche con la professione medica, visto an-che il disposto finale della legge che precisa che l’esercizio professionale deve avvenire “nelrispetto reciproco delle specifiche competenze professionali”. Fino a qualche anno fa è prevalsa un’interpretazione maggioritaria che considerava “com-

petenza” come sinonimo di “compito”. Ciò ha portato a delle contraddizioni nell’intera letturadel testo, che non sarebbero emerse se “competenza” fosse stata letta come “capacità”. Vienenotato, sempre in dottrina, che la frase interpretata “continuerebbe a non avere un particolaresignificato, ma almeno non sarebbe più contraddittoria”.16 Le riflessioni odierne portano a pri-vilegiare l’interpretazione competenza-capacità, anche se non è da escludere che laddove pre-cisi disposti normativi – rarissimi invero – indichino come attività di natura medica talune at-tività sanitarie si riespande l’intepretazione di competenza come compito. D’altra parte, sono gli stessi principi generali di interpretazione delle norme che specificano

che qualora l’interpretazione letterale non porti ad alcun risultato si deve passare all’interpre-tazione logica.17

Nella professione infermieristica, il livello autonomo è dato in primo luogo dal disposto con-tenuto nel primo articolo del D.M. 14 settembre 1994, n. 739 nella parte in cui si precisa chel’infermiere “è responsabile dell’assistenza generale infermieristica”.

Capitolo 2 – l’esercizio della professione infermieristica

18

13 Cassazione penale, 9 gennaio 1966, n. 383.14 Vedi tra gli ultimi Barni M., “Il medico è responsabile della diagnosi e della terapia, cioè dell’attività dia-gnostica, delle scelte e delle attività terapeutiche”, in Benci L. (a cura di), Il medico e l’infermiere a giudizio,Atti del 1° Congresso Nazionale sulle Re spon sa bilità Con divise, p. 122. Vedi anche Norelli G.A., Maz zeo E.,“L’obbligo di bene operare e il dovere di prestare assistenza”, in Trattato di medicina legale e scien ze affini,vol. I, Cedam, Padova, 1998, p. 596.15 Vedi per esempio il D.M. 15 settembre 1975 recante le “Istruzioni per l’esercizio professionale delle oste-triche” che all’art. 10 dà facoltà alle ostetriche di somministrare alcuni tipi di far maco senza prescrizione me-dica (iniezioni antispastiche, uterotoniche, analettici, cardiotonici). Vedi anche il D.P.R. 27 marzo 1992 re-cante l’“Atto di indirizzo e di coordinamento alle Regioni per la determinazione dei livelli di assistenza sa-nitaria di emergenza”, dove in presenza di protocolli si prevede la possibilità per l’infermiere di “sommini-strare farmaci e praticare iniezioni per via endovenosa e fleboclisi nonché svolgere le altre attività e mano-vre atte a salvaguardare le funzioni vitali, previste dai protocolli decisi dal medico responsabile del servizio”.16 Rodriguez D., Aprile A., Medicina legale per infermieri, Carocci, Roma, 2004, p. 30. Gli autori sottolineanoche l’interpretazione di competenza come compito pare essere maggioritaria, ma pone delle insormontabilidifficoltà di comprensione nel prosieguo della norma laddove si stabilisce, nei criteri limite, che non devonoessere oltrepassate le “competenze” previste per la professione medica laddove competenze – non essendoelencate da fonte normativa – sembrerebbe a questo punto fare riferimento a capacità.17 L’art. 12 delle “preleggi” allegate al codice civile stabilisce che la prima interpretazione da fare è quella

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L’attività collaborante viene invece sottolineata dal terzo comma, punto a) dello stesso ar-ticolo laddove viene sottolineata la funzione integrante medico-infermiere, quando si speci-fica che l’infermiere “partecipa alla identificazione dei bisogni di salute della persona e dellacollettività”, laddove per partecipare si intende un’attività non autonoma, ma svolta in colla-borazione e in équipe. Inoltre il punto d) stabilisce che l’infermiere “garantisce la corretta ap-plicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche” poste in essere dal medico. Ancora, ilpunto e) ha modo di precisare, puntualmente, che l’infermiere “agisce sia individualmente siain collaborazione con gli altri operatori sanitari e sociali”.Insomma, la legge in tema di disposizione delle professioni sanitarie ha aperto una nuova

sfida e una nuova epoca, sancendo la fine del monopolio della figura medica, quanto menocome unica figura riconosciuta come professionista a livello normativo.È necessaria però un’opera di forte coinvolgimento di tutte le professioni coinvolte, di ela-

borazione, di riflessione, di ricostruzione del proprio specifico professionale, senza possibil-mente scivolare in posizioni precostituite o rigidamente corporative, con il chiaro scopo di ri-disegnare le competenze sulla base dei criteri guida – profilo, formazione ricevuta e deontolo-gia – indicati dalla legge di riforma dell’esercizio professionale. Registriamo negli ultimi anni un certo nervosismo da parte di alcuni settori professionali

che si oppongono a taluni cambiamenti organizzativi proposti in precisi ambiti regionali e resipossibili proprio da una normativa volutamente e dichiaratamente flessibile come quella pre-vista dalla legge 42/1999.18

IL RICONOSCIMENTO DELLA FUNZIONE SPECIALISTICA: LA CLASSIFICAZIONE APPORTATA DALLA LEGGE 43/2006

La legge 1 febbraio 2006, n. 43 “Disposizioni in materia di professioni sanitarie infermieristi-che, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione e delega al Governo per l’isti-tuzione dei relativi ordini professionali” ha apportato innovazioni che meritano di essere ap-profondite.La legge 43/2006 ha suddiviso i professionisti, o sarebbe meglio dire i professionisti che

operano in regime di lavoro dipendente, in:

1. professionisti addetti all’assistenza, con titolo di laurea o equipollente;2. professionisti coordinatori in possesso del master di primo livello nelle funzioni manageriali;3. professionisti specialisti in possesso del master di primo livello nelle funzioni specialistiche;4. professionisti dirigenti.

l’esercizio della professione infermieristica – Capitolo 2

19

letterale. Se non si arriva a un risultato si passa all’interpretazione “logica”, quella operata cioè secondo le“intenzioni” del legislatore. Di seguito l’articolo in questione:Art. 12 – “Preleggi”: interpretazione della leggeNell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato pro-prio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore.Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni cheregolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi gene-rali dell'ordinamento giuridico dello Stato.18 Il riferimento è alla polemica di alcuni ordini dei medici e di alcune sigle sindacali sulle sperimentazionigestionali del triage avanzato e dell’assistenza perioperatoria della Regione Emilia Romagna e della nuovamodalità di selezione e risoluzione delle urgenze minori al pronto soccorso attraverso il c.d. “See and Treat”della Regione Toscana. Per un approfondimento vedi cap. 8.

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La novità più rilevante consiste senza dubbio nel riconoscimento della funzione speciali-stica, posto che la carriera gestionale è da sempre presente nella professione infermieristicaanche se con caratteristiche parzialmente diverse. La funzione specialistica e il suo riconosci-mento invece è la situazione più nuova, quanto meno da un punto di vista legislativo. La nor-mativa contrattuale già nel 1999 aveva – senza molta convinzione in realtà – tentato l’intro-duzione di una carriera clinica con modalità orizzontale rispetto alla gestionale di maggioretradizione. La suddivisione della legge 43/2006 si pone in linea con le precendenti leggi e, inparticolare, con la legge 42/1999 che riconosceva come un professionista avesse un campoproprio di attività e di responsabilità anche in relazione alla formazione post-base. Qualcheperplessità si può avere in relazione alla qualifica di specialista. Nel mondo medico il conse-guimento di un master non dà diritto all’utilizzo del titolo di specialista, riservato solo a chiconsegue il più lungo percorso legato alle scuole di specialità. È comunque la prima volta checon chiarezza si individua un investimento sul percorso clinico. Dato che si rivolge sostan-zialmente ai professionisti dipendenti, saranno i contratti collettivi nazionali di lavoro a darecorpo alla carriera clinica.L’inquadramento degli infermieri coordinatori e degli infermieri dirigenti sarà trattato nel

capitolo 3, al quale si rimanda.

L’EQUIPOLLENZA DEI TITOLI

La legge 26 febbraio 1999, n. 42, recante “Disposizioni in materia di professioni sanitarie” pre-vede all’art. 4, comma 1, che “i diplomi e gli attestati conseguiti in base alla precedente nor-mativa, che abbiano permesso l’iscrizione ai relativi albi professionali o l’attività professionalein regime di lavoro dipendente o autonomo o che siano previsti dalla normativa concorsualedel personale del Servizio sanitario nazionale o degli altri comparti del settore pubblico, sonoequipollenti ai diplomi universitari di cui all’art. 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicem-bre 1992, n. 502, e successive modificazioni, ai fini dell’esercizio professionale e dell’accessoalla formazione post-base”.Il Ministero della sanità ha emanato tre distinti decreti che riconoscono l’equipollenza dei

titoli precedentemente presi con gli attuali diplomi universitari (prossimamente lauree trien-nali).Per dovere di completezza riportiamo per esteso i decreti, suddivisi per professione, seguiti daun commento che ne evidenzia gli aspetti problematici.

Decreto del Ministero della sanità 27 luglio 2000 Equipollenza di diplomi e attestati al diploma universitario di infermiere ai fini dell’esercizio professionale e dell’accesso alla formazione post-base

Art. 1I diplomi e gli attestati conseguiti in base alla normativa precedente a quella attuativa dell’art. 6, comma 3,del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni, che sono indicati nella sezioneB della tabella sotto riportata, sono equipollenti, ai sensi dell’art. 4, comma 1, della legge 26 febbraio 1999,n. 42, al diploma universitario di infermiere di cui al decreto del Ministero della sanità 14 settembre 1994,n. 739, indicato nella sezione A della stessa tabella, ai fini dell’esercizio professionale e dell’accesso allaformazione post-base.

Capitolo 2 – l’esercizio della professione infermieristica

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Sezione A Diploma universitario Sezione B Titoli equipollenti

Infermiere – Decreto del Ministro della sanità Infermiere professionale – Regio Decreto14 settembre 1994, n. 739 21 novembre 1929, n. 2330

Infermiere professionale – Decreto del Presidente della Repubblica

10 marzo 1982, n. 162 D.U. scienze infermieristiche – Legge 11 novembre 1990, n. 341

Art. 2L’equipollenza dei titoli indicati nella sezione B della tabella riportata nell’art. 1 al diploma universitario di in-fermiere indicato nella sezione A della stessa tabella, non produce, per il possessore del titolo, alcun effetto sullaposizione funzionale rivestita e sulle mansioni esercitate in ragione del titolo nei rapporti di lavoro dipendentegià instaurati alla data di entrata in vigore del presente decreto.

Decreto del Ministero della sanità 27 luglio 2000 Equipollenza del titolo di vigilatrici di infanzia al diploma universitario di infermiere pediatrico ai fini dell’esercizio professionale e dell’accesso alla formazione post-base

Art. 1Il titolo di vigilatrice d’infanzia conseguito in base alla legge 19 luglio 1940, n. 1098, è equipollente, ai sensidell’art. 4, comma 1, della legge 26 febbraio 1999, n. 42, al diploma universitario di infermiere pediatrico dicui al decreto del Ministro della sanità 17 gennaio 1997, n. 70, ai fini dell’esercizio professionale e dell’ac-cesso alla formazione post-base.

Art. 2L’equipollenza, di cui all’art. 1 del titolo di vigilatrice d’infanzia al diploma universitario di infermiere pedia-trico, non produce, per il possessore del titolo, alcun effetto sulla posizione funzionale rivestita e sulle man-sioni esercitate in ragione del titolo nei rapporti di lavoro dipendente già instaurati alla data di entrata in vi-gore del presente decreto.

Decreto del Ministero della sanità 27 luglio 2000 Equipollenza di diplomi e attestati al diploma universitario di assistente sanitario ai fini dell’esercizio professionale e dell’accesso alla formazione post-base

Art. 1I diplomi e gli attestati conseguiti in base alla normativa precedente a quella attuativa dell’art. 6, comma 3, deldecreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, che sono indicati nella sezione Bdella tabella sotto riportata, sono equipollenti, ai sensi dell’art. 4, comma 1, della legge 26 febbraio 1999, n.42, al diploma universitario di assistente sanitario, di cui al decreto del Ministro della sanità 17 gennaio 1997,n. 69, indicato nella sezione A della stessa tabella, ai fini dell’esercizio professionale e dell’accesso alla for-mazione post-base.

Art. 2L’equipollenza dei titoli indicati nella sezione B della tabella riportata nell’art. 1 al diploma universitario di as-sistente sanitario indicato nella sezione A della stessa tabella, non produce, per il possessore del titolo, alcuneffetto sulla posizione funzionale rivestita e sulle mansioni esercitate in ragione del titolo nei rapporti di lavorodipendente già instaurati alla data di entrata in vigore del presente decreto.

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Sezione A Diploma universitario Sezione B Titoli equipollenti

Assistente sanitario – Decreto del Ministro Assistente sanitaria visitatrice – Regio Decretodella sanità 17 gennaio 1997, n. 69 21 novembre 1929, n. 2330

Tecnico dell’educazione sanitaria – Decretodel Presidente della Repubblica10 marzo 1982, n. 162

L’equipollenza dei titoli conseguiti prima dell’avvento del diploma universitario e del diplomauniversitario al diploma di laurea triennale è stata sancita, quanto meno negli effetti legati alla pro-secuzione degli studi universitari – laurea specialistica e master – per tutte le professioni dal recenteD.L. 11 novembre 2001, n. 40219 convertito con la legge 8 febbraio 2002, n. 120 in cui si specificache “i diplomi, conseguiti in base alla normativa precedente, dalle professioni sanitarie ex lege n.42 del 1999 e n. 251 del 2000 e i diplomi di assistenti sociali, sono validi ai fini dell’accesso ai corsidi laurea specialistica, ai master e agli altri corsi di formazione post-base di cui al decreto mini-steriale n. 509 del 1999 attivati dalle università”. Pur non essendo una formale equipollenza, comeavvenuto con la legge 42/1999 e con i decreti del Ministero della sanità del 27 luglio 2000, è senzadubbio un’equipollenza nelle conseguenze concrete del titolo di studio.

CommentoLa lunga marcia del riconoscimento dei titoli precedenti all’istituzione della formazione universi-taria si compone di ben due leggi e un decreto.La legge 42/1999 e il D.M. 27 luglio 2000 hanno riconosciuto un’equipollenza totale tra i titoli

conseguiti precedentemente all’istituzione dei diplomi universitari e i diplomi universitari stessi. Sitratta in questo caso di un’equipollenza totale sia ai fini dell’esercizio professionale sia per il pro-seguimento dei corsi di studi. Diverso è invece il caso del disposto contenuto all’interno della legge1/2002 che riconosce come “validi” i titoli conseguiti precedentemente alla laurea triennale per laprosecuzione degli studi per i corsi post-laurea (master e laurea specialistica). Non si tratta in que-sto caso di una equipollenza come quella sancita dalle fonti normative precedenti, ma gli effetti peril prosieguo degli studi sono del tutto identici.C’è inoltre da rilevare che la posizione degli assi-stenti sanitari appare del tutto anomala, visto che sia il D.M. 29 marzo 2001 sia i decreti che isti-tuiscono le lauree triennali e le lauree specialistiche hanno inquadrato gli assistenti sanitari comeappartenenti alle professioni della prevenzione e non più come appartenenti alla professione in-fermieristica. La confusione su questa figura è ormai al massimo livello, tenendo conto che il ma-ster per infermiere di sanità pubblica porterà inevitabilmente all’interno del mercato del lavorouna figura decisamente più appetibile per le aziende del Servizio sanitario nazionale in quanto fi-gura più versatile.

L’EQUIPOLLENZA CON I TITOLI STRANIERI

Il titolo di studio di infermiere è riconosciuto equipollente ai titoli rilasciati all’interno del l’Unioneeuropea, in virtù di atti normativi di armonizzazione dei titoli di studio dei Paesi membri.21

Capitolo 2 – l’esercizio della professione infermieristica

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19 D.L. 12 novembre 2001, n. 402 “Disposizioni urgenti in materia di personale sanitario”.20 Legge 8 gennaio 2002, n. 1 “Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 12 novembre 2001, n. 402,recante disposizioni urgenti in materia di personale sanitario”.21 Legge 18 dicembre 1980, n. 905 “Diritto di stabilimento e libera prestazione dei servizi da parte degli in-fermieri professionali cittadini degli Stati membri della Comunità economica europea”.

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Per quanto riguarda invece gli stranieri non appartenenti all’Unione europea, la legge 6 mar -zo 1998, n. 40 “Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”22 prevedeall’art. 35 una modalità di riconoscimento del diploma di infermiere con una speciale proceduradisciplinata da un’apposita fonte regolamentare. Il professionista extracomunitario deve primachiedere il riconoscimento del diploma al Ministero della sanità e successivamente l’iscrizioneall’albo professionale previo superamento di un esame tendente ad accertare la conoscenzadella lingua italiana e delle norme che regolano l’esercizio professionale in Italia.

LE FONTI EXTRAMANSIONARIALI RESIDUE

Data la rigidità del sistema mansionariale, a partire dal 1990 il legislatore ha iniziato ad at tri buirefunzioni e compiti alla professione infermieristica in modo disorganico in varie fonti normative,di carattere legislativo e re go lamentare. Solo alcune di queste fonti sono sopravvissute all’ondata abrogratrice del mansionario, note

come “fonti extramansionariali residue”.

l’esercizio della professione infermieristica – Capitolo 2

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Allegato A. Titoli professionali inerenti l’esercizio dell’attività di infermiere professionaleNella Repubblica Federale Tedesca: Kranken schwe ster, Krankenpfleger. In Belgio: “hospitalier(ère)/verplee-gassistent(e)” infirmier(ère)” “hospitalier(ère)/zie ken hui sverpleger (verplegster)”. In Danimarca: “sy ge ple jer ske”;In Francia: “infirmier(ère)”. In Irlanda: “re giste red general nurse”. In Italia: “in fer miere professionale”. Nel Lus-semburgo: “infirmier”. Nei Paesi Bas si: “ver pleegkundige”. Nel Re gno Unito: Inghilterra, Gal les e Irlanda delNord: “sta te registered nurse”. Scozia: “registered gene ral nurse”.Allegato B. Diplomi, certificati e altri titoli rilasciati per l’esercizio della attività di infermiere professionalea) Nella Repubblica Federale Tedesca: i certificati ri la sciati dalle autorità competenti dei “Länder” in se guito

alla “staatliche Prüfung in der Krankenpflege” [esame di Stato per infermieri(e)]; gli attestati delle auto-rità competenti della Repubblica Federale Te de sca che certificano l’equipollenza dei diplomi rilasciatisuccessivamente all’8 maggio 1945 dalle autorità competenti della Repubblica Democratica Tede sca conquel li enumerati al primo punto della presente lettera;

b) Belgio: il brevetto di “hospitalier(èere)/verpleegassistent(e)” rilasciato dallo stato o dalle scuole citate oriconosciute dallo stato; il brevetto di “infirmier(ère) hospitalier(ère)/ziekenhuisverpleger (verpleegster)”rilasciato dalle scuole create o riconosciute dallo stato; il diploma di “infirmier(ère) gradué(e) hospi ta -lier(ère)/ge gradueerd ziekenhuisverpleger (verpleegster)” rilasciato dallo stato o dalle scuole superioriparamediche create o riconosciute dallo stato;

c) in Danimarca: il diploma di “sygeplejerske” rilasciato da una scuola per infermiere riconosciuta dal“Sundhedsstyrelsen” (Istituto nazionale della sanità);

d) in Francia: il diploma di stato di “infirmier(ère)” rilasciato dal Ministero della Sanità;e) in Irlanda: il certificato di “Registered General Nurse” rilasciato dall’“An Bord Altranais” (Nursing Board);f) in Italia: il diploma di abilitazione professionale per infermiere professionale, rilasciato dalle scuole ri-

conosciute dallo stato;g) nel Lussemburgo: il diploma di stato di “infirmier”; il diploma di stato di “infirmier hospitalier gradué”, ri-

lasciati dal Ministro della sanità pubblica, vista la decisione della commissione di esame;h) nei Paesi Bassi: il diploma di “verpleger A”, “verpleegster A”, “verpleegkundige A”; il diploma di “ver -

pleegkundige MBOV (Middelbare Beroep soplei ding Verpleegkundige); il diploma di “verpleekundigeHBOV (Hogere Bercopsepleiding Verpleegkundike)”, rilasciati da una delle commissioni di esame nomi-nate dalle autorità pubbliche;

i) nel Regno Unito: il certificato di ammissione alla parte generale del registro, rilasciato in Inghilterra e nelGalles da “The General Nursing Council for England and Wales”, in Scozia da “The General Nur sing Coun -cil for Scotland” e in Irlanda del Nord da “The nothern Ireland Council for Nurses and Mid wives”.

22 Successivamente incluso nel D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 “Testo unico delle disposizioni concernenti ladisciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”.

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Riportiamo in nota,23 per dovere di completezza, le fonti da considerarsi non più in vigore equi di seguito quelle vigenti. Le funzioni e le responsabilità dell’infermiere all’interno del sistemadi emergenza sa ni taria, comunemente chiamato 118, sono ap pro fondite al ca pitolo 8.

D.P.R. 27 marzo 1992Atto di indirizzo e coordinamento alle Regioni in materia di e mer genza sanitaria

Art. 4La responsabilità medico-organizzativa della centrale operativa è attribuita nominativamente, anche a rotazione,a un medico ospedaliero con qualifica non inferiore ad aiuto corresponsabile, preferibilmente anestesista, inpossesso di documentata esperienza e operante nella medesima area dell’emergenza. La centrale operativa è attiva per 24 ore al giorno e si avvale di personale infermieristico adeguatamente ad-destrato, nonché di competenze mediche di appoggio. […]La responsabilità operativa è affidata al personale infermieristico professionale della centrale, nell’ambito deiprotocolli decisi dal medico della centrale opera tiva.

Art. 10Il personale infermieristico professionale, nel lo svolgimento del servizio di emergenza, può essere autorizzatoa praticare iniezioni per via endovenosa e fleboclisi nonché a svolgere le altre attività e manovre atte a salva-guardare le funzioni vitali, previste dai protocolli decisi dal medico responsabile del servizio.

Tra le attività attribuite agli infermieri da fonti extramansionariali rientrava anche l’elet-troencefalogramma. Il D.M. 22 agosto 1994, n. 582 “Regolamento recante le modalità per l’ac-certamento e la certificazione di morte” emanato in seguito alla legge 29 dicembre 1993, n. 578denominata “Norme per l’accertamento e la certificazione di morte” ha trasferito, come vedremo,la competenza ai tecnici di neurofisiopatologia.Per quanto riguarda la competenza a effettuare gli EEG bisogna ricordare che lo stesso man-

sionario la contemplava. Con l’entrata in vigore del DM 582/1994 le competenze infermieristi-che in tema di elettroencefalografia si affievolirono. L’art. 4 del decreto in questione specificavache “l’esecuzione delle indagini elettroencefalografiche deve essere effettuata da tecnici di neu-rofisiopatologia sotto supervisione medica”.In mancanza di tale figura professionale, in via transitoria e a esaurimento e sempre sotto su-

pervisione medica, “l’esecuzione degli esami può essere affidata a tecnici e/o infermieri profes-sionali adeguatamente formati a svolgere tali mansioni”.Il tecnico di neurofisiopatologia è un professionista sanitario il cui profilo è stato pubblicato

in Gazzetta Ufficiale n. 116 del 20 maggio 1995 (D.M. 15 marzo 1995, n. 183). In tale decreto sonospecificati gli esami affidati al tecnico di neurofisiopatologia: elettroencefalografia (EEG), elet-troneuromiografia (EMG), poligrafia, potenziali evocati (PE) e ultrasuoni. Nelle more che si sono rese necessarie per l’istituzione di tale figura, l’esecuzione dell’elet-

troencefalogramma poteva continuare a essere effettuata dall’infermiere professionale “in viatransitoria e ad esaurimento” e adeguatamente formato a svolgere tali mansioni. Il successivo D.M. 11 aprile 2008 “Aggiornamento del decreto 22 agosto 1994, n. 582 relativo

al: «Regolamento recante le modalità per l'accertamento e la cert ificazione di morte»” attribui-

Capitolo 2 – l’esercizio della professione infermieristica

24

23 Legge 4 maggio 1990, n. 107, art. 103 “Disposizioni in merito alla trasfusione del sangue umano e ai suoicomponenti per la produzione di emoderivati”: “Il prelievo di sangue intero è eseguito da un medico, o sotto lasua responsabilità e in sua presenza, da un infermiere professionale.” Legge 5 giugno 1990, n. 135, art. 1 “Pro-gramma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l’AIDS”: “[…] Il trattamento a domicilio ha luogomediante l’impiego, per il tempo necessario, del personale infermieristico del reparto ospedaliero da cui è di-sposta la dimissione che opererà a domicilio secondo le stesse norme previste per l’ambiente ospe da lie ro […]”

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sce invece in via monopolistica l’esecuzione degli elettroencefalogrammi al tecnico di neuro-fi-siopatologia. Nell’allegato 1 “Modalità tecniche di esecuzione dell’elettroencefalogramma” silegge al punto 5, rubricato come “Personale addetto” che “l'esecuzione delle indagini elettroen-cefalografiche deve essere effettuata da tecnici di neurofisiopatologia sotto supervisione medica”.Nessun riferimento alla figura infermieristica. É quindi da ritenere chiusa la fase transitoria el’elettroencefalogramma – come tecnica di esecuzione – è da considerarsi attività riservata allafigura del tecnico di neurofisiopatologia.Anche per l’attività di triage si è provveduto a emanare un atto normativo. Lo riportiamo qui

di seguito.

Linee guida n. 1/1996 Gazzetta Ufficiale n. 114 del 17 maggio 1996In applicazione del D.P.R. 27 marzo 1992 sul sistema di emergenza e urgenza

All’interno dei DEA deve essere prevista la funzione di triage, come primo momento di accoglienza e valuta-zione dei pazienti in base a criteri definiti che con sentono di stabilire le priorità di intervento. Tale funzione èsvolta da personale infermieristico adeguatamente formato che opera secondo protocolli prestabiliti dal diri-gente del servizio.

Per il commento relativo alla funzione di triage si rimanda al capitolo 8, che riporta anche leindicazioni delle linee guida sul triage.24

L’ESERcIzIo InfERMIERISTIco PRofESSIonALE SEnzA MAnSIonARIo

Indicazioni Attività professionale fonti normative di riferimento

Criteri guida Profilo professionale Legge 42/1999Formazione ricevutaCodice deontologico

Criteri limite Competenze previste Legge 42/1999per la professione medica

Attribuzioni extra-mansionariali Competenze per l’emergenza D.P.R. 27 marzo 1992residue extraospedaliera

Triage Linee guida Ministero della sanitàn. 1/1996Linee guida triage 25 ottobre 2001

l’esercizio della professione infermieristica – Capitolo 2

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D.M. 19 dicembre 1990, n. 445 “Regolamento ministeriale concernente la determinazione dei limiti e dellemodalità di impiego dei farmaci sostitutivi negli stati di tossicodipendenza”: “L’assunzione dei farmaci sosti-tutivi ha luogo alla presenza del medico o di personale sanitario formalmente di volta in volta dallo stessodelegato nella sede del servizio. Nei casi di comprovata impossibilità da parte del soggetto in trattamento, lasomministrazione può essere domiciliare. Il personale addetto al trattamento deve accertare personalmente,sotto la propria responsabilità, l’assunzione del farmaco sostitutivo da parte del soggetto”.24 Accordo 25 ottobre 2001 “Accordo tra il Ministro della salute, le regioni e le province autonome sul do-cumento di linee-guida sul sistema di emergenza sanitaria concernente: ‘Triage intraospedaliero (valutazionegravità all’ingresso) e chirurgia della mano e microchirurgia nel sistema dell’emergenza-urgenza sanitaria’”,Gazzetta Ufficiale n. 285 del 7 dicembre 2001.

(segue)

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L’ESERcIzIo InfERMIERISTIco PRofESSIonALE SEnzA MAnSIonARIo (continua)

Indicazioni Attività professionale fonti normative di riferimento

Fonti normative successive Somministrazione radiofarmaci D.Lgs. 26 maggio 2000, n. 187all’abrogazione del mansionario

Competenze in centri trasfusionali D.P.C.M. 1 settembre 2000

Utilizzazione defibrillatori Legge 3 aprile 2001, n. 120semiautomatici in ambientiextraospedalieri

LE FONTI NORMATIVE SUCCESSIVE ALL’ABROGAZIONE DEL MANSIONARIO CHE ATTRIBUISCONO COMPITI AGLI INFERMIERI

Il legislatore, con una prassi decisamente dubbia rispetto al quadro normativo di carattere ge-nerale, ha continuato a emanare norme che riguardano specificamente l’esercizio professionaledell’infermiere. Ripor tia mo le ultime tre.La prima è contenuta all’interno del D.Lgs. 26 maggio 2000, n. 187 “Attuazione della di-

rettiva 97/43 in materia di protezione sanitaria delle persone contro i pericoli delle ra dia zioni io-nizzanti connesse a esposizioni mediche”. Trattando la materia della “preparazione e som -ministrazione di radiofarmaci”, attività definita dall’art. 2 della legge come “aspetti pratici”, e te-nendo presente che fino a quella data tale attività poteva essere tranquillamente definita comedi competenza del medico specialista, l’art. 5, comma 3, specifica che “gli aspetti pratici per l’ese-cuzione della procedura o di parte di essa possono essere delegati dallo specialista al tecnico sa-nitario di radiologia medica o all’infermiere o all’infermiere pediatrico, ciascuno nell’ambito dellerispettive competenze professionali”. Per l’effettuazione di questa nuova pratica è prevista sia laformazione di base,25 sia la creazione di corsi di formazione permanente per i professionisti chegià operano nei settori specifici di intervento.26

Capitolo 2 – l’esercizio della professione infermieristica

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25 D.Lgs. 187/2000, art. 7, comma 1 “Negli ordinamenti didattici dei corsi di laurea di medicina e chirurgia edi odontoiatria, dei diplomi di specializzazione in radiodiagnostica, radioterapia, medicina nucleare, fisicasanitaria, e delle altre specializzazioni mediche che possono comportare attività radiodiagnostiche comple-mentari all’esercizio clinico, nonché dei corsi di diploma universitario delle facoltà di medicina e chirurgia dicui all’articolo 6 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modifiche, è inserita l’attivitàdidattica in materia di radioprotezione nell’esposizione medica secondo i contenuti di cui all’allegato IV”.26 D.Lgs. 187/2000, art. 7, comma 2 “I dirigenti dell’area sanitaria che operano nei settori pubblici e privaticomportanti esposizioni mediche, nonché i professionisti sanitari dell’area tecnica, infermieristica e della ria-bilitazione individuati ai sensi dell’articolo 6 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e suc cessivemodifiche, che operano nei medesimi ambienti, dovranno acquisire, ove non previste dall’ordinamento deirispettivi corsi di diploma, di laurea o di specializzazione, le adeguate conoscenze circa le procedure e lenorme di radioprotezione per gli specifici compiti professionali”. Comma 7 “I responsabili dei programmi diformazione assicurano che la partecipazione agli aspetti pratici di coloro che seguono tali programmi av-venga sotto la loro responsabilità, gradualmente secondo le cognizioni acquisite”. Comma 8 “Il personale cheopera in ambiti professionali direttamente connessi con l’esposizione medica deve seguire corsi di forma-zione con periodicità quinquennale; nell’ambito della formazione continua di cui all’articolo 16 bis del citatodecreto legislativo n. 502 del 1992 è previsto un programma in materia di radioprotezione”.

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Questo è verosimilmente l’unico caso in cui si può in qualche modo essere autorizzati a uti-lizzare l’espressione, generalmente scorretta da un punto di vista normativo, di “atto medico de-legato”. Utilizziamo l’espressione “in qualche modo” in quanto è del tutto discutibile l’inclusionedei c.d. aspetti pratici della preparazione e della somministrazione dei radiofarmaci nell’alveoesclusivo della professione medica. La preparazione e la somministrazione di farmaci sono atti-vità che sono tradizionalmente demandate per competenza nell’organizzazione alla professioneinfermieristica.27 A ben vedere, l’espressione “atto medico delegato” risulta priva di significatoanche in questo contesto.La seconda fonte normativa che dopo l’abrogazione del mansionario attribuisce compiti,

o quanto meno li definisce, è costituita dal D.P.C.M. 1 settembre 2000 “Atto di indirizzo edi coordinamento in materia di requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi minimi perl’esercizio delle attività sanitarie relative alla medicina trasfusionale”. Alla tabella A – Per so -nale infermieristico (caposala, infermiere professionale, assistente sanitario) – si elencanodelle “mansioni esemplificative”. Rispetto al passato, quindi, l’intento è più blando e l’elen-cazione, che riportiamo, non ha caratteristiche di esaustività: “Ha le re spon sabilità della qua-lifica e relative competenze professionali. Svol ge le funzioni infermieristiche inerenti la rac-colta di sangue ed emocomponenti, l’aferesi terapeutico, le vaccinazioni necessarie ai dona-tori e politrasfusi (per esempio anti-epatite B), l’attività assistenziale in day hospital, se pre-visto. Nell’am bito del day hospital si rende inoltre garante dell’igiene ambientale, dell’attiva-zione e gestione delle procedure di ammissione e dimissione degli utenti, della verifica pe-riodica della qualità dell’assistenza e del grado di soddisfazione dei bisogni dell’utenza. Colla -bo ra con le Asso cia zio ni e Federazioni di volontariato per l’organizzazione di campagne dipropaganda, prevenzione ed educazione alla salute nei confronti dei donatori e pazienti. Ef-fettua le rilevazioni statistiche necessarie, ivi comprese quelle inerenti il re gistro nazionalesangue. Svolge altresì funzioni di carattere organizzativo e le attività amministrative legateall’informatizzazione di specifica competenza infermieristica”. La tabella ha quasi la naturadi un mansionario, pur senza averne l’esaustività e la tassatività; appare in realtà decisamenteinutile rispetto a un contesto professionale che è stato già regolamentato con criteri diversidal punto di vista giuridico.La terza fonte è contenuta all’interno della legge 3 aprile 2001, n. 120 “Utilizzazione dei de-

fibrillatori semiautomatici in ambienti extraospedalieri” – così come modificata dalla legge 15marzo 2004, n.69 “Modifica all'articolo 1 della legge 3 aprile 2001, n. 120, in materia di utilizzodei defibrillatori semiautomatici” – che specifica che “è consentito l’uso del defibrillatore auto-matico in sede intra- ed extraospedaliera anche al personale sanitario non medico, nonché alpersonale non sanitario che abbia ricevuto una formazione specifica nelle attività di rianima-zione cardiopolmonare”. La legge 120/2001 prima della modifica operata con la legge 69/2004limitava l’attività della defibrillazione effettuata dall’infermiere all’ambito extra ospedaliero. Le regioni e le province autonome disciplinano il rilascio da parte delle aziende sanitarie lo-

cali e delle aziende ospedaliere dell’autorizzazione all’utilizzo extraospedaliero dei defibrillatorida parte del personale di cui al comma 1, “nell’ambito del sistema di emergenza 118 competenteper territorio o, laddove non ancora attivato, sotto la responsabilità dell’azienda unità sanitarialocale o dell’azienda ospedaliera di competenza, sulla base dei criteri indicati dalle linee guidaadottate dal Mi nistro della sanità, con proprio decreto, entro novanta giorni dalla data di entratain vigore della presente legge”.

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27 Benci L., La prescrizione e la somministrazione dei farmaci - responsabilità giuridica e deontologica, McGraw-Hill, Milano, 2007.

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Per il commento di questa legge si rimanda ai paragrafi nel capitolo 8 dedicati all’emergenza.In questa sede non si può non sottolineare l’incongruenza del legislatore che da un lato riformal’esercizio professionale con criteri ampi e non dettagliati, e dall’altro procede con provvedimentiautorizzativi che presuppongono un sistema rigido di abilitazione all’esercizio professionale comequello previgente di carattere mansionariale.

LE INNOVAZIONI APPORTATE DALLA LEGGE 251/2000

La legge 10 agosto 2000, n. 251 “Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche,della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica” ha determinato unanovità rilevante nel panorama dell’organizzazione infermieristica e sanitaria italiana.La storia della legge è lunga. La dirigenza infermieristica doveva essere presente all’interno

della cosiddetta riforma ter del Servizio sanitario nazionale, operata dal D.Lgs. 19 giugno 1999,n. 229. Per motivi che non è opportuno esaminare in questa sede gli articoli relativi alla questionedella dirigenza furono “stralciati” dalla riforma ter. La dirigenza infermieristica è stata comunque approvata con la legge 251/2000, la quale però

contiene due sostanziali tipologie di norme: una legata all’esercizio e all’autonomia professio-nale, l’altra alla istituzione e all’implentazione della dirigenza. Tratteremo in questo capitolo solole prime, rimandando al capitolo 3 per le norme sulla dirigenza.

LE NORME RELATIVE ALL’ESERCIZIO PROFESSIONALE

L’art. 1 della legge 251/2000 si occupa delle norme relative all’esercizio professionale. Lo ripor-tiamo testualmente.

Art. 1 − Professioni sanitarie infermieristiche e professione sanitaria ostetrica1. Gli operatori delle professioni sanitarie dell’area delle scienze infermieristiche e della professione sanita-

ria ostetrica svolgono con autonomia professionale attività dirette alla prevenzione, alla cura e salvaguar-dia della salute individuale e collettiva, espletando le funzioni individuate dalle norme istitutive dei rela-tivi profili professionali nonché dagli specifici codici deontologici e utilizzando metodologie di pianifica-zione per obiettivi dell’assistenza.

2. Lo Stato e le regioni promuovono, nell’esercizio delle proprie funzioni legislative, di indirizzo, di pro-grammazione e amministrative, la valorizzazione e la responsabilizzazione delle funzioni e del ruolo delleprofessioni infermieristico-ostetriche al fine di contribuire alla realizzazione del diritto alla salute, al pro-cesso di aziendalizzazione nel Servizio sanitario nazionale, all’integrazione dell’organizzazione del la-voro della sanità in Italia con quelle degli altri Stati dell’Unione europea.

3. Il Ministero della sanità, previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni ele province autonome di Trento e di Bolzano, emana linee guida per:a) l’attribuzione in tutte le aziende sanitarie della diretta responsabilità e gestione delle attività di assi-

stenza infermieristica e delle connesse funzioni;b) la revisione dell’organizzazione del lavoro, incentivando modelli di assistenza personalizzata.

La prima parte dell’art. 1 è sostanzialmente riproduttiva dell’art. 1 della legge 42/1999, trannel’affermazione finale che specifica che gli operatori della professione infermieristica agiscono“utilizzando metodologie di pianificazione per obiettivi dell’assistenza”. È senz’altro un’affer-mazione non coerente con la parte iniziale che indica che gli stessi operatori agiscono con “au-tonomia professionale” – affermazione mai contenuta prima in un testo legislativo per gli ap-

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partenenti alla professione infermieristica – salvo poi affermare che gli stessi devono lavorarecon una precisa metodologia. È sin troppo facile affermare che non è certo il legislatore a doversioccupare delle metodologie di lavoro, bensì il gruppo professionale.Il secondo comma appare come una tipica “norma programmatica”, non rivolta cioè a essere

immediatamente applicabile, bensì rivolta al legislatore statale e regionale.Il terzo comma, che appare come la parte forte di tutto l’articolo, è a tutt’oggi inapplicato. Non

risulta che il Ministero abbia emanato le linee guida di organizzazione di cui si parla nell’articolo.Di deciso interesse è soprattutto il punto a) che tende ad attribuire alla professione infermieri-stica l’attribuzione della “diretta responsabilità” di tutte le attività di assistenza infermieristica e“delle connesse funzioni”.

UN NUOVO OBBLIGO PER I PROFESSIONISTI SANITARI: L’AGGIORNAMENTO OBBLIGATORIO DELL’ECM

Il D.Lgs. 19 giugno 1999, n. 22928 ha introdotto per i professionisti sanitari un nuovo obbligo con-naturato al loro essere professionisti: l’obbligo di formazione continua che viene sinteticamentechiamato con l’acronimo ECM: educazione continua in medicina.Riportiamo gli artt. 16 bis, 16 ter, 16 quater e 16 sexies che introducono e disciplinano questo

istituto legislativo. L’art. 16 ter è stato modificato dalla legge 4 aprile 2002, n. 56.29

Art. 16 bis − formazione continua1. Ai sensi del presente decreto, la formazione continua comprende l’aggiornamento professionale e la forma-

zione permanente. L’aggiornamento professionale è l’attività successiva al corso di diploma, laurea, specia-lizzazione, formazione complementare, formazione specifica in medicina generale, diretta ad adeguare pertutto l’arco della vita professionale le conoscenze professionali. La formazione permanente comprende le at-tività finalizzate a migliorare le competenze e le abilità cliniche, tecniche e manageriali e i comportamentidegli operatori sanitari al progresso scientifico e tecnologico con l’obiettivo di garantire efficacia, appropria-tezza, sicurezza ed efficienza alla assistenza prestata dal Servizio sanitario nazionale.

2. La formazione continua consiste in attività di qualificazione specifica per i diversi profili professionali, attra-verso la partecipazione a corsi, convegni, seminari, organizzati da istituzioni pubbliche o private accreditateai sensi del presente decreto, nonché soggiorni di studio e la partecipazione a studi clinici controllati e ad at-tività di ricerca, di sperimentazione e di sviluppo. La formazione continua di cui al comma 1 è sviluppata siasecondo percorsi formativi autogestiti sia, in misura prevalente, in programmi finalizzati agli obiettivi priori-tari del Piano sanitario nazionale e del Piano sanitario regionale nelle forme e secondo le modalità indicatedalla Commissione di cui all’art. 16-ter.

Art. 16 ter − commissione nazionale per la formazione continua1. Con decreto del Ministro della sanità, da emanarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del pre-

sente decreto, che modifica il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, ènominata una Commissione nazionale per la formazione continua, da rinnovarsi ogni cinque anni. La Com-missione è presieduta dal Ministro della salute ed è composta da quattro vicepresidenti di cui uno nominatodal Ministro della salute, uno dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, uno dalla Conferenza

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28 D.Lgs. 19 giugno 1999, n. 229 “Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a normadell’art. 1 della L. 30 novembre 1998, n. 419”.29 Legge 4 aprile 2002, n. 56 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 8,recante proroga di disposizioni relative ai medici a tempo definito, farmaci, formazione sanitaria, ordina-menti didattici universitari e organi amministrativi della Croce Rossa”.

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permanente dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano, uno rappresentatodal Presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, nonché da25 membri di cui due designati dal Ministro della salute, due dal Ministro dell’istruzione, dell’università edella ricerca, uno dal Ministro per la funzione pubblica, uno dal Ministro per le pari opportunità, uno dal Mi-nistro per gli affari regionali, sei dalla Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le pro-vince autonome di Trento e di Bolzano, su proposta della Conferenza permanente dei Presidenti delle regionie delle province autonome, due dalla Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odon-toiatri, uno dalla Federazione nazionale degli ordini dei farmacisti, uno dalla Federazione nazionale degli or-dini dei medici veterinari, uno dalla Federazione nazionale dei collegi infermieri professionali, assistenti sa-nitari, e vigilatrici d’infanzia, uno dalla Federazione nazionale dei collegi delle ostetriche, uno dalle asso-ciazioni delle professioni dell’area della riabilitazione di cui all’articolo 2 della legge 10 agosto 2000, n. 251,uno dalle associazioni delle professioni dell’area tecnico-sanitaria di cui all’articolo 3 della citata legge n.251 del 2000, uno dalle associazioni delle professioni dell’area della prevenzione di cui all’articolo 4 dellamedesima legge n. 251 del 2000, uno dalla Federazione nazionale degli ordini dei biologi, uno dalla Fede-razione nazionale degli ordini degli psicologi e uno dalla Federazione nazionale degli ordini dei chimici.

2. La Commissione di cui al comma 1 definisce, con programmazione pluriennale, sentita la Conferenza per irapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano nonché gli Ordini e i Collegi pro-fessionali interessati, gli obiettivi formativi di interesse nazionale, con particolare riferimento alla elabora-zione, diffusione e adozione delle linee guida e dei relativi percorsi diagnostico-terapeutici. La Commissionedefinisce i crediti formativi che devono essere complessivamente maturati dagli operatori in un determinatoarco di tempo, gli indirizzi per la organizzazione dei programmi di formazione predisposti a livello regionalenonché i criteri e gli strumenti per il riconoscimento e la valutazione delle esperienze formative. La Com-missione definisce altresì i requisiti per l’accreditamento delle società scientifiche nonché dei soggetti pub-blici e privati che svolgono attività formative e procede alla verifica della sussistenza dei requisiti stessi.

3. Le Regioni, prevedendo appropriate forme di partecipazione degli ordini e dei collegi professionali, provve-dono alla programmazione e alla organizzazione dei programmi regionali per la formazione continua, con-corrono alla individuazione degli obiettivi formativi di interesse nazionale di cui al comma 2, elaborano gliobiettivi formativi di specifico interesse regionale, accreditano i progetti di formazione di rilievo regionale se-condo i criteri di cui al comma 2. Le Regioni predispongono una relazione annuale sulle attività formativesvolte, trasmessa alla Commissione nazionale, anche al fine di garantire il monitoraggio dello stato di attua-zione dei programmi regionali di formazione continua.

Art. 16 quater − Incentivazione della formazione continua1. La partecipazione alle attività di formazione continua costituisce requisito indispensabile per svolgere attività

professionale, in qualità di dipendente o libero professionista, per conto delle aziende ospedaliere, delle Uni-versità, delle unità sanitarie locali e delle strutture sanitarie private.

2. I contratti collettivi nazionali di lavoro del personale dipendente e convenzionato individuano specifici ele-menti di penalizzazione, anche di natura economica, per il personale che nel triennio non ha conseguito ilminimo di crediti formativi stabilito dalla Commissione nazionale.

3. Per le strutture sanitarie private l’adempimento, da parte del personale sanitario dipendente o convenzionatoche opera nella struttura, dell’obbligo di partecipazione alla formazione continua e il conseguimento dei cre-diti nel triennio costituiscono requisito essenziale per ottenere e mantenere l’accreditamento da parte del Ser-vizio sanitario nazionale.

Art. 16 sexies − Strutture del Servizio sanitario nazionale per la formazione1. Il ministro della Sanità, su proposta della Regione o provincia autonoma interessata, individua i presidi ospe-

dalieri, le strutture distrettuali e i dipartimenti in possesso dei requisiti di idoneità stabiliti dalla Commissionedi cui all’articolo 16 ter, ai quali riconoscere funzioni di insegnamento ai fini della formazione e dell’aggior-namento del personale sanitario.

2. La Regione assegna, in via prevalente o esclusiva, a detti ospedali, distretti e dipartimenti le attività formativedi competenza regionale e attribuisce agli stessi la funzione di coordinamento delle attività delle strutture delServizio sanitario nazionale che collaborano con l’università al fine della formazione degli specializzandi edel personale sanitario infermieristico, tecnico e della riabilitazione.

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L’attività di aggiornamento e formazione continua viene configurata dalla legge come un si-stema permanente a carico di tutti i professionisti che operano a qualsiasi titolo con il serviziosanitario nazionale indipendentemente dal regime del rapporto di lavoro e consiste nell’acquisi-zione di un numero di crediti formativi prefissati dalla Commissione nazionale per la formazionecontinua. Il mancato raggiungimento del numero di crediti nell’arco di tempo definito – cinqueanni per il primo ciclo, successivamente tre anni – comporta specifiche penalizzazioni “anche dinatura economica” che dovranno essere decise dai contratti collettivi nazionali di lavoro.La prima commissione nazionale per la formazione continua è stata successivamente for-

mata con il D.M. 5 luglio 2000 ed è stata in carica cinque anni. La commissione nazionale ha ini-ziato i suoi lavori mettendo in atto un sistema di accreditamento dei sistemi formativi ed è statasuccessivamente modificata in relazione alle modifiche apportate dalla legge 56/2001 che haprevisto al suo interno anche la presenza di un infermiere nominato dalla Federazione nazionaledei collegi IPASVI.Dal primo gennaio 2008, con l’entrata in vigore della legge 24 dicembre 2007, n. 244, la ge-

stione amministrativa del programma di ECM e il supporto alla commissione nazionale per la for-mazione continua, fino ad oggi competenze del Ministero della salute, sono stati trasferiti all’Agen-zia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas). Successivamente la Conferenza permanente Stato-Regioni ha riorganizzato il sistema con

l’accordo 5 novembre 200930 e sono stati stabiliti gli obiettivi nazionali per il sistema ECM e cheelenchiamo di seguito:

obiettivi nazionali EcM

1. Applicazione nella pratica quotidiana dei principi e delle procedure dell’Evidence Based Practice (EBM -EBN - EBP)

2. Linee guida - Protocolli - Procedure - Documentazione clinica 3. Percorsi clinico-assistenziali/diagnostici/riabilitativi, profili di assistenza - profili di cura4. Appropriatezza prestazioni sanitarie nei LEA. Sistemi di valutazione, verifica e miglioramento dell’effi-

cienza ed efficacia 5. Principi, procedure e strumenti per il governo clinico delle attività sanitarie 6. La sicurezza del paziente7. La comunicazione efficace, la privacy ed il consenso informato 8. Integrazione interprofessionale e multiprofessionale, interistituzionale9. Integrazione tra assistenza territoriale ed ospedaliera

10. Epidemiologia - prevenzione e promozione della salute 11. Management sanitario. Innovazione gestionale e sperimentazione di modelli organizzativi e gestionali12. Aspetti relazionali (comunicazione interna, esterna, con paziente) e umanizzazione cure 13. Metodologia e tecniche di comunicazione sociale per lo sviluppo dei programmi nazionali e regionali di

prevenzione primaria e promozione della salute 14. Accreditamento strutture sanitarie e dei professionisti. La cultura della qualità15. Multiculturalità e cultura dell’accoglienza nell’attività sanitaria 16. Etica, bioetica e deontologia 17. Argomenti di carattere generale: informatica e lingua inglese scientifica di livello avanzato, normativa in

materia sanitaria: i principi etici e civili del SSN

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30 Accordo 5 novembre 2009 “Accordo, ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281,tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano concernente il nuovo sistema di for-mazione continua in medicina - Accreditamento dei Provider ECM, formazione a distanza, obiettivi forma-tivi, valutazione della qualità del sistema formativo sanitario, attività formative realizzate all'estero, liberiprofessionisti”.

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18. Contenuti tecnico-professionali (conoscenze e competenze) specifici di ciascuna professione, specializ-zazione e attività ultraspecialistica

19. Medicine non convenzionali: valutazione dell’efficacia in ragione degli esiti e degli ambiti di comple-mentarietà

20. Tematiche speciali del SSN e SSR ed a carattere urgente e/o straordinario individuate dalla CN ECM perfar fronte a specifiche emergenze sanitarie

21. Trattamento del dolore acuto e cronico, palliazione 22. Fragilità (minori, anziani, tossico-dipendenti, salute mentale): tutela degli aspetti assistenziali e socio-assi-

stenziali 23. Sicurezza alimentare e/o patologie correlate 24. Sanità veterinaria 25. Farmacoepidemiologia, farmacoeconomia, farmacovigilanza 26. Sicurezza ambientale e/o patologie correlate 27. Sicurezza negli ambienti e nei luoghi di lavoro e/o patologie correlate 28. Implementazione della cultura e della sicurezza in materia di donazione-trapianto 29. Innovazione tecnologica: valutazione, miglioramento dei processi di gestione delle tecnologie biomedi-

che e dei dispositivi medici. Technology assessment

Gli eventi formativi sono organizzati da provider accreditati a livello nazionale o a livello re-gionale e i singoli professionisti devono conseguire una media di 150 crediti ECM nel triennio(minimo 25, massimo 75). L’anagrafe creditizia viene tenuta da un apposito organismo, ilCO.GE.A.P.S. (Consorzio Gestione Anagrafica Professioni Sanitarie) che è un organismo che riu-nisce le Federazioni Nazionali degli Ordini e dei Collegi e le Associazioni dei professionisti coin-volti nel progetto di Educazione Continua in Medicina. Viene inoltre dato sviluppo alla formazione a distanza (FAD).

IL RIORDINO DEL SISTEMA ECM

Dopo la fase transitoria e sperimentale il sistema di educazione continua in medicina (ECM) siappresta a entrare nella sua fase definitiva. Anche se recentemente riordinato31, il sistema nonè tuttavia ancora del tutto entrato nella nuova fase.I principi cardine del nuovo sistema sono:

1. accreditamento dei provider, secondo regole stabilite dalle singole regioni sulla base di in-dirizzi condivisi con la commissione nazionale per la formazione continua;

2. istituzione per ogni professionista di un dossier formativo individuale (DFI), su base trien-nale, da valutarsi a livello aziendale se dipendente o dal Collegio professionale se libero profes-sionista. Il dossier formativo si compone di tre specifiche attività documentabili: il piano forma-tivo, la periodica e sistematica attività di verifica e di acquisizione della documentazione relativa alleattività di formazione continua svolte dal professionista e la valutazione periodica triennale dell’an-damento e dei risultati del percorso. Viene istituito anche il dossier formativo di gruppo (DFG);

3. individuazione delle diverse tipologie di eventi ECM che possono essere, a titolo esem-plificativo, la formazione residenziale (congressi, convegni, corsi, seminari), la formazioneresidenziale interattiva (formazione sul campo, tirocini, affiancamento di supervisore), gruppidi miglioramento (commissioni, linee guida), attività di ricerca (progetti obiettivo, gruppi di

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31 Conferenza Stato-Regioni, accordo concernente “Riordino del sistema di formazione continua in medi-cina”, 1 agosto 2007.

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studio finalizzati), autoapprendimento senza tutor (riviste scientifiche, programmi di forma-zione a distanza), apprendimento con tutor (FAD con interattività), attività di docenza (stage,tutoring, presentazione a convegni e pubblicazioni scientifiche);

4. acquisizione di 150 crediti nel triennio e quindi 50 crediti annui. Al momento le limita-zioni conosciute delle tipologie di crediti – che dovrà stabilire la Commissione nazionale –sono solo quelle relative alle percentuali massime previste dall’accordo Stato-Regioni nellamisura massima del 20% per argomenti di carattere generale (deontologia, legislazione, ma-naging, informatica, lingue straniere) e del 35% per le attività di docenza. La percentuale è ri-ferita al complessivo debito triennale.

Ordini e Collegi professionali, oltre a svolgere i ruoli di garanti delle professioni e di certifi-catori delle attività di formazione continua attraverso la costituzione di un’anagrafe dei creditiformativi, possono svolgere attività di “produttori di formazione continua limitatamente agli ag-giornamenti su etica, deontologia e legislazione”.

l’esercizio della professione infermieristica – Capitolo 2

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Capitolo

LA FUNZIONE DI COORDINAMENTOE LA FUNZIONE DIRIGENZIALE

La funzione di coordinamento e la funzione dirigenziale sono le due storiche e tradizionali fun-zioni gestionali e di sviluppo di carriera dell’infermiere.

Le funzioni di queste due figure risentono enormemente dei modelli organizzativi adottati,del tipo di organizzazione sanitaria posta in essere, dell’esistenza o meno di strutture diparti-mentali ecc.

Sia la funzione di coordinamento che quella dirigenziale possono avere diversi livelli di ope-ratività: di unità operativa, di dipartimento, trasversale ecc.

Ci limiteremo in queste pagine a trattarne l’evoluzione, i criteri di accesso e i generali profiligiuridici. Pur potendo descriverle anche unitariamente, le trattiamo per chiarezza espositiva di-stintamente cominciando dalla funzione di coordinamento.

LA FUNZIONE DI COORDINAMENTO

L’evoluzione della figura di coordinatorePer influsso dell’esperienza anglosassone intorno agli anni Venti dello scorso secolo sono statiregolamentati i corsi di base e post-base per la professione infermieristica di durata biennale ca-ratterizzati dall’istituzione di scuole-convitto che potevano istituire un terzo anno di corso per lapreparazione di infermiere diplomate “abilitate alle funzioni direttive”.1

La denominazione quindi era di infermiere abilitato alle funzioni direttive, titolo che veniva con-seguito successivamente al rilascio del diploma.

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1 R.D.L. 15 agosto 1925, n. 1832 “Facoltà della istituzione di Scuole convitto professionali per infermiere edi Scuole specializzate di medicina, pubblica igiene, ed assistenza sociale per assistenti sanitarie visitatrici”.R.D. 21 novembre 1929, n. 2330 “Approvazione del regolamento per l’esecuzione del R. decreto-legge 15agosto 1925, n. 1832, riguardante le scuole-convitto professionali per infermiere e le scuole specializzate dimedicina, pubblica igiene ed assistenza sociale per assistenti sanitarie visitatrici”. Per la ricostruzione dellaformazione infermieristica vedi cap. 1.

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Con la riforma ospedaliera della fine degli anni Sessanta e con i successivi decreti attuativi sidedica un articolo alla figura del “caposala”2 che riportiamo testualmente:

Il caposala è alle dirette dipendenze del primario e dei sanitari addetti alla divisione, sezione o servizio;– controlla e dirige il servizio degli infermieri e del personale ausiliario;– controlla il prelevamento e la distribuzione dei medicinali, del materiale di medicazione e di tutti gli al-

tri materiali in dotazione;– controlla la qualità e la quantità delle razioni alimentari dei ricoverati e ne organizza la distribuzione;– è responsabile della tenuta dell’archivio.

Il caposala veniva posto quindi alle “dirette dipendenze del primario e dei sanitari”. Una sortadi longa manus medica all’interno del mondo infermieristico con compiti subordinati alle diret-tive mediche.

Negli anni Settanta viene rivisto il mansionario degli anni Quaranta con l’approvazione delD.P.R. 14 marzo 1974, n. 225 che attribuisce a tutti gli infermieri la “programmazione di propripiani di lavoro e di quelli del personale alle proprie dipendenze, loro presentazione ai superiorie successiva attuazione”.

Il compito di “programmazione di piani di lavoro” viene attribuito agli infermieri, pur dovendoessere, soprattutto all’epoca, di competenza del caposala. Nel dibattito sindacale di quegli annisi comincia a discutere dell’opportunità della sopravvivenza della figura e della stessa esistenzadel caposala. Infatti nelle bozze contrattuali sia del 1974 che del 1979 la figura del caposala vieneprevista a esaurimento. Nei contratti successivamente siglati però il caposala si salva.

Bisogna specificare però che il caposala è l’unica figura di “capo” di figure intermedie, l’unico“quadro” che resiste alla mannaia dei contratti sindacali degli anni Settanta. Nel contratto del1979, infatti, vengono poste tra le qualifiche “a esaurimento”, tra le altre, le figure di ostetricacapo, dietista capo e, nei ruoli non sanitari, usciere capo, portiere capo ecc.

Il superamento non si attua e il contratto siglato nel 1979 nell’allegato A contenente le “de-claratorie dei compiti e delle responsabilità dei livelli funzionali” specifica che i dipendenti in-quadrati nella 6a qualifica funzionale (e il caposala era tra questi, fino al 1987) avevano “com-piti di indirizzo, guida, coordinamento e controllo nei confronti di unità operative” cui eranopreposti.

Le nuove attribuzioni di indirizzo, guida, coordinamento e controllo erano il primo nuovo par-ziale riconoscimento che la categoria otteneva, anche se, è utile precisarlo, il caposala veniva in-cluso, dai contratti sindacali, nel personale di assistenza diretta. Il ruolo manageriale e gestio-nale del caposala era ancora lontano da venire.

Nel 1979 viene approvato lo “Stato giuridico del personale delle USL” con il D.P.R. n. 76, ilquale con una terminologia ancora non chiara inquadra il caposala come “operatore professio-nale coordinatore”. Il D.P.R. n. 761, da un certo punto di vista, non costituisce un grande passoin avanti, in quanto da un lato non recepisce i compiti di guida e di indirizzo, dall’altro però abo-lisce la dizione sindacale di “personale di assistenza diretta” e il caposala diventa una figura piùchiaramente distinta dall’infermiere.

La dizione di “operatore professionale coordinatore” però, soprattutto nell’interpretazionedell’epoca, indicava non una figura sovraordinata alle altre (si pensi al coordinatore sanitario,

Capitolo 3 – la funzione di coordinamento e la funzione dirigenziale

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2 D.P.R. 27 marzo 1969, n. 129 “Ordinamento interno dei servizi di assistenza delle cliniche e degli istitutiuniversitari di ricovero e cura”, art. 41.

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che conservava la funzione di direzione della propria U.O. e all’interno dell’ufficio di direzionenon aveva, quanto meno teoricamente, una funzione di capo, quanto piuttosto di impulso, nonera cioè un direttore sanitario), quanto piuttosto un primus inter pares, un primo tra i pari.

Nel 1984 viene approvata una sorta di profilo professionale del caposala con il D.P.R. 7 set-tembre, n. 821 denominato “Attribuzioni del personale non medico addetto ai presidi, servizi euffici delle unità sanitarie locali” stabilendo all’art. 20 che:

L’operatore professionale coordinatore svolge le attività di assistenza diretta attinenti alla sua competenzaprofessionale. Coordina l’attività del personale nelle posizioni funzionali di collaboratore e di operatore pro-fessionale di II categoria a livello di unità funzionale ospedaliera e di distretto predisponendone i piani di la-voro, nell’ambito delle direttive impartite dal responsabile o dai responsabili delle unità operative, nel rispettodell’autonomia operativa del personale stesso e delle esigenze del lavoro di gruppo.Svolge attività didattica, nonché attività finalizzate alla propria formazione.Ha la responsabilità professionale dei propri compiti limitatamente alle prestazioni e alle funzioni che per lanormativa vigente é tenuto ad attuare.

L’attribuzione della predisposizione dei piani di lavoro, che non poteva nella logica degli anniOttanta non essere attribuita che al caposala, viene però circondata da cautele eccessive (“nel ri-spetto dell’autonomia operativa del personale e delle esigenze del lavoro di gruppo”).

Da un punto di vista contrattuale il caposala continua ad avere un inquadramento distinto daquello dell’infermiere e un livello retributivo superiore a cui poteva accedere tramite concorsopubblico per titoli ed esami.

Negli anni Novanta tutto il personale del comparto viene riclassificato in seguito alle riformeaziendalistiche e di privatizzazione del rapporto di lavoro e la figura contrattuale del caposalaviene ridenominata come “collaboratore professionale sanitario” da “operatore professionalecoordinatore”. Tale denominazione apparve del tutto curiosa per un duplice ordine di motivi:

1. il nome di collaboratore era precedentemente attribuito all’infermiere clinico; 2. non vi era più riferimento all’attività di coordinamento.

Dai tradizionali livelli di inquadramento caratterizzati dai numeri (per esempio, il quinto, ilsesto ecc.) si passò alle categorie caratterizzate dalle lettere (per esempio, C, D ecc.).

Nel 2001 – all’interno di un rinnovo contrattuale che doveva essere di tipo meramente eco-nomico ma che per vari motivi è stato ben più ampio – l’infermiere addetto alla clinica e l’infer-miere coordinatore ex caposala vengono inquadrati allo stesso livello retributivo per un generaleavanzamento proprio dell’infermiere clinico. La funzione di coordinamento viene a questo puntoattribuita con incarichi aziendali e revocabili. La figura del coordinatore diventa una figura azien-dale più che nazionale o quanto meno il coordinatore è un infermiere a cui viene attribuita lafunzione aziendale di coordinamento. Il coordinatore è quindi un infermiere di categoria D conun incarico aziendale di coordinamento.

A partire proprio dal 2001 non si richiede più l’obbligatorio requisito del certificato di “abili-tazione a funzioni direttive” per l’accesso alla funzione. Nel 2004 la maggioranza dei coordina-tori viene inquadrata in categoria Ds smentendo l’impostazione data tre anni prima.

Nel 2006 le situazioni cambiano nuovamente, soprattutto riguardo al problema del requisitoper l’accesso, con l’approvazione della legge 1 febbraio 2006, n. 43 “Disposizioni in materia diprofessioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzionee delega al Governo per l’istituzione dei relativi ordini professionali”.

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la funzione di coordinamento e la funzione dirigenziale – Capitolo 3

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Le innovazioni sul coordinamento apportate dalla legge 43/2006La legge 43/2006 dedica un intero articolo alla funzione di coordinamento. Lo riportiamo te-stualmente.

Art. 6 – Istituzione della funzione di coordinamento1. In conformità all’ordinamento degli studi dei corsi universitari, disciplinato ai sensi dell’articolo 17,

comma 95, della legge 15 maggio 1997, n. 127, e successive modificazioni, il personale laureato ap-partenente alle professioni sanitarie di cui all’articolo 1, comma 1, della presente legge, è articolato comesegue:a) professionisti in possesso del diploma di laurea o del titolo universitario conseguito anteriormente

all’attivazione dei corsi di laurea o di diploma ad esso equipollente ai sensi dell’articolo 4 della legge26 febbraio 1999, n. 42;

b) professionisti coordinatori in possesso del master di primo livello in management o per le funzionidi coordinamento rilasciato dall’università ai sensi dell’articolo 3, comma 8, del regolamento di cuial decreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica 3 novembre 1999, n.509, e dell’articolo 3, comma 9, del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’istruzione, dell’uni-versità e della ricerca 22 ottobre 2004, n. 270;

c) professionisti specialisti in possesso del master di primo livello per le funzioni specialistiche rila-sciato dall’università ai sensi dell’articolo 3, comma 8, del regolamento di cui al D.M. 3 novembre1999, n. 509 del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, e dell’articolo 3,comma 9, del regolamento di cui al D.M. 22 ottobre 2004, n. 270 del Ministro dell’istruzione, dell’uni-versità e della ricerca;

d) professionisti dirigenti in possesso della laurea specialistica di cui al D.M. 2 aprile 2001 del Mini-stro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, pubblicato nel supplemento ordinarioalla Gazzetta Ufficiale n. 128 del 5 giugno 2001, e che abbiano esercitato l’attività professionale conrapporto di lavoro dipendente per almeno cinque anni, oppure ai quali siano stati conferiti incarichidirigenziali ai sensi dell’articolo 7 della legge 10 agosto 2000, n. 251, e successive modificazioni.

2. Per i profili delle professioni sanitarie di cui al comma 1 può essere istituita la funzione di coordina-mento, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. A tal fine, l’eventuale conferimentodi incarichi di coordinamento ovvero di incarichi direttivi comporta per le organizzazioni sanitarie e so-cio-sanitarie pubbliche interessate, ai sensi dell’articolo 7 della legge 10 agosto 2000, n. 251, l’obbligocontestuale di sopprimere nelle piante organiche di riferimento un numero di posizioni effettivamenteoccupate ed equivalenti sul piano finanziario.

3. I criteri e le modalità per l’attivazione della funzione di coordinamento in tutte le organizzazioni sani-tarie e socio-sanitarie pubbliche e private sono definiti, entro novanta giorni dalla data di entrata in vi-gore della presente legge, con apposito accordo, ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo 28 ago-sto 1997, n. 281, tra il Ministro della salute e le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

4. L’esercizio della funzione di coordinamento è espletato da coloro che siano in possesso dei seguenti re-quisiti:a) master di primo livello in management o per le funzioni di coordinamento nell’area di appartenenza,

rilasciato ai sensi dell’articolo 3, comma 8, del regolamento di cui al D.M. 3 novembre 1999, n. 509del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, e dell’articolo 3, comma 9, delregolamento di cui al D.M. 22 ottobre 2004, n. 270 del Ministro dell’istruzione, dell’università edella ricerca;

b) esperienza almeno triennale nel profilo di appartenenza.5. Il certificato di abilitazione alle funzioni direttive nell’assistenza infermieristica, incluso quello rilasciato

in base alla pregressa normativa, è valido per l’esercizio della funzione di coordinatore.6. Il coordinamento viene affidato nel rispetto dei profili professionali, in correlazione agli ambiti ed alle

specifiche aree assistenziali, dipartimentali e territoriali.7. Le organizzazioni sanitarie e socio-sanitarie, pubbliche e private, nelle aree caratterizzate da una deter-

minata specificità assistenziale, ove istituiscano funzioni di coordinamento ai sensi del comma 2, affi-dano il coordinamento allo specifico profilo professionale.

Capitolo 3 – la funzione di coordinamento e la funzione dirigenziale

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Per quanto ci riguarda in questa sede,3 con l’approvazione della legge 43/2006 il coordina-tore riacquista il suo nome nazionale e vede sancire l’obbligatorietà di un titolo post-base perl’esercizio della funzione di coordinamento: il master di primo livello in management o per lefunzioni di coordinamento.

Ricapitolando: fino al 2001 obbligo del titolo di “abilitato a funzioni direttive” (acronimo AFD),dal 2001 al 2006 non più, dal 2006 in poi obbligo del master di I livello per l’accesso alle fun-zioni. Come notazione di carattere generale, l’obbligo del master viene esteso anche per l’ac-cesso alle funzioni di coordinamento delle altre professioni del comparto come ostetriche, fi-sioterapisti, tecnici sanitari ecc. Queste figure non hanno mai avuto un obbligo e un titolo si-mile a quello infermieristico di abilitazione a funzioni direttive.

Per ovvi motivi di equità e logica viene fatto valere – unitamente al master – anche il vec-chio titolo di abilitazione a funzioni direttive. I requisiti per l’accesso, specifica la legge, valgonoper le organizzazioni sanitarie pubbliche e private e anche per il settore socio-sanitario

Non vengono però definiti né i contenuti della funzione di coordinamento né normative tran-sitorie tese a regolare e/o a regolarizzare chi ha esercitato la funzione di coordinamento in que-sti anni (dal 2001 in poi) senza il master ma con incarichi conferiti comunque nel rispetto dellanormativa vigente.

Nel 2007 interviene sul punto un Accordo della Conferenza Stato-Regioni4 di cui riportiamoper esteso l’articolato.

Art. 11. Ai fini dell’accesso alla funzione di coordinamento, fatto salvo quanto previsto dal successivo art. 2, è ne-

cessario essere in possesso dei requisiti stabiliti dall’art. 6, commi 4 e 5, della legge 1 febbraio 2006, n. 43.2. La durata minima del master di cui al citato articolo 6, comma 4, della legge 1 febbraio 2006, n. 43, è

annuale. La formazione deve essere effettuata nelle Università e deve prevedere l’espletamento di un ti-rocinio formativo obbligatorio di almeno 500 ore, da espletarsi presso aziende sanitarie, aziende ospe-daliere, aziende ospedaliero-universitarie, enti classificati e istituti di ricovero e cura a carattere scien-tifico.

Art. 21. Al fine di istituire la funzione di coordinamento appare opportuno armonizzare la normativa contrattuale

con le disposizioni contenute nell’art. 6 della legge dell’1 febbraio 2006 n. 43. A tali fini il Ministero dellaSalute, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano con il presente accordo danno mandatoal Comitato di Settore per l’inserimento, nell’ambito dell’atto di indirizzo per l’apertura delle trattative,dei principi previsti dal presente accordo e finalizzati alla modifica delle norme contrattuali che attual-mente regolano il conferimento dell’incarico di coordinamento, con la previsione anche di una disciplinatransitoria volta a salvaguardare i diritti quesiti.

2. In sede contrattuale saranno definite le modalità per il conferimento dell’incarico di coordinamento.3. L’attuazione dei commi 1 e 2 non deve comportare effetti di maggiore onere sul livello di finanziamento

del contratto collettivo nazionale di comparto quantificato secondo i criteri ed i parametri previsti pertutto il pubblico impiego.

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la funzione di coordinamento e la funzione dirigenziale – Capitolo 3

3 Per un commento più ampio alla legge 43/2006 vedi cap. 2.4 Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano,1 agosto 2007 “Accordo, ai sensi dell’articolo 6, comma 3, della legge 1 febbraio 2006, n. 43 e dell’articolo 4del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento eBolzano sulla proposta del Ministro della salute concernente l’istituzione della funzione di coordinamentoper i profili delle professioni sanitarie di cui all’articolo 6 della legge 1 febbraio 2006, n. 43”.

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Art. 31. Oltre che ai profili professionali infermieristici, è consentito l’accesso ai corsi di master di primo livello in

management o per le funzioni di coordinamento anche al personale appartenente ai profili professionalidi ostetrica, riabilitativi, tecnico-sanitari e della prevenzione.

2. A livello regionale saranno individuate idonee modalità per favorire la partecipazione ai master, di cuiall’art. 6, comma 4, del personale già incaricato delle funzioni di coordinamento alla data del presente Ac-cordo, ai sensi della vigente normativa contrattuale.

3. L’accesso e la partecipazione ai corsi di master di cui ai commi 1 e 2 devono comunque avvenire nel ri-spetto della normativa legislativa e contrattuale vigente in materia.

Art. 41. Sino all’entrata in vigore del C.C.N.L. di disciplina dei contenuti di cui al presente accordo, gli incarichi

di coordinamento continuano ad essere conferiti secondo la vigente normativa contrattuale. In caso di pa-rità di punteggio e/o di valutazione, nell’ambito della contrattazione aziendale sarà riconosciuto caratterepreferenziale al possesso del master e del certificato di abilitazione alle funzioni direttive, di cui all’art. 6,commi 4 e 5 della citata legge n. 43/2006.

Art. 51. Ai sensi dell’art. 6, comma 2, della suddetta legge n. 43/2006 l’istituzione della funzione di coordinamento

non deve comportare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.2. Contestualmente è fatto obbligo, per tutte le organizzazioni sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private,

di sopprimere nelle piante organiche, relative ai profili professionali infermieristici, ostetrica, riabilitative,tecnico-sanitario e della prevenzione, un numero di posizioni effettivamente occupate ed equivalenti sulpiano finanziario.

Le note salienti dell’accordo Stato-Regioni sono:

1. previsione di un tirocinio di almeno cinquecento ore durante il percorso formativo;2. rimando alla sede contrattuale per le modalità di conferimento dell’incarico;3. previsione di non meglio precisate norme regionali per favorire l’accesso al master per chi

non ha il titolo.

La situazione attuale del coordinatore infermieristicoAbbiamo visto che dal 2001 la figura dell’infermiere coordinatore non corrisponde più a un de-terminato inquadramento distinto dal personale coordinato, ma gli è stata attribuita la “funzionedi coordinamento”. Riportiamo per esteso l’art. 10 del Contratto Collettivo Nazionale di Lavorodel 2001 che ha provveduto a istituire detta funzione.

Art. 10 − Coordinamento 1. Al fine di dare completa attuazione all’art. 8, commi 4 e 5 e per favorire le modifiche dell’organizzazione

del lavoro nonché valorizzare l’autonomia e responsabilità delle professioni ivi indicate è prevista una spe-cifica indennità per coloro cui sia affidata la funzione di coordinamento delle attività dei servizi di asse-gnazione nonché del personale appartenente allo stesso o ad altro profilo anche di pari categoria ed – ovearticolata al suo interno – di pari livello economico, con assunzione di responsabilità del proprio operato.L’indennità di coordinamento si compone di una parte fissa ed una variabile.

2. In prima applicazione l’ indennità di funzione di coordinamento – parte fissa – con decorrenza 1 settem-bre 2001, è corrisposta in via permanente ai collaboratori professionali sanitari – caposala – già apparte-nenti alla categoria D e con reali funzioni di coordinamento al 31 agosto 2001, nella misura annua lordadi L. 3000000 cui si aggiunge la tredicesima mensilità.

3. L’indennità di cui al comma 2 – sempre in prima applicazione – compete in via permanente – nella stessamisura e con la medesima decorrenza anche ai collaboratori professionali sanitari degli altri profili e di-

Capitolo 3 – la funzione di coordinamento e la funzione dirigenziale

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scipline nonché ai collaboratori professionali – assistenti sociali – già appartenenti alla categoria D, ai qualia tale data le aziende abbiano conferito analogo incarico di coordinamento o, previa verifica, ne ricono-scano con atto formale lo svolgimento al 31 agosto 2001. Il presente comma si applica anche ai dipen-denti appartenenti al livello economico Ds, ai sensi dell’art. 8, comma 5.

4. Le aziende, in connessione con la complessità dei compiti di coordinamento, possono prevedere in ag-giunta alla parte fissa dell’indennità di funzione di coordinamento, una parte variabile, sino ad un mas-simo di ulteriori L. 3000000, finanziabile con le risorse disponibili nel fondo dell’art. 39 del CCNL 7 aprile1999.

5. L’indennità attribuita al personale di cui al comma 2 e 3 è revocabile limitatamente alla parte variabile conil venir meno della funzione o, in caso, di valutazione negativa.

6. L’indennità di coordinamento attribuita al personale dei profili interessati successivamente alla prima ap-plicazione è revocabile in entrambe le componenti con il venir meno della funzione o anche a seguito divalutazione negativa.

7. In prima applicazione del presente contratto, al fine di evitare duplicazione di benefici, l’incarico di coor-dinamento è affidato di norma al personale già appartenente alla categoria D alla data del presente con-tratto. È rimessa alla valutazione aziendale, in base alla propria situazione organizzativa, la possibilità diapplicare il comma 1 anche al personale proveniente dalla categoria C cui sia riconosciuto l’espletamentodi funzioni di effettivo coordinamento ai sensi dell’art. 8 commi 4 e 5.

8. L’applicazione dei commi 3 e 4 del presente articolo nonché i criteri di valutazione del personale interes-sato verranno definiti previa concertazione con i soggetti sindacali di cui all’art. 9 comma 2 del CCNL 7aprile 1999. L’utilizzo delle risorse del fondo dell’art. 39 avviene nell’ambito della contrattazione integra-tiva.

9. Dal 1° settembre 2001, i requisiti per il conferimento dell’indennità di coordinamento saranno previsti dalcontratto di cui all’art. 9, comma 4 ultimo periodo del presente contratto.

L’attuale coordinatore è quindi inquadrato come infermiere di categoria D o Ds con un in-carico aziendale di coordinamento, con una indennità fissa per tutti e variabile in connessionecon la complessità della funzione di coordinamento. Altra caratteristica – come abbiamo già vi-sto – è data dalla sua revocabilità in caso di valutazione negativa o “con il venir meno della fun-zione”. In questo caso si perdono funzione e retribuzione accessoria – fatte salve le posizioni dicoordinamento attribuite prima del 2001 che conservano l’indennità fissa – e il coordinatore perdele funzioni gestionali per riacquisire la sua funzione clinica. Diversamente dalla norma che haistituito le posizioni organizzative non si esplicita chiaramente che il coordinatore “viene resti-tuito alle funzioni del proprio profilo” ma l’effetto è perfettamente identico.

Ricordiamo che non è necessario un inquadramento in categoria Ds per ottenere l’incaricodi coordinatore ma si può ben essere inquadrati in categoria D.

Il contratto non riempie di contenuto la funzione di coordinamento. Ricordiamo infatti chenell’ultimo contratto della sanità pubblica per il quadriennio 2006-2009 l’unica novità – peraltroobbligatoria – è consistita nel recepimento dell’obbligatorietà del titolo post laurea (master) perl’accesso alle funzioni di coordinamento.

Si prevedono dei cambiamenti del sistema classificatorio e degli incarichi “specialistici e dicoordinamento” per le prossime tornate contrattuali che però non sono previste prima del 2014.

Per i contenuti più professionali delle funzioni di coordinamento si rinvia alla letteratura pro-fessionale e manageriale.5

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la funzione di coordinamento e la funzione dirigenziale – Capitolo 3

5 Calamandrei C., Orlandi C., La dirigenza infermieristica – Manuale per la formazione dell’infermiere con fun-zioni manageriali, McGraw-Hill, Milano, 2008; Pennini A., Barbieri G., Le responsabilità del coordinatore delleprofessioni sanitarie, McGraw-Hill, Milano, 2011.

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Le posizioni organizzativeIl Contratto Collettivo Nazionale del 1999 ha aperto la strada – poi seguita nel 2001 anche per ilcoordinamento – a un nuovo modo di fare carriera gestionale: l’attribuzione di incarichi. Ripor-tiamo per esteso gli artt. 20 e 21 del CCNL.

Art. 20 – Posizioni organizzative e graduazione delle funzioni1. Le aziende ed enti, sulla base dei propri ordinamenti e delle leggi regionali di organizzazione ed in rela-

zione alle esigenze di servizio, istituiranno posizioni organizzative che richiedono lo svolgimento di fun-zioni con assunzione diretta di elevata responsabilità.

2. Le posizioni organizzative, a titolo esemplificativo, possono riguardare settori che richiedono lo svolgi-mento di funzioni di direzione di servizi, dipartimenti, uffici o unità organizzative di particolare comples-sità, caratterizzate da un elevato grado di esperienza e autonomia gestionale ed organizzativa o lo svolgi-mento di attività con contenuti di alta professionalità e specializzazione, quali ad esempio i processi assi-stenziali, oppure lo svolgimento di: attività di staff e/o studio; di ricerca; ispettive di vigilanza e controllo;di coordinamento di attività didattica.

3. La graduazione delle funzioni è definita da ciascuna azienda o ente in base a criteri adottati per valutarele posizioni organizzative individuate. Nella graduazione delle funzioni le aziende ed enti tengono conto,a titolo esemplificativo, dei seguenti elementi, anche integrandoli con riferimento alla loro specifica si-tuazione organizzativa:a) livello di autonomia e responsabilità della posizione, anche in relazione alla effettiva presenza di po-

sizioni dirigenziali sovraordinati; b) grado di specializzazione richiesta dai compiti affidati;c) complessità delle competenze attribuite;d) entità delle risorse umane, finanziarie, tecnologiche e strumentali direttamente gestite;e) valenza strategica della posizione rispetto agli obiettivi aziendali.

Art. 21 – Affidamento degli incarichi per le posizioni organizzative e loro revoca – indennità di funzione 1. Le aziende o enti formulano in via preventiva i criteri generali per conferire al personale indicato nel comma

2 gli incarichi relativi alle posizioni organizzative istituite. 2. Per il conferimento degli incarichi le aziende o enti tengono conto - rispetto alle funzioni ed attività da

svolgere - della natura e caratteristiche dei programmi da realizzare, dei requisiti culturali posseduti, delleattitudini e della capacità professionale ed esperienza acquisite dal personale, prendendo in considera-zione tutti i dipendenti collocati nella categoria D nonché - limitatamente al personale del ruolo sanitarioe di assistenza sociale - nella categoria C per tipologie di particolare rilievo professionale coerenti con l’as-setto organizzativo dell’azienda o ente.

3. Gli incarichi sono conferiti con provvedimento scritto e motivato e, in relazione ad essi, è corrisposta l’in-dennità di funzione prevista dall’art. 36 , da attribuire per la durata dell’incarico. Al finanziamento dell’in-dennità si provvede con il fondo previsto dall’art. 39.

4. Il risultato delle attività svolte dai dipendenti cui siano stati attribuiti incarichi di funzione è soggetto a spe-cifica e periodica valutazione di cadenza non inferiore all’anno. La valutazione positiva dà anche titoloalla corresponsione della retribuzione di risultato.

5. A tal fine le aziende e gli enti determinano in via preventiva i criteri che informano i predetti sistemi di va-lutazione da gestire attraverso i servizi di controllo interno o nuclei di valutazione.

6. In caso di eventuale valutazione negativa, gli organismi di cui al comma 5, prima della definitiva forma-lizzazione, acquisiscono in contraddittorio le considerazioni del dipendente anche assistito da un dirigentesindacale o da persona di sua fiducia.

7. L’esito della valutazione periodica è riportato nel fascicolo personale dei dipendenti interessati. Di esso sitiene conto nell’affidamento di altri incarichi.

8. La revoca dell’incarico comporta la perdita dell’indennità di funzione da parte del dipendente titolare. Intal caso il dipendente resta inquadrato nella categoria di appartenenza e viene restituito alle funzioni delproprio profilo mantenendo il trattamento economico già acquisito ai sensi dell’art. 35 ed ove spettantequello dell’art. 36, comma 3.

Capitolo 3 – la funzione di coordinamento e la funzione dirigenziale

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9. Il personale della categoria C cui sia stato conferito l’incarico di posizione organizzativa con le modalitàdel comma 3 e lo abbia svolto per un periodo di sei mesi - prorogabile ad un anno - con valutazione po-sitiva, in presenza di posto vacante del medesimo profilo nella dotazione organica della categoria D, par-tecipa alla selezione interna dell’art. 16 sulla base di un colloquio con precedenza nel passaggio. In talcaso le aziende ed enti valutano, in rapporto ai costi, la opportunità della riconversione nella categoria Ddel corrispondente posto della categoria C.

Le posizioni organizzative riguardano dunque attività “che richiedono lo svolgimento di fun-zioni con assunzione diretta di elevata responsabilità”.

L’art. 20 ne elenca – a titolo esemplificativo e quindi non esaustivo – una serie tra le quali “losvolgimento di funzioni di direzione di servizi, dipartimenti, uffici o unità organizzative di parti-colare complessità, caratterizzate da un elevato grado di esperienza e autonomia gestionale eorganizzativa o lo svolgimento di attività con contenuti di alta professionalità e specializzazione,quali ad esempio i processi assistenziali, oppure lo svolgimento di: attività di staff e/o studio; diricerca; ispettive di vigilanza e controllo; di coordinamento di attività didattica”.

La posizione organizzativa premia dunque non soltanto lo svolgimento di attività gestionalima anche attività che rivestono contenuti di alta professionalità come i processi assistenziali.

L’incarico deve essere conferito per iscritto con provvedimento motivato, tenendo presentele condizioni che sono dettagliate all’art. 20 per il suo conferimento (autonomia, grado di spe-cializzazione, complessità, risorse disponibili e valenza strategica aziendale), è soggetto a valu-tazione annuale e può essere revocato in caso di valutazione negativa. In tal caso il dipendente“viene restituito alle posizioni del proprio profilo”.

Viene corrisposta una indennità di funzione che viene revocata insieme all’incarico. La posi-zione organizzativa si connota per una sorta di incarico sub-apicale di carattere semi-dirigen-ziale, di vero e proprio “quadro”, in quanto per il raggiungimento degli obiettivi il dipendente, ti-tolare della posizione, può superare l’orario di lavoro contrattuale, senza avere diritto allo straor-dinario, in quanto assorbito dalla indennità di funzione.

Per l’accesso alla posizione organizzativa non si richiedono particolari titoli come nel casodell’incarico di coordinamento.

LA FUNZIONE DIRIGENZIALE

L’evoluzione della figuraDa un punto di vista della formazione manageriale di alto livello destinata alla creazione di in-fermieri dirigenti si comincia con l’istituzione della scuola diretta a fini speciali per dirigenti dell’as-sistenza infermieristica di Roma che rilasciava il titolo di dirigente dell’assistenza infermieristica(DAI), seguita da analoga scuola a Milano che rilasciava il titolo di infermiere insegnante diri-gente (IID) e successivamente di scuole di altre città che generalmente rilasciavano il titolo di di-rigente e docente di scienze infermieristiche (DDSI). Questi titoli erano assolutamente fungibilitra di loro e avevano lo stesso valore. Da un punto di vista della presenza all’interno delle strut-ture, le prime tracce si trovano in seguito alla riforma ospedaliera degli anni Sessanta e alla crea-zione di una figura con funzioni dirigenziali e didattiche. L’art. 44 del D.P.R. 128/1969 recitavatestualmente:

Art. 44 – Personale dirigente e di formazione didatticaIl capo dei servizi sanitari ausiliari è alle dirette dipendenze del direttore sanitario con il quale collabora perl’aggiornamento culturale e professionale del personale; ha compiti organizzativi e disciplinari per quanto

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la funzione di coordinamento e la funzione dirigenziale – Capitolo 3

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riguarda il personale sanitario ausiliario, tecnico ed esecutivo assegnato ai servizi sanitari e per quanto ri-guarda l’andamento dei servizi sanitari ausiliari.Il direttore e il vice direttore delle scuole per infermieri professionali e generici hanno le attribuzioni previ-ste dalle leggi istitutive delle scuole e dai rispettivi regolamenti.

Pur comparendo il termine, il dirigente era una figura di scarsa autonomia professionale edera, similmente al caposala, “alle dirette dipendenze” di una figura medica: il direttore sanitario.

Bisogna però tenere presente la struttura fortemente gerarchizzata dell’organizzazione dellavoro.

Con l’istituzione del Servizio sanitario nazionale alla fine degli anni Settanta6 viene appro-vato il nuovo stato giuridico del personale7 e con le regolamentazioni successive si prevede lafigura dell’operatore professionale dirigente all’interno del profilo professionale del “personalecon funzioni didattico-organizzative”.

Riportiamo testualmente l’art. 19 del D.P.R. 821/1984.

Art. 19 – Operatore professionale dirigenteIl personale con funzioni didattico-organizzative provvede al coordinamento delle attività di formazione pro-fessionale del personale o dei servizi assistenziali di competenza.Nell’ambito delle attività di formazione, sulla base delle norme che regolano l’organizzazione dei corsi, as-sicura la direzione didattica dei corsi stessi secondo le disposizioni che li disciplinano.A tal fine, sulla base delle norme vigenti, predispone lo svolgimento degli insegnamenti, ne assicura l’effet-tuazione e ne controlla l’esecuzione nel rispetto della autonomia professionale operativa del personale do-cente e delle esigenze del lavoro di gruppo.Stabilisce gli opportuni collegamenti con le attività di formazione professionale permanente.Redige annualmente una relazione tecnica sull’attività svolta e formula proposte per l’organizzazione dell’in-segnamento.Nell’ambito dell’attività di organizzazione dei servizi, programma l’utilizzazione del personale secondo leindicazioni dei responsabili dei servizi e dei presidi e verifica l’espletamento delle attività del personale me-desimo predisponendo, a tal fine, anche i turni di lavoro e collaborando alla formulazione dei piani opera-tivi e dei sistemi di valutazione dei medesimi.Svolge funzioni di didattica nonché attività finalizzate alla propria formazione.Ha la responsabilità dei propri compiti limitatamente alle prestazioni e alle funzioni che per la normativa vi-gente è tenuto ad attuare nonché per le direttive e le istruzioni impartite e per i risultati conseguiti.

La successiva normativa concorsuale8 stabilisce che per l’accesso al posto di dirigente in-fermieristico è necessario il requisito di “diploma di scuola universitaria diretta a fini speciali,almeno biennale, in tecniche organizzative e manageriali nel settore specifico per cui è ban-dito il concorso”.

Con l’aziendalizzazione delle strutture del Servizio sanitario nazionale e con la privatizza-zione del rapporto di lavoro dei loro dipendenti negli anni Novanta si pongono anche le pre-messe per la formazione universitaria di alto livello9 fino ad arrivare all’approvazione della

Capitolo 3 – la funzione di coordinamento e la funzione dirigenziale

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6 Legge 23 dicembre 1978, n. 833 “Istituzione del Servizio sanitario nazionale”.7 D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 “Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali”.8 D.M. 30 gennaio 1982 “Normativa concorsuale del personale delle unità sanitarie locali in applicazionedell’art. 12 del D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761”, art. 73.9 Vedi cap. 1.

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legge 10 agosto 2000, n. 251 “Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecnichedella riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica” che sancisce la svoltaper l’istituzione di una reale dirigenza infermieristica.

Le novità apportate dalla legge 251/2000Oltre alle fondamentali innovazioni che abbiamo esaminato nel capitolo precedente, alla legge251/2000 si ascrive il merito di avere praticamente dato il via al secondo livello di laurea ancheper le professioni sanitarie e, in particolare, per quel titolo che oggi viene chiamato laurea ma-gistrale10 e avere proceduto, di conseguenza, alla disattivazione delle vecchie scuole dirette afini speciali per docenti e dirigenti dell’assistenza infermieristica. Sempre la legge 251/2000 sta-bilisce che “al fine di migliorare l’assistenza e per la qualificazione delle risorse le aziende sani-tarie possono istituire il servizio dell’assistenza infermieristica ed ostetrica e il servizio socialeprofessionale e possono attribuire l’incarico di dirigente del medesimo servizio”. La previsione,pur non tassativa (“possono”) riveste comunque grande importanza per la novità contenuta quantomeno in una legge ordinaria dello Stato per l’istituzione del servizio infermieristico e anche dellealtre professioni.

Come norma transitoria si prevede l’attribuzione dell’incarico di durata triennale, rinnovabile,da stipulare ai sensi dell’art. 15-septies del D.Lgs. 502/199211 in attesa dell’istituzione delle laureespecialistiche oggi magistrali. La norma transitoria che permetteva la nomina di infermieri dirigenti

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la funzione di coordinamento e la funzione dirigenziale – Capitolo 3

10 Vedi cap. 1.11 D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 “Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1della L. 23 ottobre 1992, n. 421”. Art. 15 septies – Contratti a tempo determinato1. I direttori generali possono conferire incarichi per l’espletamento di funzioni di particolare rilevanza e di

interesse strategico mediante la stipula di contratti a tempo determinato e con rapporto di lavoro esclu-sivo, entro il limite del due per cento della dotazione organica della dirigenza, a laureati di particolare ecomprovata qualificazione professionale che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o pri-vati o aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni diri-genziali apicali o che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scien-tifica desumibile dalla formazione universitaria e post-universitaria, da pubblicazioni scientifiche o daconcrete esperienze di lavoro e che non godano del trattamento di quiescenza. I contratti hanno duratanon inferiore a due anni e non superiore a cinque anni, con facoltà di rinnovo.

2. Le aziende unità sanitarie e le aziende ospedaliere possono stipulare, oltre a quelli previsti dal commaprecedente, contratti a tempo determinato, in numero non superiore al cinque per cento della dotazioneorganica della dirigenza sanitaria, a esclusione della dirigenza medica, nonché della dirigenza profes-sionale, tecnica e amministrativa, per l’attribuzione di incarichi di natura dirigenziale, relativi a profili di-versi da quello medico, ed esperti di provata competenza che non godano del trattamento di quiescenzae che siano in possesso del diploma di laurea e di specifici requisiti coerenti con le esigenze che deter-minano il conferimento dell’incarico.

3. Il trattamento economico è determinato sulla base dei criteri stabiliti nei contratti collettivi della dirigenzadel Servizio sanitario nazionale.

4. Per il periodo di durata del contratto di cui al comma 1 i dipendenti di pubbliche amministrazioni sonocollocati in aspettativa senza assegni con riconoscimento dell’anzianità di servizio.

5. Gli incarichi di cui al presente articolo, conferiti sulla base di direttive regionali, comportano l’obbligo perl’azienda di rendere contestualmente indisponibili posti di organico della dirigenza per i corrispondentioneri finanziari.

5 bis. Per soddisfare le esigenze connesse all’espletamento dell’attività libero professionale deve essere uti-lizzato il personale dipendente del servizio sanitario nazionale. Solo in caso di oggettiva e accertataimpossibilità di far fronte con il personale dipendente alle esigenze connesse all’attivazione delle strut-ture e degli spazi per l’attività libero professionale, le aziende sanitarie possono acquisire personale,

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senza il possesso della laurea magistrale in scienze infermieristiche è venuta meno per l’approva-zione della normativa concorsuale per dirigenti approvata con un decreto del presidente del Con-siglio dei ministri del gennaio 200812 e che recepisce l’accordo Stato-Regioni.

Per l’accesso alla “qualifica unica di dirigente delle professioni dell’area infermieristica, tecnica,della riabilitazione e della professione osterica” è necessario avere acquisito la laurea magistrale,cinque anni di servizio effettivo corrispondenti alla stessa professionalità in categoria D o Ds e l’iscri-zione all’albo professionale. Il concorso che è previsto è un classico concorso per titoli ed esami.

Per le funzioni professionali dell’infermiere dirigente si rimanda alla letteratura professio-nale, agli atti aziendali e alle normative regionali. Sui livelli regionali e sulle esperienze di que-sti anni bisogna sottolineare come i servizi infermieristici – peraltro variamente denominati dailegislatori regionali come Servizi infermieristici (SI), servizi infermieristici e tecnici (SIT), dire-zioni infermieristiche (DI), direzioni assistenziali, servizi infermieristici-tecnici della riabilita-zione (SITRA o DITRA qualora assuma la denominazione di direzione) ecc. – abbiano sostan-zialmente assunto tre modelli organizzativi professionali così sinteticamente riassumibili:

1. servizi infermieristici monoprofessionali: afferiscono a questo servizio solo infermieri;2. servizi infermieristici unitari: afferiscono a questo servizio non solo infermieri ma anche

tutte le altre figure professionali del comparto;3. servizi infermieristici e servizi di altre professioni sanitarie;4. dipartimenti delle professioni.

Da un punto di vista operativo la differenza risiede nella direzione del solo personale infer-mieristico o di tutto o parte il restante personale professionale del comparto.

Sono le Regioni e le Aziende che, stante i poteri di autonomia conferiti loro con la riformadella Costituzione e con la potestà di regolamentazione attraverso l’atto principe della program-mazione aziendale – l’atto aziendale appunto –, a prendere questo tipo di decisione.

La legge 251/2000 sembra propendere per l’esistenza di servizi distinti per le quattro classidi laurea.

Capitolo 3 – la funzione di coordinamento e la funzione dirigenziale

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non dirigente, del ruolo sanitario e personale amministrativo di collaborazione, tramite contratti di di-ritto privato a tempo determinato anche con società cooperative di servizi. Per specifici progetti fina-lizzati ad assicurare l’attività libero professionale, le aziende sanitarie possono, altresì, assumere il per-sonale medico necessario, con contratti di diritto privato a tempo determinato o a rapporto professio-nale. Gli oneri relativi al personale di cui al presente comma sono a totale carico della gestione di cuiall’articolo 3, comma 6, della legge 23 dicembre 1994, n. 724. La validità dei contratti è subordinata, apena di nullità, all’effettiva sussistenza delle risorse al momento della loro stipulazione. Il direttore ge-nerale provvede ad effettuare riscontri trimestrali al fine di evitare che la contabilità separata presentidisavanzi. Il personale assunto con rapporto a tempo determinato o a rapporto professionale è assog-gettato al rapporto esclusivo, salvo espressa deroga da parte dell’azienda, sempre che il rapporto di la-voro non abbia durata superiore a sei mesi e cessi comunque a tale scadenza. La deroga può essereconcessa una sola volta anche in caso di nuovo rapporto di lavoro con altra azienda.

12 D.P.C.M. 25 gennaio 2008 “Recepimento dell’accordo 15 novembre 2007, tra il Governo, le regioni e leprovince autonome di Trento e Bolzano, concernente la disciplina per l’accesso alla qualifica unica di diri-gente delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione e della pro-fessione di ostetrica”.

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Capitolo

GLI OPERATORI DI SUPPORTO, GLI OPERATORI A ESAURIMENTO

E LE INFERMIERE VOLONTARIEDELLA CROCE ROSSA

Dalla metà degli anni Settanta del XX secolo si è registrata la tendenza a unificare la figura in-fermieristica in un solo modello con prese di posizione molto forti da parte delle organizzazionisindacali di categoria, che hanno determinato la figura dell’infermiere unico anche in adempi-mento a precisi obblighi comunitari.

Dalla fine degli anni Settanta vengono quindi soppresse le scuole per infermiere generico eper infermiere psichiatrico e vengono posti a esaurimento i relativi profili.

Nel 2001, per una serie di motivi che andremo a esaminare, nasce una figura di supportoall’assistenza sanitaria e sociale: l’operatore socio-sanitario.

In questo capitolo tratteremo quindi approfonditamente della figura dell’operatore socio-sa-nitario e successivamente delle figure a esaurimento come l’infermiere generico, l’infermiere psi-chiatrico e la puericultrice.

L’OPERATORE SOCIO-SANITARIO: AUTONOMIA, RAPPORTI CON I PROFESSIONISTI E RESPONSABILITÀ GIURIDICA

L’istituzione della figura e lo scontro tra Stato e RegioniLa necessità di una figura di supporto – sanitario e sociale – all’interno delle organizzazioni as-sistenziali è un tema da tempo discusso in relazione a molteplici motivi legati sia a situazionitendenti a un uso più ottimale delle risorse e alla valorizzazione di professionisti, che hanno ac-cresciuto il loro bagaglio di conoscenze e il loro patrimonio cognitivo attraverso l’avvento dellaformazione universitaria, sia per motivi legati alla carenza di personale infermieristico, sia permotivi economici.

Dopo un lungo travaglio gestazionale, con una certa difficoltà è approdata in Gazzetta Ufficialel’individuazione della figura, della formazione e del profilo professionale dell’operatore socio-sa-nitario attraverso la forma del Provvedimento della Conferenza Stato-Regioni 22 febbraio 2001.1

1 Provvedimento della Conferenza Stato Regioni 22 febbraio 2001. “Accordo tra il Ministro della sanità, ilMinistro per la solidarietà sociale e le regioni e province autonome di Trento e Bolzano, per l’individuazionedella figura e del relativo profilo professionale dell’operatore socio-sanitario e per la definizione dell’ordi-namento didattico dei corsi di formazione”. Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 9 del 19 aprile 2001.

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Capitolo 4 – Gli operatori di supporto

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Il provvedimento ha fatto registrare uno scontro sulle competenze statali e regionali, che ha de-terminato una frattura tra le proposte governative e le aspettative di alcune regioni. A dirimere il con-flitto è stata chiamata la Corte costituzionale. Nelle more della decisione della Consulta direttamentechiamata in causa da un’ordinanza della Corte dei conti, che ha ritenuto “la manifesta non infonda-tezza” dei rilievi posti dalle regioni, si è giunti a un accordo proprio tra stato e regioni e, vista l’indif-feribilità dell’istituzione della figura, è stato adottato il provvedimento normativo della ConferenzaStato-Regioni come soluzione di compromesso per la regolazione “in via provvisoria” dell’istituzionedella figura. Provvedimento definito “necessario e urgente”.

Da ultimo registriamo il D.L. 12 novembre 2001, n. 412 “Disposizioni urgenti in materia di perso-nale sanitario” convertito con la legge 8 gennaio 2002, n. 1 che all’art. 2, commi 9, 10 e 11 demandaal ministro della salute di regolamentare con decreto le figure “di operatori professionali dell’area sa-nitaria da formare attraverso corsi a cura delle regioni”. Nello stesso decreto si precisa che devono es-sere stabiliti “standard minimi di insegnamento teorico e di addestramento pratico, nonché le moda-lità di nomina della commissione esaminatrice e di espletamento dell’esame finale”.

L’evoluzione delle figure “sanitarie” e sociali di supportoL’operatore socio-sanitario nasce come evoluzione di altre figure di supporto, anche se raramentecon compiti assistenziali, che si sono succedute generalmente nei contratti di lavoro.

Le figure che storicamente sono presenti all’interno degli ospedali e dei servizi, e che tradi-zionalmente sono state inquadrate come personale esecutivo, sono gli ausiliari.

A titolo di breve ricostruzione di questa figura ricordiamo che “l’Accordo nazionale unico dilavoro per il personale ospedaliero (ANUL) del 1974 prevedeva due tipi di ausiliari: l’ausiliario-portantino come situazione transitoria nei primi sei mesi di assunzione, dopodiché avveniva ilriconoscimento come vero e proprio “Ausiliario”.

Il successivo contratto di lavoro (ANUL 1979) distinse invece l’Addetto esclusivamente a man-sioni elementari di pulizia con inquadramento al primo livello retributivo, dall’ausiliario socio-sanitario. Nel 1979 nasce – quantomeno a livello contrattuale – l’esigenza di definire un campodiverso di attività rispetto alle semplici ed elementari mansioni di pulizia ambientale. Non si at-tribuivano però compiti di carattere assistenziale, fatta salva l’attività di trasporto di am malati.

La figura originaria dell’ausiliario socio-sanitario disponeva di “autonomia operativa nei li-miti dell’esecuzione delle prestazioni proprie che sono soggette a controllo diretto” e aveva una“responsabilità limitata alla corretta esecuzione delle prestazioni nell’ambito delle istruzioni ri-cevute e dell’autonomia riconosciutagli”.

Nel successivo accordo nazionale di lavoro del 24 giugno 1980 vennero distinte due figure diausiliario: l’ausiliario socio-sanitario e l’ausiliario socio-sanitario specializzato.

I contratti che seguirono negli anni Ottanta furono recepiti con il successivo decreto del Pre-sidente della Repubblica in virtù del diverso assetto determinatosi con l’approvazione della leggequadro del pubblico impiego.

Il primo contratto unico della sanità, formalizzato nel D.P.R. 25 giugno 1983, n. 348 confermòi due diversi tipi di ausiliario.

L’ausiliario socio-sanitario specializzato seguì brevi corsi di addestramento e a lui furono am-pliate le mansioni. Il D.M. 10 febbraio 19842 per quanto concerne le attribuzioni di questa figuraspecificava testualmente:

2 D.M. 10 febbraio 1984 “Identificazione dei profili professionali attinenti a figure nuove atipiche o di dub-bia ascrizione ai sensi dell’art. 1, quarto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 20 dicembre1979, n. 761, che regolamenta lo stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali”.

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Gli operatori di supporto – Capitolo 4

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L’ausiliario socio-sanitario specializzato assicura le pulizie negli ambienti di degenza ospedaliera, diurna e do-miciliare, ivi comprese quelle del comodino e delle apparecchiature della testata del letto. Provvede al tra-sporto degli infermi in barella e in carrozzella e al loro accompagnamento se deambulanti con difficoltà. Col-labora con il personale infermieristico nelle pulizie del malato allettato e nelle manovre di posizionamento delletto. È responsabile della corretta esecuzione dei compiti che sono stati affidati dal caposala e prende partealla programmazione degli interventi assistenziali per il degente.Il nuovo profilo professionale degli ausiliari socio-sanitari, che conserva la collocazione nel ruolo tecnico,comprende due posizioni funzionali:a) ausiliari socio-sanitari specializzati;b) ausiliari socio-sanitari.In tale profilo viene collocato nelle corrispondenti posizioni funzionali il personale in possesso della corri-spondente qualifica di ausiliario socio-sanitario specializzato, di ausiliario socio-sanitario, di ausiliario assi-stente.Il personale, che non svolge attività di assistenza sanitaria nei confronti dell’utente, può passare da una posi-zione funzionale all’altra dopo un periodo di servizio di anni due nella posizione funzionale inferiore e di su-peramento di apposito corso, le cui modalità verranno fissate con successivo provvedimento.

L’ausiliario socio-sanitario specializzato abbandonava quindi l’esclusività delle mansioni dipulizia per occuparsi di elementari mansioni di carattere assistenziale in diretta collaborazionecon “il personale infermieristico” più che con il personale professionale infermieristico. È utile ri-cordare che la classificazione del personale infermieristico come indistinto personale di “assi-stenza diretta” proveniva dalla riforma ospedaliera del 1969.

I corsi di formazione per l’ausiliario socio-sanitario furono regolati dal D.M. 15 giugno 1987, n.5903 per un totale di 310 ore di formazione di cui 110 dedicate alla parte teorica e 200 alla pratica.

Il fatto che l’ausiliario avesse compiti più ampi dello stretto mansionario riconosciuto dai varicontratti di lavoro e, soprattutto, che non vi fosse una definizione univoca di attività infermieri-stica, ampia come quella ricomprendente anche attività che potevano essere svolte da altri ope-ratori, è stato oggetto anche di pronunce giurisprudenziali. La Corte di Cassazione ha avuto mododi precisare che “il rispondere al suono dei campanelli azionati dai ricoverati, costituiva adem-pimento che di per sé non implicava necessariamente prestazioni di natura infermieristica, benpotendo la richiesta del paziente avere per oggetto compiti di stretta competenza del personaleausiliario”, e rientravano sempre nella competenza degli ausiliari le prestazioni manuali, comequella di “portare ’pappagalli’ e ’padelle’, salvo il caso in cui feci e urine dovessero essere rac-colte per uso diagnostico di laboratorio, e di provvedere al rifacimento dei letti, quale lavoro ti-picamente alberghiero, salvo il caso che tale operazione comportasse rischi per il malato”.4 Lasuprema corte cioè distingue le attività assistenziali infermieristiche da attività assistenziali dicarattere più generale che non sono necessariamente di competenza infermieristica. La distin-zione in sé appare corretta, anche se poi nel concreto non è così semplice distinguere nettamentee in modo schematico.

Nulla di nuovo accade per il contratto del 1987 recepito attraverso il D.P.R. 20 maggio 1987,n. 270.

Novità rilevanti invece sono contenute nel successivo contratto di lavoro, inserito nel D.P.R.28 novembre 1990, n. 384 che, tra le altre cose, viene ricordato come il primo contratto che pur

3 D.M. 15 giugno 1987, n. 590. “Approvazione del regolamento e del programma del corso di qualificazionedegli ausiliari socio-sanitari specializzati”.4 Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza del 21 maggio 1984, n. 2210.

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nella singolarità dell’unica sottoscrizione, prevede due aree separate di contrattazione: l’areadel comparto sanità e l’area medica (la quale otterrà un contratto completamente separato apartire dal 1995). Il D.P.R. 384/1990 istituisce la figura dell’Operatore tecnico addetto all’assi-stenza (OTA) e riunisce in un solo livello retributivo (il III) l’ausiliario socio-sanitario e l’ausilia-rio socio-sanitario specializzato, mentre la nuova figura dell’OTA viene posta al quarto livelloretributivo.

Per quanto riguarda la figura dell’ausiliario questa è oggi regolata dalla declaratoria appro-vata con le cosiddette “code contrattuali” inserite nel contratto integrativo 2001 laddove si pre-cisa testualmente:

Ausiliario specializzato Svolge le attività semplici di tipo manuale che richiedono una normale capacità nella qualificazione profes-sionale posseduta, quali, per esempio, l’utilizzazione di macchinari e attrezzature specifici, la pulizia e il rior-dino degli ambienti interni ed esterni e tutte le operazioni inerenti il trasporto di materiali in uso, nell’ambitodei settori o servizi di assegnazione, le operazioni elementari e di supporto richieste, necessarie al funziona-mento dell’unità operativa. L’ausiliario specializzato operante nei servizi tecnico-economali può essere adibito alla conduzione di auto-veicoli strumentali alla propria attività e alla loro piccola manutenzione.L’ausiliario specializzato operante nei servizi socio-assistenziali provvede all’accompagnamento o allo spo-stamento dei degenti, in relazione alle tipologie assistenziali e secondo i protocolli organizzativi delle unitàoperative interessate.

Il quadro normativo sull’OTA si completa con l’emanazione del D.M. 26 luglio 1991, n. 2955

che regolamenta la formazione della figura.La figura dell’OTA era caratterizzata da un evidente compromesso tra la necessità di formare

una figura di supporto e l’evidente timore di formare una figura che potesse in seguito rivendi-care provvedimenti aventi un carattere di sanatoria quali quelli che hanno caratterizzato a lungogli anni Settanta e, in parte, gli anni Ottanta. Il compromesso era evidente sin dal nome: un ope-ratore tecnico, stranamente addetto all’assistenza. In genere la classificazione come operatoretecnico indicava attività non classificabili come sanitarie. Inoltre essendo l’operatore tecnicol’evoluzione dell’ausiliario socio-sanitario specializzato era ben curioso che nell’evoluzione spa-risse il termine sanitario.

Tra i motivi che hanno indotto i contraenti – l’OTA è una figura contrattuale – vi era in primoluogo l’emergenza (ovvero carenza) di infermieri della fine degli anni Ottanta.

La neonata figura dell’OTA era, ed è, fortemente subordinata all’infermiere professionale e alcaposala in quanto agisce sotto la loro “diretta responsabilità”. Le vere uniche mansioni di ca-rattere assistenziale demandate all’OTA sono solo tre e devono essere eseguite “sotto la colla-borazione o su indicazione dell’infermiere professionale”:

– il rifacimento del letto occupato;– l’igiene personale del paziente;– il posizionamento e il mantenimento delle posizioni terapeutiche.

Capitolo 4 – Gli operatori di supporto

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5 D.M. 26 luglio 1991, n. 295. “Regolamento dei corsi di qualificazione per l’accesso al profilo professionaledi operatore tecnico addetto all’assistenza in applicazione dell’art. 40, comma 3, del decreto del Presidentedella Repubblica 28 novembre 1990, n. 384”.

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Proprio in relazione al carattere di compromesso e al fine di creare una figura realmente fles-sibile all’interno dell’organizzazione del lavoro, l’operatore tecnico addetto all’assistenza man-teneva tra le proprie competenze tutte le mansioni e i compiti dell’ausiliario socio-sanitario tantoda configurarlo più come una sorta di “superausiliario” che come operatore addetto all’assi-stenza.

I corsi di formazione dovevano essere gestiti direttamente dalle scuole per infermieri profes-sionali delle USL o “presso altre strutture dotate delle necessarie attrezzature didattiche indivi-duate dalle regioni e dalle province autonome” e per un totale di ore di corso teorico-pratico dicirca 700 ore.

L’art. 7 del D.M. 295/1991 specificava che la nuova figura doveva essere inserita “priorita-riamente nelle équipe assistenziali delle unità operative ospedaliere”. L’OTA nasce e si sviluppain ambiente ospedaliero, pur essendo nato nel 1990 a oltre dieci anni dalla riforma sanitaria.

Per l’inserimento “prioritario” all’interno delle équipe assistenziali, le varie direzioni sanita-rie dovevano attuare una “revisione dei modelli di organizzazione del lavoro infermieristico” daeffettuarsi a cura degli “infermieri dirigenti”. Non risulta che questa opportunità sia stata gene-ralmente colta.

Il D.M. 291/1991 andava però oltre, mostrandosi decisamente innovativo rispetto all’epoca.Il terzo comma dell’art. 7 prevedeva la predisposizione di “protocolli operativi e piani di attivitàche fungano da guida e supporto alle attività pratiche dell’operatore tecnico addetto all’assi-stenza, e da strumento di verifica e valutazione delle stesse”. Si prevedeva infine una “valuta-zione del livello di efficacia dell’inserimento dell’operatore tecnico addetto all’assistenza e laverifica del grado di specificità nell’utilizzazione del personale infermieristico da esso suppor-tato”.

Deve essere infine citata la declaratoria del CCNL del comparto sanità del 19996 che in realtà– come del resto spesso accade a questo tipo di strumento normativo – si sovrappone in parte aidecreti istitutivi dell’OTA creando un qualche problema di carattere interpretativo e decisamenteriduttivo. A fini di completezza la riportiamo qui di seguito:

Operatore tecnico addetto all’assistenza Svolge le attività alberghiere relative alla degenza comprese l’assistenza ai degenti per la loro igiene personale,il trasporto del materiale, la pulizia e la manutenzione di utensili e apparecchiature.

L’OTA quindi nasce al dichiarato scopo di supportare l’infermiere per una serie di attività e diimplementare un’organizzazione del lavoro diversa all’interno degli ospedali.

La figura dell’OTA, come figura di carattere strettamente ospedaliero e impiegabile solo inospedale o in servizi gestiti direttamente dal Servizio sanitario nazionale, lasciava scoperto il set-tore sociale, il settore dell’assistenza domiciliare e territoriale in genere. A questa carenza hannosupplito le varie regioni creando, con propri provvedimenti legislativi e regolamentari, una figuradi operatore di supporto nel settore sociale (a volte impropriamente anche in quello socio-sani-tario) che ha assunto nomi diversi a seconda della regione di formazione sia pure con funzionitutto sommato omogenee.

Gli operatori di supporto – Capitolo 4

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6 Accordo 7 aprile 1999 “Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro relativo al quadriennio normativo 1998-2001 e al biennio economico 1998-1999 del personale del comparto di Sanità”.

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Le denominazioni più comuni che ricorrono nelle varie regioni sono: Addetto ai servizi so-ciali e tutelari (ADEST), Operatore socio-assistenziale (OSA), Assistente di base (ADB), Ausilia-rio socio-assistenziale (ASA), Operatore addetto all’assistenza (OAA), Assistente domiciliare an-ziani (ADA), Addetto all’assistenza di base (AAB).

La nuova figura dell’operatore socio-sanitario è dunque il risultato di una fusione tra l’ambitosanitario e quello sociale.

La nascita dell’Operatore socio-sanitario (OSS)Abbiamo visto l’evoluzione delle figure di supporto dell’assistenza infermieristica e la frammen-tazione delle stesse in ambito sociale. Vari motivi hanno spinto nella direzione della creazionedi una figura più ampia di supporto all’assistenza (non solo infermieristica e non solo sanitaria).

Le esigenze del SSN si sono in questi anni evolute, in relazione al piano sanitario nazionalee alla recente riforma ter recepita con il D.Lgs. 19 giugno 1999, n. 229 recante “Norme per la ra-zionalizzazione del Servizio sanitario nazionale”.

Le esigenze si concentrano in una più marcata integrazione dell’area sociale con l’area sa-nitaria e nella necessità di creare una vera figura di supporto all’assistenza infermieristica, ade-guatamente preparata, con profili di competenza più ampi della figura OTA.

L’art. 3 octies del D.Lgs. 502/1992 così come integrato dalla riforma ter prevede l’istituzionedell’area delle professioni socio-sanitarie con tre livelli di competenza: l’area laureata dirigen-ziale, l’area delle professioni diplomate e l’area degli operatori da “formare in corsi a cura delleregioni”.

Non vi sono dubbi però che la perdurante carenza di infermieri negli ultimi anni sia stata laspinta maggiore alla creazione e all’implementazione della figura dell’OSS.

Viene creata la figura dell’OSS come unica figura di supporto sanitario e sociale con il già ci-tato provvedimento normativo della Conferenza Stato-Regioni.

La formazione del nuovo operatore sale a mille ore, superiore di oltre trecento ore alla for-mazione dell’ex infermiere generico, con la possibilità di frequenza di ulteriori moduli formativiper altre duecento ore.

Le attuali figure di supporto – OTA e sociali – potranno riconvertirsi facendo valere i loro cre-diti formativi determinati dalla frequenza dei corsi di formazione precedenti.

Per quanto riguarda l’allargamento del contesto operativo l’art. 3 del provvedimento dellaConferenza Stato-Regioni specifica che l’OSS svolge la sua “attività sia nel settore sociale chein quello sanitario, residenziale o semiresidenziale, in ambiente ospedaliero e al domiciliodell’utente”.

Riportiamo qui di seguito gli allegati A e B del provvedimento di istituzione dell’OSS dovevengono elencate le principali attività e le competenze tecniche e relazionali richieste alla figura.

Allegato AElenco delle principali attività previste per l’operatore socio-sanitario

1. Assistenza diretta e aiuto domestico alberghiero:– assiste la persona, in particolare non autosufficiente o allettata, nelle attività quotidiane e di igiene per-

sonale;– realizza attività semplici di supporto diagnostico e terapeutico;– collabora ad attività finalizzate al mantenimento delle capacità psicofisiche residue, alla rieducazione,

riattivazione, recupero funzionale;– realizza attività di animazione e socializzazione di singoli e gruppi;– coadiuva il personale sanitario e sociale nell’assistenza al malato anche terminale e morente;

Capitolo 4 – Gli operatori di supporto

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– aiuta la gestione dell’utente nel suo ambito di vita;– cura la pulizia e l’igiene ambientale.

2. Intervento igienico sanitario e di carattere sociale:– osserva e collabora alla rilevazione dei bisogni e delle condizioni di rischio-danno dell’utente;– collabora all’attuazione degli interventi assistenziali;– valuta, per quanto di competenza, gli interventi più appropriati da proporre;– collabora all’attuazione di sistemi di verifica degli interventi;– riconosce e utilizza linguaggi e sistemi di comunicazione-relazione appropriati in relazione alle con-

dizioni operative;– mette in atto relazioni-comunicazioni di aiuto con l’utente e la famiglia, per l’integrazione sociale e il

mantenimento e recupero della identità personale.3. Supporto gestionale, organizzativo e formativo:

– utilizza strumenti informativi di uso comune per la registrazione di quanto rilevato durante il servizio;– collabora alla verifica della qualità del servizio;– concorre, rispetto agli operatori dello stesso profilo, alla realizzazione dei tirocini e alla loro valuta-

zione;– collabora alla definizione dei propri bisogni di formazione e frequenta corsi di aggiornamento;– collabora, anche nei servizi assistenziali non di ricovero, alla realizzazione di attività semplici.

Allegato BCompetenze tecniche

In base alle proprie competenze e in collaborazione con altre figure professionali, sa attuare i piani di lavoro.È in grado di utilizzare metodologie di lavoro comuni (schede, protocolli ecc.).È in grado di collaborare con l’utente e la sua famiglia:– nel governo della casa e dell’ambiente di vita, nell’igiene e cambio biancheria;– nella preparazione e/o aiuto all’assunzione dei pasti;– quando necessario, e a domicilio, per l’effettuazione degli acquisti;– nella sanificazione e sanitizzazione ambientale.È in grado di curare la pulizia e la manutenzione di arredi e attrezzature, nonché la conservazione degli stessie il riordino del materiale dopo l’assunzione dei pasti.Sa curare il lavaggio, l’asciugatura e la preparazione del materiale da sterilizzare.Sa garantire la raccolta e lo stoccaggio corretto dei rifiuti, il trasporto del materiale biologico sanitario, e deicampioni per gli esami diagnostici, secondo protocolli stabiliti.Sa svolgere attività finalizzate all’igiene personale, al cambio della biancheria, all’espletamento delle funzionifisiologiche, all’aiuto nella deambulazione, all’uso corretto di presidi, ausili e attrezzature, all’apprendimentoe mantenimento di posture corrette.In sostituzione e appoggio dei familiari e su indicazione del personale preposto è in grado di:– aiutare per la corretta assunzione dei farmaci prescritti e per il corretto utilizzo di apparecchi medicali di

semplice uso;– aiutare nella preparazione alle prestazioni sanitarie;– osservare, riconoscere e riferire alcuni dei più comuni sintomi di allarme che l’utente può presentare (pal-

lore, sudorazione ecc.);– attuare interventi di primo soccorso;– effettuare piccole medicazioni o cambio delle stesse;– controllare e assistere la somministrazione delle diete;– aiutare nelle attività di animazione e che favoriscono la socializzazione, il recupero e il mantenimento di

capacità cognitive e manuali;– collaborare ed educare al movimento e favorire movimenti di mobilizzazione semplici su singoli e gruppi;– provvedere al trasporto di utenti, anche allettati, in barella o carrozzella;– collaborare alla composizione della salma e provvedere al suo trasferimento;– utilizzare specifici protocolli per mantenere la sicurezza dell’utente, riducendo al massimo il rischio;– svolgere attività di informazione sui servizi del territorio e curare il disbrigo di pratiche burocratiche;– accompagnare l’utente per l’accesso ai servizi.

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Competenze relative alle conoscenze richieste

Conosce le principali tipologie di utenti e le problematiche connesse.Conosce le diverse fasi di elaborazione dei progetti di intervento personalizzati.Riconosce per i vari ambiti, le dinamiche relazionali appropriate per rapportarsi all’utente sofferente, diso-rientato, agitato, demente o handicappato mentale ecc.È in grado di riconoscere le situazioni ambientali e le condizioni dell’utente per le quali è necessario metterein atto le differenti competenze tecniche.Conosce le modalità di rilevazione, segnalazione e comunicazione dei problemi generali e specifici relativiall’utente.Conosce le condizioni di rischio e le più comuni sindromi da prolungato allettamento e immobilizzazione.Conosce i principali interventi semplici di educazione alla salute, rivolti agli utenti e ai loro familiari.Conosce l’organizzazione dei servizi sociali e sanitari e quella delle reti informali.

Competenze relazionali

Sa lavorare in équipe.Si avvicina e si rapporta con l’utente e con la famiglia, comunicando in modo partecipativo in tutte le attivitàquotidiane di assistenza; sa rispondere esaurientemente, coinvolgendo e stimolando al dialogo.È in grado di interagire, in collaborazione con il personale sanitario, con il malato morente.Sa coinvolgere le reti informali, sa rapportarsi con le strutture sociali, ricreative e culturali dei territori.Sa sollecitare e organizzare momenti di socializzazione, fornendo sostegno alla partecipazione a iniziative cul-turali e ricreative sia sul territorio che in ambito residenziale.È in grado di partecipare all’accoglimento dell’utente per assicurare una puntuale informazione sul servizio esulle risorse.È in grado di gestire la propria attività con la dovuta riservatezza ed eticità.Affiancandosi ai tirocinanti, sa trasmettere i propri contenuti operativi.

Gli ambiti di maggiore autonomia, pure all’interno di un sistema organizzativo definito, sonodecisamente maggiori rispetto alle precedenti figure di supporto.

Si prevedono infatti attività dirette all’assistenza di base, alla realizzazione di attività sem-plici di supporto diagnostico e terapeutico, all’osservazione e alla rilevazione dei bisogni e dellecondizioni di rischio-danno dell’utente, alla valutazione e alla collaborazione dei sistemi di ve-rifica degli interventi.

Vi sono ambiti anche non più di stretto supporto all’assistenza infermieristica. Si pensi a vocidel tipo: “realizza attività di animazione e socializzazione di gruppi o singoli”; “collabora ed educaal movimento e favorisce movimenti di mobilizzazione su gruppi o singoli” che lo inseriscono insituazioni che possono essere di supporto a professionisti diversi dagli infermieri come gli edu-catori professionali o i fisioterapisti.

Le code contrattuali contenute nel contratto integrativo 2001 del comparto sanità hanno in-serito la seguente declaratoria:

Operatore socio-sanitarioSvolge la sua attività sia nel settore sociale che in quello sanitario in servizi di tipo socio-assistenziali e socio-sa-nitari residenziali e non residenziali, in ambiente ospedaliero e al domicilio dell’utente. Svolge la sua attività suindicazione – ciascuna secondo le proprie competenze – degli operatori professionali preposti all’assistenza sa-nitaria e a quella sociale, e in collaborazione con gli altri operatori, secondo il criterio del lavoro multiprofessio-nale. Le attività dell’operatore socio-sanitario sono rivolte alla persona e al suo ambiente di vita, al fine di fornire:a) assistenza diretta e di supporto alla gestione dell’ambiente di vita;b) intervento igienico-sanitario e di carattere sociale;c) supporto gestionale, organizzativo e formativo.

Capitolo 4 – Gli operatori di supporto

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Di particolare interesse – vista una qualche indeterminatezza legata alla mancata traspa-renza sulla subalternità gerarchica dell’OSS nel provvedimento della Conferenza Stato-Regioni– il fatto che venga esplicitato che l’operatore di supporto svolge la propria attività “su indica-zione degli operatori professionali preposti all’assistenza sanitaria e a quella sociale”.

Svolge quindi l’attività “su indicazione”. Per “operatori professionali preposti all’assistenzasanitaria” sono da intendersi tutti i professionisti sanitari inquadrati in categoria D. Più che unafigura di supporto all’assistenza infermieristica in particolare, l’operatore socio-sanitario è daconsiderarsi una figura di supporto all’assistenza sanitaria in generale (oltre che sociale). Puòessere utilizzato anche con il personale della riabilitazione, con il personale ostetrico ecc.

Questa impostazione così tassativa qui sostenuta – il supporto – può essere criticata nonsenza qualche ragione.

Nella lettura del documento statale troviamo infatti espressioni e diciture che indicano unacerta autonomia della figura dell’OSS, peraltro ben maggiori che in altre figure del passato. Nesottolineiamo alcune: l’OSS “collabora ad attività finalizzate al mantenimento delle capacità psi-cofisiche residue, alla rieducazione, riattivazione, recupero funzionale”; “valuta, per quanto dicompetenza, gli interventi più appropriati da proporre”; “collabora all’attuazione dei sistemi diverifica degli interventi”; “mette in atto relazioni-comunicazioni di aiuto con l’utente e la fami-glia, per l’integrazione sociale e il mantenimento e recupero dell’identità personale”. L’autono-mia attribuita è più concentrata sulle attività di “programmazione” o di decisione che non inquelle tecniche.

Vedremo oltre che comunque l’attività dell’OSS è da inquadrarsi come supporto.L’elencazione delle attività dell’operatore socio-sanitario è relativa – lo conferma il dato nor-

mativo – alle “principali attività” della figura, volendo chiaramente intendere come tale elenca-zione non debba essere considerata esaustiva.

Questa interpretazione trova l’avallo della giurisprudenza amministrativa che ha avuto mododi precisare che la rilevazione della “pressione arteriosa, omerale e il battito cardiaco” non deb-bano considerarsi attività esclusive dell’infermiere e quindi attribuibili all’operatore socio-sani-tario. Il profilo dell’OSS deve essere interpretato in base “a criteri sostanziali e non formali”.7

I recepimenti regionaliL’estrema indeterminatezza dovuta alla titolarità nella formazione delle regioni e delle provinceautonome ha portato all’implementazione delle figure di supporto all’assistenza socio-sanita-ria che possono essere così riassunte:

1. le regioni che hanno recepito fedelmente il documento della Conferenza Stato-Regioni agendosolo ed esclusivamente con norme di implementazione, ragguaglio e dettaglio. Tra questeannoveriamo la regione Emilia-Romagna8 e la regione Toscana;9

2. le regioni che hanno apportato delle variazioni significative, soprattutto con ampliamentodi competenze nel settore sanitario. Tra queste, in particolare sono da annoverare la regione

Gli operatori di supporto – Capitolo 4

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7 TAR Veneto, sentenza del 2 febbraio 2005, n. 693. 8 Delibera della Giunta regionale della regione Emilia-Romagna n. 1404/2000 “Modello regionale di for-mazione iniziale per il conseguimento della qualifica di operatore socio-sanitario”. 9 Delibera della Giunta regionale Toscana n. 1052 del 24 settembre 2001 “Attuazione provvedimento 22febbraio 2001 concernente Accordo tra il Ministro della sanità, il Ministro per la solidarietà sociale e le re-gioni e province autonome di Trento e Bolzano, per l’individuazione della figura e del relativo profilo pro-fessionale dell’operatore socio-sanitario, e per la definizione dell’ordinamento didattico dei corsi di forma-zione”.

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Lombardia10 e la regione Veneto.11 In entrambe queste regioni vi sono compiti relativi allasomministrazione di farmaci: in modo più strutturato per la regione Lombardia e riguar-dante i farmaci non iniettabili, in modo più estrapolato dal contesto per quanto riguarda laregione Veneto, per l’effettuazione di terapia iniettiva intramuscolare. La regione Lombar-dia – al di là dell’allargamento di competenze rispetto al documento statale – si è fortementepreoccupata di vincolare in modo più chiaro l’agire professionale dell’operatore socio-sa-nitario rispetto a quanto faccia il documento statale. Si legge infatti che l’OSS nell’assolvi-mento delle sue mansioni “agisce come figura di supporto in base alle proprie competenzee in applicazione dei piani di lavoro e di protocolli operativi predisposti dal personale sa-nitario e sociale preposto”. È utile sottolineare come in genere i recepimenti avvengano connorme di carattere regolamentare (per lo più delibere della giunta regionale). Fa eccezioneil Veneto che ha varato sull’OSS una vera e propria legge regionale;

3. le regioni e le province autonome che hanno figure approvate in epoca pre-accordo Con-ferenza Stato-Regioni sull’OSS e che hanno un ambito di autonomia e di responsabilità benmaggiore dell’OSS. È il caso di ricordare in particolare l’operatore socio-assistenziale (OSA)della provincia autonoma di Bolzano.12 La provincia di Bolzano, in anteprima rispetto aldocumento statale, ha varato una figura che travalica alcuni aspetti oggi riconosciuti allaprofessione infermieristica, alle professioni della riabilitazione e alla professione di podo-logo. Di dubbia legittimità l’art. 2 che definisce l’OSA “responsabile per il benessere gene-rale sul piano fisico, psichico e sociale della persona da assistere”. Il D.M. 14 settembre1994, n. 739 recante il profilo professionale dell’infermiere, infatti, definisce lo stesso comel’operatore responsabile dell’assistenza generale infermieristica, che sicuramente ricom-prende il benessere fisico e psichico dell’OSA della provincia di Bolzano. Inoltre sono pre-visti, all’art. 4, compiti di somministrazione di farmaci, medicazione di ferite, alimentazionetramite sonda, che interferiscono con le attribuzioni attuali degli infermieri. Del tutto ille-gittimi sono i compiti che interferiscono con le professioni della riabilitazione. Si prevedeinfatti che all’OSA bolzanino competa “l’attuazione di programmi terapeutici a livello mo-torio, di ergoterapia e di logopedia”.

L’inquadramento contrattualeL’inquadramento dell’operatore socio-sanitario a livello contrattuale è stato recentemente in-serito13 ed è stato previsto in categoria Bs (la stessa degli infermieri generici; l’ex V livello).Conseguenza di questo è la messa “a esaurimento” della figura dell’operatore tecnico addettoall’assistenza. Le categorie delle figure a esaurimento sono, nel contratto del comparto sanità,decisamente numerose. Si pensi alle principali: infermiere generico, infermiere psichiatrico,puericultrici, massofisioterapisti.

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10 Delibera Giunta regionale lombarda n. VII/5428 del 6 luglio 2001 “Individuazione della figura e del pro-filo professionale dell’operatore socio-sanitario (OSS)”. 11 Legge regionale 16 agosto 2001, n. 20 “La figura professionale dell’operatore socio-sanitario” (BUR Ve-neto n. 75/2001). 12 Decreto del Presidente della Giunta provinciale relativo alle mansioni e campi dell’attività dell’Opera-tore socio-assistenziale 28 dicembre 1999, n. 72, Gazzetta Ufficiale (serie speciale) n. 43 del 28 ottobre 2000e nel supplemento ordinario del BUR del Trentino-Alto Adige n. 6 dell’8 febbraio 2000. Riportato integral-mente su questa rivista n. 4, 2000. 13 CCNL del comparto sanità – il biennio economico e CCNL integrativo del CCNL del personale del com-parto sanità stipulato il 7 aprile 1999, Gazzetta Ufficiale n. 248 del 24 ottobre 2001, supplemento ordinarion. 240.

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Le aziende dovranno provvedere “con oneri a proprio carico, all’istituzione nella dotazioneorganica del nuovo profilo” in numero che sarà ritenuto necessario alla proprie esigenze orga-nizzative. Il passaggio dei dipendenti dalla categoria B tipica dell’OTA alla categoria Bs dellanuova figura avverrà attraverso “selezioni” interne in cui sono ammessi gli OTA in possessodell’attestato di OSS “fino al loro completo esaurimento”.

Conseguentemente verrà integrata la normativa concorsuale.

I rapporti tra il professionista e l’operatore di supporto: profili di responsabilitàIl titolo di questo paragrafo vuole rimarcare il fatto che l’OSS nasce come operatore di sup-porto all’assistenza sanitaria più che come operatore dell’assistenza infermieristica, oltre adavere una competenza non solo sanitaria ma anche sociale.

Non vi sono però dubbi che il suo impiego sarà prevalentemente rivolto al supporto infer-mieristico, e sul suo corretto uso il mondo professionale si sta da tempo interrogando.14

Da un punto di vista generale la responsabilità per la corretta gestione dell’assistenza è sal-damente in mano al personale infermieristico professionale come ben testimoniato dal combi-nato disposto dell’art. 1 del D.M. 14 settembre 1994, n. 739, comma 1, laddove si specifica chel’infermiere è responsabile dell’assistenza generale infermieristica; dal comma 2b) laddove si pre-cisa che l’infermiere “identifica i bisogni di assistenza infermieristica della persona e della col-lettività e formula i relativi obiettivi”; dal comma 2c) laddove viene esplicitato che l’infermiere“pianifica, gestisce e valuta l’intervento assistenziale infermieristico”; dal comma 2f ) laddove sipuntualizza che “per l’espletamento delle funzioni l’infermiere si avvale, ove necessario, dell’operadel personale di supporto”. Un’interessante suddivisione degli ambiti di autonomia è stata fattadalla regione Lombardia che ha prefigurato tre ambiti di attività dell’agire professionale dell’OSSdiversamente classificabili. Si specifica infatti che l’OSS:

– opera in quanto può agire in autonomia;– coopera in quanto svolge solo parte dell’attività alle quali concorre con altri professionisti;– collabora in quanto svolge attività su precisa indicazione dei professionisti.

Questa classificazione ci fa capire che quanto più l’OSS esce dall’ambito autonomo quantomeno risponde del suo agire professionale. Il riferimento è in particolare al terzo punto della clas-sificazione dove l’operatore di supporto viene chiamato a costituire una sorta di longa manus delprofessionista.

Un esempio potrebbe venire dall’attribuzione dell’OSS che citiamo testualmente: “aiuta per lacorretta assunzione dei farmaci prescritti”. È utile sottolineare che si parla di “assunzione” e non disomministrazione: i due verbi non sono sinonimi. Il primo indica un’attività rivolta verso il paziente;il secondo un fare attivo da parte dell’operatore. In questa ottica, in caso di errore (di dosaggio, di

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14 Si vedano tra gli altri i seguenti contributi: Matarese M., Destrebecq A., Casiraghi L., Infermieri e operatoridi supporto: dibattito, Nursing oggi, 4, 2000; Orlandi C., Una nuova figura a supporto degli infermieri: l’opera-tore socio-assistenziale. Risorsa o problema organizzativo?, Management infermieristico, 2, 2000; Saiani L.,Franceschini M., Il dibattito negli USA sulla “delega” delle attività assistenziali, Assistenza infermieristica e ri-cerca, 2000, 19, 2; Saiani L., Cuel M., OTAA: un progetto sperimentale di formazione, Foglio notizie Federa-zione Ipasvi, 6, novembre-dicembre 1999; Di Giulio P., Cosa sta cambiando nella professione infermieristica?,Assistenza infermieristica e ricerca, 19, 2, 2000; Silvestro A. et al., Principi e metodo seguiti dal Servizio infer-mieristico dell’azienda per i servizi sanitari 4 Medio Friuli per affrontare nella pratica assistenziale quotidianail problema di assicurare un’adeguata presenza di infermieri per rispondere al meglio ai bisogni sanitaridell’utenza, L’Infermiere, 4, 2000.

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orario, di indicazione ecc.), la responsabilità ricade interamente sul professionista e resta all’ope-ratore la pura e semplice responsabilità dell’esecutore che, come specificavano i contratti de-gli anni Settanta, era “limitata alla corretta esecuzione delle prestazioni nell’ambito delle istru-zioni ricevute e dell’autonomia riconosciutagli”, autonomia che in questo caso è pressoché an-nullata. In questo caso quindi – fatte salve le particolarità e le varietà dei casi – è riconducibileall’infermiere.

D’altra parte la somministrazione di farmaci è tradizionalmente riservata al personale in-fermieristico ed è preclusa alle figure dell’operatore tecnico addetto all’assistenza, agli ausi-liari, agli operatori di provenienza sociale.

Sul punto ha avuto modo di esprimersi anche la giurisprudenza amministrativa. Il TAR dellaToscana ha sentenziato:15

È illegittimo l’ordine di servizio con cui vengono incaricati di somministrare agli assistiti di un centro diurnodi riabilitazione di un’azienda USL, i farmaci prescritti dal medico curante, figure professionali come edu-catori, fisioterapisti e OTA (Operatori tecnici addetti all’assistenza).Non compete a tali figure la somministrazione di farmaci a soggetti disabili dato che tale attività presupponela valutazione del momento della loro somministrazione, in relazione al concreto stato psicofisico dei de-stinatari stessi, richiede sicuramente una qualificazione, oltre che esperienza professionale.La somministrazione di farmaci è del tutto estranea ai compiti di personale con qualifiche diverse da quelleinfermieristiche in quanto l’opera dell’educatore professionale si limita alla cura del recupero e del reinse-rimento di soggetti portatori di menomazioni psicofisiche; l’opera del terapista occupazionale e del fisiote-rapista sono finalizzate al recupero, all’uso ottimale di funzioni finalizzate al reinserimento, all’adattamentoe all’integrazione dell’invidividuo nel proprio ambiente personale, domestico e sociale, mentre i compitidell’OTA sono del tutto manuali.La somministrazione di farmaci non può ritenersi mansione complementare e strumentale rispetto agli obiet-tivi di lavoro di tali figure professionali, e sono da considerarsi del tutto estranee alle mansioni affidate dallenormative vigenti.

Nella stessa sede sono state respinte le tesi tendenti a ricomprendere l’attività di sommini-strazione di farmaci come “pienamente rientrante tra i compiti del personale operante nellestrutture senza distinzione di qualifica” e, inoltre, l’altra più suggestiva secondo la quale “lasomministrazione di farmaci per via orale […] rientra tra gli atti quotidiani di vita […] che è te-nuto a compiere colui al quale sia affidata permanentemente (tutore, esercente la patria pote-stà ecc.) la cura del minore/interdetto/inabile. L’onere di tali attività si trasferisce a colui alquale venga affidata, anche temporaneamente, la custodia dei soggetti predetti. Nell’eserciziodi tali attività l’affidatario risponde nei limiti della responsabilità del buon padre di famiglia”.

Vi sono spazi di manovra più ampi nella somministrazione di farmaci rispetto alle figure disupporto precedente, anche se la cautela con cui questa formulazione viene circondata daglistessi estensori è evidente.

Alcune regioni e province autonome sono andate oltre prevedendo direttamente la som-ministrazione di farmaci, sia pure con diverse impostazioni, e l’argomento è l’oggetto princi-pale della legge 1/2002 sull’operatore socio-sanitario specializzato (vedi oltre).

Altre voci sono di difficile catalogazione e di dubbia interpretazione. Poniamo l’esempiodell’effettuazione di “piccole medicazioni”. Per piccole medicazioni si possono intendere me-dicazioni non estese, medicazioni non invasive, medicazioni che richiedono semplici azioni a

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15 TAR Toscana, II sez., sentenza dell’11 giugno 1998, n. 552.

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contenuto non particolarmente professionale ecc. Questi dubbi devono in realtà essere risoltiall’interno dei piani di lavoro predisposti in relazione alla complessità assistenziale richiesta.L’altra strada potrebbe essere – ma non è certo preferibile – quella dell’integrazione regionale.La regione Emilia-Romagna ha, per esempio, specificato nel piano formativo che si tratta di“medicazioni piatte” da eseguirsi “secondo protocollo assegnato”.16

Attribuzioni e non delegaL’attività della delega è una necessità fortemente sentita nelle organizzazioni aziendali. Incampo giuridico e, specificamente, nell’ambito del diritto penale, il termine “delega di funzioni”assume una valenza tutta propria rispetto a quella generalmente usata in ambito gestionale. Inambito gestionale per delega si intende “il processo di gestione operativa del lavoro che si at-tua attraverso l’attribuzione di autorità per la realizzazione di un compito o di un obiettivo”.17

In questo ambito oltre ai caratteri tipici della delega il controllo può essere assicurato tramitel’individuazione delle azioni correttive.

In ambito penalistico, che più si addice all’esercizio professionale, la delega assume un va-lore diverso e viene prevalentemente usata per obblighi di imprese (vedi normativa antinfortu-nistica) che non per l’esercizio professionale. Il problema che si pone è quello appunto di sta-bilire l’eventuale rilevanza penale della delega, “sia sotto il profilo di un’eventuale esenzionedi responsabilità del titolare originario, sia sotto quello di un’assunzione di responsabilità daparte del nuovo soggetto di fatto preposto all’adempimento”.18 Lo strumento giuspenalisticodella delega di funzioni – come strumento operativo tendente a regolare i rapporti tra infermieree operatore di supporto – risulta inadeguato per una molteplicità di motivi. In primo luogo laformalità dello strumento.

La giurisprudenza ha avuto modo di stabilire che per aversi la concreta trasferibilità di fun-zioni da un soggetto all’altro la delega deve essere scritta, effettiva, deve comportare il realetrasferimento di poteri decisionali al delegato con conseguente necessità del delegante di con-trollare, ma di non ingerirsi nell’attività del delegato.19 È del tutto impensabile che l’infermierenon possa ingerirsi nell’attività dell’operatore di supporto e che ogni attività sia formalizzatacon uno scritto.

La soluzione deve essere trovata, anche in questo caso, nei piani di lavoro che, come hacorrettamente scritto la regione Lombardia, devono individuare “le attività attribuibili all’OSSsulla base dei criteri della bassa discrezionalità e dell’alta riproducibilità della tecnica utiliz-zata”. Attività attribuibili dunque, e non delegabili. L’attribuzione proviene generalmente daldocumento della Conferenza Stato-Regioni o dalle varie job descriptions regionali.

La formulazione adottata in Lombardia in verità adombra anche la possibilità di individuareulteriori funzioni oltre a quelle già esplicitate dalla normativa statale e regionale.

Parlare di attribuzione di compiti serve a far maggiore chiarezza anche in tema di respon-sabilità, a seconda del grado di autonomia riconosciuto in quel contesto e per quella attività.

Il termine delega di funzioni assume quindi un diverso valore tra l’ambito giuridico e quellogestionale-organizzativo-professionale. Il discorso potrebbe tranquillamente essere ampliatoanche nella regolazione dei rapporti tra professionisti.

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16 Delibera della Giunta regionale della regione Emilia-Romagna n. 1404/2000 “Modello regionale di for-mazione iniziale per il conseguimento della qualifica di operatore socio-sanitario”.17 Zanetti M. et al., Il medico e il management, Accademia nazionale di medicina, Genova, 1996.18 Fiandaca G., Musco E., Diritto penale – parte generale, Zanichelli, Bologna, 1995.19 Cassazione penale, III sez., sentenza del 22 marzo 2000, n. 1156.

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L’operatore socio-sanitario con formazione complementareCon la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n. 51 del 3 marzo 2003 dell’Accordo 16 gennaio2003 “tra il Ministro della salute, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, le regioni e le pro-vince autonome di Trento e di Bolzano per la disciplina della formazione complementare in as-sistenza sanitaria della figura professionale dell'operatore socio-sanitario di cui all'art. 1, comma8, del D.Lgs. 12 novembre 2001, n. 402, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 gennaio 2001,n. 1” si è dato vita all’operatore socio-sanitario con formazione complementare.

La formazione e le competenzeIl percorso formativo e le competenze attribuite alla figura dell’operatore con formazione com-plementare, sono precisate dall’accordo del 16 gennaio, di cui riportiamo integralmente la parteiniziale dell’accordo.

Conferenza Stato-RegioniAccordo 16 gennaio 2003

Punto 1 (formazione complementare)1.1 Per far fronte alle crescenti esigenze di assistenza sanitaria nelle strutture sanitarie e socio-sanitarie, pub-

bliche e private, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano possono provvedere all’organiz-zazione di moduli di formazione complementare di assistenza sanitaria, per un numero di ore non infe-riore a 300, di cui la metà di tirocinio, riservati agli operatori socio-sanitari in possesso dell’attestato diqualifica di cui all’art. 12 dell'accordo intervenuto il 22 febbraio 2001 (repertorio atti n. 1161) in sede diConferenza Stato-Regioni tra il Ministro della salute, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e le re-gioni e le provincie autonome di Trento e Bolzano, per l’individuazione della figura e del relativo profiloprofessionale dell’operatore socio-sanitario e per la definizione dell’ordinamento didattico dei corsi di for-mazione, o di un titolo riconosciuto equipollente ai sensi dell’art. 13 dello stesso accordo.

1.2 Gli operatori socio-sanitari che hanno seguito con profitto il modulo di formazione complementare di cui alcomma 1 e hanno superato l’esame teorico-pratico finale, ricevono uno specifico attestato di “Operatore so-cio-sanitario con formazione complementare in assistenza sanitaria” che consente all’operatore di collabo-rare con l'infermiere o con l’ostetrica e di svolgere alcune attività assistenziali, indicate nell’allegato A, parteintegrante del presente accordo, in base all’organizzazione dell’unità funzionale di appartenenza e confor-memente alle direttive del responsabile dell’assistenza infermieristica od ostetrica o sotto la sua supervisione.

Punto 2 (materie di insegnamento e tirocinio)2.1 I moduli di formazione, teorica e pratica, devono essere strutturati in modo da garantire il raggiungimento

delle competenze professionali per l'esercizio delle attività e dei compiti indicati nell’allegato A, che èparte integrante del presente atto. Il modulo si svolge nelle strutture di ricovero e cura e nei servizi sani-tari. La direzione del modulo è affidata a un docente appartenente al più elevato livello formativo previ-sto per le professioni sanitarie infermieristiche e per la professione sanitaria ostetrica.

Evidenziamone alcuni aspetti. L’operatore socio-santiario con formazione complementarenasce dall’esigenza di “far fronte alle crescenti esigenze di assistenza sanitaria nelle strutture sa-nitarie e socio-sanitarie, pubbliche e private”. Pesano sul punto anche motivazioni di carattereeconomico e di contingenza di periodo. L’attuale situazione di grave carenza di infermieri in va-ste aree del Paese spinge il legislatore nazionale e regionale a creare figure di supporto all’assi-stenza sanitaria con particolare riferimento all’assistenza infermieristica. La formazione post-base dell’operatore socio-sanitario si sostanzia in un ulteriore corso di formazione di almeno 300ore di cui la metà riservata al tirocinio. L’attestato di “operatore socio-sanitario con formazionecomplementare in assistenza sanitaria”, specifica l’accordo del 16 gennaio 2003, consente a talefigura di “collaborare con l'infermiere o con l'ostetrica e di svolgere alcune attività assistenziali,

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indicate nell'allegato A, parte integrante del presente accordo, in base all'organizzazione dell'u-nità funzionale di appartenenza e conformemente alle direttive del responsabile dell'assistenzainfermieristica o ostetrica o sotto la sua supervisione”. Vi è quindi nell’accordo uno specifico ri-chiamo o, meglio ancora, una specifica citazione della legge 1/2002 e della limitazione dell’agireprofessionale dell’OSS con formazione complementare nelle sue ulteriori attribuzioni assisten-ziali sancite proprio con l’accordo in questione. La formazione, su base teorico-pratica, deve es-sere strutturata “in modo da garantire il raggiungimento delle competenze professionali per l'e-sercizio delle attività e dei compiti previsti dall’allegato A dell’accordo”, e la direzione del corsoè affidata a docenti appartenenti “al più elevato livello formativo previsto per le professioni sa-nitarie infermieristiche e per la professione sanitaria ostetrica”.

Le competenze assistenziali sono previste dall’allegato A che riportiamo per esteso.

Allegato AElenco delle principali attività previste per l’operatore socio-sanitario con formazione complementare in assistenza sanitaria

L’operatore socio-sanitario, che ha seguito con profitto il modulo di formazione complementare in assistenzasanitaria, oltre a svolgere le competenze professionali del proprio profilo, coadiuva l’infermiere o l’ostetrica/oe, in base all’organizzazione dell’unità funzionale di appartenenza e conformemente alle direttive del re-sponsabile dell’assistenza infermieristica od ostetrica o sotto la sua supervisione, è in grado di eseguire:

– la somministrazione, per via naturale, della terapia prescritta, conformemente alle direttive del responsa-bile dell’assistenza infermieristica od ostetrica o sotto la sua supervisione;

– la terapia intramuscolare e sottocutanea su specifica pianificazione infermieristica, conformemente alle di-rettive del responsabile dell’assistenza infermieristica od ostetrica o sotto la sua supervisione;

– i bagni terapeutici, impacchi medicali e frizioni; – la rilevazione e l’annotazione di alcuni parametri vitali (frequenza cardiaca, frequenza respiratoria e tem-

peratura) del paziente; – la raccolta di escrezioni e secrezioni a scopo diagnostico; – le medicazioni semplici e i bendaggi; – i clisteri; – la mobilizzazione dei pazienti non autosufficienti per la prevenzione di decubiti e alterazioni cutanee; – la respirazione artificiale, il massaggio cardiaco esterno; – la cura e il lavaggio e la preparazione del materiale per la sterilizzazione; – l’attuazione e il mantenimento dell’igiene della persona; – la pulizia, disinfezione e sterilizzazione delle apparecchiature, delle attrezzature sanitarie e dei dispositivi

medici; – la raccolta e lo stoccaggio dei rifiuti differenziati; – il trasporto del materiale biologico ai fini diagnostici; – la somministrazione dei pasti e delle diete; – la sorveglianza delle fleboclisi, conformemente alle direttive del responsabile dell’assistenza infermieri-

stica od ostetrica o sotto la sua supervisione.

Nella parte iniziale dell’allegato viene specificata una situazione importante. L’operatore so-cio-sanitario non è una nuova figura della sanità. È una sorta di operatore socio-sanitario spe-cializzato, come ben si evince dalla duplice indicazione delle fonti che lo hanno istituito. In primoluogo si stabilisce che questo ulteriore passaggio realizza la “formazione complementare” dell’OSS;inoltre la precisazione che questa figura “oltre a svolgere le competenze professionali del pro-prio profilo [...]”, fa ben capire che sono attribuzioni aggiuntive.

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Curioso però a questo punto è capire cosa contenga esattamente l’allegato A di questo ac-cordo. Se il profilo dell’operatore socio-sanitario è quello di base, non si capisce bene cosa siaquello attuale. Viene rubricato come “elenco delle principali attività” stabilendo implicitamenteche esso si innesta sul profilo di base. L’operatore socio-sanitario con formazione complementareconserva quindi tutte le attribuzioni di base previste dall’accordo Stato-Regioni del 22 febbraio2001 e l’elencazione contenuta nell’accordo del gennaio 2003 è aggiuntiva e non certo sostitutivadell’accordo del 2001. Se il “profilo di appartenenza” è quello del 2001, che natura ha realmentel’allegato A? Sembrerebbe di capire, ictu oculi, che possa essere definita un’elencazione mansio-nariale. A una più attenta lettura però vediamo che l’aggettivo “principali” nega parzialmente lanatura mansionariale dell’allegato A, in quanto un mansionario per sua natura è tassativo, esclu-sivo, esaustivo e non certo esemplificativo come quel “principali” sembra far pensare.

