28
QUINDICI CRONACA SPORT CULTURA ANNO 2 N 19 | 15 NOVEMBRE 2018 Risiko, il torneo nazionale approda sotto le Due Torri La storia dell'Archimede dei jukebox Alla scoperta dei beni confiscati alla mafia Supplemento quindicinale di “InCronaca” – giornale del Master in Giornalismo di Bologna L'ULTIMA EDICOLA

Alla scoperta dei beni confiscati Risiko, il torneo ...@display... · ho scritto una lettera a Urbano Cairo – si sfoga Marchica - In una puntata di Report si è vantato di portare

Embed Size (px)

Citation preview

QUINDICI

CRONACA SPORTCULTURA

ANNO 2 N 19 | 15 NOVEMBRE 2018

Risiko, il torneo nazionale approda sotto le Due Torri

La storia dell'Archimede dei jukebox

Alla scoperta dei beni confiscati alla mafia

Supplemento quindicinale di “InCronaca” – giornale del Master in Giornalismo di Bologna

L'ULTIMA EDICOLA

Direttore Responsabile: Giampiero MoscatoEdizione a cura di: Roberto AnselmiDesk: Giulia Gotelli e Gianluca Mavaro

Rivista informativa: Quindici ©Copyright 2017 - Supplemento quindicinale di “InCronaca” Giornale del Master in Giornalismo dell’Università di Bologna Pubblicazione registrata al Tribunale di Bologna in data 15/12/2016 numero 8446via Azzo Gardino, 23 - 40122 BolognaNumero telefonico. 051 2092200E-mail: [email protected] Web: www.incronaca.unibo.it

In copertina: Edicola in piazza XX Settembre. Foto di Tanari M.B.

Il Cartellone di Quindici26

Cinque Stelle, obiettivo Emilia-Romagnadi Riccardo Querciagrossa

17

La caccia ai tesori dei mafiosi di Rita Parrella

14

Il colosso di plastica che teme l'Europa di Alberto De Pasquale

11

L'intervista a Daniele Cabulidi Vittorio Russo

8

Edicole, una categoria a rischio estinzionedi Simone Fontana

4

S O M M A R I O

20

144 Quindici giorni

di Redazione InCronaca

18

Il medico dei jukeboxdi Gabriele Bonfiglioli

20

Salsa (cubana) alla bolognese di Ruggero Tantulli

22

24 Il Risiko degli Asinelli di Silvia Luccianti

S O M M A R I O

Bologna, 13 novembre 2018. "Infami sciacalli" e "pennivendoli puttane": queste le parole usate da Di Maio e da Di Battis-ta per descrivere i giornalisti dopo all’assoluzione della prima cittadina di Roma, Virginia Raggi. La categoria scende in piazza in segno di protesta. Foto di IRENE MORETTI

La foto di QUINDICI

Quindici - 3

(FOTO)

Dal 2010 a oggi sotto le Due Torri ha chiuso i battenti quasi il 30% delle edicole, soffocate dai debiti, dalla concorrenza del web e da una crisi dell’editoria di cui ancora non si vede la fine. In provincia va un po’ meglio, ma i giornali ancora non si vendono e per sopravvivere

bisogna trasformare il proprio business in qualcos’altro. Intanto proprio da Bologna è partito un nuovo modello di distribuzione, che potrebbe spazzare via le residue speranze di tenere aperti i punti vendita. Le responsabilità sono diffuse e molto spesso indefinibili, abbiamo provato a capirne di più con il segretario generale della Sinagi che dal capoluogo emiliano sta provando a dare un futuro agli edicolanti.

di Simone Fontana

SE L’ODORE DI INCHIOSTRO NON ARRIVA PIÙ DALLE EDICOLE

(FOTO)

(FOTO)

Quindici - 5

Nel tratto di strada tra via Borgo San Pietro e via Marconi, a Bologna, fino a sei mesi fa era possibile incontrare

tre edicole. Oggi, al loro posto, ci sono solo due chioschi vuoti, una saracinesca abbassata e le macerie di quello che una volta è stato un sogno. Facendo una rapida ricerca su internet eccole lì, due su tre sono in vendita su una piattaforma di annunci immobiliari: 40 mila euro – ma “trattabili”, si specifica - la prima, 30 mila la seconda, quella adagiata su un marciapiede della centralissima via dei Mille, a due passi da qualsiasi cosa. Alla terza non è andata altrettanto bene, si fa per dire, e il suo proprietario ha semplicemente smesso di potersi permettere l’affitto, divenuto insostenibile sotto il peso delle fidejussioni e di una crisi dell’editoria che non smette di mordere. Tra qualche mese quello scheletro vuoto diventerà un negozio di abbigliamento o una tabaccheria. Non sarà più un’edicola, questo è certo, perché di quelle non se ne aprono più.Solo negli ultimi 8 anni a Bologna i punti vendita sono passati da 250 a 185, il 26% in meno. Un calo verti-ginoso della presenza sul territorio che di solito, in meno di una decade, tocca solo mestieri ormai in disuso - come arrotini e calzolai – residui di un mondo antico e ormai soppiantati dal tempo. Certo, anche nel caso delle edicole la tecnologia ha giocato il suo ruolo, come spiega Giuseppe Marchica, il segretario generale della Sinagi che da sotto le Due Torri lotta per il futu-ro degli edicolanti: «Parte della crisi è dovuta al web. Le notizie arrivano più rapidamente e i giornali cartacei fanno fatica ad adeguarsi, per tor-nare a vendere dovrebbero concen-trarsi sull’approfondimento. In più ai giovani oggi basta leggere i titoli e questo è un problema innanzitutto culturale che dovremmo affronta-re». Gli edicolanti rappresentano di

fatto l’anello più debole della catena editoriale - quello che sconta la scar-sa lungimiranza degli imprenditori dell’informazione, la crisi di credi-bilità dei giornalisti, i cambiamenti di abitudine dei lettori - ma senza poterci fare granché, visto il risibile potere contrattuale. Combattendo, anzi, battaglie utili al resto della fi-liera produttiva: «Abbiamo proposto di cambiare le regole contrattuali, di avere un aggio maggiore – spiega ancora Marchica - Stiamo persino andando verso uno sciopero di cate-goria. L’editoria deve essere sostenuta dallo Stato perché l’informazione è un elemento fondante della demo-crazia. Ma quei soldi devono essere utilizzati per fare veramente i giorna-li, non per coprire le perdite». L’aggio di cui parla Giuseppe Marchi-ca è la cifra che rimane in tasca agli edicolanti, ovvero la differenza tra il prezzo di distribuzione e quello a cui loro realmente venderanno il giorna-le. Quella percentuale oggi è del 18% ed è molto più bassa di quanto possa sembrare: «Proprio in questi giorni ho scritto una lettera a Urbano Cairo – si sfoga Marchica - In una puntata di Report si è vantato di portare oltre 600 mila persone nelle edicole, grazie ai suoi giornali. Ma quelle persone in edicola ci venivano già, solo che lui ha abbassato il prezzo dei settima-nali, portandolo a 1 euro. Sai quant’è il 18% di un euro?». Per ogni copia di DiPiù, il rotocalco settimanale edito da Cairo che si occupa princi-palmente di gossip, l’edicolante gua-dagna appena 18 centesimi, mentre altri 7 vanno al distributore. Solo che nel caso specifico la società di distri-buzione si chiama Sodip e appartiene allo stesso Cairo, che delega poi vari distributori locali abbattendo i costi. Ma questo non è l’unico intoppo nel meccanismo. La maggior parte degli edicolanti è di fatto costretta ad anti-cipare le quote pagandole nell’estrat-to conto settimanale, come rivela una fonte interna alla distribuzione bolognese che preferisce restare ano-nima. Un pagamento sull’unghia che

«L’editoria deve essere sostenuta dallo Stato perché l’informazione è un elemento fondante della democrazia»

Urbano Cairo, presidente di RCS

Quindici - 6

«Anche gli edicolanti devono prendersi la propria parte di responsabilità. Ci vuole coraggio»

rende il mestiere dell’edicolante un investimento perenne, senza la reale certezza di riuscire a rientrare nelle spese. Molti non sono in grado di pa-gare la merce in anticipo e per que-sto ricorrono a mutui e fidejussioni bancarie, sperando che l’azzardo alla lunga possa pagare. Spesso così non è e allora tocca abbassare le serran-de, ammettere la resa. E nel caso del-le edicole il fallimento è ancora più cocente, perché tutto nasce e muore in un chioschetto mobile di pochi metri quadri, e allora insieme all’at-tività viene spazzata via per sempre l’intera storia di quella piccola filiale di distribuzione dell’informazione. Nessuno scheletro, nessuna insegna. Chi passerà non saprà che un tempo lì si vendevano giornali.«Però non si può dare tutta la colpa alla distribuzione o all’editoria – scan-disce la nostra fonte – anche gli edi-colanti devono prendersi la propria parte di responsabilità. La maggior parte di loro non investe abbastanza, acquista meno copie del necessario e quando il lettore passa di lì non trova ciò che cerca. Ci vuole coraggio». Coraggio, certo. Anche se a Bologna

di coraggio ce ne vuole un po’ più che altrove, perché proprio il capoluogo emiliano è diventato il cuore pulsante di un nuovo modello di distribuzio-ne, che potrebbe persino peggiorare le condizioni dei punti vendita. Da qualche tempo Andrea Monti Riffe-ser, editore di QN, Nazione, Il Gior-no e Il Resto del Carlino, ha inaugu-rato la pratica di ampliare la rete di distribuzione, creando tra i 40 e i 50 punti vendita alternativi, per lo più tabacchini e bar. Sempre il nostro di-stributore anonimo ci confida: «Stan-no combattendo questa battaglia ben consapevoli che le edicole rischiano così di chiudere. Da poco in Strada Maggiore ha chiuso un’edicola, loro vendono i giornali cinquanta passi più avanti, in un tabacchi. Il poveri-no non è neanche riuscito a vendere licenza e attività, perché il mercato su quella via era ormai saturo». La particolarità, per il momento, è tutta bolognese e in un certo senso risiede nella natura stessa delle im-prese editoriali italiane. A spartirsi la fetta grossa del mercato della di-stribuzione dei giornali sono fonda-mentalmente tre società, facenti capo

