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Alphonse Daudet - Tartarino Di Tarascona [Italian]

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tartarino di tarascona

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ALPHONSE DAUDET. TARTARINO DI TARASCONA. Titolo originale: Tartarin de Tarascon. Traduzione di Mario Mirandoli. 1. A Tarascona. Il giardino del baobab. La mia prima visita a Tartarino di Tarascona è rimasta nella mia memoria come una data indimenticabile; sono passati ormai dodici o quindici anni, ma me ne ricordo come se fosse ieri. L'intrepido Tartarino abitava allora all'ingresso della città la terza casa a sinistra sulla strada di Avignone. Era una bella villetta tarasconese col giardino davanti, il balcone dietro, i muri candidi, le persiane verdi, e una nidiata di ragazzini savoiardi davanti alla porta d'ingresso, intenti a giocare a piastrelle o addormentati al sole con la testa appoggiata alla loro cassettina da lustrascarpe. Vista di fuori, la casa non aveva niente di particolare. Non avremmo mai immaginato di trovarci davanti alla casa di un eroe. Ma appena entrati, capperi!... Dalla cantina alla soffitta, tutto l'edificio aveva un aspetto eroico, persino il giardino!... Che giardino! Non ne esisteva uno uguale in tutta l'Europa. Non un albero del paese, non un fiore di Francia; solo piante esotiche, acacie gommifere, zucche americane, piante di cotone, di mango, alberi di cocco, banani, palme, un baobab, cactus messicani, fichi di Barberia, tanto da credersi in piena Africa centrale, a diecimila leghe da Tarascona. Intendiamoci, tutte queste piante non erano alla grandezza naturale; gli alberi di cocco, per esempio, avevano le dimensioni delle nostre barbabietole, e il baobab (albero gigante, arbor gigantea) stava comodo in un vaso da fiori. Ma che importava? Anche così, per Tarascona era un magnifico albero, e le persone della città, a cui veniva concesso la domenica l'onore di contemplare il baobab di Tartarino, se ne tornavano a casa ammiratissime. Immaginatevi l'emozione che provai quel giorno attraversando un giardino così eccezionale! Emozione che si accrebbe quando fui introdotto nello studio dell'eroe. Questo studio, una delle meraviglie della città; era situato in fondo al giardino, e da una porta a vetri si affacciava direttamente sul baobab. Immaginatevi una vasta sala tappezzata da cima a fondo di fucili e di sciabole; armi di ogni specie e di tutti i paesi del mondo: carabine, fucili, tromboni, coltelli còrsi, coltelli catalani, coltelli a serramanico, pugnali, kriss malesi, frecce dei Caraibi, frecce di selce, pugni di ferro, mazze ferrate, clave ottentotte, lazos messicani, e chi più ne ha più ne metta! Su tutto questo un solleone feroce, che faceva luccicare l'acciaio delle spade e il calcio dei fucili, come per farvi venire ancora di più la pelle d'oca. Quello che tuttavia rassicurava un po' era il piacevole aspetto d'ordine e di pulizia che regnava in mezzo a questo armamentario. Ogni oggetto era messo esattamente al suo posto, curato, spolverato, col suo cartellino come in una farmacia; qua e là si potevano leggere delle scritte tranquillizzanti che dicevano: FRECCE AVVELENATE: NON TOCCARE! oppure: ARMI CARICHE: PERICOLO! Senza queste scritte non avrei avuto il coraggio di entrare. In mezzo allo studio, un tavolino: sul tavolino, una fiaschetta di rhum, una borsa turca da tabacco, i Viaggi del capitano Cook, i romanzi di Cooper, di Gustave Aymard, dei racconti di caccia, caccia all'orso, caccia al falco, caccia all'elefante, ecc. Davanti al tavolino era seduto un uomo: era dai quaranta ai quarantacinque anni, piccolo, massiccio, muscoloso, sanguigno, in maniche di camicia e mutande di flanella, con una barba corta e fitta, e con due occhi

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fiammeggianti. Con una mano teneva un libro, con l'altra brandiva un'enorme pipa col coperchietto di metallo, e, mentre continuava a leggere chissà mai quale tremendo racconto di scotennatori, sporgeva il labbro inferiore con una smorfia terribile, conferendo al suo placido aspetto di piccolo benestante tarasconese, quel medesimo carattere di bonaria ferocia che regnava in tutta la casa. Era Tartarino, Tartarino di Tarascona, l'intrepido, il grande, l'incomparabile Tartarino di Tarascona. 2. Sguardo generale alla città di Tarascona. I cacciatori di berretti. All'epoca di cui vi parlo, Tartarino di Tarascona non era ancora il Tartarino di oggi, il grande Tartarino di Tarascona, così popolare in tutto il mezzogiorno della Francia. Tuttavia, a quel tempo, era già il re di Tarascona. E ve ne spiego il perchè. Dovete sapere, prima di tutto, che a Tarascona tutti sono cacciatori, dai più grandi ai più piccini. La caccia è la passione dei Tarasconesi fino dai mitici tempi in cui una fiera mostruosa chiamata Tarasque faceva strage nelle paludi della città, e i Tarasconesi di allora organizzavano delle battute contro di lei. Sono passati parecchi anni, come vedete. Dunque, ogni domenica mattina, tutta Tarascona afferra le armi ed esce dalle mura, il sacco in spalla, il fucile a tracolla, insieme a una marea di cani, di furetti, di trombe, di corni da caccia. E' uno spettacolo superbo... ma, disgraziatamente, manca del tutto la selvaggina. Per cinque leghe intorno a Tarascona, ogni tana è vuota e tutti i nidi sono abbandonati. Nemmeno un merlo, nemmeno una quaglia, nemmeno un coniglietto, e neppure il più piccolo culbianco. E' vero che le bestie sono bestie, ma a lungo andare hanno finito per non fidarsi più. Eppure sono così seducenti quelle graziose collinette tarasconesi, tutte odorose di mirto, di lavanda, di rosmarino; e come sono appetitosi quei bei grappoli di uva moscatella, rigonfi di zucchero, tutti in fila sulla riva del Rodano... Ma ahimè, c'è dietro Tarascona; e nel piccolo mondo del pelo e delle penne, Tarascona ha una pessima fama. Gli stessi uccelli migratori l'hanno segnata con una grossa croce sulle loro carte di crociera; e quando le anitre selvatiche, nelle loro formazioni a triangolo, discendendo verso la Camargue, avvistano da lontano i campanili della città, l'anitra di testa si mette a strillare: Ecco Tarascona!... Ecco Tarascona! e tutto lo stormo cambia direzione. In fatto di selvaggina, non c'è rimasto in tutta la regione che quell'anima dannata di una vecchia lepre, sfuggita per miracolo alle settembrine stragi dei Tarasconesi, e che si ostina a vivere nella zona. A Tarascona questa lepre è conosciutissima; le hanno dato persino un nome: la Folgore. Si sa che ha la sua tana nei terreni del signor Bompard, cosa che tra parentesi ha raddoppiato e anche triplicato il valore della tenuta, ma finora non è stato possibile colpirla. Ormai non ci sono più che due o tre fanatici che si accaniscono a darle la caccia. Gli altri si sono rassegnati, e la Folgore è passata da molto tempo a far parte della mitologia locale. Ma allora, mi domanderete, con questa scarsità di selvaggina, cosa diavolo fanno i cacciatori di Tarascona tutte le domeniche? Cosa fanno? Diamine! Se ne vanno in campagna a due o tre leghe dalla città, si radunano in gruppetti di cinque o sei, si sdraiano pacificamente all'ombra di un pozzo, di un vecchio muro, di un olivo, tirano fuori dal carniere un bel tocco di stracotto di manzo, delle cipolle crude, dei salsicciotti, qualche acciuga, e danno inizio a una colazione interminabile, innaffiata da uno di quei garbati vini del Rodano che fanno ridere e cantare. Dopo essersi ben rifocillati, si alzano, fischiano ai cani, caricano i fucili, e cominciano la caccia. Voglio dire, cioè, che ognuno di quei signori prende

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il suo berretto, lo scaraventa in aria con tutta la forza, e gli tira al volo con l'intenzione di colpirlo. Chi colpisce più spesso il suo berretto è proclamato re della caccia, e la sera rientra a Tarascona da trionfatore, col berretto crivellato sulla canna del fucile, in mezzo alle fanfare e all'abbaiare dei cani. Inutile dirvi che in città il commercio dei berretti da caccia è molto bene avviato. Ci sono persino dei cappellai che vendono berretti già sfondati e strappati ad uso degli inesperti; ma pare, e lo diciamo a sua vergogna, che Bèzuquet, il farmacista, sia il solo che ne compri. Come cacciatore di berretti, Tartarino di Tarascona era incomparabile. Ogni domenica mattina partiva con un berretto nuovo; ogni domenica sera tornava con uno straccio. La soffitta della casa del baobab era piena di quei gloriosi trofei. Perciò i Tarasconesi lo riconoscevano come il loro maestro; e poichè Tartarino conosceva a fondo il codice del cacciatore, e aveva letto tutti i trattati e tutti i manuali di tutte le cacce possibili, dalla caccia al berretto a quella alla tigre birmana, i Tarasconesi l'avevano eletto loro grande giustiziere cinegetico, e lo sceglievano come arbitro in tutte le loro discussioni. Ogni giorno, dalle tre alle quattro, dall'armaiolo Costecalde, si poteva vedere un uomo grosso e solenne, con la pipa tra i denti, seduto su una poltrona di cuoio verde, in mezzo alla bottega piena di cacciatori di berretti che, tutti in piedi, si bisticciavano ferocemente. Era Tartarino di Tarascona che amministrava la giustizia, proprio come Nembrod, il famoso cacciatore biblico ricordato anche da Dante nella Divina Commedia, e Salomone a un tempo. 3. No! No! No! Seguito dello sguardo generale alla città di Tarascona. Alla passione della caccia, la forte razza tarasconese unisce un'altra passione: quella delle romanze. Il consumo di romanze che si fa in quella cittadina, è incredibile. Tutte le anticaglie sentimentali che ingialliscono nelle vecchie custodie, ritrovano a Tarascona il fascino della loro giovinezza. Ci sono tutte, tutte. Ogni famiglia ha la sua romanza, e in città tutti lo sanno. Tutti sanno, per esempio, che quella del farmacista Bèzuquet è: Tu, bianca stella che adoro. Quella dell'armaiolo Costecalde: Vuoi tu venire con me, sotto una capanna laggiù? Quella del ricevitore del registro: Se invisibil foss'io, non mi vedrebbe alcun. (canzonetta comica). E così seguitando per tutta Tarascona. Due o tre volte la settimana, i bravi Tarasconesi si riuniscono in casa dell'uno o dell'altro, e si cantano le romanze. Lo strano è che sono sempre le stesse e che, dopo tanto tempo che se le cantano, non abbiano ancora pensato di cambiarle. Le romanze si trasmettono in famiglia di padre in figlio, sono sacre, non si toccano; e nemmeno si prestano. Non verrebbe mai ai Costecalde l'idea di cantare quella dei Bèzuquet, nè ai Bèzuquet l'idea di cantare quella dei Costecalde. Dopo quarant'anni che se le cantano, figuratevi se le conoscono! Ma no! Ognuno fa tesoro della sua, e tutti ne sono soddisfatti. Anche in fatto di romanze, come per i berretti, Tartarino era il primo della città. La sua superiorità consisteva in questo: non aveva la propria romanza, le aveva tutte! Tutte! Però ci volevano gli argani per fargliele cantare. Tornato di buon'ora dai successi mondani, l'eroe tarasconese preferiva sprofondarsi nei libri di caccia o passare la serata al circolo, piuttosto che fare il sentimentale davanti al pianoforte. Queste esibizioni musicali non gli parevano degne di lui... Ma qualche volta, quando c'era musica alla farmacia Bèzuquet, faceva le viste di entrare per caso, e dopo essersi fatto pregare a lungo, acconsentiva a cantare il gran duetto di Roberto il Diavolo, insieme alla signora Bèzuquet madre... Chi non l'ha sentito, non ha sentito niente...

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Dovessi vivere cent'anni, non dimenticherò mai il grande Tartarino che si avvicina al piano con passo solenne, vi si appoggia col gomito, e si sforza di dare alla sua faccia di buon diavolo, sotto i riflessi verdi dei boccali della vetrina, l'espressione satanica e truce di Roberto il Diavolo. Appena si era messo in posa, un fremito percorreva la sala; si aveva l'impressione che qualcosa di straordinario stesse per accadere... Allora, dopo un silenzio, la signora Bèzuquet madre, accompagnandosi al piano, cominciava: O Roberto, tu che amo, tu che avesti la mia fede, lo spavento mio tu vedi (bis), grazia per te, grazia per me. Poi a voce bassa aggiungeva: Tocca a lei, Tartarino. E Tartarino di Tarascona, a braccio teso e a pugno chiuso, le narici frementi, ripeteva tre volte con una voce formidabile che echeggiava come un tuono nelle viscere del pianoforte: No!... No!... No!... A questo punto la signora Bèzuquet madre riprendeva: Grazia per te, grazia per me. No!... No!... No!... urlava ancora più forte Tartarino. E tutto finiva qui. Una cosetta piuttosto breve, come vedete; ma così bene interpretata e così diabolica, che un brivido di terrore percorreva la farmacia e Tartarino era costretto a ripetere i suoi: No! No! quattro o cinque volte di seguito. Poi Tartarino si asciugava il sudore, sorrideva alle signore, indirizzava agli uomini una strizzatina d'occhi e, ritirandosi come un trionfatore, si recava al circolo, dove con aria indifferente diceva: Vengo da casa Bèzuquet, dove ho cantato il duetto di Roberto il Diavolo. E il bello è che ci credeva!... 4. Loro! A queste sue doti eccezionali Tartarino di Tarascona doveva la sua eminente posizione in città. Il fatto è che quel diavolo d'uomo aveva saputo affascinare tutti. A Tarascona, l'esercito era per Tartarino. Il prode comandante Bravida, capitano di commissariato a riposo, diceva di lui: E' un valoroso! NOTA: Nel testo francese l'autore usa la parola lapin che significa coniglio, ma che nel linguaggio familiare può anche significare uomo astuto e coraggioso. Questo gioco di parole verrà spesso sfruttato nel racconto. FINE NOTA. E il capitano se ne doveva intendere di valorosi, dopo averne vestiti tanti. Più di una volta, in pieno tribunale, il vecchio presidente Ladevèze aveva detto di lui: E' un carattere! Anche il popolo era per Tartarino. Le sue spalle quadrate, la sua camminatura, la sua aria imperturbabile, quella fama di eroe piovuta non si sa da dove, qualche, distribuzione di palanche ai piccoli lustrascarpe accampati sulla soglia di casa sua, ne avevano fatto il re delle piazze tarasconesi. La domenica sera, sul lungofiume, quando Tartarino tornava dalla caccia col berretto sulle canne del fucile, stretto nella sua giacca di fustagno, i facchini del Rodano s'inchinavano pieni di rispetto, e ammiccando verso i bicipiti giganteschi che si gonfiavano sulle sue braccia, bisbigliavano tra loro con ammirazione: Quello sì che è forte!... Ha i muscoli doppi! Muscoli doppi! Soltanto a Tarascona si può sentire una cosa simile! E tuttavia, nonostante le sue grandi doti, i suoi muscoli doppi, il favore popolare e la preziosa stima del prode comandante Bravida, capitano di commissariato a riposo, Tartarino non era felice; quella vita di piccola cittadina di provincia gli pesava, lo soffocava. Il grand'uomo di Tarascona, s'annoiava a Tarascona. Per un'anima eroica come la sua, per un'anima avventurosa e folle che sognava solo battaglie, scorrerie nelle pampas, cacce grosse, sabbie del deserto, uragani e tifoni, non bastava la solita battuta di caccia ai berretti della domenica, per poi passare il resto del tempo ad amministrare la giustizia nella bottega dell'armaiolo Costecalde... Povero, caro grand'uomo! A lungo andare, c'era da

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farlo morire di malinconia. Invano, per allargare i suoi orizzonti, per dimenticare, almeno per un po', il circolo e la piazza del Mercato, egli si circondava di baobab e di altra vegetazione africana; invano accumulava armi su armi, kriss malesi su kriss malesi; invano si riempiva la testa di letture romanzesche, cercando, come l'immortale Don Chisciotte, di liberarsi, in virtù del suo sogno, dagli artigli della inesorabile realtà... Ahimè! Tutto quello che faceva per calmare la sua febbre di avventure, non faceva che aumentarla. La vista di tutte le sue armi lo teneva in uno stato continuo di collera e di eccitazione. Le sue carabine, le sue frecce, i suoi lazos gli gridavano: Battaglia! Battaglia! Fra i rami del suo baobab soffiava il vento dei grandi viaggi e gli dava dei cattivi consigli. Oh, quante volte, nei pesanti pomeriggi estivi, mentre era immerso nella lettura, circondato dalle sue armi, quante volte Tartarino è balzato in piedi ruggendo! Quante volte, ha gettato il libro e si è precipitato a staccare un'arma dal muro! Il pover'uomo si dimenticava di essere a Tarascona, in casa sua, in mutande e con un fazzoletto in testa; trascinato dagli esempi delle sue letture, ed esaltandosi al suono della sua voce, egli brandiva un'ascia o un tomahawk e urlava: Ed ora, che vengano, loro! Loro? Chi, loro? Non lo sapeva nemmeno lui, Tartarino... Loro! Ma era tutto quello che attacca, tutto quello che combatte. tutto quello che morde, che graffia, tutto quello che scotenna, che grida, che ruggisce... Loro! erano gli Indiani Sioux, che danzano intorno al palo di guerra dove il povero bianco è legato. Era l'orso grigio delle Montagne Rocciose che si dondola e si lecca con la lingua piena di sangue. Era il Tuareg del deserto, il pirata malese, il brigante degli Abruzzi... Loro, insomma, erano loro!... cioè la guerra, i viaggi, l'avventura, la gloria. Ma ahimè! inutilmente l'intrepido Tarasconese li chiamava e li sfidava... Loro non venivano mai... Che sarebbero venuti a fare a Tarascona? Tuttavia Tartarino li aspettava sempre; specialmente la sera quando andava al circolo. 5. Quando Tartarino andava al circolo. Il Templare che si prepara a una sortita per rompere l'assedio degli infedeli, il guerriero cinese che si equipaggia per la battaglia, l'indiano Comanche che scende sul sentiero di guerra, avrebbero fatto una ben magra figura davanti a Tartarino di Tarascona che, alle nove di sera, un'ora dopo gli squilli della ritirata, si armava da capo a piedi per andare al circolo. Nella sinistra Tartarino teneva un pugno di ferro, nella destra un bastone animato; nella tasca sinistra una corta mazza ferrata, nella tasca destra una rivoltella. Sul petto, tra la camicia e la maglia, un kriss malese. Mai, però, frecce avvelenate: armi troppo sleali! Prima di uscire, Tartarino faceva qualche breve esercizio nella penombra e nel silenzio del suo studio: parava, tirava contro il muro, gonfiava e rilassava i muscoli; poi prendeva la chiave di casa, e attraversava il giardino dignitosamente e senza fretta. All'inglese, signori miei, all'inglese! E' il vero coraggio. Arrivato in fondo al giardino, apriva la pesante porta di ferro. L'apriva bruscamente e con estrema violenza, in modo che sbatacchiasse contro il muro... figuriamoci che frittata, se dietro ci fossero stati loro! Disgraziatamente, non c'erano mai. Aperta la porta, Tartarino usciva, gettava un rapido sguardo a destra e a sinistra, poi, dopo aver chiuso energicamente la porta a doppia mandata, si metteva in cammino. Per la strada nemmeno un cane. Buio pesto. Porte e finestre serrate. Solo di tanto in tanto un fanale ammiccava tra la nebbia del Rodano... Superbo e tranquillo, Tartarino andava nella notte, facendo risuonare