Un altro problema interpretativo sorge dalla ripetizione del disposto legislativo che consenteall’operatore socio-sanitario con formazione complementare di coadiuvare l'infermiere o l'oste-trica “in base all'organizzazione dell'unità funzionale di appartenenza e conformemente alle di-rettive del responsabile dell'assistenza infermieristica od ostetrica, o sotto la sua supervisione”.Infatti, dopo averlo premesso, l’allegato A contiene un’elencazione di attività in parte sovrappo-nibili o ripetitive di quelle già riportate nel profilo di base e in parte invece nuove. Tra queste ul-time annotiamo in particolare la somministrazione di farmaci per via naturale, intramuscolare esottocutanea, la rilevazione dei parametri vitali, l’esecuzione dei clisteri e la sorveglianza di fle-boclisi. I due documenti – di base e specialistico – usano spesso linguaggi simili anche se nonsempre omogenei. A questo proposito può essere utile ricordare che i due documenti nascono inambiti diversi. Il primo – di base – nasce all’interno di una contrattazione avvenuta tra le orga-nizzazioni sindacali e il Ministero della solidarietà sociale, il secondo – specialistico – vede in-vece la sua genesi tra il Ministero della salute e le rappresentanze professionali.

Una riflessione più approfondita sulle attività da svolgersi “in base all'organizzazione dell'u-nità funzionale di appartenenza e conformemente alle direttive del responsabile dell'assistenzainfermieristica od ostetrica o sotto la sua supervisione” e, segnatamente, su quelle legate allasomministrazione di farmaci, porta a considerazioni di diversa ampiezza.

Viene infatti sovvertito l’usuale rapporto prescrizione-somministrazione tra medico e infer-miere. Al primo compete l’attività prescrittiva e le relative responsabilità in caso di errore, al se-condo l’attività di somministrazione. Questo schema è da ritenersi valido anche per le residualifigure dell’infermiere generico e dell’infermiere psichiatrico, le quali, pur nella vigenza dell’art. 6del D.P.R. 14 marzo 1974, n. 225, sopravvissuto come è noto all’abrogazione dei restanti articoliin base all’art. 1 della legge 26 febbraio 1999, n. 42, potevano direttamente e senza controllo in-fermieristico-professionale alcuno, somministrare i farmaci per le vie loro consentite. Diverso èil caso dell’operatore socio-sanitario con formazione complementare, il quale subisce il filtrodell’infermiere ex professionale sotto i tre diversi ambiti:

1. dell’organizzazione; 2. dell’emanazione di direttive; 3. della supervisione dell’operato.

I tre ambiti di controllo possono tra di loro coesistere o essere esercitati in via esclusiva.La precedente interpretazione proposta si basa inoltre sul percorso legislativo del provvedi-

mento. L’operatore socio-sanitario con formazione complementare viene inizialmente previstodal D.L. 12 novembre 2001 “Disposizioni urgenti in materia di personale sanitario” il quale pre-cisava che la formazione di tale figura si attuava per consentire alla stessa di “collaborare conl’infermiere e con l’ostetrica e di svolgere autonomamente alcune attività assistenziali [...]”. È si-

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Gli operatori di supporto – Capitolo 4

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OSS E OSS CON FORMAZIONE COMPLEMENTARE: DIFFERENZE

Operatore socio-sanitario Operatore socio-sanitario con formazione complementare

È una figura di supporto all’assistenza sanitaria È una figura di supporto all’assistenza e sociale (non solo infermieristica o ostetrica) infermieristica e ostetrica (quanto meno

nelle sue funzioni aggiuntive)

È dotato di autonomia complessiva Agisce con livelli di autonomia ridotti nelle attività di base, pur negli indirizzi ed è fortemente vincolato all’organizzazione e nella pianificazione infermieristica del lavoro, alle direttive ricevute

e alla supervisione infermieristica o ostetrica

Non agisce per delega di funzioni, Non agisce per delega di funzioni,ma ha compiti originari che gli vengono ma ha compiti di esecuzione di prestazioni attribuiti direttamente dal profilo pianificate dall’infermiereche lo ha istituito

Risponde per la non corretta esecuzione Risponde per la non corretta esecuzionedelle prestazioni affidategli delle prestazioni affidategli

gnificativo il fatto che nella conversione in legge, operata con la legge 1 gennaio 2002, sia scom-parso l’avverbio “autonomamente” volendo in tal modo il legislatore legare in modo più intimol’operatore di supporto al professionista infermiere.

La differenza tra le due figure o, più correttamente, tra la figura di base e la sua progressionespecializzante, può essere sintetizzata nello schema che segue.

L’inquadramento contrattualeL’operatore socio-sanitario è stato inquadrato – nei recenti CCNL del 2001 integrativo e di rin-novo del biennio economico – in categoria Bs (ex V livello) ponendolo alla stessa stregua dell’in-fermiere generico, del massofisioterapista, della puericultrice e di altre figure sanitarie, da tempoa esaurimento. I prossimi rinnovi contrattuali possono portare a supporre l’inquadramentodell’operatore con formazione complementare nel gradino immediatamente superiore nellascala gerarchico-contrattuale, quindi il logico inserimento in categoria C. Dato che non sem-pre i contratti collettivi nazionali di lavoro seguono logiche giuridico-professionali non siamoin grado in questo momento di confermare l’inquadramento supposto.

La responsabilitàIn questi due anni le regioni si sono distinte per la diversità di percorsi di riqualificazione delle figureesistenti – sociali e sanitarie – arrivando talvolta a situazioni che possono essere definite come veree proprie sanatorie (vedi il caso della regione Veneto). Nel rapporto infermiere-operatore socio-sa-nitario con formazione complementare (ma a ben vedere non si ravvisano particolari differenze an-che per l’operatore senza formazione complementare) non conta – all’interno di un principio chenon è di delega, ma di affidamento responsabile di attività – il nomen juris dato astrattamente dallalegge, quanto piuttosto il livello di competenza che questa figura in concreto dimostra di avere. Puòessere utile citare, a tal proposito, la bozza di lavoro elaborata nel 1998 denominata “Regolamentoconcernente il campo di attività professionale dell’infermiere” che, nell’ambito di un dibattito pre-legge 42/1999, nell’intenzione del ministero, doveva servire per superare il vetusto mansionario del1974. La bozza di lavoro è, proprio in conseguenza dell’approvazione della legge 42/1999 naufra-

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gata nel nulla, ma conteneva una norma in realtà illuminante nel rapporto tra infermieri e operatoridi supporto. All’art. 7, comma quattro, si leggeva:

Quando l’infermiere si avvale di operatori di supporto, deve costantemente e preventivamente verificare illivello di competenza di tali figure, discernere attentamente se e quali mansioni assegnare, e garantire si-stematica e adeguata supervisione su quanto in via di effettuazione, mantenendo comunque la responsa-bilità sui risultati.

Nulla vieta di considerare questo principio di carattere generale, pure in assenza di una vi-genza di questa norma, in quanto principio che più volte ha trovato riscontro nella giurispru-denza del collaboratore e nella dottrina giuridica.20

Un’altra considerazione da fare, quanto meno vedendo i primi programmi di formazione perl’OSS specializzato, è la lacuna in essi di sviluppo di alcune competenze (intese come conoscenze)che appaiono gravi. La formazione complementare è essenzialmente una formazione tecnica,tesa a sviluppare conoscenze tecniche (l’esecuzione della terapia farmacologica attraverso le va-rie vie di somministrazione, l’esecuzione dei clisteri ecc.).

Si notano due importanti carenze: la conoscenza delle patologie e la scarsa importanza dataalla relazione con il paziente. Curiosamente questa figura avrà conoscenze sull’insulinoterapiama non sulla malattia che sta alla base della terapia insulinica. Per quanto concerne la scarsaimportanza data alla relazione, è stato acutamente notato che, comunque, l’operatore socio-sa-nitario con formazione complementare (e anche senza formazione complementare) ha una forterelazione con il paziente. Non avendo ben presente il quadro della patologia tumorale, quale re-lazione svilupperà con il paziente affetto da tale patologie? Si delinea un operatore molto ver-sato sulle tecniche e poco su altri fronti. La natura di supporto viene fuori con grande evidenzaanalizzando il percorso formativo aggiuntivo dell’OSS.

I livelli di resposabilità giuridica sono in diretta connessione con l’errore causativo di danno.Non ci sono dubbi sul fatto che la situazione nella somministrazione di farmaci sia diversa ri-spetto al tradizionale rapporto medico-infermiere, che ricalca le attività poste in essere con laprescrizione-somministrazione. Nel rapporto tra il prescrittore e il somministrante si pone – quantomeno per l’ordinamento italiano – l’inedita intermediazione infermieristica che può essere sin-tetizzata nello schema che segue.

Capitolo 4 – Gli operatori di supporto

64

20 Ambrosetti A., Piccinelli M., Piccinelli R., La responsabilità nel lavoro medico d’équipe, Utet, Torino, 2003,pp. 15-17.

La somministrazione dei farmacida parte dell’infermiere

La somministrazione dei farmacida parte dell’OSS con F.C.

Prescrizione medica

Somministrazione

Prescrizione medica

Somministrazione

Specifica pianificazione infermieristicae/o supervisione

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Nella letteratura scientifica in tema di errori professionali si evidenziano i diversi tipi di er-rore che possono essere compiuti. Due di questi sembrano attagliarsi al caso di cui stiamo di-battendo. In particolare l’errore chiamato:

1. slip è un’azione non in accordo con le intenzioni. La pianificazione è valida, ma l'esecu-zione è carente. Si tratta di errori di azione commessi nello svolgimento di attività routina-rie. L’automatismo dell'azione fallisce quando un qualcosa di non previsto interferisce conl'azione;

2. mistake è un errore nella pianificazione. Le azioni si realizzano come sono state pianificate,ma è il piano stesso a non essere valido.

Si tratta di errori di intenzione (giudizio, inferenza, valutazione) conseguenti a giudizi e va-lutazione sbagliati da cui deriva una pianificazione delle azioni non idonea al raggiungimentodell'obiettivo”.21

Gli errori di tipo slip sembrano quindi – nel caso di specie legato alla somministrazione deifarmaci e al rapporto infermiere-operatore di supporto – ricadere sugli operatori socio-sanitari,mentre gli errori di tipo mistake sembrano descritti per l’errore dell’infermiere.

La stessa letteratura sugli errori professionali arriva a una serie di riflessioni che può essereutile riproporre in questa sede:

Sulla base del presente modello è necessario quindi distinguere due differenti tipi di errore umano re-sponsabile degli incidenti: attivo e latente.Gli errori attivi sono associati alle prestazioni degli operatori di prima linea, i loro effetti sono imme-diatamente percepiti e, dunque, facilmente individuabili (slips, mistakes e violations). Gli errori latenti sono attività distanti (sia in termini di spazio che di tempo) dal luogo dell'incidente,come le attività manageriali, normative e organizzative.Le conseguenze degli errori latenti possono restare silenti nel sistema anche per lungo tempo e di-ventare evidenti solo quando si combinano con altri fattori in grado di rompere le difese del sistemastesso.22

Da quanto sopra esposto viene da considerare che il vero problema dell’inserimento dell’ope-ratore socio-sanitario con formazione complementare (e anche per l’operatore senza tale for-mazione) sia essenzialmente quello di riorganizzazione del lavoro di équipe infermieristico eostetrico all’interno dei servizi e dei reparti di degenza. Prima ancora di avere riflessi di carat-tere giuridico, la maggiore valenza – e non potrebbe essere in quanto è comunque un rapportodi collaborazione professionale, anche se non tra pari – è realmente di tipo organizzativo e nonpuò assolutamente prescindere da tale fattore.

Una difficoltà all’implementazione degli operatori socio-sanitari con formazione comple-mentare è costituita dal mancato inserimento di questa figura negli inquadramenti del contrattodella sanità pubblica dell’aprile 2004. Altro problema è costituito dalla mancata attivazione deicorsi in quasi tutte le regioni con le eccezioni del Veneto e della Toscana. Pur essendo una fi-gura disciplinata all’interno di un atto normativo della Conferenza Stato-Regioni – che è organodi sintesi e di dialogo tra lo Stato centrale e le regioni – non sembra che queste ultime al mo-mento credano molto alle potenzialità e all’utilità di questa figura.

Gli operatori di supporto – Capitolo 4

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21 Tartaglia R., Tomassini C.R., Abrami V. et al., L’approccio sistemico e cognitivo all’errore umano in me-dicina, Rivista di diritto delle professioni sanitarie, 1, 2002.22 Tartaglia R., Tomassini C.R., Abrami V. et al., L’approccio sistemico e cognitivo all’errore umano in me-dicina, op. cit.

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ConclusioniIn sintesi la figura dell’operatore socio-sanitario non può certo definirsi come la riedizione, an-corché corretta e aggiornata dell’infermiere generico, per una pluralità di motivi.

In primo luogo l’infermiere generico era, nell’ordinamento italiano degli anni Settanta, unavera e propria figura infermieristica. Le figure infermieristiche allora erano due: professionale egenerica. Attualmente la figura infermieristica è una sola; l’OSS nasce come figura di supportoall’assistenza e non come figura infermieristica vera e propria. Inoltre la dipendenza gerarchicadell’OSS è rivolta verso il personale sanitario e sociale, mentre l’infermiere generico coadiuvaval’infermiere professionale, ma aveva anche una dipendenza professional-gerarchica dal medico.Infatti l’art. 6 del D.P.R. 14 marzo 1974, n. 225 stabiliva e stabilisce (vista la sua vigenza relativaall’art. 6) che l’infermiere generico “coadiuva l’infermiere professionale in tutte le sue attività e,su prescrizione del medico, provvede direttamente alle seguenti operazioni”. Questa dipendenza-relazione con il medico non compare nelle norme istitutive l’OSS.

Il punto di forza maggiore della figura dell’OSS è senza dubbio la sua flessibilità, il suo esseresocio-sanitario, il suo essere cioè in linea con l’evoluzione dei bisogni sanitari della popolazionee con le esigenze del Servizio sanitario nazionale.

Il punto di debolezza invece può essere ravvisato in una formazione non coerente con i com-piti che si vanno a ricoprire, con particolare riferimento alle figure da riqualificare, ex OTA ed exausiliari specializzati. In questi casi infatti compete alle regioni l’individuazione del debito for-mativo a cui deve sottoporsi la figura da riqualificarsi, con risultati che appaiono paradossali. Perl’OTA vengono previsti corsi tendenti a integrare la sua mancata preparazione sociale, ma allafine del percorso vengono a lui attribuiti anche compiti di maggior spessore sanitario, senza al-cuna altra formazione sanitaria. Sempre a livello di formazione, le regioni stanno implementandosistemi formativi piuttosto dissimili: a volte la formazione è affidata ad agenzie private o a isti-tuzioni pubbliche, altre volte è direttamente gestita dalle aziende sanitarie locali. Non sempreviene stabilita un’uniformità nella gestione, nella direzione e nella docenza di detti corsi.

L’INFERMIERE GENERICO

La figura dell’infermiere generico è inquadrabile, fino al suo totale esaurimento, come “arte au-siliaria della professione sanitaria” secondo quanto disposto dal R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 “Ap-provazione del testo unico delle professioni sanitarie”. Non è quindi una figura professionale.

La prima legge di riferimento organica di strutturazione dei corsi è la legge 29 ottobre 1954,n. 1046 “Istituzione di scuole per infermiere e infermieri generici”, mentre precedentemente, puresistendo la figura, i corsi erano perlopiù regolamentati a livello locale.

La prima regolamentazione del suo esercizio professionale è contenuta all’interno del R.D. 2maggio 1940, n. 1310 “Determinazione delle mansioni delle infermiere professionali e degli in-fermieri generici”. Agli infermieri generici era dedicato l’art. 4. Successivamente, per opera delD.P.R. 14 marzo 1974, n. 225 “Modifiche al R.D. 2 maggio 1940, n. 1310, sulle mansioni degli in-fermieri professionali e infermieri generici” il mansionario degli infermieri generici viene modi-ficato dall’art. 6 del nuovo decreto. Per adeguamento alla normativa europea viene soppressa edichiarata a esaurimento la figura dell’infermiere generico con la legge 3 giugno 1980, n. 243“Straordinaria riqualificazione degli infermieri generici e psichiatrici”.

In quella legge venne data l’opportunità agli infermieri generici, “in via straordinaria e pernon oltre cinque anni dalla data di entrata in vigore” della legge, di riqualificarsi con l’ammis-sione ai corsi per infermieri professionali con il solo titolo culturale propedeutico della scuoladell’obbligo (mentre per i corsi normali veniva già richiesta l’ammissione al III anno della scuola

Capitolo 4 – Gli operatori di supporto

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media superiore) previo superamento di “un esame-colloquio diretto all’accertamento di un ade-guato livello culturale generale corrispondente al decimo anno di formazione scolastica”.

Gli infermieri generici che scelsero quel percorso formativo sono oggi in tutto e per tutto in-fermieri professionali; gli altri sono stati posti come categoria a esaurimento non toccata nean-che dalla legge 26 febbraio 1999, n. 42 che ha abrogato i primi cinque articoli del mansionarioinfermieristico, facendo sopravvivere il sesto articolo riguardante gli infermieri generici. Gli in-fermieri generici conservano quindi il mansionario del 1974. Riportiamo per esteso nella tabellache segue il mansionario previgente (del 1940) e il mansionario tuttora vigente.

Non essendo una professione, l’esercizio abusivo dell’arte di infermiere generico non integragli estremi della violazione dell’art. 348 del c.p., bensì violazione dell’art. 141 R.D. 1265/1934 checomporta il pagamento di una sanzione amministrativa.

Gli operatori di supporto – Capitolo 4

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INFERMIERE GENERICO: L’EVOLUZIONE NEI MANSIONARI

R.D. 2 maggio 1940, n. 1310, art. 4 D.P.R. 14 marzo 1974, n. 225, art. 6Mansionario previgente Mansionario vigente

L’infermiere generico coadiuva l’infermiere profes-sionale in tutte le sue attività e su prescrizione delmedico provvede direttamente alle seguenti opera-zioni:1) assistenza completa al malato, particolarmente

in ordine alle operazioni di pulizia e di alimen-tazione, di riassetto del letto e del comodino delpaziente e della disinfezione dell’ambiente e di al-tri eventuali compiti compatibili con la qualificaa giudizio della direzione sanitaria;

2) raccolta degli escreti;3) clisteri evacuanti, medicamentosi e nutritivi, ret-

toclisi;4) bagni terapeutici e medicati, frizioni;5) medicazioni semplici e bendaggi;6) pulizia, preparazione ed eventuale disinfezione

del materiale sanitario;7) rilevamento e annotazione della temperatura, del

polso e del respiro;8) somministrazione dei medicinali prescritti;9) iniezioni ipodermiche e intramuscolari;

10) sorveglianza di fleboclisi;11) respirazione artificiale, massaggio cardiaco

esterno; manovre emostatiche di emergenza.

Gli infermieri generici che operano presso istituzionipubbliche e private sono inoltre tenuti:1) a partecipare alle riunioni periodiche di gruppo

per finalità di aggiornamento professionale e diorganizzazione del lavoro;

2) a svolgere tutte le attività necessarie per soddi-sfare le esigenze psicologiche del malato e permantenere un clima di buone relazioni umane coni pazienti e con le loro famiglie.

L’attività degli infermieri generici dev’essere limitata alle seguenti mansioni, per prescrizionedel medico e, nell’ambito ospedaliero, sotto la re-sponsabilità dell’infermiera professionale:a) assistenza completa dell’infermo alle dirette

dipendenze dei sanitari e della professionale preposta al reparto;

b) somministrazione dei medicinali ordinati,sotto la responsabilità della professionale pre-posta al reparto;

c) somministrazione delle diete, secondo le istru-zioni dell’infermiera professionale;

d) presa e annotazione semplice (non grafica)della temperatura, del polso e del respiro;

e) raccolta di orine, feci, espettorati, vomito ecc.;f) iniezioni ipodermiche, intramuscolari;g) rettoclisi;h) frizioni, pennellature, impacchi;i) coppette, vescicanti, sanguisugio;l) medicazioni comuni e bendaggi sotto la re-

sponsabilità diretta della professionale;m) clisteri evacuanti, medicamentosi e nutritivi;n) applicazione di lacci emostatici d’urgenza;o) respirazione artificiale; p) bagni terapeutici e medicati.

Ogni soccorso d’urgenza dev’essere seguito dallachiamata del medico.

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Conservando il mansionario sono da ritenersi tassative le indicazioni riportate dall’art. 6 delD.P.R. 225/1974. La giurisprudenza ha avuto modo di stabilire che “il prelievo ematico, capil-lare e venoso, esorbita dai compiti dell’infermiere generico e costituisce attività strumentale […]che è riservata, oltre ai medici, soltanto agli infermieri diplomati, la cui professione, per esserelegittimamente esercitata, presuppone il preventivo conseguimento dell’abilitazione da partedello stato”.23

Il mansionario dell’infermiere generico prevede il rapporto sia con l’infermiere ex profes-sionale, laddove si precisa che quest’ultimo venga “coadiuvato”, sia con il medico attraverso ilclassico strumento della prescrizione.

Prescrizione che, però, non deve essere intesa in modo tassativo e per tutte le incombenze.Infatti, secondo la recente giurisprudenza di legittimità, risponde del reato di rifiuto di atti d’uf-ficio (ex art. 328 codice penale) l’infermiere che, richiesto di provvedere a operazioni di puliziadi un paziente sporco di feci, fuoriuscite da una sacca per stomia intestinale malposizionata, sirifiuta di effettuare l’operazione.

Riportiamo testualmente parti della sentenza:24

L’infermiera generica si rifiutava affermando che aveva vergogna di pulire le parti intime di una per-sona di sesso maschile e si era allontanata dal reparto per circa mezz'ora.È su questa sola condotta che cade l'imputazione e si fonda l'affermazione di responsabilità penale. Igiudici di merito hanno infatti osservato che il rifiuto dell'imputata di provvedere prontamente alle ope-razioni di pulizia delle parti intime del paziente in ragione della differenza di sesso era palesemente in-giustificato, e che tale incombenza rivestiva carattere di urgenza per evidenti ragioni di igiene e sanità.[…]Risulta dunque incongrua, rispetto al decisum, l'osservazione della ricorrente secondo cui l'operazionedi riposizionamento della sacca non rientrava nelle sue mansioni essendo di esclusiva pertinenza di unmedico o di un infermiere professionale; e ciò a prescindere dalla considerazione che anche quest'ul-tima era una operazione di normale routine e di facilissima esecuzione, come dichiarato dal teste dott.C.G., direttore medico del predetto ospedale.Non è dubbio, poi, che le operazioni di pulizia del paziente rientrano nelle tipiche mansioni degli infer-mieri generici.Infatti, a norma del D.P.R. 14 marzo 1974, n. 225, art. 6, l'infermiere generico, su prescrizione del me-dico, provvede direttamente, tra l'altro, alle operazioni di pulizia del paziente (n. 1) e alla raccolta de-gli escreti (n. 2).La ricorrente obietta che nella specie non vi era stata alcuna prescrizione specifica del medico circa lapulizia del paziente.Ma la disposizione ora citata non implica, né letteralmente né logicamente, che la prescrizione del me-dico avvenga necessariamente di volta in volta per ogni intervento da effettuarsi sui pazienti, ben po-tendo essa essere impartita in via generale e sulla base di turni di servizio, come nella specie verificatosi.Infatti, come messo in risalto dai giudici di merito, il dott. C. ha dichiarato che le operazioni di pulizia deipazienti, di norma svolte in collaborazione tra l'infermiere professionale e l'infermiere generico, dove-vano in quella circostanza, stante l'assenza in reparto di un infermiere professionale, essere svolte dalsolo infermiere generico addetto al reparto, sulla base di quanto previsto dai turni di servizio; e che solocon riferimento a interventi di tipo terapeutico occorreva una specifica prescrizione del medico.Come già osservato dalla Corte di appello, la circostanza addotta dall'imputata, l'essere in quel mo-mento essa impegnata nell'attività di distribuzione del vitto, non era affatto ostativa alla immediata ef-fettuazione dell'operazione di pulizia del paziente, che rivestiva un carattere di urgenza per evidenti

Capitolo 4 – Gli operatori di supporto

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23 Cassazione penale, VI sez., sentenza del 25 novembre 1987, n. 1822.24 Cassazione penale, VI sez., sentenza del 27 settembre 2006, n. 39486.

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ragioni igienico-sanitarie, trattandosi di un paziente da poco operato all'addome, imbrattato di escretifecali.Vale del resto la considerazione espressa al riguardo dal dott. C., secondo cui la predetta incombenzaaveva priorità rispetto alla distribuzione del vitto, che ben poteva essere sospesa per i pochi minuti ne-cessari per la pulizia del paziente, ed essere subito dopo ripresa con ogni garanzia igienica.Quanto alla doglianza circa la mancata considerazione dell'errore scusabile in punto di urgenza del-l'atto, essa appare, oltre che generica, manifestamente infondata, sia perché il rifiuto espresso dall'im-putata non atteneva a questo aspetto, ma all'inammissibile pretesa inconciliabilità tra la prestazione ri-chiesta e la differenza di sesso, sia perché il riconoscimento del carattere di urgenza dell'atto implicavauna valutazione strettamente collegata alle ordinarie competenze professionali della C., che aveva quinditutti i necessari elementi di cognizione per non cadere in un simile errore.

Del tutto strumentale e immotivato è quindi apparso il rifiuto.

L’INFERMIERE PSICHIATRICO

Gli infermieri psichiatrici hanno avuto una lunga storia che si è conclusa – quantomeno nellasua parte attiva – con la chiusura delle istituzioni manicomiali operata con la legge 180/1978.

Inizialmente definiti dalla letteratura “guardiani dei matti” e successivamente, con brevi corsidi formazione svolti sulla base dell’art. 24 del R.D. 16 agosto 1909, n. 615 laddove veniva pre-cisato che “il direttore del manicomio, o personalmente o per mezzo dei medici del manicomiostesso da lui prescelti, deve istituire corsi speciali teorici-pratici per l’istruzione degli infermieriprovvisori ed effettivi”.

Le attribuzioni dell’infermiere psichiatrico erano perlopiù di carattere custodialistico, peral-tro perfettamente in linea con la finalità prevalente delle istituzioni manicomiali.

I corsi erano inizialmente della durata di un anno e successivamente di due.La storia degli infermieri psichiatrici ha portato per vie contrattuali controverse al loro in-

quadramento al VI livello (ora categoria D dopo un passaggio in categoria C) se in possesso deldiploma biennale di infermiere psichiatrico, sempre che essi non abbiano fatto ricorso all’op-portunità offerta dalla legge 3 giugno 1980, n. 243 “Straordinaria riqualificazione degli infermierigenerici”, che interessava anche gli infermieri psichiatrici. In questa legge si precisava che “invia straordinaria e per non oltre cinque anni dalla data di entrata in vigore […] le regioni prov-vedono alla riqualificazione professionale di coloro che siano in possesso dell’abilitazione di in-fermiere generico e di infermiere psichiatrico […] ammettendoli al corso di infermieri profes-sionali”. Il personale che aderì a questa opportunità formativa vide la trasformazione dei rela-tivi posti (di infermiere generico e psichiatrico) in infermiere professionale automaticamente esenza bisogno di alcun concorso, come da previsione dell’art. 2 della stessa legge.

Per coloro che non hanno invece frequentato i corsi della cosiddetta riqualificazione, l’in-fermiere psichiatrico è da considerarsi professionalmente alla stessa stregua di un infermieregenerico, come da specifica e chiara disposizione della stessa legge 243/1980, laddove al primocomma del primo articolo ne sancisce l’equipollenza: “l’attestato di idoneità rilasciato ai sensidell’art. 24 del R.D. 16 agosto 1909, n. 615 (il regolamento di esecuzione della normativa mani-comiale del 1904 e che istituiva le scuole per infermiere psichiatrico) è equiparato a tutti gli ef-fetti al certificato di abilitazione all’esercizio dell’arte ausiliaria di infermiere generico di cui allalegge 29 ottobre 1954, n. 1046”.

L’infermiere psichiatrico è quindi professionalmente un infermiere generico e di conseguenzail suo esercizio professionale è determinato dall’art. 6 del D.P.R. 14 marzo 1974, n. 225, art. 6non toccato dall’abrogazione operata con la legge 26 febbraio 1999, n. 42.

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LA PUERICULTRICE

La puericultrice è un’“arte ausiliaria delle professioni sanitarie” e il suo esercizio professionaleconsiste nella “assistenza al bambino sano” (art. 13, legge 19 luglio 1940, n. 1098 “Disciplina delleprofessioni sanitarie ausiliarie infermieristiche e di igiene sociale, nonché dell’arte ausiliaria dipuericultrice”). Sempre con lo stesso decreto vennero autorizzate le istituzioni delle scuole acorso annuale per il “rilascio della licenza di abilitazione all’esercizio delle professioni sanitariedi puericultrice”.

Per effetto del D.M. 21 ottobre 1991, n. 458 “Regolamento di attuazione dell’art. 11 del de-creto legge 24 novembre 1990, n. 344, convertito, con modificazioni, in legge 23 gennaio 1991,n. 21, concernente riserva di posti per il personale appartenente al comparto sanità” sono statiammessi ai concorsi “i candidati in possesso del diploma di assistente all’infanzia di cui alla legge30 aprile 1976, n. 338”.

La puericultrice non deve in alcun modo essere confusa con la vigilatrice d’infanzia, vera epropria infermiera sia pure con le limitazioni di assistenza a coloro che hanno compiuto la mag-giore età.

Coerentemente con questa impostazione la giurisprudenza ha affermato che alla “pueri-cultrice non possono essere affidati compiti infermieristici in quanto non ha le competenze inrelazione alla preparazione acquisita”. Conseguentemente alla puericultrice non possono es-sere affidati “compiti di carattere infermieristico” in quanto si avrebbe l’erogazione di un’assi-stenza meno qualificata, posto che l’ordinamento riserva ad altre figure in via esclusiva l’eser-cizio di tali attività (infermieri professionali e vigilatrici d’infanzia).25 Un’eventuale adibizionea mansioni superiori, oltre a risultare penalmente illegittima ai sensi dell’art. 348 del c.p. intema di esercizio abusivo di professione, non permette comunque neanche a livello contrat-tuale o retributivo passaggi in avanti. Ha avuto modo di precisare il Consiglio di Stato che “losvolgimento da parte di una puericultrice delle mansioni di infermiere professionale non de-termina l’acquisizione dello status relativo alla qualifica superiore della quale si espletano lefunzioni”.26

In ambito sanitario la puericultrice svolge il suo esercizio professionale all’interno delle neo-natologie ospedaliere, in cui deve però essere affiancata da una figura professionale (infermiere,infermiere pediatrico).

Da un punto di vista contrattuale nel Contratto Collettivo Nazionale della sanità pubblica del1999 la puericultrice è inquadrata nella categoria Bs.

LE INFERMIERE VOLONTARIE DELLA CROCE ROSSA

La figura delle infermiere volontarie della Croce Rossa è stata a lungo regolamentata dal R.D.del 12 maggio 1942, n. 918 “Regolamento per il corpo delle infermiere volontarie della CroceRossa Italiana”. In questo e in successivi provvedimenti normativi venne stabilito che il diplomadelle infermiere della Croce Rossa Italiana – che è di durata biennale – era equiparato “a tutti glieffetti al certificato di abilitazione all’esercizio dell’arte ausiliaria di infermiera generica di cui alla

Capitolo 4 – Gli operatori di supporto

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25 TAR Sicilia, II sez., 29 maggio 1998, n. 925 Massima e commento, Rivista di diritto delle professioni sanita-rie, 4, 1999, pp. 328-330.26 Consiglio di Stato, V sez., 30 settembre 1992, n. 911.

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legge 29 ottobre 1954, n. 1046”.27 Quindi le infermiere volontarie della Croce Rossa godevano,nella legislazione civile, dello status di infermiere generico.

Recenti provvedimenti normativi hanno riguardato la figura delle infermiere volontarie dellaCroce Rossa Italiana.28

La legge 108/2009 all’art. 3 comma 10 recita testualmente:

Il personale in possesso del diploma di infermiera volontaria della Croce Rossa Italiana, di cui all’ articolo 31del regolamento di cui al regio decreto 12 maggio 1942, n. 918, equivalente all’attestato di qualifica di ope-ratore socio-sanitario specializzato, esclusivamente nell’ambito dei servizi resi, nell’assolvimento dei compitipropri, per le Forze armate e la Croce Rossa Italiana, è abilitato a prestare servizio di emergenza e assistenzasanitaria con le funzioni e attività proprie della professione infermieristica.

La prima parte della norma stabilisce l’equivalenza con l’attuale figura dell’operatore socio-sanitario “specializzato”. Abbiamo visto che tale figura – che per la verità è denominata “opera-tore socio-sanitario con formazione complementare in assistenza sanitaria” – è oggi in una con-dizione particolare da un punto di vista dello status: è prevista dalla legge ordinaria ma non an-cora dalla normativa contrattuale. Comunque oggi le infermiere della Croce Rossa hanno la stessacondizione di esercizio professionale di questi operatori. Provvedimento che verosimilmente sigiustifica con la vetustà della vecchia equiparazione all’infermiere generico, figura che, abbiamovisto, essere stata posta ad esaurimento. Non vi sono sul punto particolari rilievi da porre.

Diversa è la seconda disposizione della norma nella parte in cui stabilisce che “esclusiva-mente nell’ambito dei servizi resi, nell’assolvimento dei compiti propri, per le Forze Armate e laCroce Rossa Italiana, è abilitato a prestare servizio di emergenza e assistenza sanitaria con lefunzioni e attività proprie della professione infermieristica”. I compiti propri riferiti alle Forze Ar-mate sono circoscritti, chiari e intuibili e relativi alle “situazione di guerra, gravi crisi internazio-nali o di conflitto armato”.29 Ben più ampie sono le competenze della Croce Rossa che non si li-mitano alle aree di guerra, ma alla “organizzazione dei servizi umanitari” che sono riconducibili

Gli operatori di supporto – Capitolo 4

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27 Legge 4 febbraio 1963, n. 95 “Provvedimenti a favore delle infermiere volontarie della Croce Rossa”. 28 Legge 3 agosto 2009, n. 108 “Proroga della partecipazione italiana a missioni internazionali” art. 3, comma10. 29 D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66 “Codice dell’ordinamento militare”Art. 196 - Compiti in tempo di guerra, di grave crisi internazionale o di conflitto armato1. L’Associazione italiana della Croce Rossa in tempo di guerra, di grave crisi internazionale o di conflitto

armato: a) contribuisce, in conformità a quanto previsto dalle convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, rese

esecutive dalla legge 27 ottobre 1951, n. 1739, allo sgombero e alla cura dei feriti e dei malati diguerra nonché delle vittime dei conflitti armati e allo svolgimento dei compiti di carattere sanitarioe assistenziale connessi all’attività di difesa civile;

b) disimpegna il servizio di ricerca e di assistenza dei prigionieri di guerra, degli internati e dei dispersi.2. Dichiarato lo stato di guerra o di grave crisi internazionale:

a) l’organizzazione dei servizi di cui al comma 1 è determinata con decreto del Ministro della difesa,tenuto conto della competenza degli organi del Servizio sanitario nazionale;

b) le autorità di vertice dei corpi della Croce Rossa italiana ausiliari delle Forze armate dipendono di-rettamente dal presidente nazionale, il quale assume tutti i poteri, diventando l’unico rappresentantedell’Associazione.

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alle emergenze per pubbliche calamità attraverso la protezione civile, all’impiego all’estero permissioni internazionali e alle attività di addestramento.

La norma – che eccezionalmente equipara la figura dell’infermiera volontaria alla figura in-fermieristica nella parte in cui stabilisce che nell’assolvimento dei compiti propri – Forze Armatee Croce Rossa – pone problemi interpretativi laddove stabilisce che tale figura è abilitata “a pre-stare servizio di emergenza e assistenza sanitaria con le funzioni e attività proprie della profes-sione infermieristica”. Nella pratica civile quindi ha le stesse attribuzioni dell’operatore socio-sa-nitario con formazione complementare, mentre nell’assolvimento dei “compiti propri” l’infer-miera volontaria della Croce Rossa diventa una vera infermiera. La problematica nasce non tantonei teatri di guerra quanto piuttosto nelle attività di calamità naturale e nelle attività di protezionecivile. In questo caso l’equiparazione con gli infermieri diventerebbe – nonostante l’affermazionecontenuta all’interno di una legge ordinaria – di dubbia legittimità, quanto meno costituzionale,relativa alla lesione del diritto di uguaglianza e del diritto alla salute.

Nella sostanza è stata approvata una norma pasticciata dalle finalità non esattamente cri-stalline.

La formazione delle infermiere volontarie della Croce Rossa è di carattere biennale. Il requi-sito culturale di accesso è la scuola media superiore. È aperta solo alle donne. Recentemente èstato rivisto il percorso di studio che ha dovuto tenere conto delle innovazioni normative e il corsodeve essere finalizzato al “conseguimento di una preparazione teorico-pratica in ambito socio-sanitario, principalmente indirizzata alla gestione delle emergenze di vario tipo che coinvolgonola collettività”.

Il D.M. 9 novembre 2010 “Disciplina del corso di studio delle infermiere volontarie della CroceRossa Italiana” non si limita alla revisione dell’ordinamento didattico ma ne regolamenta le at-tribuzioni attraverso “il profilo dell’infermiera volontaria della Croce Rossa Italiana”. Lo ripor-tiamo per esteso.

Profilo dell’infermiera della C.R.I.

Al termine del Corso biennale l’Infermiera Volontaria della Croce Rossa Italiana deve essere:– in grado di offrire un servizio adeguato e competente;– in linea con le esigenze imposte dal nuovo volontariato e dalla adesione ai principi universali di uma-

nità e di pace perseguiti dalla Croce Rossa;– in grado di saper rispondere alla domanda del bisogno, in qualsiasi modo e luogo questa venga for-

mulata.

A tal fine, si prevedono le seguenti funzioni/attività preventive e assistenziali:

Funzioni preventive – Contributo all’analisi delle condizioni di rischio/danno per le persone da assistere.– Mantenimento delle capacità residue delle persone per l’autocura.– Educazione alla salute (bambino-adulto-anziano).

Attività preventive – Comunicazione all’équipe, prevenzione delle condizioni di rischio e di sindrome da stress emotivo

(specie nelle emergenze), prolungato allettamento, immobilizzazione a seguito di incidenti, eccetera.– Aiutare nel favorire l’autosufficienza, il movimento, la deambulazione, l’utilizzo di ausili per la mo-

bilizzazione secondo le necessità cliniche e le prescrizioni mediche, le relazioni interpersonali, in par-ticolare nelle emergenze.

– Insegnare e dare informazione sulla tutela della salute.

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– Elaborare strategie per indurre scelte di salute nelle persone, in rapporto a età, livello culturale, con-testo socio-lavorativo.

– Favorire la presa di decisioni per modificare comportamenti non idonei alla salute.– Scegliere ed utilizzare il materiale idoneo per educare alla salute.

Funzioni assistenziali (sociali e sanitarie) – Partecipare e dare informazioni idonee agli utenti e ai familiari, in particolare se sono separati a causa

di eventi catastrofici o bellici.– In collaborazione con l’équipe, identificare i bisogni socio-sanitari, assistenziali e psicologici degli as-

sistiti.– In assenza dell’infermiere laureato, o in collaborazione con quest’ultimo ove presente, pianificare, ge-

stire e valutare l’intervento assistenziale infermieristico.– Attuare un’efficace ed adeguata capacità di relazione e di comunicazione.– Fornire assistenza alla persona anziana o allettata o non autosufficiente.– Collaborare e integrarsi con le diverse figure professionali per la realizzazione di attività diagnostiche

e terapeutiche.

Attività assistenziali – Svolgere attività di segretariato sociale e il disbrigo di pratiche burocratiche.– Partecipare all’accoglienza degli utenti.– Tenere strumenti informativi e registrare le osservazioni di competenza.– Verificare l’igiene dell’ambiente di vita, intervenire sul cambio della biancheria, fornire aiuto per l’as-

sunzione di alimenti con particolare attenzione alle abitudini socio-culturali.– Provvedere al lavaggio, asciugatura e preparazione del materiale da sterilizzare e alla conservazione

dello stesso.– Provvedere all’igiene dell’unità del malato, al riordino del materiale dopo l’assunzione dei pasti, al

corretto smaltimento dei rifiuti.– Aiutare nelle attività che l’assistito deve compiere: alzarsi, coricarsi, vestirsi, nell’igiene personale e

nelle funzioni fisiologiche.– Eseguire l’igiene parziale e totale, lavaggio e asciugatura capelli, igiene del cavo orale, esecuzione ma-

nicure e pedicure al paziente parzialmente o totalmente dipendente, provvedendo alla cura e al rior-dino degli effetti personali dello stesso utilizzati per l’igiene.

– Aiutare nel mantenimento delle posture corrette, terapeutiche e allineamento corporeo anche con l’ap-plicazione di arti artificiali.

– Provvedere al trasporto dei clienti ai servizi diagnostico-terapeutici in barella, carrozzella e accom-pagnarli se deambulanti con difficoltà.

– Identificare il rischio di lesioni da pressione e predisporre il piano di prevenzione e cura.– Eseguire manovre di Primo Soccorso tra cui la rianimazione cardio-polmonare.– Eseguire la defibrillazione precoce avvalendosi del DAE.– Aiutare nella composizione della salma.– Su indicazione e controllo del medico ovvero, ove presente, prestando collaborazione all’infermiere

laureato:• aiutare e controllare l’assunzione di farmaci ed il corretto utilizzo di apparecchi medicali (ossi-

geno, aerosol, eccetera);• somministrare terapia (preventiva e curativa) per via enterale, parenterale e topica;• rilevare i parametri vitali;• effettuare e cambiare medicazioni semplici e complesse;• controllare e assistere alla somministrazione delle diete prescritte;• collaborare all’esecuzione di punture evacuative, diagnostiche, terapeutiche;• collaborare nelle procedure invasive applicando i rispettivi protocolli;• provvedere al posizionamento e controllo del cateterino venoso periferico, sondino naso-gastrico,

catetere vescicale;• provvedere all’esecuzione degli esami ematochimici sia venosi che arteriosi.

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L’Infermiera Volontaria, che si prende cura della persona in rapporto alle capacità di autocura e/o al livello didipendenza e che garantisce la soddisfazione dei bisogni globali della persona, pertanto, deve:

– individuare il bisogno di assistenza;– definire gli obiettivi, pianificare gli interventi, attuare e valutare i risultati, tenendo conto:

• dell’informazione data alla persona e del suo consenso;• del livello di autocura e/o di dipendenza della persona;• delle prescrizioni mediche ricevute;• delle risorse disponibili;• del ruolo delle altre professionalità presenti nella struttura e della integrazione con le stesse;

– garantire l’assistenza psicologica alle persone coinvolte in situazioni di emergenza.

Il profilo dell’infermiera volontaria è, in alcune parti, di dubbia legittimità. Se la legge ordi-naria equipara questa figura all’operatore socio-sanitario con formazione complementare risultadel tutto sovrabbondante la definizione di un profilo, quanto meno per le attività da svolgere neicontesti civili. Sottolineiamo in particolare le attribuzioni relative al posizionamento dei cateterivenosi periferici, sondino nasogastrico, catetere vescicale e dell’esecuzioni di esami per via ve-nosa e arteriosa.

Questa fuga in avanti viene confermata dagli obiettivi di studio del secondo e ultimo anno dicorso di formazione dell’infermiera volontaria che devono essere finalizzati a “fornire assistenzainfermieristica rivolta a persone sane in ospedale e in comunità”. Nell’elenco dettagliato degliobiettivi finali si legge che deve essere in grado di: elaborare piani di assistenza infermieristica,attuare interventi di immobilizzazione come il confezionamento degli apparecchi gessati, ese-guire medicazioni semplici e complesse di ferite, l’aggiornamento periodico della cartella infer-mieristica, la preparazione ed esecuzione della terapia endovenosa, la preparazione sommini-strazione e controllo della terapia infusionale, la segnalazione di codici di priorità (triage) ecc.

Siamo – è evidente – al di fuori delle incombenze attribuite all’operatore socio-sanitario conformazione complementare. Le motivazioni che portano a queste estensioni – ripetiamo – di dub-bia legittimità sfuggono all’interprete di buona fede.

Infine – è sempre il recente D.M. 9 novembre 2010 – viene stabilito in codice deontologicodelle infermiere volonarie. Lo riportiamo per esteso:

Codice deontologico dell’Infermiera Volontaria della Croce Rossa Italiana

PremessaIl Codice Deontologico dell’Infermiera Volontaria della Croce Rossa Italiana si ispira:1. ai sette principi fondamentali della Croce Rossa; 2. alle regole base del Diritto Internazionale Umanitario; che ogni Infermiera Volontaria si impegna a rispettare e a far rispettare.

Il Codice Deontologico è parte del Regolamento del Corpo e contribuisce a delineare la figura e a defi-nire il comportamento dell’Infermiera Volontaria della Croce Rossa Italiana.

Principi generali– L’Infermiera Volontaria riconosce ad ogni essere umano, senza distinzione di nazionalità, di razza, di re-

ligione, di condizione sociale e di credo politico, il diritto ad essere assistito, nella maniera migliore pos-sibile, con comprensione, con calore, con spirito di fratellanza.

– L’Infermiera Volontaria considera la salute come bene fondamentale della persona e della collettività e si impe-gna a tutelarla con attività di prevenzione, cura, riabilitazione, nell’ambito dei suoi compiti.

– L’Infermiera Volontaria svolge servizi socio-sanitari presso unità sanitarie territoriali e mobili della Croce

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Rossa, delle Forze Armate, del Dipartimento della Protezione Civile e, se richiesto, del Servizio SanitarioNazionale.

– L’Infermiera Volontaria opera:a) nel quotidiano, in servizi di assistenza, prevenzione, educazione sanitaria alla popolazione; b) in emergenza, in aree colpite da catastrofi naturali o eventi bellici, in soccorso a popolazioni perse-

guitate o profughe, in missione internazionale di pace.– L’Infermiera Volontaria è riconoscibile dalla divisa che indossa.– Il motto dell’Infermiera Volontaria della Croce Rossa Italiana è: AMA, CONFORTA, LAVORA, SALVA.

Principi specifici1. L’Infermiera Volontaria della Croce Rossa Italiana è tenuta:a) all’assolvimento dei compiti d’istituto della Croce Rossa; b) all’assolvimento dei compiti derivanti dalla sua appartenenza ad un Corpo ausiliario delle Forze Ar-

mate e alla collaborazione con il dipartimento di Protezione Civile; c) alla disciplina del Corpo.

2. L’Infermiera Volontaria della Croce Rossa Italiana opera nel rispetto di quanto disposto dal Regolamentodel Corpo e dipende:a) per quanto attiene alla disciplina, dal competente Ispettorato II.VV.; b) per quanto attiene all’esecuzione tecnica dei suoi compiti, dal Personale Direttivo dell’unità sanita-

ria di riferimento.3. L’Infermiera Volontaria della Croce Rossa Italiana nello svolgimento del servizio:a) tiene un comportamento corretto improntato a serietà e serenità; b) osserva la più rigorosa puntualità; c) provvede ad erogare l’assistenza di sua competenza e garantisce l’esecuzione delle prescrizioni me-

diche previste per il suo ruolo; d) si esprime in termini chiari, per facilitare la comprensione dei comportamenti tenuti e da tenere, le

modalità di attuazione delle terapie, l’accesso ad altri servizi, l’inserimento nel contesto sociale; e) offre aiuto e sostegno nelle situazioni di disagio e sofferenza.

4. L’Infermiera Volontaria della Croce Rossa Italiana nelle situazioni di emergenza deve essere in grado di:a) valutare rapidamente la situazione in cui si richiede l’intervento di assistenza; b) attivarsi nel reperimento delle risorse necessarie; c) assistere i bisognosi di cure, in collaborazione con le altre figure sanitarie, di cui riconosce i ruoli e

le competenze; d) promuovere le migliori condizioni possibili di sicurezza psico-fisica per gli assistiti, i familiari, la col-

lettività, gli operatori.5. L’Infermiera Volontaria della Croce Rossa Italiana tende a migliorare le proprie conoscenze, partecipando,

ad esercitazioni ed a corsi di formazione permanente.6. L’Infermiera Volontaria della Croce Rossa Italiana è tenuta ad osservare rigorosamente il segreto profes-

sionale, in quanto infermiera, e il segreto militare, in quanto ausiliaria delle Forze Armate.7. L’Infermiera Volontaria della Croce Rossa Italiana, se a conoscenza di maltrattamenti nei confronti di un

assistito, è tenuta a mettere in pratica i mezzi per tutelarlo e, se necessario, ad informare per via gerar-chica l’autorità competente.

8. L’Infermiera Volontaria della Croce Rossa Italiana, di fronte a disposizioni in aperto contrasto con le leggidello Stato e il Diritto Internazionale Umanitario dei Conflitti Armati, può astenersi informandone im-mediatamente la propria superiore autorità gerarchica.

9. L’Infermiera Volontaria della Croce Rossa Italiana:a) tutela la dignità propria e del Corpo con comportamenti ispirati a serietà, rispetto e disciplina; b) segnala al superiore gerarchico diretto carenze o disservizi tali da compromettere il decoro del Corpo

o la qualità del servizio prestato.10. L’Infermiera Volontaria della Croce Rossa Italiana si astiene dal partecipare a controversie di qualsiasi ge-

nere ed evita di manifestare con atti, parole o comportamenti il proprio credo politico, religioso, filosofico.11. L’Infermiera Volontaria della Croce Rossa Italiana, nell’ambito dell’Associazione, collabora con le altre

componenti nel rispetto degli specifici compiti istituzionali.12. L’Infermiera Volontaria della Croce Rossa Italiana, nell’ambito della propria componente, tiene un com-

portamento conforme all’etica del Corpo, in spirito di fratellanza con tutte le altre sorelle.

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Le regole contenute nel presente Codice Deontologico sono vincolanti.Eventuali infrazioni saranno vagliate in base al Regolamento del Corpo delle Infermiere Volontarie della

Croce Rossa Italiana.

I PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA CROCE ROSSA

1. Umanità – La Croce Rossa, nata per portare soccorso senza discriminazioni ai feriti sui campi di battaglia,si adopera, in campo internazionale e nazionale, per prevenire e alleviare le sofferenze degli uomini, perproteggere la vita e la salute, per favorire la reciproca comprensione, l’amicizia, la cooperazione, la pacetra i popoli.

2. Imparzialità – Opera senza distinzione di nazionalità, di razza, di religione, di sesso, di condizione socialee di credo politico, soccorrendo gli individui nelle sofferenze, a seconda della gravità e delle priorità.

3. Neutralità – Si astiene dal partecipare a ostilità di qualsiasi genere e a controversie politiche, razziali, re-ligiose e filosofiche.

4. Indipendenza – Svolge la propria attività in forma indipendente e autonoma. È ausiliaria dei poteri pub-blici nelle attività umanitarie ed è sottoposta solo alle leggi dei rispettivi Paesi, dove conserva tuttavia l’au-tonomia che consenta di agire secondo i principi della Croce Rossa.

5. Volontariato – La Croce Rossa è un’istituzione di soccorso volontario e disinteressato.6. Unità – In ogni Paese non vi può essere che una sola Associazione di Croce Rossa, che è aperta a tutti ed

estende la sua azione umanitaria all’intero territorio.7. Universalità – Il Movimento Internazionale di CROCE ROSSA e di MEZZA LUNA ROSSA è Universale. In

esso tutte le Società Nazionali hanno uguali diritti e il dovere di aiutarsi reciprocamente.

Il corpo delle infermiere volontarie della Croce Rossa non deve essere confuso con gli infer-mieri operanti direttamente nell’esercito come “personale addetto alla sanità militare” inquadratiall’interno della categoria del “personale non medico” del Servizio sanitario militare e per il qualesi fa riferimento alle norme di esercizio professionale previsti dalla ordinaria legislazione sta-tale30 con alcune peculiari norme nelle situazioni di emergenza in taluni contesti operativi.31

Capitolo 4 – Gli operatori di supporto

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30 D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66 “Codice dell’ordinamento militare”Art. 212 – Requisiti per l’esercizio delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, riabilitative, tecnico-sa-nitarie e della prevenzione1. Il personale delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, riabilitative, tecnico-sanitarie svolge

con autonomia professionale le specifiche funzioni ed è articolato in conformità a quanto previsto dallalegge 1° febbraio 2006, n. 43.

2. Fermo restando il titolo universitario abilitante di cui alla legge 1° febbraio 2006, n. 43, il personale delservizio sanitario militare può svolgere il percorso formativo presso le strutture del servizio stesso, in-dividuate con decreto del Ministro della salute, che garantisce la completezza del percorso formativo.

3. Al personale infermieristico è attribuita la diretta responsabilità e gestione delle attività di assistenza in-fermieristica e delle connesse funzioni.

31 D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66 “Codice dell’ordinamento militare”Art. 213 – Speciali competenze del personale infermieristico e dei soccorritori militari1. Nelle aree operative in cui si svolgono le missioni internazionali, nonché sui mezzi aerei e unità navali

impegnati in operazioni militari al di fuori dello spazio aereo e delle acque territoriali nazionali, nei casidi urgenza ed emergenza:a) in assenza di personale medico, al personale infermieristico militare specificatamente formato e ad-

destrato è consentita l’effettuazione di manovre per il sostegno di base e avanzato delle funzioni vi-tali e per il supporto di base e avanzato nella fase di pre-ospedalizzazione del traumatizzato;

b) in assenza di personale sanitario, ai soccorritori militari è consentita l’applicazione di tecniche diprimo soccorso nei limiti di quanto previsto da apposito protocollo d’intesa sottoscritto dal Ministerodella difesa e dal Ministero della salute.

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Capitolo

L’INQUADRAMENTO CONTRATTUALE DELLA PROFESSIONE INFERMIERISTICA

NEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE

CENNI STORICI

A partire dalla sua istituzione, lo stato giuridico del personale del Servizio sanitario nazionale èstato regolamentato dal D.P.R. 20 dicembre 1996, n. 761 “Stato giuridico del personale delle unitàsanitarie locali”, atto normativo che superava in modo definitivo il vecchio stato giuridico del per-sonale ospedaliero.1

L’impianto della normativa era di carattere pubblicistico e il pubblico dipendente aveva unsuo stato giuridico – che risentiva ancora pesantemente delle norme contenute all’interno delD.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 “Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli im-piegati dello Stato” – una sua modalità di inquadramento e la regolamentazione dei rapportiche avveniva con norme e con leggi speciali anziché con contratti collettivi nazionali di lavoro,con le norme contenute nel codice civile e con lo Statuto dei lavoratori come per i lavoratoriprivati.

Il D.P.R. 761/1979 suddivideva il personale in quattro distinti ruoli: ruolo sanitario, ruolo pro-fessionale, ruolo tecnico, ruolo amministrativo.

Le professioni sanitarie non mediche appartenevano al ruolo sanitario in quanto, come pre-cisava l’art. 1, esplicavano “in modo diretto attività inerenti alla tutela della salute”. All’interno

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1 D.P.R. 27 marzo 1969, n. 130 “Stato giuridico dei dipendenti degli enti ospedalieri”.L’inquadramento del personale afferente alle professioni sanitarie non mediche attuali era così effettuato:“Il personale tecnico è costituito da: tecnici per i laboratori di indagine, diagnosi e terapie, specializzati in:radiologia medica, anatomia patologica, istopatologia, laboratorio medico, e in altri settori preordinati albuon funzionamento dei servizi di diagnosi e cura, con le qualifiche di: capo tecnico e tecnico specializ-zato.Il personale sanitario ausiliario è costituito da:– personale di assistenza ostetrica, con le qualifiche di: ostetrica capo, ostetrica;– personale di assistenza diretta, con le qualifiche di: capo sala, infermiere professionale specializzato, in-fermiere professionale e vigilatrice d’infanzia, infermiere generico, puericultrice;

– personale di assistenza medica e assistenza sociale, con le qualifiche rispettivamente di: assistente sani-taria visitatrice e assistente sociale;

– personale di assistenza ai servizi speciali, con le qualifiche di: terapista della riabilitazione nelle varie qua-lificazioni;

– personale dirigente e di funzioni didattica delle scuole per infermieri generici e professionali, con le qua-lifiche rispettivamente di: capo dei servizi sanitari, ausiliari, direttore e vice direttore didattico.”

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dei ruoli il personale era suddiviso in profili professionali “determinati in relazione ai requisiti cul-turali e professionali e alla tipologia del lavoro”.

All’interno del ruolo sanitario – in cui venivano ricompresi anche i professionisti sanitari lau-reati come i medici, i farmacisti, i veterinari, i biologi, i chimici, i fisici e gli psicologi – il perso-nale veniva classificato in tabelle distinte per i rispettivi profili.

Il personale con funzioni didattico-organizzative (tabella H) veniva inquadrato come opera-tore professionale dirigente.

Le tabelle del personale infermieristico (tabella I), tecnico-sanitario (tabella L), di vigilanza eispezione (tabella M) e di riabilitazione (tabella N) erano articolate in quadri corrispondenti al li-vello di qualificazione professionale degli operatori che erano suddivisi in due posizioni funzionali:

1. operatore professionale coordinatore;2. operatore professionale collaboratore.

I contratti di lavoro degli anni Ottanta e degli anni Novanta hanno inquadrato gli operatoriprofessionali collaboratori al VI livello retributivo e gli operatori professionali coordinatori al VIIlivello retributivo, mentre gli operatori professionali dirigenti venivano inquadrati all’VIII livello.

In seguito il D.P.R. 7 settembre 1984, n. 821 “Attribuzioni del personale non medico addettoai presidi, servizi e uffici delle unità sanitarie locali” ha precisato le funzioni di tutte le figure in-quadrate che hanno visto disegnate le loro attribuzioni in modo ampio, con una norma-corniceche inquadrava le posizioni funzionali che ricomprendevano tutti i profili.

L’art. 19 del D.P.R. 821/1984 inquadrando l’operatore professionale dirigente stabiliva:

Il personale con funzioni didattico-organizzative provvede al coordinamento delle attività di formazione pro-fessionale del personale o dei servizi assistenziali di competenza.Nell’ambito delle attività di formazione, sulla base delle norme che regolano l’organizzazione dei corsi, assi-cura la direzione didattica dei corsi stessi secondo le disposizioni che li disciplinano.A tal fine, sulla base delle norme vigenti, predispone lo svolgimento degli insegnamenti, ne assicura l’effet-tuazione e ne controlla l’esecuzione nel rispetto della autonomia professionale operativa del personale do-cente e delle esigenze del lavoro di gruppo.Stabilisce gli opportuni collegamenti con le attività di formazione professionale permanente.Redige annualmente una relazione tecnica sull’attività svolta e formula proposte per l’organizzazione dell’in-segnamento.Nell’ambito dell’attività di organizzazione dei servizi, programma l’utilizzazione del personale secondo le in-dicazioni dei responsabili dei servizi e dei presidi e verifica l’espletamento delle attività del personale mede-simo predisponendo, a tal fine, anche i turni di lavoro e collaborando alla formulazione dei piani operativi edei sistemi di valutazione dei medesimi.Svolge funzioni di didattica nonché attività finalizzate alla propria formazione.Ha la responsabilità dei propri compiti limitatamente alle prestazioni e alle funzioni che per la normativa vi-gente è tenuto ad attuare nonché per le direttive e le istruzioni impartite e per i risultati conseguiti.

L’art. 20 inquadrando l’operatore professionale coordinatore stabiliva:

L’operatore professionale coordinatore svolge le attività di assistenza diretta attinenti alla sua competenza pro-fessionale.Coordina l’attività del personale nelle posizioni funzionali di collaboratore e di operatore professionale di II ca-tegoria a livello di unità funzionale ospedaliera e di distretto predisponendone i piani di lavoro, nell’ambitodelle direttive impartite dal responsabile o dai responsabili delle unità operative, nel rispetto dell’autonomiaoperativa del personale stesso e delle esigenze del lavoro di gruppo.

Capitolo 5 – l’inquadramento contrattuale della professione infermieristica nel SSN

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Svolge attività di didattica, nonché attività finalizzate alla propria formazione.Ha la responsabilità professionale dei propri compiti limitatamente alle prestazioni e alle funzioni che per lanormativa vigente è tenuto ad attuare.

Infine l’art. 21 inquadrava l’operatore professionale collaboratore:

L’operatore professionale collaboratore, nel rispetto di quanto stabilito nell’articolo precedente, nell’ambitodell’area dei servizi cui è assegnato, partecipa alla formulazione dei piani di lavoro e di intervento per la pro-mozione, il mantenimento e il recupero della salute degli utenti.Secondo le direttive ricevute, svolge le funzioni di specifica competenza attinenti al proprio titolo professio-nale assicurando gli interventi previsti dai piani di lavoro.Svolge attività di didattica e attività finalizzate alla propria formazione.Ha la responsabilità professionale dei propri compiti limitatamente alle prestazioni e alle funzioni che per lanormativa vigente è tenuto ad attuare.

Il processo di privatizzazione del pubblico impiegoIl processo di aziendalizzazione degli enti del Servizio sanitario nazionale non poteva non ac-compagnarsi anche, pena il fallimento del medesimo, al processo di privatizzazione del rapportodi lavoro dei lavoratori delle aziende USL e delle aziende ospedaliere.

Il processo di privatizzazione del rapporto di lavoro non ha avuto vita facile e, a tutt’oggi, èda considerarsi in pieno svolgimento.

La principale fonte normativa di riferimento, il decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, èstata oggetto di modifiche, anche importanti, a più riprese2 e con un segno non sempre univoco.

Vediamo per esteso le principali innovazioni.Il decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 denominato “Razionalizzazione della organizza-

zione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego[...]”, e le successive modificazioni, si propone tre principali obiettivi:

1. accrescere l’efficienza delle amministrazioni in relazione a quella dei corrispondenti ufficie servizi dei paesi della Comunità Europea, anche mediante il coordinato sviluppo di sistemiinformativi pubblici;

2. razionalizzare il costo del lavoro pubblico, contenendo la spesa complessiva per il perso-nale, diretta e indiretta, entro i vincoli di finanza pubblica;

3. realizzare la migliore utilizzazione delle risorse umane nelle pubbliche amministrazioni,curando la formazione e lo sviluppo professionale dei dipendenti, garantendo pari opportu-nità alle lavoratrici e ai lavoratori e applicando condizioni uniformi rispetto a quelle del la-voro privato.

Le parole chiave quindi sono l’efficienza, il contenimento della spesa per il personale e la pri-vatizzazione del rapporto di pubblico impiego.

Per amministrazioni pubbliche, è sempre il D.Lgs. n. 29 che ce lo dice, si intendono tutte leamministrazioni dello stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzionieducative, le aziende e amministrazioni dello stato a ordinamento autonomo, le regioni, le pro-

l’inquadramento contrattuale della professione infermieristica nel SSN – Capitolo 5

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2 Operate essenzialmente con il D.Lgs. 18 novembre 1993, n. 470, con il D.Lgs. 23 dicembre 1993, n. 546e con il D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80.

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vince, i comuni, le comunità montane e i loro consorzi e associazioni, le istituzioni universita-rie, gli istituti autonomi case popolari, le camere di commercio, industria, artigianato e agricol-tura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le am-ministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale.

Conseguenza di questo è che “i rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pub-bliche sono disciplinati dalle disposizioni del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro su-bordinato nell’impresa, salvi i limiti stabiliti dal presente decreto”.

I rapporti di lavoro devono essere quindi contrattualizzati e i contratti devono ispirarsi ai prin-cipi stabiliti dal decreto legislativo n. 29/1993.

Altro punto cardine della riforma è la separazione tra l’indirizzo politico e quello di gestione.L’indirizzo politico spetta agli organi di governo che “definiscono gli obiettivi e i programmi daattuare e verificano la rispondenza dei risultati della gestione amministrativa alle direttive gene-rali impartite”. Ai dirigenti invece spetta la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa, com-presa l’adozione di tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, mediante au-tonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane e strumentali e di controllo”. Siprecisa che i dirigenti sono responsabili della gestione e dei relativi risultati.

Si crea così una cesura tra politica e amministrazione più volte invocata.Le amministrazioni pubbliche si devono informare ai seguenti criteri:

1. funzionalità rispetto ai compiti e ai programmi di attività, nel perseguimento degli obiettivi diefficienza, efficacia ed ecomicità;

2. ampia flessibilità, garantendo adeguati margini alle determinazioni operative e gestionali;3. collegamento delle attività degli uffici, adeguandosi al dovere di comunicazione interna ed

esterna, e interconnessione mediante sistemi informatici e statistici pubblici;4. garanzia dell’imparzialità e della trasparenza dell’azione amministrativa, anche attraverso

l’istituzione di apposite strutture per l’informazione ai cittadini e attribuzione a un unico uf-ficio, per ciascun procedimento, della responsabilità complessiva dello stesso;

5. armonizzazione degli orari di servizio, di apertura degli uffici con le esigenze dell’utenza econ gli orari delle amministrazioni pubbliche dei paesi dell’Unione europea.

Si passa da un sistema chiaramente di carattere pubblicistico a uno privatistico. Non vi sonopiù “accordi di lavoro” da recepire con decreti del Presidente della Repubblica, bensì con veri epropri contratti collettivi di lavoro.

La contrattazione collettiva viene prevista di due livelli:

– nazionale;– aziendale.

I comparti del pubblico impiego sono stati provvisoriamente determinati dal D.P.C.M. 30 di-cembre 1993, n. 593. Provvisoriamente in quanto il D.Lgs. n. 29 stabilisce che la determinazionedei comparti deve avvenire in virtù di un accordo tra l’agenzia per la rappresentanza negoziale(ARAN) e le confederazioni sindacali maggiormente rappresentative, previa intesa con le ammi-nistrazioni regionali. Al momento, in virtù del D.P.C.M. citato sono i seguenti:

1. comparto dei ministeri;2. comparto del parastato (enti pubblici non economici);3. comparto delle regioni e degli enti locali;4. comparto delle aziende statali e delle amministrazioni autonome;5. comparto della sanità;

Capitolo 5 – l’inquadramento contrattuale della professione infermieristica nel SSN

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6. comparto degli enti di ricerca;7. comparto della scuola;8. comparto dell’università.

GLI EFFETTI DELLA PRIVATIZZAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO NEI CONTRATTI COLLETTIVI

Passando da un sistema pubblicistico a uno di carattere privatistico, o quanto meno con l’obiet-tivo di raggiungere un sistema privatistico, i contratti di lavoro hanno cominciato a mutare l’in-quadramento complessivo del comparto sanità.

Con il CCNL relativo al quadriennio normativo 1998-2001 e al biennio economico 1998-1999del personale del comparto sanità3 tutto il personale è stato reinquadrato in quattro categoriedenominate A, B, C e D.

Il personale professionale del comparto viene reinquadrato nel modo seguente.

Il contratto del 1999 ridisegna anche le competenze per ciascuna categoria attraverso attiallegati al contratto stesso e denominati “declaratorie” che superano l’inquadramento prece-dentemente dato dal D.P.R. 821/1984.

Gli operatori professionali sanitari (ex operatori professionali collaboratori di VI livello)vengono inquadrati nella categoria C che caratterizza tutti i lavoratori “che ricoprono posizionidi lavoro che richiedono conoscenze teoriche specialistiche di base, capacità tecniche elevateper l’espletamento delle attribuzioni, autonomia e responsabilità secondo metodologie definitee precisi ambiti di intervento operativo proprio del profilo, eventuale coordinamento e controllodi altri operatori con assunzione di responsabilità dei risultati conseguiti”.

I collaboratori professionali sanitari (ex operatori professionali coordinatori di VII livello)vengono inquadrati in categoria D che ha una duplice declaratoria: una di carattere generale ri-ferita a tutti coloro che sono in D (quindi amministrativi, tecnici ecc.) e una specifica per i pro-fessionisti sanitari. Riportiamo soltanto la parte specifica che precisa che l’appartenente alla ca-tegoria D (profilo professionale sanitario) “svolge le attività attinenti alla sua competenza pro-fessionale specifica – comprese funzioni di carattere strumentale quali, per esempio, la tenutadi registri – nell’ambito delle unità operative semplici, all’interno delle quali coordina anche l’at-

l’inquadramento contrattuale della professione infermieristica nel SSN – Capitolo 5

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Livello storico di appartenenza

VI livello “Operatore professionale collaboratore di I categoria”

VII livello “Operatore professionale coordinatore”

VIII livello “Operatore professionale dirigente”

Categoria di reinquadramento

Categoria C “Operatore professionale sanitario”

Categoria D “Collaboratore professionale sanitario”

Categoria Ds “Collaboratore professionale esperto”

3 Accordo 7 aprile 1999 “Contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al quadriennio normativo 1998-2001 e al biennio economico 1998-1999 del personale del comparto di ‘Sanità’ ”, Gazzetta Ufficiale del 19aprile 1999, supplemento ordinario n. 77.

IL REINQUADRAMENTO DA LIVELLI A CATEGORIE

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tività del personale addetto; predispone i piani di lavoro nel rispetto dell’autonomia operativadel personale assegnato e delle esigenze del lavoro di gruppo; collabora all’attività didatticanell’ambito dell’unità operativa e inoltre può essere assegnato, previa verifica dei requisiti, afunzioni dirette di tutor in piani formativi”.

I collaboratori professionali sanitari esperti (ex operatori professionali dirigenti di VIII li-vello) sono inquadrati in categoria Ds e hanno la declaratoria che recita:

Programma, nell’ambito dell’attività di organizzazione dei servizi sanitari – quali, per esempio, quelli infer-mieristici – la migliore utilizzazione delle risorse umane in relazione agli obiettivi assegnati e verifica l’esple-tamento delle attività del personale medesimo. Collabora alla formulazione dei piani operativi e dei sistemidi verifica della qualità ai fini dell’ottimizzazione dei servizi sanitari. Coordina le attività didattiche tecnico-pratiche e di tirocinio, di formazione (quali, per esempio, diploma universitario, formazione complementare,formazione continua) del personale appartenente ai profili sanitari a lui assegnate. Assume responsabilità di-retta per le attività professionali cui è preposto e formula proposte operative per l’organizzazione del lavoronell’ambito dell’attività affidatagli.

LE INNOVAZIONI DEL CONTRATTO ECONOMICO INTEGRATIVO 2000-2002

Ricordiamo prima di tutto che i contratti collettivi attuali durano quattro anni e ogni due anni èprevisto un rinnovo meramente economico al fine – generalmente – di recuperare il potere diacquisto perso con l’inflazione.

Il rinnovo del biennio economico 2000-2001 invece è stato caratterizzato da una vera e pro-pria vertenza, al pari o quasi, di un nuovo contratto.

I motivi che hanno spinto le organizzazioni sindacali sono stati principalmente tre: la ne-cessità di riequilibrare le retribuzioni del personale del comparto dopo la firma del contrattodella dirigenza medica, la necessità di inquadrare in modo adeguato professionisti per il cui ac-cesso è richiesta ormai la laurea triennale e, probabilmente, il tentativo di rendere più appeti-bile l’iscrizione ai corsi di diploma per alcune categorie che appaiono drammaticamente – da unpunto di vista numerico – in crisi come gli infermieri.

Il risultato più evidente è dato dalla scomparsa della categoria C come categoria di ingressoe di permanenza per la maggior parte dei professionisti del comparto e il trascinamento di tuttele figure professionali del comparto nella categoria D ex VII livello.

Riportiamo nello schema che segue le declaratorie – insieme di funzioni attribuite a deter-minati inquadramenti contrattuali – dell’ultimo CCNL, mettendo a confronto l’inquadramento

Capitolo 5 – l’inquadramento contrattuale della professione infermieristica nel SSN

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Declaratoria CCNL 1999CATEGORIA COperatore professionale sanitario (ex Operatore professionale collaboratore VI livello)

Appartengono a questa categoria i lavoratori che […](hanno) eventuale coordinamento e controllo di al-tri operatori con assunzione di responsabilità

Declaratoria CCNL 1999CATEGORIA DCollaboratore professionale sanitario (ex Operatore professionale coordinatore VII livello)

Svolge le attività attinenti alla sua competenza pro-fessionale specifca nell’ambito di unità operativesemplici, all’interno delle quali coordina anche l’at-tività del personale addetto

LE CONSEGUENZE DEL PASSAGGIO DI CATEGORIA

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della categoria C (destinata a scomparire quanto meno per quello che riguarda il personale pro-fessionale del comparto) e l’inquadramento della categoria D (destinata a essere ormai una sortadi categoria unica, fatta eccezione per l’inquadramento in Ds).

A prima vista le due declaratorie non appaiono molto dissimili – si noti la insussistente dif-ferenza tra le espressioni di “coordinamento eventuale” e di “coordinamento anche” – e la pa-rificazione tra personale “direttivo” e “personale di assistenza diretta”, per usare espressione delpassato, non crea – da un punto di vista giuridico – problemi di sorta. Quello che appare comeun nuovo meccanismo, del tutto inedito nel contratto del comparto, è il procedimento di attri-buzione delle funzioni di coordinamento.

Registriamo l’esistenza di una norma di salvaguardia di tutti coloro – in gran parte caposala –che erano già inquadrati come collaboratori professionali sanitari (ex operatori professionalicoordinatori) non più con un inquadramento giuridico separato, ma con la formula dell’incaricoaziendale, valutabile e revocabile, con relativa attribuzione di indennità economica.

Il rinnovo economico del CCNL 1999-2001 prevede infatti “una specifica indennità per co-loro cui sia affidata la funzione di coordinamento delle attività dei servizi di assegnazione non-ché del personale appartenente allo stesso o ad altro profilo anche di pari categoria e – ove ar-ticolata al suo interno – di pari livello economico, con assunzione di responsabilità del propriooperato”. L’indennità è quindi prevista per gli ex caposala e per i coordinatori delle altre pro-fessioni che svolgevano alla data del 31 agosto 2001 funzioni reali di coordinamento e si com-pone di una parte fissa nella misura annua di lire tre milioni (più il rateo della tredicesima men-silità) a cui può aggiungersi una parte variabile sino a un massimo di tre milioni definibili in sededi contrattazione aziendale. Quest’ultima indennità (e non anche la parte non attribuibile in sedeaziendale) è revocabile con il venire meno della funzione o in caso di valutazione negativa pertutti coloro che al 31 agosto 2001 già svolgevano effettive funzioni di coordinamento. Per lenuove attribuzioni invece l’indennità è completamente revocabile – anche nella sua prima parte– con il venire meno della funzione o in seguito a una valutazione negativa.

Il ruolo del coordinatore diventa quindi un incarico aziendale, i cui criteri di assegnazionesono definiti con la contrattazione decentrata e sottoposto a valutazione. Diventa nei fatti un’at-tribuzione di competenze con meccanismi che ricordano le attribuzioni di incarichi dirigenziali.

Altre novità rilevanti nelle innovazioni contrattuali e di diritto sindacale sono date dall’ap-provazione delle cosiddette “code contrattuali”, cioè dalla definizione di una serie di questioniche erano state rinviate e di nuova attuazione – quali, per esempio, la disciplina del telelavoro,del lavoro interinale ecc. – altre di omogeneizzazione di istituti che erano previsti nei contrattiprecedenti (per esempio, disciplina della mobilità, della pronta disponibilità ecc.) e che adessovengono a fare parte di un unico testo normativo, altre ancora che recepiscono novità legisla-tive recenti (quali, per esempio, il lavoro notturno e il nuovo sistema dei congedi parentali). Iltutto racchiuso all’interno di un’unica fonte normativa: il contratto di lavoro. Si completa quellafase di contrattualizzazione prevista dal decreto legislativo 29/1993 il cui fine principale eraquello di omogeneizzare la disciplina del contratto di lavoro pubblico con quello del regime pri-vato.

Registriamo inoltre il positivo sforzo del legislatore di creare una sorta di Testo unico (an-che se non così chiamato) del pubblico impiego che ormai aveva trovato una legislazione con-tinuamente frammentata e di difficile interpretazione di vigenza. È stato infatti pubblicato inGazzetta Ufficiale il D.Lgs. 20 marzo 2001, n. 165 “Norme generali sull’ordinamento del lavoroalle dipendenze delle amministrazioni pubbliche” che racchiude tutta la normativa che riguardai dipendenti di enti e aziende pubbliche.

l’inquadramento contrattuale della professione infermieristica nel SSN – Capitolo 5

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LE INNOVAZIONI DEL CCNL 2004

Il contratto collettivo nazionale di lavoro del 2004 non ha apportato significative variazioni distruttura all’impianto contrattuale. Si registrano in particolare i seguenti mutamenti:

1. l’istituzione del profilo “esperto di categoria C” e l’inquadramento degli infermieri proprio incategoria C;

2. la reintroduzione della differenziazione tra funzioni assistenziali e funzioni di coordinamentoattuando la trasformazione di tutti coloro che operavano con funzioni di coordinamento all’in-terno della categoria D in categoria Ds;

3. un incremento, seppur modesto, delle indennità economiche di disagio e l’istituzione dellenuove indennità di presenza per coloro che operano nel settore dell’assistenza domiciliare edei servizi di tossicopidendenze;

4. alcune limitazioni alla mobilità volontaria e la reintroduzione della mobilità a compensazione;5. rivisitazione delle sanzioni disciplinari e dei rapporti tra procedimento disciplinare e proce-

dimento penale, anche in applicazione alle modifiche legislative intercorse.

Le innovazioni del CCNL siglato nel 2004 non sono certo epocali e il bilancio è sembrato in-vero deludente e incerto, e non in linea con le novità professionali che hanno coinvolto la pro-fessione infermieristica e non solo.

IL CONTRATTO 2006-2009

Da un punto di vista contrattuale il rinnovo del contratto doveva pesantemente risentire delle in-novazioni introdotte dalla legge 43/2006 con particolare riferimento alla nuova classificazione le-gislativa che abbiamo già analizzato al capitolo 2 e che possiamo in questa sede così sintetizzare:

1. professionisti addetti all’assistenza, con titolo di laurea o equipollente;2. professionisti coordinatori in possesso del master di primo livello nelle funzioni manageriali;3. professionisti specialisti in possesso del master di primo livello nelle funzioni specialistiche;4. professionisti dirigenti.

Non vi sono dubbi che la legge 43/2006 abbia di fatto invaso un ambito demandato normal-mente e tradizionalmente alla contrattazione sindacale.

L’unico recepimento – posto che di recepimento si possa parlare – è relativo al punto 2. e, inparticolare, all’obbligatorietà del master in coordinamento per l’accesso alla funzione stessa dicoordinamento.

Pur essendo un rinnovo quadriennale, e quindi comprendente sia la parte economica che nor-mativa, questo è stato un rinnovo sostanzialmente solo economico. Le motivazioni sono ripor-tate nel contratto stesso, dove all’art. 13 si specifica che si è proceduto al rinnovo economico inrelazione al ritardo con cui sono iniziate le trattative.

All’interno sempre di questo contratto verrà stipulato un contratto integrativo dove, tra l’al-tro, sarà ridefinito il sistema degli “incarichi di coordinamento e specialistici, anche in applica-zione alla legge 43/2006” e del “sistema di valorizzazione delle responsabilità e delle autonomieprofessionali”.

Da un punto di vista normativo il rinnovo firmato nella primavera del 2008 non contiene so-stanzialmente altro.

Capitolo 5 – l’inquadramento contrattuale della professione infermieristica nel SSN

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GLI SVILUPPI FUTURI DELL’INQUADRAMENTO CONTRATTUALE DOPO LA RIFORMA BRUNETTA

La riforma Brunetta, sostanzialmente recepita nel D.Lgs 27 ottobre 2009, n. 150 “Attuazione dellalegge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttivita’ del lavoro pubblico edi efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni”4 rivoluziona gli assetti, i rapporti egli inquadramenti di tutto il pubblico impiego e quindi anche dell’attuale comparto della sanitàpubblica.

Si registrano importanti novità quali il rafforzamento dei poteri della parte dirigenziale, l’in-troduzione di un nuovo sistema di valutazione, di un nuovo sistema di contrattazione, di un cam-biamento dei sistemi di carriera e di un inasprimento delle procedure disciplinari.

Alcuni di questi cambiamenti dovranno essere recepiti dalla contrattazione sindacale. Nelfrattempo però si sono registrati – in seguito alla crisi finanziaria ed economica internazionale –drastici provvedimenti normativi di compressione della spesa pubblica tali da portare al conge-lamento per il triennio 2011-2013 dei contratti del pubblico impiego e che quindi non verrannorinnovati.5 Quindi alcune novità contenute nella riforma Brunetta sono destinate a essere con-gelate per tutto il triennio, mentre altre sono entrate di diritto in vigore (vedi cap. 12 sulla re-sponsabilità disciplinare).

l’inquadramento contrattuale della professione infermieristica nel SSN – Capitolo 5

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4 Scaturisce da una legge delega: Legge 4 marzo 2009, n. 15 “Delega al Governo finalizzata all’ottimizza-zione della produttività del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioninonché disposizioni integrative delle funzioni attribuite al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro ealla Corte dei conti” e il successivo decreto legislativo D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.5 D.L. 31 maggio 2010, n. 78 “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività eco-nomica” successivamente convertito con la legge 30 luglio 2010, n. 122 “Conversione in legge, con modifi-cazioni, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione fi-nanziaria e di competitività economica”, art. 9 “Contenimento delle spese in materia di pubblico impiego”.

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Capitolo

LA RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE: LA RESPONSABILITÀ PENALE

LA RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE

La responsabilità professionale viene tradizionalmente suddivisa in tre ambiti:

1. responsabilità penale;2. responsabilità civile;3. responsabilità disciplinare.

Quest’ultima, quando riguarda gli infermieri professionali non dipendenti, ma liberi profes-sionisti, diventa una responsabilità ordinistico-disciplinare, in quanto è lo stesso Collegio IPASVI(Infermieri professionali, assistenti sanitarie e vigilatrici di infanzia) ad avere la titolarità dell’azionee del procedimento disciplinare.

Nel presente capitolo verrà trattata la più importante delle tre responsabilità sopra elencate:la responsabilità penale, mentre la responsabilità civile verrà trattata nel capitolo 11 e la re-sponsabilità disciplinare nel capitolo 12.

LA RESPONSABILITÀ PENALE

IntroduzioneIl diritto penale è una branca del diritto pubblico che determina in modo tassativo quali com-portamenti sono puniti dalla società con la sanzione di una pena.

Di conseguenza, il diritto penale è un diritto afflittivo e sanzionatorio.I cenni contenuti nei prossimi paragrafi sono volutamente incompleti e parziali in quanto ser-

viranno solo a sottolineare i punti utili per inquadrare il diritto penale ai fini della responsabilitàprofessionale.

La necessità per qualsivoglia tipo di società di ricorrere al diritto penale viene giustificata sullabase dell’insufficiente idoneità degli altri settori dell’ordinamento di prevenire fatti socialmentedannosi che è necessario impedire per garantire una pacifica convivenza.1

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1 Fiandaca G., Musco E., Diritto penale – parte generale, Zanichelli, Bologna, 1995, p. 4.

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La minaccia di una pena viene vista dall’ordinamento in relazione alla funzione che essapuò esplicare sulla maggioranza dei consociati (cittadini e non) e assolve a una triplice fun-zione:

1. retributiva: è la funzione che ha un tipico fondamento utilitaristico che esercita mediantel’applicazione di una pena in relazione al fatto commesso. A questa funzione si associa di-rettamente il principio di proporzionalità della pena: la risposta sanzionatoria applicata dallostato deve essere proporzionata al fatto commesso;

2. preventiva: secondo questa funzione la minaccia di una pena si pone come deterrente perla commissione di reati da parte dei consociati. Agisce cioè come una sorta di controspintapsicologica alla spinta criminosa;

3. specialpreventiva: mira a far sì che l’inflizione di una pena a un determinato soggetto servaa evitare che egli compia in futuro altri reati.

Le varie funzioni si integrano tra loro, essendo tutte in realtà carenti.2

Il reatoIl reato è quel comportamento umano che si attua mediante azione od omissione e per il qualel’ordinamento giuridico stabilisce come sanzione l’applicazione di una pena.

Vi sono, tra i tanti, tre importanti principi nel diritto penale che vale la pena ricordare: ilprincipio della riserva di legge, il principio di tassatività e il principio della irretroattività.

Da questo consegue che:

1. nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente previsto come reato dallalegge (art. 1 c.p.); solo una legge dello Stato può prevedere sanzioni penali.Con il principio della riserva di legge lo stato ha attribuito al legislatore il “monopolio nor-mativo penale”3 circoscrivendo quindi le fonti penali alla legge ordinaria o agli atti aventiforza di legge (decreti legge e decreti legislativi) secondo il noto brocardo latino nullum cri-men sine lege.Di non facile inquadramento sono le cosiddette “norme penali in bianco”, come per esempiola fattispecie contenuta all’interno dell’art. 348 c.p. in tema di esercizio abusivo di professione(vedi cap. 8), che sono quelle norme che hanno un precetto a carattere generico ma con san-zione determinata. Il precetto cioè viene integrato da atti normativi di carattere inferiore (re-golamenti, decreti ecc.). Per costante orientamento dottrinario e giurisprudenziale è neces-sario che la fonte integrativa del precetto penale abbia il carattere della tassatività.Il principale testo legislativo di diritto penale è il codice penale, che costituisce il corpus nor-mativo preminente del cosiddetto “diritto comune”. Sono inoltre sempre più numerose le leggiextracodicistiche che contengono norme penali. In sanità, norme penali sono contenute, a ti-tolo di esempio, nella legge sull’interruzione volontaria di gravidanza, nelle leggi ambientali,nelle leggi sui rifiuti ospedalieri ecc;

2. la legge deve distinguere in modo preciso, determinato e tassativo “ciò che è penalmente le-cito da ciò che è penalmente illecito”;4

Capitolo 6 – la responsabilità professionale: la responsabilità penale

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2 Mantovani F., Diritto penale – parte generale, Cedam, Padova, 1988. 3 Mantovani F., Diritto penale – parte generale, op. cit., p. 97.4 Mantovani F., Diritto penale – parte generale, op. cit., p. 97.

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3. nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso,non costituisce reato (art. 2 c.p.).

In sostanza il principio di irretroattività si pone come principio garantista, in quanto garanti-sce al cittadino di non essere punito per un fatto che all’epoca della commissione non era reatoo era punito in modo meno grave.

Nell’illecito penale si distinguono il soggetto attivo o reo, che è l’autore del fatto-reato, e ilsoggetto passivo che è la vittima del reato.

Nel reato sono presenti un elemento oggettivo e uno soggettivo.

L’elemento oggettivo del reatoNell’elemento oggettivo del reato si distinguono la condotta, l’evento e il nesso di causalità:

1. la condotta del soggetto attivo del reato può consistere in un’azione o in un’omissione. In re-lazione alla condotta si parla di reati commissivi e di reati omissivi;

2. l’evento è il risultato di un’azione o di un’omissione, cioè la conseguenza della condotta delsoggetto (per esempio, in conseguenza di una data condotta offensiva segue la morte dellapersona); l’evento può non essere presente in un reato tanto che si parla di reati di pura con-dotta (o formali), che sono quelli che si perfezionano con la semplice condotta di un soggetto,e di reati di evento, quelli per i quali la legge richiede che da una data condotta segua ancheun evento;

3. il nesso di causalità è il rapporto necessario che deve intercorrere tra la condotta e l’evento. Èpositivamente sancito dall’art. 40 c.p., per cui “nessuno può essere punito per un fatto preve-duto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza delreato, non è conseguenza della sua azione o omissione”.

La determinazione del nesso di causalità nell’esercizio delle professioni sanitarieAbbiamo visto come per l’attribuzione di un reato sia necessario che l’evento possa essere attri-buito alla condotta di un soggetto. La determinazione del nesso di causalità però presenta im-plicazioni, “prima ancora che di natura giuridico-penale, di natura filosofica e scientifica”.5 Il pro-blema che si pone in medicina è quello relativo all’accertamento del nesso di causalità in terminicerti, posto che generalmente in ambito sanitario la maggior parte delle conoscenze è di naturaprobabilistica […] e nessun giudizio e nessuna decisione sono certi e si ha sempre a che fare conun grado più o meno elevato di incertezza”.6 L’accertamento del nesso di causalità in termini dicertezza come nesso tra condotta ed evento è di per sé difficile.

La giurisprudenza, dopo un orientamento favorevole al medico e ai sanitari in generale, hasostituito al criterio degli effetti della condotta, il criterio della probabilità di tali effetti (e dellaidoneità della condotta a perseguirli). La responsabilità del sanitario quindi sussiste “anche quandol’opera del sanitario, se correttamente intervenuta, avrebbe avuto non già la certezza, bensì sol-

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5 Fiandaca G., Musco E., Diritto penale – parte generale, op. cit., p. 196; Stella F., Leggi scientifiche e spiegazionecausale in diritto penale, Giuffrè, Milano, 1995; Barni M., Il rapporto di causalità naturale in medicina legale, Giuf-frè, Milano, 1991; Fiori A., Medicina legale della responsabilità medica, Giuffrè, Milano, 1999, pp. 575 e ss.6 Federspil G., Il rischio in medicina oggi e la responsabilità professionale, Atti del convegno di studio dellaFederazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, Roma, 26 giugno 1999, Giuffrè,Milano, 2000, pp. 101 e ss.

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tanto serie e apprezzabili possibilità di successo, tali che la vita e l’integrità fisica del pazientesarebbe stata, con una certa probabilità salvata”.7 In particolare la giurisprudenza della Cassa-zione si è orientata per lungo tempo a riconoscere il nesso di causalità tra la condotta omissivae l’evento sussistendo la probabilità del 30% che un corretto e tempestivo intervento medicoavrebbe avuto esito negativo,8 ma già precedentemente alla quantificazione probabilistica sonostate ritenute sufficienti a giustificare il nesso causale “serie e apprezzabili possibilità di suc-cesso”9 o “anche poche probabilità di successo”10 dell’intervento omesso.11

Recentemente c’è da rilevare un’inversione di tendenza della giurisprudenza della supremaCorte, ritenuta in realtà estremamente punitiva per i sanitari, condannati in base a criteri deci-samente più restrittivi rispetto non soltanto agli altri cittadini, ma anche all’interno della stessaresponsabilità professionale.

In questo nuovo orientamento riscontriamo varie massime che tendono non tanto a con-traddire l’indirizzo precedente quanto piuttosto a circoscriverlo. La giurisprudenza di legittimità,pur ribadendo il criterio della probabilità degli effetti nell’accertamento del nesso di causalità, haaffermato che tale probabilità deve essere seria e apprezzabile, e avere un alto grado di proba-bilità di successo (nel caso di specie 75%).12

Questi diversi orientamenti della stessa sezione della Corte di Cassazione hanno portato a unintervento chiarificatore delle Sezioni Unite della suprema Corte. Con la sentenza del 10 luglio2002 (sentenza Franzese) la Cassazione ha precisato che il nesso di causalità può ritenersi ac-certato quando “si possa affermare in termini di certezza processuale, ossia in termini di elevatacredibilità razionale o elevata probabilità logica, che l’azione doverosa omessa dal medico avrebbeimpedito il pregiudizio subito dal paziente”.13

Si allontana quindi quella sorta di spettro di responsabilità senza colpa che aleggiava nel de-cennio 1990-2000 nei processi di responsabilità medica.

La breve ricostruzione fatta sulla determinazione del nesso di causalità nella responsabilitàmedica serve a comprendere gli orientamenti giudiziari in ambito sanitario prendendo come pa-ragone la categoria professionale più colpita all’interno della sanità.

L’elemento soggettivo del reatoUn importante principio informa il diritto penale: il principio di soggettività, secondo il qualeper compiere un reato non è sufficiente che il soggetto commetta un fatto materiale, ma occorreche questo fatto gli appartenga psicologicamente.14

A seconda della volontà del soggetto si distingue:

– il dolo; – la colpa; – la preterintenzione.

Capitolo 6 – la responsabilità professionale: la responsabilità penale

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7 Bilancetti M., La responsabilità penale e civile del medico, Giuffrè, Milano, 2001, p. 73.8 Cassazione penale, IV sez., sentenza del 17 gennaio 1992, Giustizia penale, 1992, II, 299.9 Cassazione penale, IV sez., sentenza del 18 ottobre 1990, Cassazione penale, 8-9, 1992, 1112.10 Cassazione penale, IV sez., sentenza del 7 gennaio 1983, Foro Italiano, 1986, II, 351.11 Per la ricostruzione analitica della giurisprudenza sul nesso di causalità in ambito medico vedi IadecolaG., Il medico e la legge penale, Padova, Cedam, 1993; Bilancetti M., La responsabilità penale e civile del medico,op. cit.; Fiori A., Medicina legale della responsabilità medica, op. cit.12 Cassazione penale, IV sez., sentenza dell’1 febbraio 2000; sentenza del 28 settembre 2000.13 Iadecola G., La responsabilità medica nei più recenti orientamenti della Corte di Cassazione, Rivista di di-ritto delle professioni sanitarie, 3, 2003, p. 152.14 Mantovani F., Diritto penale – parte generale, op. cit., p. 279.

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Il dolo si caratterizza per la volontarietà della condotta offensiva e per la previsione di unevento dannoso in conseguenza di quella condotta.

Il codice penale, all’art. 43, specifica che un delitto è doloso, o secondo l’intenzione, quandol’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa di-pendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto o voluto come conseguenza della propriaazione od omissione.

Il dolo può presentare un’intensità diversa in relazione alla volontà di chi lo pone in es-sere. Con riferimento a determinati reati sulla persona si ritiene tradizionalmente che quandola decisione di commettere un fatto-reato viene presa a brevissima distanza dalla sua con-creta attuazione esprima una minore intensità criminosa: si parla in questo caso di dolo d’im-peto. Se al contrario intercorre un certo lasso di tempo tra il momento della decisione e quellodell’esecuzione si realizza il cosiddetto dolo di proposito che si sostanzia nella premedita-zione.

La colpa si caratterizza invece, a differenza del dolo, per la non volontà di compiere un de-terminato fatto-reato, che si verifica ugualmente a causa di negligenza o imprudenza o imperi-zia (colpa generica), ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (colpaspecifica), art. 43 c.p.

Nel dolo occorre la volontà di compiere il fatto, nella colpa occorre invece la non volontà.Nella responsabilità professionale la colpa è di gran lunga più importante e frequente del dolo.

Per negligenza si intende un atteggiamento di trascuratezza, di mancanza di attenzione edi accortezze, una mancanza di diligenza, un’omissione volontaria di determinate precauzioniche il soggetto che compie il fatto conosce e volontariamente non adotta. Nella professione in-fermieristica un esempio può essere quello di un infermiere che esegue un’iniezione intramu-scolare senza prima procedere alla disinfezione della cute e che causa, con il suo comporta-mento, un ascesso al paziente.

L’imperizia è invece caratterizzata da un’insufficiente preparazione e capacità che un sog-getto in realtà dovrebbe avere. È una sorta di incapacità professionale.

L’imprudenza è caratterizzata da un comportamento avventato di un soggetto che, nono-stante il pericolo o un’alta probabilità che il suo atteggiamento produca un evento dannoso, agi-sca lo stesso. In campo sanitario l’imprudenza può assumere aspetti simili a quelli dell’imperi-zia, in quanto l’imprudenza stessa può derivare da imperizia (ossia da mancanza di conoscenzee preparazione professionale).

La colpa specifica è rappresentata dall’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o disci-pline e consiste nella non osservanza di tutte quelle regole codificate che mirano a evitare larealizzazione di un evento dannoso.

La preterintenzione è una figura particolare in quanto è prevista solo per due reati, l’omi-cidio e l’aborto, e consiste in un singolare caso di responsabilità di dolo misto a colpa (o a re-sponsabilità oggettiva secondo le diverse impostazioni della dottrina giuridica).

Per quanto concerne l’aborto si ricorre al giudizio preterintenzionale quando, con azioni di-rette a provocare lesioni, si cagiona come effetto non voluto l’interruzione della gravidanza (art.18, comma II, legge 22 maggio 1978, n. 194).

L’omicidio preterintenzionale si verifica quando il soggetto che compie il reato vuole com-piere un reato minore (lesioni o percosse) e da questo suo comportamento deriva, come con-seguenza non voluta, la morte della persona.

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Le scriminanti o esimentiScriminanti (o esimenti) sono cause oggettive di esclusione del reato. In date circostanze il sog-getto commette un fatto-reato, ma l’ordinamento giuridico considera tale fatto “non punibile”.Sono tassativamente previste dal c.p. e sono:

1. il consenso dell’avente diritto (art. 50 c.p.);2. l’esercizio di un diritto (art. 51 c.p.);3. l’adempimento di un dovere (art. 51 c.p.);4. la legittima difesa (art. 52 c.p.);5. l’uso legittimo delle armi (art. 53 c.p.);6. lo stato di necessità (art. 54 c.p.).

Qui interessa approfondire solo lo stato di necessità. Per l’art. 54 c.p. “non è punibile chi hacommesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo at-tuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimentievitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”.

Lo stato di necessità quindi implica una situazione di pericolo e una condotta lesiva da partedel soggetto che versa in pericolo.15

Il pericolo deve essere “attuale” e il danno alla persona deve essere “grave”. Il fatto lesivo che il soggetto compie per evitare il pericolo deve “essere proporzionato al pe-

ricolo”.Fuori da questi limiti la scriminante non copre, e il fatto torna a essere punibile.Per un approfondimento sulla tematica dello stato di necessità si rimanda al capitolo 16 dove

sono trattati i compiti dell’infermiere professionale nell’emergenza.

Le circostanze del reatoLe circostanze sono elementi accessori del reato e come tali non incidono sull’esistenza del reato,ma incidono sulla sua gravità e comportano una modificazione della pena.

La presenza delle circostanze trasforma il reato da reato semplice a reato circostanziato,aggravato o attenuato.

L’esigenza di attribuire rilevanza a situazioni diverse dagli elementi costitutivi del reato serveper graduare il disvalore di un fatto e per incidere in senso attenuante o aggravante. Le circo-stanze (circum stant: ciò che sta intorno) non incidono quindi sull’esistenza del reato ma deter-minano una modificazione in termini quantitativi della pena.16

Le circostanze vengono comunemente classificate in:

1. comuni e speciali, a seconda che siano applicabili a un numero indefinito di reati, con i qualinon siano incompatibili oppure siano applicabili solo a un reato in particolare;

2. aggravanti e attenuanti, a seconda che la loro applicazione comporti un inasprimento oun’attenuazione della pena.

Capitolo 6 – la responsabilità professionale: la responsabilità penale

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15 Mantovani F., Diritto penale – parte generale, op. cit., p. 265.16 Per un approfondimento delle circostanze vedi: Melchionda A., La nuova disciplina di valutazione dellecircostanze del reato, Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1990, 1433; Ramacci L., Alcune riflessionisulla riforma in materia di circostanze, Studi senesi, 147, 1993; Manna A., voce Circostanze del reato, in En-ciclopedia giuridica Treccani, VI volume, Roma 1994.

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Tra le circostanze aggravanti comuni ai fini dell’esercizio della professione infermieristica,soprattutto nei casi di dolo professionale (dove l’infermiere vuole commettere un reato) è utilesottolineare l’importanza delle aggravanti previste dall’art. 61 al punto 1, che “aggrava” il reatoquando chi lo commette agisce “per motivi abietti o futili”;17 al punto 4 per “l’avere adoperato se-vizie, o l’avere agito con crudeltà verso le persone”;18 al punto 5 per “l’avere profittato di circo-stanze di tempo, di luogo o di persona tali da ostacolare la pubblica o privata difesa”;19 e al punto9 per “l’avere commesso il fatto con abuso dei poteri, o con violazione dei doveri inerenti a unapubblica funzione o a un pubblico servizio, ovvero alla qualità di ministro di un culto”.

A tutela dell’infermiere come possibile vittima di reati vi è a carico del reo l’aggravante pre-vista al punto 10 dell’art. 61 c.p., che aggrava la pena quando il fatto è stato commesso contro“un pubblico ufficiale o una persona incaricata di un pubblico servizio” (l’infermiere è un incari-cato di pubblico servizio).

Per contro tra le circostanze attenuanti comuni è da segnalare il punto 1 dell’art. 62 c.p. chediminuisce la pena quando il reo ha agito “per motivi di particolare valore morale o sociale”.

Infine il codice prevede delle attenuanti generiche che il giudice può applicare quando il fattoè avvenuto in presenza di circostanze diverse da quelle già viste, e che ritenga siano tali da giu-stificare una diminuzione della pena (art. 62 bis).

La penaLa pena è la sanzione che l’ordinamento giuridico commina all’autore del reato o reo. La pena vieneirrogata mediante un processo. Soltanto lo stato può irrogare pene. Sono tre le caratteristichedella pena:

1. la pena deve essere personale, cioè deve essere applicata all’autore del reato;2. la pena deve essere proporzionata al fatto commesso e si può ben dire che “nella propor-

zionalità sta la forza morale, la giustizia della pena”;20

3. la pena deve essere legale, cioè deve essere espressamente prevista dalla legge.

Classificazione delle peneLe pene si distinguono in principali e accessorie.

Pene principali secondo il nostro ordinamento sono:

1. la pena di morte: il nostro ordinamento non la ammette come pena ordinaria nelle leggi dipace; con la legge 13 ottobre 1996 è stata abrogata anche dal c.p. militare di guerra e sosti-tuita con l’ergastolo;

2. l’ergastolo: consiste nella privazione a vita della libertà personale. Bisogna precisare, però,che la perpetuità dell’ergastolo non è assoluta, in quanto l’ergastolano può essere ammessoalla liberazione condizionale quando abbia scontato almeno 26 anni di pena;

3. la reclusione: consiste nella privazione della libertà personale per un periodo che va da 15giorni a 24 anni;

4. l’arresto: consiste nella privazione della libertà da 5 giorni a 3 anni;5. la multa: consiste nel pagamento allo Stato di una somma non inferiore a lire 10 000 né su-

periore a lire 10 000 000;

la responsabilità professionale: la responsabilità penale – Capitolo 6

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17 Pretura di Firenze, sentenza del 21 giugno 1991, n. 801.18 Pretura di Firenze, sentenza cit.19 Pretura di Firenze, sentenza cit.20 Mantovani F., Diritto penale – parte generale, op. cit.

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6. l’ammenda: consiste nel pagamento di una somma non inferiore a lire 4000 né superiore alire 2 000 000.

La multa e l’ammenda non devono essere confuse con il risarcimento dei danni a cui può es-sere condannato l’autore di un reato nello stesso processo penale, o in un autonomo processocivile. La differenza è che il risarcimento dei danni è dovuto alla parte lesa, la multa e l’ammendasono dovuti invece allo stato.

Pene accessorie nel nostro ordinamento sono quelle misure che possono seguire a una penaprincipale e possono essere irrogate solo in seguito a una sentenza che condanna a una dellepene sopra elencate.

Esse sono numerose, ai fini della presente trattazione citiamo solo le più attinenti:

– l’interdizione dai pubblici uffici: consiste nella privazione del condannato di ogni diritto poli-tico, di ogni pubblico ufficio o incarico, di ogni ufficio attinente alla tutela o alla cura, deglistipendi, pensioni, assegni a carico di enti pubblici (salvo che derivino da rapporti di lavoro osi tratti di pensioni di guerra);

– l’interdizione da una professione o arte: consiste nella perdita, temporanea, della capacità diesercitare una professione o arte;

– la sospensione dall’esercizio di una professione o arte.

LE QUALIFICHE DI PUBBLICO UFFICIALE, DI INCARICATO DI PUBBLICO SERVIZIO E DI ESERCENTE UN SERVIZIO DI PUBBLICA NECESSITÀ

La legge 26 aprile 1990, n. 86 e la successiva modifica operata dalla legge 7 febbraio 1992, n. 181hanno innovato la disciplina dei delitti dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio.

In primo luogo hanno modificato le stesse nozioni di pubblico ufficiale, di incaricato di pub-blico servizio e di esercente un servizio di pubblica necessità riportate agli articoli 357, 358 e 359del codice penale, che riportiamo integralmente con relativo commento.

Art. 357 – Nozione del pubblico ufficialeAgli effetti della legge penale sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legisla-tiva, giudiziaria o amministrativa.Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti au-toritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazioneo dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi.

CommentoTradizionalmente e storicamente, la dottrina e la giurisprudenza si sono divise sull’interpreta-zione della pubblica funzione – ma anche del pubblico servizio – tra il “criterio soggettivo” e il“criterio oggettivo”.

Secondo il criterio soggettivo, l’attribuzione della qualifica giuridica dipende dalla natura pub-blica o privata dell’ente nel cui ambito si trova ad agire la persona.21

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21 Cateni C., Deontologia e qualificazioni giuspenalistiche del medico, Colosseum, Roma, 1995, p. 14; vedi an-che Marini G., Criterio soggettivo e oggettivo nell’interpretazione degli articoli 357-358 c.p., Rivista italianadi diritto penale, 1959, 567 e ss.

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Secondo il criterio oggettivo, invece, l’attribuzione della qualifica giuridica dipende dalla fun-zione o dal servizio che il soggetto svolge indipendentemente dalla natura pubblica o privatadell’ente da cui il soggetto dipende.

L’auspicio interpretativo viene indirizzato nell’interpretazione del criterio oggettivo per noninquinare l’attività sanitaria da incombenze in realtà non dovute.22

Notiamo che mentre nel primo comma dell’art. 357 non si definiscono le funzioni elencate –legislativa, giudiziaria o amministrativa – nel secondo comma invece si dettaglia la funzione am-ministrativa che risulta “disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratte-rizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione odal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi”.

I criteri definitori della funzione pubblica menzionati nel codice sono da considerarsi non cu-mulativi “bensì alternativi”23 con la conseguenza che “a conferire natura di pubblica funzioneamministrativa è sufficiente la presenza di uno solo tra i criteri predetti”.

Tradizionalmente, in ambito sanitario, la qualificazione di pubblico ufficiale viene fatta risa-lire al medico in virtù del disposto del secondo comma dell’art. 357 sulla specificazione dei po-teri certificativi. In particolare il medico dirigente del servizio sanitario nazionale e convenzio-nato attraverso alcuni momenti certificativi realizza senza dubbio attività da pubblico ufficiale.

Tale qualificazione viene riconosciuta ad altre professioni sanitarie. Su una situazione spe-cifica è stata riconosciuta all’ostetrica – non in quanto redigente il certificato di assistenza alparto, considerato prodromico rispetto alla denuncia di nascita, ma in quanto “abilitata ad espri-mere la volontà dell’ente ospedaliero nella procedura di ammissione all’intervento di interru-zione volontaria di gravidanza, sia pure in ordine alle fasi preliminari di tale procedura e nell’am-bito delle attribuzioni tipicamente inerenti alla sua professione”24 e in casi che riguardano più ildolo professionale che la colpa anche in limitatissimi casi, come vedremo, anche all’infermiere.

Art. 358 – Nozione della persona incaricata di un pubblico servizioAgli effetti della legge penale sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, pre-stano un pubblico servizio. Per pubblico servizio deve intendersi un’attività disciplinata nelle stesse formedella pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest’ultima, e con esclusione,dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale.

CommentoAbbiamo visto come, a parte la funzione amministrativa, la nozione delle pubbliche funzioni nonsia descritta e indicata dal codice penale. Nella definizione di persona incaricata di un pubblicoservizio il codice diventa tautologico stabilendo che sono “incaricati di un pubblico servizio” co-

22 Vedi il commento di uno dei più autorevoli giuspenalisti del nostro tempo sulle conseguenze della lineaoggettiva di interpretazione: (si avrebbe, ndr) “la conseguente sottrazione della normale attività del medicoallo statuto penale della pubblica amministrazione, per ricondurla ai suoi più naturali settori dei reati di vio-lazione non del segreto d’ufficio, ma del segreto professionale (perseguibile a querela), di omissione non didenuncia, ma di referto (beneficiando egli dell’esimente sopra menzionata), con ripristino della par condi-cio tra i pazienti; di omissione non di atti d’ufficio ma di soccorso (se ed in quanto venga a trovarsi in pre-senza di un soggetto pericolante). Mantovani F., Presentazione del volume di Cateni C., Deontologia e qua-lificazioni giuspenalistiche del medico, op. cit.23 Fiandaca G., Musco E., Diritto penale – parte speciale, volume I, Zanichelli, 1997, p. 170.24 Cassazione penale, VI sez., sentenza del 18 settembre 1996, n. 8508.

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loro che “prestano un pubblico servizio” precisando che tale funzione deve essere intesa in viaresiduale in quanto pur svolgendosi con le stesse forme della pubblica funzione è caratterizzatadalla mancanza dei poteri tipici – per esempio il potere certificativo – ed escludendo “lo svolgi-mento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale”.

Tradizionalmente viene riconosciuto all’infermiere – come vedremo nell’analisi della giuri-sprudenza nel prossimo paragrafo – la qualifica giuridica di persona incaricata di un pubblico ser-vizio, anche se non sono mancati riconoscimenti anche della qualificazione di pubblico ufficiale.

Art. 359 – Persone esercenti di un servizio di pubblica necessitàAgli effetti della legge penale, sono persone che esercitano un servizio di pubblica necessità:

1. i privati che esercitano professioni forensi o sanitarie, o altre professioni il cui esercizio sia per legge vietatosenza una speciale abilitazione dello Stato, quando dell’opera di essi il pubblico sia per legge obbligato avalersi;

2. i privati che, non esercitando una pubblica funzione, né prestando un pubblico servizio, adempiono unservizio dichiarato di pubblica necessità mediante un atto della pubblica amministrazione.

CommentoLa categoria delle persone esercenti un servizio di pubblica necessità è da considerarsi di minoreimportanza sia per estensione che per qualità. Anche in questo caso non mancano difficoltà in-terpretative. È pacifico, per esempio, che l’inciso del primo comma che recita “quando dell’operadi essi il pubblico sia per legge obbligato a valersi” sia riferito ad altre professioni che a quelle sa-nitarie. Anche il secondo comma dell’art. 359 c.p. crea problemi di comprensione laddove si spe-cifica che sono esercenti un servizio di pubblica necessità coloro che “adempiono un servizio di-chiarato di pubblica necessità mediante un atto della pubblica amministrazione”. Tra pubblicafunzione e pubblica necessità si riscontra una differenza sostanziale: nella prima si verifica la vo-lontà della pubblica amministrazione, nella seconda attraverso le funzioni coessenziali alla pub-blica amministrazione e con atti propri. Quindi nella seconda la volontà si evince solo attraversodelle autorizzazioni.

Rientrano indubitabilmente in questa categoria gli esercenti le professioni sanitarie – medici,infermieri, tecnici – che esercitano la libera professione.

LA QUALIFICAZIONE GIURIDICA DELL’INFERMIERE: ANALISI DELLA CASISTICA GIURISPRUDENZIALE

Abbiamo già visto come la giurisprudenza tenda a riconoscere generalmente all’infermiere di-pendente o convenzionato con il servizio sanitario nazionale la qualifica di incaricato di pubblicoservizio.

Spesso la distinzione tra pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio si basa su delle sot-tili, talvolta impalpabili differenze. Prima di addentrarci nell’analisi della giurisprudenza non pos-siamo non concordare con chi ritiene “poco utile distinguere le circostanze in cui l’infermierepubblico dipendente sia pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio”25 in quanto le ipotesi

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25 Rodriguez D., Aprile A., Medicina legale per infermieri, Carocci, Roma, 2004, p. 46.

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di reato sono sostanzialmente analoghe tra le due categorie”.26 La sostanza ci suggerisce quindi,in realtà, di individuare la macro-categoria di pubblici ufficiali-incaricati di pubblico servizio con-giuntamente più che distinguere le due qualifiche separatamente. La disposizione codicistica peròimpone anche questa classificazione.

Veniva notato, in un recente passato, come le casistiche giurisprudenziali sulle qualificazionidel personale infermieristico fossero rare.27 Registriamo in questi ultimi anni invece un decisofiorire di pronunce che spesso hanno poco a che vedere con la classica responsabilità professio-nale, versandosi spesso in situazioni di dolo dovute alla posizione con reati riconosciuti come laviolenza sessuale, la concussione, il peculato. In queste recenti pronunce l’infermiere è stato ge-neralmente riconosciuto incaricato di pubblico servizio a volte senza particolari motivazioni,semplicemente dandolo per scontato.28 Altre volte la giurisprudenza ha cercato di motivare laqualificazione:

È ben chiaro che in tale contesto funzionale, in cui l’infermiere addetto alla camera obitoriale di un ospe-dale può essere chiamato ad espletare compiti implicanti cognizioni tecniche proprie della sua professioneinfermieristica (ad esempio cautele nella vestizione di persone decedute per malattie infettive o portatricidi tali infermità ovvero di cadaveri sottoposti ad autopsia), non è in alcun modo scindibile una attività pu-ramente materiale da quella, complessiva, che esprime l’interezza del servizio demandato all’infermiereobitoriale. Servizio senza incertezze interamente pubblico ed essenziale nell’adempimento degli obblighiderivanti dalle disposizioni di polizia mortuaria facenti capo a qualsiasi struttura ospedaliera. Basti pensare,tra l’altro, che il servizio di gestione di camera mortuaria cui è stato preposto il T. include la custodia stessadelle salme fino allo svolgimento della funzione funebre e presenta indubbie connotazioni di natura sani-taria ausiliaria (appunto infermieristica) con riferimento - se necessario - alla verifica delle salme per leprime 24 ore dopo il decesso nonché all’accertamento necroscopico preliminare rispetto all’inumazionedelle salme.

Cassazione penale, VI sez.,sentenza del 10 agosto 2009, n. 32369

Peraltro la qualificazione di incaricato di pubblico servizio viene riconosciuta generalmentea tutti gli operatori obitori stanti i loro compiti pubblicistici richiamati dal regolamento di poliziamortuaria:

Gli operatori obitoriali rivestono la qualifica di incaricati di pubblico servizio, in quanto le loro mansioninon si esauriscono in prestazioni meramente manuali o d’ordine, ma implicano conoscenze del regola-mento di polizia mortuaria che comportano un’attività di collaborazione, complemento e integrazionedelle funzioni pubbliche devolute alle competenti autorità sanitarie.

Cassazione penale,sentenza del 23 aprile 2008, n. 27933

Con riferimento a reati di natura sessuale compiuti da infermieri la giurisprudenza di legittimitàopera un riferimento anche alla dignità della figura pubblicistica di incaricato di pubblico servizioe precisa:

la responsabilità professionale: la responsabilità penale – Capitolo 6

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26 Papi L., Elementi di medicina legale per infermieristica, Edizioni Plus, Pisa, 2009, p. 19.27 Rodriguez D., Aprile A., Medicina legale per infermieri, op. cit., p. 47.28 Vedi Cassazione penale, IV sez., sentenza del 23 novembre 2010, n. 41357: “Premesse l’irrilevanza dellanatura dell’ente ospedaliero in relazione all’attuale formulazione dell’art. 314 c.p. e alla sicura qualità di in-caricato di pubblico servizio rivestita dall’imputato”; nello stesso senso Cassazione penale, VI sez., sentenzedel 21 gennaio 2010, n. 2547 e del 25 maggio 2004, n. 23961.

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Quindi con motivazione sufficiente e non contraddittoria la Corte d’appello ha ritenuto sussistente la con-dizione di avvilimento della figura di incaricato di pubblico servizio nell’esercizio delle proprie funzioni.

Cassazione penale, III sez.,sentenza del 16 gennaio 2007, n. 697

Sempre con riferimento al riconoscimento della figura di incaricato di pubblico servizio, que-sta volta in modo più articolato, ci spiega la giurisprudenza della Suprema corte:

L’infermiere, accanto a prestazioni di carattere meramente materiale, svolge anche mansioni di granderesponsabilità, connotate da sussidiarietà e complementarietà rispetto a quelle mediche ed egualmenteessenziali per il servizio reso alla collettività, che implicano inoltre una specifica preparazione e richie-dono un certo grado di autonomia.

Cassazione penale, VI sez., sentenza del 16 giugno 2007, n. 20767

Anche precedentemente, in una giurisprudenza più remota, la Cassazione si era pronunciatanello stesso senso anche prima delle riforme dell’esercizio professionale che hanno coinvolto laprofessione infermieristica:

All’infermiere va certamente riconosciuta la qualità di incaricato di pubblico servizio, poiché lo svolgi-mento del compito di assistenza diretta del malato, oltre a porre l’infermiere in legame “collaborativo”col medico, comporta una certa autonomia nell’adempimento delle proprie prestazioni professionali.

Cassazione penale, VI sez., sentenza del 26 marzo 1996, n. 2996

Per quanto riguarda invece le la qualificazioni da riconoscere alle figure subordinate e nella spe-cie all’infermiere generico, all’operatore tecnico addetto all’assistenza, all’ausiliario specializzatoaddetto ai servizi socio-sanitari e agli operatori socio-sanitari – per un approfondimento su questefigure vedi capitolo 4 – la dottrina ne aveva sempre escluso l’appartenenza alle qualifiche di inca-ricato di pubblico servizio in quanto rientrante nel disposto dell’ultimo comma dell’art. 358 c.p. cheesclude il riconoscimento di tale qualificazione per il mero svolgimento delle mansioni d’ordine emateriali.29

Registriamo una tendenza della giurisprudenza di merito e di legittimità all’ampliamento dellaqualificazione giuridica della persona esercente una pubblica funzione anche alle figure che oggicomunemente vengono chiamate “di supporto” in relazione alla natura delle mansioni in concretoloro affidate. Questo filone interpretativo è stato aperto dalla Corte di appello di Palermo che ha ri-conosciuto la qualificazione giuridica di persona esercente pubblica funzione all’ausiliario socio-sanitario specializzato in quanto è stato ritenuto non svolgere mansioni meramente esecutive:

ma anche attività suscettive di essere realizzate in settori particolarmente delicati con un certo marginedi autonomia quantomeno in relazione all’organizzazione dei servizi e, con particolare riferimento allaprogrammazione degli interventi assistenziali, addirittura con taluni poteri di iniziativa.

Corte di Appello di Palermo,sentenza del 7 maggio 1992

Capitolo 6 – la responsabilità professionale: la responsabilità penale

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29 Gennari M., Sartori T., La nuova disciplina relativa ai delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica am-ministrazione: riflessi sulle professioni sanitarie, Rivista italiana di medicina legale, XV, 1993, p. 12.; PagliaroA., Principi di diritto penale – parte speciale. Delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, Giuf-frè, Milano, 2000.

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Ci siamo chiesti, nelle precedenti edizioni di questo manuale, quale potesse essere il marginedi autonomia di un ausiliario socio-sanitario specializzato e da quale atto normativo il giudicepalermitano avesse evinto, in capo agli ausiliari socio-sanitari, l’attività di “programmazione de-gli interventi assistenziali”.

Successivamente però la giurisprudenza di legittimità è andata nella stessa direzione ope-rando spesso, come vedremo, una certa confusione tra infermieri e figure di supporto. Il ricono-scimento per la qualifica di incaricato di pubblico servizio è stata quindi operata agli ausiliari so-cio-sanitari:

Integra gli estremi del delitto la condotta dell’ausiliario socio-sanitario dell’ASL - addetto a svolgere ilproprio servizio pubblico di infermiere di sala operatoria di un ospedale - che si appropri di alcune sirin-ghe monouso, rientranti nella dotazione del reparto presso cui lavora ed alla quale abbia libero accesso,in ragione del ruolo rivestito, a prescindere dalla responsabilità della formale custodia del materiale sa-nitario, di competenza del capo sala.

Cassazione penale, VI sez.,sentenza del 10 aprile 2001, n. 27850

All’epoca del fatto, rivestiva la qualifica di ausiliario specializzato addetto ai servizi socio-sanitari pressola ASL n. 3 di Torino e, di fatto, prestava la propria attività di infermiere specializzato addetto alle saleoperatorie, con l’effetto che non può essere messa in dubbio la sua qualità di incaricato di pubblico ser-vizio.Proprio in ragione di tale qualità, aveva la disponibilità del materiale sottratto, che rientrava nella dota-zione del reparto presso cui lavorava, dotazione alla quale egli poteva, in virtù del ruolo rivestito, libe-ramente accedere, a prescindere dalla responsabilità formale della custodia, che faceva capo a [...]. Ilpossesso qualificato dalla ragione di servizio, infatti, non è solo quello che rientra nella specifica com-petenza funzionale dell’incaricato del pubblico servizio; la ragione di servizio ha come unico riferimentoun rapporto fondato, oltre che sulle norme regolamentari, anche sulla prassi o su consuetudini invalsein un determinato ufficio, in forza delle quali al soggetto agente è consentito, di fatto, di inserirsi nel ma-neggio o nella disponibilità materiale della cosa, cogliendo l’occasione offertagli dal pubblico servizioesercitato.L’essersi, quindi, l’imputato appropriato del materiale di cui aveva la disponibilità per ragione del servi-zio svolto integra il reato contestatogli.

Cassazione penale, VI sez., sentenza dell’11 settembre 2001, n. 27850

A maggior ragione viene riconosciuta tale qualificazione agli operatori tecnici addetti all’as-sistenza e agli operatori socio-sanitari:

Il profilo professionale dell’imputata è, infatti, proprio quello di “operatore tecnico addetto all’assistenza”,nella cui posizione funzionale è previsto che non si occupi soltanto di “attività alberghiera”, come so-stenuto nel ricorso, ma abbia un rapporto diretto e personale con il malato, dal momento che deve col-laborare con l’infermiere all’igiene personale del paziente, al suo posizionamento e al mantenimentodelle posizioni terapeutiche, deve inoltre provvedere all’accudimento del malato, comunicando all’in-fermiere quanto accaduto durante il suo lavoro e che abbia incidenza sull’assistito.Si tratta di mansioni che non possono essere considerate meramente esecutive o d’ordine, in quantostrettamente inerenti all’assolvimento del servizio sanitario nei confronti del paziente, sebbene in strettacollaborazione con il personale infermieristico.

Cassazione penale, VI sez.,sentenza del 23 settembre 2010, 34359

Ad avviso del Collegio, correttamente la Corte di merito ha riconosciuto la qualità di incaricato di pubblicoservizio anche alla imputata, sia perché le prestazioni della stessa svolte quale operatore tecnico addetto

la responsabilità professionale: la responsabilità penale – Capitolo 6

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all’assistenza (fra l’altro, aiuto al malato nel cambio della biancheria, nel pasto e nelle operazioni fisiolo-giche comportano un rapporto diretto e personale col malato), sia perché, come emerge dal contenutodella telefonata intercorsa tra la imputata e il [...], la [...] svolgeva una assistenza assidua alla malata, sìche di fatto l’attività dalla stessa svolta va oltre le semplici mansioni d’ordine e l’opera meramente mate-riale, richieste dal disposto dell’art. 358 c.p. per escludere la qualità di incaricato di pubblico servizio.

Cassazione penale, VI sez.,sentenza dell’11 dicembre 1995, n. 2996

La questione sulla qualificazione giuridica da dare, agli “effetti della legge penale”, al dipen-dente o convenzionato con il Servizio sanitario nazionale come incaricato di pubblico servizio ocome pubblico ufficiale (in questo caso li trattiamo congiuntamente) può, nella responsabilitàprofessionale dolosa, portare al compimento di specifici reati riconosciuti alle qualifiche penali-stiche in questione, come il rifiuto di atti d’ufficio ex art. 328 c.p., la rivelazione del segreto d’uf-ficio ex art. 326 c.p., la falsità ideologica in atti pubblici ex art. 479 c.p. e l’omissione di denunciaex art. 361 c.p.

In realtà la casistica analizzata ci pone davanti a reati, come abbiamo visto, come la violenzasessuale, il peculato, la corruzione, la concussione veramente poco commendevoli per un pro-fessionista sanitario. L’unica differenza sostanziale che si può individuare tra l’essere pubblicoufficiale e incaricato di pubblico servizio la rinveniamo nella rinnovata tutela apprestata dall’or-dinamento giuridico alla figura del pubblico ufficiale e alla reintroduzione del reato di oltraggio.Nel giro di pochi anni il legislatore dapprima depenalizza il reato di oltraggio30 – l’offesa – a pub-blico ufficiale e successivamente lo reintroduce.

L’attuale art. 341 bis31 del codice penale recita testualmente:

Art. 341 bis – Oltraggio a pubblico ufficialeChiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l’onore ed il prestigiodi un pubblico ufficiale mentre compie un atto d’ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni è punitocon la reclusione fino a tre anni.La pena è aumentata se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato. Se la verità del fatto è pro-vata o se per esso l’ufficiale a cui il fatto è attribuito è condannato dopo l’attribuzione del fatto medesimo, l’au-tore dell’offesa non è punibile.Ove l’imputato, prima del giudizio, abbia riparato interamente il danno, mediante risarcimento di esso sia neiconfronti della persona offesa sia nei confronti dell’ente di appartenenza della medesima, il reato è estinto.

Capitolo 6 – la responsabilità professionale: la responsabilità penale

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30 Il reato di oltraggio a pubblico ufficiale è stato abrogato, nella formulazione originaria, dall’art. 18 dellalegge 25 giugno 1999, n. 205 “Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche al si-stema penale e tributario. Riportiamo per esteso l’articolo abrogato.Art. 341 codice penale – Oltraggio a un pubblico ufficiale Chiunque offende l’onore o il prestigio di un pubblico ufficiale, in presenza di lui e a causa o nell’eserciziodelle sue funzioni, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni.La stessa pena si applica a chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o conscritto o disegno, diretti al pubblico ufficiale, e a causa delle sue funzioni.La pena è della reclusione da uno a tre anni, se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato. Lepene sono aumentate quando il fatto è commesso con violenza o minaccia, ovvero quando l’offesa è recatain presenza di una o più persone.31 Articolo reintrodotto dall’art. 1, comma 8, della legge 15 luglio 2009, n. 94 “Disposizioni in materia di si-curezza pubblica”.

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Rispetto al passato vi sono alcune differenze. Il fatto deve avvenire “in luogo pubblico o apertoal pubblico e in presenza di più persone” mentre nella passata versione era sufficiente che av-venisse “in presenza di lui”. L’ultimo comma dell’art. 341 bis prevede una veramente particolarecausa di estinzione dal reato laddove stabilisce che “ove l’imputato, prima del giudizio, abbia ri-parato interamente il danno, mediante risarcimento di esso sia nei confronti della persona offesasia nei confronti dell’ente di appartenenza della medesima, il reato è estinto”. Il risarcimento eco-nomico del danno estingue quindi il reato. Sarà curioso quindi vedere quali “tariffe” verranno po-ste per le varie tipologie di pubblici ufficiali e per particolari enti o aziende pubbliche per poterestinguere il reato.

È infine prevista dall’art. 393 bis come causa di non punibilità del reato di oltraggio “quandoil pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio ovvero il pubblico impiegato abbia datocausa al fatto preveduto negli stessi articoli, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attri-buzioni”.32

Avevamo preannunciato che, vista la sostanziale sovrapponibilità tra le conseguenze di ri-vestire la qualifica di pubblico ufficiale e quella di incaricato di pubblico servizio, in questo casola differenze vi sono. La tutela apprestata verso le offese a un pubblico ufficiale non è apprestataper gli incaricati di pubblico servizio visto che non è stata reintrodotta la fattispecie dell’oltrag-gio a un “pubblico impiegato” prevista dalla previgente normazione codicistica all’art. 344 del co-dice penale.33 Rimangono invece in vigore altre tutele apprestate a entrambe le categorie: la vio-lenza e la minaccia al pubblico ufficiale34 e la resistenza al pubblico ufficiale.35

Da un punto di vista concettuale sembra di poter indicare come corretta la qualificazionedell’infermiere come incaricato di pubblico servizio. Il limite insuperabile, dato dalla norma delcodice penale, all’interno della descrizione dell’attività amministrativa, è relativo ai poteri certi-ficativi che non sono nella disponibilità dell’infermiere. Si può concordare con la dottrina lad-dove si possa riconoscere in casi particolari la qualifica di pubblico ufficiale in capo all’infermiereper particolari situazioni. Il pensiero può essere stabilito in determinate modalità di organizza-zione dei servizi pubblici sanitari. A titolo esemplificativo le modalità di organizzazione dei ser-vizi di pronto soccorso che attribuiscono all’infermiere compiti precisi nell’innovativa metodica

la responsabilità professionale: la responsabilità penale – Capitolo 6

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32 Articolo aggiunto dal comma 9 dell’art. 1, legge 15 luglio 2009, n. 94.33 La legge 205/1999 ha abrogato l’articolo del codice penale relativo all’oltraggio al pubblico impiegato. Ar-ticolo che richiamava la fattispecie dell’oltraggio a pubblico ufficiale con pene ridotte. Il reato non è stato rein-trodotto a differenza del reato di oltraggio a pubblico ufficiale. Riportiamo testualmente l’articolo 344 abrogato: Art. 344 c.p. – Oltraggio a un pubblico impiegatoLe disposizioni dell’articolo 341 si applicano anche nel caso in cui l’offesa è recata a un pubblico impiegatoche presti un pubblico servizio ma le pene sono ridotte di un terzo.34 Art. 336 c.p. – Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale Chiunque usa violenza o minaccia a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, per co-stringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri, o ad omettere un atto dell’ufficio o del servizio, è punito conla reclusione da sei mesi a cinque anni.La pena è della reclusione fino a tre anni, se il fatto è commesso per costringere alcuna delle persone anzidettea compiere un atto del proprio ufficio o servizio, o per influire, comunque, su di essa.35 Art. 337 c.p. – Resistenza a un pubblico ufficialeChiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico ser-vizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza, è pu-nito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.

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organizzativa di risoluzione delle urgenze minori denominata “See and Treat”36 laddove preveda,a regime, la dimissione del paziente da parte dell’infermiere. In questi casi, in effetti, l’infermiereviene posto da precisi protocolli a rappresentare la volontà della pubblica amministrazione conil riconoscimento in capo alla sua figura di precisi atti amministrativi a valenza sanitaria.

In conclusione non si può non auspicare, con le parole di uno dei più autorevoli e illuminatigiuspenalisti del nostro tempo, che le qualifiche di pubblici ufficiali e di incaricati di pubblico ser-vizio dovrebbero essere riservate a peculiari e specifiche attività sanitarie svolte da medici e in-fermieri per sottrarre – con una certa ragione – gli stessi allo statuto penale della pubblica am-ministrazione e ponendo problemi discriminatori tra pazienti trattati dal Servizio sanitario na-zionale o da strutture accreditate e da liberi professionisti. Come conseguenza si ricondurrebbequindi l’attività sanitaria ai suoi più naturali settori dei reati di violazione non del segreto d’uffi-cio, ma del segreto professionale (perseguibile a querela), non di omissione di denuncia, ma diomissione di referto (beneficiando egli dell’esimente sopra menzionata), con ripristino della parcondicio tra i pazienti; di omissione non di atti d’ufficio ma di soccorso (se e in quanto venga atrovarsi in presenza di un soggetto pericolante).37

LA POSIZIONE DI GARANZIA

Nei comportamenti omissivi si possono fondare importanti ipotesi di responsabilità che sonostate, in particolare, elaborate e costruite dalla dottrina giuridica e dalla giurisprudenza nell’in-terpretazione del secondo comma dell’art. 40 del codice penale che recita testualmente:

Art. 40 c.p.Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso,da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione.Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo.

Il primo comma determina il cosiddetto nesso di causalità tra la condotta e l’evento, il se-condo comma determina invece l’equivalenza tra la non l’azione e l’omissione ai fini della con-figurabilità del reato omissivo.

Affinché la causazione dell’evento e il mancato impedimento dell’evento risultino penalmenteequivalenti non basta accertare il nesso di causalità ipotetica. È necessario che vi sia la viola-zione di un obbligo giuridico di impedire l’evento.

La ricostruzione e l’individuazione dell’obbligo di impedire l’evento è compito difficile. L’at-tuale diritto penale contemporaneo si colloca in una sfera di solidarietà sconosciuta fino a po-chissimi secoli orsono.

Ai fini della individuazione degli obblighi giuridici di impedire un evento sono state elaborate,nel tempo, tre concezioni:38

Capitolo 6 – la responsabilità professionale: la responsabilità penale

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36 Vedi cap. 8.37 Mantovani F., Presentazione del volume di Cateni C., Deontologia e qualificazioni giuspenalistiche del me-dico, op. cit.38 Mantovani F., L’obbligo di garanzia ricostruito alla luce dei principi di legalità, di solidarietà, di libertà edi responsabilità, in Mantovani F., Umanità e razionalità del diritto penale, Cedam, 2008, pp. 412-425; Fian-daca G., Musco E., Diritto penale – parte generale, op. cit., pp. 545-559.

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1. la concezione formalistica;2. la concezione sostanzialistica;3. la concezione mista formale-sostanziale.

Secondo la concezione formalistica il riconoscimento della responsabilità omissiva esigel’espressa previsione dell’obbligo di agire da parte di “fonti giuridiche formali” che sono indivi-duate dalla legge, dal contratto e dalla consuetudine. Solo quindi ciò che è scritto in tali fontidetermina l’obbligo giuridico di agire. Il punto forte di questa teoria consiste nell’assoluto ri-spetto dei principi di legalità che devono sovraintendere al diritto penale,39 mentre i punti de-boli sono la non garanzia di determinati soggetti in carenza di fonti formali.

Secondo la concezione sostanzialistica invece la responsabilità per omesso impedimento èinsita nell’esigenza solidaristica della tutela rafforzata di beni giuridici rilevanti per incapacitàdei titolari di proteggere tali beni. Secondo questa concezione si realizzano “di fatto” degli spe-ciali vincoli di tutela tra il soggetto e il suo garante. Tipico esempio viene determinato dalla presain carico di un soggetto debole (per esempio, un paziente). Anche in questi casi vi sono dei puntideboli – la carente tassatività – e dei punti forti a favore di questa teoria.

La concezione mista formale-sostanziale si pone come sintesi tra le due concezioni sopra espo-ste ed è oggi prevalente nella dottrina e nella giurisprudenza italiana.

Al fine di evitare eccessive incertezze e/o dilatazione degli obblighi che ne possono deri-vare sono stati proposti altri criteri per l’individuazione degli obblighi con particolare riferimentoai principi di solidarietà – e quindi rivolti solo a coloro che sono incapaci di una adeguata auto-tutela – e di libertà – con la conseguenza che il reato omissivo per mancato impedimento di unreato è un reato non comune, ma un reato proprio di alcune categorie di soggetti.

In sintesi l’obbligo di garanzia può essere definito come “l’obbligo giuridico che grava suspecifiche categorie di soggetti previamente forniti degli adeguati poteri giuridici, di impedireeventi offensivi di beni altrui, affidati alla loro tutela per l’incapacità dei titolari di adeguata-mente proteggerli”. In questi casi si equipara il non impedire al causare al fine di riequilibrareuna situazione di svantaggio.

Le posizioni di garanzia possono essere inquadrate nei due tipi fondamentali della posizionedi protezione e della posizione di controllo.

La posizione di protezione ha per scopo di preservare “determinati beni giuridici” da tuttii pericoli che possono minacciarne l’integrità (per esempio, i genitori nei confronti dei pericoliverso i figli minori).

La posizione di controllo ha lo scopo di neutralizzare le fonti di pericolo in modo da ga-rantire l’integrità di tutti i beni giuridici che possono risultare minacciati.

Il personale sanitario può per le persone che prende in carico averli entrambi. La prima perpreservarne la salute, la seconda per evitare la minaccia alla salute.

I professionisti sanitari quindi – soprattutto per la concezione sostanzialistica – hanno pre-cisi obblighi di protezione e controllo (e di conseguenza una piena posizione di garanzia) unavolta che hanno “preso in carico” il paziente indipendentemente dalle sottili distinzioni di com-petenze che possono essere ricondotte all’organizzazione interna o da un mera interpretazioneletterale dei loro compiti.

la responsabilità professionale: la responsabilità penale – Capitolo 6

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39 La dottrina giuridica aveva individuato nel c.d. “trifoglio” la triplice fonte giuridica che sanciva l’obbligodell’attivazione: la legge, il contratto e la precedente azione pericolosa.

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La giurisprudenza – di merito e di legittimità – negli ultimi anni ha fatto diverse volte riferi-mento alla posizione di garanzia per affermare la responsabilità dei professionisti sanitari.La prima sentenza della Cassazione che ha riconosciuto la posizione di garanzia per l’operatoomissivo della professione infermieristica riguarda un caso accaduto al pronto soccorso di unospedale di Bari relativo a un paziente caduto mentre scendeva da un treno e che, dopo untrauma cerebrale non riconosciuto al pronto soccorso, era stato scambiato per un ubriaco. Ilmedico di pronto soccorso – assolto per il principio dell’affidamento – aveva, senza visitare ilpaziente, impartito una disposizione agli infermieri presenti di chiamare un internista per la re-lativa visita. Gli infermieri non chiamano l’internista e il paziente peggiora. Nel riconoscimentodella responsabilità la cassazione ha attribuito agli infermieri una posizione di garanzia e pro-tezione con la seguente massima:

È da riconoscere, invero, che gli operatori, medici o paramedici, di una struttura sanitaria sono tutti, exlege, portatori di una posizione di garanzia nei confronti dei pazienti affidati, a diversi livelli, alle lorocure o attenzioni, e, in particolare, sono portatori della posizione di garanzia che va sotto il nome di po-sizione di protezione, la quale, come è noto è contrassegnata dal dovere giuridico incombente al sog-getto, di provvedere alla tutela di un certo bene giuridico contro qualsivoglia pericolo atto a minacciarnel’integrità.Dal che discende che, in un pronto soccorso, ma il discorso vale anche per ambiti sanitari diversi dalpronto soccorso, l’infermiere, cui sia stato impartito un ordine o che, prestando la propria opera, in uncerto momento, in una determinata unità operativa, venga a sapere che, in quel momento, il dirigentedell’unità, il dott. T., ha impartito un determinato ordine dalla cui esecuzione dipende l’intervento di unsanitario a favore di un paziente, assume, per quanto riguarda l’esecuzione di quell’ordine e, quindi, leconseguenze che la non esecuzione o la non tempestiva esecuzione di quell’ordine possono determi-nare, la posizione di protezione, che non può essere legittimamente trasferita ad altri quando l’ordinesia tale da non richiedere più di qualche secondo per poter essere eseguito e, dunque, perché l’infer-miere che lo ha ricevuto, lo realizzi nel contesto del proprio orario di servizio.

Cassazione penale, VI sez., sentenza del 2 marzo 2000, n. 9638

Sul punto la difesa degli infermieri si è basata sulla fine imminente del proprio turno di la-voro e sulle conseguenti consegne al turno successivo laddove era del tutto sufficiente citofo-nare al medico internista.

La posizione di garanzia è quindi riconosciuta dalla Corte con la concezione che abbiamovisto essere più sostanziale che mista formale-sostanziale. Si motiva la posizione di garanzia,nella sottospecie di posizione di protezione precisando che tali posizioni costituiscono:

Inequivoche espressioni di solidarietà, hanno oggi, un indubbio retroterra, un innegabile punto di rife-rimento, in quella norma, art. 2, della Carta Costituzionale, che, ispirandosi, come da tutti riconosciutoin dottrina, al principio personalistico o del rispetto della persona umana nella sua totalità, esige nel ri-conoscere i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo, sia nelle formazioni sociali in cui si svolge lasua personalità, l’adempimento dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale; norma che co-stituisce una indubbia chiave di lettura di tante altre norme tra le quali quella dell’art. 32 della stessaCarta, che esalta, come è noto, il diritto alla salute e, quindi, alla integrità psico-fisica e che ha condi-zionato e condiziona, tra l’altro, la legislazione antinfortunistica e la stessa legislazione sanitaria, ovesi consideri che il primo comma dell’art. 1 della L. 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del Servizio Sa-nitario Nazionale, altro non è che la testuale ripetizione del primo comma dell’art. 32 della Costituzione.Se la posizione di garanzia è espressione di solidarietà costituzionalmente riconosciuta, è innegabileche gli operatori sanitari debbano questa solidarietà, la loro posizione di protezione, per l’intero tempodel loro turno di lavoro, con la conseguenza che non possono trasferire ai colleghi i compiti ad essi af-

Capitolo 6 – la responsabilità professionale: la responsabilità penale

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fidati, qualora li possano svolgere agevolmente nel loro turno, contribuendo, così, con quella esecuzione,alla tempestività degli interventi e ad evitare di caricare di compiti coloro che, nel momento in cui suc-cedono nel turno, assumeranno la loro posizione di garanzia con pari e, magari, più gravosi compiti dasvolgere.

La suprema corte non interviene dettagliando le fonti di riferimento di abilitazione all’eserci-zio professionale dell’infermiere – all’epoca del fatto di carattere mansionariale – ma rimane altasulla fonti generali di riferimento come la Costituzione e la legge istitutiva del Servizio sanitarionazionale.

Il secondo riconoscimento giurisprudenziale della Suprema Corte sulla posizione di garanziain capo agli infermieri proviene sempre per un fatto accaduto a Bari relativo a due infermiere chenon avevano provveduto a controllare i parametri vitali di un paziente ricoverato a seguito di ustionidi primo e secondo grado e sottoposto a due interventi chirurgici e ad allertare il medico, limitan-dosi a fornire coperte in seguito a una ipertermia e a formulare frasi tranquillizzanti ai parenti.

Nella massima della sentenza – che riconferma la prima sentenza della Cassazione sulla po-sizione di garanzia – si legge:

Certo è che il S [...] è morto perché non solo ‘non tempestivamente, ma mai’ durante l’intero arco dellanotte (quasi dodici ore dal suo rientro in reparto dopo l’intervento chirurgico, e fino al momento in cui lesue condizioni fisiche sono irrimediabilmente precipitate) costoro raccolsero, come era loro preciso do-vere, le preoccupazioni reiteratamente e in maniera allarmata prospettate dalla moglie del paziente edall’infermiera, amica di famiglia, che insieme a costei trascorse quelle ore attendendo inutilmente chequalcuno comprendesse ciò che a loro appariva, e non vi era certo necessità di specifica competenza, ilgravissimo evolversi della situazione.La Corte ha sottolineato, attraverso il riferimento alle parole “tranquillanti” di costoro (innanzi alla espo-sizione dei sintomi su cui è inutile tornare, tanto essi sono chiari anche al di là di qualunque più ele-mentare nozione di esperienza medica o paramedica) quale sia stata la condizione di totale assenza diqualsiasi apporto venuto da detto personale, se non l’aver fornito otto coperte per far fronte alla crisi ipo-termica di una persona, il S [...] che si stava totalmente dissanguando e disidratando. Nemmeno hannoavvertito lo scrupolo di chiamare il dottor G. che intanto stazionava nella propria stanza, secondo con-tratto.

Cassazione penale, IV sez., sentenza dell’11 marzo 2005, n. 9739

La posizione di garanzia viene riconosciuta non soltanto per il reato di omicidio colposo.Per il reato di abbandono di minori e incapaci è stata riconosciuta responsabile un’infermiera

di una casa di riposo che ha lasciato da sola una paziente durante l’effettuazione di un bagnocausandone la morte per ustione a causa dell’acqua bollente. Le sono stati contestati diversi pro-fili di responsabilità proprio per aver lasciato da sola la paziente anche per pochi minuti, ma inparticolare avere lasciato da sola la paziente perché l’infermiera aveva su di lei “una posizionedi garanzia”.

La donna va via nella consapevolezza che D. non avrebbe potuto fare nulla (alzarsi, chiudere l’acqua,urlare etc.) perché le è noto che è handicappata. Se poi fosse vero, fatto che non è provato sussistesse inallora e che è stato escluso successivamente dalla consulenza S., che l’impianto idrico soffrisse di sbalzidi temperatura, si profilerebbe come già accennato una responsabilità ancor più grave perché non è pos-sibile ipotizzare che la P., che normalmente fa il bagno ai pazienti e già due ne aveva fatti quella mat-tina, non lo sapesse, non ne avesse avuto esperienza diretta.La donna va via nella consapevolezza che le proviene dalle cartelle cliniche che D. necessitava di aiutocostante e in questo contesto - perché all’evidenza era stanca perché aveva già fatto la notte e due ba-

la responsabilità professionale: la responsabilità penale – Capitolo 6

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gni ai pazienti - quella stessa mattina va a prendersi il caffè dopo aver male impostato la temperaturadell’acqua (ma anche se la temperatura fosse stata pre-impostata ovvero fossero intervenuti sbalzi, lavalutazione in punto responsabilità non cambia ovvero si aggrava): la sua è una posizione di garanziache non ammetteva la possibilità di lasciar D., lo ha lasciato solo nella vasca, va via e quando torna suil danno irreparibile è fatto. Ci informa il dottor C., consulente della P., che con guanti di lattice indossosi può percepire fino a 10 gradi in meno di temperatura etc. etc. Ma è sufficiente osservare che i guantidi lattice servono per lavare e buona pratica vuole che l’infermiere che deve provvedere al bagno dell’han-dicappato prima saggi com’è la temperatura dell’acqua e poi se mai indossi i guanti. Né va dimenticatoche nessuno dichiara che la P. utilizzasse (che fosse stata vista lei indossarli, che fossero stati visti in ba-gno etc.) in quel frangente i guanti di lattice.È dunque integrato in ogni suo elemento oggettivo e soggettivo il delitto di cui sub 2 (l’abbandono di in-capace aggravato dall’evento) nonché quello sub 1 (l’omicidio colposo), concorrenti tra loro perché dioggetto giuridico diverso ed in concorso formale. Possono essere concesse le attenuanti generiche perl’incensuratezza e le condizioni di stress psico-fisico in cui versava l’imputata al momento del fatto reato.

Tribunale di Genova, 26 settembre 2006

L’infermiere come “garante” dell’incolumità del paziente che non è in grado di provvederealla sua incolumità. L’obbligo di garanzia si può talvolta trasmettere – esempio un infermiere chelascia in carico a un suo collega dei pazienti – talvolta no, come il caso del paziente complessola cui titolarità della posizione di garanzia non può essere completamente trasmessa a un me-dico di guardia.

Infine l’obbligo di garanzia non deve essere confuso con l’obbligo di attivarsi tipico dell’omis-sione di soccorso. Le differenze sono sostanziali: l’obbligo di garanzia grava in capo a determi-nati soggetti, è un reato proprio, mentre l’obbligo di attivarsi insorge nel momento in cui ven-gono in essere determinati presupposti ed è commissibile da “chiunque”.

Sussiste pertanto il nesso di causalità tra le condotte omissive dell’infermiere A., che non ha provvedutoad avvertire per tempo il medico circa le condizioni del piccolo C.A., e del dott. S. che, sebbene dovessesorvegliare la sala degenze, non aveva fatto neppure una breve visita di controllo al piccolo. Si osserva, atal proposito, che il rapporto di causalità costituisce un criterio di imputazione oggettiva di un evento allacondotta di un soggetto; solo se l’evento può essere ritenuto ricollegabile alla condotta, l’agente potrà es-sere tenuto a risponderne, sempre che concorrano i criteri di imputabilità soggettiva. Peraltro, nella ipo-tesi di causalità omissiva, il decorso degli avvenimenti non è, nella realtà fenomenica, influenzato dall’azione(che non esiste) di un soggetto; per cui la causalità omissiva si configura come una costruzione giuridica(art. 40 c.p., comma 2, che, non a caso, usa la locuzione “equivale”: non impedire equivale a cagionare),che consente di ricostruire l’imputabilità oggettiva come violazione di un obbligo di agire, di impedire ilverificarsi dell’evento (in violazione del cosiddetto obbligo di garanzia); omissione che provoca l’eventodi pericolo o di danno (reati omissivi impropri o commissivi mediante omissione); contrapposti ai reatiomissivi propri nei quali il reato si perfeziona con la mera omissione della condotta dovuta.Nei reati omissivi impropri, quindi, la causalità, proprio per essere giustificata in base ad una ricostru-zione logica e non in base ad una concatenazione di fatti materiali esistenti nella realtà ed empiricamenteverificabili, costituisce una causalità costruita su ipotesi e non già su certezze. Si tratta quindi di una cau-salità ipotetica, normativa, fondata, come quella commissiva su di un giudizio contro fattuale (“contro ifatti”: se l’intervento omesso fosse stato adottato, si sarebbe evitato il prodursi dell’evento?) alla quale sifa ricorso per ricostruire una sequenza che, però, a differenza della causalità commissiva, non potrà maiavere una verifica fenomenica.

Cassazione penale, IV sez., sentenza del 27 settembre 2010, n. 34845

La posizione di garanzia riconosciuta all’infermiere costituisce senza dubbio un filone giuri-sprudenziale ormai consolidato e confermato dalla più recente giurisprudenza in modo sempre

Capitolo 6 – la responsabilità professionale: la responsabilità penale

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più netto. Annullando una sentenza di assoluzione di due infermieri – motivata per la mancanzadi posizione di garanzia degli infermieri nei confronti del paziente – per un caso di omicidio col-poso del Tribunale di Trani la Suprema corte ha statuito:

Del tutto improponibile giuridicamente, poi, è l’assunto del giudicante teso ad escludere la sussistenzadi una posizione di garanzia degli infermieri, che, oltre ad essere affermazione apodittica, fraintende com-pletamente i principi applicabili nella subiecta materia. È vero proprio il contrario, e cioè che, rientra nelproprium (non solo del sanitario, ma anche) dell’infermiere quello di controllare il decorso della conva-lescenza del paziente ricoverato in reparto, si da poter porre le condizioni, in caso di dubbio, di un tem-pestivo intervento del medico. Il ragionamento del giudicante, a tacer d’altro, finisce con il mortificare lecompetenze professionali di tale soggetto, che, invece, svolge un compito cautelare essenziale della sal-vaguardia della salute del paziente, essendo, come detto, l’infermiere onerato di vigilare sul decorso post-operatorio, proprio ai fini di consentire, nel caso, l’intervento medico.

Il Tribunale di Trani aveva motivato la mancanza della posizione di garanzia in capo agli in-fermieri in quanto non vi era obbligo per gli stessi di “valutare e percepire le sintomatologie deipazienti” e, in quanto “ausiliari del personale medico” si deve escludere che “abbiano autonomiavalutativa in ordine alla verifica della compatibilità del quadro clinico del paziente con l’inter-vento e le cure dei medici”. La Cassazione respinge il ragionamento del tribunale pugliese e spe-cifica:

È evidente ancora l’equivoco del giudicante quando si sofferma sull’autonomia valutativa dell’infermiere,rispetto al sanitario, che dimostra, a fortiori, l’errore concettuale di giudizio: non è infatti in discussione(né lo potrebbe essere) una comparazione tra gli spazi valutativi e decisionali dell’infermiere rispetto almedico, ma solo l’obbligo per l’infermiere anche solo in caso di dubbio ragionevole, di chiamare il me-dico di turno, cui compete la decisione ultima.

Cassazione penale, IV sez.,sentenza del 20 giugno 2011, n. 24573

la responsabilità professionale: la responsabilità penale – Capitolo 6

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Capitolo

I PRINCIPALI REATI A CARICO DELL’INFERMIERE

L’infermiere nell’ambito della sua attività si tro va esposto al rischio di numerosi reati.L’elencazione che segue in questo capitolo si basa su criteri di importanza e di frequenza dei

fatti costituenti reato che riguardano la professione infermieristica nel suo insieme.L’analisi dei reati in particolari situazioni operative verrà approfondita nel capitolo 15. Qui

vengono trattati i seguenti reati:

1. l’esercizio abusivo di professione;2. la somministrazione e detenzione di me dicinali guasti o imperfetti;3. la rivelazione del segreto professionale;4. la rivelazione del segreto d’ufficio;5. l’omissione di soccorso;6. il rifiuto di atti d’ufficio;7. l’omissione di referto;8. le lesioni personali e l’omicidio colposo;9. il sequestro di persona;

10. la violenza privata;11. l’abbandono di persone minori e incapaci;12. l’interruzione di un pubblico servizio;13. la violenza sessuale.

L’ESERCIZIO ABUSIVO DELLA PROFESSIONE

Profili generaliÈ un reato previsto dall’art. 348 c.p. che testualmente recita:

Chiunque abusivamente esercita una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione da partedello stato, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da lire 200000 a un milione.

La norma in questione intende tutelare “l’interesse generale a che determinate professioni,in ragione della loro peculiarità e della competenza richiesta per il loro esercizio, siano svolte

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solo da chi sia provvisto di standard professionali accertati da una speciale abilitazione rila sciatadallo stato”.1

L’abilitazione rilasciata dallo stato costituisce il requisito oggettivo di competenza e capacitàper effettuare determinate attività.L’articolo 348 c.p. è una “norma penale in bianco” che presuppone e rimanda ad altre dispo-

sizioni che determinano le condizioni oggettive e soggettive in difetto delle quali non è consen-tito, ed è quindi abusivo, l’esercizio dell’attività protetta.2

Infatti “è irrilevante lo scopo di lucro e, in genere, qualsiasi movente di carattere privato o dibeneficenza. Allo stesso modo non esclude il reato la gratuità della prestazione professionale eneppure il consenso del destinatario della prestazione abusiva, in quanto l’interesse leso, essendodi carattere pubblico, resta indisponibile”.3

Inoltre ai fini “della sussistenza del delitto di esercizio abusivo di una professione, non è neces-sario il compimento di una serie di atti riservati a una professione per la quale sia richiesta una spe-ciale abilitazione, ma è sufficiente anche il compimento di un’isolata prestazione professionale”.4

Essendo atti posti alla tutela interesse pubblico non sono possibili atti derogatori da parte diprivati, di pubbliche autorità o di superiori. Le norme richiamate dal precetto penale sono da considerarsi cogenti e inderogabili.Una professione viene tutelata dal precetto penale non in tutte le sue attribuzioni – in quanto

alcune o molte di queste possono essere comuni ad altre professioni – ma solo in quelle da con-siderarsi “riservate ed esclusive”.Le norme di abilitazione all’esercizio professionale per la professione infermieristica sono

oggi regolate da un complesso di leggi che abbiamo avuto modo di vedere nei capitoli precedenti(legge 42/1999, 251/2000, 43/2006). La legge 43/2006 specifica che un professionista infermiereè tale in quanto svolge la sua professione “in forza di un titolo abilitante rilasciato dallo Stato”le attività di “prevenzione, assistenza, cura e riabilitazione”. Inoltre sancisce l’obbligatorietàdell’iscrizione all’albo professionale senza il quale il puro titolo professionale non è abilitante.La legge 43/2006 prevede inoltre l’istituzione degli ordini professionali che però, al momento,5

non sono stati costituiti. Il decreto di costituzione degli ordini doveva prevedere le “attività ri-servate” a ogni singola professione,6 attività che si sarebbero connotate come esclusive della pro-fessione infermieristica.La mancata approvazione del decreto rende più difficile l’individuazione delle attività riser-

vate e occorre rifarsi alle normative di abilitazione all’esercizio professionale che hanno ribal-tato, da oltre un decennio, la tradizionale impostazione che riconosceva l’equivalenza tra attività

Capitolo 7 – i principali reati a carico dell’infermiere

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1 Contieri E., Esercizio abusivo di professioni, arti e mestieri, Enciclopedia del diritto, XV, Giuffrè, Milano, p. 606;D’Ambrosio M., Note sull’esercizio abusivo della professione, Giurisprudenza di merito, 1986, 2, p. 392.2 Cassazione penale, VI sez., sentenza del 3 aprile 1995, n. 9089.3 Cassazione penale, VI sez., sentenza del 16 marzo 1984, n. 2286. 4 Cassazione penale, VI sez., sentenza del 7 maggio 1985, n. 4349. 5 Settembre 2008. Per la vicenda degli ordini professionali vedi cap. 18.6 Per la professione infermieristica lo schema di decreto legislativo che doveva essere approvato al mo-mento della scadenza della delega prevista dalla legge 43/2006 – marzo 2008 – prevedeva le seguenti atti-vità riservate:1. È riservata agli iscritti all’ordine delle professioni infermieristiche, l’assistenza generale infermieristica dicarattere preventivo, curativo, palliativo e di riabilitazione funzionalmente correlata alla assistenza me-desima.

