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Ai primordi le origini della Bibbia di Enrico Galimberti “Ti riferisco le quattro buone azioni che fece per me il mio cuore , per mettere a tacere il Male. Realizzai quattro buone azioni sotto la porta dell’Orizzonte. “Creai i quattro venti affinché ogni uomo potesse respirarli come il suo fratello. Questa è la prima buona azione. “Creai le acque delle piene affinché il povero potesse goderne come il potente. Questa è la seconda delle buone azioni. Creai ogni uomo simile al suo fratello. Non fui io a comandare che facessero il male, furono i loro cuori a non rispettare ciò che avevo detto. (…)” Queste parole sono contenute nei Testi Sepolcrali. A illustrare i fini della creazione è il dio supremo della genesi egiziana. Ora, si affaccia prepotente l’analogia con il tema della disubbidienza nell’Eden, che rimanda al problema non solo storico, ma anche di fede, riguardo alle origini della Bibbia ebraica. Premetto che il sottoscritto è di fede Cristiana e quindi ritiene doveroso interrogarsi anche sui Testi Sacri in cui è contenuta la sua Dottrina. E’ ad ogni modo non contrastante o aberrante la teoria sotto esposta, che non farebbe altro che riflettere intorno alla vera “epoca” della Rivelazione, mettendo in discussione l’originalità di alcuni passi della Bibbia, ma dando loro un significato più universale, come è giusto che sia. Tutto ciò non ha lo scopo di confutare i temi di fede, sia ben lungi dai nostri cuori! Al contrario, si propone di dare maggior veridicità e fondamento storico alla religione ebraico-cristiana, dimostrando che i concetti divinamente illuminati contenuti nella Bibbia e negli Evangeli sono molto più antichi rispetto alle tradizioni orali che

Ai Primordi Le Origini Della Bibbia

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Ai primordi le origini della Bibbia 

di Enrico Galimberti

“Ti riferisco le quattro buone azioni che fece per me il mio cuore, per mettere a tacere il Male. Realizzai quattro buone azioni sotto la porta dell’Orizzonte.

“Creai i quattro venti affinché ogni uomo potesse respirarli come il suo fratello. Questa è la prima buona azione.

“Creai le acque delle piene affinché il povero potesse goderne come il potente. Questa è la seconda delle buone azioni.

“Creai ogni uomo simile al suo fratello. Non fui io a comandare che facessero il male, furono i loro cuori a non rispettare ciò che avevo detto. (…)”

Queste parole sono contenute nei Testi Sepolcrali. A illustrare i fini della creazione è il dio supremo della genesi egiziana.

Ora, si affaccia prepotente l’analogia con il tema della disubbidienza nell’Eden, che rimanda al problema non solo storico, ma anche di fede, riguardo alle origini della Bibbia ebraica.

Premetto che il sottoscritto è di fede Cristiana e quindi ritiene doveroso interrogarsi anche sui Testi Sacri in cui è contenuta la sua Dottrina. E’ ad ogni modo non contrastante o aberrante la teoria sotto esposta, che non farebbe altro che riflettere intorno alla vera “epoca” della Rivelazione, mettendo in discussione l’originalità di alcuni passi della Bibbia, ma dando loro un significato più universale, come è giusto che sia.

Tutto ciò non ha lo scopo di confutare i temi di fede, sia ben lungi dai nostri cuori! Al contrario, si propone di dare maggior veridicità e fondamento storico alla religione ebraico-cristiana, dimostrando che i concetti divinamente illuminati contenuti nella Bibbia e negli Evangeli sono molto più antichi rispetto alle tradizioni orali che avrebbero tramandato nei secoli il “ricordo” dell’Alleanza, portando, verso l’VIII sec. a.C. alla redazione dell’Antico Testamento.

Un’origine egizia della Bibbia, dunque?

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Il dio Osiride

Molto di più: la venuta primordiale sulla Terra di un’Umanità non rozza e incolta come siamo soliti considerare, ma colta e mentalmente evoluta, filosoficamente e scientificamente preparata e instillata di “Sapienza divina”. Il popolo di Dio non è soltanto quello ebraico. Come sta scritto, Dio ama tutti gli uomini e a tutti estende la sua Alleanza nei secoli.

Il popolo di Adamo, il primo uomo, la cui venuta è situata dalla scienza nella zona geografica della Rift Valley africana, portava in sé i semi della Rivelazione e della Verità, che, nei secoli, al cambio di ogni generazione, divenne sempre più ermetica e venne sacrificata sull’altare del potere politico, assoggettata e strumentalizzata al fine del comando. Genti sedotte dal Male confusero la Verità, dando origine a fedi e religioni che giustificassero le tirannie e i misfatti del dominio, oscurassero la Verità e mettessero in continua discussione la veridicità della Fede che, mutuata da altri popoli, sopravvisse tuttavia endemicamente e coltivò il terreno per la venuta del Messiah.

Ci riferiamo ovviamente alle religioni antiche, avendo molto rispetto per le religioni attuali, le quali rimandano comunque alla vera e incontestabile rivelazione divina latente in ognuno di noi: l’ineffabile desiderio di rapportarsi a qualcosa di più grande, eccelso, infinito.

Il passo citato dei testi sepolcrali, è ben poca cosa se andiamo a fondo nell’analisi dei miti egizi della creazione.

Vediamo ora il mito di Ptah.

Menfi dista solo venticinque miglia da Eliopoli: dare vita a un mito della creazione suo proprio, significa per la città tentare di assicurarsi il primato sulla rivale. La Pietra di Shabaka, che ci presenta le gesta di Ptah “il cui potere è maggiore di quello degli dei”, testimonia il buon esito del progetto.

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Tuttavia, c’è qualcosa di più profondo che si affaccia scostando un lembo del velo di Maya.

Dal caos, Nun, le acque primordiali, nasce l’idea di Atum-Ra, il creatore, e prende corpo nel cuore divino identificato in Ptah.

E’ già qui interessante notare l’idea di uno Spirito Creatore che esiste da sempre e che affida il suggello della creazione ad un altro essere. In questo caso è Atum-Ra, per i greci è Prometeo (=prima del tempo), per la Bibbia è Adamo, personaggi che completano la creazione dando il “nome” e quindi esistenza nel mondo alle cose create.

L’idea di Atum-Ra esce dal cuore di Ptah e viene espressa dalla sua bocca. Ecco realizzate le condizioni per la creazione del…primo creatore.

“Ptah, il grande, è il cuore e la lingua dell’Enneade degli dei, lui creò gli dei, nacque nel cuore e nacque sulla lingua qualcosa nella forma di Atum.” “Grande e possente è Ptah che ha trasmesso il potere a tutti gli dei così pure ai loro spiriti, attraverso questa attività del cuore e questa attività della lingua.”

Se le altre cosmologie partono dalla combinazione di elementi fisici, qui succede qualcosa di diverso: un pensiero si fa strada nel cuore del dio che, dandogli voce e quindi “nome”, gli dà modo di esistere.

L’aggancio con il Vangelo è parso agli storici a questo punto evidente. Sono le stesse parole dell’evangelista Giovanni a suggerirlo: “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio.”

Ora, il termine greco “Logos” (=logos) ha il significato proprio di unione di pensiero e parola. La coincidenza ci sembra a dir poco sorprendente.