Edicola in vendita in via Pasubio. Foto di Iani Immobiliare

Quindici - 7

rispettivamente a Rcs, Mondadori e Cairo Editore. Ampliare la rete loca-le di punti vendita come sta facendo il Carlino vorrebbe dire vendere più giornali, è vero, ma i maggiori costi per portare fisicamente le copie in posti che non siano edicole ricadreb-bero sulle spalle delle società di di-stribuzione e quindi indirettamente sugli editori stessi. Nel migliore dei casi, sarebbe una partita di giro. Il Resto del Carlino può permettersi di operare in questo modo grazie alla sua natura di quotidiano locale, con una già strutturata rete di distribu-zione sul territorio. Ad oggi il giorna-le bolognese vende in questo modo tra le 600 e le 700 copie – il 3% del totale – un dato che assume ulteriore interesse alla luce del fatto che dallo scorso luglio Andrea Monti Riffeser è il presidente della Fieg, la federazio-ne degli editori dei giornali. I numeri sono spietati: a Milano le edicole in otto anni sono passate da 800 a 500, a Roma da 1000 a 700. Nello stesso lasso di tempo su tutto il territorio italiano sono andate per-se oltre 12 mila attività, vale a dire, nel migliore dei casi, altrettanti posti di lavoro. In provincia il numero di

esercizi in crisi appare però sorpren-dentemente in controtendenza. Dei quasi 500 punti vendita sparsi tra la Bassa, Lugo, Imola e Faenza nel 2010, quelli ancora in piedi oggi sono 420. Il merito è della diversificazione, ov-vero dell’ampliamento dei beni che è possibile acquistare nelle attività dei piccoli paesini. Lì la crisi è iniziata prima che altrove e la quota di in-troiti provenienti dai giornali è sto-ricamente più bassa, compensata da attività collaterali come vendita di sigarette, pagamento di bollettini po-stali e servizio di ricevitoria. Anche gli edicolanti di città stanno provan-do a correre ai ripari, uscendo dalla propria area merceologica per pro-porre ombrelli, souvenir e gadget di vario genere, forse memori di quel periodo d’oro in cui più che i giornali, la gente andava in edicola per acqui-stare gli allegati. La differenziazione, in questo caso, non sembra tuttavia funzionare granché: «Bologna è stata una delle prime città in Italia a sperimentare la vendita di articoli da cartoleria nelle edicole, ad esempio. Questo processo va avanti da vent’anni, ma con la crescita dei centri commerciali per noi non c’è

più mercato – racconta sconsolato il segretario della Sinagi - Quello che potrebbe davvero aiutare le edicole sono i servizi, come ad esempio dare la possibilità di pre-notare visite mediche da noi. Pos-sono portare un po’ di ossigeno, ma per sopravvivere dobbiamo vendere i giornali». E alla fine si torna sempre lì, ai giornali. Quasi come per una maledizione, le edi-cole sono destinate a soccombere senza una stampa in salute. «Ma vale anche il contrario – avverte Marchica – chi pensa di vendere i giornali dal panettiere si accor-gerà molto presto dell’enorme er-rore di valutazione compiuto».

«Chi pensa di vendere i giornali dal panettiere si accorgerà presto dell’errore compiuto»

In futuro ipermercati più piccoli

L'intervista a Daniele Cabuli, direttore generale dell'azienda che ha saputo aggirare l'ostacolo dell'e-commerce e con l'occhio puntato sull'ambientedi Vittorio Russo

Igd, la società con 2,43 miliardi in valore di immobili

Quindici - 8

L'intervista

Una storia lunga diciotto anni, il tempo giusto per quotarsi in borsa a Milano e accumulare 2,43miliardi, in valore, di immobili. È Igd, una delle principali società nel settore immobiliare retail del

nostro Paese ed è stata la prima realtà italiana a far parte del regime delle Siiq, le società d’investimento immobiliare quotate. Dalla Lombardia alla Sicilia, Igd gestisce e sviluppa centri commerciali in dodici regioni italiane, ma il cuore è fortemente rossoblù, perché è Bologna la città in cui è nata e quella da cui è partito il suo successo. Tra ipermercati, supermercati, gallerie commerciali, retail park e city center, sono sessanta le unità immobiliari di proprietà di Igd in tutta la Penisola. Ma la società non è solo attiva sul territorio nazionale, vanta infatti un’importante presenza anche nella distribuzione retail della Romania, dove è proprietaria di quattordici centri commerciali e di una palazzina di uffici. Successi e traguardi raggiunti

nonostante la crisi economica e grazie alle centrotrenta persone al lavoro nella società con un posizionamento molto competitivo sul mercato e un’ancora alimentare molto integrata sul territorio. Gli obiettivi futuri di Igd? Consolidare il patrimonio italiano, supportare la causa dell’ecosostenibilità e fare dei centri commerciali non solo luoghi destinati allo shopping, ma anche ai servizi alle persone e a possibilità di divertimento. A esporli, tra le tante cose, Daniele Cabuli, direttore generale Igd.

A Bologna si è scatenata una polemica per l’ennesi-mo punto vendita e ristoro in centro, proprio accan-to alla cattedrale. I supermercati, secondo lei, do-vrebbero stare in aree prive di monumenti storici?«Costruire supermercati in aree di interesse sto-rico-artistico, oppure davanti alla cattedrale può sembrare senza dubbio inopportuno dal punto di vista estetico. A differenza di Coop, Carrefour e

Quindici - 9

Panorama, noi di Igd nei centri storici non abbiamo proprietà affittate a chi si occupa di supermercati. Nulla in contrario, ma lavoriamo per centri commer-ciali di medie dimensioni e comunque mai all'inter-no delle vie cittadine. Capisco, però, che possa essere un’esigenza della grande distribuzione per risponde-re alla crisi dei grandi formati: c’è la necessità di an-dare più vicino al consumatore e alle sue richieste».

A Bologna sono troppi i centri commerciali?«A mio avviso, per quanto riguarda i centri com-merciali, Bologna è a posto. Con i poli di Castena-so e Casalecchio, due parchi commerciali, il Pia-neta, il Centro Lame e il Centro Borgo direi che è piena. Del resto, non è una megalopoli; non è Milano».

I centri commerciali già esistenti sono tutti di nuova costruzione o sono il frutto di una riconversione?«I nostri centri commerciali non derivano da ricon-versione. Sono tutti recenti, basti pensare che sei sono stati aperti tra 2009 e il 2010. In genere, preferiamo acquisire centri commerciali già realizzati e non far-li, perché il nostro lavoro consiste nella gestione delle proprietà. Per i prossimi anni non prevediamo atti-vità di sviluppo, ma siamo alla finestra. Se il merca-to propone cose interessanti e in linea con il nostro portafoglio, ci pensiamo. Abbiamo, però, già dichia-rato che non faremo acquisizioni, ovvero che non ci sarà aumento di capitale per i prossimi tre anni».

La maggior parte dei centri commerciali di vostra proprietà si trovano nelle zone centro-settentrionali d’Italia. A sud, invece, si contano solo i tre di Napoli, Palermo e Catania. Come spiega questa disparità?«Può sembrare un luogo comune, invece è la real-tà: al sud, lo sviluppo è stato ed è complicato. Lì c’è uno scenario economico diverso, con un reddito pro-capite molto più basso rispetto al resto d’Italia e, soprattutto, con una cultura del commercio anco-ra legata alla tradizione, poco aperta alla modernità. Nel corso degli anni, però, siamo riusciti a modifi-care le nostre proposte commerciali per risponde-re alle esigenze anche di quel tipo di territorio».

Cosa pensa della chiusura domenicale dei centri com-mericali?«Siamo contrari alla chiusura domenicale e duran-te le festività dei centri commerciali, i cui ingressi e fatturati raggiungono dimensioni importanti spes-so proprio in quei giorni. La domenica, ad esempio, è la seconda giornata, dopo il sabato, in cui si regi-stra una maggiore affluenza e, di conseguenza, un maggiore guadagno. Chiaro, quindi, che una simile disposizione causerebbe una diminuzione di tutto ciò e problemi anche a chi lavora in questo settore».

Igd ha 15 punti proprietà in Romania. Perché pro-prio la Romania? «Negli anni della grande euforia immobiliare, la Ro-mania ha rappresentato per noi un’opportunità. Era un paese che usciva da anni di dittatura e di regimi non particolarmente brillanti; era ed è tuttora un pae-se in via di sviluppo, con una crescita annuale del Pil intorno al 3%, dove chi era andato via sta addirittura ritornando. L’abbiamo presa nel 2008 come possibili-tà di aggancio a un Est europeo che stava crescendo molto. Poi, abbiamo cambiato rotta, ma è stata un’o-perazione di successo. Se riusciamo, la vendiamo sen-za svalutarla: il valore è di circa 160milioni di euro su un patrimonio complessivo di 2,4miliardi».

Borsa. Il vostro titolo ha sentito gli effetti di questi mesi di turbolenza?«Sì. Il nostro titolo ne ha risentito, come tutti gli altri. Gli investitori internazionali non stanno alla finestra a vedere quello che succederà. Stanno, invece, scappando non dal nostro titolo, ma dall’Italia. Spero che qualcuno se ne renderà conto, anche se temo sia già troppo tardi».

