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1 L'AVVENIRE DEI LAVORATORI www.avvenirelavoratori.eu La più antica testata della sinistra italiana, Organo della F.S.I.S., organizzazione socialista italiana all'estero fondata nel 1894 Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo Direttore: Andrea Ermano e-Settimanale - inviato oggi a 44203 utenti - Zurigo, 5 marzo 2015 Per disdire / unsubscribe / e-mail > [email protected] Per iscrivervi inviateci p.f. il testo: "includimi" a: ADL Edizioni In caso di trasmissioni doppie inviateci p.f. il testo: "doppio" a: ADL Edizioni IPSE DIXIT Sotto qualsiasi forma - «È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista.». Costituzione della Repubblica italiana Qualche giorno fa ignoti hanno oltraggiato la Cascina Raticosa, luogo simbolo della Resistenza umbra, rimuovendo una targa commemorativa e disegnando una svastica. L'ex partigiano novantenne Enrico Angelini (foto) è salito alla Cascina e ha rimosso l'oltraggio armato di spazzola e sverniciatore. Conformemente alla Legge 675/1996 tutti i recapiti dell'ADL Newsletter sono utilizzati in copia nascosta. Ai sensi del Codice sulla privacy (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 13) rendiamo noto che gli indirizzi della nostra mailing list provengono da richieste d'iscrizione, da fonti di pubblico dominio o da E-mail ricevute. La nostra attività d'informazione politica, economica e culturale è svolta senza scopi di lucro e non necessita di "consenso preventivo" rivestendo un evidente carattere pubblico come pure un legittimo interesse associativo (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 24). L'AVVENIRE DEI LAVORATORI contribuisce da oltre 115 anni a tenere vivo l'uso della nostra lingua presso le comunità italiane nel mondo tra quelle persone che si sentono partecipi degli ideali socialisti-democratici di Giustizia e Libertà. LAVORO E DIRITTI a cura di www.rassegna.it

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La Newsletter settimanale del 5 marzo 2015

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L'AVVENIRE DEI LAVORATORI www.avvenirelavoratori.eu La più antica testata della sinistra italiana,

Organo della F.S.I.S., organizzazione socialista italiana all'estero fondata nel 1894 Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo Direttore: Andrea Ermano

e-Settimanale - inviato oggi a 44203 utenti - Zurigo, 5 marzo 2015

Per disdire / unsubscribe / e-mail > [email protected] Per iscrivervi inviateci p.f. il testo: "includimi" a: ADL Edizioni In caso di trasmissioni doppie inviateci p.f. il testo: "doppio" a: ADL Edizioni

IPSE DIXIT

Sotto qualsiasi forma - «È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi

forma, del disciolto partito fascista.». – Costituzione della

Repubblica italiana

Qualche giorno fa ignoti hanno oltraggiato la Cascina

Raticosa, luogo simbolo della Resistenza umbra, rimuovendo

una targa commemorativa e disegnando una svastica. L'ex

partigiano novantenne Enrico Angelini (foto) è salito alla

Cascina e ha rimosso l'oltraggio armato di spazzola e

sverniciatore.

Conformemente alla Legge 675/1996 tutti i recapiti dell'ADL Newsletter sono utilizzati in copia nascosta. Ai sensi del Codice sulla privacy (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 13) rendiamo noto che gli indirizzi della nostra mailing list provengono da richieste d'iscrizione, da fonti di pubblico dominio o da E-mail ricevute. La nostra attività d'informazione politica, economica e culturale è svolta senza scopi di lucro e non necessita di "consenso preventivo" rivestendo un evidente carattere pubblico come pure un legittimo interesse associativo (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 24). L'AVVENIRE DEI LAVORATORI contribuisce da oltre 115 anni a tenere vivo l'uso della nostra lingua presso le comunità italiane nel mondo tra quelle persone che si sentono partecipi degli ideali socialisti-democratici di Giustizia e Libertà.

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it

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Oltre l'Otto Marzo

Guardare il mondo con gli occhi delle donne. Nella classifica

mondiale della parità di genere restiamo tra i paesi con minore

partecipazione delle donne nel mercato del lavoro e tra quelli con le

maggiori disparità salariali.

di Susanna Camusso

Chi ha paura delle donne? È arrivato il momento di rompere il tabù che

imperversa nel nostro paese, dove la questione delle pari opportunità e

del superamento delle diseguaglianze tra uomini e donne è ampiamente

occultata. Il governo italiano si è perfino dimenticato di aver ratificato

la Convenzione di Istanbul, che dal 1° agosto 2014 rendeva

obbligatoria l'applicazione dei principi e delle normative contenuti in

quel testo, definito storico, che al primo articolo recita '...contribuire ad

eliminare ogni forma di discriminazione contro le donne e promuovere

la concreta parita tra i sessi...'. Ma il silenzio che è seguito dimostra

che il tema non rientra nell'agenda politica italiana.

Susanna Camusso

Eppure occupazione e redditi delle donne sono da tempo i principali

problemi, seguiti, ma non per ordine di importanza, dalle troppe

diseguaglianze acuite da questa lunga crisi. E, nonostante leggi

nazionali e internazionali prevedano parità di trattamento e di

retribuzione, nella classifica mondiale della parità tra uomini e donne

restiamo tra i paesi con minore partecipazione delle donne nel mercato

del lavoro e tra quelli con le maggiori disparità salariali. Con l'effetto

di un maggior divario pensionistico a sfavore delle donne, a cui non

viene garantito il diritto all'autonomia economica a conclusione della

loro vita lavorativa.

Quello dell'Italia è una grave ritardo, non esclusivamente di ordine

culturale, che penalizza il genere femminile e l'intera economia. Lo

confermano studi, ricerche e statistiche nazionali e internazionali, il più

recente dei quali è l'ultimo studio del Fmi, che quantifica i danni del

sessismo nel mondo in 9.000 miliardi di dollari all’anno, a causa di

restrizioni legali e della parità di genere ancora lontana da raggiungere.

Una discriminazione contro il genere femminile che all'Italia fa perdere

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più del 15% della ricchezza potenziale.

Dagli Stati Uniti è partita in questi giorni una vera e propria

offensiva perché la partecipazione paritaria delle donne al mercato del

lavoro, oltre che una battaglia di equità e democrazia, diventi

prioritaria per la crescita. Il “tam tam” dell’equal pay lanciato da

Barack Obama mobilita attori, politici, gente comune. Sul fronte

europeo, negli ultimi anni, Francia, Belgio, Austria e Portogallo si

stanno muovendo verso la parità retributiva con l'approvazione di

apposite leggi che spaziano dal rafforzamento dei controlli all’obbligo

periodico di presentazione di analisi comparative tali da monitorare

quella che in azienda è la struttura salariale.

La situazione italiana è una delle più contraddittorie: il formidabile

avanzamento delle donne in politica – il governo è composto al 50% da

donne, che nel Parlamento sono il 30% – è speculare all'aumento delle

disuguaglianze economiche e sociali, al peggioramento sul piano

occupazionale e retributivo, che penalizza la vita materiale delle donne

che lavorano. E di quelle che non lavorano più: le pensionate, spesso

costrette dalla crisi, dallo svuotamento del welfare e dalla precarietà

dei figli a svolgere il ruolo improprio di ammortizzatore sociale.

La politica finge di non sapere che la mancanza di servizi è un freno

all’occupazione femminile e allo sviluppo. Le donne sono penalizzate

anche dalla maternità, come se non avesse un valore sociale. Soltanto

43 su 100 mantengono il lavoro dopo la nascita di un figlio, che

insieme al lavoro di cura troppo spesso favorisce la loro uscita dal

mercato del lavoro. Le aziende devono sapere che la diversità è una

risorsa, bisogna solamente essere capaci di gestirla.