2. È riservata agli Infermieri l’assistenza di cui al comma 1 rivolta alla persona. 3. È riservata di norma agli infermieri pediatrici l’assistenza di cui al comma 1 rivolta al bambino che pre-senta particolare complessità assistenziale.

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sanitaria e attività medica ad eccezione degli atti sanitari che venivano elencati in appositi man-sionari che assurgevano a condizioni abilitanti.Abbiamo visto (vedi cap. 2) che l’attività infermieristica odierna si connota per l’esistenza nor-

mativa di tre criteri guida e di due criteri limite. I primi sono determinati dai contenuti del profiloprofessionale del 1994, dalla formazione di base e post-base ricevuta e dagli ordinamenti didatticidei corsi di laurea. I due criteri limite sono dati dalle “competenze previste per le professioni medi-che e per le altre professioni del ruolo sanitario per l’accesso alle quali è richiesto il possesso deldiploma di laurea, nel rispetto reciproco delle specifiche competenze professionali”. Un limite sullaprofessione medica quindi e un limite sulle professioni sanitarie.Su entrambi possono esserci conflitti. Iniziamo dal primo. È largamente noto come non vi siano

definizioni soddisfacenti – né in dottrina né in giurisprudenza – di atto medico. D’altra parte la de-finizione non potrebbe ricomprendere la ricchezza e la particolarità di tutte le branche del saperemedico inteso come sapere esclusivo e quindi non più genericamente sanitario e di competenzaanche di altri.La soluzione deve quindi essere cercata – come abbiamo già precisato – nella interpretazione

del disposto della legge 42/1999 che costringe a interpretare in modo puntuale il termine “compe-tenza” da intendersi come complesso di conoscenze e capacità più che come compito o pertinenza.Una attività risulta quindi essere esclusivamente medica solo laddove il curriculum, il sapere e leesperienze di questa professione siano in grado di svolgere una determinata attività e/o di risol-vere un particolare problema di salute di una persona.

Le condizioni per l’esercizio legale delle professioni della saluteLe condizioni per l’esercizio legale della professione medica sono il possesso della laurea in medi-cina e chirurgia, l’esame abilitante di stato e l’iscrizione all’albo professionale. In linea di massimanon è abilitante la specializzazione se non in determinate circostanze riconosciute da precise normecome quelle relative alla radiologia, all’anestesia e all’attività di medico competente.Le condizioni per l’esercizio legale della professione infermieristica sono il possesso del titolo

abilitante – laurea in infermieristica o titolo equipollente – e l’iscrizione all’albo professionale (purcon i distinguo giurisprudenziali che vedremo) e il rispetto delle norme di esercizio professionaleindicate dalle leggi di abilitazione (leggi 42/1999, 251/2000, 43/2006).Le condizioni per l’esercizio legale delle altre professioni sanitarie sono simili a quelle suindi-

cate per la professione infermieristica con l’eccezione dell’iscrizione all’albo professionale laddoveovviamente non costituito.Il reato di esercizio abusivo può essere commesso: da un infermiere nei confronti della profes-

sione medica, da un non abilitato nei confronti della professione infermieristica, da un infermierenei confronti delle altre professioni sanitarie.Risulta invece difficilmente configurabile l’esercizio abusivo della professione infermieristica o

di altra professione sanitaria da parte di un medico.

L’esercizio abusivo della professione medica da parte di infermieriSi verifica laddove vengano compiuti atti da considerarsi tipici ed esclusivi della professione me-dica. Le fattispecie ipotizzabili possono essere numerose. La casistica giurisprudenziale risulta estre-mamente limitata e talvolta paradossale come la prima sentenza del Tribunale di Olbia successi-vamente correttamente riformata dalla Corte di appello di Cagliari relativa alla somministrazionedi un farmaco di carattere anestesiologico – curaro – da parte di un infermiere all’interno di una salaoperatoria in assenza del medico anestesista, pur in presenza di una prescrizione. Riportiamo breviestratti delle sentenze rinviando per l’approfondimento al capitolo successivo relativo all’esercizioprofessionale in sala operatoria.

i principali reati a carico dell’infermiere – Capitolo 7

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Commette il reato di esercizio abusivo di professione medica un infermiere di sala operatoria che, in as-senza del medico anestesista, somministra un farmaco a base di curaro a un paziente sotto anestesia inassenza di pericoli attuali gravi per il paziente che avrebbero in questo caso giustificato la causa di nonpunibilità dettata dallo stato di necessità. (Fattispecie relativa alla somministrazione in assenza del me-dico di un farmaco che viene considerato anestesiologico e quindi di pertinenza, nella somministrazione,del medico specialista in anestesia.)

Tribunale di Tempio Pausania, sede distaccata di Olbia,sentenza dell’11 maggio 2006, n. 232

Riformata dalla seguente della Corte di appello di Cagliari:

Non vi è alcun dubbio che la somministrazione dei farmaci sia sempre stato un compito dell’infermiere. [...] ciò significa che rientra tra le competenze di tale figura professionale la somministrazione di farmaci,da attuarsi, peraltro, secondo le prescrizioni e le disposizioni stabilite dal medico.Nel caso di specie l’imputato ha assistito – come era solito fare – a un intervento operatorio, facendo partedell’equipe di anestesia che, in tutti i casi, segue sempre un identico protocollo di intervento. […] e nelmomento in cui la detta esigenza di manifestò, unico responsabile dell’equipe di anestesia presente nellasala operatoria era proprio l’odierno prevenuto (l’infermiere) che, somministrando una dose di dieci mil-ligrammi di curaro, rese possibile la prosecuzione dell’intervento in corso, così consentendo di portarea termine l’operazione senza problemi.[...] le esposte circostanze e, soprattutto, le necessità esistenti nel momento in cui fu attuata la condottadi cui alla contestazione inducono a ritenere che l’imputato non superò affatto i propri compiti, ma sicomportò con competenze e prontezza e, soprattutto, in assoluta buona fede dinanzi a una situazionedi emergenza.

Corte di appello di Cagliari,sentenza del 14 novembre 2008, n. 653

La Corte di appello di Cagliari ha correttamente riformato la sentenza decisamente poco emal motivata del Tribunale di Olbia anche se opera una certa confusione tra le condizioni di le-gittimità e l’eventuale situazione di emergenza, la cui esistenza può scriminare comportamentiilleciti.Sempre dalla giurisprudenza di merito troviamo una condanna per esercizio abusivo della

professione medica per la somministrazione di farmaci da parte di infermieri senza la prescri-zione medica (fattispecie relativa alla somministrazione di una compressa di nimesulide senzaprescrizione e di dieci gocce di serenase in più rispetto alla prescrizione).

È evidente che l’intento del legislatore è quello di garantire, in materia di disciplina della professione me-dica, un livello di preparazione tecnica e professionale, di conoscenza e di esperienza adeguato in chisia destinato ad esercitarne l’attività.Nel caso in esame gli odierni imputati, infermieri professionali, nel somministrare ai pazienti della casadi riposo medicinali per i quali era necessaria la prescrizione medica, in assenza del sanitario, hanno po-sto in essere atti tipici della professione di medico, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dellostato.Non può sostenersi che non vi sarebbe stato alcun esercizio in concreto da parte degli imputati dell’atti-vità professionale protetta, posto che nella prescrizione e contestuale somministrazione di medicinalisenza alcuna indicazione del medico vi è necessariamente la spendita del ruolo professionale proprio delsanitario.Nel concetto di esercizio abusivo di una professione è implicito il compimento di attività ad essa riferi-bile in assenza dei requisiti di professionalità che la legge richiede.Il reato richiede spendita (non del titolo, bensì) del ruolo professionale di chi esercita una determinataprofessione e tale spendita deve ravvisarsi nel comportamento dell’infermiere che sceglie il medicinaleda somministrare all’infuori di qualunque indicazione del medico abilitato all’esercizio della professionesanitaria.

Capitolo 7 – i principali reati a carico dell’infermiere

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i principali reati a carico dell’infermiere – Capitolo 7

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7 Ministero della salute, Consiglio superiore di sanità, sessione XLV, seduta del 23 giugno 2005, sessioneseconda.

Difficilmente il paziente è nella condizione di rendersi conto della mancanza del titolo abilitante all’eser-cizio della professione in colui che, in camice bianco, gli prescrive e somministra un medicinale per al-leviare i disturbi insorti; con tale condotta infatti l’agente pone in essere attività tipica della professionemedica, con possibile pregiudizio della qualità della prestazione resa.Venendo all’elemento soggettivo del reato, si è chiarito che le norme giuridiche che disciplinano la pro-fessione protetta integrano il precetto penale, al punto che la loro ignoranza non può essere invocataquale causa di esclusione di responsabilità.L’errore su tali norme, costituendo errore equiparabile a quello ricadente sulla norma penale, non havalore scriminante in base all’art. 47 c.p. nel caso in esame.

Tribunale di Trento, sezione distaccata di Cles,sentenza del 6 febbraio 2008

La mancata prescrizione del medico in ordine alla somministrazione dei farmaci (soggettia prescrizione medica ovviamente) integra gli estremi del reato di esercizio abusivo, quantomeno in assenza di specifiche deroghe che oggi vengono riconosciute tramite apposite normequali per esempio quelle relative all’esercizio professionale dell’emergenza extra-ospedaliera,la lotta del dolore.Difficilmente l’esercizio abusivo della professione medica può essere invece riconosciuto in

ordine a farmaci OTC (over the counter), ovvero i c.d. farmaci da banco o da automedicazionein quanto non è richiesta, proprio per la loro caratteristica, la prescrizione medica.Per quanto concerne l’effettuazione di manovre invasive non vi sono risposte astratte e ge-

nerali in quanto di volta in volta devono essere valutate le manovre, le loro aderenze ai pro-grammi formativi e al bagaglio culturale della professione e solo alla fine in ordine alla loro esi-gibilità.Dato che è impossibile essere esaustivi in una materia del genere continuiamo a procedere

per esemplificazioni. Si era posto il problema dei prelievi arteriosi, attività non prevista dal re-gime mansionariale previgente e di conseguenza da considerarsi rientrante nelle attività me-diche.Segnaliamo il parere7 dell’organo consultivo del Ministero della salute, il Consiglio supe-

riore di sanità, il quale – seppure con una serie di non del tutto comprensibili ragioni abbia cir-condato di cautela il parere – ha affermato che “il prelievo arterioso dall’arteria radiale possaconfigurarsi come atto non esclusivamente medico ma anche di competenza dell’infermiere” ene afferma la liceità in ogni contesto (ospedale, ambulatorio, assistenza domiciliare) a condi-zione che:

1. l’infermiere ne abbia acquisito la completa competenza, secondo le modalità definite dallevigenti normative in materia di profilo ed attività professionali, ordinamenti didattici e deon-tologia;

2. sia prevista sempre, per le correlate implicazioni sia mediche che infermieristiche, l’esi-stenza nelle UO o nella struttura sanitaria di riferimento, di un protocollo operativo corret-tamente redatto, condiviso e approvato, che sia in grado di:– assicurare la buona pratica di tecnica del prelievo arterioso dall’arteria radiale per emo-gasanalisi;

– garantire l’adozione di ogni misura di prevenzione delle complicanze e del necessariotrattamento nonché la tempestiva gestione dei rischi connessi.

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La cautela pare del tutto eccessiva e addirittura superata dalla recente approvazione del pro-filo dell’infermiera volontaria della Croce Rossa alla quale vengono attribuite varie competenzedi dubbia legittimità – quanto meno in relazione alla formazione ricevuta – tra le quali troviamoper quanto di interesse la seguente: “provvedere all’esecuzione degli esami ematochimici sia ve-nosi che arteriosi”.8 Per l’approfondimento della figura dell’infermiera volontaria della CroceRossa si rimanda al capitolo 4.Se volessimo analizzare questioni legate più che alla legittimità del singolo atto la liceità di

gestione di processi assistenziali e terapeutici più complessi vi è da registrare la contestazionedi legittimità rispetto a due modalità organizzative sperimentali di due regioni italiane: il “Seeand Treat” nella regione Toscana e il progetto “Perimed” della Regione Emilia Romagna (vedicap. 8).

L’esercizio abusivo della professione infermieristica da parte di operatori non abilitati alla professione infermieristicaLa tematica dei prelievi venosi viene affrontata sotto molteplici punti di vista e viene ricondottageneralmente alla competenza medica e infermieristica non invadibile da altri soggetti ancor-ché estremamente qualificati. Il riferimento è all’attività del biologo, il quale è abilitato all’esamedei campioni biologici ma non al loro prelievo.Leggiamo dalla giurisprudenza dalla Corte di Cassazione:

Va in proposito osservato che in realtà il prelievo di sangue in vena costituisce un intervento invasivodella sfera corporale della persona che, pur se appartenente alla ordinaria amministrazione nella pra-tica medica (cfr. C. Cost., sentenze n. 54 del 1986, n. 194 del 1996 e n. 238 del 1996), ove non eseguitoda soggetti professionalmente preparati e secondo precise tecniche e metodologie, è idoneo a lederel’integrità fisica o addirittura la salute della persona su cui detta attività si compie. Il prelievo è dunque estraneo alla specificità dei compiti del biologo, pur se tra questi rientra l’analisi dicampioni ematici. L’analisi del sangue presuppone certamente un’attività di prelievo, ma non consisteaffatto in essa, estrinsecandosi solo nell’esame, secondo determinate metodologie, di campioni di san-gue precedentemente acquisiti.D’altro canto, se è vero che il secondo comma dell’art. 3 della legge n. 396 del 1967 consente ai biologiiscritti nell’albo attività ulteriori rispetto a quelle tipicamente elencate nel primo comma, tale disposi-zione prevede espressamente anche che simili ulteriori attività siano attribuite alla competenza dei bio-logi da leggi o regolamenti. E nessuna fonte normativa, primaria o regolamentare, abilita i biologi ad ef-fettuare prelievi di sangue finalizzati all’analisi.Non assume rilievo il fatto che l’attività di prelievo di sangue venoso non sia attribuita alla esclusivacompetenza dei medici, potendo essa essere effettuata anche da ausiliari della professione medica (in-fermieri professionali od ostetriche: vedi D.P.R. 14 marzo 1974, n. 225 e D.P.R. 7 marzo 1973, n. 163). Ciò conferma anzi che solo una fonte normativa può consentire a soggetti diversi da quelli esercitanti laprofessione di medico interventi invasivi della sfera corporale, sulla base di un ragionevole riconosci-mento di competenze tecniche e professionali. Così, si ritiene, ben potrebbe il legislatore attribuire espressamente simili competenze anche ai biologi,in connessione con le attività di analisi ad essi proprie, subordinatamente al possesso di particolari re-quisiti abilitanti (specifico corso di studi, esami integrativi, o altro).Rimane però fermo allo stato attuale della normativa, che i biologi, sia pure preposti a laboratori di ana-lisi, non sono abilitati a effettuare prelievi di sangue in vena (cfr. anche C. Cost., sentenza n. 29 del 1990),sicché ove si verifichi una simile attività da parte di un biologo, il fatto integra esercizio abusivo della

Capitolo 7 – i principali reati a carico dell’infermiere

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8 D.M. 9 novembre 2010 “Disciplina del corso di studio delle infermiere volontarie della Croce Rossa Italiana”.

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professione medica (o paramedica) a norma dell’art. 348 c.p., in relazione all’art. 100 del T.U.L.S. di cuial R.D. 27 luglio 1934, n. 1265.

Corte di Cassazione, VI sez., sentenza del 21 febbraio 1997, n. 1632

La Cassazione ha avuto modo di tornare sull’argomento, confermando l’orientamento, conuna successiva pronuncia.9

Le situazioni più usuali possono in realtà verificarsi – per quanto riguarda questa particolarefattispecie di abuso – da parte di figure non professionali come ad esempio gli infermieri gene-rici o le figure di supporto che svolgono attività infermieristiche.Già nel lontano 1987 la Suprema Corte aveva stabilito che “il prelievo ematico, capillare e ve-

noso esorbita dai compiti dell’infermiere generico e costituisce attività strumentale…. che è riser-vata (a parte i medici) soltanto agli infermieri diplomati, la cui professione, per essere legittima-mente esercitata, presuppone il preventivo conseguimento dell’abilitazione da parte dello stato”.10

In una successiva sentenza la Corte di Cassazione ne riconferma l’esclusività pur assolvendol’infermiera generica che aveva compiuto il prelievo venoso in quanto scriminato dallo stato dinecessità. Il fatto: un’infermiera generica aveva effettuato un prelievo ematico, pur non essen-done abilitata, prestazione che le “era stata sollecitata urgentemente dalla figlia della E. (collegadella O.), che aveva rappresentato una situazione di necessità (malore diabetico della madre).”Condannata in primo grado, assolta in appello, arriva in Cassazione che conferma l’assoluzionedel giudice di secondo grado con la seguente motivazione:

Ora, posto che da un punto di vista soggettivo (ma anche oggettivo) non può essere messa in discussionela convinzione (dell’infermiera generica) di poter effettuare prelievi ematici in situazioni di emergenza(considerati i solleciti dei superiori a comportarsi in tal modo in caso di urgenza), non vi è dubbio che lasentenza impugnata contenga una congrua e logica motivazione circa la sussistenza degli elementi chein concreto hanno potuto giustificare il comportamento dell’infermiera generica sotto il profilo dell’esi-stenza della scriminante putativa, motivazione compendiata nella presentazione in ospedale di una pa-ziente malata di diabete, lungamente a digiuno, in una situazione di crisi che poteva ritenersi derivanteda tale malattia e che andava affrontata – ragionevolmente – con tempestività e sollecitudine, a pena digravi danni alla persona diabetica, al punto di fare evitare alla paziente una lunga fila per eseguire il pre-lievo da parte di personale abilitato, come già fatto in passato in situazione identiche.

Corte di Cassazione, sentenza del 16 dicembre 2005, n. 1568

Non vi sono dubbi sulla correttezza dell’argomentare della Suprema Corte sulla sussistenzadello stato di necessità. Nella stessa sentenza si argomenta anche in ordine agli ordini dei supe-riori e al loro valore vincolante. Talvolta si riscontrano nella prassi lettere, protocolli e strane au-torizzazioni all’effettuazione di pratiche riservate a professioni non abilitate. In carenza di abili-tazione, motiva la Cassazione, il reato esiste comunque “sia in seguito ad autorizzazione o or-dine dei superiori, sia dietro richiesta del privato paziente”. Solo l’effettiva sussistenza di unacausa di giustificazione – come nel caso di specie lo stato di necessità ex art. 348 c.p. – può quindirendere non punibile l’atto tutelato da parte del non abilitato.Una pronuncia più recente – sempre relativa a un soggetto non abilitato – riguarda la vicenda

di una coordinatrice (non infermieristica) di una casa di riposo portata a giudizio per avere som-ministrato ai pazienti le terapie insuliniche, effettuato alcune medicazioni e praticato iniezioni

i principali reati a carico dell’infermiere – Capitolo 7

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9 Cassazione penale, VI sez., sentenza del 3 novembre 1999, n. 1629.10 Cassazione penale, VI sez., sentenza del 25 novembre 1987, n. 1822.

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intramuscolari. Nei primi gradi di giudizio i giudici di merito avevano affermato che “la terapiainsulinica o l’assunzione di farmaci contro la pressione arteriosa si praticano generalmente invia di automedicazione e, trattandosi di soggetti anziani, in mancanza temporanea di personalesanitario, la P. si era prestata generosamente, senza alcun tornaconto personale, a somministrareoccasionalmente ai pazienti, alle ore stabilite, tale tipo di cure secondo le prescrizioni del me-dico”.In sostanza si tratta di “atti relativamente liberi” e non integrano il reato di esercizio abusivo

della professione se svolti sporadicamente e in assenza di retribuzione. La Cassazione concordacon questo orientamento e precisa:

Si tratta di atti relativamente liberi, che, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, non integranoil reato di cui all’art. 348 c.p. se effettuati sporadicamente e in assenza di retribuzione; e la P. ricevevaretribuzione esclusivamente per il suo incarico di coordinatrice della Casa di Riposo, non percependo al-cun ulteriore compenso per queste saltuarie prestazioni di assistenza ai ricoverati, rese a mero titolo divolontariato.Quanto alle restanti condotte, esse consistono in atti che non rientrano nelle mansioni riservate secondole norme di legge alla professione di infermiere, e non implicano specifiche nozioni o particolari abilitào conoscenze tecniche.Essi pertanto, ove eseguiti non a titolo professionale ma per sopperire saltuariamente alla carenza delpersonale infermieristico, rispettando le cadenze, i tempi e le modalità stabilite dal medico (come nellaspecie appare dare atto la stessa sentenza impugnata), non integrano, secondo la prevalente giurispru-denza di legittimità, che il Collegio condivide, il reato di cui all’art. 348 c.p. (v. in termini Cass., sez. 6, 25maggio 1999, Volpe; nello stesso senso, Cass., sez. 6, 5 luglio 2006, Russo; Id., 8 ottobre 2002, Notari-stefano).

Corte di Cassazione,sentenza del 2 febbraio 2010, n. 14603

Le questioni poste da questo caso sono di due ordini. Il primo che qualifica una serie di atti-vità sanitarie come “atti relativamente liberi” e quindi nella cognizione piena o quasi da partedella popolazione. Atto relativamente libero quindi non esclusivo e riservato e non rientrantenella tutela penale dell’art. 348 c.p. In effetti è difficile riconoscere come riservate attività praticate largamente dalla popolazione

come la somministrazione di terapie insuliniche e, sovente, autosomministrate anche in seguitoa precisi programmi di insegnamento e di educazione sanitaria predisposti direttamente dallestrutture territoriali del Servizio sanitario nazionale. Vengono tali attività affidate ai pazienti stessi,ai familiari e ai loro assistenti.Diversa è la seconda e contraddittoria argomentazione laddove la Suprema Corte sostiene

che se tali attività non vengono svolte a titolo professionale ma ad altro titolo (per esempio, divolontariato o per sopperire a carenze di personale) non sono illegittime. Se la prima argomen-tazione non porta al risultato di considerare come riservate determinate attività che non impli-cano la conoscenza di nozioni o di “particolari abilità e conoscenze tecniche” non si comprendel’ulteriore specificazione svolta. La dottrina giuridica ha sempre sostenuto che anche la gratuitàdella prestazione non scrimina il reato. A titolo di esempio (se dovessimo seguire l’impostazionedata dalla Corte) si potrebbe sostenere che l’estrazione di un dente – attività notoriamente riser-vata alla professione di odontoiatra – svolta da un non abilitato per sopperire alla carenza diodontoiatri non comporti l’abusività dell’atto. Come è evidente, non corrisponde al vero.Le affermazioni della Cassazione in realtà dovrebbero essere contestualizzate in relazione al

tipo di attività da svolgere soprattutto laddove la somministrazione di farmaci non segue automa-tismi o protocolli predeterminati ma laddove imponga una previa valutazione delle condizioni delpaziente. L’accertamento di tali condizioni presuppone – eccome – una valutazione professionale.

Capitolo 7 – i principali reati a carico dell’infermiere

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Comunque probabilmente – soprattutto nei casi in cui si richiede lo svolgimento di attivitàsemplici - sarebbe verosimilmente più logico prendere atto dell’esistenza di attività non tute-late dalla previsione incriminatrice dell’art. 348 del codice penale lasciando ad altri ambiti deldiritto la regolamentazione di attività che comunque, laddove svolte in contesti organizzati,devono ricoprire il carattere della professionalità e della sicurezza.A questo proposito vale la pena ricordare quanto deciso dalla giurisprudenza amministra-

tiva in merito alla somministrazione di farmaci richiesta a qualifiche diverse da quella infer-mieristica – nella specie operatori tecnici addetti all’assistenza, educatori professionali e fisio-terapisti – all’interno di una struttura riabilitativa, richiesta attraverso specifici ordini di servi-zio.11

Dapprima il giudice di primo grado12 e successivamente il Consiglio di Stato ne hanno san-cito l’illegittimità proprio con le argomentazioni legate alla valutazione del paziente da svol-gersi precedentemente alla somministrazione stessa. Motiva il Consiglio di Stato:

I ricorrenti originari sono dipendenti dell’Azienda sanitaria n.11 di Empoli che prestano la loro attivitàcon qualifiche diverse da quelle infermieristiche presso il Centro socio-riabilitativo di C., che si occupadi assistenza ai disabili. Per cui, in relazione alla finalità del Centro presso cui prestano servizio i ri-correnti (riabilitazione, socializzazione ed integrazione di disabili) ed allo stato anormale dei destina-tari dei relativi servizi, la somministrazione di medicine particolari (antiepilettici, cardiotonici psico-farmaci) a soggetti disabili, richiede la valutazione del momento della loro somministrazione e perciòuna qualificazione oltre che esperienza professionale non posseduta dagli interessati. Con la conse-guenza che la somministrazione di tali farmaci è del tutto estranea ai compiti di personale con quali-fiche diverse da quelle infermieristiche.È pur vero, secondo quanto rilevato dall’Azienda, che la somministrazione dei farmaci prescritti nonrichiede la qualifica di infermiere professionale, ma è pur sempre necessaria per lo meno quella di in-fermiere generico ai sensi dell’art. 6, comma 1 punto 8), D.P.R. 14 marzo 1974, n.225, che comunquenon è posseduta dai ricorrenti originari.Irrilevante è poi la circostanza che il Centro in questione non abbia carattere sanitario in quanto è lanecessità della somministrazione di farmaci agli ospiti del Centro che comporta l’esigenza di disporredi personale infermieristico per far fronte a tale incombente.

Consiglio di Stato, V sez.,sentenza del 9 marzo 2010, n. 1384

Bisogna tenere presente la diversa ottica giuridica rispetto al giudice penale per il quale sa-rebbe del tutto irrilevante il richiamo alle attribuzioni degli infermieri generici in quanto nonessendo tale figura riconosciuta come professione ma come arte non rientra nella coperturapredisposta dall’art. 348 c.p.Corretta è senza dubbio la considerazione della irrilevanza della natura non strettamente

sanitaria della struttura ove si svolgono tali terapie: infatti è lo svolgimento dell’attività pro-fessionale e non il luogo che conta ai fini della qualificazione dell’atto.Le motivazioni della magistratura amministrativa sono sostanzialmente di carattere giu-

slavoristico perché a questo era stata chiamata e le motivazioni vanno in quella direzione: aglieducatori professionali non compete la somministrazione di farmaci in quanto figura versata“alla cura del recupero e del reinserimento di soggetti portatori di menomazioni psicofisiche”,non compete ai fisioterapisti in quanto il profilo professionale non le contempla e quindi tali

i principali reati a carico dell’infermiere – Capitolo 7

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11 Il fatto in questione si è svolto nel 1997 quando la magistratura amministrativa aveva la competenza esclu-siva in tutte le cause di lavoro del pubblico impiego. Oggi la competenza è della magistratura ordinaria.12 TAR Toscana, sentenza dell’11 giugno 1998, n. 552.

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mansioni sono “chiaramente estranee” e non competono agli operatori tecnici addetti all’assi-stenza in quanto figure svolgenti attività “del tutto manuali”.13

Sempre in un caso giunto all’attenzione della giurisprudenza di legittimità si chiedeva la con-danna di un operatore di supporto per avere somministrato un farmaco per via orale – nella spe-cie Gardenale – e per avere annotato la conseguente movimentazione nel registro di carico e sca-rico degli stupefacenti.

Resta da valutare la seconda argomentazione della Corte d’appello di Salerno, riguardante l’apposizionedi alcune firme false sul registro di scarico del medicinale. Sul punto specifico, la corte territoriale, adot-tando in verità un metodo puramente assertivo, dichiara che lo scarico dei medicinali somministrati aipazienti rientra nella competenza degli infermieri professionali. Dunque, stando alle asserzioni dei giu-dici di merito, non la somministrazione dei farmaci, ma una mera annotazione sui registri di scarico delmedicinale adoperato rientrerebbe fra le attività riservate agli infermieri professionali.Ebbene, in assenza di qual si voglia spiegazione offerta dai giudici di merito, il collegio non può esimersidall’osservare che, indipendentemente dalla natura e dalla finalità che può rivestire l’annotazione su re-gistro della avvenuta somministrazione del farmaco, una simile attività non richiede particolari requisitidi competenza tecnica tipici della professione di infermiere.L’annotazione a registro è poi un’attività susseguente alla somministrazione del farmaco e ad essa con-dizionata. Ora, non sembra rispondente a canoni logici pretendere che essa sia effettuata da infermieriprofessionali, cui tuttavia non è riservato alcun compito esclusivo per la somministrazione del farmaco,compito che - esso solo - potrebbe assicurare l’effettività di un controllo sulle modalità, sui tempi, e sullacorrettezza della somministrazione.Ritiene, pertanto, il collegio che il cosiddetto “scarico” del medicinale possa essere inquadrato, al più, fraquegli atti che, pur difettando di tipicità nel senso sopra indicato, rientrano tuttavia fra gli atti connessiall’attività professionale.Secondo un orientamento giurisprudenziale minoritario, gli atti strumentalmente connessi agli atti tipicidella professione (atti c.d. “caratteristici”, da tener distinti dagli atti riservati) possono assumere rilievoai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 348 c.p. Essi, però, secondo la stessa interpretazioneminoritaria qui citata, sono suscettibili di valutazione ai fini della configurabilità del reato solo a condi-zione che vengano compiuti in modo continuativo e professionale.Senza necessità di addentrarsi nell’analisi critica del citato indirizzo giurisprudenziale, qui è sufficientesegnalare che in casi, come il presente, in cui si registra l’assenza dei caratteri della continuità e dellaprofessionalità, gli atti caratteristici strumentali appaiono comunque inidonei a configurare il reato diesercizio abusivo della professione.

Cassazione penale, VI sez. sentenza del 29 giugno 2006, n. 26829

La compilazione del registro di carico e scarico degli stupefacenti e l’apposizione delle firmenon integrano gli estremi del reato di esercizio abusivo di professione. Questa affermazione – deltutto condivisibile – viene però ulteriormente motivata con la saltuarietà della prestazione, con-trastando però con l’orientamento giurisprudenziale e dottrinario che riteneva che anche unaisolata prestazione professionale integrasse il reato. Sempre sulle manovre invasive – fattispecie relativa alla somministrazione per via sottocu-

tanea di soluzione fisiologica in zona oculare – è intervenuta la giurisprudenza della Cassazione:

In tema di manovre invasive rileviamo che la giurisprudenza di legittimità riconosce comunque sulla te-rapia iniettiva il ruolo dell’infermiere. Riportiamo un passo della sentenza di condanna per esercizio abu-sivo della professione infermieristica di un abusivo che aveva somministrato soluzione fisiologica attra-verso “punturine sottocutanee” in zona oculare per ottenerne una “epidermostimolazione”.

Capitolo 7 – i principali reati a carico dell’infermiere

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13 TAR Toscana, sentenza dell’11 giugno 1998, n. 552.

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Ora, non è emerso, da quanto è dato leggere dalle sentenze di merito, che il B. svolgesse una attività ri-servata dalla legge al medico o comunque rientrante tra i compiti del medico, in quanto si trattava diun’attività non implicante la formulazione di diagnosi o la prescrizione di terapie, bensì una attività pre-vista tra quelle riservate all’infermiere professionale in ragione del peculiare tipo di iniezione da com-piere, richiedente una sicura preparazione sanitaria in considerazione dei particolari e delicati tipi di in-tervento incidenti sulla funzione visiva dei pazienti, interventi che, ove eseguiti da una persona non pro-fessionalmente qualificata e secondo precise tecniche e metodologie, potrebbero incidere negativamentesulla salute del paziente, addirittura ledendone l’integrità fisica o a metterne a repentaglio la salute.Infatti, il profilo professionale dell’infermiere disciplinato dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 6,comma 3, recante: “riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma della L. 23 ottobre 1992, n. 421,art. 1”, nel testo modificato dal D.Lgs. 7 dicembre 1993, n. 517, e dal D.M. 14 settembre 1994, n. 739, art.1, recante “Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionaledell’infermiere” prescrive alla lett. d) che quest’ultimo: “garantisce la corretta applicazione delle prescri-zioni diagnostico-terapeutiche”.

Corte di Cassazione, sentenza del 5 novembre 2008, n. 41183

Come abbiamo potuto vedere non vi è quindi un orientamento costante della Suprema Cortesul punto. Abbiamo notato un orientamento oscillatorio tra gli “atti relativamente liberi” e gli attiriservati – come in quest’ultima pronuncia – in fattispecie assolutamente analoghe.

La tracheobroncoaspirazione e il ruolo dei caregiversL’espressione utilizzata dalla Cassazione di “Atti relativamente liberi” non significa in alcun modoche determinate prestazioni possano essere effettuate dal quisque de populo, e cioè da chiunque,altrimenti sarebbero da considerarsi “atti liberi” e non relativamente liberi.La conferma di quanto sopra è contenuta all’interno di una sorta di protocollo approvato

dalla Conferenza Stato-Regioni sull’attiribuzione ai c.d. caregivers della pratica della tracheo-broncoaspirazione.14

La motivazione di tale attribuzione, viene proprio scritto nella premessa dell’accordo, non èdi carattere sanitario o assistenziale, bensì di carattere economico. Dato che la broncoaspira-zione a determinati pazienti si impone talvolta per numerose volte al giorno, per evitare di ag-gravare il “carico” economico alle famiglie, pur riconoscendo che tale pratica “impone specificheconoscenze” si ritiene che dietro una formazione specifica possa essere attribuita anche a “per-sonale non sanitario”. La contraddizione del ragionamento è evidente ma le ragioni di carattereeconomico, in questo caso prevalgono.In relazione a quanto premesso l’accordo, all’art. 1, recita testualmente:

La tracheobroncoaspirazione in ambito domiciliare dei pazienti tracheostomizzati che necessitano di assistenzacontinua, può essere effettuata, su prescrizione medica, da familiari o altri soggetti che assistono in via conti-nuativa tali pazienti, purchè adeguatamente formati.

Si prevede per tali soggetti una formazione a carico del Servizio sanitario nazionale, di ca-rattere teorico-pratico, e l’annotazione nel “fascicolo” (cartella?) del paziente precisando che solo“il soggetto formato potrà svolgere la tracheobroncoaspirazione”.

i principali reati a carico dell’infermiere – Capitolo 7

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14 Conferenza permanente per i rapporti tra lo stato e le regioni e le province autonome di Trento e Bol-zano, “Accordo tra il governo e le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, concernente la for-mazione di persone che effettuano la tracheobroncoaspirazione a domicilio del paziente non ospedalizzato”,Gazzetta Ufficiale n. 121 del 26 maggio 2010.

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L’esercizio abusivo di altra professione da parte di infermieriNegli ultimi anni si sono diffuse nuove tecnologie della medicina di laboratorio con strumenta-zioni di alta qualità analitica e destinate a essere utilizzate al di fuori del laboratorio di analisi di-rettamente nei reparti e nei servizi: i POCT (point of care testing). Vi sono di due ordini di motivi che spingono all’utilizzo di questa tecnologia: il primo è ge-

neralmente teso – nei fatti – a sostituire il laboratorio di analisi centralizzato, e questo accade so-prattutto nei piccoli presidi ospedalieri nelle ore notturne o nei turni festivi; il secondo è inveceindirizzato verso la necessità di disporre – al letto del paziente – di alcuni parametri ematochi-mici di laboratorio in tempi ristretti.La flessibilità dei POCT e la loro versatilità sono evidenti: non necessitano generalmente di

spazi dedicati, né di personale specializzato di laboratorio, possono essere confezionati in kit tra-sportabili e consentono una pressoché immediata disponibilità del dato analitico.Nei vari protocolli operativi reperibili in letteratura si attribuisce al laboratorio di analisi la re-

sponsabilità per la gestione complessiva del sistema POCT in uso all’interno delle strutture, de-mandando in genere l’esecuzione e l’analisi dell’esame al personale infermieristico afferente aivari servizi.Si sono posti problemi di legittimità in relazione proprio all’esecuzione dell’esame da parte

degli infermieri e al possibile sconfinamento dell’attività infermieristica nei confronti di quella deltecnico sanitario di laboratorio biomedico.La scarna giurisprudenza che si è occupata dell’argomento – sempre in funzione di giuri-

sprudenza del lavoro e non penale – ha decisamente enfatizzato le generalmente semplici pro-cedure richieste arrivando alla conclusione della loro non esigibilità da parte degli infermieri.Il Tribunale di Montepulciano ha scritto:

Dai documenti prodotti e dalle concordi deduzioni delle parti, può ritenersi che con il sistema sperimen-tale POCT all’infermiere sia richiesto:1) la raccolta del materiale biologico del paziente;2) l’inserimento di detto materiale biologico in un macchinario informatico;3) l’avvio del materiale informatico, lasciato acceso ed in attesa del tecnico di laboratorio al mattino;4) la verifica che il procedimento informatico avviato si sia concluso relativamente alla fase di acquisi-

zione e inoltro dei dati.Così delineata la vicenda, balza all’evidenza che non si tratta di mera attività esecutiva della prescrizionedel medico, bensì di inserimento di dati ed avvio di un sofisticato procedimento informatico, che ha nellafase successiva la determinazione del risultato delle analisi richieste.Si tratta, dunque, dell’acquisizione di dati e di una fase autonoma di un procedimento informatico com-plesso.Se il dato prelevato non viene inserito nel rispetto delle regole tecniche, se il macchinario non viene av-viato correttamente, se nell’avvio non vengono selezionate le giuste funzioni, è altamente probabile chei dati finali ottenuti siano errati, con conseguente pregiudizio per la salute del paziente.Ne consegue che trattasi di attività procedurali riservate quantomeno al tecnico di laboratorio e, dunque,inesigbili dall’infermiere.

Tribunale di Montepulciano,sentenza del 5 aprile 2008

Sullo stesso orientamento altra giurisprudenza giuslavoristica:

Infatti, l’infermiere non è responsabile del corretto funzionamento della strumentazione di laboratorio,quale quella POCT, utili all’esecuzione delle analisi cliniche, compito proprio, invece, del personale tec-nico di laboratorio; la strumentazione utilizzata non interviene direttamente sul paziente per l’assistenzae l’attuazione delle cure, apparendo, piuttosto, finalizzata all’ottenimento di risultati analitici utili sì allacura del paziente, ma da valutarsi in termini diagnostici e terapeutici dal personale medico, restando

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estraneo il funzionamento della stessa alle mansioni proprie dell’infermiere, che deve solo garantire l’ap-plicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche. L’attività di utilizzo della strumentazione POCT appare di competenza, piuttosto, del tecnico sanitario dilaboratorio biomedico.

Tribunale di Latina, sentenza del 16 marzo 2010, n. 894

Altra giurisprudenza sempre sullo stesso orientamento:

L’attività del tecnico di laboratorio (la quale prevede la preparazione della campionatura, la lavorazionedel campione presso il macchinario e la refertazione da inviarsi al medico per la valutazione) è attivitàin sé complessa e nell’ambito della stessa, onde garantirne la qualità e l’attendibilità, è verosimile indi-viduare anche una necessaria funzione di vigilanza e controllo del macchinario a disposizione, di qua-lunque tipo sia: che, nel caso di specie, almeno allo stato degli atti, si palesa come l’attività tipica del tec-nico di laboratorio (forse per sopperire a carenze di organico secondo criteri di risparmio di spesa) siastata impropriamente parcellizzata, attribuendosi agli infermieri, con compiti vicari in assenza del tec-nico stesso, la fase più strettamente materiale della ampia sequenza, il tutto in un contesto di genericavigilanza sul corretto funzionamento del macchinario.Sussistono, per quanto osservato, seri dubbi che si tratti di compiti – come sostenuto dalla odierna re-clamata – già riconducibili al profilo professionale degli infermieri.Ulteriormente significativa appare, infatti, la circostanza che, per attribuire detta funzione al personalein questione, si siano resi necessari corsi di formazione, sintomo della novità dell’incarico rispetto allecompetenze in precedenza richieste al personale infermieristico, in base alla specifica loro specializza-zione.Ne deriva conseguenzialmente una diretta situazione di pericolo non risarcibile in capo ai ricorrenti, iquali si troverebbero esposti, in caso di negligente esecuzione dei tanto contestati compiti (attribuiti exnovo e, verosimilmente, per quanto sopra detto, non riconducibili alla loro sfera di competenza e for-mazione), a forme, esclusive e/o concorsuali, di responsabilità civile e penale.Responsabilità che non può essere certo validamente derogata da qualsivoglia protocollo interno adot-tato dall’azienda ospedaliera che, eventualmente, potrebbe riflettere i suoi effetti unicamente in ambitodisciplinare.

Tribunale di Pordenone, sentenza del 16 dicembre 2010

In questo caso non vi sono dubbi che l’orientamento della giurisprudenza di legittimità sia daconsiderarsi – pur nella limitatezza della casistica – costante.Registriamo infine un’ordinanza di rigetto, ex art. 700 c.p.c. (codice procedura civile),15 nella

quale il Tribunale di Vicenza ha ben motivato, meglio delle decisioni sul merito, l’attribuibilitàdella competenza a effettuare i POCT da parte di esercenti la professione infermieristica. Vediamoalcuni stralci dell’ordinanza tenendo conto che non si tratta di una sentenza ma di un provvedi-mento cautelare e quindi sommario:

[...] si tratta di una procedura fondamentalmente automatizzata, collaudata da tempo, che si svolge se-condo protocolli fissi e non particolarmente gravosi e che non palesa alcuna particolare criticità pur com-portando indubbiamente una responsabilizzazione del soggetto agente (responsabilità però non estra-

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15 Art. 700 c.p.c. – Condizioni per la concessione.Fuori dei casi regolati nelle precedenti sezioni di questo capo, chi ha fondato motivo di temere che duranteil tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio im-minente e irreparabile, può chiedere con ricorso al giudice i provvedimenti di urgenza, che appaiono, se-condo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito.

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nea alla professione infermieristica che nel tempo si è dovuta sempre di più adeguare ad una indubbianecessità di conseguimento di migliori standard qualitativi delle prestazioni, evoluzione che non puòlogicamente rimanere avulsa, secondo quanto accade comunemente anche in altri settori, dal semprepiù massiccio ricorso all’uso di strumentazioni elettroniche); osservato che un corso di formazione teo-rico-pratica di circa otto ore complessive è stato somministrato al personale, il che appare secondoquanto afferma il resistente, congruo allo stato; considerato che la taratura degli strumenti e la re-sponsabilità finale dei risultati ottenuti fa comunque capo al responsabile del laboratorio di analisi […].

Tribunale di Vicenza,ordinanza ex art. 700 c.p.c. del 6 aprile 2011

L’enfasi utilizzata per alcune fasi di lavoro che sono generalmente semplici e non compor-tano conoscenze di medicina di laboratorio appare in tutta evidenza. Alcuni di questi esamisono nella disponibilità della popolazione – si pensi alla rilevazione glicemica capillare – da al-cuni decenni e altri sono svolti – sempre da alcuni decenni – all’interno delle terapie intensivedegli ospedali come gli esami relativi ai gas arteriosi. Da un punto di vista normativo il profilo professionale dell’infermiere – ex D.M. 739/1994 –

specifica che l’infermiere “garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-te-rapeutiche”. Possiamo trovare pezze normative di appoggio anche per quanto riguarda il per-sonale di supporto – con particolare riferimento alla figura dell’operatore socio-sanitario – a cuiviene attribuito “in sostituzione e appoggio dei familiari e su indicazione del personale prepo-sto”16 il “corretto utilizzo di apparecchi medicali di semplice uso” laddove per apparecchio me-dicale ben si possono intendere anche una serie di POCT. Attribuzioni che ritroviamo puntualmente anche per la figura dell’infermiera volontaria della

Croce Rossa17 che ha come obiettivi di tirocinio del secondo anno l’esecuzione di “esami ema-tochimici (destrostick)”. Difficile ritenerla come attività riservata a una categoria professionalee, soprattutto, come un’attività che necessita di conoscenze professionali vere e proprie.D’altra parte sono già alcuni decenni che alcune categorie di malati – si pensi ai diabetici –

ricorrono a macchine analoghe e l’introduzione dei point of care in numero e per analisi limi-tate sono presenti da molti lustri anche negli ospedali. Nulla osta all’affermazione della legitti-mità anche se si riscontra, anche come dato di letteratura internazionale, la resistenza del per-sonale infermieristico alla introduzione dei point of care. Le diffidenze possono essere di natura organizzativa (per esempio, l’aumento del carico di

lavoro talvolta già oneroso per il personale), di natura sindacale, di natura professionale (l’im-plementazione dei point of care deve comunque prevedere i controlli di qualità che sono deltutto simili a quelli di un laboratorio), ma non certo sono ammissibili argomentazioni che neaffermino, per il personale infermieristico, la illegittimità, stante gli ampi spazi previsti dallaflessibile normativa sull’esercizio professionale e sopra richiamata, quanto meno in presenzadi una organizzazione che veda nel laboratorio di analisi il garante dei controlli di qualità de-gli apparecchi.

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16 Provvedimento 22 febbraio 2001 “Accordo tra il Ministro della sanità, il Ministro per la solidarietà so-ciale e le regioni e province autonome di Trento e Bolzano, per la individuazione della figura e del relativoprofilo professionale dell’operatore socio-sanitario e per la definizione dell’ordinamento didattico dei corsidi formazione”. 17 D.M. 9 novembre 2010 “Disciplina del corso di studio delle infermiere volontarie della Croce Rossa ita-liana”.

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L’esercizio abusivo del medico nei confronti delle competenze delle professioni sanitarie: è configurabile?Un’interessante questione può essere posta in relazione allo sviluppo delle professioni sanitariee, in particolar modo, se possa essere configurabile il reato di esercizio abusivo per un medicoche svolga attività generalmente attribuite alla professione infermieristica.Gli elementi normativi ci sono tutti e, in particolare, il disposto della legge 42/1999 che pone

un preciso riferimento al campo di attività e di responsabilità. Se vi è un “campo di attività e diresponsabilità” se ne dovrebbe presumere l’assoluta esclusività con conseguente abuso da partedei non abilitati. Questa interpretazione – ripetiamo pur configurabile in dottrina – non sembra essere certo

prossima come interpretazione giurisprudenziale visto che recentemente la Suprema Corte diCassazione,18 in un caso che riguardava il presunto esercizio abusivo di un medico sull’attivitàdi fisioterapista ha avuto modo di precisare:

[...] la normativa summenzionata (il riferimento è alla legge 42/1999 e ai profili professionali) si riferi-sce ai non laureati e non al medico, che in quanto titolare della laurea in medicina e chirurgia è abilitatoad esplicare assistenza sanitaria in funzione di prevenzione, diagnosi, e cura, di guisa che il diploma dispecializzazione nella riabilitazione non può essere previsto tra i requisiti, la cui mancanza impediscaa qualsivoglia medico di esercitare la terapia della riabilitazione.E invero il medico, in quanto iscritto all’ordine, può esplicare lecitamente attività professionale, la qualeè caratterizzata dall’autonomia sia nella scelta dell’area di intervento, sia nell’accettazione o meno delledomande di assistenza rivoltegli.La speciale abilitazione da parte dello Stato, cui fa riferimento l’art. 348 c.p., senza la quale l’eserciziodi un’attività professionale è abusivo, cioè illegale, per la professione medica deve pertanto identificarsinell’iscrizione all’albo dei medici, in quanto titolo costitutivo per l’esercizio della professione. Nulla quindipuò impedire che un medico chirurgo, abilitato all’esercizio della professione, svolga attività, esclusivao connessa, di fisioterapia, non essendo previsto da alcuna legge dello Stato (così come per i radiologi,gli anestesisti e gli odontoiatri), che per i medici iscritti all’albo professionale sia necessario ulteriore di-ploma o specializzazione per l’esercizio di tale specialità.

Quindi l’attività di medico-chirurgo – secondo questa impostazione della giurisprudenza dilegittimità – ricomprende le altre attività professionali sanitarie. Interpretazione che però è statacriticata dalla dottrina.19

L’ipotesi – pur suggestiva da un punto di vista giuridico – non ha oggi un serio fondamentoper essere accolta.

L’esercizio abusivo e le pratiche non convenzionaliIn questi anni le problematiche delle terapie non convenzionali sono state spesso all’attenzionedel dibattito giuridico e medico-legale, oltreché professionale.Il dibattito è sempre molto serrato e non vi è accordo neanche sul modo di denominarle. Le abbiamo sentite definire in un numero imprecisato di modi: medicine alternative, com-

plementari, parallele, dolci, naturali, olistiche, integrate, verdi, non scientifiche ecc.

18 Cassazione penale, VI sez., sentenza del 25 novembre 2003, n. 49116. Massima, testo e commento in Ri-vista di diritto delle professioni sanitarie, 3, 2004.19 Vedi Norelli G.A., L’anatomia e l’equivalenza per le professioni sanitarie nell’interpretazione della Cortedi Cassazione, Rivista di diritto delle professioni sanitarie, 1, 2005, pp. 10-14.

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Il dibattito istituzionale si è orientato – negli ultimi anni – a chiamarle “medicine non con-venzionali”20 abbandonando la denominazione di “medicine alternative” in quanto alternativopuò essere usato correntemente per “descrivere un trattamento medico che può sostituirsi a untrattamento chirurgico e viceversa”.21

In un recente parere il Comitato Nazionale di Bioetica invita invece a chiamarle “medicinealternative”22 facendovi rientrare tutte quelle pratiche “la cui efficacia non è accertabile con i cri-teri adottati dalla medicina scientifica. In realtà sarebbe necessaria anche un’ulteriore distin-zione tra “medicine” e “terapie” e forse anche una sottodistinzione con le “pratiche empiriche”. Nel mondo medico vi è la divisione tra coloro che ritengono ingiusto comunque definirle me-

dicine in quanto non vi sono gli estremi della evidenza scientifica a sorreggerle e tra chi – comela Federazione nazionale degli ordini dei medici – ne chiede una regolamentazione. In un do-cumento della FNOMCeO del 18 maggio 2002 si invita il Parlamento a regolamentare e definirecome attività mediche pratiche quali l’agopuntura, la fitoterapia, la medicina ayurvedica, la me-dicina antroposofica, la medicina omeopatica, la medicina tradizionale cinese, l’omotossicolo-gia, l’osteopatia e la chiropratica. Tra le più importanti terapie rimarrebbero quindi fuori dall’esclu-sività medica solo attività come il massaggio tradizionale cinese, lo shiatzu e i fiori di Bach.La Regione Piemonte23 ha tentato di regolamentare con legge regionale – che è stata però ri-

tenuta illegittima dalla Corte costituzionale – tali pratiche suddividendole tra medicine e terapienon convenzionali, facendo rientrare in queste ultime (esercitabili quindi da non medici) la refles-sologia, la naturopatia e lo shiatsu con l’istituzione del “registro regionale degli operatori delle pra-tiche terapeutiche e delle discipline non convenzionali” che “è articolato in due sezioni dedicaterispettivamente agli operatori medici e agli operatori non medici, suddivisi per specialità”. Nessunaregolamentazione legislativa però, al momento, risulta vigente. Dobbiamo quindi rifarci alla inter-pretazione della giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, la quale ha condannato un in-fermiere agopuntore per esercizio abusivo della professione medica con la seguente massima:

Integra gli estremi di esercizio abusivo di professione medica l’attività di un operatore sanitario – con laqualificazione di infermiere professionale e di massoterapista – che pratichi l’attività di agopuntura.L’agopuntura, al pari di altre terapie, quali l’omeopatia, l’omotossicologia, la fitoterapia ed altre terapieomologhe, è annoverata tra le terapie terapeutiche non convenzionali, che richiedono la specifica co-noscenza della scienza medica e che realizzano un’attività sanitaria consistente, cioè, in una diagnosidi un’alterazione organica o di un disturbo funzionale del corpo o della mente e nell’individuazione deirimedi e nella somministrazione degli stessi da parte di un medico o da personale paramedico sotto ilcontrollo medico.L’agopuntura è una terapia invasiva che, oltre all’effetto tipico ipnotico e anestetico che essa provocasul paziente, è esposta a tutti i rischi collegati a intervento di tale natura, quali quello di lesioni gravi cau-ste da invasioni in parti non appropriate del corpo umano, senza contare il rischio di infezioni per usodi utensili non sterilizzati nel rispetto degli standards attualmente previsti e periodicamente verificati daiservizi sanitari.

Cassazione penale, VI sez.,sentenza del 21 maggio 2003, n. 22528

20 Proposta di risoluzione sullo statuto delle medicine non convenzionali; Parlamento europeo, Gazzetta Uf-ficiale dell’Unione Europea, n. 297,13 ottobre 1992.21 Introna F., Aspetti medico legali della situazione italiana sulle medicine non convenzionali per il terzomillennio, Rivista italiana di medicina legale, 1, 1999.22 Comitato nazionale di bioetica, Le medicine alternative e il problema del consenso informato, 18 marzo2005, http://www.governo.it/bioetica/testi/Medicine%20Alternative.pdf.23 Legge regionale 24 ottobre 2002, n. 25 “Regolamentazione delle pratiche terapeutiche e delle disciplinenon convenzionali”.

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In una logica di comparazione tra più pratiche risulta incomprensibile come l’agopunturadebba essere considerata “atto medico” e una pratica similare, quanto meno per livello di cono-scenze richiesto, come il massaggio tradizionale cinese, non debba esserlo. Il patrimonio cogni-tivo, il know-how richiesto – la conoscenza dei meridiani della medicina cinese – le rendono omo-genee, a meno che non si voglia fare del criterio della invasività il limite guida tra le professioni.Ricordiamo che l’invasività nell’agopuntura consiste nell’inserimento di pochi millimetri dell’agoin corrispondenza ai corretti meridiani.Anche in questo caso la strada per la corretta definizione dell’atto medico è ben lunga da per-

correre.

LA SOMMINISTRAZIONE E LA DETENZIONE DI FARMACI GUASTI O IMPERFETTI

L’art. 443 c.p. recita testualmente:

Chiun que detiene per il commercio, pone in commercio o somministra medicinali guasti o imperfetti è punitocon la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a lire 200 000.

L’art. 443 c.p. prevede quindi tre distinte fattispecie:

– la detenzione per il commercio;– la messa in commercio;– la somministrazione di medicinali guasti o imperfetti.

Prima di addentrarsi nell’analisi delle fattispecie previste dal codice è opportuno chiarire checosa si intende per farmaco.A questo proposito la definizione più autorevole, quanto meno a livello legislativo, proviene

dalla Comunità Europea ed è stata recepita in Italia con apposito atto normativo.La nozione giuridica di “farmaco” o, come da sempre lo chiama la legge, “medicinale”, è oggi

contenuta all’interno del D.Lgs. 24 aprile 2006, n. 219 “Attuazione della direttiva 2001/83/CE (esuccessive direttive di modifica) relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali peruso umano, nonché della direttiva 2003/94/CE” che ha la dichiarata natura di un vero e propriotesto unico normativo della materia. Rispetto al passato24 il concetto di medicinale si è maggiormente articolato anche se non si

rinvengono differenze sostanziali.In particolare viene definito farmaco “ogni sostanza o associazione di sostanze presentata

come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane” e di conseguenza “ogni so-stanza o associazione di sostanze che può essere utilizzata sull'uomo o somministrata all'uomoallo scopo di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche, esercitando un'azionefarmacologica, immunologica o metabolica, ovvero di stabilire una diagnosi medica”.

i principali reati a carico dell’infermiere – Capitolo 7

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24 Nella previgente normativa, contenuta all’interno del D.Lgs. 29 maggio 1991, n. 178 “Recepimento delle di-rettive della Comunità economica europea in materia di specialità medicinali” veniva definito medicinale “ognisostanza o composizione presentata come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane o ani-mali, nonché ogni sostanza o composizione da somministrare all’uomo o all’animale allo scopo di stabilire unadiagnosi medica o di ripristinare, correggere o modificare funzioni organiche dell’uomo o dell’animale”.

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La norma in questione tutela solo i farmaci e non i presidi sanitari,25 anche nella recente de-finizione di pre sidio data dalla più recente normativa.26 Quindi non rientrano nella nozione difarmaco per esempio i deflussori per fleboclisi, le siringhe, gli aghi ecc. Più complessa è la defi-nizione di farmaco guasto o imperfetto. Per farmaci guasti, ai fini della configurabilità del reatoin questione, devono intendersi quei medicinali che “si sono alterati per qualsiasi causa, come ilnormale deperimento, la vetustà, la fermentazione”.27

Per quanto riguarda i farmaci imperfetti si ritengono tali, ai fini della configurabilità del reatoin questione, sia il medicinale non preparato secondo le prescrizioni scientifiche o nel quale nonsi siano verificate tutte le condizioni per evitare, nei limiti del possibile, ogni pericolo nel suo usoo per renderlo idoneo al suo scopo, sia il medicinale che, pur non essendo guasto, sia difettosoper qualsiasi altra causa. L’imperfezione, quindi, è stata intesa dal legislatore come una nonconformità con i principi della tecnica farmaceutica e comprende quindi ogni vizio non dipen-dente da contraffazione o adulterazione. Rientrano quindi nella nozione di farmaco imperfetto tutti quelli che, pur genuini, non siano

stati dosati nella misura prescritta oppure abbiano una composizione diversa da quella dichia-rata nell’involucro e quindi auto rizzata.28

Affinché si verifichi il reato la giurisprudenza, pressoché costantemente, è orientata nel rile-vare che non oc corra la prova che il medicinale guasto sia concretamente pericoloso per la sa-lute pubblica, in quanto il pericolo è presunto in via assoluta dalla legge.29 Non sono mancate sulpunto voci contrarie30 per negare l’assimilabilità dei farmaci scaduti ai farmaci imperfetti. Taleassimilazione porterebbe a un praesumptum de praesumpto. Per evitare tale pericolo è necessa-rio arrivare a una necessaria “verifica di laboratorio dei prodotti scaduti, non potendosi escluderela permanenza dell’efficacia medicamentosa negli stessi”.31 Senza cioè questo tipo di accer -tamento non è possibile escludere né la permanenza dell’efficacia medicamentosa né la presenzadi un degrado che possano consentire di qualificare come guasto un medicinale per il solo fattoche sia trascorsa la sua scaden za. Del resto, è anzi abbastanza noto che un medicinale scaduto

Capitolo 7 – i principali reati a carico dell’infermiere

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25 Pretura di Isola della Scala, sentenza del 29 novembre 1980: “L’avere posto in commercio e detenuto unpresidio medico chirurgico non confi gura il reato di cui all’art. 443, in quanto la norma si applica esclusiva-mente ai medicinali, fra i quali non possono ricomprendersi i presidi medico-chirurgici”. Si trattava, nellaspecie, di un tubo deflussore all’interno del quale era stata ritrovata una larva.26 Il riferimento è al D.Lgs. 24 febbraio 1997, n. 46 riguardante l’attuazione della direttiva 93/42/CEE, con-cernente i dispositivi medici. All’art. 1 di tale fonte si precisa che per dispositivo medico si intende “qualsiasistrumento, apparecchio, impianto, sostanza o altro pro dotto, utilizzato da solo o in combinazione, compresoil software informatico impiegato per il corretto funzionamento, e destinato dal fab bricante a essere impie-gato nell’uomo a scopo di diagnosi, prevenzione, controllo, terapia o attenuazione di una malattia; di dia-gnosi, con trollo, terapia o attenuazione o compensa zione di una ferita o di un handicap; di studio, sostitu-zione o modifica dell’anatomia o di un pro cesso fisiologico; di intervento sul concepimento, il quale prodottonon eserciti l’azione principale, nel o sul corpo umano, cui è destinato, con mezzi farmacologici o immu-nologici né mediante processo metabolico, ma la cui funzione possa essere coadiuvata con tali mezzi”.27 Cassazione, I sez., sentenza del 27 ottobre 1982, Graziani, Cassazione penale, 518, 1984.28 Contro questa nozione di farmaco imperfetto si schierano Fiandaca e Musco (Diritto penale. Parte speciale,Za ni chelli, Bologna, 1988), che consi derano imperfetto il farmaco scaduto di validità, mentre secondo la giu-risprudenza corrente rientra nella nozione di farmaco guasto (la vetustà).29 Cassazione 3 aprile 1986, Rivista penale, 781, 1986; vedi inoltre Cassazione, I sez., Viali, Archivio penale,II, 157, 1977, con nota di Mazza “L’accer tamento e la prova del dolo nel delitto di comune pericolo del com-mercio o somministrazione di medicinali guasti”.30 Fiandaca G., Musco E., Diritto penale. Parte speciale, op. cit., p. 529.31 Aprile C., Scadenza di validità dei medicinali e responsabilità del farmacista ex art. 443 c.p.: brevi consi-derazioni in margine a una inno vativa sentenza, Sanità pubblica, 1991, p. 96.

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non è necessariamente privato della sua efficacia terapeutica, che conserva in tutto o in parte,ma che pur sempre presenta”.32

La lettera dell’art. 433 c.p. sembra escludere l’ipotesi della “detenzione per la sommini-strazione”.Bisogna a tale proposito tenere presente che i farmaci nelle strutture sanitarie vengono con-

servati sia nelle farmacie centrali, sia nelle farmacie di reparto. Nelle prime vi è la responsabi-lità diretta del farmacista, nelle se conde vi è la responsabilità diretta del caposala (vedi notina28) e degli infermieri professionali. Nelle case di cura private la responsabilità è del direttoresanitario.33 Non si ritiene che debba sussistere la responsabilità del dirigente con incarico distruttura complessa – direttore, ex figura primariale, data la genericità o la carenza di normeal riguardo.34

La Corte di Cassazione si è occupata più vol te dell’argomento, in due distinti filoni giuri-sprudenziali, così riassumibili:

– l’orientamento dell’assimilazione della de tenzione per la somministrazione con la deten-zione per il com mercio;

– l’orientamento della non assimilazione della detenzione per il commercio con la deten-zione per la som ministrazione.

L’orientamento di assimilazione della detenzione per il commercio con la detenzione per la somministrazioneIn una prima sentenza, la Corte di Cassazione, spingendosi oltre la lettera dell’art. 443 c.p., haconfermato la sentenza del Tribunale di Roma che, in punto di diritto, sanciva l’equivalenzadelle ipotesi della detenzione per il commercio con quella della detenzione per la sommini-strazione.La suprema Corte ha precisato che “la detenzione per il commercio e la detenzione per la

somministrazione non costituiscono situazioni differenti: entrambe sono funzionali e diretteall’uso effettivo del farmaco”.Fondatamente, perciò, i giudici di merito hanno ritenuto che, lungi dal costituire una nuova

e non prevista ipotesi di reato, la detenzione per la somministrazione è un aspetto della primaprevisione dell’art. 443 c.p.35

Questo orientamento è stato confermato da una successiva sentenza in cui la Corte ha ri-badito che non ha “al cun fondamento la distinzione tra la detenzione per il commercio e la de-tenzione per la somministrazione pro spettata dal ricorrente dato che sia l’una che l’altra ren-dono probabile, o quanto meno possibile, l’utilizzazione concreta del medicinale guasto o im-perfetto a scopo terapeutico”.36

I controlli e gli accorgimenti che il caposala e gli infermieri professionali devono operareper non incorrere nel reato di cui all’art. 443 c.p. consistono:

– nel controllo della scadenza del farmaco;

i principali reati a carico dell’infermiere – Capitolo 7

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32 Pretura di Empoli, 2 novembre 1989, Sanità pubblica, 1991, p. 961.33 Cassazione, 3 Aprile 1986, Rivista penale, 781, 1986; vedi inoltre Cassazione, I sez., Viali, Archivio penale,II, 157, 1977, con nota di Mazza “L’accertamento e la prova del dolo nel delitto di comune pericolo del com-mercio o somministrazione di medicinali guasti”.34 Fiandaca G., Musco E., Diritto Penale – Parte speciale, op. cit., p. 529.35 Cassazione penale, IV sez., udienza del 9 ottobre 1987, sentenza n. 1772.36 Corte di Cassazione, I sez., sentenza dell’1 luglio 1994, n. 577, Rassegna di diritto farmaceutico, n. 6, 1995.

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– nel controllo dell’integrità della confezione;– nel rispetto delle norme previste per la conservazione.

Un farmaco che deve essere conservato a basse temperature e venisse invece conservato atemperatura am biente potrebbe facilmente deteriorarsi.Il controllo di cui sopra non può e non deve spingersi oltre, per esempio non deve portare

all’apertura dei prodotti e alla loro dispersione in altri contenitori, in quanto sia l’inscatolamento,sia l’apposizione di sigilli posti dalla casa farmaceutica costituiscono indice di garanzia di nonmanomissione da parte di alcuno.37

Una volta scaduti i farmaci, se non possono essere eliminati (per esempio perché stupefa-centi), devono es sere nettamente separati dagli altri. La giurisprudenza ha ritenuto “insufficientela sola separazione per scomparti, all’interno dell’armadietto delle specialità stupefacenti, senzaalcuna altra specifica indicazione che potesse scongiurare il pericolo di errori”.38

Spostare invece i farmaci scaduti in altro armadio, non destinato alla preparazione dei far-maci utili alla som ministrazione della terapia e debitamente chiuso a chiave, esclude il reato.39

La giurisprudenza della suprema Corte aveva sottolineato che a nulla valeva l’assunto chela qualificazione professionale dei detentori (medici e infermieri) escluderebbe il pericolo per lasomministrazione, dato che “anche la detenzione per il commercio avviene a opera di persone(farmacisti) dotate di altrettanta qua li fi ca zione professionale”.40

Anche la giurisprudenza di merito si era uniformata a tale orientamento, precisando che la pre-senza dei far maci scaduti nell’armadio della terapia “prelude secondo nozioni di comune espe-rienza, al fine di somministra zione degli stessi e ciò vale a integrare il reato di cui all’art. 443 c.p.”41

Non sono mancate interpretazioni diverse, soprattutto nella giurisprudenza pretorile, a pro-posito di farmaci scaduti trovati all’interno di armadi contenenti la farmacia di reparto. In que-sto caso è stato riconosciuto questo indizio “non grave, essendo i farmaci scaduti da pochissimigiorni ed essendo pertanto la loro presenza nell’am bulatorio compatibile anche con una meradimenticanza, o con un disordine nella custodia dei farmaci. La con clusione sarebbe stata di-versa se fosse stata accertata la presenza di farmaci scaduti sul carrello dei medicinali prontiper essere somministrati ai degenti durante il giro da parte degli operatori sanitari”.42

Il nuovo orientamento: la non as similabilità della detenzione per il commercio con la detenzione per la som ministrazioneDue caposala di Genova erano state denunciate per detenzione di farmaci scaduti. Con sentenzadel 7 ottobre 1994 il GIP (giudice per le indagini preliminari) presso la pretura circondariale diGenova dichiarava di non potersi procedere contro le due caposala in quanto il fatto non costi-tuisce reato. Il PM ricorre in cassazione denunciando l’erronea applicazione della nor ma penalesul rilievo che le indagate, caposala di reparto ospedaliero e, quindi, responsabili della correttacon servazione dei farmaci, dovevano considerarsi colpevoli del delitto loro ascritto in quantola detenzione per la somministrazione di medicinali scaduti corrispondeva alla detenzione peril commercio.

Capitolo 7 – i principali reati a carico dell’infermiere

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37 Cassazione penale, IV sez., sentenza del 18 ottobre 1984.38 Corte di Cassazione, I sez., sentenza del 12 ottobre 1998-19 febbraio 1999, n. 2129, massima in Guida aldiritto, n. 15 del 17 aprile 1999.39 Pretura di Busto Arsizio, sentenza del 30 marzo 1996, Rassegna di diritto farmaceutico, n. 2, 1996.40 Corte di Cassazione, I sez., sentenza dell’1 luglio 1994, cit.41 Pretura di Ferrara, sez. distaccata di Comacchio, sentenza del 10 novembre 1995, citata da Benci L., Ma-nuale giuridico professionale per l’esercizio del nursing, aggiornato al 2004, McGraw-Hill, Milano, 2005. 42 Pretura di Pavia, sentenza del 23 gennaio 1995, n. 48.

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La Cassazione43 ha affermato che, pur aven do sostenuto in passato che non aveva alcunfondamento la di stinzione tra la detenzione per il commercio e la detenzione per la sommini-strazione, ora questo indirizzo “non può essere confermato” in quanto la norma incriminatrice,punendo chi “detiene per il commercio, pone in com mercio o somministra”, vincola l’interpretea un “insuperabile dato ermeneutico di ordine testuale, che, nella sua specifica e univoca por-tata, segna la determinatezza della fattispecie penale e ne delimita i precisi confini, identifi-cando, ai fini della consumazione del reato, distinte condotte, l’ultima delle quali, a differenzadi quanto previsto per il commercio di farmaci imperfetti, riguarda l’effettiva somministrazionee non anche la detenzione a essa destinata”.L’assimilazione delle due ipotesi (detenzione per il commercio e detenzione per la sommi-

nistrazione) deve considerarsi “preclusa dai princìpi di legalità e di tassatività della norma pe-nale” con conseguenti problemi di legittimità costituzionale. Successivamente la cassazione haconfermato questo orientamento.44

Il reato previsto dall’art. 443 c.p. per quanto concerne la detenzione può “concretare un’ipo-tesi di tentativo punibile ex art. 56 c.p.45 quando costituisca atto idoneo diretto in modo nonequivoco alla somministrazione e sia accompagnata dalla consapevolezza del guasto o dellaimperfezione del medicinale”. Infine ha precisato la Corte suprema che “è escluso che la soladetenzione per la somministrazione possa dare origine a responsabilità […] e che detta deten-zione, dovuta a colpa, possa essere punita a titolo di tentativo”.La sentenza 190/1995 contiene in effetti un completo capovolgimento dell’interpretazione

dell’art. 443 del c.p. nella parte che riguarda la detenzione per la somministrazione a cui, pe-raltro, si è subito allineata la giuri sprudenza di merito.46

In effetti non si può non essere d’accordo con la cassazione nelle motivazioni quando spe-cifica che a fronte di un dato testuale preciso non si può andare a un’interpretazione analogicain quanto questa deve ritenersi “pre clusa dai principi di legalità e di tassatività della norma pe-nale”.Il contrasto di giurisprudenza in una stessa se zione della stessa Corte è un fatto non nuovo. La dottrina aveva però già avuto modo di anticipare questo orientamento.47

I contorni fatti assumere dalla nuova interpretazione della giurisprudenza di legittimità nonsono però chiari quando essa afferma che la detenzione di farmaci può “concretare un’ipotesi

i principali reati a carico dell’infermiere – Capitolo 7

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43 Corte di Cassazione, I sez. penale, sentenza del 14 aprile 1995, n. 190. Massima in Sanità pubblica, 1, 1997e sentenza in Rassegna di diritto farmaceutico, n. 1, 1997.44 Si segnalano le seguenti massime: “La norma incriminatrice contenuta nell’art. 443 c.p. (commercio osomministrazione di medi cinali guasti) riguarda soltanto chi detiene per il commercio, pone in commercioo somministra medicinali guasti o imperfetti. Ne conse gue che non è possibile assimilare all’ipotesi della de-tenzione per il commercio, espressamente prevista, quella della detenzione per la somministrazione.” I sez.,sentenza del 29 febbraio 1996, n. 2197 (udienza dell’1 dicembre 1995). “La norma incriminatrice contenutanell’art. 443 c.p. riguarda soltanto chi detiene per il commercio, pone in commercio o somministra medici-nali guasti o imperfetti. Ne consegue che non è possibile assimilare all’ipotesi della detenzione per il com-mercio, espressamente prevista, quella della detenzione per la sommi nistrazione. I sez., sentenza del 6 mag-gio 1998, n. 5282 (udienza del 19 marzo 1998).45 Art. 56 c.p. Delitto tentato “Chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto,risponde di delitto tentato, se l’azione non si compie o l’evento non si verifica […]”.46 Vedi fra le altre, Pretura di Varese, sentenza del 9 gennaio 1997, n. 11, inedita.47 “La detenzione (per la somministrazione) rappresenta infatti un momento prodromico rispetto all’effet-tiva somministrazione, che è la vera condotta incriminata dalla norma”, in Fiandaca G., Musco E., Diritto pe-nale. Parte speciale, op. cit., p. 531.

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di tentativo punibile ex art. 56 c.p. quando costituisca atto idoneo diretto in modo non equivocoalla somministrazione e sia accompagnata dalla consapevolezza del guasto o della imperfe-zione del medicinale”. C’è da rimanere perplessi. La detenzione per la somministrazione di farmaci scaduti integrerebbe gli estremi del reato

solo quando l’infermiere o il caposala deterrebbero per finalità non equivoche dirette alla som-ministrazione accompagnate “dalla consapevolezza del guasto o della imperfezione del medi-cinale”. Il personale sanitario verrebbe cioè punito solo quando vuole som ministrare un farmacoscaduto, co noscendolo come tale. Con ciò la cassazione si pone in chiaro contrasto con l’una-nimità della dottrina che considera il delitto tentato come reato doloso48 sulla base del presup-posto che “il tentare, se inteso nel concetto comune, è incompatibile con la colpa […] ma anchein base alla regola generale dell’art. 42/2, mancando ogni espres sa previsione del tentativo col-poso”.49

La migliore dottrina precisa che il tentativo nei reati colposi è “ontologicamente inconcepi-bile […] per in compatibilità logica”.50

Questo orientamento ha trovato conferma anche nei dubbi di una pronuncia pretorile che haavuto modo di affermare che la sentenza in oggetto “adombra una detenzione dovuta a colpa[…] punita a titolo di tentativo […] di dubbia conciliabilità con la ferma e unanime configurazionedel delitto tentato come strutturalmente do loso”.51

Questo orientamento della non assimilabilità della detenzione per il commercio con la deten-zione per la somministrazione è stato nuovamente confermato dalla Corte che in una recentissimapronuncia ha dichiarato questo tipo di giurisprudenza “preferibile”.52

Nella specie si trattava della responsabilità di un direttore sanitario di una casa di cura che de-teneva in un “locale adibito a farmacia o comunque a deposito di farmaci, ma anche in un carrellodi somministrazione all’interno della sala di medicazione, in una vetrina di uno studiolo e perfinoin una valigetta aperta (unitamente ad altri) nella sala operatoria, numerosissimi medicinali sca-duti anche da lungo tempo”.Non crediamo che possa essere messa la parola fine all’interpretazione dell’art. 443 c.p., stante

la denun ciata illogicità del tentativo in un reato colposo. Diverso è invece non il tentativo ma ilreato compiuto, nella fat tispecie della somministrazione del farmaco. La giurisprudenza, sul punto,non ha avuto incertezze interpretati ve.53

Alla luce del nuovo orientamento giurisprudenziale di non assimilabilità della detenzione peril commercio alla detenzione per la somministrazione, si è realizzata una disparità di disciplinatra le due ipotesi, tanto da fare adombrare sul punto un problema di incostituzionalità per viola-zione del principio di uguaglianza. La questione è stata dichiarata manifestamente infondata “per la parte in cui è penalmente

sanzionata la detenzione in farmacia di specialità medicinali negli armadi farmaceutici dei re-parti ospedalieri; infatti la detenzione di medicinali scaduti da parte del farmacista non può es-sere assimilata al medesimo comportamento tenuto da personale ospedaliero, in quanto, nelprimo caso, l’eventuale assunzione del farmaco avviene direttamente ad opera del paziente, nelsecondo, è affidata al personale infermieristico, che può esercitare controllo, tanto nel momento

Capitolo 7 – i principali reati a carico dell’infermiere

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48 Fiandaca G., Musco E., Diritto penale – Parte speciale, op. cit., p. 344.49 Mantovani F., Diritto penale – Parte generale, Ce dam, Padova, 1988, p. 416.50 Mantovani F., Diritto penale – Parte generale, op. cit.51 Pretura di Varese, sentenza cit.52 Corte di Cassazione, I sez., sentenza del 27 gennaio 1998, n. 1850.53 Cassazione penale, IV sez., sentenza del 16 luglio 1997, n. 1318.

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del prelievo del medicinale dall’apposito armadio, quanto nel momento della sua effettiva som-ministrazione”.54

CasisticaLa Corte di Cassazione, confermando una sentenza di condanna contro alcune caposala, ha statuito chela de tenzione per la somministrazione sia assimilabile alla detenzione per il commercio, in quanto sial’una, sia l’altra ipotesi rispondono alla medesima finalità, e cioè all’uso concreto del medicinale, e quindiil rischio per l’incolumità pubblica è identico.La detenzione per la somministrazione e la detenzione per il commercio non sono quindi due situazionidi verse perché identica è la ratio.Il procedimento in esame era partito dalle denunce compiute dai NAS che, nel corso di un’ispezione, ave -vano trovato varie confezioni di farmaci scaduti negli armadi farmaceutici dei reparti.

Cassazione penale, IV sez., udienza del 9 ottobre 1987, sentenza n. 1772

Tre infermieri professionali, che svolgevano la propria attività in un ospedale, prestavano servizio in orariodi lavoro straordinario presso una casa protetta. Il loro impegno orario complessivo era di 50 ore mensili.Durante un’ispezione dei NAS vengono riscontrati dei farmaci scaduti nell’armadio della terapia. La te-nuta dell’armadio della terapia era di competenza di “assistenti di base” (figura non ben precisata, maprobabilmente a metà strada tra un ausiliario e un OTA). Non era prevista la figura del caposala.La difesa degli infermieri si è basata, tra l’altro, sull’impossibilità di operare tale controllo per mancanzadi tempo. Il Pretore ha ritenuto che le ore in cui gli infermieri prestavano servizio costituissero un tempo“sicura mente sufficiente a svolgere appieno tutte le mansioni attribuite”.La presenza dei farmaci scaduti nell’armadio della terapia “prelude, secondo nozioni di comune espe-rienza, al fine di somministrazione degli stessi e ciò vale a integrare il reato di cui all’art. 443 c.p.”.Nel caso di specie un farmaco scaduto (Uretral pomata) era stato rinvenuto addirittura sul carrello didistri buzione dei farmaci. Il giudizio di insalubrità dei farmaci è svolto dal legislatore che impone l’indi-cazione della scadenza sulle confezioni dei farmaci.La pena comminata è stata di 4 mesi di reclusione (sostituita con otto mesi di libertà controllata) e L. 200 000 di multa con la pubblicazione della sentenza, per una volta, sul quotidiano locale.

Pretura di Ferrara, sez. distaccata di Comacchio , sentenza del 10 novembre 1995

Un infermiere professionale è stato condannato prima in Pretura, con conferma in Corte di Appello, perla detenzione di farmaci scaduti.Nel ricorso in cassazione la difesa ha sostenuto, tra l’altro, che la detenzione per la somministrazione èesclusa dalla previsione della norma incriminatrice, in quanto “la competenza professionale delle per-sone che detengono le medi cine per la somministrazione (medici, infermieri ecc.) escluderebbe ogni pe-ricolo: e le dette persone sarebbero puni bili, ai sensi dell’art. 443 c.p. solamente se effettivamente som-ministrano medicinali guasti o imperfetti”.La cassazione ha respinto questo assunto confermando il suo precedente orientamento precisando chenon ha “alcun fondamento la distinzione tra detenzione per il commercio e detenzione per la sommini-strazione pro spettata dal ricorrente: dato che l’una e l’altra rendono probabile, o quanto meno possibile,l’utilizzazione con creta del medicinale guasto o imperfetto […]”.“Né si può ritenere (come vorrebbe il ricorrente) che la detenzione per la somministrazione sia esclusadalla previsione della norma incriminatrice, perché non presenterebbe alcun pericolo, tenuto conto dellaqualifica zione professionale delle persone che detengono i medicinali per la somministrazione (medici,infermieri ecc.), dato anche che la detenzione per il commercio avviene a opera di persone (farmaci-sti) dotate di altrettanta qua lificazione personale”.

Corte di Cassazione, I sez., sentenza del 1° luglio 1994, n. 577

i principali reati a carico dell’infermiere – Capitolo 7

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54 Cassazione penale, I sez., 12 ottobre 1998 – 19 febbraio 1999, n. 2129, massima in Sanità pubblica, 6, 2000,p. 910.

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In una casa di riposo i NAS contestano al caposala la presenza di farmaci scaduti. Nel processo,conclusosi con sentenza di as soluzione del caposala, il Pretore ha ricostruito il fatto, precisando:

– i farmaci in questione erano scaduti da pochi giorni;– tutti i farmaci che al momento del controllo si trovavano su un carrello per essere sommi-nistrati ai de genti durante il “giro” da parte degli operatori sanitari non erano scaduti.

In base a questo il Pretore ha ritenuto né la somministrazione di farmaci scaduti, né la destinazione de-gli stessi alla somministrazione. L’unico indizio di destinazione alla somministrazione è la presenza deifarmaci sca duti nell’ambulatorio della casa di riposo, in un armadio insieme ad altri farmaci in corso divalidità.Il Pretore ha riconosciuto questo indizio “non grave, essendo i farmaci scaduti da pochissimi giorni edes sendo pertanto la loro presenza nell’ambulatorio compatibile anche con una mera dimenticanza, ocon un di sordine nella custodia dei farmaci. La conclusione sarebbe stata diversa se fosse stata ac-certata la presenza di farmaci scaduti sul carrello dei medicinali pronti per essere somministrati ai de-genti durante il giro da parte de gli operatori sanitari”.“In assenza di accertamenti del tipo di quelli appena indicati, l’unicità e la non gravità dell’indiziosummen zionato non consente di ritenere provata né la somministrazione di farmaci scaduti ai degenti,né che la deten zione dei farmaci scaduti fosse finalizzata a tale somministrazione”. Conclude la sen-tenza specificando che “non essendo la mera detenzione dei farmaci scaduti una condotta di rilevanzapenale l’imputato deve essere pertanto assolto per l’insussistenza del fatto”.

Pretura di Pavia,sentenza del 23 gennaio 1995, n. 48

La detenzione di farmaci scaduti o imperfetti non è prevista dalla legge come reato in quanto l’art. 443del c.p. sanziona tre condotte: la detenzione per il commercio, il commercio e la somministrazione difarmaci guasti o imperfetti.Non costituisce tentativo di somministrazione la pura detenzione di medicinali con termine di validitàsca duto conservati negli armadietti a uso del personale infermieristico.Ben diverse sarebbero le conseguenze nel caso in cui effettivamente fossero stati posti in essere attiidonei diretti in modo non equivoco alla somministrazione di medicinali scaduti, come per esempionel caso in cui i predetti medicinali fossero stati rinvenuti negli appositi carrelli predisposti per la di-stribuzione ai ricoverati. In tali ipotesi non potrebbe essere esclusa la rilevanza penale della condottaposta in essere dagli imputati.

Pretura circondariale di Belluno,sentenza del 13 maggio 1999

L’art. 443 c.p. punisce “chi detiene per il commercio, pone in commercio o somministra medicinali gua-sti o imperfetti”, cosicché, dinanzi a tale inequivoco elemento testuale, non può assimilarsi alla de-tenzione per il commercio la detenzione per la somministrazione, senza ricorrere all’applicazione ana-logica della fattispecie incriminatrice, con violazione dei principi di legalità e di tassatività della normapenale. Ne consegue che la detenzione per la somministrazione di medicinali guasti o imperfetti nonintegra il reato consumato previsto dall’art. 443 c.p., ma ben può concretare un’ipotesi di tentativo pu-nibile ex art. 56 c.p. quando costituisca atto idoneo diretto in modo non equivoco alla somministra-zione e sia accompagnata dalla consapevolezza del guasto o dell’imperfezione del medicinale.

Cassazione penale, I sez., sentenza del 14 aprile 1995, n. 4140

In tema di reati contro l’incolumità pubblica, l’inequivoco tenore testuale dell’art. 443 c.p. il quale puni-sce chi detiene per il commercio, pone in commercio, o somministra medicinali guasti o imperfetti im-pedisce ogni assimilabilità, alla prevista fattispecie della detenzione per il commercio, di quella (di per sénon contemplata dalla norma) della detenzione per la somministrazione.

Cassazione penale, IV sez., sentenza del 25 agosto 2000, n. 9359

Capitolo 7 – i principali reati a carico dell’infermiere

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L’art. 443 c.p., punendo chi detiene per il commercio medicinali guasti o imperfetti, non può applicarsianalogicamente a chi detenga tali medicinali per la somministrazione. È tuttavia configurabile il tenta-tivo di somministrazione, sempre che, nel caso concreto, ricorrano gli estremi di cui all’art. 56 c.p., primocomma (Fattispecie nella quale la S.C. ha escluso la sussistenza del delitto di cui all’art. 443 c.p. nei con-fronti di un caposala in servizio presso un presidio socio-sanitario al quale era stata addebitata la de-tenzione per la somministrazione di medicinali imperfetti perché scaduti di validità).

Cassazione penale, I sez.,sentenza del 9 marzo 1999, n. 3198

LA DISCIPLINA DEI FARMACI CAMPIONI

I farmaci campioni ricevono una particolare attenzione da parte dello stato e hanno una di-sciplina normativa a parte. La materia inizialmente regolata dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 541 denominato “Attua-

zione della direttiva 92/28/CEE concernente la pubblicità dei medicinali per uso umano” èoggi disciplinata anch’essa dal D.Lgs. 219/2006.In primo luogo bisogna definire il farmaco campione. L’art. 125 del decreto legislativo ci-

tato precisa che il far maco campione è un farmaco in commercio la cui confezione deve es-sere “graficamente identica alla confezione più piccola messa in commercio. Il suo contenutopuò essere inferiore, in numero di unità posologiche o in volume, a quello della confezione incommercio, purché risulti terapeuticamente idoneo”.I campioni di farmaci hanno il precipuo scopo di pubblicizzare le proprietà di un medici-

nale. Per pubblicità di un farmaco si intende “qualsiasi azione d’informazione, di ricerca dellaclientela o di esortazione, intesa a promuovere la prescrizione, la fornitura, la vendita o il con-sumo di medicinali”. La consegna di campioni da parte degli informatori farmaceutici rientra tra le azioni di ca-

rattere pubblicitario. Essendo però i farmaci una particolare categoria di “prodotti di consumo”ecco che la legge stessa si premura di circoscrivere tale consegna “solo ai medici autorizzati aprescriverlo”. La consegna di campioni risulta particolarmente rigorosa nella previsione normativa in

quanto “non posso no essere consegnati senza una richiesta scritta, recante data, timbro e firmadel destinatario”. È importante sottolineare che il farmaco campione può essere consegnato solo ed esclusi-

vamente entro i “diciotto mesi successivi alla data di prima commercializzazione del prodottoed entro il limite massimo di dieci campioni annui per ogni dosaggio o forma”, limite che pe-raltro non si applica per quei medicinali “vendibili al pubblico non compresi nel prontuario te-rapeutico del Servizio Sanitario Nazionale”.La normativa appena citata si applica anche per la consegna al medico ospedaliero.È proprio in ambiente ospedaliero che si registrano i maggiori problemi in relazione alla

detenzione di tali farmaci. I farmaci campioni non possono essere detenuti dal personale in-fermieristico, bensì solo da quello me dico che risponde a tutti gli effetti della loro conserva-zione, validità e smarrimento. L’in fer miere può sommini strare lecitamente un farmaco campione, in quanto è un farmaco

per il quale è stata già “rilasciata l’autorizza zione all’immissione in commercio”, ma non puòdetenerlo.La detenzione dei campioni non deve quindi in alcun modo essere confusa con la deten-

zione degli altri farmaci provenienti dal Servizio farmaceutico centralizzato. È il medico chedeve provvedere alla sua detenzione. Le sanzioni previste per l’inosservanza dal D.Lgs. n.

i principali reati a carico dell’infermiere – Capitolo 7

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219/2006 in tema di campioni ri chiamano l’art. 201 del Testo unico delle leggi sanitarie del193455 che prevede “l’arresto fino a tre mesi e l’ammenda da L. 200 000 a L. 1 000 000”.Una normativa così rigida in tema di pubblicità di farmaci e di consegna di campioni non

deve stupire, pro prio in relazione alla particolarità del prodotto. Né sarebbe giusto evocare unalimitazione alla libertà di mercato in quanto, come ha avuto modo opportunamente di speci-ficare la giurisprudenza “una discriminata li bertà in formativa in settori delicati nei quali agi-scono potenti interessi economici (false notizie di terapie risanatrici di morbi incurabili; pre-parati chimici presentati come innocui, in realtà pericolosi; terapie inconsistenti, ma forte mentereclamizzate a scopo soltanto venale; carenza di informazioni essenziali e trasparenti sui pro-dotti e sulle cure reclamizzate ecc.) non è in linea con il principio costituzionale sulla libertàdi iniziativa economica e sulla libertà del pensiero perché limiti e divieti alla pubblicità sanita-ria e controlli rigorosi del Ministero competente sono finalizzati a premiare le imprese correttee responsabili insieme con i diritti ineludibili e primari dei citta dini”.56

LA DETENZIONE DI FARMACI DIFETTOSI O CONTENENTI CORPI ESTRANEI

Qualora un operatore sanitario rilevi la presenza di corpi estranei o difetti di un medicinale, oche riceva una segnalazione da un privato cittadino deve – specifica il decreto del Ministerodella sanità 27 febbraio 2001 “Disposizioni da applicare in caso di rinvenimento di medicinalicon difetti o contenenti corpi estranei” – “innanzitutto salvaguardare l’integrità del confezio-namento del prodotto”. Nel caso in cui il prodotto sia stato già aperto deve “operare una chiu-sura provvisoria che assicuri la conservazione del prodotto nello stato di fatto in cui è stato ri-levato”.Successivamente l’operatore sanitario deve darne immediata comunicazione al Ministero

della sanità, Dipartimento per la valutazione dei medicinali e la farmacovigilanza, al quale deveanche inviare il farmaco in questione accompagnato dal modulo riportato in figura 7.1.Questo nuovo obbligo risulta a carico di tutti gli operatori sanitari, indipendentemente dal

fatto che siano incardinati in strutture pubbliche o private (e quindi anche liberi professioni-sti), non soltanto per ciò che riscontrano direttamente, ma anche per segnalazione da parte diprivati cittadini.

LA RIVELAZIONE DEL SEGRETO PROFESSIONALE

La rivelazione del segreto professionale è sanzionata dall’art. 622 del c.p.:

Chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di unsegreto, lo rivela senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se da fatto puòderivare nocumento, con la reclusione fino a un anno o con la multa da lire 12 000 a lire 200 000. Il delittoè punibile a querela della persona offesa.

Capitolo 7 – i principali reati a carico dell’infermiere

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55 Approvato con il R.D. 27 luglio 1934, n. 1265.56 Cassazione penale, II sez., sentenza del 30 giugno 1993, n. 1168.

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i principali reati a carico dell’infermiere – Capitolo 7

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Modello A

Comunicazione rinvenimento di difetti o presenza di corpi estranei nei medicinali per uso

umano. (Da compilarsi a cura dell’operatore sanitario che ha rilevato il problema o che ha ri-

cevuto la segnalazione da parte di un privato cittadino.)

Al Ministero della Sanità

Dipartimento per la valutazione dei medicinali

e la farmacovigilanza - Ufficio V

Via Civiltà Romana, 7

00144 Roma EUR

Telefax 06/59943365

Struttura o sanitario segnalante (1)………………………………………………………………………………

Medicinale (2)………………………………………………………………………………………………………

Officina di produzione………………………………………………………………………………………………

Lotto n.…………………… scadenza ……………………………………………………………………………

Difetto o corpo estraneo riscontrati (3)………………………………………………………………………

Al momento del rinvenimento la confezione era (4):

SÌ NO

integra � �

attualmente la confezione è integra � �

presenza di altre confezioni dello stesso lotto presso la struttura segnalante � �

Persona da contattare per ulteriori informazioni…………………………………………………………

Telefono……………………………… Telefax…………………………………………………………………

Firma…………………………………………………………………………………………………………………

Data…………………………………………………………………………………………………………………

(1) Indicare la denominazione della struttura o del sanitario segnalante con relativo indirizzo, recapito te-

lefonico e telefax.

(2) Indicare, oltre alla denominazione, anche l’eventuale titolare A.I.C., la forma farmaceutica, il dosaggio

e la confezione.

(3) Descrivere in modo più dettagliato possibile il problema riscontrato.

(4) Barrare la voce che interessa.

Figura 7.1Modulo di accompagnamento del farmaco difettoso da inviare al Ministero della sanità.

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Capitolo 7 – i principali reati a carico dell’infermiere

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Per segreti si intendono tutti quei fatti e quelle circostanze che “l’assistito ha interesse anon far conoscere, perché la loro conoscenza rappresenterebbe o potrebbe rappresentare perlui una causa di danno”.57

Sono tenuti al segreto non solo i professionisti (medici, infermieri, ostetriche ecc.), ma an-che coloro che vengono a conoscenza in virtù del proprio stato (stato di studente, stato sacer-dotale, ma anche i familiari del professionista e i suoi dipendenti che ne siano venuti a cono-scenza in ragione del loro lavoro), della propria arte (infermiere generico, operatore tecnicoall’assistenza), del proprio ufficio (impiegati). Non tutti i segreti sono tutelati dalla norma penale, ma solo quelli che vengono rivelati

senza “giusta causa” o quando il segreto sia sta to impiegato a proprio vantaggio o a vantag-gio di altri. Giusta causa legale di ri ve la zio ne è rappresentata da tutti gli obblighi di denun-cia derivanti da disposizioni di legge (malattie in fettive e delitti che prevedano reati persegui-bili d’ufficio e per i quali sia obbligatorio il referto).Dalla rivelazione del segreto non deve necessariamente derivare un danno all’assistito, la

punibilità del fatto essendo subordinata all’avere creato il pericolo di danno, all’avere de - terminato la possibilità che in futuro il dan no si renda palese.Sono cause di non punibilità della rivelazione del segreto, la rivelazione dovuta a caso

fortuito, come lo smarrimento di documenti riguardanti l’assistito, a forza maggiore o a vio-lenza alla rivelazione; lo stato di necessità rende non punibile la rivelazione.Due circostanze escludono la sussistenza del reato: il consenso dell’assistito alla rivela-

zione e la trasmissione del segreto. Il consenso dell’assistito alla rivelazione del segreto nonesclude la natura segreta dei fatti, che possono essere rivelati solo alle persone e nei tempi chel’assistito può precisare e ai quali il professio nista deve attenersi.“La trasmissione del segreto è rappresentata dalla rivelazione a persone egualmente tenute

al segreto, resa necessaria da circostanze inerenti lo stesso interessato o dovute a finalità so-ciali”58 (trasmissione ad altri pro fessionisti, pubblicazione di un caso a fine scientifico ecc.).Infine non costituisce reato la divulgazione di un fatto noto, ovvero la notorietà del fatto

fa venire meno la qualifica di segreto al fatto stesso.Il segreto professionale inoltre riceve anche una tutela processuale. L’art. 200 del c.p.p. spe-

cifica che “non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione delproprio ministero, ufficio o pro fessione, salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferirne all’auto-rità giudiziaria: […] i medici e i chirurghi, i far macisti, le ostetriche e ogni altro esercente unaprofessione sanitaria”.Tale tutela, però, incontra dei limiti. Lo stesso art. 200 del c.p.p. specifica che se il giudice

ha motivo di du bitare che la dichiarazione resa da tali persone per esimersi dal deporre siainfondata, provvede agli accerta menti necessari. Se risulta infondata, ordina che il testimonedeponga.La giurisprudenza59 ha avuto modo di precisare che “non costituisce segreto qualsiasi fatto

notorio, cono sciuto o conoscibile, quale per esempio, l’ammissione in regime di ricovero inospedale”. Non è quindi soggetto a tutela, e di con seguenza diventa lecito, rivelare il nome deiricoverati in ospedale.Vi sono alcune ipotesi in cui il legislatore richiama espressamente il segreto professionale.

Questo richiamo, particolarmente stringente, viene operato per i seguenti casi:

57 Fallani M., Medicina legale e delle assicurazioni, Esculapio, Bologna, 1988, p. 26.58 Fallani M., Medicina legale e delle assicurazioni, op. cit., p. 28.59 Corte di Cassazione, III sez., sentenza del 10 gennaio 1967.

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– l’interruzione volontaria della gravidanza;– la tossicodipendenza;– l’AIDS;– la violenza sessuale;– i trapianti.

Per l’aborto volontario l’art. 21 della legge 22 maggio 1978, n. 194 specifica che “chiun-que, fuori dei casi previsti dall’art. 326 del c.p.,60 essendone venuto a conoscenza per ragionidi professione o di ufficio, rivela l’identità – o comunque divulga notizie idonee a rivelarla– di chi ha fatto ricorso alle procedure o agli interventi previsti dalla presente legge, è punito anorma dell’art. 622 del c.p.”. In questo caso il segreto professionale ne risulta senza dubbio rafforzato, in quanto ne è

prevista non soltanto la punibilità per la rivela zione, bensì anche per le notizie indirette chepossono costituire la rivelazione. Questo articolo somiglia molto alla rivelazione del segretod’ufficio tramite l’“agevolazione”.La legge che ha disciplinato gli interventi in tema di AIDS, n. 135 del 5 giugno 1990, ha

anch’essa previsto all’art. 5 norme sulla tutela della riservatezza. La norma infatti prevede chegli operatori che siano venuti a co noscenza di un caso di “infezione da HIV, anche non ac-compagnato da uno stato morboso, sono tenuti a prestare la necessaria assistenza adottandotutte le misure occorrenti per la tutela della riservatezza della persona assistita”. Si precisa inoltre che la “comunicazione di risultati di accertamenti diagnostici diretti o in-

diretti per infezione da HIV può essere data esclusivamente alla persona cui tali esami sono ri-feriti”. L’art. 120 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, riconosce al tossicodipendente che si sotto-ponga a un programma terapeutico e socio-riabilitativo presso un SERT il diritto all’anoni-mato.61

La legge 20 febbraio 1996, n. 66 recante le “Norme contro la violenza sessuale” ha inse-rito nel terzo libro del codice penale al “Titolo II bis - Delle contravvenzioni concernenti la tu-tela della riservatezza” l’art. 734 bis che punisce nei casi di violenza sessuale “chiunque […]divulghi, anche attraverso mezzi di co mu ni ca zio ne di massa, le generalità o l’immagine dellapersona offesa senza il suo consenso”. In questo caso, più che di aspetti particolari o stringentidel segreto professionale, possiamo parlare di ampliamento della tutela della riservatezza chearriva, per esempio, al personale del pronto soccorso, a non far rivelare il nome della per sonaassistita.Infine la recente legge “Disposizioni in materia di prelievi e di trapianti di organi e di tes-

suti”, prevede all’art. 18 che il personale sanitario e amministrativo impegnato nelle attività diprelievo e di trapianto è tenuto a garantire l’anonimato dei dati relativi al donatore e al ri-cevente.

La rivelazione del segreto professionale come obbligo non so lo giuridicoL’obbligo di non rivelare il segreto professionale non è solo un obbligo giuridico, ma anchedeontologico.

i principali reati a carico dell’infermiere – Capitolo 7

137

60 Art. 26 c.p. “Rivelazione del segreto d’ufficio”.61 In realtà il diritto all’anonimato era già previsto dalla legge 22 dicembre 1975, n. 685 che prevedeva peròche, in occasione di ricovero ospedaliero, al posto del nome del paziente apparissero solamente le iniziali ela provincia di domicilio del paziente.

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A questo proposito il Codice deontologico della Federazione IPASVI del 1999 dispone all’art.4.8: “L’infer miere rispetta il segreto professionale non soltanto per obbligo giuridico, ma per in-tima convinzione e come ri sposta concreta alla fiducia che l’assistito ripone in lui”.62

L’ambito tutelato dalla norma deontologica è più ampio dell’ambito tutelato dalla normagiuridica e ne esten de la portata. La rivelazione del segreto professionale punibile a norma delcodice penale non è di facile realiz zazione: bisogna che sia commesso volontariamente, che alpaziente ne derivi un danno o chi lo rivela ne tragga un profitto ecc.Il segreto professionale, da un punto di vista etico-deontologico, invece, viene rispettato dal -

l’in fermiere “per intima convinzione e come risposta concreta alla fiducia che l’assistito riponein lui”.Vi è chi ritiene63 che il segreto non riguardi solo la diagnosi medica, ma prendendo a prestito

l’art. 13 del Codice di deontologia medica, anche “tutto ciò che gli è stato confidato o che avràpotuto conoscere per ragione della propria professione”.

LA RIVELAZIONE DEL SEGRETO D’UFFICIO

La rivelazione del segreto di ufficio è un reato previsto dall’art. 326 del c.p.:

Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, violando i doveri inerenti alle fun-zioni o al servizio o comunque abusando della sua qualità, rivela notizie di ufficio, le quali debbano rimaneresegrete, o ne agevola in qualche modo la conoscenza, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.Se l’agevolazione è soltanto colposa si applica la reclusione fino a un anno.Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio che, per procurare a sé o ad altri un inde-bito profitto patrimoniale, si avvale illegittimamente di notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, èpunito con la reclusione da due a cinque anni. Se il fatto è commesso al fine di procurare a sé o ad altri un in-giusto profitto non pa trimoniale o di cagionare ad altri un danno ingiusto, si applica la pena della reclusionefino a due anni.

A differenza del segreto professionale, il segreto d’ufficio vincola l’infermiere non in virtù dellasua professione, bensì in quanto riveste la qualifica di “incaricato di pubblico servizio”.64

Le notizie di ufficio che debbono rimanere segrete sono tutte quelle che l’incaricato di pub-blico servizio ha l’obbligo giuridico di non rivelare.Tale obbligo può essere imposto in modo specifico da una norma di legge, da un regolamento,

da un ordine (non illegittimo) del superiore; oppure dalla norma generale fissata dall’art. 15 delloStatuto degli impiegati civili dello stato.65

Prima di addentrarci in un breve esame della norma del codice penale è utile specificare che“rivelare un segreto significa manifestarlo a persona che non abbia diritto di conoscerlo”.Si hanno gli estremi del reato di rivelazione di segreto d’ufficio quando il pubblico ufficiale e

l’incaricato di un pubblico servizio lo rivelano volontariamente o ne agevolano in qualche modola conoscenza (se l’agevola zione è soltanto colposa la pena è ridotta).

Capitolo 7 – i principali reati a carico dell’infermiere

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62 Articolo confermato dal Codice deontologico del 1977.63 Leone S., Etica, McGraw-Hill, Milano, 1993, p. 54.64 Sulla nozione di incaricato di pubblico servizio vedi cap. 4.65 Pagliaro A., Principi di diritto penale, parte speciale. Delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica ammini-strazione, Giuffrè, Milano, 1994, p. 362.

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Se la rivelazione avviene per procurare a sé o ad altri un indebito profitto, patrimoniale e nonpatrimoniale, la pena è aumentata.Il reato in questione si commette anche in assenza di un qualsiasi danno all’amministrazione,

è sufficiente cioè la rivelazione del segreto.A differenza del reato di rivelazione del segreto professionale che tutela l’assistito, la rivela-

zione del segreto d’uf ficio tutela la pubblica amministrazione ed è un reato più grave.Anche il segreto d’ufficio, come il segreto professionale, riceve una tutela processuale. L’art.

201 del c.p.p. specifica che “salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria,i pubblici ufficiali, i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio hanno l’obbligo diastenersi dal deporre su fatti conosciuti per ragioni del loro ufficio che devono rimanere segreti”.Anche in questo caso il giudice deve provvedere agli accertamenti necessari se dubita che

una persona si astenga dalla deposizione per motivi diversi dal segreto d’ufficio.

CasisticaLa Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso contro l’ordinanza di un GIP, che aveva disposto la so-spensione dal pubblico servizio di un’infermiera professionale, che avvertiva sol lecita mente gli impre-sari di pompe funebri del decesso imminente o già avvenuto dei ricoverati.La Corte ha affermato che questo comportamento costituisce rivelazione di notizie di ufficio che devonori manere riservate o segrete per i terzi “e delle quali comunque i dipendenti dell’ospedale non hanno ladisponi bilità”.

Cassazione penale, VI sez., udienza del 30 luglio 1991, n. 2266

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna comminata dalla Corte di Appello di Palermo a nu-merosi dipendenti dei presidi o spe dalieri della città per avere informato gli impresari di pompe funebri“dell’imminente o del già avvenuto decesso di persone ricoverate presso gli ospedali, ove essi prestavanoservi zio, dietro compenso di somme di denaro, allo scopo di procurare un vantaggio agli impresari me-desimi favo rendoli nell’acquisizione del servizio funebre”.Tale attività da parte dei dipendenti comporta secondo la Corte suprema “certamente la violazione deldovere di fedeltà del pubblico dipendente, per il perseguimento di scopi confliggenti con la natura pub-blica dell’attività esercitata. […] Al riguardo, si osserva che nel codice di comportamento approvato conD.M. della funzione pub blica in data 31 marzo 1994 si pone tra i doveri del pubblico dipendente anchequello di non utilizzare a fini privati le informazione di cui egli dispone per ragioni di ufficio”.

Corte di Cassazione, sentenza del 26 marzo 1996, n. 2029

L’OMISSIONE DI SOCCORSO

L’omissione di soccorso è prevista dall’art. 593 del c.p.:

Chiunque, trovando abbandonato o smarrito un fanciullo minore degli anni dieci, o un’altra persona incapacedi provvedere a se stessa, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia o per altra causa, omette di darneimmediato avviso all’autorità è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 2500 euro.Alla stessa pena soggiace chi, trovando un corpo umano che sia o sembri inanimato, ovvero una persona ferita oaltrimenti in pericolo, omette di prestare l’assistenza occorrente o di darne immediato avviso all’autorità.

Sono contemplate quindi due ipotesi. En tram be hanno lo scopo di prevenire i danni ai qualisi trovino esposte persone in stato di presunto o accertato pericolo, mediante l’imposizione di unobbligo di assistenza di retta o indiretta. Perché possa applicarsi la norma in questione, è neces-

i principali reati a carico dell’infermiere – Capitolo 7

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sario che non sussista un dovere parti colare di assistenza, penalmente sanzionato. Quandoquesto dovere esista (specificamente previsto per medici e infermieri), si applica l’art. 328 cheprevede l’omissione di atti di ufficio (che punisce in modo più grave).Ci interessa esaminare da vicino la seconda ipotesi prevista dall’articolo in questione (“chi,

trovando un cor po umano che sia o sembri inanimato [...]).Primo elemento: trovare “un corpo che sembri inanimato, ferito o comunque in pericolo”.

“Trovare” signi fica “imbattersi” (ca sual mente o meno), e anche “trovarsi in presenza”. “Cor poinanimato” è il corpo che non dà segni di vita. “Persona altrimenti in pericolo” deve conside-rarsi quella persona che si trovi esposta in qualsiasi modo a un pericolo per la vita o per l’in-columità personale.

Soggetto attivo può essere anche colui che con la propria azione ha posto in pericolo lapersona.La condotta incriminata consiste “nell’omettere di prestare l’assistenza occorrente o di dare

immediato avviso all’autorità”. “As sistenza” significa quel soccorso che si profila necessario,tenuto conto del modo, del luogo, del tempo e dei mezzi, per evitare il danno che si minaccia.Una precisazione è d’obbligo. Infatti, per quanto la legge “sembri equiparare l’alternativa dell’obbligo di assistenza a quello

di avviso all’au torità”, non vi è dubbio che, se è indispensabile un’assistenza immediata e ilsoggetto è in grado di prestarla, egli è tenuto in primo luogo a fornire il soccorso. L’omissione di soccorso si concretizza in tre distinte fattispecie:

1. la mancata prestazione del soccorso, diretto o indiretto;2. l’insufficiente prestazione del soccorso in rapporto ai bisogni del pericolante e delle con-crete possibilità soccorritrici (di luogo, di tempo, di capacità tecniche, di mezzi disponibili)del rinvenitore;

3. la ritardata prestazione del soccorso in rapporto alle effettive possibilità di un interventosoccorritore costantemente tempestivo.

Ovviamente il giudizio sull’omissione deve essere effettuato caso per caso e con una certarelatività.Qualora non si presti soccorso e ci si limiti di dare avviso all’autorità, vi sarà comunque re-

sponsabilità per il reato di omissione di soccorso.66

Questa precisazione è utile soprattutto per valutare la scelta degli esercenti una professionesanitaria. L’in fermiere professionale ben difficilmente potrà addurre scusanti sulla mancata as-sistenza tentando di giustificarsi con il fatto di avere avvertito l’autorità.Per aversi reato di omissione di soccorso non importa che la persona non soccorsa abbia

da questa omis sione ricevuto un danno.Se la persona riceve dall’omissione un danno, cioè se viene dimostrato che tra l’omissione

e il danno vi sia un nesso di causalità, chi omette di prestare soccorso risponderà anche deipiù gravi reati di omicidio o di lesioni personali colpose.Una fattispecie particolare di omissione di soccorso è prevista dall’art. 189 del codice della

strada che pre vede che “l’utente della strada, in caso di incidente comunque ricollegabile alsuo comportamento, ha l’obbligo di fermarsi e di prestare l’assistenza occorrente a coloro che,eventualmente, abbiano subito danno alla perso na”. È da notare che rispetto al passato, il co-dice parla di “utente” e non più di “conducente”.

Capitolo 7 – i principali reati a carico dell’infermiere

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66 Antolisei F., Manuale di diritto penale. Parte speciale, I, Giuffrè, Milano, 1986, p. 114.

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La differenza con il reato di omissione di soccorso previsto dal codice penale è evidente,sia per il soggetto coinvolto – “l’utente” e non “chiunque” – sia per la situazione descritta. Sonopreviste pene più severe per questo tipo di omissione.

Il dovere di attivarsiPer quanto ri guar da il dovere di attivarsi per situazione di abbandono o di pericolo, l’art. 593del c.p. è integrato dall’art. 9 della legge 4 maggio 1983, n. 184 recante la “disciplina dell’ado-zione e dell’affidamento dei minori”. Il secondo comma di tale articolo stabilisce che “i pub-blici ufficiali, gli incaricati di un pubblico servizio, gli eser centi un servizio di pubblica neces-sità debbono riferire al più presto al tribunale per i minorenni sulle condizioni di ogni minorein situazioni di cui vengono a conoscenza in ra gione del proprio ufficio”.Essendo i professionisti infermieri, se di pendenti delle aziende o enti del Servizio sanitario

nazionale o di case di cura convenzionate, incaricati di un pubblico servizio, e se invece di-pendenti di case di riposo, IPAB o ex IPAB, residenze sanitarie assistenziali o liberi professio-nisti, esercenti un servizio di pubblica necessità, essi sono obbligati (debbono riferire) a de-nunciare al tribunale dei minorenni competente per ter ritorio la situazione di cui siano venutia conoscenza in ragione del proprio ufficio.È ovviamente una norma che interessa in particolar modo le vigilatrici d’infanzia e gli in-

fermieri che eserci tano in ambito pe diatrico.

L’omissione di soccorso e l’omissione di assistenza da parte dell’infermiere È ne ces sario a questo punto cercare di capire di quale reato risponde l’infermiere professio-nale che ometta il soccorso d’urgenza. La questione è in realtà controversa, in quanto da unlato non esiste più come autonoma fattispecie incriminatrice l’omissione di atti d’ufficio odomissione d’assistenza, dall’altro l’omissione di soccorso è un reato comune.La più attenta dottrina67 distingue tra:

– un infermiere che trovi una persona in pericolo, come comune cittadino (per esempio in unincidente stradale): egli risponderà come ogni comune cittadino di omissione di soccorso;

– l’infermiere operante nelle aziende del Servizio sanitario nazionale che abbandoni il ma-lato o il reparto: egli risponderà del reato di abbandono di persone incapaci e, se da que-sto comportamento ne derivi la morte, anche del reato di cui all’art. 591;

– l’infermiere che sia chiamato a soccorrere proprio perché egli è un infermiere, un perico-lante e non vi si rechi: in questo caso sia egli esercente un servizio di pubblica necessità oincaricato di pubblico servizio non risponderà di alcun reato se non ricorreranno gli ambitidell’omissione di soccorso (che nel caso di specie non ricorrono, in quanto la giurispru-denza prevalente ritiene, come abbiamo visto, che per commettere il reato bisogna “im-battersi”).

Lo stesso discorso si può fare per il medico, eccezion fatta per la figura della guardia me-dica che ha lo specifico dovere di intervenire. Un tempo quest’obbligo riguardava anche il me-dico condotto.Il codice precisa che spetta a lui (soccorritore) “prestare l’assistenza occorrente o dare im-

mediato avviso all’autorità”. Due domande sorgono spontanee: sono sullo stesso piano le dueipotesi? Il soccorritore può deci dere a suo piacere o devono esserci delle priorità?

i principali reati a carico dell’infermiere – Capitolo 7

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67 Mantovani F., Diritto penale – Delitto contro la persona, Cedam, Padova, 1995.

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Il punto non è chiaro e la dottrina giuridica è divisa tra chi sostiene la piena libertà del soc-corritore tra l’una e l’altra scelta68 fondando la sua interpretazione, in linea principale, sul datoletterale, e chi invece sostiene il contrario,69 privilegiando l’assistenza occorrente sulla base dellaratio legis della norma. È forse utile precisare che l’assistenza deve essere “occorrente” e cioè “lapiù idonea, in rapporto alla situazione concreta (di tempo, luogo, capacità personali, mezzi di-sponibili) a far fronte alla situazione di pericolo”.Infine, altra situazione assai dibattuta è quella relativa al dissenso del soggetto soccorso per

tentato suicidio o per autolesioni volontarie. Pur con tutti i distinguo che la migliore dottrina e la più autorevole giurisprudenza hanno

tentato di fare (la persona in stato di coscienza, di incoscienza, prima cosciente e successiva-mente in una situazione di incoscien za) appare ictu oculi chiaro che, non potendosi presumerela persistenza della volontà suicida e dovendo la con dotta del ritrovatore ispirarsi al principio indubio pro vita, il soccorritore farà bene a intervenire.

CasisticaCommette il reato di rifiuto di atti d’ufficio e di omissione di soccorso il medico di pronto intervento delservizio 118 che, chiamato a prestare assistenza alla vittima di un incidente stradale, rifiuta indebita-mente di soccorrerla (senza alcuna altra giustificazione di non sporcarsi scarpe e vestito), non scen-dendo nella scarpata in fondo alla quale essa giaceva, non rispondendo ai ripetuti richiami del barellieree dell’infermiere, il quale di propria iniziativa e fuori dalla sua competenza, applicò all’in fortunato uncollarino come cautela nel caso di trauma cervicale e inserì una cannula per agevolarne la faticosa re-spirazione.È configurabile il concorso dei due reati (rifiuto di atti d’ufficio e omissione di soccorso) in quanto le duenorme incriminatrici tutelano beni diversi: l’art. 328 tutela il regolare funzionamento della pubblica am-ministrazione, imponendo al pubblico ufficiale e all’incaricato di pubblico servizio di assolvere effica-cemente e tempestivamente i doveri inerenti all’ufficio o al servizio; l’art. 593 invece tutela la vita e l’in-columità individuale.

Cassazione penale, VI sez.,sentenza del 7 giugno 2000, n. 86370

IL RIFIUTO DI ATTI D’UFFICIO

È un reato previsto dall’art. 328 del c.p.:

Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che,per ragioni di giustizia o di sicurezza, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ri-tardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni […].

Questo articolo è stato riformato dalla legge 26 aprile 1990, n. 86, che ne ha ristretto la portata. L’articolo preriforma infatti prevedeva la punibilità non soltanto per il rifiuto di atti d’ufficio,

bensì anche per l’omissione e il ritardo. Oggi è punibile solo il rifiuto.Il risultato della riforma, quanto meno sull’attività sanitaria, può avere esiti di grande incer-

tezza e non può non destare una certa perplessità.

Capitolo 7 – i principali reati a carico dell’infermiere

142

68 Cadoppi A., Il reato di omissione di soccorso, Cedam, Padova, 1993.69 Mantovani F., Diritto penale – Delitti contro la persona, op. cit. 70 Massima e sentenza (con commento di L. Benci) in Rivista di diritto delle professioni sanitarie, 3, 2000.

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Non si può non essere d’accordo con chi afferma che “ci si può chiedere, infatti, perché mai,quando si tratti di atto che deve essere compiuto senza ritardo per ragioni di […] sanità, sia pu-nito solo il rifiuto e non anche l’omissione”.71

Soggetto attivo del reato non è chiunque, come nel reato di omissione di soccorso, bensì solocolui che ri veste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio.La condotta incriminata consiste nell’indebito rifiuto di un atto urgente che deve essere com-

piuto per ragio ne di sanità. Il rifiuto, a differenza dell’omissione, “presuppone sempre una ri-chiesta”.72

Non rientrano quindi più nella tutela penale l’inerzia e la non esecuzione di un ordine.La manifestazione di volontà di non compiere l’atto può avvenire sia esplicitamente, sia im-

plicitamente e co munque in qualsiasi forma (scritta, con gesti, orale ecc.).Non tutti gli atti rifiutati però integrano gli estremi del rifiuto di atti d’ufficio. Gli atti devono

essere “indebiti” e urgenti, tali cioè che debbano essere compiuti “senza ritardo”.Quali siano le fattispecie applicabili e quale valore orientativo possa avere la giurisprudenza

formatasi con la vecchia formulazione è un problema aperto.Merita di essere segnalata una sentenza del pretore di Amelia73 che aveva statuito, prima

della riforma intro dotta dalla legge n. 86/1990, che integra “i reati di omissione di atti di ufficioe di omissione di soccorso il fatto del personale medico e paramedico presso un ospedale pub-blico, il quale, durante una seduta dialitica o altra tera pia o intervento, ometta di provvedere allaimmediata sostituzione di una bombola di ossigeno esaurita, limitan dosi a ricercare personaleaddetto all’operazione e determinando così una cessazione dell’erogazione al pazien te”.Può ancora essere valida una situazione di questo tipo con l’art. 328 c.p. riformato, posto che

non sono più pre viste come fattispecie costitutive l’omissione e il ritardo?La dottrina che si è occupata dell’argomento risponde negativamente.74

Rimane il problema di una grave lacuna del nostro ordinamento che diventa particolarmentegrave in ambito sanitario.Integra invece gli estremi del reato di rifiuto di atti d’ufficio l’operatore che è vincolato con-

trattualmente da un obbligo di intervento. In particolare l’operatore che sia in pronta disponi-bilità. La pronta disponibilità o reperibilità è caratterizzata dall’obbligo dell’operatore di rag-giungere il suo posto di lavoro nel più breve tempo possibile.Laddove l’operatore si rifiuti di raggiungere il posto di lavoro, benché chiamato, risponde di

rifiuto di atti d’ufficio, indipendentemente da qualsiasi danno al paziente.La giurisprudenza ha infatti specificato che l’indebita omissione “consiste unicamente in si f -

fatta mancata di sponibilità di cura”.75 Lad dove il mancato intervento causi una lesione o la mortedel paziente, l’operatore ri sponderà anche dei reati di lesioni personali o di omicidio colposo.I medici ospedalieri hanno il dovere di rendere il loro servizio alla società e allo stato, senza

divisioni di competenze, secondo le loro capacità professionali, quando si versi in condizioni dinecessità.

i principali reati a carico dell’infermiere – Capitolo 7

143

71 Pagliaro A., Principi di diritto penale. Parte speciale. Delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica ammini-strazione, Giuffrè, Milano, 1994.72 Pagliaro A., Principi di diritto penale, op. cit., p. 284.73 Pretura di Amelia, sentenza del 24 giugno 1989, Rivista italiana di medicina legale, XIII, 311, 1991.74 Bonelli A., Giannelli A., La responsabilità del medico per omissione o rifiuto di assistenza urgente in ri-ferimento anche al D.P.R. 27 marzo 1992, Rivista italiana di medicina legale, XIV, 772, 1992.75 Corte di Cassazione, VI sez., sentenza del 18 marzo 1986, Giu stizia penale, II, 142, 1987.

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Infatti la divisione dei compiti e delle competenze è determinata non dalla legge, ma dagliordinamenti in terni degli uffici, che possono subire deroghe a seconda delle necessità. Pertantoquando la divisione delle com petenze, in un certo servizio (per esempio nel reparto ginecolo-gico e ostetrico di un ospedale) minaccia la fina lità pubblica della tutela della salute, la dettadivisione non può essere invocata dai sanitari, al fine di sottrarsi all’obbligo, che li riguardavatutti, dal necessario intervento.Pertanto tutti i sanitari addetti a un reparto medico ospedaliero e i loro collaboratori sono

tenuti, di fronte a un’ipotesi di emergenza, a pre stare la loro opera, indipendentemente dallacontemporanea presenza di altri soccorritori.76

Il medico in servizio di pronta disponibilità ha l’obbligo di intervenire immediatamente (neitempi fissati da gli accordi locali) “a prescindere dalla possibilità di potere efficacemente prov-vedere” a salvare la vita di un pa ziente.Il contenuto dell’obbligo determinato dal servizio di pronta disponibilità consiste non “nella

necessità di un intervento specialistico in senso stretto, ma la semplice richiesta di presentarsiin ospedale, fine al quale è chia ramente orientata la disponibilità”, obbligo imposto oltrechéda specifiche disposizioni contrattuali e regolamen tari, anche “dall’etica professionale”.Lo stesso reato integrerebbe l’infermiere po sto in servizio di pronta disponibilità qualora

rifiutasse, una volta chiamato, di recarsi in servizio.

CasisticaLa prassi di accompagnare un paziente ricoverato in un reparto di degenza in ambulanza presso altroospedale a effettuare esami radiologici è certamente valida per qualunque ospedale in quanto basatasulla logica considerazione che detto accompagnamento va fatto proprio dall’infermiere che ha se-guito colui che è ricoverato nel suo reparto e ne conosce meglio degli altri le problematiche patologi-che e le opportune attività di intervento assistenziale che potrebbero rendersi necessarie lungo il per-corso.Commette il reato di rifiuto di atti d’ufficio l’infermiere di un reparto di degenza che si rifiuti senza va-lida giustificazione di accompagnare un paziente in ambulanza in altro ospedale per eseguire un esameradiologico.

Corte di Appello di Caltanissetta,sentenza del 19 giugno 2000, n. 248

Commette il reato di rifiuto di atti d’ufficio l’infermiere che si rifiuta, dietro ordine del medico, di an-dare a pren dere un paziente con l’ambulanza in un altro ospedale dove si era recato per eseguire al-cuni esami diagnostici.Non compete all’infermiere valutare l’urgenza dell’atto. Nel caso di specie l’urgenza non era intesa nelsenso strettamente medico, ma urgenza intesa come atto da espletarsi “il più in fretta possibile” ondeevitare lo stazio namento del paziente nei corridoi.

Tribunale di Padova, II sez.,sentenza del 29 maggio-6 giugno 1998, n. 1235

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna inflitta dalla Corte di Appello di Napoli del 3 luglio1996 a un autista di ambulanza perché “indebitamente rifiutava il trasporto al più vicino nosocomio diun tossi co di pendente in preda all’azione di sostanze stupefacenti [...].

Cassazione penale, VI sez., sentenza del 28 maggio 1997, n. 754

Capitolo 7 – i principali reati a carico dell’infermiere

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76 Cassazione penale, VI sez., sentenza del 28 ottobre 1986, n. 1843.

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Integra gli estremi del rifiuto di atti d’ufficio l’anestesista che in servizio nel turno di guardia notturnosi rifiuti o ritardi le richieste di intervento e assistenza medica ai degenti in un reparto di terapia in-tensiva cardiochirurgica impartendo ordini verbali al personale infermieristico senza verifica dello statodel paziente, senza sottoscrivere la prescrizione e procrastinando la documentazione scritta in car-tella clinica.Rientra nella discrezionalità del medico la piena libertà della scelta terapeutica da adottare e non rien-tra invece nella sua discrezionalità la decisione di esaminare o meno personalmente la situazione delpaziente quando richiesto dal personale infermieristico.

Tribunale di Torino, sez. GIP, sentenza del 7 novembre 200077

Integra la fattispecie del rifiuto di compiere un atto di ufficio il comportamento di una infermiera ge-nerica che, richiesta da un paziente di procedere alla sua pulizia – fattispecie relativa alla pulizia di unpaziente portatore di una stomia intestinale le cui feci erano fuoriuscite per il malposizionamento dellasacca – per motivi di igiene e sanità, la ritardi in quanto impegnata nell'attività di distribuzione delvitto, in quanto l'operazione di pulizia personale rivestiva carattere d'urgenza e la prescrizione di talecompito non necessitava di un ordine specifico del medico, sussistendo una direttiva emanata ai sensidell'art. 6 del D.P.R. n. 225 del 1974, impartita in via generale e sulla base di turni di servizio.

Cassazione penale, VI sez., sentenza del 27 settembre 2006, n. 39486

Risponde del reato di rifiuto di atti d’ufficio un medico di guardia, il quale, interpellato telefonicamenteda un soggetto affetto dal morbo di Crohn, necessitante l'urgente somministrazione per endovena diun medicinale idoneo ad arrestare l'emorragia, si era limitato a prescrivere la somministrazione delmedicinale per via orale e a indicare al paziente il nome di un infermiere professionista cui eventual-mente rivolgersi, omettendo di intervenire personalmente presso il domicilio del paziente.

Cassazione penale, VI sez., sentenza del 9 luglio 1999, n. 8837

In tema di rifiuto di atti d'ufficio, il medico che effettua il turno di guardia notturna presso una strut-tura specializzata ad alto rischio, non può invocare la discrezionalità tecnica per giustificare compor-tamenti omissivi, quando si è in presenza di una specifica doverosità d'intervento. (Nella fattispecie laCorte ha ritenuto che la preventiva segnalazione di gravità ed urgenza del caso fornita dall'infermieredi turno, la ovvia considerazione, al di là di ogni direttiva interna, che i dosaggi medici di un farmacocome la dopamina non possono essere demandati alla discrezionalità dell'infermiere, sono tutti ele-menti che connotano il carattere di doverosità dell'intervento del medico qualificando penalmente ilsuo rifiuto.)

Cassazione penale, VI sez., sentenza del 16 ottobre 2003, n. 39108

In base all'art. 13 D.P.R. 25 gennaio 1991 n. 41 il servizio di guardia medica ha la funzione di garan-tire l'assistenza sanitaria in casi di necessità e urgenza improcrastinabili, nel cui ambito sono com-presi gli atti tipici della professione medica, con esclusione di quelli che, pur avendo natura sanitaria,possono essere eseguiti da personale paramedico e infermieristico. Ne consegue che non commette ilreato di rifiuto di atti d'ufficio il medico, che trovandosi solo nella sede della guardia medica, richiestodi un intervento domiciliare urgente al fine di praticare un'iniezione di un medicinale antibiotico a unpaziente malato di cancro, affetto da iperpiressia, si rifiuti di intervenire opponendo il dovere di nonlasciare sguarnita la guardia medica.

Cassazione penale, VI sez., sentenza dell’1 marzo, n. 9204

i principali reati a carico dell’infermiere – Capitolo 7

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77 Massima, sentenza e commento in Rivista di diritto delle professioni sanitarie, 4, 2000.

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L’OMISSIONE DI REFERTO

Il referto è una denuncia obbligatoria che ha lo scopo di portare a conoscenza dell’autorità giudi-ziaria “tutti i fatti lesivi dell’integrità psicofisica che configurino un delitto perseguibile di ufficio”.78

L’obbligo del referto è previsto dal codice penale che prevede come delitto il ritardo o l’omis-sione del referto stesso. L’art. 365 del c.p. testualmente recita:

Chiunque, avendo nell’esercizio di una professione sanitaria prestata la propria assistenza o opera in casi chepos sono presentare i caratteri di un delitto per il quale si debba procedere d’ufficio, omette o ritarda di rife-rirne all’Autorità indicata nell’art. 361, è punito con la multa fino a lire 200 000.

Questa disposizione non si applica quando il referto esporrebbe la persona assistita a proce-dimento penale.Anche il c.p.p. si occupa del referto stabilendo all’art. 334 che:

Chi ha l’obbligo del referto deve farlo pervenire entro quarantotto ore o, se vi è pericolo nel ritardo, imme dia -ta men te al pubblico ministero o a qualsiasi ufficiale di polizia giudiziaria del luogo in cui ha prestato la pro-pria opera di assistenza ovvero, in loro mancanza, all’ufficiale di polizia giudiziaria più vicino.Il referto indica la persona alla quale è stata prestata assistenza e, se è possibile, le sue generalità, il luogo dovesi trova attualmente e quanto altro valga a identificarla nonché il luogo, il tempo e le altre circostanze dell’in-tervento; dà inoltre le notizie che servono a stabilire le circostanze del fatto, i mezzi con i quali è stato com-messo e gli effetti che ha causato o può causare.Se più persone hanno prestato la loro assistenza nella medesima occasione, sono tutte obbligate al referto, confa coltà di redigere e sottoscrivere un unico atto.

Queste disposizioni sanciscono l’obbligo per tutti gli esercenti le professioni sanitarie: me-dici, infermieri, ostetriche ecc. e non per coloro che esercitano un’arte sanitaria come per esem-pio l’infermiere generico.79

Capitolo 7 – i principali reati a carico dell’infermiere

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78 Fallani M., Medicina legale e delle assicurazioni, op. cit.79 Per l’obbligo di referto anche alle figure non mediche, vedi in senso conforme: Gerin C., Medicina legalee delle assicurazioni, Schirru, Roma, 1977, III, p. 264; Palagi U. et al., Certificazioni e denunce sanitarie, Pacini,Pisa, 1976, II, p. 1296; Manzini V., Trattato di diritto penale, UTET, Torino, 1981; Dell’Erba A., in Manuale di me-dicina legale e delle assicurazioni, di Adamo M., Barni M., Dell’Erba A., Querci V., Fabroni F., For nari A., Bar-gagna M., Monduzzi, Bologna, 1989; De Pietro O., Il sanitario e il referto, Am brosiana, Milano, 1986; Iadecola,G., Il medico e la legge penale, Cedam, Padova, 1993, p. 144; Puccini C., Istituzioni di medicina legale, Ambro-siana, Milano, 1995, p. 886; Cateni C., Deontologia e qualificazioni giuspenalistiche del medico, Colosseum, Roma,1995, p. 76; Fiandaca G., Musco E., Diritto penale. Parte spe ciale, Zanichelli, Bologna, 1997, p. 342. Tra i lavoripiù recenti vedi Rodriguez D., Il referto all’autorità giudiziaria in caso di lesioni personali gravi o gravissimeconnesse a infortunio sul lavoro: un obbligo che incombe sugli esercenti una qualsiasi professione sanitaria,Rivista di Diritto delle Professioni Sanitarie, Lauri, 1, 1999, laddove si legge, in relazione all’obbligo del refertoper qualsiasi professione sanitaria: “Il punto è incontestabile, perché l’indicazione dell’art. 365 del c.p. è alproposito inequivoca. Piuttosto è da valutare perché, sto ricamente, non si sia radicata, fra gli operatori per lasalute, la nozione che il referto fosse obbligatorio non solo per i medici ma anche per gli esercenti altre pro-fessioni sanitarie. La ragione può essere individuata nei limiti imposti all’attività delle professioni sanitarienon medi che dai vari rispettivi mansionari: poiché solo e soltanto il medico era autorizzato a raccoglierel’anamnesi nella sua completezza, a rilevare i dati obiettivi di tutti gli organi e apparati senza limitazioni e aporre diagnosi eziologica e nosografica, per questi motivi solo e soltanto il medico poteva prestare quella pe-

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i principali reati a carico dell’infermiere – Capitolo 7

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culiare tipologia di assistenza e/o di opera idonea in primo luogo a stabilire le caratteristiche del caso dalpunto di vista biologico e in secondo luogo a rapportare il dato biologico a eventuali fatti lesivi esogeni valu-tandone le caratteristiche di antigiuridicità. All’indomani dell’entrata in vigore della L. 26 febbraio 1999 n. 42‘Disposizioni in tema di professioni sanitarie’ e in parti colare in seguito all’abrogazione (art. 1, comma 2, dellalegge) del mansionario degli infermieri professionali nonché dei regolamenti per l’esercizio professionale delleostetriche e dei tecnici di radiologia medica, è prevedibile – pur facendo salve le competenze previste per leprofessioni mediche (comma 2 cit.) – un ampliamento delle attività delle professioni sanitarie non medicheche, nella pratica, potranno così giungere autonomamente alla consapevolezza di aver prestato assistenza oopera in un caso con i possibili caratteri del delitto perse guibile d’ufficio.”80 Fallani M., Medicina legale e delle assicurazioni, op. cit.81 Corte di Cassazione, sentenza del 14 marzo 1997, n. 280.

L’ipotesi che ricorre più frequentemente nella prassi è che alla compilazione del referto prov-veda il medico. Nel caso comunque che un infermiere professionale presti la propria assistenzain un evento che possa presentare i caratteri di un delitto per il quale si debba procedere d’uffi-cio è tenuto egli stesso a compilare il referto.La legge prevede che siano tenuti al referto gli esercenti la professione sanitaria “che ab-

biano prestato la propria assistenza o opera”. L’obbligo deriva quindi da “un intervento attivosulla persona”, intervento che può assumere la duplice veste dell’assistenza o dell’opera. Peropera “si deve intendere ogni attività sanitaria che abbia finalità di accertamento, indipendente-mente da ogni scopo terapeutico”,80 e che prevalentemente si sostanzia nella diagnosi medica;di conseguenza l’opera è da considerarsi prettamente medica. Per as si sten za invece si intendeogni atto con finalità terapeutica.Altro elemento richiesto per l’obbligo del referto, oltre ad avere prestato la propria opera e

assistenza, è che si sia in presenza di “casi che possono presentare i caratteri di un delitto per ilquale si debba procedere d’uffi cio”.Come ha avuto modo di notare la più recente giurisprudenza, l’obbligo del referto “mira a far

sì che l’attività volta all’accertamento e alla repressione dei delitti, possa trarre giovamento dall’os-servanza dell’obbligo di re ferto da parte degli esercenti una professione sanitaria”. A tal fine “ilsanitario non deve compiere valutazioni giuridiche o di fatto tese a stabilire la certezza o il gradodi probabilità del delitto sospettato, né deve limitarsi a una acritica e pressoché generalizzatainformativa in ordine a tutti i casi di malattia astrattamente riconducibili a cause delittuose”.Si vuole in questo modo evitare un’iperproliferazione di referti che spesso non servono allo

scopo, conge stionano l’attività e rendono non sempre agevoli i compiti di giustizia.Su questo punto la cassazione ha precisato che l’obbligo del referto “sussiste in relazione ai

casi che abbiano almeno la possibilità concreta di presentare i caratteri di un delitto perseguibiled’ufficio”.81

Secondo il codice penale i reati si distinguono, per gravità, in reati perseguibili d’ufficio,quando ab biano gravità tale da rappresentare un danno per la collettività e per i suoi beni, e reatiperseguibili a que rela di parte, quando il danno sia strettamente individuale e competa al lesol’iniziativa di promuovere l’azione giudizia ria.Può non essere agevole per l’infermiere distinguere i reati perseguibili d’ufficio da quelli per -

seguibili a querela, data la sua non esauriente cultura giuridica, ed è per questo motivo che ver-ranno qui di se guito elencati i maggiori reati perseguibili d’ufficio.I reati perseguibili d’ufficio sono l’omicidio, le lesioni personali dolose e in genere tutti i reati

che rivestono una certa gravità.A querela di parte sono invece perseguibili il delitto di percosse, il delitto di lesioni perso-

nali do lose lievissime, il delitto di lesioni personali colpose, il delitto di violenza carnale, il delittodi atti di libidine violenti (oggi unificati nel reato di “violenza sessuale”). Il referto deve essere

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inoltrato entro quarantotto ore al pubblico ministero o all’ufficiale di polizia giudiziaria del luogoin cui ha prestato la propria assistenza o, in sua mancanza, all’ufficiale di polizia giudiziaria piùvicino.Sono ufficiali di polizia giudiziaria i funzionari di Pubblica Sicurezza, gli ufficiali superiori e

in feriori e i sottufficiali dei Cara binieri, della Guardia di Finanza e degli agen ti di Pubblica Si -curezza. In mancanza di questi, competente a ricevere il referto è il sindaco.Il referto, oltre che su apposito modulo, può essere redatto in carta libera, con le indicazioni

richieste dall’art. 334 del c.p.p. sopra ri portato.Nei grandi ospedali sono istituiti, come è noto, posti di Pubblica Sicurezza, ai quali vengono

direttamente trasmessi i referti relativi all’attività del pronto soccorso dell’ospedale stesso. Negliospedali i referti vengono conservati in appositi registri.Vi sono situazioni in cui un referto deve essere ripetuto in virtù di cambiamenti intercorsi tra

l’inizio e la fine della degenza. Nella pratica ospedaliera si parla impropriamente di controreferto,in realtà si tratta di un nuovo referto che ha la funzione di avvertire delle mutate condizioni dell’as-sistito l’autorità giudiziaria, di modo che quest’ultima possa cambiare l’imputazione, per esem-pio, da lesioni dolose a omicidio.Il reato di omissione di referto è previsto solo nella forma dolosa.Nei casi in cui il sanitario rivesta la qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico

ser vizio, egli ha l’obbligo di segnalare all’Autorità giudiziaria qualunque delitto perseguibile d’uf-ficio. Questo ob bligo è previsto dagli artt. 361 e 362 del c.p. che qui riportiamo.

Art. 361Il pubblico ufficiale, il quale omette o ritarda di denunciare all’Autorità giudiziaria, o ad altra autorità alla qualeabbia l’obbligo di riferirne, un reato di cui ha avuto notizia nell’esercizio o a causa delle sue funzioni, è pu-nito con la multa da lire 12 000 a 200 000. La pena è della reclusione fino a un anno, se il colpevole è un uf-ficiale o un agente di polizia giudiziaria, che ha avuto comunque notizia di un reato per il quale doveva farerapporto. Le disposizioni non si ap plicano se si tratta di un delitto punibile a querela della persona offesa.

Art. 362L’incaricato di un pubblico servizio, che omette o ritarda di denunciare all’autorità indicata nell’articolo pre-cedente un reato del quale abbia avuto notizia a causa del servizio, è punito con la multa fino a lire 40 000.Tale disposizione non si applica se si tratta di un reato punibile a querela della persona offesa.

In questo caso non si parla più di referto ma di denuncia. Coinvolge tutti i pubblici ufficiali egli incaricati di un pubblico servizio (vedi cap. 13). Per gli infermieri dipendenti del Servizio sa-nitario nazionale o di case di cura convenzionate sussiste l’obbligo del rapporto. Sono tenuti cioèa riferire sempre al l’autorità giudiziaria.A differenza dell’obbligo del referto, l’obbligo della denuncia si ha non soltanto quando si

sia prestata la propria assistenza o opera, ma anche quando si abbia avuto notizia di un reato“nell’esercizio o a causa del ser vizio”.Riportiamo a tal proposito gli artt. 331 e 332 del c.p.p. che regolamentano questo tipo di de-

nuncia e il suo contenuto.

Art. 331 – Denuncia da parte di pubblici ufficiali e di incaricati di un pubblico servizioSalvo quanto stabilito dall’art. 347, i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio che, nell’eserci-zio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di un rea to perseguibile d’ufficio, devonofarne de nuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito.La denuncia è presentata o trasmessa senza ritardo al pubblico ministero o a un ufficiale di polizia giudiziaria.Quando più persone sono obbligate alla denuncia per il medesimo fatto, esse possono anche redigere e sottoscri -vere un unico atto.

Capitolo 7 – i principali reati a carico dell’infermiere

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Se, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, emerge un fatto nel quale si può configurare un reatoper seguibile d’ufficio, l’autorità che procede redige e trasmette senza ritardo la denuncia al pubblico ministero.

Art. 332 – Contenuto della denuncia La denuncia contiene l’esposizione degli elementi essenziali del fatto e indica il giorno dell’acquisizione dellanotizia nonché le fonti di prova già note. Contiene inoltre, quando è possibile, le generalità, il domicilio equanto altro valga all’identificazione della persona alla quale il fatto è attribuito, della persona offesa e di co-loro che siano in qualche modo in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti.

Figura particolare di referto è quella prevista dalla legge sull’adozione speciale che puni-sce “I pubblici ufficiali, gli incaricati di un pubblico servizio, gli esercenti un servizio di pubblicanecessità, (che) deb bono riferire al più presto al tribunale per i minorenni sulle condizioni di ogniminore in situazione di abban dono di cui vengono a conoscenza in ragione del proprio ufficio”.Questa particolare figura di denuncia non è specifica per il personale sanitario, come invece

lo è il referto, in quanto coinvolge la categoria più generale dei pubblici ufficiali. Peraltro, partedella più autorevole dottrina giuridica inquadra questo tipo di obbligo come figura particolarenon di referto, bensì di omissione di soccor so.82

Una causa di non segnalazione all’autorità giudiziaria è data dall’assistenza a stranieri ex-tracomunitari non in regola con il permesso di soggiorno per il fatto della pura clandestinità. Re-cita infatti l’art. 33, comma 5, della legge 6 mar zo 1998, n. 40 “Disciplina dell’immigrazione enorme sulla condizione dello straniero” e puntualmente recepito all’interno del D.Lgs. 25 luglio1998, n. 286 “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e normesulla condizione dello straniero” che “l’accesso alle strutture da parte dello straniero non in re-gola con le norme sul soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all’autorità, salvoi casi in cui sia obbligatorio il referto, a parità di condizioni con il cittadino italiano”.Le questioni si sono recentemente complicate con le disposizioni contenute nel c.d. “pac-

chetto sicurezza” e recepite nella legge 15 luglio 2009, n. 94 “Disposizioni in materia di sanitàpubblica” che ha introdotto una nuova fattispecie di reato proprio sulla clandestinità. Recita infatti l’art. 1, comma 16, che ha introdotto l’art. 10 bis all’interno del TU sull’immi-

grazione:

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio delloStato, in violazione delle disposizioni del presente testo unico nonché di quelle di cui all’articolo 1 della legge28 maggio 2007, n. 68, è punito con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro. Al reato di cui al presente commanon si applica l’articolo 162 del codice penale.

Il timore che la pura violazione delle regole sul soggiorno comportasse l’obbligo per il per-sonale sanitario di denunciare il paziente tramite il referto ex art. 365 o tramite la denuncia exart. 361 si è immediatamente posto causando vivaci polemiche per la lesioni al diritto alla salutee per l’improprio ruolo che si attribuirebbe alle professioni sanitarie. La norma, in effetti, essendosuccessiva ed essendo caratterizzata alla sua specialità sembra connotare una abrogazione im-plicita della norma della non obbligatorietà del referto.Per chiarire la situazione è stata emanata una circolare dal Ministero dell’interno – per quanto

una circolare possa chiarire una norma ordinaria che sembra andare nella direzione opposta –in cui si specifica che rimane vigente il comma 5 dell’art. 35 del D.Lgs. 286/1998 in quanto l’ob-

i principali reati a carico dell’infermiere – Capitolo 7

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82 Mantovani F., Diritto penale – Delitti contro la persona, op. cit.

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bligo del referto “non sussiste per il reato d’ingresso e soggiorno illegale nel territorio delloStato, introdotto dal citato articolo 1, comma 16 della legge n. 94 del 2009, attesa la sua naturadi contravvenzione e non di delitto. Inoltre il comma 2 dello stesso articolo 365 espressamenteesclude l’obbligo di referto nel caso in cui il referto stesso esporrebbe l’assistito a procedimentopenale”.83

Non è inoltre richiesta l’esibizione obbligatoria dei documenti di identità visti i cambiamentioperati proprio con il pacchetto sicurezza.Un recente caso – decisamente insolito - analizzato dalla giurisprudenza di merito riguarda

una manovra di distacco di un respiratore automatico da parte di un infermiere senza una spe-cifica disposizione da parte del medico. Sono stati tratti a giudizio il direttore sanitario della strut-tura e il direttore dell’unità operativa in quanto non avevano denunciato il fatto costituente reato. La sentenza si conclude con una assoluzione e ne pubblichiamo alcuni stralci.

Un direttore sanitario e un direttore di unità operativa sono stati assolti dall’accusa di omissione di de-nuncia ex art. 361 codice penale con la formula perché il fatto non sussiste (direttore di unità operativa)e perché il fatto non costituisce reato (direttore sanitario) per non avere denunciato all’autorità giudi-ziaria il comportamento di un infermiere di una rianimazione “in quanto, prestando servizio quale in-fermiere professionale presso il reparto di Rianimazione dell’ospedale di Codogno, dopo che il Vo. erastato sottoposto ad intervento chirurgico all’anca destra e aveva subito, durante l’operazione, un arre-sto cardiaco, a seguito del quale gli era stato posizionato un pace-maker ed un ventilatore meccanico,senza attendere che il Collegio medico previsto dalla legge 578/93 accertasse l’avvenuto decesso di co-stui (derivante dalla perdita irreversibile delle funzioni dell’encefalo), provvedeva a spegnere le appa-recchiature anzidette, con ciò cagionando la morte del Vo. e per avere con tale condotta, riservata invia esclusiva al personale medico, esercitato senza titolo la professione medica”.Il teste dott. G.C., cardiologo responsabile della terapia intensiva cardiologica presso l’Ospedale di Co-dogno, ha riferito che il paziente, ricoverato nel suo reparto per infarto del miocardio acuto, con pro-gnosi infausta, qualche giorno dopo il ricovero era stato sottoposto ad un rischioso intervento al femore,nel corso del quale, come era prevedibile, subentrava un grave decadimento della funzionalità del cuore,a seguito del quale veniva applicato un contropulsatore, per sostenere l’attività meccanica e poi, a se-guito di un rallentamento estremo della frequenza cardiaca, anche un pace-maker, vale a dire di unostimolatore cardiaco esterno, per sostenere l’attività elettrica. Dette apparecchiature, applicate sul pa-ziente con una sorta di accanimento terapeutico, solo perché lo stesso era padre di un collega, in realtànon sortivano alcun effetto positivo, in quanto lo stimolatore cominciava a perdere cattura, “nel sensoche ad ogni stimolo elettrico non seguiva attività meccanica”, segno questo di un esito senza dubbio in-fausto. Il teste, dopo l’applicazione dello stimolatore cardiaco esterno, effettuata nel reparto di riani-mazione, era quindi ritornato nel proprio reparto ed aveva poi appreso dal collega dott. Fi. della mortedel paziente peraltro prevista, e solo successivamente era venuto a conoscenza delle questioni sorte aseguito di tale decesso.Il paziente era da considerarsi quindi già deceduto e cade quindi l’accusa di omicidio colposo a caricodell’infermiere restando in piedi l’accusa di esercizio abusivo della professione medica.In punto di diritto giova rilevare che, come chiarito anche dalla Suprema Corte “integra il delitto diomessa denuncia di reato (art. 361 cod. pen.) la condotta del pubblico ufficiale che ometta, ovvero ri-tardi, la denuncia di un reato perseguibile d’ufficio, quando egli è in grado di individuarne gli elementied acquisire ogni altro dato utile per la formazione del rapporto” (Cass. 07.05.2009, n. 27508) ed, inol-tre, “l’omissione o il ritardo del pubblico ufficiale nel denunciare i fatti di reato idonei ad integrare il de-litto di cui all’art. 361 cod. pen. si verifica solo quando il p.u. sia in grado di individuare, con sicurezza,gli elementi di un reato” (Cass. 04.04.2008, n. 26081).

Capitolo 7 – i principali reati a carico dell’infermiere

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83 Ministero dell’interno, circolare 27 novembre 2009, n. 12 “Assistenza sanitaria per gli stranieri non iscritti alServizio sanitario nazionale. Divieto di segnalazione degli stranieri non in regola con le norme sul soggiorno. Sus-sistenza”.

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Presupposto del reato in questione è, dunque, che il pubblico ufficiale abbia avuto notizia di un reatonell’esercizio o a causa delle funzioni. Perché sorga l’obbligo di denuncia è necessario che il reato siprofili almeno nelle sue linee essenziali e che il p.u. sia in grado di individuare, con sicurezza, gli ele-menti di un reato, non essendo sufficiente una conoscenza sommaria ed imprecisa del fatto da partedello stesso, quando si richiedono opportune investigazioni intorno al fatto (Cass. 04.04.2008, n. 26081).L’elemento soggettivo del reato in questione consiste nella “consapevolezza e volontarietà dell’omis-sione della denuncia, allorché si sia verificato il presupposto da cui deriva l’obbligo di informare l’au-torità giudiziaria, ovvero la conoscenza, da parte del pubblico ufficiale, del fatto costituente reato acausa e nell’esercizio delle sue funzioni” (così, Cass. 5.11.1998, n. 1407). Il reato richiede dunque il dologenerico: il soggetto deve avere la coscienza e la volontà di omettere o ritardare la denuncia, rappre-sentandosi i presupposti dai quali scaturisce l’obbligo di attivarsi.Tali essendo i principali estremi di fatto, acquisiti nel corso dell’istruttoria, quanto alla posizione diTa.Va., a parere del giudicante, non può ritenersi provata l’integrazione della fattispecie ascritta all’im-putato sotto il profilo soggettivo.Nel caso di specie, invero, Ta.Va., avendo avuto notizia, nella sua qualità di Direttore Medico dell’ospe-dale di Codogno, dell’avvenuto decesso del paziente Vo.Fr. e del distacco, da parte dell’infermiere, delventilatore applicato al paziente, senza il preventivo ordine di un medico, vale a dire di un fatto nel qualeera possibile ravvisare l’ipotesi di un reato, essendo il paziente deceduto, aveva certamente l’obbligo didenunciare l’accaduto all’autorità giudiziaria. Dalle risultanze istruttorie tuttavia non sono emersi ele-menti sufficienti per ritenere che lo stesso fosse consapevole dell’effettivo verificarsi del presuppostoda cui scaturisce l’obbligo di denuncia, che avesse cioè avuto effettiva coscienza che nell’evento a luiriferito potessero ravvisarsi gli estremi di un fatto penalmente rilevante e non già di un mero illecito di-sciplinare. Ciò in quanto lo stesso dott. Ri., primario del reparto di Rianimazione, ove il fatto era avve-nuto e medico curante del paziente Vo., nella comunicazione del [...], riferiva al Ta. che al Co. potevacontestarsi esclusivamente di aver proceduto ad una serie di manovre senza esplicito comando da partedi un medico e, in particolare, del medesimo denunciante, con ciò evidenziando la possibilità di muo-vere nei confronti del dipendente un addebito di carattere meramente disciplinare. Ad analoghe con-clusioni era poi giunta anche la Commissione Disciplinare della Azienda Ospedaliera di Lodi, alla qualel’imputato aveva comunicato la vicenda, formulando una proposta di procedimento disciplinare, in or-dine alla condotta tenuta dal Co., senza tuttavia celare alcun aspetto del fatto. Né dall’istruttoria esple-tata sono emersi ulteriori elementi idonei a provare che il Ta. avesse consapevolezza dell’effettivo ve-rificarsi di un fatto di rilevanza penale.

Tribunale di Lodi, sentenza del 27 settembre 2010

LESIONI PERSONALI E OMICIDIO COLPOSO

OmicidioL’omicidio è previsto in tre di verse forme dal codice penale:

1. omicidio volontario, doloso, punito in modo più grave;2. omicidio colposo, tipico della colpa professionale, punito in modo meno grave;3. omicidio preterintenzionale, che è un’ipotesi intermedia tra l’omicidio compiuto volonta-riamente e quello per colpa. In questo caso il soggetto che commette il reato vuole compiereun reato minore (lesioni o percosse) da cui deriva però, come conseguenza non voluta, lamorte della vittima.

In relazione alla responsabilità professionale la fattispecie che più interessa è quella dell’omi-cidio colposo. La norma di riferimento è contenuta nel primo comma dell’art. 598 del c.p.: “Chiun-que cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni”.A questo proposito non possiamo che ri chiamare i principi sulla colpa visti nel capitolo 4 e in

particolare sull’elemento soggettivo.

i principali reati a carico dell’infermiere – Capitolo 7

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Nel reato di omicidio colposo, come in tutti i reati colposi, il soggetto autore del reato nonvuole intenzio nalmente commettere il reato ma l’evento si verifica ugualmente a causa di ne -gligenza, imperizia, imprudenza, ovvero per inosservanza di leggi, ordini, regolamenti e di scipline.Viene inoltre ad assumere grande importanza, per l’attribuzione all’autore del fatto-reato, il

rapporto di causalità necessaria che deve intercorrere tra la condotta del soggetto e l’evento.