Come se ciò non bastasse, sentite come termina il mito della creazione menfitano:

“Così Ptah fu soddisfatto dopo aver creato ogni cosa.” Vi sarete accorti di come la locuzione “fu soddisfatto” abbia doppia valenza: da una parte il dio si accorge che ciò che ha creato è cosa buona, gli piace e ne è soddisfatto; dall’altra l’essere soddisfatto significa aver compiuto ciò che era nelle intenzioni e quindi, fatto ciò, giunge meritato il riposo.

Il riferimento al libro della Genesi è allora scontato.

Ma, quindi, cosa ci vogliono dire queste analogie frammentarie che troviamo alla base dei miti, delle credenze e delle religioni dell’antichità non solo occidentale?

Forse che, come accennato in introduzione, la vera rivelazione sta dentro di noi e ci sta fin dall’alba dei tempi, quando Dio ci svelò i segreti della creazione e ci insegnò a dare il “nome” e quindi a creare noi stessi, in un certo qual modo, le cose che senza l’uomo, per il quale Dio o gli dei per i politeisti hanno compiuto l’atto creativo, non avrebbero senso. Il mondo fu assegnato all’umanità che, nel bene o nel male, seguendo il suo cuore, ne amministra il destino.

Tutto questo ragionamento ha un fine particolare nella mente dell’autore: ripercorrere la strada di ogni religione, attraverso l’analisi dei Testi e delle tradizioni, per arrivare ad un punto comune, in cui

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l’uomo fece la sua comparsa nel mondo e nella storia, con stretta in pugno la torcia della Verità, luce che langue in ognuno di noi e che le forze del Male si impegnano a soffiare via dal nostro cuore.

Il cantico di…Aton 

di Andrea Romanazzi

Gli Egizi credono in un universo in continua evoluzione nel quale hanno gioco 2 forze contrapposte: bene e  male, forze che devono ricomporsi in un tutto unico per far ritrovare all’universo l’armonia. Essi credono in un dio trascendente, lontano, esattamente come il nostro, che, ad un certo punto, decide di fare se stesso immanente e crea l’universo. Il dio trascendente non e’ mai nominato, e’ “COLUI DI CUI NON SI CONOSCE IL NOME”.

La non conoscenza del vero nome delle divinita’ e’ una caratteristica che lega  molte religioni del passato. Conoscere infatti l’identita’ del dio sarebbe come carpire i suoi segreti; nelle tradizioni nordiche, per esempio, la divinita’ principale, Odino ha moltissimi appellativi  che servono, appunto a celare la sua inafferrabile identita’. Lo stesso tema lo ritroviamo tra gli Ebrei, del resto quando Dio incontra Mose’ per comunicargli l’impresa che dovra’ compiere gli rivela il suo nome in modo da farsi sentire piu’ vicino al suo popolo.

Tavoletta: Il Faraone Akhenaton e la sposa Nefertiti in cammino verso il Disco Solare Aton

In realta’ la credenza che la conoscenza del nome di una divinita’ sia associata all’acquisto di ogni suo potere e’ strettamente legata al potere delle parole.Del resto gia’ nelle sacre scritture troviamo  “in principio ra il Verbo”  cioe’ parola e vibrazione. E’ proprio quest’ultima che nasconderebbe eccezionali potenzialita’ se ben usata, come dimostrerebbero l’ Ohm e il Kiai delle tradizioni orientali .Torniamo all’Egitto, l’uomo abbandonato da uesta divinita’ troppo “lontana” si sente solo e cosi’ cerca divinita’ piu’ vicine a lui, il fiume,il monte, il coccodrillo diverranno, cosi’ alcuni dei loro dei.Con la  XVIII °  dinastia qualcosa inizia a cambiare ,  avviene come un colpo di stato, il dio AMMON diventa Aton il disco solare, adorato come dio unico. Questa trasformazione radicale avviene sotto il faraone tenta di distruggere il culto politeista, invisandosi, cosi’, sia i sacerdoti che il popolo. Il faraone Achenaton trasferisce la capitale da Tebe ad Amarna. Il popolo non apprezza questa   mossa, e da inizia  una vera e propria satira politica contro il faraone che poi sara’ vittima di un complotto e assassinato. Dopo di lui diviene  faraone il re-bambino Tutankamon, coaudiuvato durante il regno dai sacerdoti, e quando il faraone raggiunse la maggiore eta’ egli stesso viene ucciso. Intanto  tutte le tracce  del regno di Akenaton sono  cancellate e lo stesso volto e  nome del faraone rovinati dagli scalpelli.

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Si arriva cosi’ a Ramesse II, con lui vengono distrutti gli ultimi residui dei templi solari costruiti da Akenaton., il culto del dio unico sta per essere cancellato ma e’ proprio a questo punto che compare per la prima volta la figura di Mose. Tre sacerdoti tentano di opporsi a Ramesse e al suo gioco, MOSE  ARON, MRIAM ,vecchi sacerdoti del culto monoteista . Il faraone pero’  e’ troppo forte, Mose’  sa che il culto  del dio TRASCENDENTE non sara’ piu’  celebrato e cosi’, celandosi dietro il pretesto della  schiavitu’ ebraica, porta fuori dall’egitto insieme a quel popolo quello stesso dio  che Ramesse aveva cancellato.

ECCO L’ORIGINE DEL DIO TRASCENDENTE.

Di tutto questo ne e’ testimonianza il seguente salmo:

“O disco solare vivente,quanto sei bello, grande, splendente. I tuoi raggi circondano le terre Fino al limite di tutto ciò Che hai creato… Come sono numerose le tue opere, o dio unico, a cui nessuno e’ uguale. Hai creato la terra secondo il tuo desiderio E gli uomini e il bestiame, e tutto ciò che e’ nel cielo… quando riposi la terra e’ nell’oscurità come se fosse morta, tutti i leoni escono dalla loro tana tutti i serpenti mordono.”.

Questo e’ l’inno al dio del sole che il faraone fece incidere su una parete della tomba del padre della pripria sposa Nefertiti..

Ma adesso vediamo cosa recita il salmo 104 della Bibbia:

“O signore mio dio quanto  sei grande! Di maestà e di gloria ti rivesti Quanto numerose sono le tue opere O mio dio, le hai fatte tutte con sapienza; piena e’ la terra delle tue creazioni… tu ordini le tenebre ed e’ notte e i giovani leoni ruggiscono in cerca di prede. Quando spunta il sole Si ritirano e si coricano nelle loro tane”.

Sembra evidente come l’autore del salmo biblico, assai posteriore al XIV sec. A.C. (di trecento anni circa) conoscesse l’inno di Akenaton.

Il culto del DIO  UNICO  era sopravvissuto!!!

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Il big bang nei miti egizi della creazione 

di Enrico Galimberti

Fra i miti egizi della creazione, ha suscitato in me notevole interesse quello “elaborato” a Ermopoli. La città si chiama oggi El-Aschmuneim, in egiziano antico Khmun, il numero otto, che corrisponde alle divinità dell’Ogdoade la cui esistenza precedette quella di Ra. Nell’antichità, essa fu il centro del culto di Thot, il dio della saggezza protettore degli scribi, Ermes per i Greci: da qui il toponimo. In età greco-romana, Thot era adorato come Ermete Trismegisto, cioè tre volte grande, cui si attribuiva il cosiddetto Corpo Ermetico, cioè un insieme di scritti di oscura interpretazione e di carattere mistico.

Il mito ermopolita, si discosta non di molto da quello eliopolita, anche se per particolari inquietanti.

