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eCO cURVA Passaggio sILENZI tazza dalla a alla z, l’alfabeto di noi piccole cose e del corpo mIRELLA cRAPANZANO

Alfabeto

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Una raccolta poetica di Mirella Crapanzano. Frammenti di piccole cose di noi e del corpo.

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eCO

cURVA Passaggio

sILENZI

tazza

dalla a alla z, l’alfabeto di noi

piccole cose e del corpo

mIRELLA cRAPANZANO

marzo 2011

poesie e quadri di

mirella crapanzano

didascalie e postfazione di

roberta d’aquino

opere protette da copiright ©

tutti i diritti riservati

Da r a m, con immenso amore

per i viaggi fuori e dentro l’anima

che le sue parole regalano

Mirella Crapanzano

Dalla a alla z, l’alfabeto di noi

piccole cose e del corpo

opere protette da copyright ©, tutti i diritti riservati

Finestre - tecnica mista acrilici e stucco sabbiato

Aprirsi varchi tra giunchi e bambù, lunghe foglie verticali

è come entrare nelle piccole cose dalla luce

anche quando sembrano muri di stucco, invalicabili contrappassi

(r.d.)

[emergo dalla pelle senza dire la neve sulla tua bocca]

a (nell'edificarci simili lasciamo orme svestite sulla sedia che altri riconoscono nonostante l'indifferenza professata)

b non l'avresti mai detto eppure l'amore ci accampa disatteso (quando attraverso le tue mani senza toccarne i confini)

c (si accovaccia la sera dentro le mani mentre sbuco dai vestiti ed è come indossare la tua bocca rivestirmi in anticipo dell'alba)

d riscrivere una virgola dopo aver assaggiato l'alba è come ripetere l'amore scambiarci i corpi dopo averli avuti addosso pronunciarli, infine piano, con altri nomi

e (le altre superfici mi appartengono più del tuo corpo che odora di stanze segrete posso imbrattarle di colori, raschiare via l'indifferenza della tela cancellarne il dorso)

f quel luogo dove la curva dei fianchi assomiglia a una riga quel luogo è mare che ritorna, così la casa l'ombra che rimane anche dopo che sono andata via. quel luogo scrive l'essere terra e corpo. la stessa forma che sparisce tra le dita

g

ci sono porte che avranno un'altra parvenza se me le scavi addosso, ciglia socchiuse purché lascino tracce nella gola, rose bianche come partiture da segnare per fare spazio nell'assenza

h e poi, sono piccole cose che conservo, la rosa sulla scrivania la curva dell'acqua in una tazza, l'odore di distanza tra te e la mia bocca poco per volta, centimetri di cui non sospetti nulla

i a volte sembra così facile scostare la penombra, predire quella ruga una nicchia d’inverno che la notte mi concede sulla bocca, una pronuncia muta

j sostiene il giorno, le sue andature la luce imperfetta delle ore una sottana di seta dove s’insediano le mani, il vento e il risalire lungo le parole sembrano un eco di lampare al largo dalle coste

k sradicami dai palmi incrostati di terra dal canto degli ulivi, dalle correnti che mi concimi addosso nei ritorni tra le rime, in contropelle

l la nebbia ha preso in prestito dal mare un rumore senza direzione l’alfabeto che ha la sera quando perde la voce qui ci si incontra al tatto, dentro la pelle in un noi che la forma riconosce come un calco

m

(a certe parole appartengo più di altre forse perché indugiano irrisolte nella gola)

n si ritorna nei silenzi come per caso quando piove e si fa largo di voci sui seni, giù per le strade, senza badare al mare che sta nelle dita a noi tutto intorno

o m’incuriosisce la curva del tempo sui capelli, una voce che ha tutte le distanze e tenta, in risalita, l’opera che si dischiude al corpo sui letti una cavità fiorita, forse l’amore

Oltre la finestra tecnica mista con acrilici, malte colorate e seta dipinta a mano

Scavi negli intrecci della seta

la calce viva, i giardini innaturali

dei tuoi colori esausti, sfili

dagli occhi fiori gialli, arbusti e sterpi

in cui inciampare

(fecero graffi sulle mie caviglie, fecero piccoli solchi

e tu fosti illusione mobile dietro le colonne)

Spoglio varchi, tende d’oltremare

e il liquido tepore di un abbaglio

risale scale strette, tu resti

nell’indizio di un gatto

fin sopra matriosche di finestre

(saltai di vetro in vetro, un dettaglio dentro l’altro

per sovvertire, infine, gli ordini del droste)

(r.d.)