Con i decreti attuativi, il Jobs Act è entrato nel vivo. Presentato

come una misura a favore dei giovani e delle donne, è in realtà privo di

un'analisi di genere e iniquo sul piano della parità e dell'equità. È il

mantenimento delle differenze e non la lotta alla precarietà. I

provvedimenti del governo hanno complessivamente saccheggiato il

diritto del lavoro e per questo la Cgil presenterà una proposta di legge

per un nuovo Statuto dei lavoratori, per estendere tutele e diritti a tutti i

lavoratori e lavoratrici, indipendentemente dalla tipologia contrattuale.

Il 9 marzo a New York si apre la 59a sessione della Commissione

sullo stato delle donne delle Nazioni Unite, che valuterà i progressi

compiuti dalla Conferenza mondiale di Pechino nel 1995, in cui si

stabilì la necessità di una verifica ogni cinque anni rispetto

all'attuazione del Programma d'azione fondato sue tre pilastri: genere e

differenza, empowerment, mainstreaming. Ovvero: guardare il mondo

con gli occhi delle donne.

La Conferenza di Pechino ha rappresentato una pietra miliare nel

riconoscimento dei diritti umani delle donne. Venti anni dopo,

attraverso i rapporti quinquennali dei governi, si esamineranno i

traguardi raggiunti rispetto agli obiettivi strategici delle 12 aree critiche

individuate dalla Piattaforma di Pechino. Da allora in tutto il mondo

sono state implementate nuove leggi, prodotte ampie documentazioni

statistiche su discriminazioni e disuguaglianze, sono proliferate reti e

associazioni di donne finalizzate al raggiungimento della parità di

genere. Ma nessun paese ha ancora portato a termine gli impegni

assunti e le condizioni di vita materiale di due terzi delle donne nel

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mondo non sono cambiate: guadagnano meno degli uomini e la loro

occupazione è meno qualificata.

L'appuntamento di New York dovrebbe essere dunque l'occasione

per rinnovare la volonta politica e l’impegno di tutti i governi verso un

cambiamento, che tarda troppo ad arrivare. Ci sono voluti secoli prima

che i diritti delle donne fossero riconosciuti, almeno teoricamente,

come diritti umani universali. Il problema non si risolve lasciando

totale libertà al mercato, è necessaria la volontà politica e una

sensibilità di genere di tutte le parti sociali.

Per dare significato alla giornata dell'8 Marzo dobbiamo proseguire

la nostra mobilitazione perché il governo metta in campo misure e

investimenti che affrontino seriamente un problema non delle donne,

ma di democrazia e di pesanti vincoli allo sviluppo di tutto il paese.

Che vanno oltre l'8 Marzo, perché per dirla con le parole di Amartya

Sen: “Il sessismo ci impoverisce tutti”.

Un disegno di accentramento autoritario?

In difesa della

democrazia costituzionale

di Felice C. Besostri

In maggio si vota per il rinnovo di consigli regionali. Con metodo

collaudato, le modifiche alla legge europea nell'imminenza delle

elezioni del 2009 con la l.n. 10/2009, si modificano le leggi elettorale

regionali in senso maggioritario con premi di maggioranza

spropositati, in Umbria siamo arrivati al 65%.

Se non si reagisce il Senato prossimo venturo sarà ancora peggio di

quanto possiamo immaginare e/o temere. Tuttavia il pericolo maggiore

è politico.

Una caratteristica comune sono soglie di accesso differenziate,

minori per le forze in coalizione, elevate per le liste singole. Le liste

minori coalizzate beneficiano inoltre del premio di maggioranza:

un'attrazione fatale e gli effetti si sono visti nelle elezioni emiliano-

romagnole e calabresi.

Il desiderio di essere eletti, con la giustificazione della

sopravvivenza della propria formazione, genera una spinta di

"corruzione politica" da parte del PD.

C'è un nesso preciso tra abbassamento delle soglie di accesso delle

forze coalizzate ed aumento del premio di maggioranza. Devi poter

premiare le forze vassalle, ma nel contempo non dipendere da loro. La

maggioranza assoluta deve spettare al partito guida della coalizione.

Può sembrare paradossale ma il sistema politico più somigliante è

quello delle ormai defunte democrazie popolari nell'Est europeo. Un

partito egemone e una pletora di partitini satelliti senza potere reale.

Accanto alle regioni l'altro punto di forza del PD è il governo locale,

sia dove vi è elezione diretta del Sindaco collegato a un premio di

maggioranza del 60%, sia nelle Province e Città metropolitane con

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elezioni di secondo grado.

Come si è puntualmente verificato tra settembre e ottobre del 2014

quelle elezioni sono state sottovalutate, mentre erano un notevole

esperimento di soppressione della democrazia rappresentativa.

Qual formidabile passo in avanti sapere chi governerà gia la sera…

prima delle elezioni!

Nel sistema ci sono state falle come i sindaci arancioni, ma a

distanza di pochi anni non sembrano modelli di successo, anche a

causa della riduzione dell'autonomia comunale e dei tagli agli enti

locali.

In conclusione, la difesa della democrazia costituzionale non può

limitarsi al contrasto alla revisione costituzionale e all'Italikum, se chi

si oppone a livello nazionale non sarà capace di presentarsi in maniera

coordinata per un progetto alternativo.

* * *

Assemblea pubblica promossa dal

COORDINAMENTO

PER LA DEMOCRAZIA COSTITUZIONALE

Un disegno di accentramento autoritario?

Modifiche della Costituzione e legge elettorale:

Difendere la Costituzione nata dalla Resistenza per impedire

lo stravolgimento dei suoi valori fondamentali

ROMA LUNEDI 9 MARZO

Aula dei gruppi parlamentari della Camera in via di Campo Marzio

dalle ore 15 alle ore 18.30

MOSTRO ITALICUM - 3/3 Puntate 1/3 e 2/3 apparse sull’ADL

del 12 e del 19 febbraio 2015

NON E’ MITE

Sulla legge elettorale partorita dal patto del Nazareno molti si

affannano a spiegare che si tratta di un mostro legislativo meno

mostruoso della sua versione primitiva. Per noi una cosa è certa: che

questo mostro non è mite.

di Luciano Belli Paci

Le preferenze come ludi cartacei. - L’altro motivo di incostituzionalita

del Porcellum statuito dalla sentenza n° 1/2014 riguarda le liste

bloccate che, sottraendo all’elettore la facolta di scegliere l’eletto,

violano i precetti costituzionali sul voto “libero, personale, diretto”

(artt. 48, 56, 58 Cost.).

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Nella legge Calderoli, osserva la Corte, “tale libertà risulta

compromessa, posto che il cittadino è chiamato a determinare

l’elezione di tutti i deputati e di tutti senatori, votando un elenco

spesso assai lungo (nelle circoscrizioni più popolose) di candidati, che

difficilmente conosce. Questi, invero, sono individuati sulla base di

scelte operate dai partiti, che si riflettono nell’ordine di presentazione,

sì che anche l’aspettativa relativa all’elezione in riferimento allo

stesso ordine di lista può essere delusa, tenuto conto della possibilità

di candidature multiple e della facoltà dell’eletto di optare per altre

circoscrizioni sulla base delle indicazioni del partito”.

L’Italicum tenta di aggirare l’indicazione della Corte, lasciando

“bloccati” solo i capilista delle nuove 100 circoscrizioni e consentendo

invece all’elettore di esprimere il voto di preferenza per gli altri

candidati.

Oltre al danno, la beffa.

Infatti, salvo casi del tutto eccezionali, il sistema funziona in modo

tale per cui tutte le liste diverse da quella che si vedrà attribuito il

premio di maggioranza – il che significa liste che potrebbero avere

raccolto complessivamente fino al 60 % del voto popolare, e anche

oltre se si è andati al ballottaggio – non avranno altri eletti all’infuori

dei capilista. In altre parole, per la maggior parte degli elettori, tutti i

deputati eletti con il loro voto saranno quelli individuati sulla base di

scelte operate dai partiti; e neppure potranno dire di avere scelto il

capolista, essendo rimasta inalterata la possibilità di candidature

multiple e della facoltà dell’eletto di optare per altre circoscrizioni

sulla base delle indicazioni del partito.