Crisi economica e crisi degli ipermercati, quanto hanno inciso sul valore dei vostri muri?«Dalla crisi siamo usciti senza subire grosse svalu-tazioni. I nostri immobili italiani hanno tenuto ab-bastanza, perché sono centri commerciali non ubi-cati fuori città, di medie dimensioni, che abbiamo sempre innovato e manutenuto con investimenti consistenti. Alla crisi degli ipermercati, invece, ab-biamo sopperito rimodulando i centri e le gallerie commerciali. Le dimensioni delle Porte di Napoli ad Afragola, ad esempio, sono state ridotte di cinque-mila metri quadrati, utilizzati per dare spazio a nuo-ve strutture che rivitalizzassero l’intero parco com-merciale. Ecco, queste soluzioni ci hanno permesso di mantenere il canone e anche il valore. Qualcosa è stato svalutato certo, ma è tutto molto marginale».Si legge spesso sui giornali che i centri commercia-li americani sono in crisi anche per aver subito in

«Gli investitori internazionali stanno scappando, non dal nostro titolo, ma dall'Italia»

Quindici - 10

modo consistente l’e-commerce. Voi come avete l’a-vete affrontato?«L’e-commerce è la minaccia numero uno per chi fa il nostro mestiere. Quelli bravi riescono a fare di questa un’opportunità, noi ci stiamo lavorando. Ab-biamo capito che si può convivere con l’e-commerce, senza per forza subirlo. Emblematico è l’accordo che abbiamo realizzato con Amazon per inserire all’in-terno dei centri commerciali i lockers, i loro armadi dove poter ritirare le merci ordinate virtualmente. Inoltre, Amazon sta cercando anche strutture fisiche dove aprire il proprio marchio. Quindi, è in atto una vera e propria trasformazione, foriera di integrazione e complementarità. Nel corso del tempo questo impli-cherà una riduzione delle superfici, non si vedranno più strutture di tremila metri quadrati; non saranno più necessarie. Mediaworld, ad esempio, sta già rea-lizzando negozi più piccoli dove poter esprimere com-plessivamente la propria proposta da integrare, però, con l’online. Ecco, ciò dimostra che queste forme di commercio possono convivere e integrarsi a vicenda».

Quali sono gli obiettivi strategici futuri di Igd? C’è la possibilità di un’espansione all’estero?«Abbiamo recentemente approvato il nuovo pia-no strategico della società. Si tratta di un piano di consolidamento del nostro patrimonio, per render-lo più efficiente e competitivo in futuro. Inoltre, ci siamo fatti promotori della riduzione di alcune su-perfici di ipermercati: da qui al 2020, cinque iper-mercati, sparsi in tutta Italia, saranno ridotti di di-mensioni. Non faremo, invece, ulteriori investimenti all’estero: l’esperimento in Romania rimarrà tale. Preferiamo concentrarci sul patrimonio italiano».

E quelli in materia di sostenibilità?«Sono vari. Dal punto di vista ambientale, intendiamo lavorare sui consumi energetici e sull’energia pulita, attraverso il fotovoltaico, o ancora l’inserimento delle colonnine di ricariche per le biciclette e le auto. Sei milioni dei nostri investimenti nei prossimi due anni saranno destinati al tema energetico. Non abbiamo tralasciato l’etica e la socialità e, infatti, da parecchi anni nei centri commerciali facciamo eventi lontani da quelli ai quali siamo abituati, con star momenta-nee della rete e personaggi famosi. Abbiamo sposato una causa sociale, spesso a discapito della capacità attrattiva del centro commerciale, ma crediamo che anche questo sia sostenibile. Soprattutto educativo».

«L’esperimento in Romania rimarrà tale. Preferiamo concentrarci sul patrimonio italiano»

Quindici - 11

Cinque Stelle: obiettivo Emilia-Romagna

Alle prossime elezioni regionali Lega Nord e Pd sembrano essere i duellanti predestinati. Ma i grillini sono motivati e attrezzati per rovinare la festa a entrambi

È una montagna da scalare quella che aspetta il Movimento 5 stelle alle prossime elezioni regionali previste per l’autunno 2019. La Lega nord, oggi di fatto il vero baluardo della destra italiana, vola nei sondaggi con il 36%

delle preferenze e il Pd, erede di quella sinistra che ha governato l’Emilia-Romagna fin dall’istituzione delle regioni nel 1970, sembra un gigante in agonia che si dibatte per non cedere la propria roccaforte prediletta. L’ultima ricerca pubblicata da Euromedia research da Pd e 5stelle pari al 22%, altre analisi sono più caute e mettono Il movimento intorno al 26%; quello che è certo è che il divario con la Lega si sta allargando. Silvia Piccinini, capogruppo regionale del Movimento 5 stelle, resta però fiduciosa: «I sondaggi, specialmente a così tanto tempo dalla data del voto, lasciano il tempo che trovano. Le ultime elezioni, quelle del 4 marzo 2018, ci hanno detto che il M5S è la prima forza politica

in Emilia-Romagna con il 27%». Intanto nessuno dei tre contendenti ha ancora scelto il proprio candidato, ma se la Lega forte del consenso che spinge forte le sue vele ha già chiarito che correrà con partiti a lei più congeniali (Forza Italia), il Movimento è costretto dalle circostanze a guardarsi intorno in cerca di alleati che possano contribuire a colmare il gap. Poche settimane fa Massimo Bugani, capogruppo 5stelle in Comune e vicecapo della segreteria di Luigi Di Maio, ha dichiarato che il Movimento vincerà in Emilia-Romagna alleandosi a liste civiche. «Il Movimento 5 Stelle è un movimento civico, è nel suo dna - continua Piccinini, - da noi non ci sono politici di professione ma cittadini che mettono a disposizione le loro competenze per migliorare la società in cui vivono. Siamo sempre aperti a raccogliere idee e personalità che possano dare un contributo di crescita». Anche sulle modalità di selezione dei futuri candidati Piccinini assicura

di Riccardo Querciagrossa

Secondo i politologi il Movimento non vincerà, ma i militanti sono molti

Politica

Quindici - 12

che: «A sceglierli, come sempre, sarà la rete e dalla reta sarà eletto il candidato presidente che correrà per le regionali. Da noi le decisioni non sono prese dalle segreterie di partito né ci sono autoproclamazioni». Ora bisognerà capire se il Movimento sarà in grado non solo di catalizzare l’interesse di personalità di spicco della società civile ma soprattutto di non perderle per strada come è successo con il sindaco di Parma Federico Pizzarotti, primo sindaco 5 stelle a conquistare una grande città e poi scaricato dal Movimento nel 2016, che oggi sembra vicino al Pd Di Bonaccini. Pizzarotti è solo il caso più noto, gli espulsi in Emilia-Romagna – regione che ha visto nascere il Movimento con il V-Day del 2007 a Bologna – sono stati tanti, dai militanti Giovanni Favia e Valentino Tavolazzi, che hanno inaugurato le estromissioni nel 2012, fino al consigliere regionale Gianluca Sassi espulso nel febbraio 2018 per inadempienze nella restituzione di parte dello stipendio. Queste espulsioni sono il prezzo che il Movimento paga per restare fedele a sé stesso. Ogni 4/5 mesi i consiglieri sono infatti tenuti a devolvere parte del proprio stipendio, che in Emilia-Romagna è già quasi la metà rispetto ai

consiglieri delle altre regioni, ad un fondo per il micro credito: ad oggi sono stati devoluti 312mila euro. Il successo 5stelle si spiega alla luce di queste inizia-tive, ma nonostante alle politiche di marzo il Movi-mento si sia laureato primo partito in Regione con il 27,5% di preferenze - centrodestra e centrosinistra ne hanno prese rispettivamente 33 e 30,8% ma si trattava di coalizione di partiti - per il politologo Piero Ignazi non hanno alcuna possibilità di vincere. «Hanno spe-ranza in regioni dove c’è una profonda disaffezione e un’alternativa credibile come a Roma o Torino – argo-menta Ignazi - al momento in Emilia-Romagna non è presente nessuna delle due condizioni». Secondo il politologo bolognese la classe dirigente grillina non è in grado di offrire o attirare figure di spessore: «Il movimento oggi è scomparso, dopo una grande par-tenza sui temi postmoderni e postindustriali capaci di attrarre anche personalità importanti l’ondata antipo-litica ha travolto tutto e ora è rimasto il vuoto». La vo-glia di cambiamento potrebbe però non essere anco-ra scemata. Sull’onda del successo nazionale i 5 stelle hanno strappato Imola alla sinistra dopo 73 anni e la base, come spiega il consigliere di quartiere di Borgo Reno Andrea Billi, sente che il cambiamento è davvero possibile. «Nel Movimento è in atto una metamorfosi – racconta Billi – oggi siamo al Governo, e le scelte in abito nazionale vengono vissute da alcuni come com-promessi inaccettabili ma la compattezza sul territo-rio, così come la consapevolezza di poter fare qualcosa di importante, è aumentata». I militanti 5 stelle nelle città emiliano-romagnole sono diverse centinaia e si incontrano mensilmente utilizzando MeetUp, un sito che permette di organizzare incontri fra persone inte-ressate ad un argomento. Bologna conta 749 militanti, Rimini 629, Ferrara 498 e Modena, provincia inclusa, ben 1626. Insomma forse, l’ultima parola nella sfida per la Regione deve essere ancora detta.

«Il movimento oggi è scomparso, dopo una grande partenza sui temi capaci di attrarre, l’ondata antipolitica ha travolto tutto e ora è rimasto il vuoto»

In foto: Silvia Piccinini, capogruppo regionale M5S

Piero Ignazi, politologo e professore Alma Mater

Parola all'esperto

Abbiamo chiesto a Paolo Pombeni, politologo e professore emerito all’Alma Mater di Bologna se i 5 stelle possono ambire a conquistare l’Emilia-Romagna. Ecco cosa ci ha raccontato.