CasisticaÈ stata riconosciuta la responsabilità della morte di un paziente a un’infermiera che ha som ministratofarmaci in eccesso a un paziente psichiatrico in seguito a una sua errata trascrizione di un’esatta pre -scri zione medica.

Tribunale di Bolzano,sentenza del 3 marzo 1980

Un’infermiera professionale e un’allieva in fer miera sono state condannate per omicidio col poso in se-guito a un’errata somministrazione di cloruro di potassio a due neonati. La somministrazione è stata ef-fettuata dall’allieva infermiera, ma l’infermiera professionale “a vreb be dovuto controllare più da vicinoe più attentamente l’allieva che aveva preparato la fleboclisi”; “l’avere lasciato sola l’allieva in un com-pito così delicato è stata la colpa principale dell’infermiera”.

Tribunale di Firenze,sentenza del 23 marzo 1981

Risponde del reato di omicidio colposo un infermiere dipendente di una casa di riposo che abbandonatemporaneamente un malato a lui affidato all’interno di una vasca da bagno con acqua bollente cau-sandogli – in conseguenza della prolungata immersione ustioni di II e III grado nel 40% della superficiecorporea e successiva morte – in quanto buona pratica vuole che l'infermiere che deve provvedere albagno dell'handicappato prima saggi com'è la temperatura dell'acqua e poi se mai indossi i guanti.

Tribunale di Genova, sentenza del 26 settembre 2006

Lesioni personaliLe lesioni personali sono previste dagli artt. 582 (nella forma dolosa) e 590 (nella forma col-posa) del codice penale:

Art. 582Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente,è punito con la reclusione da tre mesi a sei anni.

Art. 590Chiunque cagiona ad altri, per colpa, una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con lamulta fino a lire 600 000.

Vediamo di spiegare meglio in che cosa consista il reato di lesione personale, soprattutto nelpunto in cui il codice specifica che da tale lesione “deriva una malattia nel corpo o nella mente”.La precettistica medico-legale definisce la malattia come “uno stato anomalo dell’organismo

in via di evo luzione, con o senza alterazioni anatomiche appariscenti, ma accompagnato da di-sturbi funzionali, locali o generali, dipendenti sia dall’azione di un agente lesivo, sia dalla rea-zione di difesa e di riparazione da parte dell’organismo” (Leoncini).In questa definizione si sottolinea “la corretta valorizzazione dell’elemento funzionale rispetto

a quello ana tomico”.84

Capitolo 7 – i principali reati a carico dell’infermiere

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84 Fallani M., Medicina legale e delle assicurazioni, op. cit.

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Per malattia della mente non si intende soltanto offuscamento e disordine totale o parziale,ma sono sufficienti “l’indebolimento, l’eccitamento, la depressione o l’inerzia dell’attività psi-chica, con effetto permanen te o temporaneo, sia pure brevissimo”,85 pertanto “anche il cosid-detto shock nervoso e il semplice svenimento debbono considerarsi come malattie della mente”.Inoltre l’art. 582 c.p. prosegue specificando che se la malattia ha una durata non superiore a

venti giorni il delitto è perseguibile a querela della persona offesa.Le lesioni si possono classificare in base alla durata della malattia in:

1. lesioni personali lievissime, che si hanno quando la durata della malattia non è superiore aventi giorni;

2. lesioni personali lievi, che si hanno quando la durata della malattia è superiore a venti giorni,ma non superiore a quaranta;

3. lesioni personali gravi, che si hanno quando:– la durata della malattia supera i quaranta giorni;– la malattia ha messo in pericolo di vita la persona offesa o gli ha causato l’indebolimentopermanente di un senso o di un organo (art. 583 c.p.);

4. lesioni personali gravissime, che si hanno quando dal fatto deriva:– una malattia certamente o probabilmente insanabile;– la perdita di un senso;– la perdita di un arto, o una mutilazione che renda l’arto inservibile, ovvero la perditadell’uso di un organo o della capacità di procreare, ovvero una permanente e grave diffi-coltà della favella;

– la deformazione, ovvero lo sfregio permanente del viso (art. 583 c.p.).

Il delitto di lesione personale si distingue dal delitto di percosse previsto dall’art. 581 c.p. chespecifica che si commette tale reato se dal fatto “non deriva una malattia del corpo o della mente”.

CasisticaÈ stata riconosciuta la responsabilità penale, per il reato di lesioni personali, di un’operatrice di un isti-tuto di minorati psichici che aveva omesso di praticare terapie antiepilettiche nei confronti di alcuni mi-nori subnormali ricoverati presso l’istituto medesimo, cagionando così l’aggravamento delle crisi e la lororeiterazione a distanza sempre più ravvicinata.

Cassazione penale, I sez., sentenza del 4 dicembre 1974

Due infermiere professionali sono state condannate per il reato di lesioni personali dolose per averein concorso tra di loro “inflitto sofferenze fisiche, praticando bagni di acqua gelata e tirando i capelli,e sofferenze morali, umiliandola e offendendola verbalmente, approfittando dell’età avanzata e dell’in-fermità fisica che la immobiliz zava a letto, e in violazione dei doveri inerenti all’esercizio della pro-fessione di infermiera, cagionato a una ma lata lesioni personali consistite nella frattura della sesta,settima, ottava e nona costa dell’emitorace destro, in ecchimosi della regione dorsale alta e dell’artoinferiore sinistro”.Sono state riconosciute colpevoli del fatto ascritto loro in base a testimonianze di malati e nonostantela “co pertura” assicurata da un comportamento reticente della caposala, la quale ha avuto, a detta delPretore, un com portamento che costituisce un “deprecabile esempio di reticenza, verosimilmente oc-casionato da malintesi prin cipi religiosi (era una suora), e dall’intento di difendere il buon nome delproprio reparto”.

i principali reati a carico dell’infermiere – Capitolo 7

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85 Cassazione penale, I sez., sentenza del 4 dicembre 1974.

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A seguito di questo comportamento il Pretore ha trasmesso gli atti al pubblico ministero affinché po-tesse valutare se procedere a carico della stessa per falsa testimonianza.Alle infermiere sono state inoltre riconosciute le aggravanti dell’avere agito per “motivi futili” (art. 61,n. 1 c.p.) per avere picchiato la paziente accusata soltanto di avere incolpevolmente evacuato nel letto.Tale compor tamento deve considerarsi “un pretesto per lo sfogo di pulsioni aggressive affondanti inben altre cause. Vi è, pertanto, assoluta sproporzione tra le condotte e la loro causa emergente”.Un’altra aggravante riconosciuta è stata quella prevista dall’art. 61, n. 4 c.p. e cioè di avere agito concru deltà. Si agisce con crudeltà quando le sofferenze e i dolori inflitti siano maggiori di quelli occor-renti per com mettere il reato. “Nel caso di specie integrano il concetto di crudeltà, sotto il profilo dell’as-soluta mancanza di sentimenti umanitari e di sintomo di istintività aggressiva sino alla persecuzione,le inutili quanto rabbiose sof ferenze inferte dalle due infermiere alla malata con il tirarle i capelli, colgirarla bruscamente, col percuoterla, col sottoporla a un bagno di acqua gelata pur disponendo dell’ac-qua calda e col lasciarla per diverse ore bagnata in una notte invernale. Tutti com portamenti ecce-denti quanto finalizzato all’esecuzione di un reato di impulso, qua le quello di lesioni, ed estrinseca-tivi di una volontà di sottoporre la parte offesa a sofferenze e umiliazioni gratuite e spropositate ri-spetto alla causa scatenante l’ira”.Infine il Pretore ha riconosciuto alle infermiere l’aggravante di essere “incaricate di un pubblico servi-zio”, art. 61, n. 9 c.p. Ha precisato il Pretore che “le due imputate hanno com messo le azioni censuratementre eser ci ta va no la propria funzione prestando servizio not turno di infermiere. Fra le attribuzioniassistenziali previste dal mansionario degli infermieri professionali rientra l’assistenza com ple ta all’in-fermo. Fra i programmi di in se gna mento delle scuole per infermieri professionali rientrano le materiedella psicologia generale e della ge riatria. Il Codice deontologico della Federazione nazionale IPASVIesalta, fra le tante, la funzione di servizio alla vita dell’uomo nel senso di aiutarlo ad amare la vita, asuperare la malattia, a sopportare la sof ferenza”.

Pretore di Firenze,sentenza del 21 giugno 1991, n. 801

IL SEQUESTRO DI PERSONA

Il sequestro di persona è un reato previsto dall’art. 605 del c.p.: “Chiunque priva taluno della li-bertà personale è punito con la reclusione da sei mesi a otto anni”.La pena è della reclusione da uno a dieci anni, se il fatto è commesso:

1. in danno di un ascendente, di un discendente o di un coniuge;2. da un pubblico ufficiale, con abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni.

Il reato in questione si commette “privando della libertà personale un individuo”.La privazione può avvenire non solo con la violenza o la minaccia, ma anche con l’inganno.86

La condotta dell’autore del reato può essere sia attiva (per esempio chi rinchiude una persona inuna stanza), sia omissiva (chi non restituisce la libertà a chi ne è privato).La giurisprudenza ritiene che affinché si realizzi il reato in questione è necessario che “la per-

dita della libertà si protragga per un periodo di tempo di un certo rilievo”, “per un tempo giuridi-camente apprezzabile”.Non ha alcun rilievo la circostanza che la vittima riesca successivamente a liberarsi87 o non

faccia alcun ten tativo per recuperare la libertà di movimento, quando allo scopo debba porre in

Capitolo 7 – i principali reati a carico dell’infermiere

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86 Antolisei F., Manuale di diritto penale – Parte speciale, op. cit., 1986, p. 143.87 Cassazione penale, I sez., sentenza del 2 ottobre 1979.

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essere mezzi difficilmente attua bili o comunque tali da far prospettare il sorgere in suo danno diulteriori situazioni negative o anche solo di pericolo.88

In campo sanitario questo reato può essere commesso da medici e infermieri soprattutto incampo psichia trico e nel trattamento dei tossicodipendenti.

LA VIOLENZA PRIVATA

È un reato sanzionato dall’art. 610 del c.p.: “Chiunque, con violenza o minaccia, co stringe altria fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclu sione fino a quattro anni”.È considerato un reato “generico” e “sussidiario” e viene sostituito spesso da ipotesi di reato

più specifiche, quali possono essere per esempio, in ambito sanitario, i reati di sequestro di per-sona e di lesioni personali.È un reato cosiddetto comune, in conseguenza di quanto specifica il c.p., che può com piere

“chiunque”. Se lo commette un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio vi è un’ag-gravante di pena. La condotta criminosa consiste nel costringere altri a fare, tollerare od omet-tere qualche cosa.“Il comportamento, attivo, passivo, omissivo, oggetto di costrizione, deve essere determinato,

come viene desunto dall’espressione qual che cosa”.89 Se tale determinatezza non sus siste, ri-correrà non più il reato di vio lenza privata, bensì quello di minaccia.90

Per violenza si intende non soltanto la violenza “propria” e diretta, ma anche la violenza “im-propria”, nelle sue variegate forme, e indiretta. Ha rilevanza anche la violenza intesa come “com-pressione della sfera della li bertà psichica della vittima”.91

All’interno della professione infermieristica possono integrare gli estremi di violenza privatal’abuso di con tenzione fisica ed eventuali trattamenti sanitari di competenza infermieristica ope-rati senza il consenso del pa ziente.

L’ABBANDONO DI PERSONE MINORI O INCAPACI

È un reato previsto dall’art. 591 del c.p., il quale testualmente recita:

Chiunque abbandona una persona minore degli anni quattordici, ovvero una persona incapace, per malattiadi men te o di corpo, per vecchiaia o per altra causa, di provvedere a se stessa, e della quale abbia la custodiao debba avere la cura, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.

La pena è della reclusione da uno a sei anni se dal fatto deriva una lesione personale, e datre a otto anni se ne deriva la morte.Il soggetto attivo del reato è colui che “ha la custodia” o “deve avere cura”. È un reato, quin -

di, che presup pone un preesistente rapporto di custodia o di cura e non può, nonostante la di-zione letterale del codice, essere commesso da “chiunque”.

i principali reati a carico dell’infermiere – Capitolo 7

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88 Cassazione penale, V sez., sentenza del 27 giugno 1974, Giustizia penale, II, 516, 1985.89 Mantovani F., Diritto penale – Delitti contro la persona, op. cit., p. 385.90 Antolisei F., Manuale di diritto penale – Parte speciale, op. cit., p. 133.91 Antolisei F., Manuale di diritto penale – Parte speciale, op. cit., p. 132.

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All’interno della professione infermieristica il rapporto di cura deriva da precise fonti norma-tive. In primo luogo dal profilo professionale recepito nel D.M. n. 739/1994 che precisa al secondocomma dell’art. 1 che rientra tra le principali funzioni della professione infermieristica “l’assistenzadei malati e dei disabili di tutte le età”. Nell’ordinamento professionale previgente, il D.P.R. n.225/1974 (il cosiddetto mansionario) attribuiva all’in fermiere “l’assistenza completa all’infermo”.In particolar modo si deve sottolineare l’art. 3 del citato mansio nario che attribuiva alle vigilatricid’infanzia compiti di “custodia” dei minori affidati. È un tipico reato a condotta omissiva e consistenell’abbandonare o nel non esercitare la custodia e la cura alle quali si è obbligati.Per la giurisprudenza, ai fini della configurabilità del reato in questione, “l’esposizione a peri-

colo della per sona abbandonata può essere anche meramente virtuale e non resta esclusa né dallatemporaneità della condotta determinante l’abbandono, né dalla possibilità di eventuali soccorsi”.Si cita come esempio un caso nel quale è stato ritenuto col pevole del reato in esame un infermierein servizio presso un istituto per anziani che in più occasioni non aveva fornito ai ricoverati le pre-stazioni assistenziali e terapeutiche cui era tenuto, esponendo così a rischio la loro sa lute.92

Integra inoltre gli estremi del reato di abbandono di persone incapaci “il repentino allontana-mento di tutte le infermiere di una casa di ricovero per anziani e menomati psichici, essendo irri-levante, ai fini della sussistenza dello stato di pericolo per l’incolumità delle persone predette, lapresenza in loco di inservienti (ausiliari) […], o i successivi interventi che consentono di evitare l’ag-gravamento dei ricoverati”.93

È bene precisare però che, se in linea di massima la cronica mancanza di personale che carat-terizza le strut ture sanitarie pubbliche e private di questo paese non giustifica i comportamenti delpersonale stesso in merito al reato in questione, in casi particolari la carenza grave di personale eanche di personale qualificato può comportare responsabilità verso i vertici aziendali. Affidare cioèi ricoverati a personale insufficiente e non spe cializzato può comportare una responsabilità penalesolo per i vertici e non per il personale.94

In conseguenza dell’art. 591 del c.p., che tutela il valore etico-sociale della sicurezza della per-sona fisica, anche gli obblighi contrattuali possono assurgere a fonti di obbligo. È stata infatti rico-nosciuta la responsabilità penale di un medico che rivestiva la qualifica di assistente con incaricodi reperibilità presso una clinica privata che, malgrado l’evidente gravità della patologia del pa-ziente, poi deceduto, anziché intervenire prontamente per sopperire all’inadeguatezza del medicodi guardia, palesata dalla delicatezza del caso, si era limitato a dare per telefono generiche indica-zioni e a suggerire terapie.95

CasisticaIl reato di abbandono di persona incapace è configurabile solo quando si verifichi una reale situazionedi ab bandono consistente nel lasciare una persona in un determinato luogo senza più curarsene.Non può configurarsi il reato di abbandono di incapace nel caso di una paziente ricoverata in una corsiadi ospedale e assistita dal personale infermieristico.L’avere omesso da parte dei medici di somministrare le terapie idonee ovvero non avere curato adeguata -mente le complicanze suppurative delle lesioni da decubito non indica una situazione di abbandono maintegra gli estremi dell’omicidio colposo.

Corte di Assise di Firenze,sentenza del 14 dicembre 1998

Capitolo 7 – i principali reati a carico dell’infermiere

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92 Cassazione penale, V sez., sentenza del 22 giugno 1990.93 Cassazione penale, V sez., sentenza del 9 maggio 1986, Cas sazione penale, 1094, 1987.94 Cassazione penale, V sez., sentenza del 14 gennaio 1994, n. 290.95 Cassazione penale, V sez., sentenza del 14 gennaio 1994, n. 290 .

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Risponde del reato di abbandono di persone incapaci un infermiere dipendente di una casa di riposo cheabbandona temporaneamente un malato a lui affidato all’interno di un vasca da bagno con acqua bol-lente causandogli – in conseguenza della prolungata immersione ustioni di II e III grado nel 40% della su-perficie corporea e successiva morte – in quanto la sua posizione di garanzia non ammetteva di lasciaresolo il paziente in quanto non in grado di provvedere a se stesso.

Tribunale di Genova,sentenza del 26 settembre 2006

L’INTERRUZIONE DI PUBBLICO SERVIZIO

È una fattispecie prevista dall’art. 340 “In ter ru zio ne di un ufficio o servizio pubblico o di un ser-vizio di pubblica necessità” del c.p:

Chiun que, fuori dei casi preveduti da particolari disposizioni di legge cagiona un’interruzione o turba la re-golarità di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità è punito con la reclusione finoa un anno.I capi promotori o organizzatori sono puniti con la reclusione da uno a cinque anni.

Soggetto attivo del reato può essere “chiunque” cagioni l’interruzione o la turbativa di un ser-vizio, quindi non soltanto un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio.Si integrano gli estremi del reato quando vi siano la coscienza e la volontà di cagionare l’in-

terruzione.È un reato sussidiario, in quanto viene meno se vi sono gli estremi di reati più specifici pre-

visti da altre norme del codice penale.

CasisticaUn’infermiera dell’ospedale Cat ti na ra di Trieste durante il servizio notturno si era adagiata su un “giaci-glio (due sgabelli ricoperti da indumenti o lenzuola) appositamente predisposto”, come da accertamentonel corso di un’i spezione da parte della caposala.La Corte suprema ha confermato la sentenza di assoluzione pronunciata dal Pretore di Trie ste in quan -to l’art. 340 c.p. non richiede la “potenzialità” del turbamento del pubblico servizio, bensì l’effettività delturbamento. Ef fet tività che non c’è stata, dimostrata anche dall’aver provveduto, prima di sdraiarsi, a ero -gare assistenza ad alcuni pazienti. Inoltre, ha notato la cassazione, l’infermiera “dal punto in cui si trovava poteva agevolmente percepireil se gnale acustico delle chiamate degli ammalati” e come è stato riscontrato ella non “dormiva profon-damente”, ma era sol tanto “adagiata e appisolata”.Il comportamento dell’infermiera non è quindi passibile di sanzione penale, ma può però integrare gliestremi di una responsabilità di carattere disciplinare.

Cassazione penale, VI sez., sentenza del 22 dicembre 1995, n. 465

Un tossicodipendente, nel servizio di pronto soccorso di un ospedale, aveva rifiutato la terapia pro-posta e si era sdraiato nel corridoio, impedendo quindi il transito verso gli ambulatori e l’accesso allasala di urgenza, venendone allontanato dall’intervento di due agenti di polizia.La Corte ha precisato che tale episodio non ripetuto […] potrà aver provocato irritazione, ma non si dimo -stra idoneo a turbare la regolarità di una qualunque prestazione del servizio sanitario.

Cassazione penale, VI sez.,sentenza del 5 gennaio 1995, n. 25

i principali reati a carico dell’infermiere – Capitolo 7

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LA VIOLENZA SESSUALE

Normativa previgenteDal 1930 al febbraio 1996 il reato di violenza sessuale era rubricato come delitto contro “la mo-rale pubblica e il buon costume”. In particolare vi erano quattro distinti delitti contro la “libertàsessuale”:

– la violenza carnale;– gli atti di libidine violenti;– la seduzione con promessa di matrimonio;– il ratto.

Concentreremo la nostra attenzione sui primi due reati. Il limite distintivo tra violenza car-nale, che il codice chiamava “congiunzione carnale abusiva o violenta”, e gli atti di libidine vio-lenti consisteva nella presenza o meno della penetrazione.Laddove si fosse in presenza della penetrazione si era in presenza di violenza carnale. Pe-

raltro, ai fini della configurabilità del reato in questione, non era necessario che la penetrazionefosse totale, in quanto era suffi ciente anche una “introduzione parziale dell’organo genitale delsoggetto attivo nel corpo dell’altro”.96 Il con cetto di penetrazione non doveva e non deve inten-dersi nel senso restrittivo di introduzione in una cavità sessual mente deputata, ma costituiva con-giunzione carnale e “non semplici atti di libidine sia il coito anale che quello orale”.97

Il reato di atti di libidine violenti invece era previsto, per esclusione, dall’art. 521 del c.p., cheprevedeva la commissione del reato a carico di chi commetteva “atti di libidine, diversi dalla con-giunzione carnale”.Sul punto è ovviamente intervenuta in mo do copioso la giurisprudenza che ha stabilito che

il reato di atto di libidine si concretizzava ogni qualvolta vi fosse un “toccamento o un gesto che,per le modalità in cui si svolge, costituisce inequivoca manifestazione di eb brezza sessuale e diconcupiscenza, indipendentemente dal fatto che vi sia stato soddisfacimento dei sensi”.98

Integravano inoltre gli estremi del reato di atti di libidine anche “i toccamenti lascivi e ancorpiù gravemente, strofinamenti dell’organo virile sugli organi genitali femminili, a prescinderedalla concreta realizzazione del fi ne”.99

In ambito sanitario, non si poteva parlare di atti di libidine in caso di visita medica “solo quandola visita medica debba necessariamente riguardare la sfera o gli organi sessuali del paziente, enon quando essa riguardi altre parti del corpo”. Laddove, cioè, la visita medica è indirizzata versola sfera genitale, per esempio in ambito ginecologico, non si può in linea generale parlare di attidi libidine. Se però, “il medico – estendendo abusiva mente l’area della sua indagine – operi all’im-provviso e all’insaputa del paziente, pur sapendo che il consenso non vi sarebbe stato”,100 in que-sto caso commetteva atti di libidine.Anche il personale infermieristico talvolta si macchia del reato in questione. È rimasto im-

presso nella me moria della pubblica opinione il caso dell’infermiere di Gallarate che, dopo averefasciato una ragazza di dodici anni in ospedale, si era recato con una scusa al suo domicilio per

Capitolo 7 – i principali reati a carico dell’infermiere

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96 Cassazione penale, III sez., sentenza del 8 maggio 1990, n. 6649.97 Cassazione penale, III sez., sentenza del 18 dicembre 1986, n. 14222.98 Cassazione penale, III sez., sentenza del 17 febbraio 1972, n. 308.99 Cassazione penale, III sez., sentenza del 19 gennaio 1984, n. 515.100 Cassazione penale, III sez., sentenza del 15 maggio 1986, n. 3796.

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“controllare la fasciatura”. Riu scito a rimanere solo con la ragazza “le aveva abbassato le mu-tandine e introdotto un dito nella vagina”.101

Il reato era poi considerato aggravato dal fatto che il personale sanitario gode generalmentedella qualifica pubblicistica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio.

Normativa attualeLa vecchia e inadeguata normativa sopra ricordata è stata sostituita con la legge 15 febbraio 1996,n. 66, che ha introdotto i nuovi artt. 609 bis-609 decies nella rubrica del codice penale che pre-vede i delitti contro la libertà personale. In conseguenza di questo la violenza sessuale diventa,finalmente, un reato contro la persona e non più contro la morale. Un principio di civiltà giuri-dica è stato affermato.Il nuovo art. 609 bis recita testualmente: “Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso

di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cin-que a dieci anni”. La prima novità rilevante consiste nell’unificazione delle due, dapprima distinte,fattispecie. Non si parla più di “congiun zione carnale violenta” e di “atti di libidine violenti” comedi due reati distinti. Oggi è prevista una singola fatti specie: la violenza sessuale. Il fatto può comportare più di una perplessità, in quanto di diversa gravità sono le ipotesi di

violenza carnale con le ipotesi di atti di libidine. L’unificazione delle fattispecie è però mitigatadall’ultimo comma dell’art. 609 bis che prevede che per i “casi di minore gravità la pena è dimi-nuita in misura non eccedente i due terzi”.Una disposizione di grande interesse è contenuta nell’art. 16 della legge n. 66/1996 che pre-

vede che “l’imputato per i delitti di cui agli articoli 609 bis (violenza sessuale), 609 ter (circostanzeaggravanti), 609 quater (atti ses suali con minorenni) e 609 octies (violenza sessuale di gruppo)del codice penale è sottoposto, con le forme della perizia, ad accertamenti per l’individuazionedi patologie sessualmente trasmissibili, qualora per le moda lità del fatto possano prospettare unrischio di trasmissione delle patologie medesime”. Vi è in questo caso una deroga all’art. 5 dellalegge 135/1990 che prevede che “nessuno può essere sottoposto, senza il suo consenso, a esamitendenti ad accertare la sieropositività da HIV se non per necessità clinica e nel suo interesse”.Possiamo tranquillamente parlare di trattamento sanitario obbligatorio.Il reato è “aggravato” se la violenza sessuale è commessa “nei confronti di persona che non

ha compiuto gli anni quattordici”, oppure con “l’uso di armi e di sostanze alcoliche, narcotiche ostupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa”;un’importanza fondamentale riveste l’aggravante prevista dal terzo comma dell’art. 609 ter chela prevede per i reati compiuti “da persona travisata o che simuli la qualità di pubblico ufficialeo di incaricato di pubblico servizio”. Altre aggravanti sono previste per i fatti com piuti nei con-fronti dei minori.Rimane un reato compiere atti sessuali con chi al momento del fatto “non ha compiuto gli

anni quattordici” oppure “non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l’ascendente,il genitore anche adottivo, il tu tore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione,di istruzione, di vigilanza o di custodia, il mi nore è affidato”. In questo caso la violenza è pre-sunta o, per usare la vecchia terminologia codicistica, “abusiva”.I fatti, anche in questo la nuova legge non innova, sono punibili a querela della persona of-

fesa il cui termine per la proposizione è di sei mesi. Si può procedere d’ufficio in una serie di casiaggravati e tassativamente stabiliti dall’art. 609 septies.

i principali reati a carico dell’infermiere – Capitolo 7

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101 Cassazione penale, III sez., sentenza del 6 gennaio 1984, n. 2174.

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Capitolo 7 – i principali reati a carico dell’infermiere

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L’art. 609 octies prevede una distinta fattispecie per la violenza sessuale di gruppo che con-siste “nella par tecipazione, da parte di più persone riunite, ad atti di violenza sessuale”. Il legi-slatore aveva, in questo caso, due strade: riconoscere la violenza di gruppo un’aggravante delreato oppure costituirla in autonoma fattispecie. Ha preferito la seconda strada, in virtù proba-bilmente di numerosi casi che hanno allarmato la pubblica opinione.Il delitto è perseguibile a querela di parte. Il termine della proposizione della querela, che è

irrevocabile, è di sei mesi.Si procede d’ufficio se:

1. il fatto è commesso nei confronti di una persona che non ha compiuto gli anni quattordici;2. il fatto è commesso da genitore, anche adottivo, dal convivente, dal tutore, ovvero da altrapersona cui il minore è affidato per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanzao di custodia;

3. il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio nell’eser-cizio delle proprie funzioni;

4. il fatto è commesso con un altro delitto per il quale si debba procedere d’ufficio;5. il fatto (senza violenza) è commesso nei confronti di una persona che non ha compiuto i diecianni.

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Capitolo

LA RESPONSABILITÀ DELL’INFERMIEREIN DETERMINATE SITUAZIONI

OPERATIVE

L’INFERMIERE IN SALA OPERATORIA

L’attività infermieristica di sala operatoria non è mai stata regolamentata con norme. Anche du-rante la vigenza del mansionario, l’unica norma che trattava delle mansioni di sala operatoriaspecificava che competeva all’infermiere professionale “l’assistenza al medico nelle varie attivitàdi reparto e di sala operatoria”.

Per aversi un’attività infermieristica corrispondente ai dettami delle attuali normative pro-fessionali, non vi sono dubbi sul fatto che l’attuale organizzazione di gran parte delle sale ope-ratorie dovrebbe subire una sorta di rivoluzione copernicana di carattere organizzativo per per-mettere all’infermiere un ruolo più confacente alle sue possibilità. Affinché la professionalità e ilruolo dell’infermiere possano espandersi oltre al tradizionale ruolo di collaborazione con le fi-gure mediche, è necessario recuperare da altri settori della medicina il concetto di “presa in ca-rico” del paziente. Solo conoscendo il paziente l’infermiere può essere in grado di agire secondoun “nursing perioperatorio” adeguato. Solo in questo caso si può parlare di vera assistenza in-fermieristica di sala operatoria.

Come ogni attività infiermieristica il gruppo infermieristico deve dotarsi di una non più pro-crastinabile “cartella infermieristica di camera operatoria”.1

Andiamo ad analizzare comunque le varie figure infermieristiche di sala operatoria.Tradizionalmente le figure riscontrabili all’interno delle sale operatorie italiane sono essen-

zialmente due:

1. l’infermiere professionale “di sala”;2. l’infermiere strumentista o “ferrista”.

In realtà, in diverse situazioni è presente anche una figura cosiddetta di “infermiere di ane-stesia”, che trova però da sempre molti limiti all’esercizio professionale anche in relazione al fattoche l’anestesia è da considerarsi un atto medico specialistico. Negli Stati Uniti la figura del nurse

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1 Ministero della salute, Dipartimento della qualità – Direzione generale della programmazione sanitaria,dei livelli essenziali di assistenza e dei principi etici di sistema, Risk management in sanità: il problema deglierrori, 2004, allegato 4b, http://www.ministerosalute.it.

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Capitolo 8 – la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative

anesthesist ha acquisito una decisiva importanza se si tiene conto del fatto che già in uno studiodel 1984 si calcolava che il 65% delle anestesie venivano praticate direttamente dai certified nurseanesthesists.2

Ugualmente in Francia l’art. 7 del regolamento di esercizio professionale prevede la figuradell’infermiere di anestesia che può, sotto controllo medico, “intervenire in ogni momento”, par-tecipare alle tecniche di anestesia generale e loco-regionale.3

In Italia la formazione post-base, così come delineata dal profilo professionale,4 non prevedespecificamente una “specializzazione” in sala operatoria. La figura dell’infermiere di anestesiadeve essere considerata, quantomeno da un punto di vista giuridico, una figura di supporto all’ane-stesista.

Analizziamo quindi le figure tradizionali presenti all’interno delle sale operatorie italiane.

L’INFERMIERE DI SALA OPERATORIA

Le mansioni dell’infermiere di sala operatoria, ossia di quella figura che non è “lavata”, non è ste-rile, e il cui fine principale è la collaborazione con il medico anestesista e con l’infermiere stru-mentista, sono sostanzialmente riconducibili a quelle sotto elencate.

I compiti di maggior rilievo dell’infermiere di sala operatoria sono:

1. la preparazione delle apparecchiature e del materiale necessario per l’anestesia generale;2. la pulizia, la disinfezione e la sterilizzazione delle apparecchiature e del materiale occorrente

per l’anestesia;3. l’assistenza allo specialista nel corso dell’anestesia limitatamente alla sola sorveglianza e al

trattamento del supporto del paziente;4. la sorveglianza del polso, della pressione e del respiro nell’immediato periodo postoperato-

rio e nella sala di risveglio;5. la sorveglianza della regolarità del funzionamento degli apparecchi di respirazione automa-

tica, di monitoraggio, di emodialisi ecc.

I punti sopra elencati non sono in realtà di molto aiuto al fine di delineare la responsabilitàdell’infermiere di sala operatoria e si rende necessaria, come al solito, l’analisi dell’attività inter-pretatrice e concretizzatrice della giurisprudenza.

Un compito che un tempo era fonte di responsabilità era quello previsto dalla “preparazionedelle apparecchiature e del materiale necessario per l’anestesia”5 poiché le prese dell’impiantoper l’ossigeno e per i gas anestetici erano identiche, e la possibilità di inversione di tubi era alta.

La Cassazione infatti ebbe a confermare una sentenza contro alcuni infermieri professionali,che riconosceva la colpa di costoro in caso di “somministrazione nel corso di intervento chirur-gico di protossido di azoto anziché di ossigeno a causa dell’inversione di innesto di tubi portanti,i detti gas, anche se l’inversione è stata fatta materialmente da altri”.

Uno degli incidenti intraoperatori in cui può sussistere la responsabilità professionale dell’in-fermiere di sala può essere causato da un errato posizionamento sul lettino operatorio.

2 Eskreis T., Health law – The legal implications of utilizing the nurse anesthesist in place on the anesthe-siologist, Whitter law review, 1985, p. 855. 3 Décret n. 93-345 du 15 mars 1993.4 D.M. 14 settembre 1994, n.739. 5 D.P.R. 225/1974, art. 4.

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la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative – Capitolo 8

Un posizionamento scorretto può provocare lesioni soprattutto a carico di nervi, muscoli etendini, attraverso stiramenti, rotazioni e abduzioni degli arti.

Il posizionamento del paziente in sala operatoria è un peculiare compito dell’infermiere di sala.Non è però un compito che può effettuare in autonomia ma costituisce invece, come ha specifi-cato la Corte di Cassazione, un’“attività ausiliaria di assistenza al medico”.6

Lo stesso articolo 2 del mansionario specificava, sul punto in questione, che l’infermiere as-siste il medico nelle varie attività di reparto e di sala operatoria.

Sempre la suprema Corte ha avuto modo di precisare che “detta attività deve essere sempresvolta sotto il controllo del sanitario e, più precisamente, del medico anestesista, il quale è pre-sente in pre-sala e deve vigilare al regolare posizionamento del paziente nel momento in cui av-viene”.7

Si può però ipotizzare, al di là dello specifico caso appena visto, che laddove il posiziona-mento sia routinario, semplice e privo di difficoltà, e l’infermiere vi provveda in modo negligenteo imperito, possa risponderne insieme al medico anestesista.

Il principio della responsabilità di équipe, oggi imperante nei giudizi della Cassazione, riguardasempre di più tutta l’équipe, anche per i danni causati dal malposizionamento sul letto operato-rio laddove predisposto direttamente dai medici. Si legge nelle più recente giurisprudenza di le-gittimità: 8

Ogni sanitario, quindi, non può esimersi dal conoscere e valutare (nei limiti e termini in cui sia da lui co-noscibile e valutabile) l’attività precedente e contestuale di altro collega e dal controllarne la correttezza,se del caso ponendo rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali ed emendabili con l’ausi-lio delle comuni conoscenza scientifiche del professionista medio (Cass., Sez. 4, 24 gennaio 2005, n.18548). Ed alla stregua di tanto, si sottrae a rinvenibili vizi di illogicità (che, peraltro, la norma vuole do-ver essere manifesta, cioè coglibile immediatamente, ictu oculi) la considerazione della sentenza impu-gnata, secondo cui “il posizionamento della paziente sul lettino, pur essendo materialmente predispostodall’anestesista, non poteva definirsi operazione del tutto sottratta al controllo del medico chirurgo, in-caricato dell’intervento”.

Maggiori responsabilità dovrebbero invece essere addebitabili all’infermiere di sala, a pareredi chi scrive, in caso di non corretto posizionamento della piastra dell’elettrobisturi, mano-vra atta a evitare rischi di elettrocuzioni nel paziente.

Vero è che anche questa attività, come la precedente, è ausiliaria e strumentale rispetto all’at-tività del medico; è anche esplicito però che trattasi di una manovra che non comporta altro cheuna dose minima di diligenza da parte dell’infermiere e che il controllo del medico anestesistapuò essere reso più difficile, se non impossibile, dall’essere il paziente posizionato sulla piastrastessa.

Si denota che, dall’analisi delle cause che portano a questo tipo di incidenti, spesso, fatto salvala responsabilità della casa produttrice in caso di placca difettosa, vi è una negligenza nell’ese-cuzione del posizionamento della placca.

In particolare si segnalano i seguenti casi:

– l’infermiere “riutilizza” la placca, contravvenendo alle indicazioni specifiche delle case pro-duttrici e alla sua natura di materiale monouso;

6 Cassazione penale, IV sez., sentenza del 27 luglio 1983, Zacchia, 1985, p. 292.7 Cassazione penale, sentenza del 27 luglio 1983, Zacchia, 1985, p. 292. 8 Cassazione penale, IV sez., sentenza del 25 maggio 2010, n. 19637.

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– l’infermiere non effettua la preventiva opera di tricotomia, indispensabile per la perfetta ade-renza della placca al corpo del paziente, favorendone con ciò lo scollamento;

– l’infermiere “adatta” placche di misure maggiori provvedendo a tagliarne una parte. Facendociò la placca perde, dal lato tagliato, la sua capacità autoisolante e permette di conseguenzapossibile infiltrazione di liquidi intraoperatori;

– l’infermiere o il caposala conservano in luoghi e a temperature non idonee la placca, favo-rendo l’essiccamento del gel.

La responsabilità dell’infermiere di sala operatoria in materia di elettrocuzioni si è andata pre-cisando con la più recente giurisprudenza di merito – formatasi nella normativa post-mansiona-riale – che vi è un evidente profilo di responsabilità del personale ausiliario e, più segnatamente,dell’infermiera professionale incaricata di porre la “piastra paziente” a contatto della coscia de-stra della paziente. Più precisamente, è stato ravvisato un profilo di negligenza dell'ausiliaria con-sistito nell'aver causato l’ustione in conseguenza del “posizionamento non corretto del bracciodestro lungo il corpo della paziente” con esclusione di qualsivoglia responsabilità professionaledei chirurghi e dell’anestesista che eseguirono l’intervento di rinosettoplastica sulla paziente con-siderato che l’infermiere professionale “deve essere in grado di eseguire correttamente i compiti,di sua pertinenza, che gli vengono affidati dai medici”.9

Un altro problema che si pone frequentemente è rappresentato dal recupero del sangue in-tra- e postoperatorio. Sul punto è intervenuto il decreto 1 settembre 1995 denominato “Disci-plina dei rapporti tra le strutture pubbliche provviste di servizi trasfusionali e quelle pubbliche eprivate, accreditate e non accreditate, dotate di frigoemoteca”.

L’art. 3, comma 4, specifica che “le procedure che non comportano conservazione di emo-componenti, come l’emodiluizione perioperatoria, l’emorecupero intra- e postoperatorio, sonoconsentite sotto la responsabilità dell’anestesista che presiede all’intervento chirurgico e del di-rettore sanitario della struttura di ricovero”.

Quindi l’infermiere può operativamente procedere (è quindi a lui “consentito”) alle manovree alle azioni che caratterizzano l’emorecupero “sotto la responsabilità dell’anestesista” e in su-bordine del direttore sanitario della struttura.

Per quanto riguarda l’attività di collaborazione con il medico anestesista è stato ritenuto col-pevole del reato di esercizio abusivo della professione medica un infermiere che, data la tempo-ranea assenza del medico anestesista dalla sala operatoria, somministrava direttamente la dosedi curaro prescritta nella scheda anestesiologica sulla base dell’interpretazione restrittiva di unanorma contenuta in un’antica legge10 che istituiva i servizi di anestesia negli ospedali che stabi-lisce che l’anestesista “pratica direttamente sui malati, sotto la propria responsabilità, gli inter-venti per l’anestesia, sorvegliando sull’andamento del trattamento”. L’interpretazione della pra-tica diretta dell’anestesista porta quindi a escludere che i farmaci anestetici – tra l’altro il curaronon è strettamente un farmaco anestetico – possano essere somministrati direttamente da un in-fermiere dietro prescrizione medica.11

La Corte di appello di Cagliari ha corretto il tiro rispetto a una condanna decisamente ingiu-sta rispetto a una somministrazione di farmaco operata dietro prescrizione medica. Riportiamola relativa massima.

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Capitolo 8 – la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative

9 Tribunale di Monza, sentenza del 17 gennaio 2007.10 Legge 9 agosto 1954, n. 653 “Istituzione di un servizio di anestesia negli ospedali”.11 Tribunale di Tempio Pausania, sede distaccata di Olbia, sentenza dell’11 maggio 2006, n. 232.

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la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative – Capitolo 8

Non vi è alcun dubbio che la somministrazione dei farmaci sia sempre stato un compito dell’infermiere. […] ciò significa che rientra tra le competenze di tale figura professionale la somministrazione di farmaci,da attuarsi, peraltro, secondo le prescrizioni e le disposizioni stabilite dal medico.Nel caso di specie l’imputato ha assistito – come era solito fare – a un intervento operatorio, facendo partedell’équipe di anestesia che, in tutti i casi, segue sempre un identico protocollo di intervento.[…] e nel momento in cui la detta esigenza si manifestò, unico responsabile dell’équipe di anestesia pre-sente nella sala operatoria era proprio l’odierno prevenuto (l’infermiere) che, somministrando una dosedi dieci milligrammi di curaro, rese possibile la prosecuzione dell’intervento in corso, così consentendodi portare a termine l’operazione senza problemi.[…] le esposte circostanze e, soprattutto, le necessità esistenti nel momento in cui fu attuata la condottadi cui alla contestazione inducono a ritenere che l’imputato non superò affatto i propri compiti, ma sicomporta con competenze e prontezza e, soprattutto, in assoluta buona fede dinanzi a una situazionedi emergenza.

Negli ultimi anni si stanno sperimentando nuove metodologie organizzative per il lavoro disala operatoria arrivando a parlare di medicina perioperatoria dove cresce e si sviluppa il ruolodell’infermiere di sala operatoria consistente soprattutto nella presa in carico del paziente.12

L’INFERMIERE STRUMENTISTA

Nonostante il silenzio legislativo e regolamentare, proviamo a delineare le mansioni che di fattol’infermiere strumentista svolge. La manualistica infermieristica13 ha individuato in modo pre-ciso e puntuale le seguenti attribuzioni di cui l’infermiere è responsabile:

– corretta preparazione all’atto chirurgico;– mantenimento della sterilità della sua persona e della rilevazione di eventuali manovre o mo-

vimenti non sterili che si effettuano in corso di intervento;– sterilità del contenuto del tavolino chirurgico;– vestizione sterile del chirurgo;– scelta dei ferri chirurgici e dei fili (in collaborazione con il chirurgo);– conoscenza e rispetto dei tempi chirurgici “sporchi” e “puliti”;– conta delle garze e dei ferri (in collaborazione con il chirurgo);– sterilizzazione del materiale.

Uno dei principali incidenti operatori, forse il più importante che può coinvolgere l’infermierestrumentista, è quello dello smarrimento o della dimenticanza di corpi estranei nell’organi-smo del paziente.

I corpi estranei in questione sono generalmente garze, tamponi, lunghette, pezze laparato-miche, ferri chirurgici o parti di essi ecc.

Usualmente la dottrina medico-legale ha distinto i corpi estranei in dimenticati e smarriti,laddove per dimenticati14 si intendono quei corpi che sono stati praticamente abbandonati all’in-

12 Regione Emilia-Romagna, Progetto Perimed, Medicina perioperatoria, Sperimentazione di un modello or-ganizzativo/professionale, 14 gennaio 2010.13 Giorgi S., Ruggeri M., in La sala operatoria, Sorbona, Milano, 1994, p. 169.14 Ruggeri F., Errori nell’esecuzione dell’atto operativo, in Atti del XXI Congresso di medicina legale, Siena, 1968.

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terno del paziente per inosservanza delle comuni norme di diligenza, mentre per smarriti si in-tendono quei corpi che siano insensibilmente sfuggiti al chirurgo, indipendentemente dal suozelo, dalla sua diligenza e dalla sua perizia.

La ritenzione delle garze costituisce “un importante evento sentinella” secondo il lin-guaggio del risk management e fatto proprio dal Ministero della salute nella sua “Raccoman-dazione per prevenire la ritenzione di garze, strumenti o altro materiale all’interno del sito chi-rurgico”.15 I dati, pure incerti e non precisi, sono stimati in una ritenzione di garze ogni 1000-3000 interventi.

La maggior casistica riguarda gli interventi di chirurgia addominale, toracica e pelvica.I fattori di rischio sono numerosi; secondo il documento ministeriale sono:

1. le procedure chirurgiche effettuate in emergenza;2. i cambiamenti inaspettati e quindi non programmati delle procedure durante l’intervento chi-

rurgico; 3. l’obesità;4. gli interventi che coinvolgono più di una équipe chirurgica;5. la complessità dell’intervento;6. la fatica o stanchezza dell’équipe chirurgica;7. le situazioni che favoriscono l’errore di conteggio (per esempio, garze attaccate tra loro);8. la mancanza di una procedura per il conteggio sistematico di strumenti e garze;9. il mancato controllo dell’integrità dei materiali e dei presidi al termine dell’uso chirurgico.

La diagnosi dell’evento è estremamente variabile (giorni, mesi, anni) e dipende sia dalla sededell’intervento che dal tipo di reazione provocata dal corpo estraneo. Gli effetti che il materialeestraneo può determinare variano notevolmente, da casi asintomatici a “casi con gravi compli-canze, quali perforazione intestinale, sepsi, danno d’organo sino alla morte; si stima, infatti, untasso di mortalità compreso tra l’11 e il 35%”.

Il Ministero specifica che il conteggio dovrebbe essere effettuato nelle seguenti fasi:

1. prima di iniziare l’intervento chirurgico (conta iniziale); 2. durante l’intervento chirurgico, prima di chiudere una cavità all’interno di un’altra cavità; 3. prima di chiudere la ferita;4. alla chiusura della cute o al termine della procedura; 5. al momento dell’eventuale cambio dell’infermiere o chirurgo responsabile dell’équipe.

Il controllo dell’integrità dello strumentario va invece attuato nelle seguenti fasi:

1. quando si apre la confezione sterile che lo contiene; 2. quando viene passato al chirurgo per l’utilizzo; 3. quando viene ricevuto di ritorno dal chirurgo.

Non si comprende bene perché il ministero parlando di conteggio usi il condizionale (“do-vrebbe”) mentre non lo usa in relazione al controllo dell’integrità dello strumentario.

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Capitolo 8 – la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative

15 Ministero della salute, Dipartimento della qualità, direzione generale della programmazione sanitaria, deilivelli di assistenza e dei principi etici di sistema, ufficio III, Raccomandazione per prevenire la ritenzione digarze, strumenti o altro materiale all’interno del sito chirurgico, Raccomandazione n. 2, marzo 2008,http://www.ministerosalute.it.

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La titolarità del controllo è a carico di tutta l’équipe. Riportiamo per esteso l’indicazione mi-nisteriale:

Il conteggio ed il controllo dell’integrità dello strumentario deve essere effettuato dal personale infer-mieristico (strumentista, infermiere di sala) o da operatori di supporto, preposti all’attività di conteggio.Il chirurgo verifica che il conteggio sia stato eseguito e che il totale di garze utilizzate e rimanenti corri-sponda a quello delle garze ricevute prima e durante l’intervento. Si ricorda che l’attuale orientamentogiurisprudenziale, in tema di lesioni colpose conseguenti a omissione del conteggio o della rimozionedei corpi estranei all'interno del sito chirurgico, estende l’attribuzione di responsabilità a tutti i compo-nenti dell’équipe chirurgica.

Il ministero ha stabilito, inoltre, la modalità di effettuazione della procedura precisando che:

1. la procedura di conteggio deve essere effettuata a voce alta;2. la procedura di conteggio deve essere effettuata da due operatori contemporaneamente (stru-

mentista, infermiere di sala, operatore di supporto);3. relativamente al conteggio iniziale delle garze, verificare che il numero riportato sulla confe-

zione sia esatto, contando singolarmente ogni garza e riportandone il numero sull’appositascheda: il conteggio iniziale stabilisce la base per i successivi conteggi;

4. tutti gli strumenti, garze o altro materiale aggiunti nel corso dell’intervento devono essere im-mediatamente conteggiati e registrati nella documentazione operatoria;

5. l’operazione di conteggio deve essere sempre documentata mediante firma su specifica schedapredisposta dall’azienda e da allegare alla documentazione operatoria;

6. tutto il materiale che arriva e ritorna al tavolo servitore va controllato nella sua integrità;7. devono essere utilizzati contenitori per le garze sterili, usate per l’intervento chirurgico, diffe-

renziati rispetto ai contenitori che raccolgono altre garze o altro materiale di sala operatoria;8. evitare di fare la medicazione di fine intervento con garze con filo di bario rimaste inutiliz-

zate per evitare falsi positivi in caso di controllo radiografico.

Infine, il ministero interviene nel caso in cui emerga una discordanza nel conteggio ovverosi sia rilevata una mancanza di integrità di strumenti e materiale. In questo caso occorre:

1. procedere nuovamente alla conta delle garze;2. segnalare al chirurgo;3. ispezionare il sito operatorio;4. ispezionare l’area circostante il campo operatorio (pavimento, tutti i recipienti per i rifiuti e

gli strumenti utilizzati);5. effettuare la radiografia intraoperatoria con relativa lettura, prima dell’uscita del paziente

dalla sala operatoria;6. registrare quanto avvenuto e tutte le procedure poste in essere nella documentazione ope-

ratoria del paziente.

A conclusione, il ministero auspica un buon clima di lavoro all’interno della camera operatoriae l’adozione di solo materiale idoneo (garze con filo di bario) per la tracciabilità e l’identificazionee la valutazione dell’implementazione di tecnologie che possono aumentare la sicurezza.

Si deve ora stabilire quale responsabilità possa avere l’infermiere strumentista nelle situa-zioni sopra prospettate.

Egli è senza dubbio esente da colpa nel caso di “smarrimenti”, a meno che non dimostri laconoscenza di difetti dei ferri chirurgici complessi che potevano ragionevolmente far prevederela perdita accidentale di parti di essi durante l’uso (giunture difettose, viti ecc.).

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la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative – Capitolo 8

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Capitolo 8 – la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative

Più complesso il discorso sulla “dimenticanza”. In questo caso l’infermiere strumentista par-tecipa alla conta delle garze e degli strumenti alla fine dell’intervento. Inoltre lui, e solo lui, èa conoscenza dell’esatto numero di garze, tamponi, lunghette ecc. usate complessivamentedurante l’intervento e dell’esatta quantità di ferri preparati sul tavolo “servitore”.

La procedura della conta delle garze, particolarmente importante per gli interventi in ca-vità splancnica, è oggi riconosciuta come la procedura più importante per evitare questo tipodi incidente intraoperatorio.

La procedura in questione è riconosciuta importante sia per la dottrina medico-legale, siaper la giurisprudenza.

Già una non recente sentenza della Corte di appello di Roma16 aveva stabilito che la pro-cedura della conta delle garze deve costituire sia per il chirurgo sia per l’infermiere strumen-tista “un imperativo categorico a operazione ultimata”.

Sussisterà senz’altro colpa per negligenza all’infermiere strumentista che ometta o non pre-sti sufficiente attenzione a tale importante procedura.

Assumono naturalmente grande importanza il comportamento e la responsabilità del chi-rurgo, essendo il lavoro di sala operatoria un tipico lavoro di équipe multidisciplinare.

Per i singoli membri dell’équipe vale il principio dell’affidamento,17 non assoluto ma rela-tivo, nel corretto comportamento altrui.

Questo principio trova l’eccezione nel caso in cui il medico “si rappresenti la pericolositàdell’altrui comportamento e non si attivi per eliminarla oppure abbia l’obbligo di impedire, me-diante un diligente controllo, le altrui scorrettezze per la sua particolare posizione gerarchica”.18

Al di fuori di questi casi vale il principio dell’affidamento. La procedura della conta delle garze, anche in virtù del rapporto fiduciario che spesso in-

tercorre tra infermiere strumentista e chirurgo, avviene sotto la diretta responsabilità di chi laesegue.

A conferma di questo possiamo ricordare la già citata sentenza della Corte di appello diRoma, che ha riformato quella parte della sentenza del Tribunale che esentava da colpa il chi-rurgo.

Con la sentenza di primo grado era stata riconosciuta colpevole solo l’infermiera.L’ipotesi usuale è comunque quella del concorso di colpa tra chirurgo e infermiere, anche

se non sono mancate pronunce contrarie.19

Peraltro, si può anche in questo caso fare riferimento alla manualistica infermieristica chededica specifici protocolli e determinate accortezze per evitare errori durante la conta.20

Vi può essere inoltre, sul punto in questione, corresponsabilità dell’infermiere di sala, nelcaso che egli partecipi, come generalmente accade, alla conta.21

16 Corte di Appello di Roma, sentenza 25 luglio 1965, Giustizia penale, 1966, II, p. 982.17 Mantovani F., La responsabilità del medico, Rivista italiana di medicina legale, 16, 1980.18 Mantovani F., La responsabilità del medico, op. cit.19 Tribunale penale di Firenze, II sez. bis, sentenza del 9 dicembre 1997-4 marzo 1998 “Il medico è indub-biamente l’operatore al quale nella circostanza, al di là della sua mera qualifica e della sua posizione, sonoda attribuire in concreto l’inserimento in addome della garza e quindi, innanzitutto, la sua mancata rimo-zione, terminato l’intervento”.20 Giorgi S., Ruggeri M., in La sala operatoria, op. cit.21 Mantovani F., Il medico e l’infermiere a giudizio, in Atti del I Convegno nazionale (a cura di Luca Benci),Siena, 10-11 aprile 1997, Lauri, Milano, 1997.

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la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative – Capitolo 8

La procedura della conta delle garze e dei ferri, secondo la recente giurisprudenza dellaCassazione, deve avvenire in due fasi: una precedente e una successiva alla chiusura della fe-rita. Statuisce la suprema Corte:

È infatti evidente che è opportuno il conteggio, prima della chiusura della ferita, per rimuovere eventualipezzi dimenticati (talvolta è successo con garze o cotone idrofilo), senza procedere poi alla “scucitura”subito dopo l'intervento, ma è altrettanto evidente che regole semplici di diligenza, di perizia e di pru-denza, senza neppure “scomodare” la conoscenza della scienza medica, impongono di controllare nuo-vamente che tutti i ferri siano stati rimossi dopo la sutura della ferita, in quanto a una eventuale omis-sione si può porre rimedio nell'immediatezza, procurando un lieve trauma la “scucitura” della sutura,laddove la permanenza del ferro nel corpo per molto tempo (nella specie diversi mesi) e il dover proce-dere a nuovo intervento chirurgico per rimuoverlo dopo che si siano prodotte tenaci aderenze, sono causadi lesioni gravi, o addirittura della morte del paziente.Il dovere professionale di procedere al conteggio dei ferri non può quindi ritenersi esaurito eseguen-dolo prima della sutura della ferita e ancorché alcuni pezzi permangono nel corpo della persona sot-toposta a intervento chirurgico, ma va completato con un’ulteriore verifica subito dopo la sutura percontrollare la rimozione degli ulteriori pezzi, proprio perché è possibile (come è avvenuto nella spe-cie) che tali ferri possano, per diverse cause (per dimenticanza o per incidente), essere stati lasciatinel corpo della persona operata.22

Secondo la giurisprudenza di merito l’unico criterio di carattere generale per la suddivisionedelle competenze e della responsabilità all’interno del lavoro di équipe è il cosiddetto principiodell’affidamento, secondo cui ogni componente di un gruppo impegnato in un intervento chirur-gico dovrebbe poter confidare sulla capacità dei collaboratori di adempiere alle mansioni affidatecon la necessaria competenza e diligenza, fermo restando il potere di controllo di chi, in un datomomento, assume la qualifica di responsabile del gruppo o del capo équipe.23

L’abbandono di garze laporotomiche nel corpo di un paziente è il frutto di un errore da addebitarsi contem-poraneamente alle concorrenti condotte colpose del chirurgo responsabile, e all’infermiere ferrista che ha,tra le sue mansioni specifiche, anche quella della conta delle pezze e dei ferri.La suddivisione delle mansioni del personale che effettua o coadiuva in un intervento chirurgico non ècodificata per legge, ma trova la sua espressione riconosciuta come valida nella prassi chirurgica.In particolare se i chirurghi compiono le attività loro specificamente connesse, il compito dell’infermiereferrista è quello di assistere l’operatore fornendogli il materiale richiesto, sostituendo quello già usato epreoccupandosi di conteggiarlo per evitare la perdita di pezzi; il medico ha diritto di aspettarsi che l’in-fermiere compia esattamente quello per cui è deputato, secondo la prassi riconosciuta e secondo le istru-zioni avute a essa conformi.Non è condivisibile la distinzione tra smarrimento e abbandono di corpi estranei nell’organismo delpaziente in quanto appaiono come sinonimi.

Nella più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione è stato maggiormente posto l’ac-cento sulla responsabilità di lavoro di équipe precisando che nel caso di abbandono di corpi estra-nei “si configura la responsabilità dell'intera équipe medica. Il principio viene condiviso, tantopiù che si evidenzia che presso il nosocomio era in vigore un protocollo che prevedeva una se-rie di conteggi eseguiti sia dall'infermiere strumentista che dall'infermiere di sala e una verifica

22 Cassazione penale, IV sez., sentenza del 26 maggio 2004, n. 39062.23 Pretura circondariale di Pavia, sentenza del 10 marzo-29 aprile 1999.

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Capitolo 8 – la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative

finale da parte del medico chirurgo. Tale verifica, pertanto, coinvolge tutte le persone in qualchemodo impegnate nell'atto operatorio”.24 Specifica la Corte:

A tale riguardo va solo rimarcato che il controllo di cui si discute è mirato a fronteggiare un tipico, ricor-rente e grave rischio operatorio: quello di lasciare nel corpo del paziente oggetti estranei. Esso è conse-guentemente affidato all'intera équipe, proprio per evitare che la pluralità dei difficili compiti a ciascuno de-mandati, le imprevedibili contingenze di un'attività intrinsecamente complessa come quella chirurgica, lastanchezza o la trascuratezza dei singoli, o altre circostanze possano comunque condurre ad un errore cheha conseguenze sempre gravi. Si richiede, dunque, l'attivo coinvolgimento di tutti i soggetti che interven-gono nell'atto operatorio. Essi devono attivamente partecipare alla verifica. In conseguenza, non è previ-sta né sarebbe giustificabile razionalmente la delega delle proprie incombenze agli altri operatori, poichéciò vulnererebbe il carattere plurale, integrato del controllo che ne accresce l'affidabilità.

Nella vicenda processuale erano stati coinvolti – e successivamente condannati – il chirurgo cheaveva cominciato – ma non finito – l’intervento, l’infermiere strumentista e l’infermiere di sala ope-ratoria.

Contrariamente a quanto risulta dalla precedente casistica, dai protocolli e dalle indicazioni mi-nisteriali la linea di difesa dell’infermiere strumentista è stata quella di deresponsabilizzarsi rispettoall’evento, arrivando la difesa a affermare:

L'infermiera strumentista svolge un ruolo complesso e delicato: è sterile e la sua mansione primaria è quelladi preparare e fornire ai chirurghi gli strumenti necessari. Le viene quindi richiesta una costante e totale at-tenzione. L’infermiera di sala, al contrario, ha una funzione di supporto: si trova al di fuori del campo ope-ratorio, non è sterile e si occupa di fornire dall’esterno il materiale che si riveli eventualmente necessario.Tale infermiera si occupa di ritirare le garze sporche, contandole e segnandone i rispettivi quantitativi nel-l'apposita scheda. In conseguenza, esclusivamente su tale soggetto grava l’obbligo di leggere la documen-tazione. L’obbligo in questione non può essere attribuito all’infermiera strumentista che, certamente, nonè in grado di tenere a mente il numero delle bende utilizzate nel campo operatorio, tanto più che l’inter-vento durò ben 7 ore. L'unico soggetto in grado di compiere tale controllo era l’aiuto di sala. In conclusioneil compito di contare ed annotare il materiale in questione non poteva gravare sulla ricorrente; sicché er-roneamente ne è stata ritenuta la colpa.

Argomentazioni definite dalla Corte di Cassazione – e non certo a torto – “prive di pregio”, con-fermando quando stabilito dalla Corte territoriale sul ruolo dell’infermiere strumentista che ha “spe-cifiche incombenze anche per ciò che attiene al controllo in questione, sia in ordine al conteggiodelle garze utilizzate, sia per ciò che riguarda il finale controllo di corrispondenza tra le garze uti-lizzate e quelle restituite. Se ne deduce che l'imputata è venuta meno all'obbligo di concorrere per-sonalmente alla procedura in questione. Costei, d’altra parte, ha lealmente ammesso di essersi li-mitata a richiedere la conta alla L. Ciò che è mancato, come correttamente evidenzia la Corte ter-ritoriale, è stata una procedura di verifica, che non si traduce nella semplice comunicazione di unnumero ma implica un controllo che invece è mancato”.

Il controllo delle garze, nel senso di attivazione della procedura, deve essere avviato anche alcambio dell’équipe, sia essa medica che infermieristica. Nel caso di specie al momento della sosti-tuzione del chirurgo che aveva avviato la prima fase dell’intervento, il chirurgo uscente doveva con-trollare il campo operatorio e accertarsi della presenza di tutte le garze. Ha specificato la Cassa-zione che “l'obbligo di controllo non può ritenersi soddisfatto con il semplice affidamento di essoad una infermiera, senza interessarsi al suo esito, come ritenuto dall’imputato. La verifica, infatti,

24 Cassazione penale, IV sez., sentenza del 11 aprile 2008, n. 15282.

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la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative – Capitolo 8

implica un controllo attivo che va compiuto interpellando personalmente il personale incaricato echiedendo i dati numerici dei diversi conteggi; cosa che pacificamente non è stata fatta”. D’altraparte il chirurgo deve comunque tenere conto di quante garze usa e il controllo finale costituisce“solo un adempimento aggiuntivo che non esonera il chirurgo stesso dall’adottare per proprio contole cautele e l’attenzione necessaria”.

Nessun addebito è stato mosso invece al chirurgo subentrante in quanto ha agito secondol’usuale principio dell’affidamento.

Condanna anche per l’infermiera di sala, “pur in presenza di un minore livello di responsabi-lità”. La casistica ridottissima sull’infermiere di sala operatoria porterebbe erroneamente a pensareche egli non sia responsabile in casi di smarrimento di corpi estranei. Precedentemente la stessaCassazione aveva avallato questa impostazione arrivando ad affermare che egli, “facendo parte delpersonale non sterile, non aveva avuto alcun contatto con il campo operatorio e non aveva avutoalcun potere di controllo in ordine ai ferri chirurgici usati per l’intervento”. Era però riferito a uncaso particolare relativo alla dimenticanza di ferri chirurgici sui quali l’infermiere di sala operato-ria non aveva in concreto alcun potere-dovere di controllo. Più correttamente deve essere inveceaffermata la responsabilità, sia pure con profilli di responsabilità inferiori a chi invece – chirurgo estrumentista – è direttamente presente sul campo operatorio.

Nello stesso filone giurisprudenziale si inserisce un’altra pronuncia, sempre della Suprema Corte,che riconosce la responsabilità di un infermiere il quale facente parte dell’équipe chirurgica “chesottopose ad intervento chirurgico per appendicectomia cooperò con i sanitari colposamente e congrave negligenza al prodursi dell’evento non controllando adeguatamente che le garze introdottenella cavità addominale della paziente venissero tutte rimosse alla conclusione dell’intervento”.25

Anche in questo caso, quindi, si è affermata la penale responsabilità di tutta l’équipe chirurgica.Le competenze dell’infermiere strumentista si limitano al tavolo operatorio senza interferenze

e invasioni nel campo operatorio. Non è lecito per uno strumentista essere impiegato come “se-condo operatore” in quanto tale comportamento esula dalle sue competenze e si tratta di im-propria “delega di funzioni proprie del personale medico ad altri e diversi ausiliari (nel caso dispecie una ostetrica con funzioni di strumentista), a ciò non autorizzati, in assenza di particolarisituazioni di urgenza.26 Ancora meno accettabile, ovviamente la sostituzione del primo opera-tore con attività del tipo “incisione della cute e dell’addome”27 o suture e attività consimili.

IL SISTEMA DELL’EMERGENZA SANITARIA: IL RUOLO DELL’INFERMIERE IN CENTRALE OPERATIVA E SUI MEZZI DI SOCCORSO

L’infermiere in centrale operativaIl sistema dell’emergenza sanitaria è stato regolamentato in modo organico dal D.P.R. 27 marzo1992 denominato “Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni per la determinazione dei livellidi assistenza sanitaria di emergenza” e, come atto regolamentare, dalle linee guida n. 1/199628

emanate dal Ministero della sanità. Con tale decreto si dispone che le regioni devono organiz-zare le attività di urgenza e di emergenza sanitaria articolate su due livelli:

25 Cassazione penale, IV sez., sentenza del 22 novembre 2006, n. 38360.26 Cassazione penale, sez. Lavoro, sentenza del 13 aprile 2011, n. 8458.27 Cassazione penale, sez. Lavoro, sentenza del 13 aprile 2011, n. 8458.28 Ministero della sanità – Atto di intesa tra stato e regioni di approvazione delle linee guida sul sistema diemergenza sanitaria in applicazione del decreto del Presidente della Repubblica 27 marzo 1992, in GazzettaUfficiale n. 114 del 17 maggio 1996.

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1. il sistema di allarme sanitario;2. il sistema di accettazione e di emergenza sanitaria.

Il sistema di allarme sanitario “è assicurato dalla centrale operativa, cui fa riferimento il nu-mero unico telefonico nazionale 118. Alla centrale operativa affluiscono tutte le richieste di in-tervento per emergenza sanitaria”. Sono di norma articolate su base provinciale, anche se le li-nee guida hanno notato che, in base all’esperienza, “risulta più funzionale l’istituzione di cen-trali operative sovraprovinciali o addirittura regionali” e l’istituzione della centrale operativa hafatto decadere il sistema precedente in cui sul territorio potevano essere presenti più numeri diriferimento gestiti da associazioni, enti o servizi delle unità sanitarie locali.

Le funzioni della centrale operativa comprendono:

1. ricezione delle richieste di soccorso;2. valutazione del grado di complessità dell’intervento da attivare;3. attivazione e coordinamento dell’intervento stesso.

Per potere assolvere a queste funzioni la centrale operativa deve essere a conoscenza delladislocazione e della tipologia dei mezzi di soccorso sul territorio, delle postazioni di guardia me-dica, della disponibilità dei posti letto dei DEA, con particolare riferimento ai reparti di area cri-tica. La centrale operativa deve inoltre avere un collegamento con le altre centrali operative.

Le linee guida precisano anche che la centrale operativa deve poter definire, con la massimaprecisione, il grado di criticità e complessità dell’evento accaduto e, conseguentemente, attivarel’intervento più idoneo utilizzando tutte le risorse a disposizione. Per potere assolvere ai proprifini istituzionali, i compiti della centrale operativa prevedono di:

1. fornire i consigli più appropriati, eventualmente indirizzando il paziente al proprio medico dimedicina generale o al pediatra di libera scelta (nelle ore diurne, per patologie che non rive-stono caratteristiche di emergenza né di urgenza) o ai servizi di guardia medica territorialenon inserita nel sistema di emergenza-urgenza, o ancora ai punti di pronto soccorso territo-riale, indicandone l’ubicazione;

2. coinvolgere la guardia medica territoriale non inserita nel sistema di emergenza-urgenza;3. inviare mezzi di soccorso con o senza medico a bordo, organizzando l’eventuale trasporto

in struttura idonea, precedentemente allertata.

Alla centrale operativa possono inoltre essere affidati compiti di trasporto urgente di sanguee l’attività connessa ai trapianti e prelievi di organo.

L’articolo 4 del D.P.R. 27 marzo 1992 prevede che “la responsabilità medico-organizzativadella centrale operativa è attribuita nominativamente, anche a rotazione con specificazione no-minativa, a un medico ospedaliero con qualifica non inferiore ad aiuto”.

La responsabilità operativa è invece “affidata al personale infermieristico professionale dellacentrale, nell’ambito dei protocolli decisi dal medico responsabile della centrale operativa”. Que-ste disposizioni hanno suscitato le critiche di certa dottrina giuridica e medico-legale, la qualeha avuto modo di notare che questo meccanismo di accettazione della chiamata ha “deman-dato in pratica all’infermiere professionale che, pur sulla base di codici prestabiliti, assume unpotere discrezionale molto ampio che dovrebbe essere proprio di altra figura sanitaria qualequella del medico, posto che l’emergenza è un momento centrale e critico della malattia”.29 Que-

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Capitolo 8 – la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative

29 Bonelli A., Giannelli A., La responsabilità del medico per omissione o rifiuto di assistenza urgente in ri-ferimento anche al D.P.R. 27 marzo 1992, Rivista italiana di medicina legale, XIV, 1992.

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ste critiche non meritano di essere condivise in quanto troppo generiche e prefiguranti una centraleoperativa composta di soli medici, situazione probabilmente unica al mondo. Sul punto ha avutomodo di intervenire il Consiglio di stato che ha ribadito la legittimità di tali compiti al personale in-fermieristico rilevando che esso è “tenuto comunque a seguire protocolli di comportamento e a ri-condursi all’esperienza del medico di appoggio, che è l’effettivo responsabile della centrale”.30

Il sistema sopra delineato è integrato con disposizioni di carattere regionale ed è uscito in-denne da una controversia giudiziaria presso la magistratura amministrativa.31

Le linee guida hanno comunque opportunamente precisato che “i protocolli di valutazione dicriticità dell’evento devono utilizzare codifiche e terminologie standard non suscettibili di ambi-guità interpretative e devono essere sottoposti a periodica valutazione e revisione”. Il riferimentoprincipale è al sistema di dispatch.32

Il personale della centrale operativa è costituito da personale medico e infermieristico.Il personale medico è costituito da un responsabile che deve possedere la qualifica di diri-

gente medico di primo o di secondo livello, con comprovata esperienza nell’area dell’emergenzasanitaria. Il responsabile ha le seguenti attribuzioni:

– organizzazione generale di tutta la definizione degli aspetti tecnici che regolano i rapporticon le altre strutture di emergenza non sanitaria e con gli enti convenzionati;

– la definizione dei protocolli operativi interni;– la definizione e la conduzione di programmi per la verifica e la promozione della qualità

dell’assistenza prestata;– la gestione del personale della centrale, inclusa la guardia medica addetta all’emergenza;– il coordinamento operativo dei mezzi e la definizione di linee di indirizzo per la formazione

e l’aggiornamento dello stesso.

I medici assegnati alla centrale si distinguono tra medici dipendenti, fissi o a rotazione,provenienti dai vari settori afferenti all’area dell’emergenza e medici di guardia medica.

Inoltre, da un punto di vista operativo è possibile distinguere i medici addetti alla centraleoperativa dai medici addetti all’emergenza territoriale. I primi “svolgono opera di supervisionedell’attività del personale infermieristico della centrale per garantire la corretta risposta allerichieste di soccorso”, mentre i secondi “svolgono compiti assistenziali in ambito extraospe-daliero” con particolari compiti quali “la scelta dell’ospedale di destinazione, nel rispetto deiprotocolli concordati”, con particolare riferimento ai pazienti ad alto grado di criticità. Il per-sonale infermieristico della centrale è composto da infermieri professionali con esperienza

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la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative – Capitolo 8

30 Consiglio di stato, sentenza del 17 luglio 1996, n. 868, Consiglio di stato, parte 1, 1996, p. 1113.31 Il riferimento è alle sentenze del TAR del Lazio, sez. I bis, del 15 febbraio 1993 n. 250 e del Consiglio distato (riferimento nota 28).32 Il sistema di dispatch (invio) “è un sistema elaborato negli Stati Uniti che comprende tutte le operazioniinerenti il sistema del soccorso, dal momento della richiesta all’arrivo dei soccorritori sulla scena. L’attivitàdi dispatch è costituita essenzialmente da quattro aspetti:– interrogatorio telefonico;– istruzioni pre-arrivo;– scelta del mezzo di soccorso;– supporto informativo ai soccorritori.Il questionario previsto in un protocollo di dispatch sofisticato prevede un sistema di domande chiave chesono preordinate sulla base del sintomo principale riferito da chi chiede soccorso, volte a evidenziare i sin-tomi di priorità che siano indicativi o dell’alterazione di parametri vitali in atto o di situazioni a rischio di ra-pida compromissione di parametri vitali”. Gordini G., “Soccorso extraospedaliero”, in Pronto soccorso, Ser-vizi di emergenza, 118, Centro Scientifico Editore, Torino, 1996.

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nell’area critica, o che abbiano seguito corsi di formazione nel settore dell’emergenza. Rien-trano tra i compiti del personale infermieristico quelli di:

– ricezione, registrazione e selezione delle chiamate;– determinazione dell’apparente criticità dell’evento segnalato;– codificazione delle chiamate e delle risposte secondo il sistema delle codifiche definito dal

decreto del Ministero della sanità del 15 maggio 1992.

Nelle situazioni critiche, inoltre “consultano il medico assegnato alla centrale, e gli forni-scono gli elementi necessari ad assumere le decisioni negli interventi complessi, mantenendoi collegamenti con il personale di bordo dei mezzi di soccorso”.

La funzione e la responsabilità dell’infermiere di centrale operativa è la tipica responsabilitàdell’infermiere di triage. Il triage telefonico a cui è chiamato l’infermiere di centrale operativa dif-ferisce però dal triage di pronto soccorso in quanto chiamato a un compito meno stringente. Neltriage di centrale l’infermiere ha il compito di determinare “l’apparente criticità dell’evento segna-lato”, mentre nel triage di pronto soccorso l’infermiere deve codificare la criticità del paziente conmaggiore precisione, data la possibilità di maggiore precisione nella valutazione dei dati raccolti.

L’infermiere risponde dell’esatta formulazione del corretto giudizio di criticità dell’eventoin base ai protocolli o ai dispatch in uso nella centrale.

Si rinvia per le altre considerazioni in merito alla responsabilità per triage al paragrafosuccessivo.

L’infermiere nei mezzi di soccorsoLe innovazioni al sistema di abilitazione all’esercizio professionale si estendono, inoltre, al ser-vizio infermieristico sulle ambulanze.

L’art. 10 del D.P.R. 27 marzo 1992 recita testualmente: “il personale infermieristico profes-sionale, nello svolgimento del servizio di emergenza, può essere autorizzato a praticare iniezioniper via endovenosa e fleboclisi, nonché a svolgere le altre attività e manovre atte a salvaguar-dare le funzioni vitali, previste dai protocolli decisi dal medico responsabile del servizio”.

Il legislatore aveva quattro strade, ben delineate33 nell’organizzazione del servizio di emer-genza, in relazione alla presenza o meno del medico sulle ambulanze di soccorso.

I principali modelli sono:

1. il modello “on line”: in questo caso il personale infermieristico è in diretto contatto con ilmedico via radio e riceve le disposizioni direttamente dal medico di centrale;

2. il modello “standard orders protocol system”: modello caratterizzato dalla predisposizionedi protocolli di comportamento, senza generalmente essere in contatto via radio;

3. il modello “medico on scene”, basato sulla presenza fisica del medico sulla scena. È ovvia-mente il metodo più costoso. Può essere attuato in via diretta, con il medico presente sull’am-bulanza, o in via indiretta con il medico di supporto sull’auto medica. In quest’ultimo caso sipossono creare dei problemi in relazione al ritardo dell’arrivo dell’auto medica rispetto all’ar-rivo dell’ambulanza.

Il modello adottato dal D.P.R. istitutivo del 118 è quello che gli studiosi hanno classificatocome “standard orders protocol system”. Bisogna ricordare che già in regime mansionariale l’in-

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Capitolo 8 – la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative

33 Nardi R., Cipolla d’Abruzzo C., La responsabilità del medico in medicina d’urgenza e pronto soccorso, Cen-tro Scientifico Editore, Torino, 1996, p. 320.

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fermiere aveva precisi compiti riguardanti l’emergenza quali la respirazione artificiale, il mas-saggio cardiaco esterno, le manovre emostatiche e l’ossigenoterapia. Il tutto da svolgersi seguitoda “immediata richiesta di intervento medico”.

Il punto è estremamente delicato e necessita di analisi approfondita.Vediamo i tratti salienti. L’art. 10 del D.P.R. citato stabilisce che nello svolgimento del servizio

di emergenza, l’infermiere “può essere autorizzato a praticare iniezioni per via endovenosa e fle-boclisi [...]” Quale significato ha rispetto alla vecchia e pura logica mansionariale, nella quale l’in-fermiere può praticare la terapia endovenosa dietro prescrizione medica e all’interno di struttureospedaliere e cliniche universitarie?

Non vi sono dubbi che cambi radicalmente l’ambito in cui l’infermiere agisce. Questo articolosi riferisce all’emergenza extraospedaliera in un contesto in cui non è presente il medico. Le stesseconsiderazioni valgono per la restante parte dell’articolo, laddove si precisa che l’infermiere puòessere autorizzato a “svolgere le altre attività e manovre atte a salvaguardare le funzioni vitali,previste dai protocolli decisi dal medico responsabile del servizio”.

Anche in questo caso siamo oltre le normali e tradizionali attribuzioni dell’infermiere, fino alimiti non precisati e anche difficilmente precisabili. Il tutto, ancora una volta, è ancorato ai pro-tocolli stabiliti dal medico.

È interessante iniziare a riflettere sui protocolli e, in particolare, su quelli previsti dalla nor-mativa in esame.

Il problema di liceità che comunque pone il riferimento al protocollo è la natura dei protocollidell’emergenza extraospedaliera. Si possono tranquillamente definire protocolli a valenza “dia-gnostico-terapeutica”. Se fossero soltanto a valenza terapeutica, nulla quaestio. Problemi decisa-mente maggiori si creano invece in merito al riconoscimento dei protocolli in questione come pro-tocolli a valenza diagnostico-terapeutica, in cui è demandata all’infermiere l’intera gestione assi-stenziale del caso. L’infermiere deve cioè applicare il protocollo nella sua parte terapeutica lad-dove preliminarmente individui le condizioni diagnostiche che ne stanno alla base. In questo casol’infermiere si comporta in realtà come un medico che agisce in base a protocolli, con tutte le re-sponsabilità che ha il medico in questi casi, con particolare riferimento all’errore di diagnosi.

GLI ASPETTI GIURIDICI E I PROFILI DI RESPONSABILITÀ NEL TRIAGE DI PRONTO SOCCORSO OSPEDALIERO

I pronto soccorso ospedalieri sono, come è noto, oberati da richieste di prestazioni non sempreproprie. La tendenza, di carattere internazionale, consiste in un aumento annuo di prestazionidi pronto soccorso stimato intorno all’8%. I motivi di tale costante aumento vengono fatti risa-lire a una serie congiunta di fattori quali la crisi della figura del medico di medicina generale, l’in-sufficiente risposta che può dare la sanità extraospedaliera, la possibilità di esentare la presta-zione dalla compartecipazione alla spesa (ticket).34

Questo fa sì che i tempi di attesa di una prestazione aumentino, facendo correre il rischioall’utenza di non avere la prestazione erogata in tempi utili con gravi danni.

La funzione di triage (dal francese trier, scegliere) nasce per ovviare a questi problemi: il triagedi pronto soccorso deve essere distinto dal triage nella medicina dei disastri e da quello telefo-nico previsto dal D.P.R. 27 marzo 1992, relativo alle centrali operative del 118.

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la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative – Capitolo 8

34 Mengozzi U., I pronto soccorso ospedalieri e il fallimento della medicina pre-ospedaliera, N&A Mensileitaliano del soccorso, 4, 1997.

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Capitolo 8 – la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative

Gli obiettivi dichiarati dell’attività di triage si possono quindi riassumere nel “mantenere l’ef-ficienza complessiva della struttura di pronto soccorso” e nel “ridurre al minimo possibile il ri-tardo nell’intervento sul paziente urgente”.35

Il Ministero della sanità ha emanato delle linee-guida per il sistema di emergenza-urgenzain applicazione del D.P.R . 27 marzo 1992.36 Un apposito paragrafo è denominato “funzioni ditriage”. Si legge testualmente che “all’interno dei dipartimenti di emergenza-urgenza (DEA)deve essere prevista la funzione di triage, come primo momento di accoglienza e valutazionedei pazienti in base a criteri definiti che consentano di stabilire le priorità di intervento. Talefunzione è svolta da personale infermieristico adeguatamente formato, che opera secondoprotocolli prestabiliti dal dirigente del servizio”.

L’attività di triage di pronto soccorso è quindi affidata al personale infermieristico che peròdeve essere “adeguatamente formato” e deve operare secondo protocolli prestabiliti dal dirigentedel servizio”.

Inoltre sono state emanate successivamente specifiche linee guida per il triage intraospeda-liero37 dove si specifica che la “funzione di triage deve essere attivata in tutte le unità operativedi pronto soccorso-accettazione, purché correlata al numero degli accessi”. Opportunamente siha modo di precisare che “le aziende sanitarie devono garantire le risorse per assicurare la fun-zione di triage”. Tale funzione deve essere assicurata in ogni caso e continuativamente in queipresidi con oltre venticinquemila accessi per anno. Le strutture che, pur essendo al di sotto deiventicinquemila accessi, si trovano a operare in periodi di elevati flussi, devono garantire la fun-zione di triage proporzionalmente alle necessità.

A tal proposito, secondo le linee guida del 2001 deve essere svolto da un infermiere “semprepresente nella zona di accoglimento del pronto soccorso e in grado di considerare i segni e i sin-tomi del paziente per identificare condizioni potenzialmente pericolose per la vita e determinareun codice di gravità per ciascun paziente al fine di stabilire le priorità di accesso alla visita me-dica”.

Forti dubbi di coerenza logica se non addirittura di legittimità vengono posti nella parte incui le linee guida specificano che “l’infermiere opera sotto la supervisione del medico in servi-zio, responsabile dell’attività, e secondo protocolli predefiniti, riconosciuti e approvati dal re-sponsabile del servizio di pronto soccorso-accettazione o dipartimento di emergenza-urgenzae accettazione (DEA)”.

Stupisce un’affermazione di questo tipo, per un duplice ordine di motivi: di coerenza logicae di non fattibilità. Se è pur vero che è corretto definire l’attività di triage come un’attività di ca-rattere “medico-infermieristico” o più correttamente “infermieristico-medica”, la responsabilitàdel medico in servizio non può certo estendersi al comportamento dell’infermiere di triage.Tutto in realtà ruota intorno al concetto di supervisione indicato dal documento. Dato che la su-pervisione non è un dato giuridico, è assolutamente indispensabile cercare nella letteratura chesi occupa di management cosa si intenda per supervisione. Tra i più autorevoli esperti del set-tore a livello mondiale, uno studioso come Minztberg definisce la supervisione come il “coor-

35 Morichetti A., Introduzione al corso, in GFT , Triage infermieristico di pronto soccorso, Edizioni Nettuno, Ve-rona, 1997. 36 Linee guida n. 1/1996.37 Accordo 25 ottobre 2001 “Accordo tra il Ministro della salute, le regioni e le province autonome sul do-cumento di linee-guida sul sistema di emergenza sanitaria concernente: Triage intraospedaliero (valutazionegravità all’ingresso) e chirurgia della mano e microchirurgia nel sistema dell’emergenza-urgenza sanitaria”,Gazzetta Ufficiale n. 285 del 7 dicembre 2001.

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la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative – Capitolo 8

dinamento attraverso una persona che assume la responsabilità del lavoro di altri, dando loroordini e controllando le loro azioni”. Se questo è il concetto di supervisione, deve essere dettoche è assolutamente non corrispondente al vero il fatto che l’infermiere operi sotto la supervi-sione medica, soprattutto tenendo conto del fatto che i protocolli devono essere determinati daatti professionali di natura infermieristica. Non si vede infatti come oggi possa il medico supervi-sionare l’operato infermieristico, visto il complesso normativo che attribuisce in modo inequivocol’autonomia agli infermieri e soprattutto verso un’attività che in sala di triage è infermieristica.

È interessante, infine, l’affermazione che il “triage è patrimonio del pronto soccorso e, ovesussista la rotazione del personale in ambito dipartimentale deve essere condiviso da tutto il per-sonale infermieristico del dipartimento di emergenza”. Vista l’attuale difficoltà di rotazione delpersonale e lo stato generalmente embrionale dei dipartimenti ospedalieri, quest’ultima sembraessere più una previsione programmatica a lungo periodo che non una vera e propria indica-zione tassativa.

La funzione di triage non presuppone una diagnosi medica, bensì si caratterizza per essereun processo mediante il quale si opera una “selezione dei pazienti con scelta delle priorità”.38

Il processo decisionale si basa sull’obiettività rilevabile all’esame visivo, sui sintomi dichia-rati dal paziente e su eventuali domande poste dall’infermiere riguardanti il tempo di insorgenzadei sintomi, e si conclude con l’assegnazione di un codice di gravità che può essere un codicenumerico o, più frequentemente un codice colore.39

Particolare importanza assume quindi la figura dell’infermiere “triagista” e la sua prepara-zione. Essendo state abrogate le norme mansionariali, il profilo professionale diventa il princi-pale punto di riferimento normativo dell’esercizio professionale.

Leggiamo testualmente al terzo comma dell’art. 1 del D.M. 739/1994:L’infermiere:

a) partecipa alla identificazione dei bisogni di salute della persona e della collettività;b) identifica i bisogni di assistenza infermieristica della persona e della collettività e formula i relativi obiettivi;c) pianifica, gestisce e valuta l’intervento assistenziale infermieristico.

Concentriamo la nostra attenzione sul punto a): il verbo “partecipa” indica un’azione che l’in-fermiere attua insieme ad altri. Con il contributo di altri, ma può anche essere inteso come indi-viduazione in momenti cronologici diversi. Il malato viene prima visto dall’infermiere che lo se-leziona in base al codice di gravità e poi dal medico che provvede alla visita e alla diagnosi. È unatipica azione che la più aggiornata manualistica infermieristica classifica come azione collabora-tiva dell’infermiere. Il punto a) è senza dubbio quello che più si attaglia alla attività di triage.

38 Braglia D., Codici di priorità. Triage infermieristico. 3a ed., McGraw-Hill, Milano, 2010.39 Codici colore:1. codice rosso, viene assegnato ai pazienti in pericolo imminente di vita; per questi pazienti l’accesso al

pronto soccorso è immediato e non vi è tempo di attesa;2. codice giallo, viene assegnato ai pazienti in potenziale pericolo di vita; l’accesso al pronto soccorso è im-

mediato, compatibilmente con altre emergenze in atto;3. codice verde, viene assegnato ai pazienti che necessitano di una prestazione medica che può essere dif-

feribile. L’accesso al pronto soccorso avviene dopo i codici rossi e gialli. Il paziente viene rivalutato ogni30-60 minuti;

4. codice bianco, viene assegnato a quei pazienti che richiedono prestazioni sanitarie che non hanno alcunaurgenza e per i quali sono normalmente previsti percorsi alternativi extraospedalieri.

Da Braglia D., Codici di priorità. Triage infermieristico, op. cit.

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Capitolo 8 – la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative

Il punto b) è il punto che attribuisce maggior autonomia agli infermieri, ma limitatamente allasola identificazione dei bisogni di assistenza infermieristica, bisogni certamente non prioritari inun pronto soccorso ospedaliero.

Non essendo l’attività di identificazione dei bisogni un’attività per sua natura statica, è deltutto indispensabile procedere, rispetto ai tempi prefissati, alla doverosa attività di valutazione,attività fondante di ogni processo di individuazione dei bisogni.

Rispetto ai primi interventi da eseguire nell’area di triage, dando per scontata la liceità di unaserie di atti che l’infermiere può eseguire in assenza del medico, per gli atti da eseguire dietroprescrizione medica si consiglia l’adozione di protocolli e linee guida che possono surrogare l’as-senza di una prescrizione. La stessa scheda infermieristica di triage potrebbe essere consideratadi fatto una prescrizione ai primi interventi diagnostici (prelievo capillare ematico, ECG ecc.). Iltriage non può nei fatti mai essere costruito dal personale infermieristico (e medico) al di fuoridella sua connotazione istituzionale (selezione dei pazienti e scelta delle priorità), come per esem-pio la impropria “dimissione” di un paziente che si è presentato in un pronto soccorso,40 o peg-gio ancora un rifiuto alle cure o alla stessa visita medica, ipotesi che integra gli estremi del reatodi rifiuto di atti d’ufficio.41

Triage, consenso informato e diritto alla riservatezzaIl principio del consenso informato è ormai pienamente operante nel nostro ordinamento giuri-dico. Il codice deontologico dell’infermiere stabilisce all’art. 4.5 che l’infermiere “garantisce leinformazioni relative al piano di assistenza e adegua il livello di comunicazione alla capacità delpaziente di comprendere” e inoltre “si adopera affinché la persona disponga di informazioni glo-bali e non solo cliniche e ne riconosce il diritto alla scelta di non essere informato”.

Come viene riconosciuto anche dalla dottrina medico-legale l’informazione al paziente intriage e l’acquisizione al consenso di pratiche che vengono svolte dall’infermiere – anche comeanticipazione di attività – spetta all’infermiere “trattandosi di atto che professionalmente a luicompete e sulle cui caratteristiche, dunque egli può fornire la più esaustiva descrizione”.42

Bisogna inoltre tenere presente che la raccolta dati da parte dell’infermiere avviene in strut-ture – le sale di triage – che spesso per motivi di non adeguamento sono ancora in buona so-stanza le vecchie sale di attesa e quindi non predisposte per la tutela della riservatezza dei datipersonali. In questi casi comunque, nei limiti del possibile, devono essere attivate tutte le proce-dure e le accortezze possibili atte a salvaguardare la tutela della privacy del paziente, come benpuntualizzato anche dalle linee guida ministeriali del 2001 (vedi pagg. 180-182) e come già ri-cordato precedentemente dalla dottrina.43 Per l’infermiere la tutela della riservatezza delle infor-mazioni e dei dati relativi alla persona è anche un obbligo deontologico (art. 4.6 Codice deonto-logico Federazione nazionale collegi infermieri). È utile ricordare anche le recenti disposizionidettate dal Codice della privacy44 che all’art. 83 pongono uno specifico divieto di chiamare le per-

40 Nardi R., Cipolla D’Abruzzo C., La responsabilità del medico in medicina d’urgenza e pronto soccorso, op. cit.41 Art. 328 c.p. “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un attodel suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve es-sere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni”.42 Norelli G.A., Magliona B., Aspetti medico legali del triage infermieristico di pronto soccorso, Rivista di di-ritto delle professioni sanitarie, 4, 1999, p. 297.43 Benci L., Aspetti normativi e responsabilità nel triage, in GFT, Triage infermieristico di pronto soccorso, op.cit., p. 110.44 D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 “Codice in materia di protezione dei dati personali”.

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sone all’interno di una sala di attesa – e quindi della sala di triage – per nome e cognome. La me-todologia di chiamata deve prescindere dalla “individuazione nominativa”. Eventuali sistemi diamplificazione della voce devono tenere conto della tutela della riservatezza.

Obblighi di registrazioneIn conformità con la tendenza attuale a conferire all’infermiere un maggior numero di obblighidi registrazione, è realmente opportuno che l’attività di triage sia attentamente documentata.

L’istituenda scheda infermieristica di triage è senza alcun dubbio da considerarsi “atto pub-blico” e come tale soggetta alle norme penalistiche sulla falsità documentale.45

Onde evitare problemi di liceità è bene costruirla più come “raccolta dati” e non come “anam-nesi” con nomi di diagnosi mediche, in quanto la diagnosi medica è l’elaborazione intellettualedi dati che convergono dall’esame obiettivo e dagli esami diagnostici.

La locuzione “diagnosi infermieristica” può essere tranquillamente usata, ma probabilmenteè di scarsa utilità in un contesto del genere.

Del tutto indispensabili sono l’ora di inizio e l’ora di fine dell’attività di triage trattandosi diuna caratteristica ormai consolidata anche in altre pratiche sanitarie e sancita da precise nor-mative (per esempio, la trasfusione di sangue, la registrazione dell’atto operatorio).

Altri requisiti minimi possono ravvisarsi nella documentazione delle domande formulate enella relativa assegnazione del codice colore, oltreché per le attività successive di rivalutazione.

In linea con le più recenti disposizioni ministeriali è importante che la scheda di triage as-solva ai requisiti della chiarezza, della veridicità e della completezza.

Essendo un documento di nuova istituzione è possibile porsi il problema della conservazione.La scheda infermieristica di triage deve essere conservata, unitamente alla cartella clinica di in-gresso, in caso di ricovero ospedaliero, oppure no? La risposta non è agevole, in quanto trattasidi atto preterapeutico, in cui comunque possono essere attuati precisi e importanti interventi dia-gnostici e terapeutici. A parere di chi scrive è bene prevedere la conservazione delle schede ditriage per il periodo massimo previsto per una causa civile di risarcimento danni (dieci anni).

È utile precisare che la scheda infermieristica di triage è compilata dall’infermiere professio-nale ma deve essere predisposta o quanto meno approvata dal “dirigente responsabile del servi-zio” di pronto soccorso o del dipartimento di emergenza e urgenza.

L’infermiere, cioè, non è il dominus completo della situazione, come lo è invece per la car-tella infermieristica.

Profili di responsabilitàL’infermiere, come del resto qualsiasi professionista, risponde in sede penale, civile e disciplinare.

Esula ovviamente dalla presente trattazione la disamina dei vari tipi di responsabilità.Ci limiteremo a sottolineare alcuni aspetti.

1. La congruità, la pertinenza e l’adeguatezza dei protocolli di triage sono di competenza del di-rigente medico del pronto soccorso, come peraltro ribadito dalla intesa Stato-Regioni sulle li-

la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative – Capitolo 8

45 Art. 476 c.p. – Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici. “Il pubblico ufficiale che,nell’esercizio delle sue funzioni, forma, in tutto o in parte un atto falso o altera un atto vero, è punito con lareclusione da uno a sei anni” [omissis].Art. 479 c.p. – “Il pubblico ufficiale, che ricevendo o formando un atto nell’esercizio delle sue funzioni, atte-sta falsamente che un fatto è stato da lui compiuto o è avvenuto alla sua presenza, o attesta come da lui ri-cevute dichiarazioni a lui non rese, ovvero omesse o altera dichiarazioni da lui ricevute, o comunque atte-sta falsamente fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, soggiace alle pene stabilite dall’art. 476”.

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nee guida del 15 aprile 1996, laddove si legge che l’attività di triage “è svolta da personale in-fermieristico adeguatamente formato, che opera secondo i protocolli prestabiliti dal dirigentedel servizio”. Tali protocolli dovranno rispondere alla più aggiornata ed evoluta letteraturascientifica in materia, dovranno cioè essere al passo con le più moderne legis artis del settore.La letteratura scientifica che si è occupata dell’argomento ha specificato che sono condizioniindispensabili dei protocolli “la correttezza, l’applicabilità, la chiarezza e la trasparenza, lacondivisibilità e la flessibilità, ovvero la mutabilità nel tempo in funzione dell’aggiornamentoe delle conoscenze scientifiche”.Come oramai emerge dal dibattito scientifico, professionale, deontologico e dalle indicazionilegislative, i protocolli in questione devono essere basati su prove di efficacia (evidence basedmedicine ed evidence based nursing). Compete all’infermiere l’attivazione di processi di cam-biamento dei protocolli in base all’esperienza maturata;46

2. l’infermiere risponde della corretta applicazione dei protocolli e di questa attività risponde se-condo gli usuali canoni della responsabilità colposa per negligenza, imperizia e imprudenza;

3. i problemi maggiori derivano da una sottostima nell’assegnazione dei codici colore di gravitàche porterebbe l’infermiere a esporsi per i reati di lesioni personali colpose e, nei casi piùgravi, per omicidio colposo.

Non risulta ammissibile il cosiddetto triage out, attività consistente in un’impropria dimissionedel paziente senza valutazione medica. Il paziente che si presenta al pronto soccorso ha co-munque il diritto di essere visitato dal medico, non essendo consentito all’infermiere il potere didimissione. Affermazione quest’ultima da applicare con la giusta ragionevolezza, soprattutto inquei casi di richiesta di accesso del tutto improprio alle prestazioni di pronto soccorso.

Alcuni autori ritengono che in situazioni del tutto particolari come le maxiemergenze l’infer-miere possa rinviare i pazienti che si presentano al pronto soccorso al proprio medico curante“senza essere visitati da un medico ospedaliero”.47

Riportiamo per esteso nello schema che segue le nuove linee guida sul triage di pronto soc-corso pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale.

Linee guida sul “Triage” intraospedaliero per gli utenti che accedono direttamente in pronto soccorso*

Considerazioni generali Il sistema di “triage” è uno strumento organizzativo rivolto al governo degli accessi non programmati a un ser-vizio per acuti.Questo processo, con cui i pazienti vengono selezionati e classificati in base al tipo e all’urgenza delle loro con-dizioni, è da distinguere dalla visita medica, in quanto l’obiettivo del “triage” è proprio la definizione della prio-rità con cui il paziente verrà visitato dal medico.Il triage, come sistema operativo, può essere svolto con diverse modalità a seconda dei campi in cui viene ap-plicato: in centrale operativa, in pronto soccorso, sul territorio o nelle maxiemergenze e catastrofi.Il termine triage deriva dal verbo francese “trier” e significa scegliere, classificare e indica quindi il metodo divalutazione e selezione immediata usato per assegnare il grado di priorità per il trattamento, quando si è in pre-senza di molti pazienti.

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Capitolo 8 – la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative

46 Rodriguez D., La responsabilità e il triage infermieristico, Scenario, 3, 1999.47 Baldi G., Ghirelli L., Triage e linee guida in pronto soccorso, in Pronto soccorso, Servizi di emergenza, 118,Centro Scientifico Editore, Torino, 1996.

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la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative – Capitolo 8

Il presente documento intende affrontare specificamente la funzione di triage a livello ospedaliero e in parti-colare nelle strutture complesse di pronto soccorso, come previsto dall’atto di intesa Stato-Regioni sulle lineeguida in materia di requisiti organizzativi e funzionali della rete di emergenza-urgenza, in applicazione del de-creto del Presidente della Repubblica 27 marzo 1992 laddove recita “all’interno del D.E.A. deve essere previ-sta la funzione di triage, come primo momento di accoglienza e valutazione dei pazienti in base a criteri defi-niti che consentano di stabilire le priorità di intervento. Tale funzione è svolta da personale infermieristico ade-guatamente formato, che opera secondo i protocolli prestabiliti dal dirigente del servizio”.La tendenza in crescita e comune a tutte le realtà sanitarie di ricorrere al pronto soccorso da parte di un numerosempre maggiore di cittadini crea l’esigenza di utilizzare il triage nel pronto soccorso ad elevato numero di ac-cessi.A livello ospedaliero, la funzione di triage deve essere attivata in tutte le unità operative di pronto soccorso-ac-cettazione, purché correlata al numero degli accessi.Le aziende sanitarie devono garantire le risorse per assicurare la funzione di triage.Tale funzione dovrà essere assicurata in ogni caso e continuamente in quei presidi con oltre 25000 accessi peranno.Gli ospedali che, pur essendo al di sotto dei 25000 accessi per anno, si trovano a operare in condizioni di flussiperiodicamente elevati e irregolari (turismo stagionale, fiere, manifestazioni ecc.) devono garantire la funzionedi triage proporzionalmente alle necessità.

PersonaleIl triage deve essere svolto da un infermiere esperto e specificamente formato, sempre presente nella zona diaccoglimento del pronto soccorso e in grado di considerare i segni e sintomi del paziente per identificare con-dizioni potenzialmente pericolose per la vita e determinare un codice di gravità per ciascun paziente al fine distabilire le priorità di accesso alla visita medica.L’infermiere opera sotto la supervisione del medico in servizio, responsabile dell’attività, e secondo protocollipredefiniti riconosciuti e approvati dal responsabile del servizio di pronto soccorso-accettazione o dipartimentodi emergenza-urgenza e accettazione (DEA).Il triage è patrimonio del pronto soccorso e, ove sussista la rotazione del personale in ambito dipartimentale,deve essere condiviso da tutto il personale infermieristico del dipartimento di emergenza-urgenza e accetta-zione medesimo.

Formazione del personale infermieristicoL’iter formativo deve essere rivolto al personale con diploma di infermiere professionale o diploma universita-rio di infermiere e con esperienza sul campo di almeno sei mesi in pronto soccorso, e deve riguardare, oltrel’insegnamento di base rispetto alle funzioni di triage, anche lezioni di psicologia comportamentale, di orga-nizzazione del lavoro e di conoscenza di tecniche relazionali.

Organizzazione del lavoroL’attività del triage si articola in:– accoglienza: raccolta di dati, di eventuale documentazione medica, di informazioni da parte di familiari e/o

soccorritori, rilevamento parametri vitali e registrazione.– assegnazione codice di gravità: è opportuno che vengano attribuiti codici colore sia per criteri di praticità,

omogeneità ed efficacia visiva, sia perché di immediata comprensione anche da parte dei pazienti. È ne-cessario inoltre che tale criterio coincida con i codici utilizzati nella fase extraospedaliera.I codici di criticità, in analogia con i criteri definiti D.M. 15 maggio 1992 del Ministero della sanità artico-lati in quattro categorie ed identificati con colore sono:• codice rosso: molto critico, priorità massima pazienti con compromissione delle funzioni vitali, accesso

immediato alle cure; • codice giallo: mediamente critico, priorità intermedia;• codice verde: poco critico, priorità bassa, prestazioni differibili;• codice bianco: non critico, pazienti non urgenti;

– gestione dell’attesa: per la rivalutazione delle condizioni dei pazienti che possono mutare durante l’attesa.

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Per poter assicurare un livello qualitativo adeguato occorre prevedere la verifica periodica della congruità deicodici assegnati.

StruttureLe strutture in cui viene effettuato il triage devono consentire la raccolta dati, informazioni e una breve semplicevalutazione con rispetto della privacy anche ai sensi della normativa vigente.

Informazione all’utenzaÈ indispensabile garantire una corretta informazione all’utenza sul sistema di triage.Tale azione deve essere sviluppata dalle aziende sanitarie attraverso il supporto di una campagna informativarivolta alla popolazione (informazione tramite media, distribuzione opuscoli ecc.) e con strumenti (pannelli lu-minosi ecc.) da collocarsi in ogni luogo di attesa contiguo agli ambulatori di pronto soccorso.

* Accordo 25 ottobre 2001 (“Accordo tra il Ministro della salute, le regioni e le province autonome sul documento di linee guida sulsistema di emergenza sanitaria concernente: Triage intraospedaliero (valutazione gravità all’ingresso) e chirurgia della mano e mi-crochirurgia nel sistema dell’emergenza – urgenza sanitaria”, Gazzetta Ufficiale n. 285 del 7 dicembre 2001).

Prima casistica giurisprudenziale sul triageÈ responsabile di omicidio colposo un’infermiera addetta al triage che ha erroneamente assegnato uncodice verde al posto di un codice giallo ignorando e sottovalutando le condizioni di gravità di una pa-ziente che giungeva al pronto soccorso con una diagnosi clinica chiara, netta e precisa (sospetto versa-mento pleurico base destra, focolaio, emoftoe, frequenza cardiaca 180,…). Il comportamento dell’infer-miera viene giudicato, dalla perizia medico legale disposta d’ufficio, censurabile sotto tre punti di vista:1. ha ignorato il fatto che la paziente giungeva con una diagnosi clinica chiara, netta e precisa, igno-

rando quindi una diagnosi clinica effettuata da un medico, da parte cioè di chi è abilitato a fare dia-gnosi. Ella ha ignorato un atto medico, fatto di per sé grave;

2. nonostante la presenza della diagnosi l’infermiera non ha provveduto al rilievo dei parametri vitali,ossia dei valori di rilievo obbligatorio per tutti i pazienti che ivi giungano in condizioni di rilevanteimpegno clinico, di frequenza cardiaca, frequenza respiratoria, pressione arteriosa, temperatura cu-tanea. L’infermiera si è limitata a trascrivere nella scheda la presenza di febbre omettendo per altrodi indicare l’entità della stessa, il mal di gola/disfonia nonché la presenza di emoftoe di durata infe-riore alle 36 ore senza autonomamente valutare, come avrebbe dovuto e potuto, quei parametri chepotevano facilmente essere rilevati. A nulla vale che, come precisato dalla difesa dell’imputata, ilpronto soccorso versasse in una condizione di caos organizzativo, in quanto i parametri vitali pote-vano comunque essere rilevati dall’infermiera. Per altro, la loro alterazione, era stata già segnalatadal medico di medicina generale nel certificato di invio al pronto soccorso;

3. la mancata rivalutazione del paziente. Precisa la perizia medico legale che “alla paziente è stata so-stanzialmente negata una valutazione ciclica, regolare, ripetuta nel tempo delle funzioni vitali, aventeil fine, metodologicamente appropriato, di accertare il quadro eventualmente evolutivo, in senso peg-giorativo o anche, eventualmente migliorativo, rispetto alle condizioni riscontrate all’ingresso, te-nuto conto anche dell’evidenza di un’attesa prolungata.

La morte della paziente si è verificata per un forte shock settico che ha interessato più organi (polmone,fegato, rene) innescato da un focolaio di polmonite ascessuale (o cavitaria) del lobo superiore del pol-mone destro dovuto a Streptococcus pyogenes.Con una terapia antibiotica adeguata e tempestiva si poteva contrastare il decadimento delle funzioni vi-tali, dato che la letteratura specifica che “la terapia antibioticia in una paziente con una sepsi severa ac-compagnata da ipotensione arteriosa, deve essere iniziata entro la prima ora”. Ogni ora passata riducel’efficacia della terapia stessa.

Una anticipazione di tre ore della terapia antibiotica – non resa possibile dalla colpevole assegna-zione del codice di gravità da parte dell’infermiera – avrebbe consentito un più precoce intervento tera-peutico che avrebbe con buona probabilità logica evitato il rapido precipitare del quadro clinico.

Tribunale di Grosseto, Giudice per l’udienza preliminare, sentenza del 26 maggio 2008, n. 58

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Capitolo 8 – la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative

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Una nuova modalità di trattamento dei codici bianchi: il See and TreatNell’esperienza anglosassone si sono sviluppate modalità diverse di risposta ai codici minori daaffiancare all’attività di triage: il See and Treat.

Il See and Treat si affianca all’attività di triage, che resta la normale risposta per i casi più gravi,mentre il See and Treat, che nasce all’interno del Servizio sanitario nazionale inglese, viene uti-lizzato per la risoluzione dei problemi minori e come soluzione di contenimento delle attese.

Il See and Treat si affianca al triage e si diversifica come accesso distinto, generalmente conpersonale dedicato. Chi vi accede viene accolto “dal primo operatore disponibile”, medico o in-fermiere, il quale “conduce autonomamente tutte le procedure necessarie fino al loro termine”.

In Italia la prima – al momento unica – regione a implementare questa nuova organizzazionedel Pronto Soccorso e a dotarsi di una normativa di carattere regolamentare è stata la RegioneToscana.48

La tradizionale funzione di triage si arricchisce quindi – oltre alla tradizionale differenza tracodici urgenti e codici non urgenti – di un ulteriore criterio legato alle urgenze minori risolvibilidirettamente anche dall’infermiere.

Il dichiarato obiettivo del See and Treat è quello di ridurre le attese all’interno del Pronto Soc-corso per i codici minori ed evitare il formarsi di lunghe attese.

L’infermiere addetto al See and Treat viene “adeguatamente formato” con un corso la cui du-rata complessiva è di 350 ore, alla fine del quale consegue il titolo di “infermiere certificato in in-terventi di primo soccorso” previo superamento di esame finale.

Le tipologie di urgenze riferibili a questa innovativa modalità sono elencate in un allegato alladelibera regionale e sono suddivise per organo o apparato. Per esemplificare le tipologie risolvi-bili dall’infermiere troviamo: le ecchimosi periorbitali, la congiuntivite, il corpo estraneo con-giuntivale, la lente a contatto dislocata, il tappo di cerume, il corpo estraneo nell’orecchio, il corpoestraneo nel naso, la candidosi orale, il dolore dentario, il singhiozzo, la stipsi cronica, la riten-zione urinaria, il dolore mestruale, il corpo estraneo sotto l’unghia, le ferite per brevi suture, larimozione di punti, le abrasioni, le dermatiti da contatto, la puntura di vespa ecc.49

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la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative – Capitolo 8

48 Delibera della Giunta Regionale della Regione Toscana 17 febbraio 2007, n. 958 “Proposta di sperimen-tazione del modello See and Treat in Pronto soccorso come modello di risposta assistenziale alle urgenzeminori. Approvazione documento”.49 Riportiamo per esteso l’elencazione delle tipologie suddivise per organi o apparati.– Oftalmologiche: ecchimosi periorbitale, congiuntivite, corpo estraneo congiuntivale, corpo estraneo cor-

neale, edema periorbitale e congiuntivale, cheratocongiuntivite da ultravioletti, irritazione da lenti a con-tatto, lente a contatto dislocata, patologie palpebrali e annessi.

– Otorinolaringoiatriche: tappo di cerume, otite esterna (orecchio del nuotatore), otite media, corpo estra-neo nell’orecchio, scissione lobo dell’orecchio, epistassi pregressa (no anticoagulanti), corpo estraneonel naso, sinusite e rinite, faringite e altre flogosi minori.

– Odontostomatologiche: dolore articolazione temporomandibolare, lussazione abituale della mandibola,ulcera aftosa, herpes simplex della bocca, gengivite, candidosi orale, cheilite angolo della bocca (perlèche),lingua arrossata, edema dell’uvula, dolore dentario dopo estrazione, dolore dentario, stomatiti.

– Toracopolmonari: raffreddamento prime vie aeree, costocondrite.– Gastroenterologiche: singhiozzo, ingestione di corpo estraneo, chiamata al centro antiveleni, vermi intesti-

nali, dolore emorroidario, stipsi cronica, dispepsia, gastroenterite non complicata.– Muscoloscheletriche: colpo di frusta cervicale, torcicollo, lombalgia acuta, fibromi, algia, artrite acuta mo-

noarticolare, contusioni minori, storta del piede, effusione traumatica, neuropatia radiale (paralisi del sa-bato sera), intrappolamento del nervo radiale (cheiralgia), tenosinovite del pollice, dislocazione del dito, rot-tura del tendine plantare, frattura del dito, sintomatologie algiche osteo-articolari.

– Tessutali: lacerazione semplice, avulsione superficiale della punta del dito, rimozione di anello, ematoma oecchimosi subungueale, corpo estraneo sotto l’unghia, medicazione delle dita, traumatismi e abrasione da

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Inoltre, si prevede, sempre a carico anche dell’infermiere, l’individuazione dei percorsi facilitatidenominati fast track, riferita a pratiche specialiste dove, una volta accolto il paziente e riconosciutala situazione clinica, si procede direttamente in via preferenziale all’invio allo specialista.50

Sulla legittimità del See and TreatLa prima analisi da compiere è relativa all’inclusione o meno di questa attività all’interno delle“competenze previste per la professione medica” (legge 42/1999). La soluzione di problemi disalute classificati secondo il linguaggio del Pronto Soccorso come urgenze minori – che sono solouna parte dei cosiddetti codici bianchi – sono da considerarsi attività riservate alla professionemedica e quindi non invadibili da altre figure professionali?

Una distinzione da operare è relativa ai concetti di attività medica e di attività del medico. Laprima è chiara e postula una tutela anche penale, è un limite invalicabile da chi non è abilitatoalla professione medica; diversa è l’attività che il medico svolge in talune organizzazioni perprassi e consuetudine. Non è detto che queste attività siano tutte “mediche” per il solo fatto chesiano svolte da medici.

Un’attività è riservata alla professione medica quando ha le caratteristiche dell’attività me-dica. Il concetto di attività riservata confina con quello di attività monopolistica. Solo una figurapuò oggi fare determinate azioni e attività. Fino al 1974 erano attività riservate ai medici i pre-lievi ematici e la rilevazione della pressione arteriosa, oggi non più. Anzi quest’ultima si connotaper essere diventata un’attività sanitaria in mano (anche) alla popolazione.

Popolazione che, è bene ricordare, viene sempre più spesso chiamata a svolgere attività sa-nitaria un tempo riservata. Attività di autodiagnosi (di gravidanza, per esempio), o di autoanalisi(glicemia, colesterolo, coagulazione, per esempio). Queste attività, un tempo riservate, hannooggi perso il carattere della professionalità e sono diventate attività sanitarie non riservate – seposte in atto con determinati strumenti – ed effettuabili da chiunque.

Altra rilevante novità da sottolineare sono i cambiamenti costituzionali. Il riferimento è allariforma del Titolo V della Costituzione e, in particolare, con la riforma dell’art. 117 che attribui-sce poteri alle Regioni anche in materia di “Tutela della salute” e di “Professioni”. Trattasi di po-testà legislativa concorrente che la Regione può esercitare in queste due materie prima riservateesclusivamente alla potestà statale. Quindi la regione entra, insieme allo Stato, nella materia diregolamentazione dell’esercizio professionale e nella tutela della salute (precedentemente solonell’organizzazione sanitaria).

Bisogna inoltre analizzare il ruolo che hanno avuto i protocolli in questi anni.

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Capitolo 8 – la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative

tatuaggi, morsi, profilassi antitetanica, ferite per brevi suture, punture da animali marini e insetti, contu-sione, ferite superficiale da non suturare, rimozione punti.

– Dermatologiche: abrasioni, dermatiti da contatto, ustioni solari, ustioni a medio spessore, geloni, puntura divespa/ape, corpo estraneo nella pelle, puntura da punta di penna, corpo estraneo nel sottocute, granulomapiogenico, intrappolamento nella lampo, herpes simplex, orticaria di modesta entità, lesione dermatologicapruriginosa, pediculosi, alopecia, eritema da bavaglino, verruche, foruncoli, cisti sebacee, idrosoadenite, ci-sti pilonidale, unghia incarnita.

– Altro: prurito isolato, rialzo pressorio asintomatico, ansia.50 Riportiamo per esteso l’elencazione delle tipologie di percorsi facilitati (fast track) suddivise per organi o apparati:– Otorinolaringoiatriche: otite media sierosa.– Odontostomatologiche: avulsione dentaria, trauma dentario, sanguinamento dentario, complicanze orto-

dontiche.– Ginecologiche: sanguinamento vaginale, vaginite, corpo estraneo in vagina, ascesso Bartolini, vulvovaginite

da contatto, condilomi acuminati, contraccezione del giorno dopo, patologie ginecologiche minori.– Muscoloscheletriche: stiramento legamentoso.

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Sia nel precedente sistema rigido – caratterizzato dall’esistenza di mansionari – sia nell’at-tuale il ruolo dei protocolli, come parte integrante dell’esercizio professionale, ha assunto neltempo un’impronta sempre più importante.

Il sistema di emergenza è stato introdotto in Italia dal D.P.R. 27 marzo 1992 denominato “Attodi indirizzo e coordinamento alle regioni per la determinazione dei livelli di assistenza sanitariadi emergenza” e, come atto regolamentare, dalle linee guida n. 1/1996.

Nell’ambito dell’attribuzione di attività il decreto dedica l’art. 10 all’agire infermieristico. Loriportiamo di seguito:

Il personale infermieristico professionale, nello svolgimento del servizio di emergenza, può essere autorizzatoa praticare iniezioni per via endovenosa e fleboclisi, nonché a svolgere le altre attività e manovre atte a salva-guardare le funzioni vitali, previste dai protocolli decisi dal medico responsabile del servizio.

Il sistema mansionariale dell’epoca era integrato anzi derogato all’interno del neonato sistemadi emergenza con il sistema dei protocolli che già all’epoca si presupponevano decisamente avan-zati ([…] a svolgere le altre attività e manovre atte a salvaguardare le funzioni vitali, oltre a praticareiniezioni per via endovenosa e fleboclisi senza ovviamente una previa prescrizione medica). Il ruolodel protocollo come sistema surrogatorio e vicariante la presenza, la visita e la decisione medica.

I protocolli continuano a essere utilizzati anche nella normativa post-mansionariale e sem-pre nel settore dell’emergenza o più propriamente dell’accoglienza: il caso del triage del prontosoccorso.

Le linee guida n. 1/1996 recanti l’“Atto di intesa tra Stato e regioni di approvazione delle li-nee guida sul sistema di emergenza sanitaria in applicazione del decreto del Presidente della Re-pubblica 27 marzo 1992”51 specifica alla voce “Funzioni di triage”: “All’interno dei DEA deve es-sere prevista la funzione di triage, come primo momento di accoglienza e valutazione dei pa-zienti in base a criteri definiti che consentano di stabilire le priorità di intervento. Tale funzioneè svolta da personale infermiersitico adeguatamente formato, che opera secondo protocolli pre-stabiliti dal dirigente del servizio”.

Sul punto sono intervenute le linee guida del 200152 che recitano testualmente: “L’infermiereopera sotto la supervisione del medico in servizio, responsabile dell’attività, e secondo protocollipredefiniti riconosciuti e approvati dal responsabile del servizio di pronto soccorso”.

Il ruolo dei protocolli arriva a vicariare anche la prescrizione terapeutica. È il caso degli “ospe-dali senza dolore”. Il provvedimento 24 maggio 2001 “Accordo tra il Ministro della sanità, le re-gioni e le province autonome sul documento di linee-guida inerente il progetto �Ospedale senzadolore�”, in Gazzetta Ufficiale n. 149 del 29 giugno 2001, a tale proposito è illuminante.

Il provvedimento della Conferenza Stato-Regioni precisa che:

1. è auspicabile che nella cartella clinica del paziente siano riportate le caratteristiche del do-lore e la sua evoluzione durante il ricovero;

2. la rilevazione costante del dolore deve essere inserita fra le competenze dell'infermiere, ilquale dovrà ricevere la formazione opportuna per svolgere tale compiti.

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la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative – Capitolo 8

51 In Gazzetta Ufficiale n. 114 del 17 maggio 1996.52 Conferenza Stato Regioni, Accordo 25 ottobre 2001 “Accordo tra il Ministro della salute, le regioni e leprovince autonome sul documento di linee-guida sul sistema di emergenza sanitaria concernente: Triageintraospedaliero (valutazione gravità all’ingresso) e chirurgia della mano e microchirurgia nel sistemadell’emergenza-urgenza sanitaria”, Gazzetta Ufficiale n. 285 del 7 dicembre 2001.

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Alcune regioni – come la regione Toscana – si sono spinte oltre. Hanno stabilito dei proto-colli “di trattamento farmacologici e non farmacologici definendo un livello di intensità del do-lore al di sopra del quale l'intervento antalgico sia automaticamente eseguito” (Regione To-scana, Delibera n. 373 del 07 marzo 2005, Sperimentazione “Progetto accreditamento: controlloe cura del dolore”). Peraltro in virtù del disposto della legge 15 marzo 2010, n. 38 “Disposizioniper garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”, si specifica all’art. 6 che iprogetti “Ospedali senza dolore” sono ridenominati “Ospedali-Territorio senza dolore”, am-pliando quindi il ruolo dei protocolli previsti anche per l’assistenza domiciliare.

I protocolli, quindi, come base per l’esercizio professionale e come strumento di regola-mentazione di rapporti tra medici e infermieri: il medico che interviene nella fase della proce-duralizzazione, standardizzazione e formazione del personale, di tale percorso si rende garantedurante la fase di sperimentazione attraverso la controfirma per la validazione dell’appropria-tezza e della coerenza del trattamento attuato.

L’infermiere si pone invece come responsabile degli atti che pone in essere.Le responsabilità attengono quindi ad ambiti diversi: il medico nella sua generale comples-

siva responsabilità di team leader della clinical governance, l’infermiere per gli atti e i processi diassistenza e di cura di cui si rende partecipe.

In poche parole il See and Treat permette all’infermiere di trattare autonomamente casisti-che minori predeterminate fino ad arrivare a quella pratica finora vietata nel nostro Paese e chenel tradizionale mondo del triage veniva definita di triage-out, consistente nella dimissione delpaziente senza una previa visita medica. Tra le varie difficoltà che si registrano troviamo la nonpossibilità a carico dell’infermiere di tutta l’attività certificativa, rimanendo invece possibile lamera attestazione delle attività svolte.

Il dibattito sulla legittimità del See and Treat si è arricchito in questi anni di bibliografia, a cuisi rimanda per l’approfondimento.53

L’infermiere e la defibrillazione con defibrillatore semiautomaticoLa legge 3 aprile 2001, n. 120 “Utilizzo dei defibrillatori semiautomatici in ambiente extraospe-daliero” si rivolge in realtà anche al settore intraospedaliero in relazione alle modifiche inter-corse con la legge 15 marzo 2004, n. 69 “Modifica all’art. 1 della legge 3 aprile 2001, n. 120, inmateria di utilizzo di defibrillatori semiautomatici”. I soggetti a cui si rivolge sono il “personalesanitario non medico” e “il personale non sanitario che abbia ricevuto una formazione speci-fica nelle attività di rianimazione cardiopolmonare”.

Data l’importanza e la brevità dell’articolato, riportiamo la legge per esteso, che peraltro sicompone di un solo articolo.

Art. 11. È consentito l’uso del defibrillatore semiautomatico in sede intra ed extra ospedaliera anche al personale

sanitario non medico, nonché al personale non sanitario che abbia ricevuto una formazione specificanelle attività di rianimazione cardio-polmonare.

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Capitolo 8 – la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative

53 Iadecola G., I nodi giuridici del See and Treat, Il Sole 24 ore sanità, 6-12 luglio 2010; Benci L., See andTreat, diritto di infermiere, Il Sole 24 ore sanità, 3-6 agosto 2010; Barbieri G., Le leggi parlano chiaro: le atti-vità sono distinte, Il Sole 24 ore sanità, 3-6 agosto 2010; Norelli G., Il See and Treat, Toscana Medica, 9, 2008;Martelloni M., Le competenze interdisciplinari, Salute e Territorio, 181, 2010.

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2. Le regioni e le province autonome disciplinano il rilascio da parte delle aziende sanitarie locali e delleaziende ospedaliere dell’autorizzazione all’utilizzo extraospedaliero dei defibrillatori da parte del perso-nale di cui al comma 1, nell’ambito del sistema di emergenza 118 competente per territorio o, laddovenon ancora attivato, sotto la responsabilità dell’azienda unità sanitaria locale o dell’azienda ospedalieradi competenza, sulla base dei criteri indicati dalle linee guida adottate dal Ministro della sanità, con pro-prio decreto, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.

Per quanto riguarda la posizione del personale sanitario non medico, in buona sostanza per-sonale infermieristico, si specifica che “è consentito l’uso del defibrillatore […] anche […]”. Nonsi può non rilevare una certa parzialità del legislatore che spesso, quando si rivolge alle profes-sioni sanitarie non mediche, si rivolge loro come se fosse sempre “personale”, cioè un gruppo dipersone alle dipendenze di qualcuno e non come professionisti che esercitano la loro professionecome dipendenti o come liberi professionisti.

In secondo luogo il legislatore ha evitato accuratamente di attribuire la competenza in totoagli infermieri, introducendo cautele lessicali già viste in passato. L’art. 2 dell’abrogato man-sionario degli infermieri, ex D.P.R. 14 marzo 1974, n. 225, precisava all’ultimo comma che era“consentita” agli infermieri professionali la pratica delle iniezioni endovenose. In virtù di taledisposto il Ministero della sanità aveva precisato che la pratica dell’iniezione endovenosa erada considerarsi “pratica medica” (circolare Ministero della sanità 12 aprile 1996, n. 28), che po-teva in certi ambiti – ospedalieri e assimilabili agli ospedalieri – essere delegata all’infermiere.

Nella storia dell’abilitazione all’esercizio professionale dell’infermiere la locuzione “è con-sentita” assume tradizionalmente questa valenza.

I lavori preparatori e la relazione di accompagnamento54 a questa legge confermano questalettura. Nella relazione di accompagnamento al disegno di legge si osserva infatti che:

1. i defibrillatori “vengono di fatto sempre più spesso utilizzati anche da personale paramedicononostante i divieti tuttora vigenti, col duplice rischio di iniziative giudiziarie tali da paraliz-zare la diffusione di uno strumento prezioso per la vita umana, cioè per il bene costituzionaleper eccellenza, e di utilizzazioni indiscriminate del defibrillatore da parte di chi non sia statopreventivamente addestrato al suo impiego”;

2. “gli ostacoli giuridici vanno eliminati, nel rispetto di condizioni di sicurezza nell’uso del de-fibrillatore semiautomatico esterno da parte del personale paramedico”;

3. “questo disegno di legge si prefigge di creare una normativa che permetta a soggetti diversidagli esercenti la professione medica di attivare lecitamente un defibrillatore”;

4. “l’uso del defibrillatore deve essere considerato come un ‘atto medico’ cioè di stretta compe-tenza di personale laureato in medicina e abilitato alla professione”.

Infine si precisa che è ancora in vigore il decreto del Ministro della sanità 14 settembre 1994,n. 739, che individua le principali funzioni attinenti all’assistenza infermieristica nella preven-zione delle malattie, nell’assistenza dei malati e dei disabili di tutte le età e nell’educazione sa-nitaria: mansioni sicuramente troppo generiche per consentire l’ammissibilità dell’attivazione deidefibrillatori da parte del personale infermieristico e più in generale paramedico. Nemmeno lasuccessiva legge 10 agosto 2000, n. 251, intitolata “Disciplina delle professioni sanitarie infer-mieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica”,introduce norme significative ai fini di cui trattasi.

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la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative – Capitolo 8

54 Senato della Repubblica, XIII legislatura, Relazione di accompagnamento al disegno di legge n. 4833.

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Il nostro ordinamento, proprio nella XIII legislatura, aveva imboccato una strada ben chiaradi abilitazione all’esercizio professionale non più basata su norme mansionariali o di tipo man-sionariale, ma sugli ormai noti criteri-guida ampi all’esercizio professionale quali quelli relativial contenuto dei profili professionali, della formazione ricevuta e del codice deontologico. Il cri-terio-limite è dato dalle competenze previste per il medico.

Questi criteri sono volutamente ampi e flessibili e soprattutto nascono in assenza di una pre-cisa definizione legislativa di atto medico.

Colpisce il silenzio, nella relazione di accompagnamento al disegno di legge, sull’esistenzaproprio della legge che più di ogni altra avrebbe dovuto essere citata: la legge 26 febbraio 1999,n. 42 recante “Disposizioni in materia di professioni sanitarie”. Viene infatti fatto riferimento alsolo profilo professionale, cioè solo a uno dei criteri che il legislatore pone per l’esercizio pro-fessionale.

Il legislatore sembra quindi contraddire se stesso e le stesse determinazioni della legge42/1999 agendo in modo episodico e slegato da un contesto complessivo.

Si autorizzano – “è consentito” – gli infermieri (“personale sanitario non medico”) alla defi-brillazione con apparecchi semiautomatici, previa autorizzazione delle aziende sanitarie e ospe-daliere, nell’ambito del sistema 118 sulla base di linee guida da adottare con decreto del Mini-stero della sanità.

Analizziamo i punti contraddittori di questa legge e il contesto in cui essa si situa:

1. il sistema autorizzativo è pleonastico in quanto già l’art. 10 del D.P.R. 27 marzo 1992 speci-ficava che l’infermiere poteva essere “autorizzato” a “praticare iniezioni per via endovenosae fleboclisi, nonché a svolgere le altre attività e manovre atte a salvaguardare le funzioni vi-tali previste dai protocolli decisi dal medico responsabile del servizio”. Era circa un decen-nio che questa possibilità autorizzativa era permessa e non ne serviva certo un’altra;

2. l’autorizzazione alla defibrillazione era stata già concessa – con semplice decreto e non conlegge ordinaria – ai “capi cabina” degli aerei;55

3. induce in errore nel momento in cui dichiara legittima la sola defibrillazione semiautoma-tica non soppesando il criterio guida della formazione ricevuta, ex art. 1 legge 42/1999, ar-rivando alla conclusione (errata) che un infermiere con un percorso formativo o esperien-ziale in area critica non sia legittimato a defibrillare manualmente un paziente.

Le contraddizioni del legislatore sono confermate anche dai lavori parlamentari preparatori.La confusione concettuale e operativa che il legislatore ha introdotto con questa legge non

poteva essere più grande. La defibrillazione si iscrive a pieno titolo in quella categoria – gli attimedici delegati – che lo stesso legislatore aveva inteso spazzare via con la legge 42/1999 cheponeva il limite dell’atto medico come limite invalicabile per l’esercizio professionale delle pro-fessioni non mediche.

La legge sulla defibrillazione mostra la sua inutilità tenendo conto che gli ordinamenti di-dattici del corso di diploma universitario di infermiere, recepiti con il D.M. 24 luglio 1996 “Ap-provazione della tabella XVIII-ter recante gli ordinamenti didattici universitari dei corsi di di-ploma universitario dell’area sanitaria, in adeguamento dell’art. 9 della legge 19 novembre 1990,n. 341”, prevede nella formazione di un infermiere di base al III anno, II semestre l’AREA E – Me-dicina clinica d’emergenza e infermieristica comportamentale che ha come preciso obiettivo di-

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Capitolo 8 – la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative

55 Decreto Ministero della sanità 21 settembre 2000 “Uso di defibrillatori semiautomatici a bordo degli ae-rei e corsi di formazione per capicabina”, Gazzetta Ufficiale del 4 ottobre 2000.

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la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative – Capitolo 8

dattico l’acquisizione delle “conoscenze teoriche e principi comportamentali relativi alle attivitàinfermieristiche, comprese quelle proprie delle situazioni di emergenza, per le quali deve esserein grado di applicare, analizzare e sintetizzare le conoscenze relative alla pianificazione, ero-gazione e valutazione dell’assistenza infermieristica per malati di area critica […]” A livello ditirocinio lo studente dovrà svolgerlo anche in area critica allo scopo “di far conseguire capacitàprofessionali […] sulla base delle conoscenze (teoriche) e capacità acquisite”.

Il problema delle competenze infermieristiche afferenti alle questioni di emergenza non puòche essere di carattere evolutivo, tenendo presente che l’abrogata normativa di carattere man-sionariale prevedeva che l’infermiere potesse svolgere le attività di “respirazione artificiale, mas-saggio cardiaco esterno, ossigenoterapia e manovre emostatiche” seguite da immediata richie-sta di intervento medico.

Le manovre, sostanzialmente riconducibili all’ABC della rianimazione previste dal mansio-nario del 1974, non prevedevano la contemporanea presenza del medico per l’inizio delle ma-novre – come è d’altra parte ovvio – ma solo la richiesta successiva di intervento medico unavolta cominciate le manovre o, se altrimenti non possibile, a fine manovre. Non si richiedevacioè una presenza medica per la relativa diagnosi, che ben poteva essere fatta dall’infermiere.Sulla stessa lunghezza d’onda si era collocato il già ricordato D.P.R. 27 marzo 1992 relativoall’organizzazione dei servizi di emergenza che consente all’infermiere un campo di attività chespazia dalla somministrazione per via diretta di iniezioni endovenose o di fleboclisi e di mano-vre atte a salvaguardare le funzioni vitali sulla base di protocolli precedentemente stabiliti. An-che in questo caso, nulla si dice sulla presenza del medico e sulla sua attività di carattere dia-gnostico e prescrittivo.

La defibrillazione con apparecchi semiautomatici, peraltro, non pone problemi “diagnostici”in senso lato, visto che è la macchina a riconoscere le condizioni del paziente e difficilmente sipuò in queste situazioni non riconoscere, sulla base degli ordinamenti didattici attuali ma an-che pregressi, la competenza infermieristica per manovre del genere. Se poi, sulla base dei prin-cipi dell’accreditamento professionale, l’azienda decidesse di implementare corsi di formazionee addestramento, con periodici richiami tendenti a verificare la professionalità acquisita, il tuttosi inserirebbe nei principi fondanti del recente D.Lgs. 229/1999.

Diverso il discorso relativo ai volontari del soccorso che avevano bisogno di uno specificoatto autorizzativo nell’effettuazione di una attività sanitaria di tal fatta. Essi vengono autoriz-zati se hanno ricevuto “una formazione specifica nelle attività di rianimazione cardiopolmo-nare”. Questa formulazione mostra delle carenze evidenti. L’interpretazione letterale porterebbea dichiarare sufficiente la frequenza al corso cosiddetto di BLS (Basic Life Support) notoriamentededicato alle problematiche della pura rianimazione cardiopolmonare e non al più idoneo corsodi BLSD (basic life support defibrillation).

Criticabile è comunque anche il secondo comma che attribuisce alle aziende sanitarie e ospe-daliere il compito di disciplinare gli atti autorizzativi “sulla base dei criteri indicati dalle lineeguida adottate dal Ministro della sanità, con proprio decreto, entro novanta giorni dalla data dientrata in vigore della presente legge”.

Il sistema appare farraginoso, inutilmente complesso e complicato, così come composto dauna legge, linee guida ministeriali (da emanare) e atti autorizzativi locali. Appare molto piùchiaro allora il sistema delineato per i capicabina degli aerei, i quali in base a un semplice de-creto ministeriale sono autorizzati alla defibrillazione dopo avere seguito un corso di BLSD ilcui programma è riportato in allegato al decreto stesso.

C’è solo da augurarsi che il legislatore non prosegua su strade di deroga per atti – il riferi-mento è ovviamente, in questo caso, alle professioni sanitarie – visto che sono sufficienti lenorme contenute nelle leggi generali sull’esercizio professionale.

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L’INFERMIERE IN PSICHIATRIA

Evoluzione storica dell’infermiere psichiatricoPer comprendere la tipologia di reati in cui l’infermiere può incorrere nell’esercizio professionalein psichiatria, è necessario accennare alla evoluzione storica56 della figura dell’infermiere in talecampo, data la sua peculiarità.

La storia dell’infermiere psichiatrico è intimamente legata, com’è ovvio, alla storia della ma-lattia mentale e al suo sviluppo. Non è un caso che le prime descrizioni esistenti di tale figura de-finiscano l’infermiere come “guardiano dei matti”, come persona generalmente analfabeta, igno-rante e brutale, proveniente dalle classi più umili, temuta oltre che dai pazienti persino dai me-dici. Successivamente i medici recuperarono il controllo su tale figura tentando di delimitarnel’autonomia e di controllarne le manifestazioni violente.

Il mestiere di custode-infermiere veniva considerato “pericoloso per la vita”.Gli infermieri dovevano stare sempre insieme ai pazienti con l’obbligo dell’internato e della

divisa, il divieto di dormire fuori dalle mura dell’istituto e il divieto di sposarsi. Essi avevano difatto il potere di premiare e punire i degenti, ordinando bagni caldi e freddi improvvisi e violenti,rinchiudendo e incatenando i malati senza farne regolare rapporto, abusando sessualmente delledonne.

Questo è stato il modello prevalente in Europa fino a tutto il XIX secolo.All’inizio del XX secolo sorse l’esigenza di dare un’istruzione professionale ai custodi, tra-

sformandoli in infermieri veri e propri.Il lavoro infermieristico cominciava ad avere delle regole riguardanti essenzialmente la cu-

stodia, la cura e la sicurezza dei degenti.All’infermiere era vietata ogni attività che non fosse l’assistenza diretta al malato. La disci-

plina era assicurata da una ronda interna formata anch’essa da infermieri, diversi però da quelliadibiti all’assistenza diretta.

L’autonomia degli infermieri era ancora estremamente ridotta e le condizioni di vita duris-sime: permaneva infatti l’obbligo dell’internato in camere simili a quelle dei pazienti e, a volte,nelle stesse camerate dei pazienti, e ancora negli anni Trenta vigeva il divieto di sposarsi.

Il rapporto medico-infermiere era rigorosamente incentrato sul principio d’autorità: il me-dico ordinava e l’infermiere eseguiva.

Fino agli anni Settanta gli infermieri collaboravano con il medico all’esecuzione dei trat-tamenti terapeutici dell’epoca: elettroshock, insulino- e malario-terapia, bagni caldi alternatia bagni freddi ecc.

La figura dell’infermiere psichiatrico comincia a cambiare con le innovative idee sulla psi-chiatria degli anni Sessanta.

Nel momento in cui vengono poste sotto una critica spietata le strutture manicomiali comeistituzioni totalizzanti, iniziano a emergere le potenzialità dell’infermiere, che per la primavolta viene visto non più come strumento di repressione, come figura che assolve esclusiva-mente funzioni custodialistiche e carcerarie, ma come importante figura con funzioni tera-peutiche di un’équipe assistenziale.

Si inizia a privilegiare l’aspetto relazionale.La legge 13 maggio 1978, n. 180, “chiude”, come è largamente noto, con l’esperienza

manicomiale e “apre” all’esperienza territoriale.

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Capitolo 8 – la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative

56 Fontanari U., Evoluzione storica della figura dell’infermiere psichiatrico, in Clinica e nursing in psichiatria,cap. 4, Ambrosiana, Milano, 1994, p. 199.

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la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative – Capitolo 8

Vengono istituite le sezioni di psichiatria solo all’interno degli ospedali generali e viene in-trodotto il principio della volontarietà dei trattamenti. Viene inoltre introdotto il trattamento sa-nitario obbligatorio (TSO) a particolari condizioni, con una procedura garantista e “nel pieno ri-spetto della dignità della persona e dei diritti civili e politici garantiti dalla Costituzione”.

Vengono abrogati sia gli articoli 714, 715 e 717 c.p. che concernevano essenzialmente lacustodia dei malati di mente e punivano l’omessa denuncia degli esercenti le professioni sa-nitarie che avevano assistito o esaminato malati mentali, sia gli articoli 1, 2, 3 e 3 bis dellalegge 14 febbraio 1904, n. 36 (“Dispozioni sui manicomi e sugli alienati”), che riguardavanoanch’essi disposizioni di custodia.

In particolare, in questa sede è opportuno sottolineare il disposto dell’art. 715 c.p. abro-gato, che puniva l’inosservanza degli obblighi di custodia delle persone ricoverate in mani-comio. Di questa sanzione gli infermieri erano i principali destinatari.

Con il varo della legge 180, quindi, cessa la funzione di custodia per il personale infermieristico.Dal 1976 non vengono più istituite le scuole per infermiere psichiatrico e viene istituita la

figura dell’infermiere unico polivalente.Nel nuovo ordinamento universitario sono previsti come percorsi postlaurea i corsi master

(vedi cap. 1). L’approfondimento clinico-assistenziale delle conoscenze in psichiatria dell’in-fermiere sarà quindi, nel prossimo futuro, un approfondimento postlaurea.

La responsabilità dell’infermiere per i comportamentiautolesivi e suicidari dei pazientiSpesso i pazienti psichiatrici pongono in essere comportamenti che possono provocare un dannoper loro stessi e per gli altri fino ad arrivare a episodi di suicidio. Questi ultimi, all’interno dellestrutture ospedaliere, possono avvenire mediante “precipitazione”, “defenestrazione”, “fuga”.

Non c’è dubbio che la situazione verificatasi in seguito all’entrata in vigore della legge 180/1978sia profondamente diversa dalla situazione precedente.

In particolare, l’abolizione dell’obbligo di custodia per il personale infermieristico, conse-guente a una diversa visione della malattia mentale, ha portato a una diversa prospettazionedelle funzioni infermieristiche.

Una significativa pronuncia del Tribunale di Brindisi57 ha escluso la responsabilità del perso-nale infermieristico, in seguito a episodi di ripetuti suicidi di pazienti ricoverati, in quanto è “or-mai al tramonto, a seguito della legge 180, quella visione della malattia mentale che si traducenell’assistenza al malato, estrinsecantesi fondamentalmente nella vigilanza stretta al medesimo,al fine di impedire che possa arrecare danno a se stesso e agli altri e prevalendo ormai un’assi-stenza principalmente di tipo terapeutico”.

Prosegue il Tribunale di Brindisi specificando che “l’infermiere non è più un custode dei degenti”.Al vecchio obiettivo della salvaguardia della tutela dell’incolumità fisica dei degenti, si sosti-

tuisce l’obiettivo, più ambizioso, del recupero del malato di mente, anche se questo “può com-portare qualche rischio sul piano dell’incolumità fisica in primo luogo del malato di mente”.

Il bilanciamento degli interessi in gioco, sostiene il Tribunale di Brindisi, è chiaro: il maggior ri-schio di episodi di suicidio è bilanciato dal nuovo interesse generale del recupero del malato di mente.

In un certo senso il maggior rischio di episodi suicidari finisce per rappresentare il “costo” chesi ritiene giuridicamente e socialmente accettabile di fronte all’esigenza di un intervento voltoalla cura e al recupero del paziente. Cessando l’obbligo di custodia dei degenti da parte degli in-

57 In Foro Italiano, sentenza del 5 ottobre 1989, p. 274.

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fermieri, aumenta il rischio che gli stessi degenti possano porre in essere atti che si rivelano dan-nosi, in primo luogo per loro stessi.

Fino a questo punto l’argomentazione del Tribunale di Brindisi è chiara e non contradditto-ria: essendo stato abolito l’obbligo di custodia ed essendo cambiata la filosofia dell’impianto le-gislativo riguardante i malati di mente, nessun addebito colposo può essere mosso agli infermieriper gli episodi di suicidio, non essendoci il correlativo obbligo. Lo stesso Tribunale, però, conti-nua specificando che “a evitare equivoci è il caso di chiarire che gli infermieri del reparto di psi-chiatria non sono attualmente liberi da ogni compito di vigilanza. Essi sono tenuti anche ora aprestare assistenza ai ricoverati. Tale assistenza non può che essere adeguata alla malattia”.

Bisogna infatti ricordare che l’articolo 2 del D.P.R. 225/1974, il più volte citato mansionario, in-dicava tra i primi compiti dell’infermiere professionale l’assistenza completa all’infermo; giusta-mente il Tribunale di Brindisi rapporta tale compito alla tipologia e alla gravità della malattia. In so-stanza, sostiene il Tribunale, il controllo dei malati ricoverati in psichiatria deve essere più intensonel momento in cui la “malattia si manifesta nella sua pregnanza” e, quindi, nella fase acuta o co-munque nei momenti in cui si manifesta. In questi momenti non solo il personale infermieristico,ma anche quello medico, non può trovare scusanti quali il rispetto della libertà e della dignità dell’am-malato, in quanto “il contenimento di chi non è compos sui costituisce una precisa esigenza collet-tiva oltre che una precipua esigenza dello stesso malato di mente”.

È proprio in riferimento alla scienza psichiatrica che deve essere valutato, caso per caso, sesi sia violato l’obbligo di assistenza. Non è però chiaro in questa sentenza, la differenza concet-tuale che esiste tra “custodia” e “vigilanza”, differenza che il Tribunale più o meno esplicitamentesembra delineare, senza poi spiegarla. Dal punto di vista lessicale la differenza consiste nell’in-dicazione di una maggiore assiduità di controllo e di mezzi di controllo nel caso della custodia,e un controllo più blando nella vigilanza. Bisogna però sottolineare che tra una vigilanza assi-dua e un’opera di custodia il confine può essere assai incerto. Lo stesso Tribunale di Brindisiconfonde i due termini quando specifica che, a seguito dell’avvento della legge 180, è ormai altramonto quella visione dell’assistenza psichiatrica che si estrinsecava nella “vigilanza stretta”al paziente. L’unico dato testuale a cui fare riferimento è il R.D. 16 agosto 1909, n. 615, ora abro-gato, che costituiva il regolamento di esecuzione della legge n. 36 del 1904.

Per l’articolo 34 di detto decreto spettava agli infermieri “sorvegliare e assistere i malati affi-dati a ciascuno di essi; vigilare attentamente affinché questi non nuociano a sé e agli altri [...]”;inoltre gli infermieri “rispondono dei malati loro affidati e della custodia degli strumenti impie-gati nel lavoro”. Nella funzione di vigilanza e custodia prevista dal previgente ordinamento, l’ob-bligo per gli infermieri era di vigilare affinché il paziente con il suo comportamento non nuocessea sé e agli altri, e gli infermieri rispondevano dei malati loro affidati.

La custodia con mezzi coercitivi, violenti e di contenzione era interdetta o, meglio, resa pos-sibile “solo in casi eccezionali e con il permesso scritto del medico”. Oggi l’unico dato testualespecifico a cui fare riferimento è il profilo professionale, il D.M. 739/1994 nella parte in cui attri-buisce all’infermiere la responsabilità dell’assistenza generale infermieristica.

Gli articoli del regolamento di esecuzione della legge 36 sopra riportati, e oggi non più in vi-gore, risentivano pesantemente del clima culturale e scientifico dell’epoca. Il malato mentale erauna persona da rinchiudere non solo quando poteva essere pericoloso per sé e per gli altri, maanche quando poteva essere di “pubblico scandalo”.58

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Capitolo 8 – la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative

58 “Debbono essere custodite e curate nei manicomi le persone affette, per qualunque causa, da alienazionementale, quando siano pericolose a sé e agli altri o riescano di pubblico scandalo e non siano e non possanoessere custodite e curate fuorché nei manicomi” (art. 1 legge 14 febbraio 1904, n. 36).

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la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative – Capitolo 8

La legge, di fatto, equiparava la custodia alla cura. L’interesse terapeutico non aveva la pre-valenza sull’interesse custodialistico e in ciò si trova la ragione della responsabilità di chi erapreposto alla custodia. Un ordinamento che imponeva la custodia per persone che potevano es-sere pericolose per sé, o addirittura solo per il fatto che potessero essere di pubblico scandalo,non poteva quanto meno non rendere responsabili dell’incolumità le persone addette alla cu-stodia stessa. Oggi è l’interesse terapeutico l’unico motivo che impone un trattamento sanita-rio obbligatorio in regime di degenza.59 Ed è proprio all’interesse terapeutico che bisogna fareriferimento. Non c’è dubbio che la sorveglianza di un paziente psichiatrico debba essere mag-giore quando, in base alla patologia, si possa prevedere un comportamento suicidario o autole-sivo. Si impongono i concetti di prevedibilità e prevenibilità dell’evento e l’obbligo conseguente diadottare le relative misure cautelari.

Vediamo di approfondire quest’ultima affermazione. La prevedibilità può essere data solodalla scienza psichiatrica e, di conseguenza, dalla diagnosi del paziente. Le responsabilità di er-rata diagnosi ricadono inevitabilmente sui medici, esentando gli infermieri da colpa. La preve-nibilità deve essere invece valutata caso per caso e non può che tenere conto della struttura incui il paziente è ricoverato e, più specificamente, l’ubicazione del reparto (si privilegiano i re-parti a piano terra), la sua dislocazione, la presenza di un sistema di chiusure di porte e finestre,il non avere lasciato al paziente indumenti o utensili atti a favorire il compimento di azioni au-tolesive o suicidarie, il numero degli infermieri che sono in servizio ecc. Laddove il personale in-fermieristico abbia posto in essere una sorveglianza compatibile con la prevedibilità dell’eventoe anche quei controlli e quelle misure cautelari che non solo sono propri in un reparto di psi-chiatria, ma lo sono ancora di più in presenza di pazienti con tendenze suicidarie, a questo per-sonale non può essere addebitato nulla a titolo di colpa.

In era pre-riforma psichiatrica la giurisprudenza delle Corti di merito era contrastante e al-ternava sentenze di carattere assolutorio a sentenze di condanna.60

L’esecuzione del provvedimento del trattamento sanitario obbligatorio in condizioni di degenza ospedalieraLa legge 13 maggio 1978, n. 180 “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori” cheha superato il vecchio sistema manicomiale prevede di mettere in atto, obbligatoriamente e senzail consenso del paziente, accertamenti e trattamenti sanitari.

Dopo avere opportunamente precisato che gli accertamenti e i trattamenti sono volontari sicostruisce una procedura – decisamente garantista – per provvedere a effettuare accertamenti etrattamenti di carattere coercitivo con una serie di garanzie.

Le garanzie vengono fornite in primo luogo dalla procedura. Le misure che possono essereprese sono:

59 “Il trattamento sanitario obbligatorio per malattia mentale può prevedere che le cure vengano prestatein condizioni di degenza ospedaliera solo se esistano alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti inter-venti terapeutici […]” (art. 34 legge 23 dicembre 1978, n. 833).60 In senso assolutorio, la Corte di Appello di Bologna stabilì che “in caso di suicidio di un degente in un no-socomio psichiatrico non può ravvisarsi colpa professionale grave, e quindi responsabilità penale per omici-dio colposo a carico dei medici ed infermieri dell’istituto, ove sia accertato che il fatto è avvenuto al di fuoridell’attendibile prevedibilità, in relazione alle condizioni dell’ambiente e del paziente quali erano note ai me-dici stessi”, in Repertorio del Foro Italiano, 1977, voce “Omicidio e lesioni colpose”. Nel senso di riconoscimentodi responsabilità sempre per omessa sorveglianza, il Tribunale di Larino stabilì che “[…] il comportamentoomissivo degli infermieri, riguardato nella luce del nesso di causalità, aveva determinato una situazione dipericolo senza la quale il prodursi dell’evento sarebbbe stato impossibile”, Archivio civile, 236, 1974.

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1. l’accertamento sanitario obbligatorio (ASO);2. il trattamento sanitario obbligatorio extraospedaliero;3. il trattamento sanitario obbligatorio (TSO) in condizioni di degenza ospedaliera.

Trascureremo per motivi di spazio i primi due e concentreremo la nostra attenzione sultrattamento sanitario obbligatorio in condizioni di degenza ospedaliera. Il TSO costituisce ungrave vulnus ai diritti di libertà delle persone e di conseguenza è sottoposto a rigorose proce-dure. In primo luogo la legge 180 ne definisce i presupposti.

Il TSO può essere attivato:

1. solo se esistono alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici;2. se gli stessi non vengono accettati dall’infermo;3. se non vi sono le condizioni e le circostanze che consentano di adottare tempestive e ido-

nee misure sanitarie extra-ospedaliere.

Solo l’attualità delle alterazioni psichiche e il rifiuto attuale del trattamento giustificano ilTSO che non può essere applicato a malattie diverse da quella mentale, come ad esempio nellemalattie che comportano gravi disturbi su base organica.

La proposta di TSO deve essere corredata dalla proposta medica motivata di un medico,convalidata “da parte di un medico della struttura sanitaria pubblica”61 e deve essere notifi-cato, entro 48 ore dal ricovero, tramite messo comunale, al giudice tutelare nella cui circo-scrizione rientra il Comune.

Sin dai primi anni di applicazione della legge 180 l’ordinanza di TSO ha creato problemi inmerito alla competenza di esecuzione.

Nei primi anni Ottanta del XX secolo l’esecuzione dell’ordinanza di TSO venne, perlopiù invia di prassi, affidata alla polizia municipale sulla base dell’assunto che tale corpo ha comecompito quello di eseguire le ordinanze del sindaco.

La situazione però da un lato era fortemente contraddittoria, in quanto la riforma psichia-trica operata dalla legge 180 si era “caratterizzata principalmente per la negazione di idea didisturbo mentale quale forma di devianza sociale”,62 mentre affidando alla polizia municipalel’esecuzione del TSO si trattava tale questione “in modo emblematico, come questione di or-dine pubblico”.

Sul punto ha avuto modo di intervenire il Ministero dell’interno, Direzione generale di pub-blica sicurezza.63 In questa circolare il Ministero specificava che “[...] l’accompagnamento ailuoghi di cura non è più da annoverarsi tra le misure di polizia dovendosi invece considerarequale mera operazione sanitaria rivolta alla tutela della salute e dell’incolumità dell’alienato,come tale di competenza dell’apposito personale infermieristico. Ciò non esclude, ovviamente,un’eventuale possibilità di intervento della forza pubblica, nei casi in cui si abbia motivo di ri-tenere che si possano verificare situazioni di effettivo grave pericolo per l’incolumità pubblicae la sicurezza della collettività”.

Indubbiamente la circolare del Ministero dell’interno era pienamente in linea con lo spiritodella nuova legge. Infatti, sempre nella circolare in questione, si legge che, rispetto alla nor-

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61 Legge 13 maggio 1978, n. 180 art. 2, comma 3.62 Pelagatti G., I trattamenti sanitari obbligatori, Cisu, Roma, 1995.63 Circolare n. 10/812/14700, 2, dell’1 ottobre 1979.

Capitolo 8 – la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative

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64 Pretura di Monfalcone, 2 giugno 1980, Rivista italiana di medicina legale, II, 910, 1980.65 Pelagatti G., I trattamenti sanitari obbligatori, op. cit.66 Ministero della sanità, Direzione generale ospedali, div. III, circolare prot. n. 900.3/SM-E1/896.

mativa precedente, le nuove disposizioni non si basano più su una “presunzione assoluta dipericolosità dell’alienato”.

Sul punto ha avuto subito modo di pronunciarsi la giurisprudenza, specificando che “Il sin-daco interviene come Autorità sanitaria e anche il prelievo e il trasporto dell’ammalato costi-tuiscono una mera operazione sanitaria. Peraltro, in casi speciali, il comportamento dell’am-malato può essere tale da rendere necessario l’intervento della Forza pubblica rispetto al qualeresta comunque preminente l’intervento degli operatori sanitari specializzati. Ove il vigile ur-bano inviato a rendere esecutiva l’ordinanza di ricovero coatto emessa dal sindaco si trovi solodi fronte a un malato agitato, con equivoci ordini di servizio e con l’inerzia operativa dell’in-fermiere (pur presente sul luogo) non incorre nel reato di omissione di atti d’ufficio se non prov-vede a rendere esecutiva l’ordinanza ed a prelevare di forza l’ammalato”.64

Veniva inoltre specificato che “[...] l’atto materiale di cattura dell’alienato, trattandosi ap-punto di un malato particolare, richiede particolare accortezza e particolari cognizioni tecnico-scientifiche, tali che esso può essere compiuto nella maniera più idonea soltanto dal personalesanitario, cui è affidato, e che meglio di chiunque altro è in grado di valutare, sempre nell’ot-tica del superiore fine terapeutico, per cui è chiamato ad agire, le modalità e le caratteristichecui deve in pratica adegurarsi siffatto specifico intervento diretto a forzare la personalità dell’am-malato”.