Anche in questo caso la situazione, rispetto al Porcellum, è per certi

versi addirittura peggiorata perché il meccanismo è ingannevole:

milioni di elettori, la maggioranza, saranno chiamati ad esprimere un

voto di preferenza del tutto virtuale, privo a priori di ogni possibilità di

tradursi in autentica scelta dell’eletto. Così la consultazione elettorale

viene degradata a recita, si sprofonda nei “ludi cartacei” di

mussoliniana memoria.

Le istituzioni di garanzia col trucco contabile. Il presidenzialismo

come male minore. - Gli inventori dell’Italicum, per ripararsi dalle

critiche di chi paventa che dal rischio della classica “dittatura della

maggioranza” si scivoli addirittura verso quello della “dittatura della

minoranza”, hanno proposto la riforma dell’art. 83 Cost., prevedendo

che per l’elezione del Presidente della Repubblica, dopo i primi tre

scrutini nei quali è richiesto il quorum dei 2/3, occorra una

maggioranza qualificata dei 3/5 (oggi basta la maggioranza assoluta

dei grandi elettori). Apparentemente questo dovrebbe impedire alla

lista che ottiene il premio di eleggersi da sola anche il Presidente della

Repubblica, mantenendo in tal modo a quest’ultimo il ruolo di organo

di garanzia.

Peccato che ci sia una sorta di trucco contabile che rende ben poco

rassicurante la riforma.

Infatti, il quorum dei 3/5 (equivalente al 60 %) non si calcola solo

sulla Camera, dove la lista vincitrice ha già il 55 %, bensì sul collegio

dei grandi elettori che comprende anche il Senato.

E qui si capisce l’utilità della curiosa riforma del Senato. La

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seconda camera, privata ormai del potere di dare la fiducia al Governo

e relegata al ruolo di comparsa anche nel processo legislativo, avrebbe

potuto essere abolita del tutto per evitare un nuovo organismo senza

sostanza, tipo Cnel. Oppure, se proprio la si voleva mantenere, avrebbe

potuto essere eletta in modo proporzionale per fungere da “specchio

del Paese”, con competenza sulle questioni più delicate, come le leggi

costituzionali, le leggi elettorali e, appunto, l’elezione degli organi di

garanzia.

Invece il Senato riformato, grazie all’elezione di secondo grado da

parte dei Consigli Regionali - che a loro volta sono frutto di elezioni a

turno unico che assegnano alla coalizione del presidente (con la

semplice maggioranza relativa) un premio abnorme - avrà una

conformazione iper-maggioritaria. In tal modo vi sono elevate

probabilità che quel 5 % mancante perché la lista che domina la

Camera arrivi al 60 % complessivo possa essere garantito proprio

dall’apporto dei senatori, tra i quali la medesima “maggioranza” potra

essere ulteriormente sovra-rappresentata.

A ciò si aggiunge il fatto che nell’ultima versione dell’Italicum il

premio non va più alla coalizione bensì alla singola lista; il che rende

possibile che chi vince (specie se vincesse solo al ballottaggio, avendo

perciò ottenuto al primo turno meno del 40 %) abbia in parlamento

altre liste alleate che portino in dote quel 5 % mancante per fare

cappotto.

Questa elevata probabilita che l’effetto della combinazione tra

Italicum e riforma del Senato porti ad un sistema in cui con una sola

votazione, di fatto, si prende tutto – parlamento, governo, presidente

della repubblica e, a cascata, maggioranza della corte costituzionale,

ecc. – dovrebbe indurre a riflettere attentamente sull’opportunita di

preferire, al confronto, un sistema di elezione diretta del Capo dello

Stato.

I critici del presidenzialismo (tra i quali si colloca chi scrive) si sono

sempre opposti all’elezione diretta temendo che da essa, in una

democrazia fragile come quella italiana ed in presenza di già eccessivi

fenomeni di personalizzazione, potessero scaturire degenerazioni

plebiscitarie.

Oggi però si rischia qualcosa di molto peggio: un presidenzialismo

di fatto, ma senza neppure il bagno democratico dell’investitura

popolare e senza alcun sistema di checks and balances.

Insomma, rispetto al quadro che emergerebbe dalle riforme del

Nazareno, il presidenzialismo o meglio ancora il semi-

presidenzialismo sarebbe di gran lunga il male minore.

Un sano esercizio: immaginare la vittoria degli altri. - Il dibattito

sulle riforme in commento si sta svolgendo in un contesto di scarsa

attenzione, se non di anestesia delle coscienze.

La ragione di questo inquietante fenomeno solo in parte può essere

individuata nella mitridatizzazione prodotta da anni e anni di

demonizzazione del proporzionale, di delegittimazione del parlamento

come sede della mediazione politica e di crescita del leaderismo.

In una buona parte dell’opinione pubblica solitamente sensibile al

tema dei valori costituzionali prevale, oltre alla stanchezza, l’idea che

si tratti di riforme fatte su misura, che potranno avvantaggiare solo il

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PD del 40 % alle europee ed il suo capo; soggetti ritenuti dai più

magari criticabili, ma non sospettabili di involuzioni anti-

democratiche.

Chi scrive non condivide questo pregiudizio favorevole, ma il punto

non è questo.

In materia elettorale le “leggi-fotografia” sono un grave errore ed il

legislatore dovrebbe sempre decidere “dietro il velo dell’ignoranza”,

ma ancor più sbagliato sarebbe giudicare le regole come se la

situazione data fosse immutabile.

Poiché le riforme elettorali ed istituzionali si fanno,

tendenzialmente, per sempre, è doveroso interrogarsi sui risultati che

produrrebbero in presenza di equilibri politici completamente diversi

dagli attuali, nei quali potrebbero prevalere forze che sono le più

lontane da noi.

Dobbiamo immaginare che possa rivincere, se non Berlusconi in

persona, un altro come lui; che possa vincere Salvini con una specie di

Front National italiano; o che possa vincere Grillo, magari uscendo da

un primo turno molto distaccato e poi raccogliendo al ballottaggio un

ampio voto di protesta goliardica e trasversale (come è già accaduto a

Parma e a Livorno).

Ecco che l’eliminazione di pesi e contrappesi e l’impossibilita di

realizzare una convergenza repubblicana per sbarrare la strada in un

secondo turno ad una forza eversiva che dovesse arrivare al 40 %

(come avvenne in Francia alle presidenziali del 2002 quando anche la

sinistra votò per Chirac contro Le Pen) risulterebbero esiziali per le

sorti della Repubblica nata dalla Resistenza.

Se oggi si prende alla leggera il problema, si rischia di svegliarsi

quando il danno è fatto.

(3/3 – Fine)

* * *

PER UNA DEMOCRAZIA

COSTITUZIONALE Tra Italicum e Riforma del Senato.

I rischi di un modello sconosciuto al mondo occidentale.

Incontro con

VITTORIO ANGIOLINI,

ordinario di Diritto Costituzionale, Università degli Studi di Milano

FELICE BESOSTRI,

avvocato, direzione nazionale PSI

ALFREDO D'ATTORRE,

deputato Partito Democratico

FABIO MUSSI,

coordinamento nazionale Sinistra Ecologia Libertà

Intervistati da

LUCIANO BELLI PACI

MILANO

CAM Ponte delle Gabelle

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9

via San Marco, 45

MM2 Moscova

Venerdì 6 marzo 2015 | ore 21,00

organizza Circolo SEL Zona 1

SPIGOLATURE

E sulle loro tombe

cadrà il fiore dell'oblio…

di Renzo Balmelli

OBLIO. Forse non basterebbe nemmeno tutta la sagacia di Petrovic

Fandorin, l'investigatore uscito dalla penna di B. Akunin, per fare

piena luce sui gialli politici russi. In quei meandri è facile perdersi

senza mai trovare una traccia precisa di chi può essere stato il vero

assassino. La storia si ripete con la morte di Boris Nemtsov per la

quale è stata formulata, ripresa con enfasi dalla destra nostrana,

l'ipotesi che il Cremlino non avesse interesse a zittirlo non essendo

catalogato tra i potenziali nemici del sistema. Figuriamoci gli altri!

