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Anno XXXIV 6 15 Giugno 2011 € 1,00 Redazione: piazza Duomo, 12 Brindisi E-mail: [email protected] tel. 340.2684464 | fax 0831.524296 Spedizione in A.P. - art. 2 - c.20 - L.662/96 Speciale “Abitanti digitali” Si è svolto a Macerata, dal 19 al 21 maggio, il convegno nazionale promosso dall’Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali, in collaborazione con il Servizio Informatico della Conferenza Episcopale Italiana. Tema dell’incontro è stato “Abitanti digitali”. Nel corso di alcuni interventi è stato ribadito come la rete sia oggi il nuovo areopago dove incontrarsi e confrontarsi. Al convegno era presente anche il nostro Ufficio diocesano con la sua delegazione. Ampio resoconto alle pagine 11-14 Riandando a quel sabato sera Angelo Sconosciuto C ome se fosse ieri. Ascol- tare le parole del Papa, domenica 5 giugno, è stato come sentirlo nuovamen- te qui, a tre anni di distanza: come se ci fosse stato un effetto eco. «Non cedete a quella men- talità secolarizzata che propone la convivenza come preparato- ria o addirittura sostitutiva del matrimonio», ha detto il Papa a Zagabria, parlando ai giova- ni nella sua omelia sul valore della famiglia, esposta «a una crescente disgregazione», mentre rappresenta la via per «vivifica- re il tessuto sociale». E quindi ha riaffermato «il valore unico e in- sostituibile della famiglia fonda- ta sul matrimonio». Come non riandare con la mente a quel caldo sabato sera di tre anni addietro in piazza Lenio Flac- co? «Fra i valori radicati nella vostra Terra vorrei richiamare il rispetto della vita e specialmen- te l’attaccamento alla famiglia, esposta oggi al convergente at- tacco di numerose forze che cer- cano di indebolirla - disse qui il successore di Pietro -. Quanto è necessario ed urgente, anche di fronte a queste sfide, che tutte le persone di buona volontà si impegnino a salvaguardare la famiglia, solida base su cui co- struire la vita dell’intera società! Altro fondamento della vostra società è la fede cristiana, che gli antenati hanno ritenuto come uno degli elementi qualificanti l’identità brindisina». Domenica scorsa, queste pa- role, le abbiamo idealmente riascoltate in un clima tristis- simo, perchè nel corso della notte un’altra giovane vita era stata spezzata. Ed il pensiero è diventato ricordo quasi strug- gente delle parole rivolte ai giovani brindisini quel sabato sera: «Le vostre voci, che trova- no immediata rispondenza nel mio animo, mi comunicano la vostra fiduciosa esuberanza, la vostra voglia di vivere». E ancora: «So che la vostra gio- vinezza è insidiata dal richia- mo di facili guadagni, dalla tentazione di rifugiarsi in pa- radisi artificiali o di lasciarsi attrarre da forme distorte di soddisfazione materiale. Non lasciatevi irretire dalle insidie del male! Ricercate piuttosto un’esistenza ricca di valori, per dare vita ad una società più giusta e più aperta al futuro. Mettete a frutto i doni di cui Dio vi ha dotato con la giovi- nezza: la forza, l’intelligenza, il coraggio, l’entusiasmo e la voglia di vivere». E dobbiamo davvero credere, anche contro l’attuale eviden- za, che quelle parole non sono state pronunciate invano. EDITORIALE © Mario Gioia Primo Piano La Parrocchia comunità educata ed educante A pagina 3 Associazioni Padre Pio. Convegno dei Gruppi di Preghiera A pagina 7 Vita di Chiesa Pubblicate le linee guida contro la pedofilia nella Chiesa A pagina 17 Il Papa e i Vescovi affidano l’Italia alla Vergine Maria L’ assemblea dei vescovi italiani (Roma, 23-27 maggio) si è conclusa con un gesto di umi- le e fiduciosa, persino accorata preghiera da- vanti all’icona di Maria, “Salus populi romani”, nella più antica basilica dedicata in Occidente alla Madre di Dio, Santa Maria Maggiore. I ve- scovi, radunati attorno a Benedetto XVI, han- no voluto «condividere un intenso momento di preghiera con il quale affidare alla protezione materna di Maria, ‘Mater unitatis’, l’intero po- polo italiano, a centocinquanta anni dall’unità politica del Paese». Così, in un breve e intenso messaggio, si è espresso il Papa che, in questa come in altre frequenti occasioni, ha espresso la sua atten- ta premura per «questa amata nazione», di cui nell’assemblea dei vescovi si è parlato con toni preoccupati nell’intento di incoraggiare la ripresa di un cammino di sviluppo e di supera- mento delle difficoltà e del disorientamento in cui versa l’attuale stagione politica. «Affidare» a Maria con il ricorso ad una delle preghiere più popolari quale il Rosario non è un atto di rassegnata attribuzione ad altri del- le responsabilità, non è un gesto magico: «La fede non è alienazione”», quanto una presa di coscienza, più profonda e lucida, della re- sponsabilità delle persone chiamate a «fare spazio a Dio» nella vita privata e pubblica, e porsi «alla scuola di Maria». La Vergine ci invita a «condividere i passi di Gesù», camminare sul sentiero da lui indicato, imitando lui che è «la forma dell’uomo, la sua verità più profonda, la linfa che feconda una storia altrimenti irri- mediabilmente compromessa». La preghiera dei vescovi con il Papa è invocazione a Dio, ri- chiesta d’intercessione di Maria, è confessione di povertà e insufficienza delle risorse umane di fronte ai grandi e complessi problemi della storia contemporanea, ma è anche messaggio e ammonimento per amministratori, politici e cittadini. Un invito a prendere sul serio la di- mensione politica della vita collettiva, a essere sensibili e capaci di rappresentare le istanze sociali, a ricostruire la storia in termini non fa- ziosi, a concepire la laicità in modo rispettoso dei diritti dei fedeli e delle comunità religiose, a riconoscere l’importanza della presenza del- la Chiesa nella storia italiana di questi cento- cinquanta anni. In una parola ad affrontare la vita politica e sociale sulla base delle categorie della fraternità e del bene comune. Benedetto XVI ha voluto ricordare a chiare lettere: «A ragione l’Italia celebrando i cen- tocinquanta anni di unità politica può essere orgogliosa della presenza e dell’azione della Chiesa» e rivendica il diritto di rappresentare le istanze etiche e di difendere i valori e i di- ritti fondamentali dell’uomo che sono «previ rispetto a qualsiasi giurisdizione statale», in quanto iscritti nella natura stessa della perso- na umana. E infine la raccomandazione del Papa ai ve- scovi: «Non esitate a stimolare i fedeli laici a vincere ogni spirito di chiusura, distrazione e indifferenza, e a partecipare in prima persona alla vita pubblica». «Incoraggiate le iniziative di formazione ispirate alla dottrina sociale della Chiesa affinché chi è chiamato a responsabilità politiche e amministrative non rimanga vittima della tentazione di sfruttare la propria posizio- ne per interessi personali o per sete di potere. Sostenete la vasta rete di aggregazioni e di as- sociazioni che promuovono opere di carattere culturale, sociale e caritativo». Tempo di vacanze C arissimi turisti, ritorna l’estate, il tempo del sole e del mare, dei col- li e dei monumenti, del viaggio e del riposo: dono di Dio all’uomo che lavora. Benvenuti nella Chiesa di Brindisi-Ostuni e nel territorio brindisino: la Chiesa offre i doni dello spirito, il luogo quelli della bellezza, della cultu- ra, della distensione. Mi piace dirvi che i turisti oggi hanno un altro grande punto di riferimento in terra e in Cielo: un uomo, procla- mato beato, che ha saputo godere delle cose di Dio sulla terra e che oggi gode in Cielo del Dio che le ha create. Parlo di Giovanni Paolo II, che ha amato il mare e i monti, ha educato al turismo sano, ha sempre lodato, adorato, rin- graziato il Creatore, l’Autore delle bellezze della natura, santo in terra, santo in Cielo. Questo turismo bello io, come Vescovo, vi auguro perché possiate, nel riposo, rinfrancarvi nell’anima e nel corpo - «mens sana in corpore sano» -; nella contemplazione dell’ordine rinvigorire l’armonia familiare; nelle relazio- ni riscoprire il rispetto della dignità della persona; nella preghiera coltivare la vostra fede; nel silenzio avvertire il bisogno di Dio. Informatevi dei luoghi di culto per partecipare alla San- ta Messa o per gustare la pace dello spirito. I sacerdoti che vi raggiungono sono il segno di una pre- senza. Anche le vacanze possono essere incontro con Dio per una vita nuova. Di cuore vi saluto e vi benedico. Brindisi, 12 giugno 2011 solennità di Pentecoste + Rocco Talucci Arcivescovo