Professore gli ultimi sondaggi pubblicati da Euromedia Research danno Lega al 36% seguita a distanza da Pd e Movimento 5 stelle al 22%. È una distanza colmabile?«Con i tempi che corrono i sondaggi valgono relativamente, da qui alle elezioni tutto può cam-biare anche in maniera significativa. Dipenderà da cosa succederà a livello nazionale e in mezzo ci sono anche le europee».

La Lega punta molto sulla conquista dell’Emilia-Romagna per cambiare i rapporti di forza all’interno del governo. Le regioni traino del paese - Emilia, Lombardia e Veneto – andreb-bero a comporre un blocco leghista. Questo scenario potrebbe generare un dialogo fra 5 stelle e Pd?«È possibile ma sarebbe un dialogo mortale. I 5 stelle non stanno dando grandi prove di capacità di governo. Per il Pd sarebbe una scelta disperata, si metterebbe sulla schiena delle persone che dopo non saranno in grado di governare. Ci vuole lo stomaco di Salvini per governare con i 5 stelle e in questo momento il Pd quello stomaco non ce l’ha».

Sull’onda delle politiche del 4 marzo è arrivato il trionfo di Imola. Da quel momento ad oggi crede che il movimento abbia perso qualcosa?«Sì, per due aspetti. Primo perché queste vittorie non si sono rivelate promotrici di una nuova classe dirigente di un certo spessore, non mi sembra che ad Imola stiano governando parti-colarmente bene, e anche a livello nazionale si stanno mostrando incapaci confrontarsi con i problemi».

Come è cambiato in questi anni il Movimento a Bologna e in Emilia-Romagna?«Qui il Movimento non è mai stato capace di avere figure trascinanti, a livello locale ha figure tributarie del successo nazionale. Purtroppo un Movimento 5 stelle emiliano-romagnolo non si vede. Non sono stati in grado di trattenere quella classe dirigente che in una prima fase li si era avvicinata. Penso soprattutto a Pizzarotti».

Massimo Bugani ha recentemente dichiarato che il Movimento vincerà alleandosi a liste civiche. È possibile che candidino un civico alle prossime regionali?«È la strada che dovrebbero perseguire, un civico di un certo peso li porterebbe un sacco di voti. Il problema non è che la gente non vota per i 5 stelle ma contro quelli che ci sono, questo il Pd non lo ha capito. Tuttavia per come sono fatti loro è difficile prendere una personalità del mondo civile e concedergli spazio. Se trovano una persona di peso non possono fargli fare la bella statuina come fanno con Conte, ma loro non sono psicologicamente portati a dare spazio a nessuno».

Quindici - 13

La caccia ai tesori dei mafiosi

Sono oltre 500 gli immobili tolti ai clan in Emilia. A Bologna il vice questore vive in uno di questi alloggi. Così Bologna vuole scavalcare la burocrazia e l’Alma Mater lancia il primo master in gestione dei beni confiscatidi Rita Parrella

La difficile comunicazione tra enti e la burocrazia gli ostacoli principali

Quindici - 14

Cronaca

Un appartamento in galleria Falcone e Borsellino, una delle zone più chic di Bologna, è diventato l’alloggio del vice questore. Al suo ex proprietario, Giovanni Costa, la giustizia ha tolto

anche una grossa villa a ridosso dei colli. Presto sarà trasformata in un condominio per giovani e persone con problemi economici. Sono i beni confiscati in città che hanno avuto un nuovo inizio. Per gli altri, la maggior parte, non c’è ancora una destinazione. A causa di lunghi iter giudiziari e della burocrazia, prima di essere riutilizzati potrebbero passare diversi anni. Nel frattempo i ‘tesori’ dei mafiosi in regione aumentano e, nella caccia al bottino, Bologna, che ospita l’unico master in gestione dei beni confiscati d’Italia, con un Protocollo trova la sua strada per andare oltre la burocrazia. I numeri delle confische sono quasi raddoppiati di

recente a causa del processo Aemilia. Solo con l’ulti-ma sentenza più di 250 immobili, 30 società edili, 7 ristoranti, ma anche 130 veicoli tra auto e camion si sono aggiunti ai 304 immobili già presenti in regione. Di questa mole incredibile di beni in arrivo, figura-no anche 4 appartamenti a Monzuno, in provincia di Bologna dove se ne contavano 70, almeno secondo il quadro presentato sul sito emiliaromagna.confiscatibe-ne.it, aggiornato a maggio 2016. Si tratta per lo più di case - le aziende sono pochissime - e nel caso speci-fico di Bologna, di case confiscate a Giovanni Costa, un ‘palazzinaro’ di Villabate, Palermo, legato a Cosa nostra. Costa si era trasferito a Bologna agli inizi de-gli anni ’90 e vi aveva fatto fortuna con le sue società Costa Immobiliare Srl e Costa Costruzioni Spa, fino al 2008 quando si dà latitante per un’inchiesta della Procura di Palermo che lo vede coinvolto. Nel 2013 viene arrestato a Santo Domingo, ma la sua famiglia

Quindici - 15

vive ancora a Bologna in uno degli appartamenti con-fiscati in galleria Falcone e Borsellino. Un secondo appartamento nella stessa galleria, è quello diventato l’alloggio del vice questore. «A Bologna dal punto di vista statistico sono stati molti i casi di prelazione da parte dello Stato – spiega Sofia Nardacchione, tra le coordinatrici di Libera a Bologna - quindi, alla fine, agli enti locali sono rimasti i beni più difficilmente ri-utilizzabili a fini sociali, per motivi economici o buro-cratici». I beni messi peggio, secondo Libera, restano lì aspettando che il Comune o altri enti ne facciano richiesta. Un’attesa che può arrivare fino a dieci anni, come nel caso di Villa Celestina, un immobile di 1000 metri quadri in via Boccaccio, laterale di viale Aldi-ni, confiscata anch’essa a Giovanni Costa. Il Comune l’ha ottenuta in gestione a marzo e vorrebbe farci una decina di appartamenti a canone calmierato dedica-ti a giovani coppie e persone sfrattate. Per mettere a posto la villa, ormai fatiscente, servono 3,2 milioni di euro, che arriveranno grazie a un finanziamento del Ministero di grazia e giustizia. «Senza questi soldi – è la considerazione di Sofia Nardacchione- il Comu-ne non avrebbe fatto richiesta. Pur volendo, in alcuni casi, agli enti e alle associazioni mancano le risorse necessarie per riadattare gli spazi». Quando non sono i soldi a essere un problema, allora lo è la burocrazia, fatta spesso di minuzie che rallentano ulteriormente l’iter. Come è accaduto per un garage in via Matteotti che sarebbe potuto diventare un magazzino del tea-tro Testoni. Così non è stato per un vizio di forma: nel bando la destinazione d’uso ‘autorimessa’ andava cambiata in ‘magazzino’. Il Comune aveva perfino pro-grammato di utilizzare i soldi dell’affitto per mettere in scena degli spettacoli teatrali sul tema della lotta alla mafia, proprio con gli attori del Testoni e in collabo-razione con Libera, che si era impegnata nella ricerca di un utente interessato. Ma ora il bando dovrà essere

ripubblicato. «Cerchiamo di fare un lavoro di media-zione. Il nostro scopo è trovare soggetti che vogliano prendere in gestione i beni, non che vengano assegnati a noi – continua la coordinatrice di Libera - Spesso i Comuni non sono neanche a conoscenza degli spazi e delle loro possibilità». Quando la confisca diventa definitiva, la gestione dei beni passa dal Tribunale all’Agenzia nazionale dei beni sequetrati e confiscati. La sede con competenza per l’Emilia-Romagna è a Roma, lontano da Bologna. Ce ne sono poi altre quattro dislocate a Milano, Napoli, Palermo e Reggio Calabria. Qui si decide se affidare il patrimonio tolto ai clan ai vari enti, sempre che ne fac-ciano richiesta. Come, infatti, sottolinea sempre Nar-dacchione: «È lo stesso Comune che, spesso, deve in-teressarsi fin da subito e in prima persona di un bene confiscato per poterlo avere in gestione dall’Agenzia nazionale». In realtà, dal 2011 la legge 159 prevede la possibilità di riutilizzare i beni prima della confisca definitiva, quando la responsabilità è ancora in capo al Tribunale, che di norma nomina un amministratore giudiziario. Non tanto per gli immobili, quanto per le società, specialmente quelle con dipendenti, fa la dif-ferenza nel decretarne la salvezza. Anche se poi, non sempre riesce all’amministratore giudiziario

«È lo stesso Comune che deve interessarsi subito e in prima persona di un bene confiscato per poterlo avere in gestione»