Comunque sia, adesso Nemtsov, definito una persona onesta, è sepolto

guarda caso accanto ad Anna Politkovskaya, la giornalista sgradita al

potere e uccisa in circostanze mai chiarite. Sulle loro tombe cadrà il

fiore dell'oblio e nessuno pagherà per il duplice delitto.

MACCHIA. Mancano ancora quasi due anni alle presidenziali

americane, ma i repubblicani , che da quando Obama siede alla Casa

Bianca hanno perso la testa, già affilano le armi per riconquistare il

potere con qualsiasi candidato disponibile sulla piazza, purché sia

conservatore a tutto tondo, militarista senza riserve e disponibile a

scendere a compromessi con i più facoltosi centri di potere.

Ovviamente per il bene supremo della Nazione. Orbene, come se due

non fossero bastati , sulla scena sta facendo le sue prime apparizioni un

terzo Bush, John Ellis, detto " Jeb", già governatore della Florida

grazie ai voti degli immigrati anti-castristi. Per i repubblicani Bush III

sarebbe il candidato ideale a meno di non evocare la guerra in Iraq che

oscura il ritratto di famiglia.

INTRUGLIO. Capita anche in politica che in tavola arrivino pietanze

per le quali occorre uno stomaco di ferro. Ma se il cuoco confonde la

cucina con il rancio , nemmeno l' Alka-seltzer potrà servire allo scopo.

Neppure presa in dosi industriali la celebre polverina potrebbe

facilitare la digestione della miscela in salsa nostalgica servita da

Salvini e che ha quali ingredienti di base la nuova Lega " lepenista" , il

fascismo di Casa Pound, le croci celtiche, le foto di Mussolini, il

linguaggio sboccato, gli slogan di facile presa e abbondanti spruzzate

di " vaffa..." per "impreziosire" le varie portate. Se questo è il pantheon

della destra italiana, in fuga dal berlusconismo, c'è poco da stare

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allegri, soprattutto pensando alle future generazioni. All'apposto del

famoso slogan questo intruglio più lo mandi giù e meno ti tira su.

TRAPPOLA. Rimpiangere Berlusconi? Non sia mai. Troppe ne ha

fatte e altre potrebbe ancora combinarne non appena riavrà la piena

agibilità politica. Qualcuno però , ancora sotto choc per quanto

proposto dal vociante sabato romano del Matteo lombardo, potrebbe

essere indotto a credere che l'anziano sultano di Arcore sia tutto

sommato il male minore. Sarebbe una trappola. Dall'ex ormai al

tramonto, l'astro nascente del Carroccio ha ereditato il populismo

incantatore che passa attraverso l'uso disinvolto dei social media.

Considerarlo una meteora sarebbe un sbaglio che la sinistra potrebbe

pagare a caro prezzo, soprattutto se dovesse continuare a sfarinarsi

nella litigiosità , riesplosa alle recenti primarie, e che è tutta olio che

cola per chi spinge il Paese alla deriva qualunquista.

FALCATE. Da quando è salito sul soglio di Pietro circa due anni fa

(13 marzo 2013) Papa Francesco ha dovuto sgomitare. Fin dal primo

giorno gli ossequi ingannevoli hanno fatto il paio con le critiche e gli

attacchi, diventati sempre più manifesti nello svolazzare delle tonache

curiali. Anticonformista anche nel rifiutare scarpette e mantelline

rosse, il Vescovo di Roma attraversa a larghe falcate il rosario delle

lamentele, nella consapevolezza che ai gesti simbolici e mediatici

dovrà fare seguire presto atti ben più significativi per non deludere i

fedeli, specie dopo le aperture in fatto di morale sessuale, familiare,

matrimoniale e sociale. Ma Jorge Bergoglio potrebbe essere sotto tiro

dei tradizionalisti, allo scopo di rendere se non impossibile perlomeno

difficile un dibattito approfondito sulla questione.

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia : (ADL in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (ADL in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (ADL in spagnolo) http://es.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana

Economia

HSBC

Una banca al centro di frodi fiscali

e operazioni finanziarie illecite

di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)

e Paolo Raimondi, Economista

E’ dal 2008 che liste di grandi evasori fiscali sono emerse e portate

all’attenzione degli organi di vigilanza finanziaria e dei governi di

molti Paesi. In primis degli Stati Uniti e della Gran Bretagna. Finora

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però vi sono stati solo grandi polveroni mediatici, misere condanne

ufficiali e scarse contromisure legali.

Prima Hervè Falciani, poi SwissLeaks e infine il Consorzio

Internazionale di Giornalisti Investigativi hanno indicato la HSBC

Private Bank SA di Ginevra in Svizzera come uno dei centri operativi

che organizzano servizi finanziari illegali, lavaggi di soldi sporchi e

frodi fiscali per cittadini e organizzazioni interessati.

Le frodi fiscali complessivamente coinvolgerebbero almeno 130.000

potenziali evasori internazionali (industriali, politici, attori, sportivi,

ecc.) per parecchie centinaia di miliardi di dollari. Oltre 7.000

sarebbero cittadini italiani.

A questo punto riteniamo sia indispensabile gettare luce sulla HSBC

e sul suo ruolo di leader della grande finanza globale. La banca di

Ginevra è la filiale delle britannica Hong Kong and Shanghai Banking

Corporation. E’ la maggiore banca europea ed è la terza al mondo. Fu

fondata nel 1865 da un consorzio di interessi coinvolti nel commercio

della seta, delle spezie e, si dice, anche dell’oppio. Oggi ha 60 milioni

di clienti in 80 Paesi e ha attività pari a 2,7 trilioni di dollari.

E’ la classica banca “too big to fail” con una capacita di fuoco ed

una influenza politica senza pari. Gli uffici centrali e le sue filiali sono

coinvolti in tutte le indagini più grandi ed esplosive. Finora però ne è

sempre uscita quasi indenne, pagando pochi spiccioli di multa.

Le autorità americane hanno denunciato la HSBC Bank Usa

(HBUS) per complicità nel lavaggio dei soldi sporchi dei cartelli della

droga messicani e in operazioni fatte per aggirare le sanzioni nei

confronti di Paesi come Cuba e l’Iran. Secondo l’Office of the

Comptroller of the Currency americano dal 2006 al 2009 la HBUS

avrebbe incrementato del 50% i trasferimenti di denaro via wire fino a

raggiungere i 94,5 trilioni all’anno senza veri controlli e avrebbe

permesso in particolare il trasferimento di 15 miliardi in contanti da

parte delle filiali messicane.

La Commissione per le Indagini del Senato, guidata dal democratico

Carl Levin, nel 2012 ha formalmente denunciato la HBUS di

riciclaggio di soldi provenienti dal traffico di droga. La HSBC

messicana nel 2008 aveva creato anche una filiale nel paradiso fiscale

delle Cayman Islands, senza uffici e senza impiegati, con oltre 50.000

conti correnti di clienti anonimi.

Nel suo rapporto “US vulnerability to money laundering, drug and

terrorist financing. HSBC case history” di 330 pagine la Commissione

sostiene anche che i controlli messi in atto dalla banca per evitare che

la propria struttura fosse sfruttata da organizzazioni criminali erano

inefficaci e che i campanelli d'allarme suonati da alcuni dipendenti

sono stati regolarmente ignorati dal top management.

Di fronte ad innumerevoli ed inconfutabili prove, nel 2012 la banca

ha preferito pagare una multa complessiva di 1,9 miliardi di dollari e

chiudere convenientemente i casi legali. D’altra parte questa cifra era

solo l’8,6% dei 22 miliardi di profitto di quell’anno. Nessuno venne

condannato per i crimini penali.

