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CLINICA DEL DIRITTO DELLIMMIGRAZIONE E DELLA CITTADINANZA 1 CLINICA DEL DIRITTO DELLIMMIGRAZIONE E DELLA CITTADINANZA DIPARTIMENTO di GIURISPRUDENZA - UNIROMA3 ANALISI DEI PROCEDIMENTI DI OPPOSIZIONE AL DECRETO DI ESPULSIONE NELLA SEDE DI ROMA Novembre 2014 Francesca Asta Novembre 2014

ANALISI DEI PROCEDIMENTI DI OPPOSIZIONE AL DECRETO …giudicedipace.giur.uniroma3.it/wp-content/uploads/2014/05/... · Garanzie processuali e tutela dei diritti .....3 1 - Rilievi

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CLINICA DEL DIRITTO DELL’IMMIGRAZIONE E DELLA CITTADINANZA

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DIPARTIMENTO di GIURISPRUDENZA

 

CLINICA DEL DIRITTO DELL’IMMIGRAZIONE E DELLA CITTADINANZA DIPARTIMENTO di GIURISPRUDENZA - UNIROMA3

ANALISI DEI PROCEDIMENTI DI OPPOSIZIONE AL DECRETO DI

ESPULSIONE NELLA SEDE DI ROMA  

 

Novembre  2014  

Francesca  Asta  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Novembre  2014

CLINICA DEL DIRITTO DELL’IMMIGRAZIONE E DELLA CITTADINANZA

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Sommario

Introduzione ........................................................................................................................................................ 3 Garanzie processuali e tutela dei diritti ......................................................................................................... 3

1 - Rilievi generali sui procedimenti e le udienze .............................................................................................. 3 2 - Accesso al patrocinio a spese dello Stato ...................................................................................................... 5 3 - La durata dei processi .................................................................................................................................... 5 4 - Sospensione cautelare dell’efficacia del decreto di espulsione ..................................................................... 7 5 - Motivi di espulsione e modalità esecutive del decreto prefettizio ................................................................ 9 6 - I motivi di ricorso ........................................................................................................................................ 12 7 - La traduzione del decreto di espulsione ...................................................................................................... 13 8 - La mancata concessione del termine per la partenza volontaria e il rischio di fuga ................................... 15 9 - La valutazione della pericolosità sociale ..................................................................................................... 17 10 - I divieti di espulsione ................................................................................................................................ 19 11 - I legami familiari e il radicamento sul territorio ....................................................................................... 21 12 - I provvedimenti decisori e le motivazioni dei giudici ............................................................................... 23 Dati di natura socio-giuridica sui ricorrenti ...................................................................................................... 24

CLINICA DEL DIRITTO DELL’IMMIGRAZIONE E DELLA CITTADINANZA

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Introduzione

Nell’ambito della ricerca “Osservatorio sulla giurisprudenza del Giudice di Pace in materia di

immigrazione” sono stati analizzati 54 provvedimenti dell’Ufficio del Giudice di Pace di Roma,

riguardanti i procedimenti di opposizione all’espulsione dei cittadini di paesi terzi ex art. 13 comma

8 del D. Lgs. 25 Lugio1998 n. 286, cosi come riformato dal D. Lgs. 150/2011.

I provvedimenti esaminati sono stati inizialmente raccolti in considerazione della loro data di

deposito, compresa nel IV Trimestre 2013, periodo scelto di riferimento per l’intero progetto di

ricerca. Tuttavia tale parametro non è stato ritenuto vincolante, anche in considerazione

dell’organizzazione dei fascicoli nell’ufficio del Giudice di Pace di Roma, per questo motivo sono

state incluse nella ricerca anche ordinanze depositate nei primi mesi del 2014; i provvedimenti

analizzati sono tutti relativi a ricorsi iscritti a ruolo nel periodo ricompreso fra il 24 Giugno e il 14

Agosto 2013.

L’analisi si è svolta sulla base della stessa metodologia di ricerca adottata per i procedimenti

di convalida e di proroga. La raccolta dei dati è avvenuta su schede predisposte, nelle quali sono

state rilevate informazioni su: numero di udienze svolte, data di deposito del ricorso, data di

deposito della decisione del giudice, ammissione al gratuito patrocinio, informazioni di tipo socio-

giuridico sui ricorrenti, le differenti ipotesi di espulsione e le modalità esecutive disposte nel

decreto di espulsione, i principali motivi di ricorso, l’esito e la motivazione del provvedimento

decisorio.

Per ogni ricorso è stata fatta copia conforme del provvedimento decisorio. Nella prima fase

della ricerca, in attesa dell’autorizzazione ad accedere ai provvedimenti, alcuni studenti hanno

inoltre avuto la possibilità di assistere personalmente a due giornate di udienze.

Garanzie processuali e tutela dei diritti

1 - Rilievi generali sui procedimenti e le udienze

Le udienze si sono tenute nella sezione “Stranieri e stupefacenti”, nei locali dell’Ufficio del

Giudice di Pace penale1; in media ogni giudice tratta 4-5 udienze a giornata. Dalle osservazioni

1 Dal 15 Settembre 2014 le udienze dei procedimenti di opposizione all’espulsione si tengono invece nei locali delle

sezioni civili del Giudice di Pace.

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partecipate, che si sono svolte nelle giornate del 27 e 29 Gennaio 2014, è emerso che la durata delle

udienze è molto breve. Nello specifico nella giornata del 27/01/2014 il giudice ha trattato 3

procedimenti in circa 15 minuti, il 29/01/2014 sono stati trattati dal giudice 6 procedimenti, la cui

durata totale è stata di 15 minuti. In entrambi i casi gli avvocati sono arrivati prima del giudice e

nell’attesa hanno compilato il verbale di udienza.

Un aspetto preliminare di carattere formale riguarda le differenti modalità di redazione del

provvedimento decisorio da parte dei giudici; in alcuni casi infatti il provvedimento è scritto a

mano, con conseguenti difficoltà di lettura, inoltre alcune volte la decisione è scritta in calce al

verbale, mentre in altri casi è redatta su documento separato.

Su 54 provvedimenti analizzati, sono stati individuati 16 giudici differenti, otto dei quali

avevano fra i 4 e i 5 ricorsi assegnati, mentre 4 ne avevano uno solo. Il numero delle udienze per

ogni procedimento è variabile; in 38 casi il giudizio è stato definito dopo una sola udienza, in 10

casi dopo due udienze e in tre casi ci sono state tre o quattro udienze.

Su tutti i casi analizzati, solo in due procedimenti l’interessato è intervenuto personalmente in

sede di audizione. Sebbene nel procedimento in esame la presenza dell’interessato sia elemento

prescindibile e non tassativamente previsto -e ciò diversamente da quanto accade per i procedimenti

di proroga e convalida del trattenimento- nella prassi, risulta sistematicamente eluso un elemento

rilevante ai fini istruttori e decisori quale è audizione del ricorrente.

Dal punto di vista processuale, il procedimento di opposizione all’espulsione a seguito di

recente riforma legislativa, è stato assimilato al rito sommario di cognizione speciale, così come

modificato dal D. Lgs. 150/2011. La disciplina codicistica degli articoli 702 bis e ss. c.p.c. viene

applicata solo in via residuale per questo procedimento, in favore delle disposizioni speciali previste

dall’art. 18 D. Lgs. 150/2011.

In rapporto alla nuova disciplina emergono alcune criticità.

In deroga all’art. 702 ter III comma c.p.c., in base al quale “Se ritiene che le difese svolte dalle

parti richiedono un’istruzione non sommaria, il giudice (…) fissa l’udienza di cui all’art. 183 (…)”,

non è prevista la possibilità di mutamento del rito, pertanto il giudice non ha la possibilità di

valutare l’effettiva complessità della causa, ed eventualmente disporre l’adozione del rito ordinario,

tale valutazione è infatti compiuta in via generale e definitiva dal legislatore.