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ritmicamente i tacchi, e sprigionando scintille dal selciato con la punta del bastone... Tanto nei viali, quanto nelle vie più ampie e nei vicoletti, Tartarino aveva sempre cura di camminare in mezzo alla strada; ottima precauzione che permette di vedere arrivare il pericolo, e soprattutto di evitare quello che la sera a Tarascona cade qualche volta dalle finestre. A vederlo così prudente, non immaginatevi nemmeno per un momento che Tartarino avesse paura... No! Lui cercava solamente di proteggersi. La prova migliore che Tartarino non aveva paura è che, invece di andare al circolo passando per il corso, preferiva andarci passando dal centro della città, per un tragitto più lungo che lo costringeva a passare in mezzo a un dedalo di viuzze buie in fondo alle quali luccica sinistramente la corrente del Rodano. Il brav'uomo sperava sempre che all'angolo di uno di quei vicoli malfamati, loro sbucassero improvvisamente dall'ombra e gli piombassero addosso. Sarebbero stati ricevuti a dovere, ve lo garantisco io... Ma, ahimè, per una beffa del destino, mai, mai e poi mai, Tartarino di Tarascona ebbe la fortuna di fare un brutto incontro. Nemmeno un cane, nemmeno un ubriaco. Nulla! Sì, qualche volta c'erano dei falsi allarmi. Un rumore di passi, delle voci soffocate... Attenzione! si diceva Tartarino, e restava immobile scrutando nell'ombra, fiutando il vento, chinandosi con l'orecchio a terra all'uso indiano... I passi si avvicinavano. Le voci si facevano più chiare. Nessun dubbio! Erano loro... Eccoli. Già Tartarino, con l'occhio fiammeggiante e il respiro affannoso, raccolto su se stesso come un giaguaro, si preparava a balzare lanciando il suo grido di guerra... quando, improvvisamente, sentiva venire dall'ombra delle note voci tarasconesi che lo chiamavano: Guarda chi si vede!... Tartarino... Ciao Tartarino! Maledizione! Era il farmacista Bèzuquet che, insieme alla famiglia, tornava da casa Costecalde, dove aveva cantato la sua romanza. Buona sera! Buona sera! brontolava Tartarino, furioso per il suo errore; poi, con la faccia truce e il bastone alzato, scompariva nella notte. Arrivato nella strada del circolo, l'intrepido Tarasconese aspettava ancora un momento, passeggiando avanti e indietro davanti alla porta prima di entrare... Finalmente, stanco di attenderli, e sicuro ormai che loro non sarebbero comparsi, gettava un ultimo sguardo di sfida nell'ombra, e brontolava irosamente: Nulla! nulla!... mai nulla! A questo punto il brav'uomo entrava nel circolo a fare la sua solita partita col comandante. 6. I due Tartarini. Con questa smania di avventure, questo bisogno di forti emozioni, questo desiderio folle di viaggiare, di muoversi, di andare a casa del diavolo, come mai, domanderete, Tartarino di Tarascona non aveva mai lasciato Tarascona? E' la verità. Fina all'età di quarantacinque anni, l'intrepido Tarasconese non aveva mai passato una notte fuori della sua città. Non aveva neppure fatto quel famoso viaggio a Marsiglia, che ogni buon provenzale si concede appena è maggiorenne. A malapena conosceva Beaucaire, sebbene Beaucaire non sia molto lontana da Tarascona: basta attraversare il ponte. Purtroppo quel maledetto ponte è stato portato via tante volte dalle raffiche del vento, è così lungo, così fragile, e il Rodano in quel punto è così largo che... insomma, voi mi capite, Tartarino di Tarascona preferiva la terraferma. Bisogna che ve lo confessi: nel nostro eroe convivevano due personalità molto diverse. In realtà Tartarino aveva dentro di sè l'anima di Don Chisciotte, gli stessi impeti cavallereschi, lo stesso ideale eroico, la stessa mania per il grandioso e il romanzesco; ma purtroppo non aveva il corpo del celebre hidalgo, quel corpo magro e ossuto, quella parvenza di corpo, sul quale la vita materiale non aveva presa, quel corpo capace di passare venti notti senza togliersi la corazza e quarantott'ore con un pugno di riso. Il corpo di Tartarino era invece un bel corpaccione, molto grasso, molto

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pesante, molto soffice, brontolone, pieno di desideri borghesi e di esigenze domestiche; insomma il corpo grosso di ventre e corto di gambe dell'immortale Sancio Panza. Don Chisciotte e Sancio Panza nella stessa persona! Come potevano andare d'accordo? Come potevano evitare di combattersi e di dilaniarsi a vicenda? Ecco un esempio di dialogo, degno di un Luciano di Samotracia o di un Saint-Evremont, tra i due Tartarini: Tartarino-Chisciotte e Tartarino-Sancio; il primo, esaltato dai romanzi di avventure, grida: Io parto! Il secondo, preoccupato per i reumatismi, dice: E io resto. Tartarino-Chisciotte (eccitatissimo): Ricopriti di gloria, Tartarino. Tartarino-Sancio (calmissimo): Tartarino, copriti di flanella. Tartarino-Chisciotte (ancora più eccitato): Oh, le belle carabine a due colpi! Le daghe, i lazos, i mocassini! Tartarino-Sancio (sempre più calmo): Oh, i bei panciotti a maglia! Le belle ginocchiere calde! Oh, i simpatici berretti di lana che coprono gli orecchi! Tartarino-Chisciotte (fuori di se): Una scure! Datemi una scure! Tartarino-Sancio (suonando il campanello): Jeannette, la cioccolata. A questo punto fa il suo ingresso Jeannette con un'eccellente tazza di cioccolata, calda, densa e profumata, accompagnata da dei deliziosi biscottini all'anice. Tartarino-Sancio ride soddisfatto, soffocando le proteste di Tartarino-Chisciotte. Ecco spiegato perchè Tartarino di Tarascona non aveva mai lasciato Tarascona. 7. Gli Europei a Shanghai, Il commercio mondiale, I Tartari, Tartarino di Tarascona sarebbe un impostore? Il miraggio. Eppure, una volta Tartarino era stato sul punto di partire, e di partire per un lungo viaggio. I tre fratelli Garcio-Camus, Tarasconesi emigrati a Shanghai, gli avevano offerto la direzione di una delle loro agenzie. Era proprio la vita che gli ci voleva. Grossi affari, un esercito di impiegati da dirigere, relazioni con la Russia, con la Persia, la Turchia asiatica, insomma il vero grande commercio internazionale. Sulle labbra di Tartarino le parole: commercio internazionale, acquistavano un'importanza straordinaria. La ditta Garcio-Camus aveva anche questo di buono, che ogni tanto riceveva la visita dei Tartari. Allora si serravano subito le porte. Gli impiegati imbracciavano le armi, veniva issata la bandiera consolare, e pum! pum! dalle finestre sui Tartari. Non vi sto a dire con quale entusiasmo Tartarino-Chisciotte accolse questo progetto; disgraziatamente Tartarino-Sancio da quell'orecchio non ci sentiva, e siccome era il più forte la cosa finì nel nulla. In città se ne parlò a lungo. Partirà? Non partirà? Scommettiamo di sì, scommettiamo di no. Fu un avvenimento... morale della favola: Tartarino non partì; tuttavia quella vicenda aumentò la sua popolarità. Essere stato sul punto di partire per Shanghai, o esserci veramente andato, per i Tarasconesi era pressappoco la medesima cosa. A forza di parlare del viaggio di Tartarino, si finì per credere che ne ritornasse, e la sera, al circolo, tutti i suoi amici gli domandavano informazioni sulla vita di Shanghai, sui costumi, sul clima, sull'oppio, e sul commercio internazionale. Informatissimo, Tartarino dava gentilmente ogni particolare richiesto, e a lungo andare, il brav'uomo non era più sicuro nemmeno lui di non essere mai stato a Shanghai, tanto che, raccontando per la centesima volta la calata dei Tartari, gli veniva fatto di dire spontaneamente: Allora, faccio armare i miei dipendenti, alzo la bandiera consolare, e pum! pum! dalle finestre, sui Tartari. A queste parole tutto il circolo fremeva... Ma allora, questo Tartarino era un bugiardo di prima forza. No, Assolutamente no! Tartarino non era un bugiardo... Eppure, doveva saperlo di non essere mai stato a Shanghai.

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Certo che lo sapeva. Però... Però statemi bene a sentire. E' il momento di mettersi d'accordo una volta per tutte su quella fama di mentitori che le popolazioni del nord hanno attribuito ai meridionali. Non ci sono mentitori nel Mezzogiorno, non ce ne sono nè a Marsiglia, nè a Nimes, nè a Tolosa, nè a Tarascona. Il meridionale non mentisce, sbaglia. Non dice sempre la verità, crede di dirla... La sua menzogna non è una vera menzogna, è una specie di miraggio... Sì, di miraggio!... E se volete capirmi meglio, andatevene nel Mezzogiorno, e vedrete. Vedrete che in questo dannato paese il sole trasfigura tutto, e fa sembrare tutto più grande del vero. Le collinette della Provenza, non più alte della collina di Montmartre, vi sembreranno gigantesche il tempio romano di Nimes, un piccolo gioiello, vi sembrerà più grande di Notre-Dame... insomma, se c'è un mentitore nel Mezzogiorno, è il sole... un sole che ingrandisce tutto quello che tocca!... Cos'era Sparta al tempo del suo splendore? Un borgo... E Atene, cos'era? Non più di una cittadina... eppure nella storia ci sembrano città enormi. Miracoli del sole. .. Non potete stupirvi, dunque, se lo stesso sole, splendendo sopra Tarascona, abbia potuto trasformare un capitano di commissariato in pensione come Bravida, nel prode comandante Bravida, una rapa in un baobab, e un uomo che era stato sul punto di partire per Shanghai in un uomo che c'era stato. 8. Il serraglio Mitaine, Un leone dell'Atlante a Tarascona, Incontro terribile e solenne. Ed ora che abbiamo presentato Tartarino nella sua vita privata, prima che la gloria lo avesse baciato in fronte e incoronato di alloro, ora che abbiamo descritto questa vita eroica in un ambiente meschino, con le sue gioie, i suoi dolori, i sogni e le speranze, affrettiamoci ad arrivare alle grandi pagine della sua storia e al singolare avvenimento che doveva dare l'avvio a tale destino incomparabile. Una sera, dall'armaiolo Costecalde, Tartarino di Tarascona era intento a spiegare a un gruppetto di appassionati il funzionamento del fucile ad ago, allora considerato un'invenzione nuovissima... Improvvisamente si spalanca la porta, e un cacciatore di berretti irrompe nella bottega, gridando eccitatissimo: Un leone!... un leone! Stupore generale, spavento, tumulto, confusione. Tartarino mette la baionetta in canna. Costecalde corre a sprangare la porta. Il cacciatore è circondato, interrogato, sopraffatto, e tutto si chiarisce: il serraglio Mitaine, di ritorno dalla fiera di Beaucaire, aveva fatto sosta per qualche giorno a Tarascona, installandosi sulla piazza del castello con una grande quantità di serpenti boa, di foche, di coccodrilli, e un magnifico leone dell'Atlante. Un leone dell'Atlante a Tarascona! Mai, a memoria d'uomo, si era vista una cosa simile. I nostri bravi cacciatori di berretti si guardarono fieramente negli occhi. I loro volti maschi risplendevano di eccitazione, e in ogni angolo della bottega venivano scambiate silenziose strette di mano. L'emozione era stata così grande e così improvvisa, che nessuno trovava le parole adatte... Nemmeno Tartarino. Pallido e fremente, stringendo ancora tra le mani il fucile ad ago, in piedi davanti alla cassa, egli sognava... Un leone dell'Atlante lì vicino, a due passi! Un leone! L'animale eroico e feroce per eccellenza, il re delle belve, la preda agognata dei suoi sogni, l'attore principale di quella compagnia ideale che recitava drammi così emozionanti nella sua immaginazione... Tuoni e fulmini, un leone!. . . E per di più dell'Atlante!!! Era più di quanto il grande Tartarino potesse sopportare. Improvvisamente un'ondata di sangue gli salì al viso. I suoi occhi fiammeggiarono. Con un gesto convulso si mise in spalla il fucile ad ago e, rivolgendosi al prode comandante Bravida,

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capitano di commissariato in pensione, gli urlò con voce tonante: Andiamo a vedere, comandante! Ma... ma il mio fucile!... ve lo portate via? si azzardò a domandare timidamente il prudente Costecalde; ma Tartarino aveva già scantonato, seguito da tutti i cacciatori di berretti che regolavano fieramente il passo su quello marziale di lui. Quando arrivarono al serraglio, c'era già molta gente. I Tarasconesi, razza eroica per natura, ma da troppo tempo digiuni di spettacoli sensazionali, si erano precipitati verso il baraccone e l'avevano preso d'assalto. La grossa signora Mitaine era molto soddisfatta... in costume arabo, con le braccia nude fino al gomito, braccialetti di ferro alle caviglie, con un frustino in mano e con un pollo vivo, ma spennato, nell'altra mano, l'illustre signora faceva gli onori di casa ai Tarasconesi; e poichè anche lei aveva i muscoli doppi, il suo successo era quasi paragonabile a quello dei suoi animali. L'ingresso di Tartarino col fucile in spalla produsse un senso di gelo. Tutti quei bravi Tarasconesi che passeggiavano tranquillamente su e giù davanti alle gabbie, disarmati, senza diffidenza, senza nemmeno sospettare la presenza di un pericolo, ebbero un ben giustificato soprassalto di terrore, quando videro il loro grande Tartarino entrare nella baracca con la sua micidiale arma di guerra. C'era dunque pericolo, se lui, quell'eroe... In un batter d'occhio tutto lo spazio davanti alle gabbie restò vuoto. I bambini strillavano di paura, le signore lanciavano occhiate spaventate verso l'uscita. Il farmacista Bèzuquet si eclissò dicendo che andava a prendere il fucile... Ma a poco a poco l'atteggiamento di Tartarino rassicurò i presenti. Calmo, a testa alta, l'intrepido Tarasconese fece lentamente il giro del baraccone; passò senza fermarsi davanti alla tinozza della foca, lanciò un occhiata sprezzante sulla lunga cassa piena di crusca dove il serpente boa stava digerendo il suo pollo crudo, e finalmente andò a piantarsi davanti alla gabbia del leone... Incontro terribile e solenne! Il leone di Tarascona e il leone dell'Atlante. L'uno di faccia all'altro... Da una parte Tartarino, solidamente piantato sulle gambe e con le braccia appoggiate al fucile; dall'altra il leone, un leone gigantesco, sdraiato sulla paglia, con gli occhi sonnacchiosi e l'aria rimbecillita, col suo muso enorme dalla parrucca gialla appoggiato sulle zampe anteriori... Tutti e due si guardavano intensamente negli occhi. Cosa strana! Sia che il fucile ad ago gli avesse urtato i nervi, sia che avesse fiutato un nemico della sua razza, il leone, che fino a quel momento si era limitato a guardare i Tarasconesi con profondo disprezzo sbadigliando loro sul naso, ebbe improvvisamente un moto di collera. Prima sbuffò, brontolò sordamente, mise fuori gli unghioni e si stirò sulle gambe; poi si alzò, drizzò la testa, scosse la criniera, aprì una bocca immensa ed emise un ruggito formidabile all'indirizzo di Tartarino. Un urlo di terrore gli rispose. Presa dal panico, tutta Tarascona si precipitò verso le porte. Tutti, donne, bambini, cacciatori di berretti, facchini, persino il prode comandante Bravida... solo Tartarino di Tarascona non battè ciglio. Era lì, davanti alla gabbia, immobile e risoluto, con gli occhi lampeggianti e con sul volto quell'espressione minacciosa che tutta la città conosceva... Dopo qualche momento, quando i cacciatori di berretti, rassicurati dal suo atteggiamento e dalla solidità delle sbarre, si furono avvicinati al loro capo, lo sentirono mormorare: Questa sì che è una caccia! Quel giorno, Tartarino di Tarascona non aggiunse altro. 9. Strani effetti del miraggio. Quel giorno Tartarino di Tarascona non aggiunse altro; ma lo sventurato aveva già detto anche troppo... Il giorno dopo, in città non si parlava che della

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prossima partenza di Tartarino per la caccia ai leoni in Algeria. Siete tutti testimoni, cari lettori, che il brav'uomo non aveva minimamente accennato a una cosa del genere; ma che volete, il miraggio... Insomma, tutta Tarascona non parlava che della partenza di Tartarino. Per la via, al circolo, nella bottega di Costecalde, la gente si interrogava con aria sbigottita: L'avete saputa la grande notizia? Sapete che Tartarino deve partire per la caccia ai leoni? L'uomo più meravigliato di tutta la città, quando seppe che stava per partire per l'Africa, fu Tartarino. Ma guardate cos'è la vanità! Invece di rispondere semplicemente che non sarebbe partito affatto e che non aveva mai avuto l'intenzione di partire, il povero Tartarino, la prima volta che gli parlarono di quel viaggio, disse con tono leggermente ambiguo: Eh, già... forse... non dico di no. La seconda volta, un po' più familiarizzato con l'idea, rispose: E' probabile. La terza volta: E' certo! La sera, poi, al circolo e in casa Costecalde, trascinato da un robusto ponce, dall'entusiasmo e dalle luci, ubriacato dal successo che la notizia della sua partenza aveva sollevato in città, lo sventurato dichiarò formalmente che ormai era stufo di cacciare i berretti, e che presto si sarebbe messo sulle tracce dei grandi leoni dell'Atlante. Un urrà! formidabile accolse questa dichiarazione. Seguì una nuova distribuzione di ponce, strette di mano, abbracci, serenata e fiaccolata fino alla mezzanotte davanti alla villetta del baobab. Ma Tartarino-Sancio non era affatto contento! L'idea di questo viaggio in Africa e della caccia al leone lo faceva rabbrividire in anticipo appena rientrato in casa e mentre la serenata d'onore risuonava ancora sotto le finestre, egli fece a Tartarino-Chisciotte una scenata spaventevole. Lo chiamò matto, visionario, imprudente, delirante; e gli enumerò una per una tutte le catastrofi che l'attendevano in quella spedizione: naufragi, reumatismi, febbri tropicali, dissenteria, peste nera, elefantiasi e via discorrendo... Invano Tartarino-Chisciotte giurava di non commettere imprudenze, di coprirsi bene e di portare tutto l'occorrente per ogni evenienza; Tartarino-Sancio non voleva sentir ragioni. Il pover'uomo si vedeva già fatto a pezzi dai leoni, inghiottito dalle sabbie del deserto come re persiano Cambise, e l'altro Tartarino riuscì a calmarlo un po' solo quando gli ebbe spiegato che non si trattava di partire subito, che non c'era fretta, e che, tutto sommato, non erano ancora partiti. E' chiaro, infatti, che non ci si imbarca in un'impresa del genere senza prendere qualche precauzione. Bisogna sapere dove si va, che diavolo! e non partire come un uccello... Per prima cosa, il Tarasconese volle rileggere i racconti dei grandi esploratori africani, i resoconti di Mungo-Park, di Caillè, del dottor Livingstone, di Henry Vuveyrier. In quelle pagine, vide che quegli intrepidi viaggiatori, prima di mettersi in marcia per quelle lontane esplorazioni, si erano allenati in precedenza a sopportare la fame, la sete, le marce forzate e ogni genere di privazioni. Tartarino volle fare come loro e, a cominciare da quel giorno, si nutrì esclusivamente di acqua bollita. Quello che a Tarascona si chiama acqua bollita consiste in qualche fetta di pane annegata nell'acqua calda, con uno spicchio d'aglio, un po' di timo e una foglia di alloro. Era un regime severo, e potrete facilmente immaginarvi le boccacce del povero Sancio... All'allenamento con l'acqua bollita, Tartarino unì altri saggi esercizi. Così, per abituarsi alle lunghe marce, si obbligò a fare ogni mattina sette o otto volte il giro della città, ora a passo accelerato, ora a passo ginnastico, braccia flesse e due sassolini bianchi in bocca, secondo l'uso antico. Poi, per abituarsi al fresco della notte, alle nebbie, alla rugiada, scendeva tutte le sere in giardino e ci restava per circa dieci, undici ore, solo col suo fucile, alla posta dietro il baobab.