Questo “lassismo” nei controlli sui movimenti finanziari sembra sia

stato sfruttato anche da reti e sospette organizzazioni fondamentaliste

islamiche.

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12

Si ricordi che la HSBC è anche sotto inchiesta per i noti scandali

Libor ed Euribor. Nel 2012 gli organismi di controllo finanziario,

l’americana SEC e la britannica FSA denunciarono una ventina di

banche internazionali per aver manipolato il famoso London interbank

offered rate (Libor), cioè il tasso che stabilisce la base per definire tutti

gli altri tassi di interesse applicati sui mercati finanziari. La HSBC era

in testa alla lista. Dal 2005 al 2007 le banche in questione avevano

gonfiato i loro dati per far salire il Libor e incassare sui tassi alti. Dopo

lo scoppio della crisi hanno invece giocato i loro dati al ribasso per

mascherare le proprie difficoltà ed abbassare il costo dei prestiti di cui

avevano bisogno per sopravvivere. Hanno quindi semplicemente

fornito informazioni fasulle a proprio profitto.

La HSBC è anche una delle 5 grandi banche internazionali che

hanno manipolato per anni, almeno dal 2009 fino alla fine del 2013, i

cosiddetti tassi Forex, i tassi di scambio delle valute, sfruttando la

conoscenza di informazioni confidenziali dei clienti e operando pochi

secondi prima che i tassi di riferimento fossero fissati. Ogni giorno sul

mercato dei cambi si fanno operazioni per 5,3 trilioni di dollari. Anche

per queste manipolazioni la multa da pagare avverrà con la solita

completa sanatoria delle violazioni e dei reati.

E’ chiaro che se la HSBC fosse una banca italiana verrebbe

chiamata la “banca della mafia e del crimine organizzato”. Il fatto che

non sia un semplice sportello locale “occupato” dalla camorra, ma una

delle principali banche globali, pone delle domande inquietanti

sull’intero sistema delle grandi banche internazionali e della “finanza

ombra”.

Ne abbiamo scritto altre volte, ma ora riteniamo che la riforma e la

trasparenza del mondo finanziario e bancario non siano più eludibili.

Sono troppi gli squilibri economici che di volta in volta questo sistema

malato provoca.

Da Avanti! online www.avantionline.it/

Àncora Italia

Ancora morti nel Mediterraneo. Ancora una tragedia figlia della

disperazione. Dieci i migranti morti e novecento quarantuno i salvati

nel Canale di Sicilia martedì dalla Guardia Costiera.

di Ginevra Matiz

In meno di 24 ore, sono state in totale 7 le operazioni di soccorso

coordinate dalla Guardia Costiera in una zona di mare a circa 50 miglia

a nord della Libia. Dirottati anche 3 mercantili, uno dei quali ha salvato

183 persone. Disposto l’invio della nave Fiorillo della Guardia

Costiera, che ha tratto in salvo 319 migranti. Richiesto l’impiego di

una unità della Marina Militare inserita nel dispositivo Triton che è

intervenuta anch’essa nei soccorsi.

Tra le varie operazioni coordinate dal Centro nazionale di soccorso a

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13

Roma, quella di un barcone rovesciato con 121 persone salvate e 10

corpi recuperati dalla nave Dattilo che già aveva a bordo 318 migranti

salvati in una precedente operazione.

Eventi che hanno acuito ancora di più il senso di emergenza. Tanto

che, come ha affermato il primo vicepresidente della Commissione Ue,

Frans Timmermans, la Ue ha deciso di accelerare sull’Agenda europea

sulle migrazioni anticipandola a metà maggio, mentre prima era

previsto a meta luglio. “Occorre – ha detto Timmermans – un

atteggiamento aggressivo nella lotta ai trafficanti di esseri umani

responsabili di tragedie” come quelle avvenute stanotte.

“L’immigrazione – ha aggiunto – è un problema che riguarda tutti gli

Stati membri, non è più Mare Nostrum, ma Europa nostra. Dobbiamo

fare in modo – ha detto ancora Timmermans – che gli strumenti

esistenti funzionino meglio e che tutti gli stati membri applichino le

regole nello stesso modo. Attualmente non c’è l’ipotesi di modificare il

sistema, ma di migliorarlo, prima di pensare a modificare le regole”.

Timmermans ha sostenuto che la Ue deve cooperare anche con i regimi

dittatoriali per fronteggiare il fenomeno dell’immigrazione, contrastare

i trafficanti e “proteggere meglio” i propri confini.

Il commissario all’Immigrazione Dimitris Avramopoulos, nel

presentare i risultati del primo dibattito orientativo del collegio dei

commissari sull’Agenda europea sulle migrazioni, ha affermato che è

arrivato il momento di dire basta alla “politica dello scaricabarile,

abbiamo un atteggiamento realistico e chiaro su quello che l’Ue può

fare e ciò che non può fare. Frontex non è la guardia delle frontiere Ue,

se vogliamo un sistema di guardie di frontiera dobbiamo crearlo: se

vogliamo che Frontex faccia di più, dobbiamo dargli più risorse.

L’operazione congiunta Triton – ha aggiunto – ha già permesso di

salvare migliaia di vite umane, ma è vero che bisogna fare ancora di

più ed è compito sia dell’Ue sia degli Stati membri salvare vite, non

abbiamo altra scelta. La discussione di oggi sull’Agenda europea delle

migrazioni – ha concluso Avramopoulos – è stata offuscata dagli

eventi vicino alla costa libica, che ci ricordano ancora una volta che le

sfide dell’immigrazione non spariranno da sole e che ora più di sempre

abbiamo bisogno di una strategia omnicomprensiva e a lungo termine

in aggiunta al supporto agli Stati membri che affrontano alte pressioni

migratorie”.

L’operazione congiunta Triton torna così al centro delle polemiche

per le modalità in cui viene gestita, argomento su cui è intervenuto

anche il segretario socialista Nencini ribadendo che: “Triton non

risolve il problema”.

Naturalmente l’occasione è stata ghiotta per la Lega che ne ha

approfittato per lucrare qualche consenso in più speculando

sull’ennesima tragedia: “A Roma e a Bruxelles ci sono tasche piene e

mani sporche di sangue. Stop alle partenze, stop alle morti, stop

invasione! Renzi e Alfano, siete pericolosi per gli italiani e per gli

immigrati”, – hanno commentato i padani.

Il tema dell’immigrazione sara discusso nel Consiglio Esteri del 16

marzo. Lo ha annunciato l’Alto rappresentante, Federica Mogherini.

“La gestione ordinata e lungimirante delle politiche migratorie – ha

detto – è un preciso dovere strategico della Ue. Per fare in modo che

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non si ripetano più le tragedie nel Mediterraneo – ha aggiunto

Mogherini – dobbiamo mettere insieme tutti gli strumenti della Ue”.

Vai al sito dell’avantionline

FONDAZIONE SOCIALISMO www.fondazionesocialismo.it/

mondoperaio www.mondoperaio.net/

Fare del Mediterraneo

un mare di pace e di progresso

Una proposta per la politica estera dell’Italia: il ripristino della

stabilità e dello sviluppo nel Sud del Mediterraneo. Pubblichiamo qui

di seguito il testo introduttivo al Convegno promosso dalla

Fondazione Socialismo e da MondOperaio e tenutosi a Roma il 3

marzo 2015 sul tema “Italia e Mediterraneo”. Il video integrale dei

lavori del convegno sarà consultabile a partire da domani sul sito

della Fondazione Socialismo (www.fondazioneoscialismo.it).

di Antonio Badini

1. Un’Italia non più protagonista. - I più recenti sviluppi della

vicenda politica nella regione mediterranea hanno visto l’Italia

impreparata ed anche poco pronta ad assumere iniziative capaci di

prevenire minacce esterne alla sua sicurezza. La sensazione che si

percepisce é che il nostro Paese – anche in ragione delle caratteristiche

epocali della crisi che lo attraversa – sembra aver perso ruolo ed

influenza sugli accadimenti alle sue porte di casa, con conseguenze di

rilievo nelle aree che toccano direttamente la sua geo-politica e che

incidono inevitabilmente anche sullo sviluppo della sua economia.