Inoltre al comma IX del citato art. 18, si prevede che: “l’ordinanza che definisce il giudizio

non è appellabile”, pertanto unico rimedio per l’espellendo soccombente è il ricorso in Cassazione;

tale circostanza appare quantomeno discutibile sotto il profilo dell’opportunità e legittimità, in

quanto il secondo grado di giudizio viene eliminato per una causa che ha avuto in primo grado una

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trattazione solo sommaria.

Il giudice investito del ricorso ha cognizione piena, non limitata alla verifica della legittimità

formale del provvedimento.

2 - Accesso al patrocinio a spese dello Stato

In base all’art. 18 comma IV del D. Lgs. 150/2011, “Il ricorrente è ammesso al gratuito

patrocinio a spese dello Stato…” dai dati raccolti è emerso che in 33 procedimenti il ricorrente è

stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, mentre in 21 casi l’istanza di ammissione non è

stata accolta o non è stata proposta dalla difesa. Nelle ipotesi di non ammissione, il patrocinio a

spese dello Stato non è stato concesso a causa dell’estinzione, a vario titolo del processo; per

inammissibilità del ricorso, inattività delle parti o rimessione ad altro giudice. In alcuni casi è

risultata mancante la richiesta sottoscritta dal ricorrente e in un caso tale richiesta non è pervenuta

nei termini.

3 - La durata dei processi

In base al comma VII dell’art.18 del D. Lgs. 150/2011: “il giudizio è definito, in ogni caso,

entro venti giorni, dalla data di deposito del ricorso”. Il termine menzionato è di natura puramente

ordinatoria e non perentoria, tuttavia bisogna prendere atto dell’evidente divario fra il tempo che era

stato ritenuto adeguato per questo tipo di processo dal legislatore e i tempi effettivi rilevati.

La durata dei processi è stata calcolata in base al tempo intercorrente fra la data di iscrizione a

ruolo del ricorso e la data di deposito della decisione del giudice; i tempi rilevati variano fra un

minimo di un mese e mezzo a un massimo di quasi 8 mesi. In particolare 43 processi su 532 sono

durati dai 4 ai 6 mesi, mentre gli altri 10 hanno avuto tempi di durata differenti: in 7 casi la durata

del processo è compresa tra un mese e mezzo e 3 mesi e mezzo, nei restanti tre casi i tempi variano

dai 6 mesi e mezzo ai 7 mesi e mezzo. Il processo più lungo, con RG 52880/13, è stato iscritto a

ruolo il 25/07/2013 ed è stato definito con il deposito della decisione il 17/03/2014. Tuttavia mentre

in questo caso si sono svolte tre udienze, in molti altri casi i processi sono durati 5 o 6 mesi, ma si è

svolta una sola udienza. Per quanto riguarda la data di fissazione della prima udienza di trattazione,

si rileva una tendenza generale a fissarla mediamente dopo due o tre mesi dalla data di deposito, in

5 casi invece la prima udienza si è svolta entro i 30 giorni dalla data di deposito, mentre in un caso,

2 In un caso non è stato possibile risalire alla data di iscrizione a ruolo.

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il procedimento RG 51441/13, la prima udienza si è svolta dopo 5 mesi dal deposito dell’atto.

L’aspetto più rilevante della lunga durata dei processi è costituito dalle conseguenze pratiche

per i ricorrenti, conseguenze particolarmente gravi se considerate alla luce di altri elementi emersi

dall’analisi. Un primo elemento significativo è costituito dalle modalità di esecuzione

dell’espulsione; infatti in nessuno dei 54 procedimenti analizzati, è stato concesso un termine per la

partenza volontaria, così come previsto dalla Direttiva 2008/115/CE, la c.d. Direttiva Rimpatri,3 ma

l’espulsione è stata sempre eseguita tramite accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza

pubblica oppure mediante trattenimento in un CIE o ordinando allo straniero l’allontanamento dal

territorio nazionale.4 Nello specifico in 29 casi su 54 la modalità di esecuzione è stata il

trattenimento presso un Centro d’Identificazione ed Espulsione (CIE); la combinazione di questo

dato con quello della lunga durata dei processi presenta particolare criticità. In base alla normativa

attuale il trattenimento è finalizzato all’esecuzione del rimpatrio, pertanto fino all’annullamento del

provvedimento di espulsione in sede di ricorso, lo straniero può essere rimpatriato in qualsiasi

momento e può essere nel frattempo mantenuto in stato di detenzione amministrativa nel CIE, fino a

un periodo massimo di 18 mesi (al momento in cui questo rapporto viene ultimato, è stata approvata

dal parlamento la legge 30 ottobre 2014, n. 161, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 10 novembre

2014 e in vigore dal 25 novembre 2014, che riduce il periodo massimo di trattenimento nei CIE a

novanta giorni). In questa sede non è possibile entrare nel merito della questione dei presupposti del

trattenimento, tema che è stato approfondito in sede di analisi dei procedimenti di convalida e

proroga; basterà però considerare, come evidenziato dalla ricerca svolta, che l’ambito di cognizione

del giudice della convalida del trattenimento è molto limitato e pertanto il controllo sulla legittimità

del trattenimento si presenta estremamente superficiale, limitandosi spesso alla constatazione

dell’esistenza e dell’efficacia del decreto di espulsione.5

Le osservazioni che precedono devono essere valutate in relazione a un altro elemento

fondamentale emerso dalla ricerca: il diniego da parte dei giudici, della sospensione cautelare

dell’efficacia del provvedimento di espulsione,6 il cui effetto è costituito dalla perdurante efficacia

del decreto prefettizio per tutta la durata del procedimento.

3 La Direttiva 2008/115/CE recante “Norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare” prevede al punto (10) che la partenza volontaria dovrebbe essere la modalità di rimpatrio privilegiata dagli Stati membri. Su questo punto vedi più avanti, par. 8

4 L’espulsione viene eseguita mediante accompagnamento alla frontiera, ex art. 13 comma 4 D.Lgs 286/98, se è possibile il rimpatrio immediato, o nel trattenimento presso un C.I.E.; se non sono possibili l’allontanamento o il trattenimento, il Questore ordina allo straniero espulso di lasciare il territorio entro sette giorni. Su questo punto vedi più avanti par. 5

5 Report di Roma sui procedimenti di convalida e proroga 6 Su questo punto vedi par. 4

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7

In considerazione di tali elementi la situazione dello straniero destinatario di decreto di

espulsione è di estrema precarietà; in quanto per diversi mesi, in pendenza della definizione del

giudizio, o anche in attesa della prima udienza, lo stesso rischia di subire il rimpatrio, in contrasto

con il principio del c.d. effective remedy (mezzo di ricorso effettivo),7 assicurato in sede

comunitaria.

Durata rilevata Processi

Dai 4 ai 6 mesi 43

Da 1 mese e mezzo a 3 mesi e mezzo 7

Da 6 a 7 mesi e mezzo 3

4 - Sospensione cautelare dell’efficacia del decreto di espulsione

In base alla normativa vigente il decreto prefettizio è immediatamente esecutivo, tuttavia l’art.

5 del D. Lgs. 150/2011 ammette la possibilità di sospensione dell’efficacia esecutiva del

provvedimento impugnato, “…in caso di pericolo imminente di un danno grave e irreparabile…”. Il

decreto sospensivo può essere assunto dal giudice anche fuori udienza, nel qual caso è necessario

che venga confermato nell’udienza immediatamente successiva.

In ambito comunitario tale possibilità è prevista espressamente dall’art. 13 comma II della

Direttiva 2008/115/CE, in base al quale gli Stati membri hanno la facoltà di: “(...) sospendere

temporaneamente l’esecuzione a meno che la sospensione temporanea sia già applicabile in base al

diritto interno”. Lo stesso art. 13 prevede poi al I comma che al cittadino straniero devono essere

“concessi mezzi di ricorso effettivo avverso le decisioni connesse al rimpatrio (…), o per chiederne

la revisione dinanzi ad un’autorità giudiziaria o amministrativa competente”. La trattazione in uno

stesso articolo dei due aspetti deriva dalla stretta connessione fra principio dell’effective remedy e

possibilità per il giudice di sospendere l’efficacia esecutiva dell’espulsione; il ricorso contro la

decisione di espulsione infatti può essere considerato un rimedio effettivo solo se vengono

approntati degli strumenti processuali idonei ad evitare che il ricorrente venga rimpatriato prima

della decisione del giudice. Poiché in pendenza di ricorso contro il provvedimento espulsivo questo

continua a esplicare la sua efficacia esecutiva, lo straniero ricorrente può essere espulso nelle more

7 Sul concetto di “effective remedy” vedi par. 4

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8

del giudizio, a meno che il giudice non disponga la sospensione cautelare del decreto di espulsione.

