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Contributi del Forum Ambiente coordinati da Laura Puppato, Sergio Gentili, Claudio Falasca ACQUA FONTI RINNOVABILI DIFESA DEL SUOLO PARCHI RICERCA BIODIVERSITÀ BIOEDILIZIA BIOGRICOLTURA EFFICIENZA ENERGETICA TRASPORTI RIFIUTI FORMAZIONE BONIFICHE BENI CULTURALI AMBIENTE E’ LAVORO www.partitodemocratico.it www.youdem.tv PERSONE DEMOCRAZIA LAVORO VERSO LA CONFERENZA NAZIONALE DEL PD PER IL LAVORO, GENOVA DEL 17 E 18 GIUGNO Roma, martedì 7 giugno 2011 Via Napoli 36, ore 15,30-19,00 Sala delle Carte Geografiche

AMBIENTE E’ LAVORO€¦ · • La Bonifica e la reindustrializzazione dei siti inquinati • Beni culturali e sviluppo sostenibile • Bioagricoltura •Progetto ARPA Umbria di

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Contributi del Forum Ambiente coordinati daLaura Puppato, Sergio Gentili, Claudio Falasca

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DEMOCRAZIALAVORO

VERSO LA CONFERENZA NAZIONALE DEL PDPER IL LAVORO, GENOVA DEL 17 E 18 GIUGNO

Roma, martedì 7 giugno 2011Via Napoli 36, ore 15,30-19,00

Sala delle Carte Geografiche

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INDICE

Una politica industriale per un lavoro Equo e Sostenibile

• La Green Economy in Italia -Le proposte del Partito Democratico • Occupazione in una “low carbon” economy

• Sintesi Rapporto ISTAT

IDEE E PROPOSTE

• Riciclaggio dei rifiuti • Stima dell’impatto occupazionale di un modello virtuoso di gestione dei rifiuti urbani in Italia • Investimenti e occupazione nel servizio idrico

• Difesa del suolo e occupazione

• Parchi e Lavoro

• Efficienza energetica e occupazione

• Efficienza energetica nell’edilizia (Ires)

• Efficienza energetica e occupazione (Ires)

• Una politica eco-sostenibile per la casa e la città • Fonti energetiche rinnovabili, occupazione e profili professionali

• Trasporto pubblico locale, ambiente, lavoro

• La Bonifica e la reindustrializzazione dei siti inquinati

• Beni culturali e sviluppo sostenibile

• Bioagricoltura

•Progetto ARPA Umbria di recupero e valorizzazione delle scorie della TK-AST e risanamento ambientale discarica

•Ricerca e formazione nei trasporti per uno sviluppo sostenibile

•Mezzogiorno, infrastrutture e lavoro.

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UNA POLITICA INDUSTRIALE PER UN LAVORO EQUO E SOSTENIBILE

Claudio Falascacoordinatore tavolo Forum su Ambiente, Impresa, Lavoro

La politica industriale che proponiamo è quella che ha come obiettivi e capitoli:l'equità e la sostenibilità del sistema produttivo e dei consumi; il miglioramento della per-formance competitività del nostro sistema sociale e produttivo; minori disuguaglianze epiù coesione; maggiore sicurezza nell’occupazione, dell'occupazione e del reddito; unosviluppo qualitativo della produzione; più sobrietà nei consumi; un livello più elevato diprotezione e riproduzione dell'ambiente.

Le schede di settore che qui presentiamo sono il frutto della elaborazione di un quadroarticolato di soggetti come contributo alla Conferenza nazionale per il lavoro. Lo scopoè di dare una indicazione di massima sulle immediate opportunità e potenzialità che l’in-vestimento nella innovazione ecologica offre in termini di migliore e maggiore occupa-zione, migliore impresa e forte impulso alla ricerca. I dati raccolti segnalano concretepotenzialità di crescita occupazionale: dalle decine di migliaia di nuovi posti nell’efficienzaenergetica, alle migliaia nelle fonti rinnovabili, nella difesa del suolo, nella gestione e ri-ciclaggio dei rifiuti, nella rete idrica, nel sistema della formazione e ricerca ambientale,nelle bonifiche, nella bioedilizia, nella bioagricoltura, nell’economia dei parchi e dellearee protette, nei beni culturali.

Ogni singolo segmento economico attiva, poi, lavoro indiretto nel turismo, nella chi-mica, nella meccanica, nell’elettronica ecc. di fatto un insieme di azioni capace di tonifi-care e attivare processi innovativi sull’intero sistema produttivo nazionale.

Uno sviluppo equo e sostenibile è la via maestra per uscire definitivamente dalla crisiecologica ed economica con maggiore lavoro, impresa e ricerca.

Tutti gli studi e rapporti internazionali (ONU, OCSE, OIL, UE) ci dicono che da un decisoimpegno nel contrasto al cambiamento climatico e all’esaurimento e spreco delle materieprime, i sistemi economici e produttivi ne usciranno decisamente rafforzati, fortementerinnovati, più competitivi e con una base occupazionale molto più estesa (Vedi schedasu Occcupazione in una low carbon economy ).

Per L’Italia, per le sue caratteristiche economiche, produttive, sociali, ambientali e cul-turali, la riconversione ecologica dell’economia è una grande opportunità che solo lamiopia del governo di centro destra e le resistenze di vecchi interessi di alcuni settori im-prenditoriali impediscono di cogliere.

Gli effetti della crisi economica e finanziaria e lo scenario competitivo globale pon-

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gono il Paese di fronte a due pressanti priorità: dare risposte urgenti alla crescente domanda di lavoro, in particolare giovanile e fem-

minile;rendere il nostro sistema produttivo, e le sue imprese, più competitivo nei confronti

della concorrenza internazionale. La situazione occupazionale e sociale è molto pesante: in due anni l’occupazione è

calata di oltre mezzo milione e tra i più colpiti ci sono i giovani e le donne; 1 persona su4 è povera ed emarginata; 800 mila donne espulse dal lavoro a causa della maternità; il50% dei pensionati vive con meno di 500 euro; crescono gli sfrattati per morosità invo-lontaria; nel Mezzogiorno la crisi è ancora più drammatica (Vedi sintesi Rapporto ISTAT2011).

Solo una politica industriale moderna e dinamica finalizzata ad una profonda inno-vazione ecologica del sistema produttivo e dei consumi sarà in grado di dare risposte ef-ficaci a queste esigenze. Infatti, importanti processi di innovazione per la sostenibilitàsono già in corso. Occorre consolidarli promuovendo interventi capaci di incidere nelprofondo di quell’insieme di diseconomie e sprechi che quotidianamente viene alimen-tato da modelli di produzione e consumo irrazionali e dissipativi di risorse ed energia.

Interventi diffusi con effetti positivi immediati su numerosi settori e capaci di stimolarericerca, innovazione e sviluppo, consentiranno di creare nuove e migliori opportunità dilavoro e di venire incontro ai bisogni delle famiglie e delle imprese, riducendo le voci piùpesanti dei loro bilanci come la spesa per l’energia, la casa, i trasporti, i servizi, la salute,la sicurezza. Consentiranno inoltre di liberare risorse per politiche sociali e di investimento(Vedi schede su efficienza energetica, rifiuti, risorse idriche, difesa suolo, trasporto locale,ecc.) .

Il risultato sarà l'innalzamento complessivo della competitività del sistema Italia, del-l’equità sociale e della qualità dell’ambiente. Un sistema produttivo che, scegliendo lastrada della qualità e contrastando lo spreco delle risorse ambientali e sociale, sarà ingrado di produrre quote crescenti di valore aggiunto. E’ questa la strada principale e nonquella del governo di destra dei tagli “lineari” al bilancio pubblico, che sarà in grado digarantire anche alle future generazione un sistema di welfare universalistico, equo e so-stenibile.

Lo scenario che abbiamo davanti risulta bivalente. Da una parte abbiamo forti difficoltà dell’economia tradizionale italiana, con punte

di crisi gravissime intrecciate alle bolle speculative della finanza ed alla competizione suicosti dei BRICS. Stando solo alle recenti vicende della cantieristica, ma si potrebbero farenumerosi altri esempi (raffinerie, chimica, ecc), stanno a testimoniare come la crisi stiamettendo in discussione interi pezzi del sistema produttivo nazionale (Vedi scheda suraffinerie).

Dall’altra parte abbiamo realtà economiche e produttive già orientate allo svilupposostenibile in grado di creare nuovo lavoro, rilanciare la manifattura, qualificare i servizi,riorganizzare il sistema energetico e quello dei trasporti, fare del territorio la più impor-tante infrastruttura da tutelare per i servizi eco-sistemici, per la biodiversità, per la qualità

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e la disponibilità delle risorse idriche. In questo scenario scegliere politiche industriali di sviluppo sostenibile significa, quindi,

prestare soprattutto una particolare attenzione per i lavoratori e le imprese che, colpiti ecolpite dalla crisi, hanno bisogno di certezze, garanzie economiche e finanziarie e tempoe sostegno per la formazione professionale e la riqualificazione aziendale, ma nel con-tempo è necessario sostenere quelle imprese innovative che hanno già scelto di stare sulmercato della qualità.

Si pone di conseguenza la necessità di un rinnovato ruolo di pubblico. Innovato nellepolitiche, nella individuazione di grandi obiettivi, nella predisposizione di strumenti e re-gole e, soprattutto nel coinvolgimento di quella pluralità di soggetti, non solo istituzio-nali, che nel federalismo possono e vogliono convergere su obiettivi comuni, che nonvanno in ordine sparso, ma agendo in coesione e solidarietà fanno sistema nel territorioe nel Paese. Un nuovo e forte ruolo pubblico è quindi essenziale.

Scegliere la sostenibilità è il primo passo per avviare una progressiva, ma profondatrasformazione dei segmenti più maturi e pesanti del nostro sistema produttivo, a partireda quelli più esposti: automotive, cantieristica, petrolchimico, cemento, generazione dienergia, agroindustria, tessile, ecc., e nello stesso tempo un impegno vero nei settoripiù innovativi: i nuovi materiali, il biomedicale, le biotecnologie, le nanotecnologie, leoptotecnologie, ICT, ecc.

Per affrontare correttamente questo impegno si deve partire dal dato di fatto che nonsi tratta solo di recuperare ritardi di sviluppo marginali. Proprio perché il nostro Paese èuna delle principali economie manifatturiere, non sono più sufficienti aggiustamenti chepenalizzano i salari, l’innovazione delle imprese, i diritti, la ricerca e l’ambiente.

È indispensabile pertanto una correzione a favore del lavoro e delle imprese con in-centivi, fiscalità, semplificazioni, in grado di attivare una nuova domanda interna e un’altacapacità competitiva dell’impresa italiana basata sulla qualità dei prodotti, della ricercae dei cicli produttivi. Senza chiari obiettivi riformisti la svolta qualitativa non sarà possibile.Il processo di globalizzazione e la lotta al cambiamento climatico, portando in camponuovi e forti competitori (ricchi di risorse naturali e umane), richiede un profondo ripen-samento delle priorità nella allocazione delle risorse in termini di equità e di sostenibilità.

L’istruzione, la formazione, la ricerca, l’innovazione, la sperimentazione rappresentanole priorità delle politiche pubbliche indispensabili per il nostro futuro.

Per questo è necessario proporre con forza la nostra alternativa agli indirizzi assuntidal governo Berlusconi nel Piano Nazionale di riforma nell’ambito della strategia europeaLisbona 2020.

Ai settori produttivi “tradizionali”, il grosso della base produttiva nazionale, va datauna inedita e seria attenzione perché è su di essi che si giocherà una parte non secondariadella partita della innovazione ecologica e sulla equità della transizione verso un sistemaproduttivo e dei consumi più sostenibile e competitivo.

La globalizzazione e la crisi hanno avviato anche in Italia processi profondi di trasfor-mazione con la creazione di nuovi segmenti industriali, manufatturieri e dei servizi chehanno come baricentro la qualità ecologica. Questi segmenti economici vanno sostenuti

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come occorre intervenire nelle crisi settoriali in atto facendosi carico delle questioni socialilegate alla riconversione ecologica.

Ciò è segnalato anche dagli studi del Cnel che indicano la necessità di monitorare at-tentamente il bilancio occupazionale tra i segmenti economici emergenti e quelli ener-givori in crisi che andranno a superamento e/o trasformati. Questa differenza incideràanche nella distribuzione territoriale delle attività produttive. Il giusto equilibrio nellatransizione richiede, quindi, una forte e lungimirante capacità di governo e di partecipa-zione. Ma decisivo sarà dare all’Italia una politica industriale sostenibile in grado di ripo-sizionare il nostro paese nell’ambito della competizione internazionale. È nello spirito di“Industria 2015” che va proposto un nuovo piano industriale che incida nell’immediatoe che traguardi la crescita sostenibile negli scenari 2020-2030.

In particolare la transizione richiede di mettere mano ad un vasto programma forma-tivo, che deve assumere nel tempo carattere permanente, per consentire ai lavoratori dinon essere “superati” dall'avanzamento del processo innovativo che coinvolgerà neces-sariamente tutti i settori produttivi. Solo in questo modo sarà possibile governare conequità la transizione (Vedi scheda energia).

I limiti di bilancio dello Stato, aggravati ancora una volta dalle destre, peserannoinevitabilmente sulle disponibilità finanziarie.

Le risorse disponibili, nazionali ed europee, dovranno essere impegnate su un mutatoquadro di priorità, privilegiando quegli interventi immediatamente praticabili e che hannola conclamata capacità di abbattere gli sprechi sociali, ambientali ed economici prodottidal sistema.

In particolare, fermo restando un impegno straordinario nella lotta all’evasione, al-l’economia sommersa, all’economia criminale, nel rendere più equo il nostro sistema fi-scale a partire da rendite e transazioni finanziarie, non poche risorse possono essererecuperate a fini sociali e di sviluppo agendo con determinazione:

nel fare della spesa pubblica (più dell’11 % del PIL), congiuntamente ad una fiscalitàattenta all’uso delle risorse, un potente motore di orientamento del mercato verso l’in-novazione ecologica;

nel contrastare gli sprechi e le inefficienze. Clamorose sono le cifre che è possibilerisparmiare sulla bolletta energetica con efficaci politiche di efficienza energetica. Lostesso è possibile per i rifiuti, l’acqua, l’edilizia ecc. La logica dei “profitti privati e onericollettivi” è causa di una enormità di passività che assorbe fiumi di risorse (finanziarie,umane, ambientali): una vera e propria “economia dello spreco”. Recuperare queste ri-sorse è una priorità per il Paese. Una sorta di triplo dividendo per più lavoro, più soste-nibilità, più competitività.

In particolare si deve mettere in campo una nuova fiscalità capace di rappresentareuna leva decisiva per orientare l’economia verso la sostenibilità ecologica. È un obiettivoda perseguire soprattutto in ambito europeo e internazionale attraverso il coordinamentodelle politiche di intervento fiscale.

Tuttavia, in parallelo all’iniziativa comunitaria, si deve e si può procedere anche a livellonazionale. Non si tratta però di un generico trasferimento del prelievo dai redditi ai con-

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sumi come propone il Ministro dell'economia. Occorre riprendere con determinazione esistematicità il cammino indicato da Delors di trasferimento del carico fiscale dal redditoda lavoro all'uso delle risorse seguendo il principio della “responsabilità condivisa” e del“chi inquina paga”.

Per l’innovazione ecologica proponiamo in particolare:− incentivi per la riduzione della produzione di rifiuti, per il riciclo e per una efficace

gestione del ciclo integrato dei rifiuti;- riduzione delle aliquote Iva per i beni ad elevata efficienza energetica;− finanziamento agevolato per sostituire caldaie ed elettrodomestici con apparecchia-

ture ad alto rendimento energetico e realizzare interventi per l’efficienza energetica degliedifici, da restituire a rate “in bolletta” con interesse zero ed eventuale quota a fondoperduto (il risparmio energetico “paga” la rata del finanziamento);

− mantenimento a regime della detrazione fiscale del 55% per l’efficienza energeticadegli edifici, degli elettrodomestici e dei motori elettrici ed eliminazione del tetto all’uti-lizzo del credito di imposta per le spese in R&S ed investimenti in tecnologie sostenibili;

− previo coordinamento europeo, applicazione della carbon tax, imposta sul consumodi combustibili fossili, senza sovrapposizione ad altre forme di disincentivazione vigenti(ad es. il “cap & trade”) e finalizzazione del gettito al potenziamento del trasporto pub-blico locale;

− al fine di eliminare incentivi perversi al consumo di suolo, vincoli all’utilizzo da partedei Comuni degli introiti da oneri di urbanizzazione e da imposte su nuovi immobili.

Una politica industriale per l’eco innovazione deve trovare nei sistemi produttivi ter-ritoriali il terreno privilegiato della sua attuazione.

Il made in italy si afferma nel mondo grazie a quel mix di fattori che lo rendono “unico”in comparazione alle produzioni degli altri paesi. Questo perché nelle produzioni delmade in italy si realizza una accumulazione di valori storici, culturali, ambientali, esteticifortemente evocativi di “qualità”. Tutto questo è stato possibile grazie alla qualità del la-voro italiano. Oggi è possibile fare un salto in avanti traendo insegnamento da questagrande tradizione coniugandola con l’innovazione ecologica. Una politica industrialeche, fortemente legata alle realtà territoriali, si pone l’obiettivo di fare dei caratteri delmade in italy la “cifra” del sistema Italia nel suo complesso.

E’ nella realtà culturale e ambientale del territorio, infatti, che si esprime al massimogrado la specificità del sistema produttivo nazionale. La piccola e media impresa è nelterritorio che deve trovare quel sistema di convenienza che le consentano di crescere fa-cendo sistema per competere nel mercato globale. In poche altre realtà del mondo il ter-mine GLOCAL corrisponde così pienamente ai caratteri di una realtà sociale, ambientalee produttiva come quella italiana.

Si tratta di realizzare una vera rivoluzione culturale nella concezione dei contesti am-bientali in cui l'impresa opera. Non più l'ambiente come luogo su cui scaricare le diseco-nomie del'impresa, ma la qualità dei contesti ambientali, territoriali e urbani comecomponente essenziale della competitività del sistema produttivo e come forte attrattoreper investimenti di qualità (Vedi scheda su Beni Culturali). E' questa la carta vincente chel’Italia può giocare al tavolo della competizione internazionale.

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Perché la Green Economy

L’economia verde è l’unica vera opportunità per uscire da due grandi crisi, quella cli-matica e quella economica, per lasciare un mondo vivibile alle generazioni future, percostruire sviluppo e creare nuovi posti di lavoro tenendo conto del vincolo delle risorsenaturali. L’economia verde è quindi una via di sviluppo che può consentire di rilanciaresu basi nuove e più solide l’economia che non può tornare su precedenti modelli di cre-scita alimentati a debito e con un consumo insostenibile di risorse naturali. Nel nostropaese l’economia verde si incrocia con la qualità, la coesione sociale, la ricchezza dei ter-ritori; un incrocio che può rendere più competitive le nostre imprese e che è alla basedella forza del nostro paese. L’economia verde incrocia trasversalmente ogni settore pro-duttivo, ha i suoi cardini nel risparmio energetico, nell’efficienza energetica, nell’uso difonti rinnovabili di energia, nelle tecnologie e nelle innovazioni che riducono l’impattoambientale dei processi produttivi e può applicarsi all’edilizia come alla meccanica, allachimica come all’agricoltura, al tessile come al turismo di qualità. La scelta della sosteni-bilità ambientale nei processi produttivi può andare di pari passo a scelte di consumoresponsabile, per rendere minimo l’uso di risorse naturali anche nei nostri acquisti di ognigiorno con una preferenza ad esempio per i prodotti locali o per quelli con imballaggiminimi. Dunque, una prospettiva solida per l’Italia fondata sulla qualità e sul valore delmade in Italy, sulla ricerca, sulla conoscenza, sulla bellezza dei nostri territori, sulla nostrastoria, sulla ricchezza del nostro ambiente.

L’economia verde al centro delle politiche industriali

La riconversione ambientale dell’economia può rappresentare una vera discontinuità,un vero balzo in avanti, quello che l’elettrificazione, le telecomunicazioni, la rivoluzioneinformatica hanno rappresentato tra fine ottocento e novecento. La costruzione di unasocietà a basso contenuto di carbonio è una prospettiva già in parte in atto, sulla qualele imprese italiane si sono incamminate pur in assenza di un quadro di regole stabili e diincentivi certi. L’economia verde deve essere protagonista di un disegno di sviluppo delpaese come concepita nel programma Industria 2015 che va rafforzato e aggiornato aiprossimi anni. C’è il rischio concreto che la crisi economica in Italia non sia solo un feno-meno congiunturale, e quindi un calo a cui segue in modo quasi automatico un rimbalzopositivo, ma si traduca piuttosto in una riduzione della struttura produttiva del paese. È

Green Economy in Italia.Le proposte del Partito Democratico

Proposta approvata dall'Assemblea Nazionale di Roma 2010

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un rischio molto grave, che segnerebbe un impoverimento strutturale e che va contra-stato con forza e grande tempestività, sorreggendo con un disegno chiaro di politica in-dustriale linee e settori di possibile sviluppo, privilegiando la chiave dell’economia verde,come hanno già fatto con investimenti consistenti Stati Uniti, Germania e Cina tra glialtri. Non si può pensare di uscire da una crisi arroccandosi in una posizione difensiva,senza investire nel futuro, senza affrontare quegli adeguamenti che possono mettere ilnostro sistema produttivo di grado di competere con gli altri.

Favorire l’economia verde è una vera politica nazionale

La sfida dell’economia verde è una sfida per l’intero paese, per la struttura produttivadel nord e per la crescita del sud. Proprio nel mezzogiorno potrebbero realizzarsi i mag-giori guadagni in termini di occupazione e di capacità produttiva. Fin qui il Mezzogiornoha avuto i vantaggi minori dal processo di industrializzazione del secolo scorso ma hacomunque subito costi ambientali notevoli. E in più nelle regioni meridionali risiede laquota più giovane della popolazione italiana, la quota maggiore degli inattivi, la quotamaggiore di donne che non partecipano al mercato del lavoro. L’economia verde puòdiventare nel Sud un elemento catalizzatore della catena di connessione tra ricerca in-novazione e produzione per esprimere al meglio le potenzialità del sistema universitarioe di ricerca e del patrimonio territoriale. Nelle regioni meridionali, accanto a un rinnovatoslancio dell’agricoltura di qualità e del turismo e della salvaguardia quindi del patrimoniostorico e paesaggistico, può realizzarsi uno sviluppo importante nella produzione di ener-gia da fonti rinnovabili, con il solare in prima fila, nell’efficienza energetica, nella riqua-lificazione edilizia soprattutto nelle aree urbane.

Efficienza energetica e fonti di energia rinnovabili

L’efficienza energetica è la vera fonte di energia del futuro. Ridurre il consumo di ener-gia a parità di prodotti e servizi realizzati è la strada maestra per combattere l’emergenzaclimatica. Si può ottenere un minor consumo di energia negli edifici pubblici o privati,nei processi produttivi, nelle modalità di trasporto. Molto può essere già fatto con la tec-nologia e con chiare indicazioni normative come avviene in altri paesi, solo a titolo diesempio in Gran Bretagna tutti gli edifici residenziali di nuova costruzione al 2016 do-vranno essere a emissioni zero. Ma si deve investire di più nella ricerca in questo ambitoe nella collaborazione fruttuosa tra sistema della ricerca e imprese, possono essere svi-luppate quelle tecnologie pervasive che sono alla base anche dello slancio di numerosispin off del sistema universitario locale. Altra strada maestra è nello sviluppo di energiada fonti rinnovabili e dunque eolico, solare, biomasse, energia idraulica, biocarburanti,geotermia. Possiamo darci l’obiettivo di puntare a una industria nazionale del settore,sapendo che alcuni paesi hanno già maturato esperienza e competenza e altri hannovantaggi di costo, ma non possiamo rinunciare ad entrare in quegli spazi dell’intera filiera,inclusa la parte alta di ricerca e produzione, che sono alla nostra portata. Accumulareulteriore ritardo sulla strada dell’efficienza energetica e dello sviluppo delle rinnovabili èun errore strategico che toglie competitività al nostro paese, alle nostre imprese.

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Legalità e controlli ambientali

L’economia verde non può che essere un’economia pulita, che rispetta i diritti e leleggi. Non può esserci spazio per il malaffare e per l’uso indiscriminato del territorio evanno quindi combattute con il massimo rigore le infiltrazioni della criminalità organiz-zata, che più di altri ha saputo vedere le potenzialità di espansione del settore e condi-ziona pesantemente la gestione dei rifiuti in molte parti del paese, e i comportamentiillegali che sono alla base dell’impoverimento del territorio e dei rischi per l’incolumitàdelle persone. Non può esserci spazio per nuovi condoni edilizi o per il mancato rispettodei vincoli naturali e paesaggistici. L’ambiente va tutelato meglio anche sotto il profilonormativo, anche con la introduzione di norme specifiche che puniscano i reati control’ambiente. Allo stesso modo va rafforzato il sistema di controlli ambientali, garanten-done autorevolezza e indipendenza. E’ possibile promuovere, come indicato a livello eu-ropeo, la collaborazione fra imprese e organismi pubblici, e quindi Ispra, Arpa e Appa,per migliorare la performance ambientale delle imprese e quindi favorire sul mercato leimprese di qualità. Vanno poi sviluppati i servizi ambientali (monitoraggio della qualitàdell’aria, circolazione e produttività del mare, gestione dei sistemi costieri, monitoraggiodella superficie terrestre e servizi all’agricoltura, adattamento al cambiamento climaticotra gli altri) diffondendo a livello nazionale i risultati ottenuti nell’ambito dei programmidi cooperazione europea.

Riciclo dei rifiuti

Anche qui ci vuole una discontinuità, va rovesciato un modo di vedere seguito fin quiper cui i rifiuti sono solo un problema da gestire nel modo più efficiente possibile e nelrispetto dell’ambiente e della salute. Dobbiamo imparare sempre di più a vedere i rifiuticome una risorsa in un mondo di risorse limitate e quindi immaginare distretti del riciclo,favorire lo sviluppo di industrie locali che riutilizzano i materiali resi disponibili in quantitàsempre maggiori dalla promozione della raccolta differenziata per andare verso una verae propria società del recupero. L’obiettivo rimane quello di non sprecare risorse e quindisono prioritarie le misure che possono ridurre alla fonte i rifiuti prodotti, sviluppando adesempio un processo innovativo per la progettazione degli imballaggi.

Il territorio è il principale patrimonio dell’economia verde

Dobbiamo incentivare la manutenzione del territorio per adattare ogni metro quadroalle sfide del cambiamento climatico, cercando, ad esempio, di trattenere l’acqua il piùa lungo possibile ove cade, per attenuare l’erosione del suolo e le piene e per ricaricarele falde. Le siccità più lunghe costituiscono un maggior rischio di incendio boschivo chedeve essere affrontato con lo sfoltimento del bosco. Da qui la possibilità di recupero diresidui agricoli e forestali per produrre energia contribuendo al tempo stesso in mododeterminante alla manutenzione del territorio. Vanno sviluppate e diffuse le tecnologieavanzate di monitoraggio, basate sull’integrazione di tecnologie in loco con tecnologiedallo spazio, diffondendo a livello territoriale i risultati ottenuti alla scala internazionalenei grandi programmi di cooperazione europea. Sono da ripristinare i fondi per la difesa

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del suolo e il contrasto al dissesto idrogeologico che hanno subito tagli drammatici cosìcome vanno ripristinati i fondi per le infrastrutture a livello nazionale e cambiate le regoledel patto di stabilità interno in modo da stabilizzare le spese correnti ma consentire larealizzazione di spese per investimento agganciandole ad un percorso sostenibile per iconti pubblici.

L’ambiente anche nel nuovo patto fiscale tra Stato e cittadini

La leva fiscale è uno strumento decisivo per incoraggiare comportamenti virtuosi e pe-nalizzare chi pensa di poter continuare a scaricare il proprio tornaconto di breve periodosul futuro di ognuno e delle nuove generazioni. Possiamo pensare a una modifica del si-stema fiscale in modo da ridurre il carico su lavoratori e imprese per spostarlo sui consumidi energia e di materie prime. Il nostro paese deve inoltre partecipare in maniera piùattiva al dibattito aperto in sede europea e mondiale su ipotesi di imposte sulle emissionidi co2 legate ai prodotti, una sorta di tassa ambientale per favorire le produzioni più at-tente nel rispetto dell’ambiente. Allo stesso modo devono essere resi stabili e certi gli in-centivi fiscali per la riqualificazione energetica e la messa in sicurezza sismica degli edificicosì come il credito di imposta per la ricerca.

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Green Economy in Italia.Le proposte del Partito Democratico

Ermete RealacciResponsabile Green Economy

Premessa

Se c’è un campo in cui è maggiore la distanza tra Partito Democratico e centrodestraquesto è quello delle politiche ambientali. Questo è evidente nelle tradizionali politichedi salvaguardia del nostro ambiente e della salute dei cittadini. Basti pensare alle variesanatorie dell’abusivismo edilizio, al rilancio di una fonte impegnativa sul piano econo-mico e dai molti problemi aperti come il nucleare, al taglio delle risorse per la difesa delsuolo, al rischio di indebolire la lotta contro i crimini ambientali e le ecomafie con lenorme legate alle intercettazioni telefoniche o al processo breve. Anche nell’ultima ma-novra economica di Governo è mancata qualsiasi idea di politica ambientale avanzata.Si è anzi riusciti a fatica ad evitare che venissero tagliati drasticamente gli incentivi per lefonti rinnovabili, ma si sono dimezzarti i fondi per i parchi nazionali, non si è rifinanziatoil credito di imposta del 55% per l’efficienza energetica nell’edilizia, manca qualsiasispinta all’innovazione e alla ricerca. E l’elenco potrebbe continuare. Più di fondo è emersoin questi anni un’impostazione molto diversa su come affrontare le grave crisi economicache ha colpito l’economia mondiale e il nostro paese in particolare. “Occuparsi di am-biente in un momento di crisi è come fare la messa in piega quando si ha la polmonite”ha dichiarato Berlusconi all’inizio della crisi. Riproponendo un approccio tradizionale dilarga parte della destra italiana che vede le politiche ambientali come un vincolo, unaspecie di tassa e, nelle migliori delle ipotesi, come un lusso da periodi di vacche grasse.

Non è da tempo più così: basti pensare a quanto propongono nel mondo tanti leaderdel centrodestra da Sarkozy alla Merkel e Cameron. La green economy è ovunque vistacome una delle strade principali per rilanciare su basi nuove e più solide l’economia. Lastessa vicenda Fiat-Chrysler sarebbe stata impensabile se la Fiat non avesse possedutotecnologie in grado di produrre auto che consumano e quindi inquinano meno.

E tutto questo è vero ancor più nel nostro paese dove la green economy si incrociacon la qualità, la coesione sociale, i territori come fattori fondamentali per rendere com-petitive la nostre imprese.

Per fronteggiare la crisi e lavorare per un futuro migliore dobbiamo al tempo stessoagire in due direzioni. La prima è quella di difendere, nella crisi, le aree più deboli, di im-pedire che qualcuno rimanga indietro, che la società si strappi. Questo significa innan-zitutto attenzione a coloro che perdono il lavoro e che spesso non hanno tutele eprospettive, al credito delle piccole e medie imprese, alle famiglie a reddito più basso.

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Bisogna al tempo stesso da subito individuare quali sono i terreni, i settori e dunque lescelte concrete che consentono di rilanciare l’economia. Larga parte di queste scelte in-crociano la green economy. Intesa non solo come settori legati alle fonti rinnovabili, alrisparmio energetico, alla edilizia di qualità, al trasporto a basso impatto, alle produzionidi beni e merci a minor impatto ambientale. Più in generale una scommessa sull’innova-zione, sulla ricerca, sulla conoscenza, sulla qualità, sul legame con la nostra storia e i no-stri territori appare la più solida prospettiva per la nostra economia. Il vero asse portantedi una nuova politica industriale. Una prospettiva peraltro in parte già in atto e che bensi concilia con la vitalità e versatilità del nostro sistema di piccole e medie imprese.

Un’economia nella quale possono giocare un ruolo rilevante le regioni e le ammini-strazioni locali guidate dal PD che sono chiamate a svolgere nelle politiche ambientaliun ruolo di punta, analogo a quello svolto in decenni passati nelle politiche dei servizisociali.

Anche per questo è indispensabile che venga rivisto il patto di stabilità permettendoalle amministrazioni che hanno risorse da investire di avviare le azioni necessarie.

In molti settori già l’ultimo governo Prodi aveva avviato importanti iniziative. Basti pen-sare al credito di imposta del 55% per l’edilizia, agli incentivi per le fonti rinnovabili e laricerca, agli incentivi per il ricambio dei frigoriferi e dei motori elettrici, alla filosofia com-plessiva di Industria 2015. Riforme che, insieme alla vitalità di tante nostre imprese,hanno prodotto importanti risultati a partire dai veri e propri record registrati nelle fontirinnovabili: oltre 1000 MW di fotovoltaico installato, oltre 6 TWh prodotti dal vento,complessivamente nel 2009 un KWh su quattro di energia elettrica prodotta in Italiaproviene da fonti rinnovabili. Complice sgradita la crisi economica che ha ridotto i con-sumi, si inizia a intravedere la possibilità di raggiungere l’obiettivo europeo del 17% deiconsumi finali di energia assicurati da fonti rinnovabili al 2020. Il solo 55% per l’ediliziaha catalizzato investimenti per oltre 12 miliardi di euro, è stata utilizzato da circa 600.000famiglie, ha messo al lavoro e qualificato migliaia di imprese nell’edilizia e nell’indotto,soprattutto piccole e medie con decine di migliaia di occupati coinvolti. E nel 2009 oltreil 30% delle piccole e medie imprese manifatturiere (tra i 20 e i 499 addetti) ha fatto in-vestimenti connessi alla green economy. E tutto questo nonostante la distrazione el’ostruzionismo del Governo Berlusconi.

In questa idea di green economy la responsabilità sociale delle imprese, la difesa delMade in Italy da imitazioni, dal dumping sociale e ambientale, dall’illegalità, la continuaspinta verso standard ambientali e di sicurezza più elevati divengono altrettanti fattoricompetitivi. E costituiscono essi stessi una parte della risposta alle domande lasciateaperte dalle cause della crisi. Una risposta alla finanziarizzazione selvaggia e irresponsa-bile, che avviene anche sul terreno della valorizzazione di un’economia a misura d’uomo,che fa i conti con le grandi questioni della nostra epoca. Una risposta che è oggi resapiù forte da una nuova consapevolezza dei cittadini, dal diffondersi di modelli di com-portamento e di consumo più attenti alla qualità della vita e delle relazioni. Possiamoforse oggi dire che essere buoni conviene, che essere giusti conviene, che essere lungi-miranti e attenti all’ambiente conviene.

E’ questa del resto una strada che è, almeno in parte, iscritta nel codice genetico delnostro paese. Diceva Carlo Maria Cipolla che la missione dell’Italia è produrre all’ombra

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dei campanili cose che piacciono al mondo. E’ un’idea che trae oggi maggior forza dallacrisi. Affrontare i gravi problemi del nostro paese, i ritardi che lo contraddistinguono inmolti campi. Realizzare le riforme necessarie. Ma anche scommettere un’Italia che fal’Italia, che chiama a raccolta le sue energie migliori che si affaccia al mondo a testa alta.Anche questa è la sfida della green economy.

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“chi governa deve avere a cuore massimamente la bellezza della città, per cagione didiletto e allegrezza ai forestieri, per onore, prosperità e accrescimento della città e deicittadini”.

Costituto di Siena del 1309

1. Introduzione

Dal Costituto di Siena alla green economy, la vocazione dell’Italia parte da lontano E’ nella green economy il futuro dell’Italia. Una prospettiva vera in tutto il mondo, ma

che nel nostro paese ha chance più che altrove di avere successo e che può rappresentareper la nostra economia del XXI secolo quello che l’elettrificazione, l’automobile, le tele-comunicazioni prima e la rivoluzione informatica poi sono stati per il Novecento. E’ pos-sibile prevedere in Italia, nei prossimi cinque anni, oltre un milione di posti di lavoro tranuovi occupati e qualificazione di attività esistenti. Si tratta, insomma di una straordinariaoccasione per modernizzare e rendere più competitiva la nostra economia che ha il suopunto di forza in un sistema produttivo fatto prevalentemente da piccole e medie impresefortemente legate al territorio, che si nutre di creatività, di innovazione, di coesione so-ciale, di diritti.

Quando parliamo di green economy, infatti, pensiamo ad una sfida trasversale checomprende moltissimi settori e coinvolge decine di migliaia di imprese: dall’innovazionetecnologica al risparmio energetico, alle fonti rinnovabili, dal settore dell’edilizia a quellodei trasporti, dagli elettrodomestici al turismo all’agricoltura di qualità, dall’high tech alriciclo dei rifiuti, dalla diffusione di prodotti e di processi produttivi innovativi ed efficienti,nella creazione di nuova occupazione qualificata, in una forte spinta all’esportazione diprocessi e prodotti eco-efficienti. Una sfida in cui riveste grande importanza il mondodella scuola, dell’università, della ricerca. La green economy in salsa italiana, inoltre, in-crocia la propensione alla qualità tipica di molte produzioni del nostro paese e la ricon-versione in chiave ecosostenibile di comparti tradizionali legati al manifatturiero.

Ambiente è sfida del futuro

Oggi le politiche ambientali non si presentano solo sotto il segno delle scelte necessariedai processi in atto a cominciare dal rischio di gravi mutamenti climatici.

A diciotto mesi dalla maggiore crisi economico-finanziaria del dopoguerra, a frontedi equilibri internazionali resi sempre più instabili dalla limitatezza delle risorse, la greeneconomy è la via del futuro, per non dire, una scelta obbligata. A mostrare la via, sonoinnanzitutto le maggiori potenze, Stati Uniti, Cina e Germania, determinate nel mettersialla testa della futura competizione globale. Secondo la Banca Mondiale, tra 2009 e2010 sarebbero 112 miliardi di dollari gli investimenti stanziati dall’amministrazioneObama e ben 221 miliardi, la somma investita da Pechino. Questo, poiché la green eco-nomy non costituisce soltanto una risposta alla crisi ambientale, ma rappresenta unastraordinaria occasione di sviluppo. Questo non vuol dire solo affrontare la questioneambientale e la sfida del clima, ridistribuire risorse sempre più limitate e combattere glisprechi, ma promuovere attività economiche compatibili con le specificità dei territori,

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prevenire la disgregazione sociale di modelli economici calati dall’alto che produconocostosissime lacerazioni umane e ambientali.

Tutti i paesi industrializzati si dovranno confrontare con questo tema epocale e dareprova di lungimiranza e capacità di innovazione. Operando scelte che scommettano suun’ economia a misura d’uomo, capace di affrontare e di rispondere alle grandi questionidella nostra contemporaneità, a partire proprio da quella ambientale. Assumere responsa-bilità politiche, economiche, scientifiche e tecnologiche che realizzino un investimento fortesulle frontiere della conoscenza, nei settori più vitali e creativi, Ad esempio, contrastare ilcambiamento climatico del pianeta vuol dire evitare che intere parti della Terra diventinotanto inospitali, come già lo sono quelle dove la povertà non a caso è più forte, da alimen-tare ulteriormente conflitti, migrazioni, paure e chiusure. Ma significa anche ridurre l’in-quinamento locale e la bolletta energetica per famiglie e imprese, rendere più competitivala nostra economia, indicare una direzione per il futuro.

In Italia abbiamo molta strada da fare per recuperare il tempo, ma l’ambiente rappre-senta il Italia, più che in altri paesi problemi, ma anche straordinarie opportunità. C’è l’am-biente ferito dall’illegalità delle ecomafie come ad esempio tra le province di Caserta e diNapoli dove sono stati abbattuti migliaia di capi di bestiame perché nel loro latte c’eratanta diossina da essere considerato un rifiuto speciale. Un frutto avvelenato di Gomorra,degli affari della camorra che con lo smaltimento illegale e gli incendi dei rifiuti avvelena iterreni e l’aria. E il Governo sta cercando di approvare, con la nostra ferma opposizione,un provvedimento sulle intercettazioni che renderà molto più difficile contrastare le attivitàdi ecomafia dei clan della camorra. C’è il paesaggio ferito dalla scarsa qualità urbana ededilizia fortemente alimentata dall'abusivismo tollerato, quando non addirittura incentivato.L’abusivismo distrugge la bellezza del nostro paese e lo rende più insicuro. E Berlusconi,che nei suoi precedenti governi ha già regalato all’Italia due scellerate sanatorie dell’abu-sivismo edilizio ha tentato di produrre, con il tanto proclamato piano casa, una specie dicondono preventivo in cui venivano indebolite, prima del terremoto in Abruzzo, anche lenorme antisismiche. Lo abbiamo contrastato e battuto anche grazie all’azione delle regioni.C’è poi l’aria delle nostre città, spesso fuori dai limiti fissati dall’Unione Europea per pro-teggere la salute dei cittadini. E da tempo ci battiamo perché l’investimento nel trasportopubblico, nelle ferrovie, nei treni pendolari, nel trasporto pubblico urbano sia una dellepriorità per il nostro paese.

Eppure abbiamo molte carte che possiamo giocare per competere con fiducia sul futuro,valorizzando alcune nostre caratteristiche peculiari: le radici e le nostre tradizioni, un in-treccio unico al mondo tra città e patrimonio storico-culturale, ambiente naturale e pae-saggio, prodotti tipici e buona cucina, coesione sociale, qualità della vita, capacità diprodurre cose che piacciono al mondo. Fattori che sono anche alla base della nostra idea dipaese, della nostra identità nazionale.

La prospettiva è quella di un Italia orgogliosa e consapevole, protagonista nelle politicheper l'ambiente, che ha per missione la qualità legata al territorio e al suo straordinario pa-trimonio storico-culturale, alla coesione sociale, ai saperi, alla creatività, alle bellezze naturali.Una prospettiva che già oggi è molto presente in tanti settori della nostra società, ed è con-vincente, ha fascino, è mobilitante. Parla all'Italia profonda e all'economia più competitiva.

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La green economy parla italiano

Con la sua piccola e media impresa, con il suo patrimonio storico di saperi e di tradi-zioni artigianali, con la sua varietà produttiva mai completamente domata dagli impera-tivi della grande industria, il nostro è di fatto paese d’elezione della green economy. Bastatornare alle pagine più significative della sua storia: alla cultura francescana, alla ricercarinascimentale di un equilibrio perfetto tra cultura e natura, alla filosofia stessa del madein Italy, a realtà come Venezia che, senza sfidare gli elementi, hanno elaborato strumentie tecnologie, capaci di volgerli a proprio favore. Terra di ampia varietà geologica e pae-saggistica, di un concetto di buongoverno fondato sull’uso parsimonioso e condivisodelle risorse, l’Italia non può rinunciare alla propria vocazione, gettandosi alle spalle unpassato millenario capace di illuminare di nuovo il futuro.

Nel corso di questi anni, del resto, l’Italia si è rafforzata in molti settori puntando sullaqualità, producendo quella innovazione che fa dire ad autorevoli osservatori che le nostreaziende sono già nel cuore della green economy. Emerge così un sistema produttivo dif-fuso e vitale capace di fare della sfida ambientale un’occasione di ripensamento e ripo-sizionamento di settori produttivi maturi e tradizionali e di innovazioni e avanzamentitecnologici. Una crescita e una qualificazione dovuta anche ad una maggiore attenzioneall’ ambiente e in particolare alle fasi di smaltimento e depurazione di prodotti chimici eadditivi. Tanto per citare qualche esperienza siamo gli unici al mondo, insieme ai tedeschiad avere tecnologie per la produzione di rubinetti e valvole senza piombo. Ben tre asso-ciazioni del settore, Assomet (metalli non ferrosi), Ucimu (macchine utensili) e Avr (valvolee rubinetti) hanno brevettato insieme un ottone puro, senza piombo, che rispetta i piùavanzati standard internazionali. Un’innovazione made in italy che è stata adottata dallaCalifornia, dove il governo ha approvato il Californian Lead Regulation che limita allo0,25 la percentuale di piombo che deve essere contenuta da prodotti destinati al contattocon acqua per il consumo umano. Un’ innovazione che, come in altri settori va difesadalle contraffazioni. Anche nella concia la capacità di esportare anche in Cina pelli diqualità è legata da un lato alle innovazioni di processo rese necessarie per ridurre i carichiinquinanti, dall’altro all’abilità degli imprenditori nell’innovazione continua e all’integra-zione di lavoratori che hanno diritti in un processo produttivo che affonda le radici neiterritori. Difficile produrre qualità con il lavoro minorile, lo sfruttamento dei lavoratori,l’inquinamento dell’ambiente. O come non citare il caso del settore enologico: produ-ciamo oggi il 40% in meno del vino rispetto alla metà degli anni 80, ma il valore dell’ ex-port è quintuplicato raggiungendo i 3,5 miliardi di euro. Così come siamo al primo postoin Europa nella graduatoria dei prodotti Dop e Igp con 182 prodotti certificati, seguitida Francia e Spagna. Siamo secondi nel continente per diffusione e produzione biologicae insieme a Francia e Germania siamo uno dei paesi in cui è più diffusa la vendita direttadei prodotti agroalimentari. Emerge così il quadro di un’Italia che pur tra contraddizionie difficoltà, anche nel Mezzogiorno, è capace di misurarsi con le sfide del futuro, che daun lato ha iniziato a recuperare ritardi, soprattutto in campo energetico, rispetto aglialtri grandi paesi industrializzati e dall’altro è protagonista con il suo sistema imprendi-toriale e della ricerca, pubblica e privata, di una originale interpretazione e declinazionedella green economy. Un tessuto di imprese, di imprenditori e di lavoratori, che ha nei

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suoi caratteri più profondi e connotativi le radici di una scommessa sul futuro. Una scom-messa che si nutre di valori, di creatività e di abilità,di coesione sociale e che vede nellasussidiarietà un formidabile fattore produttivo in grado di valorizzare i saperi e i talentidei territori

2. Il contesto internazionale

Riscaldamento climatico, urbanizzazione selvaggia, grandi migrazioni, inquinamento,gestione dei rifiuti e crisi economico-finanziaria internazionale: tra i più autorevoli a evi-denziare l’urgenza della questione ambientale nei suoi risvolti economici, sociali e geo-politici è stato Al Gore, attraverso un lavoro di divulgazione scientifica che gli è valso ilNobel per la pace. L’ex vicepresidente degli Stati Uniti è stato seguito da Barack Obamache della green economy ha fatto uno degli assi strategici della sua presidenza, affinchéla ristrutturazione in chiave ecologica permetta all’economia americana di superare lacrisi e di tornare egemone a livello internazionale. Nel 2009, gli Stati Uniti hanno appro-vato un pacchetto di misure (da 112 miliardi di dollari) che puntano a ridurre le emissionidi anidride carbonica del 17% entro il 2020 rispetto al 2005 e dell’83% entro il 2050 eche prevedono lo stanziamento di ingenti fondi per finanziare le fonti alternative, stimo-lando la crescita dell’intero comparto che entro il 2020 dovrebbe generare il 20 % del-l’elettricità nazionale (*target in via di definizione). È stato anche predisposto unmeccanismo “cap and trade” che pone limiti alla quantità di CO2 che si può immetterein atmosfera: chi non è in grado di centrare l’obiettivo acquista crediti da chi è stato piùvirtuoso oppure finanzia investimenti in tecnologie pulite nei paesi in via di sviluppo.

L’Unione Europea, in assenza di investimenti coordinati tra i paesi membri, è stata as-solutamente determinante nel rendere operativi gli accordi di Kyoto e nel 2008 ha ap-provato la direttiva 20.20.20 che fissa gli obiettivi in campo energetico previsti fino al2020 e definisce alcune importanti linee guida: 20% di aumento dell’efficienza energe-tica; 20% di energia prodotta da fonti rinnovabili; 20% di riduzione delle emissioni digas a effetto serra. In testa, nel conseguimento degli obiettivi, e quindi nella sfida globaleper la green economy del vecchio continente è per il momento la Germania, vero e pro-prio pioniere nello sviluppo delle fonti alternative, che punta ad esportare in tutto ilmondo tecnologie e prodotti a basso impatto ambientale, legando il superamento dellacrisi a una nuova forma di modello industriale. Il caso tedesco è esemplificativo di unatendenza verso un approccio di tipo keynesiano che ha lo scopo di stimolare la domandadi mercato “verde” tramite interventi statali. Segue la Spagna che, grazie a una politicadi incentivi pubblici, è diventata una delle principali potenze nel settore delle energie rin-novabili. Quanto alla Francia, aveva ipotizzato l’introduzione di una “carbon tax” pari a17 euro per ogni tonnellata di CO2 emessa, iniziativa al momento ritirata. Il governofrancese ha presentato il disegno di legge Grenelle 2, impegni nazionali per l’ambienteche punta a promuovere l’utilizzo di mezzi di trasporto più sostenibili, ad aumentare laquota di incentivi a livello locale nel settore delle rinnovabili, a migliorare l’efficienza ener-getica degli edifici con l’introduzione della certificazione obbligatoria.

Avvertendo quanto la sfida ambientale sia decisiva negli imperativi futuri del mercato,anche la Cina ha deciso di non rimanere a guardare. Dopo anni di rifiuto nel farsi vinco-

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lare da obiettivi stringenti, con i suoi 221 miliardi di dollari stanziati tra il 2009 e il 2010,il governo di Pechino sarà il primo investitore al mondo in progetti e riconversioni indu-striali finalizzate a sostenere tecnologie a basse emissioni. Prova che, complice l’aumentodel prezzo delle materie prime e il costo di crisi ambientali, sociali ed economiche di unsistema privo della governance necessaria, la green economy non costituisce soltantouna necessità politica e civile, ma anche l’unica opportunità di risparmio e di profitto peril futuro.

3. Le opportunità

La green economy non permette soltanto il rispetto dell’ambiente, ma è un volano dicrescita poiché è l’unica ad assicurare sviluppo nel lungo periodo e quindi a creare mer-cato, garantendo ritorni economici. La redditività di questo nuovo modello di sviluppo èstata in passato in discussione poiché, si sosteneva, le aziende conformi alla normativaambientale, avendo sostenuto spese per l’adeguamento ai requisiti imposti, incorrevanoin maggiori costi di produzione. Secondo alcuni economisti (fra cui Jean-Paul Fitoussi,Amartya Sen e Joseph Stiglitz), invece, la regolamentazione ambientale porta beneficialle aziende, soprattutto se contiene incentivi sufficienti a modificare i loro sistemi pro-duttivi e a stimolare innovazioni. L’accresciuta attenzione all’ambiente da parte dell’im-presa, infatti, consentirebbe di mettersi al riparo dall’aumento del prezzo di materieprime sempre più scarse, di ottenere migliori prestazioni competitive, grazie a minoricosti (indotti da un minore utilizzo di risorse) e alla commercializzazione di nuovi prodottiin grado di ottenere un riscontro positivo sul mercato. Di conseguenza, qualsiasi perditadi competitività legata ad un investimento mirato a migliorare le performance ambientali(indotto dalla normativa o volontario) sarà essenzialmente di breve durata e consentiràall’impresa di acquisire un vantaggio competitivo nel lungo termine.

Se fino a qualche anno fa la sostenibilità era per le imprese una fonte di costo, l’ob-bligo di adeguarsi alle normative o un impegno volontario è oggi un’occasione di arric-chimento. Il 2008 è stato il primo anno in cui gli investimenti privati dedicati allacostruzione di impianti di fonti di energia rinnovabile nel mondo hanno superato quelliper tecnologie alimentate da combustibili fossili. Nel 2008 gli investimenti in energia“verde” sono arrivati a 105 miliardi di euro, con un aumento del 5% rispetto al 2007(fonte Unep 2008 Annual Report). Secondo Clean Edge 2010, questo sorpasso si è regi-strato anche nell’anno di crisi 2009. Dati che dimostrano come le politiche a supportodelle fonti di energia alternativa avrebbero risvolti positivi su tutta la filiera che va dall’in-novazione tecnologica all’industria, mentre il mantenimento del modello attuale, oltre anon avere effetti positivi sull’occupazione e sulla crisi economica, porterebbe a un peg-gioramento della crisi ambientale e sociale dagli effetti nefasti sui bilanci pubblici.

Dal punto di vista dell’occupazione, la green economy in campo energetico conta almomento 3,4 milioni di posti di lavoro, superando così i 2,8 milioni dell'industria “tradi-zionale” mineraria, dell'elettricità, del gas, del cemento, dell’acciaio e del ferro. In Europacirca 400mila persone sono impiegate nel settore delle energie rinnovabili, 2,1 milioninella mobilità sostenibile e oltre 900mila in beni e servizi per l’efficienza energetica, inparticolare nel settore edilizio. Ci sono poi i circa 5 milioni di addetti nell’indotto. A gui-

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dare la classifica europea delle professioni verdi sono Germania, Spagna e Danimarcaper l’eolico, Germania e Spagna per l’energia solare. La Germania ha aumentato di20.500 unità di occupati nelle rinnovabili nel 2009. Questi dati sono solo un assaggiodelle potenzialità di un settore in forte espansione che ingrosserà le fila dell’occupazionenei prossimi anni. Solo nelle fonti rinnovabili, vero polmone dell’eco-lavoro, si passeràdagli attuali 2,3 milioni di occupati a oltre 6,9 milioni nel 2030 (fonte “Low carbon jobsfor Europe” WWF).

L’altro grande protagonista dell’occupazione green sarà il mercato dell’efficienza ener-getica, che interesserà trasversalmente i principali settori industriali, ma troverà la suaprincipale applicazione nell’edilizia. Gli investimenti per migliorare l’efficienza energeticanegli edifici produrranno fra i 2 e i 3,5 milioni di posti di lavoro nei soli Stati Uniti. A gui-dare questa rivoluzione è la Gran Bretagna che ha fissato per il 2016 la data entro cuitutti i nuovi edifici residenziali dovranno essere a emissione zero, seguiti, entro il 2019,da quelli commerciali. L’esempio di Londra è stato seguito da altri paesi. Inoltre nella re-visione della Direttiva sull’efficienza energetica degli edifici, che verrà definitivamente ap-provata nel maggio 2010, si prevede che dal 2021 gli immobili di nuova costruzionedovranno essere a consumo quasi “zero”; la scadenza è anticipata di due anni per gliedifici pubblici. Questa Direttiva comporta la necessità nel corso di questo decennio diavviare una profonda trasformazione del comparto edilizio, che coinvolgerà la fase pro-gettuale, l’introduzione di nuovi materiali e la predisposizione di impianti innovativi inmodo da facilitare la convergenza verso gli obiettivi europei.

Conferme dell’importanza della riconversione verde in campo edilizio arrivano anchedai numeri. Dall’analisi del mercato degli edifici adibiti a uffici negli Stati Uniti, è emersoche quelli in possesso di certificazione energetica incassano affitti e compensi per la ven-dita ben più alti rispetto a quelli dell’edilizia tradizionale e il “business verde” è stato solomarginalmente investito dalla crisi. Nel settore delle energie alternative, le quotazioni delNew energy innovation index, il più rappresentativo indice del comparto, sono cresciutedel 36% fra il 1° aprile e il 30 giugno del 2009. Nel secondo trimestre 2009, i nuovi in-vestimenti sono quasi triplicati raggiungendo quota 26,2 miliardi. Nei pacchetti di stimolodestinati a rilanciare l’economia globale a seguito della crisi, circa 512 miliardi di incentivisono destinati a chi è impegnato nelle energie rinnovabili.

Oltre alle misure governative di stimolo all’economia, un altro fattore ha contribuitoalla crescita degli investimenti: l’innalzamento del prezzo del petrolio che ha reso le fontialternative di nuovo competitive rispetto ai combustibili fossili. L’energia eolica è sicura-mente la più promettente: si stima che nei prossimi 5 anni crescerà in media del 22%,mentre nel 2009 ha attratto il più alto numero di nuovi investimenti, 63.5 miliardi didollari. Nel 2009 sono stati installati 38mila MW (38GW) di nuova potenza eolica, il 41.5% in più rispetto al 2008, anno in cui l’incremento è stato pari a 26mila GW. Lo scorsoanno gli Stati Uniti, con una potenza installata di 35 GW, hanno superato la Germania,che era a quota 26, diventando il più forte produttore di energia eolica. Gli USA, però,potrebbero essere superati dalla Cina, oggi a quota 26 GW, ma con un tasso di crescitamolto più alto. Anche l’India e la Spagna, rispettivamente con 11 e 19 GW, sono mercatiin forte espansione.

L’energia solare è molto meno competitiva, ma potrebbe avere potenzialità di crescita

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maggiori se il costo dei pannelli fotovoltaici, come si prevede, si abbasserà ulteriormente.A lungo criticata poiché ritenuta antieconomica, l’energia prodotta da fotovoltaico starapidamente guadagnando terreno. Entro il 2020, inoltre, si dovrebbe registrare un in-cremento a livello mondiale da 20 a 40 volte della capacità attualmente installata. Inquesta prospettiva di sviluppo riveste un posto di primo piano Desertec, l'avveniristicoprogetto da 400 miliardi di euro per la realizzazione nel deserto del Sahara di impiantisolari termici in grado di soddisfare il 15% del fabbisogno energetico dell' Europa, chedovrà vedere anche un forte coinvolgimento anche di imprese italiane.

Per quanto riguarda l’agricoltura, la promozione di un approccio “verde” è da anni alcentro della Politica agricola comune (Pac) europea. La Pac ha introdotto il concetto disostenibilità attraverso una serie di impegni aggiuntivi per le imprese che intendono be-neficiarne. Tali oneri, ricompresi sotto il termine “condizionalità”, consistono nel rispettodi norme e misure che tendono a promuovere la salvaguardia dell’ambiente, una correttagestione agronomica dei terreni, la sanità pubblica, la sicurezza alimentare e il benesseredegli animali. L’impegno per un’agricoltura sostenibile è stato confermato nel novembredel 2008 con l’health check, ossia la verifica di programmazione di metà periodo dellaPac. Con questo accordo, i 27 paesi membri hanno ribadito l’importanza delle nuovesfide dell’Unione Europea in ambito agricolo (energie rinnovabili, risorse idriche, biodi-versità, cambiamenti climatici ed innovazione), coerentemente con un approccio “mul-tifunzionale” dell’agricoltura.

L’affermazione di questo modello di sviluppo presuppone però consumatori semprepiù sensibilizzati per acquistare beni concepiti secondo criteri ambientalisti. Diversi studitestimoniano come il modello comportamentale dei consumatori stia lentamente cam-biando: a fianco dei consolidati criteri di scelta legati alla qualità e al costo dei prodotticompare l’aspetto della sostenibilità. Non a caso in un periodo di crisi e di contrazionedei consumi, anche alimentari, gli unici prodotti in controtendenza, che hanno fatto cioèregistrare un aumento di vendite in termini percentuali e in valori assoluti sono quellibiologici. Su un campione di oltre 16mila consumatori intervistati in 15 paesi dei 5 con-tinenti, oltre la metà preferirebbe acquistare prodotti e servizi da aziende che vantanouna buona reputazione ambientale e quasi l’80% ritiene importante lavorare per realtàche si dotino di politiche ambientali sostenibili. L’aumentata sensibilità diffusa nei con-fronti della sostenibilità dei consumi sta spingendo sempre più imprese a introdurre nuoviimperativi e nuove strategie per il posizionamento di prodotti e servizi.

4. La riconversione verde del made in Italy. I casi vincenti.

La sfida climatica sta spingendo alcuni settori del made in Italy tradizionale a riposi-zionarsi sul mercato anche puntando sull’eco-compatibilità.

Nella meccanica dove molte piccole e medie imprese stanno muovendosi verso leenergie rinnovabili - dalla progettazione degli impianti alla produzione – ma anche versoaltri ambiti, l’efficienza.

Novità si registrano nel comparto dell’automotive. L’Italia, insieme alla Francia,vanta il primato nella produzione di veicoli a bassa emissione di carbonio, sia alle inno-vazioni introdotte per realizzare delle vetture che consumino di meno, come l'adozione

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del sistema “start & stop” e l'utilizzo di oli a bassa viscosità. Nella nautica l’attività di ricerca e sviluppo si sta concentrando sul miglioramento

delle know-how esistente, dalle caratteristiche degli scafi e dei materiali utilizzati per rea-lizzarli fino alle motorizzazioni e ai combustibili impiegati. Si sta poi lavorando ad unprogetto di riciclo degli scafi in disuso. Di recente, inoltre, è in campo un progetto perstrutture portuali a impatto zero in grado di offrire 39mila posti barca, senza versare unmetro cubo di cemento, riqualificando l’esistente.

Il settore della ceramica fortemente colpito dalla recessione, è stato fra i primi asperimentare la via “verde”. Riciclaggio di materiali che vengono utilizzati come materiaprima per realizzare nuove piastrelle, “sanificazione” quelle tecnologie, cioè che fannoacquisire alle ceramiche proprietà depuranti ed energie rinnovabili, ovvero quando le pia-strelle diventano fotovoltaiche in grado di trasformare la luce in energia elettrica, i frontisu cui settore si sta riconvertendo.

Nel conciario in cui si sta diffondendo una rinnovata sensibilità ecologica nelmodo di lavorare la pelle. Al bando i prodotti chimici e gli additivi, oggi la vera novità èil ritorno al naturale: pelli lavorate secondo gli antichi metodi della conceria vegetale chevengono utilizzate spesso dai grandi marchi per realizzare prodotti ecocompatibili.

Nel tessile, la novità è rappresentata dalla crescita del mercato del tessuto biolo-gico, settore che nel mondo conta oltre 200 imprese e circa 800 retailers. La rinnovataattenzione verso le fibre naturali, confermata anche dalla decisione, da parte della Fao,di dedicare il 2009 a questa tipologia di fibre, ha anche l’obiettivo di migliorare le con-dizioni di vita di milioni di agricoltori che producono fibre naturali, ricreando il legametra agricoltura, industria tessile e territori.

Nel settore dei rubinetti, gli italiani, assieme ai tedeschi, sono gli unici al mondoad avere le tecnologie per la produzione di rubinetti e valvole senza piombo (l’UE imponeun limite massimo del 2,5%) in ottone puro, che rispetta gli standard internazionali. Que-sta innovazione made in italy è stata adottata in California, dove il governo ha approvatouna nuova direttiva, il Californian Lead Regulation, che limita allo 0,25 la percentuale dipiombo che deve essere contenuta da prodotti destinati al contatto con acqua per il con-sumo umano.

Nel legno-arredamento, secondo comparto italiano per numero di imprese e terzoper saldo commerciale, la sfida ambientale sta diventando un importante fattore di com-petitività, diventando un valore aggiunto immateriale per le produzioni italiane. Forte in-novazione del legno sia nei processi produttivi che come materia prima industriale, specienell’edilizia. E poi certificazioni forestali e di origine dei prodotti in legno in crescita co-stante, nonostante la crisi.

Nel settore chimico le produzioni a basso impatto, possono essere un’opportunitàper rivitalizzare la chimica in chiave ambientale. Le bioplastiche, ad esempio, grazie adun brevetto made in Italy può favorire la costruzione di una nuova industria basata sumaterie prime agricole locali, nel rispetto e in sinergia con le filiere alimentari, gli scartiagricoli e i rifiuti. Si tratta di applicazioni che rappresentano circa il 40% dell’uso totaledelle plastiche.

Nell’agricoltura il nostro paese vince puntando su una produzione nel segno dellaqualità legata al territorio con 316 Doc, 41 Docg, 120 Igt e 12 denominazioni a valenza

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interregionale. Produciamo oggi il 40% in meno del vino rispetto alla metà degli anni80, ma il valore dell’ export è quadruplicato raggiungendo i 3,5 miliardi di euro. Cosìcome siamo al primo posto in Europa nella graduatoria dei prodotti Dop e Igp con 182prodotti certificati, seguiti da Francia e Spagna. Siamo secondi nel continente per diffu-sione e produzione biologica e insieme a Francia e Germania siamo uno dei paesi in cuiè più diffusa la vendita diretta dei prodotti agroalimentari.

Il nuovo che avanza: rinnovabili, efficienza energetica, riciclo dei rifiuti

Nel campo delle energie rinnovabili il sistema italiano si è finalmente rimesso inmoto. Nel 2009, 6993 Comuni (l’86% del totale) ospitano almeno un impianto di energiarinnovabile; sono 4850 di MW di eolico istallati nel nostro Paese che producono oltre 6TWh pari ai consumi domestici di circa 6 milioni di italiani. Ormai sono oltre 1000 i MWdi fotovoltaico istallati e si prevede che per la fine del 2010 saranno almeno 2500 MW.L’andamento positivo delle attività imprenditoriali legate alla rinnovabili è testimoniatoanche dall’Irex – Italian renewable index – l’indice di Borsa elaborato da Althesys permonitorare l’andamento delle aziende italiane del settore – che evidenzia la crescita del-l’intero comparto.

La rivoluzione verde ha fatto breccia anche nell’ambito edilizio dove la legge sullariqualificazione energetica degli edifici ha dato un notevole contributo imponendo allenuove abitazioni, dal 2010, una riduzione del 50% dei consumi rispetto ai limiti del2005. Secondo uno studio del Cresme l’efficienza energetica èl’unico comparto dell’edi-lizia ancora in crescita; negli ultimi 5 anni il 33% delle famiglie italiane è intervenuto perridurre i consumi energetici dell’abitazione, il 22% ha sostituito gli infissi e il 4,6% haadottato pannelli solari.

Per quanto riguarda la raccolta dei rifiuti, sebbene il nostro paese sia ancora lon-tano dai livelli di riciclo degli altri Paesi - la nostra media è di circa tre volte inferiore aquella del resto d’Europa – possiamo vantare dei primati. Siamo fra i leader mondiali nelriutilizzo della carta, con tre milioni di tonnellate l’anno, pari ad otre 50 kg per abitante(nel 2008 + 7,1% rispetto al 2007). Inoltre dal riciclo dei rifiuti si ottiene un risparmio dicirca 15 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio all’anno, che potrebbe essere ulte-riormente aumentato in un breve arco di tempo con un notevole contributo agli obiettivinazionali di riduzione delle emissioni di CO2.

Nel settore dello spazio e dei servizi connessi con le tecnologie di Osservazionedella Terra. In generale l’Italia è molto ben posizionata nel contesto europeo in relazioneall’erogazione di servizi (tra cui rischi naturali e gestione delle emergenze, agricoltura,security, produttività e circolazione marina) ed è fortemente presente in GMES. Il GlobalMonitoring of Environment and Security (GMES), uno dei principali programmi europei,ha per obiettivo lo sviluppo di servizi migliori ed a costo minore, aumentando conte-stualmente la capacità d’intervento dell’Europa alla scala globale.

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LE PROPOSTE DEL PARTITO DEMOCRATICO PER LA GREEN ECONOMY

1. Riqualificazione energetica degli edifici.

Rendere permanenti le agevolazioni fiscali del 55% per gli interventi di efficienza ener-getica delle abitazioni e degli edifici privati ed estendere lo stesso incentivo per le misuredi consolidamento antisismico.

Avviare un piano straordinario di riqualificazione per gli edifici pubblici (scuole e ospe-dali in testa), con l’istituzione di un fondo di rotazione di 100 milioni di euro all’anno,per l’efficienza energetica e la messa in sicurezza.

Costruzione di 100 mila nuovi alloggi, tra edilizia pubblica e canone agevolato, a bas-sissimo consumo energetico.

Combinare le tecnologie energetiche con quelle della sicurezza in un approccio di "edi-lizia intelligente e sostenibile".

1. Una mobilità più sostenibile

Contrastare la politica dei tagli selvaggi alla mobilità pubblica proposta dal Governonella manovra sulle regioni.

Favorire investimenti pubblici per il rinnovo del parco mezzi con acquisto di autobusa metano.

Avviare un piano di 1.000 treni per i pendolari, con 300 milioni di euro all’anno percinque anni.

Prevedere incentivi fiscali attraverso i quali i datori di lavori possano fornire ai loro di-pendenti i “ticket-transport”, dei buoni di trasporto, (su modello dei buoni pasto), esclu-sivamente per il tragitto casa-lavoro, su mezzi collettivi e mezzi pubblici.

Sostegno alla ricerca e all’innovazione dell’industria automobilistica per le auto eco-logiche del futuro.

Promuovere l’uso della bicicletta favorendo la filiera collegata: costruttori, riparatori enoleggio, turismo. Potenziando misure come il car-sharing e il bike-sharing ed impo-stando un piano a lungo termine di realizzazione di piste ciclabili.

Favore il passaggio delle merci dalla gomma alla rotaia e al cabotaggio.

1. Elettrodomestici

Ecoincentivi per l’acquisto di frigoriferi e congelatori a basso consumo e per prevederel'ampliamento a lavatrici e lavastoviglie ad alta efficienza energetica delle tipologie dielettrodomestici che possono usufruire delle detrazioni; blocco delle vendite o sovrattassaper tutti gli apparecchi fuori da classe A e da classe A+ per i frigoriferi.

1. Fonti rinnovabili

Siamo riusciti nella manovra a evitare che l’articolo 45 producesse un drastico arrestodel positivo processo in atto. E oggi è possibile raggiungere l’obiettivo del 17% dei con-sumi finali con fonti rinnovabili entro il 2020. Costruire un’industria nazionale del settore

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e promuovere nuove imprese che operino operino nella produzione ed accumulo di ener-gia proveniente da fonti rinnovabili (eolico, solare, biomasse, energia idraulica, biocar-buranti), nella produzione di materiali per l'efficienza energetica, di sistemi atti a ridurrel'impatto ambientale, nella chimica verde, e in tutte leapplicazioni considerate a maggiorefficienza energetica.

1. Semplificazione e certezza delle regole.

Rendere più semplici le procedure delle autorizzazioni per gli impianti che utilizzinofonti rinnovabili e garantiscano risparmio energetico.

Le Regioni completino entro la fine dell’anno i loro piani energetici per il rispetto del“20-20-20”.

I Comuni, sempre nell’arco di quest’anno, adeguino i propri regolamenti edilizi e ur-banistici, affinché tutte le nuove costruzioni rispettino gli obblighi di legge per la produ-zione di calore e di energia elettrica.

1. Territorio, turismo, agricoltura di qualità Favorire le imprese e le economie che si basano sul nostro straordinario patrimonio

ambientale e storico-culturale e puntano sul turismo di qualità, sui prodotti agricoli legatial territorio, alla manifattura italiana. Difendere e promuovere il made in Italy nel mondo.

1. Ricerca e innovazione

Ripristinare il credito d’imposta automatico per la ricerca come base di un’economiache punta sull’innovazione, sulla conoscenza e sulla qualità legata all’ambiente. Prose-guire il lavoro avviato con Industria 2015 e lanciare un programma Industria 2020. Fa-vorire l’avvio di una collaborazione fra le scuole dell’obbligo con Istituzioni locali sui temidella sostenibilità ambientale fino alla sottoscrizione di accordi di programma con Uni-versità e centri di ricerca su pilastri fondamentali dello sviluppo green in apporto con ilsistema economico–produttivo.

Favorire lo sviluppo di Tecnopoli che mettano in rete le strutture di ricerche con lerealtà produttive finalizzando i fondi europei.

1. Rifiuti

Incentivare la riduzione alla fonte dei rifiuti prodotti, il riciclo dei rifiuti e l’industria adesso collegata: un incremento del 15% in dieci anni rispetto ai livelli attuali rappresente-rebbe il 18% dell’obiettivo nazionale di riduzione delle emissioni di CO2. e significherebbefar scendere i consumi energetici di 5 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio.

Promuovere la ricerca nell’ecodesign dei prodotti, riducendo gli imballaggi e quindi irifiuti a monte.

9. Infrastrutture e difesa del suolo

Ripristinare i fondi per le infrastrutture a livello nazionale e usare le opportunità del-l’allentamento del patto di stabilità per i Comuni per aprire subito i cantieri per piccole

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e medie opere di riqualificazione del territorio e delle città, per la manutenzione di scuole,ferrovie e strade, per il completamento del sistema di depurazione.

Ripristinare i fondi per la difesa del suolo e il dissesto idrogeologico che sono passatidai 510 milioni del 2008 a 120 milioni di euro nel 2010.

Sviluppare e diffondere tecnologie avanzate di monitoraggio (basate sull’integrazionedi tecnologie in situ con tecnologie dallo spazio) diffondendo a livello territoriali i risultatiottenuti alla scala internazionale nei grandi programmi di cooperazione europea comeGMES.

10. La sfida della qualità made in Italy. Il ruolo del turismo.

Mettere in rete e rafforzare gli strumenti già esistenti che difendono le nostre produ-zioni da contraffazioni e da imitazioni, garantendo la sicurezza in campo alimentare enon solo, combattendo il dumping sociale e ambientale. Potenziare il settore turisticopuntando sulla qualità e “sulle materia prime” peculiari del nostro paese. Rafforzare lesinergie tra turismo, made in Italy e settore agroalimentare. Fare del turismo una grandeoccasione per il rilancio complessivo dell’economia meridionale.

11. Fiscalità verde

Puntare ad una modifica del sistema fiscale per ridurre il carico su lavoratori e imprese,spostandolo verso i consumi di energia e materie prime e la rendita finanziaria. Fare par-tecipare in maniera più attiva il nostro paese al dibattito aperto in sede europea e mon-diale su ipotesi di imposte sulle emissioni di CO2 legate ai prodotti. Una sorta di“environmental fee” per favorire le produzioni più attente al rispetto dell’ambiente.

12. Il controllo ambientale

Ai cittadini italiani deve essere data la certezza circa il rispetto delle regole da parte ditutti. Va rafforzato il sistema di controlli ambientali, garantendone autorevolezza e indi-pendenza, promuovendo, come indicato a livello europeo, la collaborazione fra impresee organismi pubblici (Ispra, Arpa, Appa), al fine di migliorare le performance ambientalidelle imprese e quindi favorire nel mercato le imprese di qualità.

Vanno sviluppati i servizi ambientali (monitoraggio della qualità dell’aria, circolazionee produttività del mare, gestione dei sistemi costieri, monitoraggio della superficie terre-stre e servizi all’agricoltura, adattamento al cambiamento climatico, etc.) diffondendo alivello nazionale i risultati ottenuti nell’ambito dei programmi di cooperazione europea.

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Occupazione in una low-carbon economy

a cura diAlessandra Bailo Modesti

Le imprese e le società che hanno indirizzato il proprio sviluppo verso un’economiaverde e investito in innovazione verde hanno visto significativi vantaggi: miglioramentodella performance ambientale, aumento dei profitti, accesso migliore e più veloce aimercati dell’export per le proprie innovazioni, migliori opportunità di attrarre e conser-vare lavoratori qualificati, che sempre più sono alla ricerca di lavori più verdi, senzacontare l’esperienza manageriale derivata dalla trasformazione delle proprie impreseche potrà aiutarle in futuro a confrontarsi con nuove sfide e generare la vendita di ser-vizi manageriali e di know-how ad altri.

Investimenti in efficienza energetica, energie rinnovabili e protezione ambientalenon generano solo risparmio e profitti ma creano attività economiche ad alta intensitàdi manodopera. I posti di lavoro così creati sono generalmente qualificati, stabili e nonsoggetti a delocalizzazione.

Si stima che nel 2015, a livello europeo, saranno necessari 2,5 milioni di lavoratoriqualificati nel settore dell’efficienza e del risparmio energetico (un aumento previsto di1,4 milioni di posti nei prossimi 4 anni) senza contare i posti di lavoro che verrannocreati attraverso l’attivazione di nuovi programmi di formazione professionale e univer-sitaria.

Sarà necessaria una formazione adeguata di ingegneri, architetti, energy manager,revisori, artigiani, tecnici e installatori, elettricisti, designer, agronomi, chimici, analistipolitici, avvocati, esperti in progettazione.

Coprire l’intera catena energetica consente di creare occupazione su più livelli dallaricerca e sviluppo di nuove tecnologie, alla formazione, all’impiego della manodopera.(Commissione Europea, 2011).

Sebbene la transizione ad un’economia a bassa emissione di carbonio comporteràuna perdita, in Europa, di più di 3 milioni di posti di lavoro nel settore primario e diquasi 0,8 milioni nel settore manifatturiero, l’analisi dei trend di crescita stimano chetra il 2006 e il 2020 verranno creati più di 20,3 milioni di nuovi posti nel settore dellagreen economy nell’EU-25+ (CEDEFOP - European Centre for the Development of Vo-

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cational Training, 2010).

Infatti, le risorse investite in efficienza energetica e energie rinnovabili possono pro-durre da 2 volte e mezza a 4 volte più lavoro rispetto allo stesso dollaro investito perprodurre energia dal petrolio (Pollin et al., 2009).

Uno dei driver più importanti a sostegno del trend crescente relativo ai green jobs èla sostanziale crescita di investimenti necessari a raggiungere gli obiettivi internazionalidi mitigazione e adattamento. L’UNFCCC (United Nations Framework Convention onClimate Change) ha stimato che ogni anno US$200-210 miliardi verranno investiti ininterventi di mitigazione entro il 2030 e decine di miliardi andranno ad interventi diadattamento. L’UNFCCC ha anche stimato che gli investimenti in infrastrutture energe-tiche saranno US$762 miliardi, una metà dei quali diretti ai PVS. (UNEP – United Na-tions Environment Programme, 2008)

Data l’imponenza degli investimenti futuri in adattamento e mitigazione è impor-tante sviluppare una strategia di stimolo ai green jobs in modo da assicurarsi di averele risorse, le competenze e le qualifiche necessarie a cogliere in pieno la crescita econo-mica che porterà la riconversione verso un’economia verde. Le imprese non potrannofare questo da sole ed avranno bisogno di strategie governative che incentivino l’ado-zione di pratiche di business ecosostenibili e lo sviluppo di tecnologie pulite.

Il tessuto di piccole e medie imprese, di cui l’Italia è ricca, è la struttura economicapiù efficace per rispondere a queste opportunità. Esse, infatti, quando si rivolgono allagreen economy sono altamente innovative, dinamiche e premiano il personale qualifi-cato. L’innovazione verde consente alle imprese di essere all’avanguardia sui mercati in-ternazionali e di abbassare i costi riducendo pratiche di produzione dispendiose intermini di risorse.

L’attuale volume di mercato a livello globale di prodotti e servizi ambientali, inclusil’efficienza, il riciclo, la disinfezione dell’acqua e il trasporto sostenibile è quantificabilein €1000 miliardi e potrà raggiungere i €2.200 miliardi nel 2020 (UNEP, 2008).

Spesso le politiche ambientali sono viste come una potenziale minaccia all’occupa-zione ma, invece, la perdita di occupazione che si verificherà non affrontando seria-mente la crisi climatica sarà di molto superiore: l’esaurimento delle risorse, la perdita dibiodiversità e dei servizi ecosistemici, tempeste, inondazioni e siccità indotte dal muta-mento del clima avranno l’effetto di aumentare anno dopo anno i costi necessari apreservare la redditività di molte attività economiche.

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Economia, 23/05/2011 - Il rapporto ISTATCrisi, l'Italia va avanti con lentezza

SINTESI

Mercato del lavoro in difficoltà. In due anni mezzo milione di giovani ha perso ilposto

In Italia "la crisi ha portato indietro le lancette della crescita di ben 35 trimestri, quasidieci anni" e l'attuale "moderata ripresa" ne ha fatti recuperare 13. E' quanto si leggenel rapporto annuale dell'Istat, in cui si sottolinea anche che nel decennio 2001-2010l'Italia "ha realizzato la performance di crescita peggiore tra tutti i Paesi dell'Unione eu-ropea, con un tasso medio annuo di appena lo 0,2% contro l'1,3% registrato dall'Ue el'1,1% dell'Uem".

-532 MILA OCCUPATI IN 2009-2010, 501 MILA SONO UNDER 30 - "In Italia l'im-patto della crisi sull'occupazione è stato pesante. Nel biennio 2009-2010 il numero dioccupati è diminuito di 532 mila unità". I più colpiti sono stati i giovani tra i 15 e i 29anni, fascia d'età in cui si registrano 501 mila occupati in meno. E' quanto emerge dalrapporto annuale 2010 dell'Istat.

EMORRAGIA LAVORO AL SUD, MA E' CRISI ANCHE AL NORD - Nel biennio di crisieconomica 2009-2010 "più della metà delle persone che hanno perso il lavoro eranoresidenti nel Mezzogiorno", dove l'occupazione si é ridotta di 280 unità. E' quantoemerge dal rapporto Istat 2010, in cui si evidenzia però come la recessione abbia col-pito fortemente anche le Regioni del Nord, dove si contano 228 mila occupati inmeno. "Le Regioni centrali - si legge nel rapporto - sono rimaste invece sostanzial-mente indenni dalle ricadute della crisi".

EROSO RISPARMIO FAMIGLIE, ITALIA SOTTO BIG UE - Le famiglie italiane, per salva-guardare il livello dei consumi, hanno progressivamente eroso il loro tasso di risparmio,"sceso per la prima volta al di sotto di quello delle altre grandi economie dell'Uem", ov-vero dell'eurozona. E' quanto emerge da rapporto annuale 2010 dell'Istat, dove, inol-tre, si sottolinea che lo scorso anno la propensione al risparmio delle famiglie si èattestata aL 9,1%, "il valore più basso dal 1990".

1 ITALIANO SU 4 'SPERIMENTA' POVERTA',ESCLUSIONE - Circa un quarto degli ita-liani (il 24,7% della popolazione, più o meno 15 milioni) "sperimenta il rischio di po-

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vertà o di esclusione sociale". Si tratta di un valore - rileva l'Istat - superiore alla mediaUe che è del 23,1%. Il rischio povertà riguarda circa 7,5 milioni di individui (12,5%della popolazione). Mentre 1,7 milione di persone (2,9%) si trova in condizione digrave deprivazione si trova 1,7 milione (2,9%) e 1,8 milione (3%) in un'intensità lavora-tiva molto bassa. Si trovano in quest'ultima condizione l'8,8% delle persone con menodi 60 anni (6,6% contro il valore medio del 9%). Solo l'1% della popolazione (circa 611mila individui) vive in una famiglia contemporaneamente a rischio di povertà, deprivatae a intensità di lavoro molto bassa. Nelle regioni meridionali, dove risiede circa unterzo degli italiani, vive il 57% delle persone a rischio povertà (8,5 milioni) e il 77% diquelle che convivono sia col rischio, sia con la deprivazione sia con intensità di lavoromolto bassa (469 mila).

1 GIOVANE SU 5 NE' STUDIA NE' LAVORA,SONO OLTRE 2 MLN - Nel 2010 sonopoco oltre 2,1 milioni, 134 mila in più rispetto a un anno prima (+6,8%), i giovani trai 15 e i 29 anni che non lavorano e non frequentano alcun corso di istruzione o forma-zione. Si tratta del 22,1% degli under 30, percentuale in aumento rispetto al 20,5%del 2009. Lo sottolinea l'Istat nel rapporto annuale 2010, in cui esamina il fenomenodei cosiddetti Neet (Not in education, employment or training). L'incremento riguardasoprattutto i giovani del Nord Est, gli uomini e i diplomati, ma anche gli stranieri. In-fatti, nel 2010, sono 310 mila gli stranieri Neet.

800 MILA DONNE ESCLUSE DA LAVORO PER NASCITA FIGLIO - Sono circa 800 milale donne licenziate o messe in condizione di doversi dimettere a causa di una gravi-danza. E' quanto emerge dal rapporto annuale 2010 dell'Istat, in base ad un'indaginecondotta tra il 2008 e il 2009 sulla vita lavorativa delle madri. Si tratta dell'8,7% dellemadri che lavorano o che hanno lavorato in passato e la percentuale sale al 13,1% perle donne giovani nate dopo il 1973. In generale, sottolinea l'Istat, il 15% delle donnesmette di lavorare per la nascita di un figlio.

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IDEE E PROPOSTE

In vista della Conferenza per il Lavoro del Partito Democratico, che si terrà a Genova il17-18 giugno, il Forum Ambiente ed il Forum Lavoro hanno ritenuto importante portareil proprio contributo alla discussione su un tema così centrale per il futuro dell’Italia, at-traverso una serie di riflessioni e di schede che hanno lo scopo di evidenziare le oppor-tunità che offre lo sviluppo sostenibile in termini occupazionali e di crescita economica.

In queste schede, forniteci da vari esperti e che riportano studi e proposte di alcunisoggetti impegnati per la green economy, si evidenzia come lo sviluppo economico e so-ciale sia intimamente legato alla sostenibilità ambientale. Imboccare il binario di una cre-scita economica che abbia al centro i diritti e la tutela dei cittadini e dell’ambiente è lachiave per rilanciare l’economia nel mondo globalizzato, creando occupazione qualificatae dando nuovo slancio al tessuto imprenditoriale italiano.

Le schede qui riportate rappresentano il frutto delle riflessioni e del dialogo tra im-prenditori, sindacati, ricercatori, amministratori, esperti, deputati e strutture di ricercacome l’Ires, l’Arpa Umbria e il circolo dell’Ispra. Lo scopo è quello di fare il punto delleproposte e delle azioni già intraprese a livello nazionale (come il rapporto di Confindustriasull’efficienza energetica) e internazionale (Commissione Europea e Nazioni Unite) sullegame forte che caratterizza la green economy e la creazione di occupazione.

Il Partito Democratico vuole essere all’avanguardia nelle tematiche ecologiste in quantorappresentano il paradigma trasversale capace di informare di sé una vera politica rifor-mista e una nuova e sostenibile politica industriale. La documentazione che seguirà di-mostra che non si tratta solo di idee ma di fatti concreti che possono traghettare il nostroPaese fuori dalla stagnazione verso la ripresa economica e la competitività internazio-nale.

Curatori: Claudio Falasca, Alessandra Bailo Modesti, Betto Aquilone, Piero Capodieci,Enrico Ceccotti, Susanna Cenni, Renato Drusiani, Paolo de Zorzi, Dario Esposito,Andrea Lolli, Marcello Panettoni, Serena Rugiero, Svedo Piccioni, Giuseppe Travaglini,Enzo Valbonesi

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Riciclo rifiuti Scheda a cura di Pietro Capodieci, Dario Esposito La necessità di inquadrare l’intero sistema economico in una cornice di sostenibilità economica, sociale ed ambientale porta a cambiare l’etichetta con la quale identifichiamo alcuni settori industriali, in particolare quelli riguardanti la produzione di Materie Prime. Sotto l’etichetta “RICICLO” ricadono perciò sia vecchi settori di processo sia recenti attività create grazie ai vincoli ambientali introdotti nelle legislazioni europea e nazionale. Fare una mappa delle filiere del Riciclo, anche al fine di stimare la quantità di lavoro interessata e le possibili evoluzioni, significa individuare, filiera per filiera, le attività coinvolte partendo dall’acquisizione delle materie originarie fino alla vendita dei prodotti finali. Proviamo ad elencare i settori che iniziano la loro attività a partire dal recupero delle materie di scarto dei processi produttivi e della fine vita dei prodotti. ACCIAIO E METALLI FERROSI IN GENERE ALLUMINIO E METALLI NON FERROSI BATTERIE CARTA GOMMA INERTI LEGNO OLI MINERALI ESAUSTI OLI E GRASSI ANIMALI E VEGETALI ORGANICO TESSILI VEICOLI RAEE A questi settori del riciclo, sempre in una cornice di sostenibilità, dobbiamo aggiungere i circuiti del RIUSO che si stanno sviluppando in diverse direzioni.

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Sia i più classici degli imballaggi a rendere (vetro ma anche pallet, cassette per la frutta), sia le iniziative già strutturate, dalle cartucce di stampa rigenerate al banco informatico, all’utilizzo dei prodotti alimentari prossimi alla scadenza, sia le iniziative di mercatini dell’usato che non sono più solo piccole attività in genere legate alle parrocchie ma anche iniziative di riduzione dei rifiuti organizzate da comuni e aziende di igiene urbana, pur se non ancora sufficientemente sistematiche.

Una prima schematizzazione dei flussi permette di individuare le fasi principali:

RACCOLTA TRATTAMENTO RICICLO TRASFORMAZIONE

RACCOLTA

SCARTI DI PRODUZIONE

SCARTI DI BENI PRIMA DELL’USO

BENI DOPO L’USO DOMESTICO

BENI DOPO L’USO B to B

TRATTAMENTOSELEZIONE

TRITURAZIONE

SMONTAGGIO

RICICLO

PRODUZIONE MATERIA PRIMA

PRODUZIONE BENE INTERMEDIO

PRODUZIONE BENE FINALE

PRESSATURA

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Per poi analizzare i vari settori per individuare quantità e qualità degli occupati si può utilizzare con qualche difficoltà la Catena del Valore di Porter

I dati disponibili incominciano ad essere numerosi, anche se non per tutte le fasi. Inoltre è più facile trovare dati che riguardano le quantità piuttosto che il valore o la quantità e la qualità di manodopera impiegata. Lo sviluppo in questo ultimo decennio della Raccolta Differenziata Cittadina ha modificato, per alcuni materiali sostanzialmente, modalità e quantità in gioco, incidendo anche sulle politiche di investimento di alcuni settori industriali. E la sempre maggiore importanza mediatica e quindi politica, della questione rifiuti ha migliorato il rilevamento e l’organizzazione dei dati. A questo proposito una prima proposta riguarda l’omogeneizzazione e compatibilità dei dati provenienti dai diversi Osservatori Provinciali Rifiuti, già realizzata in qualche regione, e lo scambio e confronto con tutte le realtà esistenti. Si pensi alla Banca Dati dell’ANCI sviluppata all’interno dell’accordo ANCI-CONAI o a quanto fanno le varie Associazioni di Imprese e a quanto avverrà con il SISTRI.

TRASFORMAZIONE PRODUZIONE DI BENI

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Fig. 3.3.7 Andamento quotazioni BDI

giu 2008 dic 2008 giu 2009 dic 2009

Fonte: Baltic Exchange.

Il trend del mercato del riciclo nel nostro PaeseComplessivamente in Italia nel 2009 sono stati riciclati circa 24,1 milioni di tonnellate di rottami dei vari materiali, anche

per effetto dell’attività del Sistema CONAI-Consorzi di Filiera e della filiera del riciclo dei rifiuti di imballaggio che com-

plessivamente hanno contribuito per quasi il 28% (tab. 3.3.1).

È importante evidenziare come l’incidenza del riciclo dei rifiuti di imballaggio sul totale sia notevolmente aumentata nel-

l’ultimo anno (fig. 3.3.8). Ciò anche grazie al ruolo del Sistema CONAI che, come visto nei precedenti capitoli, ha sapu-

to garantire, a prescindere dall’effettiva convenienza economica, l’avvio a riciclo dei materiali direttamente gestiti, rap-

presentando, quindi, un sostegno e un supporto all’industria del riciclo nazionale.

Tab. 3.3.1 Riciclo complessivo e dei soli imballaggi nel 2009

Riciclo complessivo Di cui imballaggi IncidenzaMateriale 2009 (kton) 2009 (kton) % IMB

Acciaio 12.792 356 2,8%

Alluminio 683 31,2 4,6%

Carta 4.752 3.291 69,3%

Legno 2.600 997 38,3%

Plastica* 1.550 691 44,6%

Vetro 1.764 1.362 77,2%

Totale 24.141 6.728 27,9%

* Dato non ancora disponibile e mantenuto stabile rispetto al 2008. Fonte: Stima CONAI su dati Associazioni di Categoria.

79Conai

Programma generale e Relazione consuntiva 2009

3.0 Il Programma generale di prevenzione e gestione

3.3 Industria del recupero e il mercato delle materie prime seconde

12.0000

10.000

8.000

6.000

4.000

2.000

0

Materiale per materiale proviamo a caratterizzare i flussi nelle fasi specifiche.

ACCIAIO E METALLI FERROSI IN GENERE

LA PRODUZIONE DI ACCIAIO 2005 - 2009 (milioni di ton)

AREE GEOGRAFICHE 2005 2006 2007 2008 2009 2010

UNIONE EUROPEA 195,6 207,0 209,7 198,0 138,8

ITALIA 29,5 31,6 31,5 30,6 19,8 25,7

ALTRI EUROPA 25,0 28,2 30,6 31,8 29,1

CSI 113,2 119,9 124,2 114,3 97,5

NORD AMERICA 127,6 131,8 132,6 124,5 82,4

SUD AMERICA 45,3 45,3 48,2 47,4 38,1

AFRICA+MEDIO ORIENTE 33,2 34,1 35,1 33,7 32,9

ASIA 595,5 672,3 756,9 771,0 799,0

OCEANIA 8,6 8,7 8,8 8,4 6,0

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AREE GEOGRAFICHE 2005 2006 2007 2008 2009 2010

MONDO 1.144 1.247 1.346 1.329 1.224

Fonte Federacciai riportata ne “l’Italia del Riciclo 2010” realizzato da SUSDEF e FISE UNIRE

UTILIZZO DI ROTTAMI 2005 - 2009 (milioni di ton)

AREE GEOGRAFICHE 2005 2006 2007 2008 2009

UNIONE EUROPEA* 106 115 117 111 81

ITALIA** 12,8*Fonte WSA/EUROFER riportata ne “l’Italia del Riciclo 2010” realizzato da SUSDEF e FISE UNIRE**Fonte Federacciai citata da Conai (altre fonti per il 2009 danno 16,5 il di ton)

Il commercio di rottami è, come ormai molte materie prime seconde (MPS), mondiale e trainato, o frenato, dalla Cina.Nella fase della raccolta sono quindi attive società di brokeraggio, logistiche e di commercianti che recuperano da varie fonti i rottami. Le aziende associate ad Assofermet alla sezione Rottami sono circa 400.In Italia le fonti sono:Per quanto riguarda le fonti interne

Fig. 3.3.11 European Ferrous Scrap Price Indices

gen 2009 apr 2009 lug 2009 ott 2009 gen 2010

Fonte: Eurofer.

La storica carenza di materia prima in Italia ha contribuito a sviluppare, in misura superiore rispetto alle altre nazioni,

il ciclo con forno elettrico, ossia la produzione mediante rifusione del rottame ferroso, che rappresenta oltre il 60% della

produzione nazionale.

Nel 2009 la produzione di acciaio complessiva nel nostro Paese ha registrato una drastica riduzione delle quantità con

un calo del 35%, con inevitabili impatti anche sulla produzione al forno elettrico, nella quale vengono utilizzati i rotta-

mi di acciaio, tra i quali in piccola parte figurano anche quelli provenienti dalla raccolta differenziata degli imballaggi.

Il mondo dei rottami metallici è, infatti, suddiviso convenzionalmente in modo abbastanza omogeneo tra:

• demolizioni (industriali, civili, ferroviarie e navali) (30%);

• cascami di lavorazione provenienti da industrie ed officine meccaniche (36%);

• raccolta di rottame vecchio effettuata su suolo pubblico e privato o consegnata direttamente presso centri autorizza-

ti (34%), di cui la parte prevalente è costituita da vecchie auto, elettrodomestici ed altri rifiuti di tipo domestico pro-

venienti dalla raccolta pubblica, oltre agli imballaggi (che complessivamente pesano per un 3% circa del totale dei

rottami avviati a riciclo).

Va però detto che, vista la deficitaria disponibilità nazionale di rottami che rendono necessario il ricorso a consistenti

importazioni comunitarie e non (dal 25% al 30%), il recupero ed il conseguente riciclo degli imballaggi in acciaio

è un’opportunità economica che comunque contribuisce al mercato nazionale. Restano, quindi, ulteriori margini di

crescita per il riciclo nazionale dei flussi di materiale.

Per garantire l’avvio a riciclo del materiale intercettato tramite la raccolta differenziata svolta in convenzione con il

Sistema Consortile, il Consorzio Acciaio si avvale della collaborazione di 126 operatori al fine di garantire l’avvio

a riciclo dei rottami da imballaggio. Questi soggetti fanno capo alla rete SARA (Servizi Ambientali Recupero Acciaio),

ad ASSOFERMET (Associazione Nazionale dei Commercianti in ferro e acciai, metalli non ferrosi, rottami ferrosi, ferra-

menti e affini) e alla rete SOE (Società Operative Ecologiche) per le operazioni di bonifica necessarie per il recupero e

l’avvio a riciclo di alcune tipologie di imballaggi industriali (fusti e cisternette). Va segnalato inoltre che nel corso del

2009 il Consorzio Acciaio ha provveduto a stipulare un Accordo anche con l’Associazione ANRI (Associazione Nazionale

82

230

220

210

200

190

180

170

160

150

Shre

dded

Scr

ap

Dem

oliti

on S

crap

(Fonte Piano Generale Conai 2010)

A cui bisogna aggiungere le importazioni per il 25-30% del totale utilizzato.

Gli imballaggi incidono molto poco in volume sull’utilizzo dei rottami ma sono significativi nella Raccolta Differenziata e nelle successive lavorazioni.

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Rigeneratori Imballi), pertanto sono entrate nel circuito consortile anche nuove piattaforme che svolgono l’attività di

bonifica e rigenerazione dei fusti industriali. A queste categorie di soggetti si aggiungono, poi, altri operatori che stipu-

lano accordi specifici direttamente col Consorzio. Gli operatori che si occupano della selezione e del trattamento dei rifiu-

ti di imballaggio in acciaio sono in taluni casi gli stessi incaricati di gestirne la raccolta.

I principali processi di lavorazione e valorizzazione che devono subire gli imballaggi in acciaio prima di essere conferiti

presso gli impianti finali di riciclaggio (acciaierie e fonderie) sono principalmente:

1. il processo di frantumazione, ossia la triturazione e conseguente riduzione volumetrica e vagliatura/deferrizzazione

del materiale;

2. il processo di “destagnazione”, ossia un trattamento di separazione dello stagno, materiale non gradito dalle acciaie-

rie. Tale attività, che permette di ottenere un rottame di migliore qualità e resa, comporta ovviamente dei costi net-

tamente superiori al classico sistema della frantumazione;

3. il processo di riduzione volumetrica, ossia la pressatura del materiale, principalmente per i flussi di scatolame in banda

stagnata (rifiuti di origine domestica) dotati di elevate caratteristiche qualitative. Lo scopo di questo trattamento è

l’ottimizzazione dei trasporti e una più conveniente valorizzazione.

Di seguito si presenta la distribuzione sul territorio delle 28 acciaierie che utilizzano anche rottami ferrosi d’imballaggio.

Fig. 3.3.12 Distribuzione territoriale acciaierie che utilizzano rottami ferrosi di imballaggio

Fonte: Elaborazione CONAI su dati CNA e Federacciai.

83Conai

Programma generale e Relazione consuntiva 2009

3.0 Il Programma generale di prevenzione e gestione

3.3 Industria del recupero e il mercato delle materie prime seconde

da 9 a 16 (1 Regione)

da 3 a 8 (1 Regione)

2 (1 Regione)

1 (6 Regioni)

0 (11 Regioni)

Impianti di riciclo

Come si vede per i materiali ferrosi i circuiti di raccolta sono essenzialmente privati, a cui si aggiungono i circuiti pubblici relativi agli imballaggi, comprese le frazioni merceologiche simili (fms) anche post inceneritori, ed ai RAEE.Per stimare l’occupazione è necessario visionare le pubblicazioni delle associazioni coinvolte ed eventualmete approfondire con dei colloqui specifici, visto che spesso si tratta di stime più o meno accurate.

ALLUMINIO E METALLI NON FERROSII valori seguenti si riferiscono al 2009, sono perciò eccezionalmente bassi per effetto della crisi sia sulla domanda sia sugli stock:

Produzione Alluminio Primario: 186.000 ton

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Fonderie 24 Chiusure 1

Rottami di Alluminio Impiegati: 683.000 ton Provenienza: 49% Nazionale, 51% Estera; Preconsumo 53%, Postconsumo 47%Fonderie Alluminio Secondario 20 Chiusure 1

La posizione dell’Italia nella produzione di Alluminio Secondario è di importanza mondiale. Il primo paese sono gli USA, il Giappone si alterna con l’Italia tra secondo e terzo posto (si tratta di volumi assoluti non procapite).

Anche in questo settore gli imballaggi contano molto poco sul totale e le quantità di imballaggi in peso sono molto piccole:

IMBALLAGGI ALLUMINIOMigliaia di ton

2005 2006 2007 2008 2009

IMMESSI AL CONSUMO 68,8 71,5 71,9 66,5 62,0

AVVIATI A RICICLO 33,1 35,1 38,6 38,5 31,2Fonte CIAL

È opportuno sottolineare anche che i rottami utilizzati nel corso del 2009 provengono per il 53% da rottami pre-consu-

mo e per il 47% da post-consumo. I rottami post-consumo sono stati penalizzati a causa del deprezzamento dei rotta-

mi e in questa situazione di mercato è prevalsa quindi la ricerca di materie prime seconde di maggiore qualità anche

considerando l’elevata disponibilità di rottami sul mercato per la contrazione della domanda. Nel corso dell’anno si è

attivato inoltre un sistema di stoccaggi di rottame, tra cui anche per i rifiuti di imballaggio, in attesa di una ripresa dei

loro listini. In linea con questa dinamica è l’elevato aumento delle esportazioni di rottami e cascami soprattutto indiriz-

zate verso il Far East a fronte di importazioni in forte calo (da oltre 377 kton nel 2008 a 269 kton nel 2009). In un solo

anno l’export di rottami è aumentato del 46% da 56 kton a 82 kton; tale incremento lascia anche supporre che quote

di rifiuti di imballaggio in alluminio possano aver preso la via dei Paesi orientali, in quanto gli unici a pagare prezzi mag-

giori rispetto a quelli applicati in Europa.

In un contesto così critico, il Consorzio Cial ha proseguito la propria attività legata alla raccolta che, anche per il 2009, si

conferma prevalentemente caratterizzata dalla modalità multimateriale: sia nella tipologia “multimateriale leggera”

(imballaggi in alluminio, acciaio e plastica, per un valore pari al 41% del totale degli abitanti serviti) sia come “multi-

materiale pesante” (imballaggi di alluminio, acciaio, vetro, plastica, per un valore pari al 34% del totale degli abitanti

serviti). Solo l’8% della raccolta avviene con modalità mono-metalli (acciaio e alluminio) e un rimanente 17% provie-

ne dalla raccolta di vetro e metalli.

Nel caso degli imballaggi in alluminio, infatti, la raccolta monomateriale non risulta economicamente e

quantitativamente conveniente in considerazione della modesta quantità di rifiuti captabili, soprattutto in funzione del

basso peso specifico.

La scelta tra le differenti tipologie di multimateriale è influenzata dalla capacità impiantistica di valorizzazione del mate-

riale, oltre che da scelte economico-gestionali e di efficienza del sistema di raccolta adottato.

Gli imballaggi dalla raccolta differenziata sono conferiti al Consorzio Cial a seguito di verifica della qualità e, laddove

necessario, vengono avviati ad una ulteriore selezione.

La selezione avviene presso le piattaforme di conferimento, ossia operatori privati che rientrano nel comparto della sele-

zione e della preparazione per il riciclaggio, tali operatori possono essere convenzionati con Cial o operare liberamente

sul mercato. Il materiale trattato e selezionato è poi negoziato sulla base del prezzo di mercato delle materie prime

seconde. Il processo di riciclo consiste nella fusione dei rottami, cui fa seguito la fase di centrifugazione, asciugatura e

selezione mediante magnete, con l’obiettivo di rimuovere eventuali residui ferrosi ancora presenti, nonché oli e grassi.

La fase finale consiste nella fusione vera e propria con la formazione di lingotti, pani, placche e billette da utilizzare quali

semilavorati per la fabbricazione di laminati e profilati per trasporti, edilizia e industria in senso lato.

Nel corso del 2009, inoltre, il Consorzio ha contribuito all’attivazione di raccolte sussidiarie, stipulando accordi anche con

operatori privati.

Si riporta, nella pagina seguente, la distribuzione delle 20 fonderie che nel 2009 hanno utilizzato anche rottami d’im-

ballaggio.

86

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Fig. 3.3.15 Distribuzione territoriale fonderie che utilizzano alluminio secondario da imballaggio

Fonte: Elaborazione CONAI su dati Cial.

La filiera dei maceriL’alto impiego di maceri all’interno del settore cartario europeo rende la filiera della raccolta-recupero un comparto stra-

tegico per l’industria. L’Europa è storicamente un’area esportatrice di maceri, visto l’alto tasso di raccolta che la contrad-

distingue.

A partire dal 2003 le quantità di macero esportate sono cresciute progressivamente, soprattutto in Italia, Portogallo e

Francia. In quest’ultima i dati del 2009 rilevano un forte salto nei volumi in uscita, pari a 555.000 ton.

In Germania, al contrario le quantità di macero esportate sono progressivamente calate fino al 2007, anno in cui il paese

è diventato importatore netto. Ciò è ascrivibile agli importanti investimenti degli ultimi anni che hanno incrementato la

capacità produttiva a base macero del Paese, e quindi la domanda interna.

La Spagna e la Svezia sono anch’esse aree di importazione, con quantità scambiate sostanzialmente stabili nel tempo

(fig. 3.3.16).

87Conai

Programma generale e Relazione consuntiva 2009

3.0 Il Programma generale di prevenzione e gestione

3.3 Industria del recupero e il mercato delle materie prime seconde

da 5 a 7 (2 Regioni)

da 3 a 4 (1 Regione)

2 (2 Regioni)

1 (3 Regioni)

0 (12 Regioni)

Impianti di riciclo

BATTERIE

Le Batterie si dividono al di là della composizione tra quelle ad uso dei veicoli o industriale e quelle portatili, ricaricabili o meno.

I dati più attendibili riguardano gli accumulatori al piombo poiché opera in questo settore dalla fine del 1988 il COBAT. La legislazione modificata alla fine del 2008 in recepimento della direttiva europea 2006/66/CE deve ancora produrre effetti pratici. Giusto per avere un’idea dell’attività svolta da Cobat basta considerare che, solo per la raccolta, riesce a contattare 60.000 “produttori di rifiuto” con circa 132.000 su tutto il territorio nazionale.

Il 50% circa della produzione di piombo a livello mondiale viene assorbito dall’industria degli accumulatori che per il 60% circa del loro peso sono appunto costituiti da piombo.

I DATI COBATVengono intercettate almeno per il 90% le batterie immesse al consumo, riducendo continuamente la quota dispersa nel circuito “fai da te”.

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RISULTATI 2008 TON, *litri

BATTERIE ESAUSTE RACCOLTE 161.170

PIOMBO SECONDARIO PRODOTTO 119.332

ACIDO SOLFORICO RECUPERATO 27.222.545 *

POLIPROPILENE RECUPERATO 7.430

RISULTATI CUMULATI 1991-2008 TON, *litri

BATTERIE ESAUSTE RACCOLTE 3.031.730

PIOMBO SECONDARIO PRODOTTO 1.697.729

ACIDO SOLFORICO RECUPERATO 496.101.273

POLIPROPILENE RECUPERATO 142.491

Fonte COBAT

Per quanto riguarda pile ed accumulatori portatili i dati sono più incerti, comunque per l’Italia si parla di circa 30.000 ton immesse al consumo all’anno con una raccolta (non riciclo) inferiore al 5%.

CARTA

La Produzione Cartaria italiana (migliaia di ton):

ANNO 2005 2006 2007 2008 2009

IMBALLAGGI* 4.315 4.400 4.619 4.501 4.092

ALTRA CARTA e CARTONE 5.458 5.347 5.431 5.033 4.527

TOTALE 9.773 9.747 10.050 9.534 8.619

*(a me sembrano gli imballaggi immessi al consumo piuttosto che la produzione)

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La Raccolta Differenziata (migliaia di ton):

ANNO 2005 2006 2007 2008 2009

RACCOLTA APPARENTE* 5.792 6.005 6.187 6.316 6.195

RD COMUNALE 2.358 2.533 2.750 2.945 3.091

RD COM/RACC APP % 40,71% 42,18% 44,45% 46,63% 49,89%

*Raccolta Apparente=Consumo+Export-ImportFonte COMIECO

ANNO 2005 2006 2007 2008 2009

RIFIUTI DI IMBALLAGGI AVVIATI A RICICLO

2.875 2.931 3.218 3.323 3.291

%RISPETTO A IMMESSO AL CONSUMO

66,6% 66,6% 69,7% 73,8% 80,4%

Negli ultimi mesi si sono anche rafforzate le importazioni cinesi, consentendo all’inizio di bilanciare la carenza di

domanda interna, ma rischiando in seguito di creare tensioni sui mercati interni, meno appetibili per i fornitori di maceri

dal punto di vista dei prezzi.

Il mercato dei maceri ha visto infatti permanere il fenomeno del dual listing anche nel 2009, con quotazioni per le merci

destinate ai mercati asiatici nettamente superiori a quelle realizzabili sui mercati interni (fig. 3.3.18).

Fig. 3.3.18 Prezzo dei maceri 1.02 per il mercato tedesco e del Far East – 2009

Euro/ton gen feb mar apr mag giu lug ago set ott nov dic

Fonte: Euwid.

Da sempre l’industria cartaria nazionale ricorre in misura sostanziale ai maceri quali input produttivi (nel 2009 il

tasso di utilizzo è stato pari al 56,5%). Tale percentuale varia molto in funzione della tipologia di carta e cartone

prodotti, passando da un utilizzo dell’11,9% per le carte per usi grafici al 100% per le carte e cartoni da imballaggio.

L’85% (pari a circa 4 milioni di tonnellate) del totale del macero utilizzato nel 2009 è stato impiegato nel comparto della

produzione di carte e cartoni da imballaggi. Anche il comparto cartario nazionale ha fortemente risentito della crisi con

un calo della produzione di circa 1 milione di tonnellate, riportando il settore ai valori degli ultimi anni Novanta. Per la

prima volta da anni cala anche la raccolta interna di maceri rispetto al 2008 (–1,9% circa) anche per effetto della dimi-

nuzione del consumo interno di maceri del 10%, sulla scia della generale contrazione della produzione nazionale.

Continua invece a crescere l’export che ha raggiunto e superato 1,8 milioni di tonnellate. Tale dato è ancora più signifi-

cativo se si considera che nel 1999 l’export era di appena 100.000 tonnellate.

Per quanto riguarda, invece, la produzione nazionale di maceri, va distinto il doppio canale di provenienza:

1. maceri da raccolta differenziata, prevalentemente costituiti da prodotti cartari e giornali di origine domestica e di pro-

venienza di piccole attività commerciali e uffici. Questo macero dopo la raccolta necessita di una selezione per elimi-

nare le impurità prima di essere conferito in cartiera;

2. maceri da raccolta industriale e commerciale, prevalentemente rappresentato da rifili di cartotecnica, casse di cartone

ondulato, rese di quotidiani e periodici, tabulati, ecc. Il macero è, quindi, localizzato presso industrie cartotecniche ed

editoriali, uffici e grandi magazzini e una volta raccolto può essere utilizzato senza alcun trattamento da alcune cartiere.

89Conai

Programma generale e Relazione consuntiva 2009

3.0 Il Programma generale di prevenzione e gestione

3.3 Industria del recupero e il mercato delle materie prime seconde

80

70

60

50

40

30

20

10

0

Far E

ast p

rice

Germ

any

price

L’aspetto più rilevante, dovuto alla importanza della Raccolta Differenziata su suolo pubblico ed assimilata, è l’assoluto sganciamento della raccolta e del riciclo dalla fase economica. Proprio la crisi straordinaria che ha avuto il picco negativo

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nel 2009 ha mostrato l’importanza del sistema Conai-Consorzi di filiera nel mantenere elevati tassi di raccolta e soprattutto di riciclo.

Ai fini del funzionamento del sistema che vede Comieco quale coordinatore e garante del riciclo dei rifiuti di imballag-

gi in carta e cartone raccolti dai Comuni nell’ambito delle convenzioni ANCI-CONAI, è stata individuata una rete di piat-

taforme di primo conferimento del materiale per le attività di selezione, pressatura e quindi messa a disposizione delle

cartiere.

La piattaforma non ha un legame contrattuale con Comieco ma stipula un contratto di servizi con la cartiera destinata-

ria del macero. Inoltre, Comieco, insieme a Corepla e Rilegno, ha attivato una rete di piattaforme per il ritiro gratuito

degli imballaggi secondari e terziari provenienti sia dal circuito industriale che commerciale. Il successivo avvio a riciclo

degli imballaggi da raccolta differenziata, avviene nelle cartiere che utilizzano macero; si tratta di 66 impianti che pro-

ducono materia prima per imballaggio e che, sulla base delle quantità prodotte e dell’utilizzo di macero come materia

prima, riservano una quota di input alla raccolta proveniente dalle convenzioni con Comieco.

Fig. 3.3.19 Distribuzione territoriale delle cartiere in convenzione con Comieco

Fonte: Elaborazioni CONAI su dati Comieco.

90

da 9 a 15 (3 Regioni)

da 3 a 8 (5 Regioni)

da 1 a 2 (7 Regioni)

0 (5 Regioni)

Impianti di riciclo

Le Cartiere che utilizzano maceri sono 66.

Lo sviluppo dell’export, giunto a 1.800 Kton, risponde agli spostamenti mondiali della domanda e permette lo sviluppo della raccolta anche in zone povere di impianti. Si deve ricordare che non sono lontani gli anni nei quali l’Italia era un importatore netto per 1 milione di tonnellate.

Pur essendo il riciclo della carta in Italia molto antico, lo sviluppo della raccolta, conseguente ai vincoli introdotti dalla legislazione europea e poi italiana e alla particolare struttura del sistema dei consorzi dovuta al decreto Ronchi, ha modificato sostanzialmente il sistema industriale. La crescita ha riguardato le strutture per la Raccolta Differenziata dei Comuni, le piattaforme di conferimento e di selezione e lavorazione dei maceri, gli investimenti in cartiera allo scopo di utilizzare maceri di bassa qualità e più alte impurità. L’impegno di COMIECO e dei Comuni, di cui l’Accordo ANCI-CONAI è il quadro contrattuale ha permesso lo sviluppo quantitativo in tutto il paese insieme allo sviluppo qualitativo con una discesa costante delle impurità ormai stabilmente sotto il 3% anche nella raccolta congiunta.

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Stima dell’impatto occupazionale di un modellovirtuoso di gestione dei rifiuti urbani in italia

Scheda di sintesi seminario Catania

di Paolo Contò

Premessa Il presente lavoro ha l’obiettivo di valutare in via preliminare quale potrebbe essere

l’incremento occupazionale conseguente all’introduzione in Italia di un modello di ge-stione dei rifiuti urbani fondato su un sistema di raccolta differenziata spinta. Il lavoronon esaurisce la necessità di approfondimento scientifico per la validazione dei risultati.Gli elementi e la tendenza dei dati analizzati consente però di affermare che il probabileesito di uno studio del settore non si discosterebbe in modo significativo dalla tendenzamessa in luce. Infine, l’incremento occupazionale – anche se significativo – non risultaaggravato da pressione tariffaria agli utenti nella situazione locale esaminata, come con-fermano peraltro vari altri studi condotti a livello nazionale e regionale sugli aspetti eco-nomici della gestione.

Metodo di valutazione Il modello ha assunto come elementi di dimensionamento i dati di un gestore del ser-

vizio rifiuti urbani (Contarina spa, Treviso), prima e dopo l’introduzione del sistema diraccolta differenziata spinta. L’azienda opera attualmente su un bacino di gestione di 49Comuni per complessivi 470.000 abitanti residenti e circa 23.000 utenze non domesti-che. Prima dell’introduzione del sistema porta a porta raggiungeva un risultato di raccoltadifferenziata del 27%, ovvero circa l’attuale situazione media Italiana. Attualmente l’in-tero bacino servito ha raggiunto il 79% di raccolta differenziata. Il salto di efficienza am-bientale è stato quindi assunto come buon modello per immaginare lo scenario dicambiamento per la realtà italiana dalla situazione attuale ad una situazione idealmenteottimale. Attraverso dei driver di estensione dei dati dal campione all’universo Italia (abi-tanti, quantità di rifiuti intercettati, comuni serviti), sono state stimate le unità occupateante/post raccolta differenziata. I dati sono stati oggetto di rettifiche sui parametri di dri-ver sulla base di considerazioni geografiche fatte sull’esperienza, senza tuttavia apportaresignificativi stravolgimenti al risultato finale. Il dato significativo su cui focalizzare le ri-flessioni non è tanto il numero assoluto degli occupati (dato influenzato dalla situazionedell’azienda campione), quanto l’incremento percentuale stimato in quanto indipendentedall’efficienza: anche se l’azienda campione risultasse diversa per indicatori e parametriproduttivi, l’incremento atteso risulterebbe confrontabile.

Perimetro delle attività considerate La filiera di gestione dei rifiuti urbani coinvolge normalmente molti soggetti in sinergia

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fra loro. Il perimetro di valutazione comprende: -le attività operative di raccolta differen-ziata e non. Sono comprese eventuali terziarizzazioni e

personale in subappalto; in questo ambito sono inclusi gli addetti alla movimentazioneraccolta e trasporto dei contenitori dagli Ecocentri, oltre al personale costituito da capiservizio e di coordinamento operativo;

-le attività di recupero successive alla raccolta differenziata fino alla selezione prelimi-nare dei rifiuti. Ad esempio non sono comprese le attività delle aziende di recupero etrasformazione del sistema CONAI, COBAT, COOU, CONOE, ecc…, limitandosi alla solaselezione e preparazione di ciascun per materiale omogeneo da consegnare ai consorzidi filiera;

-Le attività di gestione degli impianti di trattamento e smaltimento della frazione nondifferenziata (impianto CDR), compreso il personale pro-quota degli impianti di smalti-mento finale dei prodotti in uscita (impianti termici, inceneritori, discariche…);

-La guardianìa degli Ecocentri, anche se terziarizzata; -Il personale amministrativo, sia della rete clienti (sportelli, commerciale, back-office

utenti) esclusi gli addetti al numero verde, sia l’amministrazione generale e la strutturatecnica di coordinamento;

-Le attività di gestione degli impianti di trattamento e recupero della frazione organica(umido + vegetale), considerando un trattamento di compostaggio, esclusi gli impiantiterzi per lo smaltimento dei sovvalli;

-Il personale operativo addetto ai servizi al territorio (spazzamento, cestini, pulizia ter-ritorio strade fossati ecc) compreso personale costituito da capi servizio e da coordinatorioperativi;

-Gli addetti al magazzino dei cassonetti, che comprendono le attività di allestimento(adesivazione, montaggio, deposito e consegna all’utenza). Infatti il sistema porta a portaè effettuato tramite contenitori rigidi. Sono esclusi gli addetti alla produzione dei conte-nitori;

Non sono comprese altre attività svolte dall’azienda – e quindi dal modello teorico -che non sono state espressamente indicate.

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Si ripete, il dato cui far riferimento è la stima dell’incremento percentuale di addetti.. L’analisi pertanto mette in evidenza una potenzialità teorica di incremento dell’occupa-zione del 56¬58% rispetto agli attuali addetti occupati in attività riferite al perimetrogestionale individuato, introducendo in Italia un sistema di gestione dei rifiuti urbani chedall’attuale situazione (raccolta differenziata inferiore al 30%) consolidi risultati prossimiall’80% di raccolta differenziata.

Risultati La sintesi dell’elaborazione si rappresenta con la seguente tabella riassuntiva.

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INVESTIMENTI E OCCUPAZIONE NEL SERVIZIO IDRICO

scheda a cura di: Andrea Lolli e Renato Drusiani

Gli investimenti stimati dai piani d’ambito ad oggi assentiti, ovvero per 76 dei 92 ATO previsti, ammontano complessivamente a oltre 40 miliardi di Euro.

Sulla scorta delle valutazioni effettuate da importanti analisti del settore [1], l’estrapolazione di questa voce a tutto il territorio nazionale indica che il valore complessivo della spesa per investimenti prevista per i prossimi 25-30 anni risulta pari a circa 60 miliardi di Euro.

I contributi pubblici a fondo perduto, al momento previsti, ammontano a poco più di 6 miliardi di Euro e corrispondono solo a circa il 10 % della spesa complessiva prevista.

Gli interventi indispensabili riguardano soprattutto acquedotti, reti fognanti e impianti di depurazione degli scarichi e gran parte di tali risorse, oltre il 55%, dovranno necessariamente essere destinate a manutenzione straordinaria di opere esistenti per poterne garantire il funzionamento anche nel futuro.

In particolare per ciò che attiene gli acquedotti dovranno essere privilegiati gli investimenti per la riduzione delle perdite che, attualmente sono sull’ordine del 30 %dell’acqua totale immessa in rete.

Per quanto invece riguarda le nuove opere sono assolutamente indispensabili e prioritari gli interventi per la realizzazione di nuovi depuratori nelle aree sprovviste o servite in modo insufficiente sia per una corretta politica territoriale ma anche per garantire una qualità ambientale che favorisca il potenziale turistico del nostro Paese.

In tal modo è possibile anche evitare le pesanti sanzioni comunitarie che hanno gravato e gravano sul nostro Paese privandolo di risorse fondamentali per interventi preventivi nel campo della politica ambientale.

1 Rapporto annuale sulla situazione dei servizi idrici realizzato da Utilitatis ed Anea,

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Gli investimenti effettuati per la realizzazione delle infrastrutture idriche hanno importanti ripercussioni e conseguenze anche sul versante occupazionale e costituiscono uno strumento importante di mantenimento ed ampliamento della occupazionale diffusa sul territorio e stabile nel medio-lungo periodo.

E’ stato stimato (Autorità dei Contratti Pubblici) che un miliardo di euro di investimenti nella realizzazione di opere acquedottistiche, fognarie e depurative determina una occupazione diretta e indiretta di 10.000 a 15.000 lavoratori.

Pertanto gli investimenti attualmente già previsti, e assolutamente indispensabili, se realmente attuati, potranno determinare fra i 600.000 e i 900.000 nuovi posti di lavoro.

Perché ciò avvenga è indispensabile attuare una radicale inversione nella politica ambientale del nostro Paese avviando una “grande riforma strutturale per il governo delle risorse idriche”

Si deve urgentemente porre rimedio ai danni prodotti, soprattutto negli ultimi anni, da una totale incertezza del quadro legislativo e normativo di riferimento e soprattutto dalla totale inesistenza di chiari orientamenti di governo e di concreti interventi economici.

Il governo della risorsa idrica non può più essere lasciato al caso, ad un governo indeterminato e polverizzato, a vecchie modalità e consuetudini, a controlli insufficienti e a disservizi gestionali ne, tantomeno, alla speculazione privatistica.

Occorre dare certezza di legge , orientamenti politico-amministrativi chiari e concreti, obiettivi precisi e realizzabili e consistenti finanziamenti a sostegno di tale politica.

Occorre dare corso ad una rinnovata stagione di interventi e finanziamenti pubblici che proceda su rigorosi piani pluriennali di investimenti certi e garantiti nel tempo.

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Si deve avviare un piano quinquennale di investimenti pubblici che destini a queste opere dai 12 ai 15 miliardi di euro all’anno con la conseguente creazione di circa 150.000 nuovi posti di lavoro all’anno.

Al reperimento di tali finanziamenti deve contribuire anche un nuovo sistema tariffario non speculativo che riconosca il diritto di ogni cittadino all’approvigionamento idrico necessario ai suoi bisogni e il valore sociale della risorsa e del servizio, garantisca i consumi minimi per le fasce sociali più deboli.

DISSESTO IDROGEOLOGICO-RISORSE-OCCUPAZIONE

Scheda a cura di: Paolo De Zorzi - Ispra

Il rischio idrogeologico è strettamente connesso al concetto di sicurezza ambientale. Frane ed esondazioni, causate da uno scriteriato uso del territorio, sono fenomeni i cui numeri sono impressionanti da qualunque punto di vista li si osservi. A causa di eventi di dissesto idrogeologico, si è registrato, solo negli ultimi 20 anni, il coinvolgimento di circa 70.000 persone e oltre 30.000 miliardi di danni.

Il Paese sostiene un costo, in primis in termini di vite umane, ed ovviamente di risorse economiche e ambientali. I numeri, nella loro crudezza, parlano chiaro: il 7 % dell’intero territorio nazionale è classificato come a potenziale rischio idrogeologico più alto (corrispondente a circa 21000 km2 tra aree franabili, alluvionabili e a rischio valanga). In base all’ultimo aggiornamento ufficiale al 2007 sono censite oltre 485.000 frane, di cui circa 220.000 fenomeni franosi attivi. Più di 6600 comuni italiani sono in varia misura interessati. Vi sono regioni dove la percentuale dei comuni interessati da situazioni di rischio idrogeologico è particolarmente elevata (Calabria, Umbria e Valle d’Aosta) e nessuna regione, comunque, risulta immune dal problema.

Proprio la consapevolezza dell’alto livello di rischio in cui grava la gran parte del territorio italiano ha richiesto negli anni l’implementazione di specifiche norme in materia. Queste, tuttavia, da sole non risultano efficaci se non sostenute da adeguate risorse economiche, per la prevenzione, la risoluzione delle situazioni di rischio e per dare impulso alla ricerca scientifica in materia. C’è da attivarsi, quindi, con interventi di natura strutturale (ingegneristici e di rinaturalizzazione/conservazione), in un contesto di compatibilità ambientale, per la sistemazione dei versanti e la regimazione delle acque, nonché con la realizzazione di opere di difesa passiva a tutela di soggetti a rischio. Accanto a tali misure, si deve operare con misure di salvaguardia non strutturali di tipo preventivo (manutenzione ordinaria, azioni di informazione della popolazione sulle aree classificate a rischio e politiche di programmazione e pianificazione territoriale). Risulta indispensabile alimentare e sviluppare la conoscenza

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circa tutti i fattori connessi ai fenomeni di dissesto (il solo indispensabile aggiornamento dell’inventario degli eventi di dissesto richiederebbe risorse per 6 Milioni di Euro in tre anni).

Un piano di sistemazione delle situazioni di dissesto, anche sulla base dei dati dei Piani di Assetto Idrogeologico (D.L. 180/98, D.Lgs. 152/06), richiede uno sforzo economico pari a circa 40 Miliardi di Euro, da potersi distribuire nell’arco di 10 anni. Si tenga conto dell’attuale divario tra il fabbisogno e quanto finanziato attraverso risorse pubbliche: nel periodo 1999-2010 a fronte di circa 3400 interventi, l’importo finanziato è poco meno di 3 Miliardi di Euro (465 Milioni di Euro nel 2010).

Visti i numeri, assicurare la sicurezza ambientale ai cittadini di fronte al rischio idrogeologico non si può che tradurre, quindi, nel riconoscimento che tali azioni possono generare una massiccia mobilizzazione di nuova occupazione, diversificata per tipologia e competenza.

Sono richieste diverse figure professionali, quali ingegneri, geologi, architetti, agronomi, specialisti in scienze ambientali e operai specializzati tali da coprire il complesso degli interventi di carattere strutturale e non.

Un piano decennale di 4 Miliardi di Euro all’anno, in grado di ridare la sicurezza che ora è negata ai cittadini, consentirebbe di generare nuova occupazione per circa 70.000 addetti all’anno2

PARCHI E LAVORO

scheda a cura di: Enzo Valbonesi

Il valore dei beni comuni di cui le aree protette garantiscono la riproducibilità

Si stima che circa i due terzi dei servizi offerti “gratuitamente” dagli ecosistemi naturali , quali la regolazione climatica, la fornitura di acqua dolce , le risorse ittiche , la fertilità dei suoli ecc. si stanno impoverendo a causa di fattori antropici.

In Italia, come nel resto del mondo, molti di questi beni naturali che generano i così detti “servizi ecosistemici” sono racchiusi nei parchi che attraverso le politiche di conservazione attuate dai soggetti gestori ne garantiscono la tutela e l’uso razionale.

Dai primi risultati di diversi studi di alta qualità scientifica promossi dall’ONU emerge che , nel mondo, la perdita globale dei servizi ecosistemici ammonta a 50 miliardi di euro all’anno. Con l’incremento delle temperature e dell’acidificazione degli oceani si 2 Sulla base di una stima del 5% di spese generali e 10% di spese di produzione e progettazione ed un costo per addetto pari a circa 50000 Euro/anno

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prevede che nel 2030 il 60% delle barriere coralline sarà scomparso. Per il 2050 si ipotizza che andrà perduto circa l’11% delle aree naturali del pianeta. Quelle cioè, come le foreste pluviali, che conservano risorse genetiche straordinarie molte delle quali ancora non sono del tutto conosciute e che , probabilmente, potrebbero essere utilizzate in campo farmaceutico o alimentare per soddisfare bisogni umani importantissimi . Nel complesso , la perdita in termini economici potrebbe rappresentare il 7% del PIL mondiale.

Molti dati sperimentali dimostrano che gli ecosistemi caratterizzati da una maggiore varietà di specie sono anche quelli più produttivi, più stabili , più resistenti e meno vulnerabili alle pressioni esterne e quindi i territori dotati ancora di risorse naturali in buono stato di conservazioni sono i più attraenti per la vita dell’uomo ed anche più competitivi rispetto a territori più degradati o più esposti agli eventi ambientali “estremi”(ad esempio le esondazioni dei fiumi o le mareggiate ecc.).

I Comuni dei parchi

Oltre un quarto dei comuni italiani , circa 27 mila ,sono territorialmente interessati dalla presenza di un'area protetta (nazionale, regionale o locale).

Questa percentuale sale a due terzi per quanto riguarda i piccoli comuni, quelli cioè al di sotto dei 5. 000 abitanti.

L’occupazione diretta nelle aree protette

Particolarmente significativa è la dimensione economica che queste realtà esprimono. Le aree protette nazionali e regionali occupano direttamente circa 8.000 lavoratori, in gran parte laureati ,dipendenti degli enti di gestione delle aree protette stesse.

Nell’indotto più direttamente collegato ,ed in particolare nei servizi, nell’agricoltura e nel turismo si stima che operino altri 61.000 addetti così ripartiti :

Servizi: 5.500 occupati circa, nelle 1.200 imprese che forniscono servizi legati alla fruizione dei parchi quali l’accoglienza dei visitatori, le attività di educazione ambientale, quelle di guida escursionistica ecc.

Turismo: 52.000 circa nelle 17.600 strutture per l’ospitalità e nelle 12.000 strutture per la ristorazione che secondo le analisi effettuate sono quelle che accolgono i visitatori dei parchi.

Agricoltura e commercio: 3.500 circa nelle 800 imprese agricole e commerciali legate ai prodotti tipici dei territori dei parchi di tipo agroalimentare , artigianale ecc.

Delle 12.000 imprese che operano nei servizi connessi alla attività dei parchi circa 500 sono società cooperative che associano in prevalenza giovani residenti nei comuni dei parchi ,molti dei quali sono collocati in aree economicamente marginali , dove è ancora molto alta l’emigrazione giovanile ed intellettuale.

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I parchi motore dello sviluppo sostenibile locale delle realtà più marginali del paese

In molte parti del paese, soprattutto nel Mezzogiorno e nei territori di montagna, l'istituzione delle aree protette ha infatti creato nuova occupazione e ha acceso speranze di rinascita economica e sociale soprattutto tra le giovani generazioni. Le forze interessate al consolidamento dell’esperienza dei parchi sono molte, ma spesso alcune di loro (sia interne che esterne ai territori coinvolti) tendono ancora a contrapporre la tutela ambientale allo sviluppo sociale ed economico locale, fondato sul protagonismo dei residenti e sulla sostenibilità.

Non sempre si coglie ancora con chiarezza come i parchi siano in grado di attivare e sviluppare una propria e particolare economia sostenibile di cui i primi beneficiari sono proprio gli agricoltori, i produttori di tipicità, l’artigianato tradizionale, il turismo di qualità, l’edilizia del restauro, gli operatori dei servizi, le forze della ricerca scientifica e della formazione.

La mancanza di una politica nazionale di accompagnamento alla attività dei singoli parchi, siano essi nazionali o regionali, capace di offrire delle nuove opportunità di lavoro , attraverso la valorizzazione delle risorse del territorio, ha impedito in questi anni di fare sprigionare appieno le potenzialità economiche connesse alla esistenza delle aree protette.

L’affermarsi delle opportunità offerte dall’economia del parco potrebbe infatti permettere , in maniera molto maggiore di quanto avvenga ora, alle comunità locali la possibilità di migliorare la propria vita, il proprio lavoro, la propria cultura e la propria funzione di presidio del territorio.

Il successo di un Parco dipende in buona misura dalla capacità di innescare dei processi economici di tipo nuovo ed una nuova qualità dell’economia locale fondata sull’uso riproducibile e non di rapina delle risorse naturali, storiche e culturali.

Il turismo dei parchi

Vale la pena di soffermarci brevemente nella pur sommaria analisi del settore del turismo che rappresenta una delle componenti più promettenti dell’economia collegata alle aree protette

I dati delle tendenze turistiche registrati in questi ultimi anni dai principali osservatori del turismo italiano confermano che il "turismo nei Parchi" è una realtà in crescita così come del resto lo è in tutte le parti del mondo . Basti pensare alle mete turistiche costituite dai Parchi degli USA .

Questo tipo di turismo consapevole, rispettoso dell'ambiente e delle realtà locali, può contribuire a proteggere lo straordinario patrimonio naturale e culturale di cui l'Italia è ricca e allo stesso tempo innescare processi economici in grado di costituire il valore aggiunto indispensabile affinchè molte delle piccole realtà collocate nelle aree più interne e di montagna del nostro paese possano avere un futuro dignitoso di sopravvivenza.

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Sono infatti circa 30 milioni i visitatori stimati attraverso gli ingressi registrati dalle strutture che fungono da centri di visita dei parchi ,mentre sono intorno ai 97 milioni le presenze registrate nel 2010 nelle strutture ricettive dei Comuni dei Parchi

I parchi rappresentano dunque una delle mete turistiche più richieste all'interno di un comparto, quello dell'ecoturistico, che fa segnare una media mondiale di crescita maggiore di circa il 4, 6% rispetto agli altri turismi.

EFFICIENZA E RISPARMIO ENERGETICO

scheda a cura di: Alessandra Bailo Modesti

In Italia dal 1997 al 2008 i tassi di crescita del PIL hanno coinciso con quelli dei consumi energetici: la produttività di un’unità di energia è rimasta ferma negli ultimi 10 anni.

L’investimento in aumento dell’efficienza energetica in settori quali industria, edilizia, residenziale, terziario e trasporti può dare origine a un ciclo virtuoso consistente nell’incremento della competitività delle aziende, che si traduce anche in maggiori esportazioni di prodotti/tecnologie, con conseguente ulteriore aumento dell’occupazione e benefici economici per il Paese.

Effetti delle misure di efficienza energetica dulla crescita industriale – Valori cumulati 2020-2020 –

Elaborazione CSC

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Tra i vari studi effettuati sui settori più promettenti in termini di interventi di efficienza energetica sono:

1. Trasporti su gomma (automobili e veicoli commerciali leggeri) 2. Motori elettrici ed inverters 3. Illuminazione nell’industria, nel terziario e illuminazione pubblica 4. Riqualificazione edilizia nel settore residenziale e terziario 5. Impianti di climatizzazione (caldaie a condensazione e pompe di calore) 6. Elettrodomestici (apparecchi domestici di refrigerazione, lavaggio e cottura: 1. frigoriferi, congelatori, lavatrici, lavastoviglie, forni, pompe di calore per acqua 2. calda sanitaria, caminetti e stufe a biomassa, condizionatori portatili) 7. Sistemi UPS (gruppi statici di continuità) 8. Cogenerazione 9. Rifasamento

Il complesso delle misure di efficienza energetica nei vari settori industriali porterebbe ad un risparmio potenziale del nostro paese nel periodo 2010-2010, pari a oltre 86 Mtep di energia fossile, per raggiungere il quale si attiverebbe un impatto socio-economico pari a circa 130 miliardi di Euro di investimenti, un aumento della produzione industriale di 238,4 miliardi di Euro ed un crescita occupazionale di circa 1,6 milioni di unità di lavoro standard.

Complessivamente, tenuto conto sia dell’impatto sul bilancio statale sia dell’impatto economico sul sistema energetico nazionale, l’effetto delle misure di efficienza energetica nel periodo 2010-2020 sul sistema paese è altamente positivo, con un valore economico pari a 14,14 miliardi di Euro(Confindustria, 2010).

Infatti con questi scenari di efficienza energetica si potrebbe conseguire una riduzione delle emissioni pari a circa 207,6 Mt CO2, con un risparmio economico, per il costo evitato della CO2 di circa 5,2 miliardi di Euro, se si stima il costo della CO2 al 2020 pari a 25 Euro/t. (Confindustria, 2010).

L’industria assorbe il 20% del consumo di energia primaria in Europa (Eurostat, 2010) ed è anche uno dei settori che realizzato i maggiori progressi nel campo dell’efficienza energetica. Tuttavia esiste ancora un ampio margine di risparmio energetico che si può tradurre in riduzione delle fatture energetiche e in un potenziamento del vantaggio concorrenziale delle industrie.

Alcuni strumenti

Maggiore diffusione delle informazioni, accesso al capitale, incentivi e aiuti alle PMI, introduzione di sistemi di gestione e uso razionale dell’energia, auditing energetici,

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progettazione ecocompatibile, accordi volontari sull’attuazione di processi e sistemi efficienti, ricerca, innovazione, sviluppo, ecodesign.

Green jobs

Investimenti in efficienza energetica non generano solo risparmio ma creano attività economiche ad alta intensità di manodopera e i posti di lavoro così creati sono generalmente qualificati, stabili e non soggetti a delocalizzazione.

UNA VALUTAZIONE DEGLI EFFETTI DELL’EFFICIENZA ENERGETICA IN ITALIA AL 2010

METODOLOGIA E PRIMCIPALI RISULTATI

Scheda a cura di: Serena Rugiero e Giuseppe Travaglini (Ires)

In questo lavoro abbiamo messo a confronto gli effetti attesi in Italia, per il decennio 2010-2020, dalle misure per l’efficienza energetica nei settori produttivi della “Edilizia”, e della “Meccanica e Apparecchiature Elettriche e Meccaniche”. Si è inoltre stimato l’impatto degli interventi per l’intera economia. L’effetto è complessivamente positivo. Le proiezioni sono costruite calibrando le risposte all’impulso di un modello VAR stimato sui dati degli investimenti settoriali, dell’occupazione, del valore aggiunto, del consumo di energia e dell’emissione di CO2. Gli investimenti ed il valore aggiunto sono espressi in termini reali (base 2000). L’occupazione è misurata in unità lavorative.

Le proiezioni dell’Osservatorio Energia e Innovazione (OEI) sono in linea con quelle dei principali istituti di ricerca; in parte, tuttavia, se ne discostano poichè, sebbene offrano una valutazione ottimistica degli effetti dell’efficientamento, sono più prudenti per quanto riguarda la dimensione degli impatti attesi.

Le proiezioni OEI considerano l’orizzonte temporale che va dal 2010 al 2020. Il tasso di crescita degli investimenti (finalizzato all’efficientamento) è la variabile strategica del sistema. Nella proiezione più ottimista, si ipotizza per il decennio 2010-2020 un investimento complessivo di 51 miliardi di euro (reali 2000), pari a 5.1 miliardi annui. Di questi 51 miliardi di euro, 24 sono nell’Edilizia e 27 nelle Macchine e Apparecchiature (motori inveter, pompe di calore, caldaie e condizionamento, elettrodomestici, cogenerazione, UPS, rifasamento). Per le proiezioni in analisi, sono stati ipotizzati anche tassi d’investimento più contenuti, in ragione di misure per l’efficienza energetica meno interventiste o meno produttive. Più precisamente, abbiamo considerato quattro casi:

due di questi sono basati su ipotesi accelerate, denominate BAT H e BAT L. Con queste ipotesi si esplorano gli effetti economici e ambientali di avanzamenti tecnologici finalizzati a conseguire gli obiettivi di riduzione di consumo e delle

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emissioni definite in sede UE; l’ipotesi BAT H è quella più ottimistica con il più elevato tasso di investimento.

gli altri due scenari si basano su due ipotesi di riferimento, denominate BAU H e BAU L, in cui si ipotizza un sostanziale protrarsi delle tendenze in corso in ambito normativo ed economico. La proiezione BAU L considera una evoluzione particolarmente contenuta degli investimenti, mantenendo un trend in linea con quello registrato nell’ultimo quinquennio.

La tabella 1 riassume i dati più significativi della proiezione ottimistica BAT H, messa a confronto con i dati del 2010 (le altre proiezioni sono analizzate in dettaglio nel Rapporto dell’OIE). La stessa tabella 1 presenta, inoltre, una valutazione degli impatti BAT H per l’intera economia. I valori sono cumulati anche in questo caso misurano lo scostamento dai livelli del 2010.

Dall’analisi dei dati emerge che nell’Edilizia, secondo l’ipotesi BAT H, a fronte di un investimento cumulato sul decennio di 27 miliardi di euro (reali), si registrerebbe al 2020 un incremento del valore aggiunto reale pari a 43 miliardi cumulati rispetto al 2010, mentre il numero degli occupati crescerebbe di 311 mila unità. Si avrebbe inoltre una riduzione del consumo di energia di 14 Mtep e di CO2 dpari a 35 Mt.

Nella Meccanica, il maggiore investimento di 24 miliardi di euro (cumulati e reali) avrebbe l’effetto di accrescere al 2020 il valore aggiunto reale di 49 miliardi rispetto al 2010, mentre il numero degli occupati crescerebbe di 168 mila unità. Si avrebbe inoltre una riduzione del consumo di energia di 58 Mtep e di CO2 pari a 41 Mt.

Tabella 1. Effetti delle misure di efficienza energetica nell’ipotesi BAT H rispetto al 2010. Valori cumulati 2010-2020

Investimenti

(miliardi di euro 2000)

Valore Aggiunto

(miliardi di euro 2000)

Occupazione

(migliaia di occupati)

Consumo Energia (Mtep)

Anidride Carbonica (in

Mt)

Edilizia +27 +43 +311 -14 -35

Meccanica +24 +49 +168 -58 -41

Intera Economia +51 +142 +710 -38 -46

Fonte: Nostre elaborazioni.

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Gli impatti aggregati per l’Intera economia sono stati costruiti considerando i moltiplicatori keynesiani dell’investimento nel settore edilizio e nella meccanica. L’impatto degli investimenti settoriali sull’intero sistema economico deve essere, difatti, valutato tenendo conto sia degli effetti indiretti che di quelli indotti sul prodotto interno lordo dall’investimento iniziale. Utilizzando questi moltiplicatori si ricava al 2020 dalle nostre proiezioni un incremento cumulato del valore aggiunto reale dell’intera economia di circa 142 miliardi di euro rispetto al 2010 (comprensivo dei 51 miliardi originati nell’industria dell’edilizia e della meccanica), a cui corrisponde un incremento stimato di occupazione complessiva pari a 710 mila nuovi occupati (comprensiva dei 479 mila dei due settori oggetto diretto dell’efficientamento).

Il segno dell’impatto degli investimenti - positivo sulle componenti economiche dell’intera economia - tende, invece, a ridursi, rispetto al valore stimato nei singoli settori, quando si guarda al consumo energetico e alle emissioni di CO2 totali. Ciò accade perché, per ipotesi, nel modello empirico OEI il resto dell’economia non è destinatario diretto delle misure di efficientamento. Gli investimenti hanno l’effetto netto di ridurre il consumo di energia e le emissioni di CO2 dell’intera economia (rispettivamente di -38 Mtep e -46 Mt) , ma tale effetto aggregato è di dimensione minore rispetto a quello cumulato nei comparti dell’edilizia e della meccanica (ossia di -72 Mtep e -76 Mt). Ovviamente, quest’ultima proiezione può subire variazioni (di segno) in funzione delle assunzioni che si fanno circa l’estensione delle misure di efficientamento ad un più ampio parco di comparti produttivi. Comunque, pur se limitato a due soli settori, la dematerializzazione dell’intensità energetica e il decoupling assoluto nell’emissione di anidride carbonica, stimato dal modello VAR, testimoniano l’effetto qualificato e positivo degli investimenti per l’efficienza.

Per completare, va, infine, sottolineato che i dati della tabella 3 si riferiscono all’ipotesi più ottimistica di intervento BAT H. Variazioni minori nella spesa degli investimenti, inadempienze tecnico-amministrative nell’applicazione delle Direttive e dei PAN, oppure inadeguate misure di politica industriale possono determinare scostamenti anche notevoli dalla simulazione più ottimista.

Complessivamente, però, l’impatto netto delle misure di efficienza energetica sul sistema Paese, per il periodo 2010-2020, risulta positivo. L’efficienza energetica rappresenta perciò un’opportunità di crescita da potenziare, e il cui contributo appare determinante per centrare gli obiettivi fissati nel Pacchetto clima-energia.

UNA POLITICA ECO-SOSTENIBILE PER LA CASA E LA CITTA’ Scheda a cura di: Laura Mariani L’uscita dalla crisi, che nell'edilizia ha cancellato oltre 250 mila posti di lavoro, impennato il ricorso alla cassa integrazione, con un crollo del mercato del 17% in tre anni, può partire dalle città

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La riqualificazione delle città, attraverso una politica nazionale di coordinamento degli interventi, può fornire una risposta a bisogni abitativi caratterizzanti fasce di popolazione sempre più ampie e rappresentare un volano per l’economia del Paese. “Risistemare” le nostre città significa agire su oltre la metà del patrimonio edilizio che presenta un invecchiamento di oltre 40 anni, è stato costruito senza rispettare criteri antisismici o ecocompatibili, per la quota maggiore non è stato mai interessato da opere o interventi e necessiterebbe di manutenzione e recupero (Censis, Come reinventare il patrimonio esistente"). Questo richiede un piano nazionale, sostenuto sul versante fiscale, su quello della semplificazione normativa e del risparmio energetico. Le città potrebbero diventare potente volano di sviluppo. Mettere in cantiere un diffuso processo di manutenzione straordinaria delle nostre città è lo strumento per agire in direzione: - del riequilibrio di un mercato abitativo oggi caratterizzato da un forte distorsione, con conseguenze sull'erosione dei redditi (per quasi 2 milioni e 400 mila famiglie le spese per la casa pesano per oltre il 40% sul reddito, oltre la soglia, cioè, ritenuta critica per l'equilibrio familiare (Istat, L'abitazione delle famiglie residenti in Italia relativa al 2008); - sulla struttura familiare e demografica (7 milioni di giovani tra 18 e 34 vivono in famiglia e di questi la metà ha un'ocupazione, anche se precaria (Istat, Famiglia in cifre 2010); - sulla coesione sociale (su oltre 4 milioni di immigrati l'80% vive in coabitazione e per la metà in condizioni di sovraffollamento o in alloggi di fortuna (CGIL SUNIA - La condizione degli immigrati, 2009). Realizzare le condizioni per il rilancio di un’offerta a prezzi accessibili diventa cruciale sia sul versante della coesione sociale che su quello della competitività del sistema paese. Gli interventi devono permettere di recuperare, razionalizzare e ottimizzare gli spazi, puntando, prima di tutto, sul recupero del patrimonio residenziale esistente e delle aree dismesse o degradate (private, demaniali e/o pubbliche) con operazioni di ricucitura del tessuto urbano. A tal fine vanno programmate operazioni di sostituzione (demolizione e ricostruzione) di edifici particolarmente degradati e vanno previsti interventi su edifici esistenti con progetti di sovraelevazione e/o allargamento e contemporaneo miglioramento del rendimento energetico dello stabile, ricavando così un maggior numero di alloggi con risparmio di energia. In tale scenario, la sfida per le città del futuro è quella della sostenibilità urbana, integrando tutte le dimensioni: ambientali, sociali, economiche. La questione ambientale che riguarda la conservazione delle risorse naturali e la lotta al cambiamento climatico, quindi in primis l’efficienza ed il risparmio energetico; la questione sociale che implica la coesione urbana, la lotta all’esclusione, il mix sociale, la qualità abitativa, i servizi; la questione economica che riguarda l’occupazione, ma anche l’accessibilità economica ai servizi. Tutto questo comporta un'adeguata dotazione di finanziamenti pubblici, ma anche la creazione di convenienze per indurre ad investire soggetti privati ed istituzionali tagliando nettamente le pretese della rendita, riconoscendo un equo profitto all’investimento, garantendo la qualità del prodotto, la qualità del lavoro e la

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moderazione del canone di affitto. Dall’analisi dei fattori economici che incidono in misura rilevante sul costo di produzione di una casa e che non interferiscono con la sua qualità e con il lavoro, emergono: l’incidenza del costo delle aree, gli oneri “fiscali” connessi al costo di costruzione, i tempi delle procedure. Si tratta dunque di ridurre queste voci per avere una base di calcolo sufficientemente bassa da determinare, in sede di convenzione, un canone accessibile anche ai bassi redditi: Sul costo delle aree, ferma restando la necessità di far restituire alla collettività gli incrementi di valore derivanti dagli interventi pubblici, è possibile intervenire rendendo disponibile il consistente patrimonio pubblico di aree ed immobili, utilizzando le aree per servizi eccedenti il fabbisogno, intervenendo nei quartieri degradati prevedendo, in alcuni anche casi, la demolizione e ricostruzione, introducendo il principio della perequazione urbanistica. Sugli oneri “fiscali” che gravano sul costo di produzione le proposte riguardano la riduzione delle aliquote IRES e IVA, le imposte catastali e ipotecarie, gli oneri di costruzione ed urbanizzazione, il consolidamento delle misure a favore delle ristrutturazioni e del risparmio energetico. Sui tempi delle procedure si tratta di assicurare semplicità, trasparenza e certezza delle autorizzazioni, di rafforzare le conferenze dei servizi, di semplificare le normative tecniche, di predisporre strutture di supporto e promozione per la realizzazione dei programmi) Come si è detto non si può concepire una riqualificazione urbana di un quartiere, che non includa il tema della sostenibilità ambientale e la riqualificazione energetica. L’utilizzo di tecniche costruttive innovative con sistemi flessibili permette di realizzare edifici sostenibili ad elevate prestazioni termo-acustiche ma con costi di costruzione ridotti. Comporta il raggiungimento di elevatissime prestazioni di comfort ambientale, particolarmente rilevanti riguardo all’isolamento termico ed acustico, con un abbattimento significativo delle necessità energetiche dell’edificio. Infine la flessibilità che caratterizza le nuove tecnologie si adatta alle esigenze del vivere moderno (frammentazione e diversificazione dei nuclei familiari, necessità di residenze temporanee). A questi si sommano i benefici derivanti da costi di gestione dell’edificio complessivamente inferiori a quelli degli edifici tradizionali, soprattutto imputabili alle componenti gas ed energia elettrica. Una industria delle costruzioni innovativa che affronta con coraggio la riorganizzazione del sistema imprenditoriale e la specializzazione delle imprese e dei lavoratori, può diventare una formidabile opportunità di sviluppo. Un Programma di questo tipo va quindi oltre il problema abitativo: rappresenta un sostegno all’occupazione con la creazione di posti di lavoro e, guardando alla riqualificazione delle città sotto il profilo ambientale (energia, acqua, rifiuti, mobilità) e sociale (lavoratori, anziani, giovani, immigrati), può contribuire efficacemente alla sostenibilità dello sviluppo. Riqualificare quartieri e città, in un'ottica di sostenibilità, costituisce quindi una grande occasione di sviluppo, essendo in grado di attivare processi di rivitalizzazione della base economica, e offrendo un mercato potenziale vastissimo. In primo luogo

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ricadute evidenti sono riferibili all'occupazione. Basti pensare che le stime della Fondazione Sviluppo Sostenibile, dimensionate sulla base della riconversione energetica delle domande già presentate per una normale ristrutturazione, parlano di 1 miliardo di euro di investimenti e 25.000 posti di lavoro all’anno, per la riconversione energetica degli interventi edilizi già preventivati (sono circa 400.000 all’anno le manutenzioni straordinarie in Italia). Nei prossimi dieci anni, inoltre, il settore delle fonti rinnovabili vedrà più che raddoppiati i suoi addetti (dossier "Energia e lavoro sostenibile", elaborato Osservatorio Energia e innovazione 'Ires-Cgil, presentato a Roma il 24 gennaio 2010 in occasione della conferenza "L'energia per il lavoro sostenibile - la terza rivoluzione industriale", promossa dall'associazione Bruno Trentin). Lo scenario delineato porterebbe l'occupazione nel settore delle fonti rinnovabili, nel 2020, a quota 250.000 unità, con una predominanza delle biomasse, del fotovoltaico e dell'eolico, rispetto agli attuali 100.000. Dando un ordine di grandezza delle potenzialità che un programma di riqualificazione dell'intero patrimonio abitativo italiano esistente in base all'età degli edifici, si stimano circa 500 miliardi di euro entro il 2050; 150 miliardi fino al 2020, come stima globale per la riqualificazione (FILLEA su fonte Federcasa, Convegno Vivere il futuro: città sostenibile e politiche di coesione dopo il 2013, Federcasa, 2010). In termini occupazionali significa non meno di 300.000 posti di lavoro l’anno al 2020.

L’ENERGIA RINNIVABILE NELLA NUOVA POLITICA ENERGETICA EUROPEA

VALORE AGGIUNTO, RICADUTE OCCUPAZIONALI E NUOVE PROFESSIONALITA’

Scheda a cura di: Serena Rugiero e Giuseppe Travaglini (Ires)

Lo sviluppo della green economy, e della sua capacità di contribuire alla creazione di valore, alla formazione di nuova occupazione e alla difesa dell’ambiente, trova nelle tecnologie rinnovabili e nell’efficienza energetica un fattore chiave.

La promozione delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica può infatti offrire concrete opportunità di crescita industriale, avviando nuove attività che creano posti di lavoro e promuovendo la competitività dell’economia nazionale

Per quanto concerne le fonti rinnovabili, attualmente l’occupazione “verde” nel settore è, tra posti diretti e indiretti, in Italia di poco superiore alle 100 mila unità; i settori delle rinnovabili più importanti sono l’eolico, con circa 10.000 addetti, il solare fotovoltaico, con circa 5.700, ed il comparto delle biomasse con circa 25.000 occupati, mentre il resto dell’occupazione verde si distribuisce tra il geotermico, il

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solare termico, il mini idrico e le altre forme minori di produzione di energia da FER che impiegano, tra diretti e indiretti, circa 50 mila lavoratori.

Tuttavia, le prospettive di crescita lasciano presagire un’espansione di questi settori e della relativa occupazione verde.

Dall’analisi effettuata sui diversi studi realizzati sia da osservatori nazionali che internazionali sono infatti emerse interessanti possibilità di sviluppo delle rinnovabili (tabella 1) secondo le quali, nella ipotesi di massima potenzialità delle opportunità, l’occupazione italiana lorda nel settore delle rinnovabili può raggiungere, secondo le più rosee aspettative, le 250.000 unità, con una predominanza delle biomasse, del fotovoltaico e dell’eolico.

Il potenziamento delle rinnovabili avrebbe l’effetto di spiazzare i comparti tradizionali di produzione di energia, con un effetto netto sull’occupazione totale inferiore, seppur in crescita, di quello che si registrerebbe nelle rinnovabili. In questo caso il dato oscilla tra le 53.500 e le 97.500 unità complessive.

Il fotovoltaico, l’eolico e le biomasse sono le tecnologie rinnovabili con maggiori potenziali di crescita, indipendentemente dagli scenari ipotizzati; in ogni caso il ruolo delle biomasse è di gran lunga il più rilevante nel contesto delle FER; infatti, oltre il 50% del potenziale massimo teorico è legato alle biomasse.

Tabella 1 Occupazione Potenziale (lorda e netta) in Italia al 2020 negli scenari più ottimistici

Occupazione EmployRES

NEMESIS ASTRA Cnel Issi GSE IEFE

Oss. Energia

Eolico 32.000 - - 24.200 77.500 -

Fotovoltaico 35.000 - - 69.700 47.500 -

Biomasse 91.000 - - - 100.000 -

Complessiva lorda 210. 000 250.000 200.00

Complessiva netta(*) 97.500 67.500 75.700 - 53.500

(*)Per Occupazione complessiva netta si intende il saldo della nuova occupazione al 2020 considerando non solo i guadagni ma anche le perdite stimate di posti di lavoro a seguito dell’applicazione del pacchetto 20-20-20.

Fonte: elaborazioni Ires

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La crescita dei settori Fer, se considerata lungo l’intera catena del valore di tali comparti, crea numerose opportunità di impiego in ambiti differenti e a vari livelli di qualifica, abilità, competenza, responsabilità e remunerazione.

Molte delle professioni emergenti possono essere considerate come il frutto di processi di riqualificazione attraverso l’acquisizione di nuovi skill e sono perciò collocabili lungo un continuum che va da una minima riqualificazione del lavoro tradizionale alla transizione ad una nuova occupazione emergente, sulla base delle tre ipotesi secondo le quali:

a) i nuovi green skill si configurano semplicemente come supplementari ai requisiti richiesti ai lavoratori standard, potendone aumentare l’occupabilità;

b) i nuovi green skill si collegano a significativi cambiamenti nel lavoro e nei requisiti richiesti al lavoratore diventando un requisito necessario per la professione standard;

c) i nuovi green skill determinano la transizione a nuovi lavori: le occupazioni verdi emergenti.

Nello schema seguente si riportano le professioni emergenti individuate dallo studio Ires, suddivise in base ai comparti delle rinnovabili con maggiori potenzialità di sviluppo (vedi tab. 2)

Tabella 2. Elenco delle professioni emergenti nel campo delle Fer

Settori Professioni emergenti

Numero Tipologia

SOLARE TERMICO E FOTOVOLTAICO

16

Ingegnere della energia solare - Ingegnere gestionale in ambito di energia fotovoltaica - Ingegnere dei sistemi di produzione di energia fotovoltaica - Ingegnere specializzato nella installazione di piccoli impianti a energia solare - Ricercatore di laboratorio in ambito di energia fotovoltaica - Tecnico esperto in sistemi fotovoltaici - Tecnico specializzato nella costruzione e nel testing delle celle fotovoltaiche - Tecnico manifatturiero di scaldabagni solari - Designer dei sistemi fotovoltaici - Designer delle celle solari fv - Elettricista specializzato nella installazione di sistemi fotovoltaici residenziali - Elettricista specializzato nella installazione di sistemi fotovoltaici commerciali - Tecnico installatore del solare - Consulente vendite di sistemi fotovoltaici residenziali e commerciali - Consulente per la vendita di fotovoltaico - Energy Manager del settore fotovoltaico

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EOLICO

14

Designer del parco eolico - Capoprogetto di centrali di energia eolica - Manager gestionale del settore eolico per le applicazioni commerciali - Ingegnere elettrico delle turbine eoliche - Tecnico meccanico delle turbine eoliche - Tecnico elettronico delle turbine eoliche - Ingegnere meccanico delle turbine eoliche - Tecnico settore eolico - Installatore di generazione eolica - Macchinista delle turbine eoliche - Lavoratore di lastre di metallo delle turbine eoliche - Designer di impianti eolici - Venditore di impianti eolici - Biologo ambientale

BIOMASSE

13

Ingegnere civile esperto di sistemi in ambito agricolo ed approvvigionamento agricolo - Operatore del sistema di accumulo del gas dei rifiuti - Tecnico del sistema di gas dei rifiuti - Installatore dell’impianto LGE - Responsabile accumulo, separazione e selezione della biomassa - Responsabile del funzionamento, ingegneria, manutenzione degli impianti a biomassa - Tecnico dei sistemi di accumulo del gas del biometanolo - Analista delle politiche dei combustibili alternativi e delle vendite - Intermediario nel campo delle biomasse - Energy manager esperto in biomasse - Chimico ambientale - Agronomo - Agricoltore per le produzioni delle biomasse

Figure TRASVERSALI

11

Manager in energie rinnovabili - Esperto in programmazione delle energie rinnovabili - Geometra ambientale o tecnico ecologo - Geologo ambientale o geochimica - Assicuratore ambientale - Avvocato ambientale - Esperto giuridico-commerciale di energia rinnovabili - Esperto in progettazione delle energie rinnovabili - Manager della programmazione energetica - Ingegnere della smart grid – Operatore della centrale elettrica

Totale 54

Pertanto, dello sviluppo delle rinnovabili possono trarre vantaggio:

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un insieme di nuove professioni che lavorano a diretto contatto con le nuove tecnologie verdi e che per questo possono aver bisogno di nuove qualifiche e di aggiornamento;

un gruppo di professioni tradizionali che, pur esplicandosi in aziende verdi, non comportano un contatto diretto con le nuove tecnologie e non richiedono, quindi, l’acquisizione di nuove competenze, abilità, qualifiche per gestire proficuamente il proprio lavoro (è il caso, ad esempio, della figura del contabile che lavora nell’azienda dove si produce energia rinnovabile);

un gruppo di figure professionali provenienti da settori in crisi, i quali possono godere di una condizione di “rivitalizzazione” generata dalla fase di crescita delle nuove tecnologie. E’ il caso dei lavoratori del manifatturiero, per i quali può verificarsi un incremento della richiesta di forza lavoro qualificata per far fronte alla accresciuta domanda, ad esempio, di turbine eoliche. Si tratta, quindi, di un aumento di occupati dovuto allo sviluppo di una industria verde, che non implica necessariamente per il lavoratore l’esigenza di un’integrazione delle proprie competenze e di nuova formazione per poter svolgere adeguatamente il proprio lavoro.

E’ importante sottolineare che la crescita del settore delle rinnovabili può rappresentare un’occasione interessante sia di sbocco occupazionale per giovani e gli inattivi, i quali possono godere di buone prospettive di inserimento nel mondo del lavoro delle FER, se sviluppano quelle competenze specifiche di cui il settore ha bisogno, sia di riconversione dei lavoratori in mobilità, ricapitalizzando figure professionali provenienti da settori in difficoltà. In questi casi si è quindi in presenza di un processo di riconfigurazione di profili lavorativi standard e/o di un percorso di re-orientamento di figure professionali tradizionali nei comparti FER.

A tal fine, gli interventi a favore del lavoro per la riqualificazione delle competenze sono imprescindibili per consentire ai lavoratori e alle imprese di cogliere le opportunità di crescita che derivano dallo sviluppo delle energie rinnovabili.

E’ perciò di fondamentale importanza la pianificazione e l’implementazione di programmi formativi volti a favorire lo scambio tra istruzione e mercato del lavoro e tra sistema formativo e mondo produttivo attraverso uno sforzo di coordinamento con le politiche finalizzate a promuovere lo sviluppo del settore delle energie rinnovabili, attivando efficaci politiche formative finalizzate, da una parte, alla riqualificazione delle figure professionali e, quindi, alla creazione di nuove competenze; e, dall’altra, alla riconversione delle figure professionali e, quindi, alla creazione di nuovi profili.

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GREEN BUILDING

scheda a cura di: Alessandra Bailo Modesti

I settori Terziario e Residenziale incidono per circa 1/3 sui consumi energetici nazionali, al pari di Industria e Trasporti. Negli ultimi anni è stato fatto qualche passo in avanti in termini di efficienza energetica degli edifici e integrazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili ma il margine di azione resta ancora molto ampio.

Esistono tecniche per ridurre della metà o di 3/4 il consumo degli edifici esistenti e per dimezzare il consumo energetico di apparecchi elettrici comuni. Il tasso di rinnovo degli edifici è tuttavia troppo basso, così come l'utilizzo di apparecchi più efficienti. È necessario eliminare gli ostacoli agli edifici ad alta efficienza energetica. La Commissione invita gli Stati membri ad instaurare sistemi di incentivazione per gli edifici del settore pubblico e privato (Commissione Europea 2011).

Nel solo settore residenziale, come evidenzia il piano strategico di efficienza energetica di Confindustria (2010), in uno scenario al 2020 che mantenga l’incentivo del 55% di detrazione fiscale e consideri le Best Available Technologies (BAT), intervenendo sul 14% delle abitazioni esistenti si può conseguire un risparmio energetico complessivo di risparmio energetico pari a 22.523 GWh/anno con un investimento ulteriore di 32 miliardi di euro e una spesa per lo Stato di circa 17 miliardi di euro aggiuntivi, rispetto ad uno scenario al 2020 Business as Usual (BAU) e senza l’incentivo del 55%.

Green Jobs

Nello scenario Best Available Technology, questo aumento di domanda per la riqualificazione energetica degli edifici residenziali, produrrebbe sul sistema economico italiano una crescita del valore della produzione industriale di 69,4 miliardi di Euro cumulati, pari a +2,2% dal 2009 e l’occupazione nel totale dell’economia

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aumenterebbe di 569 migliaia di unità di lavoro standard (ULA) aggiuntive in dieci anni.

Principali interventi di riqualificazione energetica

Coibentazione dell’involucro edilizio, sostituzione di vetri, pannelli fotovoltaici e termici, produzione combinata di energia elettrica e calore (CHP), scalda-acqua a gas più efficienti, generatori di calore ad alta efficienza, regolazione automatica della temperatura interna, recupero di calore, ventilazione, interventi di natura gestionale per l’uso razionale dell’energia, illuminazione, elettrodomestici ad alta efficienza, interventi di bioclimatica interni ed esterni.

L’installazione di impianti di produzione di elettricità e calore da fonti rinnovabili consentirà di poter contare su prezzi prevedibili dell’energia nei prossimi anni, fattore essenziale allo sviluppo economico e per fronteggiare le oscillazioni nell’offerta energetica. Al contrario i costi delle fonti convenzionali come gas edelettricità prodotta da fonti fossili e da energia nucleare non potranno che crescere, a causa dei problemi di esaurimento delle fonti utilizzate.

Alcuni strumenti

Ridurre la "frammentazione degli incentivi" per il miglioramento delle prestazioni energetiche, incentivazione alla formazione di ESCO – Energy Service Companies, aumentare la trasparenza del mercato predisponendo elenchi dei fornitori di servizi energetici accreditati e contratti tipo, rimozione delle barriere amministrative, legali, autorizzative, fiscali e relative agli aspetti gestionali e organizzativi.

Trasporto pubblico locale, ambiente, lavoro. scheda a cura di Marcello Panettoni

Premessa La manovra di finanza pubblica 2011 varata dal Governo ha operato pesanti riduzioni dei trasferimenti statali alle Autonomie territoriali, alle quali è stato richiesto un contributo alla manovra di finanza pubblica per oltre la metà delle minori spese previste complessivamente dalla manovra (su 15 miliardi di Euro di tagli 7,8 miliardi sono a carico di predetti enti). Con riferimento al 2012 e agli anni successivi l'articolo 32, comma 4, del D.Lgs n.68 del 2010 dispone che lo Stato provveda, a decorrere dal 2012, alla soppressione dei trasferimenti statali alle regioni, aventi carattere di generalità e permanenza, relativi al trasporto pubblico locale e alla conseguente fiscalizzazione degli stessi trasferimenti. Ciò significa che verrà trasformata in compartecipazione regionale anche l'ultima tranche di trasferimenti statali che, in particolare, coincidono con le risorse necessarie alla copertura dei contratti di servizio per i servizi di trasporto ferroviario regionale Trenitalia. Nonostante gli accordi tra Stato e Regioni ed i conseguenti atti normativi ai quali, nei prossimi mesi, faranno seguito i decreti ministeriali di ripartizione e

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pagamento, diverse Regioni hanno già dichiarato che terranno intatte le dimensioni dei tagli ai servizi di trasporto pubblico locale. I tagli variano da un massimo del 41%(Molise) fino a Regioni che ad oggi non hanno provveduto a modificare i capitoli di bilancio (Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Puglia, Trentino Alto Adige, Vai d'Aosta) passando per gli 8% della Lombardia, il 5% dell'Emilia Romagna, il 3% del Piemonte(che nel 2012 e 2013 diventeranno rispettivamente del 10% e 12%), 1'11,5% del Veneto e 23% della Campania. Gli effetti sull’ambiente Il sistema di trasporto italiano è fortemente squilibrato sul mezzo privato (auto e due ruote) il quale soddisfa quasi il 90% degli spostamenti in ambito urbano. Solo il 22,6% degli spostamenti viene effettuato con mezzo pubblico e i tagli previsti accentueranno questo notevole squilibrio. E' stato stimato che in un'ipotesi di taglio del 10% o del 20% vi sarebbe un perdita di quota modale. a livello medio nazionale, rispettivamente dello 0,6% e del 1,2%, percentuali apparentemente poco rilevanti ma se espresse in termini assoluti di passeggeri trasportati persi dal sistema di trasporto collettivo (e assorbiti dal trasporto privato!) significa 270 milioni in meno nel caso di un taglio 10% e 540 milioni nel caso del 20%. In questo rinnovato contesto sarebbero inevitabili delle conseguenze negative dei livelli di congestione, di inquinamento, di incidentalità e più in generale di peggioramento della qualità della vita nelle nostre città. Tutto questo in un' ottica internazionale in cui la ricetta per scongiurare gli aumenti di congestione ed inquinamento nelle aree urbane, dove nel 2025 vivrà il 60% della popolazione mondiale, è stata individuata in un raddoppio della quota modale del trasporto pubblico. Raggiungere questo obiettivo significa, secondo quanto emerso nel Congresso internazionale UITP di Dubai di Aprile 2011, triplicare entro il 2025 il numero di viaggi effettuati con mezzi pubblici e stabilizzare l'uso dell'automobile privata. Le conseguenze positive sarebbero molteplici: tenere sotto controllo le emissioni di gas serra con una diminuzione del 25% delle emissioni pro-capite; a livello mondiale risparmiare 600 milioni di tonnellate di C02 equivalente ogni anno; preservare le riserve di energia con un risparmio di 170 milioni di tonnellate di petrolio-equivalente l'anno ( Vale a dire EUR 95 miliardi l'anno (stima col prezzo attuale); tutelare la salute dei cittadini con una diminuzione del 50% del rischio per malattie coronariche ed obesità; un ulteriore abbattimento del 30% del rischio per ipertensione grazie ai trenta minuti di esercizio fisico al giorno assicurati dalla mobilità urbana quotidiana; salvare vite umane con 60.000 incidenti urbani in meno ogni anno rispetto al 2005. Se una vita umana venisse valutata 1 milione di Euro, secondo l'unità di misura proposta dalla commissione Europea, questo vorrebbe dire poter risparmiare circa 280 miliardi di euro ogni anno. Gli effetti sul lavoro La riduzione delle risorse porterà inevitabilmente al taglio dei servizi e conseguentemente ad una diminuzione delle forza necessaria a produrli. I tagli agli

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addetti saranno inevitabili ed il personale che maggiormente ne risentirà sarà quello addetto alla guida. Sulla scorta di proiezioni ASSTRA, a livello medio nazionale, un'ipotesi di taglio delle risorse del 10% avrebbe un effetto negativo diretto sulla forza lavoro di quasi 10 mila unità senza considerare le conseguenze sull'indotto che ruota attorno al settore. Il dato di certo non è incoraggiante se confrontato con l'obiettivo del raddoppio della quota modale del trasporto pubblico entro il 2025 raddoppio che, a livello mondiale, porterebbe alla creazione di 7 milioni di posti di eco-lavoro in più in ambito urbano, considerando nel contempo l'ipotesi di un aumento annuale costante dell'1% della produttività del lavoro nel trasporto pubblico. Una ricerca condotta negli Stati Uniti1 ha dimostrato che investire nel trasporto pubblico produce il doppio dei posti di lavoro rispetto all' investimento in costruzione di strade. Per ogni miliardo di dollari sarebbero creati 16.000 posti di lavoro in più contro gli 8.500 della costruzione di infrastrutture stradali. Queste sono le principali motivazioni per cui a livello internazionale il trasporto pubblico viene considerato un settore a forte crescita il quale gioca un ruolo attivo nell'economia urbana. Infatti, proprio in un contesto in cui le questioni ecologiche rappresentano e rappresenteranno ancora di più i fattori del successo per la ripresa economica il potenziale del trasporto pubblico nel produrre posti di lavoro stabili è di fondamentale importanza. Fonti: 1 : "What we learnt from the stimulus", 2010, Centre for Neighbourhood Technology (et al,); 2 : UITP - Observatory of employment in public transport

LA BONIFICA E LA REINDUSTRAILIZZAZIONE DEI SITI INQUINATI Scheda a cura di: Claudio Falasca

Tante realtà del nostro Paese sono state segnate duramente sotto il profilo

ambientale, e non solo, da più di un secolo di storia industriale. Oggi le politiche di risanamento, bonifica, sicurezza e sostenibilità di questi siti si pongono come una grande questione nazionale strettamente legata alle politiche dello sviluppo e dell'occupazione.

Le aree da bonificare Per far comprendere bene di cosa si sta parlando vale la pena ricordare alcuni

caratteri di questa complessa realtà. Il totale delle aree contaminate ricadenti all’interno dei siti di interesse nazionale sono circa 663.595 ha. La stima parziale dei costi totali di bonifica dei siti nazionali è di 2.912.000.000 €. Per avere una idea della dimensione del problema si consideri che l’Italia ha uno sviluppo reale pari a circa 30 milioni di ettari; di conseguenza le aree contaminate ricadenti all’interno dei siti di interesse nazionale rappresentano circa il 2,3% del totale della superficie nazionale. A questi dati vanno sommati, sia in termine di superficie che di costo, gli oltre 4.200 siti regionali. Questa stima è comunque sottodimensionata tenendo anche conto che i

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perimetri degli ambiti dei siti di interesse nazionale riportati nella normativa di settore comprendono, oltre alle aree industriali, le aree portuali, le aree marine antistanti le aree industriali, le zone lagunari, i corsi d’acqua ecc.

L’urgenza di un programma per il risanamento e la sicurezza In generale in queste aree si concentrano ancora segmenti strategici del sistema

produttivo nazionale, dal chimico all'industria petrolifera, dall'energetico al siderurgico e ad esse sono interessati decine di migliaia di lavoratori e interi sistemi economici locali. Coinvolgono contesti ambientali e territoriali in moltissimi casi di valore eccezionale, sia sotto il profilo naturalistico che storico-culturale. In esse, come hanno dimostrato numerosi casi, la sicurezza e la salute dei lavoratori e dei cittadini è in condizione di rischio permanente.

Già questi brevi cenni rendono evidente il perché queste realtà siano state e siano fonte di preoccupazione tanto per le maestranze quanto per le comunità limitrofe. Preoccupazione che in alcuni casi si traduce in aperta conflittualità a fronte della indifferenza dei responsabili delle attività produttive e delle istituzioni, anche in situazioni evidenti di progressivo e pericoloso degrado.

Sono altresì evidenti le conseguenze negative sulle prospettive di sviluppo dei settori industriali coinvolti vista l'assenza, almeno fino ad oggi, di un quadro di certezze e garanzie tanto per i lavoratori ed i cittadini quanto per l'attività imprenditoriale.

Noi riteniamo che ulteriori ritardi nei programmi per la bonifica e la sicurezza determinerebbero un pesantissimo impatto sullo sviluppo complessivo del paese, che certamente non può privarsi degli importanti settori di base interessati.

Ricordiamo che dei 54 siti di interesse nazionale, ben 37 sono potenzialmente interessati a piani di riqualificazione industriale (secondo recenti dati di Sviluppo Italia). Per questo è rilevante che si chiariscano e si attuino le disposizioni dell’articolo 252.bis del Decreto Legislativo 152/06 che introduce una disciplina speciale per gli interventi di bonifica e di reindustrializzazione, attraverso la nuova tipologia di accordi di programma con i quali coniugare bonifica/riutilizzo industriale/nuovi investimenti ecosostenibili, in un modello partecipato tra istituzioni locali e i soggetti imprenditoriali. Una politica industriale per le bonifiche La situazione è dunque delicatissima. Nelle realtà di insediamento "storiche" il

rischio è quello della chiusura di interi cicli e della loro delocalizzazione in altri paesi. Nelle realtà suscettibili di nuovi insediamenti la reattività dei cittadini, memori di danni passati, è talmente alta che scoraggia l'investimento produttivo ed in tutti i casi ne rallenta l'attuazione. In questo contesto l’atteggiamento delle imprese è quello di chiamarsi fuori sia rispetto alle responsabilità passate che agli impegni futuri.

Quello che qui vogliamo mettere in evidenza è il progressivo venir meno di un rapporto di fiducia tra imprese e cittadini. Le ragioni che hanno dato luogo alle numerose inchieste della Magistratura sono la più chiara manifestazione di questa crisi. Questo vale anche in quelle realtà del meridione dove l'emergenza occupazionale

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è drammatica. Promuovere quindi un vasto programma di politiche per il risanamento e la

sicurezza è la condizione per ristabilire quel rapporto di fiducia tra imprese e collettività locali che consideriamo pregiudiziale per le ulteriori possibilità di sviluppo.

A questo scopo è indispensabile rimettere in pista il Programma straordinario nazionale per il recupero economico e produttivo di siti industriali inquinati (già approvato dal CIPE nell’Aprile 2008 ) che impegnava i fondi previsti dal FAS per il 2007-13 per complessivi 3.009 milioni di euro, prioritariamente per le aree del mezzogiorno.

Recuperare queste risorse , impegnate dal Ministero dell'economie e delle finanze per altri scopi, consentirebbe di realizzare un progetto di politica industriale con l'obiettivo di realizzare un vero e proprio “mercato delle bonifiche”.

Quali strutture di imprese entrano in gioco, con quali dimensioni, caratteristiche, qualità; con quali competenze scientifiche e tecnico operative; quali professionalità sono necessarie e come formarle.

Mancando un mercato delle bonifiche viene a mancare una chiara valutazione dei valori di stima di carattere economico finanziario di riferimento e le valutazioni attuali sono formulate o sulla base dei costi per il trattamento dei rifiuti, oppure su indicazioni dei settori tradizionali, come l’edilizia relativamente alla movimentazione terra e degli scavi. Stabilire in modo trasparente e certo i costi eviterebbe l’attivazione di mercati paralleli e lobby.

Recuperando i tre miliardi del programma speciale per la bonifica significa, utilizzando i comuni moltiplicatori validi per opere infrastrutturali, rendere possibili non meno di 50.000 nuovi posti di lavori. Un risultato minimo che può crescere sensibilmente in una logica di filiera industriale per la bonifica e come condizione necessaria per rendere disponibili aree per nuovi insediamenti produttivi.

BENI CULTURALI E SVILUPPO SOSTENIBILE *

Scheda a cura di: Claudio Falasca

I Beni Culturali del nostro Paese sono un giacimento enorme di opportunità di

crescita economica, sociale e culturale. Questo straordinario patrimonio ereditato dalla storia e di cui noi siamo custodi, appartiene all’intera umanità e questo carica il Paese della grande responsabilità di tramandarlo alle future generazioni. Sulla valorizzazione di questa immensa ricchezza l’Italia può costruire una strategia di sviluppo equo e sostenibile per l’oggi e per il futuro. Non “sentire” questa responsabilità e non cogliere questa opportunità non trova giustificazione alcuna. Per questo è necessario che chi vi opera per conservarlo, valorizzarlo, promuoverlo, gestirlo ha bisogno di un convinto sostegno, di adeguati investimenti, di riconoscimento professionale.

Tuttavia, insieme a tutte le diverse forme di produzione e fruizione culturale, oggi i Beni Culturali italiani sono in sofferenza per i pesanti tagli operati dalla legge finanziaria, i quali vanno ad aggiungersi al disinvestimento culturale che il nostro paese opera oramai da anni, penalizzando l’occupazione, le condizioni di lavoro, la

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professionalità e l’entusiasmo di tanti giovani. Opere d’arte e architettoniche, siti archeologici, musei, biblioteche, archivi, diffusi su tutto il territorio nazionale, che versano purtroppo nell’incuria, a rischio di crollo e di chiusura.

Questa stato di incuria è sintomo di un impoverimento culturale della società che non annuncia nulla di buono per il Paese e deve preoccupare non solo gli operatori del settore ma tutti i cittadini, le istituzioni educative e formative, il mondo del volontariato che opera nel campo ambientale e sociale. Non investire nei beni culturali e nella cultura più in generale, non garantire regolari e necessarie risorse, significa, di fatto, rinunciare a costruire reti di intelligenza diffusa, saperi e competenze, oltre che ostacolare la crescita culturale delle comunità.

I Beni Culturali italiani sono una fonte pressoché inesauribile di occupazione vista la ricchezza dei beni che il nostro paese ha ereditato dalla sua stessa storia. Un territorio che punta sull’accesso e la valorizzazione dei propri beni culturali costruisce l’orizzonte necessario per comunità più consapevoli della propria storia, della propria cultura, della loro capacità di promuovere creatività ed innovazione nella consapevolezza che i beni e le attività culturali sono l'indispensabile complemento dei valori naturalistici, paesaggistici ed enogastronomici, a comporre il mix fruitivo che fa la fortuna del modello turistico italiano basato sulla integrazione territoriale. Nessuna loro difesa può aver successo se non integrata in una prospettiva di cura e di manutenzione dei territori costitutivi delle loro identità.

La valorizzazione e la corretta e diffusa fruizione dei beni culturali generano un forte bacino economico e innalzano la qualità complessiva dei territori in cui sono presenti, dandogli più chance per il futuro. Ogni bene viene visitato, il turista per visitarlo alloggia in qualche albergo, anche il più economico possibile, consuma cibo, bevande, fruisce di altre realtà caratteristiche del territorio, in sostanza spende soldi. Avere un bene culturale fruibile e valorizzato può rendere possibile lo sviluppo del territorio declinato anche in chiave federalista e sostenendo le realtà territoriali più virtuose.

Ma il contributo dei patrimonio culturale italiano va ben oltre. Il made in italy si afferma nel mondo grazie a quel mix di fattori che lo rendono “unico” in comparazione alle produzioni degli altri paesi. Questo perché nelle produzioni del made in italy si realizza una accumulazione di valori storici, culturali, ambientali, estetici fortemente evocativi di “qualità”. Tutto questo viene riconosciuto nella qualità del lavoro italiano. Oggi è possibile fare un salto in avanti traendo insegnamento da questa grande tradizione culturale coniugandola con l’innovazione ecologica. Una politica industriale che, fortemente legata alle realtà culturale territoriale, si pone l’obiettivo di fare dei caratteri del made in italy la “cifra” del sistema Italia nel suo complesso.

Pe questo è indispensabile dare vita a un impegno diffuso per una forte “assunzione di responsabilità” da parte della collettività affinché venga definito un quadro trasparente di regole e di risorse certe, di lungo respiro che dia priorità alla “cura” del patrimonio culturale italiano e non a pochi eventi spettacolari e interventi emergenziali.

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L'impegno per la tutela, la valorizzazione e l’accesso ai Beni Culturali deve essere parte centrale e caratterizzante una strategia per realizzare nel nostro Paese uno sviluppo equo e sostenibile.

Il patrimonio In Italia abbiamo 4.739 musei e istituzioni similari, pubblici e privati, aperti al

pubblico, dei quali: 399 Istituti Statali (198 Musei e 201 Monumenti e Aree Archeologiche); 4.340 Istituti dipendenti da altri soggetti pubblici e privati (802 Monumenti, 129 Siti Archeologici, 3.409 Musei - di questi il 45% è gestito dai Comuni).

I beni immobili archeologici vincolati sono 5.668 e 317 i Siti Archeologici Subacquei localizzati e documentati).

I beni architettonici vincolati sono 46.025 e 7.690 dichiarazioni di interesse culturale (di proprietà pubblica, privata o di persone giuridiche private senza fine di lucro).

Le biblioteche sono 2.388 di cui:46 Biblioteche Statali (Comprese quelle dei Monumenti nazionali); 6.372 Biblioteche appartenenti ad enti pubblici territoriali; 2.056 Biblioteche sono delle Università; 1.258 Biblioteche di enti ecclesiastici.

In base alla Convenzione UNESCO del 1972 riguardante la protezione del patrimonio culturale e naturale, ratificata dall’Italia nel 1978, sono 890 i siti dichiarati di “eccezionale valore universale”. Di questi 44 siti sono Italiani e comprendono centri storici, paesaggi culturali, monumenti e siti archeologici.

L’Economia La cultura è elemento fondante di una collettività, valore che da solo colloca il

settore dei beni culturali tra quei beni comuni, che costituiscono i fondamenti elementari di una società umana e che pertanto non possono essere ridotti al quantificabile o al misurabile economico. Basterebbe solo questo a motivare un impegno serio di spesa pubblica a sostegno del settore. Tuttavia anche scegliendo come parametro di giudizio un piano strettamente economico, questo settore è fondamentale per la ricchezza del Paese. Negli anni che vanno dal 1990 al 2000, il settore culturale, nel suo complesso, ha visto crescere il valore aggiunto del 2,3% l’anno, contro l’1,6% del Pil Nazionale, frutto di investimenti adeguati da parte dello Stato, malgrado le difficoltà di bilancio che si trovava ad affrontare. E’ importante guardare alla cultura in chiave di economia urbana e del territorio, esaltando la vocazione turistica locale e facendo perno su due punti di forza: la valorizzazione del Patrimonio storico-artistico ed ambientale e la capacità di attivare un’economia di filiera.

Il turismo si conferma, anche nel difficile periodo di crisi economica che stiamo attraversando, un settore strategico per l’economia del nostro paese. Infatti, malgrado la crisi faccia registrare una contrazione della spesa privata che colpisce tutti i settori produttivi senza eccezione, il turismo continua a tenere, come dimostra l’aumento del 5,3% degli arrivi turistici stranieri in Italia (pur essendosi ridotto il periodo di permanenza). Il 30% dei turisti sceglie le città di interesse storico-artistico. Tra i siti più

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visitati Il Colosseo, Palatino, Domus Aurea (30.423.950 nel 2009) e il Sito archeologico di Pompei (16.369.854 nel 2009). Il totale dei visitatori degli Istituti Statali nel 2009 è stato di 33.105.821 con un calo delle visite pari al 3,88% rispetto al periodo precedente. Gli Scavi di Pompei, uno dei siti più visitati in Italia, hanno perso il 12% degli ingressi.

Il Ministero E’ interessante comparare la consistenza del patrimonio culturale con il numero

dei dipendenti del Ministero. Il totale dei dipendenti su tutto il territorio nazionale è di 21.232.

Questo numero è destinato, in tempi brevi, ad un drastico ridimensionamento perché, come previsto dalla finanziaria per contenere la spesa del pubblico impiego, verranno prorogate e rafforzate le limitazioni al Turn over e disposta la limitazione dei trattamenti in servizio oltre i limiti di età. Si avrà così un taglio del 10%, che porterà il Ministero ad un organico di 18.839 lavoratori (se li dividiamo sul territorio nazionale, fanno meno di 1000 persone per regione) con una età media di 51 anni.

Colpisce inoltre il numero delle figure tecnico scientifiche che dovrebbero tutelare, conservare, spiegare il nostro patrimonio: 350 Archeologi, 288 Restauratori Conservatori, 490 Storici dell’Arte, solo per citarne alcuni. Manca dunque il personale tecnico. Questa situazione ha conseguenze drammatiche che mettono a serio rischio la tutela stessa del patrimonio culturale.

Il Lavoro Dai dati sul Ministero si evince che la maggior parte dei lavori di restauro

conservativo, di scavo archeologico, così come di spiegazione e gestione del patrimonio culturale, vengono oggi svolti da imprese,esterne al Ministero, investite di questo delicato compito dalla stessa pubblica amministrazione. Si calcola che l’occupazione culturale, nel suo complesso, si aggiri intorno ai 234 mila artisti e professionisti altamente specializzati, cui si aggiungono 146 mila tecnici professionisti intermedi. Nel Patrimonio culturale in generale 28 mila lavoratori di cui 3000 nei Servizi aggiuntivi e culturali, con una età media compresa tra i 30 e i 49 anni. E’ difficile ricostruire il numero preciso, per professione, di quanti operano nei Beni Culturali, non come dipendenti del Ministero dei beni e delle attività culturali, per diverse ragioni: la diffusione di forme contrattuali diverse dal lavoro dipendente (il 50% circa degli addetti ha forme contrattuali atipiche); l’elevata mobilità dei lavoratori sul territorio nazionale; la discontinuità. Dati parziali per alcune figure professionali (l’Archeologo, il Restauratore ed il Collaboratore Restauratore) è possibile ricostruirli calcolando il numero dei candidati iscritti a Concorsi indetti, per quelle qualifiche, dalla Pubblica Amministrazione.

5.551 gli Archeologi iscritti al concorso indetto dalla pubblica amministrazione per 30 posti di Archeologo (G.U. 18 luglio 2008) che richiedeva come requisiti minimi la Specializzazione o il Dottorato, oltre la Laurea quinquennale.

5.000 i Collaboratori Restauratori iscritti al Bando di Selezione dei requisiti per la qualifica di Restauratore e Collaboratori Restauratore (di questi più di 16.000 sono già accreditati).

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Le Risorse Il Bilancio di competenza del Ministero per i beni e le attività culturali ha

conosciuto a partire dal 2006 una progressiva riduzione. Da uno stanziamento di 2.171 milioni di euro nel triennio 2003-2005, si è scesi ad una media annua di 1.961 milioni di euro (lo 0,23% del PIL), con una flessione rispetto al 2008 del 23%. Il resto d’Europa, malgrado la crisi economica, ha investito in cultura in media il 3% del PIL, riconoscendo al settore un forte valore anticiclico. Per offrire un termine di paragone, pensiamo che la spesa per il Louvre è pari alla spesa prevista in Italia per tutti i musei. Un ruolo rilevante, nel sostegno all’arte e alla cultura è stato svolto dalle amministrazioni locali che nel 2007 hanno speso in termini assoluti 2.477 milioni a fronte dei 1.987 milioni del Mibac. E’ importante dunque avviare una discussione sulla Legge di stabilità”, liberando risorse che si sono rivelate fondamentali per il sostegno alla cultura.

Gli Appalti La mancanza di un investimento adeguato nel settore, coinvolge direttamente i

lavoratori e le imprese, amplificando il senso di precarietà che coinvolge non solo i destini individuali ma per esteso l’intero sistema dei beni culturali. Se dovessimo riassumere la situazione che caratterizza, attualmente, il settore potremmo senza difficoltà affermare che mancano politiche organiche di programmazione e di sviluppo; vi è una carenza nelle regole di tutela della concorrenza e del mercato; manca un riconoscimento e valorizzazione delle risorse professionali coinvolte. Ne consegue una mancanza di sviluppo delle risorse professionali ed imprenditoriali impegnate nelle diverse attività culturali del paese.

Particolarmente indicativo dell'attenzione alla tutela e conservazione dei beni culturali è la comparazione tra gli impegni di spesa assunti per la tutela dei beni culturali, messi a confronto con gli interi volumi di spesa assunti per le opere pubbliche: nel 2005 il 2,69%; nel 2006 il 3,87% nel 2007 il 4,06%; nel 2008 il 3,01%; nel 2009 il 2,51%.

Interessate infine è analizzare i bandi di gara pubblicati tra il 2005/2010 per la Categoria OS 25 ovvero per imprese specializzate in “Scavi archeologici e attività strettamente connesse” in rapporto alla norma che prevede l'innalzamento della soglia a 1,5 milioni di euro per la licitazione privata inserita nel decreto sviluppo Nel 2005 bandi 28 per un importo di circa15 mil.;nel 2006 bandi 47 per circa 33 mil.; nel 2007 bandi 20 per circa 7 mil.; nel 2008 bandi 27 per circa 15 mil.; nel 2009 bandi 18 per circa 10 mil., nel 2010 bandi 6 per circa 4 mil.

* I dati utilizzati nella scheda sono stati ripresi dal Manifesto e dal report della Coalizione “Abbracciamo la cultura”

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BIOAGRICOLTURA

Scheda a cura di: on.Susanna Cenni

Se per lungo tempo parlare di agricoltura, ambiente, sviluppo economico e crescita, a molti sembrava un azzardo, o addirittura fantasioso esercizio di incontro tra direttrici opposte, oggi le cose sono ben diverse. L’agricoltura ha subito, ed è ancora oggetto di modificazioni profonde, e la stessa crisi economica e finanziaria globale, apre nuovi contesti e nuove possibilità che chiedono però governo e politiche all’altezza delle sfide.

La comunicazione al PE del Commissario Ciolos sulla nuova Pac titolava nei mesi scorsi “rispondere alle future sfide dell’alimentazione,delle risorse naturali, del territorio., e l’intento appare essere proprio quello di orientare ancor di più aiuti e sostegno alla Sicurezza alimentare, alla qualità dei nostri prodotti, alla tutela ed alla salvaguardai del paesaggio rurale, alla vitalità delle comunità rurali ed alla creazione di posti di lavoro, alla crescita della resilienza del settore agricolo rispetto ai mutamenti climatici.

Sarà possibile affrontare positivamente queste sfide?

Alcuni fenomeni sono già in atto, e per alcuni aspetti misurabili, ma un dato è oramai evidente. In questo settore il concetto di competitività è oramai irreversibilmente legato alla ricaduta sull’intera collettività, come ben dice il Prof Brunori “il vantaggio competitivo ottenuto dall’impresa quando crea valore per il cliente riesce a mantenersi nel tempo in relazione alle risorse cui essa puo attingere e fra queste risorse quelle piu durature sono create socialemente all’interno di un territorio”

.Quelle che sembravano le affermazioni folkloristiche di un contadino del Kentuky (Wendell Berry), “mangiare è un atto agricolo”, si stanno traducendo in comportamenti e fatturato.

Basti citare i numeri che oramai riguardano nel nostro paese il Biologico con oltre 45.000 imprese (siamo il primo produttore europeo), ed un giro di affari in Italia che sta intorno ai 3 mld di euro, con una superficie di territorio coltivata a biologico in continua crescita. E vorrei non trascurassimo il tema della vendita diretta, dei consumi etici, dell’attenzione crescente al Km0, alla creazione di microsistemi economici locali di valorizzazione ed accorciamento della filiera che non possono essere né banalizzati né irrisi.

Aggiungo a tutto ciò come sondaggi, consultazioni, analisi condotte da vari soggetti ci confermino la netta opposizione della stragrande maggioranza dei cittadini e degli agricoltori Italiani all’ingresso nel nostro paese di sementi e prodotti geneticamente modificati.

C’è un humus pronto, e non si tratta più di nicchie o avanguardie culturali. Il diritto a mangiar sano, la sicurezza di chi lavora in agricoltura, la tutela del territorio e del paesaggio rurale, i mutamenti climatici sono oramai fattore di orientamento e scelta.

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Economie locali, giovani agricoltori e tante donne che hanno scelto questo mestiere, si stanno caratterizzando per la loro collocazione dentro a queste cornici, hanno caratterizzato attività e luoghi per aver recuperato razze animali e varietà vegetali che rischiavano la scomparsa, dimostrando coni fatti come co nla semplice selezione dei semi spesso si possano affrontare siccità o periodi troppo piovosi, maggiori rese ecc..

Siamo tutti ben consapevoli di come alle enormi riduzioni di reddito del mondo agricolo non si puo rispondere solo con l’etichettatura, con le :filiere corte , con la vendita diretta, sappiamo che oltre il 90% del nostro agroalimentare è veicolato dalla grande distribuzione,che per noi l’export è uncanale fondamentale, ma dobbiamo altrettanto aver chiaro che assieme agli scatoloni della Lehman & Brothers, sono andate in mobilità alcune colonne del modello di sviluppo occidentale. Ripartire significa necessariamente rivedere qualche paradigma dei modelli di sviluppo e di crescita: un po’ di sobrietà, un consumo fatto meno di marketing indistinto e più di conoscenza, consapevolezza, valore ambientale e salute sono già in essere nei comportamenti.

Alcuni economisti agrari oramai parlano di Lohas che sta ad indicare Lifestyles of Health and Sustainability ed identifica un segmento di mercato foalizzato sulla salute, sulla forma fisica, l’ambiente,nonché quei consumatori che individuano nel consumo una componente importante della cittadinanza attiva.

La costruzione di sistemi economici locali attorno all’agroalimentare stanno caratterizzando non solo Parchi, Aree Protette, realtà rurali e montane, male le stesse città.

Nel nord Europa l’etichettatura etica/ambientale dei prodotti è diventata una realtà, noi, nonostante il passaggio parlamentare continuiamo a scorgere qualche sorriso, ma la realtà rischia di superare ampiamente la capacità di risposta con politiche di sostegno all’agricoltura sostenibile, ge consuma meno acqua, meno fertilizzanti, meno diserbanti, che condanna e denuncia lo sfruttamento di manodopera , che favorisce politiche di conciliazione e di aumento dell’occupazione femminile e giovanile.

Un’orizzonte quindi al quale lavorare e dal quale non può che discendere una società migliore.

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Qualche dato:

Nel mondo il 60% di coloro ch esoffrono la fame sono donne e bambini. Tra il 60 e l’80 % el cibo nei paesi invia di sviluppo è prodotto da donne, ma nel mondo meno del 2% della terra ad uso agricolo è posseduta da donne. In America Latina le donne che lavorando in agricoltura percepiscono un salario sono solo il2%.

Il rapporto Inea sulla presenza di giovani in agricoltura parla di un imprenditore giovane ogni 6. i ultrasessantacinquenni. Il 6,9% delle imprese è nelle mani di un quarantenne,il 44% guidato da un over 65.

Poco meno di 1,7 milioni le aziende agricole italiane conunsueprficiemedia di circa 7,6 ha. Il 49,5% delle imprese ha meno di 2 ha di sau. Le aziende sopra i 50ha rappresentano il2,4 delle imprese, ma quasi il 40% della Sau (inea)

Biologico: siamo il primo produttore europeo ed il 5’ nel mondo, oltre 45000 imprese sono interessate da questa produzione, ilvolume delle vendite raggiunge circa 16 mld di euro, il piu grande mercato è la Germania conungiro di affari di 5,8 mld, Francia e Italia con1,6 mld.

Oggi un chilo di carote costa meno di un sms, un quintale di grano meno di 20-25 anni fa, su 10 eurodi prezzo al consumatore finale, il ritorno sul primario è di 1,6 euro.

GOVERNARE LA” TRANSIZIONE”: IL CASO DELL’ENERGIA

Scheda a cura di: Betto Aquilone

L'espansione delle produzioni rinnovabili sta determinando progressivamente un nuovo assetto organizzativo del settore energetico, in modo particolare nella sua parte elettrica, che vede sempre di più la crescita delle produzioni decentrate e diffuse sul territorio con lo sviluppo conseguente delle reti smart-grid come indispensabile strumento di gestione e di programmazione delle nuove produzioni energetiche.

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La necessità di coordinamento viene rafforzata dalla forte crescita di imprese, di piccole e medie dimensioni, in parte provenienti dai settori industriali colpiti dalla crisi, che vedono nella produzione rinnovabile e nella disponibilità di incentivi pubblici una nuova occasione di sviluppo economico e produttivo.

Accanto ai nuovi produttori si è rafforzata la presenza dei grandi gruppi industriali che stanno realizzando forti investimenti nel settore delle rinnovabili utilizzando i diversi incentivi previsti dalla normativa.

Questo rapido sviluppo ha determinato, già nella fase attuale, una necessità di unificazione del mercato del lavoro che risulta frastagliato in diversi trattamenti normativi e contrattuali che evidenziano una precarietà del rapporto di lavoro e la tendenza ad utilizzare i differenziali economici esistenti tra i contratti di lavoro come elemento di concorrenza tra le imprese produttrici.

La crescita delle produzioni rinnovabili sta attivando forti processi di inserimento occupazionale e di riconversione professionale, in particolare dai settori produttivi in crisi, che devono essere governati per evitare la diffusione di pratiche di dumping sociale che possono diventare il fattore principale della concorrenza in un mercato regolato, come quello elettrico, e fortemente incentivato con denaro pubblico qual'è la produzione rinnovabile.

Il rischio della concorrenza sul costo del lavoro era già evidente nella fase di avvio del processo di liberalizzazione del settore elettrico, per questa ragione nel 2001 fu approvato il “contratto unico del settore elettrico” che avrebbe accompagnato la liberalizzazione del mercato e la privatizzazione delle imprese pubbliche operanti nel settore senza far pagare ai lavoratori il costo sul piano contrattuale e dei diritti sindacali. Il contratto unico si è dimostrato in questi anni uno strumento utile alle parti sociali per il governo di un processo lungo e complesso e non privo di rischi sociali.

Da allora molte cose sono cambiate, l'occupazione nel settore si è purtroppo drasticamente ridotta, in conseguenza delle scelte sia tecnologiche che gestionali delle imprese. Le aziende – in particolare l'Enel, ex monopolista di Stato – si sono radicalmente trasformate, in parte diverticalizzandosi (uscita dalle funzioni di dispacciamento/regolazione del mercato e della rete di trasporto) e accentuando, al proprio interno, articolazioni organizzative per segmenti di attività (produzione e vendita, reti e distribuzione, ingegneria e servizi) anche per effetto dei provvedimenti assunti dalle Authority e da decisioni politiche-governative accompagnati da consistenti processi di internazionalizzazione. In questo nuovo scenario si va affermando una forte integrazione fra gas ed elettricità, sia sul versante dell'approvvigionamento che della produzione e dell'offerta al mercato di servizi integrati e di qualità (Edison, Eni, Enel, Eon ecc.), ma anche con l'espansione delle aziende locali attraverso l'acquisizione delle reti di distribuzione elettriche e gas e con processi di aggregazione territoriale su ampia scala che superano gli ambiti municipali (A2A, Linea Group, Iride-Enia, Hera, Acea, ecc.). Queste grandi multiutility si configurano sempre più come aziende in grado di offrire alle comunità locali e al mercato energetico, ormai di dimensioni europee, una gestione industriale dell'insieme

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delle risorse ambientali e un'offerta integrata di servizi che spazia dall'elettricità al gas, dal teleriscaldamento al tele rinfrescamento, dal ciclo integrale dell'acqua a quello dei rifiuti, compresa la termovalorizzazione della frazione organica degli stessi con conseguente produzione di elettricità e calore.

E' in questo contesto che può trovare una risposta di prospettiva la necessità di unificare e riordinare il quadro contrattuale del settore delle rinnovabili che in caso contrario può determinare effetti di disarticolazione sul terreno della rappresentanza sociale e della tutela dei diritti contrattuali.

Si tratta quindi di riaffermare il governo integrato di questi processi andando oltre gli attuali confini contrattuali nazionali (Ccnl Energia-Petrolio, Elettrico, Gas-Acqua) nati sotto la spinta dei precedenti processi settoriali di liberalizzazione e di industrializzazione dei servizi per realizzare, in tempi ragionevoli, il Contratto unico del comparto integrato energetico e idrico. Un nuovo Ccnl capace di rappresentare l'insieme delle funzioni ricomprese nel comparto e dei lavoratori e delle imprese che concorrono alla gestione e all'erogazione di questi servizi sia, per la parte cosiddetta a mercato che per quella regolata.

Favorire tutte le convergenze e le sinergie utili a conseguire questo importante obiettivo può essere acquisito solo con la pratica di un percorso unitario e di concertazione tra le parti sociali.

GOVERNARE LA “TRANSIZIONE”: IL CASO DELLE RAFFINERIE

Scheda a cura di: Claudio Falasca

Se c’è un settore che può far capire meglio di altri il processo di riorganizzazione economico e produttivo in atto a livello globale, quello è senza dubbio il settore della raffinazione dei prodotti petroliferi. E’ in questo settore, infatti, che si intrecciano le grandi questioni di fondo che stanno ridisegnando la geografia economica mondiale. Pensare che la riorganizzazione mondiale in atto possa affrontata con le misure “ anti crisi” fino ad ora adottate dal Governo significa non aver capito che la componente economica e finanziaria è solo una delle componenti della crisi globale. Solo un'analisi che coniuga la dimensione economica e finanziaria con la componente sociale (miliardi di persone che nei paesi emergenti rivendicano migliori condizioni di vita) e la componente ambientale (contrasto al cambiamento climatico) può far comprendere pienamente la dimensione e la profondità del processo di trasformazione in cui siamo coinvolti. Governare la “transizione” significa mettere in campo una politica che consenta di indirizzare questo processo di trasformazione verso uno sbocco equo e sostenibile.

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Di seguito riportiamo ampi stralci dell'articolo pubblicato sul supplemento “ Affari e finanza” del quotidiano “la Repubblica” del 18 aprile 2011. Dalla analisi, sviluppata dal giornalista Luigi Pagni, emerge in tutta la sua concretezza e drammaticità il significato del concetto di “transizione” da noi utilizzato nelle nostre analisi.

“............Il settore della raffinazione del petrolio in tutta Europa è in crisi: la produzione è in calo, gli impianti vengono fatti lavorare anche se non recuperano i costi giusto per non perdere quote di mercato. La concorrenza incombe. Ovviamente asiatica: dalla Cina, soprattutto, ma anche dall’Indonesia e dai paesi del Golfo Persico arrivano prodotti a prezzi che possono essere inferiori anche del 10-15 %. La qualità non è molto inferiore, ma le raffinerie orientali possono contare su un più basso costo della manodopera, di una legislazione per la tutela ambientale meno restrittiva e godono di una serie di contributi statali per lo sviluppo del settore.

Inoltre, sono in calo le tradizionali esportazioni di benzina dagli impianti europei verso gli Stati Uniti. La crisi dei consumi che ha colpito il colosso americano, la maggiore efficienza energetica delle auto, l’aumento dei carburanti in seguito al rialzo dei prezzi del greggio hanno inciso sulle esportazioni: per non dire che entro il 2010 il mercato statunitense non sarà in grado di assorbire l’eccesso di produzione europea. A tutto ciò va aggiunto il fatto che l’eccesso di benzina prodotta nelle raffinerie potrebbe aumentare ulteriormente se si considera da un lato l’incremento previsto per i prossimi anni di auto a motore ibrido o elettrico nonché, dall’altro, la progressiva introduzione nei singoli mercati dei biocarburanti sulla scia di quanto sta già avvenendo negli Stati Uniti.

Un quadro in forte evoluzione che si riflette necessariamente nelle cifre del mercato: i margini di raffinazione in Europa sono calati tra il 2008 e il 2009 del 60%, mentre la riduzione dei profitti è stata addirittura compresa tra il 60 e il 90 %. Secondo i dati di Alberto Clò, dall’inizio della crisi si sono avuti in Europa disinvestimenti o chiusure in 18 impianti su 104 totali, per 103 milioni di tonnellate. Il tasso di utilizzo è sceso dal 90 al 76%.

Una brusca discesa che nel corso del 1010, secondo le prime stime, si è interrotta ma senza cambiare tendenza, senza considerare che andranno ancora valutati gli impatti della crisi libica. La conseguenza è stata la messa sul mercato degli impianti a minor redditività, mentre altre raffinerie sono state trasformate in depositi o costrette a lavorare con tassi di utilizzo appena sufficienti a recuperare i costi, mentre nei paesi arabi e nell’estremo oriente gli impianti non solo hanno un tasso di utilizzo del 100% (come accadeva in Europa fino al 2004) ma sono in cantiere anche nuovi impianti.

Tutto questo mette in crisi un settore che in tutto il continente dà lavoro a 600.000 mila addetti, di cui 100.000 direttamente negli impianti di raffinazione e 500.000 nella logistica e nella commercializzazione. Una produzione che non si limita

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solo alla lavorazione del petrolio per benzina e gasolio. Ma produce anche bitumi per asfalto, lubrificanti per auto e per l’industria, coke di petrolio per l’industria metallurgica, vernici e solventi. Non solo: è un settore strettamente legato alla petrolchimica, che a sua volta presenta un giro di affari pari a 240 miliardi di euro annui e occupa in tutta l’eurozona fino a 800.000 persone.

A poco o quasi a nulla, come detto, è servito il fatto che il 2010 sia stato caratterizzato da una ripresa della domanda a livello mondiale di idrocarburi, cresciuti del 3,3%, l’incremento maggiore dal 2004. Ma per il 79%, l’incremento della domanda si è avuto nei così detti paesi emergenti, che si stanno avvicinando ormai al 50% dei consumi mondiali, trainati in particolare dalla Cina, arrivata a 10 milioni di barili al giorno, su un totale di 87 milioni.

Il rischio concreto è che l’aumento della domanda non venga intercettato dagli impianti continentali, come si legge in un documento ufficiale dell’Unione Petrolifera Italiana”.

“.......Una crisi che potrebbe persino mettere in in crisi la sicurezza degli approvvigionamenti. Perché se è vero, da un lato che con il progredire delle rinnovabili e delle auto meno inquinanti, la domanda di idrocarburi è destinata a scendere in Europa è altrettanto vero che di petrolio e dei suoi derivati non si potrà fare ameno per ancora a lungo. Secondo i dati dell’AIE (l’Agenzia internazionale dell’Energia), il petrolio coprirò solo un terzo della domanda di energia al 2030, ma la quota destinata a coprire il fabbisogno del settore dei trasporti scenderà da a 20 anni solo dal 90 all’80 %.

I Italia la situazione rispecchia quanto sta accadendo in Europa. Nel 2008 c’era stato un primo calo consistente del 6,6 % dei consumi petroliferi: gli impianti viaggiavano attorno al 90% della capacità nel 2009, l’anno scorso hanno perso un ulteriore 10% di capacità produttiva. Nel nostro Paese la domanda dI carburanti è scesa nel 2010 del 2,4% al al livello più basso degli ultimi 30 anni. Rispetto al 2004 la domanda di carburanti è scesa pe 3,3 milioni di tonnellate. <una diminuzione della domanda compensata solo in parte dalle esportazioni, cresciute per il sistema italiano del 9,4%, nonostante ciò. Il tasso di utilizzo dei 16 impianti nazionali ha recuperato solo due punti percentuali rispetto al 2009, molto inferiore rispetto al 92% del 2009 e al 100% del 2005, l'ultimo anno “buono” prima della crisi. In Italia la capacità di raffinazione sfiora i 110 milioni di tonnellate, distribuite su 16 impianti. Al momento l'eccesso di capacità è misurata in 10 milioni di tonnellate annue. Ma la situazione è destinata a peggiorare: la stima è che l'eccesso di capacità sia destinato a raddoppiare. Il che vorrebbe dire la chiusura di almeno 3-4 raffinerie di medie dimensioni.”

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PROGETTO ARPA UMBRIA DI RECUPERO E VALORIZZAZIONE DELLE SCORIE DELLA TK-AST E RISANAMENTO AMBIENTALE DISCARICA

scheda a cura di; Svedo Piccioni

Lo smaltimento dei rifiuti industriali rappresenta uno dei problemi più seri per qualsiasi attività produttiva, poiché contengono spesso sostanze pericolose per la salute e per l’ambiente. Nel nostro paese, i rifiuti provenienti da attività manifatturiera sono compresi nella definizione “Rifiuti speciali” (138,4 milioni di tonnellate nel 2008 secondo il Rapporto Ispra 2010) e incidono per il 36% circa del totale.

Il sistema più comune di smaltimento in Italia è ancora quello della discarica, con tutto ciò che ne comporta in termini di consumo di suolo, costi di gestione e impatto sul paesaggio.

In questo contesto, la Thyssenkrupp–Ast di Terni, con una produzione di circa 600.000 tonnellate annue di rifiuto, rappresenta una delle realtà più consistenti del nostro paese. Nel corso del tempo, infatti, l’accumulo dei residui della produzione sono andati ad occupare tre siti di stoccaggio, compresi all’interno dell’area di proprietà della TK-AST.