È un fatto comunque che quelle che sporadicamente si sono potute

udire sono state voci per invocare, spesso a sproposito, il ricorso

all’intervento delle «Istituzioni Internazionali»: per intendere, si

presume, ONU, NATO e UE, un insieme che fa a pugni. Rispetto a

queste modalita prevalenti noi pensiamo, al contrario, che per l’Italia

sia oggi più utile parlare poco ma con chiarezza, ricordando sempre

che senza una preparazione previa ed una sicura conoscenza delle

mosse concordabili sia sempre meglio lavorare al riparo dei media.

Forse qualcuno ancora ricorderà che, non molto in là nel tempo,

l’opinione dell’Italia aveva un suo peso, e la sua azione diplomatica era

spesso sollecitata e comunque sempre ben accetta. Assai apprezzate

erano ad esempio le iniziative dell’Italia nella regione Mediorientale ed

in particolare quelle per il Sud del Mediterraneo. Nel 1998 ad esempio

l’Italia riuscì a evitare, riunendo in fretta una riunione di emergenza a

Palermo, che l’impianto di partenariato euro-mediterraneo istituito a

Barcellona nel novembre del 1995 andasse anzitempo in frantumi. Si

riuscì in quell’occasione, ministro degli Esteri Lamberto Dini, a

riprendere in fretta le fila di un dialogo che l’Italia seppe poi gestire

con autorita, anche avvalendosi dell’efficace sostegno del ministro

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degli Esteri egiziano Amr Moussa.

2. Un passato di forte dinamismo. - Non fu quello un episodio isolato.

Non appena nella Regione prendeva spessore una nuova tensione o

apparivano focolai di crisi all’orizzonte si mettevano rapidamente in

moto, spesso su impulso italiano, consultazioni con i partner più in

sintonia per studiare il da farsi. Senza inutili proclami, si faceva

trapelare che intese suscettibili di serrare i ranghi erano nell’ordine

delle cose. Algeria, Tunisia, Egitto e Arabia Saudita erano allora le

prime direttrici del dialogo, che coinvolgeva regolarmente Francia e

Spagna, e talvolta Malta e Portogallo.

Erano i Paesi da cui presero origine il «Gruppo dei Cinque più

Cinque» prima, e l’Iniziativa Mediterranea voluta da Mitterrand dopo.

Oltre i già citati, nei due Gruppi confluirono Grecia e Mauritania

mentre l’Arabia Saudita restò attento interlocutore, solo

geograficamente separato, soprattutto dell’Italia.

La Libia non volle allora formalmente partecipare ad alcuno dei due

Gruppi, ma Italia e Tunisia a turno tenevano al corrente la sua

dirigenza politica. Il monito a Gheddafi avanzato da Craxi nel 1986

dopo il lancio, di uno Scud libico deliberatamente fuori misura

(secondo le analisi quasi subito disponibili), fu seguito da intense

consultazioni a livello Esteri-Difesa- Servizi, con questi ultimi molto

attivi con i loro omologhi nei cui confronti avevano stretti rapporti di

colleganza, utilizzando l’ovvio beneplacito dello stesso Colonnello. E

tutto si acquietò; con il Ministro Andreotti che discretamente si disse

disponibile ad avviare con la dirigenza libica una maggiore

cooperazione aprendo il discorso anche su di un «gesto riparatore» su

cui insisteva Gheddafi per le perdite inferte al popolo libico durante il

periodo coloniale.

Oggi molti potrebbero replicare che erano altri tempi: ma è fuori di

dubbio che diversi erano anche lo spessore dei soggetti in campo ed il

livello di guardia per l’azione. In quegli anni lo si poté costatare

nell’affare Sigonella, con la nostra Marina e Aereonautica pronte ad

aiutare Palazzo Chigi sulle manchevolezza del nostro grande alleato,

che si serviva delle informazioni solo parzialmente esatte dei Servizi di

Israele per indurre il nostro Governo a rilasciare Abou Abbas (ritenuto

responsabile in solido dell’uccisione del cittadino americano Leo

Klinghofer).

3. Il caso Libia : mandato dell’Onu. - Siamo sfortunatamente tutti

testimoni che a muoversi nei momenti di crisi acuta sono

autonomamente gli Stati membri, non l’Ue. Dei quattro Paesi europei

che fanno parte del G7 (Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia)

oggi sulla scena manchiamo soprattutto noi: e di conseguenza siamo

poco presenti quando si parla di Mediterraneo, nonostante che il

fardello che ci portiamo sulle spalle, a causa dello sconquasso della

regione e del nuovo terrorismo, sia tra i più inquietanti.

Il punto cruciale di qualsivoglia soluzione politica per la Libia è la

formazione, anche embrionale, di un governo di unità nazionale, che

molti auspicano e altrettanti attendono possa scaturire da una

risoluzione onusiana. Si tratta di un auspicio di assai difficile

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16

realizzazione. Più praticabile, al momento, è lavorare su una rete di

contatti che siano facilitati da esponenti di prestigio delle diverse tribù,

cui in qualche modo restano legati uomini di primo piano delle opposte

milizie. Il Trattato di Amicizia con la Libia, per chi lo ha vissuto,

nacque con una tattica «a tentoni» per superare la diffidenza di

Gheddafi; ma poi negli anni si sviluppò, trovò forma e contenuti equi e

divenne vincolante per i due Paesi con il consenso di chi in Libia

cercava, insieme a noi, di preparare un passaggio di potere morbido,

senza risvegliare lo spirito tribale del Paese.

Purtroppo quel Trattato non venne invocato da chi ne aveva il diritto

per sospendere l’avvio dell’azione architettata da Nicolas Sarkozy con

la collaborazione di Bernard-Henry Levy.

Sarebbe bastato in quell’occasione accodarsi alla Germania per

tentare di guadagnare tempo e investigare sull’asserito genocidio che

secondo Levy si stava perpetrando contro i rivoltosi inermi a Bengasi.

E poi vi era allora la disponibilità del Colonnello a lasciare a favore del

figlio Seif El Islam, persona assai moderata.

Nelle attuali condizioni, appare molto arduo intraprendere la via

della «legalità internazionale» per un possibile intervento militare: per

l’Onu, vista con ostilita dagli islamisti, i tempi non sono maturi, e le

condizioni sul terreno non propizie, specie dopo le pur comprensibili

incursioni dell’aviazione egiziana, che ha mosso ulteriormente le acque

senza incidere negli equilibri di potere. Va anche detto che nel paese é

verosimilmente in corso una guerra per procura (Qatar e Turchia da

una parte – Egitto e EAU dall'altra), i cui effetti non sono ancora

decifrabili completamente.

Occorre dunque attendere una certa decantazione, anche perché gli

analisti non escludono che tra il Governo islamista di Tripoli

(internazionalmente non riconosciuto) e i gruppi dell’Isis possa crearsi

in un prossimo futuro una frattura. E d’altra parte isolare dal contesto

regionale – ricolmo di tensioni e di alleanze da chiarire – l’apertura di

un dossier per la ricerca di una soluzione di pace per la Libia appare

sinceramente opera ardua. Urterebbe con una mappa in itinere dei

gruppi jihadisti: sia quelli che si ricollegano ad Al Qaeda, al momento

in declino, che gli altri che si proclamano «province» dello « Stato

islamico » apparentemente in ascesa, cui vanno poi aggiunti i

movimenti islamisti vicini ai Fratelli musulmani e la vecchia ma chissà

se veramente tramontata «Jamaa Islamiya».