L’interpretazione quindi che emerge da questa sentenza e dalla circolare ministeriale è chel’esecuzione del provvedimento di TSO è di carattere strettamente sanitario, subordinando l’in-tervento dell’autorità di pubblica sicurezza al verificarsi di circostanze tali da comprometterel’ordine pubblico.

Tale situazione è stata aspramente criticata dalla dottrina giuridica in quanto definire leoperazioni di “cattura” del degente psichiatrico come “operazioni sanitarie” fa assumere “unconcetto di atto medico molto lato: quest’ultimo verrebbe a essere identificato non sulla basedi un criterio oggettivo – per cui per trattamento sanitario si intende un’operazione basatasull’applicazione di sapere e tecniche proprie della scienza medica – bensì sulla base di un cri-terio soggettivo, per cui può rappresentarsi come operazione sanitaria qualsiasi intervento re-lativo alla persona del malato, preordinato all’istituzione di una terapia. Il concetto giuridicodi atto sanitario che si configura in questo secondo caso appare inaccettabile”.65 La stessa dot-trina ritiene che il concetto di “operazione sanitaria” debba necessariamente essere ricondottoalle attività di profilassi, di cura e di riabilitazione in linea con i principi istitutivi del Serviziosanitario nazionale.

A porre fine a questa situazione contraddittoria è intervenuto il Ministero della sanità nel1992 con una circolare66 in cui si specifica che l’esecuzione del trattamento sanitario obbliga-torio è un atto complesso in cui devono intervenire più competenze, in quanto detto provve-dimento “obbliga un cittadino ad adeguarsi a una decisione, prescindendo dal consenso di essa,in virtù di un superiore interesse alla collettività, che colloca in secondo piano il diritto all’au-todeterminazione del singolo”.

Il Ministero precisa che compete al personale sanitario porre in essere gli atti “tecnici rite-nuti più opportuni”, ma non compete a tale personale “l’adozione di mezzi coercitivi”.

In caso di rifiuto del paziente l’esecuzione del TSO deve essere “assicurata dall’azione com-plementare di due tipi di operatori, con distinti ambiti di intervento e di responsabilità”.

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Non vi è quindi contrapposizione tra l’intervento del personale sanitario e quello della forzapubblica. Il ministero sottolinea che “si tratta infatti di un’operazione congiunta laddove il per-sonale sanitario, lungi dall’essere deresponsabilizzato dalla presenza della Forza pubblica, con-tinua a essere titolare di un ruolo tecnico mirato alla tutela della salute del paziente, al rispettoe alla cura della sua persona, nonché al recupero di un suo consenso”.

In linea con i poteri attribuiti al sindaco l’individuazione della Forza pubblica è stata indi-viduata nel corpo di Polizia municipale, mentre il ricorso alla Polizia di stato o ai Carabinierideve rivestire carattere di eccezionalità e solo “in presenza di specifiche esigenze di tuteladell’ordine pubblico”.

La presa di posizione del Ministero della sanità è stata condivisa dal Ministero dell’interno.67

Sul punto recentemente la Conferenza Stato-Regioni ha approvato delle raccomandazioni“in merito all’applicazione di accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori”68 di cui riportiamoalcuni punti di interesse. Da un punto di vista giuridico le “raccomandazioni” non sono certovincolanti. Sono da considerarsi delle norme di buona pratica che vengono prese in conside-razione e applicate in relazione alla autorevolezza dell’organo promanante.

Le raccomandazioni in questione sono state emanate – a oltre trenta anni dell’approva-zione delle legge 180 – per “rimediare alla diversificazione delle procedure nell’esecuzione delleordinanze per interventi sanitari obbligatori” che sono state, in questi decenni, poste in esserenelle varie realtà territoriali.

Riportiamo le parti di maggiore interesse per l’esercizio professionale.Per quanto concerne la procedura per l’esecuzione del trattamento sanitario obbligatorio

si specifica che la “titolarità della procedura di TSO appartiene alla polizia municipale in tuttala fase di ricerca dell’infermo e del suo trasporto al luogo dove inizierà il trattamento”.

Al personale sanitario sono richiesti la collaborazione con le forze di polizia municipale egli eventuali interventi sanitari che si rendessero necessari. Viene sottolineato come la colla-borazione tra figure sanitarie e di polizia municipale costituisca un fattore di “sicurezza e qua-lità dell’assistenza”.

La polizia municipale è “presente in tutta la fase di attuazione del TSO fino al ricovero inSPDC esercitando ogni sollecitazione necessaria per convincere il paziente a collaborare, nelrispetto della dignità della persona”.

La stessa polizia municipale attiverà, laddove non siano stati già attivati, i servizi delleaziende sanitarie locali competenti per territorio a intervenire, che vengono individuati a se-conda del livello di organizzazione che si sono localmente dati (servizi territoriali o del dipar-timento di salute mentale negli orari di apertura di questo, del 118 ecc.).

In conclusione non possiamo che concordare con chi si lamenta della carenza della nor-mativa vigente di “un organo istituzionalmente preposto al dovere di cura delle persone natu-ralmente incapaci” auspicandone invece l’introduzione in modo che “possa in concreto auto-rizzare gli interventi opportuni, in situazioni diverse dallo stato di necessità, per i soggetti in-capaci di prestare un consenso”.69

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Capitolo 8 – la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative

67 Ministero dell’interno, Gabinetto del Ministro, circolare del 24 agosto 1993, prot. n. 5300/M/10(1)Uff. 3°.68 Conferenza delle regioni e delle province autonome, Raccomandazioni in merito all’applicazione di accer-tamenti e trattamenti sanitari obbligatori per malattia mentale, 29 aprile 2009.69 Conti A., Commento all’art. 33 del Codice di deontologia medica, in Fineschi V. (a cura di), Il codice dideontologia medica, Giuffrè, Milano, 1996.

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la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative – Capitolo 8

L’infermiere e l’autodimissione del pazienteUna questione che merita di essere affrontata è quella data dal potere che ha il personale inservizio (medici, infermieri) di vietare o meno al paziente psichiatrico, o che comunque nonè in grado di autodeterminarsi, l’autodimissione.

Problema che è riscontrabile non soltanto in psichiatria, ma anche in geriatria.La giurisprudenza più recente della Corte di Cassazione70 ha affrontato il problema, affer-

mando che “il ricovero in una casa di cura o in una comunità terapeutica comporta l’obbligodi cura e di custodia, gravante su plurimi soggetti – direttore sanitario, medico, primario, tera-peuta, infermiere – ma anche limitazioni all’incapace, le quali, liberamente accettate con unvalido consenso o non contrastate da un evidente dissenso, non sono penalmente apprezza-bili” se contenute in certi limiti.

La Cassazione considera volontario un ricovero quando vi è:

– la necessità della terapia;– la mancanza di un evidente dissenso da parte dell’incapace.

In questi casi la suprema Corte precisa che “è cogente l’obbligo di custodia, anche se nonpuò comportare l’uso di mezzi coercitivi né per imporre terapia né per protrarre un ricoveronon più necessario”.

Non soltanto è vietata la “coercizione in sé”, ma anche la “coazione strutturale”, cioè quelsistema di strutture e servizi caratterizzato da sbarramenti di porte e finestre che finisce pertrasformare un luogo di cura “in una casa di reclusione”.

Quale tutela dare allora al paziente che manifesta la volontà di abbandonare il luogo di ri-covero e che risulta ictu oculi non in grado di autodeterminarsi, con una volontà cioè viziatadalla malattia?

La soluzione secondo la Corte deve essere individuata nell’ordinamento giuridico che con-sente, a determinate condizioni, “l’uso legittimo della forza fisica per un soccorso di neces-sità, per sottrarre l’incapace al pericolo di gravi danni […]” Questo uso della forza rientraquindi negli obblighi di custodia, ma deve essere seguito, se persiste il comportamento deldegente, dalla trasformazione del ricovero da volontario a obbligatorio.

Il personale infermieristico e medico non compie, in questo quadro, un reato se usa la forzafisica quale “brevis et modica vis imposta dalle circostanze”. L’obbligo di sorveglianza del pazienteprescinde quindi dalla presenza del trattamento sanitario obbligatorio che è basato invece sulla“diagnosi dei sanitari, sulle precise prescrizioni affidate al personale infermieristico e sulla loromancata osservanza”.71

La mancata sorveglianza del paziente può costituire anche fonte di responsabilità per infer-mieri e caposala.72

70 Cassazione penale, VI sez., sentenza del 22 gennaio-15 aprile 1998, n. 119.71 Corte di Cassazione, I sez. civile, sentenza del 3 marzo-10 novembre 1997, n. 5020.72 TAR Lombardia (Milano), sentenza del 19 dicembre 1995-11 marzo 1996, n. 292. In questa sentenza siprecisa che “se è vero che la sorveglianza dei pazienti ricoverati in un nosocomio è addossata – in via im-mediata – agli infermieri professionali e generici, è anche vero che alla caposala, cui costoro sono gerarchi-camente sottordinati, sono assegnati, come compito di istituto, il controllo e la direzione del servizio degliinfermieri e del personale ausiliario. Di conseguenza, la caposala ha l’obbligo giuridico di vigilare sull’ope-rato dei predetti infermieri e di tenersi al corrente di quanto può capitare ai pazienti ricoverati: il non averfatto ciò viene, quindi, a concretare sicuramente una violazione dei suoi doveri d’ufficio”.

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L’infermiere e i mezzi di contenzione fisicaLa contenzione fisica nasce nei contesti psichiatrici e oggi si allarga soprattutto in ambito ge-riatrico o comunque con pazienti geriatrici.

Per contenzione fisica si intende la messa in atto di tutte le procedure, di mezzi e di dispo-sitivi applicati al corpo della persona o nello spazio circostante atti a limitare la libertà di mo-vimento.

Rientrano quindi nei sistemi di contenzione fisica i mezzi applicati direttamente sul pazientea letto come le fasce e cinture, le spondine, i mezzi applicati nelle carrozzine, i mezzi di con-tenzione per segmento corporeo (cavigliere, polsiere ecc.), i mezzi che obbligano a determinateposture, le cinture pelviche, i divaricatori inguinali.73

Nella normativa manicomiale – abolita nel 1978 – erano sancite limitazioni all’uso della con-tenzione. L’art. 34 R.D. 615/1909, nella parte in cui specificava che agli infermieri il ricorso aimezzi coercitivi era possibile solo “in casi eccezionali e con il permesso scritto del medico”.

L’art. 60 riprendeva l’argomento, dando ulteriori indicazioni: “Nei manicomi debbono essereaboliti i mezzi di contenzione degli infermi e non possono essere usati se non con l’autorizza-zione scritta del direttore o di un medico dell’istituto. Tale autorizzazione deve indicare la na-tura del mezzo di coercizione [...]”.

La decisione e la natura dell’atto di contenzione erano quindi demandate alla decisione delmedico ed erano considerati – nei limiti suesposti – leciti.

L’attuale normativa, forse ipocritamente, tace in tema di contenzione.Non rientrano comunque più per manifesta illegittimità i mezzi che i vecchi manuali di psi-

chiatria riportavano con dovizia di particolari quali catene, ceppi, gabbie, sedie fornite di cin-ghie, camice di forza, anelli di forza, caschi del silenzio, fermatesta e manette e che apparten-gono all’archeologia del trattamento psichiatrico e non sono in alcun modo riproponibili e giu-stificabili.

Il vecchio regolamento di esecuzione della normativa manicomiale limitava, quindi, a si-tuazioni eccezionali il contenimento dei malati (Fig. 8.1).

Quello che deve essere chiarito e approfondito è se sia lecito o meno utilizzare mezzi dicontenzione. In altre parole se è vietato l’uso dei mezzi di contenzione o solo l’abuso. La giu-risprudenza sembrerebbe propendere per la punizione dell’abuso più che dell’uso e lo testi-moniano i reati che di volta in volta sono stati contestati e che rientrano generalmente nella

73 In realtà esistono vari mezzi di contenzione usati. Sempre dal volume di Cester A., I percorsi della conten-zione, op. cit., i mezzi di contenzione vengono classificati in:– mezzi di contenzione per il letto;– mezzi di contenzione per la sedia;– mezzi di contenzione per segmenti corporei;– sistemi di postura utilizzati a fine di contenzione.Un’altra classificazione dei mezzi di contenzione è riportata in L’infermiere – Notiziario aggiornamenti professio-nali, Organo ufficiale della Federazione nazionale IPASVI, sez. documenti, a cura di Zanetti E. et al., p. 51. In que-sto lavoro i mezzi di contenzione vengono classificati in:– fascia per carrozzina o poltrona;– fascia pelvica, con le varianti costituite da divaricatore inguinale, fasce antiscivolamento, corsetto con bre-

telle, corsetto con cintura pelvica;– tavolino per carrozzina;– spondine per letto;– bracciali di immobilizzazione;– fasce di sicurezza per letto.

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la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative – Capitolo 8

LEGISLAZIONE

MANICOMIALE

L’USO DEI MEZZI

DI CONTENZIONE OGGI

Figura 8.1 L’uso dei mezzi di contenzione fisica secondo la normativa manicomiale (non più in vigore) e se-condo la legge 180/1978.

“Nei manicomi debbono essere aboliti

o ridotti i mezzi di coercizione degli in-

fermi e non possono essere usati se

non con l’autorizzazione scritta del di-

rettore o del medico dell’istituto.

Tale autorizzazione deve indicare la na-

tura e la durata del mezzo di coerci-

zione.

L’uso dei mezzi di coercizione è vietato

nelle case di cura private”

(art. 60, legge 615)

solo in casi eccezionali e con il per-

messo scritto del medico

(art. 34, regolamento di attuazione)

La legge 180 tace sull’argomento

solo in casi eccezionali e giustificati

dall’interesse terapeutico e con la sal-

vaguardia della dignità della persona

dietro prescrizione medica o docu-

mentata valutazione assistenziale con-

tenente il mezzo da usare e la durata

controllo continuo e costante del pa-

ziente sottoposto a contenzione da

parte del personale infermieristico e

medico

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Capitolo 8 – la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative

74 Il riferimento principale è alla Costituzione e agli artt. 13 e 32. Il primo stabilisce che la libertà personaleè inviolabile e che “non è ammessa alcuna forma di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, néqualsiasi restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli modiprevisti dalla legge”. Il secondo invece stabilisce che “nessuno può essere obbligato a un determinato trat-tamento sanitario se non per disposizione di legge”.75 Castiglioni R., Flores A., Sull’uso dei mezzi di contenzione in ambiente psichiatrico. Considerazioni giuri-diche e medico-legali, Rivista sperimentale di freniatria e medicina legale degli alienati, 1, vol. CXI, 1987, p. 149.76 Canepa G., Note introduttive allo studio della responsabilità professionale dello psichiatra in ambito ospe-daliero, Rivista italiana di medicina legale, 571, 1979.77 Tribunale di Milano, sentenza del 4 aprile 1979, Rivista italiana di medicina legale, 571, 1979.

pura volontarietà dell’autore che li pone in essere. Infatti troviamo casistica in tema di seque-stro di persona, violenza privata, di abuso di mezzi di correzione, percosse, lesioni personali.

Non vi sono dubbi sul fatto che qualsiasi costruzione giuridica che tenda a porre le basi perla assoluta legittimità anche del semplice uso dei mezzi di contenzione si possa scontrare coni solidi elementi legati alla mancanza del consenso del paziente e con le norme ordinarie e co-stituzionali che non legittimano di per sé alcun provvedimento limitativo della libertà perso-nale se non a rigorose condizioni previste e che non sono presenti nelle decisioni di conten-zione.74

Proviamo a ripercorrere alcune argomentazioni tratte dalla casistica giurisprudenziale. Inprimo luogo oggi si riconosce il fatto che la contenzione sia mezzo eccezionale.

L’eccezionalità, avvertono alcuni autori,75 non deve essere confusa con il concetto dellostato di necessità ex art. 54 c.p. Se riconoscessimo l’eccezionalità come stato di necessità do-vremmo riconoscere che contenere un malato è un reato, stante la natura discriminante dell’ar-ticolo 54 c.p.

Sempre gli stessi autori propongono un ragionamento analogico per uscire da questo cir-colo vizioso. Se, infatti, ai genitori è riconosciuta la facoltà di compiere sui figli, nell’interessedella loro educazione, azioni quali offese, percosse, limitazioni della libertà personale, che diregola costituiscono reato, possiamo riconoscere ai sanitari la possibilità di ricorrere, nell’in-teresse del paziente, alla contenzione considerandola un mezzo di trattamento in senso lato,una terapia, un mezzo estremo, appunto “eccezionale”.

In questi casi la tutela del paziente appare doverosa da parte del medico al quale potrebbeessere imputato un comportamento omissivo qualora non provveda in modo adeguato.

Altri studiosi estendono questa doverosità anche a malati non psichiatrici, quali anziani einvalidi, che potrebbero prodursi lesioni cadendo dal letto, se non “contenuti”.76

Questa interpretazione viene confortata da una sentenza del Tribunale di Milano77 che hastatuito che “il giudice non può prendere posizione in ordine al problema se la contenzionemeccanica dei malati non sia scientificamente ammissibile in alcun caso oppure se, in alcunelimitate evenienze e con tutte le dovute cautele, essa possa essere praticata come estremo ri-medio e come male minore rispetto a trattamenti ancora più spersonalizzanti come quelli far-macologici. Non si ritiene infatti legittimo che un organo dello Stato si pronunci, in ragioneesclusiva della propria autorità, su di una discussione ancora aperta tra gli studiosi [...]”.

Il Tribunale di Milano non accenna quindi al ricorso allo stato di necessità.Vi è però un’importante differenza tra l’attuale legislazione e la legislazione manicomiale. Prima del varo della legge 180 i mezzi coercitivi potevano essere usati, sì eccezionalmente,

ma per motivi non esclusivamente terapeutici ma anche custodialistici.Oggi è solo l’interesse terapeutico e assistenziale a poter giustificare tale grave misura.È importante avere approfondito questo punto in quanto i mezzi di contenzione sono da

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la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative – Capitolo 8

sempre uno strumento “comodo” per medici e infermieri per mettersi al riparo da pazienti noncollaboranti.

Emblematica è rimasta la vicenda di cui si è dovuto occupare il Tribunale di Napoli78 nelquale rimase uccisa, vittima di un incendio, una donna costretta in un letto di contenzione.

Le indagini appurarono che il ricorso al letto di contenzione non era giustificato da alcuninteresse terapeutico o con scopi di tutela del paziente, bensì al solo esclusivo scopo di garan-tire sonni tranquilli “ai sanitari e alle vigilatrici”. Spesso tale pratica era attuata a tutti i pazientidel manicomio durante le ore notturne. Non era un caso, ovviamente, che di tali trattamentinon rimanesse alcuna traccia nelle cartelle cliniche.

I mezzi di contenzione oggi più di ieri devono essere considerati in generale eccezionali an-che se in alcuni contesti – RSA, case di riposo, strutture di lungodegenza – non sono poi cosìeccezionali.

I mezzi di contenzione non devono in alcun modo, quindi, avere una finalità punitiva, cu-stodialistica o peggio ancora carceraria, assumere caratteri inumani, essere sproporzionati ri-spetto al fine terapeutico e soprattutto dovrebbero – il condizionale è d’obbligo – in linea con ildisposto previsto dall’art. 1 della legge 180 “avvenire nel rispetto della dignità della persona”.

Dovrebbero, in quanto qualsiasi mezzo di contenzione è di fatto contrario alla dignità dellapersona.

Rispetto all’impostazione tradizionale sposata precedentemente anche in questa sede79 nonci sembra che sia più possibile inquadrare la contenzione fisica come puro “atto medico pre-scrittivo” in quanto la professionalizzazione dell’infermiere attuata in questi anni ha portatoalla assoluta certezza che questo professionista sia perfettamente in grado di identificare i bi-sogni legati al rischio di cadute accidentali e alle manovre autolesive.

Essi sono quindi non da considerarsi terapia in senso stretto o comunque non solo terapia.La decisione di una contenzione ben può provenire dall’équipe infermieristica quando questanecessità discenda da valutazioni di carattere assistenziale. Una decisione di contenzione, qua-lunque ne sia la motivazione, deve avere una solida base documentale. La prescrizione dellacontenzione deve essere riportata nella documentazione sanitaria in modo dettagliato.

Gli studiosi80 che si sono occupati dell’argomento suggeriscono infatti l’opportunità di an-notare dettagliatamente ogni particolare quali le circostanze che portano all’uso della conten-zione, sia cliniche che organizzative (presenza di più malati, carenza di infermieri, impedimentitransitori di trattare il paziente in altro modo ecc.).

Il provvedimento di contenzione dovrà avere una durata e dovranno seguire controlli sull’an-damento della contenzione e sul suo effetto sul paziente.

L’infermiere quindi può usare i mezzi di contenzione sopra ricordati non solo in caso di unaprescrizione medica bensì anche con una prescrizione infermieristica. Il dibattito comunque ètutt’altro che chiuso e in posizioni intermedie troviamo la dottrina medico-legale.81

Sulla stessa linea d’onda si pone la recentissima revisione del Codice deontologico dell’in-fermiere. Già il previgente codice – in vigore in realtà fino a febbraio 2009 – era intervenuto sulproblema contenzione legittimandone un uso moderato e motivato purché non diventi “meto-dica abituale di accudimento” e si configuri nella sua decisione e applicazione solo l’interessedella persona e non la risposta alle necessità istituzionali (per esempio, contenzione per man-

78 Tribunale di Napoli, 17 giugno 1977, Quale giustizia, IV, 1977.79 Castiglioni R., Flores A., Sull’uso dei mezzi di contenzione, op. cit.80 Vedi le precedenti edizioni di questo volume.81 Rodriguez D., Medicina legale per infermieri, Carocci, Roma, 2004, p. 222.

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Capitolo 8 – la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative

82 Tribunale di Milano, 13 luglio 1989, Giurisprudenza italiana, 1991, I, 2, 54.83 Corte di Appello di Bologna, sentenza del 9 dicembre 1987.

canza di personale). La recente revisione del codice deontologico della Federazione Nazionaledei Collegi IPASVI, all’art. 30, legittima l’uso della contenzione non solo dietro prescrizionemedica, ma anche in seguito a “documentate valutazioni assistenziali”.

La contenzione nasce – lo abbiamo già precisato – in psichiatria, ma viene estesa per lo piùnelle sue applicazioni più importanti nei contesti geriatrici. Bisogna precisare che in realtà nellestrutture ospedaliere la contenzione è largamente praticata anche in numerosi altri contesticome la sala operatoria e le terapie intensive. Non sono però contesti che si prestano all’abusoin quanto la contenzione in questi casi viene collegata al fatto acuto o al fatto contingente eviene meno al regredire delle situazioni.

All’interno del contesto psichiatrico invece vi sarebbe da stabilire se l’obbligo di sorve-glianza e nell’uso dei mezzi di contenzione può o deve essere diverso in caso di pazienti sot-toposti a un TSO rispetto a quelli non sottoposti.

La scarsissima giurisprudenza in materia sembrerebbe escluderlo, visto che una sentenzadel Tribunale di Milano82 ha in un qualche modo sancito l’obbligo di maggiore sorveglianzaverso quei pazienti che, ricoverati anche in reparti non psichiatrici, abbiano dato “segni di squi-librio” tali da suggerire “l’adozione di adeguate misure di sorveglianza”.

Non c’è però dubbio che un ordinamento che preveda un ricovero coatto, sia pure in osse-quio a un principio terapeutico e con l’adozione di una procedura garantista, non possa anchenon prevedere le misure per fare rispettare tale precetto.

Fuori da questo caso particolare di trattamento sanitario non volontario si riespande il prin-cipio di volontarietà nel trattamento.

Da ciò discende che le misure coercitive, contenitive e restrittive possono senza alcun dub-bio essere più rigorose nel caso di un paziente sottoposto a un TSO ex art. 2 legge 180 che ne-gli altri casi.

L’uso dei mezzi di contenzione si è allargato anche alle comunità di recupero per tossico-dipendenti, che sono notoriamente strutture chiuse. La giurisprudenza ha avuto modo di pre-cisare83 – giudicando il caso Muccioli, fondatore della comunità di San Patrignano nel celebre“processo delle catene” – quanto segue:

Il delitto di sequestro di persona, commesso in danno di tossicodipendenti sottoposti in comunità“chiusa” a programmi terapeutici comprendenti la restrizione della libertà personale, è scriminato dalconsenso ai programmi predetti anticipatamente prestato dal ricoverato all’atto di ammissione in co-munità, quando la privazione della libertà non si protragga oltre il tempo strettamente necessario alrecupero del soggetto, e non venga attuata con modalità tali (ad es. incatenamento o chiusura in am-bienti indecorosi e malsani) da lederne la dignità di persona umana. Gli operatori di una comunità“chiusa”, ove i tossicodipendenti vengono sottoposti a programmi terapeutici comprendenti la restri-zione della libertà personale, non sono punibili per gli eccessi colposamente commessi nell’uso deimezzi necessari a impedire che un ricoverato abbandoni la comunità con il dichiarato proposito di ri-cominciare a drogarsi (nella specie, incatenamento o chiusura in ambienti malsani), poiché il delittodi sequestro di persona non è punibile a titolo di colpa. Esercita un diritto-dovere e pertanto, alla stre-gua dell'art. 51 cod. pen., non risponde di sequestro di persona l'operatore di una comunità “chiusa”,il quale rinchiuda a chiave dentro una stanza la tossicodipendente minorenne che abbia manifestatol'intenzione di abbandonare il luogo di ricovero al fine di prostituirsi per disporre dei soldi necessariall’acquisto di dosi di eroina... Nel fatto di chi, all’interno di una comunità terapeutica per tossicodi-pendenti, sottopone a segregazione alcuni ospiti, per impedire loro di abbandonare la comunità e di

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tornare a far uso di stupefacenti, non ricorrono gli estremi del delitto di sequestro di persona. Invero,ove la segregazione sia realizzata con mezzi non lesivi della personalità e della dignità sociale degliospiti, il fatto è scriminato dal consenso prestato dai tossicodipendenti nel momento d’ingresso in co-munità, nonché dallo stato di necessità in cui versa l’agente. Ove, invece, la segregazione sia realiz-zata con modalità lesive della personalità e della dignità sociale degli ospiti, il fatto concreta un ec-cesso colposo in istato di necessità e, perciò, non è punibile... “non è configurabile il delitto di seque-stro di persona in danno di tossicodipendente volontariamente entrato in comunità terapeutica, conconseguente sorveglianza che non comporta soppressione della libertà personale. Non ricorre il delittoprevisto dall'art. 572 cod. pen. quando manchi l’elemento soggettivo consistente nella coscienza e vo-lontà di sottoporre il soggetto passivo ad una serie di sofferenze fisiche e morali in modo continuo edabituale ed ispirato ad una persistente malvagità. In tema di sequestro di persona non è punibile chi viabbia preso parte quando ricorrano le cause di giustificazione del consenso dell’avente diritto, sia essoreale o putativo, oppure lo stato di necessità sotto il profilo dell’eccesso colposo.

Quindi, la contenzione viene scriminata, cioè giustificata, dal nostro ordinamento giuridico– secondo la Corte di Appello di Bologna – dal consenso ai programmi all’atto di ingresso nellacomunità nei limiti in cui si rispettano i diritti elementari della persona e non si superino i li-miti necessari al recupero del paziente. Interpretazione larga che apre agli abusi.

LA CONTENZIONE IN GERIATRIA E L’ESPERIENZA INTERNAZIONALE

Il problema della contenzione è oggi forse maggiormente sentito in ambito geriatrico. L’invec-chiamento della popolazione, lo sviluppo di strutture sanitarie per anziani, come le residenze sa-nitarie assistenziali (RSA), con l’istituzionalizzazione degli anziani, pongono un problema assi-stenziale e terapeutico pressante.

Al fine di verificare la liceità di tale pratica, il riferimento e la ricostruzione giuridica compiutinel paragrafo precedente, sono da considerarsi validi anche in geriatria.

In questa sede vogliamo invece fare un’analisi comparatistica della regolamentazione dellacontenzione in ambiente geriatrico. In particolare si prenderanno in esame la normativa statu-nitense e quella inglese.

Negli Stati Uniti,84 sono state definite delle linee guida federali per il ricorso alla contenzionenegli anziani nelle nursing homes, strutture che in un qualche modo assomigliano alle nostre re-sidenze sanitarie assistenziali.

Linee guida sulla contenzione negli Stati Uniti

1. La prescrizione deve indicare le ragioni precise;2. la contenzione deve essere a termine e il paziente non può essere contenuto indefinitamente;3. la contenzione non può essere imposta per più di 12 ore, a meno che non lo richieda la condizione del

paziente;4. un paziente sottoposto a contenzione deve essere controllato ogni 30 minuti da personale addestrato, re-

gistrando il piano di sorveglianza;

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la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative – Capitolo 8

84 Linee guida federali per il ricorso alla contenzione nelle nursing homes americane. Da: Use of restranits-federal standards, Washington, DC, Departement of Health and Human Services, 1984, citato da Marini G.,La contenzione nell’anziano confuso: principi e pratica, Argomenti di gerontologia, 6, 1994, pp. 37-44.

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5. la reiterazione della prescrizione deve avvenire solo dopo ulteriore verifica delle condizioni del soggetto;6. la restrizione non va usata a fini punitivi, per comodità dello staff o come succedaneo di un attento con-

trollo;7. la restrizione con mezzi fisici non deve produrre danno al paziente e deve indurre il minimo disagio pos-

sibile;8. si deve garantire la possibilità di movimento ed esercizio per non meno di dieci minuti ogni due ore con

esclusione della notte.

In Inghilterra invece, le indicazioni all’uso della contenzione vengono direttamente dall’or-gano di tutela della professione infermieristica: il Royal College of Nursing di Londra.85

Linee guida sulla contenzione in Inghilterra

1. La contenzione deve essere attuata solo in circostanze eccezionali e deve essere solo una misura tempo-ranea;

2. la contenzione deve essere adottata solo dopo un’attenta valutazione delle condizioni della persona. Que-sta valutazione deve esaminare anche modalità alternative;

3. il periodo di contenzione dovrebbe essere indicato prima di procedere e la contenzione deve essere con-tinuamente riesaminata, per esempio, ogni quindici minuti;

4. la decisione della contenzione deve essere adottata da un’infermiera dopo essersi consultata con un altromembro qualificato dello staff e dopo l’esplicita approvazione della caposala;

5. i tempi della contenzione devono essere accuratamente registrati ed elaborati in statistiche mensili, co-munemente accessibili, che dovrebbero evidenziare i tempi, il tipo e la causa (naturalmente salvaguar-dando la riservatezza dei pazienti);

6. nessun paziente deve essere in contenzione con una “cintura di sicurezza”;7. la necessità di somministrare sedativi deve essere rivista giornalmente dai medici dello staff.

Non vi è dubbio che la situazione americana sia molto più somigliante alla situazione italianadelineata nel paragrafo precedente. Anche negli Stati Uniti la contenzione è considerata un puroatto terapeutico e come tale necessita di una preventiva prescrizione.

In Inghilterra, invece, la contenzione è considerata quasi un atto assistenziale più che tera-peutico; quantomeno la procedura lo indica come tale. Il fatto che nelle indicazioni del Royal Col-lege non si parli esplicitamente di prescrizione, ma invece si specifichi che la decisione della con-tenzione viene adottata solo per proposta di un infermiere, previa consultazione con un “altromembro qualificato dello staff”, senza peraltro indicare tassativamente in quest’ultimo un me-dico, la dice lunga sull’autonomia consentita agli infermieri inglesi e la diversa concezione delnursing che ritroviamo in quel Paese.

Però, il punto fondante dell’autonomia infermieristica in tema di contenzione è rappresen-tato dalla previsione necessaria della “esplicita approvazione della caposala”. Senza il consensodella caposala, quindi, non si può attuare legittimamente il processo di contenzione, come sche-matizzato alla pagina successiva.

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Capitolo 8 – la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative

85 Indicazioni all’uso della contenzione del Royal College of Nursing di Londra. Da: Wright G.S.: Nursing theolder patient, Harper & Publishers, London, 1989, citato nel volume di Cester A. (a cura di) Legare i vecchi,EdUp edizioni, Roma, 1995.

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LA RESPONSABILITÀ PER LA SOMMINISTRAZIONE DI FARMACI

La competenza per la somministrazione di farmaciLa somministrazione dei farmaci risulta essere una delle attività a rischio di errore compiutadall’infermiere. La letteratura internazionale86 riporta dati fortemente negativi per gli eventi av-versi da farmaci. Le proiezioni delle casistiche internazionali applicate alla situazione italiana ri-velano che su circa otto milioni di persone ricoverate ogni anno, trecentoventimila circa (il 4%)sono dimesse dall’ospedale con danni o malattie dovuti a errori di terapia o a disservizi ospeda-lieri, con un numero di decessi che si aggirerebbe tra i trenta e i cinquantamila.87

Per errore di terapia si intende “ogni evento prevenibile che può causare o portare a un usoinappropriato del farmaco o a un pericolo per il paziente”. Vengono fondamentalmente ricono-sciute cinque categorie di errore:

1. errore di prescrizione;2. errore di trascrizione/interpretazione;3. errore di preparazione;4. errore di distribuzione;5. errore di somministrazione.

Vi sono particolari settori clinici che, per diversi motivi, sono a maggior rischio di errore: lapediatria e la geriatria. La pediatria sconta problemi legati al dosaggio dei farmaci e al loro cal-colo, oltre che alla relativa disponibilità di collaborazione; la geriatria sconta invece problemi le-gati alla presenza di pazienti con una pluralità di patologie concomitanti e con il rischio di mag-giori variazioni farmacocinetiche dovute all’età e/o patologie concomitanti.88

Il profilo professionale recepito con il decreto del Ministero della sanità del 14 marzo 1994,n. 739 specifica al terzo comma dell’art. 1 che compete all’infermiere la “corretta applicazionedelle prescrizioni diagnostico-terapeutiche”.

L’art. 2 del D.P.R. 14 marzo 1974, n. 225, cosiddetto mansionario, ora abrogato, specificavache all’infermiere professionale competeva la “somministrazione dei farmaci prescritti”. Lo stessomansionario indicava puntualmente le vie di somministrazione consentite all’infermiere: la viaintramuscolare, la via percutanea, la via endovenosa.

Oggi le vie di somministrazione non sono più pedissequamente elencate, come del resto al-tre attività professionali prima normate.

Affinché l’infermiere possa legittimamente somministrare, si richiede comunque tuttora lapresenza della prescrizione medica. Assume una certa importanza ricordare che il verbo “pre-scrivere” deriva dal latino e significa letteralmente “scrivere prima”.

Sia la precettistica medico-legale sia la manualistica infermieristica hanno individuato glielementi costitutivi e tipici di una prescrizione medica di farmaci. Essa si compone dei seguentielementi:

– il tipo di farmaco, intendendosi per tipo di farmaco il nome commerciale dello stesso;

86 Porter J., Jick H., Drug-related deaths among medical inpatients, Jama, 237; 879-881, 1977.87 Ministero della salute, Dipartimento della qualità – Direzione generale della programmazione sanitaria,dei livelli essenziali di assistenza e dei principi etici di sistema, Risk management in sanità: il problema deglierrori, 2004, allegato 1, http://www.ministerosalute.it.88 Ministero della salute, Dipartimento della qualità – Direzione generale della programmazione sanitaria,dei livelli essenziali di assistenza e dei principi etici di sistema, Risk management in sanità: il problema deglierrori, 2004, allegato 4b, http://www.ministerosalute.it.

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– il dosaggio, che può essere espresso in peso (grammi, milligrammi), in volume (ml, cc), inunità internazionali, in millequivalenti ecc.;

– i tempi di somministrazione, con cui si intendono tre situazioni:• l’orario di somministrazione;• il tempo in cui un’infusione deve essere somministrata, evenienza spesso utile nelle te-

rapie intensive;• la data di scadenza, decisamente indispensabile in ambiente extraospedaliero;89

– la via di somministrazione, che deve essere compatibile con il livello di cultura e conoscenzaprofessionale dell’infermiere;

– la forma farmaceutica, che deve essere indicata in modo convenzionale (fiale, compresse,supposte ecc.);

– la sottoscrizione del medico, consistente nell’apposizione della data e della firma.

Alla prescrizione incompleta si equipara anche una prescrizione scritta con grafia poco leggibile.Particolarmente interessante e utile risulta soffermarsi sul disposto del profilo professionale

che specifica che “l’infermiere garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche”. È forse l’atto normativo più coerente con il processo di professionalizzazione inatto e sicuramente anticipatore del nuovo sistema di abilitazione all’esercizio professionale, an-titetico alla logica mansionariale basata essenzialmente sull’esecuzione di prescrizioni mediche.L’infermiere si rende garante di tutte le procedure, dettate dalla migliore letteratura e manuali-stica internazionale.

La letteratura infatti, a livello internazionale, ha già da molti anni sintetizzato nella formuladelle 5 G, diventate da qualche anno le 6 G, la corretta procedura per la somministrazione deifarmaci.90

Dalla regola delle 6 G si evince che l’atto di somministrazione della terapia farmacologica èun atto unitario, sequenziale e cronologico. Atto unitario in quanto deve essere compiuto da unasola persona.

Facendo riferimento a prassi professionalmente scorrette, quali per esempio la somministra-zione di farmaci precedentemente preparati da altro operatore, spesso a distanza di tempo inac-cettabile, è necessario precisare che entrambi gli operatori hanno la responsabilità dell’operato.91

Il principio dell’unitarietà dell’azione riconosce delle eccezioni. Esse sono tassative e sono datedalle situazioni di emergenza, dall’attività di insegnamento agli studenti e dalle soluzioni con far-maci in infusione continua.

Non si può non rilevare che la delicatezza delle operazioni di somministrazione della tera-pia impone all’operatore di seguire prassi professionali e legittime.

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Capitolo 8 – la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative

89 “Se la prescrizione è effettuata in ambito extraospedaliero essa deve recare la scadenza della sua vali-dità”, United Kingdom Central Council for Nursing, Midwifery and Health Visiting dell’ottobre 1992, deno-minato “Standard per la somministrazione di farmaci”, Infermiere informazione, Organo del Collegio IPASVIdi Torino, 1, 1995.90 1) Giusto farmaco; 2) Giusta dose; 3) Giusta via; 4) Giusto orario; 5) Giusta persona; 6) Giusta registrazione.91 Il riferimento è al documento dell’United Kingdom Central Council for Nursing, Midwifery and Health Vi-siting dell’ottobre 1992, denominato “Standard per la somministrazione di farmaci”, Infermiere informazione,Organo del Collegio IPASVI di Torino, 1, 1995, nel quale si specifica che è inaccettabile l’azione “commessadall’operatore che somministra una sostanza posta in una siringa o in un contenitore da un altro operatore,in assenza dell’operatore che assume la responsabilità della somministrazione al paziente” e, al paragrafo10.6, ancora più chiaramente si precisa che l’infermiere si “rifiuterà di preparare sostanze da iniettare se nonimmediatamente prima dell’uso e rifiuterà di somministrare un farmaco che non sia stato posto nel conte-nitore o aspirato nella siringa in sua presenza [...]”.

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la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative – Capitolo 8

Dalla lettura della manualistica internazionale abbiamo osservato come, oltre a essere uni-tario, l’atto di somministrazione della terapia è anche da considerarsi consequenziale e crono-logico, in relazione ovviamente alla conoscenza dei farmaci da somministrare.

Sul punto il mansionario degli infermieri francesi92 è molto esplicito quando precisa chenell’ambito della somministrazione della terapia compete all’infermiere anche la “verifica dellaloro assunzione e sorveglianza sui loro effetti”. Anche in Inghilterra esistono norme simili93 incui si specifica che la somministrazione della terapia richiede “l’esercizio di un giudizio pro-fessionale diretto a: partecipare alla valutazione dell’efficacia dei farmaci e all’identificazionedegli effetti collaterali e delle interazioni con altri farmaci”.

La mancata conoscenza degli effetti dei farmaci, delle conseguenze e delle eventuali inte-razioni con altri farmaci in corso, non è accettabile neanche da un punto di vista deontologico.L’art. 3.3 del codice deontologico del 1999 specifica infatti che “l’infermiere riconosce i limitidelle proprie conoscenze e competenze e declina la responsabilità quando ritenga di non po-ter agire con sicurezza”. Inoltre, sempre per quanto riguarda la conoscenza di ciò che pone inessere, l’art. 4.4 afferma che “l’infermiere ha il dovere di essere informato sul progetto diagno-stico terapeutico, per le influenze che questo ha sul piano di assistenza e sulla relazione con lapersona”.

La mancata conoscenza può essere riscontrata al duplice livello di ignoranza delle moda-lità di somministrazione del farmaco e degli ausili che servono a somministrarla.

La responsabilità per la somministrazione di farmaciPur essendo unitario, l’atto di somministrazione della terapia può essere scomposto, da unpunto di vista giuridico, in due distinti momenti: l’atto di prescrizione e di competenza medica,e l’atto di somministrazione e di competenza infermieristica. Se questi due momenti vengonotenuti separati l’infermiere risponderà solamente degli errori legati alla somministrazione. Incaso contrario, potranno essergli contestati atti che sono istituzionalmente di responsabilitàmedica.

La distinzione tra competenze mediche e infermieristiche può venir meno nelle situazionidi emergenza sia clinica che circostanziale, ovvero legate a situazioni contingenti. In questocaso l’infermiere agisce di conseguenza, potendo somministrare farmaci senza prescrizionemedica e non essendo punibile ai sensi dell’art. 54 c.p. che regola lo stato di necessità. Data lanota difficoltà di provare lo stato di necessità, sarebbe probabilmente preferibile una norma si-mile a quella contenuta nella regolamentazione francese del code de déontologie94 in cui, in casodi emergenza, l’infermiere è abilitato a mettere in atto i protocolli di cure urgenti prescritti dalmedico responsabile.95

Per quanto riguarda invece quella parte di area critica afferente al sistema di allarme sani-tario di emergenza extraospedaliera, il cosiddetto 118, la legittimità della somministrazione difarmaci, in assenza del medico e in presenza di protocolli, è sancita dal D.P.R. 27 marzo 1992.Qui la responsabilità infermieristica assume caratteristiche diverse in relazione alla possibilitàdi errore nella parte iniziale del protocollo, che ha generalmente valenza diagnostica. La pos-

92 Art. 3 – Décret n. 93-345 du 15 mars 1993 Relatif aux actes professionnels et à l’exercise de la profession d’infirmier.93 Il riferimento è al documento dell’United Kingdom Central Council for Nursing, Midwifery and Health Vi-siting dell’ottobre 1992, denominato “Standard per la somministrazione di farmaci”, Infermiere informazione,Organo del Collegio IPASVI di Torino, 1, 1995.94 Décret n. 93-221 du 16 février 1993.95 Una norma del tutto simile era stata oggetto di dibattito in una bozza di lavoro del Ministero della sanità(1998), contenente uno schema di decreto del Presidente della Repubblica.

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sibilità cioè che un infermiere possa rispondere, in questo specifico caso, di errore di diagnosi,è concreta.

La responsabilità infermieristica, fatta eccezione questa precisazione sul 118, è direttamentecorrelata al tipo di errore e al tipo di evento provocato. La maggior parte degli errori consistenella prescrizione, nello scambio di pazienti, nel dosaggio o diluizione, nella via di sommini-strazione:96 errori dunque che si sostanziano nella colpa professionale e nei suoi caratteri ti-pici della negligenza e dell’imperizia.

I reati a cui l’infermiere può andare più frequentemente incontro, in relazione agli errori so-pra descritti, sono le lesioni personali e l’omicidio colposo.

Diverso è il caso delle prescrizioni condizionate al verificarsi di un evento futuro e incerto.Le dizioni più comuni che si ritrovano nella prassi sono: terapia “al bisogno”, “se occorre”, “all’in-sorgere del dolore” ecc.

All’interno delle prescrizioni condizionate può essere utile operare una distinzione tra le prescri-zioni condizionate basate su segni clinici rilevabili oggettivamente dall’infermiere, oppure su sintomi.

Nel primo caso la prescrizione rimane condizionata, ma è ancorata a segni clinici,97 per esem-pio pressione arteriosa, temperatura corporea ecc., che l’infermiere può rilevare in modo og-gettivo e completare la prescrizione del medico.

Sono quindi da considerare accettabili dizioni del tipo:

– “somministrare una fiala dell’antipiretico x... se la temperatura corporea supera ...∞C ”;– “somministrare una fiala del diuretico x... se la pressione arteriosa supera i valori ... mmHg” e

similari.

Più insidioso e pericoloso il secondo caso, la prescrizione condizionata a sintomi. Il sin-tomo è infatti riferito dal paziente e non è quindi rilevabile oggettivamente dall’infermiere. Esem-pio tipico riscontrato nella prassi: “somministrare 1 fiala di morfina all’insorgere del dolore”.Compete in questo caso all’infermiere fare diagnosi di dolore, con tutto ciò che comporta la ca-duta in eventuali errori. Essendo la diagnosi clinica un compito di stretta competenza medica,non possiamo non sottolineare, oltreché la pericolosità, anche l’illegittimità di tale prassi. L’in-fermiere che accetta di somministrare secondo questa prassi, si sottopone alle stesse responsa-bilità del medico sui possibili errori di diagnosi e di terapia.98

96 Neal G., in Vincent C., Clinical risk management, BMJ Publications, London, 1995.97 Il termine “segno” deriva dal latino (signum) e viene definito come “qualunque manifestazione obiettiva diuna malattia o di una disfunzione”. I segni sono più o meno evidenti, in contrasto con le sensazioni sogget-tive del paziente (sintomi). I sintomi sono generalmente soggettivi, cioè riferiti dal paziente. Nella letteraturamedica vi è chi, però, opera una distinzione dei sintomi più ampia e li classifica in oggettivi, soggettivi, cardi-nali e costituzionali. Nell’economia del discorso che qui ci interessa, i sintomi vengono considerati soggettivi.98 Errori di diagnosi. La dottrina e la precettistica medico-legale hanno individuato con esattezza il pro-blema dell’errore di diagnosi e di terapia. Da uno dei manuali più diffusi e autorevoli (Puccini C., Istituzionidi medicina legale, Ambrosiana, Milano, 1993, pp. 1008-1011) traiamo quanto ci interessa ai fini della pre-sente trattazione.“L’errore di diagnosi trae origine da una serie di circostanze che possono viziare in vario modo il procedi-mento conoscitivo della malattia. Sul piano metodologico, la diagnosi clinica consta di diverse fasi, taluneempiriche, altre razionali, che sono le seguenti:– raccogliere l’insieme dei sintomi mediante l’anamnesi, l’esame obiettivo, i mezzi di laboratorio e gli esami

strumentali;– fissare una graduatoria tra questi sintomi in ordine di importanza selezionando quelli che sembrano pa-

tognomonici per determinate patologie;

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– prospettare una serie di malattie che possono essere inquadrate nel raggruppamento nosologico sopraselezionato;

– operare una scelta in questo gruppo ristretto di patologie utilizzando i criteri della diagnosi differenzialee individuare la malattia certa o probabile”.

Per quanto riguarda l’errore di terapia, la stessa dottrina medico-legale ricorda la casistica maggiore deglierrori di diagnosi per molteplici ragioni, non tralasciando di schematizzare le interconnessioni che si pos-sono avere tra errori di diagnosi e di terapia e che riportiamo qui di seguito:– la diagnosi è errata e la terapia non è appropriata: questo è il caso più frequente perché è presumibile che

quando la diagnosi è sbagliata anche la scelta del trattamento non sia conforme a quella che il caso dispecie richiede;

– la diagnosi è corretta ma la terapia risulta errata per scelta o per esecuzione; ciò si verifica qualora il si-stema di cura sia inadeguato e inefficace, o sbagliato nella sua esecuzione, come può accadere nelle ope-razioni chirurgiche male riuscite o nelle cure farmacologiche inappropriate, tardive, interrotte o incom-plete”.

99 Benci L., Manuale giuridico professionale per l’esercizio del nursing, McGraw-Hill, Milano, 1996.100 1) Giusto farmaco; 2) Giusta dose; 3) Giusta via; 4) Giusto orario; 5) Giusta persona.101 In Infermiere informazione, organo ufficiale del Collegio IPASVI di Torino, 1-2, 1991.

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la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative – Capitolo 8

Vedremo, nel prossimo paragrafo, le eccezioni relative ai progetti obiettivo “Ospedale senzadolore” in cui, a determinate condizioni, l’infermiere somministra i farmaci senza prescrizionemedica.

Una frequente fonte di responsabilità è data dall’errore di trascrizione dalla cartella clinica allacartella infermieristica o al quaderno della terapia. Laddove la copiatura della terapia correttamenteprescritta in cartella clinica risulti errata, l’infermiere professionale risponderà per negligenza.

Altri errori frequenti sono dovuti alla somministrazione di terapia al paziente sbagliato o peruna via diversa da quella prescritta, per un dosaggio maggiore o minore di quello prescritto.99

Peraltro già da molto tempo su tutta la manualistica infermieristica è riportata la “Regoladelle 5 G”100 che, se abitualmente adottata, riduce al minimo la possibilità di errore.

Rimane da precisare la legittimità delle prescrizioni orali e delle prescrizioni telefoniche.Non esistendo precisi riferimenti normativi e, a quanto sappiamo, giurisprudenziali, è utile

in questo caso fare riferimento alle precauzioni adottate in Inghilterra dall’UKCC101 (United King-dom Central Council for Nursing) che precisano:

– “la prescrizione di farmaci sulla base di una prescrizione orale può essere accettata solo incasi di emergenza”;

– “le istruzioni telefoniche a un infermiere, date per una somministrazione di farmaci, anchein una situazione di emergenza, non sono accettabili. Questa pratica coinvolge l’infermierein una procedura potenzialmente pericolosa per il paziente”.

D’altra parte l’emergenza è una situazione che ampiamente giustifica la mancanza del re-quisito della prescrizione, in questo caso decisamente formale, in quanto il medico è comunquepresente, ha visitato il paziente e ha fatto una diagnosi.

Diverso è invece il caso della prescrizione telefonica che gli inglesi, è bene notarlo, non chia-mano neanche prescrizione, bensì “istruzioni telefoniche” e definiscono non accettabile, in quantoil medico non è presente, non visita il paziente, non fa una diagnosi.

La carenza di una prescrizione scritta o la presenza di una pura prescrizione telefonica puòporre – in caso di eventi dannosi – problemi di prova tra il prescrittore medico e il sommini-strante infermiere. In un caso recente un medico ha negato di avere prescritto un farmaco pla-cebo a un paziente che si stava aggravando e la cui situazione era stata descritta dai due in-

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fermieri in servizio. Il fatto che mancasse la prescrizione comportava per gli infermieri sommi-nistranti un problema probatorio di rilevante importanza. Ha sostenuto la suprema Corte che trale due opposte versioni (del medico che negava di essere stato chiamato al telefono, e degli in-fermieri che invece sostenevano il contrario) deve essere privilegiata la prima in quanto “non ècredibile che due diversi infermieri, entrambi energicamente chiamati dai parenti della paziente,che invocavano l’intervento di un medico, abbiano omesso di chiamare il medico di guardia. Dital che non è stato illogico ritenere veritiero che l’infermiere abbia avuto telefonicamente l’indi-cazione di praticare l’iniezione dello pseudofarmaco (il placebo) alla paziente, non ritenendo ilmedico necessario recarsi presso la donna”.102 La pura mancanza di una prescrizione scrittaquindi non costituisce l’unica fonte atta a provare il fatto, essendo quest’ultimo ricostruibile an-che con prove testimoniali.

Le raccomandazioni emanate dall’UKCC sono, oltreché condivisibili, del tutto conformi aiprincipi del nostro ordinamento e quindi applicabili.

Tra l’altro recentemente è intervenuto sul punto anche il Ministero della salute103 precisando:

– evitare nelle prescrizioni la frase “al bisogno”, ma, qualora riportata, deve essere specificatala posologia, la dose massima giornaliera e l’eventuale intervallo di tempo tra le sommini-strazioni;

– le prescrizioni verbali o telefoniche vanno evitate e, laddove presenti, devono essere limitatesolamente a circostanze particolari e in ogni caso verificate immediatamente (per esempio,facendo ripetere l’operatore) e subito riportate in cartella clinica.

Le prescrizioni orali – che il Ministero chiama “verbali” – e telefoniche vengono di fatto sal-vate sia pure con una serie di cautele. Il ministero non opera la differenziazione tra le due situa-zioni che, abbiamo visto, essere profondamente diverse con una decisa maggiore pericolosità perla prescrizione telefonica. È anche vero che sarebbe stata inopportuna una condanna senza ap-pello alla prescrizione telefonica – che, in fondo, stabilisce un contatto e un rapporto tra un me-dico e un infermiere – la cui legittimità rimane dubbia, mentre non dubbia è la sua pericolosità.

Una prassi molto in uso in questi ultimi anni è la prescrizione secondo protocollo. Il pro-tocollo a cui fare riferimento è un protocollo terapeutico che viene approntato sempre più fre-quentemente soprattutto per quanto riguarda la terapia infusiva.

Può essere sufficiente una prescrizione in cartella clinica del tipo “terapia secondo il proto-collo n. 1”?

La risposta può essere affermativa a una condizione: il protocollo deve essere inserito all’in-terno della cartella clinica, diventandone così parte integrante, e deve essere sottoscritto dal me-dico richiedente.

È doveroso ricordare che anche il protocollo deve essere costituito di tutti gli elementi di unaprescrizione di terapia con particolare riguardo alla quantità di farmaci e/o di liquidi da sommi-nistrare, al tempo di somministrazione, alla via ecc.

Cosa significa per l’infermiere somministrare la terapia? Quali sono le sue mansioni in con-creto? Spieghiamoci meglio, l’infermiere è un semplice distributore di farmaci o deve anche con-trollarne gli effetti?

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Capitolo 8 – la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative

102 Cassazione penale, IV sez., sentenza del 20 gennaio 2004, n. 11533.103 Ministero della salute, Dipartimento della qualità – direzione generale della programmazione sanitaria,dei livelli di assistenza e dei principi etici di sistema, Ufficio III “Raccomandazione per la prevenzione dellamorte, coma o grave danno derivati da errori in terapia farmacologica”, raccomandazione n. 7 del settem-bre 2007.

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la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative – Capitolo 8

Il mansionario sulla questione taceva. Qualcosa in più ci dice il profilo, che in effetti quandospecifica che compete all’infermiere la “corretta applicazione delle prescrizioni terapeutiche” forseci vuole indicare, seppure vagamente, che la somministrazione della terapia è da considerarsi unatto complesso.

Sul punto, il già citato mansionario degli infermieri francesi104 è molto esplicito laddove pre-cisa che nell’ambito della somministrazione della terapia compete all’infermiere anche la “veri-fica della loro assunzione e sorveglianza sui loro effetti”.

Anche in Inghilterra esistono norme simili105 in cui si puntualizza che la somministrazionedella terapia richiede “l’esercizio di un giudizio professionale diretto a partecipare alla valuta-zione dell’efficacia dei farmaci e all’identificazione degli effetti collaterali e delle interazioni conaltri farmaci”.

Sempre facendo riferimento a prassi professionalmente scorrette, quali per esempio la som-ministrazione di farmaci precedentemente preparati da altri operatori, spesso a distanza di tempoinaccettabile, c’è da precisare che entrambi gli operatori assumono la responsabilità dell’ope-rato.106

Una pericolosa eccezione alla responsabilità sulla trascrizione della terapia: una sentenza del Tribunale di BolzanoLa regola sopra enunciata specifica che l’infermiere professionale è responsabile della sommini-strazione della terapia correttamente prescritta dal medico.

La responsabilità dell’errore della trascrizione stessa ricade per intero sull’infermiere, quandoquesti ritenga opportuno, per prassi, trascrivere tale terapia.

Il Tribunale di Bolzano107 ha ritenuto invece che la responsabilità ricadesse anche sul medicoin quanto aveva omesso “ogni necessaria forma di controllo sulla successiva esattezza della tra-scrizione della prescrizione”.

Ove si accogliesse una simile interpretazione si arriverebbe al paradosso che il medico di-venterebbe sempre responsabile degli atti compiuti dal personale infermieristico.

Come è stato acutamente notato108 non si comprende per quale motivo il medico debba es-sere chiamato a rispondere degli errori compiuti dall’infermiere professionale in seno ai compitiche la legge assegna all’infermiere stesso.

104 Art. 3 – Décret n. 93-345 du 15 mars 1993 Relatif aux actes professionels et à l’exercise de la profession d’in-firmier.105 Il riferimento è al documento dell’United Kingdom Central Council for Nursing, Midwifery and Health Vi-siting dell’ottobre del 1992, denominato “Standard per la somministrazione di farmaci”, Infermiere informa-zione, Organo del Collegio IPASVI di Torino, 1, 1995.106 Prendendo spunto dal documento citato nella nota precedente nel quale si specifica che è inaccettabilel’azione “commessa dall’operatore che somministra una sostanza posta in una siringa o in un contenitoreda un altro operatore in assenza dell’operatore che assume la responsabilità della somministrazione al pa-ziente” e, al paragrafo 10.6, ancora più chiaramente si precisa che l’infermiere si “rifiuterà di preparare so-stanze da iniettare se non immediatamente prima dell’uso e rifiuterà di somministrare un farmaco che nonsia stato posto nel contenitore o aspirato nella siringa in sua presenza [...]”.107 Tribunale di Bolzano, sentenza del 3 marzo 1980, Rivista italiana di medicina legale, 1983, p. 605.108 Introna F., Commento a una sentenza del Tribunale di Bolzano, 3 marzo 1980, Rivista italiana di medicina le-gale, IV, 1980.

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La somministrazione di farmaci analgesico-oppiacei senza prescrizione medica: gli “ospedali senza dolore”Come è noto nel nostro Paese la lotta al dolore non è particolarmente avanzata.

Si sono tentati passi in avanti cercando di scardinare usi, culture, consuetudini, difficoltà bu-rocratiche per combattere il dolore in modo organizzato all’interno delle strutture e a domiciliodel paziente.

Per quanto riguarda le strutture è intervenuto un provvedimento della Conferenza Stato-Re-gioni.109 In premessa si specifica che:

Il medico ancora oggi è portato a considerare il dolore un fatto secondario rispetto alla patologia di base cuirivolge la maggior parte dell’attenzione e questo atteggiamento può estendersi anche ad altre figure coin-volte nel processo assistenziale.

Si indica a questo punto un percorso con una fase preliminare, una fase formativa e una ap-plicativa. L’obiettivo – ambizioso per lo stato attuale della situazione italiana – è quello di arri-vare a costituire, anche attraverso gruppi di studio e comitati, un percorso che faciliti il tratta-mento del dolore.

È interessante vedere come alcune regioni hanno applicato queste linee guida nel momentoin cui viene rilevato il dolore.

Il dolore appartiene tradizionalmente, all’interno della semeiotica medica tradizionale, al no-vero dei sintomi. Il sintomo per sua natura è riferito dal paziente e non rilevabile oggettivamente.Negli ultimi anni il mondo professionale e scientifico ha elaborato metodologie di rilevazione deldolore che, di fatto, oggettivizzano il dolore e lo rendono molto simile ai segni clinici più che aisintomi.

Il Provvedimento della Conferenza Stato-Regioni precisa che:

1. è auspicabile che nella cartella clinica del paziente siano riportate le caratteristiche del do-lore e la sua evoluzione durante il ricovero;

2. la rilevazione costante del dolore deve essere inserita fra le competenze dell'infermiere, ilquale dovrà ricevere la formazione opportuna per svolgere tale compito.

Ruolo fondamentale viene assunto dai protocolli secondo i quali – per le indicazioni ministe-riali – nella valutazione del dolore si deve tenere presente un indice di intensità oltre al quale ènecessario un intervento urgente.

Alcune regioni si sono spinte oltre stabilendo che i protocolli di trattamento farmacologici enon farmacologici devono prevedere un livello di intensità del dolore “al di sopra del quale l'in-tervento antalgico sia automaticamente eseguito”.110

Si realizza in questi casi una somministrazione senza una vera e propria prescrizione, o quantomeno, un protocollo che vicaria una prescrizione medica di farmaci, anche oppiacei.

Deve essere affermata la legittimità di tale agire solo all’interno del progetto “Ospedale senzadolore”. Il personale infermieristico deve essere quindi stato formato alle tecniche di misurazione

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Capitolo 8 – la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative

109 Provvedimento 24 maggio 2001 “Accordo tra il Ministro della sanità, le regioni e le province autonomesul documento di linee-guida inerente il progetto «Ospedale senza dolore»”, Gazzetta Ufficiale n. 149 del 29giugno 2001. 110 Regione Toscana, Delibera n. 373 del 7 marzo 2005, Sperimentazione “Progetto accreditamento: con-trollo e cura del dolore”.

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del dolore, all’approfondimento delle conoscenze farmacologiche analgesiche e analgesico-op-piacee e deve essere stato implementato il sistema di rilevazione periodica del dolore.

Sono quindi stati stabiliti dei protocolli che sostituiscono la prescrizione del medico, vinco-lati alla rilevazione del dolore con le scale adottate dal mondo professionale; superati determi-nati livelli di intensità, l’infermiere esegue automaticamente l’intervento antalgico che spessoconsiste nella somministrazione di farmaci analgesico-oppiacei.

In questo contesto – formazione, protocolli, condivisione multidisciplinare – non si rilevanoproblematiche giuridiche di legittimità, presenti, invece, al di fuori di questo contesto.

Peraltro la recente legge 15 marzo 2010, n. 38 “Disposizioni per garantire l’accesso alle curepalliative e alla terapia del dolore” estende il progetto Ospedale senza dolore alle realtà domiciliari.L’attuale progetto, quindi, ha assunto la denominazione Ospedale-Territorio senza dolore.

Il ruolo dei protocolli può essere il vero discrimine – e non solo da un punto di vista organiz-zativo – per legittimare attività un tempo vietate all’infermiere e oggi potenzialmente permessein relazione alla loro natura.

L’autosomministrazione di farmaci da parte del pazienteIl fenomeno della cosiddetta automedicazione è in costante aumento. La materia è stata regola-mentata dal Ministero della sanità.111

I medicinali di automedicazione:

– sono destinati al trattamento (prevalentemente di tipo sintomatico) dei disturbi lievi e transi-tori facilmente riconoscibili e risolvibili senza ricorrere all’aiuto del medico mentre, solo incasi eccezionali, i medicinali di automedicazione sono utilizzati per la prevenzione;

– le indicazioni terapeutiche devono essere compatibili con la possibilità di utilizzare il medi-cinale di automedicazione senza intervento di un medico per la diagnosi, la prescrizione o lasorveglianza nel corso del trattamento.

I medicinali di automedicazione, quindi, sono tutti quelli che non necessitano di prescrizionemedica, in quanto sono destinati a curare disturbi “facilmente riconoscibili e risolvibili senza ri-correre all’aiuto di un medico”.

Tra le vie di somministrazione “è esclusa la via di somministrazione parenterale e tutte quelleche richiedono l’intervento di un sanitario”.

Le indicazioni all’automedicazione trovano la loro maggiore utilizzazione all’interno dell’as-sistenza domiciliare, delle RSA e in generale in tutte quelle strutture non ospedalizzate. Peraltrola pratica dell’autosomministrazione risulta spesso all’interno di un più vasto piano di cura. Que-sto non significa che l’infermiere in queste strutture può completamente delegare l’atto al pa-ziente; significa invece che è suo compito assistere il paziente nell’atto,112 mantenendo il con-trollo e la responsabilità sull’atto stesso, che rimane un atto squisitamente professionale.

La responsabilità per la somministrazione delle infusioni per nutrizione parenterale totale (TPN)In seguito a eventi mortali verificatisi durante la somministrazione delle infusioni per nutrizioneparenterale totale, l’autorevole organo di controllo statunitense, la Food and Drugs Admini-

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la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative – Capitolo 8

111 Circolare del Ministero della sanità, 16 ottobre 1997, n. 13 “Medicinali di automedicazione: definizione,classificazione e modello di foglio illustrativo”, Gazzetta Ufficiale del 18 novembre 1997.112 Dimond B., Legal aspects of nursing, Prentice Hall, London, 1995, p. 424.

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stration, ha emanato un safety alert – un allarme di sicurezza – relativo alle modalità e ai con-trolli da effettuare durante la somministrazione.

Il Ministero della sanità ha emanato in data 28 luglio 1994 una circolare prot.n.800.3/AG.27/33718 che, data l’estrema importanza, riportiamo per esteso.

Ministero della sanitàDirezione generale del Servizio farmaceutico - Divisione III Farmacovigilanza

Oggetto: Nutrizione parenterale totale (TPN)

È pervenuta a questa Direzione Generale dalla Food and Drugs Administration (FDA) un Safety Alert concer-nente “pericolo di precipitati associato alla Nutrizione Parenterale” e contenente informazioni sull’uso dellemiscele per la nutrizione parenterale totale (TPN).È noto che le soluzioni per TPN vengono mescolate prima dell’infusione, anche se alcune schede tecniche dispecialità medicinali utilizzate per le TPN prevedono particolari modalità di somministrazione.Si collega alla presente la traduzione del comunicato pervenuto dalla FDA con preghiera di diffusione pressogli operatori del settore, ai quali va raccomandata la più stretta sorveglianza nella preparazione e nell’impiegodi tali preparati, anche se previamente testati e validati dal produttore o dal reparto a questo scopo deputato.

Il Direttore Generale

Documento della Food and Drugs Administration sulla TPNLa Food and Drugs Administration (FDA) ha predisposto un documento per richiamare l’atten-zione circa la formazione di precipitati nelle miscele per nutrizione parenterale totale (TPN), chepossono mettere in pericolo la vita dei pazienti.

La FDA ha ricevuto una segnalazione di due decessi e di almeno due casi di sindrome da di-stress respiratorio verificatisi durante l’infusione periferica di una miscela TPN a tre componenti(aminoacidi, carboidrati e lipidi). La miscela conteneva il 10% di Freamine III, destrosio, calciogluconato, potassio fosfato, altri minerali e un’emulsione lipidica che venivano combinati usandoun miscelatore automatico. È possibile che la soluzione contenesse un precipitato di calcio fo-sfato. Le autopsie hanno evidenziato emboli polmonari microvascolari diffusi, contenenti calciofosfato. In letteratura viene riportato un caso di polmonite interstiziale acuta nell’adulto asso-ciata con precipitati di calcio fosfato.

Le soluzioni TPN vengono ottenute secondo una varietà di formulazioni e di protocolli di mi-scelazione. Pertanto c’è la possibilità che si formino precipitati di calcio fosfato o altre imcom-patibilità chimiche precipitanti a causa di numerosi fattori quali: concentrazione, pH e contenutoin fosfato delle soluzioni di aminoacidi additivi contenenti fosforo e calcio; l’ordine di miscela-zione; il procedimento di miscelazione o il miscelatore. La presenza di un’emulsione lipidica nellamiscela TPN maschererebbe la presenza di qualunque precipitato.

A causa delle possibili conseguenze letali, devono essere prese precauzioni per assicurareche non si formino precipitati in nessuna miscela per nutrizione parenterale.

C’è l’esigenza terapeutica di usare la nutrizione parenterale in alcuni pazienti. In attesa di po-ter sviluppare e convalidare i dati per sostenere raccomandazioni specifiche per le preparazioniTPN, la FDA suggerisce i seguenti punti per diminuire il rischio di ulteriori danni:

1. Le quantità di fosforo e di calcio aggiunte alle miscele sono critiche. La solubilità del calcioaggiunto deve essere calcolata in base al volume nel momento in cui il calcio viene aggiunto.Non deve essere basata sul volume finale.

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la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative – Capitolo 8

Alcune preparazioni iniettabili di aminoacidi per miscele TPN contengono ioni fosfato (cometamponi di acido fosforico). Tali ioni fosfato e il volume, nel momento in cui il fosfato vieneaggiunto, devono essere considerati quando si calcola la concentrazione degli additivi con-tenenti fosfato. Inoltre, quando si aggiungono calcio e fosfato a una miscela, il fosfato do-vrebbe essere aggiunto per primo. La via deve essere lavata tra l’addizione di ciascun com-ponente potenzialmente incompatibile.

2. Un’emulsione lipidica in una miscela a tre componenti maschera la presenza di un precipi-tato. Perciò, se è necessaria la presenza di un’emulsione lipidica: 1) usare una miscela due-in-uno con il lipide infuso separatamente, 2) se è necessaria terapeuticamente una miscelatre-in-uno, allora aggiungere il calcio prima dell’emulsione lipidica e secondo le raccoman-dazioni date al punto 1).Se la quantità di calcio o fosfato che deve essere addizionata è probabile che causi un preci-pitato, in parte o tutto il calcio deve essere somministrato separatamente. Tali infusioni se-parate devono essere propriamente diluite e infuse lentamente per evitare gravi eventi av-versi correlati al calcio.

3. Quando viene usato un dispositivo automatico di miscelazione, i punti sovraesposti devonoessere tenuti presenti nel momento in cui il dispositivo viene programmato. Inoltre, perquanto riguarda i miscelatori automatici, bisogna seguire le istruzioni del produttore sia perla manutenzione che per l’uso. Ciascuna risposta stampata deve essere controllata rispettoalla miscela che è stata programmata, compreso il peso dei componenti.

4. Durante il processo di miscelamento, i farmacisti che miscelano i componenti per la nutri-zione parenterale devono periodicamente agitare la miscela e controllare che non si verifichila formazione di precipitati. Personale medico o addetto alle cure domiciliari che inizia e con-trolla tali infusioni, deve ispezionare attentamente la presenza di precipitati sia prima che du-rante l’infusione. Pazienti e personale addetto alle cure devono essere istruiti a ispezionarevisivamente per riconoscere i segni di precipitazione. Essi devono anche essere avvertiti diarrestare l’infusione e di cercare assistenza medica se vengono notati precipitati.

5. Deve essere usato un filtro quando si infondono miscele per nutrizione parenterale centraleo periferica. Fino a oggi, non sono stati presentati dati che documentino quale dimensionedel filtro sia più efficace nel bloccare i precipitati. I tipi usati nella pratica variano, ma ven-gono suggeriti i seguenti: un filtro da 1,2 micron che elimina aria per miscele contenenti li-pidi, e un filtro da 0,22 micron che elimina aria per miscele non contenenti lipidi.

6. Le miscele per la nutrizione parenterale devono essere somministrate secondo le seguenticondizioni: se conservate a temperatura ambiente, l’infusione deve essere iniziata entro 24ore dal miscelamento; se conservate in frigorifero, l’infusione deve essere iniziata entro 24ore dal riscaldamento. Poiché il riscaldamento delle miscele per la nutrizione parenterale puòcontribuire alla formazione di precipitati, una volta iniziata la somministrazione, si deve farein modo di evitare l’eccessivo riscaldamento della miscela.Il personale addetto alle cure domiciliari che somministra miscele per la nutrizione paren-terale, può trovarsi nelle condizioni di non poter rispettare tali tempi. I farmacisti che pre-parano tali miscele, devono controllare un campione di riserva per la formazione di preci-pitati durante e nelle condizioni di conservazione.

7. Se si manifestano sintomi di distress respiratorio acuto, emboli polmonari o polmonite in-terstiziale, l’infusione deve essere arrestata immediatamente e attentamente controllata. De-vono essere fatti interventi medici appropriati. Il personale addetto alle cure domiciliari e ipazienti devono immediatamente cercare assistenza medica.

8. Queste raccomandazioni rappresentano il miglior consiglio che la FDA può fornire. La FDAriconosce che ci possono essere misure di sicurezza alternative che possono essere prese

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Capitolo 8 – la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative

per prevenire l’infusione di precipitati in miscele per la TPN. La FDA ha richiesto all’indu-stria di sviluppare e fornire dati che saranno utilizzati per rivedere le istruzioni per l’uso de-gli stampati al fine di chiarire tali problemi.

Commento al documento della FDAIn seguito alla circolare del Ministero della sanità – Direzione generale del Servizio farmaceu-tico – Divisione III – Farmacovigilanza, si attribuisce in modo chiaro e univoco la competenzaal processo di confezionamento delle sacche per la TPN ai farmacisti. D’altra parte la circolarerecepisce le raccomandazioni della FDA che, in seguito a morti dovute alla presenza di preci-pitati all’interno delle miscele per TPN, detta una serie di raccomandazioni e regole a cui il per-sonale, nei vari ambiti di competenza, deve attenersi. A conferma di quanto detto, la stessa circolare prevede, nel caso di somministrazione da ef-fettuarsi a domicilio, che gli stessi farmacisti che preparano le miscele devono conservare afini di controllo un campione della miscela preparata, fino a che questa non sia stata sommi-nistrata.

Alcune regole però riguardano direttamente il personale infermieristico. Si possono sinte-ticamente elencare:

1. prima di procedere alla somministrazione l’infermiere deve controllare attentamente l’even-tuale presenza di precipitati. I controlli devono essere ripetuti durante l’infusione;

2. l’infermiere deve utilizzare un filtro per bloccare i precipitati;3. la sacca di somministrazione ha un preciso tempo di conservazione dal momento in cui ar-

riva in reparto. Deve essere somministrata entro 24 ore se conservata a temperatura am-biente; deve invece essere somministrata entro 24 ore dal riscaldamento se conservata infrigorifero.

Il non rispetto di tali regole precauzionali espone l’infermiere a responsabilità colposa perinosservanza di regolamenti (colpa specifica), con conseguenze assai gravi. Infatti se si veri-ficano i fatti riferiti dalla FDA, l’imputazione non può che essere di omicidio colposo ai sensidell’art. 589 c.p.

Per quanto riguarda l’uso del filtro, esso è obbligatorio. L’obbligatorietà deve essere intesanel senso che essa è condizione senza la quale non è possibile procedere alla somministra-zione. L’infermiere non può procedere alla somministrazione senza la presenza del filtro, nean-che dietro ordine del medico.

Trova infatti applicazione in questo caso l’art. 17 terzo comma del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 che specifica che “l’impiegato non deve comunque eseguire l’ordine del superiore quandol’atto sia vietato dalla legge penale”.

In questo caso infatti l’omissione di una regola precauzionale di condotta può causare ad-dirittura la morte del paziente e si stabilisce, di conseguenza, quel rapporto di causalità previ-sto dall’art. 40 c.p. secondo cui sussiste tale rapporto quando un evento dannoso o pericolosoè conseguenza dell’azione o dell’omissione di un determinato soggetto.

LA SOMMINISTRAZIONE DI SANGUE, EMOCOMPONENTI E PLASMADERIVATI

La disciplina della raccolta di sangue e della sua regolamentazione è contenuta all'interno delD.Lgs. 19 agosto 2005, n. 191 “Attuazione della direttiva 2002/98/CE”, che stabilisce norme diqualità e di sicurezza per la raccolta, il controllo, la lavorazione, la conservazione e la distri-

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buzione del sangue umano e dei suoi componenti e che ha abrogato la legge 4 marzo 1990, n.107 “Disciplina per le attività trasfusionali relative al sangue umano e ai suoi componenti e perla produzione di plasmaderivati” e i decreti 3 marzo 2005 “Protocolli per l’accertamento dell'i-doneità del donatore di sangue e di emocomponenti” e “Caratteristiche e modalità per la do-nazione del sangue e di emocomponenti”, seppure in via di superamento con la recente legge.

Tutte le norme citate non entrano più nello specifico dell'esercizio professionale come lanormativa previgente aveva avuto modo di fare, essendo quest’ultimo regolamentato dalleleggi di riforma dell’esercizio professionale 26 febbraio 1999, n. 42 e 10 agosto 2000, n. 251.

Sempre preliminarmente al tutto, occorre ricordare che cosa s’intende per emotrasfusione.Per la normativa vigente la trasfusione si realizza quando viene somministrato al paziente“sangue intero” ed emocomponenti (prodotti ricavati da frazionamento del sangue con mezzifisici semplici o con aferesi).

Non si realizza invece una trasfusione in caso di somministrazione di “farmaci plasmade-rivati” (i cosiddetti “prodotti del sangue”), che sono quei farmaci estratti dal plasma medianteun processo di lavorazione industriale.

L’evento trasfusionale vero e proprio si realizza con quegli emocomponenti che necessi-tano di prove di compatibilità, escludendo quindi la pura somministrazione di plasma. La di-stinzione è importante in quanto nella trasfusione i rischi riconoscono due ordini di motivi: in-fettivo e trasfusionale. Nella somministrazione di plasma e plasmaderivati sussistono soltantorischi infettivi. I plasmaderivati o prodotti del sangue sono da considerarsi veri e propri farmacicon la normativa a essi assimilabile.

Esecuzione dell'emotrasfusioneL’esecuzione della trasfusione è stata a lungo considerata tradizionalmente di stretta perti-nenza medica. La ragione risale alla precedente normativa datata primi anni Settanta. Il D.P.R.24 agosto 1971, n. 1256 “Regolamento per l’esecuzione della legge 14 luglio 1967, n. 592, con-cernente la raccolta, conservazione e distribuzione del sangue umano”, all’art. 91 recitava te-stualmente: “la trasfusione del sangue e degli emoderivati deve essere eseguita sotto costantecontrollo del medico. Il contenitore di sangue inviato dal centro deve essere trasfuso soltantoa un malato in un’unica trasfusione. Sulla cartella clinica devono essere registrati gli estremidel contenitore, la data, l’ora di inizio e della fine della trasfusione”.

La legge 107/1990 nulla innovava in proposito, occupandosi prevalentemente di raccoltadi sangue e di emoderivati. Inoltre, era in vigore il regime mansionariale sancito con il D.P.R.14 marzo 1974, n. 225, che, da strumento rigido, escludeva ogni attività ivi non consentita, fa-cendola naturalmente rientrare nell’alveo della professione medica.

Questa interpretazione veniva anche confermata dalla giurisprudenza. Di seguito, due casi.

Quando, come nel caso di interventi operatori, il lavoro si svolga in équipe, ciascun componente è te-nuto a eseguire con il massimo scrupolo le funzioni proprie della specializzazione di appartenenza. Ilmedico anestesista è tenuto ad adempiere una serie di mansioni che rientrano nel suo preciso ambitodi competenza, tra le quali la trasfusione di sangue al paziente. Pertanto, quando l'anestesista si av-valga di un collaboratore in funzione di ausiliario, sicché sia costui che materialmente effettua la so-stituzione di un precedente flacone esauritosi con altro pieno di sangue nuovo da trasfondere, sussi-ste per l'anestesista l’obbligo di assicurarsi, prima che l’operazione trasfusionale riprenda con l'im-missione di ulteriore liquido ematico, che il tipo di sangue sia esattamente quello che è destinato alpaziente (Fattispecie in tema di omicidio colposo).

Cassazione penale, IV sez., sentenza del 15 luglio 1991, n. 7601

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Capitolo 8 – la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative

L’esecuzione dell’emotrasfusione, come del resto quella di tutti gli atti medici, non è delegabile all’in-fermiere, quanto meno in tutte le fasi di preparazione e di esecuzione, ivi compreso il controllo sulla cor-rispondenza tra il sangue da trasfondere e il paziente.

Cassazione penale, IV sez., sentenza n. 171/1982

Questa breve casistica è però basata sulla normativa previgente all’attuale. La legge 26 feb-braio 1999, n. 42 “Disposizioni in materia di professioni sanitarie” ha profondamente rivisto icriteri per l'esercizio professionale dell’infermiere, sostituendo l’elencazione mansionariale con-tenuta all'interno del D.P.R. 14 marzo 1974, n. 225 con i criteri guida del profilo professionale,della formazione ricevuta e del codice deontologico, con il solo vero limite delle competenzepreviste per la professione medica. Il limite della professione medica si connota per il suo es-sere un limite decisamente professionale e non certo normativo, stante la mancanza generaledi norme che regolano l'esercizio della professione medica. Soltanto laddove si ritiene che deb-bano necessariamente essere presenti la competenza, la capacità e l’abilità di un medico, l’am-bito è da considerarsi da “atto medico”. Altrimenti le competenze sono da considerarsi appar-tenenti anche ad altri professionisti sanitari diversi dai medici. Non vi sono dubbi che la trasfu-sione di sangue nel suo insieme sia da considerarsi certamente atto medico, con particolare ri-ferimento alla decisione della trasfusione che trova il suo momento formale nell’atto prescrit-tivo. Diverso è invece considerare tutti i passaggi della trasfusione di sangue “atto medico”.

Nel 1993, la Commissione nazionale per le trasfusioni ha stilato quelle che in dottrina sonostate efficacemente definite guidelines protocollari, tese a regolamentare tutti i momenti dell’attotrasfusionale. In quel documento si definiva la trasfusione di sangue “un atto medico” che do-veva essere “prescritto ed effettuato dal medico”. Inoltre, si precisava che competeva al medicola “trasfusione di sangue” (valutazione di efficacia e sorveglianza). Ora, a parte il tenore lette-rale della norma che non risulta di per sé chiarissima (forse era più corretto parlare di esecu-zione della trasfusione, posto che per “trasfusione” s'intende tutto il procedimento), si è da sem-pre posto il problema della mancanza di cogenza di tale documento, dal momento che non èmai stato fatto proprio dal Ministero con una circolare, un decreto o altro atto normativo rego-lamentare e la cui interpretazione ha sempre diviso la dottrina sia giuridica sia medico-legale.Comunque le si voglia considerare, le linee guida erano strettamente legate all’esistenza dellanormativa mansionariale. Normativa che oggi è venuta meno.

In relazione, quindi, ai nuovi criteri per l’esercizio professionale determinati dalla legge42/1999 è pressoché impossibile oggi presentare l'esecuzione dell’emotrasfusione come un attomedico.

Questa nuova interpretazione dell’esecuzione si è resa indispensabile anche dall’emana-zione di nuove norme regolamentari contenute nei decreti ministeriali del 25 e del 26 gennaio2001 che superavano il documento orientativo della commissione nazionale delle trasfusionidel 1993. Nel decreto del 25 gennaio 2001 in tema di identificazione del ricevente non si fa al-cun cenno al documento della commissione, ma si ha cura di prescrivere che “presso ogni strut-tura trasfusionale deve essere adottato, per ciascuna unità di sangue e/o di emocomponenti di-stribuita, un sistema sicuro di riconoscimento del ricevente a cui la stessa unità è stata asse-gnata, con l'indicazione se siano state eseguite le prove di compatibilità. Ogni unità di sanguee/o di emocomponenti, all’atto della distribuzione, deve essere accompagnata dal modulo ditrasfusione recante i dati del ricevente, la cui identità deve essere verificata immediatamenteprima della trasfusione”. La normativa del 2001 è stata superata dai decreti del marzo del 2005,che confermano testualmente quanto già indicato quattro anni prima (art. 12).

Non quindi un protocollo nazionale, ma un sistema certo, coerente in ogni unità operativaafferente alle strutture trasfusionali di riferimento.

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L’esecuzione della trasfusione è un atto sanitario che indifferentemente può essere postoin essere dal medico o dall’infermiere in relazione alle esigenze organizzative, assistenziali ecliniche.

Questa interpretazione è avvalorata anche dalle recenti prese di posizione ministeriali cheprevedono la metodologia del doppio controllo da effettuarsi nei reparti, in terapia intensiva e insala operatoria. Recita testualmente la raccomandazione ministeriale: “Per evitare che il sanguesia trasfuso alla persona sbagliata o che sia trasfuso sangue non compatibile con quello del pa-ziente da trasfondere verificare sempre, da parte di due operatori, che […]”.113

Rispetto alle linee guida degli anni Novanta non è più previsto il doppio controllo tra un me-dico e un infermiere ma solo tra “due operatori” che ovviamente possono ben essere un medicoe un infermiere, ma anche due medici o due infermieri. Non vi sono quindi condizioni ostativeper l’esecuzione in autonomia da parte dell’infermiere della somministrazione di sangue.

Sono pertanto le condizioni del paziente e l'organizzazione a determinare la presenza delprofessionista più idoneo all'esecuzione della trasfusione.

È un atto che può essere compiuto all'interno delle organizzazioni ospedaliere, delle strut-ture sanitarie e sociosanitarie e a domicilio del paziente.

Informazione al paziente e acquisizione del consensoIl D.M. 1 settembre 1995 “Costituzione dei comitati per il buon uso del sangue” ha regolamen-tato la problematica dell’informazione dell’acquisizione del consenso, sia pure con alcune di-vergenze con l’inquadramento usuale della tematica del cosiddetto consenso informato.

In primo luogo si stabilisce che “deve essere comunicata ai pazienti la possibilità di effettuare,quando indicata, l’autotrasfusione e deve essere richiesto il consenso informato alla trasfusionedi sangue ed emocomponenti e alla somministrazione di emoderivati”. Non vi sono dubbi chequesta sia una tipica attività medica, ancorché non specificamente indicata dal decreto. Il con-senso deve essere espresso mediante sottoscrizione di un’apposita dichiarazione conforme al te-sto allegato al decreto che distingue il consenso alla trasfusione di sangue e degli emocompo-nenti dalla somministrazione di emoderivati. Nel primo si avverte il paziente del rischio trasfu-sionale e del rischio infettivo, nel secondo solo del rischio infettivo. Riportiamo i due schemi diconsenso informato allegato al D.M. del 1° settembre 1995.

In caso di pazienti minori “il consenso deve essere richiesto da entrambi i genitori o dall’even-tuale tutore. In caso di disaccordo tra i genitori, il consenso va richiesto al giudice tutelare”. Incaso di pericolo di vita il “medico può procedere a trasfusione di sangue anche senza consensodel paziente. Devono essere indicate nella cartella clinica, in modo particolareggiato, le condi-zioni che determinano tale stato di necessità”.

In questo caso il decreto ministeriale ha recepito la teoria dottrinaria del “consenso presuntoo presumibile”. Il medico cioè agisce secondo l’id quod plerumque accidit, cioè agisce in modo daconsiderare sussistente la volontà del paziente in quanto basata sull’istinto di “autoconserva-zione e della volontà di vivere del soggetto e che quindi egli avrebbe prestato, se avesse potuto,il proprio consenso alla terapia”.114

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la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative – Capitolo 8

113 Ministero della salute, Dipartimento della qualità – direzione generale della programmazione sanitaria,dei livelli di assistenza e dei principi etici di sistema, Ufficio III, “Raccomandazione per la prevenzione dellareazione trasfusionale di incompatibilità AB0”, Raccomandazione n. 5, marzo 2007.114 Commissione regionale di bioetica della regione Toscana: “Il consenso informato nei trattamenti sani-tari”. Sul punto vedi anche: Battaglino F., Ravioli A., Consenso informato nell’attività medico terapeutica, Fe-derazione Medica, 10, 356, 1993.

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Sul punto però il tenore letterale del decreto non solo non è chiaro, ma può indurre in errore.La teoria del consenso presunto o presumibile è oggi unanimemente accettata sia dalla dottrinagiuridica che dalla giurisprudenza. Il terzo comma dell’art. 4 del decreto in questione però nonspecifica che il medico può procedere a trasfusione di sangue quando vi sia un pericolo immi-nente di vita e il paziente non può prestare il proprio consenso, ma si limita a dire soltanto “quandovi sia un pericolo imminente di vita”, lasciando, probabilmente inconsapevolmente intendere cheil paziente potrebbe essere cosciente.

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Capitolo 8 – la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative

Allegato 1

Consenso informato alla trasfusione

Io sottoscritto/a ................................................. nato/a a ................................................. il........../........../..........sono stato informato dal dott. ......... che per le mie condizioni cliniche potrebbe essere necessario ricevere tra-sfusione di sangue omologo/emocomponenti (*), che tale pratica terapeutica non è completamente esente darischi (inclusa la trasmissione di virus dell’immunodeficenza, dell’epatite ecc.). Ho ben compreso quanto mi èstato spiegato dal dott. ................................................. sia in ordine alle mie condizioni cliniche, sia ai rischiconnessi alla trasfusione come a quelli che potrebbero derivarmi se non mi sottoponessi alla trasfusione. Quindiacconsento/non acconsento (*) a essere sottoposto presso codesta struttura al trattamento trasfusionale neces-sario per tutto il decorso della mia malattia.

Data ................................

Firma ...................................................

(*) Cancellare quanto non interessa.

Allegato 2

Consenso informato al trattamento con emoderivati

Io sottoscritto/a................................................... nato/a a ............................................... il........../........../..........sono stato informato dal dott. .................................................. che per le mie condizioni cliniche devo essere sot-toposto a un trattamento terapeutico con emoderivati, che tale pratica terapeutica non è completamente esenteda rischi (inclusa la trasmissione di virus dell’immunodeficenza, dell’epatite ecc.). Ho ben compreso quanto miè stato spiegato dal dott. .................................................. in ordine alle mie condizioni cliniche, ai rischi con-nessi alla terapia e a quelli che potrebbero derivare non sottoponendomi al trattamento. Quindi acconsento/nonacconsento (*) a essere sottoposto al trattamento terapeutico necessario per tutto il decorso della mia malattia.

Data ................................

Firma ...................................................

(*) Cancellare quanto non interessa.

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È un’interpretazione che deve essere respinta con forza in quanto contrasta con il principiopersonalistico oggi prevalente che attribuisce al paziente, e solo a lui, la decisione sul tratta-mento.115 Nei casi che comportano trattamenti trasfusionali ripetuti “il consenso si presume for-mulato per tutta la durata della terapia salvo esplicita revoca da parte del paziente”.

Al di là delle considerazioni che si possono fare sul consenso e sulle modalità del consensoscritto, il testo di dichiarazione del consenso allegato al decreto ministeriale, è senza dubbio unmodulo reale di consenso informato. Il sottoscrittore è reso edotto dei rischi infettivi e trasfusio-nali che tale pratica comporta, e dai rischi derivanti dalla mancata trasfusione. In linea con que-sto, ovviamente, il consenso all’atto trasfusionale deve essere espresso direttamente dal paziente.

Il rifiuto del pazienteTradizionalmente il rifiuto alla trasfusione opposto dai pazienti viene espresso per motivi reli-giosi dagli appartenenti alla religione dei testimoni di Geova i quali rifiutano i trattamenti in os-sequio al precetto biblico che pone il divieto di “cibarsi di sangue”.

Come è largamente noto la nostra Carta costituzionale sancisce all’art. 32 il diritto alla salutestabilendo di fatto la volontarietà dei trattamenti sanitari limitando i trattamenti sanitari obbli-gatori a specifiche previsioni legislative. Le tipologie dei trattamenti sanitari obbligatori sono nu-merose e tra queste non rientra l’esecuzione coattiva di emotrasfusioni.116

Le prospettive e la casistica sul punto hanno portato a soluzioni che vanno dalla teorizza-zione dello stato di necessità, all’applicabilità delle situazioni di urgenza previste dal codice diprocedura civile,117 alla non accettabilità del cosiddetto “diritto a morire”.

La recente Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sottoscritta a Nizza il 7 dicembre2000 riconosce all’art. 10 il “diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione” con il dirittodi manifestare la “propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pub-blico o in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti”, laddoveper osservanza dei riti è da intendersi anche il diritto al rifiuto delle cure.

Non sempre il principio costituzionale è stato salvato e non sempre si è giunti a situazioni giu-ridicamente accettabili per rispettare la volontà pur discutibile del paziente che rifiuta il tratta-mento e si riscontrano importanti contributi sia dottrinari che giurisprudenziali ai quali si rinvia.118

L’orientamento ormai prevalente riconosce ai testimoni di Geova il diritto a rifiutare, se mag-giorenni e in grado di esprimere il consenso, il trattamento, sempre in ossequio alla Carta costi-tuzionale (questa volta agli articoli sulla potestà genitoriale).

115 Fanetti G., Fineschi V., Raccolta, impiego, trasfusione del sangue umano, in Guida all’esercizio professio-nale per i medici chirurghi e gli odontoiatri, FNOMCeO (a cura di), Edizioni Medico Scientifiche, Torino, 2000,p. 118; Fineschi V., La raccolta e l’impiego del sangue umano per uso trasfusionale, in Barni M., SantosuossoA., Medicina e diritto, Giuffrè, Milano, 1995.116 Si vedano le monografie di Valentini D., I trattamenti e gli accertamenti sanitari obbligatori in Italia, Piccin,Padova, 1996 e Pelagatti G., I trattamenti sanitari obbligatori, Cisu, Roma, 1995.117 Pretura di Modica, sentenza del 13 agosto 1990, Foro Italiano, I, 271. 118 Mantovani F., La responsabilità del medico, Rivista italiana di medicina legale, 16, 1980; Dogliotti M., La li-bertà religiosa dei testimoni di Geova e i principi costituzionali, Giurisprudenza di merito, 1993, I, p. 1323;Santacroce G., Trasfusioni di sangue, somministrazione di emoderivati e consenso informato del paziente,Giustizia penale, II, 1997, pp. 112 e ss.; Comoglio L.P., Consenso informato e profili di responsabilità nelle do-nazioni di sangue, Foro Italiano, V, 1992, pp. 363 ss.; Dell’Osso G., Il rifiuto della trasfusione di sangue daparte dei testimoni di Geova: aspetti deontologici e medico-legali, Zacchia, 15, 1979, p. 237.

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Sullo stesso tono si sono ormai posti da anni i codici deontologici delle professioni sanitarie,con particolare riferimento alla professione medica e alla professione infermieristica. L’art. 32del codice di deontologia medica, ultimo, stabilisce che “in ogni caso, in presenza di documen-tato rifiuto di persona capace di intendere e volere, il medico deve desistere dai conseguenti attidiagnostici e/o curativi, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontàdella persona”.

A conclusione di queste brevi note sul rifiuto alle cure è utile ricordare una recente sentenzadel Pretore di Roma che ha riconosciuto il dovere di non intervenire con una trasfusione coattivadi sangue per due medici che avevano rispettato la volontà del paziente assolvendoli dall’accusadi omicidio colposo.119

La responsabilità dello studente in infermieristica durante il tirocinioOltre all’art. 2048 c.c. che vedremo nel capitolo 17120 e nonostante qualche contraria errata opi-nione,121 l’allievo è responsabile degli atti che compie, quantomeno in relazione alle manovre ealle tecniche che adotta in base alla sua preparazione (relativa) scolastica.

Affermare un’irresponsabilità totale dell’allievo è un’operazione pericolosa, non vera e chesi scontra con la giurisprudenza.

A questo proposito riteniamo utile riportare una sentenza del Tribunale di Firenze relativa auna questione di corresponsabilità infermiere-allievo. La sentenza in questione non costituisceovviamente un principio generale applicabile a tutte le controversie, ma può costituire ugual-mente un principio orientativo che può servire per accertare la responsabilità in casi analoghi.

CasisticaUn’allieva infermiera e un’infermiera diplomata sono state condannate per omicidio colposo in quanto en-trambe hanno cagionato la morte di due neonati ricoverati presso un ospedale pediatrico.La morte dei due neonati è stata cagionata come conseguenza dell’errata preparazione delle fleboclisida somministrare, con due flaconi contenenti oltre alla soluzione di base, due milliequivalenti di K-Flebo (cloruro di potassio). L’errore è consistito nella preparazione da parte dell’allieva infermiera cheha immesso nella soluzione invece dei due milliequivalenti prescritti ben venti. L’infermiera non avevacontrollato l’operato dell’allieva, ma si era limitata a dare delle istruzioni.Il Tribunale nel riconoscere la responsabilità di entrambe per imperizia e negligenza ha affermato nellamotivazione che per quanto riguarda la responsabilità dell’infermiera “avrebbe dovuto controllare piùda vicino l’allieva […] un composto così micidiale come il cloruro di potassio avrebbe dovuto esserecontrollato dall’infermiera e non lasciare che l’allieva si arrangiasse da sola […] l’avere lasciato l’al-lieva sola in un compito delicato è la colpa principale dell’infermiera”.Per quanto riguarda l’allieva infermiera “ella pure versa in colpa, seppure di grado inferiore” in quantoavrebbe dovuto fare controllare all’infermiera “se tutto era stato eseguito a regola d’arte”.

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Capitolo 8 – la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative

119 Pretura di Roma, sentenza del 3 aprile 1997, Giustizia penale, II, 1998, p. 659.120 Art. 2048 c.c. [omissis] “I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte sono responsabili deldanno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza.Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non averpotuto impedire il fatto”.121 Carruba S., La legislazione infermieristica nazionale e comunitaria europea nel contesto della legislazione sa-nitaria italiana, Ed. Rassegna culturale, Roma, 1989, p. 378: “L’allievo come tale non è un infermiere, per cuinon ha giuridicamente veste per interventi assistenziali, né, tanto meno, per somministrazioni di farmaci.La sua presenza nell’ambiente ospedaliero ha un solo scopo, l’apprendimento, per cui eventuali prestazionida lui effettuate, ricadono nella responsabilità dell’infermiere diplomato al seguito del quale egli opera, cometirocinante”.

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Conclude il Tribunale che “entrambe vanno condannate per una colpa che appare chiarissima ma digrado diverso”.Il Tribunale ha irrogato una pena maggiore per l’infermiera “in ragione della sua esperienza (anche circagli eventuali errori dell’allieva) e dei suoi compiti di insegnante nei confronti dell’allieva” e una pena mi-nore per l’allieva in ragione della “sua inesperienza e della sua giovane età”.

Tribunale di Firenze, sentenza del 23 marzo 1981, n. 713

Un’allieva infermiera ha somministrato una fiala di Tienam scaduta di validità.Il Pretore di Ragusa prima e la Corte di appello di Catania successivamente hanno confermato la con-danna alla caposala per somministrazione di farmaci scaduti in base all’art. 443 c.p. in quanto aveva“omesso di controllare le date di scadenza dei farmaci a lei affidati e utilizzati dalle infermiere per lasomministrazione della terapia”.Ha rilevato la Suprema Corte che in qualità di caposala del reparto incombeva a lei “l’obbligo di con-trollarne la scadenza non solo al momento in cui i medicinali venivano forniti al reparto, bensì perio-dicamente e di certo al momento in cui erano somministrati ai pazienti”.

Corte di Cassazione, sentenza del 16 luglio 1997, n. 1318

La responsabilità per l’insorgenza delle infezioniIl problema della responsabilità giuridica, con particolare riferimento alla responsabilità pe-nale, necessita di una premessa di carattere generale.

Per avere l’imputazione in capo a un soggetto della responsabilità di un fatto bisogna chesi realizzino tre sostanziali condizioni: la condotta del soggetto, l’evento e il nesso di causa-lità intercorrente tra la condotta e l’evento. Non si può parlare di responsabilità, quindi, comeprecisa l’art. 40 c.p. se “l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato,non è conseguenza della sua azione od omissione”.

I comportamenti degli operatori sanitari che lavorano all’interno delle équipe assistenziali– nella specie medici e infermieri – possono essere di carattere commissivo od omissivo. Nell’ar-gomento qui trattato – le infezioni ospedaliere – possono realizzarsi sia interventi commissiviche omissivi.

Oltre alle fonti generali giuridiche di riferimento, per lo più contenute all’interno del codicepenale e del codice civile, le fonti giuridiche specifiche e deontologiche che guidano l’eserci-zio professionale dell’infermiere sono ormai generalmente note122 e sul punto è doveroso ci-tare il profilo professionale dell’infermiere, ex D.M. 14 settembre 1994, n. 739, nella parte incui, al secondo comma dell’art. 1, stabilisce che “l’assistenza infermieristica preventiva, cura-tiva, palliativa e riabilitativa è di natura tecnica, relazionale, educativa. Le principali funzionisono la prevenzione delle malattie [...]”.

Nella parte che segue, proponiamo la sistematizzazione dei comportamenti dell’infermiere e delleéquipe infermieristiche in materia di infezioni ospedaliere.

In particolare la responsabilità dell’infermiere può essere riconosciuta nelle seguenti fattispecie:1. violazione di regole precauzionali di condotta di carattere preventivo dovute al particolare ruolo

dell’infermiere inerente alla prevenzione degli eventi dannosi. Rientrano in questa categoria

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la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative – Capitolo 8

122 D.M. 14 settembre 1994, n. 739 “Regolamento concernente l'individuazione della figura e del relativo pro-filo professionale dell'infermiere”; legge 26 febbraio 1999, n. 42 “Disposizioni in materia di professioni sani-tarie”; legge 10 agosto 2000, n. 251 “Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della ria-bilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica”; Codice deontologico dell’infermiere, Fe-derazione nazionale Collegi IPASVI, 1999.

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soprattutto quei comportamenti posti in essere da quegli infermieri che si caratterizzano perla loro posizione occupata – ruolo di coordinamento di unità operative – o per il ruolo che ri-vestono all’interno delle strutture in qualità di addetti al controllo delle infezioni o come mem-bri del comitato ospedaliero (infermieri addetti alla prevenzione e al controllo delle infezioniospedaliere) o per la loro specifica destinazione lavorativa in centrali di sterilizzazione. Perquesta categoria, i comportamenti rimproverabili da un punto di vista giuridico consistono,per esempio, nel mancato controllo dell’efficienza degli impianti di sterilizzazione e di disin-fezione, quantomeno per ragioni di competenza, nella mancata predisposizione di sistemi ef-ficaci di controllo dell’avvenuta sterilizzazione, nella mancata adozione di strumenti infor-mativi da destinare agli utilizzatori delle unità operative di particolari strumenti, nella man-cata predispozione di un sistema di monitorizzazione degli eventi avversi e delle strategieatte a ridurre il fenomeno ecc. In alcuni di questi casi, l’eventuale responsabilità dell’infer-miere concorrerà con quella di altri professionisti con i quali l’infermiere interagisce. Diversaè invece la posizione dell’infermiere nel rapporto con gli operatori di supporto presenti all’in-terno delle centrali di sterilizzazione, in quanto egli risponde delle direttive date e del man-cato controllo dell’osservanza delle stesse. Gli operatori di supporto mantengono invece laresponsabilità per la corretta esecuzione delle procedure indicate dai professionisti di riferi-mento.Il D.Lgs. 24 febbraio 1997, n. 46 “Attuazione della direttiva 93/42/CEE, concernente disposi-tivi medici” specifica all’art. 3 che i dispositivi medici devono essere “utilizzati in conformitàalla loro destinazione” ponendo quindi un divieto per un uso operato in difformità.Per dovere di logicità e di completezza rientra in questa categoria anche il controllo sull’igieneambientale che l’infermiere – rectius, l’équipe infermieristica e il coordinatore – tradizional-mente compie all’interno della propria unità operativa per preciso obbligo normativo risa-lente già all’epoca mansionariale. La mancata o insufficiente attività di controllo della situa-zione igienico-ambientale è un comportamento sicuramente censurabile da un punto di vi-sta etico-deontologico, ma difficilmente può comportare responsabilità penale. Recentementeuna sentenza della giurisprudenza di merito ha precisato che “soltanto l’individuazione dellacondotta che ha provocato il contagio può consentire di individuare le responsabilità penali”.La mancata individuazione della stessa in merito a un’infezione non può essere superata“chiamando in causa la contaminazione ambientale” (Tribunale di Pesaro, aprile 2002, casoLucarelli) proprio per l’intrinseca difficoltà a individuarne il nesso di causalità;

2. violazione di regole precauzionali di condotta di carattere preparatorio indicate dai regolamenti,dai protocolli, dalle linee guida e dalla letteratura scientifica in merito alla corretta utilizza-zione del materiale e dei presidi sanitari. Rientrano nella presunta fattispecie, a livello esem-plificativo, condotte del tipo inosservanza di tempi minimi di disinfezione di strumenti chi-rurgici (laddove non sterilizzabili), di presidi, di strumenti ottici-endoscopici ecc.; inosser-vanza delle date di scadenza di sterilizzazione dei presidi industriali e dei presidi riutilizza-bili; riutilizzo del materiale dichiarato dal fabbricante come monouso; risterilizzazione di ma-teriale dichiarato non sterilizzabile ecc.;

3. violazione di regole precauzionali di condotta di carattere professionale integrate da comporta-menti posti in essere senza l’osservanza delle usuali cautele professionali che guidano l’eser-cizio professionale come, per esempio, il mancato rispetto dei principi legati all’asepsi du-rante le manovre che l’infermiere compie, sia autonomamente che in collaborazione con al-tri professionisti sanitari, consistenti in tutte quelle azioni, patrimonio cognitivo di ogni in-fermiere, tese a evitare il propagarsi delle infezioni con comportamenti inidonei quali peresempio il mancato cambio dei guanti nell’assistenza da un paziente all’altro, la contamina-zione del materiale prima dell’effettuazione della manovra invasiva ecc. Appartengono in-

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Capitolo 8 – la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative

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vece ormai nel novero della storia della responsabilità professionale pronunce come quelledella Corte di Cassazione, III sezione civile, sentenza 972/1966 in cui si discuteva del man-cato intervento del personale sanitario in tema di prevenzione di infezione dovuta alla pre-senza delle spore del tetano nel materiale di sutura chirurgico utilizzato (nella specie catgut)per il venire meno delle condizioni del materiale di utilizzo.

Il problema della responsabilità delle infezioni ospedaliere trova però un momento critico diaccertamento della responsabilità proprio nella difficoltà di provare il nesso di causalità tra lacondotta generalmente omissiva del professionista e l’evento. L’imputazione della responsabi-lità di un’infezione di una ferita chirurgica è un’operazione di difficile attribuzione: possono es-sere state le condotte, concorrenti o meno, del chirurgo, dell’équipe infermierstica di sala ope-ratoria, dell’équipe medica all’interno del reparto di degenza. Inoltre la causalità in ambiente sa-nitario può essere monofattoriale nel momento in cui si versi in presenza di un preciso agenteeziologico che causa l’evento e polifattoriale allorché l’agente eziologico si presenti come unaconcausa dell’evento stesso.123

La dottrina giuridica e medico-legale italiana non ha sostanzialmente affrontato l’argomentoinfezioni, anche se questo risulta essere uno dei problemi più seri e più evitabili, come testimo-nia la letteratura internazionale.124

IL RUOLO E LA RESPONSABILITÀ DELL’INFERMIERE NEI SERVIZI DI TOSSICODIPENDENZA

I SERTI servizi di tossicodipendenza (SERT) sono un’istituzione relativamente recente. Sono stati isti-tuiti infatti in seguito all’approvazione della legge 26 giugno 1990, n. 162 che all’art. 27 preve-deva una delega al Ministro della sanità di adottare norme regolamentari per la determinazionedell’organico e delle caratteristiche organizzative e funzionali dei servizi per le tossicodipen-denze. Le norme regolamentari sono state approvate con il decreto del Ministero della sanità 30novembre 1990, n. 444.125

I SERT vengono definiti dal sovraccitato decreto ministeriale come “le strutture di riferimentodelle UUSSLL per i tossicodipendenti e per le loro famiglie e garantiscono agli interessati la ri-servatezza degli interventi e, ove richiesto, l’anonimato”.

I principali trattamenti erogati dai SERT sono di carattere psicologico, socio-riabilitativo e me-dico-farmacologico.

Più in particolare i SERT “provvedono a:

1. attuare interventi di primo sostegno e orientamento per i tossicodipendenti e le loro famiglie;2. attuare interventi di informazione e prevenzione particolarmente nei confronti delle fasce

giovanili di popolazione;3. accertare lo stato di salute psicofisica del soggetto anche con riferimento alle condizioni sociali;

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la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative – Capitolo 8

123 Fiori A., Medicina legale della responsabilità medica, Giuffrè, Milano, 1999, p. 567.124 Vedi per esempio Dimond B., Peters Y., Risk management in nursing and midwifery, in Vincent C., Clini-cal risk management, BMJ, 1995.125 In Gazzetta Ufficiale n. 25 del 30 gennaio 1991.

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Capitolo 8 – la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative

4. certificare lo stato di tossicodipendenza ove richiesto dagli interessati o per le finalità di cuialla legge n. 162 del 1990;

5. definire i programmi terapeutici individuali compresi gli interventi socio-riabilitativi;6 . realizzare direttamente o in convenzione con le strutture di recupero sociale il programma

terapeutico e socio-riabilitativo;7. attuare gli interventi di prevenzione della diffusione delle infezioni da HIV e delle altre pa-

tologie correlate alla tossicodipendenza;8. valutare periodicamente l’andamento e i risultati del trattamento e dei programmi di inter-

vento sui singoli tossicodipendenti in riferimento agli aspetti di carattere clinico, psicolo-gico, sociale, nonché in termini di cessazione di assunzione di sostanze stupefacenti;

9. rilevare i dati statistici ed epidemiologici relativi alla propria attività e al territorio di com-petenza.”

Altri importanti compiti sono individuati nel campo della prevenzione delle infezioni da HIV:

– individuazione dei comportamenti a rischio;– informazione ed educazione sanitaria;– visite mediche e interventi diagnostici e terapeutici;– test di laboratorio per l’HIV, previo consenso, con relativo supporto psicologico;– test di gravidanza, previo consenso, e con gli adeguati interventi di consulenza.

Altri compiti possono essere attribuiti ai SERT direttamente dalle regioni.Infine i SERT vengono classificati, in base al numero di tossicodipendenti giornalmente trat-

tato, in servizi di:

– bassa utenza (fino a 60 trattamenti);– media utenza (da 60 a 100 trattamenti);– alta utenza (da 100 a 150 trattamenti).

Il relativo organico cambia in relazione alla classificazione e comunque comprende me-dici, infermieri, psicologi, assistenti sociali, educatori professionali, sociologi e altro personale.

A conclusione di questo paragrafo è utile riportare il risultato di alcune conclusioni a cuiqualche autore giunge in seguito a ricerche condotte dal Ministero dell’interno/LABOS:126

1. strategia medico-farmacologica e di controllo sociale (con magistratura-prefettura);2. strategia non specialistica a forte valenza burocratica;3. strategia della personalizzazione terapeutica (accoglienza, orientamento, formulazione di

un programma personalizzato).

Il ruolo dell’infermiere in un SERTNon è assolutamente facile delineare le competenze dell’infermiere all’interno dei servizi ditossicodipendenza, per una serie di motivi così sintetizzabili:

126 Ministero dell’interno/LABOS, Cultura degli operatori e qualità dei bisogni degli utenti nei servizi per le tos-sicodipendenze in Italia, Edizioni TER, Roma, 1987; Ministero dell’interno/LABOS, I servizi per le tossicodi-pendenze, Edizioni TER, Roma, 1989; Ministero dell’interno/LABOS, Strategie operative nei servizi per le tos-sicodipendenze, n. 18, Edizioni TER, Roma, 1993, analizzate da Carlo Vetere in Bollettino per le farmacodi-pendenze e l’alcolismo, 1, 1996, Edizioni UNICRI-Ministero della sanità.

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– l’alto tasso di interdisciplinarietà del lavoro nei SERT, che vede l’infermiere operare in uncontesto in cui agiscono numerosi operatori come medici, psicologi, educatori, assistenti so-ciali, sociologi. Di qui la difficoltà di individuare uno “specifico infermieristico”;

– i cambi frequenti di normativa che partono tutti da concezioni diametralmente opposte, qualiil proibizionismo, l’antiproibizionismo, le politiche di riduzione del danno;127

– l’essere la tossicodipendenza un problema che, a livello di massa, si pone solo da un paio didecenni.

Analizzando il profilo professionale dell’infermiere, troviamo molti spunti per la definizionedel ruolo dell’infermiere in un SERT. In particolare ci interessa la definizione di assistenza infer-mieristica che è contenuta all’interno del secondo comma dell’art. 1, laddove si specifica che l’as-sistenza infermieristica è “preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa, è di natura tecnica, rela-zionale, educativa”. Al terzo comma dell’art. 1 si specifica che l’infermiere “partecipa all’identifi-cazione dei bisogni di salute della persona e della collettività e formula i relativi obiettivi”. Il verbopartecipare indica in modo chiaro che questa è un’azione che l’infermiere fa insieme agli altri ope-ratori ed è senza dubbio il riconoscimento pieno del suo ruolo all’interno dell’équipe di un SERT.

Nell’ambito della sua azione non autonoma ma dipendente o, come suggerisce qualche au-tore “collaborativa”,128 sempre all’interno del profilo troviamo il punto 4. del terzo comma chespecifica che l’infermiere “garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-te-rapeutiche”. Quest’ultimo punto è importante per quanto riguarda le modalità di esecuzione dialcuni esami diagnostici, quali per esempio la raccolta di urine.

Il ruolo dell’infermiere nella somministrazione del metadoneUno dei momenti più impegnativi, quantomeno in termini di tempo, dell’azione infermieristicanei SERT è la somministrazione del metadone cloridrato sciroppo come farmaco sostitutivo de-gli stati di tossicodipendenza.

Vi sono in primo luogo dei problemi legati alla liceità di questa pratica in modo autonomo inseguito al referendum abrogativo del 1993.

Un punto è comunque certo: la somministrazione del metadone non è un atto la cui respon-sabilità ricade sull’infermiere come qualsiasi altro farmaco. Come abbiamo già avuto modo dispecificare, l’ambito prescrittivo è di competenza e responsabilità medica, l’ambito della som-ministrazione è di responsabilità infermieristica.129

All’interno dei trattamenti con metadone è utile distinguere due distinte situazioni:

1. trattamento di disintossicazione, che si caratterizza con la “somministrazione o la distri-buzione di metadone come sostituto dei narcotici in dosi progressivamente decrescenti sinoa raggiungere uno stato drug-free, in un periodo di tempo non superiore ai ventun giorni, alfine di rendere astinente un individuo dipendente dall’eroina o da altri narcotici”.130 Scopoquindi della detossificazione farmacologica è quello di permettere al soggetto di raggiungereun’astensione, anche temporanea, dall’uso della droga senza ulteriore sofferenza e nelle mi-gliori condizioni psicologiche. Pertanto il risultato della detossificazione, che non è fine a se

127 Per ulteriori approfondimenti vedi cap. 6.128 Calamandrei C., L’ABC delle diagnosi infermieristiche, in Benci L. Manuale giuridico professionale per l’eser-cizio del nursing, McGraw-Hill, Milano, 1996.129 Vedi per esempio la legge della Regione Toscana che specifica che la somministrazione del metadone èun atto la cui responsabilità finale è del medico.130 Fantozzi F., Metadone e guida sicura, Bollettino Farmacodipendenze e alcolismo, XVIII (4), 1995.

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stessa, ma condizione per l’avvio di altri tipi di trattamento, deve considerarsi positivo quandoil soggetto raggiunge tale astensione;

2. trattamento di mantenimento, che si caratterizza con “la sostituzione terapeutica dell’eroinacon il metadone in soggetti di comprovata dipendenza stabilizzata da eroina, per un temponon definito e non limitato, con l’obiettivo principale di rendere il paziente heroin free e, solodopo un periodo in genere protratto (mesi o anni) di cura, possibilmente integrata da idoneiinterventi psicosociali, anche drug free in senso lato”.131 Il trattamento di mantenimento servequindi a far diminuire o cessare nel paziente il cosiddetto “craving”,132 ovvero la diminuzionedella voglia di assunzione di eroina o altre droghe.

Nel primo caso le dosi di metadone da somministrare sono basse e decrescenti, nel secondocaso sono mediamente alte (80-120 mg).

Abbiamo già visto come il profilo professionale annota la sfera di dipendenza o collaborativadell’infermiere laddove precisa che l’infermiere “garantisce la corretta esecuzione delle prescri-zioni diagnostico-terapeutiche”.

In questo caso i maggiori problemi di ordine professionale, giuridico ed etico-deontologicovengono dall’analisi delle urine.

L’analisi delle urine per la ricerca di eventuali droghe assunte è considerata “parte integrantedel trattamento di mantenimento con metadone”.133

Le complicazioni nascono dalle modalità richieste per tale tipo di analisi, che generalmente nonpongono alcun tipo di problemi. Nell’ambito del trattamento delle tossicodipendenze le modalità diraccolta assumono una valenza medico-legale proprio per i riflessi che esse possono determinare.

Lo stesso Ministero sul punto ha specificato che “la raccolta dei campioni di urine va fattasenza preavviso, sulla base dell’andamento clinico individuale, in locali che siano idonei, in mododa evitare falsificazioni. Se, a tal fine, si ricorre all’osservazione diretta, va garantito il rispettodell’etica e della privacy del paziente”.

Appare quindi evidente che la modalità di raccolta delle urine preveda un certo controllo daparte del personale infermieristico. L’osservazione diretta dell’infermiere non è richiesta al tos-sicodipendente come obbligatoria, bensì come eventuale. Non si può non ravvisare una sorta diipocrisia. Non si capisce infatti con quali modalità l’infermiere potrebbe controllare le alterazionie il pericolo di sostituzione di provetta da parte del paziente stesso.

Né si prospetta facile il rispetto dell’etica e della privacy del paziente se non in termini estre-mamente relativi.

D’altra parte verrebbe sicuramente meno al suo dovere professionale e giuridico l’infermiereche non ottemperi alle modalità di raccolta delle urine indicate dal Ministero stesso. Le conse-guenze del controllo delle urine, essendo parte integrante del trattamento metadonico di man-tenimento, sono ovviamente foriere di conseguenze.

Le principali sono:

1. l’aumento della dose di metadone;2. l’intensificazione del counselling e dell’intervento psicosociale;

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Capitolo 8 – la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative

131 Fantozzi F., Metadone e guida sicura, op. cit.132 Circolare del Ministero della sanità 30 settembre 1994, n. 20 “La terapia sostitutiva, se ben condotta, rie-sce ad abolire il craving, ovvero la ricerca compulsiva dell’eroina, e a dominare lo stato di ansia del tossico-dipendente che, costantemente, vive nella tensione della ricerca della dose successiva”, Gazzetta Ufficiale del14 ottobre 1994.133 Circolare del Ministero della sanità 30 settembre 1994, n. 20, Gazzetta Ufficiale del 14 ottobre 1994.

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la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative – Capitolo 8

3. la valutazione degli aspetti di patologia psichiatrica e l’eventuale terapia;4. la sospensione del trattamento con farmaci sostitutivi, dopo diverse recidive.

Attengono a problemi di competenza e responsabilità medica i trattamenti metadonici in re-gime di affidamento. Sempre le linee guida del Ministero hanno previsto questo trattamento. L’af-fidamento si caratterizza per la consegna del metadone a un “familiare referente che, attendibil-mente, garantisca sul suo uso appropriato”. I pericoli insiti in un tale regime attendono infatti pro-prio al rischio di immissione nel mercato nero del farmaco. L’affidamento non può tuttavia esserefatto come pratica routinaria, in quanto sono le stesse linee guida ad averne limitato la pratica. I pa-letti individuati dal Ministero affinché un paziente possa essere ammesso a questa pratica sono:

– lunga permanenza in trattamento;– accertata cessazione, per un congruo periodo, dell’uso di eroina e di altre droghe;– miglioramento clinico;– recupero lavorativo;– impossibilità per il paziente a lasciare il proprio domicilio per documentati e comprovati motivi.

La dose affidata al familiare, che deve essere uno stretto congiunto del paziente, “scrupolo-samente identificato e non sostituibile da altro familiare, se non per eccezionale necessità”, nonpuò essere superiore a due giorni.

Il ruolo del medico di medicina generaleIn seguito al referendum del 18 aprile 1993, vi è la possibilità per il medico di base di assumerea proprio carico il trattamento di tossicodipendenti.

Tale possibilità deve essere però concordata con il servizio tossicodipendenze competenteper territorio, anche se la disposizione non è vincolante. Le già citate linee guida infatti precisanoche, allorché il medico di base decida di intraprendere un trattamento, si consiglia di “darne co-municazione al servizio pubblico in modo da avvalersi della sua collaborazione ai fini della de-finizione del programma e dell’attuazione delle misure psicoriabilitative concomitanti alla som-ministrazione dei farmaci, senza trascurare la previsione di forme di controllo”. Sempre consi-gliato ai medici di medicina generale è il limite massimo di pazienti tossicodipendenti da pren-dersi in carico (non più di quattro o cinque).

Il segreto professionale e il diritto all’anonimatoL’art. 120 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 riconosce al tossicodipendente che si sottoponga a unprogramma terapeutico e socio-riabilitativo presso un SERT, il diritto all’anonimato.134

Più precisamente il tossicodipendente ha il diritto all’anonimato nei rapporti con:

– i servizi;– i presidi;– le strutture delle unità sanitarie locali (ora aziende);– i medici;– gli assistenti sociali;– tutto il restante personale.

134 In realtà il diritto all’anonimato era già previsto dalla legge 22 dicembre 1975, n. 685, la quale prevedevaperò che in occasione di ricovero ospedaliero, al posto del nome del paziente, venissero registrate solamentele iniziali e la provincia di domicilio del paziente.

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L’anonimato si sostanzia nel diritto per chi lo chiede che la sua scheda sanitaria non con-tenga le generalità né altri dati che valgano alla sua identificazione.

La riservatezza è anche un obbligo previsto dal codice deontologico che all’art. 4.6 stabilisceche “l’infermiere assicura e tutela la riservatezza delle informazioni relative alla persona. Nellaraccolta, nella gestione e nel passaggio dei dati, si limita a ciò che è pertinente all’assistenza”.

L’anonimato è stato definito dalla giurisprudenza della suprema Corte come un “particolareaspetto del segreto professionale”,135 anche se in effetti ha caratteristiche giuridiche diverse.

Il diritto all’anonimato viene meno in casi in cui sia necessario stilare un referto o una denuncia.L’art. 120 del D.P.R. 109/1990 pone un richiamo al segreto professionale, più precisamente

alle norme del codice di procedura penale136 che tutelano il segreto professionale, ed estende alpersonale garanzie che sono, in un procedimento penale, proprie dell’avvocato difensore, “inquanto applicabili”.

Al di fuori delle specifiche garanzie riconosciute al tossicodipendente che si avvale del dirittoall’anonimato, valgono le disposizioni sulla riservatezza e sul segreto professionale (vedi cap. 15).

L’INFERMIERE NELL’ASSISTENZA DOMICILIARE

Il Servizio sanitario nazionale “garantisce alle persone non autosufficienti e in condizioni di fragi-lità, con patologie in atto o esiti delle stesse, percorsi assistenziali a domicilio costituiti dall’insiemeorganizzato di trattamenti medici, riabilitativi, infermieristici e di aiuto infermieristico necessari perstabilizzare il quadro clinico, limitare il declino funzionale e migliorare la qualità della vita”.137

I recenti Livelli Essenziali di Assistenza definiscono quindi le cure domiciliari come l’insiemeorganizzato dei trattamenti medici, riabilitativi, infermieristici e di aiuto infermieristico sulla per-

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Capitolo 8 – la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative

135 Cassazione penale, IV sez., sentenza del 12 ottobre 1987.136 Codice di procedura penale: Art. 103 – Garanzie di libertà del difensore1. Le ispezioni e le perquisizioni negli uffici dei difensori sono consentite solo:

a) quando essi o altre persone che svolgono stabilmente attività nello stesso ufficio sono imputati, li-mitatamente ai fini dell’accertamento del reato loro attribuito;

b) per rilevare tracce o altri effetti materiali del reato o per ricercare cose o persone specificamente pre-determinate.

2. Presso i difensori e i consulenti tecnici non si può procedere a sequestro di carte o documenti relativiall’oggetto della difesa, salvo che costituiscano corpo del reato.

3. Nell’accingersi a eseguire un’ispezione, una perquisizione o un sequestro nell’ufficio di un difensore, l’au-torità giudiziaria a pena di nullità avvisa il consiglio dell’ordine forense del luogo perché il presidente oun consigliere da questo delegato possa assistere alle operazioni. Allo stesso, se interviene e ne fa ri-chiesta, è consegnata copia del provvedimento.

4. Alle ispezioni, alle perquisizioni e ai sequestri negli uffici dei difensori procede personalmente il giudiceovvero, nel corso delle indagini preliminari, il pubblico ministero in forza di motivato decreto di auto-rizzazione del giudice.

5. Non è consentita l’intercettazione relativa a conversazioni o comunicazioni dei difensori, consulenti tec-nici e loro ausiliari, né a quelle tra i medesimi e le persone da loro assistite.

6. Sono vietati il sequestro e ogni forma di controllo della corrispondenza tra l’imputato e il proprio difen-sore in quanto riconoscibile dalle prescritte indicazioni, salvo che l’autorità giudiziaria abbia fondatomotivo di ritenere che si tratti di corpo del reato.

7. Salvo quanto previsto dal comma 3 e dall’articolo 271, i risultati delle ispezioni, perquisizioni, sequestri,intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, eseguiti in violazione delle disposizioni precedenti,non possono essere utilizzati (art. 191 c.p.).

137 D.P.C.M. 23 aprile 2008 “Nuovi livelli essenziali di assistenza”.

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sona i cui bisogni vengono accertati attraverso “idonei strumenti di valutazione multidimensio-nale che consentano la presa in carico della persona e la definizione del Progetto di assistenza in-dividuale (PAI) sociosanitario integrato”.

In relazione al bisogno di salute dell’assistito e al livello di intensità, complessità e duratadell’intervento assistenziale, le cure domiciliari si articolano nei seguenti livelli:

1. cure domiciliari prestazionali: sono costituite da prestazioni professionali in risposta a bi-sogni sanitari di tipo medico, infermieristico e/o riabilitativo, anche ripetuti nel tempo, chenon richiedono la “presa in carico” della persona né la valutazione multidimensionale. Le curedomiciliari prestazionali sono attivate dal medico di medicina generale o dal pediatra di li-bera scelta o da altri servizi distrettuali;

2. cure domiciliari integrate (ADI) di I e II livello: costituite da prestazioni professionali di tipomedico, infermieristico e riabilitativo, assistenza farmaceutica e accertamenti diagnostici afavore di persone con patologie e condizioni funzionali che richiedono continuità assisten-ziale e interventi programmati articolati fino a 5 giorni (I livello) o su 6 giorni (II livello) in re-lazione alla criticità e complessità del caso. Le cure domiciliari di I e II livello richiedono lavalutazione multidimensionale, la “presa in carico” della persona e la definizione di un “pro-getto di assistenza individuale” (PAI), e sono attivate con le modalità definite dalle regioni an-che su richiesta dei familiari o dei servizi sociali. Il medico di medicina generale o il pediatradi libera scelta assume la responsabilità clinica dei processi di cura, valorizzando e soste-nendo il ruolo della famiglia;

3. cure domiciliari integrate a elevata intensità (III livello): costituite da prestazioni profes-sionali di tipo medico, infermieristico e riabilitativo, assistenza farmaceutica e accertamentidiagnostici a favore di persone con patologie che, presentando elevato livello di complessità,instabilità clinica e sintomi di difficile controllo, richiedono continuità assistenziale e inter-venti programmati articolati su 7 giorni anche per la necessità di fornire supporto alla fami-glia e/o al caregiver. Le cure domiciliari a elevata intensità sono attivate con le modalità de-finite dalle regioni e richiedono valutazione multidimensionale, la presa in carico della per-sona e la definizione di un progetto di assistenza individuale (PAI). La responsabilità clinicaè affidata al medico di medicina generale, al pediatra di libera scelta o al medico competenteper la terapia del dolore, secondo gli indirizzi regionali.

L’art. 3 dell’allegato “H” regolamenta invece la “procedura per l’attivazione”, specificando cheil servizio “viene iniziato con il consenso del medico di medicina generale, a seguito di segnala-zione al responsabile delle attività sanitarie a livello del distretto nel quale ha la residenza l’in-teressato” da parte di una molteplicità di soggetti (medico di medicina generale, responsabile delreparto all’atto delle dimissioni, servizi sociali e familiari del paziente).

Ove si ritenga opportuno procedere all’attivazione dell’ADI il medico responsabile del distrettoe il medico di medicina generale devono concordare:

1. la durata presumibile del periodo di erogazione dell’assistenza integrata;2. la tipologia degli altri operatori sanitari coinvolti;3. le richieste di intervento degli operatori del servizio sociale da avanzare al responsabile di-

strettuale delle relative attività;4. la cadenza degli accessi del medico di medicina generale al domicilio del paziente in rela-

zione alla specificità del processo morboso in corso e agli interventi sanitari e sociali neces-sari, tenendo conto della variabilità clinica di ciascun caso;

5. i momenti di verifica comune all’interno del periodo di effettuazione del servizi.

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Infine si precisa che il medico di medicina generale ha comunque “la responsabilità unica ecomplessiva del paziente”; ha l’obbligo di tenere “la scheda degli accessi fornita dalla Aziendapresso il domicilio del paziente sul quale gli operatori sanitari riportano i propri interventi”; ha ilcompito di attivare “le eventuali consulenze specialistiche, gli interventi infermieristici e sociali pro-grammati” e di coordinare “gli operatori per rispondere ai bisogni del paziente”.

Le patologie che consentono l’avvio dell’assistenza domiciliare si riferiscono a:

– malati terminali;– malattie progressivamente invalidanti e che necessitano di interventi complessi;– incidenti vascolari acuti;– gravi fratture in anziani;– forme psicotiche acute gravi;– riabilitazione di vasculopatici;– riabilitazione in neurolesi;– malattie acute temporaneamente invalidanti nell’anziano (forme respiratorie e altro);– dimissioni protette da strutture ospedaliere.

Lettura critica della normativa sull’ADINon vi sono dubbi sul fatto che la normativa sopra riportata contenga in sé i germi del vizio diorigine: il fatto di essere contenuta all’interno di un accordo sindacale di categoria che influenzain modo negativo una regolamentazione che dovrebbe essere fatta con finalità diverse.

I punti critici – e più specificamente di contrasto con l’ordinamento professionale – sia in affer-mazioni di carattere generale (il medico “ha la responsabilità unica e complessiva del paziente”; ilcompito di coordinare “gli operatori per rispondere ai bisogni del paziente”) sia di carattere speci-fico. In generale dobbiamo dire che l’infermiere è del tutto escluso dai compiti di pianificazionedell’intervento e da ogni livello decisionale, che risulta essere stabilmente in mano al medico di me-dicina generale e al medico di distretto. Le recenti leggi di riforma dell’esercizio professionale in ef-fetti riconoscono all’infermiere specifici ambiti di autonomia che contrastano violentemente con ilD.P.R. citato. Basti pensare al ruolo che si pretende dall’infermiere – meramente esecutore – comeben testimoniato dall’assenza di una qualsivoglia previsione di documentazione specifica per ilgruppo infermieristico coinvolto, che deve convogliare le proprie annotazioni sulla scheda per gliaccessi che deve tenere il medico e sulla quale “gli operatori sanitari riportano i propri interventi”.Si delinea cioè un infermiere esecutore di prescrizioni più che un fornitore complessivo di assistenza.

L’infermiere può recuperare il suo ruolo in un solo spazio riconosciuto a lui come professio-nista: laddove cioè si prevedono “momenti di verifica comune all’interno del periodo di effettua-zione del servizi.”

Eppure l’assistenza domiciliare, integrata o meno, è l’ambito in cui l’infermiere può in modopiù naturale svolgere la propria professione con criteri di autonomia, così come sono riconosciutidall’ordinamento professionale.

La limitazione alla professione infermieristica e la confusione di ruoli tra il medico di base el’infermiere domiciliare sono dati ancora una volta dal D.P.R. 270/2000 che, in linea con i con-tratti precedenti, attribuisce al medico tariffe particolari per prestazioni aggiuntive che sono ingenere e tradizionalmente di competenza infermieristica.138

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Capitolo 8 – la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative

138 Il riferimento è al “Nomenclatore tariffario delle prestazioni aggiuntive” contenuto all’interno del D.P.R.270/2000 che elenca una serie di prestazioni retribuibili al medico di medicina generale. Riportiamo l’elenco.

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L’esercizio professionale in assistenza domiciliareL’esercizio professionale nell’assistenza domiciliare nella situazione attuale determinata dalleriforme all’esercizio professionale operate con le leggi 42/1999 e 251/2000 non ha più gli angu-sti limiti che la normativa mansionariale poneva.139

Le difficoltà che si possono oggi creare, legate a una serie di prestazioni ed esecuzioni di pro-cedure diagnostico-terapeutiche possono probabilmente essere regolamentate attraverso proto-colli, procedure e linee guida, caratteristici strumenti di esercizio professionale.

Non vi sono particolari limitazioni in ambito domiciliare per l’esercizio professionale se nonquelle legate alla somministrazione di farmaci di fascia H140 e, in particolare:

1. i farmaci classificati come H-OSP1 il cui impiego è esclusivamente ospedaliero e ne è vietatala vendita presso il pubblico. Sono in genere farmaci per uso endovenoso, diagnostico e diparticolare contenuto specialistico;

2. i farmaci classificati come H-OSP2, il cui impiego è anche ospedaliero ma possono essere uti-lizzati in ambito domiciliare secondo le indicazioni di regioni e province autonome.

Anche alcuni farmaci con nota AIFA 65 (per esempio, interferone-beta e copaxone) sono as-similabili all’H-OSP2.141

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la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative – Capitolo 8

A) Prestazioni eseguibili senza autorizzazione:1. Prima medicazione L. 23.8602. Sutura di ferita superficiale L. 6.4303. Successive medicazioni L. 11.9304. Rimozione di punti di sutura e medicazione L. 23.8605. Cateterismo uretrale nell’uomo L. 18.7006. Cateterismo uretrale nella donna L. 6.9507. Tamponamento nasale anteriore L. 10.8908. Fleboclisi (unica-eseguibile in caso di urgenza) L. 23.8609. Lavanda gastrica L. 23.860

10. Iniezione di gammaglobulina o vaccinazione antitetanica L. 11.76011. Iniezione sottocutanea desensibilizzante L. 17.84012. Tampone faringeo, prelievo per esame batteriologico (solo su pazienti non ambulabili) L. 1.240

B) Prestazioni eseguibili con autorizzazione sanitaria:1. Ciclo di fleboclisi (per ogni fleboclisi) L. 17.840 2. Ciclo curativo di iniezioni endovenose (per ogni iniezione) L. 11.9303. Ciclo aerosol o inalazioni caldo-umide nello studio professionale del medico L. 2.390

(per prestazione singola)4. Vaccinazioni non obbligatorie L. 11.930

139 Il D.P.R. 14 marzo 1974, n. 225, art. 2, comma 2 stabiliva che per le attività indicate ai punti sotto elen-cati l’infermiere doveva munirsi della prescrizione e agire sotto controllo medico:– vaccinazioni per via orale, per via intramuscolare e percutanee;– applicazioni elettriche più semplici, esecuzione di ECG, EEG e similari;– cateterismo nell’uomo con cateteri molli;– sondaggio gastrico e duodenale a scopo diagnostico;– lavanda gastrica. Inoltre vi era la preclusione di eseguire iniezioni endovenose e fleboclisi.140 I farmaci in fascia H sono di esclusivo uso ospedaliero; pertanto non possono essere venduti dalle far-macie aperte al pubblico, ma possono essere utilizzati solo in ospedale o essere distribuiti dalle Aziende Sa-nitarie Regionali (ASL , Aziende Sanitarie Locali, e ASO, Aziende Sanitarie Ospedaliere).141 Vincieri F., Cirinei C., Cervini D., La gestione normativa dei medicinali, Il Pensiero Scientifico Editore, Roma, 2006.

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Diversa è la situazione quando la somministrazione è attuata da personale non professionaleo in caso di autosomministrazione. Non vi sono ovviamente problemi – quanto meno nella peri-zia e nelle capacità auspicabili in questi casi – sui medicinali di automedicazione.142

I medicinali di automedicazione “sono destinati al trattamento (prevalentemente di tipo sin-tomatico) dei disturbi lievi e transitori facilmente riconoscibili e risolvibili senza ricorrere all’aiutodel medico, mentre solo in casi eccezionali i medicinali di automedicazione sono utilizzati per laprevenzione. Le indicazioni terapeutiche devono essere compatibili con la possibilità di utiliz-zare il medicinale di automedicazione senza intervento di un medico per la diagnosi, la prescri-zione o la sorveglianza nel corso del trattamento”.

I medicinali di automedicazione, quindi, sono tutti quelli che non necessitano di prescrizionemedica, in quanto sono destinati a curare disturbi “facilmente riconoscibili e risolvibili senza ri-correre all’aiuto del medico”.

Tra le vie di somministrazione “è esclusa la via di somministrazione parenterale e tutte quelleche richiedono l’intervento di un sanitario”.

Gli errori nella somministrazione possono essere identici, ovviamente, a quelli degli altri far-maci e quindi devono essere usate la stessa cautela e la stessa attenzione.

Per i farmaci medico-prescrivibili, di qualunque specie e classificazione, il caregiver deve di-mostrare un minimo di formazione e di addestramento. Una cosa è certa: difficilmente oggi sipuò affermare il carattere professionale della somministrazione soltanto dalla via di sommini-strazione. Non vi sono dubbi che la somministrazione per le vie intramuscolare e sottocutaneanon sia da considerarsi un’attività di per sé professionale, essendo nella conoscenza e nella pra-tica sanitaria di gran parte della popolazione.

Sono altre le considerazioni da porre in essere per ritenere tali attività professionali: la tipo-logia del farmaco, le condizioni del paziente, l’assistenza post-somministrazione ecc.

L’infermiere deve comunque porsi il problema del ruolo del caregiver all’interno dell’assistenzadomiciliare, della sua responsabilità e del controllo che a distanza può e deve operare.

L’esercizio professionale in farmaciaNegli ultimi decenni la società ha assistito a un radicale cambiamento del ruolo delle farmacie edei farmacisti: da luoghi sanitari e di produzione e confezionamento di prodotti galenici ai luo-ghi prevalentemente commerciali.

La trasformazione in spazi vendita aventi finalità commerciali come modello tipico delle far-macie viene messo in crisi dal moltiplicarsi di punti vendita in seguito a processi di liberalizzazioneche hanno portato i supermercati a vendere farmaci da banco e alla nascita delle parafarmacie.

Si pone quindi la necessità di rivedere e riqualificare le farmacie con l’attribuzione di “nuoviservizi”. In questa direzione si muove il D.Lgs. 3 ottobre 2009, n. 153 denominato “Individuazionedi nuovi servizi erogati dalle farmacie nell’ambito del Servizio sanitario nazionale, nonché di-sposizioni in materia di indennità di residenza per i titolari di farmacie rurali, a norma dell’arti-colo 11 della legge 18 giugno 2009, n. 69”.

I nuovi servizi che possono essere assicurati dalle farmacie nell’ambito del Servizio sanitarionazionale riguardano – in primo luogo – la loro diretta partecipazione al Servizio di assistenzadomiciliare integrata” da svolgersi “a favore dei pazienti residenti o domiciliati nel territorio dellasede di pertinenza di ciascuna farmacia a supporto delle attività del medico di medicina generale

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Capitolo 8 – la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative

142 Circolare del Ministero della sanità 16 ottobre 1997, n. 13 “Medicinali di automedicazione: definizione,classificazione e modello di foglio illustrativo”, Gazzetta Ufficiale del 18 novembre 1997.

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o del pediatra di libera scelta, a favore dei pazienti che risiedono o hanno il proprio domicilio nelterritorio di competenza”.

Non vi sono dubbi che questa sia una novità rilevante anche se di non semplice attuazione edi non semplice raccordo rispetto all’assistenza domiciliare integrata erogata direttamente dalServizio sanitario nazionale attraverso le sue strutture direttamente o indirettamente a secondadell’organizzazione regionale. Tra l’altro nella gran parte delle regioni il territorio è suddiviso indistretti socio-sanitari che hanno precisi riferimenti territoriali di competenza. Nel D.Lgs. 153/2009si introduce invece un difficilissimo riparto territoriale di pazienti “residenti o domiciliati nel ter-ritorio della sede di pertinenza di ciascuna farmacia”. Quindi all’interno di un distretto socio-sa-nitario si dovrebbe suddividere il territorio per il numero di farmacie presenti e determinarne l’am-bito territoriale. Non sembra una disposizione praticabile in molti contesti.

La partecipazione al servizio di assistenza domiciliare avviene – prosegue la norma – attra-verso:

1. la dispensazione e la consegna domiciliare di farmaci e dispositivi medici necessari;2. la preparazione, nonché la dispensazione al domicilio delle miscele per la nutrizione artificiale e dei me-

dicinali antidolorifici, nel rispetto delle relative norme di buona preparazione e di buona pratica di distri-buzione dei medicinali e nel rispetto delle prescrizioni e delle limitazioni stabilite dalla vigente normativa;

3. la dispensazione per conto delle strutture sanitarie dei farmaci a distribuzione diretta.

Questi primi tre punti sembrano del tutto coerenti con le finalità proprie di un servizio far-maceutico contribuendo (in particolare al punto sub 3) a risolvere problemi organizzativi chehanno creato e creano agli utenti le difficoltà di organizzazione del servizio.

Il successivo punto 4 dell’art. 1, comma 2, introduce una novità rilevante per i nuovi spazi diesercizio professionale della professione infermieristica.

All’interno delle farmacie vi può essere:

[...] la messa a disposizione di operatori socio-sanitari, di infermieri e di fisioterapisti, per la effettuazione, a do-micilio, di specifiche prestazioni professionali richieste dal medico di famiglia o dal pediatra di libera scelta, fermorestando che le prestazioni infermieristiche o fisioterapiche che possono essere svolte presso la farmacia, sono li-mitate a quelle di cui alla lettera 4. e alle ulteriori prestazioni, necessarie allo svolgimento dei nuovi compiti dellefarmacie, individuate con decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, sentita la Confe-renza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

La “messa a disposizione” di infermieri e fisioterapisti viene posta in essere per la “effettua-zione a domicilio, di specifiche prestazioni professionali richieste dal medico di famiglia o dal pe-diatra di libera scelta” sia a livello domiciliare che ambulatoriale (presso la farmacia). Le presta-zioni che possono essere svolte presso la farmacia però “sono limitate a quelle della lettera d)”che andiamo a riportare per esteso:

La erogazione di servizi di secondo livello rivolti ai singoli assistiti, in coerenza con le linee guida ed i percorsidiagnostico-terapeutici previsti per le specifiche patologie, su prescrizione dei medici di medicina generale edei pediatri di libera scelta, anche avvalendosi di personale infermieristico, prevedendo anche l’inserimentodelle farmacie tra i punti forniti di defibrillatori semiautomatici.

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la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative – Capitolo 8

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Capitolo 8 – la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative

La norma è decisamente criptica e oscura. Si introduce una distinzione – in realtà non cono-sciuta – tra servizi di primo e servizi di secondo livello decisamente di difficile comprensione.

Cosa si intenda e a quale classificazione si debba fare riferimento per individuare le prestazioniinfermieristiche di primo e di secondo livello non è dato sapere. Possiamo desumere e ricavare daltesto del decreto legislativo alcune informazioni che forse ci aiutano a orientarci in questo senso.

Infatti quando il decreto indica alle farmacie i servizi di primo livello parla di programmi di “edu-cazione sanitaria e di campagne di prevenzione” rivolti alla popolazione o ai gruppi a rischio, men-tre quando parla di servizi di secondo livello (al successivo punto e) dell’ art. 4, comma 2) speci-fica che è possibile attivare servizi che prevedano:

[...] l’effettuazione, presso le farmacie, nell’ambito dei servizi di secondo livello di cui alla lettera d), di presta-zioni analitiche di prima istanza rientranti nell’ambito dell’autocontrollo, nei limiti e alle condizioni stabiliti condecreto di natura non regolamentare del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, d’intesa con laConferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, re-stando in ogni caso esclusa l’attività di prescrizione e diagnosi, nonché il prelievo di sangue o di plasma mediantesiringhe o dispositivi equivalenti.

Sembra che i servizi di primo livello siano più inseriti all’interno di campagne di educazione sa-nitaria e rivolti alla collettività mentre i secondi siano più “prestazionali” ed effettuabili a domandadei singoli.

La norma che limita “il prelievo di sangue o di plasma mediante siringhe o dispositivi equiva-lenti” non deve essere intesa come norma di limitazione all’esercizio professionale – in quanto inquesto versante conta la legge 42/1999 – ma norma di compromesso politico per i rapporti tra leprofessioni.

In altre parole, il prelievo ematico rientra pienamente nelle competenze degli infermieri, manon all’interno delle farmacie. In qualunque contesto – domiciliare, residenziale, ospedaliero – adeccezione delle farmacie nel preciso caso in cui venga finalizzato all’esame diretto all’interno dellefarmacie con i cosiddetti point of care. Nulla sembra invece di ostacolo, quanto meno per quantoconcerne la legittimità dell’esercizio professionale, nell’effettuazione di prelievi per analizzare icampioni fuori dalla farmacia.

Nel dettaglio è sceso il decreto ministeriale del 16 dicembre 2010 ”concernente l’erogazione daparte delle farmacie di specifiche prestazioni professionali”, punto 4, del D.Lgs 3 ottobre 2009, n.153” specificando all’art. 3 quali debbano essere le “prestazioni erogabili dagli infermieri” distin-guendo tra l’ambito della struttura (farmacia) e l’ambito domiciliare.

Oltre al richiamo già ricordato del profilo professionale, sono all’interno della farmacia eroga-bili anche le seguenti prestazioni:

1. supporto alle determinazioni analitiche di prima istanza, rientranti nell’ambito dell’autocon-trollo;

2. effettuazione di medicazioni e di cicli iniettivi intramuscolo;3. attività concernenti l’educazione sanitaria e la partecipazione a programmi di consulting, an-

che personalizzato;4. iniziative finalizzate a favorire l’aderenza dei malati alle terapie.

Nel domicilio sono invece erogabili le prestazioni – nell’ambito di specifici accordi regionali –“rientranti nelle competenze del proprio profilo professionale” prescritte da un medico di medi-

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cina generale, dal pediatra di libera scelta o da altro medico che ritenga di avvalersi dei servizierogabili dalle farmacie.

Sono inoltre erogabili sia in farmacia che a domicilio:

[...] ulteriori prestazioni rientranti tra quelle effettuabili in autonomia secondo il proprio profilo professio-nale. Inoltre, a domicilio del paziente, gli infermieri partecipano ad iniziative finalizzate a garantire il cor-retto utilizzo dei medicinali. Gli infermieri intervengono altresì d’urgenza, oltre che per il supporto all’uti-lizzo del defibrillatore semiautomatico, anche nelle situazioni igienico sanitarie d’urgenza previste dal pro-prio profilo professionale.

Norme mal scritte e sovrabbondanti, in quanto già comprese nella normativa relativa all’eser-cizio professionale a cui si poteva e si doveva fare semplicemente riferimento.

Il costo delle prestazioni può essere posto – in seguito ad accordi regionali – a carico delServizio sanitario nazionale solo per le prestazioni prescritte dai medici di medicina generalee dai pediatri di libera scelta nei limiti di spesa – fuori dai quali paga l’utente - indicati dagliaccordi regionali. Per le prestazioni invece prescritte da altri medici e per le prestazioni ero-gabili in autonomia da parte dell’infermiere il costo è a carico del cittadino che le richiede.

Per quanto riguarda le prestazioni legate alla determinazione degli esami ematici sono uti-lizzabili solo “i dispositivi medici per test autodiagnostici destinati ad effettuare le seguenti pre-stazioni analitiche di prima istanza”:

– test per glicemia, colesterolo e trigliceridi;– test per la misurazione in tempo reale di emoglobina, emoglobina glicata, creatinina, tran-

saminasi, ematocrito;– test per la misurazione di componenti delle urine quali acido ascorbico, chetoni, urobili-

nogeno e bilirubina, leucociti, nitriti, pH, sangue, proteine ed esterasi leucocitaria;– test ovulazione, test gravidanza e test menopausa per la misura dei livelli dell’ormone FSA

delle urine;– test per colon-retto per la rilevazione di sangue occulto nelle feci.

Questo elenco è aggiornabile periodicamente con un decreto ministeriale previa intesa conla Conferenza Stato-Regioni.

Nell’ambito dei servizi di secondo livello sono utilizzabili presso le farmacie i seguenti di-spositivi strumentali:

– dispositivi per la misurazione con modalità non invasiva della pressione arteriosa;– dispositivi per la misurazione della capacità polmonare tramite auto-spirometria;– dispositivi per la misurazione con modalità non invasiva della saturazione percentuale

dell’ossigeno;– dispositivi per il monitoraggio con modalità non invasive della pressione arteriosa e dell’at-

tività cardiaca in collegamento funzionale con i centri di cardiologia accreditati dalle re-gioni sulla base di specifici requisiti tecnici, professionali e strutturali;

– dispositivi per l’attuazione di elettrocardiogrammi con modalità di tele-cardiologia da ef-fettuarsi in collegamento con centri di cardiologia accreditati dalle regioni sulla base dispecifici requisiti tecnici, professionali e strutturali.

L’elencazione sopra riportata ha un deciso sapore mansionariale e sempre mansionarialeè la previsione dell’aggiornamento dell’elenco che viene effettuato con la forma del decreto

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ministeriale periodicamente. Le attività erogate presso le farmacie devono essere effettuate inspazi dedicati e separati dagli altri ambienti che consentano il rispetto della riservatezza deidati.

Inoltre “le attività erogate presso le farmacie devono essere effettuate nei limiti dei rispet-tivi profili professionali, nonché nel rispetto delle altre disposizioni di legge e sotto la vigilanzadei preposti organi regionali”.

Decisamente lesivo dell’autonomia infermieristica e di dubbia legittimità il passaggio in cuisi precisa che:

Il farmacista titolare o il direttore responsabile della farmacia definisce in un apposito documento, conser-vato in originale presso la farmacia e inviato in copia all’azienda sanitaria locale territorialmente compe-tente, i compiti e le responsabilità degli infermieri o degli operatori socio-sanitari che forniscono il supportoall’utilizzazione delle strumentazioni necessarie per l’esecuzione delle analisi di cui all’art. 2 nel rispettodei rispettivi profili professionali.

Attività e responsabilità – quanto meno per quanto riguarda la professione infermieristica– sono determinate dalle leggi di esercizio professionale e insuscettibili di deroghe e integra-zioni da parte di altre autorità e professionisti.

Si registra infine la previsione della formazione necessaria e l’obbligatorietà dell’aggior-namento per il personale che si rapporta con le apparecchiature analitiche.

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Capitolo 8 – la responsabilità dell’infermiere in determinate situazioni operative

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LA PROFESSIONE MEDICA

La professione medica è la più antica e storica delle professioni sanitarie ed è, verosimilmente,la professione con cui si rapporta maggiormente la professione infermieristica.

In questa sede ci limiteremo – avendo ben presente l’incompletezza di tale analisi – a esami-nare l’evoluzione dell’inquadramento della figura medica in ambito ospedaliero e la sua suddi-visione.

Sinteticamente l’evoluzione della professione può essere così suddivisa:

– la riforma ospedaliera del 1968;– l’inquadramento dato in seguito alla riforma sanitaria del 1978 dal D.P.R. 761/1979;– l’inquadramento dato dalla riforma aziendalistica operata dal D.Lgs. 502/1992;– il nuovo assetto operato con la codiddetta riforma ter del Sistema sanitario nazionale.

LA RIFORMA OSPEDALIERA DEL 1968

La suddivisione delle figure mediche all’interno delle strutture ospedaliere e sanitarie della sa-nità pubblica viene compiutamente regolamentata dalla c.d. riforma ospedaliera (“riforma Ma-riotti”) del 1968.

Il D.P.R. 128/1969, infatti, suddivideva le figure mediche su base piramidale in primari, aiutie assistenti.

Pur non chiudendo la porta ad altri tipi di organizzazione, la riforma del 1968, suddivideval’ospedale in divisioni, sezioni e servizi speciali.

La divisione doveva essere retta da un primario, coadiuvato da aiuti e da assistenti.Il primario vigilava sull’attività e sulla disciplina del personale sanitario, tecnico, sanitario

ausiliario ed esecutivo assegnato alla sua divisione o servizio, aveva la responsabilità dei malati,definiva i criteri diagnostici e terapeutici che dovevano essere seguiti dagli aiuti e dagli assistenti,praticava direttamente sui malati gli interventi diagnostici e curativi che riteneva di non affidareai suoi collaboratori, formulava la diagnosi definitiva, provvedeva a che le degenze non si pro-lungassero oltre il tempo strettamente necessario agli accertamenti diagnostici e alle cure e di-sponeva la dimissione degli infermi, era responsabile della regolare compilazione delle cartellecliniche, dei registri nosologici e della loro conservazione, fino alla consegna all’archivio cen-trale; inoltrava, tramite la direzione sanitaria, le denunce di legge; praticava le visite di consu-lenza richieste dai sanitari di altre divisioni o servizi; dirigeva il servizio di ambulatorio, ade-guandosi alle disposizioni e ai turni stabiliti dal direttore sanitario; curava la preparazione e ilperfezionamento tecnico-professionale del personale da lui dipendente e promuoveva iniziativedi ricerca scientifica; esercitava le funzioni didattiche a lui affidate.

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L’aiuto, invece, collaborava direttamente con il primario nell’espletamento dei compiti a que-sto attribuiti; aveva la responsabilità delle sezioni affidategli e coordinava l’attività degli assi-stenti. Data la natura gerarchica dell’organizzazione, l’aiuto rispondeva del suo operato al pri-mario. L’aiuto, inoltre, sostituiva il primario in caso di assenza, impedimento o nei casi di ur-genza. Tra più aiuti della stessa divisione o dello stesso servizio la sostituzione del primario spet-tava all’aiuto con maggiori titoli.

Capitolo 9 – la professione medica

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Assistente

L’assistente collabora con il pri-mario e con l’aiuto nei loro com-piti; ha la responsabilità dei ma-lati a lui affidati; risponde del suooperato all’aiuto e al primario;provvede direttamente nei casi diurgenza.In caso di assenza o di impedi-mento dell'aiuto, le sue funzionisono esercitate dall'assistente conmaggiori titoli o dall'assistente diturno.

Aiuto

L’aiuto collabora direttamente conil primario nell’espletamento deicompiti a questo attribuiti; ha laresponsabilità delle sezioni affi-dategli e coordina l'attività degliassistenti; risponde del suo ope-rato al primario.L’aiuto sostituisce il primario incaso di assenza, impedimento onei casi di urgenza. Tra più aiutidella stessa divisione o dello stessoservizio la sostituzione del pri-mario spetta all’aiuto con mag-giori titoli.