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Aggiungeremo che per tutto il tempo che il serraglio Mitaine rimase a Tarascona, i cacciatori di berretti rimasti fino a tardi da Costecalde, potevano scorgere, passando dalla piazza del castello, un uomo misterioso che nell'oscurità camminava in su e in giù dietro il baraccone. Era Tartarino di Tarascona, che si abituava ad ascoltare senza fremere i ruggiti del leone nella notte. 10. Prima della partenza. Mentre Tartarino perseverava nel suo allenamento con eroica ostinazione, tutta Tarascona gli teneva gli occhi addosso; in città non ci si occupava d'altro. La caccia ai berretti batteva la fiacca, le romanze erano rimaste disoccupate. Nella farmacia Bèzuquet il pianoforte languiva sotto un panno verde, e sopra di esso, con le zampette all'aria, seccavano le mosche cantaridi. La spedizione di Tartarino aveva fermato tutto. Bisognava vedere il successo che il Tarasconese aveva nei salotti. Tutti se lo strappavano, se lo disputavano, se lo prestavano, se lo rubavano. Per le signore non c'era onore più grande di quello di andare al serraglio Mitaine al braccio di Tartarino, e di farsi spiegare, davanti alla gabbia del leone i vari metodi che venivano usati per cacciare quelle belve, dove bisognava mirare, a quanti passi di distanza, se gli incidenti erano numerosi, e via discorrendo... Tartarino dava tutte le spiegazioni possibili. Aveva letto i due libri di memorie di Jules Gèrard, detto l'Uccisore dei Leoni, quell'ufficiale francese degli spahis che si rese famoso per la caccia ai leoni che devastavano l'Algeria, e aveva ormai la caccia al leone sulla punta delle dita come se l'avesse fatta anche lui. E parlava dell'argomento con una grande eloquenza. Ma il bello veniva la sera, a pranzo dal presidente Ladevèze o dal prode comandante Bravida, capitano di commissariato in pensione, quando, al momento del caffè, tutti avvicinavano le sedie e lo facevano parlare delle sue cacce future... Allora, col gomito appoggiato sulla tovaglia, col naso nella tazzina del suo moca, l'eroe enumerava con voce commossa tutti i pericoli che l'attendevano laggiù. Parlava dei lunghi appostamenti nelle notti senza luna, delle paludi pestilenziali, dei fiumi avvelenati dalle foglie dell'oleandro, delle nevi, dei soli ardenti, degli scorpioni, delle nubi di cavallette; spiegava anche le abitudini dei grandi leoni dell'Atlante, il loro modo di combattere, il loro eccezionale vigore, la loro ferocia... Poi, esaltandosi alle proprie parole, balzava in piedi, piombava in mezzo alla sala da pranzo, imitando il ruggito del leone, i colpi della carabina, pan! pan! il fischio di un proiettile esplosivo, pfft! pfft! gesticolava, ringhiava, rovesciava le sedie... Intorno alla tavola, i volti impallidivano. Gli uomini si guardavano scuotendo la testa, le signore chiudevano gli occhi con dei gridolini di spavento, i vecchi brandivano bellicosamente i loro bastoni e, nella stanza accanto, i bambini, messi a letto di buon'ora, svegliati di soprassalto dai ruggiti e dai colpi di fucile, chiedevano un lume, terrorizzati. Ma Tartarino non partiva. 11. Colpi di spada, signori, colpi di spada!... Non colpi di spillo! Aveva realmente l'intenzione di partire?... Domanda delicata e capace di mettere in grave imbarazzo lo storico di Tartarino. Il fatto è che già da tre mesi il serraglio Mitaine aveva lasciato Tarascona, e lo sterminatore di leoni non si era mosso... Forse il candido eroe accecato da un nuovo miraggio, s'immaginava in buona fede di essere già stato in Algeria. Forse, a furia di raccontare le sue cacce future, si era convinto di averle fatte, come era convinto di aver alzato la bandiera consolare e di aver sparato sui Tartari, pum! pum! a Shanghai. Purtroppo, se anche questa volta Tartarino di Tarascona fu vittima del

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miraggio, i Tarasconesi non lo furono. Quando, dopo tre mesi di attesa, si accorsero che il cacciatore di leoni non aveva ancora preparato nemmeno una valigia, cominciarono a mormorare. Andrà a finire come per quella storia di Shanghai! diceva sorridendo Costecalde. E le parole dell'armaiolo ebbero un grande successo in città, perchè ormai nessuno aveva più fiducia in Tartarino. I timidi, i paurosi, le persone come Bèzuquet, che sarebbero fuggite davanti a una pulce e che erano incapaci di tirare una fucilata senza chiudere gli occhi, erano i più accaniti. Al circolo, sul piazzale, abbordavano il povero Tartarino e gli chiedevano con aria leggermente canzonatoria: E allora, quando si parte? Nel negozio Costecalde, la sua opinione non faceva più legge. I cacciatori di berretti rinnegavano il loro capo! Poi cominciarono gli epigrammi. Il presidente Ladevèze, che nelle sue ore di libertà faceva volentieri un po' di corte alle muse, compose una canzone che ebbe molta fortuna. Si trattava della storia di un certo mastro Gervasio, gran cacciatore, che, col suo formidabile fucile, doveva andare in Africa a sterminare i leoni. Purtroppo quel maledetto fucile aveva uno strano difetto: si caricava sempre, e non sparava mai. L'allusione era chiara... In un batter d'occhio, la canzonetta diventò popolare; e quando passava Tartarino. i facchini dello scalo e i piccoli lustrascarpe davanti alla porta, cantavano in coro: A caccia di leoni con la sua carabina, andò mastro Gervasio una bella mattina. Ma l'arma traditrice gli procurò dei guai, la caricava sempre, e non sparava mai! Però, a causa dei muscoli doppi, gliela cantavano da lontano. Oh fragilità degli entusiasmi tarasconesi! Lui, il grand'uomo, faceva finta di non vedere, di non sentire; ma in fondo questa guerricciola sorda e velenosa lo faceva soffrire; sentiva che Tarascona gli scivolava dalle mani, e che il favore popolare si riversava su altri. E' bello sedersi davanti al piatto appetitoso della popolarità, ma se il piatto si rovescia, che scottature! A dispetto delle sue sofferenze, Tartarino, come se niente fosse, seguitava sorridendo la sua solita vita. Qualche volta, tuttavia, la maschera di serena indifferenza che per orgoglio Tartarino si era incollata sul viso, si staccava improvvisamente. Allora, invece del sorriso, si vedevano sul suo volto indignazione e dolore. E così, una mattina, mentre i piccoli lustrascarpe cantavano sotto le sue finestre: Il fucile di mastro Gervasio, le voci di quei miserabili giunsero fino alla camera del pover'uomo che stava facendosi la barba davanti allo specchio (Tartarino portava la barba intera, ma siccome cresceva troppo alla svelta, era costretto a controllarla). All'improvviso la finestra si spalancò con violenza, e Tartarino apparve in camicia, con una salvietta annodata in testa e le guance insaponate. Brandendo minacciosamente il rasoio, egli gridò con voce formidabile: Colpi di spada, signori, colpi di spada!... Non colpi di spillo! Bellissime parole degne di passare alla storia, se non avessero avuto il torto di essere indirizzate a quei monelli, alti come la loro cassettina da lustrascarpe, e incapaci di maneggiare una spada come veri gentiluomini. 12. Di quel che fu detto nella villetta del baobab. In mezzo alla defezione generale, solo l'esercito restava fedele a Tartarino. Il valoroso comandante Bravida, capitano di commissariato in pensione, gli manteneva intatta la sua stima. E' un prode! si ostinava a dire, e questa sua affermazione aveva, immagino, lo stesso valore di quella del farmacista Bèzuquet. Nemmeno una volta il valoroso comandante aveva fatto allusione al viaggio di Tartarino in Africa; ma quando il clamore popolare divenne troppo insistente, egli si decise a parlare. Una sera, lo sventurato Tartarino era solo nel suo studio, immerso in tristi

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pensieri, quando vide entrare il comandante. Solenne, coi guanti neri e abbottonato fino agli orecchi, il capitano in pensione disse con autorità: Tartarino, bisogna partire! E restò impalato nel vano della porta rigido e impassibile come il dovere. Tartarino comprese subito il profondo significato di quella frase. Si alzò, pallidissimo, guardò con occhio pieno di tenerezza quel suo delizioso studio, così intimo, pieno di calore e di luce, quella sua poltrona così comoda, i suoi libri, i suoi tappeti, le grandi tende bianche alle finestre, dietro le quali tremavano i rami gracili delle sue piante; poi, avanzandosi verso il valoroso comandante, gli afferrò la mano, la strinse con energia, e con una voce dove si sentivano le lacrime, ma anche una stoica rassegnazione, gli disse: Partirò, Bravida! E, come aveva detto, partì. Ma non subito... gli ci volle il tempo per fare i preparativi. Per prima cosa ordinò da Bompard due grandi bauli rinforzati, con sopra una lunga targa recante l'iscrizione: TARTARINO DI TARASCONA. Cassa d'armi. Per rinforzare i bauli e per incidere la targa, ci volle molto tempo. Poi ordinò da Tastavin un magnifico album da viaggio per scrivere il suo giornale e le sue impressioni; perchè, anche quando si va a caccia di leoni, c'è sempre tempo di fare delle riflessioni, specialmente durante gli spostamenti. Poi si fece venire da Marsiglia un carico di conserve alimentari, del pemmican in tavolette per fare il brodo, quel cibo tipico degli Indiani dell'America del Nord, che consiste in sottili fette di carne e pesce, seccate e affumicate. Poi una tenda di nuovo modello che si montava e si smontava in un minuto, un paio di stivali da marinaio, due ombrelli, un impermeabile, e un paio di occhiali azzurri contro i riflessi del sole. Infine il farmacista Bèzuquet gli preparò una piccola farmacia da viaggio, piena zeppa di cerotti, d'acqua d'arnica, di canfora e di aceto dei sette ladri. Povero Tartarino! Egli sperava, a forza di precauzioni e di attenzioni delicate, di calmare il furore di Tartarino-Sancio che, da quando la partenza era stata decisa, non faceva che protestare dalla mattina alla sera. 13. La partenza. Finalmente scoccò l'ora fatidica e solenne. Dall'alba, tutta Tarascona era in piedi, e affollava la strada di Avignone e le vicinanze della villetta del baobab. Gente alle finestre, sui tetti, sugli alberi; marinai del Rodano, facchini, lustrascarpe, impiegati, operaie della filanda, membri del circolo, insomma tutta la città; persino gente di Beaucaire era venuta a Tarascona, attraversando il ponte; c'erano anche degli ortolani dei sobborghi con le loro carrette coperte, dei vignaioli in sella alle loro mule tutte infiocchettate e cariche di nastri, di nappe e di bubboli, e non mancava qualche bella ragazza di Arles coi capelli intrecciati di nastri azzurri, venuta insieme all'amoroso, in groppa a un bel cavallino grigio della Camargue. Tutta questa folla si accalcava davanti alla porta di Tartarino, di quel bravo signor Tartarino, che andava ad ammazzare i leoni dai Turchi. Per i Tarasconesi, l'Algeria, l'Africa, la Grecia, la Persia, la Turchia, la Mesopotamia, formano tutte insieme un immenso e indefinito paese, quasi mitologico, chiamato semplicemente i Turchi. Davanti alla villetta del baobab erano ferme due grosse carriole. Di tanto in tanto, quando si apriva la porta, si potevano scorgere nel giardinetto alcune persone che passeggiavano con aria solenne. Degli uomini portavano valige, casse, sacchi a pelo, che accatastavano sulle carriole. A ogni nuovo pacco, la folla fremeva. Si nominavano gli oggetti ad alta voce: Ecco la tenda... la carne in scatola... la farmacia... le casse d'armi... E i cacciatori di berretti davano spiegazioni. Improvvisamente, verso le dieci, ci fu un gran movimento tra la folla. La porta del giardino girò violentemente sui cardini. E' lui!... E' lui! gridarono tutti. Era lui... Quando Tartarino apparve sulla soglia, due gridi

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di stupore partirono dalla folla: E' un Turco! Ha gli occhiali! Andando in Algeria, infatti, era sembrato necessario a Tartarino indossare il costume algerino. Ampi pantaloni bianchi a sbuffo, giacchettina stretta con bottoni di metallo, mezzo metro di cintura rossa intorno allo stomaco, il collo nudo, la fronte rasa, e sulla testa un gigantesco fez rosso con una nappa azzurra che non finiva mai... Inoltre, due pesanti carabine, una per spalla, un coltellaccio da caccia alla cintura e un revolver con la sua fondina che gli dondolava su un fianco. Nient'altro... Ah, scusate, dimenticavo gli occhiali; un enorme paio di occhiali azzurri che, molto a proposito, mitigavano alquanto l'aspetto un po' troppo feroce del nostro eroe. Viva Tartarino!... Viva Tartarino! gridò la folla. Il grand'uomo sorrise, ma impedito dai fucili, non potè ringraziare. Del resto, sapeva ormai per esperienza quanto valeva il favore del popolo; forse, in fondo all'anima, egli malediceva quei suoi terribili concittadini che lo costringevano a partire, a lasciare la sua cara villetta dai muri bianchi e dalle persiane verdi... ma questo suo sentimento rimaneva nascosto. Calmo e fiero, sebbene un po' pallido, Tartarino si avanzò sulla strada, osservò le sue carriole, e dopo essersi assicurato che tutto era in ordine, si avviò risolutamente verso la stazione, senza voltarsi nemmeno una volta a guardare la sua villetta del baobab. Lo seguivano il valoroso comandante Bravida, capitano di commissariato in pensione, il presidente Ladevèze, l'armaiolo Costecalde e tutti i cacciatori di berretti; più indietro, le carriole, più indietro ancora, il popolo. Il capostazione lo attendeva davanti alla banchina; era un reduce d'Africa del 1830, e gli strinse più volte calorosamente la mano. Il rapido Parigi-Marsiglia non era ancora arrivato. Tartarino e il suo stato maggiore entrarono nella sala d'aspetto. Per evitare l'eccessivo affollamento della sala, il capostazione fece chiudere i cancelli. Per un quarto d'ora, Tartarino camminò in lungo e in largo tra i cacciatori di berretti. Parlava del suo viaggio, della caccia, e prometteva a tutti una pelle di leone. Tutti si prenotarono per una pelle sul suo carnet, come ci si prenota per una danza. Tranquillo e sereno come Socrate al momento di bere la cicuta, l'intrepido Tarasconese aveva una parola per ciascuno, un sorriso per tutti. In un angolo, degli operai piangevano. Fuori, il popolo guardava attraverso le sbarre dei cancelli, e urlava: Viva Tartarino! Finalmente suonò la campana. Un fischio lacerante e un rotolìo sordo fecero tremare le arcate della stazione... In vettura! In vettura! Addio, Tartarino!... addio, Tartarino!... Addio, a tutti!... mormorò il grand'uomo, e sulle guance del valoroso comandante Bravida baciò la sua cara Tarascona. Poi si slanciò verso il treno, e salì su una vettura piena di signore di Parigi, che stettero lì lì per morire dallo spavento nel vedere entrare quello strano uomo armato fino ai denti. 14. Il porto di Marsiglia, A bordo. Il primo giorno di dicembre del 186... verso mezzogiorno, con un sole da inverno provenzale, e un cielo chiaro, limpido, luminoso, i Marsigliesi stupefatti videro sbucare sulla Canebière un Turco; ma un Turco più Turco di tutti quelli che fino allora avevano visto; eppure, Dio sa se a Marsiglia mancano i Turchi! Inutile dirvi che quel Turco era Tartarino di Tarascona, il grande Tartarino, che camminava lungo il molo, seguito dalle sue casse d'armi, dalla sua farmacia, dalle sue scatole di carne in conserva, diretto verso l'imbarcadero della compagnia Touache, dove l'attendeva il piroscafo Zuavo che doveva condurlo in Algeria. Con ancora negli orecchi l'eco degli applausi tarasconesi, ubriacato dalla luminosità del cielo e dall'odore del mare, Tartarino procedeva raggiante, coi

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fucili in spalla, la testa alta, e gli occhi spalancati sulle affascinanti meraviglie del porto di Marsiglia, che vedeva per la prima volta... Il pover'uomo credeva di sognare. Gli sembrava d'essere Sindbad il Marinaio e di trovarsi in una città fantastica da Mille e una notte. Alberi e pennoni s'incrociavano in tutti i sensi a perdita d'occhio. Sventolavano bandiere di ogni paese, russe, greche, svedesi, tunisine, americane... Le navi ormeggiate rasente alla banchina protendevano i loro bompressi come una fila di baionette. Più in basso le naiadi, le dee, le sante vergini e le altre sculture di legno dipinto che danno il nome alla nave, apparivano corrose dalla salsedine, consumate, gocciolanti, ammuffite... Qua e la, tra una nave e l'altra, tremolava cangiante un pezzetto di mare... Tra il groviglio dei pennoni, nuvole bianche di gabbiani spiccavano sull'azzurro del cielo, e i mozzi si chiamavano in tutte le lingue. Sulla banchina, in mezzo ai rigagnoli densi e nerastri, saturi d'olio e di soda, che venivano dalle fabbriche di sapone, si agitava una moltitudine di doganieri, di spedizionieri, di facchini con le loro carrette tirate da piccoli cavalli còrsi. Negozi di abiti strani, baracche fumose dove i marinai si preparavano da mangiare, mercanti di pipe, di scimmie, di pappagalli, di cordami, di tela da vele; incredibili botteghe di anticaglie, dove erano esposte alla rinfusa vecchie colubrine, grosse lanterne dorate, vecchi paranchi, ancore arrugginite e sdentate, vecchie carrucole, megafoni usati, cannocchiali dell'epoca di Jean Bart, l'ammiraglio francese, celebre per le sue lotte con i pirati nel Mediterraneo e nelle Antille. Venditrici di arselle e di datteri di mare, accovacciate accanto alle loro conchiglie, lanciavano il loro grido lamentoso. Passavano dei marinai carichi di mastelli di catrame, di marmitte fumanti, di grandi panieri pieni di polpi, che andavano a lavare nell'acqua biancastra delle fontane. Dovunque un assortimento incredibile di mercanzie: sete, minerali grezzi, carichi di legname, piombo in pani, stoffe, zucchero, carrube, colza, liquirizia, canna da zucchero. Un guazzabuglio di Oriente e di Occidente. Più lontano, lo scarico del grano; dall'alto dei ponti, i facchini scaricavano i loro sacchi. Il grano, come un torrente d'oro, scorreva in mezzo alla polvere bionda. Degli uomini col fez rosso lo vagliavano in grossi stacci di pelle d'asino e lo caricavano sopra i carri; quando i carri si mettevano in moto, erano seguiti da un esercito di donne e di bambini pronti a raccogliere i chicchi che cadevano. Nel bacino di carenaggio le grosse navi coricate su un fianco, venivano liberate dalle incrostazioni delle alghe per mezzo del fuoco; l'aria era impregnata dell'odore di resina e rintronava del rumore assordante dei carpentieri occupati a rinforzare gli scafi con lastre di rame. Ogni tanto, tra la selva degli alberi delle navi, uno spazio libero. Allora Tartarino poteva vedere l'ingresso del porto, il continuo va e vieni delle navi, una fregata inglese in partenza per Malta, elegante e tirata a lucido, con gli ufficiali in guanti gialli, o un brigantino marsigliese, che salpava in mezzo alle grida e alle imprecazioni, mentre un grosso capitano in redingote e cappello a cilindro dirigeva la manovra in provenzale. Navi si allontanavano veloci con tutte le vele al vento, mentre altre navi lontane si avvicinavano lentamente nel sole, come sospese tra cielo e mare. Sempre e dappertutto un frastuono spaventoso, il rotolìo dei carri, gli oh, issa! dei marinai, canti, imprecazioni, fischi di battelli a vapore, i tamburi e le trombe dei forti della città, le campane della cattedrale e delle altre chiese di Marsiglia; per colmare la misura, un forte vento di maestrale si impadroniva di tutti questi rumori, di tutti questi clamori, li trascinava, li scuoteva, li mescolava con la propria voce e ne faceva una musica pazza, selvaggia, eroica come una fanfara di guerra, una fanfara che invogliava a partire, ad andare lontano, a volare nell'infinito. Fu al suono di questa eccitante fanfara che l'intrepido Tartarino di Tarascona s'imbarcò per il