Il diritto a un mezzo di ricorso effettivo si colloca fra le garanzie processuali fondamentali

dell’ordinamento europeo, ed è stabilito anche dall’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali

dell’Unione Europea, insieme al diritto a un giusto processo (Right to an effective remedy and a fair

trial); e in via più generale dall’art. 19 del Trattato di Lisbona: “Gli Stati membri stabiliscono i

rimedi giurisdizionali necessari ad assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei Settori

disciplinati dal diritto dell’Unione”.

Tali principi erano stati recepiti in Italia già precedentemente alla Direttiva Rimpatri, come

dimostrano diverse sentenze della Corte Costituzionale,8 che affermano espressamente la facoltà per

il giudice dell’opposizione di: “individuare lo strumento più idoneo, nell’ambito dell’ordinamento,

per sospendere l’efficacia del decreto prefettizio impugnato”9.

Sul totale dei provvedimenti analizzati, solo in un caso, che per le circostanze dei fatti ha

natura eccezionale, è stata concessa la sospensione dell’efficacia del decreto prefettizio. Si tratta del

procedimento con RG 49734/13. Nel caso di specie il ricorrente, erroneamente confuso con altro

soggetto per un caso di omonimia, è stato arrestato in Grecia e coattivamente condotto in Italia a

fini investigativi, dopo essere stato correttamente identificato, è stato destinatario di un decreto di

espulsione, motivato dall’ingresso irregolare nel territorio, e poi trattenuto nel CIE di Ponte Galeria.

Il giudice ha in via cautelare sospeso il provvedimento impugnato e nel merito accolto il ricorso per

mancanza dei presupposti dell’emanazione del decreto di espulsione.

In tutti gli altri provvedimenti esaminati la sospensione cautelare non è stata concessa; in

particolare in 35 ricorsi la difesa ha fatto esplicita istanza di sospensione dell’efficacia

dell’espulsione, ma in nessun caso il giudice ha risposto sul punto.

Come già rilevato,10 tale risultato è particolarmente grave alla luce della lunga durata dei

procedimenti, in considerazione dell’elevato rischio di rimpatrio in caso di trattenimento. Tuttavia il

c.d. periculum in mora non si esaurisce nel pericolo di rimpatrio forzato, ma è costituito anche dalla

possibilità di subire comunque un pregiudizio ingiusto, come nei casi di emissione dell’ordine di

allontanamento. Infatti, sebbene in tali ipotesi lo straniero non è soggetto all’accompagnamento

coattivo alla frontiera, in mancanza di sospensione dell’efficacia dell’espulsione, dovrebbe

comunque per legge lasciare il territorio nel termine di 7 giorni, a pena di incorrere nelle

conseguenze sanzionatorie previste dall’art. 14 comma 5 ter del D. Lgs. 286/98 (la violazione, salvo

8 Corte Cost. Sentenza n. 161/2000 e Corte Cost. Sentenza n. 485/2000 9 Corte Cost. Sentenza n. 161/2000 10 Vedi sul punto par. 3

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9

giustificato motivo, è punita con una sanzione penale di natura pecuniaria, e viene eventualmente

adottato nuovo decreto di espulsione). A prescindere dalla considerazione di questi elementi, il

ricorrente si trova in una situazione di precarietà, in quanto oggetto di un provvedimento espulsivo

immediatamente efficace e pertanto subisce un pregiudizio di fatto fino alla definizione del

procedimento.

Prendendo in considerazione i 15 ricorsi accolti, per i quali dunque può legittimamente

presumersi la sussistenza del fumus boni iuris, solo nel già citato procedimento RG 49734/13 è stata

concessa la sospensione cautelare, mentre nei restanti 12 casi il decreto di espulsione ha mantenuto

la sua efficacia per tutta la durata del processo, che mediamente è stata di 5 mesi.

5 - Motivi di espulsione e modalità esecutive del decreto prefettizio

Nel decreto di espulsione sono applicate agli stranieri le diverse ipotesi di espulsione11

previste dalle disposizioni dell’art. 13 comma 2 del D. lgs. 286/1998. L’art 13 comma 2 prevede tre

diversi motivi di espulsione: l’ipotesi di cui alla lettera B, trattenimento sul territorio in condizione

irregolare, è la più ricorrente (26 casi); quella di cui alla lettera A, che prevede l’ingresso nel

territorio sottraendosi ai controlli di frontiera è stata rilevata in 14 casi; mentre l’ipotesi della lettera

C (appartenenza ad una delle categorie di pericolosità sociale individuate dalla legge) ricorre in 4

casi come presupposto autonomo dell’espulsione. La pericolosità sociale, anche quando non

costituisce fondamento dell’espulsione, rileva in quanto elemento sempre presente nella valutazione

del giudice ai fini della decisione e nella valutazione della Questura riguardo alle modalità esecutive

dell’espulsione. In 8 casi il presupposto dell’espulsione è stato la violazione del divieto di

reingresso ex art. 13 comma 13 e in 6 casi si è trattato di espulsioni conseguenti alla violazione

dell’ordine di allontanamento del Questore in base all’art. 14 commi 5 ter e quater.

11 Le varie ipotesi di espulsione sono a volte anche in concorso fra loro nei singoli casi

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10

Motivi di espulsione ex D. Lgs. 286/98 Ricorrenza nei decreti di espulsione

Art. 13 comma 2, l. b): Trattenimento

irregolare sul territorio

26

Art. 13 comma 2, l. a): Ingresso nel territorio

sottraendosi ai controlli di frontiera

14

Art. 13 comma 2, l. c): Pericolosità sociale 4

Art 13 comma 13: Divieto di reingresso nel

territorio

8

Art. 14 commi 5 ter e quater: Espulsioni

conseguenti alla violazione dell’ordine di

allontanamento del Questore

6

Le modalità di esecuzione dell’espulsione sono disciplinate dall’art. 13 comma 4 D. Lgs.

286/1998, in base al quale: “L’espulsione è eseguita dal questore con accompagnamento alla

frontiera a mezzo della forza pubblica: a) nelle ipotesi di cui ai commi 1 e 2, lettera c) del presente

articolo, ovvero all’articolo 3, comma 1, del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144 (…); b) quando

sussiste il rischio di fuga, di cui al comma 4-bis; c) quando la domanda di permesso di soggiorno è

stata respinta in quanto manifestamente infondata o fraudolenta; d) qualora, senza un giustificato

motivo, lo straniero non abbia osservato il termine concesso per la partenza volontaria, di cui al

comma 5; e) quando lo straniero abbia violato anche una delle misure di cui al comma 5.2 e di cui

all’articolo 14, comma 1-bis; f) nelle ipotesi di cui agli articoli 15 e 16 e nelle altre ipotesi in cui

sia stata disposta l’espulsione dello straniero come sanzione penale o come conseguenza di una

sanzione penale; g) nell’ipotesi di cui al comma 5.1”.

La sussistenza del rischio di fuga rileva per il legislatore quando ricorrono le circostanze

elencate dal comma 4 bis dello stesso articolo.12 L’accompagnamento alla frontiera si sostanzia nel

rimpatrio immediato o, qualora questo non sia possibile, nel trattenimento presso un CIE, sulla base

dei presupposti indicati dall’art. 14 comma 1; qualora non sussistano tali presupposti, l’espulsione

viene eseguita mediante dal questore mediante emanazione dell’ordine di allontanamento entro il

termine di 7 giorni, ex art. 14 comma 5 bis, la cui inosservanza senza giustificato motivo costituisce

un reato ora sanzionato con una pena pecuniaria. All’espulsione consegue il divieto di reingresso

nel territorio nazionale per un periodo compreso tra tre e cinque anni (art. 13, commi 13 e 14).