Quindici - 16

immettere le attività illecite in un percorso ‘pulito’ e di-chiarare fallimento risulta l’unica opzione. Per evitare che alla fine a farne le spese in una confisca siano i lavoratori, il protocollo di Bologna, un documento programmatico che si propone di rendere l’iter di assegnazione dei beni più veloce con la concertazione territoriale, è stato firma-to a settembre del 2017 anche dai sindacati. Il protocollo per certi versi anticipa la portata dell’ultima riforma, va-rata poche settimane dopo, a novembre. Per la giurista Stefania Pellegrini che ne ha redatto il testo: «È uno stru-mento duttile per creare una connessione tra parti socia-li che agiscono in un determinato contesto territoriale, perchè il modello generale si arricchisce a seconda dei luoghi delle sensibilità particolari. Ad esempio in Emilia, per un supporto più incisivo alle imprese confiscate non si poteva prescindere dal mondo della cooperazione». Il protocollo è stato preso in prestito da Roma, utilizzato dalla sezione del Tribunale per le misure di prevenzione, per alcuni beni sequestrati in Mafia Capitale, e potrebbe

essere presto ‘copiato’ da Modena e Reggio Emilia. Bologna arriva prima anche da un altro punto di vi-sta. L’Alma Mater ha lanciato l’unico master in Italia in Gestione dei beni confiscati e sequestrati, diretto proprio dalla professoressa Pellegrini. Il master pro-pone un tipo di specializzazione, ormai necessaria per l’iscrizione all’albo degli ufficiali giudiziari e forma anche i cosiddetti coauditori, figure di consu-lenza del Tribunale e dell’Agenzia di Stato. Avvocati, commercialisti e neolaureati in giurisprudenza ar-rivano perfino dalla Sicilia per frequentare il corso, ormai alla sesta edizione. Luisa Parisi è una di loro. «Se va in porto il piano del Governo di inserire nella manovra la possibilità di vendita dei beni – spiega - potrebbero con facilità ricadere nelle mani sbagliate e sarebbe un grosso passo indietro». Per Luisa non si tratta dell’unico provvedimento pen-taleghista che avrà un effetto sulle confische. «Il de-creto sicurezza ridimensionerà il sistema sprar. Mol-ti beni sono stati usati proprio per ospitare i migranti e ora rischiano di tornare vuoti», aggiunge. Il pensie-ro va al centro d’accoglienza gestito dall’associazione Arca di Noè in una villa di San Lazzaro confiscata al giostraio Fabrizio Bonora, che ospita oggi dieci ra-gazzi sui vent’anni e che potrebbe presto svuotarsi. Il 29 ottobre il Comune di Bologna ha messo simboli-camnete all’ordine del giorno la sospensione del de-creto sicurezza, ma a conti fatti il destino dello sprar è incerto e per villa Bonora potrebbe cominciare un nuovo iter.

«Il decreto sicurezza ridimensionerà il sistema sprar. Molti beni sono stati usati proprio per ospitare i migranti e ora rischiano di tornare vuoti»

L'aveva ingannata a fine agosto chiedendole una caparra corrispondente a tre mesi di affitto (cir-ca 1.900 euro) e poi non le aveva dato le chiavi di casa. La vittima 29enne lo ha riconosciuto per stra-da e insieme sono andati in questura. È stato que-sto l'insolito epilogo di una classica truffa per un affitto. La proposta le era arrivata da un conoscen-te che le aveva presentato il presunto padrone di una casa nella zona di via Massarenti, un vicentino 48enne. Il truffatore le aveva chiesto un anticipo come garanzia di tre mensilità che la giovane ave-va versato, aspettandosi in cambio le chiavi dell'ap-partamento. Chiavi che però non sono mai arrivate. Crescono le malattie ses-

sualmente trasmissibili a Bologna. Negli ultimi 15 anni i casi di sifilide sono aumentati del 400%. I nuovi contagi sono tra i 100 e i 120 all'anno. In ri-alzo anche le infezioni di clamidia (300 casi all’an-no) e gonorrea (170). I più esposti sono i ragazzi tra i 18 e i 25 anni. Ma anche gli uomini over 50. I dati sono stati forniti da Anto-nietta D’Antuono, respon-sabile del centro malattie sessualmente trasmissibili del dipartimento di der-matologia del policlini-co Sant’Orsola, a cui ogni anno 3.500 perone si rivol-gono come primo accesso. «L’aumento della sifilide riguarda per la maggior parte gli uomini, con una maggiore incidenza tra gli omossessuali», pre-cisa D’Antuono. Il nodo della questione resta la prevenzione. «Anche dei profilattici si parla poco - prosegue la dermatolo-ga - molti sottovalutano i rapporti orali e anali, per-ché abituati a pensare che il rischio sia legato a una gravidanza indesiderata».

Sifilide in crescita del 400 per cento

SocietàCronacaLa truffa ma dopo si autodenuncia

Film à porter, la moda al LumièreCultura

Va in scena Film à porter: cinema, stile e narrazioni di moda che si sussegui-ranno da giovedì 15 a sa-bato 17 grazie alla colla-borazione fra Cineteca di Bologna e la Fondazione Fashion Research Italy. L’inaugurazione, prevista per le 18.30 alla Fonda-zione in via del Fondi-tore, sarà dedicata all’in-stallazione Seduction Pavillion, un percorso fotografico composto dagli scatti inediti della

Collezione Galliadi che ritraggono le pin-up e le aspiranti dive degli anni ’30, ’40 e ’50. Le foto sa-ranno protette da un ci-lindro di tessuto morbido semi trasparente, che il visitatore dovrà scostare per ammirare le bellezze del cinema in un gioco che rimanda alla sensua-lità del “vedo e non vedo”. A seguire, la sera stessa, le letture del direttore della Cineteca Farinelli e della professoressa Muzzarelli.

Il Tecnopolo si farà entro il 2020. Oggi, tra le ceneri del-la ex Manifattura Tabacchi, si iniziano a dare le prime date certe di quello che, per 15 anni, è stato solo un progetto sulla carta. Nel capannone più grande del complesso, si sono dati appuntamento l’assessore allo sviluppo Patrizio Bianchi, il presidente del board opera-tivo e la direttrice generale del Centro Europeo per le pre-visioni tecnologiche, Miguel Miranda e Florence Rabier. Bologna è stata scelta come sede di uno dei maggiori cen-tri europei di raccolta e studio dati sul clima.

Al via il Tecnopolo entro il 2020

Economia

In aula, per il processo a Gil-berto Cavallini per concorso in strage è stato il turno di Mirella Cuoghi, ferita dalla bomba del 2 agosto 1980 e ascoltata come teste. «Quella mattina, mentre ero in atte-sa di un autobus, fui attirata con lo sguardo da tre giova-ni sul prato davanti alla sta-zione con calzettoni lunghi, scarponi da montagna e de-gli zaini». Secondo la teste, una dei tre poteva essere Francesca Mambro, terrori-sta dei Nar.

2 agosto

QUINDICI giorni

«Quella sembrava la Mambro»

Il colosso di plastica che teme l’Europa

Ansia per i 320 lavoratori dell'Ilip di Bazzano che ogni anno produce tre miliardi di bicchieri, piatti, posate e confezioni per alimenti usa e getta

di Alberto De Pasquale

Bruxelles ha dichiarato guerra al monouso: sarà vietato dal 2021

Quindici - 18

Economia

«È chiaro che siamo preoccupati», ammette Roberto Zanichelli, direttore commerciale e marketing di Ilip. La società di Bazzano ha 285 dipendenti e 35 lavoratori interinali. Ogni anno produce tre miliardi di piatti, bicchieri,

posate e imballaggi per alimenti che l’Europa ha deciso di vietare. Fa parte del gruppo Ilpa, che esporta in oltre 55 paesi nel mondo. Il manager non ci gira intorno: «Quella direttiva ci provocherebbe perdita di fatturato».Difficile immaginare una vita senza plastica. In pratica è ovunque. E la tavola non fa certo eccezione. Basti pensare al bicchierino dei distributori automatici di caffè. Al piatto su cui servono il nostro street food pre-ferito. Alle posate che usiamo per uno spuntino veloce a casa quando siamo troppo pigri per lavare forchette e coltelli. Eppure il 24 ottobre l'Europarlamento ha ap-provato a larga maggioranza una normativa proposta dalla Commissione per mettere al bando proprio alcu-ni prodotti monouso in plastica. Si tratta dei piatti, dei

bicchierini e delle posate usa e getta. Come quelli co-lorati delle feste. Li utilizziamo e poi li abbandoniamo. Giusto il tempo di una fetta di torta o di un brindisi. Ora li abbandoneremo per sempre. Nella bozza della direttiva si citano anche cotton fioc, cannucce, palet-te per mescolare il caffè e bastoncini per palloncini. Verranno tutti messi al bando perché costituiscono il 70% dei rifiuti di mari e oceani. Il 6 novembre l’au-la ha avviato i negoziati col Consiglio dell’Unione e se non ci saranno rallentamenti nell’iter lo stop totale alla produzione sarà in vigore dal 2021. Il divieto in-combente allarma l'Italia, che è leader europeo nella realizzazione di stoviglie monouso in plastica. Anche grazie all’Ilip, che produce e vende alla grande distri-buzione 11 gamme di articoli usa e getta: dai piatti alle posate, dai bicchieri per drink e frullati alle coppette da gelato. Forte di un fatturato di 135 milioni di euro nel 2017 rappresenta una realtà chiave di un settore che in Italia genera un giro d’affari da un miliardo di euro. Le notizie che arrivano da Bruxelles non sono