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paese dei leoni!... Nel paese dei Turchi. 1. La traversata, Le cinque posizioni del fez, La sera del terzo giorno, Misericordia. Cari lettori, vorrei essere un pittore, un grande pittore, per potervi dipingere, all'inizio di questo secondo episodio, tutte le differenti posizioni che prese il fez di Tartarino di Tarascona a bordo dello Zuavo, nei tre giorni della traversata tra la Francia e l'Algeria. Ve lo mostrerei da principio sul ponte, al momento della partenza eroico e superbo, degna corona per quella bella testa tarasconese. Poi ve lo farei vedere all'uscita del porto, mentre lo Zuavo comincia a caracollare sulle onde: ve lo mostrerei fremente, stupefatto, quasi in attesa dei primi sintomi del male. Più tardi, nel golfo del Leone, via via che la nave avanza verso il largo e che il mare diventa sempre più grosso, ve lo farei vedere alle prese con la tempesta, dritto e spaurito sulla testa dell'eroe, mentre la sua grande nappa turchina s'impenna al vento della burrasca... Quarta posizione. Sono le sei di sera, in vista delle coste della Corsica. Lo sventurato fez si spenzola dal parapetto e contempla melanconicamente il mare... Finalmente, quinta ed ultima posizione, nel fondo di una stretta cabina, in un lettino che sembra la cassetta di un armadio, ridotto a una povera cosa informe e disperata che si rotola gemendo sul guanciale. E' il fez, l'eroico fez della partenza, ridotto ormai al volgare uso di berretto da notte, tirato fino agli orecchi di un essere umano livido e convulso. Ah, se i Tarasconesi avessero potuto vedere il loro grande Tartarino coricato nella sua cassetta sotto la luce pallida e triste che pioveva dagli oblò, oppresso dall'odore nauseante della nave che sapeva di cucina e di legno marcito! Se l'avessero sentito rantolare a ogni giro dell'elica, chiedere del tè ogni cinque minuti, e invocare il cameriere con una vocina di bambino malato, forse allora si sarebbero pentiti di averlo obbligato a partire... Parola di storico! il povero turco faceva veramente pietà. Sorpreso dal male, allo sventurato era mancato il coraggio di allentarsi la cintura algerina, e di liberarsi dal suo arsenale. Il manico del coltellaccio gli schiacciava il petto, la fondina della rivoltella gli ammaccava le gambe. Come se non bastasse, quel fifone di Tartarino-Sancio non la finiva più di brontolare e di lamentarsi: Imbecille... te l'avevo detto!... L'hai voluta l'Africa?... Eccola! Ti piace? Cosa ancora più crudele, il disgraziato, dal fondo della sua cabina e in mezzo alle sue sofferenze, sentiva gli altri passeggeri che, riuniti nel salone della nave, ridevano, cantavano, mangiavano e giocavano a carte. La compagnia era numerosa e allegra a bordo dello Zuavo. Ufficiali che tornavano alle loro guarnigioni, attrici dell'Alcazar di Marsiglia, attori di varietà, un ricco musulmano che tornava dalla Mecca, un principe montenegrino molto spiritoso che faceva delle imitazioni... nemmeno uno di tutta questa gente soffriva il mal di mare, e tutti passavano il tempo a bere champagne col capitano dello Zuavo, un buontempone di Marsiglia che rispondeva al nome di Barbassou. Tartarino di Tarascona ce l'aveva a morte con quei miserabili. La loro allegria raddoppiava le sue sofferenze. Finalmente, nel pomeriggio del terzo giorno, il nostro eroe fu tratto dal suo lungo torpore da un movimento straordinario che cominciò a bordo del piroscafo. La campana di prua si mise a suonare. Sul ponte si sentivano correre le grosse scarpe dei marinai. Macchina avanti!... macchina indietro! gridava la voce rauca del capitano Barbassou. Poi: Macchina, stop! Una fermata brusca, una scossa, poi più nulla... La nave rimase a dondolarsi in silenzio, come un pallone che galleggia nell'aria...

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Questo strano silenzio spaventò il Tarasconese. Misericordia! affondiamo!... gridò con voce terribile, e ritrovando come per magia tutte le sue forze, balzò dalla cuccetta e si precipitò sul ponte con tutto il suo arsenale. 2. Non si affondava: si arrivava. Lo Zuavo era entrato allora nella rada, una bella rada dalle acque nere e profonde, ma silenziosa, malinconica e quasi deserta. Di fronte sulla collina, si vedeva Algeri con le sue casette di un bianco opaco che scendono verso il mare, strette le une contro le altre, come un bucato bianco messo ad asciugare al sole. E sopra, un cielo immenso di un incredibile azzurro. L'illustre Tartarino, che si era un po' rimesso dallo spavento, guardava il paesaggio, ascoltando rispettosamente il principe montenegrino che, in piedi al suo fianco, gli nominava i vari quartieri della città, la Casba la città alta, la via Bab-Azun. Molto garbato, quel principe montenegrino conoscitore profondo dell'Algeria e capace di parlare l'arabo correntemente. Tartarino si proponeva già di coltivare la sua conoscenza... Improvvisamente, il Tarasconese scorse una lunga fila di enormi mani nere aggrapparsi all'esterno del parapetto della nave. Quasi nello stesso tempo, gli comparve davanti una testa cresputa di negro, e prima che egli avesse il tempo di aprir bocca, il ponte fu invaso da un centinaio di pirati, neri, gialli, mezzi nudi, spaventosi e terribili. Tartarino li conosceva, quei pirati... Erano loro, non potevano essere che loro, quei famosi loro che aveva così spesso cercato, la notte, per le vie di Tarascona. Finalmente loro si decidevano a comparire. La sorpresa fu tale che, nel primo istante, Tartarino rimase come paralizzato; ma quando vide i pirati precipitarsi sopra i bagagli, tirar via il copertone che li copriva, e dare inizio al sacco della nave, l'eroe si risvegliò, e sguainando il suo coltello da caccia: All'armi, all'armi! gridò ai passeggeri, e primo di tutti si gettò contro i pirati. Che succede? Cosa le prende? fece il capitano Barbassou, che usciva allora sul ponte. Ah! Eccola, capitano!... Presto, armi i suoi uomini. Santo cielo, a far cosa? Ma non vede, dunque?... Cosa c'è da vedere? Là... davanti a lei... i pirati... Il capitano Barbassou rimase a contemplarlo, sbalordito. In quel momento, passò davanti a loro un gran diavolo di gigante negro che portava via di corsa la farmacia del nostro eroe. Fermati!... Miserabile!... urlò il Tarasconese; e si lanciò dietro il negro, brandendo il coltello. Barbassou lo riprese a volo, trattenendolo per la cintura: Ma si calmi dunque, per bacco!... Macchè pirati... è un pezzo che non ce ne sono più... sono dei facchini. Dei facchini!... Ma sicuro! dei facchini che vengono a prendere i bagagli per portarli a terra... Rimetta dentro il suo coltellaccio, e mi dia il biglietto; poi vada pure dietro a quel negro. E' un bravo ragazzo, che la porterà a terra, e anche all'albergo, se vuole! Un po' mortificato, Tartarino consegnò il suo biglietto, seguì il negro, e si calò in una grossa barca che si dondolava lungo il fianco della nave. C'erano già tutti i suoi bagagli, i bauli, le casse d'armi, le conserve alimentari; tutta quella roba riempiva completamente la barca, e non ci fu bisogno di aspettare altri passeggeri. Il negro si arrampicò sui bauli, e ci si accovacciò sopra come una scimmia. Un altro negro prese i remi... Tutti e due guardavano Tartarino e ridevano, mettendo in mostra i loro denti bianchi. In piedi, a poppa, con quella grinta terribile che era il terrore dei suoi

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concittadini, il grande Tarasconese tormentava nervosamente il manico del suo coltellaccio; malgrado le tranquillizzanti informazioni di Barbassou, si sentiva rassicurato solo a metà sulle intenzioni di quei due facchini dalla pelle d'ebano, così diversi dai bravi facchini di Tarascona... Dopo cinque minuti, la barca giungeva a terra, e Tartarino posava il piede su quel piccolo molo barbaresco dove, trecento anni prima, un galeotto spagnolo chiamato Miguel Cervantes, concepiva, sotto la sferza della ciurma barbaresca, quel sublime romanzo che doveva chiamarsi Don Chisciotte! 3. Invocazione a Cervantes, Sbarco, Dove sono i Turchi? Delusione. Oh, Miguel Cervantes Saavedra, sè è vero, come si dice, che nei luoghi dove i grandi uomini hanno abitato, aleggi nell'aria fino alla consumazione dei secoli, qualcosa di loro, quel che restava di te sul lido barbaresco, dovette trasalire di gioia nel veder sbarcare Tartarino di Tarascona, lo straordinario tipo di francese meridionale in cui erano incarnati i due eroi del tuo libro. Don Chisciotte e Sancio Panza... Faceva caldo. quel giorno. Sul molo inondato dal sole c'erano solo cinque o sei doganieri, qualche Algerino che aspettava notizie dalla Francia, alcuni Arabi accovacciati a fumare le loro lunghe pipe, e dei marinai maltesi che tiravano le loro grandi reti dove migliaia di sardine luccicavano come piccole monete d'argento. Ma appena Tartarino ebbe messo piede a terra, il molo si animò e cambiò aspetto. Una banda di selvaggi, ancora più spaventosi dei pirati della nave, Si drizzò sulla riva sassosa e si precipitò sul disgraziato viaggiatore. Arabi giganteschi, nudi sotto i loro mantelli di lana, Mauri piccoli e coperti di stracci, negri, Tunisini, Mozabiti, camerieri d'albergo col grembiule bianco, si attaccarono urlando ai suoi abiti, si disputarono i suoi bagagli, l'uno impadronendosi della sua cassa di carne conservata, l'altro afferrando la farmacia, e tutti gridandogli in una lingua incomprensibile degli inverosimili nomi di alberghi... Stordito da tutto questo tumulto, il povero Tartarino andava e veniva tempestava, imprecava, si dimenava, correva dietro i suoi bagagli e, non sapendo cosa inventare per farsi capire da quei barbari, li arringava in francese, in provenzale, e anche in latino, il suo latino scolastico, rosa rosae, bonus, bona, bonam, tutto quello che sapeva... Fatica sprecata. Nessuno lo stava a sentire... Fortunatamente un ometto, che indossava una tunica col colletto giallo ed era armato di un lungo e robusto manganello, intervenne nella mischia come un dio d'Omero, e disperse tutta quella canaglia a colpi di bastone. Era una guardia di città algerina. Con molta gentilezza, la guardia consigliò a Tartarino l'Hotel de l'Europe, e l'affidò a dei facchini dello stesso albergo che, dopo aver caricato i suoi bagagli su delle carrette, lo condussero con loro. Dopo i primi passi in città, Tartarino spalancò tanto d'occhi. Si era aspettato di trovare una città orientale, fantasmagorica, mitica, qualcosa tra Costantinopoli e Zanzibar... gli sembrava di trovarsi in piena Tarascona... Caffè, ristoranti, strade larghe, case a quattro piani, una piazzetta pavimentata in macadàm, quella pavimentazione stradale in pietrisco che prende nome dal nome dell'ing. scozzese McAdam, dove una banda militare suonava delle polke di Offenbach davanti a dei signori seduti che bevevano birra e mangiavano pasticcini, a delle signore e a delle signorine, e ad una quantità incredibile di militari... ma non c'era nemmeno un Turco!... non c'era che lui... e così, quando dovette attraversare la piazza, si sentì un po' imbarazzato. Tutti lo guardavano. I suonatori smisero di suonare, e la polka di Offenbach rimase sospesa a mezz'aria. Coi suoi due fucili in spalla, la rivoltella al fianco, fiero e maestoso come Robinson Crusoe, Tartarino passò solennemente in mezzo alla gente.

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Ma appena arrivato all'albergo, le forze lo abbandonarono. La partenza da Tarascona, il porto di Marsiglia, la traversata, il principe montenegrino, i pirati, tutto cominciò a girare vorticosamente davanti ai suoi occhi. Bisognò portarlo in camera di peso, disarmarlo, spogliarlo... Si parlava già di chiamare il medico; ma appena ebbe posato la testa sul cuscino, l'eroe cominciò a russare così di gusto e così sonoramente, che l'albergatore giudicò inutili i soccorsi della scienza, e tutti si ritirarono con discrezione. 4. Il primo appostamento. Suonavano le tre all'orologio del palazzo del Governatore, quando Tartarino si svegliò. Aveva dormito tutta la sera, tutta la notte, tutta la mattina, e anche una buona parte del pomeriggio; ma bisogna considerare che da tre giorni quel povero fez ne aveva passate delle belle! Appena aperti gli occhi, il primo pensiero dell'eroe fu: Sono nel paese dei leoni! Ma perchè non dirlo? All'idea che i leoni erano lì vicino a due passi, quasi a portata di mano, e che bisognava affrontarli, brr' ...Tartarino fu preso da un freddo mortale, e si ficcò coraggiosamente sotto le coperte. Più tardi, però, la gaiezza dell'ambiente, il cielo azzurro, il sole meraviglioso che inondava la camera dalla finestra spalancata sul mare, e un buon pranzetto che si fece servire in camera accompagnato da una bottiglia di vino eccellente, gli restituirono ben presto il suo antico coraggio. Al leone! al leone! gridò, buttando via le coperte. Il suo piano era questo: uscire di nascosto dalla città, inoltrarsi in pieno deserto, aspettare la notte, mettersi all'appostamento, e al primo leone che passava, pan! pan!... Poi tornare la mattina dopo a far colazione all'albergo, ricevere le congratulazioni degli Algerini, e noleggiare una carretta per andare a prendere l'animale ucciso. Si armò alla svelta. si arrotolò sulle spalle la tenda che, col suo lungo palo gli oltrepassava la testa di quasi mezzo metro, poi, senza nemmeno voltarsi indietro, uscì dall'albergo. Una volta in strada, non osando chiedere informazioni per paura che qualcuno intuisse i suoi progetti, svoltò decisamente a destra, percorse in tutta la loro lunghezza i portici di Bab-Azun, dove dal fondo delle loro bottegucce buie lo guardavano passare innumerevoli Ebrei algerini appostati negli angoli come ragni, attraversò la piazza del Teatro, s'inoltrò nei sobborghi, e finalmente sbucò nella grande strada polverosa di Mustafà. La strada era ingombra di traffico. Omnibus, carrozze, carrette militari, grandi carri di fieno trainati da bovi, squadroni di Cacciatori d'Africa branchi di asinelli microscopici, negre venditrici di dolci, vetture di emigrati alsaziani, spahis col mantello rosso, tutto si muoveva in un nuvolone di polvere, in mezzo a grida, canti, squilli di tromba, tra due file di sgangherate baracche dove si aprivano bettole piene di soldati, e davanti alle quali erano sedute grasse donne negre che si pettinavano. Ma cosa ci danno ad intendere col loro Oriente! pensava il grande Tartarino. Ci sono ancora meno Turchi che a Marsiglia. Improvvisamente, si vide passare accanto, caracollante sulle lunghe gambe e impettito come un tacchino, un magnifico cammello. Il cuore di Tartarino accelerò i battiti. Dei cammelli! Di già! I leoni non dovevano essere lontani; infatti, non erano passati cinque minuti che vide avanzarsi verso di lui una comitiva di cacciatori di leoni col fucile in spalla. Vili! disse tra sè il nostro eroe, mentre passava accanto a loro. Vili! Andare a caccia di leoni in tanti, e coi cani! Perchè Tartarino non si sarebbe mai immaginato che in Algeria ci potessero essere altre cacce oltre quella del leone. Tuttavia, quei cacciatori avevano un aspetto così bonario di bottegai a riposo, e quel sistema di andare a caccia di leoni col carniere e coi cani era così patriarcale, che Tartarino, incuriosito, credette bene abbordare uno di quei signori.

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E allora, amico, com'è andata? Mica male; rispose l'altro, osservando stupefatto il complicato armamentario del guerriero di Tarascona. Ne avete uccisi molti? Be'... discretamente... come vede. E il cacciatore algerino indicò il suo carniere, gonfio di conigli e di beccacce. Ma come! Nel carniere?... li mettete nel carniere? E dove vuole che li metta? Ma allora, sono... sono quelli piccoli? Piccoli e grossi; disse il cacciatore. E avendo fretta di tornare a casa, allungò il passo per raggiungere i compagni. L'intrepido Tartarino rimase impalato e stupefatto in mezzo alla strada... Poi, dopo un momento di riflessione: Bah! disse fra sè. Sono degli spacconi; per me, non hanno ucciso niente... e continuò il suo cammino. Già le case si facevano più rade, e il traffico diminuiva. Scendeva la notte, le cose si confondevano nella penombra... Tartarino di Tarascona seguitò a camminare ancora per una mezz'oretta. Alla fine, si fermò. Ormai era notte. Una notte senza luna, punteggiata di stelle. Per la strada, nessuno. Nonostante tutto, l'eroe pensò che i leoni non erano diligenze, e che non dovevano seguire volentieri le strade maestre. Allora prese per i campi... A ogni passo fossati, pruni, macchie. Non importa! Tartarino andava sempre avanti... Poi, improvvisamente, alt! Qui c'è odor di leone. si disse il nostro eroe, e aspirò l'aria con forza a destra e a sinistra. 5. Pan! Pan! Era un gran deserto selvaggio, irto di quelle strane piante orientali che hanno l'aria di animali cattivi. Alla debole luce delle stelle, le loro ombre ingrandite si allungavano per terra in tutte le direzioni. A destra la massa confusa e poderosa di una montagna, l'Atlante forse!... A sinistra il mare invisibile, che brontolava sordamente... un ambiente ideale per le belve... Tartarino imbracciò il fucile, posò l'altro fucile davanti a sè, mise un ginocchio a terra e attese... Attese un'ora, due ore... niente! Allora si ricordò che, nei libri, i grandi cacciatori di leoni non andavano mai a caccia senza portare con sè un capretto, che legavano a qualche passo davanti a loro e che facevano belare tirandogli una zampa con una cordicella. Non avendo capretti a disposizione, il Tarasconese ebbe l'idea di tentare un'imitazione, e si mise a belare con voce tremolante: Beee! Beee!... Prima a voce molto bassa, perchè in fondo all'anima aveva una certa paura che il leone lo sentisse, poi, visto che non succedeva nulla, belò sempre più forte: Beee!... Ancora niente!... Impazientito, ripetè il suo verso più volte di seguito: Beee!... Beee!... Beee!... con tanta foga che il capretto parve avere la voce di un bove... Improvvisamente, a pochi passi di distanza, piombò davanti a lui qualcosa di nero e di gigantesco. Tartarino tacque. L'ombra nera si abbassava fiutava la terra, saltava, si rotolava sul terreno, partiva di galoppo, poi ritornava e si fermava di colpo... era il leone, non c'era dubbio! Ora si potevano scorgere le sue quattro zampe corte, il suo collo possente, e due occhi, due grandi occhi che luccicavano nell'oscurità... Puntate! Fuoco! pan! pan!... Era fatta. Poi, subito un balzo indietro, e il coltellaccio da caccia in pugno. Allo sparo del Tarasconese, rispose un urlo terribile. L'ho beccato! esclamò il buon Tartarino, e, piantato sulle gambe robuste, si preparò a ricevere l'assalto della belva; ma quest'ultima doveva averne avuto abbastanza, perchè si allontanò di galoppo, urlando... Tartarino non si mosse. Come aveva letto nei libri... aspettava la femmina! Disgraziatamente, la femmina non si fece vedere. Dopo due o tre ore di attesa, il Tarasconese si stancò. La terra era umida, la notte si faceva fresca, la brezza di mare pungente.