Per trovare una soluzione a questo problema la Regione Umbria, nell’Autorizzazione integrata ambientale (AIA) rilasciata nel 2010 alla TK-AST relativa allo stabilimento di lavorazione e alla discarica, insieme all’azienda ha stabilito in due anni – dalla data di inizio dell’Autorizzazione – il tempo necessario per il recupero delle scorie prodotte nel corso degli anni. L’obiettivo è quello di trasformare un problema in una opportunità economica e ambientale. In base a questo orientamento, quindi, è stato elaborato un progetto di recupero e riutilizzo degli scarti accumulati che prevede la produzione di inerti per conglomerati bituminosi e cementizi, ballast ferroviari e vetro. L’ipotesi ha trovato la piena disponibilità della ThyssenKrupp, anche in un momento in cui è stata stabilita la dismissione del settore inox; al di là dell’esito della trattativa che seguirà tale decisione, infatti, l’adozione di questo sistema può comunque rappresentare un valore aggiunto nell’assetto produttivo dell’azienda.

A tutto ciò va aggiunta la possibilità, studiata dall’Università Tor Vergata di Roma, di una integrazione tra il recupero e l’immagazzinamento di C02 attraverso un processo di trattamento termico della scoria. Tali processi di recupero hanno come effetto immediato una riduzione dello sfruttamento delle cave e permettono la diminuzione dei volumi stoccati e di quelli da collocare in discarica. L’ipotesi di immagazzinamento della C02 rientra invece nel contesto più generale di contenimento delle emissioni di anidride carbonica. In questo percorso una parte rilevante è costituita dal quadro economico, che prevede il coinvolgimento delle aziende che operano nei settori interessati dal progetto: edilizia, industria vetraria, produttori di materiale isolante, ecc…

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Considerando le 30 milioni circa di tonnellate di scorie già disponibili e operando in termini previsionali su una base di 600.000 tonnellate annue di produzione di scarti, è evidente che il progetto nel suo complesso possiede, oltre ad un forte valore ambientale, anche una importante rilevanza economica.

Sintesi del progetto:

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La ricerca e la qualificazione professionale sono elementi cardine di una politica indu-striale per uno sviluppo sostenibile.

La ricerca riguarda molti comparti da quelli scientifici a quelli normativi e sociali.I nuovi paradigmi tecnologici hanno acquisito vantaggi competitivi molto ampi che si

sono tradotti in una forte crescita della produttività globale dei fattori di produzione. Laragione di questo risiede nel fatto che la caratteristica delle nuove tecnologie (dall’Ict allabiotecnologia)

I trasporti sono un elemento fondamentale delle nostre economie e della nostra vitaquotidiana. Purtroppo causano troppi incidenti, troppo traffico, troppo rumore e anchetroppi problemi ambientali, sia inducendo i cambiamenti climatici sia a livello di inqui-namento locale. L'aumento della domanda di trasporto aggraverà probabilmente questiproblemi.

Il sistema dei trasporti non non può continuare a svilupparsi nel solco attuale. A sce-nario immutato nel 2050 le emissioni di CO2 provocate dal settore dei trasporti aumen-teranno di un terzo rispetto ad oggi. Entro il 2050 i costi dovuti alla congestioneaumenteranno del 50% e continueranno ad aumentare i costi sociali dovuti agli incidentie all'inquinamento acustico.

Per la individuazione di una politica industriale per i sistemi di trasporti fondata suuno sviluppo equo e sostenibile si può partire dalle indicazioni fornite dal Libro biancoUE : Per una politica dei trasporti competitiva e sostenibile pubblicato il 28.3.2011. Ri-portiamo gli elementi cardini lì esposti.

L'industria dei trasporti rappresenta un segmento importante dell'economia: nel-l'Unione europea impiega direttamente circa dieci milioni di persone e contribuisce al PILper il 5% circa.

La sfida consiste nell'interrompere la dipendenza del sistema dei trasporti dal petrolio,senza sacrificarne l'efficienza e compromettere la mobilità.

Sono necessarie nuove modalità per poter trasportare volumi superiori di merci e unnumero maggiore di passeggeri utilizzando combinazioni di modi di trasporto più effi-cienti.

Le nuove tecnologie per i veicoli e la gestione del traffico saranno fondamentali per ri-durre le emissioni provocate dai trasporti. Un'introduzione tardiva e poco ambiziosa dellenuove tecnologie potrebbe condannare a un declino irreversibile l'industria dei trasportidell'Unione europea.

Ricerca e formazione nei trasportiper uno sviluppo sostenibileScheda a cura di: Enrico Ceccotti

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Non è possibile realizzare cambiamenti di grande portata nel mondo dei trasportisenza il sostegno di un'adeguata rete e un uso più intelligente delle infrastrutture.

Gli investimenti nell'infrastruttura di trasporto hanno un impatto positivo sulla crescitaeconomica, creano ricchezza e occupazione e migliorano gli scambi commerciali, l'ac-cessibilità geografica e la mobilità delle persone ma devono essere pianificati in modomassimizzarne l'impatto positivo sulla crescita economica e da ridurne al minimo le con-seguenze negative per l'ambiente.

Gli sviluppi futuri devono basarsi su una molteplicità di aspetti:– miglioramento dell'efficienza energetica dei veicoli in tutti i modi di trasporto, me-

diante lo sviluppo e l'impiego di carburanti e sistemi di propulsione sostenibili;– utilizzo più efficiente dei trasporti e dell'infrastruttura grazie all'uso di migliori si-

stemi di informazione e di gestione del traffico, di una logistica avanzata e di misure dimercato, quali il pieno sviluppo di un mercato europeo integrato dei trasporti su rotaia,l'eliminazione delle restrizioni al cabotaggio, l'abolizione degli ostacoli al trasporto ma-rittimo a corto raggio, la fissazione corretta delle tariffe, ecc.

– una migliore integrazione delle reti modali: gli aeroporti, i porti e le stazioni fer-roviarie, degli autobus e della metropolitana dovranno essere sempre più collegati fraloro e trasformati in piattaforme di connessione multimodale per i passeggeri. L'integra-zione multimodale degli spostamenti dovrebbe essere facilitata dalla diffusione delle in-formazioni online e dei sistemi di prenotazione e pagamento elettronici che integrinotutti i mezzi di trasporto.

La strategia europea per la ricerca, l'innovazione e le applicazioni nel settore dei tra-sporti

Per "Uscire dal petrolio" non sarà possibile affidarsi a un'unica soluzione tecnologica.È necessario invece un nuovo concetto di mobilità basato su un insieme di nuove tecno-logie e su comportamenti più ecologici.

L'innovazione tecnologica può consentire una transizione più rapida e meno costosaverso un sistema dei trasporti più efficiente e sostenibile, agendo su:

- l'efficienza dei veicoli grazie a nuovi motori grazie a nuovi carburanti e sistemi dipropulsione;

- materiali e modelli meni energivori e inquinanti;- un uso migliore della rete;- un incremento della sicurezza grazie ai sistemi di informazione e comunicazione. La politica di ricerca e innovazione nel campo dei trasporti dovrebbe sostenere lo svi-

luppo e la diffusione delle tecnologie necessarie per rendere il sistema europeo dei tra-sporti moderno, efficiente e a misura di utente.

In ambito urbano è necessaria una strategia mista per ridurre la congestione e le emis-sioni basata su: pianificazione territoriale, sistemi di tariffazione, infrastrutture e servizidi trasporto pubblici efficienti, la ricarica/rifornimento dei veicoli puliti.

La messa a punto di veicoli puliti, sicuri e silenziosi va incentivata per tutti i trasporti,dai veicoli stradali alle navi, alle chiatte, al materiale rotabile ferroviario e agli aeromobili(inclusi nuovi materiali, nuovi sistemi di propulsione e strumenti informatici e di gestioneper gestire e integrare sistemi di trasporto complessi);

L’applicazione di sistemi per la mobilità intelligente, quali SESAR (il sistema di gestione

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del traffico aereo del futuro), ERTMS (il sistema europeo di gestione del traffico ferrovia-rio), SafeSeaNet (il sistema di monitoraggio del traffico navale e di informazione), RIS (ilsistema di informazione fluviale), STI (i sistemi di trasporto intelligenti) e la nuova gene-razione di sistemi di informazione e gestione del traffico multimodale;

Per promuovere comportamenti più ecologici occorre sensibilizzare l'opinione pubblicasulla disponibilità di alternative alle tipologie di trasporto individuali convenzionali (uti-lizzare meno l'automobile, andare a piedi e in bicicletta, usare i servizi di auto condivisae di park & drive, i biglietti intelligenti, ecc.).

L’attuazione di una coerente politica permetterà di migliorare la competitività dei tra-sporti, garantendo come minimo la riduzione del 60% le emissioni di gas serra del settoreentro il 2050.

Tutte queste iniziative non possono avere buon esito se non si affronta il problemadella qualità del lavoro in tutti i tipi di trasporto, con particolare riferimento alla forma-zione, alla certificazione, alle condizioni di lavoro e allo sviluppo della carriera, con l'obiet-tivo di creare posti di lavoro di qualità, sviluppare le competenze necessarie e rafforzarela competitività degli operatori di trasporto. Tali interventi avranno un impatto positivoanche sui livelli occupazionali sia nei settori maturi quali l’automotive, l’industria navalee ferroviaria sia in quelli più innovativi quali l’industria aereopsaziale, l’Ict, la ricerca dinuovi materiali, la produzione e l’accumulo di energia, lo sviluppo dei servizi per i tra-sporti, le strutture di identificazione delle competenze professionali e quelle di formazioneprofessionale e istruzione superiore e universitaria.

Scheda Mobilità su gomma

Il percorso di diversificazione delle fonti energetiche per il trasporto su gomma passaattraverso varie fasi alcune delle quali sono parzialmente sovrapponibili attraverso:

- la promozione di veicoli puliti ed efficienti sul piano energetico con motori a com-bustione interna di tipo convenzionale e ibridi.

- la facilitazione della diffusione veicoli con sistemi di propulsione innovativi: la tec-nologia al momento più accessibile e incentivabile è quella dei biocarburanti liquidi ecarburanti gassosi (Metano, Biogas, GPL). La campagna di aiuti governativi nel 2009verso le auto con alimentazione a gas ha prodotto un indubbio vantaggio per l’ambiente.Il venir meno dei contributi statali ha immediatamente riportato la quota di vendite delleauto a gas a valori più bassi (dal 30% del primo trimestre 2010 al 2% del primo trimestre2011). Occorre pertanto promuovere progetti di innovazione legati alla filiera GPL/CNG. L’Italia ha una buona potenzialità in termini di produzione e distribuzione, anche inchiave di export di tecnologie e di prodotti. Ad esempio andrebbe attuata proposta dilegge n.2172 – Disposizioni in materia di utilizzo del metano come carburante per au-totrazione, presentata nel febbraio 2009.

- la diffusione dei veicoli elettrici è legata allo sviluppo tecnologico (motori, batterie,sistemi di alimentazione ecc.) e la messa in atto di infrastrutture che ne favoriscano ladiffusione (reti di colonnine per la ricarica elettrica in area urbana, stazioni di cambiobatterie ecc.);

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- Investimenti in ricerca per veicoli a pile a combustibile all’idrogeno che hanno unatecnologia ancora da sviluppare come il miglioramento del bilancio energetico per laproduzione di idrogeno;

- il mix combinato di tecnologie andrà monitorato il rapporto alla disponibilità dellevarie tecnologie e in rapporto al loro costo e alla compatibilità economica e sociale.

Ricerche progetti e investimenti, ed anche innovazioni radicali (come l’auto elettrica,i motori a carburanti plurimi, i veicoli ibridi “plug-in”) sono giunti allo stadio di pre-com-mercializzazione o addirittura sul mercato già da tempo.

L’auto elettrica in particolare, nelle sue varie declinazioni, sembra rappresentare lagrande sfida tecnologica di questo inizio secolo, non ultimo perché potrebbe anche aiu-tare l’Italia e l’Europa a ridurre il rilevante problema della dipendenza dall’estero per lefonti di energia. Non a caso l’auto elettrica rappresenta attualmente una delle prioritàdell'Unione Europea nella lotta ai cambiamenti climatici.

Bisogna creare le condizioni per un mercato pronto a fare il salto di qualità. In moltipaesi si stanno realizzando politiche dedicate allo sviluppo delle auto elettriche da utiliz-zare soprattutto nelle aree urbane dove avvengono la maggior parte degli spostamentiin automobile e dove è più semplice realizzare una rete di ricarica delle batterie.

L’Italia non si è posta obiettivi specifici, né ha varato quelle misure indispensabili perfavorire la diffusione delle auto elettriche: incentivi fiscali, una uniforme regolazione dellamobilità da parte dei Comuni e la diffusione delle reti di ricarica.

Per affermarsi l’auto elettrica non può prescindere da un deciso intervento delle auto-rità governative per sostenerne la fase di avvio e di crescita per un periodo che deve ri-sultare sufficientemente lungo ad accompagnarla sul mercato in competizione con lealtre forme di propulsione. Questo significa un intervento pubblico che si ponga obiettiviambiziosi in termini di parco circolante elettrico, accompagnati da pertinenti iniziativedi stimolo sia dalla parte della domanda (incentivi per i consumatori che, per quantosempre più sensibili alle tematiche delle emissioni inquinanti, non sono disposti a pagareun differenziale di prezzo che può arrivare anche al 20/30%), sia dalla parte dell’offerta(creazione di adeguate infrastrutture, sostegno ai produttori soprattutto per le attivitàdi R&S).

Le tematiche centrali per le politiche di sviluppo di settore, sia a livello territoriale chenazionale, dovrebbero affrontare prioritariamente alcuni temi:

- l’innovazione della filiera produttiva, soprattutto in relazione al riposizionamentodella stessa sulla frontiera tecnologica (efficienza energetica, propulsioni alternative, nuovimateriali, etc.);

- il rafforzamento delle esperienze di aggregazione e d’integrazione in una logicadi filiera, puntando sulle forme più efficienti di cooperazione tra imprese e tra filiere pro-duttive;

- lo sviluppo di sistemi di governance dei sistemi produttivi territoriali capaci di re-golare, su una scala territoriale adeguata, i processi di crescita e qualificazione delle im-prese locali.

Più specificatamente sulla componentistica auto motive le azioni a supporto del com-parto dovranno riguardare essenzialmente:

- Il sostegno di processi di innovazione delle imprese del comparto della componen-

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tistica auto e in generale della meccanica, anche attraverso l’attivazione sperimentale dibandi di filiera integrati con interventi a sostegno dell’occupazione, sotto forma di pac-chetti integrati agevolativi;

- la riqualificazione e l’aggiornamento professionale degli addetti al comparto;- la valorizzare dei centri di competenza specializzati e promozione di poli di innova-

zione su base interprovinciale con cooperazione su base regionale e interregionale, e or-ganismi di ricerca che possano supportare processi di trasferimento tecnologico e diinnovazione.

- la realizzazione di interventi per la riqualificazione ambientale delle aree per insedia-menti produttivi da cui dovrebbero scaturire possibilità di sostegno ad intereventi di rein-dustrializzazione e sviluppo dell’area;

- Creare delle Agenzie distrettuali come sedi di formazione tecnologica e di collabora-zione locale fra componentisti complementari, anche con coinvolgimento dell’Università,per attività condivise di R&D ad imitazione delle esperienze inglesi (West Midlands Au-tomotive Consortium) e tedesche (Stuttgart Automotive Cluster Initiative).

- Un piano di rinnovo dei trasporti urbani a favore di veicoli a CNG. Trasformazionedei veicoli pesanti di uso urbano (es.: trasporto immondizie ad alimentazione CNG conuso del carico per produrre bio-metano). Si veda in proposito il brillante esempio realiz-zato dalla città di Madrid con veicoli Iveco. Idem per i veicoli utilizzati nelle aziende agri-cole.

Per svolgere la loro parte le amministrazioni nazionali e regionali devono contribuirea mettere in campo strumenti di sostegno alla innovazione e competitività che non sonoi vecchi incentivi alla rottamazione.

Occorre lavorare a un progetto di ampio respiro chiedendo alle imprese di fare il loromestiere in un ambiente competitivo e liberalizzato, di assumersi una parte di responsa-bilità sociale. Non si possono addossare alle imprese oneri che sono di competenza delloStato, senza neppure fornire una controparte infrastrutturale e istituzionale adeguata.Mai come nell’automotive si registra la completa assenza di politica industriale del nostrogoverno.

Scheda Trasporto marittimo

I porti marittimi rivestono un ruolo importante come centri logistici ma richiedono con-nessioni efficienti con l'entroterra. Il loro sviluppo è fondamentale per gestire i volumi dimerci in aumento mediante il trasporto marittimo a corto raggio sia all'interno dell'Unioneeuropea che con il resto del mondo.

L'impatto ambientale della navigazione può e deve essere migliorato sia grazie allatecnologia sia migliorando i combustibili e le operazioni: globalmente le emissioni diCO2 dovute al settore del trasporto marittimo dovrebbero essere ridotte del 40% (e sepraticabile del 50%) entro il 2050 rispetto ai livelli del 2005.

Non pianificare un sistema di trasporti via mare integrato con le ferrovie e il trasportosu gomma, per una nazione che ha il suo territorio dislocato in una penisola e su isole èuna miopia di proporzioni vistose. In Italia esiste una rete stradale, un trasporto sugomma che intasa non solo i centri urbani ma l'intera rete. Sono fenomeni abbastanza

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rari in paesi europei con una conformazione geografica simile alla nostra. Ri¬nunciarea una politica dei trasporti, al cabotaggio interno, allo sviluppo delle tecnologie per lage¬stione integrata dei trasporti e della movimenta¬zione delle merci, è come non volerdare al siste¬ma paese la possibilità di essere concorrenziale sul piano internazionale.Un progetto come quello di autostrade del mare sarebbe particolarmente adatto perpaese lungo 1.500 km. Ci vorrebbero navi specializzate, navi che traferiscano merci, naviper tir.

L’economia del mare è il contesto nel quale bisogna rilanciare la cantieristica, oggi inprofonda crisi. In questo, come in altri settori il nostro Paese non ha una politica di rife-rimento. C’è l’esigenza di un impegno significativo a tutti i livelli e di un’azione comune,fino ad approdare in sede europea. Un intervento forte da parte dello Stato assieme alleRegioni, per il rinnovamento del parco navi del Mediterraneo.

Al Governo si chiedono commesse pubbliche e un’adeguata politica industriale. All’Europa l’introduzione della rottamazione, in particolare in relazione ai traghetti. Il

Ruolo dell’Unione Europea tocca il sistema cantieri/fornitori, la messa in atto di interventistraordinari che servano ad evitare la scomparsa, o l’ulteriore pesante riduzione, di unabuona parte dell’attuale capacità produttiva comunitaria. Il provvedimento dovrebbeconcretizzarsi in misure di stimolo della domanda, finalizzate all’eliminazione dalle acqueeuropee del naviglio obsoleto con bandiera comunitaria (prevalentemente ferries e Ro-Ro) ed alla sua sostituzione – supportata da incentivi nella forma di “eco bonus” – conunità avanzate sotto il profilo ambientale e della sicurezza. Gli incentivi alla rottamazionesono indispensabili per favorire la ripresa della domanda dei traghetti;

Però solo con una politica industriale per il Paese Italia possiamo ottenere dall’Europale risorse necessarie al rilancio della domanda e alla realizzazione delle infrastrutture ne-cessarie.

Ad esempio il progettoMare Friui Venezia Giulia nasce con l'obiettivo di promuoveree realizzare attività di formazione nell'ambito dei molteplici settori afferenti all'economiadel mare in base a fabbisogni formativi e occupazionali e a esigenze di innovazione delterritorio.

E’ però necessaria, anche a livello nazionale, la creazione di un osservatorio perma-nente sul mondo del mare che si adoperi in ricerca, analisi e monitoraggio dei fabbisognidi formazione e innovazione e sulle possibili opportunità di trasferimento tecnologico.Si devono finanziare - come accade negli altri Paesi Europei - le attività di Ricerca & Svi-luppo, indispensabili per garantire alle imprese nazionali, come Fincantieri, l’innovazionedel prodotto nave.

Scheda Trasporto ferroviario

Il trasporto su ferro è quello che maggiormente risponde alle esigenze di ecocompa-bilità. Purtroppo, soprattutto per quanto riguarda le merci, la ferrovia non è vista comeun'opzione particolarmente attraente. Favorire l’incremento del trasporto su “ferro” dellemerci risponde a molte importanti esigenze del nostro Paese: ridurre i costi di trasporto,ridurre l’inquinamento e l’incidentalità connessi al trasporto su “gomma”, collegare leindustrie italiane con il resto di Europa.

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La sfida consiste nel garantire i cambiamenti strutturali che consentano al trasportoferroviario di competere efficacemente e di trasportare una porzione più significativa dimerci sulle medie e lunghe distanze. Per ampliare o migliorare la capacità della rete fer-roviaria saranno necessari investimenti cospicui.

Relativamente al trasporto passeggeri l’impatto maggiore sui territori si avrebbe sullamobilità urbana e territoriale. Il potenziamento delle linee metropolitane e regionali adalta capacità può dare un contributo fondamentale al decogestionamento dei territori apiù alta densità abitativa e alla riduzione dell’emissione di CO2.

Il trasporto ferroviario ad alta velocità dovrebbe assorbire buona parte del traffico sullemedie distanze, liberando anche le linee presenti per il traffico locale.

Investimenti sul sistema dei trasporti ferroviario hanno anche un grande impatto sul-l’occupazione e sulla qualificazione professionale. Anche qui è cruciale l’adeguamentodi tutta la catena della formazione e dell’istruzione come pure la ricerca e sviluppo diutilizzo di nuovi materiali, nuovi motori, sistemi di segnalamento e controllo ancora oggipresidiati dalle imprese italiane.

Occorre quindi una politica industriale, una politica capace di fare sintesi tra le esigenzedi chi viaggia tra le città, per affari o per turismo, di chi tutte le mattine e le sere prendeil treno per recarsi al lavoro e per tornare a casa e delle imprese che intendono spedirele loro produzioni in Europa e nel mondo con un mezzo economico, a basso impattoambientale e sicuro.

Scheda trasporto aereo

Al ritmo di crescita attuale del traffico aereo, l'Europa si troverà a dover far fronte aduna carenza di infrastrutture, se non verranno adottati provvedimenti. La congestioneavrà inoltre effetti negativi sull'ambiente e sulla sicurezza. In Italia si registra una man-canza di una strategia di sistema e una politica organica di settore in ambito nazionalecon l’assenza di indirizzi politici chiari

Anche qui l’Unione Europea indica le linee di azione attraverso azioni-chiave quali:- un migliore utilizzo delle capacità aeroportuali esistenti; - adottare un approccio coerente alla sicurezza aerea negli aeroporti; - promuovere la "co-modalità", l'integrazione e la collaborazione tra modi di tra-

sporto; - migliorare le capacità ambientali degli aeroporti e il quadro per la pianificazione

delle nuove infrastrutture aeroportuali; - elaborare e attuare soluzioni tecnologiche efficienti. Il trasporto aereo non può basarsi sul Jet Fuel nel lungo termine. Dobbiamo trovare

un’alternativa sostenibile e l’opportunità più promettente sono i biocarburanti, che po-trebbero ridurre l’impatto ambientale dell’80%. L'industria aeronautica dell'Unione eu-ropea dovrebbe porsi all'avanguardia nell'uso di combustibili a basso tenore di carbonio.I governi dovrebbero investire nei biocarburanti e nella tecnologia verde.

La valutazione di impatto ambientale è uno strumento di supporto per l'autorità de-cisionale, finalizzato a individuare, descrivere e valutare gli effetti di un determinato pro-getto sull'ambiente. Da tempo infatti si studiano gli effetti sull’ambiente del traffico aereo.

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Le tecnologie principali dei trasporti aerei (propulsione, studio aerodinamico) vanni fina-lizzate al risparmio di carburante, il comfort per il passeggero, il basso inquinamento el’utilizzo materiali leggeri.

Nel campo delle infrastrutture i sistemi di navigazione via satellite rafforzano la sicu-rezza degli aeroporti. Tali sistemi potrebbero anche permettere una maggiore flessibilitànella progettazione delle piste di avvicinamento e di partenza in modo da ridurre l'inqui-namento acustico o da permettere un utilizzo sicuro di aeroporti o di piste più ravvici-nati.

L’aspetto della formazione in un campo aeronautico richiede uno sforzo di sistemache non può essere demandato separtamente ai singoli attori del settore o alle Universitàma è necessario integrare il taglio accademico con quello operativo.

La formazione va articolata sia post-scuola secondaria che post-universitaria in mododa formare personale in grado di svolgere le più svariate funzioni in ambito aeronauticorelativamente a:

- personale di manutenzione (aeromobili ed impianti di navigazione)- personale di uffici tecnici degli operatori aerei- personale destinato a ricoprire incarichi di responsabilità (Safety Managers)- personale addetto ai controlli di security negli aeroporti- personale addetto ai servizi vari (handling, catering, assistenza passeggeri,pulizie, etc.) Infine è necessario che trasporti aerei e ferroviari devono diventare maggiormente

complementari: il miglioramento dei collegamenti tra i diversi modi di trasporto offri-rebbe numerosi vantaggi quali:

- sviluppare i collegamenti ferroviari tra gli aeroporti e le città, al fine di deconge-stionare il traffico stradale;

- sviluppare i collegamenti regionali, al fine di estendere il bacino di utenza degliaeroporti;

- istituire collegamenti ferroviari ad alta velocità tra gli aeroporti e le grandi areemetropolitane.

Un’adeguata politica dei trasporti dovrebbe sostenere lo sviluppo delle piattaformeintermodali negli aeroporti, come i collegamenti ferroviari o le stazioni ferroviarie negliaeroporti.

Conclusioni

C’è la necessità di anticipare il cambiamento e mettere in atto politiche per essere ingrado di gestire i nuovi trend e le nuove sfide che provengono dall’economia globale. E’importante la creazione di reti fra soggetti diversi per elaborare strategie comuni in gradodi rendere un settore maturo come l’industria dei trasporti in grado di fronteggiare l’evo-luzione dei mercati e dell’economia. Questi interventi, in altri paesi, erano già stati messiin atto, già prima dell’avvento della crisi, con politiche indirizzate a contrastare i problemistrutturali del settore. In seguito alla recente crisi si sono aggiunte ulteriori iniziative.

Accanto al tradizionale rapporto tra grande impresa e governo centrale, assumonoprogressivamente maggiore rilevanza le politiche territoriali in cui l’attore pubblico locale,la grande impresa multinazionale (Global Players) e le Pmi locali operano in una logica

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di filiera per elaborare prospettive di sviluppo locale coerenti con lo scenario competitivointernazionale.

È finita l’epoca dei regali all’industria, ma questo non significa rinunciare ad intervenirecon una seria politica industriale che punti sull’innovazione e la ricerca. Una ricerca cheproceda in direzione della mobilità sostenibile, e di nuovi propulsori.

Si parla di investimenti sulla ricerca e sulla riqualificazione delle risorse umane. Si parladi reti di trasporto e di energia. Si parla di riforme contrattuali concertate e condivise. Siparla, in altri termini, di Sistema-Paese, cioè un tema sul quale questo governo non ha enon ha mai avuto nulla da dire né da proporre.

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Premessa

La situazione emergenziale del mezzogiorno d’Italia è da anni al centro dell’attenzione.La crescente disoccupazioni giovanile, la più bassa percentuale di laureati, un sistema in-frastrutturale inefficiente, contribuiscono a rendere più complicata la ricerca di soluzionialle difficoltà che colpiscono il sud del nostro paese.

Bisogna considerare che alcune delle regioni del meridione d’Italia, hanno un patri-monio naturalistico tra i più importanti d’Europa che se adeguatamente valorizzato, po-trebbe rappresentare un volano straordinario per lo sviluppo e la crescitadell’occupazione.

Purtroppo le carenze infrastrutturali, la mancanza di un efficiente sistema di trasporto,una rete stradale obsoleta e la scarsa attenzione di questo governo, rendono più difficilela risoluzione dei problemi suddetti.

Si pensi a 2 giovani di 25 anni neo laureati che decidono di avviare un’attività impren-ditoriale il primo a Reggio Calabria e il secondo a Milano. I costi di produzione sarannogravosi per il giovane Calabrese, in quanto le materie prime dovranno viaggiare attraversol’interno paese per arrivare al sud, dove non vi è un efficiente sistema di interporti comein alcune regioni del nord. La produzione risentirà poi di una scarsa qualità della mano-dopera, i dati del MIUR ci dicono infatti che il 42% dei laureati e il 31% dei diplomati ca-labresi, spinti dalla mancanza di lavoro, decidono di vivere e lavorare in una delle regionidel nord, impoverendo ulteriormente la forza lavoro del sud; inoltre il prodotto finitorealizzato a Reggio Calabria, avrà enormi difficoltà a raggiungere il mercato nazionaleed internazionale, per la mancanza di un sistema aeroportuale e ferroviario efficiente ecapillare.

L’esempio suddetto ci aiuta a comprendere, quanto sia difficile far ripartire il meridioned’Italia, senza importanti interventi governativi e un sistema paese di matrice solidaristicache investa nelle regioni più svantaggiate con la consapevolezza che una nazione a 2 ve-locità è destinata a soccombere nelle sfide europee e mondiali dell’economia e della pro-duzione.

Infine dobbiamo ricordare che le 6 regioni del meridione d’Italia, producono comples-sivamente il 53% delle d.o.p. del nostro paese, oltre ad alcune delle specialità alimentarie delle etichette di vini più ricercati al mondo; una valorizzazione di tali produzione po-trebbe essere molto utile per dare significative risposte occupazionali

Mezzogiorno, infrastrutture e lavoro.Scheda a cura di: Massimo Pintus

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Soluzioni

Le soluzioni possono essere diverse vediamone alcune:- Valorizzazione del patrimonio naturalistico del mezzogiorno d’Italia anche attra-

verso l’incentivo alla costituzione di società e cooperative per la gestione delle aree pro-tette e dei progetti di tutela della flora e della fauna.

- Creazione di programmi universitari di master and back che permettano ai giovanistudenti universitari, di terminare all’estero il loro percorso di studi, acquisendo le miglioricompetenze in ogni settore, per poi riportarle nelle loro regioni di origine.

- Incentivi alla creazione di imprese con alto tasso di innovazione; nel mondo oggiil prodotto innovativo e creato rispettando l’ambiente è sempre più ricercato.

- Creazione di un sistema di compensazione del disagio infrastrutturale patito dalleimprese del mezzogiorno d’Italia, con l’obiettivo di renderle finalmente competitive conle imprese del nord Italia.

- Creazione di un fondo straordinario per la mobilità finalizzato a finanziare l’am-modernamento delle rete stradale e ferroviaria delle regioni del sud.