La materia primordiale vi è descritta con precisione quasi scientifica ed è popolata da otto creature divine, rane e serpenti, che nuotano nelle sue acque. Sono Nun e Naunet, le acque primigenie, Heh e Hanhet, divinità dello spazio infinito, Kek e Hehet, l’oscurità, Amon e Amaunet, dei dell’ignoto: quattro coppie unite in un gruppo di otto, per gli Egizi la totalità perfetta, l’Ogdoade. Sono “i padri e le madri che vennero in essere all’inizio, che fecero nascere il Sole e che crearono Atum”; esse, a un certo punto, si fusero a formare un grande uovo, da cui sarebbe uscito il creatore .Secondo altri, le loro forze unite avrebbero dato vita a un’esplosione di energia, tale da creare dal nulla la terra.

Il richiamo alla teoria del Big Bang ci sembra più che giustificato, sebbene non ci permettiamo una libertà tale da cucire addosso alla nostra ipotesi i panni di una teoria scientifica.

Ad ogni modo, se gli egizi avessero voluto toglierci ogni dubbio sul fatto che avessero elaborato una teoria scientifico-religiosa (ricordiamo che all’epoca tutte le scienze erano sacre) simile al nostro Big Bang, il mito avrebbe recitato più o meno così:

“e le forze che esercitavano sulla divina massa primordiale si fusero tra loro e diedero vita ad una ineffabile esplosione di inaudita potenza, da cui il divo spirito creatore si sprigionò e diede inizio alla creazione di tutte le cose, dei cieli e della terra”.

Se ci fate caso, a parte il nostro volo pindarico , non esiste così tanta differenza fra le due versioni.

Probabilmente questi nostri interrogativi non avranno risposta, tuttavia è lecito ricordare che gli Egizi furono i veri padri fondatori della Civiltà occidentale, la cui terra fu riconosciuta fertile di sapere e conoscenza persino dai Greci, che ivi appresero l’arte della filosofia e della letteratura.

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In Egitto, come la stessa archeologia sta dimostrando con le sue scoperte, sono sepolte tradizioni mistico-religiose che ormai è moralmente e scientificamente scorretto ritenere frutto di un popolo che secondo la oligarchica ortodossia archeologica, appena uscito dalla barbara preistoria, fu in grado di innalzare al dio del cielo la meravigliosa imponenza delle Piramidi, meraviglie dell’umanità divinamente ispirata.

Il Mito dei Re Magi tra Storia e Leggenda28 dicembre 2012

di Andrea Romanazzi

La storia dei re Maghi e’ un racconto che nasce molto lontano , in terre esotiche e ricche di antiche tradizioni, narra di  stelle annunciatrici di una miracolosa nascita e di tre mitici sovrani che si misero in cammino per venerare il nuovo salvatore.

I tre misteriosi personaggi non sono molto frequenti nelle Sacre Scritture, infatti solo il Vangelo di Matteo (2,1-12) li cita inizialmente. In realta’ da questa fonte non possiamo conoscere molto sui Magi, ne’ i loro nomi, ne’ il loro numero e ancora luogo di provenienza che e’ indicato genericamente “da Oriente”.

Di loro non si ha menzione nei altri  Vangeli  come quelli di Luca e Marco, forse quasi una forma di censura legata al fatto che il Cristo non poteva esser “venerato” da dei “Magòi”., la parola Mago era del resto, sinonimo di stregone  , mago era anche quel Simone , appunto Simon Mago, il cui volto, per alcuni , sarebbe quello che oggi si attribuisce al Cristo , e dal qual personaggio il traffico di reliquie sacre prese il nome “simonia”. Torniamo ai Magi, in tutto questo silenzio  fonti importanti diventano  i Vangeli apocrifi e tra questi “il libro della Caverna dei Tesori”, di origine siriaca o ancora l’ “Historia Trigum Regum” di Giovanni da Hildesheim che raccoglie , mettendole in una unica vicenda, piu’ fonti apocrife sui Magi.

La vicenda dei tre re e’ legata alla “stella”:

“..dove e’ nato il re dei Giudei? Perche’ abbiam visto la sua stella in Oriente e siam venuti ad adorarlo..”

Da sempre nell’antichita’ l’ apparizione di una stella , cometa o altro fenomeno celeste era considerata  un “segno” divino , come possiam osservare dallo stesso versetto di Matteo nel quale si mette in relazione il Cristo e  “La Sua Stella”.

Del resto gli astri , penetrando con la loro luce nell’oscurita’ diventano  espressione dell’eterna lotta tra bene e male , tra luce ed ombra:

“Io sono la stella radiosa del mattino”

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Tutte le piu’ grandi divinita’ dell’antichita’ sono legate agli astri, lo stesso faraone egiziano era chiamato appunto la stella d’Egitto. Torniamo alla stella dell’Annunciazione, vi sono diverse ipotesi su cosa essa potrebbe essere realmente. Per alcuni si tratterebbe di una Nova o Supernova, fenomeno di straordinaria luminosita’ ma che non si poteva ripetere lungo il cammino dei Magi. Una seconda ipotesi e’ quella di una cometa , alcuni l’hanno identificata con quella di Halley gia’ segnalata in numerosi studi cinesi. Oggi , pero’ , sappiamo che essa si ripropone ogni 76 anni e quindi sarebbe passata attorno al 12 a.C. data piuttosto lontana da quella indicata da Dionigi il Piccolo per la nativita’.

Molto piu’ probabile e’ che piu’ che una stella si fosse trattato di una congiunzione e in particolare la congiunzione tra Giove e Saturno avvenuta nella costellazione dei Pesci. Secondo calcoli fatti da Keplero nel 7 a.C. questa congiunzione si sarebbe verificata ben 3 volte , il 28 maggio, il 1 ottobre e il 5 dicembre. Tutto questo non solo e’ importante dal punto di vista della datazione dell’evento , gia’ che si avvicina molto alla presunta data della nativita’ , cioe’ il 6 a.C., ma fa sorgere altre considerazioni. Infatti nell’antichita’ i primi cristiani  si riconoscevano con un segno in codice, quando due di essi si incontravano uno di loro tracciava meta’ del segno e l’altro lo completava. Il simbolo in questione era proprio il PESCE!

Del resto la parola Nazareni, oltre che abitanti di Nazareth significava “piccoli pesci”, e i seguaci di Gesu’ erano appunto i Nazareni. Un’altra coincidenza , poi, si inserisce in questo discorso , infatti all’ingresso di Gerusalemme il Cristo fu accolto nel grido di “oannes” che poi diventera’ ,per un errore di trasposizione, Osanna. Chi erano gli Oannes? Essi erano gli dei delle popolazioni medio-orientali che ,curiosamente erano rappresentati meta’ uomini e meta’ pesci!

Torniamo ai Magoi , per conoscere il loro rango e dunque l’appellativo di Re dobbiamo tornare al “libro della Caverna dei Tesori” ove essi vengon definiti “re figli di re”. Anche il numero dei magi non e’ ben specificato , e anche in questo caso dobbiamo rifarci a testi apocrifi come il “Vangelo dell’Infanzia Armeno”:

“..questi magi eran tre fratelli..”