12 Sulla valutazione del rischio di fuga vedi in particolare par. 8

CLINICA DEL DIRITTO DELL’IMMIGRAZIONE E DELLA CITTADINANZA

11

In alternativa a queste ipotesi l’art. 13 comma 5 prevede, nel caso in cui non ricorrano i

presupposti dell’accompagnamento alla frontiera, che lo straniero possa chiedere un periodo per la

partenza volontaria e in tale caso: “Il prefetto, valutato il singolo caso, con lo stesso provvedimento

di espulsione, intima lo straniero a lasciare volontariamente il territorio nazionale, entro un

termine compreso tra 7 e 30 giorni”.13 Lo straniero espulso che dimostri di aver lasciato il territorio

entro il termine assegnato può chiedere la revoca del divieto di reingresso (art. 13, comma 14).

Questa modalità di rimpatrio, introdotta dall’art. 7 della direttiva 2008/115/CE dovrebbe essere,

secondo l’impianto della Direttiva Rimpatri, la modalità di esecuzione dell’espulsione privilegiata

dagli Stati Membri: “Se non vi è motivo di ritenere che possa compromettere la finalità della

procedura di rimpatrio, si dovrebbe preferire il rimpatrio volontario al rimpatrio forzato e

concedere un termine per la partenza volontaria. (…)”14

Dai riscontri effettuati, è emerso che nel 100% dei casi non è stato concesso un termine per la

partenza volontaria, né sono state applicate le misure alternative previste anche dalla Direttiva

Rimpatri15, di cui agli articoli 13 comma 5.2 e 14 comma 1 bis del D. Lgs. 285/98.

Le modalità esecutive disposte nei decreti di espulsione analizzate sono state: in 29 casi il

trattenimento presso un CIE, in 17 casi emissione dell’ordine di allontanamento del Prefetto entro il

termine di 7 giorni e infine in 4 casi il rimpatrio immediato dello straniero.

Come evidenziato preliminarmente per l’intera ricerca sulla sede di Roma, a fronte

dell’organizzazione dei fascicoli negli uffici del Giudice di Pace, non è stato possibile rilevare

l’intero iter procedimentale riferito alla medesima persona e pertanto verificare anche i tempi

effettivi di trattenimento per ogni ricorrente, in quanto i procedimenti di convalida e proroga del

trattenimento e di opposizione all’espulsione sono contenuti in distinti fascicoli, ognuno con un

numero di ruolo differente.

Esecuzione dell’espulsione Casi riscontrati

Trattenimento presso un C.I.E. 29

Ordine di allontanamento del Prefetto 16

Rimpatrio immediato 4

13 Art 13 comma 5, D. Lgs. 286/1998 14 Punto (10) Direttiva 2008/115/CE 15 Art 7 comma 3, Direttiva 2008/115/CE

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12

6 - I motivi di ricorso

Sono state individuate alcune categorie tipiche di motivi di opposizione all’espulsione,

escludendo i motivi di ricorso prettamente connessi al caso singolo, per rilevare le principali

eccezioni proposte dalla difesa. In particolare i motivi più ricorrenti sono: carenza di adeguata

istruttoria e/o adeguata motivazione del decreto prefettizio, che è stato rilevato in 27 ricorsi,

mancata traduzione del decreto prefettizio, rilevato in 22 ricorsi, censura di vizi o irregolarità

formali del decreto, avanzata in 20 casi. Altre categorie individuate di motivi di ricorso sono:

mancata notizia dell’avviso di inizio del procedimento amministrativo in base alla legge 241/1990

(13 casi), mancata concessione di un termine per la partenza volontaria (12 casi), censure inerenti lo

status di richiedente asilo e il principio di non-refoulement (11 casi), violazione del diritto di difesa

del ricorrente (6 casi), violazione generica della Direttiva Rimpatri (5 casi), violazione dell’unità

familiare (5 casi), radicamento dello straniero sul territorio (4 casi), giustificato motivo del mancato

rinnovo nei termini del permesso di soggiorno (3 casi) e violazione del diritto alla salute (2 casi).

Motivi di ricorso Numero di casi rilevati

Carenza di adeguata motivazione/istruttoria 27

Mancata traduzione del decreto di espulsione 22

Irregolarità formali 20

Violazione l. 241/1990 13

Mancata concessione della partenza volontaria 12

Richiesta di asilo 11

Violazione del diritto di difesa 6

Violazione Direttiva Rimpatri 5

Violazione dell’unità familiare 5

Radicamento sul territorio 4

Giustificato motivo del mancato rinnovo 3

Violazione del diritto alla salute 2

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13

7 - La traduzione del decreto di espulsione

La violazione dell’obbligo di traduzione in una lingua conosciuta dal destinatario del

provvedimento espulsivo è uno dei motivi di ricorso più ricorrenti emersi dall’analisi, rilevato in 22

ricorsi.

Tale obbligo formale, posto a garanzia del diritto di difesa dello straniero, è previsto dall’art.

13 comma 7 del D. Lgs 286/98: “Il decreto di espulsione (…) nonché ogni altro atto concernente

l’ingresso, il soggiorno e l’espulsione, sono comunicati all’interessato unitamente all’indicazione

delle modalità di impugnazione e ad una traduzione in una lingua da lui conosciuta, ovvero, ove

non sia possibile, in lingua francese, inglese o spagnola” e dalla Direttiva Rimpatri, all’art.12

comma 2: “gli Stati membri provvedono alla traduzione scritta od orale dei principali elementi

delle decisioni connesse al rimpatrio (…), incluse le modalità di impugnazione disponibili, in una

lingua comprensibile per il cittadino di un paese terzo o che si può ragionevolmente supporre tale”.

Un aspetto particolarmente interessante è costituito dalla disposizione dell’art. 13 comma 7,

nella parte in cui prevede la facoltà di disporre la traduzione in una lingua veicolare in caso di

impossibilità per l’Amministrazione di tradurre il provvedimento nella lingua conosciuta dallo

straniero. Nello specifico la giurisprudenza si è espressa, delimitando le ipotesi di legittima

impossibilità da parte dell’Amministrazione, a disporre una traduzione nella lingua effettivamente

conosciuta dallo straniero. Su tale questione, l’orientamento della Cassazione si è recentemente

modificato con la sentenza n. 3678/2012, superando la precedente impostazione, sancita anche

dall’art. 3 del D.P.R. 334/2004, in base alla quale l’impossibilità di traduzione veniva a coincidere

con l’indisponibilità di personale idoneo alla traduzione. A fronte della recente sentenza della

Cassazione, la situazione di impossibilità viene invece ritenuta legittima solo nei casi di idiomi rari,

prevedendo per le lingue più diffuse fra gli stranieri la predisposizione, da parte

dell’Amministrazione, di testi prestampati, data anche la serialità dei contenuti dei provvedimenti.

Su tali presupposti il giudice è chiamato a svolgere un “sindacato di ragionevolezza e

plausibilità”16. Tale nuovo orientamento non sembra essere stato pienamente recepito dai giudici di

pace, in quanto se da una parte questi fanno riferimento alla recente giurisprudenza della

Cassazione, tuttavia continuano a citare anche le precedenti pronunce della Corte; ad esempio, in un

caso17 si afferma che: “l’articolo 13 comma 7, (…) richiede solo che l’autorità amministrativa

attesti e specifichi le ragioni per le quali la traduzione (…) sia impossibile, tale attestazione

16 Cass. n. 3678/2012 17 RG 46865/13

CLINICA DEL DIRITTO DELL’IMMIGRAZIONE E DELLA CITTADINANZA

14

essendo condizione non solo necessaria, ma anche sufficiente (…)”, facendo riferimento alla

giurisprudenza precedente della Cassazione (Cass. n. 5465/2002, n. 7666/2004 e altre). Nel

provvedimento in questione, la sentenza n. 3678/2012 viene tuttavia citata asserendo l’impossibilità

dell’Amministrazione a predisporre un testo prestampato nel caso di specie, “data la molteplicità

dei dati da inserire (…) non riconducibili a formule standard” e affermando pertanto, la

giustificabilità della traduzione del decreto in una lingua veicolare, in assenza di un traduttore.