p [a volte il cielo passa senza fermarsi sulla bocca e quello che rimane è il fondo della sera, qualcuno da abitare l’inevitabile mutare della marea]

q appena fuori il mattino ha quei segni che riconosco dai contorni della casa, quel sapore di confini che mi cerchi addosso e che tu non percepisci quando svesto il mare la corrente, se mi nutro di ritorni (un’impronta d’invisibile che annoto tra i capelli, sulle labbra come per caso)

r aspettarti come un luogo mai visitato prima è una cerimonia che mi appresto ad officiare prima che sia marzo e che la fioritura segua nuove linee una propiziazione, che so, ai margini delle tue labbra

s sta tutta fuori la luce che si ripete uguale qui la penombra ha scelto i muri della casa, le mie braccia di passaggio, inciampi di carta che smetto nei catini, insieme con la pioggia

t mi soffermo, come per caso, ruvida ai contorni di pioggia senza la scusa di una stretta, una parola che taglia, che estingue l’inverno alla gola, così resto sola, in avanzo di te

u ci scaviamo la notte, nero di china sulla pelle, nei richiami di terra dentro vestiti, metafore che sostituiscono confini, appena resto come una cosa di là da venire

v e di te che mi coniughi la notte conosco pause profonde a cui manca il giorno, dove ci si può sedere, come di fronte al mare quando spiove e non c’è null’altro che valga la pena dire

w era solo ieri che mettevi in scena nuove prospettive, piccole stanze dove dimora l’invisibile, quando s’incurva sulla mano e lì si annidano le cose. sbocciano perfino, come improvvise. un contrappunto di strane melodie

x si rimane soli quando il buio annuncia il divenire e le cose anche quando accadono, ne puoi sentire il verso rintracciarlo sui corpi, strani segni dappertutto, come voci che muovono alle porte

y ha voci simili all’acqua, la mia casa, una natura sacra che mi trattiene alla forma, anche se a volte non so cosa gocciola sui muri, dove porta questo ostinare una parola, il mare ancora da bocca a bocca

z infine, leggo nei fondi di una tazza, che se ci guardi dentro è uno spartito, un ramo di ciliegio che declina il giorno, vocali aperte ai silenzi delle mani, una spirale, più avanti, oltre la curva dell’istinto, un eco di campane. gli occhi dentro occhi, i tulipani. una sequenza che pare incomprensibile come quando aspetti il lieto fine, di svegliarti, finalmente, per uscire

Altri mondi tecnica mista acrilico, stucco, foglia d'oro, seta su cartone telato

I fondi di maree d’un tratto senza luna soli / disattesi tra le trame del

tempo / e il sogno… altri mondi, paralleli / lontani d’alghe azzurre, oltre le

tende / e nevi di ciliegio tenui, tra le mani

(r.d.)

declin.azioni ho letto questa raccolta tutta d’un fiato e non credo di poterla definire un lavoro pensato, piuttosto l’esposizione di un istinto che a tratti scorre lineare, in altri segue battute d’arresto, interruzioni brusche, come il freno a mano tirato in un tornante. In quei momenti cambia il soggetto, un testacoda ci riporta indietro e si riscivola ancora e ancora, anche in salita. In questa raccolta che parte dalla A e arriva alla Z, come a voler dire tutto, ma proprio tutto quello che c’è da dire di un amore chiuso in una stanza, ci sono parole che si ripetono spesso e volentieri, alle quali però si dà, di volta in volta, uno sguardo nuovo. E infatti l’autrice stessa dice nella lettera M “(a certe parole appartengo / più di altre / forse perché indugiano irrisolte / nella gola)”. È un po’ come quando si fa del microcosmo di una stanza il macrocosmo dell’anima e ogni oggetto e gesto diventa una porta da oltrepassare per scoprire nuovi mondi. Lo sguardo ripassa sulle linee degli oggetti, le curve della tazza o dei pensieri, delle labbra, dei petali di rosa. Gli abiti che si tolgono, si poggiano, si rivestono e si svestono. L’unione, la solitudine, il ritorno. Le azioni che accadono fuori da essa, nel mondo o negli altri svariati mondi esplorati e talvolta indagati fino a sfiorare la maniacalità, vengono testimoniate dai piccoli cambiamenti che si succedono tra le pareti di questa immaginaria stanza dell’amore e l’alfabeto si declina infinite volte con voci sempre diverse. E difatti, con la Z l’autrice stremata cerca la fine, come in un labirinto si cerca il varco giusto (“una sequenza che pare incomprensibile come / quando aspetti il lieto fine, di svegliarti, finalmente, per uscire” ) ma, in questo incalzare verso l’uscita, non si esaurisce l’indagine, che probabilmente ripartirà da un nuovo inizio.

r.d.

26 marzo 2011

versinvena.freeforumzone.leonardo.it