Angelo Sconosciuto A pagina Tempo di vacanze · riandare con la mente a quel ... In una parola ad affrontare la vita politica e sociale sulla base delle ... formazione ispirate alla

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Anno XXXIV n° 6 15 Giugno 2011 € 1,00Redazione: piazza Duomo, 12 Brindisi

E-mail: [email protected]. 340.2684464 | fax 0831.524296 Spedizione in A.P. - art. 2 - c.20 - L.662/96

Speciale “Abitanti digitali”

Si è svolto a Macerata, dal 19 al 21 maggio, il convegno nazionale promosso dall’Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali, in collaborazione con il Servizio Informatico della Conferenza Episcopale Italiana. Tema dell’incontro è stato “Abitanti digitali”. Nel corso di alcuni interventi è stato ribadito come la rete sia oggi il nuovo areopago dove incontrarsi e confrontarsi. Al convegno era presente anche il nostro Ufficio diocesano con la sua delegazione.

Ampio resoconto alle pagine 11-14

Riandandoa quel sabatosera

Angelo Sconosciuto

C ome se fosse ieri. Ascol-tare le parole del Papa, domenica 5 giugno, è

stato come sentirlo nuovamen-te qui, a tre anni di distanza: come se ci fosse stato un effetto eco. «Non cedete a quella men-talità secolarizzata che propone la convivenza come preparato-ria o addirittura sostitutiva del matrimonio», ha detto il Papa a Zagabria, parlando ai giova-ni nella sua omelia sul valore della famiglia, esposta «a una crescente disgregazione», mentre rappresenta la via per «vivifica-re il tessuto sociale». E quindi ha riaffermato «il valore unico e in-sostituibile della famiglia fonda-ta sul matrimonio». Come non riandare con la mente a quel caldo sabato sera di tre anni addietro in piazza Lenio Flac-co? «Fra i valori radicati nella vostra Terra vorrei richiamare il rispetto della vita e specialmen-te l’attaccamento alla famiglia, esposta oggi al convergente at-tacco di numerose forze che cer-cano di indebolirla - disse qui il successore di Pietro -. Quanto è necessario ed urgente, anche di fronte a queste sfide, che tutte le persone di buona volontà si impegnino a salvaguardare la famiglia, solida base su cui co-struire la vita dell’intera società! Altro fondamento della vostra società è la fede cristiana, che gli antenati hanno ritenuto come uno degli elementi qualificanti l’identità brindisina».

Domenica scorsa, queste pa-role, le abbiamo idealmente riascoltate in un clima tristis-simo, perchè nel corso della notte un’altra giovane vita era stata spezzata. Ed il pensiero è diventato ricordo quasi strug-gente delle parole rivolte ai giovani brindisini quel sabato sera: «Le vostre voci, che trova-no immediata rispondenza nel mio animo, mi comunicano la vostra fiduciosa esuberanza, la vostra voglia di vivere». E ancora: «So che la vostra gio-vinezza è insidiata dal richia-mo di facili guadagni, dalla tentazione di rifugiarsi in pa-radisi artificiali o di lasciarsi attrarre da forme distorte di soddisfazione materiale. Non lasciatevi irretire dalle insidie del male! Ricercate piuttosto un’esistenza ricca di valori, per dare vita ad una società più giusta e più aperta al futuro. Mettete a frutto i doni di cui Dio vi ha dotato con la giovi-nezza: la forza, l’intelligenza, il coraggio, l’entusiasmo e la voglia di vivere».

E dobbiamo davvero credere, anche contro l’attuale eviden-za, che quelle parole non sono state pronunciate invano.

editoriale

© Mario Gioia

Primo Piano

La Parrocchia comunità educata ed educante

A pagina 3

Associazioni

Padre Pio.Convegno dei Gruppi di Preghiera

A pagina 7

Vita di Chiesa

Pubblicate le linee guida contro la pedofilia nella Chiesa

A pagina 17

Il Papa e i Vescovi affidano l’Italia

alla Vergine Maria

L’assemblea dei vescovi italiani (Roma, 23-27 maggio) si è conclusa con un gesto di umi-

le e fiduciosa, persino accorata preghiera da-vanti all’icona di Maria, “Salus populi romani”, nella più antica basilica dedicata in Occidente alla Madre di Dio, Santa Maria Maggiore. I ve-scovi, radunati attorno a Benedetto XVI, han-no voluto «condividere un intenso momento di preghiera con il quale affidare alla protezione materna di Maria, ‘Mater unitatis’, l’intero po-polo italiano, a centocinquanta anni dall’unità politica del Paese».