4. Una possibile offensiva diplomatica dell’Italia. - In questa nuova

costellazione del terrore – di Stati «falliti» e in ricostruzione e di

possibili nuovi Stati (da non sottovalutare, in un futuro non lontano, il

Kurdistan) – l’Italia, che in questi anni oggettivamente ha perso colpi e

fatto troppi passi indietro, ha oggi l’occasione di prodursi in un colpo

d’ala efficace, capace di farle finalmente rialzare la testa.

È un fatto che le condizioni di fragilità e di indeterminatezza che

hanno presieduto alla gestione del nostro sistema politico negli ultimi

venticinque anni abbiano molto pesato anche nella conduzione della

politica estera del Paese. La scomparsa, ben presto rivelatasi effimera,

della contrapposizione ideologica Est-Ovest con la caduta del Muro di

Berlino, abbinata alla convinzione che democrazia e mercato

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17

costituissero i due cardini di un pianeta in corsa verso l’armonia, deve

aver influito non poco nel farci rinchiudere in un stato di benessere

rivelatosi alla lunga non solo fragile ma anche banalmente provinciale.

Eppure l’Ostpolitik percorsa da Bettino Craxi negli anni ’80 avrebbe

dovuto nei suoi piani preludere, dopo l’attesa implosione del Comecon,

a una espansione economica ad Est delle nostre PMI, a cominciare da

quelle più dinamiche, da collocare utilmente soprattutto in Ungheria ed

in Polonia.

Oggi abbiamo perso identità e forse una reale capacità di contribuire

agli obbiettivi del G.7, che noi stessi avevamo rafforzato schivando, al

vertice di Tokio del 1985, la mossa anglofrancese di sottometterlo al

G.5. Va detto che ora é tutto l’Ovest ad apparire in declino, con il G.7

che ha ceduto quote crescenti del commercio mondiale ai paesi BRICS

e con il ritorno delle battaglie ideologiche con la «Grande Russia» di

Putin, impegnata a rimontare la china della disciolta Unione Sovietica.

In questa fase di ripiegamento e di malaise l’Europa, e l’Italia

soprattutto, sono state colte di sorpresa dall’ascesa dell’Islamismo

radicale, mentre siamo penalizzati anche dagli abusi del capitalismo

non corretti da una governance appropriata. Avremmo dovuto avere

più piglio nel G.7, e nell’Ue e quindi gestire meglio la «primavera

araba»: adoperandoci in particolare nel far capire che il vero movente

di quelle rivolte non era la lotta per la democrazia ma piuttosto la

conquista della dignità umana, allo scopo di farne il perno di future

libere scelte di quei popoli pur se non necessariamente favorevoli al

nostro modello politico.

Il risultato é stato che, anche per colpa delle incerte politiche

dell’Occidente, anziché le porte dello stato di diritto i moti popolari

hanno in realtà aperto fronti di lotta del tutto inattesi, con la

conseguenza ultima di aver reso il Mediterraneo un’area di transito

verso il nostro Paese di migliaia di transfughi in cerca di rifugio. È per

queste ragioni che lo sforzo del recupero di una azione e di una

presenza italiana, anche se complesso, va intrapreso senza indugi per

ricostruire una discernibile politica estera che si ponga come primo

obiettivo di ripristinare condizioni di stabilità e sviluppo alla nostra

frontiera Sud: un’area che per il nostro Paese é sempre stata di

importanza strategica.

Dobbiamo tuttavia essere coscienti che il nuovo rapporto da

costruire tra l’Italia e il Sud del Mediterraneo, che deve imperniarsi su

di uno sviluppo condiviso, non può prescindere dalla sicurezza e dalle

tensioni che oggi insidiano la regione, come si é detto parlando della

Libia.

Né una azione siffatta, pur dovendo rispondere a caratteristiche di

politica autonoma, può prescindere dalle nostre alleanze (a partire da

quella con gli Stati Uniti), e dal nostro essere membri dell’Unione

europea.

5. Modalità e direttrici di Azione. - Al di là delle iniziative caute ma

ben mirate per fronteggiare la caotica situazione in Libia, appare

necessaria innanzitutto la presa in conto di misure destinate alla

crescita economica, ma anche alla stabilità politica dei Paesi della

sponda Sud, promuovendo e sollecitando da parte dei nostri partner

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europei, d’intesa con gli S.U., interventi in grado di contrastare le

attuali minacce e prevenendo la nascita di nuovi focolai di tensioni.

Un primo tema riguarda il modo di percepire l’Islam e il radicalismo

islamico e a seguire come viene visto o dovrebbe essere considerato il

dialogo interreligioso, oggi troppo enfatico e fuori centro.

Contemporaneamente andrebbero affrontati anche altri aspetti che

hanno un più o meno forte impatto sul punto: in particolare il processo

di pace israelo-palestinese, i conflitti in atto nell’Africa profonda, e più

in generale i problemi della sicurezza nella regione mediorientale che,

lo si voglia o no, passano per un processo di riconciliazione o quanto

meno di dialogo e di coesistenza tra sunniti e sciiti. Importante al

proposito l’appello all’unita dei musulmani fatto dal Grande Imam

dell’Azhar,El Tayeb.

Lo Jihadismo rappresenta appena il 3 % dei sunniti; il che mostra

che la capacità di mobilitazione rimane contenuta; é importante non

sopravvalutare il fenomeno, nonostante la gravità delle sue azioni. Una

constatazione immediata che suggerisce prudenza e conoscenza nel

prescrivere le riforme agli arabi moderati é che «riformisti» si

autodefiniscono coloro che si richiamano alle forme di lotta praticate

sul terreno: una modalita che sarebbe senz’altro più corretto definire,

per i metodi violenti e disumani usati, come quella di un vero e proprio

terrorismo.

L’avvento dello “Stato islamico”, che occupa al momento un

territorio di circa 270 mila mq tra la Siria e l’Iraq, ha reso ancor più

brutale il fanatismo che strumentalizza il credo dell’Islam per folli lotte

di potere. E tuttavia il Califfato, oggi arbitrariamente riesumato dallo

Stato islamico, non durerà probabilmente a lungo avendo attirato su di

se lo sdegno e un forte senso di rivalsa di una larga parte del mondo

arabo e musulmano. Nondimeno non é da escludere, anzi é probabile,

che la sua scomparsa si accompagni a nuove forme di terrorismo

presumibilmente non meno violente.

Era già successo ad Al Qaeda, e prima ancora al « Fronte del rifiuto

», allora accusato di azioni riprovevoli ed in qualche modo strumentali

per negare credibilita all’opzione negoziale dell’OLP di Arafat. Durera

certamente più a lungo il movimento «Boko Haram», le cui aree di

dominio sono considerate una «Provincia» dello Stato islamico, e che

rischia di diventare seme di contagio nei paesi che confinano con il

lago Chad.

È dunque importante che nel contrastare anche militarmente il

terrorismo non si dimentichi che la madre di tutte le tensioni resta il

senso di oppressione, di ingiustizia e discriminazione che gran parte

del popolo arabo avverte nei confronti dell’Occidente, visto come

alleato acritico di Israele. L’irrisolta causa palestinese resta tuttora una

ferita aperta per il popolo arabo. Pericoloso negligere sulla creazione

dello Stato palestinese a cui i precedenti governi italiani avevano dato

priorità costante, anche rischiando gravi crisi (come nel caso di

Sigonella) con il nostro maggiore alleato.

Su questo punto l’Italia deve tornare ad essere parte attiva per la

ripresa del processo di pace, dando il suo tenace concorso per

coinvolgere seriamente Stati Uniti, Israele e Paesi arabi. Le basi ci

sarebbero tutte, essendo costituite da due iniziative solenni e importanti

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che la memoria corta dell’Occidente sembra avere dimenticato:

l’iniziativa dell’Arabia Saudita del 2002 e quella dei «due Stati», con

George W. Bush sponsor e garante, approvata nel Maryland, ad

Annapolis, nel 2007.