Primario

Il primario vigila sull’attività e sulladisciplina del personale sanitario,tecnico, sanitario ausiliario ed ese-cutivo assegnato alla sua divisioneo servizio, ha la responsabilità deimalati, definisce i criteri diagno-stici e terapeutici che devono es-sere seguiti dagli aiuti e dagli as-sistenti, pratica direttamente suimalati gli interventi diagnostici ecurativi che ritenga di non affidareai suoi collaboratori, formula ladiagnosi definitiva, provvede ache le degenze non si prolunghinooltre il tempo strettamente neces-sario agli accertamenti diagnosticie alle cure e dispone la dimissionedegli infermi, è responsabile dellaregolare compilazione delle car-telle cliniche, dei registri nosolo-gici e della loro conservazione,fino alla consegna all’archivio cen-trale; inoltra, tramite la direzionesanitaria, le denunce di legge; pra-tica le visite di consulenza ri-chieste dai sanitari di altre divi-sioni o servizi; dirige il servizio diambulatorio, adeguandosi alle di-sposizioni e ai turni stabiliti daldirettore sanitario; cura la prepa-razione e il perfezionamento tec-nico-professionale del personaleda lui dipendente e promuove ini-ziative di ricerca scientifica; eser-cita le funzioni didattiche a lui af-fidate.

RIEPILOGO DELLE FUNZIONI DI ASSISTENTE, AIUTO E PRIMARIO NELLA RIFORMA OSPEDALIERA DEL 1968

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L’assistente, infine, collaborava con il primario e con l’aiuto nei loro compiti; aveva la re-sponsabilità dei malati a lui affidati; rispondeva del suo operato all’aiuto e al primario; provve-deva direttamente nei casi di urgenza. In caso di assenza o di impedimento dell’aiuto, le sue fun-zioni erano esercitate dall’assistente con maggiori titoli o dall’assistente di turno.

L’organizzazione su base gerarchica penalizzava l’assistente, che non aveva riconosciuti am-biti propri di autonomia, ma solo la responsabilità dei malati a lui affidati dal primario a cui ve-nivano accentrati poteri decisionali, di vigilanza e controllo e di indirizzo.

LA RIFORMA SANITARIA DEL 1978: L’INQUADRAMENTO DEL D.P.R. 761/1979

Nel 1978 con la legge 23 dicembre venne istituto il Servizio sanitario nazionale (SSN). Lo statogiuridico del personale dipendente fu fissato con il D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 che, all’art.63, regolava le funzioni dei medici, ferma rimanendo la tripartizione delle figure.

L’assistente doveva svolgere “funzioni medico-chirurgiche di supporto e funzioni di studio,di didattica e di ricerca, nonché attività finalizzate alla sua formazione, all’interno dell’area deiservizi alla quale è assegnato, secondo le direttive dei medici appartenenti alle posizioni funzio-nali superiori”. Aveva inoltre “la responsabilità per le attività professionali a lui direttamente af-fidate e per le istruzioni e direttive impartite nonché per i risultati conseguiti”. La sua attività erasoggetta a controllo e la sua autonomia era “vincolata alle direttive ricevute”.

Pur nella limitata autonomia normativamente riconosciuta, la giurisprudenza ha di fatto sem-pre riconosciuto ambiti di autonomia all’assistente, arrivando ad affermare che “l’assistente ospe-daliero non è tenuto, nella cura dei malati, a un pedissequo e acritico atteggiamento di suddi-tanza verso gli altri sanitari perché, qualora ravvisi elementi di sospetto percepiti o percepibilicon la necessaria diligenza e perizia, ha il dovere di segnalarli e di esprimere il proprio dissensoe, solo di fronte a tale condotta, potrà rimanere esente da responsabilità se il superiore gerar-chico non ritenga di condividere il suo atteggiamento”.1 Inoltre quando il primario non “avocava”a sé i casi clinici più importanti l’assistente era responsabile “dell’evento conseguente ad errateiniziative da lui prese nel corso della terapia, ancorché l’iniziale diagnosi effettuata dal primariofosse erronea”.2

In caso di affidamento del paziente, invece, ne deriva “la responsabilità del medico affidata-rio per gli eventi a lui imputabili che colpiscano l’ammalato affidatogli”.3 Questa sentenza si in-serisce quindi in un filone ormai consolidato della corresponsabilità dell’assistente rispetto allescelte dei medici in posizione apicale che non avocano a sé i casi.

L’aiuto, invece, doveva svolgere “funzioni autonome nell’area dei servizi a lui affidata, rela-tivamente ad attività e prestazioni medico-chirurgiche, nonché ad attività di studio, di didattica,di ricerca e di partecipazione dipartimentale, anche sotto il profilo della diagnosi e cura, nel ri-spetto delle necessità del lavoro di gruppo e sulla base delle direttive ricevute dal medico appar-tenente alla posizione apicale”.

Il primario (“medico appartenente alla posizione apicale”) infine, doveva svolgere le “attivitàe prestazioni medico-chirurgiche, attività di studio, di didattica e di ricerca, di programmazionee di direzione dell’unità operativa o dipartimentale, servizio multizonale o ufficio complesso af-fidatogli. A tal fine cura la preparazione dei piani di lavoro e la loro attuazione ed esercita fun-

la professione medica – Capitolo 9

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1 Cassazione penale, IV sez., sentenza del 22 luglio 1996, n. 7363.2 Cassazione penale, IV sez., sentenza del 31 gennaio 1996, n. 1095.3 Corte di Cassazione, II sez., sentenza del 24 novembre 1994, n. 11696.

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Assistente

Svolge le funzioni medico-chi-rurgiche di supporto e funzionidi studio, di didattica e di ri-cerca, nonché attività finalizzatealla sua formazione, all’internodell’area dei servizi alla quale èassegnato, secondo le direttivedei medici appartenenti alle po-sizioni funzionali superiori. Hala responsabilità per le attivitàprofessionali a lui direttamenteaffidate e per le istruzioni e di-rettive impartite nonché per i ri-sultati conseguiti. La sua attivitàè soggetta a controllo e gode diautonomia vincolata alle diret-tive ricevute.

Aiuto

Svolge funzioni autonomenell’area dei servizi a lui affi-data, relativamente ad attività eprestazioni medico-chirurgiche,nonché ad attività di studio, dididattica, di ricerca e di parte-cipazione dipartimentale, anchesotto il profilo della diagnosi ecura, nel rispetto delle necessitàdel lavoro di gruppo e sulla basedelle direttive ricevute dal me-dico appartenente alla posizioneapicale.

Primario

Svolge attività e prestazioni me-dico-chirurgiche, attività di stu-dio, di didattica e di ricerca, diprogrammazione e di direzionedell’unità operativa o diparti-mentale, servizio multizonale oufficio complesso affidatogli. A tal fine cura la preparazionedei piani di lavoro e la loro at-tuazione ed esercita funzioni diindirizzo e di verifica sulle pre-stazioni di diagnosi e cura, nelrispetto della autonomia profes-sionale operativa del personaledell’unità assegnatagli, impar-tendo all’uopo istruzioni e di-rettive ed esercitando la verificainerente all’attuazione di esse.In particolare, per quanto con-cerne le attività in ambienteospedaliero, assegna a sé e aglialtri medici i pazienti ricoveratie può avocare casi alla sua di-retta responsabilità, fermo re-stando l’obbligo di collabora-zione da parte del personale ap-partenente alle altre posizionifunzionali.Le modalità di assegnazione incura dei pazienti debbono ri-spettare criteri oggettivi di com-petenza, di equa distribuzionedel lavoro, di rotazione nei varisettori di pertinenza.Le attività svolte dal medicodella posizione apicale sono sog-gette esclusivamente a controlliintesi ad accertare la rispon-denza dei provvedimenti adot-tati alle leggi e ai regolamenti;egli redige, altresì, una relazioneannuale sull’attività svolta.

RIIEPILOGO DELLE FUNZIONI DELL’ASSISTENTE, DELL’AIUTO E DEL PRIMARIO NEL D.P.R. 761/1979

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zioni di indirizzo e di verifica sulle prestazioni di diagnosi e cura, nel rispetto della autonomiaprofessionale operativa del personale dell’unità assegnatagli, impartendo all’uopo istruzioni edirettive ed esercitando la verifica inerente all’attuazione di esse”.

Il D.P.R. 761/1979 dettava anche specifiche disposizioni per l’attività primariale in ambitoospedaliero precisando che il primario “assegna a sé e agli altri medici i pazienti ricoverati e puòavocare casi alla sua diretta responsabilità, fermo restando l’obbligo di collaborazione da partedel personale appartenente alle altre posizioni funzionali”.

Le modalità di assegnazione in cura dei pazienti dovevano rispettare “criteri oggettivi dicompetenza, di equa distribuzione del lavoro, di rotazione nei vari settori di pertinenza”.

L’attività primariale non era di fatto soggetta a verifiche nel merito, ma solo soggetta a “con-trolli intesi ad accertare la rispondenza dei provvedimenti adottati alle leggi e ai regolamenti”.

La situazione rimase immutata fino alla decisione di avviare un processo di aziendalizza-zione del SSN, avviato con la delega al Governo che venne data con la legge 23 ottobre 1992,n. 4214 che invitava il legislatore delegato a prevedere il livello “dirigenziale apicale, per quantoriguarda il personale medico e per le altre professionalità sanitarie, quale incarico da confe-rire (specificando) [...] le attribuzioni e le responsabilità del personale dirigenziale, ivi inclusequelle relative al personale medico, riguardo agli interventi preventivi, clinici, diagnostici e te-rapeutici, e la regolamentazione delle attività di tirocinio e formazione di tutto il personale”.

Il Governo emanò il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, più volte emendato, che reinqua-drava le vecchie figure mediche del primario, dell’assistente e dell’aiuto in dirigenti di primoe di secondo livello.

Ai dirigenti del primo livello erano attribuite le funzioni di supporto, di collaborazione ecorresponsabilità, con riconoscimento di precisi ambiti di autonomia professionale, nella strut-tura di appartenenza, da attuarsi nel rispetto delle direttive del responsabile.

Ai dirigenti del secondo livello erano invece attribuite funzioni di direzione e organizza-zione della struttura da attuarsi anche mediante direttive a tutto il personale operante nellastessa e l’adozione dei provvedimenti relativi, necessari per il corretto espletamento del ser-vizio; spettavano, in particolare, al dirigente medico appartenente al secondo livello gli indi-rizzi e, in caso di necessità, le decisioni sulle scelte da adottare nei riguardi degli interventipreventivi, clinici, diagnostici e terapeutici.

4 Legge 23 ottobre 1992, n. 421 “Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle disciplinein materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale”.

LE FIGURE MEDICHE SECONDO LA NORMATIVA AZIENDALISTICA DEL D.LGS. 502/1992

Dirigente di I livello

Al personale medico e delle altre professionalitàsanitarie del primo livello sono attribuite le fun-zioni di supporto, di collaborazione e correspon-sabilità, con riconoscimento di precisi ambiti di au-tonomia professionale, nella struttura di apparte-nenza, da attuarsi nel rispetto delle direttive del re-sponsabile.

Dirigente di II livello

Sono attribuite funzioni di direzione e organizza-zione della struttura da attuarsi anche mediante di-rettive a tutto il personale operante nella stessa el’adozione dei provvedimenti relativi, necessari peril corretto espletamento del servizio; spettano, inparticolare, al dirigente medico appartenente al se-condo livello gli indirizzi e, in caso di necessità, ledecisioni sulle scelte da adottare nei riguardi degliinterventi preventivi, clinici, diagnostici e tera-peutici.

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Il rinnovo e il mancato rinnovo del dirigente di secondo livello dovevano essere disposti conprovvedimento motivato dal direttore generale “previa verifica dell’espletamento dell’incaricocon riferimento agli obiettivi affidati ed alle risorse attribuite”. La verifica prevista doveva essereeffettuata da una apposita commissione.

In caso di non rinnovamento dell’incarico non era previsto il licenziamento e neanche laperdita della qualifica di dirigente di secondo livello, bensì solamente la “destinazione ad altrafunzione con la perdita del relativo specifico trattamento economico”. In buona sostanza il di-rigente aveva un sistema di stabilità garantito, cosa anomala per chi riveste la qualifica diri-genziale.

L’INQUADRAMENTO DATO DALLA RIFORMA TER

Le cose sono in ulteriore trasformazione con la riforma ter del SSN operata con il D.Lgs. 19 giu-gno 1999, n. 229 “Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a normadell’articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419”. Ancora una volta la via scelta per la riformadel SSN è stata quella della legislazione delegata. Sul punto della riforma della dirigenza sani-taria, in realtà, non era stato specificamente previsto il risultato al quale è poi arrivato il legisla-tore delegato e cioè l’accorpamento della dirigenza sanitaria di primo e di secondo livello in ununico ruolo dirigenziale.

Si legge infatti nell’art. 13 del D.Lgs. 229/1999 una modifica all’art. 15 del D.Lgs. 502/1992che “fermo restando il principio dell’invarianza della spesa, la dirigenza sanitaria è collocata inun unico ruolo, distinto per profili professionali, e in un unico livello, articolato in relazione allediverse responsabilità professionali e gestionali”.

Il decreto dispone che è compito della contrattazione definire i criteri generali per la gra-duazione delle funzioni dirigenziali nonché per l’assegnazione, valutazione e verifica degli in-carichi dirigenziali e per l’attribuzione del relativo trattamento economico accessorio correlatoalle funzioni attribuite e alle connesse responsabilità del risultato.

L’attività dei dirigenti sanitari è oggi caratterizzata, nello svolgimento delle proprie mansionie funzioni, “dall’autonomia tecnico-professionale i cui ambiti di esercizio, attraverso obiettivimomenti di valutazione e verifica, sono progressivamente ampliati. L’autonomia tecnico-pro-fessionale, con le connesse responsabilità, si esercita nel rispetto della collaborazione multi-professionale, nell’ambito di indirizzi operativi e programmi di attività promossi, valutati e veri-ficati a livello dipartimentale e aziendale, finalizzati all’efficace utilizzo delle risorse e all’eroga-zione di prestazioni appropriate e di qualità. Il dirigente, in relazione all’attività svolta, ai pro-grammi concordati da realizzare e alle specifiche funzioni allo stesso attribuite, è responsabiledel risultato.

L’evoluzione delle competenze delle figure apicali si connota principalmente per la maggioreestensione di funzioni di carattere gestionale e organizzativo più che per le competenze clini-che che sono attribuite a tutti i medici dirigenti che, rispetto al passato, hanno un preciso rico-noscimento del loro esercizio della loro autonomia.

Lo schema riportato nella pagina che segue ci permette di capire meglio l’evoluzione di que-sta complessa materia.

Si notano un affievolimento del potere gerarchico classico riconosciuto alla figura primarialee lo spostamento di funzioni aziendalistiche in capo al direttore. La figura apicale medica, quindi,vede attenuato il potere gerarchico clinico in favore dell’acquisizione di poteri dirigenziali.

D’altra parte, la necessaria dovuta autonomia alle altre posizioni mediche e il riconoscimentodella professionalizzazione delle professioni sanitarie rendeva obbligatorio questo percorso.

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COMPARAZIONE DELL’EVOLUZIONE DELLA NORMATIVA DELLE FIGURE APICALI

Il primario vigila sull’attività e sulladisciplina del personale sanitario,tecnico-sanitario ausiliario ed ese-cutivo assegnato alla sua divisioneo servizio, ha la responsabilità deimalati, definisce i criteri diagnosticie terapeutici che devono essere se-guiti dagli aiuti e dagli assistenti,pratica direttamente sui malati gliinterventi diagnostici e curativi cheritenga di non affidare ai suoi col-laboratori, formula la diagnosi de-finitiva, provvede a che le degenzenon si prolunghino oltre il tempostrettamente necessario agli accer-tamenti diagnostici e alle cure e di-spone la dimissione degli infermi, èresponsabile della regolare compi-lazione delle cartelle cliniche, deiregistri nosologici e della loro con-servazione, fino alla consegna all’ar-chivio centrale; inoltra, tramite ladirezione sanitaria, le denunce dilegge; pratica le visite di consulenzarichieste dai sanitari di altre divi-sioni o servizi; dirige il servizio diambulatorio, adeguandosi alle di-sposizioni e ai turni stabiliti dal di-rettore sanitario; cura la prepara-zione e il perfezionamento tecnico-professionale del personale da luidipendente e promuove iniziativedi ricerca scientifica; esercita le fun-zioni didattiche a lui affidate.

Sono attribuite funzioni di dire-zione e organizzazione dellastruttura da attuarsi anche me-diante direttive a tutto il perso-nale operante nella stessa el’adozione dei provvedimentirelativi, necessari per il correttoespletamento del servizio; spet-tano, in particolare, al dirigentemedico appartenente al secondolivello gli indirizzi e, in caso dinecessità, le decisioni sullescelte da adottare nei riguardidegli interventi preventivi, cli-nici, diagnostici e terapeutici.

Sono attribuite oltre alle funzioniderivanti da specifiche compe-tenze professionali, anche fun-zioni di direzione e organizza-zione della struttura, da attuarsinell’ambito degli indirizzi ge-stionali e operativi del diparti-mento di appartenenza, anchemediante direttive a tutto il per-sonale operante nella stessa, el’adozione delle relative deci-sioni necessarie per il correttoespletamento del servizio e perrealizzare l’appropriatezza de-gli interventi con finalità pre-ventive, diagnostiche, terapeu-tiche e riabilitative, attuati nellastruttura a loro affidata. Il diri-gente è responsabile dell’effi-ciente ed efficace gestione dellerisorse attribuite. I risultati dellagestione sono sottoposti a veri-fica annuale tramite il nucleo divalutazione.

Primario Dirigente di II livello Dirigente con incarico di struttura complessa

Non sempre – a onor del vero – la giurisprudenza ha riconosciuto questa attenuazione dellaresponsabilità primariale e questo affievolimento del potere gerarchico come vedremo nel pros-simo paragrafo.

La responsabilità per il lavoro di équipeCon l’avvento delle grandi organizzazioni sanitarie, come gli ospedali, il lavoro isolato del sin-golo professionista diventa sempre più raro sostituendosi sempre di più al lavoro come membro

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di un’équipe. L’attività medico-chirurgica, da molti anni ormai, si connota per l’azione congiuntadi più professionisti – medici chirurghi, medici anestesisti, infermieri, perfusionisti ecc. – inseritiall’interno di una stessa struttura, di una stessa équipe e organizzati secondo il principio delladivisione del lavoro. Hanno contribuito a questo fenomeno vari fattori, tra i quali la specializza-zione e la iperspecializzazione delle discipline mediche e l’apporto di professionisti sanitari comegli appartenenti alla professione infermieristica che hanno visto cresciuto in modo esponenzialeil loro ruolo professionale.

In uno stesso luogo di lavoro – tipico esempio la sala operatoria – possono lavorare in équipemedici chirurghi, medici di diversa specialità (per esempio, anestesisti), infermieri con funzionidi strumentista, infermieri con funzioni di collaborazione al medico anestesista, perfusionisti. Icomportamenti e gli errori di una di queste figure possono ricadere sugli altri.

Non è però semplice individuare le responsabilità dell’intera équipe rispetto alla responsabilitàdelle varie figure in quanto “i requisiti della responsabilità per colpa nell’ambito del diritto penale,sono stati sostanzialmente sviluppati sul modello del singolo soggetto che agisce isolatamente”.5

Il principio dell’affidamentoPer risolvere il problema della responsabilità nel lavoro in équipe, la dottrina giuridica è giuntaalla conclusione che questo deve essere risolto con il principio dell’affidamento nel corretto adem-pimento degli altri soggetti, essendo anch’essi tenuti all’osservanza delle rispettive regole di con-dotta. Il principio dell’affidamento consiste quindi nel rendere responsabile il singolo professio-nista del corretto adempimento dei compiti che gli sono affidati e, di fatto, sgravarlo dall’obbligodi sorvegliare il comportamento altrui al superiore fine dell’interesse della vita e della salute delpaziente.

Ogni partecipante è quindi “responsabile solo del corretto adempimento dei doveri di dili-genza e di perizia inerenti ai compiti che sono specificamente affidati, perché solo in questa ma-niera ciascun membro del gruppo è lasciato libero, nell’interesse del paziente, di adempiere inmodo soddisfacente alle proprie mansioni”.6

Da questo possiamo dedurre che la responsabilità della medicina d’équipe è sostanzialmenteretta da tre principi fondamentali, di cui il principio dell’affidamento si pone come corollario. Ri-cordiamo infatti il principio della divisione degli obblighi tra i componenti dell’équipe e il principiodell’autoresponsabilità secondo il quale ciascun componente dell’équipe risponde delle inosser-vanze attinenti alla sua competenza specifica.

I limiti individuati nel principio dell’affidamento sono due:

1. quando un professionista in rapporto alle circostanze concrete può avere la previsione o laprevedibilità e l’evitabilità della pericolosità del comportamento scorretto altrui, dovendo intal caso adottare le misure cautelari per ovviare ai rischi dell’altrui scorrettezza;

2. dallo specifico obbligo del soggetto, per la sua particolare posizione gerarchica di prevenireo correggere l’altrui scorretto agire.

Così la dottrina giuridica prima dell’evoluzione della normativa della dirigenza medica e dellaprofessione infermieristica per cui, al posto od oltre la posizione gerarchica, grava l’obbligo diintervento per tutte le figure professionali sanitarie in grado di accorgersi dell’errore e di inter-venire prontamente in modo positivo sulla salute del paziente.

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5 Marinucci G., Marrubini G., Profili penalistici del lavoro medico-chirurgico in équipe, Temi, 1968, p. 217.6 Fiandaca G., Musco E., Diritto penale. Parte generale, Zanichelli, Bologna, 1995, p. 500.

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Anche in tema di causalità omissiva si registra un’attenuazione dell’importanza gerarchicacome mostra la massima della Suprema Corte di Cassazione che riportiamo testualmente:7

È da riconoscere che gli operatori sanitari – medici e paramedici – di una struttura sanitaria sono tutti, exlege, portatori di una posizione di garanzia nei confronti dei pazienti affidati, a diversi livelli, alle loro curee attenzioni, e, in particolare, sono portatori della posizione di garanzia che va sotto il nome di posi-zione di protezione, la quale, come è noto, è contrassegnata dal dovere giuridico, incombente al sog-getto, di provvedere alla tutela di un certo bene giuridico contro qualsivoglia pericolo atto a minac-ciarne l’integrità.Le posizioni di garanzia sono espressioni di solidarietà costituzionalmente riconosciute e la posizionedi protezione degli operatori sanitari sono dovute per l’intero tempo del loro turno di lavoro, con laconseguenza che non possono essere trasferite ai colleghi, i compiti affidati, qualora possono esseresvolti agevolmente all’interno del loro turno, contribuendo, così, con quella esecuzione, alla tempe-stività degli interventi e a evitare di caricare di compiti coloro che, nel momento in cui succedono nelturno, assumeranno la loro posizione di garanzia con pari e, magari, più gravosi compiti da svolgere.

Sul punto non può non farsi riferimento al principio dell’affidamento – operante, come è noto, siain materia di colpa generica, sia in materia di colpa specifica – principio che, inizialmente elaboratosoprattutto con riferimento alla disciplina della circolazione stradale, come nota la dottrina, “assumenotevole importanza anche in rapporto alla determinazione della responsabilità per colpa nell’ambitodelle attività che si svolgono in équipe e, più in generale, con riferimento alla divisione dei compiti ealla delega delle funzioni nell’organizzazione del lavoro”. (Fattispecie relativa alla riconosciuta re-sponsabilità per omcidio colposo a carico di tre infermieri e assoluzione del medico di pronto soc-corso.)

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7 Cassazione penale, IV sez., sentenza del 2 marzo 2000, n. 447.

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Capitolo

LE ALTRE PROFESSIONI SANITARIE

Fino a pochi anni fa era piuttosto difficile inquadrare in modo coerente un gruppo di professionipiuttosto eterogeneo per funzioni, formazione ed esercizio professionale. L’inqua dramento datodalla normativa contrattuale risentiva appunto di queste difficoltà.

Oggi le professioni sanitarie diverse da quella medica sono 22 (il loro numero è destinato adaumentare) e hanno caratteristiche in buona parte omogenee.1 Nello schema alla pagina seguenteè riportato il nuovo ordinamento delle professioni non mediche, anche in seguito alla classifica-zione delle professioni operata dal D.M. 29 marzo 2001.2

Nei paragrafi che seguono riportiamo i profili professionali delle singole professioni seguendolo schema sinottico di cui sopra.

Vengono omessi, in quanto già riportati in altri capitoli, i profili dell’infermiere, dell’infermierepediatrico e dell’assistente sanitario, anche se quest’ultima figura è oggi inquadrata nelle pro-fessioni della prevenzione (vedi cap. 2).

PROFESSIONE INFERMIERISTICA E OSTETRICA

Ostetrica/o

D.M. 14 settembre 1994, n. 740Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’ostetrica/o

Art. 1 1. È individuata la figura dell’ostetrica/o con il seguente profilo: l’ostetrica/o è l’operatore sani-

tario che, in possesso del diploma universitario abilitante e dell’iscrizione all’albo professio-

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1 Benci L., Le professioni sanitarie (non mediche): aspet ti giuridici, deontologici e medicolegali, McGraw-Hill,Milano, 2002.2 D.M. 29 marzo 2001 “Definizione delle figure professionali di cui all’art. 6, comma 3, del D.Lgs. 30 di-cembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, da includere nelle fattispecie previste dagli articoli 1, 2,3 e 4 della L. 10 agosto 2000, n. 251 (art. 6, comma 1, L. n. 251/2000)”, Gazzetta Ufficiale n. 118. del 23maggio 2001.

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nale, assiste e consiglia la donna nel periodo della gravidanza, durante il parto e nel puerpe-rio, conduce e porta a termine parti eutocici con propria responsabilità e presta assistenza alneonato.

2. L’ostetrica/o, per quanto di sua competenza, partecipa:a) ad interventi di educazione sanitaria e sessuale sia nell’ambito della famiglia che nella

comunità;b) alla preparazione psicoprofilattica al parto;c) alla preparazione e all’assistenza ad interventi ginecologici;d) alla prevenzione e all’accertamento dei tumori della sfera genitale femminile;e) ai programmi di assistenza materna e neonatale.

3. L’ostetrica/o, nel rispetto dell’etica professionale, gestisce, come membro dell’équipe sani-taria, l’intervento assistenziale di propria competenza.

4. L’ostetrica/o contribuisce alla formazione del personale di supporto e concorre direttamenteall’aggiornamento relativo al proprio profilo professionale e alla ricerca.

5. L’ostetrica/o è in grado di individuare situazioni potenzialmente patologiche che richiedonointervento medico e di praticare, ove occorra, le relative misure di particolare emergenza.

6. L’ostetrica/o svolge la sua attività in strutture sanitarie, pubbliche o private, in regime di di-pendenza o libero-professionale.

Capitolo 10 – le altre professioni sanitarie

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CLASSIFICAZIONE DELLE PROFESSIONI SANITARIE(LEggE 251/2000 E D.m. 29 mARZO 2001)

Professioni sanitarie infermieristiche e professionesanitaria ostetrica

Infermiere

Ostetrica

Infermiere pediatrico

Professioni sanitarieriabilitative

Podologo

Fisioterapista

Logopedista

Ortottista – Assistente di oftalmologia

Terapista della neuro- e psicomotricitàdell’età evolutiva

Tecnico della riabilitazionepsichiatrica

Terapistaoccupazionale

Educatore professionale

Professioni tecnico-sanitarie

Area tecnico-diagnosticaTecnico audiometrista

Tecnico sanitario di laboratoriobiomedico

Tecnico sanitario di radiologia medica

Tecnico di neurofisiopatologia

Area tecnico-assistenziale

Tecnico ortopedico

Tecnico audioprotesista

Tecnico della fisiopatologiacardiocircolatoria e perfusionecardiovascolare

Igienista dentale

Dietista

Professioni tecnichedella prevenzione

Tecnico dellaprevenzionenell’ambiente e neiluoghi di lavoro

Assistente sanitario

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Art. 2 1. Con decreto del Ministero della Sanità è disciplinata la formazione complementare in rela-

zione a specifiche esigenze del Servizio Sanitario Na zio nale.

Art. 3 1. Il diploma universitario di ostetrica/o, conseguito ai sensi dell’art. 6, comma 3, del decreto

legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, abilita all’esercizio della pro-fessione, previa iscrizione al relativo albo professionale.

Art. 4 1. Con decreto del Ministro della Sanità di concerto con il Ministro dell’Università e della Ricerca

Scientifica e Tecnologica sono individuati i diplomi e gli attestati, conseguiti in base al pre-cedente ordinamento, che sono equipollenti al diploma universitario di cui all’art. 3 ai finidell’esercizio della relativa attività professionale e dell’accesso ai pubblici uffici.

PROFESSIONI RIABILITATIVE

Podologo

D.M. 14 settembre 1994, n. 666Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale del podologo

Art. 1 1. È individuata la figura professionale del podologo con il seguente profilo: il podologo è l’ope-

ratore sanitario che in possesso del diploma universitario abilitante, tratta direttamente, nelrispetto della normativa vigente, dopo esame obiettivo del piede, con metodi incruenti, orte-sici ed idromassoterapici, le callosità, le unghie ipertrofiche, deformi e incarnite, nonché ilpiede doloroso.

2. Il podologo, su prescrizione medica, previene e svolge la medicazione delle ulcerazioni delleverruche del piede e comunque assiste, anche ai fini dell’educazione sanitaria, i soggetti por-tatori di malattie a rischio.

3. Il podologo individua e segnala al medico le sospette condizioni patologiche che richiedonoun approfondimento diagnostico o un intervento terapeutico.

4. Il podologo svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie, pubbliche o private, inregime di dipendenza o libero-professionale.

Art. 2 1. Il diploma universitario di podologo, conseguito ai sensi dell’art. 6, comma 3, del decreto le-

gislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, abilita all’esercizio della pro-fessione.

Art. 3 1. Con decreto del Ministro della Sanità di concerto con il Ministro dell’Università e della Ricerca

Scientifica e Tecnologica sono individuati i diplomi e gli attestati, conseguiti in base al pre-cedente ordinamento, che sono equipollenti al diploma universitario di cui all’art. 2 ai finidell’esercizio della relativa attività professionale e dell’accesso ai pubblici uffici.

le altre professioni sanitarie – Capitolo 10

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Fisioterapista

D.M. 14 settembre 1994, n. 741Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale del fisioterapista

Art. 1 1. È individuata la figura del fisioterapista con il seguente profilo: il fisioterapista è l’operatore

sanitario, in possesso del diploma universitario abilitante, che svolge in via autonoma, o incollaborazione con altre figure sanitarie, gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazionenelle aree della motricità, delle funzioni corticali superiori, e di quelle viscerali conseguenti aeventi patologici, a varia eziologia, congenita o acquisita.

2. In riferimento alla diagnosi e alle prescrizioni del medico, nell’ambito delle proprie compe-tenze, il fisioterapista:a) elabora, anche in équipe multidisciplinare, la definizione del programma di riabilitazione

volto all’individuazione e al superamento del bisogno di salute del disabile;b) pratica autonomamente attività terapeutica per la rieducazione funzionale delle disabi-

lità motorie, psicomotorie e cognitive utilizzando terapie fisiche, manuali, massoterapi-che e occupazionali;

c) propone l’adozione di protesi e ausili, ne addestra all’uso e ne verifica l’efficacia;d) verifica le rispondenze della metodologia riabilitativa attuata agli obiettivi di recupero fun-

zionale.3. Svolge attività di studio, didattica e consulenza professionale, nei servizi sanitari e in quelli

dove si richiedono le sue competenze professionali.4. Il fisioterapista, attraverso la formazione complementare, integra la formazione di base con

indirizzi di specializzazione nel settore della psicomotricità e della terapia occupazionale:a) la specializzazione in psicomotricità consente al fisioterapista di svolgere anche l’assi-

stenza riabilitativa sia psichica che fisica di soggetti in età evolutiva con deficit neuro-sensoriale o psichico;

b) la specializzazione in terapia occupazionale consente al fisioterapista di operare anchenella traduzione funzionale della motricità residua, al fine dello sviluppo di compensi fun-zionali alla disabilità, con particolare riguardo all’addestramento per conseguire l’auto-nomia nella vita quotidiana, di relazione (studio-lavoro-tempo libero), anche ai fini dell’uti-lizzo di vari tipi di ausili in dotazione alla persona o all’ambiente.

5. Il percorso formativo viene definito con decreto del Ministero della Sanità e si conclude conil rilascio di un attestato di formazione specialistica che costituisce titolo preferenziale perl’esercizio delle funzioni specifiche nelle diverse aree, dopo il superamento di apposite provevalutative. La natura preferenziale del titolo è strettamente legata alla sussistenza di obiet-tive necessità del servizio e recede in presenza di mutate condizioni di fatto.

6. Il fisioterapista svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie, pubbliche o private,in regime di dipendenza o libero-professionale.

Art. 2 1. Il diploma universitario di fisioterapista conseguito ai sensi dell’art. 6, comma 3, del decreto

legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, abilita all’esercizio della pro-fessione.

Capitolo 10 – le altre professioni sanitarie

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le altre professioni sanitarie – Capitolo 10

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Art. 31. Con decreto del Ministro della Sanità di concerto con il Ministro dell’Università e della Ricerca

Scientifica e Tecnologica sono individuati i diplomi e gli attestati, conseguiti in base al pre-cedente ordinamento, che sono equipollenti al diploma universitario di cui all’art. 2 ai finidell’esercizio della relativa attività professionale e dell’accesso ai pubblici uffici.

Logopedista

D.M. 14 settembre 1994, n. 742Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionaledel logopedista

Art. 1 1. È individuata la figura del logopedista con il seguente profilo: il logopedista è l’operatore sa-

nitario che, in possesso del diploma universitario abilitante, svolge la propria attività nellaprevenzione e nel trattamento riabilitativo delle patologie del linguaggio e della comunica-zione in età evolutiva, adulta e geriatrica.

2. L’attività del logopedista è volta all’educazione e rieducazione di tutte le patologie che provocanodisturbi della voce, della parola, del linguaggio orale e scritto e degli handicap comunicativi.

3. In riferimento alla diagnosi e alla prescrizione del medico, nell’ambito delle proprie compe-tenze, il logopedista:a) elabora, anche in équipe multidisciplinare, il bilancio logopedico volto all’individuazione

e al superamento del bisogno di salute del disabile;b) pratica autonomamente attività terapeutica per la rieducazione funzionale delle disabi-

lità comunicative e cognitive, utilizzando terapie logopediche di abilitazione e riabilita-zione della comunicazione e del linguaggio, verbali e non verbali;

c) propone l’adozione di ausili, ne addestra all’uso e ne verifica l’efficacia;d) svolge attività di studio, didattica e consulenza professionale, nei servizi sanitari e in quelli

dove si richiedono le sue competenze professionali;e) verifica le rispondenze della metodologia riabilitativa attuata agli obiettivi di recupero fun-

zionale.4. Il logopedista svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie, pubbliche o private, in

regime di dipendenza o libero-professionale.

Art. 2 1. Con decreto del Ministero della Sanità è disciplinata la formazione complementare post-base

in relazione a specifiche esigenze del Servizio Sanitario Nazionale.

Art. 3 1. Il diploma universitario di logopedista conseguito ai sensi dell’art. 6, comma 3, del decreto

legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, abilita all’esercizio della pro-fessione.

Art. 4 1. Con decreto del Ministro della Sanità di concerto con il Ministro dell’Università e della Ricerca

Scientifica e Tecnologica sono individuati i diplomi e gli attestati, conseguiti in base al pre-cedente ordinamento, che sono equipollenti al diploma universitario di cui all’art. 3 ai finidell’esercizio della relativa attività professionale e dell’accesso ai pubblici uffici.

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Ortottista – Assistente di oftalmologia

D.M. 14 settembre 1994, n. 743Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’ortottista-assistente di oftalmologia

Art. 1 1. È individuata la figura professionale dell’ortottista-assistente di oftalmologia con il seguente

profilo: l’ortottista-assistente di oftalmologia è l’operatore sanitario che, in possesso del di-ploma universitario abilitante e su prescrizione del medico, tratta i disturbi motori e senso-riali della visione ed effettua le tecniche di semeiologia strumentale-oftalmologica.

2. L’ortottista-assistente di oftalmologia è responsabile dell’organizzazione, pianificazione equalità degli atti professionali svolti nell’ambito delle proprie mansioni.

3. L’ortottista-assistente di oftalmologia svolge la sua attività professionale in strutture sanita-rie, pubbliche o private, in regime di dipendenza o libero-professionale.

Art. 2 1. Il diploma universitario di ortottista-assistente di oftalmologia, conseguito ai sensi dell’art.

6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, abi-lita all’esercizio della professione.

Art. 3 1. Con decreto del Ministro della Sanità di concerto con il Ministro dell’Università e della Ri-

cerca Scientifica e Tecnologica sono individuati i diplomi e gli attestati, conseguiti in base alprecedente ordinamento, che sono equipollenti al diploma universitario di cui all’art. 2 ai finidell’esercizio della relativa attività professionale e dell’accesso ai pubblici uffici.

Terapista della neuro- e psicomotricità dell’età evolutiva

D.M. 17 gennaio 1997, n. 56Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale del terapista della neuro- e psicomotricità dell’età evolutiva

Art. 1 1. È individuata la figura professionale del terapista della neuro- e psicomotricità dell’età evo-

lutiva, con il seguente profilo: il terapista della neuro- e psicomotricità dell’età evolutiva èl’operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante, svolge, in colla-borazione con l’équipe multiprofessionale di neuropsichiatria infantile e in collaborazionecon le altre discipline dell’area pediatrica, gli interventi di prevenzione, terapia e riabilita-zione delle malattie neuropsichiatriche infantili, nelle aree della neuro-psicomotricità, dellaneuropsicologia e della psicopatologia dello sviluppo.

2. Il terapista della neuro- e psicomotricità dell’età evolutiva, in riferimento alle diagnosi e alleprescrizioni mediche, nell’ambito delle specifiche competenze:a) adatta gli interventi terapeutici alle peculiari caratteristiche dei pazienti in età evolutiva

con quadri clinici multiformi che si modificano nel tempo in relazione alle funzioni emer-genti;

b) individua ed elabora, nell’équipe multiprofessionale, il programma di prevenzione, di te-rapia e riabilitazione volto al superamento del bisogno di salute del bambino con disa-bilità dello sviluppo;

Capitolo 10 – le altre professioni sanitarie

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c) attua interventi terapeutici e riabilitativi nei disturbi percettivo-motori, neurocognitivi enei disturbi di simbolizzazione e di interazione del bambino fin dalla nascita;

d) attua procedure rivolte all’inserimento dei soggetti portatori di disabilità e di handicapneuro-psicomotorio e cognitivo; collabora all’interno dell’équipe multiprofessionale congli operatori scolastici per l’attuazione della prevenzione, della diagnosi funzionale e delprofilo dinamico-funzionale del piano educativo individualizzato;

e) svolge attività terapeutica per le disabilità neuro-psicomotorie, psicomotorie e neuro-psicologiche in età evolutiva utilizzando tecniche specifiche per fascia d’età e per singolistadi di sviluppo;

f) attua procedure di valutazione dell’interrelazione tra funzioni affettive, funzioni cogni-tive e funzioni motorie per ogni singolo disturbo neurologico, neuropsicologico e psico-patologico dell’età evolutiva;

g) identifica il bisogno e realizza il bilancio diagnostico e terapeutico tra rappresentazionesomatica e vissuto corporeo e tra potenzialità funzionali generali e relazione oggettuale;

h) elabora e realizza il programma terapeutico che utilizza schemi e progetti neuromotoricome atti mentali e come strumenti cognitivi e meta-cognitivi; utilizza altresì la dinamicacorporea come integrazione delle funzioni mentali e delle relazioni interpersonali;

i) verifica l’adozione di protesi e di ausili rispetto ai compensi neuropsicologici e al rischiopsicopatologico;

l) partecipa alla riabilitazione funzionale in tutte le patologie acute e croniche dell’infanzia;m) documenta le rispondenze della metodologia riabilitativa attuata secondo gli obiettivi di

recupero funzionale e le caratteristiche proprie delle patologie che si modificano in rap-porto allo sviluppo.

3. Il terapista della neuro- e psicomotricità dell’età evolutiva svolge attività di studio, di didat-tica e di ricerca specifica applicata, e di consulenza professionale, nei servizi sanitari e neiluoghi in cui si richiede la sua competenza professionale.

4. Il terapista della neuro- e psicomotricità dell’età evolutiva contribuisce alla formazione delpersonale di supporto e concorre direttamente all’aggiornamento relativo al proprio profiloprofessionale.

5. Il terapista della neuro- e psicomotricità dell’età evolutiva svolge la sua attività in strutturepubbliche e private, in regime di dipendenza e libero professionale.

Art. 2 1. Il diploma universitario di terapista della neuro- e psicomotricità dell’età evolutiva, conse-

guito ai sensi dell’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, esuccessive modificazioni, abilita all’esercizio della professione.

Tecnico della riabilitazione psichiatrica

D.M. 29 marzo 2001, n. 182Regolamento concernente l’individuazione della figura del tecnico della riabilitazione psichiatrica

Art. 1 1. È soppressa la figura professionale di tecnico dell’educazione e della riabilitazione psichia-

trica e psicosociale di cui al decreto del Ministro della Sanità 17 gennaio 1997, n. 57, pub-blicato nella Gazzetta Ufficiale n. 61 del 14 marzo 1997.

le altre professioni sanitarie – Capitolo 10

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Art. 2 1. È individuata la figura professionale del tecnico della riabilitazione psichiatrica con il seguente

profilo: il tecnico della riabilitazione psichiatrica è l’operatore sanitario che, in possesso deldiploma universitario abilitante, svolge, nell’ambito di un progetto terapeutico elaborato daun’équipe multidisciplinare, interventi riabilitativi ed educativi sui soggetti con disabilità psi-chica.

2. Il tecnico della riabilitazione psichiatrica:a) collabora alla valutazione della disabilità psichica e delle potenzialità del soggetto, analizza

bisogni e istanze evolutive e rileva le risorse del contesto familiare e socio-ambientale;b) collabora all’identificazione degli obiettivi formativo-terapeutici e di riabilitazione psi-

chiatrica nonché alla formulazione dello specifico programma di intervento mirato al re-cupero e allo sviluppo del soggetto in trattamento;

c) attua interventi volti all’abilitazione/riabilitazione dei soggetti alla cura di sé e alle rela-zioni interpersonali di varia complessità nonché, ove possibile, a un’attività lavorativa;

d) opera nel contesto della prevenzione primaria sul territorio, al fine di promuovere lo svi-luppo delle relazioni di rete, per favorire l’accoglienza e la gestione delle situazioni a ri-schio e delle patologie manifestate;

e) opera sulle famiglie e sul contesto sociale dei soggetti, allo scopo di favorirne il reinseri-mento nella comunità;

f) collabora alla valutazione degli esiti del programma di abilitazione e riabilitazione nei sin-goli soggetti, in relazione agli obiettivi prefissati.

3. Il tecnico della riabilitazione psichiatrica contribuisce alla formazione del personale di sup-porto e concorre direttamente all’aggiornamento relativo al proprio profilo professionale.

4. Il tecnico della riabilitazione psichiatrica svolge la sua attività professionale in strutture e ser-vizi sanitari pubblici o privati in regime di dipendenza o libero-professionale.

Art. 3 1. Diploma universitario di tecnico della riabilitazione psichiatrica, conseguito ai sensi dell’ar-

ticolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modifica-zioni, abilita all’esercizio della professione.

Art. 4 1. I corsi di diploma universitario relativi alla figura di cui all’art. 1, sono soppressi, garantendo,

comunque, il completamento degli studi agli studenti iscritti ai corsi già iniziati alla data dientrata in vigore del presente decreto.

2. Il diploma universitario di tecnico dell’educazione e della riabilitazione psichiatrica e psico-sociale è equipollente a quello di educatore professionale.

Terapista occupazionale

D.M. 17 gennaio 1997, n. 136Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale del terapista occupazionale

Art. 1 1. È individuata la figura professionale del terapista occupazionale, con il seguente profilo: il te-

rapista occupazionale è l’operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abi-litante, opera nell’ambito della prevenzione, cura e riabilitazione dei soggetti affetti da ma-

Capitolo 10 – le altre professioni sanitarie

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lattie e disordini fisici, psichici sia con disabilità temporanee che permanenti, utilizzando at-tività espressive, manuali-rappresentative, ludiche, della vita quotidiana.

2. Il terapista occupazionale, in riferimento alla diagnosi e alle prescrizioni del medico, nell’am-bito delle proprie competenze e in collaborazione con altre figure socio-sanitarie:a) effettua una valutazione funzionale e psicologica del soggetto ed elabora, anche in équipe

multidisciplinare, la definizione del programma riabilitativo, volto all’individuazione e alsuperamento dei bisogni del disabile e al suo avviamento verso l’autonomia personalenell’ambiente di vita quotidiana e nel tessuto sociale;

b) tratta condizioni fisiche, psichiche e psichiatriche, temporanee o permanenti, rivolgen-dosi a pazienti di tutte le età; utilizza attività sia individuali che di gruppo, promuovendoil recupero e l’uso ottimale di funzioni finalizzate al reinserimento, all’adattamento e allaintegrazione dell’individuo nel proprio ambiente personale, domestico e sociale;

c) individua ed esalta gli aspetti motivazionali e le potenzialità di adattamento dell’indivi-duo, proprie della specificità terapeutica occupazionale;

d) partecipa alla scelta e all’ideazione di ortesi congiuntamente o in alternativa a specifici ausili;e) propone, ove necessario, modifiche dell’ambiente di vita e promuove azioni educative

verso il soggetto in trattamento, verso la famiglia e la collettività;f) verifica le rispondenze tra la metodologia riabilitativa attuata e gli obiettivi di recupero

funzionale e psicosociale.3. Il terapista occupazionale svolge attività di studio e ricerca, di didattica e di supporto in tutti

gli ambiti in cui è richiesta la specifica professionalità.4. Il terapista occupazionale contribuisce alla formazione del personale di supporto e concorre

direttamente all’aggiornamento relativo al proprio profilo professionale.5. Il terapista occupazionale svolge la sua attività professionale in strutture socio-sanitarie, pub-

bliche o private, in regime di dipendenza o libero professionale.

Art. 2 1. Il diploma universitario di terapista occupazionale, conseguito ai sensi dell’articolo 6, comma

3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, abilita all’eser-cizio della professione.

Educatore professionale

D.M. 8 ottobre 1998, n. 520Regolamento recante norme per l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’educatore professionale, ai sensi dell’articolo 6, comma 3, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502

Art. 11. È individuata la figura professionale dell’educatore professionale, con il seguente profilo: l’edu-

catore professionale è l’operatore sociale e sanitario che, in possesso del diploma universitarioabilitante, attua specifici progetti educativi e riabilitativi, nell’ambito di un progetto terapeuticoelaborato da un’équipe multidisciplinare, volti a uno sviluppo equilibrato della personalità conobiettivi educativo/relazionali in un contesto di partecipazione e recupero alla vita quotidiana;cura il positivo inserimento o reinserimento psico-sociale dei soggetti in difficoltà.

2. L’educatore professionale:a) programma, gestisce e verifica interventi educativi mirati al recupero e allo sviluppo delle

potenzialità dei soggetti in difficoltà per il raggiungimento di livelli sempre più avanzatidi autonomia;

le altre professioni sanitarie – Capitolo 10

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b) contribuisce a promuovere e organizzare strutture e risorse sociali e sanitarie, al fine direalizzare il progetto educativo integrato;

c) programma, organizza, gestisce e verifica le proprie attività professionali all’interno diservizi socio-sanitari e strutture socio-sanitarie-riabilitative e socio-educative, in modocoordinato e integrato con altre figure professionali presenti nelle strutture, con il coin-volgimento diretto dei soggetti interessati e/o delle loro famiglie, dei gruppi, della collet-tività;

d) opera sulle famiglie e sul contesto sociale dei pazienti, allo scopo di favorire il reinseri-mento nella comunità;

e) partecipa ad attività di studio, ricerca e documentazione finalizzate agli scopi sopra elencati.3. L’educatore professionale contribuisce alla formazione degli studenti e del personale di sup-

porto, concorre direttamente all’aggiornamento relativo al proprio profilo professionale eall’educazione alla salute.

4. L’educatore professionale svolge la sua attività professionale, nell’ambito delle proprie com-petenze, in strutture e servizi socio-sanitari e socio-educativi pubblici o privati, sul territorio,nelle strutture residenziali e semiresidenziali in regime di dipendenza o libero-professionale.

Art. 21. Il diploma universitario dell’educatore professionale, conseguito ai sensi dell’articolo 6, comma

3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (2), e successive modificazioni integra-zioni, abilita all’esercizio della professione.

Art. 31. La formazione dell’educatore professionale avviene presso le strutture sanitarie del Servizio

Sanitario Nazionale e le strutture di assistenza socio-sanitaria degli enti pubblici individuatenei protocolli d’intesa fra le regioni e le università. Le università provvedono alla formazioneattraverso la Facoltà di Medicina e Chirurgia in collegamento con le Facoltà di Psicologia, So-ciologia e Scienza dell’Educazione.

PROFESSIONI TECNICO-SANITARIE

Capitolo 10 – le altre professioni sanitarie

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LE PROFESSIONI DELL’AREA TECNICO-DIAGNOSTICA E TECNICO ASSISTENZIALE

Area tecnico-diagnostica

– Tecnico audiometrista

– Tecnico sanitario di laboratorio biomedico

– Tecnico sanitario di radiologia medica

– Tecnico di neurofisiopatologia

Area tecnico-assistenziale

– Tecnico ortopedico

– Tecnico audioprotesista

– Tecnico della fisiopatologia cardiocircolatoria

e perfusione cardiovascolare

– Igienista dentale

– Dietista

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Tecnico audiometrista

D.M. 14 settembre 1994, n. 667Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale del tecnico audiometrista

Art. 1 1. È individuata la figura professionale del tecnico audiometrista con il seguente profilo: il tec-

nico audiometrista è l’operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abili-tante, svolge la propria attività nella prevenzione, valutazione e riabilitazione delle patologiedel sistema uditivo e vestibolare, nel rispetto delle attribuzioni e delle competenze diagno-stico-terapeutiche del medico.

2. L’attività dell’audiometrista è volta all’esecuzione di tutte le prove non invasive, psico-acu-stiche ed elettrofisiologiche di valutazione e misura del sistema uditivo e vestibolare e allariabilitazione dell’handicap conseguente a patologia dell’apparato uditivo e vestibolare.

3. Il tecnico audiometrista:a) opera, su prescrizione del medico, mediante atti professionali che implicano la piena re-

sponsabilità e la conseguente autonomia;b) collabora con altre figure professionali ai programmi di prevenzione e di riabilitazione

delle sordità utilizzando tecniche e metodologie strumentali e protesiche.4. Il tecnico audiometrista svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie, pubbliche o

private, in regime di dipendenza o libero-professionale.

Art. 2 1. Il diploma universitario di tecnico audiometrista, conseguito ai sensi dell’art. 6, comma 3, del

decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (2), e successive modificazioni, abilita all’eser-cizio della professione.

Art. 3 Con decreto del Ministro della Sanità di concerto con il Ministro dell’Università e della RicercaScientifica e Tecnologica sono individuati i diplomi e gli attestati, conseguiti in base al precedenteordinamento, che sono equipollenti al diploma universitario di cui all’art. 2 ai fini dell’eserciziodella relativa attività professionale e dell’accesso ai pubblici uffici.

Tecnico sanitario di laboratorio biomedico

D.M. 14 settembre 1994, n. 745Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale del tecnico sanitario di laboratorio biomedico

Art. 1 1. È individuata la figura del tecnico sanitario di laboratorio biomedico con il seguente profilo:

il tecnico sanitario di laboratorio biomedico è l’operatore sanitario, in possesso del diplomauniversitario abilitante, responsabile degli atti di sua competenza, che svolge attività di la-boratorio di analisi e di ricerca relative ad analisi biomediche e biotecnologiche e in partico-lare di biochimica, di microbiologia e virologia, di farmacotossicologia, di immunologia, dipatologia clinica, di ematologia, di citologia e di istopatologia.

2. Il tecnico sanitario di laboratorio biomedico:a) svolge con autonomia tecnico-professionale la propria prestazione lavorativa in diretta

le altre professioni sanitarie – Capitolo 10

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collaborazione con il personale laureato di laboratorio preposto alle diverse responsabi-lità operative di appartenenza;

b) è responsabile, nelle strutture di laboratorio, del corretto adempimento delle procedureanalitiche e del proprio operato, nell’ambito delle proprie funzioni in applicazione dei pro-tocolli di lavoro definiti dai dirigenti responsabili;

c) verifica la corrispondenza delle prestazioni erogate agli indicatori e standard predefinitidal responsabile della struttura;

d) controlla e verifica il corretto funzionamento delle apparecchiature utilizzate, provvedealla manutenzione ordinaria e alla eventuale eliminazione di piccoli inconvenienti;

e) partecipa alla programmazione e organizzazione del lavoro nell’ambito della struttura incui opera;

f) svolge la sua attività in strutture di laboratorio pubbliche e private, autorizzate secondola normativa vigente, in rapporto di dipendenza o libero-professionale.

3. Il tecnico di laboratorio biomedico contribuisce alla formazione del personale di supporto econcorre direttamente all’aggiornamento relativo al proprio profilo professionale e alla ri-cerca.

Art. 2 1. Con decreto del Ministero della Sanità è disciplinata la formazione complementare post-base

in relazione a specifiche esigenze del Servizio Sanitario Nazionale.

Art. 3 1. Il diploma universitario di tecnico sanitario di laboratorio biomedico conseguito ai sensi dell’art.

6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (2), e successive modificazioni,abilita all’esercizio della professione.

Art. 4 1. Con decreto del Ministro della Sanità di concerto con il Ministro dell’Università e della Ricerca

Scientifica e Tecnologica sono individuati i diplomi e gli attestati, conseguiti in base al pre-cedente ordinamento, che sono equipollenti al diploma universitario di cui all’art. 3, ai finidell’esercizio della relativa attività professionale e dell’accesso ai pubblici uffici.

Tecnico di neurofisiopatologia

D.M. 15 marzo 1995, n. 183Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale del tecnico di neurofisiopatologia

Art. 1 1. È individuata la figura del tecnico di neurofisiopatologia con il seguente profilo: il tecnico di

neurofisiopatologia è l’operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abili-tante, svolge la propria attività nell’ambito della diagnosi delle patologie del sistema nervoso,applicando direttamente, su prescrizione medica, le metodiche diagnostiche specifiche incampo neurologico e neurochirurgico (elettroencefalografia, elettroneuromiografia, poligra-fia, potenziali evocati, ultrasuoni).

2. Il tecnico di neurofisiopatologia:a) applica le metodiche più idonee per la registrazione dei fenomeni bioelettrici, con diretto

intervento sul paziente e sulle apparecchiature ai fini della realizzazione di un programma

Capitolo 10 – le altre professioni sanitarie

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di lavoro diagnostico-strumentale o di ricerca neurofisiologica predisposto in stretta col-laborazione con il medico specialista;

b) gestisce compiutamente il lavoro di raccolta e di ottimizzazione delle varie metodiche dia-gnostiche, sulle quali, su richiesta deve redarre un rapporto descrittivo sotto l’aspetto tecnico;

c) ha dirette responsabilità nell’applicazione e nel risultato finale della metodica diagnosticautilizzata;

d) impiega metodiche diagnostico-strumentali per l’accertamento dell’attività elettrocere-brale ai fini clinici e/o legali;

e) provvede alla predisposizione e controllo della strumentazione delle apparecchiature indotazione;

f) esercita la sua attività in strutture sanitarie pubbliche e private, in regime di dipendenzao libero-professionale.

Art. 2 1. Il diploma universitario di tecnico di neurofisiopatologia, conseguito ai sensi dell’art. 6, comma

3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, abilita all’eser-cizio della professione.

Art. 3 1. Con decreto del Ministro della Sanità, di concerto con il Ministro dell’Università e della Ri-

cerca Scientifica e Tecnologica, sono individuati i diplomi e gli attestati, conseguiti in base alprecedente ordinamento, che sono equipollenti al diploma universitario di cui all’art. 2 ai finidell’esercizio della relativa attività professionale e dell’accesso ai pubblici uffici.

Tecnico ortopedico

D.M. 14 settembre 1994, n. 665Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale del tecnico ortopedico

Art. 1 1. È individuata la figura professionale del tecnico ortopedico con il seguente profilo: il tecnico

ortopedico è l’operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante, su pre-scrizione medica e successivo collaudo, opera la costruzione e/o adattamento, applicazionee fornitura di protesi, ortesi e di ausili sostitutivi, correttivi e di sostegno dell’apparato loco-motore, di natura funzionale ed estetica, di tipo meccanico o che utilizzano l’energia esternao energia mista corporea ed esterna, mediante rilevamento diretto sul paziente di misure emodelli.

2. Il tecnico ortopedico, nell’ambito delle proprie competenze:a) addestra il disabile all’uso delle protesi e delle ortesi applicate. Svolge, in collaborazione

con il medico, assistenza tecnica per la fornitura, la sostituzione e la riparazione delle pro-tesi e delle ortesi applicate;

b) collabora con altre figure professionali al trattamento multidisciplinare previsto nel pianodi riabilitazione;

c) è responsabile dell’organizzazione, pianificazione e qualità degli atti professionali svoltinell’ambito delle proprie mansioni.

3. Il tecnico ortopedico esercita la sua attività professionale in strutture sanitarie, pubbliche oprivate, in regime di dipendenza o libero-professionale.

le altre professioni sanitarie – Capitolo 10

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Art. 2 1. Il diploma universitario di tecnico ortopedico, conseguito ai sensi dell’art. 6, comma 3, del de-

creto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, abilita all’eserciziodella professione.

Art. 3 1. Con decreto del Ministro della Sanità di concerto con il Ministro dell’Università e della Ricerca

Scientifica e Tecnologica sono individuati i diplomi e gli attestati, conseguiti in base al pre-cedente ordinamento, che sono equipollenti al diploma universitario di cui all’art. 2 ai finidell’esercizio della relativa attività professionale e dell’accesso ai pubblici uffici.

Tecnico audioprotesista

D.M. 14 settembre 1994, n. 668Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale del tecnico audioprotesista

Art. 1 1. È individuata la figura professionale del tecnico audioprotesista con il seguente profilo: il tec-

nico audioprotesista è l’operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abili-tante, svolge la propria attività nella fornitura, adattamento e controllo dei presidi protesiciper la prevenzione e correzione dei deficit uditivi.

2. Il tecnico audioprotesista opera su prescrizione del medico mediante atti professionali cheimplicano la piena responsabilità e la conseguente autonomia.

3. L’attività del tecnico audioprotesista è volta all’applicazione dei presidi protesici mediante ilrilievo dell’impronta del condotto uditivo esterno, la costruzione e applicazione delle chioc-ciole o di altri sistemi di accoppiamento acustico e la somministrazione di prove di valuta-zione protesica.

4. Collabora con altre figure professionali ai programmi di prevenzione e di riabilitazione dellesordità mediante la fornitura di presidi protesici e l’addestramento al loro uso.

5. Il tecnico audioprotesista svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie, pubblicheo private, in regime di dipendenza o libero-professionale.

Art. 2 1. Il diploma universitario di tecnico audioprotesista, conseguito ai sensi dell’art. 6, comma 3,

del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, abilita all’eser-cizio della professione.

Art. 3 2. Con decreto del Ministro della Sanità di concerto con il Ministro dell’Università e della Ricerca

Scientifica e Tecnologica sono individuati i diplomi e gli attestati, conseguiti in base al pre-cedente ordinamento, che sono equipollenti al diploma universitario di cui all’art. 2 ai finidell’esercizio della relativa attività professionale e dell’accesso ai pubblici uffici.

Capitolo 10 – le altre professioni sanitarie

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Tecnico della fisiopatologia cardiocircolatoria e perfusione cardiovascolare

D.M. 27 luglio 1998, n. 316 Regolamento recante norme per l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale del tecnico della fisiopatologia cardiocircolatoria e perfusione cardiovascolare

Art. 1 1. È individuata la figura del tecnico della fisiopatologia cardiocircolatoria e perfusione cardiova-

scolare con il seguente profilo: il tecnico di fisiopatologia cardiocircolatoria e perfusione cardio-vascolare è l’operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante e dell’iscri-zione all’albo professionale, provvede alla conduzione e alla manutenzione delle apparecchia-ture relative alle tecniche di circolazione extracorporea e alle tecniche di emodinamica.

2. Le mansioni del tecnico della fisiopatologia cardiocircolatoria e perfusione cardiovascolare sonoesclusivamente di natura tecnica; egli coadiuva il personale medico negli ambienti idonei for-nendo indicazioni essenziali o conducendo, sempre sotto indicazione medica, apparecchiaturefinalizzate alla diagnostica emodinamica o vicarianti le funzioni cardiocircolatorie.

3. Il tecnico della fisiopatologia cardiocircolatoria e perfusione cardiovascolare:a) pianifica, gestisce e valuta quanto necessario per il buon funzionamento delle apparec-

chiature di cui è responsabile;b) garantisce la corretta applicazione delle tecniche di supporto richieste;c) svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie pubbliche o private, in regime di

dipendenza o libero-professionale.4. Il tecnico della fisiopatologia cardiocircolatoria e perfusione cardiovascolare contribuisce alla

formazione del personale di supporto e concorre direttamente all’aggiornamento relativo alprofilo professionale e alla ricerca nelle materie di sua competenza.

Art. 2 1. Il diploma universitario di tecnico della fisiopatologia cardiocircolatoria e perfusione cardio-

vascolare, conseguito ai sensi dell’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre1992, n. 502, e successive modificazioni, abilita all’esercizio della professione.

Igienista dentale

D.M. 15 aprile 1999, n. 137Regolamento recante norme per l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’igienista dentale

Art. 1 1. È individuata la figura professionale dell’igienista dentale con il seguente profilo: l’igienista

dentale è l’operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante, svolgecompiti relativi alla prevenzione delle affezioni orodentali su indicazione degli odontoiatri e dei medici chirurghi legittimati all’esercizio della odontoiatria.

2. L’igienista dentale:a) svolge attività di educazione sanitaria dentale e partecipa a progetti di prevenzione pri-

maria, nell’ambito del sistema sanitario pubblico;b) collabora alla compilazione della cartella clinica odontostomatologica e provvede alla rac-

colta dei dati tecnico-statistici;c) provvede all’ablazione del tartaro e alla levigatura delle radici nonché all’applicazione to-

pica dei vari mezzi profilattici;

le altre professioni sanitarie – Capitolo 10

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d) provvede all’istruzione sulle varie metodiche di igiene orale e sull’uso dei mezzi diagno-stici idonei ad evidenziare placca batterica e patina dentale motivando l’esigenza dei con-trolli clinici periodici;

e) indica le norme di una alimentazione razionale ai fini della tutela della salute dentale.3. L’igienista dentale svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie, pubbliche o pri-

vate, in regime di dipendenza o libero-professionale, su indicazione degli odontoiatri e deimedici chirurghi legittimati all’esercizio della odontoiatria.

Art. 2 1. Il diploma universitario di igienista dentale, conseguito ai sensi dell’articolo 6, comma 3, del

decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, abilita all’eserciziodella professione.

Art. 3 1. Con decreto del Ministro della Sanità di concerto con il Ministro dell’Università e della Ricerca

Scientifica e Tecnologica sono individuati i diplomi e gli attestati, conseguiti in base al pre-cedente ordinamento, che sono equipollenti al diploma universitario di cui all’articolo 2 ai finidell’esercizio della relativa attività professionale e dell’accesso ai pubblici uffici.

Dietista

D.M. 14 settembre 1994, n. 744Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale del dietista

Art. 1 1. È individuata la figura professionale del dietista con il seguente profilo: il dietista è l’opera-

tore sanitario, in possesso del diploma universitario abilitante, competente per tutte le atti-vità finalizzate alla corretta applicazione dell’alimentazione e della nutrizione, ivi compresigli aspetti educativi e di collaborazione all’attuazione delle politiche alimentari, nel rispettodella normativa vigente.

2. Gli specifici atti di competenza del dietista sono:a) organizza e coordina le attività specifiche relative all’alimentazione in generale e alla die-

tetica in particolare;b) collabora con gli organi preposti alla tutela dell’aspetto igienico-sanitario del servizio di

alimentazione;c) elabora, formula ed attua le diete prescritte dal medico e ne controlla l’accettabilità da

parte del paziente;d) collabora con altre figure al trattamento multidisciplinare dei disturbi del comportamento

alimentare;e) studia ed elabora la composizione di razioni alimentari atte a soddisfare i bisogni nutri-

zionali di gruppi di popolazione e pianifica l’organizzazione dei servizi di alimentazionedi comunità di sani e di malati;

f) svolge attività didattico-educativa e di informazione finalizzata alla diffusione di princìpidi alimentazione corretta tale da consentire il recupero e il mantenimento di un buonostato di salute del singolo, di collettività e di gruppi di popolazione.

3. Il dietista svolge la sua attività professionale in strutture pubbliche o private, in regime di di-pendenza o libero-professionale.

Capitolo 10 – le altre professioni sanitarie

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Art. 2 1. Con decreto del Ministero della Sanità è disciplinata la formazione complementare post-base

in relazione a specifiche esigenze del Servizio Sani tario Nazionale.

Art. 3 1. Il diploma universitario di dietista, conseguito ai sensi dell’art. 6, comma 3, del decreto legisla-

tivo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, abilita all’esercizio della professione.

Art. 4 1. Con decreto del Ministro della Sanità di concerto con il Ministro dell’Università e della Ricerca

Scientifica e Tecnologica sono individuati i diplomi e gli attestati, conseguiti in base al pre-cedente ordinamento, che sono equipollenti al diploma universitario di cui all’art. 3 ai finidell’esercizio della relativa attività professionale e dell’accesso ai pubblici uffici.

PROFESSIONI TECNICHE DELLA PREVENZIONE

Tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro

D.M. 17 gennaio 1997, n. 58Regolamento concernente l’individuazione della figura e relativo profilo professionale del tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro

Art. 1 1. È individuata la figura professionale del tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi

di lavoro, con il seguente profilo: il tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di la-voro è l’operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante, è responsa-bile, nell’ambito delle proprie competenze, di tutte le attività di prevenzione, verifica e con-trollo in materia di igiene e sicurezza ambientale nei luoghi di vita e di lavoro, di igiene deglialimenti e delle bevande, di igiene di sanità pubblica e veterinaria.

2. Il tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro, operante nei servizi con com-piti ispettivi e di vigilanza è, nei limiti delle proprie attribuzioni, ufficiale di polizia giudizia-ria; svolge attività istruttoria, finalizzata al rilascio di autorizzazioni o di nulla-osta tecnico-sanitari per attività soggette a controllo.

3. Nell’ambito dell’esercizio della professione, il tecnico della prevenzione nell’ambiente e neiluoghi di lavoro:a) istruisce, determina, contesta e notifica le irregolarità rilevate e formula pareri nell’am-

bito delle proprie competenze;b) vigila e controlla gli ambienti di vita e di lavoro e valuta la necessità di effettuare accer-

tamenti ed inchieste per infortuni e malattie professionali;c) vigila e controlla la rispondenza delle strutture e degli ambienti in relazione alle attività

ad essi connesse;d) vigila e controlla le condizioni di sicurezza degli impianti;e) vigila e controlla la qualità degli alimenti e bevande destinati all’alimentazione dalla

produzione al consumo e valuta la necessità di procedere a successive indagini specia-listiche;

f) vigila e controlla l’igiene e sanità veterinaria, nell’ambito delle proprie competenze, e va-luta la necessità di procedere a successive indagini;

le altre professioni sanitarie – Capitolo 10

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g) vigila e controlla i prodotti cosmetici;h) collabora con l’amministrazione giudiziaria per indagini sui reati contro il patrimonio am-

bientale, sulle condizioni di igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro e sugli alimenti;i) vigila e controlla quant’altro previsto da leggi e regolamenti in materia di prevenzione sa-

nitaria e ambientale, nell’ambito delle proprie competenze.4. Il tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro svolge con autonomia tec-

nico-professionale le proprie attività e collabora con altre figure professionali all’attività diprogrammazione e di organizzazione del lavoro della struttura in cui opera. È responsabiledell’organizzazione della pianificazione, dell’esecuzione e della qualità degli atti svolti nell’eser-cizio della propria attività professionale.

5. Il tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro partecipa ad attività di stu-dio, didattica e consulenza professionale nei servizi sanitari e nei luoghi dove è richiesta lasua competenza professionale; contribuisce alla formazione del personale e collabora diret-tamente all’aggiornamento relativo al proprio profilo e alla ricerca.

6. Il tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro svolge la sua attività profes-sionale in regime di dipendenza o libero-professionale, nell’ambito del Servizio Sanitario Na-zionale, presso tutti i servizi di prevenzione, controllo e vigilanza previsti dalla normativa vi-gente.

Art. 2 1. Il diploma universitario di tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro, con-

seguito ai sensi dell’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, esuccessive modificazioni, abilita all’esercizio della professione.

Capitolo 10 – le altre professioni sanitarie

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Capitolo

LA RESPONSABILITÀ CIVILE

L’ILLECITO CIVILE: LA RESPONSABILITÀ EXTRACONTRATTUALE E LA RESPONSABILITÀ CONTRATTUALE

Il diritto civile ha un diverso ambito e una diversa finalità rispetto al diritto penale. Mentre, comeabbiamo visto, il diritto penale, che è un diritto pubblico, punta a reprimere le violazioni dell’or-dine giuridico generale mediante punizioni, il diritto civile è un diritto privato e si pone comefinalità la tutela degli interessi privati e la reintegrazione del diritto leso.

Lo Stato si comporta diversamente nell’ambito dei due diritti. Nel diritto penale e nel dirittodi procedura penale interviene con un organo che rappresenta l’accusa e promuove l’azione pe-nale, mentre nel diritto civile e nel diritto processuale civile questo non avviene se non in parti-colarissimi casi.

Inoltre i fatti illeciti civili non hanno come caratteristica quella della tassatività come nel di-ritto penale.

Uno stesso fatto può essere fonte sia di responsabilità civile che di responsabilità penale.Tradizionalmente la distinzione della responsabilità civile viene operata tra responsabilità

extracontrattuale e responsabilità contrattuale.La responsabilità extracontrattuale si ha in applicazione del principio del neminem ledere,

cioè del principio di non ledere i diritti protetti. Questo tipo di responsabilità si trova sancito po-sitivamente nell’art. 2043 c.c. che recita: “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad al-tri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”. A questo pro-posito bisogna specificare che:

– il fatto deve essere doloso o colposo;– tra il fatto e l’evento deve esistere un nesso di causalità, cioè l’evento deve essere una con-

seguenza diretta o indiretta del fatto;– il danno procurato deve essere ingiusto.

In questo tipo di responsabilità come nella responsabilità penale, non è responsabile chi ca-giona ad altri un danno per legittima difesa (art. 2044 c.c.), né chi ha compiuto il fatto dannosoin stato di necessità. Si realizza lo stato di necessità tutte le volte che una persona è costrettaa salvare sé o altri da un pericolo attuale di un danno grave alla persona.

In questo caso non si può richiedere un risarcimento danni alla persona che ha causato ildanno, ma al danneggiato “è dovuta un’indennità, la cui misura è rimessa all’equo apprezza-mento del giudice”. Il confronto con lo stato di necessità nel diritto penale si impone: nel diritto

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Capitolo 11 – la responsabilità civile

penale agire in stato di necessità (vedi cap. 14) rende il fatto-reato non punibile, nel diritto ci-vile invece quando si causa un danno ad altri avendo agito in stato di necessità si è liberati dall’ob-bligo di risarcire il danno, ma è dovuta un’indennità, la cui misura, come afferma il codice è ri-messa all’apprezzamento equo del giudice.

Nella responsabilità extracontrattuale chi chiede il risarcimento danni deve dimostrare lacolpevolezza dell’autore del fatto illecito.

Nella responsabilità contrattuale, la responsabilità nasce quando vi è una violazione di unprecedente specifico rapporto obbligatorio, per esempio un contratto o un reato, cioè di un rap-porto obbligatorio contratto prima dell’evento di danno. L’amministrazione dell’azienda USL edell’azienda ospedaliera rispondono verso i pazienti per responsabilità contrattuale.

Anche il dipendente del Servizio sanitario nazionale risponde verso la propria amministra-zione di appartenenza a titolo di responsabilità contrattuale. Il dipendente risponde invece di re-sponsabilità extracontrattuale nei confronti dei danni arrecati ai pazienti.

LA VALUTAZIONE DEL DANNO E IL RISARCIMENTO: DAL RISARCIMENTO DELLE CONSEGUENZE ECONOMICHE AL RICONOSCIMENTO DEL DANNO BIOLOGICO ED ESISTENZIALE

Il sistema di risarcimento del danno istituito dal nostro codice civile è fondato su due articoli chene rappresentano le situazioni fondamentali:

1. l’art. 20431 che riconosce in linea generale il diritto al risarcimento del danno ingiusto, nondistinguendo tra danno patrimoniale e non patrimoniale, ricomprendendoli entrambi comeconseguenza della lesione dell’interesse giuridico;

2. l’art. 20592 che introduce una speciale disciplina per il danno non patrimoniale limitandoloai casi previsti dalla legge. In pratica era riconosciuto il diritto al risarcimento solo come con-seguenza della commissione di un reato. In sostanza il danno non patrimoniale derivante dareato si sostanziava nel danno morale.3

Tradizionalmente però il risarcimento del danno presuppone una valutazione strettamenteeconomica del danno subito. Per molti decenni il sistema si è preoccupato di risarcire più le con-seguenze economiche derivanti dal danno che non il danno stesso.

Ecco allora che il risarcimento del danno veniva tradizionalmente diviso in due situazioni:

– il danno emergente, che consisteva in un’effettiva diminuzione patrimoniale;– il lucro cessante, che consisteva in un mancato guadagno.

I due tipi di danno potevano e possono presentarsi entrambi oppure alternativamente l’unoo l’altro.

1 Art. 2043 c.c. – Risarcimento per fatto illecito “Qualunque fatto, doloso o colposo, che cagiona ad altri undanno ingiusto, obbliga colui che lo ha commesso a risarcire il danno”.2 Art. 2059 c.c. – Danni non patrimoniali “Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi de-terminati dalla legge”.3 “Per danno morale si intende una lesione transeunte provocata al soggetto a causa della commissionedel fatto reato”, Liberati A., La liquidazione del danno esistenziale, Cedam, Padova, 2004, p. 4.

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la responsabilità civile – Capitolo 11

La determinazione del risarcimento del danno è uguale sia per l’illecito contrattuale che perl’illecito extracontrattuale.

Il riconoscimento delle pure conseguenze economiche derivanti dal danno lasciavano peròdel tutto sfornito il vero danno alla salute. Il danno veniva risarcito solo se produceva in capo alsoggetto delle conseguenze economiche.

Per ovviare a questa carenza nasce, per elaborazione giurisprudenziale, il riconoscimento deldanno biologico.

Il danno biologico è quel tipo di danno che viene procurato sulla persona e sulla sua saluteed è stato patrimonializzato dalla giurisprudenza, cioè trasformato in termini economici, anchese il danno biologico non incide sulla capacità di produrre reddito.

Il danno biologico si caratterizza per la sua suscettibilità di valutazione medico-legale ed èrisarcibile indipendentemente dalla sua incidenza sulla capacità di produzione del reddito deldanneggiato.

Il danno che non risulti con precisione nel suo ammontare viene valutato dal giudice conequità.

Il concetto del risarcimento del danno legato prevalentemente alla capacità lavorativa delsoggetto e, in particolare, alla sua capacità di produrre reddito, è stato fortemente ridiscusso inquesti ultimi anni, soprattutto per quanto concerne il cosiddetto lucro cessante.

Nella giurisprudenza tradizionale si leggeva che “il danno alla persona consiste sia nellediminuzioni e nei pregiudizi sofferti dall’offeso nell’integrità personale e nel patrimonio at-tuale (danno emergente), sia nella perdita di quelle unità che nel normale svolgimento dellasua vita integra avrebbe conseguito nel futuro (lucro cessante)”. Non vi era in alcun modo ilriconoscimento di un danno slegato da concezioni patrimoniali e si consideravano dunquedanno le conseguenze di carattere patrimoniale che esso produceva, e non la lesione perso-nale di per sé.

“Secondo il metodo tradizionale, il danno non consiste nella perdita della vita o nella le-sione in sé, ma nelle loro conseguenze patrimoniali accertate sulla base della capacità lavo-rativa del soggetto”.4

Si deve all’opera integratrice della giurisprudenza la riformulazione di un risarcimento deldanno non più legato soltanto alla capacità di produrre reddito di un soggetto.

In base al diritto soggettivo alla salute, pienamente riconosciuto dall’art. 32 della Costitu-zione, viene oggi riconosciuto il danno biologico o danno alla salute. Non è un danno che pro-duce conseguenze negative sul reddito e deve quindi essere liquidato in modo uguale per tuttii danneggiati, tenendo conto solo dell’età e della gravità dell’invalidità temporanea e perma-nente.

Sul punto ha avuto modo di intervenire più volte la Corte Costituzionale affermando che ildanno biologico deve essere ricondotto al genere dei danni patrimoniali e che trova il fonda-mento nell’art. 32 della Costituzione. La Corte ha inoltre concluso che il danno biologico costi-tuisce un danno base da liquidarsi autonomamente rispetto al danno da perdita di reddito intesocome danno conseguenza.5

Negli ultimi anni si è ampliata notevolmente l’area del danno risarcibile. Oltre al danno pa-trimoniale – storicamente consolidatosi –, al danno non patrimoniale, identificatosi nel cosid-detto danno morale, e al danno biologico, si è elaborato il concetto di danno esistenziale.

4 Franzoni M., Il danno alla persona, Giuffrè, Milano, 1995.5 Corte costituzionale, sentenza del 14 luglio 1986, n. 184.

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Il danno esistenziale attiene alla tutela “delle attività realizzatrici della persona”.6 Con taleespressione si intende “la modificazione della vita quotidiana arrecata, in senso peggiorativo,dall’evento lesivo”. Esso si differenzia dal danno patrimoniale in quanto non attiene ai profili pa-trimoniali; si distingue dal danno biologico, perché quest’ultimo postula un accertamento me-dico; si differenzia infine dal danno morale in quanto consiste in un’alterazione della vita quoti-diana e non a un patema vissuto.

Il danno esistenziale può colpire gli affetti familiari (la perdita di un prossimo congiunto, lapossibilità di avere un figlio, la lesione invalidante del congiunto, la lesione a procreare ecc.), oil mondo del lavoro (azioni conseguenti al mobbing, al demansionamento).

Recentemente la giurisprudenza delle sezioni unite della Cassazione ha avuto modo di pre-cisare che la categoria del danno non patrimoniale è unitaria e non può essere suddivisa nellevarie sottocategorie come il danno morale, il danno biologico e il danno esistenziale. Il dannoesistenziale quindi non può essere considerato una categoria autonoma di danno. Rientrano tuttinella generale categoria di danno non patrimoniale e le espressioni danno esistenziale, biologicoo morale hanno solo valore di carattere descrittivo. 7

I LIMITI ALLA RESPONSABILITÀ DEL PROFESSIONISTA

La professione infermieristica rientra nel disposto dell’art. 2229 come professione intellettuale.Sono professioni intellettuali tutte quelle professioni per l’esercizio delle quali sia necessarial’iscrizione in appositi albi o elenchi. L’inclusione della professione infermieristica nella catego-ria delle professioni intellettuali comporta diverse conseguenze tra cui il problema dei limiti allaresponsabilità dell’opera del professionista.

La limitazione di responsabilità è stabilita dall’art. 2236 c.c. il quale specifica che “se la pre-stazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera nonrisponde dei danni se non in caso di dolo o colpa grave”.

La colpa professionale, soprattutto in ambito sanitario, è graduabile e si divide in due distintecategorie: la colpa lieve e la colpa grave.

Per colpa lieve si intende l’omissione di diligenza o la negligenza, dovute all’approntamentonon conforme al caso concreto, e che in conseguenza di ciò hanno causato un danno lieve o in-gente nella esecuzione.

Per colpa grave si intende invece il compimento da parte del professionista di un errore gros-solano, dovuto specialmente alla violazione delle regole fondamentali e alla mancata adozionedelle attività precauzionali minime che devono sempre sovrintendere all’attività sanitaria. È, insostanza, una colpa non scusabile.

La colpa grave non può essere affermata in astratto ma deve essere valutata caso per caso.Questo perché non ogni condotta diversa da quella doverosa implica colpa grave, ma solo quellache sia caratterizzata da particolare negligenza, imprudenza o imperizia e che sia posta in es-sere senza l’osservanza, nel caso concreto, di un livello minimo di diligenza, prudenza o perizia;occorre precisare, inoltre, che tale livello minimo dipende dal tipo di attività concretamente ri-chiesto all’agente e dalla sua particolare preparazione professionale.8

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Capitolo 11 – la responsabilità civile

6 Liberati A., La liquidazione del danno esistenziale, op. cit., p. 33.7 Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza del 25 novembre 2011.8 Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana, sentenza dell’11 marzo 2004, n. 709. Fat-tispecie relativa alla lesione procurata da un infermiere che aveva tentato di rimuovere un corpo estraneo

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LE CONSEGUENZE CIVILISTICHE DELLA MANCATA ISCRIZIONE AL COLLEGIO PROFESSIONALE PER L’INFERMIERE LIBERO PROFESSIONISTA

Abbiamo analizzato nel capitolo 7 le conseguenze penalistiche dell’esercizio abusivo di profes-sione e abbiamo visto le conseguenze della mancata iscrizione al Collegio IPASVI.

Dobbiamo ora esaminare le conseguenze derivanti dalla mancata iscrizione al Collegio equindi all’albo in ambito civilistico, relativamente alle prestazioni effettuate dagli infermieri pro-fessionali liberi professionisti.

L’art. 2231 c.c. stabilisce che quando l’esercizio di una attività professionale è condizionatoall’iscrizione in un albo o in un elenco, la prestazione eseguita da chi non è iscritto non gli dàazione per il pagamento della retribuzione. Questo significa che, se il paziente non paga le pre-stazioni, l’infermiere non iscritto all’albo professionale non può citare in giudizio il paziente peril mancato pagamento.

LA RESPONSABILITÀ DEL DIPENDENTE DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE

I dipendenti del Servizio sanitario nazionale sono da sempre coperti da polizze assicurative o co-munque non rispondono civilmente del loro operato solo nel caso della colpa lieve. Nel caso diriconoscimento della colpa grave o di casi di dolo il dipendente viene chiamato a rispondere per-sonalmente o l’azienda può attivare il principio di rivalsa.

Il recente contratto integrativo nazionale di lavoro9 ha previsto la possibilità per le aziende,similmente a quanto avvenuto per il contratto della dirigenza medica,10 di stipulare una polizzaaggiuntiva per le ipotesi di “colpa grave” dei dipendenti per tutto il personale inquadrato all’in-terno della categoria D (infermieri, ostetriche, fisioterapisti, tecnici sanitari ecc.), richiedendo al

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la responsabilità civile – Capitolo 11

entrato nell’occhio sinistro di una paziente, spruzzandovi, dietro indicazione medica, del liquido con una si-ringa munita di ago metallico che, a causa della pressione esercitata sullo stantuffo, si era conficcato nell’oc-chio della paziente, danneggiandolo irrimediabilmente (perdita del visus). Ha precisato la Corte che l’infer-miere ha utilizzato un mezzo inadeguato e comunque avrebbe dovuto rifiutarsi di intervenire, visto che nonera dotato di una specifica competenza e per di più in una struttura dove, per altro, c’era un apposito repartodi oculistica.9 Accordo 20 settembre 2001 “Contratto collettivo nazionale di lavoro integrativo del CCNL del personaledel comparto Sanità stipulato il 7 aprile 1999”, Gazzetta Ufficiale n. 248 del 24 ottobre 2001.10 Accordo 8 giugno 2000 “Contratto collettivo nazionale di lavoro quadriennio 1998-2001 dell’area relativaalla dirigenza medica e veterinaria del Servizio sanitario nazionale – Parte normativa quadriennio 1998-2001e parte economica biennio 1998-1999”, Gazzetta Ufficiale n. 170 del 22 luglio 2000.Art. 24 – Copertura assicurativa1. Le aziende assumono tutte le iniziative necessarie per garantire la copertura assicurativa della respon-

sabilità civile dei dirigenti, ivi comprese le spese di giudizio ai sensi dell’art. 25, per le eventuali conse-guenze derivanti da azioni giudiziarie dei terzi, relativamente alla loro attività, ivi compresa la libera pro-fessione intramuraria, senza diritto di rivalsa, salvo le ipotesi di dolo o colpa grave.

2. Al fine di pervenire a un’omogenea quanto generalizzata copertura assicurativa per tutti i dirigenti delSSN, è istituita una commissione paritetica nazionale formata dai rappresentanti di tutte le regioni e dalleorganizzazioni sindacali firmatarie del presente contratto per la realizzazione, attraverso forme con-sortili delle stesse regioni, di un fondo nazionale che consenta di provvedere alla predetta tutela me-diante la sottoscrizione di accordi quadro con compagnie di assicurazione appositamente selezionatesecondo le vigenti disposizioni di legge, ai quali le aziende aderiscono.

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dipendente stesso una partecipazione alla spesa per una misura media di lire 10 000 (euro 5,16)mensili su base volontaria.

È una misura resasi necessaria dall’esplosione del contenzioso giudiziario che ha investitofortemente la sanità italiana.

Riportiamo per esteso l’art. 25 del CCNL integrativo 2001.

Art. 25 – Copertura assicurativa

1. Le aziende assumono tutte le iniziative necessarie per garantire la copertura assicurativa della responsa-bilità civile dei dipendenti, ivi comprese le spese di giudizio ai sensi dell’art. 26, per le eventuali conse-guenze derivanti da azioni giudiziarie dei terzi, relativamente alla loro attività senza diritto di rivalsa, salvole ipotesi di dolo o colpa grave.

2. Nell’ambito della Commissione paritetica nazionale prevista dagli articoli 24 dei CC.NN.LL. delle aree diri-genziali del Servizio sanitario nazionale, stipulati l’8 giugno 2000, le parti potranno valutare l’opportunità diprovvedere alla tutela assicurativa aggiuntiva di cui ai citati articoli 24, comma 3, anche per il personaledella categoria D di cui al presente CCNL, in misura media pro capite di lire 10 000 mensili su base volon-taria.

3. Le aziende stipulano apposita polizza assicurativa in favore dei dipendenti autorizzati a servirsi, in occasionedi trasferte o per adempimenti di servizio fuori dall’ufficio, del proprio mezzo di trasporto, limitatamente altempo strettamente necessario per le prestazioni di servizio. In tali casi è fatto salvo il diritto del dipendenteal rimborso delle altre spese documentate e autorizzate dall’azienda per lo svolgimento del servizio.

4. La polizza di cui al comma 3 è rivolta alla copertura dei rischi, non compresi nell’assicurazione obbliga-toria, di terzi, di danneggiamento del mezzo di trasporto di proprietà del dipendente, nonché di lesioni odecesso del medesimo e delle persone di cui sia autorizzato il trasporto.

5. Le polizze di assicurazione relative ai mezzi di trasporto di proprietà dell’azienda sono in ogni caso inte-

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Capitolo 11 – la responsabilità civile

3. Per il raggiungimento di tale scopo, la Commissione paritetica indicherà le modalità di costituzione, gliorgani di gestione, le modalità di funzionamento, il sistema dei controlli del predetto fondo e la decor-renza dei versamenti. Il fondo sarà costituito – come base – dagli apporti economici prestabiliti dallaCommissione a carico delle singole aziende e finanziati dalle stesse con le risorse già destinate alla co-pertura assicurativa e in misura media pro-capite di lire 50 000 mensili, trattenute sulla voce stipendialeprevista dalla commissione stessa, a carico dei dirigenti per la copertura di ulteriori rischi non copertidalla polizza generale.

4. La Commissione paritetica dovrà ultimare i propri lavori entro tre mesi dall’entrata in vigore del presentecontratto.

5. Le aziende stipulano apposita polizza assicurativa in favore dei dirigenti autorizzati a servirsi, in occa-sione di trasferte o per adempimenti di servizio fuori dall’ufficio, del proprio mezzo di trasporto, limita-tamente al tempo strettamente necessario per le prestazioni di servizio. In tali casi è fatto salvo il dirittodel dirigente al rimborso delle altre spese documentate e autorizzate dall’azienda per lo svolgimento delservizio.

6. La polizza di cui al comma 5 è rivolta alla copertura dei rischi, non compresi nell’assicurazione obbli-gatoria, di terzi, di danneggiamento del mezzo di trasporto di proprietà del dirigente, nonché di lesionio decesso del medesimo e delle persone di cui sia autorizzato il trasporto.

7. Le polizze di assicurazione relative ai mezzi di trasporto di proprietà dell’azienda sono in ogni caso in-tegrate con la copertura nei limiti e con le modalità di cui ai commi 2 e 3, dei rischi di lesioni o di de-cesso del dipendente addetto alla guida e delle persone di cui sia stato autorizzato il trasporto.

8. I massimali delle polizze di cui al comma 7 non possono eccedere quelli previsti, per i corrispondentidanni, dalla legge per l’assicurazione obbligatoria.

9. Gli importi liquidati dalle società assicuratrici per morte o gli esiti delle lesioni personali, in base alle po-lizze stipulate da terzi responsabili e di quelle previste dal presente articolo, sono detratti – sino alla con-correnza – dalle somme eventualmente spettanti a titolo di equo indennizzo per lo stesso evento.

10. Sono disapplicati l’art. 28, comma 2, del D.P.R. n. 761/1979 e l’art. 88 del D.P.R. n. 384/1990.

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grate con la copertura nei limiti e con le modalità di cui al comma 2, dei rischi di lesioni o di decesso deldipendente addetto alla guida e delle persone di cui sia stato autorizzato il trasporto.

6. I massimali delle polizze di cui al comma 5 non possono eccedere quelli previsti, per i corrispondenti danni,dalla legge per l’assicurazione obbligatoria.

7. Gli importi liquidati dalle società assicuratrici per morte o gli esiti delle lesioni personali, in base alle po-lizze stipulate da terzi responsabili e di quelle previste dal presente articolo, sono detratti – sino alla con-correnza – dalle somme eventualmente spettanti a titolo di equo indennizzo per lo stesso evento.

8. Sono disapplicati l’art. 28, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 761/1979 11 e l’art. 19del decreto del Presidente della Repubblica n. 384/1990.12

Per quanto concerne il patrocinio legale, l’art. 26 del CCNL integrativo prevede l’assunzionea carico proprio delle spese derivanti dall’apertura di un procedimento civile o penale “a condi-zione che non sussista conflitto di interesse”. Qualora il dipendente intenda nominare un legaledi propria fiducia in sostituzione di quello nominato dall’azienda, gli oneri relativi sono a suo ca-rico, ma in caso di conclusione favorevole del procedimento l’azienda provvede al rimborso dellespese che comunque non potrà essere inferiore alla tariffa ordinistica.

In caso invece di condanna definitiva per fatti commessi con dolo o colpa grave, l’aziendadovrà “esigere” dal dipendente tutti gli oneri sostenuti per la sua difesa.

LA RESPONSABILITÀ CIVILE PER FATTO DELLO STUDENTE INFERMIERE

Nel capitolo 7 è stata esaminata la responsabilità penale per fatto dell’allievo infermiere, mentrein questa sede viene analizzata la responsabilità civile.

Fermi rimanendo i profili di responsabilità civile discussi nei paragrafi precedenti, l’infermiererisponde anche in sede civile dei danni procurati dall’allievo.

L’art. 2048 c.c. delinea questo tipo di responsabilità e specifica che “i precettori e coloro cheinsegnano un mestiere o un’arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loroallievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro responsabilità”.

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la responsabilità civile – Capitolo 11

11 D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 “Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali”.Art. 28 – ResponsabilitàIn materia di responsabilità, ai dipendenti delle unità sanitarie locali si applicano le norme vigenti per i di-pendenti civili dello stato di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, e succes-sive integrazioni e modificazioni. Le unità sanitarie locali possono garantire anche il personale dipendente,mediante adeguata polizza di assicurazione per la responsabilità civile, dalle eventuali conseguenze deri-vanti da azioni giudiziarie promosse da terzi, ivi comprese le spese di giudizio, relativamente alla loro atti-vità, senza diritto di rivalsa, salvo i casi di colpa grave o di dolo.12 D.P.R. 28 novembre 1990, n. 384 “Regolamento per il recepimento delle norme risultanti dalla disciplinaprevista dall’accordo del 6 aprile 1990 concernente il personale del comparto del Servizio sanitario nazio-nale, di cui all’art. 6, D.P.R. 5 marzo 1986, n. 68”.Art. 19 – Copertura assicurativa1. In attuazione dell’art. 6 del decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 1988, n. 395, gli Enti sono te-

nuti a stipulare apposita polizza assicurativa in favore dei dipendenti autorizzati a servirsi, in occasionedi missioni o per adempimenti di servizio fuori dall’ufficio, del proprio mezzo di trasporto, limitatamenteal tempo strettamente necessario per l’esecuzione delle prestazioni di servizio.

2. La polizza di cui al comma 1 è rivolta alla copertura dei rischi, non compresi nell’assicurazione obbliga-toria di terzi, di danneggiamento al mezzo di trasporto di proprietà del dipendente, nonché di lesioni odecesso del dipendente medesimo e delle persone di cui sia stato autorizzato il trasporto.

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Si tratta di un tipico caso classificato dalla dottrina giuridica come responsabilità per culpa invigilando; è pero ammessa la prova liberatoria che consiste nella dimostrazione, da parte di chiera tenuto alla sorveglianza degli allievi, di non avere potuto impedire il fatto.

In pratica l’art. 2048 c.c. pone una presunzione di responsabilità a carico di chi insegna o dichi deve vigilare in caso di danno procurato dagli allievi, “che può essere superata soltanto conla dimostrazione di avere esercitato la vigilanza su essi con una diligenza diretta a impedire ilfatto, cioè quel grado di sorveglianza correlato alla prevedibilità di quanto può accadere, con laconseguenza che, ove manchino anche le più elementari misure organizzative per mantenere ladisciplina tra gli allievi, non si può invocare quell’imprevedibilità del fatto che, invece, esonerada responsabilità soltanto nelle ipotesi in cui non sia possibile evitare l’evento, nonostante la sus-sistenza di un comportamento di vigilanza adeguato alle circostanze”.13

È importante precisare che la responsabilità di chi sorveglia o insegna non esclude la re-sponsabilità dell’allievo, la quale concorre solidalmente con quella del sorvegliante.

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Capitolo 11 – la responsabilità civile

3. Le polizze di assicurazione relative ai mezzi di trasporto di proprietà dell’Ente sono in ogni caso integratecon la copertura, nei limiti e con le modalità di cui ai commi 1 e 2, dei rischi di lesioni o decesso del di-pendente addetto alla guida e delle persone di cui sia stato autorizzato il trasporto.

4. I massimali delle polizze di cui al presente articolo non possono eccedere quelli previsti, per i corrispon-denti danni, dalla legge per l’assicurazione obbligatoria.

5. Gli importi liquidati dalle società assicuratrici in base alle polizze stipulate da terzi responsabili e di quellepreviste dal presente articolo sono detratti dalle somme eventualmente spettanti a titolo di equo indennizzoper lo stesso evento.

13 Corte di Cassazione civile, III sez., sentenza del 22 gennaio 1990, n. 318.

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12Capitolo

LA RESPONSABILITÀ DISCIPLINARE

La responsabilità disciplinare si diversifica in relazione allo status del professionista in:

1. responsabilità amministrativo-disciplinare, per i professionisti dipendenti;2. responsabilità ordinistico-disciplinare per i liberi professionisti.

In questo capitolo tratteremo solo il primo tipo di responsabilità, con specifico riferimento alcontratto collettivo del comparto della sanità pubblica, rimandando al capitolo 18 la responsabi-lità ordinistica.

Il datore di lavoro è titolare di un potere disciplinare che può esercitare negli ambiti e nei li-miti riconosciuti dalla normativa legislativa e contrattuale.

I principi cardine di questo tipo di potere sanzionatorio sono quelli di:

– tassatività (le sanzioni disciplinari possono essere irrogate solo per fatti determinati);– proporzionalità (la sanzione deve essere proporzionata alla gravità del fatto commesso).

Il procedimento disciplinare per i dipendenti del Servizio sanitario nazionale ha subito negliultimi decenni più di una modifica o riforma. Da un procedimento che era caratterizzato da normedi diritto pubblico e con ampie garanzie per il dipendente a un procedimento di carattere azien-dalistico che ha recentemente visto un radicale cambiamento rispetto al passato in seguito allac.d. “Riforma Brunetta” recepita con il D.Lgs. 150/2009.

In seguito a questa riforma legislativa il sistema sanzionatorio disciplinare contrattuale è in-tegrato dalle innovazioni legislative.

GLI OBBLIGHI DEL DIPENDENTE

L’art. 28 del CCNL del 1995 che regolamenta i procedimenti disciplinari viene riportato per estesocon le modifiche introdotte nel 2004.

Art. 28 – Obblighi del dipendente

1. Il dipendente conforma la sua condotta al dovere di contribuire alla gestione della cosa pubblica con im-pegno e responsabilità, nel rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità dell’attività ammini-strativa, anteponendo il rispetto della legge e l’interesse pubblico agli interessi privati propri e altrui. Il di-

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pendente adegua altresì il proprio comportamento ai principi riguardanti il rapporto di lavoro, contenutinel codice di condotta allegato.

2. Il comportamento del dipendente deve essere improntato al perseguimento dell’efficienza dei servizi isti-tuzionali nella primaria considerazione delle esigenze dei cittadini utenti.

3. In tale specifico contesto, tenuto conto dell’esigenza di garantire la migliore qualità del servizio, il dipen-dente deve in particolare:

a) collaborare con diligenza, osservando le norme del presente contratto, le disposizioni per l’esecuzionee la disciplina del lavoro impartite dall’azienda o ente anche in relazione alle norme vigenti in mate-ria di sicurezza e di ambiente di lavoro;

b) rispettare il segreto d’ufficio nei casi e nei modi previsti dalle norme dei singoli ordinamenti ai sensidell’art. 24 della legge 7 agosto 1990, n. 241;

c) non utilizzare a fini privati le informazioni di cui disponga per ragioni d’ufficio;d) nei rapporti con il cittadino, fornire tutte le informazioni cui abbia titolo, nel rispetto delle disposizioni

in materia di trasparenza e di accesso all’attività amministrativa previste dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, dai regolamenti della stessa azienda o ente, nonché attuare le disposizioni dei medesimi in or-dine al D.P.R. del 28 dicembre 2000, n. 445 in tema di autocertificazione;

e) rispettare l’orario di lavoro, adempiere le formalità per la rilevazione delle presenze e non assentarsidal luogo di lavoro senza l’autorizzazione del dirigente del servizio;

f) durante l’orario di lavoro, mantenere nei rapporti interpersonali e con gli utenti condotta uniformataa principi di correttezza e astenersi da comportamenti lesivi della dignità della persona;

g) non attendere durante l’orario di lavoro a occupazioni non attinenti al servizio e, nei periodi di ma-lattia o infortunio, ad attività che posssono ritardare il recupero psicofisico;

h) eseguire le disposizioni inerenti all’espletamento delle proprie funzioni o mansioni che gli siano im-partite dai superiori. Se ritiene che la disposizione sia palesemente illegittima, il dipendente è tenutoa farne immediata e motivata contestazione a chi l’ha impartita, dichiarandone le ragioni; se la di-sposizione è rinnovata per iscritto ha il dovere di darvi esecuzione, salvo che la disposizione stessa siavietata dalla legge penale o costituisca illecito amministrativo;

i) vigilare sul corretto espletamento dell’attività del personale sottordinato ove tale compito rientri nelleproprie responsabilità;

l) avere cura dei beni strumentali a lui affidati;m) non valersi di quanto è di proprietà dell’azienda o ente per ragioni che non siano di servizio;n) non chiedere né accettare, a qualsiasi titolo, compensi, regali o altre utilità in connessione con la pre-

stazione lavorativa;o) osservare scrupolosamente le disposizioni che regolano l’accesso ai locali dell’azienda o ente da parte

del personale e rispettare le disposizioni che regolano l’accesso in locali non aperti al pubblico daparte di persone estranee;

p) comunicare all’azienda o ente la propria residenza e, ove non coincidente, la dimora temporanea,nonché ogni successivo mutamento delle stesse;

q) in caso di malattia, dare tempestivo avviso all’ufficio di appartenenza e inviare il certificato medico,salvo comprovato impedimento;

r) astenersi dal partecipare, nell’esercizio della propria attività di servizio, all’adozione di decisioni o adattività che possano coinvolgere direttamente o indirettamente interessi finanziari o non finanziari pro-pri o di suoi parenti entro il quarto grado o conviventi.

LE ATTUALI SANZIONI DISCIPLINARI

Le attuali sanzioni disciplinari sono:

a) rimprovero verbale; b) rimprovero scritto (censura);

Capitolo 12 – la responsabilità disciplinare

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c) multa di importo variabile fino a un massimo di quattro ore di retribuzione; d) sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino a dieci giorni;e) sospensione dal lavoro e dalla retribuzione fino a 15 giorni; f) sospensione dal lavoro e dalla retribuzione da tre giorni a tre mesi;g) sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da undici giorni fino a un mas-

simo di sei mesi;h) licenziamento con preavviso; i) licenziamento senza preavviso.

Le sanzioni sub e) e sub f) sono introdotte dal decreto legislativo 150/2009 e non presentiquindi nel contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto sanità. Con maggiore esattezza,il punto f) non riguarda il personale del comparto ma la dirigenza a cui viene, all’internodell’azienda, attribuito il potere disciplinare e, per quanto riguarda il presente lavoro, solo ai di-rigenti infermieristici attribuiti di tale potere.

Riportiamo l’elencazione integrata contratto-riforma Brunetta delle sanzioni disciplinari evi-denziando in grigio le norme da considerarsi non più in vigore.

Rimprovero verbale, scritto e multaLa sanzione disciplinare dal minimo del rimprovero verbale o scritto al massimo della multa, diimporto pari a quattro ore della retribuzione di cui all'art. 37, comma 2 lettera c) del CCNL sti-pulato il 20 settembre 2001, si applica, graduando l’entità delle sanzioni in relazione ai criteridi cui al comma 1, per:

a) inosservanza delle disposizioni di servizio, anche in tema di assenze per malattia, nonchédell'orario di lavoro;

b) condotta, nell'ambiente di lavoro, non conforme a principi di correttezza verso superiori oaltri dipendenti o nei confronti degli utenti o terzi;

c) negligenza nell'esecuzione dei compiti assegnati, nella cura dei locali e dei beni mobili ostrumenti a lui affidati o sui quali, in relazione alle sue responsabilità, debba espletare atti-vità di custodia o vigilanza;

d) inosservanza degli obblighi in materia di prevenzione degli infortuni e di sicurezza sul la-voro ove non ne sia derivato danno o disservizio;

e) rifiuto di assoggettarsi a visite personali disposte a tutela del patrimonio dell'azienda o ente,nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 6 della legge n. 300 del 1970;

f) insufficiente rendimento nell'assolvimento dei compiti assegnati rispetto ai carichi di lavoro;g) violazione di doveri di comportamento non ricompresi specificatamente nelle lettere precedenti,

da cui sia derivato disservizio ovvero danno o pericolo all'azienda o ente, agli utenti o terzi.

L'importo delle ritenute per multa sarà introitato dal bilancio dell'azienda o ente e destinatoad attività sociali a favore dei dipendenti.

Sospensione dal servizio fino a dieci giorniLa sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino aun massimo di dieci giorni si applica, graduando l'entità della sanzione in relazione ai criteri dicui al comma 1, per:

a) recidiva nelle mancanze previste dal comma 4, che abbiano comportato l'applicazione delmassimo della multa;

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b) particolare gravità delle mancanze previste dal comma 4;c) assenza ingiustificata dal servizio fino a 10 giorni o arbitrario abbandono dello stesso; in tali

ipotesi, l'entità della sanzione è determinata in relazione alla durata dell'assenza o dell'ab-bandono del servizio, al disservizio determinatosi, alla gravità della violazione dei doveri deldipendente, agli eventuali danni causati all'azienda o ente, agli utenti o terzi;

d) ingiustificato ritardo, non superiore a 10 giorni, a trasferirsi nella sede assegnata;e) svolgimento di attività che ritardino il recupero psicofisico durante lo stato di malattia o di

infortunio;f) testimonianza falsa o reticente in procedimenti disciplinari o rifiuto della stessa, fatta salva

la tutela del segreto professionale nei casi e nei limiti previsti dalla vigente normativa;g) comportamenti minacciosi, gravemente ingiuriosi, calunniosi o diffamatori nei confronti di

utenti, altri dipendenti o terzi;h) alterchi negli ambienti di lavoro con utenti, dipendenti o terzi;i) manifestazioni ingiuriose nei confronti dell'azienda o ente, salvo che siano espressione della

libertà di pensiero, ai sensi dell'art. 1 della legge 300 del 1970;l) atti, comportamenti o molestie, anche di carattere sessuale, lesivi della dignità della per-

sona;m) violazione di doveri di comportamento non ricompresi specificatamente nelle lettere prece-

denti da cui sia, comunque, derivato grave danno all'azienda o ente, agli utenti o terzi.

Sospensione dal servizio da undici giorni a sei mesiLa sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da un-dici giorni fino a un massimo di sei mesi si applica per:

a) recidiva nel biennio delle mancanze previste nel comma 5 quando sia stata comminata lasanzione massima oppure quando le mancanze previste allo stesso comma presentino ca-ratteri di particolare gravità;

b) assenza ingiustificata dal servizio oltre dieci giorni e fino a quindici giorni;c) occultamento di fatti e circostanze relativi a illecito uso, manomissione, distrazione di somme

o beni di spettanza o di pertinenza dell'azienda o ente, o a essa affidati, quando, in relazionealla posizione rivestita, il lavoratore abbia un obbligo di vigilanza o di controllo;

d) insufficiente persistente scarso rendimento dovuto a comportamento negligente;e) esercizio, attraverso sistematici e reiterati atti e comportamenti aggressivi ostili e denigra-

tori, di forme di violenza morale o di persecuzione psicologica nei confronti di un altro di-pendente al fine di procurargli un danno in ambito lavorativo o addirittura di escluderlo dalcontesto lavorativo;

f) atti, comportamenti o molestie, anche di carattere sessuale, di particolare gravità che sianolesivi della dignità della persona;

g) fatti e comportamenti tesi all’elusione dei sistemi di rilevamento elettronici della presenzae dell’orario o manomissione dei fogli di presenza o delle risultanze anche cartacee deglistessi.Tale sanzione si applica nei confronti anche di chi avalli, aiuti o permetta tali atti o com-portamenti;

h) alterchi di particolare gravità con vie di fatto negli ambienti di lavoro con utenti, dipendentio terzi;

i) violazione dei doveri di comportamento non ricompresi specificamente nelle lettere prece-denti, da cui sia comunque derivato grave danno all’azienda o enti, agli utenti o terzi.

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Nella sospensione dal servizio prevista dal presente comma, il dipendente è privato della re-tribuzione fino al decimo giorno mentre, a decorrere dall'undicesimo, viene corrisposta allostesso un’indennità pari al 50% della retribuzione indicata all'art. 37, comma 2, lettera b) delCCNL integrativo del 20 settembre 2001, nonché gli assegni del nucleo familiare ove spettanti.Il periodo di sospensione non è, in ogni caso, computabile ai fini dell'anzianità di servizio.

Il licenziamento con preavvisoLa sanzione disciplinare del licenziamento con preavviso si applica per:

a) recidiva plurima, almeno tre volte nell'anno, in una delle mancanze previste ai commi 5 e6, anche se di diversa natura, o recidiva, nel biennio, in una mancanza che abbia compor-tato l'applicazione della sanzione massima di sei mesi di sospensione dal servizio e dallaretribuzione, salvo quanto previsto al comma 8, lettera a);

b) recidiva nell'infrazione di cui al comma 6, lettera c);c) ingiustificato rifiuto del trasferimento disposto dall'azienda o ente per riconosciute e moti-

vate esigenze di servizio nel rispetto delle vigenti procedure di cui all'art. 18 del CCNL 20settembre 2001, commi 2 e 3 lettera c), in relazione alla tipologia di mobilità attivata;

d) mancata ripresa del servizio nel termine prefissato dall'azienda o ente quando l'assenza ar-bitraria e ingiustificata si sia protratta per un periodo superiore a quindici giorni. Qualora ildipendente riprenda servizio si applica la sanzione di cui al comma 6;

e) continuità, nel biennio, dei comportamenti attestanti il perdurare di una situazione di insuffi-ciente scarso rendimento dovuta a comportamento negligente ovvero per qualsiasi fatto graveche dimostri la piena incapacità ad adempiere adeguatamente agli obblighi di servizio;

f) recidiva nel biennio, anche nei confronti di persona diversa, di sistematici e reiterati atti ecomportamenti aggressivi ostili e denigratori e di forme di violenza morale o di persecuzionepsicologica nei confronti di un collega, al fine di procurargli un danno in ambito lavorativoo addirittura di escluderlo dal contesto lavorativo;

g) recidiva nel biennio di atti, comportamenti o molestie, anche di carattere sessuale, che sianolesivi della dignità della persona;

h) condanna passata in giudicato per un delitto che, commesso in servizio o fuori dal servizio,ma non attinente in via diretta al rapporto di lavoro, non ne consenta la prosecuzione perla sua specifica gravità;

i) assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, su-periore a tre nell’arco di un biennio o comunque per più di sette giorni nel corso degli ultimidieci anni ovvero mancata ripresa del servizio, in caso di assenza ingiustificata, entro il ter-mine fissato dall’amministrazione;1

l) ingiustificato rifiuto del trasferimento disposto dall’amministrazione per motivate esigenzedi servizio;2

m) valutazione di insufficiente rendimento della prestazione lavorativa riferita alla valutazionenegativa di “insufficiente rendimento” consistente di fatto nell’inserimento nella fascia bassadella valutazione prevista proprio dalla Riforma Brunetta con la precisazione che tal posi-zione è data dalla “reiterata violazione degli obblighi concernenti la prestazione stessa, sta-biliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, da atti e prov-vedimenti dell’amministrazione di appartenenza o dai codici di comportamento”.3

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1 Introdotto dall’art. 69 del D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.2 Introdotto dall’art. 69 del D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.3 Introdotto dall’art. 69 del D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

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Il licenziamento senza preavvisoLa sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso si applica per:

a) terza recidiva nel biennio di minacce, ingiurie gravi, calunnie o diffamazioni verso il pubblicoo altri dipendenti, alterchi con vie di fatto negli ambienti di lavoro, anche con utenti;

b) condanna passata in giudicato per un delitto commesso in servizio o fuori servizio che, purnon attenendo in via diretta al rapporto di lavoro, non ne consenta neanche provvisoriamentela prosecuzione per la sua specifica gravità;

c) accertamento che l'impiego fu conseguito mediante la produzione di documenti falsi e, co-munque, con mezzi fraudolenti ovvero che la sottoscrizione del contratto individuale di la-voro sia avvenuta a seguito di presentazione di documenti falsi;

d) commissione in genere – anche nei confronti di terzi – di fatti o atti anche dolosi che, costi-tuendo o meno illeciti di rilevanza penale, sono di gravità tale da non consentire la prosecu-zione neppure provvisoria del rapporto di lavoro;

e) condanna passata in giudicato:– per i delitti indicati nell'art. 15, comma 1, lettere a), b) limitatamente all'art. 316 del co-

dice penale, c) ed e), e comma 4 septies della legge 19 marzo 1990 n. 55 e successive mo-dificazioni;

– quando alla condanna consegua comunque l'interdizione perpetua dai pubblici uffici;– per i delitti previsti dall'art. 3, comma 1 della legge 27 marzo 2001, n. 97;

f) l’ipotesi in cui il dipendente venga arrestato perché colto in flagranza, a commettere reati dipeculato o concussione o corruzione e l’arresto sia convalidato dal giudice per le indaginipreliminari;

g) falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamentodella presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustificazione dell’assenza dal servi-zio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia.4

L’assetto attuale dei sistemi disciplinari dopo la Riforma Brunetta: gli obiettivi e il tentativo di conciliazioneNel nuovo assetto normativo gli obiettivi che il sistema disciplinare si pone sono relativi al “finedi potenziare il livello di efficienza degli uffici pubblici e di contrastare i fenomeni di scarsa pro-duttività ed assenteismo”. Le norme contenute nella nuova disciplina si pongono, come recita ilnuovo art. 55 del D.Lgs. 165/2001 così come modificato dall’art. 68 del decreto Brunetta, come“norme imperative” ai sensi degli artt. 1339 e 1419 secondo comma del codice civile.5 Si richiamainoltre l’osservanza dell’art. 2106 del codice civile.6

Capitolo 12 – la responsabilità disciplinare

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4 Introdotto dall’art. 69 del D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.5 Art. 1339 c.c. – Inserzione automatica di clausoleLe clausole, i prezzi di beni o di servizi, imposti dalla legge sono di diritto inseriti nel contratto, anche in so-stituzione delle clausole difformi apposte dalle parti.Art. 1419 c.c. – Nullità parzialeLa nullità parziale di un contratto o la nullità di singole clausole importa la nullità dell’intero contratto, se risultache i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità.La nullità di singole clausole non importa la nullità del contratto, quando le clausole nulle sono sostituite didiritto da norme imperative.6 Art. 2106 c.c. – Sanzioni disciplinariL’inosservanza delle disposizioni contenute nei due articoli precedenti può dar luogo alla applicazione disanzioni disciplinari, secondo la gravità dell’infrazione.

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L’impianto delle tipologie delle infrazioni e delle sanzioni disciplinari resta quello originariodel contratto di lavoro fatte salve le – numerose e importanti – modifiche introdotte con il de-creto Brunetta.

Viene sostituito l’obbligo di affissione nella bacheca aziendale del codice disciplinare con lasua pubblicazione sul sito web dell’azienda o quanto meno se ne pone l’equivalenza.

Viene introdotta la possibilità – per la contrattazione collettiva – di istituire procedure di con-ciliazione non obbligatoria da “instaurarsi e concludersi entro un termine non superiore a trentagiorni dalla contestazione dell’addebito e comunque prima dell’irrogazione della sanzione”. Lasanzione da applicarsi non può essere “di specie diversa da quella prevista, dalla legge o dalcontratto collettivo, per l’infrazione per la quale si procede e non è soggetta ad impugnazione”.

Scompare quindi la possibilità di attivare il “patteggiamento disciplinare” prima consentito.Inoltre i termini del procedimento disciplinare “restano sospesi dalla data di apertura della pro-

cedura conciliativa e riprendono a decorrere nel caso di conclusione con esito negativo. Il con-tratto collettivo definisce gli atti della procedura conciliativa che ne determinano l’inizio e la con-clusione”.

La forma delle comunicazioni del procedimento disciplinareIl procedimento disciplinare inizia tradizionalmente con una lettera indirizzata al dipendenteavente per oggetto “inizio procedimento disciplinare” oppure “contestazione di addebiti”.

La recente Riforma Brunetta ha disposto che, oltre alla tradizionale raccomandata con rice-vuta di ritorno o alla consegna a mano si affianchi oggi – e nel futuro si sostituirà – la consegnaeffettuata “tramite posta elettronica certificata”. Per le comunicazioni successive alla contesta-zione dell’addebito, il dipendente può indicare, altresì, un numero di fax, di cui egli o il suo pro-curatore abbia la disponibilità.

Per l’esercizio del diritto di difesa il dipendente ha diritto di accesso agli atti istruttori.

Il nuovo procedimento disciplinare: le infrazioni di minore gravitàLa nuova disciplina innova in primo luogo distinguendo la procedura tra le infrazioni di minoree le infrazioni di maggiore gravità.

Rientrano nelle prime tutte le sanzioni che prevedono la sanzione del rimprovero verbale,rimprovero scritto, la multa fino a 4 ore e la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione fino adieci giorni.

Rientrano invece nelle infrazioni di maggiore gravità tutte le sanzioni che prevedono la so-spensione dal lavoro e dalla retribuzione da dieci giorni a sei mesi, la nuova sanzione da tregiorni a tre mesi, il licenziamento con preavviso e il licenziamento senza preavviso.

In questo paragrafo ci occupiamo del procedimento relativo alle infrazioni di minore gra-vità.

Il nuovo sistema inoltre innova e distingue sulla competenza e sulla titolarità a iniziare econcludere un procedimento disciplinare a seconda che la contestazione provenga dal respon-sabile della struttura con “qualifica dirigenziale” oppure da un responsabile che non abbia laqualifica dirigenziale.

In linea con l’impianto complessivo della riforma, che ha anche il dichiarato intento di raffor-zare “i poteri datoriali” del dirigente, per la prima volta nell’ordinamento dei sistemi disciplinarila titolarità a contestare – sia pure solo le infrazioni di minore gravità – si attribuisce diretta-mente al dirigente. È ovvio che sarà il regolamento aziendale a definire la tipologia dei dirigenticoinvolti stante la natura più professionale che dirigenziale della dirigenza sanitaria del Servi-zio sanitario nazionale.

la responsabilità disciplinare – Capitolo 12

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È di competenza del regolamento aziendale individuare il dirigente responsabile del proce-dimento disciplinare.

Per il personale infermieristico coerenza vorrebbe che tale titolare venisse individuato neldirigente del Servizio infermieristico.

La procedura disciplinare contestata dal dirigenteQuando il dirigente ha notizia di comportamenti punibili con le sanzioni di minore gravità deve“senza indugio e comunque non oltre venti giorni” contestare per iscritto l’addebito al dipen-dente e convocarlo per il contraddittorio a sua difesa, “con l’eventuale assistenza di un procu-ratore ovvero di un rappresentante dell’associazione sindacale cui il lavoratore aderisce o con-ferisce mandato, con un preavviso di almeno dieci giorni”.

Entro i venti giorni il “dipendente convocato, se non intende presentarsi, può inviare unamemoria scritta o, in caso di grave e oggettivo impedimento, formulare motivata istanza di rin-vio del termine per l’esercizio della sua difesa”.

Dopo l’espletamento dell’eventuale ulteriore attività istruttoria, il responsabile della strut-tura conclude il procedimento, con l’atto di archiviazione o di irrogazione della sanzione, en-tro sessanta giorni dalla contestazione dell’addebito. In caso di differimento superiore a diecigiorni del termine a difesa, per impedimento del dipendente, il termine per la conclusione delprocedimento è prorogato in misura corrispondente. Il differimento può essere disposto per unasola volta nel corso del procedimento. La violazione dei termini stabiliti nel presente commacomporta, per l’amministrazione, la decadenza dall’azione disciplinare ovvero, per il dipen-dente, dall’esercizio del diritto di difesa.

Se invece la sanzione da applicare è più grave di quelle definite di minore gravità il dirigentetrasmette gli atti entro cinque giorni dalla notizia del fatto all’ufficio competente per le sanzionidisciplinari dandone contestualmente notizia all’interessato.

Per le sanzioni che prevedono la sanzione del Rimprovero verbale, la procedura da seguireè prevista nel CCNL. Non vi sono particolari adempimenti per l’irrogazione di tale sanzione. Nonè necessaria la contestazione scritta.

La sanzione deve essere applicata entro venti giorni da quando il dirigente è venuto a co-noscenza del fatto e non è necessaria la convocazione scritta.

La procedura disciplinare contestata da un non dirigenteSe il responsabile della struttura non ha qualifica dirigenziale trasmette gli atti, entro cinquegiorni dalla notizia del fatto, all’ufficio competente per le sanzioni disciplinari, dandone conte-stuale comunicazione all’interessato.

L’ufficio competente per le sanzioni disciplinari contesta l’addebito al dipendente e utilizzale stessa identica procedura prevista nel caso di contestazione operata dal dirigente se l’infra-zione è di minore gravità.

La procedura disciplinare per le infrazioni di maggiore gravitàPer le infrazioni di maggiore gravità che, come abbiamo visto, sono tutte le sanzioni che pre-vedono la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione da dieci giorni a sei mesi, la nuova san-zione da tre giorni a tre mesi, il licenziamento con preavviso e il licenziamento senza preavvisouna volta ricevuto dal dirigente o dal non dirigente la notizia del fatto – entro cinque giorni dallasua commissione – l’ufficio competente per le sanzioni disciplinari è titolare del procedimentoin via esclusiva. I termini, rispetto al procedimento per la minore gravità, sono raddoppiati adeccezione della eventuale sospensione per un procedimento penale in corso (vedi infra).

Capitolo 12 – la responsabilità disciplinare

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Le impugnazioni del procedimento disciplinareVengono soppressi i Collegi arbitrali di disciplina istituiti durante il periodo di privatizzazionedel rapporto di lavoro e si pone uno specifico divieto di istituirne di nuovi con la contrattazionecollettiva.

Il giudice competente per la decisione delle controversie sui procedimenti disciplinari è ilgiudice ordinario.

Resta salva la possibilità di impugnare la sanzione disciplinare, entro 20 giorni, dinanzi alcollegio di conciliazione e arbitrato costituito tramite l’ufficio provinciale del lavoro, ai sensidell’art. 7 della legge 300/1970 (Statuto dei lavoratori).

La responsabilità disciplinare per violazione del codice di comportamentoL’art. 547 del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle di-pendenze delle amministrazioni pubbliche” specifica che il dipartimento della funzione pub-blica, “sentite le confederazioni sindacali rappresentative ai sensi dell’art. 43, definisce un co-dice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, anche in relazione allenecessarie misure organizzative da adottare al fine di assicurare la qualità dei servizi che lestesse amministrazioni rendono ai cittadini”.

Il codice è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale e consegnato al dipendente all’atto dell’as-sunzione, e le pubbliche amministrazioni formulano all’ARAN indirizzi tesi al recepimento delcodice anche per il necessario coordinamento con le restanti disposizioni disciplinari contenutenei contratti collettivi nazionali di lavoro.

Si possono prevedere specifici codici di comparto (quindi anche per quello sanitario) e sull’ap-plicazione dei codici stessi vigilano “i dirigenti responsabili di ciascuna struttura”.

È compito delle strutture organizzare corsi di formazione per l’approfondimento e la cono-scenza dei codici.

L’attuale codice, recepito con il D.M. 28 novembre 2000 “Codice di comportamento dei di-pendenti delle pubbliche amministrazioni”, sostituisce il precedente codice recepito con il D.M.31 marzo 1994.

Riportiamo per esteso il documento.

D.M. 28 novembre 2000Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni

Art. 1 – Disposizioni di carattere generale1. I principi e i contenuti del presente codice costituiscono specificazioni esemplificative degli obblighi di

diligenza, lealtà e imparzialità, che qualificano il corretto adempimento della prestazione lavorativa. I di-pendenti pubblici – escluso il personale militare, quello della polizia di Stato e il Corpo di polizia peni-tenziaria, nonché i componenti delle Magistrature e dell’Avvocatura dello Stato – si impegnano a osser-varli all’atto dell’assunzione in servizio.

2. I contratti collettivi provvedono, a norma dell’art. 58 bis, comma 3, del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, alcoordinamento con le previsioni in materia di responsabilità disciplinare. Restano ferme le disposizioniriguardanti le altre forme di responsabilità dei pubblici dipendenti.

3. Le disposizioni che seguono trovano applicazione in tutti i casi in cui non siano applicabili norme dilegge o di regolamento o comunque per i profili non diversamente disciplinati da leggi o regolamenti.

la responsabilità disciplinare – Capitolo 12

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7 D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle am-ministrazioni pubbliche”. L’art. 54 rubricato “Codice di comportamento” sostituisce l’art. 58 bis del D.Lgs.n. 29 del 1993, aggiunto dall’art. 26 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e successivamente sostituito dall’art. 27del D.Lgs. n. 80 del 1998.

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Nel rispetto dei principi enunciati dall’art. 2, le previsioni degli articoli 3 e seguenti possono essere inte-grate e specificate dai codici adottati dalle singole amministrazioni ai sensi dell’art. 58 bis, comma 5, delD.Lgs 3 febbraio 1993, n. 29.

Art. 2 – Principi1. Il dipendente conforma la sua condotta al dovere costituzionale di servire esclusivamente la Nazione con

disciplina e onore e di rispettare i principi di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione.Nell’espletamento dei propri compiti, il dipendente assicura il rispetto della legge e persegue esclusiva-mente l’interesse pubblico; ispira le proprie decisioni e i propri comportamenti alla cura dell’interessepubblico che gli è affidato.

2. Il dipendente mantiene una posizione di indipendenza, al fine di evitare di prendere decisioni o svolgereattività inerenti alle sue mansioni in situazioni, anche solo apparenti, di conflitto di interessi. Egli nonsvolge alcuna attività che contrasti con il corretto adempimento dei compiti d’ufficio e si impegna a evi-tare situazioni e comportamenti che possano nuocere agli interessi o all’immagine della pubblica ammi-nistrazione.

3. Nel rispetto dell’orario di lavoro, il dipendente dedica la giusta quantità di tempo e di energie allo svol-gimento delle proprie competenze, si impegna ad adempierle nel modo più semplice ed efficiente nell’in-teresse dei cittadini e assume le responsabilità connesse ai propri compiti.

4. Il dipendente usa e custodisce con cura i beni di cui dispone per ragioni di ufficio e non utilizza a finiprivati le informazioni di cui dispone per ragioni di ufficio.

5. Il comportamento del dipendente deve essere tale da stabilire un rapporto di fiducia e collaborazione trai cittadini e l’amministrazione. Nei rapporti con i cittadini, egli dimostra la massima disponibilità e nonne ostacola l’esercizio dei diritti. Favorisce l’accesso degli stessi alle informazioni a cui abbiano titolo e,nei limiti in cui ciò non sia vietato, fornisce tutte le notizie e informazioni necessarie per valutare le de-cisioni dell’amministrazione e i comportamenti dei dipendenti.

6. Il dipendente limita gli adempimenti a carico dei cittadini e delle imprese a quelli indispensabili e applicaogni possibile misura di semplificazione dell’attività amministrativa, agevolando, comunque, lo svolgimento,da parte dei cittadini, delle attività loro consentite o comunque non contrarie alle norme giuridiche in vi-gore.

7. Nello svolgimento dei propri compiti, il dipendente rispetta la distribuzione delle funzioni tra Stato edenti territoriali. Nei limiti delle proprie competenze, favorisce l’esercizio delle funzioni e dei compiti daparte dell’autorità territorialmente competente e funzionalmente più vicina ai cittadini interessati.

Art. 3 – Regali e altre utilità1. Il dipendente non chiede, per sé o per altri, né accetta, neanche in occasione di festività, regali o altre

utilità, salvo quelli d’uso di modico valore, da soggetti che abbiano tratto o comunque possano trarre be-nefìci da decisioni o attività inerenti all’ufficio.

2. Il dipendente non chiede, per sé o per altri, né accetta, regali o altre utilità da un subordinato o da suoiparenti entro il quarto grado. Il dipendente non offre regali o altre utilità a un sovraordinato o a suoi pa-renti entro il quarto grado, o conviventi, salvo quelli d’uso di modico valore.

Art. 4 – Partecipazione ad associazioni e altre organizzazioni1. Nel rispetto della disciplina vigente del diritto di associazione, il dipendente comunica al dirigente dell’uf-

ficio la propria adesione ad associazioni e organizzazioni, anche a carattere non riservato, i cui interessisiano coinvolti dallo svolgimento dell’attività dell’ufficio, salvo che si tratti di partiti politici o sindacati.

2. Il dipendente non costringe altri dipendenti ad aderire ad associazioni e organizzazioni, né li induce afarlo promettendo vantaggi di carriera.

Art. 5 – Trasparenza negli interessi finanziari1. Il dipendente informa per iscritto il dirigente dell’ufficio di tutti i rapporti di collaborazione in qualunque

modo retribuiti che egli abbia avuto nell’ultimo quinquennio, precisando:a) se egli, o suoi parenti entro il quarto grado o conviventi, abbiano ancora rapporti finanziari con il

soggetto con cui ha avuto i predetti rapporti di collaborazione;b) se tali rapporti siano intercorsi o intercorrano con soggetti che abbiano interessi in attività o decisioni

inerenti all’ufficio, limitatamente alle pratiche a lui affidate.

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2. Il dirigente, prima di assumere le sue funzioni, comunica all’amministrazione le partecipazioni azionariee gli altri interessi finanziari che possano porlo in conflitto di interessi con la funzione pubblica che svolgee dichiara se ha parenti entro il quarto grado o affini entro il secondo, o conviventi che esercitano attivitàpolitiche, professionali o economiche che li pongano in contatti frequenti con l’ufficio che egli dovrà di-rigere o che siano coinvolte nelle decisioni o nelle attività inerenti all’ufficio. Su motivata richiesta del di-rigente competente in materia di affari generali e personale, egli fornisce ulteriori informazioni sulla pro-pria situazione patrimoniale e tributaria.

Art. 6 – Obbligo di astensione1. Il dipendente si astiene dal partecipare all’adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere in-

teressi propri ovvero: di suoi parenti entro il quarto grado o conviventi; di individui od organizzazioni concui egli stesso o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito; di indi-vidui od organizzazioni di cui egli sia tutore, curatore, procuratore o agente; di enti, associazioni anchenon riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui egli sia amministratore o gerente o dirigente. Il di-pendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza. Sull’astensione decideil dirigente dell’ufficio.

Art. 7 – Attività collaterali1. Il dipendente non accetta da soggetti diversi dall’amministrazione retribuzioni o altre utilità per prestazioni

alle quali è tenuto per lo svolgimento dei propri compiti d’ufficio.2. Il dipendente non accetta incarichi di collaborazione con individui od organizzazioni che abbiano, o ab-

biano avuto nel biennio precedente, un interesse economico in decisioni o attività inerenti all’ufficio.3. Il dipendente non sollecita ai propri superiori il conferimento di incarichi remunerati.

Art. 8 – Imparzialità1. Il dipendente, nell’adempimento della prestazione lavorativa, assicura la parità di trattamento tra i citta-

dini che vengono in contatto con l’amministrazione da cui dipende. A tal fine, egli non rifiuta né accordaad alcuno prestazioni che siano normalmente accordate o rifiutate ad altri.

2. Il dipendente si attiene a corrette modalità di svolgimento dell’attività amministrativa di sua competenza,respingendo in particolare ogni illegittima pressione, ancorché esercitata dai suoi superiori.

Art. 9 – Comportamento nella vita sociale1. Il dipendente non sfrutta la posizione che ricopre nell’amministrazione per ottenere utilità che non gli spet-

tino. Nei rapporti privati, in particolare con pubblici ufficiali nell’esercizio delle loro funzioni, non men-ziona né fa altrimenti intendere, di propria iniziativa, tale posizione, qualora ciò possa nuocere all’imma-gine dell’amministrazione.

Art. 10 – Comportamento in servizio1. Il dipendente, salvo giustificato motivo, non ritarda né affida ad altri dipendenti il compimento di attività

o l’adozione di decisioni di propria spettanza.2. Nel rispetto delle previsioni contrattuali, il dipendente limita le assenze dal luogo di lavoro a quelle stret-

tamente necessarie.3. Il dipendente non utilizza a fini privati materiale o attrezzature di cui dispone per ragioni di ufficio. Salvo

casi d’urgenza, egli non utilizza le linee telefoniche dell’ufficio per esigenze personali. Il dipendente chedispone di mezzi di trasporto dell’amministrazione se ne serve per lo svolgimento dei suoi compiti d’uffi-cio e non vi trasporta abitualmente persone estranee all’amministrazione.

4. Il dipendente non accetta per uso personale, né detiene o gode a titolo personale, utilità spettanti all’ac-quirente, in relazione all’acquisto di beni o servizi per ragioni di ufficio.

Art. 11 – Rapporti con il pubblico1. Il dipendente in diretto rapporto con il pubblico presta adeguata attenzione alle domande di ciascuno e

fornisce le spiegazioni che gli siano richieste in ordine al comportamento proprio e di altri dipendentidell’ufficio. Nella trattazione delle pratiche egli rispetta l’ordine cronologico e non rifiuta prestazioni a cuisia tenuto motivando genericamente con la quantità di lavoro da svolgere o la mancanza di tempo a di-sposizione. Egli rispetta gli appuntamenti con i cittadini e risponde sollecitamente ai loro reclami.

la responsabilità disciplinare – Capitolo 12

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2. Salvo il diritto di esprimere valutazioni e diffondere informazioni a tutela dei diritti sindacali e dei citta-dini, il dipendente si astiene da dichiarazioni pubbliche che vadano a detrimento dell’immagine dell’am-ministrazione. Il dipendente tiene informato il dirigente dell’ufficio dei propri rapporti con gli organi distampa.

3. Il dipendente non prende impegni né fa promesse in ordine a decisioni o azioni proprie o altrui inerentiall’ufficio, se ciò possa generare o confermare sfiducia nell’amministrazione o nella sua indipendenzaed imparzialità.

4. Nella redazione dei testi scritti e in tutte le altre comunicazioni il dipendente adotta un linguaggio chiaroe comprensibile.

5. Il dipendente che svolge la sua attività lavorativa in un’amministrazione che fornisce servizi al pubblicosi preoccupa del rispetto degli standard di qualità e di quantità fissati dall’amministrazione nelle appo-site carte dei servizi. Egli si preoccupa di assicurare la continuità del servizio, di consentire agli utenti lascelta tra i diversi erogatori e di fornire loro informazioni sulle modalità di prestazione del servizio e suilivelli di qualità.

Art. 12 – Contratti1. Nella stipulazione di contratti per conto dell’amministrazione, il dipendente non ricorre a mediazione

o ad altra opera di terzi, né corrisponde o promette ad alcuno utilità a titolo di intermediazione, né perfacilitare o aver facilitato la conclusione o l’esecuzione del contratto.

2. Il dipendente non conclude, per conto dell’amministrazione, contratti di appalto, fornitura, servizio, fi-nanziamento o assicurazione con imprese con le quali abbia stipulato contratti a titolo privato nel bien-nio precedente. Nel caso in cui l’amministrazione concluda contratti di appalto, fornitura, servizio, fi-nanziamento o assicurazione, con imprese con le quali egli abbia concluso contratti a titolo privato nelbiennio precedente, si astiene dal partecipare all’adozione delle decisioni ed alle attività relative all’ese-cuzione del contratto.

3. Il dipendente che stipula contratti a titolo privato con imprese con cui abbia concluso, nel biennio pre-cedente, contratti di appalto, fornitura, servizio, finanziamento e assicurazione, per conto dell’ammini-strazione, ne informa per iscritto il dirigente dell’ufficio.

4. Se nelle situazioni di cui ai commi 2 e 3 si trova il dirigente, questi informa per iscritto il dirigente com-petente in materia di affari generali e personale.

Art. 13 – Obblighi connessi alla valutazione dei risultati1. Il dirigente e il dipendente forniscono all’ufficio interno di controllo tutte le informazioni necessarie a

una piena valutazione dei risultati conseguiti dall’ufficio presso il quale prestano servizio. L’informa-zione è resa con particolare riguardo alle seguenti finalità: modalità di svolgimento dell’attività dell’uf-ficio; qualità dei servizi prestati; parità di trattamento tra le diverse categorie di cittadini e utenti; age-vole accesso agli uffici, specie per gli utenti disabili; semplificazione e celerità delle procedure; osser-vanza dei termini prescritti per la conclusione delle procedure; sollecita risposta a reclami, istanze e se-gnalazioni.

Art. 14 – AbrogazioneIl decreto del Ministro della funzione pubblica 31 marzo 1994 è abrogato.

Il codice di comportamento deve essere aggiornato ogni quattro anni.L’inosservanza del codice di comportamento da parte del dipendente origina una responsa-

bilità disciplinare, salvo fatti gravi che possono integrare anche una responsabilità civile o pe-nale. Per espressa dispozione del codice di comportamento, questo dovrà essere recepito neicontratti collettivi di lavoro e dovrà essere armonizzato con le altre situazioni che possono dareluogo a responsabilità disciplinare.

È bene precisare che non tutte le disposizioni contenute nel codice di comportamento por-tano, in caso di loro inosservanza, a responsabilità disciplinari.

Alcune disposizioni sembrano mutuate da un codice deontologico, esprimono principi e nonsono sanzionabili data la loro indeterminatezza.

Capitolo 12 – la responsabilità disciplinare

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I rapporti tra il procedimento penale e il procedimento disciplinareLa Riforma Brunetta innova profondamente anche nei rapporti tra procedimento disciplinare eprocedimento penale. Ricordiamo che in caso di procedimento penale, nella normativa previ-gente, l’azienda doveva iniziare il procedimento disciplinare e, una volta accertata l’esistenza diun procedimento penale a carico del dipendente, sospenderlo per riavviarlo al termine della vi-cenda penale.

Il nuovo art. 55 ter del D.Lgs. 165/2001 modificato dal D.Lgs. 150/2009 introduce nuovenorme distinguendo una serie di situazioni.

In primo luogo cambia il principio generale laddove si afferma che “Il procedimento discipli-nare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l’autorità giudi-ziaria, è proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale”.

Successivamente distingue tra le infrazioni di minore gravità – che ricordiamo essere quelleche vengono irrogate per sanzioni che vanno dal rimprovero verbale alla sospensione fino a diecigiorni – il procedimento comunque non si sospende, mentre per le infrazioni di maggiore gravità– che come abbiamo visto possono concludersi con un licenziamento – quando l’ufficio compe-tente per le sanzioni disciplinari “nei casi di particolare complessità dell’accertamento del fattoaddebitato al dipendente e quando all’esito dell’istruttoria non dispone di elementi sufficienti amotivare l’irrogazione della sanzione, può sospendere il procedimento disciplinare fino al ter-mine di quello penale, salva la possibilità di adottare la sospensione o altri strumenti cautelarinei confronti del dipendente”.

Quindi nei casi di procedimenti disciplinari di minore gravità – situazione nella quale difficil-mente in realtà si trovano situazioni parallele di procedimenti penali – il procedimento non si so-spende. Nei casi di maggiore gravità il procedimento può essere sospeso laddove non si dispone dielementi per procedere in attesa dell’accertamento del fatto che si realizza nel processo penale.

Vi è inoltre una serie di norme che in ossequio alla previsione della legge 15/2009 preve-dono “meccanismi di raccordo” tra il procedimento disciplinare e penale laddove divergessero.Questi meccanismi possono così riassumersi:

a) “se il procedimento disciplinare, non sospeso, si conclude con l’irrogazione di una sanzionee, successivamente, il procedimento penale viene definito con una sentenza irrevocabile diassoluzione che riconosce che il fatto addebitato al dipendente non sussiste o non costitui-sce illecito penale o che il dipendente medesimo non lo ha commesso, l’autorità competente,ad istanza di parte da proporsi entro il termine di decadenza di sei mesi dall’irrevocabilitàdella pronuncia penale, riapre il procedimento disciplinare per modificarne o confermarnel’atto conclusivo in relazione all’esito del giudizio penale”. Di fatto quindi se il dipendente è stato sanzionato da un punto di vista disciplinare e assoltoin sede penale si riapre entro sei mesi dalla sentenza irrevocabile per togliere la sanzione ir-rogata;

b) se invece il procedimento disciplinare si conclude con l’archiviazione e il processo penale conuna sentenza irrevocabile di condanna, l’autorità competente riapre il procedimento disci-plinare per adeguare le determinazioni conclusive all’esito del giudizio penale. Quindi in que-sto caso il procedimento disciplinare si riapre per applicare una sanzione disciplinare in re-lazione al fatto accertato e addebitato al dipendente in sede penale;

c) il procedimento disciplinare, infine, viene riaperto, “se dalla sentenza irrevocabile di con-danna risulta che il fatto addebitabile al dipendente in sede disciplinare comporta la sanzionedel licenziamento, mentre ne è stata applicata una diversa”. In questo caso quindi si riapre inprocedimento per disporre il licenziamento.

la responsabilità disciplinare – Capitolo 12

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Capitolo 12 – la responsabilità disciplinare

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Il tempo per la riapertura del procedimento disciplinare si riapre entro sessanta giorni dallacomunicazione della sentenza all’amministrazione di appartenenza e si conclude entro centot-tanta giorni dalla ripresa.

Nei casi di cui ai commi 1, 2 e 3 il procedimento disciplinare è, rispettivamente, ripreso o ria-perto entro sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza all’amministrazione di apparte-nenza del lavoratore, ovvero dalla presentazione dell’istanza di riapertura, ed è concluso entrocentottanta giorni dalla ripresa o dalla riapertura. La ripresa o la riapertura avvengono medianteil rinnovo della contestazione dell’addebito da parte dell’autorità disciplinare competente ed ilprocedimento prosegue secondo quanto previsto nell’articolo 55 bis. Ai fini delle determinazioniconclusive, l’autorità procedente, nel procedimento disciplinare ripreso o riaperto, applica le di-sposizioni dell’art. 653, commi 1 e 1 bis, del codice di procedura penale.

Le nuove fattispecie di licenziamento disciplinare per giustificato motivo e per giusta causaVengono introdotte nuove fattispecie di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo.Le nuove fattispecie si aggiungono e si integrano con quelle esistenti nella normativa contrattuale.

Ricordiamo che il licenziamento per giustificato motivo si riferisce a tutte quelle situazioniin cui non si rende possibile la prosecuzione del rapporto di lavoro. Il licenziamento per giustacausa invece consegue a tutte le situazioni in cui non si rende possibile neanche la “prosecu-zione provvisoria” del rapporto di lavoro. La differenza – nei suoi aspetti pratici – consiste quindinel preavviso da dare al lavoratore prima del licenziamento nel primo caso, mentre non si rendepossibile nel secondo caso.

Le nuove fattispecie di licenziamento per giustificato motivoSono le seguenti:

1. assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, su-periore a tre nell’arco di un biennio o comunque per più di sette giorni nel corso degli ultimidieci anni, ovvero mancata ripresa del servizio, in caso di assenza ingiustificata, entro il ter-mine fissato dall’amministrazione;

2. ingiustificato rifiuto del trasferimento disposto dall’amministrazione per motivate esigenzedi servizio;

3. valutazione di insufficiente rendimento della prestazione lavorativa riferita alla valutazionenegativa di “insufficiente rendimento” consistente di fatto nell’inserimento nella fascia bassadella valutazione prevista proprio dalla Riforma Brunetta con la precisazione che tale posi-zione è data dalla “reiterata violazione degli obblighi concernenti la prestazione stessa, sta-biliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, da atti eprovvedimenti dell’amministrazione di appartenenza o dai codici di comportamento di cuiall’articolo 54”. La precisazione è stata quanto meno opportuna in quanto, come abbiamovisto, il mero inserimento in fascia bassa di valutazione – ricordiamo che, nello schema na-zionale, in attesa di recepimenti regionali e della contrattazione integrativa, comporta l’in-serimento del 25% del personale – non avviene di per sé per il mancato raggiungimento de-gli obiettivi, che in realtà possono anche essere stati raggiunti, ma certifica di fatto una po-sizione di merito.

Le nuove fattispecie di licenziamento per giusta causaOltre alle fattispecie previste dalla normativa contrattuale, vengono introdotte con la RiformaBrunetta le seguenti situazioni:

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1. falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamentodella presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustificazione dell’assenza dal ser-vizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malat-tia. Come riportato nel capitolo 5 – a cui si rimanda per l’approfondimento – tale fattispecieintegra anche il grave nuovo reato introdotto dalla Riforma Brunetta per i pubblici dipendentidenominato “False attestazioni e certificazioni”;

2. falsità documentali o dichiarative commesse ai fini o in occasione dell’instaurazione del rap-porto di lavoro ovvero di progressioni di carriera;

3. reiterazione nell’ambiente di lavoro di gravi condotte aggressive o moleste o minacciose oingiuriose o comunque lesive dell’onore e della dignità personale altrui;

4. condanna penale definitiva, in relazione alla quale è prevista l’interdizione perpetua dai pub-blici uffici, ovvero l’estinzione, comunque denominata, del rapporto di lavoro.

Un’altra nuova fattispecie di responsabilità disciplinare: le condotte pregiudizievoli per l’amministrazione e limitazione della responsabilità per l’esercizio dell’azione disciplinareViene introdotta – sempre ope legis – una nuova sanzione che si aggiunge alle classiche sanzionigià previste dal contratto: la sospensione dal lavoro e della retribuzione da un minimo di tre giornia un massimo di tre mesi per i seguenti motivi:

1. “la condanna della pubblica amministrazione al risarcimento del danno derivante dalla vio-lazione, da parte del lavoratore dipendente, degli obblighi concernenti la prestazione lavo-rativa, stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, daatti e provvedimenti dell’amministrazione di appartenenza o dai codici di comportamento”.La sanzione deve essere commisurata all’entità del risarcimento;

2. il mancato esercizio dell’azione disciplinare da parte di un non dirigente consistente nell’omis-sione o nel ritardo, senza giustificato motivo, degli atti del procedimento disciplinare o se, inmerito a questi, compia “valutazioni sull’insussistenza dell’illecito disciplinare irragionevolio manifestamente infondate, in relazione a condotte aventi oggettiva e palese rilevanza di-sciplinare”;

3. se invece chi omette o copre il procedimento disciplinare è un dirigente si ha “l’applicazionedella sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione inproporzione alla gravità dell’infrazione non perseguita, fino a un massimo di tre mesi in rela-zione alle infrazioni sanzionabili con il licenziamento, e altresì la mancata attribuzione dellaretribuzione di risultato per un importo pari a quello spettante per il doppio del periodo delladurata della sospensione.” La responsabilità civile eventualmente configurabile a carico del di-rigente in relazione a profili di illiceità nelle determinazioni concernenti lo svolgimento del pro-cedimento disciplinare è limitata, in conformità ai principi generali, ai casi di dolo o colpa grave.

Il collocamento in disponibilitàIl lavoratore, quando cagiona grave danno al normale funzionamento dell’ufficio di appartenenza,per inefficienza o incompetenza professionale accertate dall’amministrazione ai sensi delle dispo-sizioni legislative e contrattuali concernenti la valutazione del personale delle amministrazioni pub-bliche, è collocato in disponibilità, all’esito del procedimento disciplinare che accerta tale respon-sabilità, e si applicano nei suoi confronti le disposizioni di cui all’art. 33, comma 8, e all’art. 34,commi 1, 2, 3 e 4. Il provvedimento che definisce il giudizio disciplinare stabilisce le mansioni e laqualifica per le quali può avvenire l’eventuale ricollocamento. Durante il periodo nel quale è collo-cato in disponibilità, il lavoratore non ha diritto di percepire aumenti retributivi sopravvenuti.

la responsabilità disciplinare – Capitolo 12

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1 Benciolini P., Aspetti deontologici della relazione medico-infermiere, Atti del III convegno nazionale “Ilmedico e l’infermiere a giudizio”, Firenze 15-16 giugno 2000, Rivista di diritto delle professioni sanitarie, 3, 2000.2 Busnelli F.D., prefazione al Codice di deontologia medica, di Fineschi V. (a cura di), Giuffrè, Milano, 1995.3 Barni M., La norma deontologica tra formalismo disciplinare e riflessione bioetica, in Geddes M., BerlinguerG., La salute in Italia – Rapporto 1997, Ediesse, Roma, 1998.4 Corte di Cassazione, III sez. civile, sentenza dell’11 maggio-30 luglio 2001, n. 10389.5 Tribunale di Roma, ordinanza del 14 febbraio 2000.

13Capitolo

IL NURSING E LA DEONTOLOGIA

LA DEONTOLOGIA

La deontologia – o più esattamente i codici deontologici – vengono posti dalla legge 42/1999 comeuno dei tre criteri guida per l’esercizio professionale.

Vista la rilevanza dell’argomento è importante distinguere tra il concetto di deontologia daquello di codice deontologico.

Come è stato acutamente notato, i due concetti non coincidono tra loro. Il codice deontologico“contiene norme deontologiche che l’ordine professionale o il collegio ritengono importante pro-porre ai propri iscritti, ma tali norme non si identificano con l’intera sfera della deontologia”.1 Lariflessione deontologica, infatti, non si presta per sua natura a essere codificata e cristallizzata incodici i quali, a loro volta e per loro natura, non possono essere esaustivi ma devono riportare edesemplificare il dibattito deontologico di un dato momento storico in un articolato.

Possiamo concordare nella registrazione della tendenza all’interno del nostro ordinamento2 di“nuovi spazi alla normazione deontologica che, se non ha nel nostro ordinamento rango di fontedel diritto, è tutt’altro che indifferente in sede di interpretazione e applicazione del diritto”.

Il codice deontologico rappresenta un atto di autodisciplina, di norme quindi emanate dagli or-gani rappresentativi di una professione a cui viene generalmente riconosciuto “il duplice ruolo difonte di orientamento professionale e di paradigma per la valutazione di condotte articolato su re-gole fondamentali di comportamento”.3

I codici deontologici sono da considerarsi quindi “precetti extragiuridici ovvero regole internedella categoria, non già attività normativa”4 e l’inosservanza del codice che ha efficacia internavincola solo la categoria che regolamenta, non incidendo quindi nell’ordinamento legislativo pree-sistente.5

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Questa situazione è confermata dalla giurisprudenza della Cassazione civile che ha stabilitoche l’indicazione delle regole della deontologia professionale “sono insindacabili in sede di legit-timità”, sede nella quale si discute di violazione di legge, e i codici deontologici non sono leggi.6

Rispetto ad altre professioni, anche storicamente maggiori come il medico, il farmacista, lo psi-cologo, i codici delle professioni sanitarie non mediche sono richiamati direttamente da due leggidello stato: la legge 42/1999 e la legge 251/2000. Questo richiamo al codice deontologico – chenon è un atto normativo dello stato ma un atto di autoregolamentazione di una categoria profes-sionale – come condizione per l’esercizio professionale risulta del tutto nuova nel nostro ordina-mento. L’unico riferimento che troviamo per una categoria professionale è contenuto all’internodella legge 196/2003 laddove all’art. 139 “Trattamento di dati particolari nell’esercizio della pro-fessione di giornalista” si stabilisce che il Garante della privacy “promuove” l’adozione da parte delConsiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti, “di un codice di deontologia relativo al trattamentodei dati”. Inoltre il “Garante, in cooperazione con il Consiglio, prescrive eventuali misure e accor-gimenti a garanzia degli interessati che il Consiglio è tenuto a recepire. Il codice è pubblicato nellaGazzetta Ufficiale a cura del Garante e diviene efficace quindici giorni dopo la sua pubblicazione”.

Come si vede, il Garante – cioè un organo dello Stato – ha il compito di impulso e di controllodel codice deontologico che appare un atto normativo quasi contrattato dalla categoria professio-nale.

Diversa è invece la natura dei codici deontologici per le professioni sanitarie non mediche datoche il richiamo operato dalle due leggi ordinarie è chiaro: essi sono una delle condizioni per l’eser-cizio professionale di dette professioni.

Il legislatore cioè, in questo caso, ha accettato a “scatola chiusa” i codici in questione, “aven-done presupposto la validità ancora prima della loro stesura”.7

Il distinguo fondamentale da fare all’interno delle professioni sanitarie non mediche è, ancorauna volta, quello relativo alla distinzione tra professioni che hanno un albo professionale e quelleche non lo hanno. La mancanza di un albo determina l’inapplicabilità delle sanzioni, il loro noneffetto. In mancanza di un ordine o di un collegio professionale nessuna sanzione potrà avere unaricaduta sul professionista.

Il contenuto dei codici deontologiciIl contenuto delle norme di un codice deontologico è sostanzialmente rapportabile a quattro tipo-logie di norme:8

1. norme deontologiche rapportabili a specifiche previsioni di legge: si tratta di rafforzare e integrareprecetti giuridici esistenti. Il richiamo contenuto all’interno del codice ha il compito di porrel’accento per la categoria e i suoi professionisti sull’importanza delle norme richiamate tale daassumere un carattere “pedagogico”;9

6 Sacchettini E., L’accertata violazione del codice deontologico non può essere sindacata in sede di legit-timità, Guida al diritto, 32, 25 agosto 2001.7 Rodriguez D., Il codice deontologico dell’ostetrica/o: spunti di riflessione, Rivista di diritto delle professionisanitarie, 4, 2000.8 Aprile A., Benciolini P., Il codice deontologico dell’ostetrica/o: prime valutazioni, Rivista di diritto delle pro-fessioni sanitarie, 2, 2000.9 Benciolini P., Il codice di deontologia medica e la normativa italiana, in Atti del Convegno Bioetica, Deon-tologia e Diritto per un nuovo codice professionale del medico, Certosa di Pontignano, Siena 5-6 febbraio 1999,a cura di Mauro Barni, Giuffrè, Milano, 1999, pp. 87-101.