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Se facessi un sonnellino aspettando il giorno? si disse, e si decise ad aprire la tenda per evitare i reumatismi. Maledizione! Quella diabolica tenda era ripiegata in un modo così ingegnoso, ma così ingegnoso, che non ci fu verso di aprirla. Dopo un'ora di sforzi e di sudore, quella dannata tenda era ancora chiusa... Ci sono degli ombrelli che, quando piove a dirotto, si divertono a farvi degli scherzetti del genere... Esausto, il Tarasconese, distese la tenda per terra e ci si coricò sopra, imprecando da buon provenzale. Dopo un po': Ta, ta, ta, . Taratatà! Che succede?... fece Tartarino, svegliandosi di soprassalto. Erano le trombe dei cacciatori d'Africa che suonavano la sveglia nelle caserme di Mustafà... L'uccisore di leoni, stupefatto, si fregò gli occhi... Lui che si credeva in pieno deserto!... Sapete dov'era?... In un piccolo campo di carciofi, tra un filare di cavolfiori e uno di barbabietole. Nel suo Sahara crescevano i legumi... Vicinissime a lui, su una dolce collinetta verde, candide ville algerine biancheggiavano alle prime luci dell'alba: sembrava di essere nei dintorni di Marsiglia, con le sue ville e le sue case di campagna. L'aspetto borghese e campagnolo di quel paesaggio addormentato stupì alquanto il pover'uomo, e lo mise di cattivo umore. Sono pazzi. si diceva, a piantare carciofi in una zona frequentata dai leoni... perchè, insomma, non ho mica sognato... i leoni vengono fin qui... E questa è la prova... La prova erano delle macchie di sangue che l'animale, fuggendo, aveva lasciato dietro di sè. Curvo su quella pista insanguinata, l'occhio all'erta, la rivoltella in pugno, il prode tarasconese, di carciofo in carciofo, arrivò fino a un piccolo campo di avena... dell'erba calpestata, una pozza di sangue, e in mezzo alla pozza, coricato su un fianco e con una larga ferita alla testa, un... Indovinate un po'!... Un leone, perbacco! No! un asino, uno di quegli asinelli minuscoli che sono tanto comuni in Algeria, e che sono chiamati bourricots. 6. Arrivo della femmina, Terribile combattimento, Al Ritrovo dei Conigli. La prima reazione di Tartarino davanti alla sua disgraziata vittima fu un movimento di dispetto. C'è veramente una certa differenza tra un leone e un asinello!... Ma il suo secondo impulso fu unicamente di pietà. Il povero asinello era così carino, aveva un'aria così innocente! La pelle dei suoi fianchi, ancora calda, si alzava e si abbassava ritmicamente. Tartarino s'inginocchiò, e con l'estremità della sua cintura algerina tentò di arrestare il sangue dello sventurato animale. Nulla di più commovente che vedere il grand'uomo curare amorevolmente un povero asinello. Al contatto della cintura di seta, l'asinello, che ormai era al lumicino aprì i grandi occhi grigi e mosse due o tre volte le sue lunghe orecchie come per dire: Grazie,... Grazie!... poi fu percorso dalla testa alla coda da un'ultima convulsione, e non si mosse più. Nerino! Nerino! gridò improvvisamente una voce strozzata dall'angoscia, e nel medesimo tempo i rami di un boschetto vicino si agitarono... Tartarino ebbe appena il tempo di rialzarsi e di mettersi in guardia... Era la femmina! Essa arrivò ruggente e terribile, nella persona di una vecchia Alsaziana con un fazzoletto annodato in testa, armata di un grande ombrello rosso, che chiamava disperatamente il suo asinello perduto. Certo, per Tartarino sarebbe stato meglio dovere affrontare una leonessa infuriata piuttosto che quella terribile vecchia... Invano lo sventurato cercò di farle capire come si erano svolte le cose; che aveva scambiato Nerino per un leone la vecchia, credendo che Tartarino volesse prenderla in giro, piombò sull'eroe a frenetici colpi d'ombrello. Tartarino, turbato, cercava di difendersi, parava i Colpi con la carabina, sudava, saltava, soffiava, gridava: Ma signora... ma signora... Niente da fare! La signora era sorda, e seguitava a dare botte da orbi. Fortunatamente un terzo personaggio comparve sul campo di battaglia.

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Era il marito dell'Alsaziana, alsaziano anche lui, oste, e per di più molto scaltro. Quando si accorse con chi aveva a che fare, e si rese conto che l'assassino non domandava di meglio che pagare il prezzo della vittima, disarmò la sposa, e accettò un accomodamento. Tartarino sborsò duecento franchi; l'asino, secondo il prezzo corrente sui mercati arabi, non ne valeva più di dieci. Poi, il povero Nerino fu sepolto ai piedi di un fico, e l'Alsaziano, messo in allegria dal colore dei soldi tarasconesi, invitò l'eroe a fare uno spuntino nella sua osteria che si trovava a pochi passi di lì, lungo la strada. I cacciatori algerini ci venivano a mangiare tutte le domeniche, perchè la zona era ricca di selvaggina, ed era, nelle vicinanze della città, il posto migliore per cacciare i conigli selvatici. E i leoni? chiese Tartarino. L'alsaziano lo guardò, stupefatto: I leoni? Sì... i leoni... ne capitano da queste parti? riprese il poveretto con una certa esitazione. L'oste scoppiò in una risata. Questa poi!... dei leoni... e per farne cosa? Non ci sono dunque leoni in Algeria? Le assicuro che non ne ho mai veduti... eppure sono più di vent'anni che abito da queste parti. Tuttavia, mi sembra di aver sentito dire... può darsi che nei giornali... Comunque, molto più lontano, nel Sud... In quel momento arrivarono all'osteria. Un locale di periferia, come se ne vede tanti, con una frasca appassita sopra la porta, delle stecche di biliardo dipinte sui muri, e questa insegna poco bellicosa: AL RITROVO DEI CONIGLI. 7. Storia di un omnibus, di una donna araba e di una coroncina di fiori di gelsomino. Questa prima avventura avrebbe scoraggiato chiunque; ma gli uomini della tempra di un Tartarino non si lasciano demoralizzare facilmente. I leoni sono nel Sud, pensò il nostro eroe, ebbene, andrò nel Sud! E appena ingoiato l'ultimo boccone, si alzò, ringraziò l'ospite, abbracciò la vecchia senza rancore, sparse un'ultima lacrima sul povero Nerino, e si avviò rapidamente verso Algeri, con la ferma intenzione di fare i bagagli e di partire il giorno stesso per il Sud. Disgraziatamente la strada gli parve molto più lunga del giorno prima: C'era un sole! una polvere! La tenda era così pesante!... Tartarino non si sentì il coraggio di andare a piedi fino in città; e così, al primo omnibus che passò, fece un segno e ci montò sopra... Ah, povero Tartarino di Tarascona! Come avrebbe fatto meglio, per il suo nome, per la sua gloria, a non salire su quel fatale carrozzone e a seguitare la sua strada a piedi, anche a rischio di cadere esausto sotto il peso dell'atmosfera, della tenda, e dei pesanti fucili a due canne. Montato Tartarino, l'omnibus fu completo. In fondo alla vettura era seduto un vicario d'Algeri con una gran barba nera e il naso nel breviario. Di faccia, un giovane mercante mauro che fumava delle grosse sigarette. Poi un marinaio maltese, e quattro o cinque donne arabe velate di bianco di cui non si potevano vedere che gli occhi. Queste signore tornavano da una pia visita al cimitero di Abd-el-Kader; ma quella visione funebre non sembrava averle rattristate. Si sentivano ridere e cinguettare tra loro sotto i veli, e sgranocchiare pasticcini. Tartarino ebbe l'impressione che esse lo guardassero attentamente. Una soprattutto, quella che era seduta davanti a lui, non gli tolse gli occhi di dosso per tutta la strada. Sebbene la donna fosse velata, la vivacità dei suoi grandi occhi neri allungati dal bistro, il polso fine e delicato carico di braccialetti d'oro che si intravedeva tra i veli, il timbro della voce, i movimenti aggraziati e quasi infantili della testa, tutto faceva supporre che là sotto ci fosse una

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creatura giovane, graziosa, adorabile... Il povero Tartarino non sapeva quale contegno prendere. La muta carezza di quei begli occhi orientali lo affascinava, lo turbava... Che fare? Rispondere allo sguardo? Sì, ma con quali conseguenze? Cosa terribile, un intrigo d'amore in Oriente! Con la sua fantasia accesa di meridionale, il bravo Tarasconese si vedeva già caduto nelle mani degli eunuchi e decapitato; e il suo cadavere cucito in un sacco e buttato in mare.. L'omnibus si fermò. Erano arrivati in piazza del Teatro, all'inizio di via Bab-Azun. Ad una ad una, impacciate dai loro ampi pantaloni e avvolgendosi nei veli con istintiva grazia, le donne arabe scesero. La vicina di Tartarino si alzò per ultima, e nell'alzarsi il suo volto passò così vicino a quello dell'eroe, che lo sfiorò col respiro. Il Tarasconese non potè più dominarsi. Pronto a tutto, si precipitò dietro l'Araba... Al rumore delle sue armi, la donna si volse, mise un dito sul velo come per dire: zitto! e con l'altra mano gli gettò una coroncina profumata fatta di fiori di gelsomino. Tartarino di Tarascona si chinò a raccoglierla; ma siccome il nostro eroe era di grossa corporatura e carico di arnesi da guerra, l'operazione richiese un certo tempo. Quando si rialzò, con la coroncina di gelsomini sul cuore, l'Araba era sparita. 8. Dormite, leoni dell'Atlante! Dormite, leoni dell'Atlante! Dormite tranquilli in fondo alle vostre tane, tra gli aloe e i cactus selvaggi... Per qualche giorno ancora Tartarino di Tarascona vi risparmierà. Per il momento, tutto il suo apparato guerresco, casse d'armi, farmacia, carne in scatola, tenda, riposa accuratamente imballato, in un angolo della camera n. 36 dell'Hotel d'Europe. Dormite senza paura, grandi leoni fulvi! Il Tarasconese cerca la sua Araba. Ma non è una cosa semplice! Ritrovare in una città di centomila abitanti una persona di cui si conosce solo il colore degli occhi! Solo un Tarasconese è capace di tentare una simile avventura. Il guaio è che sotto i loro grandi veli bianchi, tutte le Arabe si assomigliano; e poi le signore arabe non escono, e per vederle bisogna salire nella città alta, la città araba, la città dei Turchi. Un luogo poco raccomandabile, questa città alta. Un labirinto di vicoletti neri e strettissimi che si arrampicano tra due file di case misteriose, coi tetti che si toccano in alto formando come una galleria. Delle porte basse, delle finestre minuscole, mute, tristi, munite di inferriate. A destra e a sinistra alcune bottegucce tenebrose dove Turchi dalle facce patibolari dagli occhi bianchi e dai denti scintillanti, fumano lunghe pipe, parlottando tra loro, come se ordissero un complotto. Dire che il nostro Tartarino attraversasse sereno e tranquillo questa città malfamata, sarebbe mentire. In realtà, egli era molto impressionato, e in quelle stradine buie, di cui il suo grosso ventre occupava tutta la larghezza, il brav'uomo avanzava con grande circospezione, l'occhio vigile e il dito sul grilletto di una rivoltella. Proprio come a Tarascona, quando andava al circolo. Di momento in momento, egli si aspettava di sentirsi piombare sulle spalle una valanga di eunuchi e di giannizzeri, ma il desidèrio di rivedere la sua dama gli davano l'audacia e la forza di un gigante. Per otto lunghi giorni, Tartarino non abbandonò la città alta. Ora si metteva di guardia davanti ai bagni arabi, in attesa dell'uscita delle signore; ora faceva la sua apparizione davanti alle moschee, dove era costretto, sudando e sbuffando, a togliersi gli stivaloni prima di entrare. Qualche volta, al cader della notte, mentre se ne tornava scoraggiato senza aver scoperto nulla, nè al bagno, nè alla moschea, il Tarasconese, passando davanti alle abitazioni arabe, sentiva dei canti monotoni, dei lontani accordi di chitarra, dei colpi ripetuti di un tamburello, e delle brevi risate femminili che gli facevano battere il cuore.

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Forse lei è là dentro! pensava. E se la strada era deserta, si avvicinava alla casa, alzava il pesante battente della porticina, e bussava timidamente... Subito i canti e le risa cessavano. Dietro il muro non si sentiva più che un vago bisbigliare, come in un'uccelliera addormentata. Attenzione! pensava l'eroe. Ora mi capita qualcosa! In generale, quello che più spesso gli capitava, era una brocca d'acqua fredda sulla testa, delle bucce d'arancio o dei fichi di Barberia... Mai niente di più grave... Leoni dell'Atlante, dormite! 9. Il principe Gregory del Montenegro. Erano già due lunghe settimane che il povero Tartarino cercava la sua dama algerina, e probabilmente la starebbe ancora cercando, se la Provvidenza degli innamorati non fosse venuta in suo aiuto nelle sembianze di un gentiluomo montenegrino. Ecco come andarono le cose: Durante l'inverno, tutte le sere del sabato, il grande teatro di Algeri organizza il suo ballo mascherato, nè più nè meno come l'Opèra di Parigi. E' il solito e noioso ballo mascherato di provincia. Poca gente nella sala. Ma non è la sala il centro dell'attrazione e del movimento è il foyer del teatro, trasformato per l'occasione in sala da gioco... Una folla eccitata e variopinta si accalca intorno alle lunghe tavole dal tappeto verde: Turcos in licenza che si giocano i soldi della paga, commercianti arabi della città alta, negri, maltesi, coloni dell'interno che hanno fatto quaranta leghe per venire a rischiare su un asso il prezzo di un aratro o di un paio di buoi... tutti frementi, pallidi, con le mascelle serrate e lo sguardo fisso. Più lontano, le tribù di Ebrei algerini che vengono a giocare in gruppi di famiglie. Gli uomini in abito orientale, babbucce turchine e berretto di velluto. Le donne, pallide e grasse, se ne stanno immobili e rigide nei loro corsetti dorati. A lunghi intervalli e dopo lunghi conciliaboli, qualche vecchio patriarca con una barba da Padreterno, si decide ad arrischiare il denaro della famiglia. E poi discussioni, liti, imprecazioni di tutti i paesi, contumelie in tutte le lingue, le mani che afferrano i coltelli, la ronda della polizia, il denaro che sparisce!... Per cercare l'oblìo e la pace del cuore, il grande Tartarino era andato una sera a smarrirsi in questo pandemonio. L'eroe camminava solo in mezzo alla folla, pensando alla sua Araba, quando improvvisamente, a un tavolo di gioco, due voci irate si levarono superando il tintinnio delle monete. Le ripeto che mi mancano venti franchi, egregio signore! Dice a me? Proprio a lei! Lei non sa chi sono io! Mi piacerebbe saperlo, egregio signore! Io sono il principe Gregory del Montenegro!... A sentire questo nome, Tartarino, emozionatissimo, si aprì un varco tra la folla, e si mise in prima fila, fiero e felice di aver ritrovato il suo principe, quel principe così gentile di cui aveva fatto una così breve conoscenza a bordo della nave. Disgraziatamente quel titolo di altezza, che aveva tanto abbagliato il buon Tarasconese, non fece la più piccola impressione sull'ufficiale dei cacciatori col quale il principe stava litigando. Ne so quanto prima; disse l'ufficiale, sorridendo ironicamente. Poi, rivolgendosi ai presenti, aggiunse: Gregory del Montenegro... e chi lo conosce? Indignato, Tartarino fece un passo avanti. Prego... il principe lo conosco io! disse con sicurezza e col suo più bell'accento tarasconese. L'ufficiale lo guardò fisso per un momento, poi si strinse nelle spalle. Sta bene! Dividetevi i venti franchi, e non se ne parli più. Detto questo,

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girò sui tacchi, e si perse tra la folla. Il focoso Tarasconese voleva corrergli dietro, ma il principe glielo impedì. E, preso il Tarasconese per un braccio, lo trascinò rapidamente fuori della sala. Appena usciti, il principe Gregory del Montenegro si tolse il cappello, tese la mano al nostro eroe, e ricordandosi vagamente il suo nome, cominciò con voce vibrante: Signor Barbarino... Tartarino! suggerì l'altro timidamente. Tartarino, Barbarino, fa lo stesso! Da questo momento, siamo uniti per la vita e per la morte! Immaginatevi la fierezza del Tarasconese... Principe!... Principe!... ripeteva come ebbro. Un quarto d'ora dopo, il principe e Tartarino, erano seduti al restaurant des Platanes, piacevole ritrovo notturno con le terrazze sul mare, e là, davanti a un'appetitosa insalata russa accompagnata da un vinello delizioso, i due rinnovarono la conoscenza. Quel giovane principe montenegrino era veramente affascinante. Slanciato, sottile, coi capelli crespi arricciati col ferro, rasato alla perfezione. Era costellato di strane decorazioni, aveva l'occhio astuto, il gesto carezzevole e un accento vagamente italiano che gli davano l'aria approssimativa di un Mazarino senza baffi; molto versato nelle lingue latine, citava a ogni proposito Tacito, Orazio e i Commentari. Commentari di Giulio Cesare: De Bello gallico e De bello civili. Di antica nobiltà ereditaria, i suoi fratelli, diceva, l'avevano esiliato all'età di dieci anni per le sue idee liberali, da allora, da vero principe filosofo, girava il mondo per divertimento e per istruzione... Coincidenza singolare! Il principe aveva passato tre anni a Tarascona, e poichè Tartarino si meravigliava di non averlo mai incontrato al circolo o in piazza: Uscivo poco... disse Sua Altezza in tono evasivo. E il Tarasconese con molto tatto, non osò approfondire la cosa. Le grandi esistenze hanno dei lati così misteriosi! Insomma, un ottimo principe, questo signor Gregory. Sorseggiando il delizioso vino rosato, egli ascoltò pazientemente Tartarino che gli raccontava la storia della sua Araba, e gli garantì, vantando le sue conoscenze tra le donne arabe, che l'avrebbe subito ritrovata. Brindarono alle donne di Algeri! al Montenegro libero! Fuori, sotto la terrazza, il mare borbottava nel buio, e le onde percuotevano la riva col rumore di panni bagnati che si scuotono. L'aria era calda, il cielo pieno di stelle. Sui platani un usignolo cantava... Il conto lo pagò Tartarino. 10. Dimmi il nome di tuo padre e ti dirò il nome di questo fiore. Ci vogliono i principi montenegrini per fare le cose alla svelta! Il giorno dopo quella serata al restaurant des Platanes, nelle prime ore del mattino il principe Gregory era già nella camera del Tarasconese. Presto, presto, ... si vesta... ho ritrovato la sua Araba... si chiama Baia... ha vent'anni ed è già vedova. Che fortuna! fece allegramente il bravo Tartarino, che diffidava dei mariti orientali. Sì, ma ha un fratello terribile che la sorveglia. Accidenti! E' un arabo ferocissimo che vende pipe al bazar d'Orlèans... Tartarino rimase silenzioso. Ma lei, riprese il principe, non è uomo da spaventarsi per così poco; comprandogli delle pipe, riusciremo forse ad ammansire quel filibustiere. Presto, si vesta... lei è un uomo fortunato! Pallido e commosso, il Tarasconese saltò dal letto, abbottonandosi in fretta le ampie mutande di flanella. Cosa devo fare? Scriverle semplicemente, e chiederle un appuntamento!

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Ma allora... la signora sa il francese? chiese con aria delusa il candido Tartarino che sognava l'Oriente integrale. Non ne sa nemmeno una parola, rispose il principe, imperturbabile. Lei mi detterà la lettera, ed io la tradurrò via via. Oh, principe, quale gentilezza! E il Tarasconese, cogitabondo, si mise a camminare a gran passi su e giù per la stanza. Capirete bene che scrivere a un'Araba di Algeri non è come scrivere a una sartina di Beaucaire. Per fortuna il nostro eroe aveva dalla sua alcune buone letture del passato, come il Viaggio in Oriente di Lamartine, e qualche reminiscenza del Cantico dei Cantici, che gli permisero di scrivere la lettera più orientale che si possa immaginare. La lettera cominciava così: Come lo struzzo nelle sabbie... E terminava così: Dimmi il nome di tuo padre, e ti dirò il nome di questo fiore... Il romantico Tartarino avrebbe voluto aggiungere alla lettera un mazzolino di fiori simbolici, all'uso orientale; ma il principe disse che gli sembrava molto più opportuno comprare delle pipe dal fratello; in tal modo si sarebbero placate le ire del focoso signore, e si sarebbe fatto un grandissimo piacere alla signora, che fumava molto. Via, andiamo subito a comprare le pipe! esclamò Tartarino. No!... no!... Ci penserò io. Le avrò a un prezzo migliore... Ma come! Lei si vuole scomodare... Oh, principe... principe... E il brav'uomo, confuso, porse la sua borsa al cortese montenegrino, raccomandandogli di fare qualsiasi cosa purchè la signora fosse contenta. Purtroppo l'affare, per quanto bene avviato, non camminò con la rapidità sperata. Molto commossa, pare, dall'eloquenza di Tartarino, l'Araba non avrebbe domandato di meglio che riceverlo; ma il fratello aveva degli scrupoli, e per addormentarne la coscienza fu necessario comprare dozzine, centinaia, carichi interi di pipe... Cosa diavolo se ne farà Baia di tutte queste pipe? si domandava qualche volta Tartarino; ma pagava lo stesso senza lesinare sul prezzo. Finalmente, dopo aver comprato montagne di pipe e avere effuso torrenti di Poesia orientale, fu ottenuto un appuntamento. Inutile dirvi con che batticuore il Tarasconese si preparò al sospirato incontro, con quale cura tagliò, lucidò, profumò la sua ruvida barba di cacciatore di berretti, senza dimenticare (non si sa mai!), di farsi scivolare in tasca una piccola mazza ferrata e un paio di rivoltelle. Il principe, sempre cortese, si recò a quel primo incontro in qualità di interprete. La signora abitava nella città alta. Davanti alla porta, un giovane arabo di tredici o quattordici anni, stava fumando una sigaretta. Era Alì, il famoso fratello. Vedendo arrivare i due visitatori, battè due colpi alla porticina, e si ritirò con discrezione. La porta si aprì. Apparve una negra che, senza pronunziare parola, condusse i due signori attraverso uno stretto cortile interno, fino a una stanza piccola e fresca dove li aspettava una giovane donna sdraiata su un basso divano. Alla prima occhiata, la donna parve al Tarasconese più piccola e più grassottella dell'Araba dell'omnibus... Era forse un'altra? Ma il dubbio sfiorò appena il cervello di Tartarino. Le labbra della donna stringevano il bocchino d'ambra di un narghilè, e una nuvola di fumo biondo avviluppava tutta la sua bella persona. Entrando, il Tarasconese si mise una mano sul cuore, s'inchinò nel modo più orientale possibile, e indirizzò alla dama uno sguardo languido e appassionato... Baia l'osservò per un momento in silenzio; poi, lasciando cadere il bocchino d'ambra, si nascose il viso tra le mani, e di lei non si vide più che il collo bianco scosso da un'irrefrenabile risata come un piccolo sacchetto di perle. 11. Sidi Tart'ri, Ben Tart'ri.