Trent’anni fa, nel novembre del 1984, Re Fahd chiese a Craxi di fare

appello a Simon Peres affermando che lui avrebbe lavorato per

convincere Arafat a passare dalla strettoia di una Confederazione

giordano-palestinese: un obiettivo decisivo che venne fallito nel

febbraio dell’anno dopo, nel 1985, ad Amman, per le mancate,

modeste concessioni che venivano richieste a Simon Peres, allora

Primo Ministro di Israele, per costruire una delegazione giordano-

palestinese che non facesse perdere la faccia ad Arafat.

Oggi, tre decenni dopo quella mancata svolta che poteva essere

decisiva, l’Unione Europea, si é rivelata del tutto inadeguata a

rimettere il processo di pace su binari solidi, e ha di fatto rinunciato a

convincere il Governo di Gerusalemme che Israele é Stato invasore,

ultimo Paese dei tempi moderni che ricorre agli insediamenti in

territori altrui per modificare il dato demografico che alla fine dovrà

determinare la linea di confine. Ed é innegabile che l’intransigenza di

Gerusalemme stinge in qualche modo sul problema più vasto della

sicurezza della regione.

(1/2 – continua)

Il video integrale dei lavori del convegno sarà consultabile a partire

da domani sul sito della Fondazione Socialismo

(www.fondazioneoscialismo.it).

Dalla Fondazione Rosselli di Firenze http://www.rosselli.org/

Quello straordinario 1944

Presentazione a Roma

presso la Fondazione Basso

Venerdì 6 marzo, ore 17.30

Quello straordinario 1944,

antologia di scritti di personaggi che hanno fatto e

raccontato la Liberazione del capoluogo toscano.

N. 4/2014 dei "Quaderni del Circolo Rosselli"

L'incontro vuole essere anche l’occasione per festeggiare la rivista

“Quaderni del Circolo Rosselli”, diretta da Valdo Spini, giunta con

questo numero al 120° fascicolo. Seguirà quindi un brindisi.

Fondazione Lelio e Lisli Basso,

via della Dogana Vecchia 5 a

Roma

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20

Da vivalascuola riceviamo

e volentieri pubblichiamo

Succederà qualcosa

Anzi, ormai è già successo.

di Giorgio Morale

Carissimi, oggi è il 27 febbraio, e vi dico che il 3 marzo, succederà

qualcosa che riguarderà la scuola.

Fino a qualche giorno fa non si sapeva bene se una “riforma” o un

decreto legge o un decreto e una legge delega insieme: adesso dalle

parole di Renzi pare sia da attendersi quest’ultima soluzione: ne diamo

conto nelle notizie della "settimana scolastica":

https://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2015/02/23/vivalascuola-190/#6

Perché non si decida per decreto d’urgenza anche su una materia

fondamentale che richiede i tempi della discussione e della

partecipazione come la scuola; perché non sia ignorato un disegno di

legge sottoscritto da più di 1.000.000 persone e che nasce da chi nella

scuola vive e lavora; per chiedere che la L.I.P sulla scuola sia ammessa

alla discussione parlamentare sta circolando in questi giorni una

petizione al Presidente della Repubblica che invitiamo a firmare.

Intanto, a scuola e su vivalascuola, ci interroghiamo su come fare

meglio il nostro lavoro: ad esempio insegnare letteratura italiana:

https://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2015/02/23/vivalascuola-190/

Grazie dell'attenzione, e un cordiale saluto.

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia : (ADL in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (ADL in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (ADL in spagnolo) http://es.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana

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Dalla Società e Scuola

Dante Alighieri Zurigo

Dillo in italiano #dilloinitaliano

Qui sotto potete leggere il testo che accompagna una petizione in

favore di un uso più accorto della lingua italiana da parte di chi ha

ruoli e responsabilità pubbliche. Non è una battaglia di retroguardia,

e non è un tema marginale. Non è neanche una battaglia contro

l’inglese ma va, anzi, in favore di un reale bilinguismo. La petizione chiede all’Accademia della Crusca di farsi portavoce di

questa istanza, che può aver peso e buon esito solo grazie all’appoggio

di tutti noi.

Perché è importante che firmiate? Perché la lingua italiana è un bene

comune: ci appartiene, ha un valore grande ed è nostro compito

averne cura.

Se siete d’accordo potete firmare su Change.org: vi basta un

minuto. E poi parlatene e fate girare il testo in rete. E dai… fatelo

subito. L’hashtag è #dilloinitaliano

La lingua italiana è la quarta più studiata al mondo. Oggi parole

italiane portano con sé dappertutto la cucina, la musica, il design, la

cultura e lo spirito del nostro paese. Invitano ad apprezzarlo, a

conoscerlo meglio, a visitarlo.

Le lingue cambiano e vivono anche di scambi con altre lingue.

L’inglese ricalca molte parole italiane (manager viene dall’italiano

maneggiare, discount da scontare) e ne usa molte così come sono, da

studio a mortadella, da soprano a manifesto. La stessa cosa fa

l’italiano: molte parole straniere, da computer a tram, da moquette a

festival, da kitsch a strudel, non hanno corrispondenti altrettanto

semplici, efficaci e diffusi. Privarci di queste parole per un malinteso

desiderio di “purezza della lingua” non avrebbe molto senso.

Ha invece senso che ci sforziamo di non sprecare il patrimonio di

cultura, di storia, di bellezza, di idee e di parole che, nella nostra

lingua, c’è già. Ovviamente, ciascuno è libero di usare tutte le parole

di qualsiasi lingua come meglio crede, con l’unico limite del rispetto e

della decenza. Tuttavia, e non per obbligo ma per consapevolezza,

parlando italiano potremmo tutti cominciare a interrogarci sulle parole

che usiamo. A maggior ragione potrebbe farlo chi ha ruoli pubblici e

responsabilità più grandi.

Molti (spesso oscuri) termini inglesi che oggi inutilmente ricorrono

nei discorsi della politica e nei messaggi dell’amministrazione

pubblica, negli articoli e nei servizi giornalistici, nella comunicazione

delle imprese, hanno efficaci corrispondenti italiani. Perché non

scegliere quelli? Perché, per esempio, dire form quando si può dire

modulo, jobs act quando si può dire legge sul lavoro, market share

quando si può dire quota di mercato? Perché dire fashion invece di

moda, e show invece di spettacolo?

Chiediamo all’Accademia della Crusca di farsi, forte del nostro

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sostegno, portavoce e autorevole testimone di questa istanza presso il

governo, le amministrazioni pubbliche, i media, le imprese. E di farlo

ricordando alcune ragioni per le quali scegliere termini italiani che

esistono e sono in uso è una scelta virtuosa.

Adoperare parole italiane aiuta a farsi capire da tutti. Rende i

discorsi più chiari ed efficaci. È un fatto di trasparenza e di

democrazia.

Per il buon uso della lingua, esempi autorevoli e buone pratiche

quotidiane sono più efficaci di qualsiasi prescrizione.

La nostra lingua è un valore. Studiata e amata nel mondo, è un

potente strumento di promozione del nostro paese.

Essere bilingui è un vantaggio. Ma non significa infarcire di termini

inglesi un discorso italiano, o viceversa. In un paese che parla poco le

lingue straniere questa non è la soluzione, ma è parte del problema.

In itanglese è facile usare termini in modo goffo o scorretto, o a

sproposito. O sbagliare nel pronunciarli. Chi parla come mangia parla

meglio.

Da Dante a Galileo, da Leopardi a Fellini: la lingua italiana è la

specifica forma in cui si articolano il nostro pensiero e la nostra

creatività.

Se il nostro tessuto linguistico è robusto, tutelato e condiviso,

quando serve può essere arricchito, e non lacerato, anche

dall’inserzione di utili o evocativi termini non italiani.

L’italiano siamo tutti noi: gli italiani, forti della nostra identita,

consapevoli delle nostre radici, aperti verso il mondo.

Se siete d’accordo firmate su Change.org, parlatene, condividete in

rete. E fatelo adesso.

Per leggere l’articolo di Annamaria Testa

> Vai al sito de L’Internazionale

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897 Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti.