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AMANTI E
FAVORITE
DEL RE SOLE
E DI
LUIGI XV
PARTE PRIMA
SOMMARIO: LUIGI XIV IL RE SOLE; IL MATRIMONIO E LE PRIME AMANTI; LA MARCHESA DI
MAINTENON; LUIGI XV; L'ANNUNCIO DEL MATRIMONIO; IL MATRIMONIO DEL RE; MADAME DE
POMPADOUR; LE ALTRE AMANTI; LA MURPHY E CASANOVA; ROMAN COUPIER E CASANOVA;
LA CONTESSA DU BARRY.
LUIGI XIV IL RE SOLE
Era nato per essere re. Superava in altezza i suoi cortigiani e aveva una
corporatura ben proporzionata. Da giovane si distingueva per la bellezza dei suoi
tratti, appesantiti durante la maturità. Ciò che colpiva di più della sua persona era
la voce, che aveva un suono bello e melodioso. Il modo di muoversi era confacente
al suo rango. L'incedere era maestoso. Il duca di Richelieu (pronipote del
Cardinale), aveva scritto che quando lo aveva visto per la prima volta: <rimasi
come annichilito dalla maestà della sua persona e dallo splendore del suo fasto. Mai
nulla di più maestoso aveva colpito il mio sguardo e di tutti gli uomini che avevo visto,
egli mi parve il più degno di comandare: lo si sarebbe dovuto scegliere per metterlo a
capo della nazione francese se la sua nascita non lo avesse già chiamato al trono. La
sua aura di grandezza incuteva timore, e su tutti i volti vedevo impresso il rispetto. Un
suo sguardo era un ordine, e chi era abituato ad osservare il monarca lo capiva a
volo….Aveva abituato coloro che gli stavano attorno a una sorta di adorazione;
sembrava naturale essere ai suoi piedi>.
Suscitava imbarazzo in chi si rivolgeva a lui. Un generale che gli parlava non
riusciva a esprimersi chiaramente e balbettava, uscì dall'imbarazzo dicendogli
"Sire non tremo così davanti ai vostri nemici"
Era nato anche per gli amori, più di qualsiasi altro suo suddito. I suoi primi amori
per la baronessa di Beauvais, per mademoiselle d'Argencourt furono passeggeri.
Invece, per Maria Mancini (aveva avuto anche la sorella, ambedue nipoti del
cardinale Mazzarino), si era presa una bella cotta tanto da volerla sposare. Al
cardinale la cosa non sarebbe dispiaciuta, ma vi era stato l'intervento della regina
madre Anna d'Austria (moglie di Luigi XIII), che aveva fatto valere tutto l'orgoglio
di una Asburgo (figlia, moglie e madre di re) che gli aveva detto: <Se il re fosse
capace di una cosa così indegna, col mio secondogenito mi metterei a capo di tutta la
nazione contro il re e contro di voi>. E la questione fu così definita...
IL MATRIMONIO E LE PRIME AMANTI
Raggiunti i ventidue, Luigi XIV sposò (9.6.1660), con una fastosa cerimonia, la
cugina Maria Teresa d'Austria (anch'essa di ventidue anni), figlia di Filippo IV di
Spagna (del ramo spagnolo degli Asbugo), fratello di Anna d'Austria, madre di
Luigi. Il re, sfarzosamente vestito, cavalcava a lato della carrozza (di foggia nuova,
con vetri) che trasportava la sposa.
I festeggiamenti continuarono anche dopo il matrimonio per tutto il resto dell'anno.
Il 26 Agosto in occasione della pace finalmente raggiunta tra Francia e Spagna,
auspice la regina madre, vi fu a Parigi un memorabile corteo (durato dieci-dodici
ore). La sfilata iniziava con la rappresentanza della Casa del ministro Mazzarino,
con settantadue muli carichi di bagagli, dei quali i primi ventiquattro erano bardati
di semplici coperte, quelli che seguivano avevano gualdrappe delle più belle
tappezzerie, gli ultimi erano ricoperti da velluto rosso ricamato d'oro e d'argento
con i morsi e i campanelli d'argento. Seguivano sempre in rappresentanza della
Casa del Cardinale Mazzarino ventiquattro paggi, gentiluomini e ufficiali, dodici
carrozze da sei (tirate cioè da sei cavalli, tre a tre), le guardie, ventiquattro cavalli
coperti da splendide gualdrappe e condotti a mano (belli da non poter staccare gli
occhi!). La Casa del re era preceduta da paggi in sella, seguiti dai moschettieri con
le piume ai cappelli dello stesso colore delle bandiere, dai cavalleggeri e nobili a
cavallo nei loro più sfarzosi abiti. La regina con i capelli chiari incoronati di spighe
d'argento, si intravedeva dai vetri della carrozza. Dopo la sfilata alla regina furono
consegnate, su un cuscino ricamato, le chiavi della città.
I festeggiamenti continuarono ancora nell'anno successivo e aumentarono in
occasione del matrimonio del fratello del re (Filippo d'Orléans). Cessarono solo per
la morte del cardinale Mazzarino, ma ripresero nell'anno seguente, con una
crescente maggiore intensità (v. in Specchio, Vita a Versailles).
Il rapporto tra il re e la sposa inizialmente era stato di buona intesa e civettuolo. Il
re le mandava dei versi, la regina gli rispondeva. Poi arrivò per ambedue lo stesso
confidente (il marchese d'Angeau) e la vena poetica ebbe termine. Il re incaricò
d'Angeau di scrivere versi e portarli alla regina. Questa fece altrettanto, ma uno all'
insaputa dell'altro.
Nel frattempo il re fu preso da passione per madamigella Luise de La Valliére al
servizio della regina, e i divertimenti galanti continuarono con questa, e tutte le
feste che venivano organizzate, recite teatrali, quadriglie, caroselli, erano tutte in
onore di La Valliére. Luise che era una donna innamorata, sincera, che aveva
dolcezza di spirito e bontà d'animo, doveva però chiudere gli occhi sulle infedeltà
del re.
Questo rapporto iniziò a incrinarsi nel momento in cui all'orizzonte (1669)
appariva la marchesa di Montespan (Francoise-Athénais de Rochechouart de
Mortemart, 1640-1707), donna di rara bellezza. Il re se ne invaghì e volle averla.
tutta per sé. Ma lei era una donna capricciosa che non accettava che una
concorrente condividesse i favori del re, che a sua volta voleva averle tutte e due, e
non si era mostrato disposto a lasciare l'altra. La marchesa reagì chiedendo subito
al marito di portarla via, nelle sue terre della Guienna. Luigi non le permise la
levata di testa e la prese con sé, togliendola al marito, che però non si era mostrato
molto d'accordo su questa iniziativa. Mal gliene incolse perché il re lo mandò a
meditare alla Bastiglia e poi gli fece grazia confinandolo nel suo feudo in Guienna.
La Montespan riuscì in ogni caso ad avere il sopravvento su Luise che pur di
ricevere le visite del re, dopo avergli dato tre figli (1), dovette accettare questo
nuovo rapporto. Alla fine si ritirò in un convento di carmelitane (1674) prendendo i
voti e assumendo il nome di suor Luisa della Misericordia.
Mentre La Valliére durante tutto il periodo del rapporto con il re aveva condotto
una vita riservata, la Montespan, ostentando la sua posizione di favorita (2) e
conducendo una vita sfarzosa, divenne l'unica arbitra non solo del re ma della
Corte. Tutti gli onori e gli omaggi, a parte quelli ufficiali per la regina, erano rivolti
a lei.
Non potette a sua volta evitare di condividere il re con un'altra amante. Si trattava
di una delle sue sorelle. Molto più giovane ma anche più bella e con più spirito di
lei, uscita dal chiostro di Fontevrault di cui era badessa. A questa si aggiunse
un'altra sorella, madamigella di Thianges, definita < il più raffinato elisir di tutte le
dame di corte>.
La Corte era diventata il centro dei piaceri e del divertimento. Al centro di questi
c'erano le tre sorelle.
Fu uno scandalo che riecheggiò in tutta Europa. Lo scandalo, però, non era stato
determinato dal fatto che il re aveva preso una amante, ma perché ne aveva due (la
badessa non compariva con le sorelle)! Il re le portava nella carrozza della regina,
dappertutto. Alle frontiere, ai campi militari, talvolta alle campagne militari, con lo
spettacolo offerto al popolo di vedere non una ma due regine, mentre quella vera
rimaneva a palazzo.
Madame de Montespan oltre ad essere capricciosa, era cattiva e altezzosa, non solo
con i cortigiani ma con lo stesso re. Era anche estremamente spiritosa e piena di
acutezza e finezza, per cui per divertire il re non risparmiava nessuno, e ciò era
pericoloso per chi era messo in ridicolo. I cortigiani evitavano persino di passare
davanti alle finestre del suo appartamento, tanto che circolava la battuta che così
<si evitava di passare per le armi>.
Madame de Montespan aveva accentrato attorno a sé non solo la corte ma tutto ciò
che coinvolgeva la corte, sia in funzione dei piaceri sia in funzione degli affari di
Stato. Ministri e generali passavano da lei ancor prima di essere ricevuti dal re. La
regina la detestava, non sopportava la sua alterigia e rimpiangeva la duchessa di La
Valliére, lamentando che: <quella puttana mi farà morire>! E non aveva tutti i torti
perché parti e gravidanze divennero di dominio pubblico. Videro la luce tre maschi,
due femmine, e altri due figli morti giovanissimi, tutti attribuiti alla Montespan
(anche se poteva esservi stato qualche scambio di maternità con una delle sorelle).
Essi in tempi successivi furono tutti legittimati (3).
Madame de Fontevrault era la più bella delle tre sorelle. L'abito monastico
certamente le dava un fascino che a nessuna di tutte le altre dame di Corte era dato
di avere, e fu anche la più brillante nella intimità col re. Eccelleva su tutte le altre
dame di Corte per la sua rara e vasta cultura, perché conosceva bene la teologia e i
padri della Chiesa, perché era versata nelle sacre Scritture, perché conosceva il
latino e greco. Infine brillava in conversazione su qualsiasi argomento e altrettanto
brillava quando scriveva.
Divideva la sua vita tra la Corte e il convento che aveva il dono di saper ben
dirigere con tale equilibrio, da farsi adorare da tutte le religiose che manteneva
legate alla regola. Nonostante fosse stata forzata a farsi monaca, la sua regola di
condotta nell'abbazia era ineccepibile. Quando si recava a Corte non usciva mai
dagli appartamenti delle sorelle, e in pubblico si presentava sempre in abiti
religiosi. La cosa appariva piuttosto singolare, per i favori che concedeva al re, ma
questo non intaccò minimamente la sua irreprensibile reputazione.
Mademoiselle de Thianges dominava le due sorelle e il re, che riusciva a divertire di
più delle altre. Finché visse, lo ebbe in suo potere e anche dopo la espulsione della
Montespan conservò tutti i suoi privilegi e distinzioni.
Giunse poi a Corte madamigella di Fontanges, che divenne l'amante ufficiale del re,
ricambiando alla Montespan ciò che questa aveva fatto a La Valliére. Non ebbe la
stessa fortuna. Non aveva infatti tanto spirito da divertire il re, che non fece a
tempo ad annoiarsi completamente in quanto la morte improvvisa, da cui fu colta
lei col figlio (1681), eliminò il problema.