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Se vi capitasse di entrare una sera, a veglia, in un caffè della città alta, sentireste anche oggi gli Arabi parlare tra loro, con strizzatine d'occhi e risatine ironiche, di un certo Sidi Tart'ri, Ben Tart'ri, europeo amabile e ricco che, qualche anno prima, viveva nel quartiere indigeno con una piccola signora del luogo chiamata Baia. Questo Sidi Tart'ri, che ha lasciato dei così piacevoli ricordi nel quartiere della Casba, è, l'avrete indovinato, il nostro Tartarino. Che volete? Nelle vite dei santi e degli eroi ci sono sempre dei momenti di cecità, di debolezza, di turbamento. Anche l'illustre Tarasconese non ne fu esente, ed è per questa ragione che per ben due mesi, dimentico dei leoni e della gloria, si addormentò, come Annibale a Capua, nelle delizie della bianca Algeri. Il brav'uomo aveva preso in affitto, nel cuore della città araba, una graziosa casetta indigena col cortile interno, palmizi, fresche gallerie e fontane. Egli viveva là, lontano da ogni rumore, con la sua Araba; arabo anche lui dalla testa ai piedi, succhiava tutto il giorno il suo narghilè, e mangiava delle marmellate profumate di muschio. Distesa su un divano davanti a lui, Baia, accompagnandosi sulla chitarra, canticchiava delle arie monotone, oppure, per distrarre il suo signore, danzava tenendo in mano uno specchietto in cui si contemplava i denti candidi. Poichè la signora non sapeva una parola di francese, nè Tartarino una parola di arabo, la conversazione spesso languiva, e il loquace Tarasconese aveva tutto il tempo di far penitenza per le intemperanze di linguaggio di cui si era reso colpevole nella farmacia Bèzuquet o dall'armaiolo Costecalde. Ma questa penitenza non mancava di attrattiva, e Tartarino passava le giornate sprofondato in un piacevole tedio, ascoltando il gorgoglio del narghilè, gli accordi della chitarra, e il lieve mormorio della fontana sui mosaici del cortile. Il narghilè, il bagno, l'amore riempivano tutta la sua vita. Non uscivano quasi mai. Qualche volta Sidi Tart'ri e la sua dama si recavano, a dorso di mulo, a mangiare i melograni in un giardinetto da lui acquistato nei dintorni... Ma non scendevano mai nella città europea. Con le sue bande di Zuavi ubriachi, i suoi alcazar gremiti di ufficiali, e l'eterno rumore di sciabole strascicate sotto i portici, quell'Algeri gli pareva brutta e insopportabile come un corpo di guardia dell'Occidente. Nel complesso, il Tarasconese poteva dirsi felice. Soprattutto Tartarino-Sancio, ghiottissimo di dolciumi turchi, si dichiarava soddisfattissimo della sua nuova esistenza... Sì, qualche volta Tartarino-Chisciotte si faceva vivo con qualche rimorso riguardo a Tarascona e alle pelli di leone promesse... ma erano rimorsi passeggeri; per scacciarli bastava un solo sguardo di Baia o una cucchiaiata di quelle marmellate profumate e sconvolgenti come le bevande di Circe. La sera, il principe Gregory veniva a fare quattro chiacchiere sul Montenegro libero... Quell'amabile gentiluomo era veramente impagabile, sbrigava in casa le funzioni di interprete e, quando era necessario, quelle di amministratore; e tutto per niente, solo per amicizia... Oltre al principe, Tartarino non riceveva che Turchi. Tutti quei furfanti dalla faccia patibolare, che una volta gli facevano tanta paura quando lo fissavano dal fondo delle loro bottegucce buie, si rivelarono, una volta conosciuti, come innocui commercianti, ricamatori, venditori di spezie, tornitori di pipe, tutta gente educata, umile, accorta, discreta, e fortissima nel gioco del ramino. Quattro o cinque volte la settimana, questi signori venivano a passare la serata da Sidi Tart'ri, vincevano il suo denaro, mangiavano le sue marmellate, e alle dieci precise, si ritiravano con discrezione ringraziando il Profeta. Lasciati soli, Sidi Tart'ri e Baia terminavano la serata in terrazza, una grande terrazza bianca che faceva da tetto alla casa e dominava la città. Intorno, un migliaio di terrazze bianche simili a quella, illuminate dalla

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luna, digradavano fino al mare. Portati dal vento, si sentivano accordi di chitarra. ...Improvvisamente, sbocciava e s'innalzava verso il cielo scintillante di stelle una melodia limpida e solenne, e sul minareto della moschea vicina, stagliandosi sull'azzurro cupo della notte, appariva la figura bianca di un muezzin che cantava le glorie di Allah con una voce meravigliosa che riempiva l'orizzonte. Subito Baia lasciava la chitarra, e i suoi grandi occhi rivolti verso il muezzin sembravano bere l'affascinante preghiera. Tartarino, commosso, la contemplava e pensava che una religione capace di provocare tali estasi mistiche, doveva essere una gran bella religione. Copriti il volto, Tarascona! Il tuo Tartarino pensa di farsi musulmano! 12. Ci comunicano da Tarascona. Era un bel pomeriggio. Il cielo era azzurro e spirava un tiepido venticello. Sidi Tart'ri in sella alla sua mula se ne tornava solo soletto dal suo orticello... Con le gambe aperte sulle voluminose sacche di tela piene di cedri e di cocomeri, cullato dal monotono tintinnio delle sue lunghe staffe, e seguendo con tutto il corpo i movimenti ondeggianti della cavalcatura, il brav'uomo avanzava in un paesaggio delizioso, con le mani intrecciate sul ventre, mezzo assopito dal benessere e dal calduccio. Entrando in città, fu risvegliato di colpo da un formidabile grido di richiamo: Ehi là! Chi si vede! Si direbbe il signor Tartarino. Al nome di Tartarino e all'accento vivacemente meridionale di queste parole, il Tarasconese alzò la testa, e scorse a due passi di distanza la simpatica faccia abbronzata di Barbassou, il comandante dello Zuavo, intento a sorbire assenzio e a fumare la pipa sulla porta di un caffè. Salve, comandante, disse Tartarino, fermando la mula. Invece di rispondere, Barbassou lo squadrò per un momento con gli occhi spalancati, poi scoppiò in una risata, una risata così di cuore che Sidi Tart'ri, interdetto, restò immobile a guardarlo seduto sui cocomeri. Ma che magnifico turbante, povero signor Tartarino!... Dunque è vero quel che si dice, che vi siete fatto Turco?... E la piccola Baia, che fa? Canta sempre Marco la belle? Marco la belle? esclamò Tartarino, indignato. Deve sapere, capitano, che la persona a cui allude non sa una parola di francese. Baia non sa una parola di francese?... Ma da che mondo viene, Tartarino? E il bravo capitano ricominciò a ridere di gusto. Poi, osservando il muso lungo del povero Sidi Tart'ri, cambiò registro. Be', insomma, può essere che non sia la stessa persona. Mi devo essere sbagliato... Solamente, vede signor Tartarino, lei farebbe molto bene a non fidarsi delle Arabe algerine e dei principi montenegrini!... Tartarino si drizzò sulle staffe facendo la faccia feroce. Capitano, il principe è mio amico. Bene, bene! Non ci facciamo cattivo sangue... Prende un assenzio? No. Niente da dire ai paesani?... Nemmeno. Be', allora, buona passeggiata... A proposito, amico, ho con me un po' di buon tabacco francese, se ne vuol prendere qualche pipata... Ne prenda! Ne prenda! Le farà bene... Detto questo, il capitano tornò al suo assenzio, e Tartarino, pensieroso, riprese al piccolo trotto la strada di casa... Anche se la sua anima ,generosa si rifiutava di crederci, pure le insinuazioni di Barbassou l'avevano rattristato. Inoltre, quelle imprecazioni familiari, l'accento del suo paese, finirono per risvegliare in lui un indefinito senso di rimorso. A casa non trovò nessuno. Baia era al bagno... La negra gli parve brutta, la casa triste... In preda a una vaga malinconia, si mise a sedere vicino alla fontana, e riempì una pipa col tabacco di Barbassou. Il tabacco era involtato in un pezzo del giornale Sèmaphore. Aprendolo, gli saltò agli occhi il nome della sua città natale. Ci comunicano da Tarascona: La città è in viva apprensione Tartarino, il

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cacciatore di leoni, partito per cacciare i grandi felini in Africa, non ha dato notizie di sè da vari mesi... Cosa è accaduto al nostro eroico compatriota?... Osiamo appena domandarcelo, avendo conosciuto il suo entusiasmo, la sua audacia, la sua sete di avventure... E' stato, come tanti altri, inghiottito dalle sabbie? E' caduto sotto i denti spietati di uno di quei mostri dell'Atlante di cui aveva promesso la pelle al municipio?... Terribile incertezza! Tuttavia dei mercanti negri, venuti alla fiera di Beaucaire, sostengono di avere incontrato in pieno deserto un europeo i cui connotati corrispondono ai suoi, e che si dirigeva verso Tombuctu... Che Dio ci conservi il nostro Tartarino! Appena letto questo trafiletto, il Tarasconese arrossì, impallidì, rabbrividì. Tutta Tarascona gli apparve davanti agli occhi: il circolo, i cacciatori di berretti, la poltrona verde nella bottega di Costecalde. e librati in alto come le ali di un'aquila i baffi formidabili del valoroso comandante Bravida. Allora. nel vedersi vilmente accoccolato sul suo tappeto, mentre i suoi concittadini lo credevano occupatissimo a sterminare le belve, Tartarino di Tarascona ebbe onta di se stesso, e pianse. Improvvisamente l'eroe balzò in piedi: Al leone! Al leone! E slanciandosi nel ripostiglio dove dormivano la tenda, la farmacia, la carne conservata, la cassa d'armi, trascinò tutto in mezzo al cortile. Tartarino-Sancio era spirato; non restava che Tartarino-Chisciotte. Il tempo di controllare il materiale, di armarsi, di bardarsi, di infilarsi gli stivaloni, di scrivere due parole al principe per affidargli Baia, e l'intrepido Tarasconese viaggiava in diligenza sulla strada di Blida, lasciando a casa la sua negra in stupefatta contemplazione del narghilè, del turbante, delle babbucce, di tutte le spoglie musulmane di Sidi Tart'ri, miseramente abbandonate sotto i bianchi archi traforati della galleria. FRA I LEONI. 1. Le diligenze deportate. Era una vecchia diligenza d'altri tempi, coi sedili imbottiti all'antica di logoro panno turchino, muniti di quelle grosse nappe di lana ruvida che, dopo qualche ora di strada, vi lasciano dei segni nella schiena... Tartarino di Tarascona aveva avuto un posto d'angolo, in fondo; e in attesa di respirare le emanazioni muschiate dei grandi felini d'Africa, il nostro eroe dovette accontentarsi del vecchio, familiare odore di diligenza, curiosamente composto di mille altri odori, di uomini, di cavalli, di cuoio, di roba da mangiare e di paglia muffita. C'era un po' di tutto, in quella diligenza. Un frate trappista, dei mercanti ebrei, due belle ragazze, un fotografo di Orlèansville... ma per quanto piacevole e varia fosse la compagnia, il Tarasconese non si sentiva in vena di parlare. Immobile e assorto, con le sue carabine tra le ginocchia, pensava alla sua partenza precipitosa, ai neri occhi di Baia, alla terribile caccia che lo attendeva, senza contare che quella diligenza europea ritrovata in piena Africa, gli ricordava vagamente, col suo bonario aspetto patriarcale, la Tarascona della sua giovinezza, le gite nei dintorni, le merende sulle rive del Rodano, una folla di ricordi... Cominciava a farsi notte. Il vetturino accese i fanali. La diligenza sobbalzava cigolando sulle sue molle arrugginite; i cavalli trottavano, i sonagli tintinnavano... Di tanto in tanto, lassù sotto il telone dell'imperiale, un terribile rumore di ferraglie... Era il materiale di guerra. Tartarino di Tarascona, mezzo assopito, rimase per qualche momento a osservare i viaggiatori che si agitavano davanti a lui, comicamente sballottati dagli scossoni della vettura, poi gli occhi gli si oscurarono, i pensieri gli si annebbiarono, e non sentì altro che il gemito degli assali delle ruote e il cigolìo dei fianchi della diligenza...

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Ed ecco che si sentì chiamare per nome da una voce roca, debole e fessa di vecchia strega. Signor Tartarino! Signor Tartarino! Chi mi chiama? Sono io, signor Tartarino, non mi riconosce?... Sono la vecchia diligenza che, vent'anni fa, faceva il servizio da Tarascona a Nimes... quante volte l'ho portata a caccia di berretti dalle parti di Jonquières o di Bellegarde!... Non l'ho ravvisato subito per via del suo berretto da Turco e della pancia che ha messo su; ma appena ha cominciato a russare l'ho riconosciuto subito. Va bene! Va bene! fece il Tarasconese piuttosto seccato. Poi facendosi più gentile: Ma insomma, povera vecchia mia, si può sapere cos'è venuta a fare da queste parti? Ah, mio caro signor Tartarino, non ci sono mica venuta di mia volontà, glielo assicuro... Appena fu finita la strada ferrata di Beaucaire, dissero che non servivo più a niente, e mi spedirono in Africa... e non sono la sola! Quasi tutte le diligenze francesi sono state deportate come me. A questo punto, la vecchia diligenza emise un lungo sospiro; poi riprese: Ah, signor Tartarino, come rimpiango la mia bella Tarascona! Quelli erano bei tempi! I tempi della mia giovinezza! Bisognava vedermi partire la mattina, ben lavata, tirata a lustro, con le ruote verniciate di fresco, i fanali che sembravano due soli, il copertone sempre strofinato col grasso! Il momento più bello era quando il postiglione faceva schioccare la frusta, e il conducente con la cornetta a bandoliera e il berretto ricamato su un orecchio, dopo aver buttato sul copertone dell'imperiale il suo canino ringhioso, saliva in serpa gridando: Partenza! Partenza! Allora i miei quattro cavalli si muovevano al suono dei sonagli, dei latrati delle fanfare. Le finestre si aprivano, e tutta Tarascona contemplava con orgoglio la diligenza che si metteva in viaggio sulla grande strada maestra. Che bella strada, signor Tartarino, larga, ben tenuta, con le sue pietre miliari, i monticelli di sassi regolarmente distribuiti, e a destra e a sinistra i suoi bei campi coltivati di olivi e di vigneti... E poi locande lungo tutta la strada, e cambi di cavalli ogni momento... E i miei viaggiatori, che gente simpatica! Sindaci e curati che andavano a Nimes a vedere il loro prefetto o il loro vescovo, studenti in vacanza, contadini in casacca ricamata con la barba rasata di fresco, e lassù, sull'imperiale, tutti voi, signori cacciatori di berretti, sempre allegri, e che la sera, al ritorno, cantavate sempre la vostra romanza alle stelle! Ora la musica è cambiata... Dio solo sa che gente mi tocca imbarcare! Un sacco di miscredenti venuti non si sa di dove, che mi riempiono di insetti, negri, beduini, soldatacci, avventurieri di ogni paese, coloni cenciosi che mi appestano con le loro pipe, tutta gente che parla una lingua che nemmeno il Padreterno riuscirebbe a capire... E poi, ha visto come mi trattano? Mai spazzolata, mai lavata. Risparmiano il grasso per i mozzi delle ruote... E al posto dei miei tranquilli e robusti cavalli di un tempo, questi cavallini arabi che hanno il diavolo in corpo, si litigano, si mordono, saltano come le capre, e mi rompono le stanghe a furia di calci... Ahi!... Ahi!... ecco che ricominciano... E le strade! Per ora siamo andati abbastanza bene, perchè siamo vicini al Governatorato; ma dopo non c'è più niente, non c'è più strada. Si va avanti alla meno peggio, si attraversano monti e pianure, in mezzo alle palme nane, ai lentischi... nessun cambio di cavalli fisso. Ci si ferma a capriccio del conducente, ora in una fattoria, ora in un altra. Certe volte quel farabutto mi fa fare un giro di due leghe per andare a bere un bicchierino da un suo amico... E dopo, frusta, postiglione! Bisogna riprendere il tempo perduto. Il sole brucia, la polvere è calda. Frusta sempre! Si cozza, si ribalta! Frusta più forte! Si passano i fiumi a guado, ci si bagna, si annega... Frusta! Frusta! Frusta!... Poi la sera, tutta bagnata, vecchia e piena di reumatismi come sono, sono costretta a dormire sotto le

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stelle nel cortile di un caravanserraglio aperto a tutti i venti. La notte, sciacalli e iene vengono a fiutare i miei cassoni, e i predoni, che temono l'umidità della notte, si rifugiano al calduccio nel mio interno... Così passo la mia vita, mio povero signor Tartarino, e così la passerò fino al giorno in cui, bruciata dal sole e marcia dall'umidità, cadrò senza più rialzarmi, in un angolo di strada, dove gli Arabi faranno bollire il loro kuskus al fuoco degli avanzi della mia carcassa... Blida! Blida! gridò il conducente spalancando la portiera. 2. Apparizione di un ometto. Attraverso i vetri appannati, Tartarino di Tarascona intravide una bella piazza regolare, circondata da portici e alberata di aranci, in mezzo alla quale dei soldatini di piombo facevano gli esercizi nella chiarità rosea dell'alba. I caffè levavano gli sporti. In un angolo, un mercatino di legumi... Scena quanto mai gradevole, ma che non aveva ancora odor di leone. Al Sud!... Più al Sud! mormorò il buon Tartarino, rincantucciandosi nel suo angolo. In quel momento lo sportello si aprì. Entrò una folata d'aria fresca che portò con sè, insieme al profumo degli aranci in fiore, un ometto in soprabito color nocciola, vecchio, magro, rugoso, compassato, con una cravatta di seta nera alta cinque dita, una cartella di cuoio e l'ombrello: il classico tipo di notaio di provincia. Scorgendo tutto l'apparato guerresco del Tarasconese, l'ometto, che si era seduto davanti a lui, parve estremamente sorpreso e si mise a fissare Tartarino con un'insistenza imbarazzante. Furono cambiati i cavalli, e la diligenza partì... L'ometto fissava sempre Tartarino... Alla fine, il Tarasconese perse la pazienza. C'è qualcosa che vi stupisce? disse, fissando a sua volta l'ometto. No, c'e qualcosa che mi dà noia. Rispose l'altro senza scomporsi. In realtà, a causa della tenda, della rivoltella, dei due fucili chiusi nei loro astucci e del coltello da caccia, senza contare la sua naturale corpulenza, Tartarino di Tarascona occupava molto spazio... La risposta dell'ometto indispettì Tartarino: Crede lei, per caso, che vada a caccia di leoni con un ombrello come il suo? disse il grand'uomo con fierezza. L'ometto guardò il suo ombrello, sorrise dolcemente; poi, sempre con la stessa flemma: Scusi, lei sarebbe...? Tartarino di Tarascona, cacciatore di leoni! E l'intrepido Tarasconese scosse come una criniera la nappa del suo fez. Ci fu nella diligenza un movimento di stupore. Il trappista si segnò, le due ragazze emisero degli strilletti di paura e il fotografo di Orlèansville si avvicinò al cacciatore di leoni sognando già l'onore di fargli una fotografia. L'ometto non si scompose. Ha già ucciso molti leoni, signor Tartarino? domandò con la massima tranquillità. Se ne ho ucciso? Vorrei che lei avesse in testa tanti capelli quanti leoni ho ucciso io. Tutta la diligenza scoppiò in una risata osservando i tre capelli giallastri che si drizzavano sul cranio calvo dell'ometto. A sua volta, il fotografo di Orlèansville prese la parola: La sua dev'essere una professione terribile, signor Tartarino!... Chissà quanti brutti momenti avrà passato!... Anche quel povero signor Bombonnel... Ah, già, il cacciatore di pantere... fece Tartarino sprezzante. Lei lo conosce? chiese l'ometto. Certo! Come no?... Abbiamo cacciato insieme più di venti volte. L'ometto sorrise: Allora, lei va a caccia anche di pantere, signor Tartarino? Qualche volta, per passatempo... disse lo scatenato Tarasconese. Poi, alzando la testa con un gesto eroico che fece palpitare il cuore delle