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2. norme di natura prettamente etica: sono norme di carattere generale, estrapolate dalla rifles-sione etica, che permettono a un codice di non invecchiare e di non assumere un carattere me-ramente elencativo e pedissequo, permettendo al professionista e all’interprete di chiarire puntie questioni che non sono strettamente prescrittivi;

3. norme di natura prettamente deontologica: si occupano di questioni che non sono generalmentenormate dal legislatore e che trovano proprio nella codificazione deontologica la loro sede piùnaturale. Si pensi a tal proposito alle varie sezioni codicistiche dedicate ai “rapporti con i col-leghi” o ai “rapporti con le altre professioni” o ai rapporti con “il collegio professionale”;

4. norme di carattere disciplinare: sono norme che già in parte hanno un quadro di riferimento –quanto meno per le professioni che hanno un albo professionale – nella normativa statale su-gli ordini professionali delle professioni sanitarie.10 I procedimenti disciplinari attivati dagli or-dini professionali non hanno però la stessa natura tassativa e cogente di altri procedimenti dicarattere sanzionatorio come, per esempio, i procedimenti penali, dato che tra le finalità deiprocedimenti disciplinari vi sono situazioni difettanti di tipicità come il disposto contenutonell’art. 38 del D.P.R. 5 aprile 1950, n. 221 che specifica che possono essere sottoposti a pro-cedimento disciplinare i professionisti sanitari che “si rendono colpevoli di abusi o mancanzenell’esercizio della professione o, comunque, di fatti disdicevoli al decoro professionale”.11

Il valore dei codici deontologici delle professioni sanitarie: una questione apertaI codici deontologici delle professioni di cui ci occupiamo rappresentano, da un punto di vista di ri-conoscimento normativo, un’importante anomalia. Sono fonti eteronome, non provenienti dall’or-dinamento statuale, riconosciute però dallo stesso ordinamento, non sottoposte a controllo pre-ventivo ex ante, ma solo a un controllo ex post, né a controllo giurisdizionale.

Ci possono però essere norme contenute all’interno dei codici che possono essere considerateanziché secundum legem, o comunque con funzioni integrative di precetti legislativi esistenti o aprincipi immanenti dell’ordinamento giuridico, norme contra legem cioè dichiaratamente contra-rie a qualche disposto legislativo esistente. In questi casi, non vi sono dubbi, è del tutto prevalentela norma giuridica, anche se rimane una contraddizione evidente in un ordinamento giuridico cheda un lato richiama la normazione deontologica come condizione per un legittimo esercizio pro-fessionale – con tutte le funzioni che la normazione deontologica ha in questi casi e che abbiamoanalizzato – e il suo contrasto con la norma giuridica vista la pressoché assoluta mancanza di con-trollo che lo stato può esercitare, soprattutto per le professioni non dotate di un albo professionaleper le quali si pone il problema della titolarità a emanare il codice (ma questo non è ovviamente ilcaso della professione infermieristica).

Il proliferare delle figure sanitarie non mediche (a oggi sono ventidue, con prospettiva di am-pliamento del numero) può inoltre portare a un contrasto tra codici con situazioni di conflitto in-terprofessionale di difficile soluzione.

Da tempo viene però avanzata un’opportuna richiesta di codici deontologici comuni almenoin parte per professioni dello stesso comparto12 che potrebbe rappresentare la soluzione di una se-rie di problematiche che anche in questa sede sono state poste.

10 D.L.C.P.S. 13 settembre 1946, n. 233 “Ricostituzione degli Ordini delle professioni sanitarie e per la disci-plina dell’esercizio delle professioni stesse” e D.P.R. 5 aprile 1950, n. 221 “Regolamento per la esecuzionedel decreto legislativo 13 settembre 1946, n. 233, sulla ricostituzione degli Ordini delle professioni sanitariee per la disciplina dell’esercizio delle professioni stesse”.11 Aprile A., Benciolini P., Il codice deontologico dell’ostetrica/o: prime valutazioni, op. cit.12 Rodriguez D., Deontologia, Rivista di diritto delle professioni sanitarie, 1, 1998; Danovi R., La missione delladeontologia, Codici deontologici, Egea, Padova, 2000, p. 9.

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I codici deontologici: aspetto storico-evolutivoIl primo codice deontologico della professione infermieristica risale al 1960 e risente fortementedell’epoca della sua emanazione tenuto conto che, all’interno del numero ridotto di infermieri, lamaggioranza o comunque una parte cospicua era rappresentata da religiose.

Ben si comprende quindi quali potessero essere i principi ispiratori, ben sintetizzati dalla “in-troduzione” al codice stesso laddove si precisava che “l’esercizio della professione sanitaria ausi-liaria è al servizio della persona umana e si ispira ai principi del diritto e della morale naturale”. Ilcodice del 1960 è stato definito dalla letteratura di “carattere descrittivo e paternalistico”.13

Nel 1977 viene emanato il secondo codice deontologico che già si presentava come un docu-mento decisamente più maturo del precedente e allineato maggiormente alle necessità di una pro-fessione sanitaria moderna anche se l’ambito morale “sembra analogo a quello del 1960”14 so-prattutto nei suoi principi ispiratori.

Nel 1999 – dopo la riforma dell’esercizio professionale operata con la legge 42/1999 – la Fede-razione nazionale dei Collegi IPASVI vara un codice maturo, evoluto e avanzato, degno di una pro-fessione sanitaria laureata.

Il codice deontologico del 1999 contiene una premessa – il Patto infermiere-cittadino, ap-provato del maggio 1996 – di cui diventa parte integrante. Il codice vero e proprio venne suddivisoin sette parti e in una serie di articoli che sono stati numerati – se il testo fosse un testo giuridico –come se fossero commi.

Nel 2009 la Federazione Nazionale Collegi IPASVI revisiona il codice deontologico15 integrandoed emendando la versione del 1999. Da un punto di vista tecnico cambia la numerazione che di-venta simile a qualsiasi testo normativo anche se né gli articoli né i capi risultano rubricati.

Breve commentario alle principali norme del codice deontologicoUn commento organico a un atto importante e complesso come un codice deontologico ha ne-cessità di uno spazio che non può essere esaurito all’interno di un capitolo.

Ci limiteremo a brevi notazioni e commenti agli articoli più rilevanti suddividendo il commentostesso in argomenti di ampio interesse. Non è semplice farlo in quanto per una evidente scelta insede di stesura del codice né gli articoli né i capi sono stati rubricati.

In allegato al presente volume riportiamo il codice deontologico per esteso.

La definizione dell’infermiere, dell’attività infermieristica e della tutela della saluteIl capo I nella precedente versione del codice veniva rubricato come “premessa” e definisce il pro-fessionista infermiere e la sua attività. Riportiamo i primi sei articoli per esteso.

Art. 1

L’infermiere è il professionista sanitario responsabile dell’assistenza infermieristica.

Art. 2

L’assistenza infermieristica è servizio alla persona, alla famiglia e alla collettività. Si realizza attraverso interventi spe-cifici, autonomi e complementari di natura intellettuale, tecnico-scientifica, gestionale, relazionale ed educativa.

13 Calamandrei C., D’Addio L., Commentario al nuovo codice deontologico dell’infermiere, McGraw-Hill, Mi-lano, 1999, p. 24.14 Calamandrei C., D’Addio L., op. cit., p. 26.15 Versione definitiva approvata dal Comitato della Federazione Nazionale dei Collegi IPASVI con delibe-razione n. 1/2009 del 10 gennaio 2009 e dal Consiglio nazionale nella seduta del 17 gennaio 2009.

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Art. 3

La responsabilità dell’infermiere consiste nell’assistere, nel curare e nel prendersi cura della persona nel rispettodella vita, della salute, della libertà e della dignità dell’individuo.

Art. 4

L’infermiere presta assistenza secondo principi di equità e giustizia, tenendo conto dei valori etici, religiosi e cul-turali, nonché del genere e delle condizioni sociali della persona.

Art. 5

Il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo e dei principi etici della professione è condizione essenziale perl’esercizio della professione infermieristica.

Art. 6

L’infermiere riconosce la salute come bene fondamentale della persona e interesse della collettività e si impegnaa tutelarla con attività di prevenzione, cura, riabilitazione e palliazione.

L’infermiere viene definito come il “professionista” sanitario responsabile dell’assistenza infer-mieristica. È una delle novità del codice deontologico versione 2009. Nella versione previgente in-fatti – in linea con il profilo professionale del 1994 – l’infermiere veniva definito “operatore sanitario”.

All’art. 2 viene dato risalto – e anche questo per la prima volta – alla funzione gestionale che ne-gli ultimi anni ha avuto un deciso rilievo all’interno della professione infermieristica e non solo all’in-terno di questa. Inoltre vengono valorizzati gli interventi tecnici che diventano tecnico-scientifici.

All’art. 4 emerge il riconoscimento dell’interculturalità e delle condizioni sociali e di generedella persona assistita. Sempre in questo articolo, viene riformulato e impreziosito il riferimentoall’agire professionale da svolgersi secondo “equità e giustizia”. Anche le norme antidiscrimina-zione in senso stretto si sono arricchite del riferimento al “genere” che ha sostituito il riferimentoal “sesso” dell’individuo che appariva ormai del tutto superato dalla pluralità di opzioni legate agliorientamenti sessuali che di fatto superano lo stretto dato biologico-anatomico. Si trattava cioè diprendere atto della trasformazione della società e dei suoi costumi. Vi è chi in questo vede il peri-colo di un “uso ideologico” che del termine (genere) si potrebbe fare come tentativo di cancellarela differenza biologica tra i due sessi”, maschile e femminile, per ridurla a una mera questione dicultura e di scelta”.16 In realtà non di pericolo si tratta ma di precisa scelta. Il termine “genere” nonè neutro e indica la volontà del riconoscimento delle varie opzioni culturali sul tema della sessua-lità e non viene certo ricondotto alla mera differenza “che caratterizza sotto il profilo antropolo-gico e culturale la differenza prima tra gli esseri umani, cioè tra uomo e donna”.17

All’art. 6 si opera un opportuno riferimento alle attività di palliazione diventate sempre più im-portanti in questi anni. La recente legge 15 marzo 2010, n. 38 “Disposizioni per garantire l’accessoalle cure palliative e alla terapia del dolore” definisce le cure palliative come “l’insieme degli in-terventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo fa-miliare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di base, caratterizzata daun’inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici”.Sempre la stessa legge rafforza e trasforma i progetti “ospedale senza dolore” in “ospedale-terri-torio senza dolore”, stanzia fondi per la formazione del personale, stabilisce l’obbligo di rilevare il

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16 Spagnolo A., Professione infermieristica e valori etici, in Silvestro A., Commentario al codice deontolo-gico dell’infermiere (2009), McGraw-Hill, Milano, 2009, p. 67.17 Spagnolo A., Professione infermieristica e valori etici, in Silvestro A., Commentario al codice deontologicodell’infermiere (2009), op. cit.

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dolore e documentarlo e stabilisce che “le cure palliative e la terapia del dolore costituiscono obiet-tivi prioritari del Piano sanitario nazionale”. Merito del codice deontologico della Federazione IPA-SVI è senza dubbio quello di avere anticipato le novità legislative.

I conflitti etici e l’obiezione di coscienzaAll’interno del capo II – che nel previgente codice veniva rubricato come “principi etici della pro-fessione” – troviamo l’art. 8 che regolamenta i conflitti etici:

Art. 8

L’infermiere, nel caso di conflitti determinati da diverse visioni etiche, si impegna a trovare la soluzione attra-verso il dialogo. Qualora vi fosse e persistesse una richiesta di attività in contrasto con i principi etici della pro-fessione e con i propri valori, si avvale della clausola di coscienza, facendosi garante delle prestazioni necessa-rie per l’incolumità e la vita dell’assistito.

Si registra un ampliamento del concetto di obiezione di coscienza rispetto alla versione del1999. I conflitti che potevano dare luogo all’obiezione infatti, dovevano essere “determinati daprofonde diversità etiche” mentre nella versione 2009 è sufficiente che siano solo “diverse visionietiche”. Inoltre precedentemente, affinché si potesse arrivare all’obiezione, dovevano esserci vo-lontà “profondamente in contrasto”; con la nuova versione è sufficiente una “persistente” richie-sta. Viene infine ribadita come causa dell’obiezione di coscienza la richiesta di prestazioni in con-trasto con “i principi etici della professione”, mentre il contrasto con la “coscienza personale” èstato sostituito con il contrasto con “i propri valori”.

Il riferimento ai propri valori e alla coscienza personale risultava e risulta – quanto meno da unpunto di vista della certezza dei comportamenti – ambiguo ed eccessivamente soggettivo.

Norme simili sono presenti anche all’interno di codici deontologici di altre professioni della sa-lute – come medici e ostetriche – e talvolta hanno dato luogo a problemi e strumentalizzazioni.18

La novità della formulazione codicistica del 2009 però è dovuta alla sostituzione della “obie-zione di coscienza” con la “clausola di coscienza”. Cerchiamo di capirne le differenze.

La definizione concettuale di obiezione di coscienza è un compito non facile, in quanto si trattadi un fenomeno sociale in evoluzione e difficilmente riconducibile ad unità. Alcuni tratti caratteri-stici possono comunque essere individuati.19

L’obiezione di coscienza:

1. è un atto tipicamente individuale;2. è un fenomeno sociale minoritario;3. è strettamente legata a un sistema di valori;4. ha un valore sociale.

La situazione che preesiste all’obiezione si concretizza nel conflitto tra due doveri: uno impo-sto dallo Stato con una certa cogenza, l’altro con la propria coscienza e con il proprio sistema divalori lato sensu morali.

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18 Il riferimento è all’art. 22 del codice di deontologia medica e alle vicende legate all’invocazione dell’obie-zione di coscienza per la prescrizione della contraccezione di emergenza – la cosiddetta “pillola del giornodopo” – strumentalmente dichiarato farmaco abortivo quando invece viene registrato come contraccettivo.Per un approfondimento vedi Benci L., La prescrizione e la somministrazione di farmaci – aspetti giuridici edeontologici, McGraw-Hill, Milano, 2007.19 Bertolino R., Obiezione di coscienza – profili teorici (voce), Enciclopedia giuridica Treccani, volume XXI.

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Vi sono determinati casi in cui questo conflitto può essere risolto attraverso l’obiezione di co-scienza, cioè attraverso la possibilità che in casi determinati la persona possa far prevalere i pro-pri valori rispetto all’osservanza di leggi dello Stato.

Si può concordare con la presente definizione di obiezione di coscienza: “il rifiuto di un com-portamento imposto da una norma fondamentale e legittima dello Stato e motivato sulla base diuna norma, di contenuto opposto, interiorizzata dalla coscienza dell’obiettore”.20

Comunque la nuova versione del codice deontologico dell’infermiere vede la scomparsa dellalocuzione “obiezione di coscienza” a favore della “clausola di coscienza”. Vi è da capire se si siavoluta comprimere o ampliare la facoltà di rifiuto.

Da un lato si può sostenere che l’obiezione di coscienza riportata nel codice deontologico ap-partiene a quelle norme che abbiamo definito “rapportabili a specifiche previsioni di legge” equindi il codice deontologico punta a rafforzarne il contenuto richiamandole. Dall’altro lato il ri-chiamo all’obiezione di coscienza lascia scoperto tutto ciò che non è riconosciuto come obie-zione di coscienza dalla legge che, ricordiamo, sono solo alcuni limitati casi come l’interruzionedi gravidanza, la procreazione medicalmente assistita, la sperimentazione animale.

La clausola di coscienza si può invece definire come la “volontaria non esecuzione di un’at-tività richiesta da altri, contraria sia ai principi etici della professione sia ai valori dell’infermiere(che non la vuole porre in essere)”.21

La prima volta che si è trovata l’espressione “clausola di coscienza” è stato nel 2004 in un di-scusso documento del Comitato nazionale di bioetica denominato “Note sulla contraccezione diemergenza” in cui, nonostante lo stesso titolo del documento parli apertamente di contracce-zione, si è cercato di estendere l’istituto dell’obiezione di coscienza previsto per gli interventiabortivi chiamandolo con un nome diverso.

Dovremo quindi concludere che il riferimento alla clausola anziché all’obiezione di coscienzasi ponga come tentativo di ampliamento dell’area del diniego a atti e prestazioni, pur con i pa-letti contenuti nella normazione codicistica. La clausola di coscienza però non ha la stessa forzadell’obiezione di coscienza, non è contenuta in norme di diritto positivo, non ha la forza di e deldiritto ed espone il professionista infermiere a contenziosi, quanto meno di natura disciplinare eanche penali, laddove le sue sensibilità etiche siano talmente rilevanti e preponderanti rispettoalle norme e alle esigenze dell’organizzazione da essere sistematicamente sollevate.

Non si può non concordare con chi definisca la clausola di coscienza come una “opzione estremada attuarsi solo in caso di posizioni altrui assolutamente inconciliabili attraverso il dialogo”.22

Nuove pratiche, integrazione e attività di consulenza

Art. 13

L’infermiere assume responsabilità in base al proprio livello di competenza e ricorre, se necessario, all’inter-vento o alla consulenza di infermieri esperti o specialisti. Presta consulenza ponendo le proprie conoscenzeed abilità a disposizione della comunità professionale.

Art. 14

L’infermiere riconosce che l’interazione fra professionisti e l’integrazione interprofessionale sono modalità fon-damentali per far fronte ai bisogni dell’assistito.

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20 Palazzo F., Obiezione di coscienza (voce), Enciclopedia del diritto, Giuffrè, Milano, p. 539.21 Rodriguez D., Principi di comportamento e responsabilità dell’infermiere, in Silvestro A., Commentario alcodice deontologico dell’infermiere (2009), op. cit., p. 127.22 Rodriguez D., Principi di comportamento e responsabilità dell’infermiere, op. cit., p. 127.

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Art. 15

L’infermiere chiede formazione e/o supervisione per pratiche nuove o sulle quali non ha esperienza.

Del tutto opportuna e condivisibile la scomparsa del disposto del codice del 1999 laddove si spe-cificava che l’infermiere declinava la responsabilità quando riteneva di non potere agire in sicu-rezza. Il disposto era pericolosamente interpretabile come dichiarazione di irresponsabilità, an-che se questo non era nelle intenzioni dei redattori del codice. Si sono comunque evitate delle am-biguità.

La riservatezza, il segreto professionale, la documentazione sanitariaL’infermiere conosce il progetto diagnostico-terapeutico per le influenze che questo ha sul per-corso assistenziale e sulla relazione con l’assistito.

Art. 23

L’infermiere riconosce il valore dell’informazione integrata multiprofessionale e si adopera affinché l’assistitodisponga di tutte le informazioni necessarie ai suoi bisogni di vita.

Art. 24

L’infermiere aiuta e sostiene l’assistito nelle scelte, fornendo informazioni di natura assistenziale in relazione aiprogetti diagnostico-terapeutici e adeguando la comunicazione alla sua capacità di comprendere.

Art. 25

L’infermiere rispetta la consapevole ed esplicita volontà dell’assistito di non essere informato sul suo stato di sa-lute, purché la mancata informazione non sia di pericolo per sé o per gli altri.

Art. 26

L’infermiere assicura e tutela la riservatezza nel trattamento dei dati relativi all’assistito. Nella raccolta, nella ge-stione e nel passaggio di dati, si limita a ciò che è attinente all’assistenza.

Art. 27

L’infermiere garantisce la continuità assistenziale anche contribuendo alla realizzazione di una rete di rapportiinterprofessionali e di una efficace gestione degli strumenti informativi.

Art. 28

L’infermiere rispetta il segreto professionale non solo per obbligo giuridico, ma per intima convinzione e comeespressione concreta del rapporto di fiducia con l’assistito.

Art. 31

L’infermiere si adopera affinché sia presa in considerazione l’opinione del minore rispetto alle scelte assisten-ziali, diagnostico-terapeutiche e sperimentali, tenuto conto dell’età e del suo grado di maturità.

Questo insieme di articoli viene dedicato alla informazione al paziente. Notiamo come si siadeciso di non utilizzare la consueta espressione di “consenso informato” e, a ben vedere, non com-pare neanche il termine consenso. Come è noto l’espressione deriva dall’inglese informed consente, anteponendo nella traduzione italiana consenso a informazione, è spesso suscettibile di travi-samenti dovuti alla percepita maggiore importanza del consenso rispetto alla previa dovuta fon-damentale informazione.

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L’art. 23, dobbiamo dire in modo illuminato, pone l’accento sul “valore dell’informazione inte-grata multiprofessionale”, vero valore aggiunto dell’agire in équipe. Spesso si scorda che il lavoronelle strutture sanitarie non si svolge quasi mai in forma singola ma sempre di gruppo. Le norme,i codici deontologici e i comportamenti spesso invece partono dal presuppposto – non veritiero –dell’esercizio singolo. Opportuno quindi il riferimento all’apporto congiunto dell’informazione, conla consapevolezza che una informazione globale al paziente lo possa fare orientare in modo piùconsapevole sulle scelte terapeutico-assistenziali più idonee.

Il paziente ha il diritto di essere informato ma non il dovere. Del tutto opportunamente l’art. 25specifica che l’infermiere “rispetta la consapevole ed esplicita volontà dell’assistito di non essereinformato sul suo stato di salute”. È da sottolineare come la volontà del paziente di non essereinformato debba essere “consapevole ed esplicita”. In caso contrario si rischiano di rievocare i fan-tasmi di un passato che stenta a tutt’oggi a essere considerato come tale: il paternalismo medicoe assistenziale. Era tipico della cultura ippocratica e paternalistica, cultura dominante per secoli,quello di non informare il paziente nella convinzione di operare per il suo bene.

L’inciso dell’art. 26 che pone un’eccezione al generale principio dell’informazione subordi-nandolo al fatto che la stessa “non sia di pericolo per sé o per gli altri” e deve essere limitata a queicasi in cui per le modalità della trasmissione della malattia – e quindi versiamo nel campo dellemalattie infettive – il paziente debba essere reso edotto che determinati comportamenti possonoessere di nocumento verso gli altri.

Gli artt. 26 e 28 richiamano – e rafforzano – i doveri giuridici sulla riservatezza e sul segretoprofessionale. Avremo modo di approfondire questi argomenti nel capitolo 17, mentre la tematicarelativa alla rivelazione del segreto professionale è stata approfondita nel capitolo 7.

Infine l’art. 31 si occupa del problema dell’informazione e del consenso ai minori. Com’è notoi minori sono coloro che non hanno raggiunto la “capacità di agire”, che nel nostro ordinamentocivilistico si raggiunge all’età di 18 anni. Deve essere rilevato come il dibattito sui minori talvoltaimponga una determinata età per l’assunzione di determinate decisioni – i 14 anni per l’imputabi-lità ad esempio – e talvolta prescinda dalla individuazione o dal raggiungimento di una determinataetà. È il caso dell’accesso alla contraccezione o alla interruzione volontaria della gravidanza chenon individua una determinata età limitandosi ad attribuire determinati diritti alla “donna minore”.

La scelta del codice deontologico va in questa direzione – del tutto in linea, tra l’altro – con laConvenzione di Oviedo del 1997 sulla biomedicina23 che all’art. 6 “Tutela delle persone che nonhanno la capacità di dare il consenso” specifica al comma 2, secondo periodo, che “il parere del mi-nore è preso in considerazione come fattore determinante in rapporto all’età e al suo grado di ma-turità”. Quindi non una predeterminazione dell’età per l’acquisizione dei diritti, ma la valutazionedella maturità che ovviamente diventa crescente in relazione all’avvicinarsi del minore ai 18 anni.

La proporzione delle cure, l’accanimento terapeutico e l’eutanasia

Art. 34

L’infermiere si attiva per prevenire e contrastare il dolore e alleviare la sofferenza. Si adopera affinché l’assistitoriceva tutti i trattamenti necessari.

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il nursing e la deontologia – capitolo 13

23 Legge 28 marzo 2001, n. 145. “Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa per laprotezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano riguardo all’applicazione della biologia edella medicina: Convenzione sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina, fatta a Oviedo il 4 aprile 1997, non-ché del Protocollo addizionale del 12 gennaio 1998, n. 168, sul divieto di clonazione di esseri umani”.

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Art. 35

L’infermiere presta assistenza qualunque sia la condizione clinica e fino al termine della vita dell’assistito, rico-noscendo l’importanza della palliazione e del conforto ambientale, fisico, psicologico, relazionale, spirituale.

Art. 36

L’infermiere tutela la volontà dell’assistito di porre dei limiti agli interventi che non siano proporzionati allasua condizione clinica e coerenti con la concezione da lui espressa della qualità di vita.

Art. 37

L’infermiere, quando l’assistito non è in grado di manifestare la propria volontà, tiene conto di quanto da luichiaramente espresso in precedenza e documentato.

Art. 38

L’infermiere non attua e non partecipa a interventi finalizzati a provocare la morte, anche se la richiesta pro-viene dall’assistito.

Art. 39

L’infermiere sostiene i familiari e le persone di riferimento dell’assistito, in particolare nella evoluzione termi-nale della malattia e nel momento della perdita e della elaborazione del lutto.

Il codice prosegue con la sua volontà di non utilizzare le espressioni di uso comune – abbiamo giànotato l’assenza della locuzione “consenso informato” – normalmente utilizzate nel dibattito pro-fessionale, etico e giuridico. In questo caso si è preferito non utilizzare l’espressione accanimentoterapeutico. Non è in effetti una grave lacuna proprio per la indeterminatezza – esattamente comeil consenso informato – del concetto.

L’espressione “accanimento terapeutico” è, infatti, da sempre di difficile definizione e anche dicontraddittorio significato. Non vi è dubbio che il termine accanimento contrasti in modo assolu-tamente evidente con il significato più genuino di terapia la quale è improntata da sempre al cri-terio della beneficialità. Da sempre la terapia dovrebbe perseguire il bene del paziente e di con-seguenza non potrà mai essere vista come accanimento.

Nel mondo anglosassone si utilizza l’espressione di “cure futili” e vi è chi propone di utilizzarel’espressione “accanimento clinico” che quanto meno non pone contraddizioni. Anche in Italia viè chi propone di abbandonare l’espressione “accanimento terapeutico” per il suo carattere emo-zionale e negativo e per la sua perdurante confusione con l’eutanasia passiva24 di cui si pone inrealtà come un fenomeno assolutamente contrapposto.

Nel suo significato più comune l’accanimento terapeutico evoca un’ostinata continuazionedelle cure anche quando appaiono del tutto inutili.

Come in altri campi del biodiritto e della bioetica – e forse in questo campo più di altri negli ul-timi decenni – lo scontro tra le opposte visioni che caratterizzano il dibattito in questi campi è diassoluta contrapposizione. Se è pur vero che non esiste nessuno che si dichiari a favore dell’ac-canimento terapeutico è anche altrettanto vero che il fenomeno ha acquisito con il progredire delleconoscenze e della tecnicalità medica un’ampiezza di dimensioni mai viste in precedenza.

Il codice deontologico della Federazione IPASVI specifica che l’infermiere “tutela la volontàdell’assistito di porre dei limiti agli interventi che non siano proporzionati alla sua condizione cli-nica e coerenti con la concezione da lui espressa della qualità di vita”.

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capitolo 13 – il nursing e la deontologia

24 Mantovani F., Biodiritto e problematiche di fine della vita, in Umanità e razionalità nel diritto penale, Ce-dam, Padova, 2008, p. 1575.

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L’espressione utilizzata relativa agli interventi proporzionati è conseguente a un dibattito –presente fortemente all’interno del mondo cattolico – che ha superato la vecchia distinzione rela-tiva alla “ordinarietà” e alla “straordinarietà” delle cure. Questo concetto è stato introdotto neglianni Cinquanta dello scorso secolo25 e ribadito anche successivamente. Sostanzialmente si so-steneva che fosse obbligatorio per il morente utilizzare i mezzi terapeutici ordinari mentre si po-teva in quei casi, con il consenso del paziente, rinunciare ai mezzi straordinari.26 Questa distin-zione viene oggi giudicata difficile dalla stessa bioetica cattolica in quanto “molti mezzi che ierierano giudicati straordinari sono diventati ordinari,27 ragione per cui vi è oggi la tendenza a par-lare non più di ordinarietà e straordinarietà delle cure ma di 'mezzi proporzionati' e di 'mezzi spro-porzionati'”.

Questo orientamento è stato sposato dal codice deontologico che ha temperato l’orientamentocattolico con il riferimento – generalmente ricondotto al mondo laico – della qualità della vita. Do-cumento di sintesi di culture diverse evidentemente rispettoso della pluralità di orientamenti pre-senti nel mondo professionale.

La difficoltà invece di definizione – più in generale – del concetto di accanimento terapeuticorimane in quanto le oggettive definizioni di accanimento sono sempre molto difficili28 e a esse sicontrappongono visioni più soggettiviste che arrivano ad affermare che le cure sono da conside-rarsi “oggettivamente accanimento terapeutico” arrivando a precisare che è accanimento tutto ciòche non è voluto dal paziente.29

Per quanto riguarda il delicato argomento dell’eutanasia l’art. 38 recita testualmente: “L’infer-miere non attua e non partecipa a interventi finalizzati a provocare la morte, anche se la richie-sta proviene dall’assistito”.

Con il termine eutanasia – anche in questo caso non utilizzato dal codice – si intendono in realtàmolte cose. L’originario significato di “dolce morte” o “morte felice” si è costantemente allargato atipologie che non interessano certo un codice deontologico (si pensi al concetto di eutanasia comepratica statale).30 In questo contesto ci interessa solo la cosiddetta “eutanasia pietosa”.

In realtà dobbiamo riconoscere che la nozione di eutanasia pietosa ha subito una “costantedilatazione concettuale”31 che ne ha modificato l’assetto originario di morte naturale le cui soffe-renze finali sono state alleviate da sostanze analgesico-oppiacee (c.d. eutanasia lenitiva) a ricom-prendere atti tesi direttamente a provocare la morte in modo deliberato al fine di liberare il pa-ziente da sofferenze e dolori insopportabili (c.d. eutanasia terapeutica o pietosa strictu sensu).

Secondo un’impostazione tradizionale, l’eutanasia terapeutica a sua volta può suddividersi in:

1. eutanasia attiva o positiva o diretta caratterizzata dalla uccisione indolore di un malato termi-nale attraverso la somministrazione di farmaci o altri comportamenti attivi;

2. eutanasia passiva o negativa o indiretta caratterizzata dall’astensione dal trattamento terapeu-tico quando si ravvisi l’inutilità della prosecuzione delle cure.

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il nursing e la deontologia – capitolo 13

25 Congregazione per la dottrina e la fede, Pio XII, 1957.26 Sgreccia E., Manuale di bioetica, vol. I, Vita e pensiero, Milano, 1999, p. 736.27 Sgreccia E., Manuale di bioetica, vol. I, op. cit., p. 737.28 Per una compiuta analisi delle definizioni di accanimento terapeutico vedi Benci L., Elementi di legisla-zione sanitaria e di biodiritto, McGraw-Hill, Milano, 2009.29 Mori M., Il caso Eluana Englaro, Pendragon, Bologna, 2008, p. 190.30 Per una analisi completa delle tipologie di eutanasia vedi Tripodina C., Il diritto nell’età della tecnica – ilcaso dell’eutanasia, Jovene, Napoli, 2004.31 Tripodina C., Il diritto nell’età della tecnica – il caso dell’eutanasia, Jovene, Napoli, 2004, p. 28.

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La distinzione tra i due tipi di eutanasia risiederebbe, a prima vista, nell’azione di terzi (ge-neralmente medico o altro professionista sanitario). Nella prima l’infermiere si fa parte attiva,nella seconda si limita a non ostacolare il decorso negativo della malattia. In realtà si è visto chequesti concetti si possono tra di loro contaminare. Si pensi al comportamento sintetizzato –nell’eutanasia passiva – con l’espressione “staccare la spina” che indica un comportamento at-tivo o alla decisione di omettere una prescrizione di farmaci nell’eutanasia attiva che indica uncomportamento attivo attraverso una omissione.

Nelle suddivisioni più recenti si parla di eutanasia per omissione che si concretizza nell’omis-sione di attività atte a conservare la vita.

L’eutanasia per commissione di converso si caratterizza per avere provocato attivamente lamorte. Quest’ultima può essere suddivisa ulteriormente in:

1. uccisione diretta (aiuto a morire);2. uccisione indiretta (aiuto nel morire).

Si ha la prima quando l’azione posta in essere è intenzionalmente perseguita dall’agente, an-che se ispirata da motivazioni altruistiche e pietistiche: un esempio classico dell’aiuto a morire èl’overdose per compassione. Si somministrano in una unica soluzione farmaci analgesici in dosieccessive rispetto a quelle sufficienti all’effetto antidolorifico. Si ha l’uccisione indiretta quandola morte – seppure prevista – non è intenzionalmente perseguita. Si pone in essere cioè un’atti-vità con l’obiettivo di alleviare la sofferenza del malato nonostante si sia a conoscenza degli ef-fetti collaterali dell’azione stessa. L’esempio è dato dal cumulo nel tempo di antidolorifici, som-ministrati al paziente con il solo scopo di alleviare il dolore anche se si ha la consapevolezza chel’effetto analgesico può accelerare la morte.32

Vicino concettualmente all’eutanasia è l’aiuto al suicidio che si ha quando la morte è conse-guenza dell’atto suicida del paziente, ma consigliato e aiutato da un terzo (spesso un medico).Questa azione determina nel nostro ordinamento, come vedremo, una autonoma fattispecie direato.

Se prendiamo come angolo visuale la distinzione dell’eutanasia tenendo conto non, comeabbiamo visto finora, dell’azione di chi dà la morte, bensì della volontà del paziente, la suddivi-sione altro non può essere che tra eutanasia volontaria e eutanasia involontaria. Si ha la primaquando la richiesta di porre fine alla vita sia richiesta direttamente dal paziente; si ha la secondaquando questa richiesta manchi e si faccia riferimento, in genere, a giudizi e voleri di terzi, ge-neralmente vicini al paziente stesso che si prendono il compito di interpretare le volontà del pa-ziente in relazione caso concreto. Il codice deontologico – come abbiamo visto – pone comun-que uno specifico divieto alla richiesta di porre fine alla propria vita “anche se la richiesta pro-viene dall’assistito”.

I rapporti con le istituzioni

Art. 49

L’infermiere, nell’interesse primario degli assistiti, compensa le carenze e i disservizi che possono eccezio-nalmente verificarsi nella struttura in cui opera. Rifiuta la compensazione, documentandone le ragioni, quandosia abituale o ricorrente o comunque pregiudichi sistematicamente il suo mandato professionale.

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capitolo 13 – il nursing e la deontologia

32 Tripodina C., Il diritto nell’età della tecnica – il caso dell’eutanasia, op. cit, p. 50.

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Art. 50

L’infermiere, a tutela della salute della persona, segnala al proprio Collegio professionale le situazioni che pos-sono configurare l’esercizio abusivo della professione infermieristica.

Art. 51

L’infermiere segnala al proprio Collegio professionale le situazioni in cui sussistono circostanze o persistonocondizioni che limitano la qualità delle cure e dell’assistenza o il decoro dell’esercizio professionale.

L’art. 49 disciplina i rapporti che intercorrono tra l’infermiere e “le carenze e i disservizi dellastruttura in cui opera”. Le carenze possono essere di carattere strutturale e/o di carattere orga-nizzativo. Laddove queste carenze siano “eccezionali” l’infermiere è tenuto a “compensarle”.Laddove invece le carenze siano abituali o ricorrenti o anche “pregiudichino il suo mandato pro-fessionale” l’infermiere ha il dovere di opporsi alla “compensazione”.

Vengono in mente le carenze di organico che caratterizzano tradizionalmente le organizza-zioni sanitarie e che raramente sono dotate di strumenti gestionali di compensazione istituzio-nale quali per esempio i piani di gestione di sostituzione delle assenze improvvise. In questi casi,spesso, l’organizzazione richiede compensazioni su basi più o meno volontaristiche, spesso ri-correnti nel tempo. Ragioni di spazio non ci consentono di approfondire la tematica, ma non sipuò non concordare con chi afferma che “l’infermiere si rifiuta di compensare le carenze e i dis-servizi quando non vi sia eccezionalità ma consuetudine; quando vi sia una riproposizione diproblemi e carenze già verificatesi, ricorrenti e costantemente irrisolti o quando venga sistema-ticamente pregiudicato il suo mandato professionale per – ad esempio – demansionamento, inap-propriato utilizzo della sua competenza professionale, impossibilità a garantire adeguati stan-dard assistenziali per sistematica inadeguatezza dell’organico”.33

L’art. 50 pone a carico dell’infermiere l’obbligo di segnalazione per le spinose questioni le-gate all’abusivismo professionale non in senso corporativo ma del tutto opportunamente richia-mato “a tutela della salute della persona”.

L’art. 51 infine pone l’obbligo al professionista di segnalazioni di tutte le circostanze o dellecondizioni che persistono – evidentemente nelle strutture – che limitano la qualità delle cure edell’assistenza. La parte finale richiama l’obbligo di segnalazione di situazioni che sono lesivedel “decoro dell’esercizio professionale” che in modo altrettanto evidente possono essere ancheesterne ed estranee all’organizzazione delle strutture.

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il nursing e la deontologia – capitolo 13

33 Silvestro A., Il nuovo codice deontologico degli infermieri italiani, in Silvestro A., Commentario al codicedeontologico dell’infermiere (2009), op. cit., p. 21.

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Capitolo

IL CONSENSO INFORMATO

PREMESSA

Il dibattito sul consenso informato è, nel nostro Paese, relativamente recente e si è innestatonella tradizione medica italiana con una certa forza, dato che questa è da sempre permeata diun retaggio di tipo ippocratico-paternalistico, tanto da essere recepita dal medico come novitàdestabilizzante.1

Il principio del consenso informato mira a superare quella concezione paternalistica della me-dicina. Detta concezione si sostanziava, e in certe situazioni si perpetua ancora, nelle tipicheforme di supremazia medica non tenendo in alcun conto la volontà del paziente. Il medico cioè,proprio come un buon padre di famiglia, decideva nell’interesse supposto del paziente. Le novitàsul consenso informato sono spesso state introdotte dalla giurisprudenza di merito e di legitti-mità che negli ultimi anni “ha adottato uno standard di notevole rigore nel valutare la responsa-bilità dei medici”.2

Bisogna a questo punto prendere atto che il principio del consenso informato è oramai un“principio immanente” nel nostro ordinamento e che non sono più in alcun modo possibili “in-terventi extraconsensuali”.3

Sin dal 1992 il Comitato nazionale di bioe tica, nell’ormai noto documento “Infor ma zio ne econsenso all’atto medico”, aveva avuto modo di precisare che si ritiene tramontata “la stagionedel paternalismo medico in cui il sanitario si sentiva legittimato a ignorare le scelte e le incli na -zioni del paziente [...]”.Nel nostro ordinamento giuridico vige quindi il principio della volontarietà del trattamento

sanitario. In primo luogo, l’art. 32 della Co stituzione della Repubblica stabilisce che nessuno puòessere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di leg ge e, an-che in quel caso, comunque, la legge non può in alcun modo violare i limiti imposti dal rispettodella persona umana.Unanimemente la dottrina giuridica e i vari documenti delle Commissioni di bioetica riten-

gono che il consenso informato “costituisce il fondamento della liceità dell’atto medico e cometale deve diventare prassi”.4

1 Spinsanti S., Sul buono e sul cattivo uso, Pa norama della Sanità, 20, 25 maggio 1998.2 Santosuosso A. (a cura di), Il consenso informato, tra giustificazione del medico e diritto per il paziente, Raf-faello Cortina, Milano, 1996.3 Mantovani F., Diritto penale. Parte speciale – Delitti contro la persona, Cedam, Padova, 1996, p. 94. 4 Commissione Regionale di Bioetica – Regione To sca na 1994.

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Capitolo 14 – il consenso informato

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Sul punto è intervenuta la giurisprudenza della suprema Corte di Cassazione, la quale ha sta-bilito che il consenso costituisce l’essenziale e imprescindibile legittimazione giuridica dell’attomedico, altrimenti passibile d’esser valutato come reato.5

Il nuovo codice di deontologia medica (ottobre 1998) all’art. 32 stabilisce che “il medico nondeve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l’acquisizione del consenso infor-mato del paziente”.Il consenso, per essere validamente prestato, deve essere informato. La tematica del consenso informato si è imposta per le elaborazioni dottrinali, giurisprudenziali

e bioetiche. Brillava per assenza la regolamentazione normativa, a parte alcune leggi di settore. Aquesta lacuna stanno ovviando due importanti fonti normative che devono ancora però avere pienaattuazione nel nostro Paese: la cosiddetta “Carta di Nizza” e la cosiddetta “Convenzione di Oviedo”.La “Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea”, detta Carta di Nizza, in quanto ivi ra-

tificata il 7-9 dicembre 2000, una sorta di embrione normativo di una futura costituzione euro-pea, dedica in pratica tutto un articolo, l’art. 3, alla tematica del consenso informato, anche seviene rubricato come “Diritto all’integrità della persona”. L’art. 3 della Carta di Nizza, quando si riferisce al consenso informato, recita testualmente:

“nell’ambito della medicina e della biologia devono in particolare essere rispettati: il consenso li-bero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge [...]”.

Sull’altro versante l’Italia ha già ratificato la cosiddetta “Convenzione di Oviedo” recependolacon la legge 28 marzo 2001, n. 145.6 La Convenzione di Oviedo dedica ben sei articoli (dal cin-que al dieci) alle problematiche dell’informazione e del consenso. In questo paragrafo riportiamol’articolo 5 che delinea una “regola generale”, riservando ai paragrafi successivi gli articoli suc-cessivi. L’art. 5 della convenzione di Oviedo recita:

Qualsiasi intervento in campo sanitario non può essere effettuato se non dopo che la persona interessataabbia dato il proprio consenso libero e informato.Questa persona riceve preventivamente un’informazione adeguata in merito allo scopo e alla natura dell’in-tervento nonché alle sue conseguenze e ai suoi rischi.La persona interessata può liberamente ritirare il proprio consenso in qualsiasi momento.

Data l’importanza che riveste l’informazione al paziente rispetto all’acquisizione del con-senso nei prossimi paragrafi saranno trattati, invertendo l’espressione “consenso informato”,prima i caratteri dell’informazione rispetto alle problematiche dell’acquisizione del consenso.

L’INFORMAZIONE

Assumono quindi rilevanza l’informazione e i ca ratteri della stessa. Il medico viene riconosciutocome il soggetto a cui è demandato il dovere di informare,7 di dare un’informazione.

5 Cassazione penale, IV sez., 12 luglio 1991, in Barni M., I testamenti biologici: un dibattito ancora aperto,Ri vista italiana di medicina legale, XVI, 1994.6 Legge 28 marzo 2001, n. 145 “Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa per la pro-tezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano riguardo all’applicazione della biologia e dellamedicina: Convenzione sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina, fatta a Oviedo il 4 aprile 1997, nonché delProtocollo addizionale del 12 gennaio 1998, n. 168, sul divieto di clonazione di esseri umani”.7 L’affermazione è oramai pacifica. Si veda in proposito Corte di Cassazione, III sez. civile, sentenza del 30 aprile

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il consenso informato – Capitolo 14

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Il medico ha il dovere di informare e il paziente ha il diritto di essere informato, ma non puòessere obbligato a essere informato. Cor ret tamente, il Codice di deontologia medica 1998 ha sta-bilito che “la documentata volontà della persona assistita di non essere informata o di delegaread altro soggetto l’informazione deve essere rispettata”. “Documentata volontà” significa quindiespressione del paziente in forma scritta o espressa per testimoni.Analogamente il codice deontologico dell’infermiere (2009) all’art. 25 precisa che “l’infermiere

rispetta la consapevole ed esplicita volontà dell’assistito di non essere informato sul suo stato disalute, purché la mancata informazione non sia di pericolo per sé o per gli altri”.

Vediamo ora quali sono i caratteri essenziali dell’informazione, che deve essere:

1. onesta, cioè deve essere effettuata con “chiarezza di linguaggio ed essenzialità di contenuti”.L’art. 30 del codice di deontologia medica precisa che “il medico nell’informarlo (il paziente)dovrà tenere conto delle sue capacità di comprensione” senza quindi usare termini scienti-fici sovrabbondanti non utili alla comprensione del caso;

2. veritiera, il medico non deve sottacere la verità. Sempre l’art. 30 del codice di deontologiamedica stabilisce che “le informazioni riguardanti prognosi gravi o infauste o tali da poterprocurare preoccupazioni e sofferenze particolari alla persona, devono essere fornite con pru-denza, usando terminologie non traumatizzanti e senza escludere elementi di speranza”;

3. completa, il contenuto dell’informazione deve avere per oggetto “i dati essenziali, attinentialla diagnosi, alla prognosi, alla terapia medica e chirurgica, alle alternative terapeutiche, aibenefici e rischi della medesima, al decorso postoperatorio, ai tempi di degenza, all’incidenzadell’intervento sulla vita futura, dovendo il livello di informazione essere proporzionato an-che alla gravità dell’intervento e altresì adeguato alla volontà di conoscenza, espressa dallerichieste del soggetto”. Anche su questo punto è intervenuto l’art. 30 del codice di deontolo-gia medica il quale precisa che “ogni ulteriore richiesta di informazione da parte del pazientedeve essere comunque soddisfatta”.

I soggetti che devono prestare il consenso nella routine e nell’emergenza sono:

– il maggiorenne;– il maggiorenne incosciente;– il minore;– il paziente inabilitato e interdetto.

Il consenso nella routineÈ ormai assodato che il consenso deve essere prestato dallo stesso soggetto destinatario deltrattamento sanitario. Questo è un principio sancito dal Codice di deontologia medica, dalla giu-

1996-15 gennaio 1997, n. 364, Guida al diritto, n. 5 dell’8 febbraio 1997. In questa sentenza si legge “La for-mazione del consenso presuppone una specifica informazione su quanto ne forma oggetto [si parla, in pro-posito, di consenso informato], che non può che provenire dallo stesso sanitario cui è richiesta la presta-zione”. All’interno delle strutture ospedaliere il compito di informare può essere dato sia dal dirigente di 2°livello, ex primario, sia da un altro medico, in quanto all’interno dei presidi ospedalieri vale il principio nondella personalità del consenso, in quanto la “cura degli infermi è affidata a un’équipe di medici e il pazienteacconsente al trattamento ben sapendo che diverse possono essere le persone che lo eseguiranno, sicché ilconsenso prestato a un sanitario per un certo trattamento vale implicitamente anche nei riguardi degli altrimedici che fanno parte del reparto in cui il paziente è ricoverato. Trattasi del principio di fungibilità o se sivuole di impersonalità della prestazione di cure in ambiente ospedaliero” (Documento del Consiglio supe-riore di sanità sul consenso informato, sessione XLII, Assemblea generale del 17 aprile 1996).

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risprudenza e dal principio personalistico desumibile dal nostro ordinamento giuridico. Il sog-getto deve essere maggiorenne e capace di intendere e volere, e il suo consenso informato deveessere attuale e reale.

Il consenso nell’emergenzaNel caso di trattamenti d’urgenza e indifferibili in cui il paziente non può prestare il suo consensoperché non cosciente, si fa riferimento alla teoria del consenso presunto o presumibile.8 In que-sto caso si ricorre alla presunzione che il soggetto agisca secondo l’id quod plerumque accidit,cioè si agisce come se ci fosse il consenso, in quanto si presume che il paziente avrebbe prestato,se avesse potuto, il proprio consenso al trattamento sanitario. In questo caso non si riconoscealcun potere ai familiari o ai prossimi congiunti. Il termine prossimo congiunto non è chiaro edè indeterminato; inoltre bisogna tenere presente che il familiare può avere un interesse contrap-posto a quello del paziente, poiché ne è l’erede. Il codice di deontologia medica, al riguardo, spe-cifica che “l’informazione ai congiunti è ammessa solo se il paziente consente”.Vi possono essere situazioni in cui il soggetto abbia, da cosciente, lasciato disposizioni per i

trattamenti sanitari futuri proprio in previsione di casi in cui non avesse potuto prestare il consenso. Non essendoci riferimenti normativi in proposito, la dottrina giuridica prevalente richiede però

che il consenso e il mancato consenso o addirittura, come in questo caso, il dissenso debba es-sere attuale. In mancanza di tale requisito e in mancanza della possibilità di adottare in Italia illiving will9 o testamento biologico, il medico può intervenire. È utile precisare però che, sul punto,le opinioni non sono concordi.La convenzione di Oviedo specifica all’art. 8 che “quando a causa di una situazione d’urgenza

non si può avere il consenso appropriato si potrà procedere immediatamente a qualsiasi inter-vento medico indispensabile per il beneficio della salute della persona interessata”. La perento-rietà dell’enunciazione può lasciare perplessi, ma essa è temperata dal successivo art. 9 che di-sciplina la volontà espressa precedentemente. In tal caso la convenzione stabilisce che “sarannoprese in considerazione le volontà precedentemente espresse nei confronti dell’intervento me-dico da parte del paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la pro-pria volontà”. Affermare che “saranno prese in considerazione” indica un vincolo non cogente. Sarà com-

pito del medico tentare di capire se le volontà precedentemente espresse siano il frutto di unareale, consapevole presa di posizione (per esempio in tema di rifiuto alle cure) e delle conse-guenze di tale rifiuto. In mancanza di una reale e consapevole presa di posizione del pazientedeve valere la regola del consenso presunto non essendo accettabile un consenso che non pre-senti i requisiti dell’attualità. Diverso si presenta invece un documento di direttive anticipatesull’accanimento terapeutico rispetto al rifiuto del trattamento salvavita per le implicazioni eti-che che comporta.

Capitolo 14 – il consenso informato

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8 La teoria del consenso presunto non è l’unica teoria sul punto. La dottrina giuridica ne ha elaborate al-tre quali la teoria dell’atipicità del fatto per la socialità del trattamento medico, la teoria della scriminantenon codificata detta anche necessità medica, ricorrenza dello stato di necessità ex art. 54 c.p. Per una rico-struzione puntuale delle varie teorie vedi Iadecola G., Potestà di curare e consenso del paziente, Cedam, Pa -do va, 1998, p. 90.9 Il living will è un documento redatto da soggetto competente prima del futuro verificarsi di particolari cir-costanze cliniche che contiene indicazioni sulla natura e il tipo di trattamento terapeutico o assistenziale daporre in essere nel caso che nel soggetto stesso, per ragioni cliniche, venga meno la possibilità di prendereun’autonoma decisione”. Barni M., I testamenti biologici: un dibattito aperto, Rivista italiana di medicina le-gale, 835, 4, 1994.

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Il paziente minoreNell’ordinamento giuridico italiano il minore non può prestare il suo consenso. Vi sono sul puntoopinioni contrarie, in quanto si tende a considerare l’adolescente come soggetto che può pre-stare il consenso a certe condizioni.Il consenso deve essere prestato da entrambi i genitori. Come è largamente noto, nel nostro

Paese, dalla riforma del diritto di famiglia avvenuta nel 1975,10 è stata abolita la patria potestà edè stata introdotta la potestà genitoriale. En trambi i genitori hanno la potestà. Oppor tuna men te ildecreto ministeriale in tema di trasfusioni di sangue specifica che il consenso alla trasfusione disangue deve essere firmato da entrambi i genitori.È necessario ora analizzare le situazioni e i casi particolari che possono da questo scaturire:

– è presente uno solo dei genitori. L’altro genitore cioè, non può esercitare la potestà permotivi di “lontananza, incapacità o altro impedimento”. Il codice civile in questo caso sta-

10 Art. 316 c.c. – Esercizio della potestà dei genitori (così sostituito dall’art. 137, legge 19 maggio 1975, n. 151“Riforma del diritto di famiglia”) Il figlio è soggetto alla potestà dei genitori sino all’età maggiore o all’emancipazione.La potestà è esercitata di comune accordo da entrambi i genitori.In caso di contrasto su questioni di particolare importanza ciascuno dei genitori può ricorrere senza forma-lità al giudice indicando i provvedimenti che ritiene più idonei.Se sussiste un incombente pericolo di un grave pregiudizio per il figlio, il padre può adottare i provvedimentiurgenti e indifferibili.Il giudice, sentiti i genitori e il figlio, se maggiore di anni quattordici, suggerisce le determinazioni che ritienepiù utili nell’interesse del figlio e dell’unità familiare. Se il contrasto permane il giudice attribuisce il poteredi decisione a quello dei genitori che, nel singolo caso, ritiene il più idoneo a curare l’interesse del figlio.Art. 317 c.c. – Impedimento di uno dei genitoriNel caso di lontananza, di incapacità o di altro impedimento che renda impossibile ad uno dei genitori l’eser-cizio della potestà, questa è esercitata in modo esclusivo dall’altro.La potestà comune dei genitori non cessa quando, a seguito di separazione, di scioglimento, di annullamentoo di cessazione degli effetti civili del matrimonio, i figli vengono affidati ad uno di essi. L’esercizio della po-testà è regolato, in questi casi, secondo quanto disposto dall’art. 155.Art. 317 bis c.c. – Esercizio della potestàAl genitore che ha riconosciuto il figlio naturale spetta la potestà su di lui.Se il riconoscimento è fatto da entrambi i genitori, l’esercizio della potestà spetta congiuntamente ad en-trambi qualora siano conviventi. Si applicano le disposizioni dell’art. 316.Se i genitori non convivono l’esercizio della potestà spetta al genitore con il quale il figlio convive ovvero,se non convive con alcuno di essi, al primo che ha fatto il riconoscimento. Il giudice, nell’esclusivo interessedel figlio, può disporre diversamente; può anche escludere dall’esercizio della potestà entrambi i genitori,provvedendo alla nomina di un tutore.Il genitore che non esercita la potestà ha il potere di vigilare sull’istruzione, sull’educazione e sulle condi-zioni di vita del figlio minore.Art. 155 c.c. – Provvedimenti riguardo ai figliIl giudice che pronunzia la separazione dichiara a quale dei coniugi i figli sono affidati e adotta ogni altro prov-vedimento relativo alla prole, con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa.In particolare il giudice stabilisce la misura e il modo con cui l’altro coniuge deve contribuire al mantenimento,all’istruzione e all’educazione dei figli, nonché le modalità di esercizio dei suoi diritti nei rapporti con essi.Il coniuge cui sono affidati i figli, salva diversa disposizione del giudice, ha l’esercizio esclusivo della pote-stà su di essi; egli deve attenersi alle condizioni determinate dal giudice. Salvo che sia diversamente stabi-lito, le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate da entrambi i coniugi. Il coniuge cui i figli nonsiano affidati ha il diritto e il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e può ricorrere al giudicequando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse. [...]In ogni caso il giudice può per gravi motivi ordinare che la prole sia collocata presso una terza persona o,nell’impossibilità, in un istituto di educazione.

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bilisce che la potestà deve essere esercitata “in modo esclusivo” dal genitore presente; diconseguenza ogni decisione spetta a lui;

– i genitori sono divorziati o separati. Per decenni il regime ordinario di separazione perquanto concerne i rapporti con i figli era legato all’istituto dell’affidamento disgiunto. Ve-niva nominato un genitore affidatario a cui era affidata, in via esclusiva, la potestà dei fi-gli. In conseguenza di questo si precisava che al coniuge a cui erano affidati i figli “aveval’esercizio esclusivo della potestà su di esso”. Per effetto di modifiche legislative intercorsel’attuale formulazione dell’art. 155 stabilisce che “anche in caso di separazione personaledei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativocon ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservarerapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”. Quindile decisioni sulla salute dei minori, anche in caso di separazione, continuano ad essereprese da entrambi i genitori;

– i genitori non sono in accordo sul trattamento sanitario da porre in essere. In questocaso entrambi i genitori possono ricorrere al Tribunale per i minorenni che deciderà in baseall’interesse per il minore;

– incombente pericolo di un grave pregiudizio per il minore. In questo caso l’art. 316 c.c.stabilisce che “il padre può adottare i provvedimenti urgenti e indifferibili”.

È importante sottolineare che c’è un diritto del figlio maggiore di 14 anni a essere sentitodal giudice per questioni di particolare importanza.

LA FORMA DEL CONSENSO

A eccezione di alcuni casi tassativamente determinati, la forma del consenso è libera, nel sensoche può essere prestata in forma orale o scritta. Il comitato nazionale di bioetica ha stabilitoche “il consenso scritto è da ritenere allo stato attuale un dovere morale del medico in tuttiquei casi in cui le prestazioni diagnostiche e/o terapeutiche in ragione della loro natura sonotali da rendere opportuna una manifestazione inequivoca e documentata della volontà del pa-ziente”. Dovere morale quindi, non giuridico. L’e spressione “manifestazione inequivoca” è stataperaltro fatta propria anche dal recente codice di deontologia medica. È importante sottoli-neare che “qualsiasi modulo, predisposto o no, costituisce soltanto un mero elemento di provaa tutela di un’informazione fornita. Nessun consenso, neppure scritto, modifica o diminuiscela responsabilità del medico per eventuale superamento dei limiti oggettivi indicati nei prece-denti paragrafi o per colpa medica”. Il codice di deontologia medica stabilisce che il consensoin forma scritta “è integrativo e non sostitutivo” dell’informazione e della richiesta del con-senso di forma orale.Essendo vigente il principio della libertà della forma, scritta o orale, anche il consenso può es-

sere revocato in qualsiasi momento dal paziente. È del tutto irrilevante la forma del recesso, es-sendo sufficiente una qualsiasi manifestazione di volontà espressa dal paziente. Di conseguenzaun consenso prestato in forma scritta può essere annullato da un “semplice” dissenso orale.

I casi di obbligatorietà del consenso informato scrittoVi sono alcuni casi in cui il consenso è obbligatoriamente richiesto in forma scritta.

1. Consenso alla donazione di sangue. Il decreto del Ministro della salute 3 marzo 2005, con-tenente i protocolli per l’accertamento della idoneità del donatore di sangue ed emocompo-

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nenti, precisa che il candidato donatore, preventivamente e debitamente informato, deve “espri-mere il proprio consenso alla donazione e al trattamento dei dati personali”. In allegato al de-creto è riportato il modulo di accettazione e consenso alla donazione.

2. Consenso alla trasfusione di sangue, di emocomponenti e alla somministrazione di emo-derivati. Il decreto del Ministro della sanità 1 settembre 1995, all’art. 4 stabilisce che il con-senso, in questi casi, deve essere e spresso “mediante sottoscrizione di apposita di chiarazioneconforme al testo allegato”. In caso di pazienti minori “il consenso deve essere richiesto a en-trambi i genitori o all’eventuale tutore. In caso di disaccordo tra i genitori, il consenso va ri-chiesto al giudice tutelare”. In caso di pericolo di vita il “medico può procedere a trasfusionedi sangue anche senza consenso del paziente. Devono essere indicate nella cartella clinica, inmodo particolareggiato, le condizioni che determinano tale stato di necessità”.In questo caso il decreto ministeriale ha recepito la teoria dottrinaria del “consenso presuntoo presumibile”. Il medico cioè agisce secondo l’id quod plerumque accidit, cioè a gi sce in mododa considerare sussistente la volontà del paziente in quanto basata sull’istinto di “autocon-servazione e della volontà di vivere del soggetto, e che quindi egli a vreb be prestato, se avessepotuto, il proprio con senso alla terapia”.11

Sul punto però il tenore letterale del decreto non solo non è chiaro, ma può indurre in errore.La teoria del consenso presunto o presumibile è oggi unanimemente accettata sia dalla dot-trina giuridica che dalla giurisprudenza. Il terzo comma dell’art. 4 del decreto in questione peròspecifica soltanto che il medico può procedere a trasfusione di sangue non quando vi sia unpericolo imminente di vita e il paziente non può prestare il proprio consenso, ma si limita adire “quando vi sia un pericolo imminente di vita” lasciando intendere, forse inconsapevol-mente, che il paziente potrebbe essere cosciente.È un’interpretazione che deve essere respinta con forza in quanto contrasta con il principiopersonalistico oggi prevalente che attribuisce al paziente, e solo al paziente, la decisione sultrattamento.12

Nei casi che comportano trattamenti trasfusionali ripetuti, il consenso si presume formulatoper tutta la durata della terapia salvo esplicita revoca da parte del paziente.Al di là delle considerazioni che si possono fare sul consenso e sulle modalità del consensoscritto, il testo di dichiarazione del consenso allegato al decreto ministeriale è senza dubbioun modulo reale di consenso informato. Il sottoscrittore è reso edotto dei rischi infettivi e tra-sfusionali che tale pratica comporta, e dei rischi derivanti dalla mancata trasfusione. In lineacon questo, ovviamente, il consenso all’atto trasfusionale deve essere espresso direttamentedal paziente. Data l’importanza delle innovazioni introdotte dal decreto sul buon uso del sangue, ripor-tiamo gli allegati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale sul consenso informato alla trasfusionedi sangue e di emoderivati. Una notazione si impone, in quanto il modulo deve essere ne-cessariamente modificato in caso, e solo in questo caso, di paziente minore, in quanto ildecreto stabilisce che a firmarlo debbano essere entrambi i genitori e il modulo non pre-vede questa modalità.

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11 Commissione Regionale di Bioetica della regione To scana: “Il consenso informato nei trattamenti sani-tari”. Sul punto vedi anche: Battaglino F., Ravioli A., Con senso informato nell’attività medico terapeutica, Fe-derazione medica, 10, 356, 1993.12 Vedi le argomentazioni poste dalla dottrina giuridica e medico-legale: Bilancetti M., Fineschi V., Le am-biguità medico-legali della normativa sul buon uso del sangue, Sanità pubblica e medicina pratica, 3, 1998;San tacroce G., Trasfusioni di sangue, somministrazione di emoderivati e consenso informato del paziente,La giustizia penale, 1997, p. 112.

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La novità maggiore introdotta dal decreto dell’1 settembre 1995 non è stata tanto l’introdu-zione dell’obbligo del consenso informato scritto per l’emotrasfusione e per gli emocompo-nenti, quanto piuttosto per gli emoderivati, an che in questo caso, con apposito modulo, sem -pre allegato alla Gazzetta Ufficiale (vedi moduli qui sotto riportati).L’adozione obbligatoria di questa modulistica può essere esclusa nelle attività di profilassi an-titetanica e in altri casi in cui l’albumina venga usata come eccipiente, stabilizzante o diluente.13

Consenso informato alla trasfusione

Io sottoscritto/a................................................... nato/a ............................................... il ........../........../..........sono stato informato dal dott. ............................... che per le mie condizioni cliniche potrebbe essere neces-sario ricevere trasfusione di sangue omologo/emocomponenti (*), che tale pratica terapeutica non è comple-tamente esente da rischi (inclusa la trasmissione di virus dell’immunodeficienza, dell’epatite ecc.). Ho bencompreso quanto mi è stato spiegato dal dott. ................................ sia in ordine alle mie condizioni cliniche,sia ai rischi connessi alla trasfusione come a quelli che potrebbero derivarmi se non mi sottoponessi alla tra-sfusione. Quindi acconsento/non acconsento (*) a essere sottoposto presso codesta struttura al trattamento tra-sfusionale necessario per tutto il decorso della mia malattia.

Data ................................

Firma ...................................................

(*) Cancellare quanto non interessa.

Consenso informato al trattamento con emoderivati

Io sottoscritto/a................................................... nato/a............................................... il........../........../..........sono stato informato dal dott. ............................... che per le mie condizioni cliniche devo essere sottopostoa un trattamento terapeutico con emoderivati, che tale pratica terapeutica non è completamente esente da ri-schi (inclusa la trasmissione di virus dell’immunodeficienza, dell’epatite ecc.). Ho ben compreso quanto mi èstato spiegato dal dott. ................................ in ordine alle mie condizioni cliniche, ai rischi connessi alla te-rapia e a quelli che potrebbero derivare non sottoponendomi al trattamento. Quindi acconsento/non accon-sento (*) a essere sottoposto al trattamento terapeutico necessario per tutto il decorso della mia malattia.

Data ................................

Firma ...................................................

(*) Cancellare quanto non interessa.

13 Ministero della sanità, circolare n. 900-bis/CNST 39/75 del 30/01/1997. In questa circolare il Ministeroha reso noto un parere del Consiglio Superiore di Sanità, espresso nella seduta del 25 settembre 1996, in cuisi precisa che “una interpretazione letterale e della ratio dei soprarichiamati DD.MM. esclude che il consenso

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3. Donazione di rene tra persone viventi e trapianto parziale di fegato. La liceità della dona-zione di un rene a fini di trapianto è stata resa possibile dalla legge 26 giugno 1967, n. 458 che“in deroga al divieto di cui all’art. 5 c.c.” dispone l’ammissione “a titolo gratuito” della donazionedi rene. La deroga è consentita ai genitori, ai figli, ai fratelli germani o non germani del pazienteche siano maggiorenni, “purché siano state rispettate le modalità previste dalla presente legge”.La legge prevede che in caso di assenza di “consanguinei” o di loro inidoneità “la deroga puòessere consentita anche per altri parenti e per donatori estranei”.Fatta questa necessaria premessa assume im portanza la modalità prevista dalla legge sullaforma del consenso. L’art. 2 prevede una particolare forma dell’atto di disposizione che deveessere “ricevuto dal pretore del luogo in cui risiede il donatore o ha sede l’istituto autorizzatoal trapianto”. “La donazione di un rene può essere autorizzata, a condizione che il donatoreabbia raggiunto la maggiore età, sia in possesso della capacità di intendere e di volere, sia aconoscenza dei limiti della terapia del trapianto del rene tra viventi e sia consapevole delleconseguenze personali che il suo sacrificio comporta”. Il pretore (oggi il giudice del tribunale),una volta accertate le condizioni appena elencate, “cura la redazione per iscritto delle rela-tive dichiarazioni”. L’atto non tollera, per espressa previsione di legge, l’apposizione di con-dizioni o di altre determinazioni accessorie di volontà; è inoltre “sempre revocabile sino almomento dell’intervento chirurgico e non fa sorgere diritti di sorta del donatore nei confrontidel ricevente”.“Il pretore, accertata l’esistenza del giudizio tecnico favorevole al prelievo e al trapianto del re -ne contenuto nel referto medico collegiale”, spe cifica sempre l’art. 2, “può concedere, con de -creto da emettersi entro tre giorni, il nulla o sta all’esecuzione del trapianto. In caso contrarioed entro lo stesso termine, dichiara, con decreto motivato il proprio rifiuto. Contro tale decretosi può proporre reclamo con ricorso al tribunale, che si pronuncia in camera di consiglio”.La particolare macchinosità della forma del consenso che viene ricevuta addirittura da un giu-dice si spiega con l’estrema delicatezza della questione che solleva problemi di ordine mo-rale ed etico.Rimane il divieto di donazione per i minori, sia perché la legge richiede espressamente la mag-giore età, sia perché per obbligo costituzionale i genitori hanno il dovere di “mantenere” i figli,espressione che non può che essere intesa quanto meno con l’obbligo di mantenerli in salute.Lo stesso procedimento viene applicato anche per il trapianto parziale di fegato, secondo quantostabilito dalla legge 16 dicembre 1999, n. 483 “Norme per consentire il trapianto parziale di fe-gato”. All’art. 1 si legge infatti che “in deroga al divieto di cui all'art. 5 c.c. è ammesso disporrea titolo gratuito di parti di fegato al fine esclusivo del trapianto tra persone viventi.”In conseguenza di questo si applicano le dispozioni della legge 458/1967 “in quanto applicabili”.

4. Terapia elettroconvulsivante (elettroshock – TEC). La terapia con elettroshock è stata og-getto di numerosi dibattiti in ordine alla sua efficacia in ambito psichiatrico. Sul punto haavuto modo di intervenire il Ministero della sanità14 che ha posto una serie di limiti, indica-zioni e controindicazioni all’uso di questo tipo di terapia, anche sulla scorta di un parere del

informato debba essere richiesto anche nei casi in cui l’albumina venga usata come eccipiente, diluente ostabilizzante”. Questa deroga viene giustificata dal fatto che “l’albumina è posta in commercio a norma dellavigente legislazione solo dopo essere stata sottoposta a una serie di procedure che prevedono il controllodel plasma di origine, la validazione dei procedimenti di purificazione e soprattutto i processi di inattiva-zione virale, e tenuto conto anche del fatto che proprio in conseguenza dell’obbligo di queste procedure nonè mai stato segnalato nella letteratura scientifica internazionale un caso documentato di trasmissione di in-fezione da HIV, da HBV o da HCV a seguito di somministrazione di albumina”.14 Ministero della sanità, circolare sulla “Terapia elettroconvulsivante” del febbraio 1999.

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Comitato Nazionale di Bioetica15 che ha osservato che “la psichiatria attualmente dispone diben altri mezzi per alleviare la sofferenza mentale”.Comunque può essere utilizzata in determinati casi, per specifiche indicazioni e con deter-minate precauzioni e solo in strutture “di ricovero pubbliche e private accreditate, in aneste-sia generale e miorisoluzione, alla presenza dello psichiatra e dell’anestesista”. Quindi soloin strutture dotate di apparecchiature e medicamenti sia per l’anestesia generale che per larianimazione e comunque idonee a garantire la corretta esecuzione del trattamento, la sicu-rezza del paziente e il trattamento delle possibili complicanze.“La Tec può essere praticata solo quando il paziente esprime un consenso libero, consape-vole, attuale e manifesto. A tal fine, occorre che il medico curante fornisca, sia oralmente chein forma scritta, esaurienti informazioni in or dine, oltre che ai vantaggi attesi, agli effetti col-laterali eventuali, ai possibili trattamenti alternativi, alle modalità di somministrazione.L’assenso del paziente deve essere scritto e allegato alla cartella clinica, e va ripetuto per ogniapplicazione. Nei casi in cui il paziente, in ragione della sua malattia, non sia in grado di espri-mere liberamente il proprio assenso, il trattamento può essere praticato con il consenso deltutore legale, e tramite la procedura del TSO”.

5. Sperimentazione clinica di farmaci. L’ob bligo del consenso informato scritto deriva dallelinee guida di good clinical practice dell’Unione europea recepite in Italia con il D.M. del 15 lu-glio 199716 in cui si precisa che il linguaggio usato nel modulo deve essere il più possibile pra-tico, non tecnico e deve essere comprensibile per il paziente. Il modulo deve essere datato efirmato personalmente dal soggetto o dal suo rappresentante legale. Se il paziente non è ingrado di leggere, deve essere presente un testimone imparziale che deve firmare e datare perlui il modulo. Né lo sperimentatore né il personale che partecipa allo studio devono eserci-tare alcuna coercizione o influenza indebita sul soggetto per indurlo a partecipare o conti-nuare a partecipare allo studio.Il punto 4.8.10 delle linee guida indica infine tutti i punti che devono essere contenuti nel mo-dulo di consenso informato scritto.

6. Procreazione medicalmente assistita. L’obbligo di procedere all’informazione e all’acqui-sizione del consenso in forma scritta è stato introdotto dalla legge 19 febbraio 2004, n. 40“Norme in materia di procreazione medicalmente assistita” e successivamente regolamen-tato dal D.M. 16 dicembre 2004 “Regolamento recante norme in materia di procreazione me-dicalmente assistita”.

La modulistica nella routineÈ ormai diventata consuetudine adottare dei moduli a dimostrazione del consenso. Pur con i li-miti sopra indicati, è utile soffermarsi sulle caratteristiche della modulistica. Particolarmente ac-curata è stata l’elaborazione della Commis sio ne della Regione Toscana di bioetica,17 di cui ri-portiamo per intero il paragrafo dedicato alla modulistica.

15 Parere della Commissione Nazionale di Bioetica sulla te rapia elettroconvulsivante, 1995, p. 7.16 D.M. 15 luglio 1997 “Recepimento delle linee guida dell’Unione europea di buona pratica clinica per laesecuzione delle sperimentazioni cliniche dei medicinali”, Gazzetta Ufficiale n. 162 del 18 agosto 1997.17 Il riferimento è al documento sul consenso informato approvato dalla Commissione Regionale di Bioe-tica nella riunione del 12 ottobre 1994. Pur essendo un documento di una regione è da considerarsi di unacerta autorevolezza dato il valore professionale di alcuni suoi componenti tra i quali ricordiamo i professoriMauro Barni, Paolo Cattorini, Car lo Fazzari, Ferrando Mantovani e San dro Spinsanti.

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Qualsiasi modulo, predisposto o no, costituisce soltanto un mero elemento di prova a tutela di una informa-zione scritta. Nessun consenso, neppure scritto, modifica o diminuisce la responsabilità del medico per even-tuale superamento dei limiti oggettivi indicati nei precedenti paragrafi o per colpa medica.L’adesione sottoscritta in un modulo predisposto è particolarmente consigliabile in alcuni atti medici di par-ticolare rilevanza, come va pure consigliato per il parto a domicilio.Nei moduli del consenso informato debbono essere presenti i seguenti requisiti:

a) il luogo e la data di acquisizione del consenso informato;b) i dati di individuazione del medico e dei medici che provvedono all’informazione e all’acquisizione del

consenso;c) i dati di identificazione del paziente e nei debiti casi del rappresentante legale;d) i dati attinenti alla diagnosi, alla prognosi, alla terapia, ai relativi benefici e rischi, alle eventuali alterna-

tive diagnostiche e terapeutiche e alle metodologie di attuazione diagnostica e terapeutica;e) l’informazione del paziente sulla sua facoltà di ottenere in qualunque momento ulteriori informazioni;f) tutto ciò che, comunque, è rilevante ai fini di un consapevole consenso;g) l’indicazione dell’eventuale rifiuto del paziente alle informazioni e alle soluzioni diagnostiche e tera-

peutiche;h) la sottoscrizione del medico, del paziente e, nei debiti casi, del rappresentante legale e di eventuali te-

stimoni.

Di ogni modulo firmato deve essere obbligatoriamente consegnata una copia (anche fotostatica) al paziente.La formulazione delle tipologie di modulistica va opportunamente affidata agli organismi deontologici com-petenti ad assicurare adeguatezza e uniformità.

Il rifiuto delle cureUna volta rigettata la visione paternalistica che ha caratterizzato la professione medica, il pro-blema del consenso ha assunto una determinazione e un’importanza prima sconosciute.Se in passato era il medico ad agire nell’interesse del paziente, adesso è il paziente ad auto-

determinarsi nel suo stesso interesse. È utile, a tal fine, riportare una notissima sentenza18 cheha riconosciuto la responsabilità penale di un chirurgo, il professor Massimo, sul consenso.

Nel diritto di ciascuno di disporre, lui e lui solo, della propria salute e integrità personale, pur nei li-miti previsti dall’ordinamento, non può che essere ricompreso il diritto di rifiutare le cure medichelasciando che la malattia segua il suo corso anche fino alle estreme conseguenze: il che non può es-sere considerato il riconoscimento di un diritto positivo al suicidio, ma è invece la riaffermazione chela salute non è un bene che possa essere imposto coattivamente al soggetto interessato dal volere o,peggio, dall’arbitrio altrui, ma deve fondarsi e sclu si va mente sulla volontà dell’avente diritto, trat-tandosi di una scelta che riguarda la qualità della vita, e che pertanto lui, e lui solo, può legittima-mente fare.

Il paziente può quindi rifiutare, senza che al cun medico o alcuna autorità possa imporre a luiil trattamento, anche se questo è un trattamento salvavita.Residuano in realtà ancora prassi molto discutibili sul piano della legittimità, con cui a volte

Procuratori della Repubblica “impongono” trasfusioni di sangue a testimoni di Geo va, ma sonoprassi destinate a sparire per il pieno affermarsi del principio della autodeterminazione.Rimangono ovviamente fuori i trattamenti sanitari obbligatori previsti dalla legge come “coat-

tivi”, per esempio possiamo citare il trattamento sanitario obbligatorio per malati di mente pre-visto dalla legge n. 180/1978.

18 Corte di Assise di Firenze, sentenza n. 13/1990.

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Ritiene la migliore dottrina giuridica che “di fronte a un rifiuto autentico (constatato dal me-dico dopo adeguata opera di informazione) delle emotrasfusioni, nessun potere legislativo, giu-diziario, amministrativo, può imporre tale trattamento. E il medico deve desistere, fondandosi ilsuo dovere di curare innanzitutto sul consenso del paziente”.19 An che il nuovo codice di deon-tologia medica all’art. 32 precisa che “in ogni caso, in presenza di documentato rifiuto del pa-ziente capace di intendere e di volere, il medico deve desistere dai conseguenti atti diagnosticie/o curativi, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona[...]”. Il tutto ovviamente senza alcuna ripercussione sulla responsabilità del medico.20

Diverso è il caso in cui il paziente non sia maggiorenne. In questo caso la violazione degli ob-blighi di assistenza ai figli, sanciti dalla Costituzione, è evidente e si giustifica ampiamente l’in-tervento del Tribunale dei minorenni per la sospensione della potestà parentale.21

Il rifiuto alle cure si è manifestato in questi anni anche fuori dal tradizionale caso dei testi-moni di Geova e ha introdotto il dibattito sulle cure alternative a quelle tradizionali (il riferimentoè al cosiddetto caso Di Bella). In questa ultima situazione, pur sostenendo che il consenso allecure è atto fondamentale per la liceità di qualsiasi trattamento sanitario, è anche vero che nonogni trattamento medico diventa lecito per la sola richiesta del paziente,22 come avvenuto du-rante il periodo della sperimentazione Di Bella. Infatti, in caso di una pluralità di tecniche tera-peutiche il medico non ha libertà di scelta secondo l’abusata affermazione “secondo scienza ecoscienza”, “ma ha il preciso dovere di praticare il trattamento che presenta la maggiore idoneitàterapeutica complessiva secondo la migliore scienza ed esperienza del momento storico, re-stando egli libero di scegliere secondo la propria scienza e coscienza solo nei casi in cui i diversitrattamenti siano tutti scientificamente seri e non risulti ancora comprovata la superiorità tera-peutica dell’uno rispetto all’altro”.23

Il rifiuto alle cure non deve essere confuso con l’eutanasia consistendo quest’ultima nella at-tuazione di atti diretti a provocare la morte (eutanasia attiva). La più recente giurisprudenza lo hachiarito nettamente specificando che l’eutanasia, così come è stata introdotta in alcuni stati esteri– Belgio, Olanda – è quella fattispecie regolata che ha “legittimato l’accelerazione del percorsobiologico naturale per la persona capace di intendere e volere, che, affetta da sofferenze insop-portabili e senza prospettive di miglioramento, chiede le venga praticato un farmaco mortale, senon in grado di autosomministrarselo, ovvero (e si parla, nell’ipotesi, di suicidio assistito) di for-nirglielo in modo che possa assumerlo”.24

Recentemente la Corte di Cassazione ha precisato che il principio del consenso informato hacome conseguenza diretta il diritto a scegliere tra le diverse possibilità di intervento terapeutico, ri-fiutare la terapia e interrompere la terapia “in tutte le fasi della vita, compresa quella terminale”.25

Capitolo 14 – il consenso informato

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19 Mantovani F., Il consenso informato: pratiche consensuali, Rivista italiana di medicina legale, 1, 16, 2000.20 Pretura di Roma, 3 aprile 1997 “Non risponde di o micidio colposo il medico che ometta di eseguire unatrasfusione di sangue salvavita ad un paziente che per motivi religiosi la rifiuti, perché il medesimo, in man-canza di consenso del paziente, non è destinatario di un obbligo giuridico di intervento coattivo”, Rivista ita-liana di medicina legale, 4-5, 1998, p. 836 (massima e sentenza); vedi anche Cassazione penale, 387, 605, 1998con commento di Iadecola G., La responsabilità penale del medico tra posizione di garanzia e rispetto dellavolontà del paziente.21 Vedi tra gli ultimi, Tribunale per i minorenni di Trento, decreto n. 214 del 30 dicembre 1996, Rivista ita -liana di medicina legale, 4-5, 1998, p. 835.22 Mantovani F., Il consenso informato: pratiche consensuali, op. cit.23 Mantovani F., Il consenso informato: pratiche consensuali, op. cit.24 Tribunale di Modena, decreto 13 maggio 2008.25 Corte di Cassazione, I sez. civile, sentenza del 16 ottobre 2007, n. 21748 (c.d. caso Englaro).

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Casi giudiziari importanti, come il caso Welby, hanno confermato questa impostazione lad-dove nella sentenza di assoluzione si legge che il medico che ha interrotto un trattamento sani-tario salvavita non è punibile in quanto ha “legittimato l’esercizio del diritto da parte della vit-tima di sottrarsi ad un trattamento sanitario non voluto”.26

Le conseguenze di un intervento chirurgico eseguito senza consensoQuestione annosa e problematica – nella dottrina e nella giurisprudenza – è quella relativa allaqualificazione e alla rilevanza penale della mancanza di consenso.In primo luogo vi è da domandarsi se la mancanza del consenso possa o meno determinare

responsabilità penale. Le posizioni in campo sono due:

1. il consenso si pone come presupposto fondamentale del consenso (opportunamente infor-mato) del malato e la sua invalidità determina un trattamento sanitario arbitrario e quindi unaresponsabilità penale del medico;27

2. la volontà del paziente ha un ruolo decisivo solo quando viene espressa in forma negativaessendo il medico, nel nostro ordinamento, legittimato a sottoporre il paziente al trattamentoterapeutico che giudica necessario alla salvaguardia della sua salute indipendentemente dallapresenza di un esplicito consenso e di conseguenza è da escludere che la condotta del me-dico che intervenga in carenza di un informato consenso possa corrispondere alla fattispe-cie astratta di un reato.28

In secondo luogo vi è da domandarsi – una volta risposto positivamente alla prima ipotesi equindi accertata la responsabilità penale del medico che agisce senza consenso – quale qualifi-cazione giuridica sia corretta per una simile condotta. Inizialmente – agli albori del consensoinformato nel noto caso “Massimo” – si affermò l’orientamento che ricorresse il delitto di lesionipersonali volontarie anche laddove eseguito a scopo di cura e con esito fausto. Questa condottaimplica comunque una lesione personale in quanto lede l’integrità corporea del soggetto chequindi consiste in una qualunque alterazione anatomica e funzionale dell’organismo e rientrandoquindi nei dettami dell’art. 582 del codice penale.29 Nella migliore delle ipotesi le lesioni potrannoessere colpose laddove il sanitario agisca nella convinzione, per negligenza o imprudenza, dellaesistenza del consenso.Nell’altra scuola di pensiero, invece, pure nel riconoscimento della arbitrarietà del trattamento

svolto senza consenso si ritiene che un trattamento medico-chirurgico “non è mai diretto a pro-vocare una malattia (lesioni personali) ma semmai a rimuoverla.30 Di conseguenza il trattamentosanitario svolto senza consenso assume sì rilevanza penale, ma non come lesioni personali bensì

il consenso informato – Capitolo 14

317

26 Tribunale di Roma, Giudice dell’Udienza preliminare, sentenza del 23 luglio 2007, n. 2049 (caso Riccio-Welby).27 Cassazione penale, V sez., sentenza del 21 aprile 1992, n. 5639; IV sez., sentenza dell’11 luglio 2001,n. 35822; IV sez., sentenza dell’11 luglio 2001, n. 11335.28 Cassazione penale, I sez., sentenza del 29 maggio 2002, n. 26446; IV sez., sentenza del 27 marzo 2001,n. 36519.29 Art. 582 – Lesione personale �Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una�malattia nel corpo o nella mente,è punito con la reclusione da tre mesi�a tre anni. �Se la malattia ha una durata non superiore ai venti giornie non concorre�alcuna delle circostanze aggravanti previste negli artt. 583 e 585, ad�eccezione di quelle in-dicate nel n. 1 e nell’ultima parte dell’articolo�577, il delitto è punibile a querela della persona offesa.30 Cassazione penale, IV sez., sentenza del 9 marzo 2001, n. 28132.

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come “attentato alla libertà individuale del paziente” e rende perciò configurabile il reato di vio-lenza privata.31

Infine si registrano la posizione intermedia di chi sostiene che il delitto di violenza privatadebba essere riconosciuto al puro trattamento medico (non chirurgico) eseguito senza consenso,mentre andrebbe riservata la fattispecie delle lesioni personali al trattamento chirurgico eseguitosenza consenso.La Cassazione distingue – nell’intervento eseguito senza consenso del paziente – a seconda

che l’esito dell’intervento chirurgico abbia avuto o meno esito “fausto”.Per quanto riguarda l’esito fausto i giudici della Suprema Corte specificano che non può es-

sere punito a titolo di dolo l’intervento eseguito senza consenso in quanto “l’atto operatorio insé, dunque, rappresenta solo una “porzione” della condotta terapeutica, giacché essa, anche seha preso avvio con quell’atto, potrà misurarsi, nelle sue conseguenze, soltanto in ragione degliesiti “conclusivi” che dall’intervento chirurgico sono scaturiti sul piano della salute complessivadel paziente che a quell’atto si è – di regola volontariamente – sottoposto”. Il chirurgo quindi conl’intervento non ha voluto operare una lesione sul paziente e nel caso in cui l’intervento “chi-rurgico sia stato eseguito lege artis, e cioè come indicato in sede scientifica per contrastare unapatologia e abbia raggiunto positivamente tale effetto, dall’atto così eseguito non potrà dirsi de-rivata una malattia, giacché l’atto, pur se “anatomicamente” lesivo, non soltanto non ha provo-cato – nel quadro generale della “salute” del paziente – una diminuzione funzionale, ma è valsoa risolvere la patologia da cui lo stesso era affetto”.32 Nel caso cioè che dall’intervento chirurgicosia “derivato un apprezzabile miglioramento delle condizioni di salute, in riferimento, anche alleeventuali alternative ipotizzabili” deve escludersi la responsabilità penale del chirurgo sia in temadi lesioni personali volontarie che di violenza privata.Diverso è se l’intervento – eseguito senza consenso o peggio ancora in dissenso o con un con-

senso fraudolentemente carpito – non abbia avuto l’esito fausto sperato. L’intervento chirurgico di-venta in questo caso arbitrario e la condotta del chirurgo deve essere punita a titolo di dolo.33

Non si può non rilevare la contraddittorietà dell’impostazione seguita dalla Cassazione chericonosce rilevanza al consenso del paziente solo in relazione all’esito dell’intervento chirurgico,con la difficoltà – di volta in volta – di capire cosa si intenda esattamente per esito “fausto” e chidebba deciderlo visto che tale determinazione non può spettare ad altri se non al paziente se nonsi vuole ricadere nelle pastoie del paternalismo medico.

IL RUOLO DELL’INFERMIERE NEL CONSENSO INFORMATO: BREVI RIFLESSIONI

In con clu sio ne possiamo dire che l’obbligo del consenso in formato è oggi uno dei principi ispi-ratori dell’attività sanitaria. È un obbligo che grava sul medico che ne è responsabile. Sono però maturi i tempi per una

discussione e un dibattito sul ruolo delle professioni sanitarie non mediche,34 con la professione

Capitolo 14 – il consenso informato

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31 Art. 610 – Violenza privataChiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od�omettere qualche cosa è punito con lareclusione fino a quattro anni. �La pena è aumentata se concorrono le condizioni prevedute dall’articolo�339. 32 Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza del 21 gennaio 2009, n. 2437. 33 Cassazione penale, IV sez., sentenza dell’8 giugno 2010, n. 21799. Vedi anche il commento di IadecolaG., Atto medico, consapevole violazione della regola del consenso del paziente e responsabilità penale: tranostalgia del passato e l’attesa del legislatore (en attendant Godot…?), Rivista italiana di medicina legale, 6,2010, pp. 1050-1066.34 Benci L., Il ruolo delle professioni sanitarie non mediche, Panorama della sanità, 20, 25 maggio 1998.

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infermieristica in prima fila sul tema del consenso, soprattutto alla luce degli ambiti di autono-mia concessi dai recenti profili professionali.L’infermiere si deve misurare con il principio del consenso informato in una duplice veste:

1. da professionista che agisce autonomamente, in uno spazio di competenza e di attribuzionia lui riconosciute, con le stesse forme e modalità viste sopra per il consenso all’atto medico;il codice deontologico dell’infermiere afferma che l’infermiere “riconosce il valore dell’infor-mazione integrata multiprofessionale e si adopera affinché l’assistito disponga di tutte le infor-mazioni necessarie ai suoi bisogni di vita” (art. 23) e “rispetta la consapevole ed esplicita vo-lontà dell’assistito di non essere informato sul suo stato di salute, purché la mancata infor-mazione non sia di pericolo per sé o per gli altri” (art. 25).

2. da professionista che agisce in modo indiretto in veste collaborante e di esecuzione delle pre-scrizioni diagnostico-terapeutiche di carattere medico, verificando, laddove le circostanze lorendano opportuno, l’effettiva prestazione del consenso da parte del paziente. L’infermiere,nella sua veste di professionista sanitario non più ausiliario, “aiuta e sostiene l’assistito nellescelte, fornendo informazioni di natura assistenziale in relazione ai progetti diagnostico-te-rapeutici e adeguando la comunicazione alla sua capacità di comprendere.”

La letteratura professionale che si è occupata dell’argomento ci dimostra come sempre di piùil problema del coinvolgimento dell’infermiere nel processo di informazione e di acquisizione delconsenso, anche per le pratiche più strettamente infermieristiche, si diffonda nell’operatività.35

Rimane fermo il punto che, comunque, anche in questa seconda veste, non è consentito al-cun atto terapeutico o assistenziale in caso di dissenso del paziente.Alcuni aspetti sull’informazione sono stati introdotti con la normativa sulla riservatezza dei

dati oggi recepita con il D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 “Codice in materia di protezione dei datipersonali”.In realtà, la materia dell’informazione al paziente non è proprio concettualmente e istitu-

zionalmente inserita all’interno di una normativa sulla protezione dei dati personali, che co-munemente viene chiamata privacy. Vi è nei fatti un’incursione della legge sulla privacy in uncampo, che al momento è regolamentato perlopiù dalla deontologia e da accordi internazionalicome la c.d. “Convenzione di Oviedo” che è stata già parzialmente recepita nel nostro ordina-mento con la legge 28 marzo 2001, n. 145.Già originariamente la prima legge sulla privacy, la legge 31 dicembre 1996, n. 675 “Tutela

delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali” all’art. 23 comma 2aveva tentato di regolamentare la questione specificando che “I dati personali idonei a rivelarelo stato di salute possono essere resi noti all'interessato solo per il tramite di un medico desi-gnato dall'interessato o dal titolare”. L’informazione al paziente, dunque, come esclusivo com-pito del medico. La legge italiana andava al di là della stessa direttiva europea che aveva origi-nato la normativa sulla riservatezza dei dati attribuendo l’informazione al medico o ad “altrooperatore sanitario”. In Italia solo al medico.Nel 1999 in virtù dell’approvazione di due decreti legislativi si è arrivati ad alcune modifi-

che, dapprima indicando nei codici deontologici la fonte dell’informazione per le altre catego-rie professionali “diverse da quella medica” e, successivamente, nello stesso anno – il fatto deveessere sottolineato per tenere conto di una regolamentazione non stabile – demandando all’ema-nazione di decreti ministeriali l’individuazione dell’ambito informativo. I decreti ministeriali non

il consenso informato – Capitolo 14

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35 Vanzetta M., Il consenso informato infermieristico in Italia: i risultati di un’indagine multicentrica, in D’Ad-dio L., Vanzetta M., Mochi Gismondi C., op. cit.

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sono mai stati emanati e comunque il testo unico sulla privacy è entrato in vigore dall’1 gennaio2004 abrogando le vecchie norme.La nuova norma sull’informazione è contenuta all’art. 84 del D.Lgs. 193/2003 che riportiamo

integralmente.

Art. 84 – Comunicazione di dati all’interessato

1. I dati personali idonei a rivelare lo stato di salute possono essere resi noti all’interessato o ai soggetti di cuiall’art. 82, comma 2, lettera a), da parte di esercenti le professioni sanitarie e organismi sanitari, solo peril tramite di un medico designato dall’interessato o dal titolare. Il presente comma non si applica in riferi-mento ai dati personali forniti in precedenza dal medesimo interessato.

2. Il titolare o il responsabile possono autorizzare per iscritto esercenti le professioni sanitarie diversi dai me-dici, che nell'esercizio dei propri compiti intrattengono rapporti diretti con i pazienti e sono incaricati ditrattare dati personali idonei a rivelare lo stato di salute, a rendere noti i medesimi dati all'interessato o aisoggetti di cui all'art. 82, comma 2, lettera a). L’atto di incarico individua appropriate modalità e cautelerapportate al contesto nel quale è effettuato il trattamento di dati.

Il primo comma è da un punto di vista dell’interpretazione letterale del tutto incomprensibile.Si dovrebbe affermare che un infermiere può informare il paziente “solo per il tramite di un me-dico”. Vogliamo pensare solo che si tratti di una riproposizione dell’originario articolo della legge675/1996 sulle attribuzioni monopolistica ed esclusiva dell’informazione al paziente da parte delmedico. Altre interpretazioni non portano da nessuna parte.La novità invece è contenuta all’interno del secondo comma. Qui un infermiere può essere

autorizzato a informare un paziente con una sorta di atto di incarico scritto che però deve con-tenere dei paletti informativi (“appropriate modalità e cautele rapportate al contesto nel quale èeffettuato il trattamento di dati”).Si è quindi passati, da parte della legge, da un monopolio informativo da parte del medico,

alla possibilità che i codici deontologici (e quindi le stesse categorie) potessero indicare gli am-biti informativi delle professioni sanitarie diverse da quella medica, ai decreti ministeriali (e quindiallo Stato) il potere di individuare gli ambiti informativi alla professione medica e infine addirit-tura al singolo medico, conferendogli il potere di autorizzazione all’informazione.La normativa è decisamente confusa, difficilmente applicabile e approssimativa. Non distin-

gue infatti gli ambiti informativi realmente medici – quale per esempio potrebbe essere la primacomunicazione di una diagnosi – dagli ambiti delle altre professioni sanitarie. Demanda il tuttoa un’autorizzazione che il singolo medico “responsabile” del trattamento dei dati personali o ad-dirittura alla figura del “titolare del trattamento” (status che in genere è della direzione) il poteredi individuare le attività informative.La parola fine su questa storia, che si trascina dal 1996, deve essere ancora messa e proba-

bilmente – come l’esperienza ormai insegna – non è la sede normativa quella più idonea a rego-lamentare una complessa materia come quella dell’informazione al paziente, e meno che maiuna legge come quella sulla protezione dei dati personali.

Capitolo 14 – il consenso informato

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Capitolo

L’INFERMIEREE LA LIBERA PROFESSIONE

L’esercizio libero professionale ha visto in questi anni un deciso sviluppo all’interno della pro-fessione infermieristica per una serie di motivi legati al mercato del lavoro. L’esercizio profes-sionale può essere svolto secondo varie modalità, legate alla scelta del professionista.

Le modalità in questione sono:

1. l’esercizio professionale in forma singola: è la modalità più semplice ed è caratterizzatada un’attività professionale organizzata in proprio, con prestazioni da erogarsi direttamentee da una responsabilità professionale diretta. Tra gli svantaggi di questa forma di organizza-zione vi è ovviamente la limitazione all’accettazione del lavoro offerto, nei limiti della capa-cità fisica del professionista;

2. l’esercizio professionale in forma associata: l’associazione tra professionisti rappresentala forma più tradizionale e storica di lavorare con altri professionisti. Rispetto alla forma sin-gola vi sono alcuni vantaggi, tra i quali quello di poter soddisfare un’offerta di lavoro ampiaper tutto o parte dell’anno, un abbattimento dei costi di esercizio, la possibilità di associarsicon altri professionisti affini;1

3. l’esercizio professionale in cooperativa: la soluzione dell’esercizio professionale esercitatoin una cooperativa sociale2 rappresenta forse la strada che ha, da un punto di vista giuridico,

1 La possibilità di associarsi con professionisti affini è riconosciuta anche dalle norme di comportamentoper la libera professione, emanate dalla Federazione nazionale dei Collegi IPASVI. All’art. 50 si precisa chelo studio associato può essere costituito esclusivamente da liberi professionisti iscritti al Collegio IPASVI;da iscritti in altri albi professionali relativi a professioni sanitarie le cui rispettive attività siano integrabili aquella infermieristica; da liberi professionisti il cui profilo professionale è previsto da decreti ministeriali re-lativi ad attività sanitarie purché sia rispettato il criterio dell’integrabilità. Restano esclusi dalla partecipa-zione agli studi associati quei lavoratori la cui autonomia professionale non è “legislativamente riconosciuta”.2 La cooperativa sociale è stata prevista dalla legge 8 novembre 1991, n. 381 “Disciplina delle cooperativesociali”. L’oggetto di questo tipo di cooperativa è “sociale”, nel senso di perseguire l’interesse della comu-nità attraverso la gestione dei servizi socio-sanitari ed educativi” e l’inserimento lavorativo di persone svan-taggiate.

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i maggiori dubbi interpretativi. In qualche modo la cooperativa si presenta come una societàparticolarmente democratica, ma comunque pur sempre una società.Con estrema probabilità, vista la caduta del divieto di costituzione di società, prevista dallalegge 23 novembre 1939, n. 1815, questa forma di organizzazione dell’esercizio professio-nale è destinata a essere considerata transitoria;

4. l’esercizio professionale all’interno di una società di professionisti: l’art. 24 della legge7 agosto 1997, n. 266 ha fatto cadere lo storico divieto di costituzione di società tra profes-sionisti contenuto nell’art. 2 della legge 23 novembre 1939, n. 1815. Diventa quindi lecito co-stituire anche questo tipo di società che deve previamente essere regolamentata con un de-creto interministeriale.

In questi anni si è acceso il dibattito intorno alla regolamentazione delle libere professionicon particolare attenzione a quelle regolamentate in ordini e albi. Sono state avviate cioè le c.d.“liberalizzazioni” che riguardano, però, solo parzialmente la professione infermieristica.

Il c.d. “decreto Bersani”3 ha – al fine di favorire il mercato dei servizi professionali e a garan-tire ai cittadini una effettiva libertà di scelta – stabilito:

1. di porre fine all’obbligatorietà delle tariffe fisse o minime o il divieto di stabilire compensi pa-rametrati al raggiungimento degli obiettivi raggiunti;

2. liberalizzazione delle attività di pubblicità sanitaria;3. liberalizzazione delle forme societarie.

Rimane ferma la possibilità di predeterminare delle tariffe massime a tutela dell’utente.

LA CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA E ASSISTENZA

A favore dei liberi professionisti che esercitano la libera professione in qualsiasi forma – sin-gola, associata o in società professionali, soci di cooperative sociali, in forma di collabora-zione coordinata e continuativa – è stata istituita la Cassa nazionale di Previdenza e Assi-stenza,4 costituita come Fondazione di diritto privato a cui devono iscriversi obbligatoria-mente tutti i liberi professionisti. Vi sono degli obblighi di contribuzione pari al 10% del red-dito professionale netto autonomo, con un minimo contributivo di lire 1 000 000 e con possi-bilità di iscrizione anche per coloro che svolgono contemporaneamente un’attività di lavorodipendente.

Le prestazioni che la Cassa di previdenza eroga in favore dei propri iscritti sono:

1. la pensione di vecchiaia;2. l’assegno di invalidità;3. la pensione di inabilità;4. la pensione ai superstiti, reversibilità o indiretta;5. l’indennità di maternità.5

3 Decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 – Gazzetta Ufficiale (serie generale) n. 153 del 4 luglio 2006 – coordi-nato con la legge di conversione 4 agosto 2006, n. 248, in questa stessa Gazzetta Ufficiale alla p. 5, recante:“Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione dellaspesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale”.4 Istituita ai sensi del D.Lgs. 10 febbraio 1996, n. 103.5 Per le ulteriori prestazioni erogate dalla Cassa nazionale di previdenza vedi Carli E., La cassa di previdenzaIPASVI, in Benci L., Manuale giuridico professionale per l’esercizio del nursing, McGraw-Hill, Milano, 2001.

Capitolo 15 – l’infermiere e la libera professione

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LA PUBBLICITÀ SANITARIA

La pubblicità sanitaria è regolata dalla legge 5 febbraio 1992, n. 175 “Norme in materia di pub-blicità sanitaria e di repressione dell’esercizio abusivo delle professioni sanitarie” così come mo-dificata dalla legge 26 febbraio 1999, n. 42 e dal decreto del Ministero della sanità 16 settembre1994, n. 657 recante il “Regolamento concernente la disciplina delle caratteristiche estetiche delletarghe, insegne e inserzioni per la pubblicità sanitaria”.

Un’ulteriore modifica è stata introdotta dalla legge 3 maggio 2004, n. 112 “Norme di princi-pio in materia di assetto del sistema radiotelevisivo e della RAI-Radiotelevisione italiana S.p.a.,nonché delega al Governo per l'emanazione del testo unico della radiotelevisione”.

La pubblicità riguardante l’esercizio delle professioni sanitarie è consentita solo “mediantetarghe apposte sull’edificio in cui si svolge l’attività professionale, nonché mediante inserzionisugli elenchi telefonici, sugli elenchi generali di categoria e attraverso giornali periodici desti-nati esclusivamente agli esercenti le professioni sanitarie”; attraverso giornali quotidiani, pe-riodici di informazione ed emittenti televisive locali.

Per le targhe da apporre sull’edificio è necessario ottenere l’autorizzazione del sindaco chela rilascia previo nulla osta del collegio professionale presso il quale è iscritto il richiedente. An-che il codice di deontologia infermieristica richiama l’importanza del rispetto della normativasulla pubblicità sanitaria precisando all’art. 46 che “l’infermiere si ispira a trasparenza e veridi-cità nei messaggi pubblicitari, nel rispetto delle indicazioni del Collegio professionale”.

Per l’inosservanza di alcune norme sulla pubblicità sanitaria sono previste delle sanzioni or-dinistico-disciplinari (vedi cap. 18).

LE NORME DI COMPORTAMENTO

Per disciplinare in modo più compiuto l’attività libero professionale, la Federazione nazionaledei Collegi IPASVI ha emanato delle “Norme di comportamento per l’esercizio autonomo dellaprofessione infermieristica”6 le quali si affiancano e vengono richiamate dal codice deonto-logico.

Per espressa previsione le norme di comportamento si prefiggono di:

– “fornire ai Collegi uno strumento per gestire i rapporti con i liberi professionisti;– mettere ordine in un settore nuovo e in pieno sviluppo;– stabilire regole comuni per la gestione dei rapporti tra i liberi professionisti, i clienti, i colle-

ghi ecc.”.7

Le norme di comportamento sono contenute in un documento che si divide in due parti, ar-ticolate in nove titoli che complessivamente raccolgono 66 articoli.

La prima parte comprende i principi generali che tutti i professionisti sono tenuti a rispettare,indipendentemente dalla modalità operativa adottata. La seconda parte interviene invece nellesingole organizzazioni dell’esercizio professionale e detta alcune norme anti-trust.

6 Documento del Comitato centrale della Federazione nazionale dei Collegi IPASVI presentato al Consiglionazionale il 28 settembre 1996. È data facoltà dei singoli Collegi provinciali di modificarlo e integrarlo.7 Valerio G. (a cura di), L’attività libero professionale dell’infermiere. Guida all’esercizio, Federazione nazio-nale Collegi IPASVI Editore, Roma, 1996.

l’infermiere e la libera professione – Capitolo 15

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Tra le norme anti-trust segnaliamo l’art. 61, il quale specifica che “in ogni caso nessuna formaassociata potrà fornire un numero di liberi professionisti tale da determinare situazioni di altera-zione del principio della libera concorrenza”. Per rendere effettiva questa affermazione di principiosi precisa inoltre che sarà compito di ogni singolo Collegio provinciale “determinare i limiti dimen-sionali in funzione del numero degli infermieri esercenti la libera professione”.

Le norme contenute in questo documento costituiscono un “impegno di comportamento” daparte degli infermieri liberi professionisti. L’inosservanza delle norme costituisce “abuso o man-canza o fatto disdicevole al decoro” e come tale, oggetto di sanzione disciplinare da parte dellostesso Collegio (vedi cap. 18).

IL NOMENCLATORE TARIFFARIO

Come tradizionalmente avviene in gran parte delle professioni, anche la professione infermieri-stica ha un tariffario denominato “Nomenclatore tariffario nazionale”8 che tutti gli infermieri li-beri professionisti devono applicare. Rispetto al passato – dove il nomenclatore aveva soltantol’indicazione di una tariffa minima – è riportata l’indicazione dell’onorario minimo e massimoche i professionisti devono applicare in modo non derogabile.

I compensi vengono computati utilizzando quattro possibili modalità di tariffazione:

1. tariffa a prestazione: si applica – di norma – quando viene effettuata una singola prestazionein via estemporanea o comunque secondo modalità non riconducibili a quanto contemplatodi seguito;

2. tariffa ad accesso: si applica quando vengono effettuate prestazioni o attività multiple nellastessa seduta o intervento. Il compenso viene definito assumendo a riferimento la presta-zione a tariffa più elevata, per intero, e applicando alle rimanenti prestazioni la riduzionedel 50%;

3. tariffa a piano/progetto/consulenza: si applica nei casi in cui è prevista una pluralità di accessiper lo stesso cliente/committente con prestazioni diversificate. Il compenso viene definitodal professionista assumendo come riferimento il grado di complessità delle prestazioni/at-tività e il tempo necessario per lo svolgimento delle stesse;

4. tariffa a tempo: si applica quando il professionista è titolare di convenzioni/contratti conaziende sanitarie, e istituzioni pubbliche e private che prevedano l’uso della tariffa oraria.Come riferimento per la determinazione dell’onorario professionale il compenso viene defi-nito assumendo come riferimento il tempo di impegno del professionista.

L’inosservanza delle norme e delle tariffe definite dal nomenclatore tariffario dà luogo a re-sponsabilità ordinistico-disciplinare. L’osservanza del nomenclatore tariffario è richiamata an-che dal Codice deontologico del 1999 che specifica all’art. 5.4 che “nell’esercizio autonomo dellaprofessione l’infermiere si attiene alle norme di comportamento emanate dai collegi IPASVI; nelladefinizione del proprio onorario rispetta il vigente nomenclatore tariffario”.

Il valore del nomenclatore tariffario è oggi, per le innovazioni apportate con il decreto sulleliberalizzazioni, meno cogente che in passato e ha più un valore orientativo che prescrittivo e ri-mane obbligatorio per le tariffe massime.

Capitolo 15 – l’infermiere e la libera professione

8 Approvato dal Consiglio nazionale della Federazione nazionale dei Collegi IPASVI il 3 marzo 2002. So-stituisce il precedente “Nomenclatore tariffario minimo nazionale degli onorari e dei compensi per le pre-stazioni e per le attività infermieristiche” del 1995.

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Capitolo

LA DOCUMENTAZIONE SANITARIA

NOZIONI PRELIMINARI SUGLI ATTI

Per documento o atto si intende “ogni scritto, dovuto a una persona che in esso si palesa, con-tenente esposizione di fatti o dichiarazioni di volontà”.1

Da questa definizione consegue che sono necessarie:

– la forma scritta;– l’attribuibilità dello scritto all’autore del documento.

Il modo normale in cui solitamente l’autore di un documento ne assume la paternità è la sot-toscrizione e cioè l’apposizione della propria firma in calce all’atto. Non è necessario che l’au-tore del documento scriva tutto l’atto. L’atto può essere scritto da altri, ma ne assume la pater-nità solo chi lo sottoscrive, cioè chi lo firma.

La sottoscrizione di regola deve essere autografa, cioè scritta a mano. Non è strettamente ne-cessaria in essa l’indicazione per esteso del nome e del cognome, ma è sufficiente “che sia ido-nea a individuare chi l’ha apposta”.2

La sottoscrizione viene di regola accompagnata dalla data, che è essenziale per taluni tipi diatti. Si ritiene che la data sia essenziale per ogni singola verbalizzazione della documentazionesanitaria.

L’approfondimento di questa parte è decisamente importante, in quanto, come è stato op-portunamente segnalato, “il contenzioso giu diziario originato da denunce di pazienti e familiarisarebbe ridimensionato ove le cartelle cliniche fossero compilate in modo corretto e completo,con tutte le attività poste in essere dai sanitari”.3 Discorso analogo potrebbe essere fatto per lacartella infermieristica.

La carenza della compilazione o della tenuta della cartella clinica ha fatto dire alla Corte diCassazione che costituisce “indice di un comportamento assistenziale costantemente ne gligentee imperito […] segno di un impegno mediocre […] fonte certa di responsabilità”4 soprattutto sele mancate annotazioni influiscono in modo determinante sull’insuccesso dell’atto sanitario.

1 Antolisei F., Manuale di diritto penale. Parte speciale, vol. II, Giuffrè, Milano, 1986.2 Antolisei F., Manuale di diritto penale. Parte speciale, vol. II, op. cit.3 Bilancetti M., La responsabilità civile e penale del me dico, Cedam, Padova, 1995, p. 94.4 Cassazione civile, III sez., sentenza del 19 febbraio 1998, n. 18557.

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Capitolo 16 – la documentazione sanitaria

5 La prima modifica è stata operata con il D.Lgs. 4 marzo 2006, n. 159 “Disposizioni integrative e corret-tive al D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, recante Codice dell’amministrazione digitale” e la seconda modifica conil D.Lgs. 30 dicembre 2010, n. 235 “Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, re-cante Codice dell’amministrazione digitale, a norma dell’articolo 33 della legge 18 giugno 2009, n. 69”.

I vari tipi di attiVi sono essenzialmente due tipi di atti: gli atti pubblici e le scritture pri vate.

L’atto pubblico è definito dagli artt. 2699 e 2700 del codice civile. L’art. 2699 specifica: “L’attopubblico è il documento redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da altro pubblico uffi-ciale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l’atto è formato”. L’art. 2700 ag-giunge: “L’atto pubblico fa piena pro va, fino a querela di falso, della provenienza del documentodal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti cheil pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti”.

Le due categorie non sono esaustive in quanto non ricomprendono tutti gli atti pubblici chepossono essere compiuti.

La dottrina giuridica e la giurisprudenza, per ovviare a questo problema, hanno così classifi-cato gli atti pubblici:

1. atti pubblici in senso stretto, cosiddetti fidefacenti, come regolati dagli articoli del codicecivile sopra riportati;

2. atti pubblici in senso lato, che sono redatti dagli incaricati di pubblico servizio nell’eserci-zio delle loro attribuzioni.

Così delineata, la differenza tra i due atti assume una diversa rilevanza, soprattutto proces-suale. Nel processo civile il giudice è vincolato dalla ricostruzione del fatto contenuta nell’attopubblico fidefacente, mentre valuta liberamente la ricostruzione del fatto contenuta nell’atto pub-blico in senso lato.

La nozione di “scrittura privata” si desume per e sclusione da quella di “atto pubblico”. È scrit -tura privata ogni documento che non abbia caratteristiche di atto pubblico. Ai sensi dell’art.2702 del codice civile, la scrittura privata “fa piena prova, fino a querela di falso, della prove-nienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è prodottane riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta”.

Gli atti digitaliL’informatizzazione della documentazione procede a grandi falcate nel mondo contemporaneoe si è resa necessaria la sua regolamentazione. È stato varato e più volte modificato il “codicedell’amministrazione digitale” recepito con il D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82.5

In primo luogo dobbiamo familiarizzare con le definizioni contenute nel codice dell’ammini-strazione digitale:

1. per documento informatico si intende “la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giu-ridicamente rilevanti” da distinguersi dal “documento analogico” che è la rappresentazionenon informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti”;

2. per “firma elettronica” si intende “l’insieme dei dati in forma elettronica, allegati oppure con-nessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici, utilizzati come metodo di identifi-cazione informatica”;

3. per “firma elettronica qualificata” si intende l’insieme di “dati in forma elettronica allegati op-pure connessi a un documento informatico che consentono l’identificazione del firmatariodel documento e garantiscono la connessione univoca al firmatario, creati con mezzi sui quali

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la documentazione sanitaria – Capitolo 16

il firmatario può conservare un controllo esclusivo, collegati ai dati ai quali detta firma si rife-risce in modo da consentire di rilevare se i dati stessi siano stati successivamente modificati”;

4. firma elettronica qualificata: un particolare tipo di firma elettronica avanzata che sia basata suun certificato qualificato e realizzata mediante un dispositivo sicuro per la creazione della firma;

5. per firma digitale si intende “un particolare tipo di firma elettronica avanzata basata su uncertificato qualificato e su un sistema di chiavi crittografiche, una pubblica e una privata, cor-relate tra loro, che consente al titolare tramite la chiave privata e al destinatario tramite lachiave pubblica, rispettivamente, di rendere manifesta e di verificare la provenienza e l’inte-grità di un documento informatico o di un insieme di documenti informatici”.

Il documento informatico “da chiunque formato, la memorizzazione su supporto informatico ela trasmissione con strumenti telematici conformi alle regole tecniche” specificate da un disciplinaretecnico richiamato dal Codice dell’amministrazione digitale è valido e rilevante agli effetti di legge”.

Aggiunge il comma 1 bis dell’art. 20 che “l’idoneità del documento informatico a soddisfare ilrequisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, te-nuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità”.

Il documento informatico se “sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digi-tale, formato nel rispetto delle regole tecniche” previste dal codice dell’amministrazione digitaleha l’efficacia prevista dalla scrittura privata ai sensi dell’art. 2802 del codice civile e quindi “fapiena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritta,se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa èlegalmente considerata come riconosciuta”.L’utilizzo del dispositivo di firma “si presume riconducibile al titolare, salvo che questi dia provacontraria”.

LA DOCUMENTAZIONE SANITARIA

Per documentazione sanitaria si intendono tutti quei documenti che gli operatori sanitari com -pilano nell’esercizio della loro attività siano essi o meno previsti da apposite fonti normative.

La documentazione sanitaria si compone principalmente dei seguenti registri:

1. la cartella clinica e gli altri registri nosologici come la scheda di dimissione ospedaliera e ilregistro di pronto soccorso;

2. la cartella infermieristica e gli altri strumenti di documentazione infermieristica che vengonoadottati in luogo della cartella infermieristica come il registro dei rapporti e delle consegne ole schede delle consegne per so na liz zate;

3. il registro di carico e scarico degli stupefacenti.

La documentazione sanitaria – clinica e infermieristica – è di gran lunga la documentazioneprincipale all’interno degli ospedali e, in generale, delle organizazzioni sanitarie.

Storicamente e tradizionalmente la cartella clinica è considerata il più importante e fonda-mentale dei documenti. Negli ultimi due decenni si è affiancata ad essa la cartella infermieri-stica. Non sempre questo processo di affiancamento è stato semplice per una serie di resistenzeda parte del mondo medico6 da un lato e dalla duplicazione delle verbalizzazioni che possonoessere anche in contraddizione dall’altro.

6 Rodriguez D., Manuale di medicina legale per infermieri, Carocci, Roma, 2004, p. 112.

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La sua istituzione e implementazione si è verificata – come si usa dire – “a macchia di leo-pardo” e verosimilmente non in tutto il territorio nazionale essa viene compilata. La cartella in-fermieristica, lungi dall’essere una mera appendice di quella medica, costituisce un documentodi primaria importanza e probabilmente con un processo evolutivo può approdare a un docu-mento unico e unificante con la cartella clinica in una logica di documentazione integrata.

A tal proposito, è stato notato che vi è stata spesso la tendenza a confondere cartella clinicacon cartella medica. In effetti, nella maggior parte dei contesti, questi due termini – clinica e me-dica – sono spesso utilizzati come sinonomi. Si auspica da più parti il superamento dei documenticoncepiti come separati e la loro integrazione in un unico documento in quanto entrambi sonoomogenei “in funzione del fine comune della tutela della salute della persona ricoverata”.7

Poco importante a questo punto che si chiami cartella clinico-infermieristica, cartella clinicaintegrata, cartella sanitaria integrata o in altro modo. Di recente sono intervenute due regioniche, con atti regolamentari – la Regione Lombardia8 – e con atti legislativi – il Veneto9 – hannosposato questa impostazione. Il Veneto ha precisato che “la cartella clinico ospedaliera” si com-pone del diario clinico, del diario o della cartella infermieristica, della cartella anestesiologica,del modulo di raccolta del consenso informato del paziente, dei referti di visite specialistiche diconsulenza e di esami diagnostico-strumentali eseguiti, della descrizione dell’intervento chirur-gico (se eseguito) e della scheda di dimissione ospedaliera.10

La logica seguita è quindi quella della integrazione dei documenti del paziente compilati daqualsiasi professionista sanitario.

Tra l’altro ormai si afferma comunemente che, tra le varie funzioni della documentazione sa-nitaria, vi sono le finalità di integrazione professionale e la forte esigenza di tracciabilità delle at-tività svolte.

Questa è o dovrebbe essere la tendenza in atto. Per motivi legati alla realtà delle strutturetratteremo i due documenti in modo distinto ricordando che però nulla è di ostacolo alla inte-grazione dei documenti.

L’INFERMIERE E LA CARTELLA CLINICA

In questo paragrafo faremo spesso riferimento alla figura del primario. Abbiamo avuto modo diprecisare altrove (vedi cap. 9) che questa figura oggi non esiste più ed è stata sostituita dal “di-rettore”. Non sempre la dottrina giuridica e la giusrisprudenza hanno recepito tali cambiamentie, tra l’altro, non solo continuano a citare i vecchi nomi ma anche la vecchia normativa.

Non possiamo quindi non tenere conto di questi aspetti scusandoci per l’impostazione data.Alcune – non tutte – attribuzioni date al primario di un tempo sono oggi di competenza dell’at-tuale direttore, figura apicale della gerarchia medica.

La cartella clinica, da un punto di vista legale, ricopre quindi la qualifica di atto pubblico difede privilegiata11 che ha lo scopo principale di documentare l’andamento della malattia, i me-dicinali somministrati, le terapie praticate, l’esito della cura, la data di ricovero e di dimissionedel ricoverato.

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Capitolo 16 – la documentazione sanitaria

7 Rodriguez D., Manuale di medicina legale per infermieri, op. cit., p. 112.8 Regione Lombardia, direzione generale sanità, Manuale della cartella clinica, 2/e, 2007.9 Legge regionale (Regione Veneto) 14 dicembre 2007, n. 34 “Norme in materia di tenuta, informatizza-zione e conservazione delle cartelle cliniche e sui moduli di consenso informato”.10 Vedi art. 3 “Cartella clinica ospedaliera e territoriale”, legge regionale 34/2007.11 Cassazione penale, IV sez., 30 giugno 1975, n. 9872: “Sono da considerarsi atti pubblici di fede privile-

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la documentazione sanitaria – Capitolo 16

Natura analoga viene riconosciuta ai registri nosologici, come per esempio i registri opera-tori e i registri di pronto soccorso,12 che rappresentano la verbalizzazione di un’attività di dia-gnosi e cura da trascrivere successivamente nella cartella clinica.13

Responsabile per legge della cartella clinica è il primario (vedi premessa al presente para-grafo).14

Infatti, l’art. 7 del D.P.R. 27 marzo 1969, n. 128 stabiliva che il primario “è responsabile dellaregolare compilazione delle cartelle cliniche, dei registri nosologici e della loro conservazione”,superando così il disposto dell’art. 24 del D.P.R. n. 1931 del 30 settembre 1938 nel quale si stabi-liva la responsabilità diretta del primario per quanto riguarda “la regolare tenuta delle cartelle cli-niche e dei registri nosologici”.

Anche se queste fonti normative non sono più in vigore, non essendo state sostituite da al-tre, vengono ancora prese come riferimento.

Il contenuto della cartella clinica non è predeterminato dalla legge negli ospedali e nelleaziende pubbliche,15 mentre è stato disciplinato nelle case di cura private.16

Il D.M. 27 ottobre 2000, n. 380 “Rego la mento recante norme concernenti l’aggiornamentodella disciplina del flusso informativo sui dimessi dagli istituti di ricovero pubblici e privati” haposto delle norme in relazione alla cartella clinica definita come lo “strumento in formativo indi-viduale finalizzato a rilevare tutte le informazioni anagrafiche e cliniche rilevanti, che riguardanoun singolo ricovero ospedaliero di un paziente”.

Ciascuna cartella deve “rappresentare l’intero ricovero del paziente nell’istituto di cura”; diconseguenza la cartella “coincide con la storia del paziente all’interno dell’istituto di cura […] se-gue il paziente all’interno della struttura ospedaliera e ha termine al momento della dimissione”.

L’eventuale trasferimento del paziente da una unità operativa all’altra non comporta la di-missione e la riammissione del paziente, e il numero identificativo di ciascuna cartella deve es-sere lo stesso per tutta la durata del ricovero, indipendentemente dal numero dei trasferimentiinterni.

giata tutti quelli che, indipendentemente dalla loro revocabilità o non definitività, il pubblico ufficiale formanell’esercizio di una speciale potestà di accettazione conferitagli dalla legge, dai regolamenti e dall’ordina-mento interno dell’ente nel cui nome e conto l’atto è formulato (nella specie sono stati ritenuti muniti di fedeprivilegiata il verbale di ricovero e la cartella clinica di un ammalato compilata da un medico di un pubblicoospedale)”.12 Cassazione penale, IV sez., 4 settembre 1989, n. 11366 (udienza del 21 aprile 1989).13 Mucci G., Palmieri M., La cartella clinica, aspetti medico-legali e responsabilità professionali, Liviana, Pa do -va, 1990, p. 19.14 D.P.R. n. 128 del 27 marzo 1969, art. 7.15 Fineschi V., La cartella clinica. Guida all’esercizio pro fessionale per i medici chirurghi e gli odontoiatri, FNOMCeO,Edizioni Medico-Scientifiche, Torino, 2000.16 D.P.C.M. del 27 luglio 1986 “Atto di indirizzo e coordinamento dell'attività amministrativa delle regioniin materia di requisiti delle case di cura private”. Art. 35 – Cartelle cliniche In ogni casa di cura privata è prescritta, per ogni ricoverato la compilazione della cartella clinica da cui ri-sultino le generalità complete, la diagnosi di entrata, l'anamnesi familiare e personale, l'esame obiettivo, gliesami di laboratorio e specialistici, la diagnosi, la terapia, gli esiti e i postumi.Le cartelle cliniche, firmate dal medico curante e sottoscritte dal medico responsabile di raggruppamento,dovranno portare un numero progressivo ed essere conservate a cura della direzione sanitaria. Fatta salvala legislazione vigente in materia di segreto professionale, le cartelle cliniche e i registri di sala operatoriadevono essere esibiti, a richiesta, agli organi formalmente incaricati della vigilanza.In caso di cessazione dell'attività della casa di cura le cartelle cliniche dovranno essere depositate presso ilservizio medico-legale della USL territorialmente competente.

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Fanno eccezione i passaggi da ricovero ordinario a diurno e viceversa, e i passaggi da rico-vero acuto a riabilitazione o lungodegenza. In questi casi si dovrà procedere alla compilazionedi una nuova cartella clinica e di una nuova scheda di dimissione.

In caso di ricovero diurno (day hospital) “la cartella clinica, e la corrispondente SDO (schedadi dimissione ospedaliera), devono raccogliere la storia e la documentazione del paziente rela-tive all’intero ciclo di trattamento; ogni singolo accesso giornaliero del paziente è conteggiatocome giornata di degenza e la data di dimissione corrisponde alla data dell’ultimo contatto conl’istituto di cura; la cartella clinica, e la corrispondente SDO, relative ai ricoveri diurni, devonoessere chiuse convenzionalmente alla data del 31 dicembre di ciascun anno, salvo dar luogo auna nuova cartella, e a una nuova SDO, per i cicli di trattamento in ricovero diurno che doves-sero proseguire l’anno successivo”.

I COMPITI INFERMIERISTICI

La compilazione della cartella clinica, quale atto di natura documentale, non è di esclusiva com-petenza medica, in quanto già il D.P.R. 225/1974 attribuiva agli infermieri professionali essen-zialmente i compiti di (Fig. 16.1):

– “annotare sulle schede cliniche gli abituali ri lievi di competenza (temperatura, polso, re spiro,pressione, secreti, escreti)”;

– “conservazione di tutta la documentazione clinica, sino al momento della consegna agli ar-chivi centrali”.

Si ritiene inoltre che l’infermiere possa compilare anche il cosiddetto frontespizio, che in ge-nere è posto nella parte iniziale della cartella e che contiene i dati anagrafici del paziente.

I punti particolarmente rilevanti, di carattere penalistico e medico-legale, delle problemati-che che riguardano la cartella clinica, si possono così sintetizzare:17

– la regolare compilazione;– il segreto;– la privacy;– la conservazione;– la circolazione della cartella clinica e quindi le modalità del suo rilascio.

I rilievi che seguono, giurisprudenziali e dottrinari, si riferiscono alle competenze mediche, masono applicabili anche agli infermieri professionali, nei limiti delle attribuzioni per loro stabilite.

La regolare compilazione della car tella clinicaSu questo particolare aspetto la Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare che “la cartellaclinica, della cui regolare compilazione è responsabile il primario, adempie la funzione di diariodel decorso della malattia e di altri fatti clinici rilevanti. Attesa la sua funzione di diario i fatti de-vono essere annotati contestualmente al loro verificarsi”.18

Il primario è quindi responsabile dell’esattezza e sufficienza dei dati contenuti nella cartellaclinica, mentre la responsabilità delle singole verbalizzazioni è da attribuire a coloro che le hanno

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Capitolo 16 – la documentazione sanitaria

17 Gattai A., Cartella clinica, compilazione, gestione ar chivio, aspetti medico legali, OEMF, Milano, 1979.18 Cassazione, V sez., sentenza dell’11 novembre 1983, n. 9423.

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effettuate. La responsabilità del primario non può quindi che essere una responsabilità in “vigi-lando”, a meno che non sia egli stesso a verbalizzare.19

Tuttavia, in mancanza di elementi che consentano di identificare l’autore della verbalizza-zione, quella del primario è l’unica responsabilità accertabile.

Inoltre, sempre secondo la sentenza della Cas sazione sopra citata, “i fatti devono essere an -notati contestualmente al loro verificarsi”. La contestualità diventa quindi un elemento impor-tante della compilazione della cartella clinica e del controllo del suo regolare compimento.

In particolare, è vero che i compiti dell’infermiere professionale nella compilazione della car-tella clinica sono limitati, ma è anche vero che sono compiti importanti e delicati e non vi è al-cun motivo plausibile per rimandarne l’annotazione.

Una significativa pronuncia della Corte di Cassazione,20 valida per tutti i compilatori della car-tella, siano essi medici o infermieri, ha avuto modo di precisare che “la cartella clinica acquistail carattere di definitività in relazione a ogni singola annotazione ed esce dalla sfera di disponi-bilità del suo autore nel momento stesso in cui la singola annotazione viene registrata”.

Ogni annotazione assume pertanto autonomo valore documentale e acquista efficacia giu -ridica non appena viene trascritta, con la con seguenza che una successiva alterazione del suocontenuto esporrebbe a responsabilità pe nale il suo autore.

Sono essenzialmente due i reati a cui si e spone l’infermiere che alteri la cartella clinica e sonoprevisti dal codice penale agli artt. 476 e 479 che regolano, rispettivamente, il falso materiale inatto pubblico e il falso ideologico in atto pubblico:

– l’art. 476 c.p. specifica che “il pubblico ufficiale che nell’esercizio delle sue funzioni for ma, intutto o in parte, un atto falso o altera un atto vero è punito con la reclusione da uno a sei anni”;

– l’art. 479 c.p. si occupa della falsità ideologica degli atti pubblici che si verifica quando il pub-blico ufficiale (e l’incaricato di pubblico servizio) “attesta falsamente che un fatto è stato dalui compiuto o è avvenuto alla sua presenza, o attesta come da lui ricevute dichiarazioni a

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la documentazione sanitaria – Capitolo 16

19 Mucci G., Palmieri M., La cartella clinica, op. cit.20 Cassazione, V sez., sentenza dell’11 novembre 1983, n. 9423.

I compiti infermieristici“storici” riguardantila cartella clinica

annotazione dei rilievi di competenza:pressione arteriosa, polso, respiro,

temperatura, secreti ed escreti

custodia e conservazione finoalla consegna agli archivi centrali

Figura 16.1 L’infermiere e la cartella clinica: attività storiche.

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Capitolo 16 – la documentazione sanitaria

lui non rese, ovvero omette o altera dichiarazioni a lui non rese, ovvero omette o altera di-chiarazioni da lui ricevute, o comunque attesta falsamente fatti dei quali l’atto è destinato aprovare la verità”.

La differenza tra la falsità materiale e la falsità ideologica risiede in questo: la falsità mate-riale consiste nell’opera di contraffazione del documento, cancellando o facendo altre operazionidi alterazione del documento pubblico; la falsità ideologica, invece, consiste nell’attestare cosefalse od omettere cose di cui si aveva l’obbligo di annotazione.

Un esempio di falsità materiale è cancellare un dato sulla pressione arteriosa e sostituirlo conun altro.

Un esempio di falsità ideologica consiste nell’annotazione di valori di rilevamento di pres -sione arteriosa, non avendola rilevata, inventati.

Risponderebbe, quindi, di falsità materiale in atto pubblico, ex art. 476 c.p., l’infermiere chemodificasse i rilievi di propria competenza, una volta trascritti in cartella.

Si ha perciò falsità materiale quando il contenuto della cartella viene alterato dopo la sua for-mazione, ricorrendo a cancellature, abrasioni, aggiunte ecc.

Si avrebbe, invece, falsità ideologica in atto pubblico, ex art. 479 c.p., quando l’annotazioneriportata non corrispondesse alle effettive condizioni del paziente.

Il reato in questione si verifica quando l’atto è genuino, ma il suo contenuto non è veritiero.21

Infine, può delinearsi ipotesi di falso ideologico in atto pubblico anche in alcuni casi concretidi compilazione tardiva o annotazione postuma di un atto clinico rilevante.

Ipotesi che si verificherebbero sia quando con il ritardo si realizzi una voluta falsa rappre-sentazione dei fatti, sia quando il ritardo porti a una velata forma di falso ideologico commessoper semplice mancanza di regolare compilazione.22 L’importanza dell’annotazione dei dati dellapressione arteriosa, del polso, del respiro, della temperatura, cioè dei cosiddetti parametri vitali,attribuiti dal mansionario all’infermiere, è evidente.23 Infine, per essere considerata regolarmentecompilata, la cartella clinica deve essere redatta con “grafia chiara e leggibile”.24

Come abbiamo accennato, le norme sulla compilazione della cartella clinica e i reati a essaconnessi sono applicabili anche agli altri registri nosologici, con particolare riguardo al registrodi pronto soccorso e al registro di sala operatoria.

Il segretoLa cartella clinica risulta, per sua stessa natura, un atto estremamente riservato dell’attività sa-nitaria, per cui l’infermiere è tenuto, al pari del medico, all’osservanza del segreto.

In dottrina erano sorte discussioni sul tipo di segreto, professionale o d’ufficio, che era posto atutela della cartella clinica. Possiamo affermare che entrambi i tipi di segreto sono applicabili a tu-tela della riservatezza della cartella clinica e degli altri documenti sanitari, in quanto il segreto pro-fessionale è posto a tutela dell’assistito e il segreto d’ufficio a tutela dell’amministrazione pubblica.

21 Cassazione, V sez., sentenza del 9 marzo 1981, n. 2032. 22 Mucci G., Palmieri M., La cartella clinica, op. cit.23 Mucci G., Palmieri M., La cartella clinica, op. cit.: “Sem brano comunque avere maggiore tutela penale ifatti obiettivi (quali gli aspetti non opinabili dell’esame obiettivo, annotazioni della temperatura, dei dati pres-sori, accertamenti diagnostici e terapie conseguite) e meno gli elementi soggettivi, opinabili, di giudizio delmalato (anamnesi, sintomi) o del medico (diagnosi discrezionale non fondata su rilievi obiettivi) che sonopur sempre annotazioni raccolte da incaricati di pubblico servizio”.24 Gattai A., Nozioni fondamentali di legislazione sanitaria, medicina legale e deontologia pratica, OEMF, Mi lano, 1986.

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la documentazione sanitaria – Capitolo 16

La privacy e il rilascio di cartelle clinicheIl D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 “Codice in materia di protezione di dati personali” ha normatouna serie di disposizioni sulla documentazione sanitaria.

Ricordiamo che nella classificazione degli elementi contenuti nella cartella clinica e in ognialtro documento sanitario, ai sensi della legge sulla riservatezza, si parla di “dati personali”. I datipersonali sono classificati, in base alla loro rilevanza, in:

1. dati identificativi, che consentono l’identificazione diretta di una persona con informazioniquali, per esempio, le generalità, il codice fiscale, l’immagine ecc.;

2. dati sensibili, con informazioni relative all’etnia, alla razza, alla religione, all’appartenenzapolitica e sindacale e con informazioni idonee a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale;

3. dati giudiziari.

L’art. 92 del D.Lgs. 196/2003, rubricato come “Cartelle cliniche”, recita testualmente come segue.

1. Nei casi in cui organismi sanitari pubblici e privati redigono e conservano una cartella clinica in confor-mità alla disciplina applicabile, sono adottati opportuni accorgimenti per assicurare la comprensibilità deidati e per distinguere i dati relativi al paziente da quelli eventualmente riguardanti altri interessati, ivi com-prese informazioni relative a nascituri.

2. Eventuali richieste di presa visione o di rilascio di copia della cartella e dell’acclusa scheda di dimissioneospedaliera da parte di soggetti diversi dall’interessato possono essere accolte, in tutto o in parte, solo sela richiesta è giustificata dalla documentata necessità:a) di far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria ai sensi dell’articolo 26, comma 4, lettera c), di

rango pari a quello dell’interessato, ovvero consistente in un diritto della personalità o in un altro di-ritto o libertà fondamentale e inviolabile;

b) di tutelare, in conformità alla disciplina sull’accesso ai documenti amministrativi, una situazione giu-ridicamente rilevante di rango pari a quella dell’interessato, ovvero consistente in un diritto della per-sonalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile.

La conservazione della cartella clinicaLa cartella clinica, ha precisato il Mi ni ste ro della sanità,25 deve essere conservata “unitamente ai re-ferti illimitatamente, poiché rappresenta un atto ufficiale indispensabile a garantire la certezza deldiritto, oltre a costituire preziosa fonte documentaria per le ricerche di carattere storico sanitario”.

Quindi le cartelle cliniche devono essere con servate per sempre. Non è così invece per i referti radiografici, in quanto, sempre secondo lo stesso Ministero, non

rivestono “il carattere di atti ufficiali”. Il periodo di conservazione indicato precedentemente in venti anni come periodo di conser-

vazione minimo, è stato recentemente modificato in periodo minimo di dieci anni dal D.M. 14febbraio 1997.26

In tale decreto si sono distinti i documenti ra diologici e di medicina nucleare dai resoconti ra-diologici e di medicina nucleare.

I primi consistono “nella documentazione i co nografica prodotta a seguito dell’indagine dia-gnostica utilizzata dal medico specialista nonché in quella prodotta nell’ambito delle attività ra-diodiagnostiche complementari all’esercizio clinico”.

I secondi consistono invece nella documentazione dei “referti stilati dal medico specialistaradiologo o medico nucleare”.

25 Ministero della sanità, circolare n. 900.2/AG.464/280 del 19 dicembre 1996.26 Gazzetta Ufficiale n. 58 dell’11 marzo 1997.

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Capitolo 16 – la documentazione sanitaria

Quindi il materiale per immagini ha un periodo minimo di conservazione di dieci anni, mentrela risposta del medico deve seguire la sorte della cartella clinica e viene conservata per sempre.

Specifici compiti, nella conservazione della car tella clinica, erano attribuiti all’infermiere dalgià citato art. 1 del D.P.R. n. 225/74, il quale specificava che è attribuita all’infermiere la “[…] con-servazione di tutta la documentazione clinica sino al momento di consegna agli archivi centrali”.

I compiti di conservazione e di custodia in reparto si riferiscono sicuramente a tutto il periododi degenza fino alla data di dimissione.

L’invio agli archivi centrali non avviene, in genere, contestualmente alla data di dimissione,in parte per motivi organizzativi, in parte per permettere ai medici di completare la cartella cli-nica laddove manchino risposte di esami diagnostici, isto-anatomo-patologici e altro, in parteper i regolamenti stabiliti dalle varie USL e dai vari enti.

IL REGISTRO OPERATORIO

Abbiamo già fatto osservare che il registro operatorio non è previsto da un’apposita fonte legi-slativa. Tuttavia la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che esso rappresenta la verbaliz-zazione di un’attività di diagnosi e cura da trascrivere successivamente in cartella clinica.

Sul punto ha avuto modo di intervenire il Ministero della sanità che ha riassunto i punti sa-lienti in un documento che, data l’importanza dell’argomento, riportiamo per esteso.

Ministro della SanitàDipartimento II, già Divisione II DGOn. 900.2./2.7/190

Oggetto: Registro operatorio.

A integrazione della circolare ministeriale n. 61 del 19 dicembre 1985, concernente il periodo di con servazionedella documentazione sanitaria presso le istituzioni sanitarie pubbliche e private di ricovero e cura, lo scrivente Mi -nistero, in conformità al parere espresso dal Consiglio Superiore di Sanità nella seduta del 13 settembre 1995, ri-tiene di precisare quanto segue in merito al registro operatorio.Il registro operatorio deve documentare il numero e le modalità esecutive degli interventi chirurgici.Il registro operatorio, ossia il verbale di o gni intervento, costituisce parte integrante e rilevante della car tella clinica,nella quale dovrà sempre essere compresa una copia di tale verbale qualsisasi siano le modalità della sua tenuta.La tenuta del registro operatorio, ancorché non espressamente prescritta dalla legge, è pertanto obbligatoria:il registro, agli effetti della norma sul falso documentale, è atto pubblico.Per le su esposte caratteristiche il registro operatorio deve soddisfare precisi requisiti sostanziali e formali.In particolare, il Consiglio Superiore di Sa nità ha ritenuto:

– che i requisiti sostanziali siano essenzialmente: la veridicità, la completezza e la chiarezza. Per quan to ri-guarda la veridicità appare utile l’adozione di opportuni accorgimenti nel caso in cui si debba procederea correzioni di errori materiali (se l’errore è commesso all’atto della stesura è possibile coprire con un trattodi penna la parola che si intende eliminare che deve comunque restare leggibile; se si vuole procederenella correzione in epoca successiva è necessario porre una annotazione che dia esplicitamente atto delpregresso errore);

– che i requisiti formali, oltre ai fondamentali elementi identificativi del paziente, siano sintetizzabili nei se-guenti punti:1. indicazione della data, di ora di inizio, ora di fi ne dell’atto operatorio;2. indicazione del nome del primo operatore e di quanti hanno partecipato direttamente all’intervento;3. diagnosi finale e denominazione della pro ce du ra eseguita;4. tipo di anestesia utilizzata e nome dei sanitari che l’hanno condotta;

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la documentazione sanitaria – Capitolo 16

5. descrizione chiara e sufficientemente par ti co la riz zata della procedura attuata;6. sottoscrizione da parte del primo operatore;

– che le modalità pratiche della tenuta del registro operatorio debbano dipendere dalle Direzioni Sanitariedelle singole istituzioni ospedaliere che dovranno scegliere tra le possibili modalità quelle che garanti-scano la massima tutela nei riguardi delle eventuali manomissioni;

– che il Primario/Direttore dell’unità operativa sia direttamente responsabile della corretta compilazione,della tenuta e della conservazione del Re gi stro Operatorio;

– che per quanto riguarda la sua conservazione, si debba rimandare a quanto previsto in tema di cartelle cli-niche dalla circolare n. 61 del 19/12/1986.

Detta circolare prevede al riguardo che: “le car tel le cliniche, unitamente ai relativi referti,vanno con servate illimitatamente poiché rappresentano un atto ufficiale indispensabile a ga-rantire la certezza del diritto, oltre a costituire preziosa fonte documentaria per le ricerche di ca-rattere storico-sanitario”.

I punti salienti di questo documento sono:

1. la tenuta del registro operatorio è atto pub blico e obbligatoria;2. il registro operatorio deve contenere il numero e le modalità esecutive degli interventi;3. il registro deve contenere una parte staccabile, il verbale di ogni intervento, che deve es sere

allegato alla cartella clinica;4. vengono individuati dei requisiti sostanziali, quali la “chiarezza, la veridicità e la comple-

tezza” e dei requisiti formali, di seguito e lencati:– indicazione della data, di ora di inizio e di fine dell’atto operatorio;– indicazione del nome del primo operatore e di quanti hanno partecipato direttamente

all’intervento;– diagnosi finale e denominazione della procedura eseguita;– tipo di anestesia utilizzata e nome dei medici che l’hanno eseguita;– descrizione chiara e sufficientemente particolarizzata della procedura attuata;– sottoscrizione da parte del primo operatore.

Non possiamo fare a meno di notare l’insufficienza di tali requisiti. Negli interventi di chi-rurgia addominale o pelvica, in particolare, esiste un rischio, ampiamente documentato, di“smarrimento o dimenticanza di corpi estranei nell’organismo del paziente”. Come specificatonel capitolo 8 prende parte alla procedura della conta della garze anche il cosiddetto infer-miere di sala operatoria, che non compare però nel registro operatorio.

Essendo il registro, sempre dal punto di vista della responsabilità professionale, un forteelemento probatorio, si riterrebbe utile, oltre al la sottoscrizione del primo operatore (medico)introdurre, anche per via di prassi, l’obbligatorietà della firma di tutti i presenti, onde evitareproblemi di sorta.

È utile precisare che comunque il Ministero non ha proposto un modello di registro, ma neha indicato soltanto i presupposti minimi, suscettibili ovviamente di essere ampliati e integrati.

La scheda nosologica di dimissioneLa scheda di dimissione ospedaliera (SDO) è stata istituita con il decreto del Ministero dellasanità del 28 dicembre 1991 e recentemente modificata con il D.M. 27 ottobre 2000, n. 380 “Re-golamento recante norme concernenti l’aggiornamento della disciplina del flusso informativosui dimessi dagli istituti di ricovero pubblici e privati”.

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La scheda di dimissione ospedaliera si pone come lo “strumento ordinario per la raccolta delleinformazioni relative a ogni paziente dimesso dagli istituti di ricovero pubblici e privati in tutto ilterritorio nazionale”. La scheda di dimissione ospedaliera non deve essere compilata per gli isti-tuti di ricovero a carattere prevalentemente socio-assistenziale, per le residenze sanitarie assi-stenziali, le comunità protette e le strutture manicomiali residuali.

La scheda di dimissione ospedaliera “costituisce parte integrante della cartella clinica, di cuiassume le medesime valenze di carattere me dico-legale”.

La responsabilità della corretta compilazione della scheda “compete al medico responsabiledella dimissione individuato dal responsabile dell’unità operativa dalla quale il paziente è di-messo; la scheda di dimissione reca la firma dello stesso medico responsabile della dimissione”.

Anche la codifica delle informazioni riportate nella scheda compete al medico responsabiledella dimissione “ovvero ad altro personale sanitario, individuato dal direttore sanitario dell’isti-tuto di cura”. Quest’ultima attribuzione è stata apportata dal D.M. 380/2000 che specifica ancheche “in entrambi i casi, il personale che effettua la codifica deve essere opportunamente formatoe addestrato”. Il direttore sanitario è invece “responsabile delle verifiche in ordine alla compila-zione delle schede di dimissione, nonché dei controlli sulla completezza e la congruità delle infor-mazioni in esse riportate”.

Le regioni e le province autonome, infine, devono provvedere a verificare, anche attraversoindagini campionarie effettuate sulle cartelle cliniche, “la completezza, la congruenza e l’accu-ratezza delle informazioni rilevate attraverso le schede di dimissione”.

In buona sostanza la “SDO costituisce una rappresentazione sintetica e fedele della cartellaclinica, finalizzata a consentire la raccolta sistematica, economica e di qualità controllabile delleprincipali informazioni contenute nella cartella stessa”.

LA NATURA GIURIDICA DELLA CARTELLA INFERMIERISTICA E DI ALTRA DOCUMENTAZIONE SANITARIA O DI COMPETENZA DEGLI INFERMIERI

L’art. 1 del D.P.R. 225/1974, oltre ai compiti descritti in ordine alla cartella clinica, stabiliva chel’infermiere doveva provvedere alla “registrazione su apposito diario delle prescrizioni mediche,delle consegne e delle osservazioni eseguite durante il servizio”.

Inoltre, la Cassazione ha precisato che rientrano nella tutela dell’art. 476 c.p. anche “gli attimeramente interni, cioè quegli atti formati dal pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzionial fine di documentare fatti inerenti all’attività da lui svolta e alla regolarità delle azioni ammini-strative alle quali egli è addetto”.27

Quindi l’annotazione sulle schede cliniche dei rilievi di competenza dell’infermiere non rive-ste il carattere di “atto pubblico fidefacente”, in quanto quei rilievi non provengono da un pub-blico ufficiale nell’esercizio di una speciale potestà certificatrice.

Secondo quanto succintamente abbiamo discusso in precedenza non sembra quindi possi-bile riconoscere al diario infermieristico la stessa efficacia probatoria della cartella clinica inquanto non è documento “precostituito a garanzia della pubblica fede” e soprattutto non è re-datto da un pubblico ufficiale autorizzato da una “speciale funzione certificatrice”.

L’infermiere è riconosciuto come incaricato di pubblico servizio, a differenza del medico cheviene riconosciuto come pubblico ufficiale.

336

Capitolo 16 – la documentazione sanitaria

27 Cassazione, V sez., 25 settembre 1980, Califfo et al., Giurisprudenza italiana, II, 72, 1982.

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Al diario infermieristico si deve invece riconoscere la qualifica di atto pubblico in senso lato,sia pure atto interno, posto in essere da un pubblico impiegato incaricato di un pubblico servizioper uno scopo inerente alle sue funzioni; inoltre serve a “documentare fatti inerenti all’attività dalui svolta e al pubblico servizio per uno scopo inerente alle sue funzioni”; nonché a “documen-tare fatti inerenti all’attività da lui svolta e alla regolarità delle operazioni amministrative allequali egli è addetto”.28

Natura analoga deve riconoscersi alla cartella infermieristica.29 Essa è un documento fon-damentale secondo le moderne concezioni del nursing.

L’adozione della cartella infermieristica è specificamente prevista dal D.P.R. 384 del 28 no-vembre 1990 che recepisce l’accordo per il contratto collettivo dei dipendenti del SSN, all’art. 135,che istituisce la “commissione per la verifica e la revisione della qualità dei servizi e delle pre-stazioni sanitarie”. L’adozione della cartella infermieristica viene indicata, da tale fonte nor-mativa, quale elemento di valutazione di qualità dell’assistenza infermieristica.

In mancanza della cartella infermieristica, rivestono la qualifica di atto pubblico in senso lato il re-gistro dei rapporti e consegne o le consegne personalizzate compilate dagli infermieri e dai caposala.

Per quanto riguarda la regolare compilazione, il segreto e la conservazione della cartella in-fermieristica sono applicabili i rilievi e le osservazioni discussi nel paragrafo dedicato alla car-tella clinica. Sono inoltre identici i reati in cui incorrono sia il compilatore della cartella infer-mieristica, sia il compilatore della cartella clinica.

Deve essere combattuto quindi con forza il luogo comune, molto diffuso tra gli operatori sa-nitari, che considera la cartella clinica come l’unico atto avente valore legale.

Peraltro, nei processi penali tutta la documentazione sanitaria, sia essa medica o infermieri-stica, viene sequestrata e usata per la ricostruzione del fatto, compresi brogliacci e blocchi a usointerno.

A conferma di quanto sopra si riporta un rilievo giurisprudenziale in cui la documentazioneinfermieristica assume valore pari alla documentazione medica nella ricostruzione del fatto.

Il Pretore di Firenze,30 in una causa penale che riguardava sia medici sia infermieri, ha rico-struito il fatto “dalla cartella clinica, sebbene gravemente lacunosa, dal libro delle consegne delpersonale paramedico, più puntuale e ampiamente attendibile secondo il parere dello stesso CT(Consulente tecnico) del PM (Pub bli co ministero) [...]”.

Quindi, a parere sia del magistrato giudicante, sia di quello inquirente, la documentazione in-fermieristica, nel caso in questione, è servita più della cartella clinica nella ricostruzione del fatto.

Valore identico alla cartella infermieristica deve essere riconosciuto, infine, al registro del ca-rico e scarico degli stupefacenti.

337

la documentazione sanitaria – Capitolo 16

28 Cassazione, V sez., 25 settembre 1980, cit.29 Quaderno del nursing di base, Nettuno, Parma, 1993. Vi si legge: “La cartella infermieristica è uno stru-mento che consente di trascrivere, nelle sue diverse parti: i dati raccolti, le diagnosi infermieristiche indivi-duate, la pianificazione, l’attuazione degli interventi previsti e la valutazione del percorso comune. La cartella infermieristica è costituita dalle seguenti parti:1. spazio per la trascrizione dell’accertamento; serve per i dati di base (dati anagrafici, motivazione del ri-covero) e per i dati oggettivi, ambientali e soggettivi che analizzano lo svolgimento delle attività di vita;

2. spazio per la stesura della pianificazione che può comprendere: la definizione della diagnosi infermieri-stica, gli obiettivi da raggiungere, le scadenze previste e gli interventi da attuare su quella specifica per-sona;

3. spazio per la trascrizione dell’attuazione degli interventi previsti nella pianificazione;4. spazio per la valutazione dell’intero processo a partire dalla verifica del grado di raggiungimento degliobiettivi”.

30 Pretura di Firenze, sentenza del 9 marzo 1994, n. 893.

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Il contenuto della cartella infermieristica31 non è predeterminato in nessuna fonte normativa,come è probabilmente giusto che sia. Il contenuto deve ricavarsi dall’attività infermieristica, cosìcome oggi la intende il quadro normativo dopo le innovazioni apportate con le riforme all’eser-cizio professionale operate dalle leggi 42/1999 e 251/2000.

Devono essere sicuramente presenti le seguenti parti, che sono riportate dal profilo profes-sionale:

1. la raccolta anamnestica, generalmente chiamata in ambito infermieristico “raccolta dati”;2. la pianificazione;3. la gestione e il diario infermieristico;4. la valutazione dell’assistenza.

Nella trasformazione professionale della funzione infermieristica alcuni autori arrivano a pro-spettare la legittimazione della certificazione infermieristica il cui contenuto è da ricercare all’in-terno delle attività usualmente svolte dall’infermiere.32

IL REGISTRO DEGLI STUPEFACENTI DEI REPARTI DI DEGENZA E NEI SERVIZI

Il registro degli stupefacenti è da considerarsi un “atto pubblico” in quanto redatto da un incari-cato di pubblico servizio nell’esercizio delle sue attribuzioni (Fig. 16.2).

Le norme relative alla tenuta del registro sono contenute all’interno del D.P.R. 9 ottobre 1990,n. 309 contenente il “Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanzepsicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza”.

Tale normativa però non prevedeva una specifica tipologia di registro da tenere nelle unitàoperative di degenza e nei servizi sanitari in genere, ma prevedeva solo particolari registri (perle farmacie, per le navi, per i cantieri di lavoro).

Dopo anni di incertezze legate alla tipologia di documento da adottare nelle singole unità ope-rative, il legislatore in ottemperanza al disposto della legge 8 febbraio 2001, n. 12 “Norme per age-volare l’impiego dei farmaci analgesici oppiacei nella terapia del dolore” ha colmato la lacuna.

Riportiamo gli artt. 2 bis, ter, quater e quinquies che vanno ad aggiungersi al secondo commadell’art. 60 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.

Art. 2 bisLe unità operative delle strutture sanitarie pubbliche e private, nonché le unità operative dei servizi territorialidelle aziende sanitarie locali sono dotate di registro di carico e scarico delle sostanze stupefacenti e psicotropedi cui alle tabelle I, II, III e IV previste dall’art. 14.

Art. 2 terIl registro di carico e scarico deve essere conforme al modello di cui al comma 2 ed è vidimato dal direttoresanitario, o da un suo delegato, che provvede alla sua distribuzione. Il registro di carico e scarico è conser-vato, in ciascuna unità operativa, dal responsabile dell’assistenza infermieristica per due anni dalla data dell’ul-tima registrazione.

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Capitolo 16 – la documentazione sanitaria

31 Per l’approfondimento della cartella infermieristica si confrontino le più recenti monografie: Casati M.,La documentazione infermieristica, McGraw-Hill, Milano, 1999; Fumagalli E., Lamboglia E., Magon G., MottaP., La cartella infermieristica informatizzata – Uno strumento per la pianificazione e la misurazione del carico dilavoro, Edizioni Medico-Scientifiche, Torino, 1998.32 Rodriguez D., Aprile A., Medicina legale per infermieri, Carocci, Roma, 2004, pp. 130-131.

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la documentazione sanitaria – Capitolo 16

Art. 2 quaterIl dirigente medico preposto all’unità operativa è responsabile dell’effettiva corrispondenza tra la giacenza con-tabile e quella reale delle sostanze stupefacenti e psicotrope di cui alle tabelle I, II, III e IV previste dall’art. 14.

Art. 2 quinquiesIl direttore responsabile del servizio farmaceutico compie periodiche ispezioni per accertare la corretta tenutadei registri di carico e scarico di reparto e redige apposito verbale da trasmettere alla direzione sanitaria.

In seguito a questa previsione normativa è stato emanato il D.M. 3 agosto 2001 “Approva-zione del registro di carico e scarico delle sostanze stupefacenti e psicotrope per le unità opera-tive” che riportiamo per intero.

Art. 11. È approvato l’allegato modello di registro di carico e scarico delle sostanze stupefacenti e psicotrope di

cui alle tabelle I, II, III e IV previste dall’art. 14 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990,n. 309, con le relative norme d’uso, destinato alle unità operative.

2. ll registro di carico e scarico è costituito da cento pagine numerate progressivamente e vidimato in ognipagina dal direttore sanitario o da un suo delegato, ai sensi dell’art. 60, comma 2 ter, del decreto del Pre-sidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 e successive modificazioni.

3. In alternativa il registro può essere costituito da un modulo continuo, adatto a essere utilizzato come sup-porto cartaceo per sistemi informatici, fermo restando gli obblighi di numerazione delle pagine e di vi-dimazione di cui al comma 2.

Art. 21. Il registro di carico e scarico è stampato e venduto tramite i normali canali commerciali presenti nel terri-

torio nazionale.

Art. 31. Le unità operative devono dotarsi del registro in parola nei tempi necessari affinché il suo utilizzo sia pos-

sibile a far data dall’1 gennaio 2002.

Art. 41. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale

della Repubblica italiana.