Arrivarono altri amori che erano solo dei capricci, il più resistente di questi fu
quello per Madame de Soubise che durò fino alla morte di costei. Il marito, tacciato
di essere, con un termine usato in Spagna, <cornuto volontario>, sopportò
volentieri questo amore, ignorando scrupolosamente ogni cosa, ma raccogliendone i
frutti e dividendo con la moglie tutti i vantaggi che essa ne ricavava, costruendo
una rapida e prodigiosa fortuna. Egli, rintanato in una piccola casa in Place Royale,
evitava di recarsi a Corte. Abbandonò questo appartamento quando fu acquistato il
palazzo dei Guisa, che fu ingrandito e reso più sontuoso, a tal punto che gli antichi
proprietari non lo avrebbero riconosciuto. I due coniugi si arricchirono tanto che la
vita sfarzosa, che questa ricchezza permetteva, durava ancora alla terza
generazione.
L'amore per madamigella Ludre, damigella d'onore della regina, incontrata tra le
sale di Versailles, durò un batter d' ali. E vi fu anche una damigella, questa volta
della Montespan, che ebbe una figlia non riconosciuta e fu fatta sposare a un
gentiluomo di nome La Queue.
Queste damigelle d'onore erano giovanissime, oggi diremmo fanciulle, e
incorrevano spesso in incidenti con i nobili che frequentavano la Corte. Questi
incidenti fecero giungere alla decisione di sostituirle con donne più mature.
Al monastero di Moret vi era una religiosa che era orgogliosa (forse anche un po'
troppo) di essere figlia del re, e la superiora con le altre suore se ne lamentava. Sta
di fatto che, nel momento in cui fu messa nel monastero, le era stata assegnata una
dote di ventimila scudi, e non si sapeva chi avesse elargito una tal somma. A parte
la carnagione scura, era il ritratto di Luigi XIV. La Montespan si recò un giorno a
visitarla e, volendo indurla a maggior modestia, cercò di convincerla che la sua idea
era errata. La monaca, con presenza di spirito, le rispose: <Signora, se si è presa la
briga di venire fin qui a dirmi che non sono la figlia del re, mi convince invece che lo
sono>.
L'amore della Montespan rimaneva dominante, ma il suo innamorato incominciava
ad essere stanco di lei e dei suoi capricci. Si stava verificando un avvenimento che
nel tempo avrebbe creato grande stupore e incredulità.
Quando la Montespan era alla prima maternità si era deciso che questa sarebbe
stata tenuta segreta. C'era bisogno di una persona di fiducia che si occupasse della
faccenda; questa persona, che la Montespan apprezzava per lo spirito, le grazie e i
riguardi, era madame Scarron (poi Maintenon), che una serie di fortunate
combinazioni eleverà al fianco del re.
1) Luigi di Borbone nato nel 1663 e morto a tre anni (1666); Marie Anne de Blois (1666-1739),
che sposerà il principe Louis-Armand de Conti e Luigi di Borbone conte di Vermendois nato
nel 1667 e morto a sedici anni (1683).
2) Era stata accreditata l'idea che la favorita serviva per il prestigio e lo sfarzo del re.
3) Louis-Auguste, duca del Maine (1670-1736), che sposa Luisa Benedetta d' Orléans (nipote
del gran Condé);
Louis-César, conte di Vexin, abate a s. Denis e s. Germanine des Pres (1670-1736);
Louis-Alexandre di Borbone, conte di Tolosa (1678-1737);
Louise-Francoise di Borbone, (m.lle de Nantes) (1673-1743), che sposa Luigi III di Borbone,
duca di Condé;
Louise-Marie di Borbone (m.lle de Blois) (1677-1749), che sposa Filippo II duca di Chartres,
poi duca d'Orleans, figlio del Reggente, che era fratello del re.
Altri due morirono giovanissimi, una di questi era m.lle de Fontanges.
Da notare l'intreccio di matrimoni tra figli naturali, che in ogni caso erano portatori di sangue
reale e che, oltre ad essere riconosciuti, avevano una ulteriore conferma di legittimazione con i
matrimoni nell'ambito del parentado, tra i principi del sangue.
LA MARCHESA DI MAINTENON
Francoise d'Aubigné, poi marchesa di Maintenon (1635-1719), pur appartenendo
a famiglia nobile, aveva avuto una infanzia povera, anzi poverissima. Aveva vissuto
in prima persona il dramma delle lotte di religione tra cattolici e ugonotti. Il nonno
Agrippa d'Aubigné, strano personaggio di intellettuale estroverso, autore di scritti
politici, storici, satirici in prosa e versi e ugonotto di ferro, dovette espatriare a
Ginevra dove morì esule.
Il padre Costante era anch'egli uomo di cultura, fine politico, elegante, sapeva
suonare alla perfezione la viola e, nei pochi momenti di libertà frequentava la Corte
di Luigi XIII. Per il resto era sempre in carcere per debiti. Il carcere era diventato
l'abituale dimora sua e della famiglia, sorta da una situazione insolita.
Era in servizio nel castello de La Trompette presso Bordeaux, dov'era la prigione di
Costante, il luogotenente del duca d'Epernon, Pietro di Cardilhac. La figlia di
questo andava a trovare il prigioniero, che aveva una piacevole conversazione. A un
certo punto Giovanna, diciassettenne (Costante aveva quarantadue anni), si trova
incinta. Il governatore era cattolico, Giovanna cattolica e di famiglia cattolica, e
Costante ugonotto che equivaleva ad essere considerato peggio di un appestato.
Cardilhac, nonostante Costante gli fosse inviso, impose il matrimonio.
Francoise vedrà la luce in una squallida camera di un altro carcere, quello del
palazzo di Niort (Vandea). Passerà i suoi primi anni giocando con la figlia del
guardiano, poi i genitori andranno in Martinica, portandola con sé, ma il padre
presto morirà e la madre la riporterà in Francia all'età di dodici anni.
Francoise aveva respirato in famiglia aria protestante, imparando a leggere e
scrivere sulla Bibbia protestante sotto la guida del padre. Questa educazione le
creerà dei problemi con la madre cattolica, che la portava con sé a messa. Francoise
per protesta durante la messa rivolgeva le spalle all'altare, prendendo dei sonori
ceffoni. Mandata poi in un convento, aveva dovuto subire tutte le angherie e le
brutalità delle monache che volevano convertirla al cattolicesimo. Si era alla fine
convertita. La sua conversione però era avvenuta non con la costrizione, ma con la
persuasione.
Per convertirsi aveva voluto il confronto (strana richiesta per una ragazzina di non
ancora quindici anni!) di due personalità, un cattolico e un ugonotto, che avevano
discusso delle rispettive dottrine per ben tre giorni consecutivi. Lei aveva trovato
fiacco l'ugonotto, che aveva seguito con la Bibbia in mano, rilevando la non esatta
corrispondenza dei versetti citati con quelli scritti. Alla fine, alquanto indecisa
aveva scelto il cattolico. Anche se convertita, Francoise rimarrà per sempre con le
solide basi, ricevute durante la fanciullezza, di ugonotta puritana che detesta le
debolezze, i vizi, pronta ad accettare le punizioni, ad affrontare con grande spirito
di sacrificio tutte le avversità, che la renderanno di una dirittura morale
ineccepibile, con venature integraliste.
A questo substrato si aggiungeranno i timori, le paure, gli scrupoli di coscienza,
l'idea del peccato, la vita interiore ed esteriore che doveva essere religiosamente
regolata della morale cattolica. Tutto ciò, in ogni caso, non le farà sorgere alcuno
scrupolo nel momento in cui tradirà la fiducia e l'amicizia di chi l'aveva beneficata.
Queste idee Francoise le aveva facilmente assorbite dal direttore spirituale e
confessore, col quale a quei tempi si instauravano rapporti che finivano per
diventare di dipendenza. Il risultato spesso era che l'uno diventava il padrone
dell'anima dell'altro che, come vittima ne subiva i condizionamenti…sotto la
minaccia dei castighi divini! Ed ecco creata una bigotta che quando sarà a contatto
col re, testardamente (e sottilmente) perseguirà l'idea di convertire il re a una vita
cristiana e <condizionerà> quello spirito libero del re, che per suo merito perderà la
gaiezza dei tempi in cui tra una comunione e l'altra si sentiva perdonato di tutti
peccati che si concedeva quotidianamente. Come scrive Voltaire <la devozione che
ella aveva ispirato al re e che l'aveva fatta sposare, divenne a poco a poco un
sentimento vero e profondo che l'età e la noia rafforzarono>.
Francoise era una donna di spirito, raffinata letterata, aveva una conversazione
dolce e insinuante a tal punto da lasciare il segno, nel senso che alla fine, con molta
discrezione, riusciva a trasmettere all'interlocutore le proprie idee.
All'età di quindici anni, era stata affidata a una zia, madame de Neuillant, ricca ma
tanto avara che all'infuori dell'asilo che le concedeva nella sua casa a Parigi (...ed
era già tanto!, non le concedeva altro! Un giorno viene portata a casa del poeta
Paolo Scarron dal quale si riuniva la buona società parigina.
Questo Scarron era una specie di poeta maledetto. La natura gli si era accanita
contro perché oltre che essere paralizzato era deforme con una testa grossa che gli
pendeva da un lato e due occhi bovini, ma aveva intelligenza e spirito vivace e
beffardo, componeva versi sarcastici con cui si burlava del prossimo e in ogni caso
riusciva ad affascinare l'uditorio. Quelli che lo frequentavano, con lui si divertivano
immensamente. In quella casa non mancavano i profumi di cucina e vi era
abbondanza di cibo e di vino che erano il prezzo pagato dai frequentatori.
Anche Francoise era diventata abituée della casa di Scarron e a un certo punto,
trovando molto precaria l'ospitalità della zia, aveva dovuto decidere tra finire in
convento o sposare Scarron. Scelse la libertà e la sicurezza che le dava il
matrimonio con Scarron. Lei aveva diciassette anni lui di quarantadue. Il
matrimonio durerà otto anni e Francoise rimarrà vedova a venticinque (1660).
Essere stata moglie di Scarron le era servito ad affinare la sua cultura, ad essere
conosciuta e apprezzata tra famiglie aristocratiche e ad aver stretto amicizie con
famiglie come quella dei d'Albret (di nobiltà feudale) e del duca di Richelieu
(amicizie, che, come dice Saint Simon, non erano su un piede di parità), che
comunque le davano da vivere in cambio di quei piccoli lavori che si facevano
<quando i campanelli non erano stati ancora introdotti>.
Presso i d'Allbret, Francoise aveva conosciuto la Montespan che per lei aveva un
debole particolare e nel momento in cui rimarrà incinta e avrà bisogno di una
persona di fiducia, ricorrerà a lei.
Infatti, quando era sorto per la Montespan il problema della prima maternità che
doveva rimanere segreta, per partorire la marchesa aveva preso un appartamento e
aveva chiamato madame Scarron la quale si fece prendere da scrupoli di coscienza,
in quanto riteneva commettere un peccato se si fosse trattato dei figli della
Montespan, favorita del re! Si sarebbe sentita invece con la coscienza tranquilla (in
ciò aiutata dal suo confessore gesuita Gobelin), se si fosse trattato dei figli del re
(sic!) e se la richiesta fosse stata fatta dal re di persona (come se la madre
Montespan non fosse esistita!…misteri di una morale contorta!). Il re le fece la
richiesta desiderata e la Maintenon, messasi la coscienza tranquilla, accettò
l'affidamento sia del primo figlio, che di tutti quelli arrivati successivamente.
Costoro che inizialmente erano stati partoriti in gran segreto, poco alla volta furono
portati a Corte e mostrati al re, quindi da questo amati, riconosciuti e poi anche
legittimati.
In quel periodo era stata messa in vendita la proprietà dei terreni di Maintenon che
si trovava nei pressi di Versaillles. Madame Scarron, era interessata all'acquisto in
quanto era nelle sue aspirazioni avere una proprietà tutta per sé e aveva convinto la
Montespan che lì avrebbe potuto allevare i suoi figli. La Montespan a sua volta si
rivolse al re il quale, per poco che l'aveva vista, l'aveva presa in antipatia e si era
mostrato contrario all'acquisto, anzi aveva suggerito alla Montespan di licenziare e
togliersi di mezzo quella Scarron che gli era insopportabile.
L'ebbe vinta la Montespan e la proprietà di Maintenon fu acquistata. Non solo, ma
poco dopo si provvide, a spese del re a restaurare il castello che si trovava in stato
di abbandono. Il primo figlio della Montespan (il futuro duca del Maine) zoppicava
fortemente, si diceva per una caduta, forse era lussazione del femore (Voltaire
parla di deformità di un piede fin dalla nascita). Poiché tutte le cure si erano
mostrate inutili, il protomedico di corte aveva suggerito di mandarlo alle acque (!).
La Scarron, diventata madame de Maintenon, aveva accompagnato il bambino e
scriveva alla Montespan per tenerla informata. Queste lettere erano mostrate al re
che le trovava ben scritte e anche gustose.
Poco alla volta il re incominciò a perdere tutta la sua ripugnanza nei confronti della
Maintenon. Non solo. Il re si stava stancando della Montespan che diventava
sempre più insopportabile con i suoi capricci e la Maintenon la riprendeva e la
rimproverava e cercava di rabbonirla. La Montespan riferiva al re il quale
mettendo da parte la sua antipatia aveva iniziato a rivolgere alla Maintenon
qualche parola, poi a farle le prime confidenze, poi a suggerirle le cose da riferire,
poi a confidarle i suoi malumori, infine a consultarla per avere consigli.
Alla fine la Maintenon si rese così indispensabile che sostituì la Montespan che
troppo tardi si accorse di quanto l'altra fosse diventata indispensabile. La fortuna
(per non chiamare in causa la Provvidenza, dice ancora Saint Simon), che stava
preparando al più superbo dei re l'umiliazione più profonda, più pubblica, più
durevole, più inaudita, aumentò sempre più per quella donna abile ed esperta, che
le gelosie della Montespan rendevano sempre più calda, con le frequenti frecciate
che la Montespan indirizzava al re e alla Maintenon. A sua volta la Maintenon
rivolgeva al re le sue lamentele per quello che doveva sopportare dalla Montespan.
Alla fine la Maintenon la spuntò soppiantando la Montespan atteso che tra l'altro
era più giovane e più bella. Essa riuscirà a rimanere a Corte fino al 1691,
ritirandosi poi in convento dove morirà nel 1707.
Sempre la fortuna, o la Provvidenza, aveva dato ancora una mano. Giunse infatti la
grande sventura, per il re e per lo stesso Stato, della morte della regina (1684), nel
momento in cui quell'affetto era diventato più acuto, incrementato dai malumori
creati dalla Montespan e diventati insopportabili.
Sta di fatto che qualche tempo dopo (1686) la morte della regina, di notte, in una
piccola cappella annessa all'appartamento del duca di Borgogna, il re (che aveva
quarantotto anni) e la Maintenon (che ne aveva cinquantadue) furono legati in
matrimonio segreto. Erano presenti padre La Chaise che aveva celebrato la messa,
l'arcivescovo di Parigi Harlay, il governatore di Versailles e primo valletto di turno
Bontemps che aveva servito la messa, Louvois e Montescevreuil, i quali ebbero dal
re la sua parola che non avrebbe mai dichiarato quel matrimonio.
Alla Maintenon fu assegnato l'appartamento in cima allo scalone principale, di
fronte a quello del re. Da quel momento il re, finché restò in vita, si recò da lei tutti
i giorni, sia a Versailles che in qualsiasi altro luogo dov'era alloggiata, e vi passava
il pomeriggio, prima e dopo cena fino a mezzanotte. Egli si metteva da una parte
della sala a lavorare con i suoi ministri, mentre lei dall'altra parte leggeva o
ricamava senza intromettersi. Ma tutta la vita della Corte, con ministri, generali e
la famiglia reale al completo, si svolgeva intorno a lei.
Per ben trentadue anni, incredibilmente governò stando nell'ombra, su tutta la vita
del paese. Cariche, giustizia, favori, religione, tutto passava per le sue mani, pur
non intromettendosi e non avendo mai approfittato di nulla, fino alla morte del re
(1715) al quale sopravviverà per quattro anni, dopo essersi ritirata a Saint Cyr, nel
monastero che lei aveva fondato.
L'influenza che la Maintenon aveva avuto sul re era stata in un certo senso
deleteria. Il re era diventato bigotto. Ma era stata solo la principale responsabile. A
darle man forte c'erano i religiosi gesuiti, dai quali il re era circondato che
completavano l'opera della Maintenon. Certo è che dal giorno in cui la sua
devozione era stata portata agli eccessi, il re aveva perso l'energia e la fermezza di
cui molte volte aveva dato prova, preoccupandosi di inezie di cui negli anni del suo
fulgore non si sarebbe mai occupato, come quella di inviare l'ordine di vivere in
buona armonia con la propria moglie, a chi ostentava una condotta sregolata.
Quegli ultimi anni di regno di un re che effettivamente aveva brillato come un sole,
anche per la Francia furono nefasti, tanto che la notizia della sua morte a Parigi fu
accolta con tal piacere, che quel popolo che lo aveva idolatrato si abbandonò ad una
vera e propria esplosione di gioia che sembrava fosse stato liberato da un terribile
flagello.
Uno degli atti più illiberali, ingiusti e intolleranti compiuti in questo periodo fu la
revoca dell'editto di Nantes (1685) seguita dalle persecuzioni dei protestanti, che in
cinquecentomila, tra i più industriosi, espatriarono con un grave danno economico
e finanziario per la Francia. Se è vero che in questa revoca non vi era stata l'opera
diretta della Maintenon, almeno indirettamente lei vi aveva contribuito, avendo il
re maturato l'idea che la religione cattolica dovesse essere uniformemente osservata
indistintamente da tutti i sudditi del regno.
AMANTI E
FAVORITE
DEL RE
SOLE
E DI
LUIGI XV
PARTE SECONDA
LUIGI XV
Era esuberante non solo dal punto di vista sessuale, caratteristica che,
contrariamente a quanto si verifica per i comuni mortali, gli si svilupperà
ulteriormente con l'avanzare degli anni, ma era un fanatico della caccia, e fin da
giovanetto era sempre a cavallo e si sfogava con cacce forsennate.
Questa attività mentre gli irrobustiva il fisico preoccupava la Corte perché
all'epoca si riteneva che un adolescente potesse morire di fatica. Luigi era anche di
buon appetito, ma soffriva di indigestioni che destavano non poche preoccupazioni
(determinate dalla morte immatura di tutti i precedenti delfini, tanto che
nell'ordine di successione si era arrivati a lui nipote di terza generazione di Luigi
XIV). Aveva un fisico resistente che reagiva bene tutte le volte che era dato per
spacciato.
Luigi era un bell'uomo, alto, con la testa ben piantata. Non c'è stato pittore (scrive
Casanova) così abile, da rappresentare efficacemente il movimento che faceva con il
capo quando si voltava a guardare qualcuno. <Ci si sentiva portati ad amarlo lì per
lì, e allora mi parve davvero di scorgere quella maestà che invano avevo cercato sul
volto del re di Sardegna. Madame de Pompadour non poteva non essersi
innamorata a prima vista di quel viso>.
Il dovere del matrimonio gli era stato inculcato anzitempo, fin da bambino, all'età
di undici anni, da quando Filippo V di Spagna (nipote di Luigi XIV) aveva
maturato la strana idea di un duplice matrimonio, il primo, tra la sua unica figlia
Infanta di tre anni e Luigi; il secondo, tra il suo primogenito, principe delle Asturie
con la figlia del Reggente (Filippo d' Orleans, figlio del fratello di Luigi XIV).
Questo duplice matrimonio era stato considerato dal duca d'Orleans
vantaggiosissimo e, per la sua famiglia, evidentemente prestigioso. Il legame
avrebbe suggellato i rapporti tra Madrid e Parigi, scongiurando definitivamente
ogni rivendicazione sul trono di Francia che poteva venire dai Borboni di Spagna.
L'ANNUNCIO DEL MATRIMONIO
Quando gli fu annunciato il matrimonio, il re bambino non ne voleva sapere e
scoppiò in lacrime. Ma riuscirono convincerlo e a fargli pronunciare la promessa
davanti al Consiglio. La bambina, piccola e vivace, fu mandata a Parigi dove fu
accolta con tutti gli onori, con feste, comizi, esultanza di popolo e messa solenne in
Notre Dame. Luigi la accolse al Louvre e le regalò una bambola. Egli però si
mostrava sempre imbronciato e taciturno e non le rivolgeva parola, non mostrando
alcun segno di interesse. Dovettero convincere la bambina che il mutismo del re era
prova dell'affetto che provava per lei.
Il Reggente non aveva spinto ulteriormente il giovane re verso il matrimonio, in
quanto, se questi fosse morto, nell'ordine di successione era lui che avrebbe preso la
corona, ma aveva calcolato male i tempi perché nel frattempo moriva e veniva
sostituito da Luigi di Condé duca di Borbone, detto Monsieur le Duc, il quale
vedeva le cose diversamente da lui (tra l'altro le rispettive casate dei Condé e degli
Orleans si odiavano). Costui non era troppo d'accordo sul matrimonio e riteneva
che l'Infanta dovesse essere rimandata in Spagna.
Luigi XV una mattina del 1724 (a quattordici anni) aveva confidato ai valletti che la
notte aveva avuto un male piacevole mai provato prima. Da quel momento ci si rese
conto che il giovane era pronto per il matrimonio, ma non lo era ancora la
bambina.
Luigi nel 1725 aveva avuto una delle sue indigestioni e Monsieur le Duc, che voleva
sì far sposare Luigi, ma non con l'Infanta in quanto si sarebbe dovuto attendere la
sua maturità sessuale, accelerò i tempi per rimandare la bambina in Spagna. Le si
fece credere che i genitori volessero rivederla e che presto sarebbe rientrata a
Versailles dove si era stabilita la corte. La corte spagnola si mostrò offesa e
minacciò la guerra, ma col tempo le cose si acquietarono.
Per Luigi era stata approntata una lista di ben novantanove principesse idonee al
matrimonio, di queste, venticinque erano cattoliche, tre anglicane, tredici calviniste,
cinquantadue luterane e tre ortodosse.
Da una prima cernita vennero eliminate le anglicane, le calviniste, le luterane, le
ortodosse, le brutte e quelle di più modesta posizione sociale che annullava i
vantaggi della nascita; in tutto ottantadue. Per le rimanenti diciassette si riunì il
Consiglio della Corona e ne discusse in presenza del re quindicenne. Tra le
diciassette vi erano le due sorelle di Monsieur le Duc che furono scartate, perché il
re non poteva sposare una suddita e inoltre sarebbe stato conferito un rango troppo
elevato a principi del sangue. Delle altre, la principessa Elisabetta, figlia maggiore
del duca di Lorena, fu scartata per lo stesso motivo, perché la madre era una
Orleans.
La figlia del re del Portogallo, Marie-Barbe Josephe, era di salute cagionevole e la
famiglia era ritenuta alquanto stravagante. Inoltre la Spagna ne avrebbe ricevuto
offesa. La figlia dello zar di Russia, Elisabetta, fu scartata perché la madre era di
bassi natali. La figlia del principe di Galles, erede al trono d'Inghilterra e ben
disposta perché aveva visto un ritratto di Luigi e le era piaciuto, sarebbe stata un
ottimo partito, ma era luterana. Era anche poco probabile che si sarebbe
convertita, perché la sua famiglia, discendente degli Hannover, aveva fatto
rovesciare i cattolici Stuart.
Anche le principesse di Danimarca e Prussia erano state eliminate per divergenze
religiose. Rimaneva la figlia dello sfortunato re polacco Stanislao Leczynski, (il cui
regno era durato solo cinque anni) che non si trovava in buone condizioni
economiche. Si ritenne però che Maria, di aspetto modesto e carattere riservato,
sarebbe stata un'ottima moglie. L'annuncio del matrimonio suscitò uno scontento
generale, perché il re avrebbe sposato una donna di rango inferiore. Si disse che
Maria non faceva parte delle famiglie della grande nobiltà polacca, ma la sua era
solo una famiglia di semplici gentiluomini. Era stata messa anche in giro la voce che
aveva i piedi palmati e fosse epilettica. Fu fatta visitare e risultò sana. Il re
comunque nel vedere il ritratto di Maria ne era rimasto entusiasta.
Chi l'aveva avvicinata ne decantava la bontà e la dolcezza del carattere. L'unico
elemento negativo era costituito dalla differenza di età: Maria aveva ventidue anni,
il re ne aveva quindici, la qual cosa però non fu di ostacolo alla celebrazione del
matrimonio. Prima fu fatto quello per procura a Strasburgo. Nel frattempo Maria
con il corteo che l'accompagnava dalla Polonia raggiunse Froidefontaine, dove
l'attendeva Luigi che l'accolse con calore, baciandola sulle gote. Il matrimonio fu
celebrato nel castello di Fontainebleu.
IL MATRIMONIO DEL RE
La sposa indossava il manto reale con i gigli di Francia e una corona di diamanti.
Alla sera il re cercò di abbreviare il cerimoniale, desideroso di ritirarsi con la sposa.
La mattina seguente si era compiaciuto nel far sapere di aver dato alla sposa sette
prove d'amore. Erano le prime di una lunga serie che in dieci anni avrebbero dato
altrettante maternità che Maria aveva accettato con rassegnazione, ma
lamentandosi dicendo: <diamine! sempre far l'amore, sempre incinta, sempre
partorire!>.
La regina oltre a non avere gli appetiti sessuali del marito, non pensava a curare né
il corpo né il modo di vestire, che era sciatto e con la cuffia che portava in ogni
occasione aveva l'aspetto di una vecchia. Luigi al settimo anno di matrimonio
incominciò ad avvertire il bisogno di una divagazione. L'occasione gli era stata data
dalla stessa regina una notte in cui il re si era presentato ubriaco, reclamando il
dovere coniugale, e la regina disgustata lo aveva respinto.
A un re non poteva mancare la fortuna in amore. Da una, di divagazioni se ne
presentarono cinque! Si trattava di cinque sorelle che il re ebbe a turno. Si diceva
però che almeno due le aveva avute contemporaneamente. Ne avrebbe potuto avere
di più belle. Non aveva che da scegliere tra le giovani e giovanissime che
frequentavano la Corte, sposate e non, tutte ai suoi piedi, pronte a concedersi.
Luigi, timido com'era, scelse la tranquillità e la sicurezza che gli davano le cinque
sorelle. Egli dava così uno scacco al bisnonno re Sole, che nella sua super attività
sessuale di sorelle ne aveva avute solo tre. Le cinque sorelle erano figlie del
marchese de Nesles e in bellezza lasciavano a desiderare. La prima fu Louise-Joulie
de Nesle, moglie del conte de Mailly, coetanea del re. Era come una vickinga: alta,
con grande bocca e voce possente, occhi vivaci e di carattere divertente. Con il
bicchiere in mano non aveva più paura di nulla. La seconda era Pauline-Félicité,
nubile, che rimase subito incinta. Le fu trovato in tutta fretta un marito e fu fatta
sposare al marchese de Ventemille, il quale, non avendo potuto dire di no, appena
espletate le formalità del matrimonio, tolse l'incomodo e se ne andò a vivere nelle
sue terre. Pauline era la più brutta delle sorelle, ma per lei Luigi ebbe una vera e
propria passione. Riusciva infatti a far uscire il re dall'apatia e lo stimolava
nell'ambizione e a fare grandi cose per il regno. In due anni gli scrisse duemila
lettere. Seppe ben sfruttare la sua posizione, facendosi regalare il castello di Choisy
le Roi, arredato sontuosamente. L'idillio non durò molto, perché Pauline morì tre
giorni dopo aver partorito un figlio, al quale fu dato il titolo di duca di Luc. La
terza, Marie Anne, era la più bella, anch'essa alta, aveva un'andatura regale e
l'incarnato, di un bel colorito, sprigionava sensualità. Era vedova del marchese di
La Tournelle.
Prima di concedersi al re, gli aveva imposto di mandar via l'altra sorella, Luise
Joulie. Poiché il re non si decideva, gli mise a disposizione la quarta sorella Diane
de Lauraguais, che gioviale, divertente, spensierata e cinica, riusciva a distrarlo
dagli affanni della guerra. Le richieste della marchesa di La Tournelle non si
limitarono a far mandare via la sorella: richiese per sé un ducato. Fu accontentata,
diventando duchessa di Chateauroux. Il feudo le venne ufficialmente assegnato per
<il legame personale e i servizi resi alla regina>. La sorella Mailly, quando dovette
abbandonare il campo, avuta la sua liquidazione (600mila livres e una pensione), se
ne andò a vivere in un appartamento di Parigi e con l'assistenza di un confessore si
dedicò a una vita devota. La quinta delle sorelle era Madame de Flavancourt.
Tutta Parigi, che normalmente non si scandalizzava più di nulla, considerò la
faccenda delle sorelle come un incesto. Circolavano versi malevoli su tutte e cinque
le sorelle. Quando il re partì per le Fiandre (1744) dove combattevano le truppe
francesi, ne portò con sé due; i soldati non nascosero il loro malcontento.
Successivamente il re, trovandosi a Metz, fu colpito da un grave malessere (8
agosto) tanto che i medici, dandolo per spacciato, lo lasciarono dicendo di non poter
far nulla. I preti che avevano sostituito i medici attribuivano la malattia all'ira
divina per la vita immorale e peccaminosa del re. Al capezzale, il vescovo lo ricattò
dicendogli che non poteva dargli i sacramenti e salvargli l'anima, se non fossero
state mandate via le due sorelle. Le due sorelle se ne andarono e durante il percorso
verso Parigi la folla le voleva linciare perché ritenevano loro, <putaines du roi>, la
causa della morte del re. Un vecchio medico di provincia, ritiratosi dalla
professione, si presentò chiedendo di vedere il re. Dopo averlo visitato tra i sorrisi
ironici dei cortigiani, disse di poterlo guarire. In mancanza d'altro fu lasciato fare.
Il medico somministrò la sua pozione di emetico: dopo poche ore la febbre
scomparve, i sintomi regredirono e quattro giorni dopo il re era bell'e guarito.
Rientrato il re, la Chateauroux si ammala all'improvviso presentando gli stessi
sintomi della malattia del re. Dopo poco muore (1744). Vi sarà chi attribuirà la
morte ai peccati, chi al veleno (le morti improvvise suscitavano sempre sospetti di
avvelenamento).
Il re era triste, ma il destino benevolo gli aveva già preparato un bocciolo che stava
maturando per lui. Era bella come il sole, era nata per fare la regina, in famiglia la
chiamavano Reinette, una indovina le aveva predetto che sarebbe diventata quasi
regina. Se proprio non divenne regina, si innalzò al livello di una regina.
MADAME
DE POMPADOUR
La più famosa non solo ai suoi tempi, ma anche nei secoli a venire. Il nome
Pompadour non porta in sé i segni dello scandalo, per essere stata una amante-
favorita (che non aveva senso in quel tempo in cui simili comportamenti erano del
tutto legittimi, e ancor meno meraviglia oggigiorno). Con la sua personalità aveva
dato lo stampo al suo secolo. Primeggia ancora col suo nome, suscitando
ammirazione per il fascino che sprigionava, per la bellezza e ancor più, per
l'intelligenza e lo spirito.
Anche se non riuscì a diventare regina, per un misto di combinazioni e coincidenze
fortunate, seguendo e assecondando il naturale talento che il destino le aveva
donato, divenne <reine à gauche> (alla sinistra del re, mentre alla destra era la
regina legittima), la regina di fatto, avendo sostituito la regina che ne portava il
titolo, sia nell'alcova che negli affari di stato (nazionali e internazionali, intrighi
compresi) che passavano tutti per le sue mani.
Aveva così ottenuto il titolo di <maitresse en titre> (amante in carica). Tutte le figlie
del re la chiamavano <notre maman putain>. Questo termine a quei tempi non era
ritenuto neanche tanto offensivo. Ce lo dimostra l'aneddoto della duchessa di
Chateauroux, che, quando non era più l'amante del re, recandosi in chiesa, nel
chiedere permesso per passare, si era sentita dire da un fedele che l'aveva
riconosciuta <passate pure signora puttana> e la duchessa, di rimando e con
presenza di spirito rispose: <dal momento che mi avete riconosciuta, pregate per
me>. L'unica cosa che non veniva accettata dalla nobiltà, e ciò per spirito di casta,
era che il re dovesse avere per amante una borghese. La Corte era piena di nobili
dame e damigelle pronte a concedersi, per renderlo felice. Esse però non
suscitavano gli interessi del sovrano che, salvo alcune rare eccezioni, preferiva
approvvigionarsi dal vivaio della borghesia o, nel momento in cui più avanti negli
anni è eccitato dalle adolescenti, più abbondantemente dal popolo.
Jeanne-Antoinette Poisson, era figlia di una donna bellissima, considerata
addirittura una delle più belle di Parigi, ma altrettanto chiacchierata. Il suo nome
era Luise-Madeleine de La Motte, e nonostante il bel cognome era semplicemente
figlia di un ricco commerciante fornitore di carne e derrate all'Hotel des Invalides.
Il marito Francois Poisson figlio di un tessitore, lavorava per i fratelli Pàris che si
occupavano di forniture militari e col tempo diventarono banchieri e arrivarono a
ricoprire cariche molto alte nell'amministrazione dello Stato.
Reinette a sette anni (era nata nel 1721) fu messa in convento dalle Orsoline come
tutte le bambine delle famiglie aristocratiche. Ma non vi stette molto perché era
una bambina delicata, e, nel momento in cui si era ammalata, la madre la portò via.
Già bella da bambina diventava sempre più bella man mano che cresceva.
Fu la madre che desiderando un avvenire splendido per la figlia la portò da una
indovina, che leggendole la mano le predisse che sarebbe diventata <quasi regina> .
Questa predizione fece scatenare l'ambizione della mamma e la fantasia della
bambina. La madre aveva pensato che alla bambina bisognasse dare una
educazione adeguata. La bambina nei suoi giochi infantili giocava a considerarsi
l'amante del re.
A questo punto entra in gioco il signor Le Normant-Tournehem, amico della
mamma e probabilmente padre di Jeanne-Antoinette (e del fratello di questa, Abel)
il quale, essendo ricco, ritiene che alla bambina vada impartita una educazione
particolarmente raffinata, e a tutta la famiglia un tenore di vita più elevato, per cui
la trasferisce in un lussuoso palazzo di rue de Richelieu, mettendo a disposizione di
madame Poisson tutti i mezzi finanziari necessari per l'educazione dei due ragazzi.
Reinette ebbe il meglio di quanto potesse offrire Parigi dov'era concentrato il
meglio della Francia. Per musica e canto ebbe come maestro il grande cantante
Jèlyotte. Guibodet le insegnò portamento e danza. Il famoso drammaturgo
Crébillon le insegnò dizione e recitazione. Imparò equitazione, in cui aveva
mostrato temperamento, nonostante il fisico delicato. A diciott'anni era pronta ad
affrontare la società. C'erano però due ostacoli da superare, le sue modeste origini e
la fama poco lusinghiera della madre.
Fu fortunata ad entrare nelle simpatie di madame de Tencin, dalla quale si
riunivano gli spiriti illuminati del tempo come Voltaire e d'Alembert, dai quali
Jeanne-Antoinette aveva assorbito, ascoltandoli avidamente, le idee che essi
manifestavano.
Ma questo non bastava, occorreva che un matrimonio la portasse più su nella scala
sociale. Vi provvede ancora il signor Normant il quale aveva pensato a un suo
nipote, Guillaume Le Normant d'Etioles, figlio di suo fratello, che aveva ventitré
anni. Il giovane non era bello ed era poco attraente, però nei modi era un perfetto
gentiluomo. Alla proposta dello zio oppose un netto rifiuto perché non intendeva
diventare genero di una donna su cui correvano pettegolezzi e aneddoti salaci. Lo
zio aumentò la dote di Reinette, che veniva dotata della cifra ragguardevole di
centoventimila livres, oltre a un regalo di ottantamilacinquecento livres e al
mantenimento di vitto alloggio, servitù, carrozze e cavalli. Era stato anche previsto
che in caso di separazione ciascuno dei due avrebbe avuto un vitalizio adeguato e
garantito per una vita altrettanto decorosa.
Il giovane Guillaume si lasciò convincere da tutte queste concessioni e il
matrimonio ebbe luogo nel marzo 1741. Jeanne Antoinette acquisì il cognome Le
Normant d'Etioles. Gli sposi andarono a vivere in una casa in rue saint Honoré
dove furono dati ricevimenti di cui parlava tutta Parigi. E, in tutta Parigi si parlava
di madame Le Normant d'Etioles e, non solo della sua bellezza ma del suo spirito,
del suo carattere, della sua cultura.
Incominciarono ad aprirsi i salotti esclusivi, in particolare quello di madame
Geoffrin, aperto il lunedì per la cena dei pittori, il mercoledì per la cena dei filosofi,
e a quest' ultima gli abituée erano Montesquieu, Voltaire e d'Alembert.
L'estate Jeanne-Antoinette andava a passarla nella campagna di Etioles e quì
riceveva il suo maestro Crébillon, Bernard Fontenelle (*) e il duca di Richelieu che
viveva a Corte. Per puro caso la tenuta d' Etioles era a poca distanza dal castello
reale di Choisy le roi, dove il re andava a caccia. Reinette incominciò a farsi vedere
durante queste cacce, guidando una bellissima carrozza azzurra. Questa
circostanza si ripeté per alcune volte fino a quando il re non fu incuriosito e volle
sapere chi fosse la sconosciuta, alla quale fece pervenire un trofeo di cervo che egli
stesso aveva ucciso.
Le apparizioni continuarono fin quando a Reinette non pervenne un biglietto della
Chateauroux, che la invitava a desistere dal farsi vedere sul percorso di caccia del
re. Reinette capì che doveva aspettare qualche altra occasione. Questa arrivò nel
1745 (la Chateauroux era morta nel 1744) quando a Versailles si dette un ballo in
maschera, al quale con i nobili potevano partecipare anche i borghesi. Al ballo il re
e i suoi accompagnatori arrivarono mascherati da alberelli di tasso. Jeanne-
Antoinette da Diana cacciatrice. Vi fu tra il re e Reinette un incontro fugace, lei
tolse la sua maschera per un attimo, sufficiente a far notare al re la sua bellezza, e si
dileguò tra la folla.
Tre giorni dopo la municipalità di Parigi ricambiò offrendo un ballo in onore del
delfino e della sposa all'Hotel de Ville. A questa festa partecipò Reinette e anche il
re che doveva incontrare un'altra ragazza che non si presentò all'appuntamento. Il
re era rimasto contrariato. A un certo punto intravide m.me d'Etioles, le si
avvicinò, la prese per mano, i due si appartarono per poco. Luigi la invitò a passare
la notte a Versailles, Reinette rifiutò e chiese di essere portata a casa, ma nei giorni
successivi una carrozza, apparentemente vuota, faceva la spola tra Parigi e
Versailles.
La fortuna che aveva segnato la strada di Jeanne-Antoinette aveva bisogno di una
spinta. Il re non si decideva a prenderla con sé. Egli aveva il giusto dubbio che
m.me d'Etioles avesse delle personali ambizioni. La spinta giunse da parte di un
valletto di camera, Binet, confidente di Luigi e parente di Reinette, che gli parlava
spesso di lei dicendogli che era innamorata e lo rassicurava sul fatto che era una
donna molto ricca e non aveva nessun altro interesse all'infuori del sentimento che
nutriva per lui.
Nel frattempo non era mancato un intrigo. Un gesuita, consigliere del re e vescovo
di Mirepoix che era a Corte, era decisamente contrario al rapporto che si stava
instaurando tra il re e m.me d'Etioles. Per questo aveva minacciato Binet, il quale
pur non sapendo come regolarsi, aveva finito per riferire la minaccia al re. Era ciò
che ci voleva perché il re prendesse la decisione. Jeanne-Antoinette sarebbe
diventata la sua amante ufficiale.
Creata per l'occasione marchesa di Pompadour, doveva essere presentata a Corte.
Era sorta la difficoltà di trovare chi dovesse accompagnarla, come previsto
dall'etichetta, in quanto tutte le nobili dame avevano opposto un rifiuto. Alla fine
l'incarico fu assunto dalla principessa di Conti, nobile di rango, che aveva molti
debiti da saldare. Quando fece sapere di accettare, i debiti le furono
immediatamente azzerati. Un abate ignaro, in presenza della principessa, chiedeva
quale <puttana> avrebbe osato presentare un tal donna alla regina. La principessa
con molto spirito gli sussurrò ridendo: <Abate, non continuate. Sarò io>!
Il giorno della sua presentazione ufficiale, era apparsa nel salone del Consiglio a
Versailles con la freschezza dei suoi ventitré anni, in tutto il fulgore della sua
bellezza, esaltata da uno splendido vestito che non aveva eguali, che le metteva in
mostra le spalle tornite, il seno florido, la carnagione vellutata, le braccia e le mani
che nessuna delle nobili di corte poteva vantarsi di avere. I bei capelli erano ornati
da un diadema di diamanti che rendevano il suo volto radioso. Gli occhi dei
cortigiani presenti, ostili da far raggelare il sangue, erano tutti puntati su di lei. La
sala era carica di tensione. La loro prima delusione fu la sua bellezza. L'avevano
quindi seguita in tutti i movimenti per cogliere anche una minima sfumatura di
errore nelle rigide e meticolose regole dell'etichetta, che avrebbero rivelato la sua
origine borghese, ma anche in questo Reinette, ora marchesa di Pompadour, aveva
deluso le aspettative. Aveva folgorato lo stesso Luigi XV, che dopo l'inchino di lei
era riuscito solo a farfugliare qualche parola di circostanza.
Nel presentarsi davanti alla regina, mentre stava per togliere il guanto per
prenderle l'orlo del vestito da baciare, le si era rotto il braccialetto di perle che si
erano sparse sul pavimento. La regina aveva colto il gesto di umiltà aiutandola a
rialzarsi. Questo gesto e le parole che le aveva rivolto erano esattamente il contrario
della reazione negativa che i cortigiani si aspettavano.
La regina, rassegnata a trovarsi dappresso le amanti del marito, dirà poi che, visto
che accanto al re doveva essercene una, era meglio che fosse lei anziché un'altra!
*) La fama di Fontenelle non è giunta fino a noi come quella di Voltaire o di Montesqieu, pur
essendo dello stesso livello intellettivo e intellettuale. Egli era un illuminista puro, convinto
cartesiano, ateo, scettico, ironico, la sua opera l'aveva svolta nei salotti parigini con le sue
impareggiabili e raffinate conversazioni (oggi si parlerebbe di conferenze), per mezzo delle
quali a poco a poco era riuscito a educare ed evolvere i suoi ascoltatori, da una mentalità
dell'uomo medioevale e barocca, a quella nuova dell'uomo che dubita, che è spinto dalla
curiosità a indagare, che è la caratteristiche dell'uomo cartesiano, dell'uomo moderno.
LE ALTRE AMANTI
Jeanne-Antoinette aveva una salute cagionevole, era malata di polmoni e aveva
dovuto ricorrere a sotterfugi per tenere nascosta la sua malattia. Avvicinandosi ai
trent'anni il corpo provato dalla vita di corte (dalle nove del mattino alle tre di
notte doveva mostrarsi viva e vitale) e dalle maternità interrotte, incominciava a
sfiorire e a dar segni di cedimento con problemi renali, cardiaci e circolatori. Sia
per questi motivi di salute che per il suo temperamento freddo i rapporti amatorii
col re erano cessati.
La Pompadour voleva riavvicinarsi ai sacramenti, ma non poteva avere l'
assoluzione perché pubblica peccatrice. A nulla era valso l'aver reso di pubblico
dominio la fine dei suoi rapporti col re, che ora erano di amicizia e di
collaborazione, nonostante si fosse dedicata a opere religiose, di pietà, a letture
edificanti, alle preghiere, circondandosi di crocifissi e altro materiale religioso e
perdonando i suoi nemici. Aveva inoltre trasferito il suo appartamento dal primo
piano al pianoterra, vicino al gabinetto del re proprio per sottolineare che i
rapporti sessuali erano cessati. Era infatti diventata sua prima consigliera, per tutti
gli affari di Stato. Per ottenere l' assoluzione occorreva il perdono del marito, che
non tardò ad arrivare, e così la Pompadour fu riammessa ai sacramenti.
Sistemata la questione religiosa, alla Pompadour viene riconosciuto il titolo di
duchessa (1752) e contemporaneamente quello di dama di palazzo, che le dà diritto
di rimanere seduta in presenza dei sovrani e di essere considerata come facente
parte della famiglia reale.
Essa pur di non avere rivali di rango - e ve n'erano di agguerrite e senza scrupoli
che avevano una gran voglia di spodestarla - aveva opportunamente chiuso gli
occhi, lasciando che il re, che si mostrava sempre più interessato a ragazze giovani,
anzi giovanissime e vergini, coltivasse tranquillamente questa sua passione, a volte
aiutandolo nelle sue imprese.
Essere amante del re era l'aspirazione di tutte le dame particolarmente dell'alta
nobiltà, che avrebbero fatto di tutto per diventarlo, arrivando a un punto tale di
sfrontatezza che una di esse, nel momento in cui aveva visto fallire il suo tentativo e
non dandosi ancora per vinta, aveva esclamato: <Va bene. Per ora mi accontento di
mio marito>.
Il massimo della sfrontatezza era stato raggiunto dalla viscontessa di Cambis,
peraltro giovanissima pupilla della Pompadour, per la quale la marchesa aveva
combinato un matrimonio.
Lei invece desiderava ardentemente sostituirsi alla sua madrina presso il re. Dopo
la celebrazione del matrimonio, la stessa notte delle nozze, mentre il marito stava
incominciando con le prime <avances>, lei gli dice chiaramente di non illudersi,
perché non sarebbe mai stata sua. Il marito, trasalendo, le chiede perché e lei di
rimando: <perché voglio essere del re>! La viscontessa riuscirà ad arrivare al re,
ma solo per il tempo di fargli cogliere il frutto che gli aveva tenuto riservato. Per il
resto, non era riuscita a suscitare alcun altro interesse e il tanto desiderato sovrano
l'abbandona al suo destino passando ad altri amori.
AMANTI
E
FAVORITE
DEL RE
SOLE
E DI
LUIGI XV
PARTE
TERZA
LOUISE MURPHY E CASANOVA
L'attività sessuale di Luigi era diventata frenetica. Per evitare che il viavai si
svolgesse alla reggia, fu allestito un rifugio che si trovava nel Parco dei cervi, il cui
restauro fu curato dalla stessa Pompadour.
La prima a inaugurare il rifugio fu una tredicenne che aveva colpito per la sua
bellezza il fidato Lebel, il valletto di camera del re, che andava alla ricerca di belle
fanciulle per soddisfare le sue voglie. Era una ragazzina, di origine irlandese,
Louise Murphy passata per le mani di Giacomo Casanova.
Il famoso scrittore veneziano era a Parigi e una sera a un suo amico venne voglia di
andare a passare la serata a casa di una attrice. Casanova che quella sera non
aveva voglia di avventure chiese per sé un canapè per riposare.
Nell'appartamento si trovava anche la sorellina dell'attrice, <una sudicia ma
graziosa mocciosetta> che, alla richiesta di un letto si era mostrata disposta a
cedere il suo per uno scudo. Si trattava di un pagliericcio su due assi. Casanova si
rifiutò di darle lo scudo perché lui aveva chiesto un letto, non un pagliericcio. Iniziò
così una conversazione durante la quale Casanova chiese alla ragazzina se dormisse
vestita.
Lei rispose di no. <Allora spogliati che voglio vedere come sei fatta>. <Sì, però non
mi fa niente>, rispose la ragazzina. Dopo aver avuto questa assicurazione la
ragazzina si spoglia e si copre con una vecchia tenda. Aveva tredici anni scrive
Casanova. Guardandola e bandendo ogni forma di pregiudizio, non mi parve né
mocciosa né stracciata, anzi, la trovai di una bellezza incantevole. <Volli vederla. Si
schermì ridendo; ma uno scudo d'argento la rese arrendevole come un agnello>.
Il lettore, prosegue Casanova, sa che l'ammirazione non può essere disgiunta da un
altro tipo di approvazione, ma la piccola era disposta a farmi fare tutto tranne ciò
che desideravo. <Mi avvertì che non me lo avrebbe permesso perché a giudizio di
sua sorella maggiore, quella cosa valeva venticinque luigi. Le dissi che avremmo
discusso un'altra volta il prezzo, e allora mi diede un generosissimo saggio della
compiacenza che mi avrebbe mostrato in futuro>.
Così mi godetti la piccola Elena (Casanova la chiama così per la bellezza),
lasciandola intatta. La ragazzina (*) dette il denaro alla sorella e rivolgendosi a lui
gli disse che ne avevano gran bisogno. Casanova assicurò che sarebbe tornato il
giorno seguente, impressionato dalla bellezza della ragazza, tale che voleva
mostrarla al suo amico (di nome Patu) perché gli confermasse che sarebbe stato
impossibile trovarne una più perfetta. Aveva infatti una pelle bianca come un giglio
e possedeva tutte le grazie che la natura e l'arte di un pittore avrebbero potuto
mettere insieme.
La bellezza del suo viso comunicava una deliziosa pace a chi la contemplava.
Tornando, Casanova non riusciva a concordare il prezzo richiesto in seicento
franchi (pari a venticinque luigi) che riteneva eccessivo, ma al momento le aveva
dato dodici franchi. Le visite si ripetevano e Casanova non si decideva ad accettare
la proposta, ma ogni volta lasciava alla ragazzina dodici franchi. Dopo tante visite,
la sorella maggiore gli fece ironicamente notare che durante tutte le visite fatte
aveva già lasciato trecento franchi, la metà del prezzo richiesto. Casanova preso
dalla bellezza della ragazza aveva richiesto a un pittore di ritrarla e questo l'aveva
ritratta in maniera perfetta, nuda, coricata sul ventre con le braccia e il collo
poggiati su un cuscino e la testa rivolta come se fosse stata sdraiata sul dorso. Sotto
il ritratto Casanova (conoscitore del greco) aveva fatto scrivere O Morphy, parola
non omerica, egli scrive, che significa <bella>.
L'amico Patu espresse il desiderio di avere una copia del ritratto, che con altre
copie finì a Versailles dove vennero mostrate al re. Il re si incuriosì e volle rendersi
conto personalmente che il ritratto corrispondesse alla persona, che volle fosse
portata in sua presenza. Fu così che Louise ripulita e resa presentabile fu portata
dal re accompagnata dalla sorella e dal pittore. Il re, tolto il ritratto dalla tasca
guardò l'una e l'altro, rimanendo impressionato dalla somiglianza. Si era quindi
seduto, aveva preso sulle gambe la ragazzina e dopo qualche carezza si era
assicurato che la ragazza fosse vergine, dandole un bacio. Il re le chiese se le
sarebbe piaciuto rimanere a Versailles. Louise rispose di mettersi d'accordo con la
sorella, che fu ben felice di accettare, specie quando due giorni dopo le furono
recapitati mille luigi.
Iniziò così l'avventura di Louise detta Morphise che rimase a Versailles ospitata al
Parco dei Cervi.
La Morphise non brillava in intelligenza, ma aveva mostrato grande talento per il
resto, tanto che il re ne era rimasto preso fino al punto che Louise dopo un anno
ebbe una maternità indesiderata.
Per evitare uno scandalo Morphise fu ospitata a Fontainebleu e questo aveva creato
fermento sia nella diplomazia vaticana che nelle aspiranti amanti, specialmente da
parte della più acerrima nemica della Pompadour, madame d'Estrées, in quanto
sembrava che la piccola potesse dare il cambio alla Pompadour.
Louise dopo tre anni cadde in disgrazia presso il re, perché le era stato tramato un
intrigo. La marchesa d' Estrées (1) nemica della Pompadour, andò a trovarla al
Parco dei Cervi e le suggerì di far ridere il re chiedendogli come trattava <la
vecchia> (la Pompadour). Era il modo di far cadere chiunque in disgrazia, perché
Luigi non sopportava chi in sua presenza mancasse di rispetto a chicchessia. Louise
ingenuamente riferì. Il re la fulminò con un'occhiataccia chiedendole chi le avesse
suggerito una simile domanda. Louise raccontò tutto, ma venne ugualmente
licenziata con una dote di duecentocinquantamila livres e un ufficiale bretone di
nome d'Ayat, per marito. La bambina avuta da Morphise fu messa in convento con
un vitalizio di ottomila livres all'anno.
Per colmo di ironia Louise era stata utilizzata dal pittore Boucher come modella,
sia per un quadro in cui appariva nuda come nella descrizione di Casanova, sia per
il gruppo della Sacra famiglia in cui il volto della Madonna era rappresentato
proprio da quello di Louise. Questo quadro era finito nella camera della regina,
davanti al quale essa svolgeva le sue devozioni pregando in ginocchio.
Al Parco dei cervi Luigi, per non farsi riconoscere, si faceva passare per un
principe polacco, ospite del re, ma una ragazza, frugando nelle sue tasche, aveva
trovato una lettera, dalla quale lo aveva riconosciuto, facendo una scenata isterica
per ricattarlo. Costei, tenuta in manicomio per alcuni giorni, era stata convinta a
prendere una bella somma e a tacere per sempre.
Le avventure nel Parco dei cervi non avevano tregua. La varia umanità che era da
lì passata aveva lasciato poche tracce di sé. Molte di quelle ragazze sono rimaste
sconosciute. Anche a conoscerli erano nomi senza importanza. Tutte, nel momento
in cui i desideri del re si attutivano, erano congedate e generosamente gratificate
con centomila livres e abbandonate al loro destino, che normalmente era quello
della prostituzione.
Di paternità, per così dire, indesiderate il re ne aveva avute almeno una ventina.
Tutti questi <figli di Francia> ricevevano una buona pensione ed erano affidati a
conventi o a famiglie discrete. Man mano che morivano, e la mortalità giovanile
stranamente per questi figliastri era frequente, la pensione andava ad arricchire
quella degli altri. Tra costoro ve ne era uno, il conte du Luc, che era il ritratto del
padre e un altro che il padre aveva voluto portasse il nome dei Borbone e si
chiamasse Louis Aimé (Luigi Amato).
Louis Aimé era figlio di Anne Roman-Coupier (di essa Casanova ne parla nelle
Memorie, ed era stato lui a determinarne il destino). Il piccolo Luigi Amato di
Borbone fu tolto alla madre e, messo in convento, divenne abate ma aveva le mani
bucate. Chiedeva sempre soldi che non gli venivano rifiutati. Riuscì ad averne dal
successore Luigi XVI e, dopo la morte di questo (ghigliottinato), anche da Luigi
XVIII.