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due ragazze, aggiunse: Non valgono il leone! In fondo, si azzardò a dire il fotografo, la pantera non è che un grosso gatto... Esattissimo! disse Tartarino, a cui non pareva vero di offuscare la gloria di quel Bombonnel, specialmente davanti alle ragazze. A questo punto la diligenza si fermò, il conducente venne ad aprire lo sportello, e rivolgendosi all'anziano ometto: Lei è arrivato, signore, gli disse con tono molto rispettoso. L'ometto si alzò, scese, ma prima di chiudere la portiera: Mi permette di darle un consiglio, signor Tartarino? Quale consiglio? Senta, lei ha l'aria di essere un brav'uomo e voglio essere sincero con lei. Dia retta a me, torni subito a Tarascona, signor Tartarino... Qui lei perde il suo tempo... Sì, ci resta ancora qualche pantera nella zona; ma, perbacco, è una selvaggina troppo piccola per lei!... Quanto ai leoni, storia finita ormai. In Algeria non ce ne sono più... l'ultimo l'ha ucciso il mio amico Chassaing. Con queste parole, l'ometto salutò, chiuse lo sportello, e se ne andò ridendo, con la sua borsa e il suo ombrello. Conducente, domandò Tartarino, con la sua solita faccia feroce, ma chi è quell'ometto là? Come? Non l'ha riconosciuto? Ma è il signor Bombonnel. 3. Un convento di leoni. Tartarino di Tarascona scese a Miliana, e lasciò che la diligenza continuasse la sua strada per il Sud. Due giorni di scossoni, due notti passate con gli occhi spalancati a guardare attraverso il finestrino se appariva nei campi, vicino alla strada, l'ombra formidabile di un leone. Tante ore di sonno perdute meritavano qualche ora di riposo. E poi, diciamolo pure, dopo la sua disavventura con Bombonnel, il buon Tarasconese, nonostante le armi, la faccia feroce e il fez, si sentiva a disagio davanti al fotografo e alle ragazze. S'incamminò dunque per le larghe strade di Miliana, fiancheggiate da alberi bellissimi e ricche di fontane; mentre stava cercando un albergo conveniente, il pover'uomo non poteva togliersi dalla mente le parole di Bombonnel... Aveva detto la verità? Non c'erano veramente più leoni in Algeria?... A che scopo allora tanta strada e tante fatiche? Improvvisamente, all'angolo di una strada, il nostro eroe si trovò faccia a faccia con... Indovinate!... con un superbo leone, seduto regalmente davanti alla porta di un caffè, con la fulva criniera illuminata dal sole. Ma cosa mi dicevano che non ce n'erano più? esclamò il Tarasconese, facendo un salto indietro... Al suono di queste parole, il leone abbassò la testa, e afferrando tra i denti una ciotola di legno posata sul marciapiede davanti a lui, la tese umilmente verso Tartarino pietrificato dallo stupore... Un Arabo che passava gettò un soldone nella ciotola; il leone agitò la coda... Allora Tartarino capì. Vide quello che l'emozione gli aveva impedito di vedere: la folla aggruppata davanti al povero leone cieco e addomesticato, e due negri giganteschi armati di randelli che lo portavano a passeggio per la città, come il Savoiardo la sua marmotta. Il sangue gli salì alla testa: Miserabili! gridò con voce di tuono. Umiliare così questi nobili animali! E slanciandosi sul leone, gli strappò la ciotola dalle regali mascelle... I due negri, prendendolo per un ladro, si precipitarono sul Tarasconese coi randelli alzati... Fu una zuffa tremenda... i negri picchiavano, le donne strillavano, i ragazzi ridevano. Un vecchio ciabattino urlava dal fondo della sua bottega: Dal giudice di pace! Dal giudice di pace! Il leone stesso, nella notte della sua cecità, fece un tentativo di ruggito, e lo sventurato Tartarino, dopo una lotta disperata, ruzzolò per terra in mezzo ai soldoni e alla spazzatura. In quel momento, un uomo fendè la folla, rialzò Tartarino, lo spolverò, lo

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scosse, e lo fece sedere sopra un paracarro. Ma come! E' lei, principe? fece il buon Tartarino ansimando e tastandosi le costole. Sì, sono io, mio valoroso amico!... Appena ricevuta la sua lettera, ho affidato Baia a suo fratello, e a volta di corriere, ho percorso cinquanta leghe ventre a terra, ed eccomi arrivato appena in tempo per strapparvi dalle mani di questi villani... Santo cielo, ma cosa diavolo ha fatto per trovarsi in questo brutto pasticcio? Cosa vuole, principe... a vedere quel povero leone con la sua ciotola fra i denti, umiliato, vinto, preso in giro, ridotto a essere oggetto di riso per tutto questo pidocchiume... Ma lei si sbaglia, mio nobile amico. E' proprio il contrario; quel leone è per loro oggetto di rispetto e di adorazione. E' un animale sacro, che fa parte di un grande convento di leoni, fondato trecento anni or sono da Mahom med ben Aouda, una specie di trappa come l'abbazia di Notre-Dame de la Trappe in Normandia, ma eccezionale e selvaggia, piena di ruggiti e di effluvi belluini, nella quale dei singolari monaci allevano e addomesticano centinaia di leoni, e di là li mandano in tutta l'Africa settentrionale, accompagnati da una specie di frati cercatori... I doni ricevuti da questi frati servono al mantenimento del convento e della sua moschea; e se i due negri di poco fa si sono arrabbiati tanto, è perchè sono convinti che se per colpa loro va perduto un soldo solo della questua, sarebbero immediatamente divorati dal loro leone. Nell'ascoltare questo inverosimile e pur veridico racconto, Tartarino di Tarascona gongolava e fiutava l'aria rumorosamente. Quello che mi fa piacere, disse, è che, alla barba del signor Bombonnel, ci sono ancora dei leoni in Algeria!... Se ce ne sono! esclamò il principe con calore. A partire da domani, andremo a battere la pianura del Chèlif, e vedrete! Ma come! Anche lei, principe, ha intenzione di cacciare? Perbacco! Come posso lasciarla andare in giro per l'Africa solo soletto, in mezzo a tutte quelle tribù feroci di cui ignora la lingua e i costumi?... No! No! illustre Tartarino!... Dove lei sarà, ci sarò anche io. Oh, principe, principe!... E Tartarino, raggiante, abbracciò il prode Grègory, pensando con fierezza che, come Jules Gèrard, Bombonnel e tutti gli altri famosi cacciatori di leoni, aveva anche lui un principe straniero come compagno di caccia. 4. Carovana in arrivo. Il giorno dopo, alle prime luci dell'alba, l'intrepido Tartarino e il non meno intrepido principe Grègory, seguiti da una mezza dozzina di portatori negri, uscivano da Miliana e si avviavano verso la pianura del Chèlif, percorrendo in discesa un ripido e delizioso sentiero ombreggiato da piante di gelsomino, di tuya, di carrubi e di olivi selvatici, fiancheggiato da una fila di giardinetti indigeni, e rallegrato dallo scroscio di migliaia di sorgenti che precipitavano di roccia in roccia, cantando. Carico d'armi come il grande Tartarino, il principe Grègory si era inoltre adornato di un magnifico e singolare chepì tutto gallonato d'oro, e decorato da un fregio di foglie di quercia ricamate in argento, che faceva vagamente assomigliare Sua Altezza a un capostazione delle ferrovie danubiane, o a un generale messicano. Parlando e filosofando, la carovana procedeva regolarmente. I portatori negri, a piedi nudi, saltavano di roccia in roccia emettendo grida scimmiesche. Le casse d'armi risuonavano. Le canne dei fucili lampeggiavano al sole. Gli indigeni incontrati per via s'inchinavano fino a terra davanti al magico chepì. Lassù, sui bastioni di Miliana, il capo dell'amministrazione araba, che passeggiava al fresco con la sua dama, udendo dei rumori insoliti e vedendo luccicare delle armi tra i rami, pensò a un colpo di mano, fece alzare il

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ponte levatoio, fece battere la generale, e mise la città in stato d'assedio. Bel debutto per una carovana! Disgraziatamente, prima del tramonto, le cose si guastarono. Uno dei portatori negri fu colto da coliche atroci per aver mangiato il cerotto adesivo della farmacia. Un altro ruzzolò sul ciglio della strada, ubriaco fradicio di alcool canforato. Il terzo, quello a cui era affidato l'album del diario di Tartarino, abbagliato dalle dorature dei fermagli e persuaso di portarsi via i tesori della Mecca, fuggì a gambe levate rifugiandosi nello Zaccar.. Bisognava prendere delle decisioni... La carovana sostò, e tenne consiglio all'ombra chiazzata di sole di un vecchio fico. Io direi, cominciò il principe, mentre tentava invano di sciogliere una tavoletta di pemmican in una pentola perfezionata a triplo fondo, direi di rinunziare ai portatori negri... C'è proprio qui vicino un mercato arabo. La cosa migliore mi sembra sia quella di andarci, e di fare acquisto di qualche somarello... No!... No!... interruppe con vivacità il grande Tartarino, che era arrossito al ricordo del povero Nerino. Niente somarelli!... E ipocritamente aggiunse: Com'è possibile che degli animali così piccoli abbiano la forza di portare tutta la nostra roba? Il principe sorrise. Lei si sbaglia, illustre amico. Anche se le sembra gracile e magro, il somarello algerino ha le reni solide... Altrimenti, come potrebbe sopportare tutto quello che sopporta? Lo domandi agli Arabi! Non ha importanza, riprese Tartarino di Tarascona. Secondo me, per l'estetica della nostra carovana, i somari non vanno bene... Mi piacerebbe qualcosa di più orientale... Se si potesse avere, per esempio, un cammello... Quanti ne vuole! disse Sua Altezza; e si diressero verso il mercato arabo. Il mercato si teneva a qualche chilometro di distanza, sulle rive del Chèlif... C'erano cinque o seimila Arabi cenciosi che formicolavano al sole, e trafficavano chiassosamente in mezzo a giare di olive nere, vasi di miele, sacchi di spezie e grossi mazzi di sigari; in mezzo alla piazza erano accesi grandi fuochi su cui venivano arrostiti montoni interi, gocciolanti di grasso; c'erano delle macellerie all'aperto, dove dei negri nudi, coi piedi nel sangue e le braccia insanguinate, squartavano con dei piccoli coltelli dei capretti appesi a un palo. In un angolo, sotto una tenda rattoppata con pezze multicolori, siede un funzionario arabo con gli occhiali e un registro. Qui un gruppo di persone che litigano rabbiosamente: una roulette è stata installata sopra un moggio da grano... Laggiù si odono delle risa e un accorrere allegro: c'è un mercante ebreo che sta annegando nel Chèlif con la sua mula... E scorpioni, cani, corvi; e mosche!... mosche! Ma, guarda caso, mancavano i cammelli. Fu possibile, finalmente, scovarne uno da certi Maobiti che volevano disfarsene. Era il vero cammello del deserto, il cammello classico, calvo, dall'aria triste, la lunga testa da beduino, e la gobba, divenuta floscia per i lunghi digiuni, che pendeva melanconicamente da una parte. Tartarino lo trovò così bello, che volle che la carovana al completo ci montasse sopra... Le solite manie orientali! Il cammello s'inginocchiò. I bagagli furono assicurati con delle cinghie. Il principe si insediò sul collo dell'animale. Tartarino, maestosamente, si fece issare in cima alla gobba, tra due casse; e di lassù, fiero e soddisfatto, salutando con un nobile gesto tutta la popolazione accorsa, dette il segnale della partenza... Tuoni e fulmini! Se quelli di Tarascona avessero potuto vederlo!... Il cammello si drizzò. allungò le sue immense gambe nodose, e prese il volo... Oh, stupore! Dopo pochi passi, Tartarino si sentì impallidire, e l'eroico fez ricominciò a prendere, una dopo l'altra, le vecchie posizioni del tempo dello Zuavo. Quel cammello del diavolo rollava come una fregata. Principe, principe, mormorò Tartarino, che era diventato livido, e si

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aggrappava disperatamente al pelame stopposo della gobba. Principe, scendiamo... sento... sento... che farò fare alla Francia una brutta figura... Morte e dannazione! Il cammello ormai era lanciato, e niente poteva più arrestarlo. Quattromila Arabi gli correvano dietro, a piedi nudi, gesticolando, ridendo come matti, e facendo luccicare al sole seicentomila denti bianchi... Il grand'uomo di Tarascona dovette rassegnarsi. Si accasciò tristemente sulla gobba. Il fez prese tutte le posizioni che volle... e la Francia ci fece una brutta figura. 5. L 'appostamento in un bosco di oleandri. Per quanto pittoresca fosse la loro nuova cavalcatura, i nostri cacciatori di leoni furono costretti a rinunziarvi a causa del fez. Continuarono quindi la strada a piedi, e la piccola carovana si spostò senza fretta verso il Sud, a piccole tappe, il Tarasconese in testa, il Montenegrino in coda, e il cammello con le sue casse d'armi nel mezzo. La spedizione durò quasi un mese. Per tutto quel mese, alla ricerca degli introvabili leoni, il terribile Tartarino errò di villaggio in villaggio nell'immensa pianura del Chèlif, attraverso quella incredibile e assurda Algeria francese, dove i profumi del vecchio Oriente si mescolano con gli inconfondibili odori di caserma e di assenzio. Tutto preso dalla sua passione leonina, l'uomo di Tarascona andava dritto davanti a sè, senza guardare nè a destra nè a sinistra, l'occhio ostinatamente fisso su quei mostri immaginari che non si facevano mai vedere. Siccome la tenda si ostinava a non aprirsi e le tavolette di pemmican a non sciogliersi, la carovana era costretta a sostare mattina e sera presso le tribù. Dovunque, grazie al chepì del principe Grègory, i nostri cacciatori erano ricevuti a braccia aperte. Erano alloggiati in casa dei capi, dentro strani palazzi, grandi fattorie bianche senza finestre, dove si trovavano, mescolati alla rinfusa, narghilè e cassettoni di mogano, tappeti di Smirne e lampade ad acetilene, cofani di legno di cedro pieni di zecchini turchi, e pendole artistiche in stile Louis-Philippe... Dovunque venivano organizzate in onore di Tartarino delle splendide feste e delle furiose fantasie. In suo onore, drappelli interi di cavalleria indigena facevano parlare i fucili, e risplendere al sole i loro pittoreschi burnus, i lunghi mantelli usati dalle popolazioni dell'Africa del Nord. E i leoni non si facevano vedere. Ma Tartarino non si scoraggiava. Spingendosi risolutamente verso il Sud, passava le sue giornate a battere la macchia, a frugare i palmizi nani con la canna della carabina, facendo: sciò! sciò! a ogni cespuglio. Poi, tutte le sere, prima di coricarsi, un breve appostamento di due o tre ore... Fatica sprecata! Il leone non si faceva vedere. Tuttavia, una sera, verso le sei, mentre la carovana attraversava un bosco di lentisco violetto, dove delle grosse quaglie appesantite dal caldo saltavano qua e là tra l'erba, a Tartarino di Tarascona parve sentire, ma così lontano, così vago, così smozzicato dal vento, quel meraviglioso ruggito che aveva tante volte ascoltato a Tarascona dietro la baracca del circo Mitaine. Da principio, l'eroe pensò di sognare... ma dopo qualche istante, sempre lontani, ma più distinti, i ruggiti si rifecero sentire; e questa volta, mentre da tutti gli angoli dell'orizzonte si sentivano ululare i cani dei villaggi, anche la gobba del cammello, scossa dal terrore, tremò, facendo tintinnare le casse d'armi e le scatole di carne in conserva. Non c'era più dubbio. Era il leone... Presto, presto, all'appostamento. Non c'era un minuto da perdere. Proprio lì vicino c'era un vecchio marabutto, un mausoleo in cui vengono sepolti i santoni musulmani, con la sua cupoletta bianca, e grandi pantofole gialle del defunto santo racchiuse in una nicchia al sommo della porta, e un'accozzaglia di bizzarri ex-voto, lembi di burnus, fili d'oro, ciocche di capelli, appesi al muro... Tartarino di Tarascona ci mise al sicuro il suo

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principe e il suo cammello, poi andò in cerca di un posto adatto per l'appostamento. Il principe Grègory voleva seguirlo, ma il Tarasconese non volle; teneva ad affrontare il leone da solo. In ogni modo, raccomandò a Sua Altezza di non allontanarsi e, come misura precauzionale, gli affidò il suo portafoglio, un grosso portafoglio pieno di carte preziose e di biglietti di banca, che temeva potessero essere lacerati dagli artigli del leone. Fatto questo, l'eroe si mise in cerca del luogo adatto per l'appostamento. Cento passi oltre il marabutto, sull'orlo di un torrente quasi secco, un boschetto di oleandri tremava nella caligine del crepuscolo. Fu lì che Tartarino si mise in agguato, con un ginocchio a terra secondo le regole, la carabina in pugno e il coltellaccio da caccia piantato fieramente davanti a lui sulla sabbia dell'argine. Giunse la notte. La luce passò dal roseo al violetto, poi all'azzurro profondo... In basso, tra i ciottoli del torrente, luccicava come uno specchio una piccola pozza d'acqua chiara. Era l'abbeveratoio delle belve. Sull'argine opposto, si distingueva vagamente il sentiero bianco che le loro grosse zampe avevano tracciato tra i lentischi. Questa traccia misteriosa faceva venire i brividi. Aggiungete a tutto questo il vago brulichìo delle notti africane, il fruscìo di rami sfiorati, i passi felpati di animali vaganti gli striduli latrati degli sciacalli, mentre lassù, in cielo, a cento o duecento metri di altezza, grandi stormi di gru passavano con gridi di bambini sgozzati; c'era veramente da rimanere impressionati. Tartarino lo era. Direi che lo era in modo superlativo. Batteva i denti, e la canna del suo fucile rigato sbatteva sul manico del coltello piantato nella sabbia con un ritmico rumore di nacchere... Che volete! Ci sono delle serate in cui non ci si sente in vena; e poi, che merito ci sarebbe, se gli eroi non avessero mai paura... Ebbene, sì! Tartarino aveva paura. Tuttavia tenne duro per un'ora, due ore, ma anche l'eroismo ha i suoi limiti. Vicino a lui, nel letto arido del torrente, il Tarasconese sentì improvvisamente un rumore di passi, un rotolìo di ciottoli. Questa volta il terrore lo fece balzare in piedi. Sparò a casaccio i suoi due colpi nell'oscurità, e se la diede a gambe verso il marabutto, lasciando il coltellaccio piantato nella sabbia dell'argine a perenne ricordo del più formidabile panico che abbia mai afferrato l'animo di un cacciatore di sogni. Aiuto, principe!... il leone!... Silenzio. Principe, principe, dov'è? Il principe non c'era. Sul muro bianco del marabutto solo il bravo cammello proiettava l'ombra bizzarra della sua gobba... Il principe Grègory se l'era squagliata da poco, portando con sè il portafoglio e i biglietti di banca di Tartarino... Era un mese che Sua Altezza aspettava questa occasione. . . 6. Finalmente. L'indomani di questa serata tragica e avventurosa, quando alle prime luci dell'alba il nostro eroe si risvegliò e acquistò la certezza che il principe e il gruzzolo erano realmente partiti, partiti senza ritorno; quando si ritrovò solo in quella piccola tomba bianca, tradito, derubato, abbandonato in piena Algeria selvaggia, con un cammello a una sola gobba e pochi spiccioli in tasca, allora, per la prima volta, il Tarasconese dubitò. Dubitò del Montenegro, dubitò dell'amicizia, dubitò della gloria, dubitò persino dei leoni; e, come Cristo nell'orto di Getsemani, il grand'uomo si mise a piangere amaramente. Ora, mentre con aria cogitabonda era seduto sulla porta del marabutto con la testa fra le mani, la carabina tra le gambe, e il cammello che lo guardava, Tartarino stupefatto vide la fitta macchia davanti a lui aprirsi improvvisamente, e apparire a dieci passi di distanza un leone gigantesco che avanzava a testa alta, emettendo dei ruggiti formidabili che facevano tremare le mura del marabutto con le loro cianfrusaglie, e persino le pantofole del santo nella loro nicchia. Solo il Tarasconese non tremò. Finalmente! gridò, balzando in piedi col fucile