Da Matteo non conosciamo il numero dei magi , ma solo riferimenti al numero dei doni. Il numero 3 ha una forte valenza simbolica , per alcuni indicherebbe le tre razze umane , la semitica , la cannitica e la jafetica , rispettivamente discendenti dai tre figli di Noe’ , Sem , Cam e Iafef. Probabilmente , pero’, il 3 ha un altro significato, infatti nell’antico Egitto il tre , Khem , gia’ legato ai moti lunari rappresenterebbe “la manifestazione nel concreto dell’Uno trascendente” , il dio che da trascendente diventa , appunto , immanente e questo ben si lega alle vicende del Cristo , il Dio che si e’ fatto uomo. Un altro aspetto importante dei magi e’ il loro nome. Oggi sappiamo che si chiamavano Gaspare , Melchiorre e Baldassarre , ma non tutte le fonti sono concordi. Nel complesso monastico di Kellia , in Egitto , sono stati rinvenuti i nomi di Gaspar , Melechior e Bathesalsa. Melechior sarebbe il piu’ anziano e il suo nome stesso deriverebbe da Melech , che significa RE.

Baldassarre deriverebbe da Balthazar , mitico re babilonese , quasi a suggerire la regione di provenienza di quest’ultimo, infine abbiamo Gasparre , per i greci Galgalath, signore di Saba.

Un accenno a questi mitici re lo troviamo anche in Marco Polo:

“..in Persia e’ la citta’ che e’ chiamata Saba da la quale partirono tre re che andaron ad adorare Dio quando nacque..”

La citta’ citata da Marco Polo, pero’ , non sarebbe proprio Saba , ma Sawah, antica citta’ persiana, mentre altri individuarono in Ubar la citta’ di partenza dei tre re.

Secondo numerose leggende i tre magi giunsero a Betlemme 13 giorni dopo la nascita del Cristo. Il 13 e’ un numero sacro alla divinita’ lunare , poi fortemente demonizzato proprio per dimenticare la sacralita’ dello stesso:13 erano cosi’ gli apostoli , diventati poi 12 a causa del tradimento di Giuda e 13 erano i cavalieri di Re Artu’ prima del tradimento di Mordred. In questa visione legata al culto lunare  della Dea e poi successivamente al culto terrestre ben si inserisce la GROTTA di Gesu’, luogo fortemente legato a culti ctonii.

La grotta e’ il simbolo del ventre materno , santuario della grande madre e luogo di comunione tra uomo e dio. Del resto tutte le divinita’ nascono nella “grotta” , Minosse , Dioniso , Mitra. Spesso , poi, nella iconografia cristiana si parla della mangiatoia e questo un po’ confonde le idee identificando appunto la grotta con una stalla. In realta’ molto spesso le grotte erano adibite a luoghi di ricovero per animali e quindi da qui la presenza della famosa mangiatoia del Cristo.

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Per quanto riguarda il luogo ove essa si trovasse , Luca e Matteo la individuano a Betlemme , mentre Marco e Giovanni la collocano a Nazareth. In realta’ Bethlaem , la citta’ ove appunto si sarebbe avuta la nascita del Cristo non sarebbe in Giudea , ma sarebbe collocata nel paese di Bethelem Haglilit , villaggio a pochi chilometri da Nazaret, e questo eliminerebbe le problematiche relative appunto alle discrepanze tra i vari apostoli. Un particolare da non sottovalutare , poi, e’ quello sottolineato da San Girolamo che ricorda che a Bethelem si adorava da sempre Adone-Tammuz , divinita’ arborea legata sia alla grotta che , come tutte le divinita’ agresti  , al ciclo di morte e resurrezione e che quindi richiama ortemente le vicende del Cristo.

Qual’ era dunque il ruolo dei re magi e chi eran realmente?

Il mito del Cristo non puo’ essere scisso dai numerosi culti solari ed arborei che fin dalla protostoria venivan officiati dagli uomini. Tralasciando cosi’ eventuali similitudini tra le divinita’ arboree e il Salvatore importante e’ sottolineare   il forte legame tra il Cristo e il sole. Lo stesso 25 dicembre , data poi istituita dalla chiesa come giorno di nascita del Messia per allontanare pericolose e devianti festivita’ pagane ben radicate nella comunita’, coincideva con il dies natalis solis , solo che alla luce portata dall’astro si sostituisce la luce divina del Cristo.

“un dio nato da una VERGINE nel solstizio d’inverno e resuscitato all’equinozio di primavera” non puo’ non essere una divinita’ solare. E’ dunque il dio risorto , il “sole” che indica il nuovo anno e il nuovo avvento , l’ Osiri egizio.

Potremmo cosi’ azzardare una ipotesi:

Originari dell’altopiano iranico i magi erano sciamani legati al culto degli astri e successivamente sacerdoti di Mazda. Seguendo la lettura del cielo , avevano riconosciuto in Cristo uno dei loro “Saosayansh” , il salvatore universale , diventando cosi’ loro stessi “coniuctio” tra la nuova religione nascente e i culti misterici orientali come il mazdaismo e il buddismo , dunque adoratori di quel nuovo culto “solare e maschile” che affonda le sue radici in rituali ben piu’ antichi e che pian piano sarebbero stati cancellati dalla “nuova” religione. Ancora oggi il culto del magi non e’ dimenticato , l’ arca ove eran contenute le loro reliquie , portate da Sant’ Eustorgio a Milano e’ luogo di pellegrinaggio.

Il sepolcro e’ vuoto dal 1162 , quando Federico Barbarossa , dopo aver sconfitto Milano , porto’ a Colonia le sacre reliquie , ma ‘e’ ancora chi dice che le “sacre ossa” sian nascoste da qualche parte nel capoluogo lombardo , magari proprio nella antica chiesetta romanica di Sant’ Eustorgio.

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Bibliografia:

M.Centini   I RE MAGIN.Vlora      LA NOTTE DELLA FENICE

La simbologia natalizia tra antichi rituali e tradizioni22 dicembre 2012

di Andrea Romanazzi

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La festa del Natale è una tradizione nata moltissimi secoli prima della venuta del Cristo, quando l’uomo, immerso nell’immanenza della Natura, sua madre feconda, guardava stranito i suoi prodigi.

Il primitivo sapeva bene che tutto è dominato da cicli di morte e resurrezione in un eterno susseguirsi di buio e luce, vita e morte che, come eterna spirale, nel loro continuo inseguirsi assicurano la vita. Di estrema importanza diventano particolari periodi dell’anno  durante i quali l’uomo tenta di ingraziarsi la sua Grande Madre con una serie di rituali propiziatori atti a ridestarla dal suo torpore per assicurare prosperità e fecondità. E’ in quest’ottica che si inserisce la festività del Natale, detta anche Yule, il Solstizio d’Inverno, il momento in cui il Sole, l’elemento maschile ingravidatore, nella sua fase più debole, dal 22 al 24  dicembre, viene partorito nuovamente dalla sua Madre per garantire lui stesso successivamente, come figlio ed amante, la fertilità della sua sposa. presenta spesso, con nuove vesti, antichi retaggi culturali, rituali pagani assorbiti dalla nuova religione che però si ripresentano con forza tra le pieghe del manto tessuto proprio per nasconderle e coprirle. E’ così che il vento della riminiscenza fa gonfiare i veli della rimembranza schiudendo all’uomo ancora una volta i mistici segreti della Grande Madre e del culto arboreo, che, anche se oggi svuotati dei loro arcaici significati, rimangono unici muti interlocutori di un mondo che vive ancora. Cerchiamo così di esaminare i più importanti simboli natalizi e ciò che essi celano.