*) Louise aveva quattro sorelle, tutte dedite alla prostituzione; per Louise, quando il padre
aveva saputo che era diventata amante del re, aveva esclamato: finalmente anch'io ho una
figlia perbene!
1) Secondo altra versione sarebbe stata madame Valentinois a dare quel suggerimento, rivolto
però alla regina e non alla Pompadour. La reazione del re che non permetteva certi
comportamenti irriguardosi, sarebbe stata comunque la stessa.
ROMAN COUPIER E CASANOVA
In uno dei suoi viaggi Casanova era a Grenoble dove la sera del suo arrivo si recò a
teatro. Qui, dopo aver passato in rassegna tutte le donne, fece la sua scelta
(commentando sarcasticamente: <come se tutta l'Europa non fosse che il serraglio
destinato ai miei piaceri>). I suoi occhi si posarono su una giovane signorina, molto
bella, dall'aria modesta, bruna, ben fatta, vestita semplicemente. <La ragazza, dopo
avermi fatto scivolare gli occhi addosso una sola volta, si ostinò a non guardarmi
più. La mia vanità mi fece pensare che avesse fatto così per lasciarmi piena libertà
di osservare il suo corpicino ben proporzionato>. Casanova disse al suo
accompagnatore che voleva conoscerla, ma lui gli rispose che era una giovane
onesta e non riceveva nessuno, oltretutto era molto povera; erano proprio le tre
qualità che gli facevano accrescere la voglia di conoscerla. In quei giorni quella
signorina era diventata il suo chiodo fisso, e si diceva: <lei onesta e povera, io
onesto e ricco, non vedo il motivo per disprezzare la mia amicizia>.
L'amico, barone di Valenglar, gli aveva presentato la zia della ragazza, madame
Morin, dalla quale un pomeriggio ambedue si recano in visita. Costei aveva sette
figli che furono presentati uno per uno. Poco dopo arrivò la signorina Anne che
Casanova desiderava conoscere, figlia della sorella di madame Morin la quale la
informò del desiderio che aveva avuto l'ospite di conoscerla dopo averla vista al
concerto. Lei per tutta risposta fece un bell'inchino arrossendo, volgendo
modestamente i due occhi neri, così belli, commenta Casanova <che non ricordo di
averne visti di più belli>.
Aveva intorno a diciassette anni, una pelle bianchissima, capelli neri appena velati
da un po' di cipria, una gran bella statura, denti superbi e sulla bocca un grazioso
sorriso di modestia e gentilezza. Era vestita con sobrietà senza avere quel superfluo
indizio di agiatezza. Non aveva orecchini, anelli, orologi. L'unico ornamento che
aveva era un nastro nero al collo da cui pendeva una croce d'oro. <Se non fosse
stato per quella croce, non mi sarei permesso> scrive Casanova <di guardarle il
seno che non era né troppo esuberante né troppo scarso, era perfetto e la moda e
l'educazione l'avevano abituata a lasciarlo vedere per un terzo con la stessa
innocenza con cui lasciava vedere a tutti le gote su cui le rose si mescevano ai gigli>.
Casanova incominciò a corteggiare in tutti i modi la ragazza, con carezze e baci
senza però riuscire a ottenere di più. Avendo fatto l'oroscopo a una delle figlie di
madame Minon, al quale lo stesso Casanova non credeva, ma lo aveva fatto così
bene che neanche gli pareva l'avesse fatto lui, gli fu richiesto anche dalla Roman.
Dopo qualche giorno l'oroscopo era pronto. Casanova racconta che, dopo aver
scritto quello che era successo nei primi diciassette anni, cose che aveva saputo da
lei stessa e dalla zia fingendo indifferenza quando le raccontavano, aveva deciso di
predire alla ragazza che la fortuna l'aspettava a Parigi dove sarebbe diventata
amante del re. Non c'era però tempo da perdere, non doveva far trascorrere il suo
ventitreesimo anno di età (1760).
Casanova ride di questa circostanza, dicendo che quello che dava un tono profetico
al suo sproloquio era la predizione della nascita di un figlio che sarebbe stato la
fortuna della Francia. <L'idea di diventare celebre nel campo dell'astrologia,
proprio in un secolo come il mio in cui la ragione l'aveva così screditata, mi
colmava di gioia. Mi vedevo già ricevuto dai monarchi e divenuto nella vecchiaia
inaccessibile>.
L'intera famiglia si era convinta di ciò che era scritto nell'oroscopo e che la ragazza
doveva andare a Parigi. Ma non c'era la possibilità di poterlo fare per mancanza di
denaro. Secondo madame Morin occorrevano cento luigi che non avevano.
Casanova nella sua generosità chiede di allontanarsi per un po'; sale in camera,
prende un rotolo sigillato contenente cinquanta dubloni d'oro, pari a
centocinquanta luigi e, ritornato, lo consegna alla Morin che non vuole accettare.
Casanova insiste dicendo che lo riteneva un prestito e che in pegno gli bastava
avere una cambiale per centocinquanta luigi da pagarsi quando Anne fosse
divenuta ricca.
La Roman partì per Parigi. In seguito Casanova riceverà una lettera in cui gli
comunicavano che la Roman era diventata l'amante del re.
Dopo qualche tempo Casanova recatosi a Parigi, ebbe un incontro con la Roman,
amante del re, al momento incinta, che gli parlò della sua infelicità, dicendogli:
<Tutti mi credono felice e tutti invidiano la mia sorte. Ma si può essere felici
quando si è persa la stima di sé? Sono sei mesi che non rido più se non a fior di
labbra, mentre a Grenoble, anche se ero povera e quasi priva di tutto, ridevo con
un'allegria fresca e senza ritegno. Ho gioielli e trine e un palazzo superbo, carrozze
e cavalli, un bel giardino, parecchie donne a mia disposizione, una dama di
compagnia che forse mi disprezza e sebbene sia trattata da principessa dalle prime
dame di corte che vengono a farmi visita periodicamente, non passa giorno senza
che provi qualche mortificazione… Ho cento luigi al mese del mio spillatico. Li
distribuisco in elemosine, ma con economia per arrivare alla fine del mese… Amo il
re. Come non amarlo! Gentile, buono, dolce, bello, amorevole e tenero com'è. Ha
tutto quello che ci vuole per soggiogare il cuore di una donna. Non cessa mai di
domandarmi se sono contenta dei mobili, del guardaroba, di quelli che mi
attorniano e del giardino o se desidero qualche cambiamento. Io lo bacio, lo
ringrazio, gli dico che tutto va per il meglio e sono felice di vederlo contento>.
Anne divenuta Anne Roman de Coupier dopo aver dato alla luce Louis Aimè, non
rimarrà a lungo con il re. Un intrigo della Pompadour stranamente gelosa di questa
relazione, le creerà il vuoto attorno. Nel 1772 Anne sposerà il marchese di
Cavannac, da cui si separerà. Morirà in Spagna nel 1808, dove aveva avuto
l'accortezza di rifugiarsi durante la Rivoluzione.
LA CONTESSA
DU BARRY
La Pompadour moriva a 43 anni (1764). Tempo prima tutta ricoperta di veli si era
recata da una indovina per conoscere il suo futuro e l'indovina le aveva
preannunciato che presto sarebbe morta, ma non tanto presto da non avere il
tempo di prepararsi. Due giorni dopo la sua morte, la sua bara fu portata via dalla
chiesa della reggia di Versailles su un carro tirato da dodici cavalli. Soffiava un
vento forte e pioveva a dirotto. Luigi, incurante della pioggia e del vento aveva
seguito con lo sguardo il carro che si allontanava. L'ultimo omaggio reso al feretro
furono le lacrime che con la pioggia gli avevano bagnato il viso.
Jeanne Antoinette aveva avuto una vita breve ma intensa di piaceri, di ricchezza, di
lusso e di interessi nell'arte, con lo stile Pompadour o per le porcellane di Sévres
che lei aveva riportato in auge, in cui spiccava il famoso rosa Pompadour e negli
affari di Stato. Un esempio del suo potere può esser dato dalla firma del trattato tra
Francia e Austria. Tra questi due paesi e tra i Borboni e gli Asburgo (v. Genealogie)
non correvano buoni rapporti (anche se la mamma e la moglie di Luigi XIV erano
Asburgo) e per far firmare il trattato l'ambasciatore austriaco Kaunitz aveva
dovuto corteggiare la Pompadour. Gli accordi furono raggiunti e il trattato era
stato felicemente firmato (1755) con soddisfazione dell'imperatrice Maria Teresa,
che per la sua religiosità non accettava quel genere di compromessi. Maria Teresa
però, per gratitudine, aveva mandato in regalo alla marchesa uno scrittoio indiano
laccato d'oro con un suo ritratto miniato. Il suo imperiale orgoglio non le aveva
permesso di accompagnare il dono con un biglietto autografo di ringraziamenti,
perché <quel genere di mediatrice non trovava la sua approvazione>.
I trattati tra le case regnanti erano normalmente garantiti da matrimoni. Anche
questa volta la garanzia fu data vicendevolmente con tre matrimoni. Ai Borboni di
Francia fu mandata per il Delfino (futuro Luigi XVI), Maria Antonietta,
giovanissima figlia di Maria Teresa. A Giuseppe II, figlio di Maria Teresa fu
mandata Maria Isabella di Parma (da poco il ducato di Parma e Piacenza era stato
assegnato ai Borboni). Infine, Ferdinando di Borbone-Parma (v. Genealogie), aveva
sposato Maria Amalia, altra figlia di Maria Teresa.
La Pompadour aveva raggiunto il massimo dei titoli nobiliari, quello di duchessa,
che, come abbiamo visto, la faceva entrare a far parte della famiglia reale. Essa era
stata nella reggia di Versailles una vera regina e solo nominalmente <réine à
gauches>. Dopo quattro anni dalla sua morte (ma in questo periodo Luigi aveva
continuato a coltivare al Parco dei cervi il suo hobby preferito), il suo posto sarà
preso dalla ventiduenne bionda e affascinante Marie Jeanne Bécu che diventerà
famosa come contessa du Barry.
Le sue origini erano più umili di quelle della Pompadour. Anch'essa figlia
illegittima nata dal rapporto di un monaco, Jean Jaques (o Baptiste) Gomard de
Vaubernier, che viveva fuori dal monastero e dalla regola, con Anne Bécu, figlia di
un pasticcere.
All' età di dieci anni è messa in convento presso le monache di Saint Aure, dove
impara a leggere, scrivere, suonare il clavicembalo, declamare, cucire e
rammendare, a conoscere elementi di astronomia per l'uso dell'Almanacco
utilizzato per gli oroscopi che in quel periodo erano di moda, oltre alle belle
maniere per poter stare in salotto e saper fare la riverenza.
A quindici anni torna dalla madre, che le trova un lavoro presso un parrucchiere.
Questo tipo di lavoro in quel periodo era diventato difficile in quanto le parrucche
avevano raggiunto altezze spropositate, tanto che le donne che andavano in
carrozza, erano sottoposte al supplizio di fare il tragitto in ginocchio!
Jeanne, Bécu, che abbandonato il cognome della madre si chiama ora Rancon,
aveva avuto la sua prima tresca con il giovane parrucchiere, interrotta dalla madre
che cercava per il figlio qualcosa di meglio. Licenziata, trovò lavoro come
cameriera presso la proprietaria di una casa di moda, famosa per i tessuti, A' la
Toilette.