Norme d’uso del registro di carico e scarico delle sostanze stupefacenti e psicotrope per le unità operative

1. Il registro di carico e scarico in dotazione alle unità operative delle strutture sanitarie pubbliche e private,nonché delle unità operative dei servizi territoriali delle aziende sanitarie locali, è l’unico documento sucui annotare le operazioni di approvvigionamento, somministrazione e restituzione dei farmaci stupefa-centi e psicotropi di cui alle tabelle I, Il, III, e IV previste dall’art. 14 del testo unico delle leggi in mate-ria di stupefacenti (decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990).

2. Il registro, costituito da cento pagine prenumerate, è vidimato dal direttore sanitario o da un suo dele-gato, che provvede alla sua distribuzione.

3. Il responsabile dell’assistenza infermieristica è incaricato della buona conservazione del registro. Dopodue anni dalla data dell’ultima registrazione, il registro può essere distrutto.

4. Il dirigente medico dell’unità operativa è responsabile dell’effettiva corrispondenza tra la giacenza con-tabile e reale delle sostanze stupefacenti e psicotrope.

5. Il direttore responsabile del servizio farmaceutico, attraverso periodiche ispezioni, accerta la corretta te-nuta del registro di carico e scarico di reparto. Di tali ispezioni verrà redatto apposito verbale che saràtrasmesso alla direzione sanitaria.

6. Ogni pagina del registro deve essere intestata a una sana preparazione medicinale, indicandone la formafarmaceutica e il dosaggio. Inoltre si deve riportare l’unità di misura adottata per la movimentazione.

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Capitolo 16 – la documentazione sanitaria

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la documentazione sanitaria – Capitolo 16

7. Le registrazioni, sia in entrata sia in uscita, devono essere effettuate cronologicamente, entro le 24 oresuccessive alla movimentazione, senza lacune di trascrizione.

8. Dopo ogni movimentazione, deve essere indicata la giacenza.9. Per le registrazioni deve essere impiegato un mezzo indelebile; le eventuali correzioni, effettuate senza

alcuna abrasione e senza uso di sostanze coprenti, dovranno essere controfirmate.10. Nel caso di somministrazione parziale di una forma farmaceutica il cui farmaco residuo non può essere

successivamente utilizzato (come per esempio una fiala iniettabile), si procederà allo scarico dell’unitàdi forma farmaceutica. Nelle note sarà specificata l’esatta quantità di farmaco somministrata, corrispon-dente a quella riportata nella cartella clinica del paziente. La quantità residua del farmaco è posta tra irifiuti speciali da avviare alla termodistruzione.

11. Il registro non è soggetto alla chiusura annuale, pertanto non deve essere eseguita la scritturazione riassun-tiva di tutti i dati comprovanti i totali delle qualità e quantità dei medicinali movimentati durante l’anno.

Prescrizioni d’uso

1. Indicare: il nome della specialità medicinale o del prodotto generico o della preparazione galenica, laforma farmaceutica (compresse, fiale, soluzione orale ecc.), il dosaggio e l’unità di misura adottata perla movimentazione (ml, mg o unità di forma farmaceutica).

2. Indicare il numero progressivo della registrazione.3. Indicare il giorno, mese e anno della registrazione.4. Indicare il numero del buono di approvvigionamento o di restituzione del farmaco. La movimentazione

di farmaci tra diverse unità operative dello stesso presidio, deve essere specificata nelle note.5. Indicare la quantità di farmaco ricevuta in carico.6. Indicare il nome e il cognome o il numero della cartella clinica o altro sistema di identificazione del pa-

ziente. Indicare l’unità operativa, in caso di cessione a quest’ultima. Indicare la farmacia, in caso di reso.7. Indicare la quantità di farmaco somministrata o consegnata o ceduta o resa.8. Indicare la quantità di farmaco giacente presso l’unità operativa dopo ogni movimentazione.9. Firma di chi esegue la movimentazione.

10. Indicare, oltre ai casi già evidenziati, specifiche annotazioni atte a fornire maggiore chiarezza in casiparticolari.

Rispetto alla normativa precedente e, soprattutto, alle sue indecisioni interpretative, le no-vità sono rilevanti anche se talvolta contraddittorie.

Sulla tenuta del registro troviamo le norme più contraddittorie.33 Il registro deve essere“conservato, in ciascuna unità operativa, dal responsabile dell’assistenza infermieristica perdue anni dalla data dell’ultima registrazione”. Si riduce quindi l’obbligo quinquennale di con-servazione. Qualche problema lo può porre l’indicazione del “responsabile” dell’assistenza in-fermieristica. L’attuale normativa contrattuale e legislativa non individua in realtà un respon-sabile dell’assistenza infermieristica. Anzi, l’art. 1 del profilo professionale dell’infermiere re-cepito con il D.M. 14 settembre 1994, n. 739 specifica che l’infermiere è “responsabile dell’as-sistenza generale infermieristica”.

Nella normativa contrattuale è stata abolita nel 1999 la vecchia dizione di “caposala” e so-stituita con “collaboratore professionale sanitario” che comunque non indica un responsabiledell’assistenza infermieristica, ma un infermiere con particolari attribuzioni gestionali, mana-geriali e amministrative.

Decisamente errata invece è la previsione dell’attribuzione della responsabilità del “diri-gente medico preposto all’unità operativa tra la giacenza contabile e quella reale delle so-stanze stupefacenti”. Errata in quanto stravolge una prassi, una legislazione e una giurispru-

33 Benci L., Janus, 1, 2001.

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Capitolo 16 – la documentazione sanitaria

34 I compiti di carico e scarico erano già previsti dalla previgente normativa mansionariale che all’art. 1 pre-vedeva, tra le attribuzioni di carattere organizzativo e amministrativo, la “registrazione del carico e delloscarico degli stupefacenti”.35 In Gazzetta Ufficiale n. 45 del 23 febbraio 1996.

denza consolidate che individuavano nel caposala, o comunque nel personale infermieristico,la responsabilità per la regolare tenuta del registro degli stupefacenti e per eventuali amman-chi. Errata perché induce a comportamenti deresponsabilizzanti da parte di chi detiene, mettein carico, scarica sostanze stupefacenti all’interno delle stesse unità operative, cioè il perso-nale infermieristico.34 Errata infine, perché non avrà pratica attuazione nei suoi fini di con-trollo, ma solo nelle sue conseguenze sanzionatorie.

Per il resto il modello appare coerente soprattutto laddove inserisce alla sottoscrizione lavoce “firma di chi esegue la movimentazione” e la specificazione che questo diventa l’unico“documento su cui annotare le operazioni di approvvigionamento, somministrazione e resti-tuzione dei farmaci stupefacenti e psicotropi”.

Nella prassi infatti si verificavano situazioni di “contabilità parallela” di registri di stupefa-centi con doppia trascrizione, doppia conseguente possibilità di errore, maggiore facilità di al-terazione e rischio per il personale di essere accusato di irregolare tenuta del registro degli stu-pefacenti, ai sensi dell’art. 68 D.P.R. 309/1990.

Altresì errata è la previsione normativa contenuta nel punto 7. delle “Norme d’uso del re-gistro di carico e scarico delle sostanze stupefacenti e psicoptrope per le unità operative” delregistro degli stupefacenti laddove specifica testualmente che “le registrazioni, sia in entratasia in uscita, devono essere effettuate cronologicamente, entro le 24 ore successive alla movi-mentazione, senza lacune di trascrizione”.

Le 24 ore di tempo concesse dal regolamento sono contradditorie in quanto:

1. la nozione di atto pubblico serve per attestare ciò che viene fatto dal pubblico ufficiale odall’incaricato di pubblico servizio per atti avvenuti in sua presenza o da lui compiuti;

2. si vanifica la motivazione per cui nasce il registro degli stupefacenti che è il documentounico che serve ad accertare la corrispondenza tra la parte contabile e la giacenza realedelle sostanze psicotrope o stupefacenti. Con le 24 ore di tempo il registro perde questafunzione di tracciabilità fondamentale;

3. si rischia di vanificare la previsione del registro di stupefacenti come documento “unico” inquanto le 24 ore di tempo consentite hanno come presupposto un altro documento carta-ceo su cui annotare provvisoriamente quanto meno la somministrazione;

4. contrasta, come vedremo, con le norme previste per il registro informatico sugli stupefacenti;5. permette implicitamente di verbalizzare – viste le 24 ore di tempo e l’organizzazione sani-

taria – lo scarico a coloro che non erano presenti durante la movimentazione.

Risulta esatta l’indicazione data dal punto 10 delle norme d’uso in relazione al comporta-mento da tenere per le somministrazioni parziali di farmaco.

Altre innovazioni sono state apportate dal D.M. 15 febbraio 1996 denominato “Appro va zio -ne della modulistica per il controllo del movimento delle sostanze stupefacenti e psicotropetra le farmacie interne degli ospedali ed i singoli reparti”. Oggetto principale di questo decretoè appunto il cambio di modulistica per l’approvvigionamento e per la restituzione di stupefa-centi tra i reparti e la farmacia centrale.

Il decreto però contiene anche delle “norme d’uso per il bollettario delle richieste interne”che, data l’importanza, riportiamo integralmente.35

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D.M. 15 febbraio 1996Norme d’uso per il bollettario delle richieste interne

1. I moduli approvati, in dotazione a ogni reparto, divisione o servizio, sono i soli documenti validi per otte-nere la fornitura dei medicinali soggetti alla disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope dalla far-macia interna (o da apposito servizio).Gli stessi saranno distribuiti dalla farmacia interna, su richiesta scritta del responsabile del reparto.La distribuzione deve avvenire in modo controllato, annotando il numero del modello, il numero dei fo-gli e la numerazione, che deve essere unica e progressiva.I blocchetti di moduli esauriti verranno consegnati alla farmacia, che provvederà alla loro archiviazione.La distruzione degli stessi potrà avvenire dopo due anni a partire dalla data dell’ultima registrazione.Il caposala è delegato alla buona conservazione del modulario.Il ricevente dovrà contestualmente sottoscrivere quanto prelevato dalla farmacia interna.

2. Ogni richiesta è relativa a un solo medicinale dello stesso dosaggio nel numero occorrente di confezioni(o di forme farmaceutiche divisibili) e, conseguentemente, la registrazione nel registro di carico e scaricodeve essere coerente al sistema a dot tato.Le movimentazioni devono essere indicate in unità di forma farmaceutica (cps, fiale ecc.) o in unità di peso(g, mg) o in unità di volume (ml).In ogni caso l’unità adottata nella registrazione deve essere identica a quella usata nel modello per il pre-lievo presso la farmacia.

3. Fatte salve le situazioni di emergenza clinica, non sono ammesse le richieste di approvvigionamento in-dirizzate a un altro reparto ancorché la farmacia interna risulti sprovvista del medicinale occorrente.Nel caso di passaggio da reparto a reparto, la richiesta dovrà essere fatta in triplice copia, di cui una perla farmacia ospedaliera.

4. Per la compilazione deve essere usato un mezzo indelebile e le eventuali correzioni, effettuate senza abra-sioni o l’impiego di vernici coprenti, devono essere controfirmate.

I punti da sottolineare su quanto sopra riportato sono:

– il caposala è tenuto alla buona conservazione del modulario;– il modulario deve essere conservato per un periodo minimo di due anni;– non possono più essere prestati farmaci stupefacenti da reparto a reparto se non nelle situa-

zioni di “emergenza clinica”. In quest’ultimo caso si dovrà provvedere a redigere una rego-lare richiesta, firmata dal medico, in triplice copia, di cui una copia rimane al reparto richie-dente, una deve essere indirizzata alla farmacia centrale e una rimane al reparto a cui è ri-volta la richiesta. Per quest’ultimo reparto la richiesta deve essere con servata, conformementealle norme sopra riportate, per almeno due anni, all’interno del registro.

Controlli sul registro degli stupefacentiI registri degli stupefacenti possono essere soggetti a vigilanza da parte del Mini ste ro della sa-nità o da parte delle forze di polizia. Il ministero può disporre ispezioni ordinarie, ogni due anni,o straordinarie, in “ogni tempo”.

È utile precisare che il registro degli stupefacenti deve essere esibito ogni qualvolta i funzionaridel Ministero della sanità o, più frequentemente, gli appartenenti alle forze di polizia lo chiedano.L’obbligo di esibizione dei documenti è previsto dall’art. 7 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309. Dettoobbligo è provvisto di opportuna sanzione qualora vi fosse un’opposizione alle ispezioni. L’art.8 del D.P.R. citato infatti specifica che “salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito conl’arresto fino a un anno o con l’ammenda da lire un milione a lire dieci milioni chiunque:

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Capitolo 16 – la documentazione sanitaria

1. indebitamente impedisce od ostacola lo svolgimento delle ispezioni previste dall’art. 6;2. rivela o preannuncia l’ispezione qualora questa debba essere improvvisa o comunque non

preannunciata;3. indebitamente impedisce od ostacola i controlli, gli accessi o gli altri atti previsti dall’art. 29,

oppure si sottrae all’obbligo di esibire i documenti di cui all’art. 7”.

Per quanto riguarda l’elemento psicologico del reato, si ritiene che si possa rispondere sia atitolo di dolo che di colpa.36

Nell’attività ispettiva vi è ricompresa la possibilità di eseguire perquisizioni locali per le quali,trattandosi di attività amministrativa, non è richiesto alcun provvedimento dell’autorità giudi-ziaria, in quanto l’ispezione ha come oggetto attività professionali sottoposte ad autorizzazione,per cui è implicita l’accettazione, da parte dei soggetti interessati, degli interventi di controlloprevisti dalla legge.37

La condotta sanzionata è costituita dall’attività del soggetto volta a impedire od ostacolare losvolgimento dell’ispezione.

“Per impedimento si intende un comportamento attivo volto a far sì che l’ispezione non ab-bia luogo”.38

L’attività dell’ostacolare invece può “consistere in azioni od omissioni dirette a rendere im-possibile, difficoltosa o incompleta l’ispezione, anche una volta iniziata, senza che sia posta inessere un’opposizione palese e diretta”. Per alcuni autori “la violazione dell’obbligo di esibizionesi configura come ipotesi speciale di impedimento delle ispezioni”.39

Ragione per cui il dichiarare alle forze di polizia o ai carabinieri di “non essere in possessodella chiave” o il fatto che la chiave sia solo “in possesso del caposala” non in servizio può com-portare sanzioni penali.

In caso di perdita, smarrimento o sottrazione del registro degli stupefacenti, di loro parti odei relativi documenti giustificativi, deve essere fatta denuncia scritta entro ventiquattro oredalla constatazione, alla più vicina autorità di pubblica sicurezza e ne deve essere data comuni-cazione al Ministero della sanità.40

La violazione dell’obbligo di denuncia e anche il semplice ritardo sono sanzionati penalmentecon la previsione di una fattispecie contravvenzionale, punita con l’arresto fino a due anni o conl’ammenda da lire tre milioni a lire cinquanta milioni.41

I reati sul registro degli stupefacentiIl registro degli stupefacenti è da considerarsi un atto pubblico, per cui valgono tutti i rilievi e leconsiderazioni fatti per questo tipo di documento sulla falsità documentale.

L’art. 68 del D.P.R. 309/1990, però, sanziona anche l’irregolare tenuta del registro. Infatti pre-cisa che “salvo che il fatto costituisce più grave reato, chiunque non ottempera alle norme sullatenuta del registro di entrata e uscita […] è punito con l’arresto sino a due anni o con l’ammendada lire tre milioni a lire cinquanta milioni”. Si ritiene, in dottrina, che trattandosi di reato con-travvenzionale sia punibile anche a titolo di colpa.42

36 Dubolino P., Il codice delle leggi sugli stupefacenti, La Tribuna, Piacenza, 1991.37 Di Gennaro G., La Greca G., La droga. Traffico, abusi, controlli, Giuffrè, Milano, 1992.38 Amato G., Fidelbo G., La disciplina penale degli stupefacenti, Giuffrè, Milano, 1994.39 Palazzo F., Consumo e traffico degli stupefacenti, Ce dam, Padova, 1994.40 D.P.R. 309/1990, art. 67.41 D.P.R. 309/1990, art. 68.42 Amato G., Fidelbo G., La disciplina penale degli stupefacenti, op. cit., p. 116.

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Nel concetto di irregolare tenuta rientrano la mancata chiusura annuale del registro e le man-cate tempestive verbalizzazioni delle movimentazioni. Riportiamo una recente massima dellaCassazione penale.

La finalità della norma è, infatti, quella di rendere operativo il sistema di controllo del movimento dei far-maci contenenti sostanze ad effetto stupefacente, garantendo la ricostruzione documentale (cosiddettatracciabilità) e assicurando in tempo reale (e non alle scadenze solari) la dinamica degli spostamenti edelle presenze dei farmaci custoditi. In tal senso depongono chiaramente le plurime cautele, fissate dall’art.60 L.S. appunto per tenere in evidenza il movimento di entrata ed uscita, quali: la specialità del registro;l’ordine cronologico delle sue annotazioni (che non si concilia con la annualità delle scadenza, soste-nuta in ricorso); la progressione numerica per ogni tipo di sostanza e di medicinale; l’assenza di lacune,abrasioni e aggiunte nelle relative annotazioni. L’obbligo di iscrivere in tale apposito registro ogni ac-quisto o cessione di sostanze stupefacenti o psicotrope è imposto ai titolari nel momento stesso in cuiviene effettuato il movimento ed è irrilevante la effettiva ricostruibilità aliunde della entrata o della uscitadi dette sostanze, così come la verifica postuma della assenza di abusi, trattandosi di contravvenzionepunibile anche in caso di omissione colposa attinente ad inosservanze formali (sez. 4, sentenza n. 34362del 2004, rv 229031, Marchitiello).

Cassazione penale, VI sez., sentenza del 16 marzo 2011, n. 10761

Già precedentemente la suprema corte aveva avuto modo di esprimersi sulla mancata ver-balizzazione e sulla possibilità di ricostruire in altro modo la movimentazione.

Ne deriva che l’effettiva ricostruibilità aliunde del movimento di entrata ed uscita di dette sostanze è deltutto irrilevante ai fini della sussistenza del reato e che la verifica postuma dell’assenza di abusi non in-cide sulla illiceità della condotta, poiché l’illecito sussiste al momento in cui ha inizio ciascun tipo di mo-vimentazione delle suddette sostanze.

Cassazione penale, IV sez.,sentenza dell’11 agosto 2004, n. 34362

Ne consegue che la mancata verbalizzazione contrasta con le norme d’uso del registro carta-ceo che, come abbiamo visto, consentono 24 ore di tempo per la verbalizzazione della movimen-tazione, contrariamente, come vedremo, alla più precisa regolamentazione del registro informatico.

IL REGISTRO DEGLI STUPEFACENTI INFORMATICO

Un recente decreto ministeriale detta le modalità per l’informatizzazione del registro degli stupe-facenti. Il D.M. 11 maggio 201043 consente “in alternativa al registro cartaceo” l’adozione del regi-stro informatico. Riportiamo integralmente il comma 2 dell’art. 1 omettendo l’alinea:

a) il registro informatico è unico ed è realizzato con modalità tecniche idonee a visualizzare e a stampare leregistrazioni separatamente per singola sostanza, medicinale o composizione;

b) ogni movimento è registrato a sistema informatico contestualmente alla effettiva movimentazione della so-stanza, medicinale o composizione;

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la documentazione sanitaria – Capitolo 16

43 D.M. 11 maggio 2010 “Modalità di registrazione con sistemi informatici della movimentazione delle so-stanze stupefacenti e psicotrope, dei medicinali e delle relative composizioni di cui alle tabelle allegate aldecreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, recante il testo unico delle leggi in materia didisciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope e di prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati ditossicodipendenza”.

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Capitolo 16 – la documentazione sanitaria

c) ogni movimento viene memorizzato a sistema informatico utilizzando due numeratori:1. numeratore cronologico assoluto di progressione numerica dei movimenti nell’anno di calendario;2. numeratore cronologico della sostanza, medicinale o composizione, di progressione numerica dei

movimenti nell’anno di calendario relativi a quella sostanza, medicinale o composizione;d) in ogni caso sono specificate l’origine, la destinazione e la giacenza della sostanza, medicinale o com-

posizione;e) è riportato il riferimento all’opportuno documento che giustifica l’entrata o l’uscita della sostanza, del

medicinale o della composizione, che deve essere consultabile anche separatamente dal sistema infor-matico;

f) il registro informatico delle sostanze, dei medicinali e delle composizioni prevede la registrazione «dichiusura annuale» (vedi figura), nel rispetto di quanto stabilito dall’art. 62 del testo unico, secondo loschema grafico e del contenuto di informazioni di cui all’allegato 1 del presente decreto (chiusura an-nuale), il registro informatico prevede inoltre una registrazione “di periodo”, da effettuarsi con frequenzaalmeno mensile, secondo lo schema grafico di cui all’allegato 2 (registrazione di periodo) del presentedecreto;

g) la registrazione di periodo e la registrazione di chiusura annuale delle sostanze, dei medicinali e dellecomposizioni sono stampate e archiviate fisicamente, oppure, in alternativa alla stampa, conservate susupporti informatici in conformità alle disposizioni del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 e succes-sive modificazioni e secondo le regole tecniche stabilite ai sensi dell’art. 71 di tale decreto;

h) fatto salvo il ricorso alle modalità di conservazione sostitutiva di cui alla lettera g), il responsabile dellatenuta del registro indica, per le rispettive registrazioni di periodo e di chiusura annuale, il numero di pa-gine stampate apponendo la propria firma e la data sull’ultima pagina;

i) i dati contenuti nel sistema informatico e le relative stampe o conservazioni sostitutive di periodo e dichiusura annuale sono conservati in conformità a quanto previsto dal testo unico;

j) l’obbligo di vidimazione, di cui all’art. 60, comma 1 del testo unico, è sostituito per il registro informa-tico delle sostanze, dei medicinali e delle composizioni, dalla comunicazione di cui al successivo art. 2,comma 1, lettera b).

L’adozione del registro informatico all’interno delle strutture sanitarie comporta una seriedi misure di sicurezza precisate all’art. 2 del D.M. del maggio 2010. In particolare si sottolineacome la responsabilità della tenuta del registro spetti al “dirigente medico preposto all’unità ope-rativa delle strutture sanitarie pubbliche o private”.

Rispetto al cartaceo quindi il dirigente medico acquisisce non solo la responsabilità per lamancata corrispondenza tra quanto scritto e la giacenza reale, bensì anche per “la tenuta delregistro” espressione che pone non pochi problemi interpretativi visto che la normativa per ilregistro cartaceo attribuisce al coordinatore infermieristico la responsabilità della “buona con-servazione”. In questo caso, comunque, tutta la responsabilità viene attribuita al dirigente me-dico contravvenendo al generale principio della tracciabilità degli atti svolti che sovraintendeoggi l’organizzazione del lavoro delle strutture sanitarie.

Sempre l’art. 2, al comma c) prevede che il “responsabile del registro” possa delegare l’ac-cesso ad altra figura aziendale con documento redatto nei modi di legge, da allegare alle pro-cedure interne”. Anche in questo caso il decreto non è chiaro. Se si opera un riferimento alladelega di funzioni – “il responsabile del registro può delegare” – non si dovrebbe fare riferimentoal mero “accesso” per il quale basterebbe una “autorizzazione”. Diverso è invece il caso rela-tivo alla delega sulla tenuta complessiva del registro che seguirebbe i principi classici della de-lega e in questo caso il primo destinatario appare del tutto evidente possa essere, in primaistanza, il coordinatore infermieristico.

Di difficile individuazione, peraltro, la figura medica di riferimento nelle organizzazioni ospe-daliere organizzate, non più per reparto ma per intensità di cura in quanto spesso non vi è, acapo della singola unità operativa, l’adibizione di un medico responsabile.

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In caso di registrazione di movimenti formalmente o sostanzialmente errati, “si procede a sa-nare la situazione con la registrazione su altro rigo degli specifici e puntuali movimenti di retti-fica, mantenendo a futura memoria la registrazione dei movimenti precedenti e annotando l’er-rore con riferimento al rigo di correzione”. In questo caso non si rinvengono sostanziali diffe-renze con il cartaceo.

Mentre del tutto opportuna è la previsione contenuta nel comma 2 dell’art. 1 laddove si pre-cisa che la verbalizzazione sul registro informatico debba essere fatta “contestualmente alla ef-fettiva movimentazione della sostanza, medicinale o composizione” mentre le norme d’uso sulregistro cartaceo prevedono che “le registrazioni, sia in entrata sia in uscita, devono essere ef-fettuate cronologicamente, entro le 24 ore successive alla movimentazione, senza lacuna di tra-scrizione”.

Norma in effetti di dubbia legittimità che contrasta con la natura di atto pubblico del registrodegli stupefacenti.

In caso di malfunzionamenti del sistema informatico le movimentazioni devono essere regi-strate su un modulo cartaceo con una numerazione provvisoria. Al ripristino del sistema devonoessere prontamente riportate le annotazioni cartacee che poi possono essere eliminate.

Infine, l’art. 3 del D.M. stabilisce che “il responsabile della tenuta del registro rende disponi-bili, in qualsiasi momento”, entro il periodo previsto dall’art. 1, comma 1, lettera i), le registra-zioni “di periodo” e “di chiusura annuale” (Fig. 16.3), nelle forme previste per la modalità di con-servazione scelta, per la consultazione da parte delle autorità competenti.

347

la documentazione sanitaria – Capitolo 16

numero progressivo riga codice ministeriale

Codice Sito Logisticoregistrazione di chiusura annuale

Anno di Esercizio

descrizione giacenza 1/1 entrate uscite giacenza 31/12

Il tabulato inizia evidenziando l’anno e il sito logistico interessato

L’ordinamento è dato dal prodotto

Per ogni prodotto si presenta il seguente schema:numero progressivo rigacodice ministerialedescrizione prodottogiacenza inizio anno esercizio (1/1)sommatoria dei movimenti di entratasommatoria dei movimenti di uscitagiacenza finale anno esercizio (31/12)

Figura 16.3 Registro degli stupefacenti.

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Capitolo 16 – la documentazione sanitaria

IL FASCICOLO SANITARIO ELETTRONICO

La necessità dell’informatizzazione è evidente nel settore sanitario e si estende non soltanto agliatti in uso presso le strutture e le organizzazioni sanitarie, ma anche alla storia sanitaria di unapersona con l’archiviazione della documentazione sanitaria che un cittadino acquisisce durantei suoi vari percorsi di cura. Con queste premesse nasce il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE). Èdefinito “l’insieme dei dati e documenti digitali di tipo sanitario e socio-sanitario generati da eventiclinici presenti e trascorsi, riguardanti l’assistito”. Il FSE copre l’intera vita del paziente e viene“alimentato” in maniera continuativa da tutti i “soggetti” che prendono in cura l’assistito.Diamo quindi conto, in modo sintetico, dei principali punti del FSE previsti dalle linee guida na-zionali ministeriali.44 Viene costituito dietro consenso della persona dalle regioni e dalle provinceautonome per le finalità di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione della persona.

Le finalità dichiarate del FSE sono:

1. il supporto a scenari e processi di cura;2. il supporto all’emergenza/urgenza; 3. il supporto per la continuità delle cure; 4. il supporto alle attività gestionali ed amministrative correlate ai processi di cura.

I contenuti del fascicolo sanitario elettronico sono così riassumibili:

1. dati identificativi anagrafici;2. dati amministrativi legati all’assistenza;3. documenti sanitari e socio-sanitari;4. taccuino personale del cittadino;5. dichiarazione di volontà alla donazione di organi e tessuti.

I dati identificativi in realtà non fanno parte del FSE in quanto “gestiti in archivi separati ali-mentati dalle anagrafi degli assistiti”. Il nucleo identificativo fondamentale diventa il codice fi-scale e i dati vengono modificati direttamente dalle anagrafi e non dagli operatori sanitari.Qui di seguito si riporta lo schema previsto dalle linee guida ministeriali.

DAtI IDeNtIfICAtIvI - DeSCRIzIONe

Codice fiscale

Cognome (alla nascita)

Nome

Sesso

Data di nascita

Comune di nascita

Provincia di nascita

Indirizzo di residenza

Indirizzo di domicilio

Data di decesso (data di chiusura del fascicolo)

44 Ministero della salute “Il fascicolo sanitario elettronico – Linee guida nazionali”, 11 novembre 2010.

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la documentazione sanitaria – Capitolo 16

DAtI INteGRAtIvI - DeSCRIzIONe

ASL di appartenenza

Data inizio periodo di assistenza presso la ASL

Data di scadenza del periodo di assistenza presso la ASL

Codice fiscale medico

Cognome medico

Nome medico

Data inizio periodo di assistenza presso il medico

Data fine periodo di assistenza presso il medico

Indirizzo di domicilio

Data di decesso (data di chiusura del fascicolo)

tipo di assistenza (generici/pediatri, altro)

Recapiti medico (indirizzo, telefono)

Altro

Esenzioni e relativa eventuale scadenza

I dati amministrativi relativi all’assistenza sono costituiti da “informazioni amministrative re-lative alla posizione del cittadino nei confronti del Servizio sanitario nazionale”. Anche in que-sto caso riportiamo lo schema contenuto nelle linee guida ministeriali.

Il FSE di ciascun assistito “viene automaticamente aggiornato, tenendo conto anche dei con-tenuti informativi già disponibili, con i documenti sanitari e socio-sanitari ‘certificati’, cioè rila-sciati dai soggetti del Servizio sanitario nazionale (per esempio, referti di laboratorio, radiolo-gia e specialistica ambulatoriale) archiviati elettronicamente presso repository dedicati”.

Il FSE potrà contenere anche informazioni e/o documenti sanitari relativi a eventi precedentialla sua costituzione, ma solo nel caso in cui l’assistito fornisca un consenso specifico.

Il FSE dovrà contenere un nucleo minimo, come riportato nello schema che segue, tra cuirientra il “profilo sanitario sintetico” o patient summary (vedi oltre).

DOCUMeNtI NUCLeO MINIMO

Referti

Verbali pronto soccorso

Lettere di dimissione

Profilo sanitario sintetico

Importante da un punto di vista dell’operatività è il patient summary o “profilo sanitario sin-tetico” che viene definito come “il documento informatico sanitario che riassume la storia cli-nica del paziente e la sua situazione corrente”. Tale documento è creato e aggiornato dal me-dico di medicina generale o dal pediatra di libera scelta “ogni qualvolta intervengono cambia-menti da lui ritenuti rilevanti ai fini della storia clinica del paziente e, in particolare, contiene an-che un set predefinito di dati clinici significativi utili in caso di emergenza”.

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Lo scopo del documento “profilo sanitario sintetico” è quello di favorire la continuità di cura,permettendo un rapido inquadramento del paziente al momento di un contatto non predetermi-nato come ad esempio in situazioni di emergenza e di pronto soccorso.

Attraverso il “profilo sanitario sintetico”, il MMG/PLS fornisce una veloce ed universale pre-sentazione del paziente sintetizzando tutti e soli i dati che ritiene rilevanti e li rende disponibilia tutti i possibili operatori sanitari autorizzati alla consultazione.

Il “profilo sanitario sintetico” è quindi un documento sintetico, compilato da un unico autore,non clinicamente specializzato, senza un destinatario predefinito e unico. Il patient summary sisuddivide nelle seguenti componenti:

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Capitolo 16 – la documentazione sanitaria

ALtRI DOCUMeNtI

Prescrizioni (specialistiche, farmaceutiche ecc.)

Cartelle cliniche di ricovero (ordinario e day hospital)

Bilanci di salute

Assistenza domiciliare: scheda, programma e cartella clinica

Piani terapeutici

Assistenza residenziale e semiresidenziale: scheda multidimensionale di valutazione

Erogazione farmaci

Certificati

Dati del paziente

Dati del medico

Eventuali nominativi da contattare

Cognome, nome, codice fiscale, sesso, età in anni, data di nascita,comune di nascita, indirizzo di domicilio, telefono (sono importantieventuali esenzioni e l’appartenenza a una rete di patologia)

Cognome, nome, codice fiscale, indirizzo e-mail, telefono

Persona da contattare (nel caso in cui il paziente sia un minore, o nelcaso in cui non sia in grado di intendere e volere)

INteStAzIONe

Rimane comunque nella facoltà del medico di medicina generale valutare quali elementi in-serire nel profilo sanitario sintetico. Possono essere inseriti nel profilo sintetico anche accerta-menti, visite effettuate dal medico di famiglia e patologie non croniche. Rimangono comunquevalide le regole contenute all’interno del codice della privacy e in molti codici deontologici rela-tive alla pertinenza dei dati che devono essere “pertinenti, non eccedenti e indispensabili inse-rire nel FSE/dossier in relazione alle necessità di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione”.45

Nell’ambito del fascicolo viene prevista “una sezione riservata al cittadino” per offrirgli la pos-sibilità di inserire dati e informazioni personali (per esempio, dati relativi al nucleo familiare, datisull’attività sportiva ecc.), file di documenti sanitari (per esempio, referti di esami effettuati in

45 Garante per la protezione dei dati personali, Linee guida in tema di fascicolo sanitario elettronico e di dos-sier sanitario, 16 luglio 1999. Vedi anche D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 “Codice in materia di protezione deidati personali”, artt. 11, comma 1, lett. d) e 22, comma 5.

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la documentazione sanitaria – Capitolo 16

Allergie, reazioni avverse ai farmaci o ai mezzi dicontrasto o ad altre sostanze, intolleranze, rischi im-munitari

Problemi di salute rilevanti e diagnosi

terapie in corso

Stato del paziente

trattamenti e procedure terapeutiche, chirurgiche ediagnostiche

Fattori di rischio

Vaccinazioni

Organi mancanti/trapianti/espianti

Protesi, impianti, ausili

Sostanza scatenante, tipo di reazione. L’assenza di allergie o di reazioni allergiche conosciuteva dichiarata così come se non rilevate perché non aconoscenza

Attuale situazione clinica (patologie croniche e/o rile-vanti) del paziente: sintomi, attuali e passati, del pa-ziente; condizioni, sospetti diagnostici e diagnosi certe,screening oncologici; lista malattie pregresse se rilevanti,dipendenze ecc.

Farmaci somministrati in maniera continuativa oltre aquelli riferiti alle prescrizioni effettuate nell’ultimo meseintegrate eventualmente da altre riconosciute come ri-levanti dal medico

Indicazioni socio-assistenziali utili, in particolare, in fasedi dimissione del paziente dalla struttura al fine di atti-vare adeguati percorsi assistenziali necessari (per esem-pio capacità motoria, stato mentale, autosufficienza ecc.)

Interventi chirurgici rilevanti ed eventuali riferimenti areferti di laboratorio, di radiologia, di visite specialisti-che ecc., inclusa l’eventuale partecipazione a trial cli-nici; riportare i risultati di accertamenti registrati nell’ul-timo anno con l’aggiunta delle informazioni ritenute ri-levanti dal MMG/PLS

Rischio eredo-familiare, dipendenze, esposizione a so-stanze tossiche ecc.

Somministrazioni di cui è a conoscenza il medico dimedicina generale o il pediatra di libera scelta (tipo divaccino, data e modalità di somministrazione)

Se portatore di dispositivi permanenti e impiantabili

DAtI eSSeNzIALI (Se vALORIzzAtI IN CARteLLA CLINICA)

strutture non convenzionate, referti archiviati in casa), un diario degli eventi rilevanti (visite, esamidiagnostici, misure dei parametri di monitoraggio), promemoria per i controlli medici periodici.Questa sezione viene chiamata “Taccuino personale del cittadino” (vedi schema a pag. 355).

Il consenso al trattamento dei datiIl cittadino deve essere previamente informato dal titolare del trattamento dell’intenzione di co-stituire un fascicolo sanitario elettronico spiegando che l’informativa deve in particolare conte-nere informazioni sulla sicurezza dei dati, sulla possibilità di negare l’accesso ai dati a talunisoggetti e che un eventuale diniego alla costituzione del FSE non avrà conseguenze sul dirittoalla prestazione di cura richiesta.

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Capitolo 16 – la documentazione sanitaria

ALtRe INfORMAzIONI SUL PAzIeNte

Parametri di monitoraggio

Piano di cura attivo

Gruppo sanguigno

Altre patologie di recente insorgenza

Gravidanza e parto

Assenso/dissenso alla donazione di organi

Ultima rilevazione di pressione arteriosa, peso, altezza, fun-zionalità polmonari

L’insieme delle informazioni su prescrizioni di prestazioni,interventi, appuntamenti, procedure attive e non terminate

Contiene la dichiarazione del donatore prevista dall’art. 23comma 3 L.91/1999 se dichiarata al MMG/PLS

46 Garante per la protezione dei dati personali, Linee guida in tema di fascicolo sanitario elettronico e di dos-sier sanitario, 16 luglio 1999.

Il consenso al trattamento dei dati si manifesta attraverso:

– un consenso a carattere generale, elemento preliminare e necessario per la costituzione delFSE;

– consensi specifici sia sulle informazioni da rendere visibili o meno, sia sui soggetti del Si-stema sanitario nazionale che hanno in cura l’assistito (per esempio, medico di medicina ge-nerale, pediatra di libera scelta, farmacisti) da abilitare all’accesso ai dati contenuti nel FSE.

Il consenso è revocabile in qualsiasi momento. Per i minori o soggetti sottoposti a tutela, puòessere espresso da un genitore o dal tutore con un valido documento di identità proprio. Nel mo-mento in cui i minori raggiungono la maggiore età è necessario che esprimano esplicitamenteil proprio consenso, non essendo valida una conferma dei genitori del consenso da questi pre-cedentemente espresso.

Nel FSE l’interessato ha diritto a “oscurare” alcuni dati che ritiene non essere conoscibili dachiunque abbia accesso. In ogni caso alcuni dati nascono riservati e “oscurati per legge” e sonorelativi a coloro che fanno uso di “sostanze stupefacenti, di sostanze psicotrope e di alcol, delledonne che si sottopongono a un intervento di interruzione volontaria di gravidanza o che deci-dono di partorire in anonimato, nonché con riferimento ai servizi offerti dai consultori familiari”.

Per quanto riguarda l’identificazione dei soggetti o delle categorie dei soggetti abilitati a con-sultare il fascicolo sanitario il Garante per la privacy ha precisato che tale scelta “deve essere ef-fettuata con chiarezza”.

L’accesso al fascicolo “deve essere consentito solamente per fini di prevenzione, diagnosi ecura dell’interessato e unicamente da parte di soggetti operanti in ambito sanitario, con conse-guente esclusione di periti, compagnie di assicurazione, datori di lavoro, associazioni o orga-nizzazioni scientifiche, organismi amministrativi anche operanti in ambito sanitario, nonché delpersonale medico che agisca nell’esercizio di attività medico-legali”.46

Il Garante inoltre specifica che il FSE può essere, pertanto, consultato – salvo diversa volontàdell’interessato – da tutti quei professionisti che a vario titolo prenderanno in cura l’interessato.

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la documentazione sanitaria – Capitolo 16

I soggetti che possono alimentare i dati del fascicolo sanitario sono:

1. i medici di medicina generale e pediatri di libera scelta;2. i soggetti erogatori (ospedali e case di cura);3. i servizi per le tossicodipendenze (SERT);4. i team di assistenza domiciliare (medici, infermieri, fisioterapisti ecc.);5. la guardia medica;6. gli specialisti afferenti alle reti di patologia;7. le farmacie e i medici che operano presso strutture che erogano assistenza di tipo residen-

ziale (RSA).

Le linee guida ministeriali hanno individuato le diverse categorie sanitarie, le funzioni abili-tate e le tipologie di dati da trattare (vedi schema nella pagina che segue).

In ogni caso – lo ha stabilito il Garante per la privacy – “l’accesso al fascicolo sanitario elet-tronico deve essere circoscritto al periodo di tempo indispensabile per espletare le operazioni dicura per le quali è abilitato il soggetto che accede”.

Quindi i soggeti abilitati “devono poter consultare esclusivamente i fascicoli/dossier riferitiai soggetti che assistono e per il periodo di tempo in cui si articola il percorso di cura per il qualel’interessato si è rivolto ad essi”.

Nella prospettazione dataci dalle linee guida ministeriali si capiscono alcune limitazioni chesono, di fatto, state imposte dal succitato parere del Garante della privacy. È il caso dei farmaci-sti che “possono accedere al FSE/dossier, ma limitatamente ai soli dati (o moduli di dati) indi-spensabili all’erogazione di farmaci (per esempio, accesso limitato all’elenco dei farmaci già pre-scritti, al fine di valutare eventuali incompatibilità tra il farmaco vendibile senza obbligo di pre-scrizione medica [SOP] e altri farmaci precedentemente assunti)”.

Per quanto concerne la tipologia di dati trattabili dalla professione infermieristica si rileva unapalese incongruenza. L’infermiere e “l’operatore sanitario non medico che opera nell’ambito dellestrutture del sistema sanitario e socio-sanitario” – e quindi ostetriche, fisioterapisti, tecnici ecc. –possono trattare “in lettura” i seguenti dati:

1. anagrafici;2. amministrativi;3. prescrizioni;4. consenso.

I dati consentiti per la “scrittura” sono invece:

1. prescrizioni;2. clinici3. consenso.

È evidente che le prescrizioni a cui si fa cenno sono relative alle prescrizioni professionali in-fermieristiche assistenziali e di trattamento. L’incongruenza che viene subito agli occhi è rela-tiva alla limitazione delle attività di consultazione – “lettura” – per i dati “clinici” curiosamentenon inseriti.

L’infermiere può scrivere dati “clinici” relativi alla propria attività, ma non potrebbe leggerequelli scritti da altri professionisti sanitari. Più che di un errore riteniamo trattarsi di una svistadelle linee guida e quindi non di una preclusione.

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Capitolo 16 – la documentazione sanitaria

Farmacista

Operatore sanitario della farma-cia abilitato alla professione

Operatore amministrativo pressostrutture del sistema sanitario e socio-sanitario(per esempio AO, ASL, medici dimedicina generale ecc.)

Direttore sanitario

Medico che svolge attività diret-tive all’interno di una direzionesanitaria delle strutture del sistemasanitario e socio-sanitario

Medico di medicina generale/pe-diatra di libera scelta

Medico convenzionato con la ASLper svolgere attività di medicinadi medicina generale o pediatradi libera scelta

Direttore amministrativo

Persona che svolge attività diret-tive all’interno della direzione am-ministrativa di strutture del sistemasanitario e socio-sanitario

Medico

Medico che opera nell’ambito deiservizi sanitari delle strutture delsistema sanitario e socio-sanitario

Lettura

Scrittura

Lettura

Scrittura

Lettura

Lettura

Scritttura

Lettura

Lettura

Scrittura

AnagraficiPrescrizioniConsenso

Consenso

AnagraficiAmministrativiPrescrizioniConsenso

Consenso

AnagraficiAmministrativiCliniciConsenso

AnagraficiAmministrativi PrescrizioniCliniciConsenso

PrescrizioniCliniciConsenso

AnagraficiAmministrativi

AnagraficiAmministrativiPrescrizioniCliniciConsenso

PrescrizioniPiano di curaCliniciConsenso

RUOLO fUNzIONI ABILItAte tIPOLOGIA DI DAtI

(segue)

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la documentazione sanitaria – Capitolo 16

Medico RSA

Medico che opera presso una strut-tura che eroga assistenza di tiporesidenziale

Infermiere

Operatore sanitario non medicoche opera nell’ambito delle strut-ture del sistema sanitario e socio-sanitario

Medico rete di patologia

Cittadino

Lettura

Scrittura

Lettura

Scrittura

Lettura

Scrittura

Lettura

Scrittura

AnagraficiAmministrativiPrescrizioniCliniciConsenso

PrescrizioniCliniciConsenso

AnagraficiAmministrativiPrescrizioniConsenso

Clinici Consenso

AnagraficiAmministrativiPrescrizioniCliniciConsenso

PrescrizioniCliniciConsenso

tutti i dati contenuti nel FSE

Il taccuino del cittadino

RUOLO fUNzIONI ABILItAte tIPOLOGIA DI DAtI

È largamente noto che i dati “clinici” precedenti sono alla base della determinazione di moltescelte assistenziali. Senza quei dati potrebbe essere difficile pianificare e operare interventi dicompetenza.

Sarebbe comunque una buona opera di chiarezza la modifica sul punto delle linee guida mi-nisteriali.

Il valore legale del fascicolo sanitarioAbbiamo già visto nei paragrafi di questo capitolo dedicati agli atti – “nozioni preliminari sugliatti”, “i vari tipi di atti”, “gli atti digitali” – cosa si intenda per documento informatico, firma elet-tronica (spesso detta anche “debole” o “leggera”), firma digitale (detta anche “pesante” o “forte”).

I dati contenuti nel fascicolo sanitario hanno valore legale certo – e con diversa forza – segenerati e formati con firma elettronica avanzata o digitale.

(continua)

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Capitolo 16 – la documentazione sanitaria

A titolo esemplificativo le linee guida ministeriali precisano che:1. le copie digitali di documenti cartacei non sottoscritti o documenti informatici non sottoscritti

– da intendersi quindi non firmati – hanno la stessa efficacia delle riproduzioni meccanicheex art. 2712 c.c. e quindi “formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se coluicontro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime”;

2. “i documenti informatici sottoscritti con la firma elettronica “debole” (elettronica pura quindie non firma elettronica avanzata e digitale) “sul piano probatorio sono liberamente valuta-bili in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integritàe immodificabilità”;

3. i documenti informatici sottoscritti con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, for-mati nel rispetto delle regole tecniche che garantiscano l’identificabilità dell’autore, l’inte-grità e l’immodificabilità del documento, hanno l’efficacia prevista dall’art. 2702 del codicecivile” e quindi l’efficacia delle scritture private. La scrittura privata “fa piena prova, fino aquerela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritta, se colui controil quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmenteconsiderata come riconosciuta”. “L’utilizzo del dispositivo di firma si presume riconducibileal titolare, salvo che questi dia prova contraria”;

4. i dati inseriti dai vari professionisti sanitari hanno valore legale se sottoscritti con firma elet-tronica, elettronica avanzata e digitale, altrimenti hanno solo la caratteristica della formascritta ai sensi del già richiamato art. 2712 del codice civile.

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Capitolo

LA LEGGE SULLA PRIVACY E LE RIPERCUSSIONI

SULL’ASSISTENZA SANITARIA

PREMESSA

Il concetto di riservatezza, di privacy, ha subito nel tempo un’evoluzione di carattere storico chebrevemente ripercorriamo.Il diritto alla riservatezza nasce negli Stati Uniti nel XIX secolo come diritto di riservatezza ri-

guardante l’attività economica, strumento che rafforzava la posizione di proprietari e imprendi-tori.1 Nel tempo questo concetto è stato più volte discusso e ridefinito e abbiamo assistito allasua evoluzione da diritto borghese, per esempio il segreto bancario, a diritto democratico, comele norme sulla riservatezza dei lavoratori dipendenti.Siamo quindi passati da un concetto di diritto alla privacy come diritto del singolo di essere

lasciato solo,2 a un più moderno “diritto a mantenere il controllo sulle proprie informazioni” ealle recenti determinazioni che aggiungono anche il diritto a “determinare le modalità della co-struzione della propria vita privata”.Il tema della tutela della riservatezza dei dati personali o della privacy è entrato prepotente-

mente nel nostro ordinamento solo da pochi anni e ha già modificato abitudini, cultura, menta-lità dell’agire quotidiano, e viene sempre più spesso percepito – quale esattamente è – come unvero e proprio nuovo fondamentale diritto, pur senza conoscerne i precisi contorni.Si è fatta sempre più strada l’opinione – inizialmente avversata e non priva di un qualche ri-

schio – che tende ad affermare che “noi siamo i nostri dati”; di conseguenza si avverte la neces-sità di porre degli argini alla circolazione degli stessi, alla loro conoscibilità, e porre nella dispo-nibilità del singolo il diritto a mantenerne il controllo.Il nostro ordinamento ha recepito una serie di direttive europee e ha introdotto la tutela della

riservatezza in modo non sempre giuridicamente coerente o lineare, mostrando particolare at-tenzione all’ambiente sanitario. In particolare, la privacy in sanità ha avuto, sempre da un punto di vista giuridico, un impor-

tante riconoscimento con il recepimento della Convenzione di Oviedo avutasi con la legge 145/2001e con alcuni provvedimenti che saranno prossimamente emanati.La privacy è in procinto inoltre di diventare un diritto costituzionalmente riconosciuto nella

prossima carta costituzionale europea che ha già visto i primi passi con l’approvazione della c.d.

1 Rodotà S., Tecnologie e diritti, Il Mulino, Bologna, 1995, p. 31.2 Warren S.D., Brandeis L.D., The right to privacy, Harvard Law Review, 4, 1890, p. 193.

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Capitolo 17 – la legge sulla privacy e le ripercussioni sull’assistenza sanitaria

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Carta dei diritti dell’Unione Europea approvata a Nizza nel dicembre 2000 e successivamente conil Trattato per l’istituzione di una Costituzione europea approvato nell’ottobre 2004 dal Consigliodell’Unione.Le leggi italiane sulla privacy erano inizialmente due:

1. legge 31 dicembre 1996, n. 675 “Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamentodei dati personali”;

2. legge 31 dicembre 1996, n. 676 “Delega al Governo in materia di tutela delle persone e di al-tri soggetti al trattamento dei dati personali”.

Successivamente sono stati emanati – proprio in relazione alla previsione contenuta nel D.Lgs.676/1996 – numerosi decreti legislativi dei quali possiamo omettere, in questa sede, l’elenca-zione.

IL CODICE DELLA PRIVACY

Le leggi, gli atti aventi forza di legge, le fonti regolamentari che si sono succedute dal 1996 aglianni successivi hanno portato il legislatore alla decisione opportuna di dare vita a un unico arti-colato normativamente previsto dall’art. 1 della legge 24 marzo 2001, n. 127 “Differimento deltermine per l’esercizio della delega prevista dalla legge 31 dicembre 1996, n. 676 in materia didati personali”. Si legge infatti al quarto comma dell’art. 1 che il “Governo […] emana entro di-ciotto mesi un testo unico delle disposizioni in materia di tutela delle persone e di altri soggettirispetto al trattamento dei dati personali e delle disposizioni connesse, coordinandovi le normevigenti e apportando alle medesime le integrazioni e le modificazioni necessarie al predetto coor-dinamento o per assicurare la migliore attuazione”. Una delega ampia quindi, non meramentericognitiva della legislazione esistente, che il legislatore delegato ha ampiamente usato con l’ema-nazione del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 “Codice in materia di protezione dei dati personali”.3

LA FINALITÀ E LE DEFINIZIONI

Il Testo Unico sulla privacy, recepito con il D.Lgs. 196/2003 e denominato dallo stesso “Codice”,precisa in modo enfatico e rituale, all’art. 1, che “chiunque ha diritto alla protezione dei dati per-sonali che lo riguardano”. Il diritto alla privacy si pone quindi come un diritto forte della perso-nalità e si aggiunge agli altri diritti protetti dal nostro ordinamento.La protezione dei dati personali deve svolgersi “nel rispetto dei diritti e delle libertà fonda-

mentali, nonché della dignità dell’interessato, con particolare riferimento alla riservatezza, all’iden-tità personale e al diritto alla protezione dei dati personali”.All’art. 4 troviamo una serie di definizioni, più esaustiva di quella contenuta all’interno della

normativa previgente e che riportiamo per esteso:

a) trattamento: qualunque operazione o complesso di operazioni, effettuati anche senza l’ausilio di strumentielettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la conservazione, la consultazione,l’elaborazione, la modificazione, la selezione, l’estrazione, il raffronto, l’utilizzo, l’interconnessione, il

3 In Gazzetta Ufficiale n. 174 del 29 luglio 2003 – Supplemento Ordinario n. 123.

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blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione di dati, anche se non registratiin una banca di dati;

b) dato personale: qualunque informazione relativa a persona fisica, persona giuridica, ente o associazione,identificati o identificabili, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivicompreso un numero di identificazione personale;

c) dati identificativi: i dati personali che permettono l’identificazione diretta dell’interessato;d) dati sensibili: i dati personali idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filoso-

fiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazionia carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di sa-lute e la vita sessuale;

e) dati giudiziari: i dati personali idonei a rivelare provvedimenti di cui all’art. 3, comma 1, lettere da 1. a o)e da r) a u), del D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle san-zioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti, o la qualità di imputato o di inda-gato ai sensi degli artt. 60 e 61 c.p.p.;

f) titolare: la persona fisica, la persona giuridica, la pubblica amministrazione e qualsiasi altro ente, associa-zione od organismo cui competono, anche unitamente ad altro titolare, le decisioni in ordine alle finalità,alle modalità del trattamento di dati personali e agli strumenti utilizzati, ivi compreso il profilo della sicu-rezza;

g) responsabile: la persona fisica, la persona giuridica, la pubblica amministrazione e qualsiasi altro ente, as-sociazione od organismo preposti dal titolare al trattamento di dati personali;

h) incaricati: le persone fisiche autorizzate a compiere operazioni di trattamento dal titolare o dal responsa-bile;

i) interessato: la persona fisica, la persona giuridica, l’ente o l’associazione cui si riferiscono i dati personali;l) comunicazione: il dare conoscenza dei dati personali a uno o più soggetti determinati diversi dall’interes-

sato, dal rappresentante del titolare nel territorio dello Stato, dal responsabile e dagli incaricati, in qua-lunque forma, anche mediante la loro messa a disposizione o consultazione;

m) diffusione: il dare conoscenza dei dati personali a soggetti indeterminati, in qualunque forma, anche me-diante la loro messa a disposizione o consultazione;

n) dato anonimo: il dato che in origine, o a seguito di trattamento, non può essere associato a un interessatoidentificato o identificabile;

o) blocco: la conservazione di dati personali con sospensione temporanea di ogni altra operazione del trattamento;p) banca di dati: qualsiasi complesso organizzato di dati personali, ripartito in una o più unità dislocate in

uno o più siti;q) Garante: l’autorità di cui all’art. 153, istituita dalla legge 31 dicembre 1996, n. 675.

LA NOTIFICAZIONE E LE MODALITÀ DI RACCOLTA DEI DATI PERSONALI

Il trattamento dei dati personali effettuato da persone fisiche per fini esclusivamente personalinon è soggetto alle prescrizioni della legge.Il titolare (vedi definizione sopra) che invece intenda procedere al trattamento dei dati per-

sonali è tenuto a darne notificazioni al Garante con le modalità indicate dall’art. 7 della legge.I dati personali devono essere trattati:

1. in modo lecito e secondo correttezza;2. raccolti e registrati per scopi determinati, espliciti e legittimi;3. esatti e, se necessario, aggiornati;4. pertinenti, completi e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o suc-cessivamente trattati;

5. conservati in una forma che consenta l’identificazione dell’interessato per un periodo di temponon superiore quello necessario agli scopi per i quali sono stati raccolti o successivamentetrattati.

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Capitolo 17 – la legge sulla privacy e le ripercussioni sull’assistenza sanitaria

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IL TITOLARE, IL RESPONSABILE E L’INCARICATO

L’art. 28 del Codice della privacy precisa che quando il trattamento:

[...] è effettuato da una persona giuridica, da una pubblica amministrazione o da un qualsiasi altro ente, associa-zione od organismo, titolare del trattamento è l’entità nel suo complesso o l’unità od organismo periferico cheesercita un potere decisionale del tutto autonomo sulle finalità e sulle modalità del trattamento, ivi compreso ilprofilo della sicurezza.

Il responsabile deve invece essere individuato e nominato dal titolare anche se la sua designa-zione non è obbligatoria. Se questa viene effettuata il responsabile deve essere individuato “tra sog-getti che per esperienza, capacità e affidabilità forniscano idonea garanzia del pieno rispetto dellevigenti disposizioni in materia di trattamento, ivi compreso il profilo relativo alla sicurezza”. Pos-sono essere previsti più responsabili ove la situazione organizzativa lo consigli. I compiti affidati alresponsabile o ai responsabili sono “analiticamente specificati per iscritto dal titolare” e il respon-sabile o i responsabili effettuano il trattamento “attenendosi alle istruzioni impartite dal titolare”, ilquale, anche attraverso verifiche periodiche, vigila sulla loro puntuale osservanza.Le operazioni di trattamento possono essere effettuate solo da appositi incaricati del trattamento

“che operano sotto la diretta autorità del titolare o del responsabile, attenendosi alle istruzioni im-partite”. La loro designazione “è effettuata per iscritto e individua puntualmente l’ambito del trat-tamento consentito”.

LE MISURE DI SICUREZZA DI DATI E SISTEMI

L’art. 31 del Codice della privacy stabilisce che:

I dati personali oggetto di trattamento sono custoditi e controllati, anche in relazione alle conoscenze acquisitein base al progresso tecnico, alla natura dei dati e alle specifiche caratteristiche del trattamento, in modo da ri-durre al minimo, mediante l’adozione di idonee e preventive misure di sicurezza, i rischi di distruzione o perdita,anche accidentale, dei dati stessi, di accesso non autorizzato o di trattamento non consentito o non conforme allefinalità della raccolta.

I titolari del trattamento devono adottare le misure minime di sicurezza individuate dalla legge“volte ad assicurare un livello minimo di protezione di dati personali”. I dati personali e le banchedati vengono distinti in base ai supporti su cui vengono conservati. Si distinguono supporti infor-matici ed elettronici da quelli cartacei. Il trattamento su supporti e con strumenti elettronici “è consentito” solo se sono adottate, nei

modi previsti dal disciplinare tecnico contenuto nell’allegato B, le seguenti misure minime:

1. autenticazione informatica;2. adozione di procedure di gestione delle credenziali di autenticazione;3. utilizzazione di un sistema di autorizzazione;4. aggiornamento periodico dell’individuazione dell’ambito del trattamento consentito ai sin-goli incaricati e addetti alla gestione o alla manutenzione degli strumenti elettronici;

5. protezione degli strumenti elettronici e dei dati rispetto a trattamenti illeciti di dati, ad accessinon consentiti e a determinati programmi informatici;

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la legge sulla privacy e le ripercussioni sull’assistenza sanitaria – Capitolo 17

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6. adozione di procedure per la custodia di copie di sicurezza e il ripristino della disponibilitàdei dati e dei sistemi;

7. tenuta di un aggiornato documento programmatico sulla sicurezza;8. adozione di tecniche di cifratura o di codici identificativi per determinati trattamenti di datiidonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale effettuati da organismi sanitari.

Con meno formalità si presenta il trattamento senza l’ausilio di strumenti elettronici. Purerichiamando il disciplinare tecnico dell’allegato B, le misure minime previste dall’art. 35 si limi-tano a:

1. aggiornamento periodico dell’individuazione dell’ambito del trattamento consentito ai sin-goli incaricati o alle unità organizzative;

2. previsione di procedure per un’idonea custodia di atti e documenti affidati agli incaricati perlo svolgimento dei relativi compiti;

3. previsione di procedure per la conservazione di determinati atti in archivi ad accesso sele-zionato e disciplina delle modalità di accesso finalizzata all’identificazione degli incaricati.

IL GARANTE

La legge ha costituito un organo apposito: il Garante per la protezione dei dati personali, cheè un organo collegiale costituito da quattro membri, eletti due dalla Camera dei deputati e duedal Senato della Repubblica con voto limitato. Essi eleggono nel loro ambito un presidente, ilcui voto prevale in caso di parità. I membri sono scelti tra persone che assicurino indipendenzae che siano esperti di riconosciuta competenza nelle materie del diritto o dell’informatica, ga-rantendo la presenza di entrambe le qualificazioni.Il Garante ha numerosi compiti, tra i quali:

1. istituire e tenere un registro generale dei trattamenti sulla base delle notificazioni ricevute;2. controllare se i trattamenti sono effettuati nel rispetto delle norme di legge e di regolamentoe in conformità alla notificazione;

3. segnalare ai relativi titolari o responsabili le modificazioni opportune al fine di rendere iltrattamento conforme alle disposizioni vigenti;

4. ricevere le segnalazioni e i reclami degli interessati o delle associazioni che li rappresen-tano, relativi a inosservanze di legge o di regolamento, e provvedere sui ricorsi presentati;

5. adottare i provvedimenti previsti dalla legge o dai regolamenti;6. vigilare sui casi di cessazione, per qualsiasi causa, di un trattamento;7. denunciare i fatti configurabili come reati perseguibili d’ufficio, dei quali viene a conoscenzanell’esercizio o a causa delle sue funzioni;

8. promuovere nell’ambito delle categorie interessate, nell’osservanza del principio di rap-presentatività, la sottoscrizione di codici di deontologia e di buona condotta per determi-nati settori, verificarne la conformità alle leggi e ai regolamenti anche attraverso l’esame diosservazioni di soggetti interessati e contribuire a garantirne la diffusione e il rispetto;

9. curare la conoscenza tra il pubblico delle norme che regolano la materia e delle relative fi-nalità, nonché delle misure di sicurezza dei dati;

10. vietare, in tutto o in parte, il trattamento dei dati o disporne il blocco quando, in conside-razione della natura dei dati o, comunque, delle modalità del trattamento o degli effetti cheesso può determinare, vi è il concreto rischio del verificarsi di un pregiudizio rilevante peruno o più interessati;

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11. segnalare al Governo l’opportunità di provvedimenti normativi richiesti dall’evoluzione delsettore;

12. predisporre annualmente una relazione sull’attività svolta e sullo stato di attuazione dellapresente legge, che è trasmessa al Parlamento e al Governo entro il 30 aprile dell’anno suc-cessivo a quello cui si riferisce;

13. esercitare il controllo sui trattamenti e verificare, anche su richiesta dell’interessato, se ri-spondono ai requisiti stabiliti dalla legge o dai regolamenti.

Il Garante pubblica settimanalmente una newsletter4 contenente i pareri e le interpretazionidella legge.

LA PRIVACY IN AMBITO SANITARIO

Le innovazioni introdotte nel Codice sono numerose e contenute all’interno del titolo V deno-minato “Trattamento dei dati personali in ambito sanitario” suddiviso in quattro capi e quindiciarticoli.Nel capo I “Principi generali” si stabilisce che “gli esercenti le professioni sanitarie e gli orga-

nismi sanitari pubblici […] trattano i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute”, di stinguendodue specifiche fattispecie:

1. nell’ambito di finalità di tutela della salute, con il consenso dell’interessato e senza l’autoriz-zazione del Garante, quando i dati siano necessari per il perseguimento del fine;

2. nell’ambito della tutela di terzi o della collettività anche senza il consenso dell’interessato,ma con l’autorizzazione del Garante.

Il Codice ha innovato rispetto alla normativa precedente introducendo una sorta di catena delconsenso che parte dal medico di famiglia, o dal pediatra di libera scelta, e si estende alle variefasi del trattamento sanitario. Si è dunque introdotta una modalità semplificata di informazionee consenso al trattamento dei dati personali. Alla modalità semplificata accedono, oltre ai pro-fessionisti sanitari, gli organismi sanitari pubblici, gli organismi privati e un’altra serie di soggettipubblici. La modalità semplificata di trattamento ha il fine di determinare modalità più semplici per:

1. informare l’interessato dei dati raccolti presso l’interessato o terzi;2. manifestare il consenso al trattamento, laddove richiesto;3. il trattamento dei dati personali.

L’informativa e il consenso per le prestazioni extraospedaliereIl medico di medicina generale o il pediatra di libera scelta informano l’interessato relativamenteal trattamento dei dati personali, in forma chiara e comprensibile. L’informazione può essere ri-chiesta sia per il complessivo trattamento dei dati personali, necessario per attività di preven-zione, diagnosi, cura e riabilitazione svolte dal medico o dal pediatra a tutela della salute odell’incolumità fisica dell’interessato, sia per i dati personali eventualmente raccolti presso terzi,ed è “fornita preferibilmente per iscritto, anche attraverso carte tascabili con eventuali allegati

Capitolo 17 – la legge sulla privacy e le ripercussioni sull’assistenza sanitaria

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4 Possono essere reperite sul sito http://www.garanteprivacy.it.

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pieghevoli”. L’informazione può essere integrata anche oralmente in relazione a particolari ca-ratteristiche del trattamento.L’informativa, “se non è diversamente specificato dal medico o dal pediatra, riguarda anche

il trattamento di dati correlato a quello effettuato dal medico di medicina generale o dal pedia-tra di libera scelta, effettuato da un professionista o da altro soggetto, parimenti individuabilein base alla prestazione richiesta, che:

1. sostituisce temporaneamente il medico o il pediatra;2. fornisce una prestazione specialistica su richiesta del medico e del pediatra;3. può trattare lecitamente i dati nell’ambito di un’attività professionale prestata in forma as-sociata;

4. fornisce farmaci prescritti;5. comunica dati personali al medico o pediatra in conformità alla disciplina applicabile”.

Il contenuto dell’informativa deve evidenziare eventuali trattamenti di dati personali che pre-sentano rischi specifici per i diritti e le libertà fondamentali e per la dignità del paziente. In par-ticolare deve essere posta attenzione ai trattamenti effettuati:

1. per scopi scientifici, anche di ricerca scientifica e di sperimentazione clinica controllata dimedicinali, in conformità alle leggi e ai regolamenti, ponendo in particolare evidenza che ilconsenso, ove richiesto, è manifestato liberamente;

2. nell’ambito della teleassistenza o telemedicina;3. per fornire altri beni o servizi all’interessato attraverso una rete di comunicazione elettronica.

L’informativa e il consenso al trattamento dei dati nelle strutture sanitarieL’art. 79 del Codice della privacy precisa che le modalità semplificate valgono anche per le at-tività all’interno delle strutture sanitarie in riferimento a una “pluralità di prestazioni erogateanche da distinti reparti e unità dello stesso organismo o di più strutture ospedaliere o territo-riali specificamente identificati”. In questi casi le strutture devono annotare “l’informativa e ilconsenso con modalità uniformi e tali da permettere una verifica al riguardo da parte di altri re-parti e unità che, anche in tempi diversi, trattano dati relativi al medesimo interessato”. Le mo-dalità semplificate possono valere in modo omogeneo “e coordinato in riferimento all’insiemedei trattamenti di dati personali effettuati nel complesso delle strutture facenti capo alle aziendesanitarie”.

Modalità di prestazione del consensoIl consenso al trattamento dei dati idonei a rivelare lo stato di salute, può essere manifestatocon un’unica dichiarazione, anche oralmente. In quest’ultimo caso il consenso è documentato,anziché con atto scritto dell’interessato, con annotazione dell’esercente la professione sanita-ria o dell’organismo sanitario pubblico.Quando il medico o il pediatra forniscono l’informativa per conto di più professionisti ai sensi

dell’art. 78, comma 4, oltre quanto previsto dal comma 1, il consenso è reso conoscibile ai me-desimi professionisti con adeguate modalità, anche attraverso menzione, annotazione o appo-sizione di un bollino o di un tagliando su una carta elettronica o sulla tessera sanitaria, conte-nente il richiamo al medesimo art. 78, comma 4, e alle eventuali diverse specificazioni apposteall’informativa ai sensi del medesimo comma. In caso di emergenze e tutela della salute edell’igiene pubblica, l’informativa e il consenso al trattamento possono intervenire senza ritardo,successivamente alla prestazione, con particolare riferimento a quanto segue:

la legge sulla privacy e le ripercussioni sull’assistenza sanitaria – Capitolo 17

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1. impossibilità fisica, incapacità di agire o incapacità di intendere o di volere dell’interessato,quando non è possibile acquisire il consenso da chi esercita legalmente la potestà ovveroda un prossimo congiunto, da un familiare, da un convivente o, in loro assenza, dal re-sponsabile della struttura presso cui dimora l’interessato;

2. rischio grave, imminente e irreparabile per la salute o l’incolumità fisica dell’interessato.

L’informativa e il consenso al trattamento dei dati personali possono intervenire senza ri-tardo, successivamente alla prestazione, anche in caso di prestazione medica che può esserepregiudicata dall’acquisizione preventiva del consenso, in termini di tempestività o efficacia.In caso di pazienti minorenni, dopo il raggiungimento della maggiore età, l’informativa è

fornita all’interessato anche ai fini della acquisizione di una nuova manifestazione del consensoquando questo è necessario.

Modalità di comunicazione dei dati all’interessatoI dati personali idonei a rivelare lo stato di salute possono essere resi noti all’interessato o aisoggetti indicati dal Codice (chi esercita legalmente la potestà, un prossimo congiunto, un fa-miliare, un convivente o, in loro assenza, il responsabile della struttura presso cui dimora l’in-teressato) da parte di esercenti le professioni sanitarie e organismi sanitari, solo per il tramitedi un medico designato dall’interessato o dal titolare. Il titolare o il responsabile possono autorizzare per iscritto esercenti le professioni sanitarie di-versi dai medici, che nell’esercizio dei propri compiti intrattengono rapporti diretti con i pa-zienti e sono incaricati di trattare dati personali idonei a rivelare lo stato di salute, a renderenoti i medesimi dati all’interessato o agli altri soggetti aventi diritto. L’atto di incarico indivi-dua appropriate modalità e cautele rapportate al contesto nel quale è effettuato il trattamentodi dati.

Misure generali per il rispetto dei diritti in ambiente sanitarioIl Codice della privacy, rispetto alla legislazione previgente, innova e detta in modo pratica-mente regolamentare, una serie di disposizioni molto dettagliate atte ai diritti e alla dignità per-sonale dei pazienti.Vediamole analiticamente così come sono prospettate nell’art. 83:

a) soluzioni volte a rispettare, in relazione a prestazioni sanitarie o ad adempimenti amministrativi prece-duti da un periodo di attesa all’interno di strutture, un ordine di precedenza e di chiamata degli interes-sati prescindendo dalla loro individuazione nominativa;

b) l’istituzione di appropriate distanze di cortesia, tenendo conto dell’eventuale uso di apparati vocali o dibarriere;

c) soluzioni tali da prevenire, durante colloqui, l’indebita conoscenza da parte di terzi di informazioni ido-nee a rivelare lo stato di salute;

d) cautele volte a evitare che le prestazioni sanitarie, ivi compresa l’eventuale documentazione di anam-nesi, avvenga in situazioni di promiscuità derivanti dalle modalità o dai locali prescelti;

e) il rispetto della dignità dell’interessato in occasione della prestazione medica e in ogni operazione ditrattamento dei dati;

f) la previsione di opportuni accorgimenti volti ad assicurare che, ove necessario, possa essere data cor-rettamente notizia o conferma anche telefonica, ai soli terzi legittimati, di una prestazione di pronto soc-corso;

g) la formale previsione, in conformità agli ordinamenti interni delle strutture ospedaliere e territoriali, diadeguate modalità per informare i terzi legittimati, in occasione di visite, sulla dislocazione degli inte-ressati nell’ambito dei reparti, informandone previamente gli interessati e rispettando eventuali loro con-trarie manifestazioni legittime di volontà;

Capitolo 17 – la legge sulla privacy e le ripercussioni sull’assistenza sanitaria

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h) la messa in atto di procedure, anche di formazione del personale, dirette a prevenire nei confronti di estra-nei un’esplicita correlazione tra l’interessato e reparti o strutture, indicativa dell’esistenza di un partico-lare stato di salute;

i) la sottoposizione degli incaricati, che non sono tenuti per legge al segreto professionale, a regole di con-dotta analoghe al segreto professionale.

Prescrizioni medicheLa normativa sulla privacy distingue tra i medicinali a carico, anche parziale, del Servizio sani-tario nazionale da quelli non a carico dello stesso.

Medicinali a carico del Servizio sanitario nazionaleLe ricette relative a prescrizioni di medicinali a carico, anche parziale, del Servizio sanitario na-zionale sono redatte in modo da permettere di risalire all’identità dell’interessato solo in casodi necessità connesse al controllo della correttezza della prescrizione, ovvero a fini di verificheamministrative o per scopi epidemiologici e di ricerca, nel rispetto delle norme deontologicheapplicabili. Il modello di ricetta deve essere conforme alle indicazioni ministeriali e integrato daun tagliando predisposto su carta o con tecnica di tipo copiativo e unito ai bordi delle zone in-dicate nel comma 3. Il tagliando integrativo è apposto sulle zone del modello predisposte perl’indicazione delle generalità e dell’indirizzo dell’assistito, in modo da consentirne la visionesolo per effetto di una momentanea separazione del tagliando medesimo che risulti necessariasoltanto nei seguenti casi:

1. il tagliando può essere momentaneamente separato dal modello di ricetta, e successiva-mente riunito allo stesso, quando il farmacista lo ritiene indispensabile, mediante sottoscri-zione apposta sul tagliando, per una effettiva necessità connessa al controllo della corret-tezza della prescrizione, anche per quanto riguarda la corretta fornitura del farmaco;

2. il tagliando può essere momentaneamente separato nei modi di cui al comma 3 anche pressoi competenti organi per fini di verifica amministrativa sulla correttezza della prescrizione, oda parte di soggetti legittimati a svolgere indagini epidemiologiche o di ricerca in conformitàalla legge quando è indispensabile per il perseguimento delle rispettive finalità.

Con decreto del Ministro della salute, sentito il Garante, può essere individuata un’ulterioresoluzione tecnica diversa da quella indicata nel comma 1, basata sull’uso di una fascetta ade-siva o su altra tecnica equipollente relativa anche a modelli non cartacei.

Medicinali non a carico del Servizio sanitario nazionaleNelle prescrizioni cartacee di medicinali soggetti a prescrizione ripetibile non a carico, ancheparziale, del Servizio sanitario nazionale, le generalità dell’interessato non sono indicate. Inquesto caso il medico può indicare le generalità dell’interessato solo se ritiene indispensabilepermettere di risalire alla sua identità, per un’effettiva necessità derivante dalle particolari con-dizioni del medesimo interessato o da una speciale modalità di preparazione o di utilizzazione.La legge disciplina anche due casi particolari. Il primo è regolato dalla D.L. 17 febbraio 1998

n. 23 “Disposizioni urgenti in materia di sperimentazioni cliniche in campo oncologico e altremisure in materia sanitaria” convertito con la legge 8 aprile 1998, n. 94 c.d. legge Di Bella. Intale testo normativo si specificava che nella ricetta il medico doveva trascrivere, senza ripor-tare le generalità del paziente, un riferimento numerico o alfanumerico per consentire alle au-torità di risalire in caso di necessità al paziente trattato. Questo caso è fatto salvo dalla leggesulla privacy.

la legge sulla privacy e le ripercussioni sull’assistenza sanitaria – Capitolo 17

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Il secondo caso particolare invece è relativo alla situazione in cui “deve essere accertata l’iden-tità dell’interessato ai sensi del Testo Unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti,ex D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309”. In questo caso le ricette devono essere conservate separatamenteda ogni altro documento che non ne richiede l’utilizzo.

Cartelle cliniche e certificati di assistenza al partoIn caso di redazione di cartella clinica devono essere adottati opportuni accorgimenti per assicu-rare la comprensibilità dei dati e per distinguere i dati relativi al paziente da quelli eventualmenteriguardanti altri interessati, ivi comprese informazioni relative a nascituri.Le eventuali richieste di presa visione o di rilascio di copia della cartella e dell’acclusa scheda

di dimissione ospedaliera da parte di soggetti diversi dall’interessato, possono essere accolte, intutto o in parte, solo se la richiesta è giustificata dalla documentata necessità:

1. di far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria di rango pari a quello dell’interessato, ov-vero consistente in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e in-violabile;

2. di tutelare, in conformità alla disciplina sull’accesso ai documenti amministrativi, una situa-zione giuridicamente rilevante di rango pari a quella dell’interessato, ovvero consistente in undiritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile.

Per quanto concerne il certificato di assistenza al parto redatto ai fini della dichiarazione di na-scita questo deve essere “sempre sostituito da una semplice attestazione contenente i soli dati ri-chiesti nei registri di nascita”.

Particolari banche dati sanitarieIl trattamento di dati idonei a rivelare lo stato di salute contenuti in banche dati, schedari, archivio registri tenuti in ambito sanitario, è effettuato nel rispetto della legge anche presso banche dati,schedari, archivi o registri già istituiti alla data di entrata in vigore del presente Codice e in riferi-mento ad accessi di terzi previsti dalla disciplina vigente alla medesima data, in particolare presso:

1. il registro nazionale dei casi di mesotelioma asbesto-correlati istituito presso l’Istituto supe-riore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (ISPESL), di cui all’art. 1 del decreto del Pre-sidente del Consiglio dei ministri 10 dicembre 2002, n. 308;

2. la banca dati in materia di sorveglianza della malattia di Creutzfeldt-Jakob o delle varianti esindromi a essa correlate, di cui al decreto del Ministro della salute in data 21 dicembre 2001,pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 8 del 10 gennaio 2002;

3. il registro nazionale delle malattie rare di cui all’art. 3 del decreto del Ministro della sanità del18 maggio 2001, n. 279;

4. i registri dei donatori di midollo osseo istituiti in applicazione della legge 6 marzo 2001, n. 52;5. gli schedari dei donatori di sangue di cui all’art. 15 del decreto del Ministro della sanità in data26 gennaio 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 78 del 3 aprile 2001.

Casistica giurisprudenziale Fattispecie di condanna al risarcimento dei danni per una coordinatrice infermieristica che avevarivelato lo stato di tossicodipendenza di una degente ricoverata in un reparto di ostetricia nono-stante una specifica richiesta della paziente di non rivelare tale stato ai parenti.

Con ricorso ex art. 152 D.Lgs 196/2003 la ricorrente esponeva che nel corso di un ricovero presso la SOCOstetricia e Ginecologia, dal 18 al 28 febbraio 2007, aveva chiesto al personale di non rivelare ai propri fa-miliari e conoscenti il proprio stato di ex tossicodipendente in terapia con metadone, ma che nonostante

Capitolo 17 – la legge sulla privacy e le ripercussioni sull’assistenza sanitaria

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detta richiesta, durante una visita da parte di una sorella le veniva chiesto in presenza di quest’ultima dallacaposala quando voleva che le portasse il metadone. La ricorrente proseguiva che detto fatto aveva svelatoalla famiglia il suo stato di tossicodipendenza e che per tale motivo, quest’ultima aveva cessato i rapporticon la stessa al punto tale che il giorno del suo matrimonio nessuno dei suoi familiari, a parte una delle so-relle, si era recato alla cerimonia. La ricorrente lamentava inoltre che, a seguito del predetto fatto, la fami-glia non elargiva alcuna somma per la celebrazione del matrimonio, osteggiando la celebrazione dellostesso con l’attuale marito, ritenuto responsabile dell’avvicinamento della ricorrente alla droga. Per tali mo-tivi, la ricorrente chiedeva la condanna della convenuta al risarcimento dei danni che quantificava in Euro20.000,00 oltre al rimborso delle spese di lite. […]Orbene, nel caso di specie siamo certamente in presenza di comunicazione di dati non solo al di fuori delleipotesi consentite dal Codice della privacy, ma addirittura in presenza di un espresso divieto della ricorrente.Detta richiesta della paziente emerge dalla cartella infermieristica prodotta agli atti. Peraltro, lo stesso co-dice della privacy all’art. 83 c. 1 e 2 lett. 3. e 4. impone l’adozione di misure minime di sicurezza per pre-venire durante i colloqui l’indebita conoscenza da parte di terzi di informazioni idonee a rivelare lo statodi salute e ad evitare che le prestazioni sanitarie avvengano in situazioni di promiscuità derivanti dallemodalità o dai locali prescelti. Dette condotte sono sanzionate anche dal codice deontologico medico edegli infermieri. La condotta posta in essere dalla caposala che, come confermato dall’unica teste presenteal fatto H.S., ha pronunciato la frase “quando vuoi che ti porti il metadone” integra senza dubbio la viola-zione dell’adozione o comunque del mancato rispetto delle misure di sicurezza idonee al rispetto dellaprivacy dei pazienti oltre che violazione di una richiesta espressa della ricorrente. Deve pertanto accertarsi la condotta illegittima della resistente che è tenuta al risarcimento del danno aisensi dell’art. 2050 cc come previsto dall’art. 15 Codice della privacy.Sulla natura della responsabilità in oggetto codesto giudicante ritiene di aderire all’orientamento dottri-nale secondo il quale, il codice della privacy prevede una vera e propria ipotesi di responsabilità oggettiva,essendo sufficiente che il danneggiato provi il fatto della lesione, il danno ed il nesso di causalità, potendoliberarsi la resistente solo escludendo tale nesso causale.Per le modalità di realizzazione della lesione del diritto alla privacy, appare assolutamente verosimile nelcaso di specie, anche in ragione del fatto che la caposala conosceva il rapporto parentale che legaval’astante alla ricorrente, che l’avvenuta conoscenza della situazione di tossicodipendenza possa aver ra-gionevolmente portato alle conseguenze descritte dalla ricorrente e confermate dalla sorella in sede diesame testimoniale.Tuttavia, anche qualora si volesse aderire al minoritario orientamento secondo il quale la norma dell’art.15 Codice della privacy preveda una semplice inversione dell’onere della prova, in relazione all’elementosoggettivo del dolo e della colpa, nel corso dell’istruttoria la resistente non ha fornito alcuna prova di averadottato tutte le misure possibili onde evitare il fatto oggetto di accertamento.Quanto alle poste di danno risarcibili. Non è emerso nel corso dell’istruttoria alcuna prova di danno pa-trimoniale in capo alla ricorrente (danno emergente o lucro cessante). In merito a quest’ultimo, la sorellaha affermato di non sapere nulla quanto a promesse di denaro da parte dei genitori alla ricorrente in ra-gione del celebrando matrimonio.Tuttavia, il Codice della privacy prevede espressamente la risarcibilità del danno non patrimoniale a pre-scindere dal verificarsi delle condizioni di cui all’art. 2059 cc.Va, quindi risarcito, il danno non patrimoniale, non essendo dubitabile la non corretta divulgazione dellostato di tossicodipendenza della ricorrente, dato sensibile che ha comportato una lesione del suo dirittoalla privacy.Il danno deve essere liquidato nel suo complesso e facendo ricorso ai criteri equitativi di cui all’art. 1226cc, attesa la natura degli interessi lesi di tipo squisitamente affettivo in euro 15.000,00, tenuto conto del nu-mero dei rapporti parentali interrotti ed affievoliti (con riferimento quest’ultimi alla sorella S.) e tenuto contodel momento temporale (nell’imminenza del matrimonio) in cui detta interruzione di rapporti affettivi è av-venuta.Infine si osserva, con riferimento all’individuazione dei soggetti tenuti al risarcimento, che il codice sullaprivacy individua come soggetti responsabili il titolare del trattamento ex art. 28, il responsabile del tratta-mento ex art. 29 se diverso dal primo, l’incaricato del trattamento ex art. 30 ed eventuali soggetti terzi, an-che se non rivestenti alcuna delle predette qualifiche. Nell’ipotesi in cui l’attività del trattamento sia ricon-

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ducibile in concreto ad alcuni o a tutti i succitati soggetti, la responsabilità ex art. 15 Codice della Pri-vacy deve essere valutata in concreto, in base all’attività dagli stessi effettivamente esercitata nella fat-tispecie reale, alla luce dei poteri decisionali ed all’autonomia posseduta da ciascuno, essendo concordela dottrina nel rigettare la possibilità di applicare a tali fattispecie la figura della responsabilità ex art.2049 cc in capo al soggetto titolare del trattamento.Orbene nel caso di specie, la resistente è sicuramente la titolare del trattamento dei dati, ma non èemerso se vi sia stata nomina del responsabile al trattamento degli stessi, per contro sicuramente la ca-posala riveste la qualifica di incaricata del trattamento. Valutati i poteri di direzione del titolare e di im-posizione delle misure di sicurezza che dovevano ritenersi necessarie nel caso di specie, ma delle qualinon è stata fornita alcuna prova dalla resistente ed atteso il potere di autonomia della caposala, che benpuò e deve valutare nei singoli casi le situazioni nelle quali sia possibile esternare affermazioni dellaspecie di cui si discute, il presente giudicante ritiene che la responsabilità possa essere in concreto sud-divisa al 50% tra la resistente, quale titolare e responsabile del trattamento, e la incaricata del tratta-mento. Posto che quest’ultima non è parte del presente giudizio non può applicarsi la regola della soli-darietà dal lato passivo di cui all’art. 2055 cc.Per tali motivi, accertata la lesività dei comportamenti posti in essere dalla resistente, condanna quest’ul-tima al pagamento alla ricorrente della somma di euro 7500,00 oltre al rimborso delle spese di lite cheliquida come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale in funzione di giudice unico, ogni diversa istanza eccezione, ragione reietta definitivamentedecidendo così giudica:condanna la resistente a pagare alla ricorrente la somma di euro 7500,00 a titolo di risarcimento deldanno per le causali di cui in motivazione, oltre alla rifusione delle spese di lite del presente giudizioche liquida in euro 856,00 per diritti, euro 2500,00 per onorari ed euro 96,97 per spese, oltre accessoridi legge.

Tribunale di Pordenonesentenza del 16 aprile 2010

Recentemente la Corte di Cassazione ha affrontato la problematica della mancata custodiadella cartella clinica – o meglio della indicazione di dati tendenti a rivelare la vita sessuale –nella specie lo stato di omosessualità – in grande evidenza sulla stessa e dell’accusa di non avereapprontato le misure di sicurezza idonee a garantirne la riservatezza verso i terzi durante il ri-covero. Data l’importanza riportiamo ampi stralci della sentenza.

Un paziente ha convenuto davanti al Tribunale di Perugia il prof. C.L. e l’Azienda SSL n. [omissis], chie-dendo il risarcimento dei danni nella misura di L. 1 miliardo perché – essendo stato ricoverato il [omis-sis] presso l’[omissis] per un forte attacco febbrile con diagnosi di leucopenia – era stato sottoposto altest anti-HIV senza che gli fosse stato richiesto il consenso. Il test, eseguito senza rispettare l’anoni-mato, aveva dato esito positivo e la cartella clinica – recante anche la registrazione di dati sensibili nonrilevanti, fra cui la sua omosessualità – era stata custodita senza alcuna riservatezza, sì che le notizierelative alla sua salute si erano diffuse all’interno e all’esterno dell’Ospedale, con suo grave pregiudi-zio personale e patrimoniale, considerato che, di conseguenza, egli aveva anche dovuto chiudere la suaattività commerciale. L’azienda sanitaria ha resistito alla domanda, affermando di avere agito nell’esclu-sivo interesse del paziente, al fine di giungere al più presto alla diagnosi per intraprendere la terapia ne-cessaria; che l’esecuzione del test senza il preventivo consenso del paziente si era resa necessaria; tantoche, se egli non avesse acconsentito, gli si sarebbe dovuto rifiutare il ricovero o si sarebbe dovuta chie-dere alle competenti autorità l’autorizzazione al trattamento sanitario obbligatorio. Hanno affermatoche l’anonimato è richiesto solo nei casi di indagini epidemiologiche; che la cartella clinica era stataconservata in sala infermieri e che era nota al solo personale medico e infermieristico.

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Il Tribunale di Perugia ha respinto la domanda e la Corte di appello di Perugia – con sentenza 26 feb-braio/11 maggio 2004 n. 109 – ha respinto l’appello del V.Con atto notificato il 15.9.2004 il V. propone ricorso per cassazione contro la sentenza notificatagli il 4.6.2004per tre motivi. Resistono con unico controricorso la Azienda SSL Umbria e gli eredi del prof. C.L., decedutonelle more del processo.

Motivi della decisione

Afferma il ricorrente che la cit. L. n. 135 del 1990, art. 5, comma 3, secondo cui nessuno può essere sotto-posto a test anti-HIV senza il suo consenso, “se non per motivi di necessità clinica, nel suo interesse” – vainterpretato nel senso che si può prescindere dal consenso del paziente solo nei casi in cui egli sia del tuttoimpossibilitato a prestarlo; che solo tale interpretazione è in linea con quella della Corte costituzionale –secondo cui gli accertamenti sanitari che comportano prelievi ed analisi trovano un limite invalicabile nelrispetto della dignità e della riservatezza della persona che vi è sottoposta (sentenza n. 218 del 1994) – econ le analoghe disposizioni del Garante della privacy e dei principi della deontologia medica.Ove egli fosse stato informato, avrebbe potuto disporre che il test venisse eseguito presso altro Ospedale,in luogo in cui non fosse conosciuto, considerato che non vi era alcuna urgenza di procedervi.

1. – Il motivo è fondato. Va condivisa l’opinione del ricorrente secondo cui la lettura costituzionalmenteorientata della L. n. 135 del 1990, art. 5, comma 3, porta a ritenere che il consenso del paziente al testHIV – così come ad ogni altro trattamento a cui debba essere sottoposto deve essere richiesto in ognicaso in cui ciò sia possibile, senza pregiudizio per le esigenze di cura del paziente stesso o per la tuteladei terzi. Ed invero, se nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario, salvoespressa disposizione di legge (art. 32 Cost.), il malato ha il diritto di essere preventivamente e tempe-stivamente informato delle indagini cliniche e delle cure alle quali lo si vuole sottoporre, in tutti i casi incui possa esprimere liberamente e consapevolmente la sua volontà.Seguendo l’interpretazione dell’art. 5, adottata dalla sentenza impugnata – secondo cui le necessità cli-niche sarebbero di per sè sufficienti a consentire di prescindere dalla preventiva informazione del ma-lato – verrebbe sostanzialmente vanificato il diritto di quest’ultimo di accettare o rifiutare le cure. Allapersonale valutazione dell’interessato si sostituirebbe quella dei medici, i quali sono portati a sommini-strare comunque i trattamenti ritenuti opportuni, qualunque ne sia l’onere od il peso (sotto ogni profilo)per il paziente.Va soggiunto che – anche quando il trattamento si riveli indispensabile, per legge o nell’interesse pubblico– va riconosciuto al malato quanto meno il diritto di scegliere i tempi, i modi o i luoghi dell’intervento, inogni caso in cui ciò sia possibile.Anche a tal fine è necessario che egli venga preventivamente informato ed interpellato.

2. – Con il secondo motivo, deducendo violazione della L. n. 135 del 1990, art. 5, comma 1, il ricorrente la-menta che erroneamente la Corte di appello abbia escluso l’indebita violazione della privacy ed abbia ri-tenuto che l’obbligo di mantenere l’anonimato, con riguardo ai campioni prelevati per le analisi, sia pre-scritto dalla legge solo in relazione alle indagini epidemiologiche.A suo avviso il cit. art. 5, nel prescrivere l’anonimato per tali indagini – non consente di escludere che ilmedesimo requisito debba essere rispettato anche negli altri casi. Avrebbero dovuto essere comunque adot-tate tutte le misure idonee a salvaguardare il suo diritto alla riservatezza.Al contrario, è stata indicata in piena evidenza nella cartella clinica la sua omosessualità, e la cartella nonè stata custodita con la diligenza necessaria ad evitare che di essa potessero prendere visione anche per-sone estranee al personale sanitario.

3. – Con il terzo motivo, denunciando erronea disamina delle risultanze processuali ed erronea motiva-zione in relazione ad un punto decisivo della controversia, il ricorrente lamenta che la Corte di appello ab-bia disatteso, ritenendola inattendibile, la testimonianza di sua madre, che ha dichiarato di avere appresola sieropositività del figlio dalla lettura della cartella clinica, abbandonata in sala infermieri su di un ter-

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mosifone, a disposizione di qualunque curioso. La motivazione della Corte di appello, secondo cui l’ac-cesso alla sala infermieri è chiuso al pubblico, è da ritenere insufficiente a giustificare la decisione, inquanto è obbligo dei sanitari di predisporre tutte le misure idonee a garantire la riservatezza dei pazienti(quindi anche ad evitare che il pubblico acceda ai luoghi riservati).

4. – I due motivi – che possono essere congiuntamente esaminati, perché connessi – sono fondati. Giu-stamente la Corte di appello ha ritenuto che l’art. 5, comma 1, imponga l’anonimato solo per le indaginiepidemiologiche.Ciò non consente di escludere, tuttavia, che anche per le indagini cliniche debba essere rispettata quantomeno la riservatezza del paziente, adottando tutte le misure idonee a far sì che natura ed esito del test,dati sensibili raccolti nell’anamnesi, e accertamento della malattia, siano resi noti solo entro il ristrettoambito del personale medico e infermieristico adibito alla cura e vengano custoditi adottando tutti gli ac-corgimenti necessari ad evitare che altri, ed in particolare il pubblico, possano venire a conoscenza dellesuddette informazioni. Ciò dispone espressamente la cit. L. n. 135 del 1990, art. 5, comma 1, secondo cuigli operatori sanitari che vengano a conoscenza di un caso di AIDS sono tenuti ad adottare tutte le mi-sure occorrenti per la tutela della riservatezza della persona assistita.La motivazione della sentenza impugnata appare sul punto insufficiente.La Corte non ha positivamente accertato se le modalità di custodia della cartella clinica siano state talida prevenire concretamente il rischio che i terzi potessero prendere visione del documento, custoden-dolo in luogo non accessibile, neppure occasionalmente o di fatto, da parte del pubblico. A fronte dellaprecisa disposizione dell’art. 5, sarebbe stato onere del personale ospedaliero dimostrare di avere adot-tato tutte le misure idonee allo scopo.Il rilievo della Corte di merito, secondo cui la cartella era stata lasciata in sala infermieri, locale riservatoal personale sanitario, non è di per sé sufficiente, in mancanza di dimostrazione che a detta sala venivaeffettivamente impedito l’accesso del pubblico.

5. – La sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Roma, indiversa composizione, affinché decida sulle domande attrici uniformandosi ai seguenti principi di diritto:“La L. 5 giugno 1990, n. 135, art. 5, comma 3, secondo cui nessuno può essere sottoposto al test anti-HIVsenza il suo consenso, se non per motivi di necessità clinica e nel suo interesse” deve essere interpre-tato alla luce dell’art. 32 Cost., comma 2, nel senso che, anche nei casi di necessità clinica, il pazientedeve essere informato del trattamento a cui lo si vuole sottoporre, ed ha il diritto di dare o di negare ilsuo consenso, in tutti i casi in cui sia in grado di decidere liberamente e consapevolmente.Dal consenso si potrebbe prescindere solo nei casi di obiettiva e indifferibile urgenza del trattamento sa-nitario, o per specifiche esigenze di interesse pubblico (rischi di contagio per i terzi, od altro): circostanzeche il giudice deve indicare nella motivazione.“A norma della cit. L. art. 5, comma 1, è onere del personale sanitario dimostrare di avere adottato tuttele misure occorrenti allo scopo di garantire il diritto del paziente alla riservatezza e di evitare che i datirelativi all’esito del test ed alle condizioni di salute del paziente medesimo possano pervenire a cono-scenza dei terzi”.

6. – Il Giudice di rinvio deciderà anche in ordine alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di ap-pello di Roma, in diversa composizione, che deciderà anche in ordine alle spese del giudizio di cassa-zione.

Corte di Cassazione, III sez. civile,sentenza del 30 gennaio 2009, n. 2468

Capitolo 17 – la legge sulla privacy e le ripercussioni sull’assistenza sanitaria

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Capitolo

GLI ORGANI DI TUTELA PROFESSIONALE

GLI ORDINI, I COLLEGI E GLI ALBI PROFESSIONALI

I collegi e gli ordini professionali sono organi di autogoverno di una categoria professionale, isti-tuiti con legge dello Stato e avente natura giuridica di ente di diritto pubblico.Premettiamo che ormai la differenza tra ordine (dal latino ordo = condizione, ceto, classe di

cittadini) e collegio (dal latino collegium = unione di colleghi, adunanza, corporazione) è pura-mente terminologica, essendo al più indicativa la distinzione tra la rappresentanza dei profes-sionisti diplomati (collegio) e quella dei professionisti laureati (ordine).1

Gli ordini nascono in realtà come ordinamenti giuridici privati in risposta a esigenze di mer-cato e a difesa degli interessi del gruppo di appartenenza, e solo successivamente si trasformanoin enti pubblici sotto la sorveglianza dello Stato.Lo Stato ha dato rilevanza agli interessi dei gruppi professionali, attribuendo all’ordine pro-

fessionale la tutela del gruppo di appartenenza, la dignità della funzione individualmente eser-citata dai singoli, il prestigio della professione stessa, in quanto ha ritenuto che questi elementiavessero una ricaduta positiva sulla società e sugli assistiti.2

Questo ruolo e questa posizione sono oggi in discussione e oggetto di un vivace dibattito perla presa di posizione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (cosiddetto antitrust)il quale ha affermato che risulta oggi “improcrastinabile un ripensamento complessivo dell’isti-tuzione ordine”.Al fine di evitare che gli ordini e i collegi professionali possano rappresentare un ostacolo alla

concorrenza e al mercato, l’Autorità antitrust ha sollecitato una riforma complessiva degli ordinistessi suggerendo al Parlamento di far valorizzare la competenza deontologica, l’attività di mo-nitoraggio della qualità delle prestazioni professionali attraverso procedimenti di certificazionee, soprattutto, l’attività di aggiornamento e formazione continua dell’attività e di verifica di per-manenza di requisiti professionali al passo con gli sviluppi della disciplina.

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1 Ricordiamo che nella XIII legislatura il disegno di legge 4216/1997 poi approvato con modifiche e trasfor-matosi nella legge 26 febbraio 1999, n. 42 “Di sposizione in materia di professioni sanitarie”, contenente, tral’altro, l’abrogazione del mansionario, prevedeva la trasformazione di tutti i collegi professionali in ordini.2 Autorità Garante della concorrenza e del mercato, Re lazione al termine delle indagini sugli ordini e i collegiprofessionali, approvata nella seduta del 3 ottobre 1997, relatore dott. Giacinto Militello, La responsabilità ci-vile e penale del me dico, Cedam, Padova, 1995, p. 94.

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Capitolo 18 – Gli organi di tutela professionale

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Le contestazioni che vengono mosse al sistema ordinistico (generale e non solo sanitario)sono di varia natura, alcune peraltro superate da recenti provvedimenti legislativi – le c.d. “libe-ralizzazioni”3 – e sono sostanzialmente legate al divieto o alle limitazioni della pubblicità dellapropria attività, alle barriere all’accesso alla professione attraverso l’esame di stato o attraversoil sistema concorsuale (come nel caso dei farmacisti), all’obbligatorietà per l’iscrizione all’alboprofessionale per l’esercizio dell’attività, al potere tariffario unilaterale degli ordini che sostitui-sce la normale contrattazione tra professionista e cliente, al divieto di svolgere l’attività in formasocietaria.In controtendenza alle critiche e al dibattito innescato proprio dall’Autorità garante per la

concorrenza viene approvata la legge 1 febbraio 2006, n. 43 “Disposizioni in materia di profes-sioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione e de-lega al Governo per l’istituzione dei relativi ordini professionali” che prevede l’istituzione di or-dini e albi di tutte le professioni sanitarie diverse da quella medica4 e la trasformazione delle pro-fessioni già regolamentate con collegi professionali – come quella infermieristica – in ordini. Il parlamento ha approvato la legge 43/2006 – quasi all’unanimità, nonostante la disappro-

vazione della commissione nazionale antitrust.5

L’art. 3 della legge 43 prevede proprio l’istituzione di ordini e albi mentre l’art. 4 delega(va)al governo la possibilità di emanare i necessari decreti legislativi per la costituzione degli ordinisulla base dei seguenti criteri:

a) trasformare i collegi professionali esistenti in ordini professionali;b) individuare, in base alla normativa vigente, i titoli che consentano l'iscrizione agli albi di cuial presente comma;

c) definire, per ciascuna delle professioni, le attività il cui esercizio sia riservato agli iscritti agliordini e quelle il cui l’esercizio sia riservato agli iscritti ai singoli albi;

d) definire le condizioni e le modalità in base alle quali si possa costituire un unico ordine perdue o più delle aree di professioni sanitarie individuate ai sensi della lettera a);

e) disciplinare i principi cui si devono attenere gli statuti e i regolamenti degli ordini neocostituiti;

3 Decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 – Gazzetta Ufficiale (serie generale) n. 153 del 4 luglio 2006 – coordi-nato con la legge di conversione 4 agosto 2006, n. 248, in questa stessa Gazzetta Ufficiale alla p. 5, recante:“Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione dellaspesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale”.4 Per l’elenco delle professioni sanitarie vedi cap. 10.5 Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Decisione 25 novembre 2004: “La costituzione di nuoviordini professionali e dei relativi albi provoca una significativa restrizione della concorrenza, comportandolimitazioni all’entrata di nuovi operatori, fatta eccezione per le ipotesi in cui, sussistendo un’asimmetria infor-mativa tra consumatore e professionista, sia necessario, al fine di garantire maggiori benefici per i consu-matori, consentire l’accesso a determinate attività solo a quanti possiedono specifici requisiti di qualifica-zione professionale, prevedendo a tal fine delle forme di selezione all’entrata, quali la formazione scolasticarichiesta e il superamento di un esame di abilitazione, nonché un controllo sull’attività svolta dagli opera-tori. In assenza di tali presupposti, infatti, la previsione di forme di selezione all’entrata può comportare,sotto il profilo economico, un ingiustificato aumento dei costi dei servizi offerti, senza necessariamente ga-rantire la qualità degli stessi. Ciò premesso, si rileva che, con specifico riguardo alle professioni oggetto deldisegno di legge citato (professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, riabilitative, tecniche e tecnichedella prevenzione), non sembrano sussistere asimmetrie informative tali da giustificare una limitazione dellaconcorrenza attraverso l’imposizione di barriere all’accesso nel relativo mercato”.

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Gli organi di tutela professionale – Capitolo 18

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f) prevedere che le spese di costituzione e di funzionamento degli ordini e albi professionali dicui al presente articolo siano poste a totale carico degli iscritti, mediante la fissazione di ade-guate tariffe.

La legge 43 quindi sancisce la trasformazione dei vecchi collegi professionali in ordini pro-fessionali e il definitivo passaggio – anche simbolico – da professione diplomata a professionelaureata. La possibilità per il legislatore delegato di emanare il decreto legislativo di attuazione della

riforma degli ordini professionali è definitivamente scaduto nonostante una proroga legislativa.A meno di un’ulteriore proroga da stabilirsi, la legge 43/2006 – quanto meno per la parte re-

lativa agli ordini professionali – resterà lettera morta.6

La situazione attuale è assolutamente paradossale: l’ordinamento giuridico – attraverso unalegge ordinaria vigente – prevede l’ordine professionale mentre, l’ordine professionale (ancoraquanto meno) non esiste.

Questa premessa era doverosa, prima di i nol trarsi nell’esame della normativa vigente che,come vedremo, non è propriamente recente.I riferimenti normativi principali sono costituiti dal D.L.C.P.S. (Decreto Legislativo Capo Prov-

visorio dello Stato) 13 settembre 1946, n. 233 e le successive modifiche apportate con la legge 5gennaio 1955, n. 15, la legge 21 ottobre 1957, n. 1027 e il D.P.R. 10 dicembre 1959, n. 1360, sulla“Ricostituzione degli Or di ni delle professioni sanitarie e per la disciplina delle professioni stesse”.Inoltre, come vedremo, anche altre leggi non strettamente ordinistiche attribuiscono compiti

agli ordini professionali.I collegi IPASVI (Infermieri professionali, assistenti sanitari e vigilatrici di infanzia) sono in-

vece stati costituiti con la legge 29 ottobre 1954, n. 1049.I collegi sono costituiti in ogni provincia. L’in sieme dei collegi provinciali forma la Fe derazione

nazionale dei Collegi IPASVI.

Organi dei collegi provincialiSono or gani dei collegi:

– l’Assemblea degli iscritti;– il consiglio direttivo;– il collegio dei revisori dei conti.

6 Il riferimento è allo Schema di decreto legislativo di attuazione della delega di cui all’art. 4 della legge 1febbraio 2006, n. 43 e successive modificazioni, per l’istituzione degli ordini e albi delle professioni sanita-rie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione, approvata dal Consiglio deiMinistri nel febbraio 2008 dal governo Prodi della XV Legislatura, laddove all’art. 11 rubricato come “pro-fessioni degli Ordini delle professioni infermieristiche” venivano individuate le seguenti tre “attività riser-vate” il cui testo riportiamo testualmente:1. “È riservata agli iscritti all’ordine delle professioni infermieristiche l'assistenza generale infermieristica dicarattere preventivo, curativo, palliativo e di riabilitazione funzionalmente correlata alla assistenza me-desima.

2. È riservata agli Infermieri l'assistenza di cui al comma 1 rivolta alla persona. 3. È riservata di norma agli infermieri pediatrici l’assistenza di cui al comma 1 rivolta al bambino che pre-senta particolare complessità assistenziale”.

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Inoltre sono sempre organi dei collegi:

– il Presidente;– il Vicepresidente;– il Segretario;– il Tesoriere.

Vediamo in sintesi i compiti e le attribuzioni di ciascun organo.Le assemblee degli iscritti vengono classificate come:

– ordinarie: da tenersi almeno una volta l’anno nel mese di gennaio per l’approvazione del bi-lancio preventivo e del conto consuntivo predisposti dal consiglio direttivo;

– straordinarie: da tenersi su richiesta del Presidente o del consiglio direttivo oppure su ri-chiesta sottoscritta da almeno un sesto degli iscritti;

– elettive: da tenersi ogni tre anni per il rinnovo del consiglio direttivo.

Il Consiglio direttivo è un organo collegiale e viene eletto dall’Assemblea.Il Collegio dei revisori dei conti è composto da tre membri e ha come compito principale

quello di controllare il bilancio preventivo, la regolarità degli atti che comportano spese, l’esat-tezza del bilancio consuntivo e la sua corrispondenza con le scritture contabili.Il Presidente ha la rappresentanza del col legio, convoca e presiede il consiglio direttivo e

l’Assemblea degli iscritti, cura l’esecuzione delle deliberazioni dell’Assemblea e del consiglio di-rettivo e dirige l’attività degli iscritti.Il Vicepresidente sostituisce il Presidente in caso di assenza o impedimento.Il Segretario è responsabile del regolare andamento dell’ufficio e gli sono affidati l’archivio,

i verbali delle adunanze dell’Assemblea e del consiglio, i registri delle relative deliberazioni e al-tri adempimenti amministrativi.Il Tesoriere, infine, cura l’amministrazione fi nanziaria e contabile del collegio e ha la custo-

dia dei valori e dei contanti.

Attribuzioni e fini istituzionali del collegioAl Consiglio direttivo la legge affida le seguenti attribuzioni:

1. compilare, tenere l’Albo del collegio e pubblicarlo al principio di ogni anno;2. vigilare sulla conservazione del decoro e dell’indipendenza del collegio;3. designare i rappresentanti del collegio presso commissioni, enti e organizzazioni di carattereprovinciale o comunale;

4. promuovere e favorire tutte le iniziative intese a facilitare il progresso culturale degli i scritti;5. dare il proprio concorso alle autorità locali nello studio e nell’attuazione dei provvedimentiche comunque possono interessare il collegio;

6. esercitare il potere disciplinare nei confronti dei sanitari liberi professionisti iscritti nell’Albosalvo, in ogni caso, le altre disposizioni di ordine disciplinare e punitivo contenute nelle leggie nei regolamenti in vigore;

7. interporsi, se richiesto, nelle controversie fra iscritto e iscritto, o fra iscritto e persona o entiper ragioni di spese, di onorari o per altre questioni inerenti all’esercizio professionale, pro-curando la conciliazione sulla vertenza e, in caso di non riuscito accordo, dando pareri sullecontroversie stesse.

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Gli organi di tutela professionale – Capitolo 18

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Attribuzioni in materia di controllo sulla pubblicità sanitariaLa legge 5 feb braio 1992, n. 175 “Norme in materia di pubblicità sanitaria e di repressione dell’eser-cizio a busivo delle professioni sanitarie” contiene una serie di disposizioni sulla pubblicità sani-taria nell’attività libero-professionale e attribuisce al collegio il potere di rilasciare il nulla ostaper la pubblicità a mezzo targhe e inserzioni pubblicitarie. Competente a rilasciare il nulla ostaè il collegio presso il quale è iscritto il richiedente; se l’attività viene svolta al di fuori della pro-vincia presso la quale è iscritto il richiedente, competente diventa il collegio della provincia nellaquale viene effettuata la pubblicità. Se l’iscritto al collegio effettua la pubblicità in violazione alla legge può essere assoggettato

alla sanzione della censura o della sospensione dall’esercizio della professione sanitaria ai sensidel D.P.R. 221/1950. Se invece la pubblicità non autorizzata contiene indicazioni false la so-spensione è da sei mesi a un anno.Inoltre l’art. 8 della legge 175/1992 prevede la facoltà da parte dei collegi provinciali di pro-

muovere “ispezioni presso gli studi professionali degli iscritti […] al fine di vigilare sul rispetto deidoveri inerenti alle rispettive professioni”.

IL POTERE DISCIPLINARE

Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, il collegio ha un potere disciplinare verso i suoiiscritti.

Tipologia delle sanzioni di sci pli na riL’art. 38 del D.P.R. 5 aprile 1950, n. 221 re cita:

I sanitari che si rendano colpevoli di abusi o mancanze nell’esercizio della professione o, comunque, di fattidisdicevoli al decoro professionale, sono sottoposti a procedimento disciplinare da parte del consiglio del col-legio della provincia nel cui Albo sono iscritti. Il procedimento disciplinare è promosso d’ufficio o su richiestadel prefetto o del procuratore della Repubblica.

Anche questo procedimento, come quello previsto per i dipendenti del Servizio sanitario na-zionale, prevede una “contestazione degli addebiti” da notificare all’interessato e un termine noninferiore a venti giorni in cui l’interessato può produrre le proprie difese. Infine, si procederà allatrattazione orale del giudizio.Le sanzioni che il Consiglio può irrogare sono:

1. l’avvertimento, che consiste nel diffidare il colpevole a non ricadere nella mancanza commessa;2. la censura, che è una dichiarazione di biasimo per la mancanza commessa;3. la sospensione dall’esercizio della professione per la durata da uno a sei mesi;4. la radiazione dall’Albo (art. 40).

Quest’ultima sanzione è particolarmente gra ve in quanto pregiudica la possibilità di e ser citarela professione e viene pronunciata contro l’iscritto che con la sua condotta abbia compromessogravemente la sua reputazione e la dignità della classe sanitaria (art. 41).Comportano inoltre radiazione di diritto dal l’Al bo l’avere subìto condanna penale per tutta

una serie di reati e per i seguenti motivi:

1. l’interdizione dai pubblici uffici, perpetua o di durata superiore a tre anni e l’interdizione dallaprofessione per eguale durata;

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2. il ricovero in un manicomio giudiziario;3. l’applicazione della misura di sicurezza, dell’assegnazione a una colonia agricola o a unacasa di lavoro.

Nel procedimento disciplinare ordinistico, a differenza di quello che si può svolgere davantialla Commissione di disciplina delle USL, non è ammessa l’assistenza di un avvocato (art. 45).Quest’ultima è una norma di dubbia costituzionalità in quanto limita gravemente il diritto di di-fesa in un procedimento di carattere punitivo.Vi è infine da sottolineare che l’infermiere che viene radiato dall’Albo può essere reiscritto

“purché siano trascorsi cinque anni dal prov ve dimento di radiazione e, se questa deri vò da con -danna penale, sia intervenuta la riabi li ta zione” (art. 50).Contro la decisione emessa dal Consiglio può essere fatto ricorso alla Commissione cen trale

per gli esercenti le professioni sanitarie costituita presso il Ministero della sanità.Ai sensi dell’art. 18 del D.L.C.P.S. 233/1946 la Commissione centrale decide “sui ricorsi a essa

proposti” ed “esercita il potere disciplinare nei confronti dei propri membri professionisti e deimembri dei comitati centrali delle Federazioni”.I ricorsi alla Commissione centrale sono sottoposti o dall’interessato o dal prefetto o dal pro-

curatore della Repubblica, nel termine di trenta giorni dalla notificazione o dalla comunicazionedel provvedimento.Il ricorso dell’interessato ha effetto sospensivo quando sia proposto avverso i provvedimenti

di cancellazione dall’albo.

LA FEDERAZIONE NAZIONALE DEI COLLEGI

I collegi IPASVI sono tra loro federati e danno vita alla Federazione Nazionale dei Col legi cheha le stesse attribuzioni dei collegi provinciali, ovviamente su scala nazionale.Organi della Federazione Nazionale dei collegi sono il Comitato centrale e il Presidente.Il Comitato centrale viene eletto ogni tre anni dai presidenti dei collegi.

L’OBBLIGATORIETÀ DELL’ISCRIZIONE ALL’ALBO

L’obbligatorietà dell’iscrizione all’albo professionale è precisata in una serie di norme.L’art. 8 del D.L.C.P.S. 233/1946 stabilisce che “per l’esercizio di ciascuna delle professioni sa-

nitarie è necessaria l’iscrizione al relativo albo”.L’art. 1 del D.P.R. 761/1979 stabiliva che “ap partengono al ruolo sanitario i dipendenti iscritti

ai rispettivi ordini professionali, ove esistano, che esplicano in modo diretto attività inerenti allatutela della salute”. Il profilo professionale dell’infermiere recepito con il D.M. 739/1994 haprecisato che l’infermiere è colui il quale è iscritto all’albo professionale.Le difficoltà di natura interpretativa nascono dalla vetusta normativa di regolamentazione de-

gli albi professionali – che, come abbiamo visto, è datata 1946 – che all’art. 8 stabilisce l’obbli-gatorietà dell’iscrizione all’albo professionale mentre all’art. 3, elencando le funzioni del Consi-glio direttivo di ciascun ordine o collegio, precisa che rientra anche quello di “esercitare il poteredisciplinare nei confronti dei sanitari liberi professionisti inscritti nell’albo”. La questione ruotava proprio su questo aspetto, tra chi sosteneva l’obbligatorietà dell’iscri-

zione in base all’art. 8 della legge ordinistica e chi ne negava l’obbligatorietà in base all’art. 3punto f) sempre della stessa legge e quindi limitando l’iscrizione ai liberi professionisti.

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La questione – da un punto di vista normativo – viene definitivamente risolta con l’approva-zione della legge 1 febbraio 2006, n. 43 “Disposizioni in materia di professioni sanitarie infer-mieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione e delega al Governo perl’istituzione dei relativi ordini professionali” nella quale si precisa, in modo inequivocabile, all’art.2, comma 3, che:

L’iscrizione all’albo professionale è obbligatoria anche per i pubblici dipendenti ed è subordinata al conse-guimento del titolo universitario abilitante di cui al comma 1, salvaguardando comunque il valore abilitantedei titoli già riconosciuti come tali alla data di entrata in vigore della presente legge.

L’unico neo della normativa introdotta dalla legge 43/2006 è la limitazione, basandoci sullamera interpretazione letterale della disposizione, dell’obbligatorietà dell’iscrizione all’albo per i“pubblici dipendenti” e non anche per tutti coloro che esercitano la professione in modo dipen-dente. Illogica infatti appare una interpretazione restrittiva in quanto porrebbe su un piano di-verso situazioni sostanzialmente identiche e, a ben vedere, se proprio il legislatore voleva porredei maggiori obblighi, questi dovevano essere a carico di coloro che esercitano la professione instrutture private.Da un punto di vista giurisprudenziale invece l’iscrizione all’albo professionale sta diventando

ormai una sorta di vexata quaestio.La suprema Corte di Cassazione aveva già avuto modo di esprimersi prima dell’entrata in vi-

gore della legge 43/2006 stabilendo la non obbligatorietà dell’iscrizione all’albo professionaleper coloro che esercitano la professione in qualità di dipendenti di strutture sanitarie.7

Anche recentemente – ma sempre per fatti avvenuti prima del 2006 – la Cassazione è tornatasul punto confermando l’orientamento precedente.8

Data l’importanza, pur sottolineando che è comunque giurisprudenza precedente alla legge43/2006 (la prima condanna del Tribunale di Alessandria è del 2004) ne riportiamo la massima.

Ciò posto, osserva la Corte che l’iscrizione all’albo professionale configura un atto di accertamento co-stitutivo, operante erga omnes, dello status di professionista ed è imposta soltanto a coloro che eserci-tano la “libera professione” mediante contratti d’opera direttamente con il pubblico dei clienti. L’obbligod’iscrizione nell’apposito albo degli esercenti la libera professione di infermiere (D.Lgs. C.P.S. n. 233 del1946, art. 8) è, in sostanza, strettamente connesso alla necessità di portare a conoscenza del pubblicoquali siano le persone autorizzate ad esercitare tale professione e di garantire che le stesse siano sotto-poste alla vigilanza dei competenti Collegi per eventuali aspetti disciplinari e per l’osservanza delle ta-riffe predisposte. Esercitare liberamente una professione significa compiere atti caratteristici della stessa,cioè a dire una persona, dotata di un corredo particolare di cognizioni tecnico-scientifiche, pone tale suobagaglio culturale, in piena autonomia e a fine lucrativo, a disposizione della potenziale utenza con con-tinuità e sistematicità, il che lascia intuire il notevole rilievo etico-sociale della professione medesima ela necessità che la stessa sia, per così dire, monitorata attraverso l’iscrizione dell’esercente nell’appositoalbo previsto dalla legge.L’obbligo d’iscrizione non sussiste, invece, per gli infermieri professionali che non svolgono attività au-tonoma e libera, ma sono legati da un rapporto di lavoro dipendente anche con una struttura privata, di-rettamente o indirettamente accreditata presso la Pubblica Amministrazione, considerato che in tale casonon esplicano “attività professionale mediante contratti d’opera direttamente con il pubblico dei clienti”,non necessitano di una sorveglianza sulle tariffe applicate, in quanto percepiscono uno stipendio fisso,rispondono disciplinarmente al loro datore di lavoro al quale sono legati da rapporto gerarchico, devono

7 Cassazione penale, VI sez., sentenza dell’1 aprile 2003, n. 492.8 Cassazione penale, VI sez., sentenza del 13 febbraio 2009, n. 6491.

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Capitolo 18 – Gli organi di tutela professionale

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incontrare – nello svolgimento delle loro funzioni – il gradimento e la piena soddisfazione della strutturasanitaria presso la quale lavorano, anche se quest’ultima non è pubblica ma è comunque accreditata econvenzionata con il Servizio Sanitario Nazionale.

Corte di Cassazione, sentenza del 13 febbraio 2009, n. 6491

Anche la giurisprudenza di merito ha avuto modo di esprimersi in almeno due occasioni nonriconoscendo l’abusività dell’esercizio professionale in mancanza di iscrizione all’albo, sia purecon accenti diversi.Queste pronunce sono però successive alla legge 43/2006.Il Tribunale di Aosta9 ha mandato assolto un infermiere per avere in un certo periodo eserci-

tato la professione presso una residenza sanitaria assistita in assenza di iscrizione all’albo pro-fessionale pur avendone i titoli per esserne iscritto “dietro semplice richiesta e senza dovere fre-quentare periodi di tirocinio”. L’assoluzione, in questo caso, è avvenuta per la mancanza di con-sapevolezza del soggetto a esercitare abusivamente la professione e la formula è stata quella delfatto non costituente reato. Diversa e maggiormente articolata è la pronuncia del Tribunale di Pisa ove si nega che il fatto

– la mancata iscrizione all’albo professionale – sia costituente reato.Riportiamo integralmente la sentenza

Con decreto di giudizio immediato del 27/10/09 K.M. veniva citata innanzi a questo Giudice monocra-tico per rispondere del reato indicato in epigrafe.��All’udienza del 23/4/10 è stata celebrata l’istruttoriadibattimentale con l’escussione dei testi N.M. e M.A., con l’escussione del consulente tecnico di parteGravina Giovanni e con l’acquisizione della documentazione prodotta dalle parti; all’odierna udienza,all’esito della discussione, sono state rassegnate le conclusioni di cui al verbale.��Ritiene il Giudice chegli esiti dell’istruttoria dibattimentale impongano di mandare assolta la K. dall’imputazione ascrittale(l’aver esercitato abusivamente la professione di infermiera in assenza della iscrizione nell’albo profes-sionale) perché il fatto non sussiste. I fatti per cui si procede sono pacifici nella loro storicità e possonocosì essere sintetizzati: in seguito ad un controllo dei N.A.S. presso la Casa di cura San Rossore emer-geva che l’odierna imputata, che prestava in detta struttura la propria opera professionale, quale infer-miera, non risultava iscritta al relativo albo professionale provinciale. In particolare, è stato accertato chela K. era alle dipendenze della predetta casa di cura dal 1990 circa; che aveva conseguito in Olanda, suopaese di origine, il diploma che la abilitava all’esercizio della professione di infermiera (quella appuntosvolta presso la Casa di cura San Rossore); che in seguito alla entrata in vigore della legge 1/2/06 n. 43non aveva provveduto ad iscriversi nell’albo professionale. Tanto premesso in fatto, osserva il Tribunaleche nel caso di specie non possa ritenersi integrata la fattispecie di cui all’art. 348 c. p. , in quanto – conil conforto della giurisprudenza della Suprema Corte (cfr., da ultimo, Cass., VI sez. pen., 4/11/08 n. 6491,Pramaggiore - conf. Cass., VI sez. pen., 1/4/03 n. 28306) – può affermarsi che l’obbligo di iscrizioneall’albo professionale è previsto solo per coloro che esercitano liberamente la loro attività professionalemediante contratti d’opera conclusi direttamente con il pubblico dei clienti, a norma degli artt. 8 e 10 delD.Lgs. n. 233 del 1946 e non anche per coloro che prestano la propria attività all’interno di una strutturasanitaria, pubblica o privata che sia. In quest’ultima ipotesi l’unico requisito richiesto è il possesso del ti-tolo abilitante a svolgere quella determinata attività professionale.��Ha più che condivisibilmente affer-mato la Corte sul punto che la ratio dell’obbligo d’iscrizione nell’apposito albo degli esercenti la liberaprofessione di infermiere va individuata nella necessità di portare a conoscenza del pubblico quali sianole persone autorizzate ad esercitare tale professione e nello stesso tempo di garantire che le stesse sianosottoposte alla vigilanza dei competenti Collegi per eventuali aspetti disciplinari e per l’osservanza delle

9 Tribunale di Aosta, sentenza del 5 luglio 2010.

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tariffe predisposte. Ne consegue che l’iscrizione all’albo professionale configura un atto di accertamentocostitutivo dello status di professionista, operante erga omnes, con l’ulteriore conseguenza che la stessaè imposta soltanto a coloro che esercitano la libera professione mediante contratti d’opera direttamentecon il pubblico dei clienti. Ed esercitare liberamente la professione significa, secondo la Suprema Corte,compiere atti caratteristici della stessa: ciò avviene quando un soggetto, dotato di un corredo particolaredi cognizioni tecnico-scientifiche, pone tale suo bagaglio culturale, in piena autonomia e a fine lucrativo,a disposizione della potenziale utenza con continuità e sistematicità. Risulta, dunque, evidente la ne-cessità che la professione liberamente esercitata sia monitorata attraverso l’iscrizione dell’esercentenell’apposito albo previsto dalla legge.��Per converso, è altrettanto evidente che l’obbligo d’iscrizione inparola non può sussistere per gli infermieri professionali che non svolgono attività autonoma e libera nelsenso sopra esplicitato, ma sono legati da un rapporto di lavoro dipendente anche con una struttura pri-vata, direttamente o indirettamente accreditata presso la Pubblica Amministrazione. Ciò per una plura-lità motivi: innanzitutto, perché in tale ultimo caso non esplicano attività professionale mediante con-tratti d’opera direttamente con il pubblico dei clienti; in secondo luogo, perché non necessitano di unasorveglianza sulle tariffe applicate, in quanto percepiscono uno stipendio fisso; in terzo luogo, perché ri-spondono disciplinarmente al loro datore di lavoro, al quale sono legati da rapporto gerarchico; infine,perché devono incontrare nello svolgimento delle loro funzioni il gradimento e la piena soddisfazionedella struttura sanitaria presso la quale lavorano, anche se quest’ultima non è pubblica ma è comunqueaccreditata e convenzionata con il Servizio Sanitario Nazionale.��In altri termini, quando l’infermiere pre-sta la sua opera all’interno di una struttura sanitaria, l’utenza fa affidamento sulla garanzia offerta dallastruttura alla quale si rivolge e, dunque, non instaura un rapporto diretto con il singolo operatore sani-tario che in essa lavora. Può quindi affermarsi che in tal caso la prestazione dell’infermiere non è espres-sione del libero esercizio professionale, ma costituisce piuttosto adempimento di un dovere connesso alrapporto che lo lega alla struttura sanitaria nella quale opera, con la conseguenza che, per l’esercizio ditale attività, non è richiesta l’iscrizione al relativo albo, ma è sufficiente il possesso del titolo abilitante,che nel caso portato all’esame del Tribunale è pacificamente in possesso dell’imputata.��Le brevi consi-derazioni che precedono, dunque, impongono di mandare assolta K.M. dall’imputazione ascrittale per-ché il fatto non sussiste.

P.Q.M.

assolve K.M. dall’imputazione ascrittale perché il fatto non sussiste.��Così deciso in Pisa, con motivazionecontestuale letta all’udienza del 21/5/10.

Tribunale di Pisa, sentenza del 21 maggio 2010

Il Tribunale toscano si appiattisce sulla giurisprudenza della Cassazione formatasi nella nor-mativa previgente – e quindi non più attuale e da rileggersi alla luce dei sopravvenuti interventinormativi – affermando:1. l’iscrizione all’albo professionale è titolo abilitante solo per coloro che esercitano la liberaprofessione;

2. l’iscrizione all’albo professionale non è richiesta per coloro che esercitano la professione inregime di dipendenza. In questo caso il titolo abilitante è solo il titolo di studio e non anchel’iscrizione all’albo professionale. In questo caso l’iscrizione non è dovuta in quanto gli in-fermieri dipendenti:– non esplicano attività professionale mediante contratti d’opera direttamente con il pub-blico dei clienti;

– non necessitano di una sorveglianza sulle tariffe applicate, in quanto percepiscono unostipendio fisso;

– rispondono disciplinarmente al loro datore di lavoro, al quale sono legati da rapporto ge-rarchico;

Gli organi di tutela professionale – Capitolo 18

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Capitolo 18 – Gli organi di tutela professionale

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– devono incontrare nello svolgimento delle loro funzioni il gradimento e la piena soddi-sfazione della struttura sanitaria presso la quale lavorano, anche se quest’ultima non èpubblica ma è comunque accreditata e convenzionata con il Servizio Sanitario Nazionale.

Nessun riferimento alla legge 43/2006 che ne sancisce l’obbligatorietà anche per i “pubblicidipendenti”. Il Tribunale di Pisa ha mal motivato l’assoluzione trascurando la normativa soprav-venuta e in questo caso poteva sfruttare – se proprio voleva motivare l’assoluzione – quel difettodella legge 43/2006 – di non poco conto perché di per sé difetta di costituzionalità per violazionedel principio di uguaglianza – che limita testualmente l’obbligatorietà dell’iscrizione all’albo aisoli “pubblici dipendenti”. Una interpretazione più matura e “logica” porta per analogia a una in-terpretazione “secondo lo scopo” a ritenere obbligatoria l’iscrizione all’albo professionale a tuttigli infermieri che operano in regime di dipendenza, indipendentemente dalla natura pubblica oprivata del loro datore di lavoro.Di tutto questo però nella motivazione del Tribunale di Pisa non vi è traccia.

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Allegato

IL CODICE DEONTOLOGICODELL’INFERMIERE 2009

Approvato dal Comitato centrale della Federazione nazionale dei Collegi IPASVI con delibera-zione n. 1/09 del 10 gennaio 2009 e dal Consiglio nazionale della Federazione nazionale dei Col-legi IPASVI nella seduta svoltasi in Roma in data 17 gennaio 2009

Capo I

Articolo 1L’infermiere è il professionista sanitario responsabile dell’assistenza infermieristica.

Articolo 2L’assistenza infermieristica è servizio alla persona, alla famiglia e alla collettività. Si realizza at-traverso interventi specifici, autonomi e complementari di natura intellettuale, tecnico-scienti-fica, gestionale, relazionale ed educativa.

Articolo 3La responsabilità dell’infermiere consiste nell’assistere, nel curare e nel prendersi cura della per-sona nel rispetto della vita, della salute, della libertà e della dignità dell’individuo.

Articolo 4L’infermiere presta assistenza secondo principi di equità e giustizia, tenendo conto dei valori etici,religiosi e culturali, nonché del genere e delle condizioni sociali della persona.

Articolo 5Il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo e dei principi etici della professione è condizione es-senziale per l’esercizio della professione infermieristica.

Articolo 6L’infermiere riconosce la salute come bene fondamentale della persona e interesse della collet-tività e si impegna a tutelarla con attività di prevenzione, cura, riabilitazione e palliazione.

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Capo II

Articolo 7L’infermiere orienta la sua azione al bene dell’assistito di cui attiva le risorse sostenendolo nelraggiungimento della maggiore autonomia possibile, in particolare, quando vi sia disabilità, svan-taggio, fragilità.

Articolo 8L’infermiere, nel caso di conflitti determinati da diverse visioni etiche, si impegna a trovare la so-luzione attraverso il dialogo. Qualora vi fosse e persistesse una richiesta di attività in contrastocon i principi etici della professione e con i propri valori, si avvale della clausola di coscienza, fa-cendosi garante delle prestazioni necessarie per l’incolumità e la vita dell’assistito.

Articolo 9L’infermiere, nell’agire professionale, si impegna ad operare con prudenza al fine di non nuo-cere.

Articolo 10L’infermiere contribuisce a rendere eque le scelte allocative, anche attraverso l’uso ottimale dellerisorse disponibili.

Capo III

Articolo 11L’infermiere fonda il proprio operato su conoscenze validate e aggiorna saperi e competenzeattraverso la formazione permanente, la riflessione critica sull’esperienza e la ricerca. Progetta,svolge e partecipa ad attività di formazione. Promuove, attiva e partecipa alla ricerca e cura ladiffusione dei risultati.

Articolo 12L’infermiere riconosce il valore della ricerca, della sperimentazione clinica e assistenziale perl’evoluzione delle conoscenze e per i benefici sull’assistito.

Articolo 13L’infermiere assume responsabilità in base al proprio livello di competenza e ricorre, se necessario,all’intervento o alla consulenza di infermieri esperti o specialisti. Presta consulenza ponendo le pro-prie conoscenze ed abilità a disposizione della comunità professionale.

Articolo 14L’infermiere riconosce che l’interazione fra professionisti e l’integrazione interprofessionale sonomodalità fondamentali per far fronte ai bisogni dell’assistito.

AllegAto – Il codice deontologico dell’infermiere 2009

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Articolo 15

L’infermiere chiede formazione e/o supervisione per pratiche nuove o sulle quali non ha espe-rienza.

Articolo 16

L’infermiere si attiva per l’analisi dei dilemmi etici vissuti nell’operatività quotidiana e promuoveil ricorso alla consulenza etica, anche al fine di contribuire all’approfondimento della riflessionebioetica.

Articolo 17

L’infermiere, nell’agire professionale è libero da condizionamenti derivanti da pressioni o inte-ressi di assistiti, familiari, altri operatori, imprese, associazioni, organismi.

Articolo 18

L’infermiere, in situazioni di emergenza-urgenza, presta soccorso e si attiva per garantire l’assi-stenza necessaria. In caso di calamità si mette a disposizione dell’autorità competente.

Capo IV

Articolo 19

L’infermiere promuove stili di vita sani, la diffusione del valore della cultura della salute e dellatutela ambientale, anche attraverso l’informazione e l’educazione. A tal fine attiva e sostiene larete di rapporti tra servizi e operatori.

Articolo 20

L’infermiere ascolta, informa, coinvolge l’assistito e valuta con lui i bisogni assistenziali, ancheal fine di esplicitare il livello di assistenza garantito e facilitarlo nell’esprimere le proprie scelte.

Articolo 21

L’infermiere, rispettando le indicazioni espresse dall’assistito, ne favorisce i rapporti con la co-munità e le persone per lui significative, coinvolgendole nel piano di assistenza. Tiene contodella dimensione interculturale e dei bisogni assistenziali ad essa correlati.

Articolo 22

L’infermiere conosce il progetto diagnostico-terapeutico per le influenze che questo ha sul per-corso assistenziale e sulla relazione con l’assistito.

Articolo 23

L’infermiere riconosce il valore dell’informazione integrata multiprofessionale e si adopera affin-ché l’assistito disponga di tutte le informazioni necessarie ai suoi bisogni di vita.

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Articolo 24L’infermiere aiuta e sostiene l’assistito nelle scelte, fornendo informazioni di natura assistenzialein relazione ai progetti diagnostico-terapeutici e adeguando la comunicazione alla sua capacitàdi comprendere.

Articolo 25L’infermiere rispetta la consapevole ed esplicita volontà dell’assistito di non essere informato sulsuo stato di salute, purché la mancata informazione non sia di pericolo per sé o per gli altri.

Articolo 26L’infermiere assicura e tutela la riservatezza nel trattamento dei dati relativi all’assistito. Nellaraccolta, nella gestione e nel passaggio di dati, si limita a ciò che è attinente all’assistenza.

Articolo 27L’infermiere garantisce la continuità assistenziale anche contribuendo alla realizzazione di unarete di rapporti interprofessionali e di una efficace gestione degli strumenti informativi.

Articolo 28L’infermiere rispetta il segreto professionale non solo per obbligo giuridico, ma per intima con-vinzione e come espressione concreta del rapporto di fiducia con l’assistito.

Articolo 29L’infermiere concorre a promuovere le migliori condizioni di sicurezza dell’assistito e dei fami-liari e lo sviluppo della cultura dell’imparare dall’errore. Partecipa alle iniziative per la gestionedel rischio clinico.

Articolo 30L’infermiere si adopera affinché il ricorso alla contenzione sia evento straordinario, sostenuto daprescrizione medica o da documentate valutazioni assistenziali.

Articolo 31L’infermiere si adopera affinché sia presa in considerazione l’opinione del minore rispetto allescelte assistenziali, diagnostico-terapeutiche e sperimentali, tenuto conto dell’età e del suo gradodi maturità.

Articolo 32L’infermiere si impegna a promuovere la tutela degli assistiti che si trovano in condizioni che nelimitano lo sviluppo o l’espressione, quando la famiglia e il contesto non siano adeguati ai lorobisogni.

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Articolo 33L’infermiere che rilevi maltrattamenti o privazioni a carico dell’assistito mette in opera tutti imezzi per proteggerlo, segnalando le circostanze, ove necessario, all’autorità competente.

Articolo 34L’infermiere si attiva per prevenire e contrastare il dolore e alleviare la sofferenza. Si adopera af-finché l’assistito riceva tutti i trattamenti necessari.

Articolo 35L’infermiere presta assistenza qualunque sia la condizione clinica e fino al termine della vitadell’assistito, riconoscendo l’importanza della palliazione e del conforto ambientale, fisico, psi-cologico, relazionale, spirituale.

Articolo 36L’infermiere tutela la volontà dell’assistito di porre dei limiti agli interventi che non siano pro-porzionati alla sua condizione clinica e coerenti con la concezione da lui espressa della qualitàdi vita.

Articolo 37L’infermiere, quando l’assistito non è in grado di manifestare la propria volontà, tiene conto diquanto da lui chiaramente espresso in precedenza e documentato.

Articolo 38 L’infermiere non attua e non partecipa a interventi finalizzati a provocare la morte, anche se larichiesta proviene dall’assistito.

Articolo 39 L’infermiere sostiene i familiari e le persone di riferimento dell’assistito, in particolare nella evo-luzione terminale della malattia e nel momento della perdita e della elaborazione del lutto.

Articolo 40L’infermiere favorisce l’informazione e l’educazione sulla donazione di sangue, tessuti ed organiquale atto di solidarietà e sostiene le persone coinvolte nel donare e nel ricevere.

Capo V

Articolo 41L’infermiere collabora con i colleghi e gli altri operatori di cui riconosce e valorizza lo specificoapporto all’interno dell’équipe.

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Articolo 42

L’infermiere tutela la dignità propria e dei colleghi, attraverso comportamenti ispirati al rispettoe alla solidarietà.

Articolo 43

L’infermiere segnala al proprio Collegio professionale ogni abuso o comportamento dei colleghicontrario alla deontologia.

Articolo 44

L’infermiere tutela il decoro personale ed il proprio nome. Salvaguarda il prestigio della profes-sione ed esercita con onestà l’attività professionale.

Articolo 45

L’infermiere agisce con lealtà nei confronti dei colleghi e degli altri operatori.

Articolo 46

L’infermiere si ispira a trasparenza e veridicità nei messaggi pubblicitari, nel rispetto delle indi-cazioni del Collegio professionale.

Capo VI

Articolo 47

L’infermiere, ai diversi livelli di responsabilità, contribuisce ad orientare le politiche e lo sviluppodel sistema sanitario, al fine di garantire il rispetto dei diritti degli assistiti, l’utilizzo equo ed ap-propriato delle risorse e la valorizzazione del ruolo professionale.

Articolo 48

L’infermiere, ai diversi livelli di responsabilità, di fronte a carenze o disservizi provvede a darne co-municazione ai responsabili professionali della struttura in cui opera o a cui afferisce il proprio as-sistito.

Articolo 49

L’infermiere, nell’interesse primario degli assistiti, compensa le carenze e i disservizi che possonoeccezionalmente verificarsi nella struttura in cui opera. Rifiuta la compensazione, documentan-done le ragioni, quando sia abituale o ricorrente o comunque pregiudichi sistematicamente il suomandato professionale.

Articolo 50

L’infermiere, a tutela della salute della persona, segnala al proprio Collegio professionale le si-tuazioni che possono configurare l’esercizio abusivo della professione infermieristica.

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Articolo 51L’infermiere segnala al proprio Collegio professionale le situazioni in cui sussistono circostanzeo persistono condizioni che limitano la qualità delle cure e dell’assistenza o il decoro dell’eser-cizio professionale.

Disposizioni finali

Le norme deontologiche contenute nel presente Codice sono vincolanti; la loro inosservanza èsanzionata dal Collegio professionale.

I Collegi professionali si rendono garanti della qualificazione dei professionisti e della compe-tenza da loro acquisita e sviluppata.

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INDICE ANALITICO

AAbbandono di minori e incapaci, 105, 155– reato di, 141Aborto volontario e segreto professionale,137

Accanimento terapeutico, 299, 300Accertamento sanitario obbligatorio (ASO),194, 195

Addetto ai servizi sociali e tutelari (ADEST),52

Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, 31

Agopuntura, 124– come “atto medico”, 125AIDS e segreto professionale, 137Aiuto, funzione di, 240, 242Albo professionale, 111– iscrizione all’, 23, 114– obbligo di iscrizione all’, 376-380Allievo infermiere, responsabilità civile per fatto dell’, 273

Arte ausiliaria della professione sanitaria, 7, 9, 66

Assistente– di base (ADB), 52 – domiciliare anziani (ADA), 52– funzione di, 240, 242– in oftalmologia, profilo professionale dell’,254

– sanitario, 2, 5, 8, 9, 15, 22, 27– – profilo professionale dell’, 10Assistenza– domiciliare integrata, 233, 234– omissione di, 141Atto medico delegato, 27Atto pubblico, 342– nozione di, 326Attribuzione di compiti, 59Ausiliario– socio-assistenziale (ASA), 52

– socio-sanitario, 49, 50 – – specializzato 9– – – addetto ai servizi socio-sanitari, 98, 99

Autodimissione del paziente psichiatrico, 197

BBanche dati sanitari, 366

CCapo dei servizi sanitari ausiliari, 44Caposala, 27, 36, 37, 44, 49Caregivers, ruolo dei, 119Cartella clinica, 328-330– alterazioni della, 331– compilazione della, 330– compiti infermieristici, 330-334– conservazione della, 333– privacy, 333– rilascio della, 333– segreto, 332Cartella infermieristica, 336-338Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza,prestazioni della, 322

Censura, 276Centrale operativa, infermiere in, 171Clausola di coscienza, 296, 297Codice– dell’amministrazione digitale, 326– della privacy, 358– deontologico dell’infermiera volontariadella Croce Rossa, 74

– deontologico dell’infermiere (2009), 25, 291, 381-388

– – commentario, 294– di comportamento, violazione del, 283Collegi IPASVI, 87, 373– tipologia di sanzioni disciplinari dei, 375Collocamento in disponibilità, 289Colpa, 91

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Comitato Nazionale di Bioetica, 314Consenso informato, 300, 305-320– forma del, 310– mancanza di, 317– nell’emergenza, 308– nella routine, 307– per il minore, 309– presunto o presumibile, 308– ruolo dell’infermiere, 318Contenzione fisica– del paziente psichiatrico, 198– in geriatria, 203Contratto collettivo nazionale del lavoro, 39, 82, 84

Coordinatore infermieristico, 35, 37, 38, 40, 346Corpi estranei dimenticati o smarriti nell’organismo del paziente, 165

Corsi di laurea, ordinamenti didattici dei, 4Cure domiciliari, 230– integrate, 231– prestazionali, 231

DDanno– biologico, 268, 269– esistenziale, 268, 269-270– morale, 268– patrimoniale, 269– risarcimento del, 268– valutazione del, 268Dati personali– modalità di raccolta dei, 359– trattamento dei, consenso al, 361– – nelle strutture sanitarie, 363Defibrillatori semiautomatici, 26, 27Defibrillazione, 186-189Detenzione di farmaci guasti, 127Dietista, 4– profilo professionale del, 264Dimenticanza di corpi estranei nell’organismo del paziente, 165

Dipendenti delle pubbliche amministrazioni,codice di comportamento, 283

Diploma– di laurea (DL), 2, 3– di specializzazione (DS), 2, 3– universitario (DU), 2, 3, 21Dirigente– dell’assistenza infermieristica (DAI), 2, 43

– e docente dell’assistenza infermieristica(DDSI), 2, ,43

– infermieristico, 25, 43Diritti in ambiente sanitario, rispetto dei, 364Diritto– civile, 267– penale, 267– privato, 267– pubblico, 267Divisione ospedaliera, 239Documentazione sanitaria, 327-328Documento elettronico, definizione di, 326Dolo, 91Donazione di rene tra viventi, consensoinformato nella, 313

Dottorato di ricerca (DR), 2, 3Dottore– di ricerca, 4– magistrale, 4, 47– titolo di, 4

EECM. Vedi Educazione Continua in MedicinaEducatore professionale, 4 – profilo professionale dell’, 257Educazione Continua in Medicina (ECM), 29– obiettivi nazionali dell’, 31, 32,Elettrobisturi, non corretto posizionamentodella piastra, 163

Elettroshock, consenso informato all’, 313Emergenza sanitaria, ruolo dell’infermierenell’, 171-175

Emocomponenti– consenso informato alla trasfusione di, 311– somministrazione di, 216Emoderivati, consenso informato alla trasfu-sione di, 311

Emotrasfusione, 217– consenso del paziente, 219– rifiuto del paziente, 221Esercente un servizio di pubblica necessità,94, 96

Esercizio abusivo– della professione infermieristica, 109-125,118

– – educatori professionali, 117– – fisioterapisti, 117– – operatori tecnici addetti all’assistenza,117

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– della professione medica, 111, 113, 116, 123

– e terapie non convenzionali, 124Eutanasia, 299, 301, 316

FFalso nella compilazione della cartella clinica– ideologico, 331– materiale, 331Farmaci– analgesico-oppiacei, somministrazione di,212

– autosomministrazione da parte del pa-ziente, 213

– campioni, detenzione di, 133– competenza per la somministrazione dei,205

– difettosi, detenzione di, 134– guasti o imperfetti– – detenzione di, 127– – somministrazione di, 125–133– prescrizione condizionata, 208– prescrizione condizionata ai sintomi, 208– prescrizione orale, 209– responsabilità per la somministrazione dei,205

– sperimentazione clinica di, 314– somministrazione dei, formula delle 5 G, 206Farmacia, esercizio professionale in, 234-238Farmacisti (speziali), 7, 9Fascicolo sanitario elettronico (FSE), 348-356– consenso al trattamento dei dati, 351-352– finalità e contenuti, 348– valore legale del, 355Fatti illeciti civili, 267Federazione Nazionale dei Collegi, 376– codice deontologico della, 294, 296Ferrista, 161Figure sanitarie e sociali di supporto, 48Firma digitale, 356– definizione di, 327Firma elettronica– avanzata, 356– definizione di, 326Fisioterapista, 4 – esercizio abusivo, 123– profilo professionale del, 117, 252Formazione infermieristica, 1-6– indicazioni europee, 5– insegnamento clinico e teorico, 6

Funzione– di coordinamento, 35-43, 38, 41– dirigenziale, 43-46

GGaranzia, obbligo di, 106Garze– conta delle, 166, 168– ritenzione di, nel sito chirurgico, 166

IIgienista dentale, 4 – profilo professionale dell’, 263Imperizia, 91Imprudenza, 79Incaricato di pubblico servizio, 94, 95, 96, 98,99, 100, 138, 148, 342

Infermiera volontaria della Croce Rossa, 70-76, 114, 122

– codice deontologico dell’, 7–76– formazione dell’, 72– profilo dell’, 72-74Infermiere/i– coordinatore, 20, 40, 41– – posizioni organizzative dell’, 43– di sala operatoria, 161, 165– – compiti, 162-165– – responsabilità, 162– dirigente, 20, 46– formazione universitaria dell’, 2– generico, 1, 15, 47, 63, 66-69, 70, 71, 98– – abuso di professione, 115– – evoluzione, 67– insegnante dirigente (IDD), 2, 43– libero professionista, 321-324– – mancata iscrizione al collegio professionale, 271

– nei mezzi di soccorso, 174– nell’assistenza domiciliare, 230-234– pediatrico, 4,9, 12, 21, 26, 70– – profilo professionale dell’, 11,12, 13– professionale, 8– profilo professionale dell’, 9, 12, 13, 16, 25,119, 122

– psichiatrico, 47, 69,190-202– – evoluzione storica, 190-191– specializzato in anestesia e rianimazione, 15– strumentista, 161, 165-171– “triagista”, 177

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Infezioni, responsabilità per insorgenza di,223

Informazione, caratteri dell’, 306Infrazioni– di maggiore gravità, 282– di minore gravità, 281Inquadramento contrattuale della professioneinfermieristica, 77-85

Interruzione di pubblico servizio, 157Interruzione volontaria di gravidanza e segreto professionale, 137

Intervento chirurgico senza consenso, 317

LLaurea, 3, 4– magistrale (LM) (specialistica), 3, 4, 5, 17,22, 45

Lesioni personali, 109, 151, 152– volontarie, 318Levatrice, 7. Vedi anche Ostetrica/oLicenziamento– con preavviso, 279– disciplinare, 288– senza preavviso, 279Livelli essenziali di assistenza, 230Logopedista, 4 – profilo professionale del, 253

MMansionario, 13-15, 25, 27, 36, 49, 62, 63, 66,67, 68– abrogazione del, 16

Massofisioterapista, 63 Master, 19, 22, 38, 39, 40– universitari di primo livello, 4– universitari di secondo livello, 4Medicine non convenzionali, 124Medico, esercizio abusivo del, 123Minori, consenso e informazione ai, 299

NNegligenza, 91Nesso di causalità tra condotta ed evento, 102Nomenclatore tariffario nazionale per l’infermiere libero professionista, 324

Norme di comportamento IPASVI per il liberoprofessionista, 323

Nutrizione parenterale, responsabilità per lasomministrazione, 213-216

O

Obblighi del dipendente, 275-276Obbligo di referto, 146Obiezione di coscienza, 296, 297Oltraggio a pubblico ufficiale, 100Omicidio– colposo, 109, 151 – preterintenzionale, 151– volontario, 151Omissione– di referto, 109, 146– di soccorso, 109, 139-142Operatore – addetto all’assistenza (OAA), 52– socio-assistenziale (OSA), 52 – socio-sanitario (OSS), 47, 52, 52-55, 56, 99– – attività previste per l’, 52-54– – con formazione complementare, 63, 67,

71, 72, 74– – con formazione in assistenza sanitaria, 60– – inquadramento contrattuale, 56– – “specializzato”, 64, 71– tecnico addetto all’assistenza (OTA), 50, 51,52, 57, 58, 66, 98

Ordinamenti didattici dei corsi di laurea, 4Ordini professionali, 33, 371– istituzione di, 110Ortottista-assistente di oftalmologia, 4 – profilo professionale dell’, 254Ospedale senza dolore, 212, 213Ospedale-territorio senza dolore, 213Ostetrica/o, 4, 95– profilo professionale dell’, 249

PPazienti psichiatrici e comportamenti autolesivi, 191

Pena, 93 Plasmaderivati, somministrazione di, 216POCT (point of care testing), 120, 121, 122Podologo, 4– profilo professionale del, 251Posizione di garanzia, 102, 104, 105, 106Prestazioni extraospedaliere, consenso per le, 362

Preterintenzione, 91Primario, 36, 239, 242, 245Privacy, 319– codice della, 358– garante della, 361

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– in ambito sanitario, 362– legge sulla, 357– sicurezza di dati e sistemi, 360-361Privatizzazione del pubblico impiego, 79Procedimento disciplinare, 275– forma delle comunicazioni del, 281– omissione di, 289– per infrazioni di maggiore gravità, 282– per infrazioni di minore gravità, 281Procedimento penale e procedimento disciplinare, rapporti tra, 287

Procreazione medicalmente assistita, consenso informato nella, 314

Professione infermieristica– esercizio abusivo della, 114-119– nomenclatore tariffario nazionale per la, 324Professione medica– esercizio abusivo della, 111-114– inquadramento, 239-247Professioni– della salute, condizioni per l’esercizio delle,111

– riabilitative, 251– sanitarie, 16– – ausiliarie, 7– – classificazione delle, 250– – riforma delle, 8, – tecniche della prevenzione, 265– tecnico-sanitarie, 258Professionisti– con funzioni specialistiche, 19, 20– coordinatori con master di primo livello, 19Profilo professionale dell’infermiere, 9, 12,13, 16, 25, 119, 122

Pronta disponibilità o reperibilità, 143Pubblicità sanitaria, 323Pubblico servizio, interruzione di, 157Pubblico ufficiale, 94, 95, 96, 97, 100, 148– e incaricato di pubblico servizio, differenze,101, 102

– oltraggio a, 100Puericultrice, 47, 63, 70

RReato, 88-93– circostanze del, 92– elemento oggettivo del, 89– elemento soggettivo del, 90Recupero del sangue intra- e postoperatorio,164

Referto– obbligo di, 149– omissione di, 146-151Registro degli stupefacenti, 338-347– carico e scarico degli stupefacenti, 118– controlli sul, 343– norme di carico e scarico, 339– prescrizioni d’uso, 341– reati sul, 344– tenuta del, 338Registro operatorio, 334-336Responsabilità– civile, 267-274– – per fatto dello studente infermiere, 222,273-274

– del professionista, limiti, 270– di équipe, 163– disciplinare, 275-290– extracontrattuale, 267– omissiva, 103– professionale– – civile, 87– – disciplinare, 87– – penale, 8Rifiuto– delle cure, 315– di atti d’ufficio, 109, 142-145

Riforma– Brunetta, 85– – sistemi disciplinari dopo la, 280– ospedaliera (1968), 239-241– sanitaria (1978), 241-244Rimprovero– scritto, 276– verbale, 276Rivelazione– del segreto d’ufficio, 109– del segreto professionale, 109

S

Sala operatoria, metodologie organizzativedel lavoro di, 165

Sangue– consenso informato alla trasfusione di, 311– somministrazione di, 216Sanzioni disciplinari, 276-289Scheda di dimissione ospedaliera (SDO), 335Scienze infermieristiche, 3Scrittura privata, definizione di, 326

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Scuola per dirigenti dell’assistenza infermieristica, 43

Scuole– infermieristiche, 1– per infermieri professionali, 1See and Treat, 114, 183-186Segreto– d’ufficio, rivelazione del, 138-139– professionale, 298– – rivelazione di, 134-138– – – cause di non punibilità, 136– – – consenso dell’assistito, 136– – – non punibilità della, 136– – – obbligo giuridico e deontologico, 137Sequestro di persona, 109, 154Servizi di tossicodipendenza (SERT)– diritto all’anonimato, 229– ruolo dell’infermiere, 225, 226 Servizio di emergenza, organizzazione del,174

Servizio Sanitario Nazionale, responsabilitàdel dipendente, 271

Sistema– di accettazione e di emergenza sanitaria,172

– di allarme sanitario, 172Smarrimento di corpi estranei nell’organismodel paziente, 165

Soccorso– insufficiente prestazione di, 140– mancata prestazione di, 140– ritardata prestazione, 140Somministrazione e detenzione di medicinaliguasti, 109

Sospensione dal servizio– da 11 a 6 mesi, 278– fino a 10 giorni, 277Stato di necessità, 115Strumentario, controllo dell’integrità dello,166

TTecnico– audiometrista, profilo professionale del, 259– audioprotesista, 4 – – profilo professionale, 262– della fisiopatologia cardiocircolatoria e per-fusione cardiovascolare, 4

– – profilo professionale, 263

– della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro, 4

– – profilo professionale, 265– della riabilitazione psichiatrica, 4 – – profilo professionale, 25– di laboratorio, attività del, 121– di neurofisiopatologia, 5 – – profilo professionale, 260– ortopedico, 4 – – profilo professionale, 261– sanitario di laboratorio biomedico, 4 – – profilo professionale, 259– sanitario di radiologia medica, 5, 26Terapia elettroconvulsivante, consenso informato alla, 312

Terapie non convenzionali, esercizio abusivo di, 123-125

Terapista– della neuro- e psicomotricità dell’età evolutiva, 4

– occupazionale, 4 – – profilo professionale del, 256Titoli, equipollenza dei, 20Tossicodipendenza e segreto professionale,137

Tracheobroncoaspirazione, 119– ruolo dei caregivers, 119-123Trapianti e segreto professionale, 137Trapianto parziale di fegato, consenso informato nel, 313

Trasfusione di sangue, consenso informatoalla, 311

Trattamento sanitario obbligatorio (TSO),193-196

– extraospedaliero, 194Triage, 25– di pronto soccorso ospedaliero, 175-186– e consenso informato, 178– e diritto alla riservatezza, 178– linee guida, 18-182– obblighi di registrazione, 179

VVigilatrice d’infanzia, 2, 8, 15, 13, 21, 70Violenza– privata, 109, 155, 318– sessuale, 100, 109, 158– – e segreto professionale, 137

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