Quindici - 19

certo rassicuranti. È ancora presto per fare calcoli. Ma per Ilip il monouso vale il 50% del fatturato.Nella guerra alla plastica ognuno studia le proprie mosse. Da un lato la Commissione europea vuole ri-durre l’inquinamento di mari e oceani. Dall’altro le aziende del settore, che sottolineano l’indispensabilità e la praticità della plastica e puntano il dito contro la scarsa sensibilità dei cittadini alla cultura del riciclo. L’Europa genera ogni anno 25.8 milioni di tonnella-te di rifiuti di plastica. Ma meno del 30% di questo materiale viene raccolto per poter essere poi riciclato. «Il problema non è tanto il prodotto in sé – chiarisce Zanichelli – Ma il suo riutilizzo». La direttiva renderà illegali piatti, bicchieri, posate e cannucce monouso perché per le stoviglie esiste un’alternativa non in pla-stica. E quella alternativa è la carta. Dal 2021 nei fast food, nei bar e per il cibo take away useremo solo sto-viglie a base di cellulosa. «Sono prodotti che noi di Ilip abbiamo in catalogo perché li importiamo dalla Cina – prosegue Zanichelli – Una produzione industriale di cellulosa in Europa o qui in Italia non esiste e non sarebbe nemmeno sostenibile». La direttiva quindi penalizzerebbe il settore. E l’Italia perderebbe il suo vantaggio competitivo. Mentre il Dragone cinese pare viaggiare troppo veloce per poter essere acciuffato. «I tempi per una produzione nostra sarebbero lunghissi-mi». L’azienda avrebbe bisogno di «due stabilimenti» e «cinque o sei linee» di fabbrica in più per realizzare tanti piatti in polpa di cellulosa quanti quelli prodotti oggi in plastica. Senza considerare il costo dell’inve-stimento per la riconversione industriale completa. La linea difensiva delle aziende produttrici prevede di ricordare che «il 95% dei rifiuti in plastica» arriva in Europa dai fiumi del Sud-est asiatico. E se a questo si aggiunge il predominio cinese sui prodotti in polpa di cellulosa, «come si dice a Napoli, siamo cornuti e maz-ziati», sorride amaramente Zanichelli.Ma oltre al primato europeo nella produzione di stovi-glie monouso in plastica, l’Italia è anche primo produt-tore – in questo caso al mondo – di bioplastica, quella prodotta con materiale organico e senza derivati del petrolio. Il fiore all'occhiello bolognese in questo set-tore è la Bio-On di San Giorgio di Piano, che dal 2007 realizza plastica del tutto biodegradabile ottenuta da fonti rinnovabili o da scarti della lavorazione agricola. Da quest'estate l'azienda vale oltre un miliardo di euro e recentemente ha siglato un accordo in Russia da 17.6 milioni per cedere la licenza d'uso della propria tecno-logia. Anche Ilip realizza stoviglie in bioplastica, ma in una quantità irrisoria, pari circa all'1% della produzio-ne. Ma poco importa, perché pure la plastica innovati-va a minor impatto ambientale verrebbe tagliata fuori. Quella dell'Europa è una guerra totale al monouso: non conta il tipo di materiale. La direttiva infatti non fa distinzioni. Poco importa, quindi, se piatti e bic-chieri siano realizzati in polistirolo o polipropilene, che derivano dal petrolio, oppure in bioplastica otte-nuta da mais, grano o tapioca.Un divieto che spiazza i produttori ma anche i rivendi-tori. Come Barbara Bertuzzi, che nel 2006 ha rilevato la gestione di Al Carta, attività di Crevalcore che da

30 anni vende all'ingrosso stoviglie monouso in pla-stica. «Da commerciante non posso essere contenta di questa direttiva – racconta raggiunta in vivavoce in auto poco prima di incontrare un cliente – Ma dal punto di vista umano penso valga la pena». Secondo uno studio di Greenpeace e l’università sudcoreana di Incheon, piccoli frammenti di plastica sono presenti perfino nel 92% del sale da cucina di diverse nazioni, Italia inclusa. Nel 1950 il mondo produceva 1.5 milio-ni di tonnellate di plastica all’anno. Nel 2015 sono di-ventate 322 milioni. Si calcola che in questo momento negli oceani galleggino 150 milioni di tonnellate di plastica. Lo sanno bene gli ambientalisti, che salutano con soddisfazione la discussione della direttiva. «Sia-mo favorevoli a questo percorso – dice il presidente di Legambiente Emilia-Romagna, Lorenzo Frattini – Ma la strada è lunga, questo è solo un inizio». Secondo l'ingegnere ambientale, «l'usa e getta va abbandonato» in blocco, indipendentemente dal tipo di materiale. Questa direttiva servirebbe «a dare il via a un percorso culturale». A giugno Legambiente ha intrapreso il pro-getto sperimentale “Fishing for Litter – In rete contro un mare di plastica”, per la raccolta dei rifiuti nell'A-driatico. Coinvolge volontari, pescatori, la Capitaneria di porto di Comacchio e Bio-On e andrà avanti fino al 20 dicembre. Già nel primo mese di raccolta 45 imbar-cazioni hanno recuperato mille chili di rifiuti in 105 sacchi. «Basta monouso, una società migliore è quel-la che dà più valore ai suoi prodotti», incalza Frattini. Che critica le aziende per non «farsi carico di sistemi per il riciclo», ad esempio in prossimità dei distribu-tori automatici. Resta l'incognita legata alla perdita di posti di lavoro nel settore della plastica monouso. Ma per Frattini il problema non si pone. «Per ogni posto in meno nelle aziende dell'usa e getta, se ne creerà almeno un altro nel settore di raccolta e lavaggio dei prodotti riutilizzabili». Pare quindi che le feste di compleanno con i bicchie-rini in plastica diventeranno solo un ricordo lontano. Sarà meglio che qualcuno si decida a lavare i piatti.

Roberto Zanichelli, direttore commerciale e marketing di Ilip.

Quindici - 20

Il medico dei jukebox

Dopo anni chiusi in soffitta, questi apparecchi magici sono tornati di moda. Gaetano Scagliarini, 73 anni, ha passato la vita a ripararli: «Nessuno come me, ma il pacemaker mi ha messo ai box»

«Nostalgia, nostalgia canaglia» cantavano Al Bano e Romina Power nel 1987. Musica e nostalgia sono, però, anche i due poli attorno a cui ruota il mondo dei jukebox. Nostalgia per un passato che non esiste più, quando bastava

una monetina per farsi trasportare dalle luci e dalla musica di questa scatola magica. Cinquanta lire, click, e la voce di Elvis Presley riempiva la stanza: «Blue moon, you saw me standing alone, without a dream in my heart». Un cimelio alieno per la generazione-Spotify che, smartphone in mano e cuffie wi-fi nelle orecchie, in un secondo può scaricare e ascoltare migliaia di brani. Nell’era dei download, i jukebox sono diventati delle vere e proprie reliquie vintage, da tirare a lucido dopo anni nel dimenticatoio. A liberarli da polvere e ruggine ci pensa Gaetano Scagliarini, 73 anni, il “medico” dei jukebox. La sua sala operatoria? Un capanno nella campagna di San Giovanni in

Persiceto dove, immerso fra ingranaggi e pezzi di ricambio, lo incontriamo. «Ho incrociato la strada dei jukebox per caso - spiega -. Insieme a mio fratello, mi occupavo di lampadari. Poi, colpa della crisi, l’azienda iniziò a tagliare posti di lavoro. Se fossimo rimasti a casa entrambi per la nostra famiglia sarebbe stato un bel casino. Così me ne andai». Gira tante aziende e cambia diversi mestieri («sono sempre stato sfigato, ma almeno la creatività non mi manca. I miei amici mi chiamano Archimede», scherza) finché non arriva alla Lipparini ad Anzola dell’Emilia. Qui, per la prima volta, rimane affascinato dai jukebox: «Ringrazio la mia curiosità. Un collega noleggiava quelle scatole magiche e fu amore a prima vista. Nei dintorni c’era una ditta, la Kolumbus, l’unica in Italia a costruirli. Con il titolare, Alessandro Ferruglio, nacque un’amicizia fraterna. Eravamo molto legati: ogni Natale andavamo alla messa di mezzanotte di San Petronio. Vedi

di Gabriele Bonfiglioli

A San Giovanni in Persiceto la “sala operatoria”

Il personaggio

Quindici - 21

questo? - e dal cassetto tira fuori un cestello metallico - Lo costruivamo noi a mano. Contiene 120 bobine, una per ogni canzone. Quando digiti il numero del brano, non fai altro che spingere in sù il perno della bobina corrispondente così il braccio meccanico della macchina capisce quale disco prendere e suonare. Del piattello con i numeri e le lettere ho anche uno stampo in legno: vale più di un tesoro». Alla Kolumbus rimane sette anni, fino al 1975, quando ormai i jukebox sono diventati vecchi dinosauri. Altro giro, altro mestiere: «Finii a costruire ponti radio per la Telettra, ma non riuscivo a togliermi il pallino per i jukebox. Così, nel tempo libero, iniziai a ripararli». Un hobby che lo porta fino a Nocera Inferiore, per “visitare” il jukebox di una sala giochi. «È stato il mio primo “paziente” - ricorda -. Per uno scherzo del destino, era proprio un jukebox modello Kolumbus. Ormai ho perso il conto di quanti ne ho aggiustati. Me li portavano anche dalla Toscana: “Scagliarini, il jukebox fa delle seghe”», sorride, provando a imitare l’accento toscano. “Archimede” mette le mani solo nel cuore della mac-china, la parte meccanica ed elettronica, mentre altri “infermieri” pensano alle cromature e al restauro dei mobiletti. Una fatica che lo tiene occupato per mesi e mesi, «ma la soddisfazione, alla fine, è impagabile». Quando non è possibile riparare il meccanismo ori-ginario, Gaetano lo sostituisce con un lettore di cd e file mp3. Non avrà lo stesso fascino, certo, ma almeno funziona anche con il telecomando e la chiavetta Usb. Dalla sua officina sono passati jukebox di ogni tipo: Kolumbus, Ami, Wurlitzer (la prima azienda a costru-irli), Zodiak (dal simbolo dello zodiaco inciso sopra) e i Rockola a muro. «Ne ho viste di tutti i colori: dai jukebox degli stabilimenti balneari, pieni di acqua e sabbia, a quelli sventrati dai ladri, per prendere l’in-casso. Il pezzo più difficile da riparare? Il braccio in zama, un materiale che costa meno dell’alluminio, ma che non si può saldare. «Quando si rompe quello non

c’è più niente da fare, bisogna cambiare tutto». Il 1978 è un anno difficile per Gaetano che subisce un inter-vento cardiaco. Il malore non lo piega: troppo forte la passione per i jukebox. Le sue mani continuano a danzare attorno a volt e scariche elettriche, noncuranti del rischio. Il cuore, però, gli chiede di nuovo il conto: anni più tardi, mentre si trova a Brescia con la moglie per una mostra d’arte, si sente ancora male e in ospe-dale gli viene impiantato un pacemaker. «I medici mi hanno detto che non posso più avvicinarmi ai juke-box. Mi tengono d’occhio eh! Queste macchine scari-cano 350 volt in continuazione, se metto le mani nel posto sbagliato rischio grosso». Insomma, meglio non prenderli a pugni come Fonzie in Happy Days. Da due anni, gli unici jukebox che Gaetano può toccare sono i vecchi Seeburgh e Nsm che arredano la sua casa. No-nostante abbia appeso la puntina al chiodo, sono tanti quelli che ancora lo chiamano per una riparazione: «A malincuore devo dire di no. Mando tutti a Zenerigolo, dove lavora un mio “collega”, Corrado Tavolacci». Ma quando gli chiediamo se avesse mai incontrato qual-cun altro capace di far rivivere i jukebox come lui, dice orgoglioso: «Nessuno. C’era soltanto Archimede».