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spianato... Pan!... Pan!. .. pfft!... pfft! Ecco fatto... il leone aveva ricevuto due palle esplosive nella testa... Per un attimo, sullo sfondo infuocato del cielo africano, esplose un fuoco d'artificio di frammenti di cervello, di sangue fumante e di criniera fulva sparpagliata. Poi tutto si calmò e Tartarino vide... due negri giganteschi che si precipitavano verso di lui agitando furiosamente i randelli. I due negri di Miliana! Maledizione! I proiettili del Tarasconese avevano fatto fuori il povero leone cieco e ammaestrato del convento di Mohammed. Questa volta, per Maometto, Tartarino se la vide brutta! Pazzi di fanatico furore, i due negri questuanti l'avrebbero certamente fatto a pezzi, se il Dio dei cristiani non gli avesse mandato in aiuto un angelo liberatore nelle sembianze della guardia campestre del comune di Orlèansville, che sbucava, con la sciabola sotto il braccio, da un sentiero vicino. La vista del chepì municipale calmò subito la collera dei negri. Calmo e solenne, il rappresentante dell'autorità stese il processo verbale dell'accaduto, decise che i resti del leone fossero caricati sul cammello, ordinò agli accusatori e al colpevole di seguirlo, e si diresse alla volta di Orlèansville, dove il tutto fu depositato nella cancelleria del tribunale. Procedura lunga e terribile! Dopo l'Algeria delle tribù, che aveva appena visitata, Tartarino di Tarascona conobbe allora un'altra Algeria non meno bizzarra e sorprendente, l'Algeria delle città, ingorda di processi e di carta bollata. Prima di tutto bisognava sapere se il leone era stato ucciso in territorio civile o in territorio militare. Nel primo caso l'affare era di competenza del tribunale di commercio; nel secondo caso la sorte di Tartarino dipendeva dal consiglio di guerra; alla parola consiglio di guerra, l'impressionabile Tarasconese si vedeva già fucilato ai piedi di un bastione, o costretto a marcire in fondo a una cella... Essendo molto incerta in Algeria la delimitazione dei due territori, il problema si presentava di soluzione difficile. Finalmente, dopo un mese di corse, di complicazioni e di attese al sole nei cortili degli uffici arabi, fu stabilito che, se da una parte il leone era stato ucciso in territorio militare, d'altra parte, Tartarino, quando aveva sparato, si trovava in territorio civile. Il processo si svolse dunque in sede civile, e il nostro eroe se la cavò con duemilacinquecento franchi di indennità, oltre le spese. Come fare a pagare quella somma? Le poche piastre sfuggite alla razzia del principe se ne erano andate da un pezzo in carta bollata e in bicchierini offerti agli uomini di legge. Lo sventurato cacciatore di leoni fu costretto a vendere la sua cassa d'armi, carabina per carabina. Si disfece dei pugnali, dei kriss malesi, delle mazze ferrate... Un droghiere comprò la carne in scatola. Un farmacista quello che restava del cerotto adesivo. Anche gli stivaloni, seguiti dalla tenda perfezionata, andarono a finire nella bottega di un rigattiere, che cercò di venderli come curiosità... Una volta pagato tutto, non restavano più a Tartarino che la pelle del leone e il cammello. La pelle fu accuratamente imballata e spedita a Tarascona all'indirizzo del prode comandante Bravida. (Riparleremo presto di questo favoloso trofeo). Quanto al cammello, Tartarino contava di servirsene per raggiungere Algeri, non già montandoci sopra, ma vendendolo per pagare la diligenza, che rimane in fondo il mezzo migliore per viaggiare. Purtroppo l'animale era scarsamente commerciabile, e nessuno si offrì di comprarlo. Ma Tartarino voleva tornare ad Algeri al più presto. Aveva fretta di rivedere Baia, la sua casetta, le sue fontane, e di riposarsi sotto le arcate traforate del suo piccolo chiostro, in attesa dell'arrivo del denaro dalla Francia. Il nostro eroe non esitò: addolorato, ma non abbattuto, decise di fare la strada a piedi, a piccole tappe, e senza soldi in tasca. In questa occasione, il cammello non lo abbandonò. Lo strano animale provava per il suo padrone una tenerezza inesplicabile, e vedendolo uscire da

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Orlèansville si mise a camminare religiosamente dietro di lui, regolando il suo passo con quello di Tartarino e non lasciandosi distanziare di un metro. Da principio, Tartarino trovò la cosa commovente; quella fedeltà quella devozione a tutta prova gli toccarono il cuore, tanto più che il cammello Si accontentava facilmente e si nutriva con niente. Tuttavia, dopo qualche giorno, il Tarasconese si seccò di avere eternamente alle calcagna quel malinconico compagno che gli ricordava tutte le sue disavventure; poi, in preda al risentimento, se la prese con lui per la sua aria triste, per la sua gobba, per la sua andatura dinoccolata. Insomma, finì per odiarlo, e non pensava più che a liberarsene; ma l'animale teneva duro... Tartarino cercò di perderlo, il cammello lo ritrovò; provò a correre, ma il cammello correva più svelto di lui... Gli gridava: Vattene! gettandogli delle pietre. Il cammello si fermava, lo guardava con aria triste, poi, dopo qualche momento, si rimetteva in cammino e lo raggiungeva sempre. Tartarino dovette rassegnarsi. Tuttavia, quando dopo otto lunghe giornate di marcia, il Tarasconese impolverato ed esausto, vide da lontano scintillare le prime bianche terrazze di Algeri, quando si trovò alle porte della città, nell'animata via di Mustafà, in mezzo agli Zuavi, ai Biskri, alle donne maonesi, che brulicavano intorno a lui guardandolo sfilare col suo cammello, perdè di colpo la pazienza: No! no! si disse; non è possibile... non posso entrare in Algeri con una simile bestia! e approfittando di un ingorgo di carrozze, svoltò bruscamente, si avviò per i campi, e si gettò in un fossato!... Dopo pochi momenti, al di sopra della sua testa, vide passare sul margine della strada, il cammello che filava a tutte gambe, allungando il collo con aria ansiosa. Allora, sollevato da un gran peso, l'eroe uscì dal suo nascondiglio e rientrò in città passando per un sentiero fuori mano che rasentava il muro del suo orticello. 7. Catastrofi su catastrofi. Arrivando davanti alla sua casa araba, Tartarino si fermò stupefatto. Scendeva la notte, la strada era deserta. Dalla porticina ogivale che la negra aveva dimenticato di chiudere, si sentivano venire risate, un tintinnio di bicchieri, tonfi di tappi di champagne, e al di sopra di tutto questo allegro frastuono, una gaia e limpida voce di donna che cantava in francese: Aimes-tu, Marco la belle, La danse aux salons en fleurs... Tuoni e fulmini! fece il Tarasconese impallidendo, e si precipitò nel cortile. Povero Tartarino! Quale spettacolo l'attendeva... Sotto gli archi del piccolo chiostro, tra bottiglie, dolciumi, cuscini sparsi, pipe, tamburelli, chitarre, Baia in piedi, con una camicetta di velo argenteo, e larghi pantaloni rosa tenero, cantava Marco la belle con un berretto da ufficiale di marina calato su un orecchio. Ai suoi piedi, saturo di amore e di pasticcini, Barbassou, l'infame capitano Barbassou, la stava ad ascoltare, crepando dalle risa. L'apparizione di Tartarino, smunto, dimagrito, polveroso, con gli occhi che facevano fiamme e col fez dritto sulla testa, interruppe di colpo questa piacevole scena turco-marsigliese. Barbassou non si scompose, e ridendo di gusto: Ehi là! Signor Tartarino, che ne dice? Vede bene che la ragazza parla francese! Tartarino di Tarascona avanzò furioso, poi: Capitano! Gli dica che entri pure, amico! gridò in puro dialetto marsigliese la giovane Araba, sporgendosi dalla galleria del primo piano con un gesto birichino. Il pover'uomo, affranto, si lasciò cadere su un cuscino. La sua Araba sapeva anche il marsigliese! Glielo avevo detto io, di non fidarsi delle Algerine! disse sentenziosamente il capitano Barbassou. E' la stessa storia del suo principe montenegrino. Tartarino alzò la testa. Lei sa dove si trova il principe? Oh! Non è lontano. Per cinque anni starà di casa nella bella prigione di

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Mustafà. Quel briccone si è fatto prendere con le mani nel sacco. Del resto non è la prima volta che Sua Altezza si fa mettere dentro. Mi pare che abbia già fatto tre anni di galera... e, guarda un po', mi pare proprio a Tarascona. A Tarascona!... gridò Tartarino, improvvisamente illuminato. Ecco perchè conosceva solo una piccola parte della città. Si capisce! La parte che vedeva dalla finestra della prigione... Ah!, povero signor Tartarino, bisogna tenere gli occhi bene aperti in questo dannato paese, altrimenti ci possono capitare delle sorprese poco gradevoli... Come la vostra storia del muezzin... Che storia? Che muezzzin? Perbacco!... Il muezzin di fronte, che faceva la corte a Baia... Ne hanno parlato anche i giornali, e tutta Algeri ne ride ancora. E' così divertente quel muezzin che, dall'alto del suo minareto, mentre cantava le preghiere, faceva sotto il vostro naso le sue dichiarazioni alla piccina, e le dava degli appuntamenti invocando il nome di Allah... Ma sono dunque tutti dei furfanti in questo paese?... urlò il povero Tarasconese. Barbassou fece un gesto di rassegnazione. Capirà, paesi nuovi... Dia retta a me, Tartarino, torni subito a Tarascona. E' una parola! Come faccio a tornare a casa senza denari? Sapesse come mi hanno spennato, laggiù nel deserto! Non ha importanza! esclamò il capitano, ridendo... Lo Zuavo parte domani, e se lei accetta, penso io a riportarlo in patria. D'accordo collega?... Bene; allora non le resta che fare una cosa. Abbiamo ancora qualche bottiglia di champagne e mezza torta. Si segga, e... senza rancore! Dopo il momento di esitazione che la dignità gli imponeva, il Tarasconese prese con coraggio la sua decisione. Si sedette, e brindò col capitano. Baia, ricomparsa al tintinnio dei bicchieri, cantò il finale di Marco la belle, e la festa si prolungò fino a notte inoltrata. Verso le tre del mattino, con la testa leggera e le gambe pesanti, il buon Tartarino, dopo aver accompagnato il suo amico capitano, passò davanti alla moschea. Il ricordo del muezzin e del suo tiro birbone, lo fece sorridere, e subito gli attraversò la mente l'idea di una piacevole vendetta. La porta era aperta. Entrò, percorse lunghi corridoi tappezzati di stuoie. Salì, salì ancora, e si trovò in un piccolo oratorio orientale, dove una lampada in ferro battuto dondolava dal soffitto, ricamando ombre bizzarre sulle bianche pareti. Il muezzin era là, seduto su un divano, col suo gran turbante in testa, la sua pelliccia bianca e la sua pipa di Mostagamen, covando con gli occhi un bicchierone di assenzio, in attesa di chiamare i fedeli alla preghiera... Alla vista di Tartarino, lasciò cadere la pipa, atterrito. Non una parola, reverendo, disse il Tarasconese, che stava seguendo un suo progetto... Presto, mi dia il turbante e la pelliccia! Il muezzin, impaurito, gli consegnò il turbante, la pelliccia, e tutto quello che gli fu chiesto da Tartarino. Il Tarasconese se ne rivestì, e salì con aria solenne sulla terrazza del minareto. Il mare scintillava in lontananza. I tetti splendevano bianchi al chiaro di luna. Sulle ali della brezza marina giungevano lontani accordi di chitarra... Il muezzin di Tarascona si concesse un istante di raccoglimento, poi, alzando le braccia al cielo, cominciò a salmodiare con voce acutissima: Allah è Allah... e Maometto è un vecchio imbroglione... L'Oriente, il Corano, i pascià, i leoni, le Arabe non valgono un fico secco! Non ci sono più Turchi... non ci sono che imbroglioni... Viva Tarascona!... E mentre nel suo gergo bizzarro, misto di arabo e di provenzale, l'illustre Tartarino gettava ai quattro venti, sul mare, sulla città, sulla pianura, sulle montagne, la sua allegra maledizione tarasconese, la voce chiara e solenne degli altri muezzin gli rispondeva, diffondendosi da minareto a minareto, e gli ultimi fedeli della città alta si battevano devotamente il

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petto. 8. Tarascona! Tarascona! Mezzogiorno. Lo Zuavo è sotto pressione, si parte. Lassù, sul balcone del Caffè Valentin, i signori ufficiali puntano il cannocchiale, e vengono, colonnello in testa e per ordine gerarchico, a contemplare il piccolo fortunato piroscafo che torna in Francia. E' la grande distrazione dello Stato Maggiore... In basso, la rada scintilla. La culatta dei vecchi cannoni turchi interrati lungo la banchina splende al sole. I viaggiatori si affollano. I facchini indigeni ammucchiano i bagagli sulle barche. Tartarino di Tarascona non ha bagagli. Eccolo che, in compagnia dell'amico Barbassou, percorre Rue de la Marine e attraversa il piccolo mercato pieno di banane e di cocomeri. Lo sventurato Tarasconese ha lasciato in terra barbaresca la sua cassa d'armi e le sue illusioni, ed ora si accinge a navigare verso Tarascona con le mani in tasca... E' appena saltato nella scialuppa del capitano, che un animale trafelato capitombola dall'alto della piazza, e si precipita di galoppo verso di lui. E' il cammello, il suo fedele cammello, che da ventiquattr'ore cerca in Algeri il suo padrone. Tartarino, vedendolo, cambia colore e fa finta di non conoscerlo; ma il cammello si ostina. Si agita lungo la banchina. Chiama il suo amico e lo guarda teneramente: Portami via! sembra dire il suo sguardo triste. Prendimi sulla nave e portami lontano, molto lontano da questa Arabia di cartapesta, da questo Oriente ridicolo pieno di locomotive e di diligenze, dove io, dromedario declassato, non ho più avvenire. Tu sei l'ultimo Turco, io sono l'ultimo cammello. Non lasciamoci più, Tartarino... E' suo questo cammello? domanda il capitano. No davvero! risponde Tartarino, che freme all'idea di entrare a Tarascona con quella ridicola scorta; e rinnegando senza vergogna il compagno delle sue disavventure, respinge col piede il suolo algerino, e dà alla barca la spinta per la partenza... Il cammello fiuta l'acqua, allunga il collo, fa scricchiolare le giunture, si tuffa, e si mette a nuotare dietro la barca con la sua gobba che galleggia come una zucca, e il suo lungo collo che si erge sull'acqua come lo sperone di una trireme. Barca e cammello arrivano insieme ai fianchi della nave. Mi fa pena, quel dromedario! dice il capitano Barbassou, commosso. Quasi quasi lo prendo a bordo... lo regalerò al giardino zoologico di Marsiglia. Il cammello, appesantito dall'acqua di mare, viene issato a bordo a mezzo di paranchi e di corde, e lo Zuavo parte. I due giorni della traversata, Tartarino li passò in cabina, non perchè il mare fosse cattivo, o perchè il fez fosse indisposto, ma perchè quel maledetto cammello, ogni volta che il padrone faceva capolino sul ponte, gli dimostrava delle attenzioni ridicole... Non si era mai visto un cammello così affettuoso! Di ora in ora, dagli oblò della cabina, ai quali di tanto in tanto metteva il naso Tartarino vide impallidire l'azzurro del cielo algerino; poi, finalmente, una mattina, in mezzo a una nebbiolina argentea, sentì con gioia cantare tutte le campane di Marsiglia. Erano arrivati... lo Zuavo gettò l'ancora. Il nostro eroe, che non aveva bagagli, scese senza dir niente a nessuno, attraversò in fretta Marsiglia, sempre temendo di essere inseguito dal cammello, e non respirò che quando si trovò sistemato in un vagone di terza classe che filava a tutto vapore verso Tarascona... Ingannevole sicurezza! A due leghe appena da Marsiglia, tutte le teste dei viaggiatori si spenzolano dai finestrini. Grida di stupore. Tartarino, a sua volta, si affaccia... e che vede?... il cammello, signori miei, l'inevitabile cammello che galoppa freneticamente tra i binari all'inseguimento del treno. Tartarino, costernato, si rincantuccia nel suo angolo, chiudendo gli occhi. Dopo la sua disastrosa spedizione, aveva sperato di poter ritornare a casa in incognito. Ma la presenza di quell'ingombrante quadrupede rendeva la cosa

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impossibile. Santo cielo, che ritorno era il suo! Senza un soldo, senza leoni, niente... un cammello! Tarascona!... Tarascona! Bisognò scendere... Oh stupore! Appena il fez dell'eroe fece capolino dallo sportello, un fragoroso grido di: Viva Tartarino! fece tremare la volta a vetri della stazione. Viva Tartarino! Viva l'uccisore di leoni! Ed ecco esplodere gli squilli di una banda e le voci di un coro maschile... Tartarino si sentì morire; pensò a uno scherzo di cattivo genere. Ma no! Tutta Tarascona era là, che agitava i cappelli con entusiasmo. Ecco il valoroso comandante Bravida, l'armaiolo Costecalde, il presidente, il farmacista, e tutto il nobile corpo dei cacciatori di berretti che si accalcano intorno al loro capo, e lo portano in trionfo lungo la scalinata... Singolari effetti del miraggio! La pelle del leone cieco, spedita a Bravida, era stata la causa di tutto. Con quella modesta pelle esposta al circolo, i Tarasconesi, e dietro di loro tutto il Mezzogiorno della Francia, si erano montati la testa. Il Sèmaphore ne aveva parlato. La fantasia aveva cominciato a galoppare. Non era soltanto un leone che Tartarino aveva ucciso, erano dieci leoni, venti leoni, una marmellata di leoni! Quando Tartarino era sbarcato a Marsiglia, era già celebre senza saperlo, e un telegramma entusiasta lo aveva preceduto di due ore nella sua città natale. Ma il colmo dell'entusiasmo popolare fu raggiunto quando un favoloso animale, coperto di polvere e di sudore, apparve dietro l'eroe e si mise a scendere zoppicando la scalinata della stazione. Per un istante, Tarascona pensò che fosse ritornata la sua Tarasque. Tartarino rassicurò i suoi concittadini. E' il mio cammello, disse. E' già sotto l'influsso del sole tarasconese, quel sole così bello che fa mentire candidamente, aggiunse, accarezzando la gobba del dromedario: E' un nobile animale!... Mi ha visto uccidere tutti i miei leoni. Detto questo, prese familiarmente il braccio al comandante, rosso di gioia; poi, seguito dal cammello, circondato dai cacciatori di berretti, acclamato da tutto il popolo, Tartarino si avviò tranquillamente verso la sua villetta del baobab, e camminando, cominciò il racconto delle sue grandi cacce: Figuratevi, diceva, che una certa sera, in pieno Sahara... FINE.