Anche in altri casi si manifesta la tendenza dei giudici a fare riferimento al precedente orientamento

della Cassazione: “In forza dell’orientamento pacifico della Giurisprudenza di Legittimità (…), una

volta che l’autorità amm.va abbia assolto all’onere di specificazione in ordine alla ragione della

difficoltà tecnico-organizzativa (…) il Giudice non può esercitare alcun sindacato (…)”18 e in un

caso, inoltre, si fa esplicito riferimento al sopra citato art. 3 del D.P.R. 334/2004. Negli stessi

provvedimenti sopra citati il giudice prende in considerazione i nuovi orientamenti della Corte, ma

tuttavia in entrambi i casi ritiene comunque giustificata la mancata predisposizione, da parte

dell’Amministrazione, di un testo prestampato nella lingua madre, in un caso in lingua araba,

nell’altro in lingua turca.

Nel procedimento RG 54307/13 la motivazione sul punto si articola interamente sul

precedente orientamento della Cassazione, citando il D.P.R. 334/2004 e la sentenza Cass. n.

17572/2010, senza menzionare l’intervenuto mutamento giurisprudenziale. In tutti i procedimenti

sopra citati il ricorso è stato rigettato.

In alcuni provvedimenti19, si prescinde totalmente dall’orientamento giurisprudenziale sul

tema e l’obbligo di traduzione viene ritenuto adempiuto in forza della sottoscrizione della notifica

del provvedimento da parte dello straniero e della stessa proposizione del ricorso; “i parametri

normativi di cui all’art.13 comma 7 (…) sono stati rispettati, come è possibile evincersi dal verbale

di notifica sottoscritto dall’odierno ricorrente anche per accettazione della lingua dallo stesso

indicata nonché dalla stessa presentazione del ricorso (…)”.20

In un caso21 il giudice accoglie il ricorso sulla base della violazione dell’art 13 comma 7,

attesa la mancanza di prova della conoscenza della lingua italiana e della lingua veicolare da parte

della straniera, tuttavia la motivazione appare molto succinta e non è pertanto possibile individuare

il ragionamento giuridico posto a fondamento della decisione.

18 RG 51446/13, RG 51448/13 e 54307/13 19 RG 48330/13, 48331/13, 48333/13 20 La stessa formula risulta invariata nei tre provvedimenti sopra citati. 21 RG 58144/13

CLINICA DEL DIRITTO DELL’IMMIGRAZIONE E DELLA CITTADINANZA

15

In altri provvedimenti si evince il recepimento della sentenza n. 3678/2012; due casi, in cui la

difesa ha eccepito la violazione dell’art. 13 comma 7, presentano soluzioni opposte sulla base della

differente valutazione della lingua albanese come lingua rara; nel procedimento RG 49623/13 - la

cui motivazione sul punto non è comunque da ritenersi esaustiva - il giudice si limita a riferire

l’attestazione di impossibilità a reperire un interprete da parte della Questura e ad affermare che

l’albanese è lingua rara, rigettando il ricorso. Al contrario, nel procedimento RG 52039/13, il

giudice conclude in senso opposto, accogliendo il ricorso proprio sulla base della considerazione

che l’albanese non può ritenersi lingua rara, anche a fronte della cospicua presenza di stranieri di

tale nazionalità sul territorio. In un altro provvedimento22 il giudice ritiene giustificata la traduzione

in una lingua veicolare, data la particolarità dell’idioma georgiano.

Anche se l’obbligo di traduzione deve considerarsi un requisito formale del provvedimento di

espulsione, tuttavia in molti di questi si fa esplicito riferimento alla presunta conoscenza della

lingua italiana da parte dello straniero, in virtù della lunga permanenza nel territorio o della lunga

detenzione trascorsa in carcere.23

8 - La mancata concessione del termine per la partenza volontaria e il rischio di fuga

Come già evidenziato,24 la Direttiva Rimpatri prevede la possibilità per gli Stati membri di

concedere allo straniero un periodo per la partenza volontaria, modalità che dovrebbe essere

privilegiata nell’esecuzione del rimpatrio.25 Inoltre dispone al comma 4 dell’art. 7 che gli Stati

membri possono astenersi dal concedere tale termine nel caso sussista il rischio di fuga, la cui

definizione viene lasciata sostanzialmente alla discrezionalità del legislatore interno.26 La Direttiva

2008/115/CE impone, all’art. 3 comma 7, che la sussistenza del rischio di fuga deve essere valutata

in relazione a un caso individuale e sulla base di criteri obiettivi definiti dalla legge. I due aspetti,

rischio di fuga e partenza volontaria, si presentano inevitabilmente connessi e interdipendenti, in

quanto la possibilità per lo straniero di lasciare autonomamente il paese è subordinata alla mancanza

del rischio di fuga dello stesso.

Il legislatore italiano ha definito la fattispecie nel D. Lgs 286/98, e in particolare all’art. 13

comma 4 bis: “Si configura il rischio di fuga di cui al comma 4, lettera b), qualora ricorra almeno

una delle seguenti circostanze da cui il prefetto accerti, caso per caso, il pericolo che lo straniero

22 RG 50211/13 23 A titolo esemplificativo: RG 50083/13 24 Vedi par. 5 25 Punto (10) Direttiva 2008/115/CE 26 Art. 3 c.1 n. 7 2008/115/CE

CLINICA DEL DIRITTO DELL’IMMIGRAZIONE E DELLA CITTADINANZA

16

possa sottrarsi alla volontaria esecuzione del provvedimento di espulsione; a) mancato possesso

del passaporto o di altro documento equipollente, in corso di validità; b) mancanza di idonea

documentazione atta a dimostrare la disponibilità di un alloggio ove possa essere agevolmente

rintracciato; c) avere in precedenza dichiarato o attestato falsamente le proprie generalità; d) non

avere ottemperato ad uno dei provvedimenti emessi dalla competente autorità, in applicazione dei

commi 5 e 13, nonché dell’articolo 14; e) avere violato anche una delle misure di cui al comma

5.2.”

Sono così definite una serie di circostanze tipiche, che operano come presunzioni

dell’esistenza del rischio di fuga, la cui presenza, anche di una sola delle ipotesi previste, impedisce

la possibilità di concedere il termine per la partenza volontaria; inoltre la concessione del termine è

esclusa anche nelle ipotesi previste all’art. 13 comma 4 lettera a). In conseguenza di tali norme la

valutazione individuale del rischio di fuga davanti al giudice viene nella prassi a mancare ed è

sostituita dalla semplice constatazione della presenza di una delle circostanze previste dalla legge.

Nei casi in cui non sussiste il rischio di fuga, il termine per la partenza volontaria può essere

chiesto dall’interessato; al fine di informare lo straniero di tale possibilità, l’art. 13 comma 5.1

prevede che vengano fornite guide multilingue, tuttavia non è stata rilevabile l’effettiva

predisposizione di tali modelli da parte dell’Amministrazione.

La difesa ha eccepito l’illegittima mancanza della concessione di un termine per la partenza

volontaria in 12 ricorsi, sia con riguardo alla sussistenza del rischio di fuga, sia con riguardo alla

mancata comunicazione di tale possibilità allo straniero. Le motivazioni dei giudici a riguardo, si

sostanziano spesso nell’elencazione di uno o più requisiti previsti dalla legge per supporre il rischio

di fuga, del tipo: “lo straniero non ha fornito garanzie finanziarie provenienti da fonti lecite, ha

dichiarato di non voler tornare nel paese d’origine, si attesta la mancanza di un documento utile

all’espatrio o l’indisponibilità di un alloggio stabile” e in alcuni casi anche di requisiti ulteriori: “lo

straniero non ha dimostrato alcuna integrazione sociale”. In altri casi si afferma semplicemente che

lo straniero non ha fornito prova della sussistenza dei requisiti previsti per la concessione del

termine, rovesciando così la ripartizione dell’onere della prova sul punto, stabilita dalla legge a

carico dell’Amministrazione; in particolare, nel provvedimento sul ricorso RG 46894/13 si

aggiunge a tale affermazione che “del resto lo stesso straniero nella richiesta di ammissione al

gratuito patrocinio dichiara di essere senza reddito”, utilizzando impropriamente una dichiarazione

spontanea del ricorrente finalizzata allo scopo particolare di essere ammesso al patrocinio a spese

dello Stato. Infatti la mancanza di risorse economiche sufficienti doveva comunque essere dedotta

in sede di emissione del decreto di espulsione e non in sede di controllo giurisdizionale, in cui il

CLINICA DEL DIRITTO DELL’IMMIGRAZIONE E DELLA CITTADINANZA

17

giudice non può sostituirsi all’amministrazione formulando una diversa motivazione per il

provvedimento impugnato.

In molti casi si asserisce inoltre, che il termine non è stato richiesto dallo straniero. Questo

motivo di ricorso è stato rigettato in quasi tutti i ricorsi analizzati; tuttavia in molti provvedimenti

non è stato nemmeno preso in considerazione in sede di motivazione, mentre in due casi27 il giudice

ha accolto il ricorso sulla base di tale eccezione. La valutazione del giudice sul rischio di fuga

risente inevitabilmente del limite imposto dal legislatore, che ha creato un sistema di presunzioni

legali, elencando dettagliatamente le circostanze che presuppongono il rischio di fuga, pertanto in

questo caso sarebbe particolarmente auspicabile una revisione della disciplina. Tuttavia, non è

preclusa al giudice dell’opposizione la possibilità di un’interpretazione conforme al diritto

comunitario, che tenga maggiormente conto dei principi della valutazione individuale del rischio di

fuga e della partenza volontaria come mezzo di esecuzione privilegiato del rimpatrio.

9 - La valutazione della pericolosità sociale

In base all’art. 13 comma 2 lettera c) del T.U. Immigrazione, la qualifica di pericolosità

sociale, definita dall’appartenenza ad una delle categorie indicate dalla l. n. 1423/1956, recante

“Misure per la prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica

moralità”, costituisce autonomo motivo di espulsione. Inoltre tale qualificazione impedisce la

possibilità di concessione di un termine per la partenza volontaria, dovendosi procedere

all’esecuzione coattiva dell’espulsione. Dall’analisi svolta è emerso che tale fattispecie ha costituito

in 4 casi il presupposto esclusivo dell’espulsione, tuttavia la pericolosità sociale è stata valutata dai

giudici anche in molti altri procedimenti, ovvero in quasi tutti i casi in cui il ricorrente aveva

precedenti penali28 nei quali ha anche costituito, talvolta, il fondamento della decisione di rigetto del

giudice. In sede di motivazione, tale valutazione è apparsa fondata esclusivamente sulla sussistenza

di precedenti reati a carico dello straniero, a prescindere da un esame complessivo sulla situazione

personale dello stesso e dalla considerazione della sua effettiva pericolosità, come previsto dalla

giurisprudenza della Cassazione29 e dalle disposizioni che impongono comunque una valutazione

“caso per caso” nel disporre l’espulsione.30 La Corte Costituzionale ha inoltre recentemente

27 RG 45586/13 e RG 49781/13 28 Nel totale in 17 casi i ricorrenti avevano precedenti penali 29 Cass., 30.08.2002, n. 12721, Cass., 17.03.2000, n. 2376, 1520; Cass., 02.03.1999, n. ; Cass., 14.12.1998, n. 13097 30 Art 13 comma 2 D.Lgs 286/98 e punto (6) Direttiva 2008/115/CE

CLINICA DEL DIRITTO DELL’IMMIGRAZIONE E DELLA CITTADINANZA

18

affermato31 che gli automatismi disposti dal legislatore devono comunque essere il frutto di

un’operazione di bilanciamento: “In particolare, la tutela della famiglia e dei minori assicurata

dalla Costituzione implica che ogni decisione sul rilascio o sul rinnovo del permesso di soggiorno

di chi abbia legami familiari in Italia debba fondarsi su una attenta ponderazione della pericolosità

concreta e attuale dello straniero condannato, senza che il permesso di soggiorno possa essere

negato automaticamente, in forza del solo rilievo della subita condanna per determinati reati”. Tale

principio, seppur affermato in tema di rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno, deve comunque

ritenersi pertinente anche in caso di espulsione dello straniero.

Il “modus operandi” dei giudici è improntato a un generale automatismo di presunzione della

pericolosità sociale in presenza di precedenti penali ed è riscontrabile in numerosi provvedimenti

dei quali è possibile fornire alcuni esempi: “(…) è persona pericolosa per l’ordine pubblico in

quanto risultano a suo carico precedenti penali per reati contro il patrimonio e la persona”32; e

anche “(…) lo straniero è da ritenersi persona pericolosa per l’ordine pubblico e per la sicurezza

in quanto risultano a suo carico precedenti penali per i reati contro il patrimonio e la persona.”33

In alcuni provvedimenti, la motivazione del giudice può essere considerata più approfondita, in

quanto vengono almeno citati nello specifico i precedenti penali a cui si fa riferimento, anche se non

ci sono riscontri di un esame sull’effettività della pericolosità dello straniero e della situazione

complessiva del soggetto: “l’opponente è stato ritenuto socialmente pericoloso sulla base di una

previa sua condanna alla pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione per il reato di cui all’art. 73 del

D.P.R. n. 309/09 nonché sulla base di diversi precedenti di polizia, per reati sugli stupefacenti; e

considerato che lo stesso ha dimostrato scarsa propensione ad un adeguato inserimento socio-

lavorativo optando per la devianza e l’illegalità”.34

In sede di emanazione del decreto di espulsione, a volte la sussistenza di precedenti penali si

confonde con quella dei precedenti di polizia nella valutazione del Prefetto. Ad esempio, nel

procedimento RG 53952/13, come ha rilevato lo stesso giudice accogliendo il ricorso, lo stato di

pericolosità sociale è stato genericamente asserito nel decreto di espulsione in quanto lo straniero

era stato più volte identificato, senza poi produrre in giudizio certificati penali o dei carichi

pendenti.

31 Corte Cost., Sentenza n. 202/2013 32 RG 46894/13 33 RG 48331/13 e anche similmente RG 50854/13 34 RG 51446/13

CLINICA DEL DIRITTO DELL’IMMIGRAZIONE E DELLA CITTADINANZA

19

10 - I divieti di espulsione

La normativa internazionale e nazionale prevede delle ipotesi di inespellibilità dello straniero

dal territorio, poste a garanzia dei diritti fondamentali della persona. Tale principio è stato affermato

in primo luogo a favore dei richiedenti asilo nell’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951:

“Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di

territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua

religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni

politiche” e viene poi ribadito dalla direttiva 2008/115/CE, che all’art. 5 impone la considerazione

di interessi superiori quali: l’interesse del bambino, i legami familiari e il diritto alla salute. L’art.

19 del T.U. Immigrazione prevede una serie di divieti di espulsione e di respingimento in favore

delle c.d. categorie vulnerabili di persone: “In nessun caso può disporsi l’espulsione o il

respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione (…) Non è

consentita l’espulsione (…); a) degli stranieri minori di anni diciotto (…); b) degli stranieri in

possesso della carta di soggiorno, salvo il disposto dell’articolo 9; c) degli stranieri conviventi con

parenti entro il secondo grado o con il coniuge, di nazionalità italiana ; d) delle donne in stato di

gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono”.

Nei provvedimenti analizzati sono emerse diverse ipotesi di inespellibilità. In 3 casi è stata

eccepita la particolare condizione di salute del ricorrente; nel procedimento RG 49781/13 il giudice

ha ritenuto che la situazione psichica della straniera giustificasse il mancato rinnovo nei termini del

permesso di soggiorno, mentre negli altri due casi35 la motivazione ha asserito che la condizione

dello straniero non era adeguatamente documentata.

Nel procedimento RG 46865/13 viene in rilievo il divieto di espulsione a favore dei minori di

18 anni: nel caso di specie viene contestata l’età del ricorrente accertata dalle autorità. La difesa ha

prodotto il certificato di nascita dello straniero in originale, attestante la minore età, che contaddice

l’accertamento medico effettuato dal Policlinico Casilino di Roma e prodotto dall’Autorità

procedente. In sede di decisione il giudice ha ritenuto più attendibile l’esame auxologico prodotto

dall’Amministrazione e pertanto ha rigettato il ricorso, ma tale scelta non appare debitamente

argomentata in quanto nella motivazione si afferma soltanto che “alla luce di tale documentazione,

deve ritenersi che la data di nascita (…) riportata nel provvedimento di espulsione sia corretta”,

mentre non è avanzata alcuna specifica censura di falsità del certificato di nascita; l’esame di

accertamento dell’età ossea viene perciò considerato in assoluto più probante del certificato di

35 RG 46525/13 e 53229/13

CLINICA DEL DIRITTO DELL’IMMIGRAZIONE E DELLA CITTADINANZA

20

nascita originale. In un caso analogo davanti al Giudice di Pace di Ravenna, questo si è pronunciato

in senso opposto accogliendo il ricorso; infatti in tale sede è stato considerato che l’esame

auxologico presenta comunque un margine di errore e non essendo state avanzate specifiche

censure sulla documentazione prodotta dal ricorrente, quest’ultima deve essere ritenuta valida.36

Il divieto di espulsione eccepito nel maggior numero di casi è quello espresso dal c.d. divieto

di non-refoulement; i ricorrenti hanno avanzato la sua violazione in 11 casi, nei quali si eccepiva la

presentazione della domanda di protezione internazionale o comunque la sussistenza del pericolo in

caso di rimpatrio. L’orientamento generale dei giudici in questa materia sembra essere quello di un

mero recepimento delle decisioni delle Autorità competenti al riconoscimento dello status di

rifugiato, senza entrare nel merito della verifica dei presupposti ex art. 19 comma 1 del T.U.

Immigrazione; e limitandosi spesso ad asserire in motivazione che le persecuzioni non risultano

provate dal ricorrente o a constatare il diniego della domanda d’asilo da parte della Commissione

Territoriale. Tale orientamento può trovare giustificazione nei casi di rigetto del ricorso ex art. 35

D. Lgs. 25/2008, in quanto in tali casi la situazione del ricorrente ha già subito un controllo

giurisdizionale, pertanto il giudice dell’espulsione può legittimamente rifarsi alla decisione del

Tribunale civile, salva emersione di elementi nuovi. In pendenza di ricorso per il riconoscimento

della protezione internazionale dinanzi al Tribunale civile, in vari casi l’esistenza dei presupposti ex

art. 19 comma 1 non è oggetto di autonoma valutazione del giudice, ma si attesta solo la non

sospensione del diniego della Commissione Territoriale, come ad esempio in RG 51448/13: “deve

evidenziarsi come la questione relativa alla sussistenza del diritto del ricorrente ad ottenere il

riconoscimento della protezione internazionale sia stata sottoposta al Tribunale di Roma (…), il

quale non ha emesso il provvedimento di sospensione dell’efficacia esecutiva (…)”.

Questo orientamento è confermato dai casi in cui lo straniero non ha presentato la domanda

d’asilo, ad esempio in RG 53323/13, l’eccezione del ricorrente, fondata sulla situazione politica

della Tunisia viene rigettata in quanto: “si ritiene che lo straniero non ha fatto richiesta alla

Commissione Territoriale di protezione internazionale e/o richiesta di asilo politico per cui non

ricorrono i presupposti di legge per permanere nel territorio italiano”. La situazione della Tunisia

ha tuttavia giustificato la decisione in senso opposto di un altro giudice, il quale, entrando nel

merito della questione, ha accolto il ricorso nel procedimento RG 52305/13, riscontrando la

“notoria presenza” delle condizioni che avevano già giustificato il rilascio di un permesso per

36 Ufficio del Giudice di Pace di Ravenna, RG 2210/13, ordinanza n.106/2013, fonte http//www.meltingpot.org

CLINICA DEL DIRITTO DELL’IMMIGRAZIONE E DELLA CITTADINANZA

21

motivi umanitari. In altri due provvedimenti,37 oltre alla menzione della presentazione della

domanda di protezione internazionale, si fa riferimento al pericolo del ricorrente in caso di rientro

nel paese d’origine (si tratta della Liberia e della Turchia). Il riconoscimento della situazione di

inespellibilità del richiedente asilo, prima della decisione della Commissione Territoriale

competente ad esaminare la domanda, sembra pacifico, come attestato dalla decisione di

accoglimento del giudice in RG 50877/13.

11 - I legami familiari e il radicamento sul territorio

Preliminarmente bisogna osservare che i dati su tali aspetti, strettamente inerenti alla

situazione personale dello straniero, possono essere considerati degli indicatori particolarmente

rilevanti del grado di profondità della valutazione sulla persona operata in sede di emanazione del

decreto prefettizio e poi di successivo controllo giurisdizionale sul punto. La tutela dei legami

familiari è sancita in primo luogo, dall’art 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo

(C.E.D.U.), intitolato “Diritto al rispetto della vita privata e familiare”, garantito nei riguardi di ogni

persona. L’ampiezza di tale diritto è stata inoltre ulteriormente specificata in via giurisprudenziale,

imponendo comunque un’operazione di bilanciamento fra il diritto dello straniero e l’interesse dello

Stato nella regolazione dei flussi migratori. La legislazione nazionale prevede nel T.U.

Immigrazione, all’art. 13 comma 2 bis che: “Nell’adottare il provvedimento di espulsione ai sensi

del comma 2, lettere a) e b), nei confronti dello straniero che ha esercitato il diritto al

ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell’articolo 29, si tiene

anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, della durata del

suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali

con il suo Paese d’origine.” . Questo principio è affermato anche in sede di diniego di rilascio o di

rinnovo di permesso di soggiorno ex art. 5 comma 5 dello stesso T.U. A tale proposito bisogna

rilevare la recente sentenza n. 202/2013 della Corte Costituzionale che si è pronunciata sull’art. 5

comma 5 T.U. e ha esteso tali tutele anche a “tutti i casi in cui lo straniero abbia nello Stato legami

familiari”. Inoltre è previsto uno specifico divieto di espulsione nei confronti dello straniero

convivente “con parenti entro il secondo grado o con il coniuge, di nazionalità italiana”.38

Nell’analisi svolta, sono stati rilevati 10 casi in cui la difesa ha eccepito esplicitamente la

37 RG 53952/13, 54171/13 38 Art. 19 comma 2 lett c D. Lgs. 286/98

CLINICA DEL DIRITTO DELL’IMMIGRAZIONE E DELLA CITTADINANZA

22

violazione della tutela dei legami familiari39 e/o il radicamento dello straniero sul territorio; di

questi un solo ricorso è stato accolto, anche in considerazione della lunga permanenza in Italia dello

straniero. Si tratta del procedimento RG 49781/13, nel quale il giudice ha attestato come nella

motivazione del Prefetto “manca il benché minimo accenno a un controllo sulla persona, oltre la

semplice verifica dell’irregolarità”, la straniera infatti, viveva in Italia con regolare permesso di

soggiorno per lavoro dal 1990. In un altro caso, nel ricorso RG 48282/13, il giudice ha accolto il

ricorso in quanto il provvedimento di espulsione era stato emanato nonostante il ricorrente fosse in

possesso di regolare permesso di soggiorno per motivi familiari. Negli altri provvedimenti bisogna

innanzi tutto rilevare il fenomeno generale di insufficienza o assenza di motivazione,40 che si

manifesta perciò anche in considerazione di questo aspetto. L’esame dell’organo giudicante appare

comunque superficiale e l’analisi dei legami familiari e del radicamento dello straniero sul territorio

non assume la rilevanza dovuta nelle motivazioni analizzate, essendo limitato spesso

all’attestazione della mancanza di prove sufficienti, come testimoniano alcuni esempi; “è emerso

che il ricorrente giunse in Italia all’età di tre anni ma non sono stati forniti elementi relativi alla

sua permanenza sul territorio italiano, ai suoi eventuali legami familiari e alla sua integrazione

sociale”41, “(…) in relazione alla presenza in Italia di “tutti i suoi numeroso figli” (…) non è stata

fornita alcuna dimostrazione idonea a consentirne al giudicante una valutazione”42.

In altri casi il giudice non entra nel merito dell’effettiva sussistenza dei legami familiari,

omettendo del tutto un controllo sul corretto bilanciamento degli interessi contrapposti, ma fonda la

sua motivazione sulla base di considerazioni che non tengono adeguatamente conto della

legislazione e della giurisprudenza comunitaria in materia. Esemplificative sono le seguenti

motivazioni: “Il diritto al mantenimento dell’unità familiare, peraltro, è riconosciuto (…) soltanto

ai cittadini stranieri regolarmente presenti nel territorio (…), l’esistenza di un nucleo familiare non

è di per sé, sufficiente a farne ritenere legittima la permanenza in Italia (…)”,43 e anche: “l’esigenza

di unità familiare non può determinare la disapplicazione della normativa nazionale a tutela

dell’integrità delle frontiere”.44

39 Al di là delle eccezioni opposte della difesa, non è stato sempre possibile rilevare dai provvedimenti analizzati

l’effettiva presenza di legami familiari e la durata del soggiorno in Italia. 40 Vedi par 12 “I provvedimenti decisori e le motivazioni dei giudici” 41 RG 45267/13 42 RG 58514/13 43 RG 52132/13 44 RG 46525/13

CLINICA DEL DIRITTO DELL’IMMIGRAZIONE E DELLA CITTADINANZA

23

12 - I provvedimenti decisori e le motivazioni dei giudici

Sul totale dei 54 procedimenti presi in esame, nel 59% dei casi (31 provvedimenti) il ricorso è

stato rigettato, mentre nel 28% dei casi (15) è stato accolto, in 8 casi la domanda è stata dichiarata

inammissibile e in un caso il processo si è estinto per inattività delle parti.

Si rileva una significativa variabilità, nei provvedimenti analizzati, dell’ampiezza e del

dettaglio della motivazione, che in alcuni casi risulta adeguatamente sviluppata, mentre in altri

presenta un grado di trattazione della causa più superficiale o addirittura mancante.45 Nello

specifico, in 20 casi, il provvedimento risulta sufficientemente motivato, mentre in 25

provvedimenti la motivazione è apparsa assolutamente insufficiente o comunque non esaustiva.

Questa valutazione ha tenuto conto di diversi profili ritenuti rilevanti, quali: il livello di istruttoria

attuato dal giudice, l’articolazione della motivazione con riguardo a tutti i motivi di ricorso o meno

e il rilievo dato agli orientamenti della giurisprudenza.

Spesso la motivazione è insufficiente in quanto costituita da formule prestabilite di carattere

assertivo, nelle quali i giudici pongono a fondamento della decisione l’oggettiva presenza irregolare

dello straniero sul territorio, senza però considerare la situazione personale del ricorrente e

omettendo quindi il controllo sul requisito previsto dall’art. 13 comma 2: “L’espulsione è disposta

dal prefetto caso per caso (…)” e dal punto (6) della Direttiva 2008/115/CE: “le decisioni

dovrebbero essere adottate caso per caso (…), non limitandosi a prendere in considerazione il

semplice fatto del soggiorno irregolare. La constatazione del soggiorno irregolare è in questi casi

seguita da formule assertive del tipo: “Considerato che si tratta di atto dovuto, di natura non

discrezionale, la cui motivazione può essere unicamente correlata all’indicazione delle norme di

legge violate, il provvedimento di espulsione dello Stato risulta adeguatamente, seppure

succintamente motivato (…)”46, “Ritenuto che il provvedimento impugnato appare adeguatamente

motivato, in quanto la straniera non è in regola con la posizione di soggiorno”47, “Rilevato che i

presupposti normativi regolatori della materia in tema di motivazione del decreto del prefetto

risultano ampiamente rispettati (…) nel momento in cui lo straniero non ha fornito alcuna prova di

aver regolarizzato la propria posizione (…)”48.

In molti casi la motivazione non è stata considerata completa, in quanto si articola solo su uno

45 I 9 casi in cui, per vari motivi, il processo si è concluso con un provvedimento di rito, non sono stati presi in

considerazione dal punto di vista della motivazione, in quanto il giudice non è entrato nel merito, a causa dei vizi formali rilevati.

46 RG 45132/13 47 RG 46540/13 48 RG 48333/13

CLINICA DEL DIRITTO DELL’IMMIGRAZIONE E DELLA CITTADINANZA

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o più motivi di opposizione, non entrando nel merito degli altri argomenti opposti dalla difesa. Se

infatti, nel caso di accoglimento di uno dei motivi di opposizione, gli altri argomenti della difesa

sono assorbiti legittimamente dal motivo accolto, in caso di rigetto del ricorso il giudice deve

pronunciarsi in sede di motivazione su ogni eccezione opposta.

In 4 provvedimenti49 la motivazione deve considerarsi di fatto assente, perché costituita

esclusivamente dall’asserzione, contenuta in poche righe, dell’infondatezza delle eccezioni opposte

dalla difesa, come ad esempio in RG 48543/13: “Sulla base delle argomentazioni contenute

nell’atto di opposizione e dalla documentazione depositata, il ricorso non appare fondato. Le

circostanze addotte dal ricorrente, infatti, non risultano provate”; oppure in RG 58351/13:

“Rilevato che l’istanza di permesso di soggiorno è stata dichiarata inammissibile. Rigetta il

ricorso.” In un caso (RG 50854/13) tali affermazioni sono accompagnate dalla constatazione di

precedenti penali a carico del ricorrente: “Rilevato che i motivi di ricorso sono palesemente

infondati; che la straniera ha presentato una domanda di soggiorno, che è stata respinta in quanto

manifestamente infondata e fraudolenta; che risultano a suo carico precedenti penali per i reati

contro il patrimonio e la persona; che pertanto, è illegalmente soggiornante nel territorio

nazionale”.

Dati di natura socio-giuridica sui ricorrenti

Nel corso dell’analisi è stato possibile raccogliere anche alcuni dati rilevanti sulle qualifiche

soggettive dei ricorrenti; sono state individuate 20 nazionalità di appartenenza diverse50, fra queste

quelle a cui appartengono più soggetti sono: Tunisia, Nigeria, Bosnia Erzegovina, Albania,

rispettivamente 7-6 cittadini ciascuna, Marocco (4 cittadini) e Serbia (3 cittadini), tutti gli altri paesi

corrispondono alla nazionalità di uno o due ricorrenti. La maggior parte dei ricorrenti è di sesso

maschile (40 ricorrenti maschi e 11 femmine), l’età media è di 34 anni e 13 soggetti ha un’età pari o

inferiore ai 25 anni. In 17 casi il ricorrente aveva precedenti penali e in 14 casi è stato chiesto l’asilo

politico, mentre 12 soggetti hanno avuto un precedente permesso di soggiorno.

49 In particolare numeri di RG: 48543/13, 50854/13, 52813/13, 58351/13 50 L’elenco completo dei Paesi di origine dei ricorrenti e la rispettiva quota: Algeria (1), Albania (6), Bangladesh (1),

Bosnia Erzegovina (6), Egitto (2), Eritrea (1), Filippine (2), Gambia (1), Georgia (1), Iraq (1), Kosovo (2), Liberia (1), Libia (1), Marocco (4), Nigeria (7), Perù (2), Senegal (1), Serbia (3), Tunisia (7), Turchia (1), Ucraina (1).