In foto: Gaetano Scagliarini in azione. Foto di Arnaldo Pettazzoni

«Sono sempre stato sfigato, ma almeno la creatività non mi manca. I miei amici mi chiamano Archimede»

Salsa (cubana) alla bolognese

Tra divertimento e business, tante scuole ma si balla di meno. E non solo alla cubana. Dj Chocolate: «Serve cultura»

Bologna come L’Havana? Non proprio, ma quasi. No, non stiamo parlando di politica e degli antichi fasti del socialismo “all’emiliana”. È la musica a legare le Due Torri al Mar dei Caraibi. Già da tanti anni,

infatti, sono migliaia i bolognesi che si avvicinano alla salsa e alle altre danze centro-americane, chi per socializzare o svagarsi, chi mosso dalla passione per la musica o il ballo. Un fenomeno orizzontale e interclassista, per donne e uomini di ogni età: dallo studente al poliziotto, passando per la ricercatrice e l’impiegata. «Vengo a Bologna a ballare dal ’94 e ogni volta prendo una multa», scherza Alessandro, 50enne di Imola, che quando può si fionda al Let’s go now di Ozzano. Tra una vuelta e un dile que no possono nascere soli-de amicizie o relazioni amorose, ma dietro l’allegria

sprigionata dalla musica c’è un mondo articolato, in cui proliferano le scuole di ballo, in forte concorrenza tra loro. Oggi nel Bolognese se ne contano più di 50, anche se sono poche quelle attive stabilmente. Per farsi conoscere dagli amanti della musica latina, esibendosi a rotazione, la vetrina fondamentale è la Sala Paradiso, storico circolo Arci di via Bellaria, a S.Lazzaro, dove ogni venerdì sera accorrono in centinaia. Lo show è gestito da Latin Pop, società organizzatrice di eventi che domina sul mercato caraibico-bolognese. «Aprire nuove scuole è diventato un business, ma molte han-no vita breve e poca organizzazione: servono cultura e qualità», spiega dj Chocolate, cubano di Varadero, a Bologna dal 1998. Una paladina della cultura salsera è sicuramente la cu-bana Leysis Smith, ballerina professionista, maestra e coreografa internazionale formatasi all’Accademia di

di Ruggero Tantulli

Un viaggio nel mondo delle danze caraibiche in città

Quindici - 22

Costume

Quindici - 23

L’Havana. In Italia dal 2000, Leysis ha fondato dieci anni fa la sua Accademia, con sedi tra Bologna e Ferra-ra, dove vive col compagno Pedro-La Formula, dj fer-rarese formatosi come musicista. «Cerco di insegnare la storia e le tradizioni che sono alla base della salsa cubana - spiega Smith -. C’è molta confusione, perché la salsa è il genere musicale, all’interno del quale ci sono vari sotto-generi, mentre quello che si balla in coppia dovrebbe chiamarsi casino cubano, dal nome del locale di L’Havana (Salon de Casino Deportivo) dove si è iniziato a ballare. Poi, per questioni commer-ciali, si è diffuso il termine salsa». Insieme ad un’al-tra importante ballerina professionista, Acela Moras, cubana di Camaguey, Leysis rappresenterà l’Italia nel flash-mob che si terrà il 5 maggio a Bologna e, in con-temporanea, in altre città di tutto il mondo per chie-dere il riconoscimento Unesco del son (lo “zio” della salsa, reso famoso nel mondo dai Buena Vista Social Club), già ottenuto dalla rumba. «Voglio diffondere la cultura popolare tradizionale di Cuba in Italia», spie-ga Acela, già prima ballerina del Ballet folklorico nel-la sua città natale e specializzata nel folklore cubano (afro, rumba, son etc.). Dal 2007 Acela Moras è anche il nome della scuola fondata a Villanova di Castenaso, in cui insegna anche il maestro Davide Dipino, moto-re delle serate al vicino Dandarì. Tra le più importanti scuole di Bologna c’è il Team Cuba, fondato nel 2012 da Valerio Troiano (dopo l’e-sperienza di Pura Vida) insieme ad Alison Altafini e Giambattista Catapane, anch’essi insegnanti titolari. In pieno centro (al circolo Millennium di via Riva Reno oggi si è aggiunta la nuova sede principale in piaz-za Galileo), il Team Cuba cura anche le serate latine sempre al Millennium e alla Piedra del Sol, ristorante messicano di via Goito. Le lezioni, tenute anche dalla ballerina cubana Indira Pacheco Santamaria, diplo-matasi a Santa Clara, sono frequentate da circa mille persone ogni anno, prevalentemente giovani. Numeri simili per Latino51, altra importante scuola di base a S.Lazzaro, aperta nel 2008 dalla professionista Barbara “Barbarita” De Lullo. Un ambiente giovane, dove inse-gnano artisti latino-americani di fama internaziona-le, come i cubani Sergio Larrinaga, Teresa Castañeda e Yuniel Gual. A pochi metri di distanza, sempre a S.Lazzaro, sorge Aguanilebbe, attiva dal 2010 (fino al 2012 al Dlf di via Stalingrado) e gestita dai ballerini Laura Panzacchi e Graziano Tortorelli, che curano anche la serata del Rumba Habana (ex Caos), locale di via Zanardi. Nella scuola, costituita come società, insegnano, tra gli altri, i professionisti cubani Hum-berto “La Pelicula” e Yoliana Conde, fondatrice della compagnia Oro Negro. Ma c’è chi vuole «sfatare il mito di Cuba», come Mau-rizio Iodice, maestro e formatore Coni che gestisce, insieme ad Anna Faggioli, il Mamborico (ex Dueños de la clave) a S.Donato, insegnando anche la salsa New York style. «La salsa non è solo cubana e nasce da un mix - spiega -, si pensi ai fiati che vengono dal jazz

e alle ritmiche africane. Anzi, la si balla più in altri paesi, come in Colombia, dove si tiene il più grande festival del mondo». In Italia, in effetti, prima di quel-la cubana sono arrivate la salsa venezuelana e quella portoricana, negli anni ’90: lo sanno bene Claudio ed Emanuela, che da oltre 30 anni insegnano alla Poli-sportiva Pontevecchio di via Carli, oggi insieme al dj Eddy. Lo stesso si può dire per Salsa Light, scuola cre-ata nel ‘96 come Michela Salsa Light da Michela Bar-bieri, ballerina professionista scomparsa nel 2013, che ha rappresentato una figura di riferimento per tutto il movimento bolognese. Oggi Andrea Bacchi, Fabrizio Bugamelli e Cristina Guernelli provano a metterci la stessa passione al circolo Mazzini di via Emilia Levan-te. Se è vero che a Cuba non c’è solo la salsa (i giovani, anzi, ormai le preferiscono il reggaeton), anche a Bo-logna si registra un cambiamento. Sono in tanti, a par-tire da Chocolate, a dire che in passato si ballava di più: «Fino a qualche anno fa le sale erano piene e si ballava dappertutto: il Tempio di Crespellano faceva 2 mila persone di lunedì sera, come il Vallereno di via del Giglio. L’importante, però, è che in tanti continui-no a divertirsi».

In foto: Dj Chocolate

Il Risiko degli Asinelli

Il 9 dicembre il Club degli Asinelli organizza a Bologna un torneo master che coinvolgerà 130 giocatori in arrivo da tutta Italia. I vincitori saranno accreditati per il campionato italiano 2019di Silvia Luccianti

Dal 2007 un’associazione riunisce tre generazioni di fan del famoso gioco in scatola

Quindici - 24

Sport

Il vero stratega ha in mente un pensiero fisso: «conquistare la Kamchakta!». Una penisola che si affaccia sull’oceano Pacifico, un territorio sconosciuto ai più, ma spesso al centro dell'attenzione dei giocatori di Risiko!, il gioco in

scatola che ancora oggi appassiona tre generazioni. Ti siedi a un tavolo con altre quattro persone, davanti a te c’è un tabellone con la mappa del mondo, 42 territori suddivisi in sei continenti. Vengono distribuite le “carte obiettivo” e così inizia la battaglia a colpi di lancio di dadi e piccoli carrarmati di plastica colorata, con cui occupare i territori strappati all’avversario. Un gioco di strategia, abilità e fortuna. Vince il giocatore che raggiunge la sua missione segreta: conquistare continenti, occupare tot territori, o annientare le armate di uno degli avversari, nella versione tradizionale. Dal 2007 a Bologna c'è il Club degli Asinelli, un club ufficiale di appassionati di Risiko! accreditato

da Spin Master, la società canadese che, dopo aver acquistato Editrice Giochi nel 2016, lo distribuisce in Italia. Qual è l’identikit del giocatore tipo? «I nostri soci hanno un’età compresa tra i sedici e i sessant'anni – spiega Federico Marrani, vicepresidente del club - ma la maggior parte di loro ha tra i 25 e i 30 anni, in prevalenza sono uomini, ma ci sono anche sei o sette donne». Il club conta circa 30 iscritti. Ogni martedì vengono organizzate delle serate per giocare a Risiko e altri giochi in scatola come Metropoli, The Island, Carcassonne e molti altri. Il Club degli Asinelli è infatti un’associazione poli ludica. Gli incontri sono aperti a tutti, poi c'è il torneo sociale di Risiko! riservato ai soci, ma chi vuole può assistere o cimentarsi con gli altri giochi da tavolo messi a disposizione dall'associazione. Per partecipare basta presentarsi al circolo Arci Guernelli in via Gandusio 6, il martedì verso le 20,45. Il tempo di organizzare i tavoli e le partite iniziano alle