La simbologia dell’Albero: Il Fallo Universale

Simbolo per antonomasia del Natale è il famoso albero, l’elemento che simboleggia, al di là della fede religiosa, in ogni casa, in ogni città la mistica festa. L’albero si presenta adorno di luci e illuminazioni, decorazioni, fili illuminazioni e sfere colorate, addobbi di gioia che, riscaldando il cuore delle persone, evocano tradizioni pagane legate alla fertilità e alla procreazione che ancora oggi vengono ripetute anche se mascherate sotto differenti e spesso consumistici significati. Per diversi studiosi l’albero di Natale avrebbe una derivazione nordica, specialmente germanica, legata al culto arboreo. In realtà l’origine della tradizione è ben più antica e diffusa tra tutti i popoli Indoeuropei. Moltissimi sono gli  esempi di alberi antropogonici e cosmogonici, tra gli indiani troviamo il Kalpadruma o Kalpavriksha, i persiani adoravano Haoma, mentre tra gli scandinavi e i sassoni ritroviamo rispettivamente l’Yggdrasill e il Irminsul. Non sarebbe azzardato ammettere, data la simbiosi tra elemento vegetazionale e divinità maschile, in particolare lo spirito arboreo, che la venerazione arborea   nasce come rappresentazione dell’elemento fallico e dunque della potenza creatrice del dio maschile. Del resto non vi è tradizione o mito che non annoveri il Dio come figlio arboreo. Un esempio potrebbe essere il mito di Osiride, intrappolato e fatto a pezzi dal malvagio Seth sulla cui cassa di legno sarebbe cresciuto un albero di melograno che poi sarebbe stato tagliato e disperso, l’elemento di resurrezione dalla morte che, sotto forma di zed, era rappresentato nei sarcofagi proprio con il compito di riportare in “vita” il defunto. Sempre l’albero è presente in un altro mito di morte e resurrezione, quello di Adone che amato follemente da Cibele, si evirò togliendosi la vita proprio sotto un pino e festeggiato ogni anno dai suoi sacerdoti, i sacri “dendrofori” che dovevano portare in processione un albero di pino rivestito di bende. “…stimulatus ibi furenti rabie.vagus animi,devolsit ilei acuto sibi pondera silice…”. Potremmo continuare per moltissime pagine a descrivere miti e tradizioni che parlano di alberi sacri e di divinità che muoiono e risorgono, storie di questo tipo sono presenti in tutte le culture, interessante ad esempio è soffermarci tra le tradizioni nordiche ove incontriamo il famoso Frassino Universale Yggdrasil, l’albero al quale rimase appeso Odino per raggiungere la conoscenza e tra le cui radici ancora oggi, tra mille luci  si trovano i “doni” natalizi  che ancora simboleggiano la sua generosità.

“…So che restai appeso ad un albero sferzato dal vento per nove notti intere, ferito da una lancia e consacrato ad Odino, offerto da me stesso a me stesso;I piu’ sapienti non sanno da dove nascono

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Le radici di quell’albero antico. Non mi confortarono con il pane,  ne’ mi porsero il corno per bere; Guardai verso il basso,afferrai le Rune, gridando le afferrai;caddi dall’albero. Appresi nove canti di potere Dal figlio famoso di Bolthor, padre di bestla, ed ebbi un sorso del prezioso idromele misto con magico Odrerir. Poi diventai dotto, sapiente,crebbi e prosperai: parola da parola mi diedero parole; azione da azione mi diedero azioni…”

Come nell’antica religione legata alla fertilità e alla procreazione, anche in rituali successivi elemento arboreo rimane simbolo fallico, il “priapos” o se vogliamo, l’albero della vita. Con l’avvento del Cristianesimo i culti naturali iniziano ad essere demonizzati, un classico esempio è la trasformazione dei rituali di fertilità nei sabba stregoneschi. La cerimonia infatti si teneva attorno al mistico noce, l’albero dalla grande chioma, non scelto a caso ma a per i suoi frutti che tanto ricordano i pomi degli antichi miti nordici. Uno dei più famosi alberi di noce legati alle streghe è quello di Benevento, i cui primi rituali risalgono al VII sec. quando si narra che i Longobardi praticassero un rito propriziatorio appendendo al noce delle palle di caprone e per poi colpirle con delle frecce e  ridurle in piccoli brandelli che poi venivano mangiati. Anche in questo caso però l’arma migliore per sconfiggere questi antichi culti è il sincretismo e così San Bonifacio, nel VII secolo, trasferisce l’adorazione dell’albero nel mondo cristiano identificando l’abete sia con la vita eterna per il suo carattere sempreverde, sia con il legno della croce di Cristo. La leggenda vuole che sarà Lutero il primo a porre delle candele sull’’albero di Natale, per poi arrivare ai giorni nostri ove l’albero si presenta adorno di luci e illuminazioni, decorazioni, fili colorati e nastri che ricordano i capelli delle fate o le illuminazioni.

L’albero e i rituali di Fertilità

Se l’albero è dimora divina, in una similitudine con i rituali di mietitura esso doveva essere battuto, percosso o addirittura bruciato per assicurare la fuoriuscita dello spirito silvestre e dunque la fertilità. In questa ottica si inserisce l’usanza dell’accensione dei fuochi e del ceppo natalizio. Queste tradizioni nascono da una idea basata sul concetto che il simile produce il simile. Infatti come detto precedentemente questo è il periodo in cui il Sole raggiunge il suo punto più basso e il suo calore diminuisce sensibilmente, così in questo momento di generale sgomento e paura il primitivo immagina che, accendendo fuochi o falò su colline e montagne egli potesse in qualche modo rinvigorire l’astro e riportarlo al suo primordiale splendore. Questa idea è presente in moltissime culture e anche in molte altre tradizioni differenti dal Natale ma, in questo momento dell’anno essa assume un carattere un po’ differente, esso diventa un rituale domestico forse anche a causa delle intemperie che costringevano le famiglie nelle loro abitazioni e ben difficilmente potevano riuscire ad accender fuochi all’esterno. La tradizione vuole così che qualche giorno prima della Sacra Notte ogni esponente maschile della famiglia andasse nei boschi per tagliare alberi di ulivo, betulla, abete  o quercia, per poi arderli nel fuoco trasformandoli appunto in “ceppi” natalizi. L’idea di portare così nella propria casa un albero per poi bruciarlo diventa così un’altra spiegazione dell’usanza del famoso abete, del resto le stesse luci di cui oggi l’albero viene addobbato potrebbero ricordare appunto questo fuoco rituale e i doni deposti sotto di esso il suo carattere fecondatore e portatore di gioia. Questa idea non è in antitesi con il concetto espresso precedentemente della simbologia fallica, infatti il primitivo, portando a casa il ceppo, porta una parte di quello spirito arboreo che, dimorando nei boschi, rimane nel pezzo di legno fino ad esser bruciato, o meglio, “sacrificato” per poter rinascere dalle proprie ceneri come novella fenice. Del resto basta guardare le tradizioni popolari per capire come  esso avesse poteri propiziatori. Si narra che le sue ceneri erano disperse nelle campagne le rendessero più fertili, tradizione che ritroviamo anche in Inghilterra o in Francia ove vi era l’usanza di picchiare sul ceppo per augurio di fertilità. In diverse zone italiane il giorno di Santo Stefano aveva luogo il rituale di battitura delle piante da frutto eseguita di solito da un bambino che, munito di bastone, andava battendo la pianta recitando ad alta voce una specie d'invocazione. Tradizione simile è presente poi anche In Val di Chiana ove, la sera della Vigilia di Natale, le famiglie si riunivano attorno al ceppo di legno. I bambini, bendati, erano così fatti battere con le molle sul tronchetto mentre intonavano una canzone dedicata alla Vergine Maria. In Germania questa tradizione è applicata anche agli alberi viventi che vengono battuti per avere ricchezze. L’albero natalizio diventa così il ceppo dell’abbondanza in un rituale che è rimasto intatto nel folklore e nelle tradizioni popolari. In Toscana le case rimangono aperte agli ospiti per tutto il tempo in cui il “ciocco” arde nel camino, mentre i bambini battevano il ceppo con delle canne nella speranza di veder cadere dal camini dolcetti e caramelle sapientemente disposte di nascosto dagli adulti, in Friuli il ceppo natalizio è chiamato nadalìn e ancora a Genova veniva acceso il ceppo della città al quale si offriva vino e confetti, idea di una ospitalità e di prosperità che ritroviamo proprio tra i bei pacchi ricchi di lustrini dei nostri giorni.