Costei, poco dopo, la promosse sua dama di compagnia e lettrice. Questa signora
aveva due figli sposati, con i quali Jeanne aveva modo di intrattenersi. La
situazione si era anche un po' complicata in quanto la moglie tedesca di uno dei due
fratelli si era innamorata di lei, non sappiamo però con quali esiti. Sta di fatto che
in quel periodo Jeanne aveva raggiunto i diciannove anni ed era diventata una
donna semplicemente incantevole. Altezza regolare, bionda, dalle belle forme, un
viso ovale in cui spiccavano due grandi occhi di fuoco di un blu che davano al viola
dal taglio a mandorla, sopracciglia ben delineate, un sorriso che le metteva in
mostra denti bianchissimi.
A' la Toilette era frequentata dall'alta borghesia e dalla Parigi bene e frivola e
Jeanne viene notata da un nobile cinico e avventuriero, dilapidatore di danaro e
cacciatore di donne per gente ricca, Jean du Barry, detto Scaltro, che nel bene e nel
male segnerà il suo destino.
Du Barry le scrive una lettera chiedendole di diventare la padrona della sua casa e
del suo cuore e, nei giorni in cui riceveva gli amici, lei avrebbe dovuto fare gli onori
di casa… e non le sarebbero mancati abiti e diamanti!
Jeanne, che ora si chiama Beauvernier, con la madre che non è più Bécu ma
Rancon, si trasferisce dal du Barry. Ne diventa l'amante e presto non ha difficoltà a
concedere i suoi favori ai frequentatori della casa, dividendo a metà gli utili con
l'avido e squattrinato du Barry.
Pare che du Barry avesse invitato a cena Lebel, il valletto procacciatore di ninfe di
Luigi XV, il quale dopo aver visto Jeanne la descrive al suo signore. Secondo
un'altra versione meno probabile ma anche possibile (perché Luigi aveva un occhio
indagatore e anche se usava l'occhialino, riusciva a notare le bellezze a distanza),
avendola il re notata tra la folla, avrebbe incaricato Lebel di cercarla.
Luigi al primo incontro ne era rimasto colpito. Una spinta alla decisione del re di
prenderla a Versailles sarebbe arrivata dal libertino duca di Richelieu, che aveva
conosciuto Jeanne più intimamente a casa di du Barry.
Luigi XV non si stancherà mai di contemplarla. Come dirà in seguito al duca di
Richelieu <gli faceva dimenticare i suoi sessant'anni> e sarà sempre preso da
questo amore, che sarà l'ultimo. A suo dire gli aveva fatto assaporare piaceri nuovi.
Gli era stato detto (era sempre l'onnipresente duca di Richelieu) che evidentemente
non era mai stato in un bordello!
Sorge quindi il problema della presentazione a Corte. Jeanne, all'inizio segregata in
un appartamento di Versailles, deve essere innanzitutto nobilitata con un
matrimonio.
Per darle marito ha inizio una vera e propria <farsa>. Jean du Barry non può
essere utile perché già sposato. Nei pressi di Tolosa, nel castello di famiglia dei du
Barry, a Levignac, abita un fratello di Jean, Guillaume, non sposato, basso, grosso
e mal fatto, senza denari e ridotto ad andare a caccia col suo cane per avere
qualcosa da mangiare. Il matrimonio avrebbe sistemato tutta la famiglia. Si decide
che Guillaume doveva sposare Jeanne. Non si perde tempo per andare dal notaio,
innanzi al quale si presentano, Jeanne che ringiovanisce la sua età di tre anni,
l'organizzatore Jean du Barry, il padrino e la madrina, nobilitati per l'occasione e
presentati come monsieur de Mange e madame de Barabin, e la madre che si
presenta come vedova di Jean-Baptiste Gomard de Vaubernier.
Il notaio prende atto che la futura sposa avrebbe provveduto personalmente alla
conduzione della vita familiare, a provvedere a tutte le spese per il mantenimento di
servitù, carrozze, cavalli, a provvedere al mantenimento dello sposo e ad allevare ed
educare i figli che sarebbero nati dal matrimonio.
Si passa quindi alla cerimonia religiosa, celebrata all'alba del primo settembre
1768, proprio dal padre-monaco (ora redivivo) di Jeanne, che facendosi passare
come elemosiniere del re celebra la messa e benedice gli sposi.
Jeanne può sfoggiare ora il titolo di contessa e lo stemma dei du Barry con il motto
<Boutez en avant> che darà la possibilità ai libellisti di sfogare tutte le loro fantasie.
Tra tutte le amanti del re, la du Barry sarà la più ferocemente dileggiata! Mai
Parigi conobbe tanti versi contro di lei ribattezzata <du Barril>
Jean, dopo la cerimonia religiosa, aveva permesso al fratello Guillaume di
abbracciare <per l'ultima volta> la sposa, non senza avergli ricordato, a scanso di
equivoci, che quello era l'ultimo favore che riceveva dalla sposa!
Regolarizzata con il matrimonio la sua posizione, si presenta ora il problema della
presentazione a Corte. L'etichetta esigeva che solo una nobile poteva essere
presentata da una nobile. Si fece ricorso alla contessa di Bearn, piena di debiti. Le
furono assegnate centomila lire e ai suoi due figli che erano uno in cavalleria, l'altro
in marina fu assicurata una promozione.
Il giorno della presentazione (una prima volta era stata rinviata per una caduta del
re da cavallo) il 21 aprile 1769, la cerimonia fu più semplice di quella della
Pompadour perché avvenne nello studio del re, alla presenza di pochi intimi
cortigiani e della famiglia reale, ma con la stretta osservanza della rigida etichetta.
Jeanne aveva i suoi capelli biondi disseminati di diamanti che davano luminosità al
suo volto. Aveva un vestito molto pesante con uno strascico lunghissimo che
avrebbe potuto darle dei problemi per le sei riverenze richieste, tre all'entrata e tre
all'uscita dalla sala, queste ultime indietreggiando. Tutte riescono benissimo.
Jeanne aveva una andatura aerea e sinuosa che faceva sognare gli uomini e
mandava in estasi il re che di fronte a tanta bellezza rimase turbato. Dopo essere
stata presentata al re, fu la volta dei componenti della famiglia reale.
Anche Jeanne che era la personificazione della bontà, aveva mostrato di avere
talento e si occuperà degli affari di Stato manovrando il cuore del re. Di norma i
suoi interventi presso il re avevano fini umanitari. Il suo regno rimarrà
incontrastato (il re però non si farà mancare altre piccole avventure), ma durerà
solo cinque anni, fino alla morte del re (1774), morto di vaiolo a sessantaquattro
anni.
Luigi non si era mai fatto vaccinare, ritenendo di averlo fatto da giovane. Pare che
avendo visto un funerale, la curiosità lo avesse spinto ad avvicinarsi alla bara. Si
trattava di una ragazza morta di vaiolo. Secondo un'altra versione, avrebbe passato
una serata con una giovane contadina il cui fratello era appena morto di vaiolo.
Il re in punto di morte aveva disposto che la du Barry fosse mandata in convento e
Jean du Barry fosse imprigionato. Dopo un anno di convento le viene concesso di
ritornare nel suo castello di Louveciennes ma dovrà stare lontana dalla Corte.
Jeanne ha trentasette anni (siamo nel 1775), ha la sua cerchia di amici e non le
mancheranno nuovi amori. Il primo sarà il conte Henri de Seymour. Questo si
esaurirà nell'arco di dieci anni, poi arriverà il duca Louis de Brissac (1785) e infine
il duca Louis-Antoine de Rohan-Chabot.
Si sta avvicinando a grandi passi l' 89, l'anno della Rivoluzione che travolgerà
anche lei colpevole di essere stata <una prostituta favorita coperta di diamanti, del
vecchio Luigi XV>.
La sua fine sarà determinata dalla <legge sui sospetti> votata dalla Convenzione nel
1793, che considerava <sospetti, coloro che per le loro relazioni familiari o di
amicizia, il loro comportamento o ruolo pubblico, la classe sociale, sono da
considerarsi contrari al nuovo regime>.
Nel 1792 Jeanne riceverà un macabro avvertimento da parte di un gruppo di
rivoluzionari ubriachi che portano su una picca la testa tagliata al duca di Brissac,
che, lanciata da una finestra, era finita ai suoi piedi.
Jeanne aveva la passione per i diamanti e i gioielli. Per lei costituivano anche una
forma di investimento. Ne aveva accumulati una quantità spropositata dal valore
inestimabile. Saranno questi a determinare la sua rovina. Aveva infatti subito un
furto e aveva commesso l'imprudenza di farne pubblicare la lista, facendo sì che
occhi invidiosi si puntassero su di lei. I gioielli furono trovati a Londra per cui era
sorta la necessità di frequenti viaggi in quella capitale, anche per il processo contro
gli autori del furto. Questi viaggi saranno utilizzati contro di lei.
Jeanne, peccando di ingenuità, non aveva avvertito il pericolo che la sovrastava e
non aveva tenuto conto degli avvenimenti che avevano colpito persone a lei vicine
come la esecuzione sommaria di Brissac, la esecuzione del re avvenuta quando era a
Londra (21.1.1793) o dell'arresto di Jean du Barry, che sarà anch'egli giustiziato.
Rientrata da Londra aveva trovato in un personaggio losco di nome Greive, il suo
principale accusatore, che ne fa la vittima contro cui accanirsi ferocemente. Greive
aveva montato accuse così articolate che le difese, anche se molto puntuali, non
erano riuscite a smontare. Il verdetto è quello della condanna a morte.
La esecuzione è fissata per l'8.12.93. Jeanne cerca inutilmente di ritardarla
indicando altri nascondigli di gioielli e oggetti di valore che dichiara di offrire alla
Nazione. Nonostante le sue proteste le vengono ugualmente tagliati i capelli e le
viene fatta indossare la veste rossa dei condannati a morte. Durante il tragitto dalla
Conciergerie alla piazza della Rivoluzione non fa che singhiozzare chiedendo di
essere salvata. Le sue grida sono le uniche a rompere il silenzio della folla. Giunti al
patibolo, per forza il carnefice e i suoi aiutanti devono prenderla dal carro e farle
salire le scale mentre si dibatte. Quando è sul palco inutilmente cerca di avere
ancora un po' di tempo chiedendo <un momento signor carnefice>. Prima che la
mannaia si abbatta sul suo collo, il suo urlo agghiacciante da far rabbrividire
percorre tutta la piazza.
BIBLIOGRAFIA:
André Castelot: Jeanne du Barry. Mursia
Giacomo Casanova; Storia della mia vita. I meridiani, Mondadori
Massimo Grillandi: Madame de Pompadour. Rusconi
Ivan Lantos: La vita della Marchesa di Pompadour. Peruzzo Editore
Memorie di Luigi XIV. Editrice SE
Gilles Perrault: I segreti di Luigi XV. Bietti
Saint-Réné Taillander: La Maintenon. Dall'Oglio Editore
Saint Simone: Memoires. Paris
Voltaire: Il secolo di Luigi XIV. Einaudi