Quindici - 25

21,30. L'idea di fondare a Bologna un club di Risiko è venuta a cinque appassionati del gioco, undici anni fa. «Mi sono riavvicinato al Risiko nel 2005 - racconta Federico - Ho scoperto un circuito che già esisteva dal 2000. All'inizio eravamo in quattro e andavamo a giocare a Modena, dove c'è un club storico. In seguito abbiamo deciso di fondare un'associazione qui a Bologna, era il 2007. Giocavamo in casa, ma poi con il passaparola il gruppo si è allargato e abbiamo cercato una sede. Nel tempo siamo arrivati a essere anche in cento, adesso siamo una trentina. Dei cinque soci fondatori tre sono ancora qui, tra questi ci sono io e il presidente dell’associazione, Cesare Osti». Questo fine settimana il club sarà impegnato a Imola per il torneo nazionale di club. La squadra vincitrice potrà far partecipare un suo giocatore al campionato italiano. I migliori risultati del club degli Asinelli sono stati il secondo posto nel campionato a squadre del 2013, a Firenze e il terzo posto del 2015, a Bologna. Ogni anno c’è un campionato nazionale individuale in varie sedi, nel 2017 a Bologna e nel 2018 a Mila-no. Nell’anno precedente al campionato si tengono tre raduni e vari tornei accreditati che qualificano per il campionato individuale dell’anno successivo. È possi-bile essere qualificati anche ottenendo un buon risul-tato al gioco online Risiko! Digital. Risiko deriva dal francese La Conquête du Monde del 1957, è conosciuto nel resto del mondo con il nome Risk e esiste in Italia dal 1968. Ci sono 32 club accre-ditati in tutta Italia, soprattutto al nord, e tre sono i club ufficiali in Emilia–Romagna: a Modena, a Faenza e a Bologna. Il Risiko italiano ha delle regole diverse dal Risk e nei tornei ufficiali si seguono delle regole speciali per fare in modo che gli obiettivi siano bilan-ciati e le partite possano terminare nel giro di un'o-ra e mezzo, massimo due ore. Se nessun giocatore ha terminato la sua missione segreta a un certo punto si annuncia un tempo massimo al termine del quale è possibile determinare un vincitore "ai punti".

Il 9 dicembre gli appassionati di tutta Italia saranno chiamati a raccolta a Bologna per partecipare al primo torneo master della città, organizzato dal Club degli Asinelli. Ci saranno circa 130 partecipanti provenienti da tutta Italia, tanto che la sala del circolo non sarà sufficien-te ad accoglierli ed è stata affittata una palestra. Sono previsti quattro turni di partite durante tutta la gior-nata. I primi due turni aperti a tutti, uno alle 10,30 e uno dopo pranzo alle 14,30. Tra due turni ci sarà un pranzo con prodotti tipici, qualcosa di simile a un ter-zo tempo del rugby. I vincitori parteciperanno alle se-mifinali alle 17,30, dopo questi incontri si conosceran-no i quattro finalisti che si giocheranno il titolo nella partita delle 20. Le partite dureranno al massimo 2 ore e si giocherà con le regole da torneo. Gli obiettivi sa-ranno tutti di tipo territoriale e se al termine del tem-po nessuno avrà raggiunto l’obiettivo si conteranno i punti territoriali. Valgono solo i territori in obiettivo e i territori danno più punti se confinano con più ter-ritori. Al Club degli Asinelli, persone con un interesse in comune hanno l’occasione per incontrarsi e socia-lizzare. «Qui sono nate delle grandi amicizie e a volte nasce anche qualcosa in più. C’è una coppia di ragazzi che si sono conosciuti qui – ricorda Federico - e due anni fa si sono sposati».

La sala da gioco del club degli Asinelli al circolo Arci Guernelli

L'ultimo voloLa rassegna teatrale Bolognina Banlieue presenta lo spettacolo della compagnia Dramophone.Di e con Fulvio Ianneo.22 e 23 novembre ore 21Teatro del LampadiereIngresso gratuito

La nebbia della lupaStalker Teatro propone un attraversa-mento onirico e visionario di intuizio-ni ed emozioni che si basa su un teatro fisico scandito da oggetti, colori, core-ografie.dal 16 al 18 novembreTeatri di Vita

La Bella AddormentataUno dei più grandi balletti della Russia imperiale portato in scena dal Balletto di San Pietroburgo.18 novembre ore 18Teatro Celebrazioni NewBiglietti da 38 euro

La Bibbia riveduta e scorrettaUn nuovo spettacolo firmato Oblivion. Germania 1455, Johann Gutenberg in-venta la stampa a caratteri mobili. Dio si presenta alla sua porta e propone la sua autobiografia per diventare il più grande scrittore di tutti i tempi.24 novembre ore 21Teatro CelebrazioniBiglietti da 24 euro

Penguin HighwayDal romanzo di Tomihiko Morimi che ha conquistato la critica, il nuovo lungome-traggio di animazione del maestro Ishida.Di Hiroyasu Ishida (Jap, 2018) 120’ Il 20 novembre e il 21 novembreCinema Europa

Red Zone - 22 miglia di fuocoUn'adrenalina spy story ricca di colpi d'azione. 22 miglia da percorrere e un informatore compromesso da salvare. Lungo il percorso funzionari corrotti, signori della malavita e milizie armate. Di Peter Berg (Usa, 2018) ‘94 Dal 15 novembre

TEATRO CINEMAIL

CA

RTEL

LON

E D

I

Westwood: Punk, Incon, Activist Vivienne Westwood, stilista britanni-ca, parla di se stessa, musa creativa del punk, icona anni Settanta, attivista di cause contemporanee. Di Lorna Tucker (GB, 2018)78’22 novembre alle 22 Cinema Lumière

Almost NothingIl film documentario sul Cern, il più grande laboratorio di fisica delle parti-celle al mondo: le migliori menti del pia-neta si confrontano per cambiare le sorti dell’umanità. Di Anna De Manincor (Ita/Fra/Bel, 2018) 77’17 Novembre alle 22,15Cinema Lumière

City BoomingUna metropoli colorata, riprodotta nei minimi particolari con settemila Lego e abitata da 6000 mini personaggi e su-pereroi.dal 20 ottobre al 09 dicembre Ex chiesa di San MattiaBiglietti 8 euro

Bologna - una città nel cuoreLe fotografice di Anush Hamzehian e Vittorio Mortarotti sul piccolo paese di Alamogordi nel New Mexico teatro della prima esplosione atomica.dal 31ottobre al 25 novembre Complesso del BaraccanoIngresso gratuito

Materia e memoria. Bipersonale di mosaico e architettura rurale Inaugurazione della mostra biperso-nale della mosaicista Andrea Cristino e dell'architetto Alex De Muzio, cura-tore del progetto Masserie di Puglia.15 novembre ore 19,00La confraternita dell'uva

MOSTRE

Toruk, il primo voloIl Cirque du Soleil trasporterà il pub-blico nel mondo di Avatar, il film di animazione di James Camerun, con immagini e proiezioni all’avanguardia.dal 21 al 25 novembre Unipol ArenaBiglietti da 45 euro

Pet Expo&ShowUna manifestazione per trovare il modo corretto di avvicinarsi e relazionarsi con il proprio animale domestico e dove acquisire conoscenze per sviluppare ulteriormente la propria passione.dal 24 al 25 novembreBologna Fiere

Avere amici o essere amici?In occasione della Giornata Mondiale della Filosofia, un invito a riflettere su un tema tanto profondo quanto concreto e rilevante: l'Amicizia.. 18 novembre ore 18,00 Sala Consiliare Porto – Saragozza

EVENTI

Musica indiana con Partho SarothyUna serata per aprirsi all’energia risa-nante delle melodie, per un’esperienza uditiva, energetica ed emozionale.18 novembre ore 20,30Centro yoga OmBiglietti 15 euro

Yonder Boys La band berlinese di folk americano porta in città una musica che affonda le radici nella old-time music america-na e nel Bluegrass.16 novembre ore 20,00La confraternita dell'uva Ingresso gratuito

MUSICA

PendulumUna collezione di 250 fotografie di 65 artisti, da Robert Doisneau al più gio-vane Richard Mosse sul tema dell’in-dustria e del lavoro.dal 04 ottobre al 13 gennaioFondazione MastIngresso gratuito

Willie PeyoteDopo il primo tour dove ha registrato 17 sold out in tutta la penisola, Wil-lie Peyote torna sui palchi italiani per 'Ostensione della Sindrome tour'. 23 novembre ore 21:30Estragon Clubbiglietti 18 euro

Cioccoshow 2018Torna la magia del cioccolato: tre gior-ni golosissimi con i tradizionali stand dedicati alle prelibatezze proposte dai maestri cioccolatai.dal 15 al 18 novembre Piazza XX Settembre

Mudhoney+Please the treesLa band simbolo del grunge, nata nel 1988, ha tracciato la strada a Nirvana e Pearl Jam. Ad aprire le danze, i Plea-se the Trees, gruppo ceco psychedelic rock.21 novembre ore 21,30Locomotiv ClubBiglietti 23 euro