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 Il Sacro Vischio

Sempre legato alla tradizione natalizia e arborea è il mistico vischio, considerato una pianta magica per la sua origine: non spunta dal terreno ma, nascendo sui tronchi dei meli, delle querce e dei pioppi, sembra nascere dal cielo , inoltre le sue bacche si sviluppano in nove mesi proprio come il feto umano e si raggruppano in numero di tre, numero da sempre sacro in tantissime culture. Presso i Druidi il Vischio era considerato una pianta sacra e veniva reciso dall’albero su cui nasceva con una solenne cerimonia, usando un falcetto d’oro, infatti il vischio e’ una tipica pianta lunare e dunque , recidendola con un metallo legato alla divinità solare come l’oro si riunivano le opposte energie. Lo stesso falcetto, la cui forma è proprio quella della Luna crescente altro non sarebbe che un simbolo di riunione delle energie del cosmo e dei due principi, quello femminile e lunare con quello maschile e solare. La raccolta del vischio avveniva in due momenti particolari dell’anno, a Samhain, il primo Novembre , vero e proprio Capodanno celtico e durante il Midsummer’s Eve, la famosa festa di San Giovanni. Queste tradizioni legate alla pianta le ritroviamo anche nella cultura romana ove il suo nome significa “che guarisce tutto”. Nell’Eneide Virgilio paragona il ramo d’oro al vischio consacrando così la pianta a Proserpina. Quando infatti  Enea chiede alla Sibilla il permesso di Apollo per scendere nell’Averno a trovare il padre Anchise, si sente rispondere che è indispensabile, per affrontare tale viaggio, avere con sé il Ramo d’Oro, che dovrà essere dato in dono a Proserpina. “Come ne’ boschi al brumal tempo suole di vischio un cesto in altrui scorza nato spiegar le verdi fronde e gialli i pomi,e con le sue radici ai non suoi rami abbarbicarsi intorno; così ‘l bronco era de l’oro avviticchiato a l’elce, ond’era surto; e così lievi al vento crepitando movea l’aurate foglie.” Tra le varie   tradizioni di prosperità legate al vischio, c’è quella che vuole il baciarsi sotto la pianta perché di buon auspicio, tradizione che ancora oggi si effettua in molte case, e sopravvissuta alla religione cristiana , deriva da antiche conoscenze druidiche che vorrebbero il vischio una pianta apportatrice di fecondità dato che le sue bacche, schiacciate davano un liquido molto simile al “seme” maschile.

La Befana come figura della vecchia mater

Altra tradizione natalizia è quella che descrive una antica figura pagana, la donna-sacerdotessa del culto arboreo, le cui sembianze oggi sono quelle di una strana vecchina, molto simile alle numerose streghe perseguitate e arse nei roghi dalla stessa Inquisizione Cristiana. Essa ha avuto e ha tanti nomi con i quali è conosciuta, Ardoia, Berta, Donazza, Gianepa o Marantega ma oggi potremmo, chiamarla facilmente “befana”,  la “vecia” portatrice di abbondanza e legata ai rituali di fertilità, che dispensa doni e “carbone” ai bimbi meritevoli ponendo i suoi regali in vecchie calze la cui forma ricordano fortemente la cornucopia.

Anche se la figura di questa donna dalle chiare origini pagane è stata successivamente trasformata e riadattata dalla moralistica religione Cristiana che le ha dato il potere di premiare o punire i bambini cattivi portando loro del carbone, essa è in realtà legata agli atavici rituali di fertilità, alle tradizioni dei fuochi sacri e del ceppo natalizio a cui il “nero dono” si ricollega fortemente. Il legame con i rituali di procreazione e di abbondanza lo ritroviamo anche in uno dei particolari iconografici che caratterizzano la figura, raffigurata sempre a cavalcioni su una scopa.

E’ in questo strano intricarsi di elementi che prende corpo l’immagine della scopa stregonesca, attrezzo magico che ricorda fortemente il bastone o la “bacchetta magica”, simbolo priapico e al tempo stesso legato all’albero. Sembrerebbe che la tradizione della scopa derivasse direttamente da antichi culti naturali nei quali il bastone era preponderante proprio perché simbolo dell’albero. Un esempio potrebbero essere i rituali dionisiaci dove un elemento importante era il Tirso, il mitico bastone dei satiri avvolto da foglie d’edera e vite e con in capo una pigna, legato alla fertilità a causa dei “frutti”, i pinoli, che nasconde nel suo seno.

In realtà la scopa, spesso dichiarato arnese delle streghe usata proprio dalle donne nei lavori domestici in realtà è un simbolo priapico come è facile intuire dalla sua stessa posizione  tra le gambe della donna, un gesto di chiara magia “simpatica” che ricollega la vecchia figura a quelle antiche divinità che, assicurando la fertilità, portavano all’uomo il più grande “dono”, la vita e dunque la continuità della sua specie e l’abbondanza dei campi, l’alimento necessario per se stesso e la sua progenie.

Strane donne a cavalcioni di scope, alberi illuminati, piccole bacche bianche di vischio, atavici simboli che, nel santo periodo natalizio, ci fanno rivivere antiche tradizioni di un mondo e un culto oramai perduto di cui solo il simbolo rimane come unico monito: La Foresta.

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L’Albero filosofico e l’Isola17 aprile 2013  

di Gaetano Roberto Buccola, Psicologo Psicoterapeuta

L’isola, separata dalla terraferma, è un luogo simbolicamente extra-mondano e costituisce un ambiente “altro”, un luogo ritirato; per accedervi occorre confrontarsi con l’elemento acqueo, che nella sua liquidità può essere imprevedibile e pericoloso. Non si arriva per caso sull’isola; essa è genius loci, una mèta esatta, non casuale, il cui approdo è consentito a chi accetta il rischio o chi possiede il talento: in termini alchemici, accede all’isola chi è nella grazia di Dio; tale “grazia” determina il momento e il luogo in cui l’uomo incontra l’isola, ovvero il momento e il luogo in cui l’isola è incontrata dall’uomo.

Un’antica leggenda racconta di un gruppo di avventurieri frisoni i quali, rimasti intrappolati da un gigantesco gorgo marino – il Maelstrom – si ritrovarono su un’isola piena di luce e di oro. Nelle grotte di questa isola, situate sulle pendici di una montagna, si nascondevano alcuni esseri giganti; possiamo cogliere una notevole analogia con l’Odissea di Omero, in cui si narra dell’isola di Ogigia, dimora di Calipso, sorella di Prometeo e figlia di Atlante, ove Kronos riposa all’interno di una caverna di montagna, ricoperta d’oro (secondo una recente ipotesi di studio, Ogigia potrebbe essere identificata con l’isola di Pantelleria).

Il sapiente, lo sciamano, il saggio, richiedono luoghi isolati e silenziosi, cioè protetti dai rumori del mondo e dalle sua tentazioni profane; in estremo, la terra dell’isola è terra sacra, terra non vulgi. Joseph Campbell ha raccontato di un incontro con uno sciamano inuit dell’estremo nord del Continente americano: «Igjugarjuk (…) era lo sciamano di una tribù di Eschimesi Caribù del Canada Settentrionale, quello che disse ai visitatori europei che l’unica vera saggezza “vive lontana dall’umanità, laggiù nella grande solitudine, e può essere raggiunta soltanto con la più grande sofferenza. Solo privazione e sofferenza dischiudono la mente e ciò che agli altri è celato”»[1].

Tale ricerca, la quale necessita di un distacco fisico dal resto del mondo, può verosimilmente dirsi conseguita quando questo stato di volontario isolamento si raggiunge anche in presenza degli altri, in un simbolico sentiero di liberazione in cui «(…) per chi non è sulla strada della conoscenza, un albero è solo un albero, per chi è nel cammino, un albero cessa di essere un albero, per chi ha raggiunto la conoscenza, un albero ritorna ad essere un albero»[2].

Approdare su un’isola significa abbandonare un luogo protetto – il porto sicuro – per affidarsi al mare-utero che “contiene” l’isola, sulla quale, solitamente sul punto sommitale, vi è il cratere, l’omphalos; tale termine, nell’antichità, oltre che l’ombelico, designava anche una pietra cui fosse attribuito un significato religioso.

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Il suono della Creazione29 ottobre 2012  

di Enrico Galimberti 

Leonardo da Vinci: Uomo Vitruviano

Ciò che stupisce dell’uomo antico, ma che ancora langue dentro ognuno di noi, è la straordinaria capacità di vivere in simbiosi con il cosmo, conoscendo appieno i propri sensi e sapendoli controllare e indirizzare verso ed entro l’infinito.

Di queste straordinarie capacità, l’uomo comune non sa più come usufruire, abituato a riversare nella tecnologia le funzioni naturali dei propri sensi e obliando al meglio la propria dimensione spirituale.

All’origine della sapienza e della cultura di ogni etnia umana, vi è un elemento che viene ancor prima degli elementi alchemici o fondamentali, acqua, terra, aria, fuoco, spazio…

…è il suono.

Dice Giovanni nel prologo al Vangelo omonimo: “in principio c’era colui che è ‘ la parola ’. Egli era con Dio; Egli era Dio. Egli era al principio con Dio. Per mezzo di lui Dio ha creato ogni cosa…”

Dice la Genesi: “Dio disse…..e fu.”

Alla base della più antica filosofia greca vi era la corrispondenza: pensiero-parola-realtà. Ma la filosofia greca ha attinto dall’Egitto.

E infatti la genesi egiziana di Menfi recita: “Ptah, il grande, è il cuore(cervello) e la lingua(parola) dell’Enneade degli dei, lui creò gli dei, nacque nel cuore e nacque sulla lingua qualcosa nella forma di Atum.

Ora, Atum è il creatore, ma si capisce che lui stesso è stato creato, grazie al cuore(sede del pensiero secondo gli Egizi) e alla voce (lingua).

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Anche gli Egizi hanno attinto la filosofia dal Vicino Oriente e così via fino ad arrivare là dove è attestata la più antica filosofia: l’India. Brahma è il Tutto, è Dio, anima universale.

Alla base della Genesi indù vi è, inutile dirlo, il suono.

Il suono silenzioso della Spiritualità

Chiunque abbia conoscenza delle dottrine spirituali indiane, avrà sentito parlare del Mantra. E’ una disciplina meditativa che permette, pronunziando sommessamente determinate sillabe sanscrite sacre, di mandare, per dirlo con termini profani, in “risonanza” la mente che è la più acerrima nemica dell’Atman, l’Io, l’anima individuale che si deve realizzare per tornare a far parte del Tutto. La mente tende ad allontanare l’individuo dall’infinito, dandogli l’ illusione di essere autosufficiente e spingendolo all’egotismo. Soltanto riuscendo ad annichilire e controllare la mente, l’Atman risale alla percezione più alta e di nuovo si avverte l’appartenenza ad un Tutto che è Spirito divino. Lo stesso concetto altamente spirituale, seppur metaforizzato in termini più materiali, è ripreso dal Cristo. “Così come il corpo e le membra sono una cosa sola, così Io e il Padre mio siamo la stessa cosa”.

E’ il concetto di micro e macrocosmo, l’uno “dentro all’altro” e viceversa.

Attraverso il mantra, la cui sillaba più potente è il famoso “Om” o “Aum”, i maestri Buddisti più potenti riescono addirittura a scoprire le cause di un malore fisico e, intervenendo a livello energetico, riescono a curare malattie a volte in stadio avanzato o terminale.

La vibrazione che domina il cosmo

Ora, la parola è suono e il suono è vibrazione; il pensiero genera energia e l’energia è vibrazione; la luce è vibrazione…

Secondo antiche leggende indiane, con i suoni è possibile materializzare degli oggetti e addirittura esisterebbero delle città invisibili(Dio disse…e fu…/di tutte le cose visibili e invisibili…).

Il famoso detto “Apriti sesamo” è dovuto al fatto che alcuni sacerdoti del vicino Oriente, anticamente, erano in grado con determinati canti e preghiere di far aprire magicamente le spighe di sesamo.

Il comandamento “non pronunciare il nome di Dio invano”, deriva dal fatto che per gli ebrei alcuni nomi sono impronunciabili, a causa del loro potere e della loro appartenenza a esseri spiritualmente superiori e vicini a Dio.

Sempre in India, a proposito dei Vimana (letteralmente “uccelli artificiali abitati”) si narra che su alcuni di essi fosse incisa la sillaba sacra dell’Om e mediante determinati canti e preghiere i sacerdoti sapessero comandarli.

E i cerchi nel Grano?

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Il potere del suono, dell’energia e della vibrazione entra in gioco anche quando si parla dei famosissimi Cerchi nel Grano o “Crop Circles”. Sembra che a causarli siano delle particolari onde elettromagnetiche che, di provenienza incerta, entrano in simbiosi con il campo gravitazionale terrestre.

Anche un simbolo o una forma producono vibrazioni. Il corpo umano emette onde magnetiche che sono persino in grado di impregnarsi in edifici ad alta frequentazione come i luoghi sacri. Ma, di nuovo il meccanismo retroattivo, gli stessi luoghi sacri (è scientificamente dimostrato) venivano scelti perché fonti di particolari energie dette positive, mentre venivano demonizzati i luoghi ad alta intensità di onde negative.

Secondo teorie recenti, i simboli riprodotti nei Cerchi nel Grano sarebbero opera di intelligenze che vogliono aiutare l’uomo ad elevarsi spiritualmente. Un nativo americano comprende benissimo tali meccanismi, poiché anche in America era largamente diffusa tra i nativi la venerazione del Grande Spirito e della Madre Terra.

L’animismo è da noi occidentali visto come un qualcosa di ridicolo e primitivo, ma a mio parere andrebbe rivisto il concetto di primitivo. Di sicuro non è sinonimo di rozzo, ma, all’opposto, è una grande consapevolezza spirituale che lega l’uomo al creato. Non a caso la concettualità artistica più antica è la più complessa, perché l’uomo antico, come detto in apertura, era in uno stato spirituale e fisico in perfetta sintonia con le vibrazioni cosmiche, cose che noi, avvolti dalle radiazioni dei telefonini, abbiamo perduto, ma forse non irrimediabilmente.

I primi disegni di un bimbo, non sono rappresentazioni della semplice realtà visiva. In essi sono racchiusi gli stati d’animo e le proiezioni sensibili di sé. Col tempo, di nuovo, la mente categorizza secondo determinati schemi e preclude ogni libero sfogo della nostra interiorità spirituale.

Quello che l’uomo ha scordato, nel corso della sua tanto incerta storia, è proprio il fatto di essere uomo, un dio caduto che sogna le stelle, ma non si accorge di brillare di luce divina.

Simbologia della Genesi13 ottobre 2012  

Analisi della simbologia contenuta nel Libro delle Genesi

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di Vito Foschi

Michelangelo Buonarroti: La cappella Sistina a Roma

La Genesi è il primo libro della Bibbia e descrive la creazione del mondo da parte di Dio ed è interessante sotto vari punti di vista. In particolare sono interessanti i capitoli che raccontano la storia del diluvio. In questi capitoli abbondano le ripetizioni e le ambiguità. Innanzitutto il capitolo 6 inizia con delle frasi piuttosto enigmatiche. Si parla che i figli di Dio presero per moglie le figlie degli uomini: “I figli di Dio, vedendo che le figlie degli uomini erano adatte, si presero in moglie tutte quelle che loro piacevano” (Genesi 6,2). L’interpretazione immediata che è anche quella del commento della Bibbia in mio possesso, è che i figli di Dio sono i discendenti di Set terzo figlio di Adamo e devoto a Dio, mentre i figli degli uomini sono i discendenti di Caino. Però questo non ci può non far venire in mente dei testi apocrifi ed in particolare il libro di Enoc che parla di come un gruppo di angeli, chiamati figli del cielo, prese per moglie delle donne umane e generò una progenie semidivina, i giganti, che diventata violenta ed infedele a Dio fu da questi distrutta, come farà Dio nella Bibbia con il diluvio che sterminerà la discendenza dei figli di Dio e delle figlie degli uomini. Un altro punto curioso è il versetto 6,4 “In quel tempo c’erano i giganti sulla terra e anche dopo, quando i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini, le quali generavano loro dei figli. Sono essi quegli eroi famosi fin dai tempi antichi”. Anche se l’interpretazione ufficiale sembra corretta questa frase successiva ci ricorda inevitabilmente i giganti dei racconti apocrifi del libro dei Giubilei e del libro etiopico di Enoc. Non solo. La frase ci dice che i giganti ci saranno anche dopo. Dopo il diluvio?

Un’altra particolarità è la presenza di ripetizioni. Quando viene descritta la costruzione dell’arca la storia è ripetuta due volte. I capitolo 6 e 7 fra ambiguità e ripetizioni non risultano particolarmente “riusciti”, anche se per altri versi risultano particolarmente importanti. Sul diluvio si è scritto tantissimo e non aggiungeremo altro, però faremo un accenno alla teoria ciclica del tempo che sembra mancare nella Bibbia e che rappresenterebbe la novità nel panorama religioso antico. La teoria ciclica è diffusa in ogni dove, fra i greci, i maya, gli indù, i cinesi e così via. L’idea, brevemente, è che il tempo è diviso in varie età e alla fine dell’ultima c’è un nuovo inizio con un nuovo ciclo diviso nelle stesse età. Ad ogni età c’è un progressivo allontanamento dalla perfezione iniziale. Ci sono differenze fra chi pensa ad una ripetizione pedissequa della storia e chi dice semplicemente che la storia si svolgerà in maniera simile a grandi linee. Alla fine di ogni età c’è un cataclisma che cancella il vecchio mondo e pone le condizioni per il nuovo mondo nella nuova età. Tutto questo ci ricorda il diluvio. È abbastanza diffuso fra le varie antiche religioni l’idea che il ciclo sia diffuso in 4 età. Nella Grecia classica ad ognuna delle 4 età corrisponde una razza umana, progressivamente più imperfetta. La prima età è l’età dell’oro, segue quella dell’argento, quella di bronzo ed infine la nostra quella di ferro. Anche nella denominazione si nota la progressiva degenerazione e l’allontanamento dalla perfezione dell’inizio. Ora nella Bibbia si parla del solo diluvio e quindi sembrerebbe che la storia si divide in due, ma in realtà c’è almeno un’ulteriore suddivisione. Nell’età d’oro della mitologia l’uomo era perfetto ed era

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con Dio e questo periodo sembra riecheggiare il periodo in cui Adamo ed Eva soggiornarono nel giardino dell’Eden. In effetti si parla di perfezione dell’uomo e di caduta in seguito al peccato originale e del fatto che Dio passeggiava nel giardino e risiedeva con l’uomo. Si può ben dire che si tratti dell’età dell’oro per l’uomo. Un altro parallelo lo si può fare fra i giganti biblici e i titani della mitologia classica. In quest’ultima i titani si ribellano a Zeus capo degli dei e vengono sconfitti e relegati nel Tartaro. E il diluvio non fa altro che spazzare via gli uomini e si immagina anche i giganti dalla faccia della terra. Possiamo trovare alte corrispondenze fra i titani greci e i giganti dei testi apocrifi del vecchio testamento citato più sopra.

Un’altra curiosità è la torre di Babele. Rappresenta chiaramente una sfida a Dio ed in un certo qual modo sembra replicare il peccato originale e quasi rappresentare un’ulteriore caduta dell’uomo dalla perfezione iniziale ad uno stato sempre più imperfetto. In effetti Babel significa confusione e con tale episodio aumenta la confusione fra gli uomini ovvero un allontanamento dalla Verità. La Torre di Babele è un’opera ciclopica, titanica e ci sembra in relazione con i giganti. Con il diluvio dovrebbero essere morti, ma le parole “anche dopo” ci porta a pensare che dopo il diluvio sussistono ponendo il problema della loro generazione ritornandoci in mente il libro di Enoc e quindi l’origine semidivina dei giganti.

Qualche altra nota merita l’arca. È divisa in tre piani e non a caso; i tre piani rappresentano i tre mondi: minerale, vegetale e animale. Ora, l’arca deve garantire un nuovo inizio è come tale deve contenere in nuce tutte le potenzialità future e quindi i tre mondi. L’arca può essere considerata equivalente all’uovo primordiale che nella sua unità contiene tutta la molteplicità futura. Con il diluvio la terra scompare ed anche le cime più alte sono coperte, si ritorna all’abisso primordiale. Nella storia del diluvio si parla dell’acqua che sgorgava dal cielo e quella che sgorgava dalla terra; nella descrizione della creazione Dio separa le acque inferiori e quelle superiori creando il firmamento: un ritorno all’inizio. L’arca è il seme, l’uovo primordiale da dove deve rinascere un nuovo mondo, e contiene in sé i principi dei tre mondi, minerale, vegetale e animale. Credo che non a caso l’uovo primordiale, il punto d’inizio ricordi molto la teoria del Big Bang, in cui un punto ha in sé tutto lo sviluppo futuro. Con l’esplosione iniziale, con il dischiudersi dell’uovo si sviluppa tutta la creazione nella sua immensa molteplicità e diversità.