Così, in un breve e intenso messaggio, si è espresso il Papa che, in questa come in altre frequenti occasioni, ha espresso la sua atten-ta premura per «questa amata nazione», di cui nell’assemblea dei vescovi si è parlato con toni preoccupati nell’intento di incoraggiare la ripresa di un cammino di sviluppo e di supera-mento delle difficoltà e del disorientamento in cui versa l’attuale stagione politica.

«Affidare» a Maria con il ricorso ad una delle preghiere più popolari quale il Rosario non è un atto di rassegnata attribuzione ad altri del-le responsabilità, non è un gesto magico: «La fede non è alienazione”», quanto una presa di coscienza, più profonda e lucida, della re-sponsabilità delle persone chiamate a «fare spazio a Dio» nella vita privata e pubblica, e

porsi «alla scuola di Maria». La Vergine ci invita a «condividere i passi di Gesù», camminare sul sentiero da lui indicato, imitando lui che è «la forma dell’uomo, la sua verità più profonda, la linfa che feconda una storia altrimenti irri-mediabilmente compromessa». La preghiera dei vescovi con il Papa è invocazione a Dio, ri-chiesta d’intercessione di Maria, è confessione di povertà e insufficienza delle risorse umane di fronte ai grandi e complessi problemi della storia contemporanea, ma è anche messaggio e ammonimento per amministratori, politici e cittadini. Un invito a prendere sul serio la di-mensione politica della vita collettiva, a essere sensibili e capaci di rappresentare le istanze sociali, a ricostruire la storia in termini non fa-ziosi, a concepire la laicità in modo rispettoso dei diritti dei fedeli e delle comunità religiose, a riconoscere l’importanza della presenza del-la Chiesa nella storia italiana di questi cento-cinquanta anni. In una parola ad affrontare la vita politica e sociale sulla base delle categorie della fraternità e del bene comune.

Benedetto XVI ha voluto ricordare a chiare lettere: «A ragione l’Italia celebrando i cen-tocinquanta anni di unità politica può essere orgogliosa della presenza e dell’azione della Chiesa» e rivendica il diritto di rappresentare le istanze etiche e di difendere i valori e i di-ritti fondamentali dell’uomo che sono «previ rispetto a qualsiasi giurisdizione statale», in quanto iscritti nella natura stessa della perso-na umana.

E infine la raccomandazione del Papa ai ve-scovi: «Non esitate a stimolare i fedeli laici a vincere ogni spirito di chiusura, distrazione e indifferenza, e a partecipare in prima persona alla vita pubblica». «Incoraggiate le iniziative di formazione ispirate alla dottrina sociale della Chiesa affinché chi è chiamato a responsabilità politiche e amministrative non rimanga vittima della tentazione di sfruttare la propria posizio-ne per interessi personali o per sete di potere. Sostenete la vasta rete di aggregazioni e di as-sociazioni che promuovono opere di carattere culturale, sociale e caritativo».

Tempo divacanze

C arissimi turisti,ritorna l’estate, il tempo del sole e del mare, dei col-li e dei monumenti, del viaggio e del riposo: dono

di Dio all’uomo che lavora. Benvenuti nella Chiesa di Brindisi-Ostuni e nel territorio brindisino: la Chiesa offre i doni dello spirito, il luogo quelli della bellezza, della cultu-ra, della distensione.

Mi piace dirvi che i turisti oggi hanno un altro grande punto di riferimento in terra e in Cielo: un uomo, procla-mato beato, che ha saputo godere delle cose di Dio sulla terra e che oggi gode in Cielo del Dio che le ha create. Parlo di Giovanni Paolo II, che ha amato il mare e i monti, ha educato al turismo sano, ha sempre lodato, adorato, rin-graziato il Creatore, l’Autore delle bellezze della natura, santo in terra, santo in Cielo.

Questo turismo bello io, come Vescovo, vi auguro perché possiate, nel riposo, rinfrancarvi nell’anima e nel corpo - «mens sana in corpore sano» -; nella contemplazione dell’ordine rinvigorire l’armonia familiare; nelle relazio-ni riscoprire il rispetto della dignità della persona; nella preghiera coltivare la vostra fede; nel silenzio avvertire il bisogno di Dio.

Informatevi dei luoghi di culto per partecipare alla San-ta Messa o per gustare la pace dello spirito.

I sacerdoti che vi raggiungono sono il segno di una pre-senza. Anche le vacanze possono essere incontro con Dio per una vita nuova.

Di cuore vi saluto e vi benedico.

Brindisi, 12 giugno 2011solennità di Pentecoste

+ Rocco TalucciArcivescovo

Primo Piano 315 giugno 2011

La nostra Chiesa diocesana si appresta a vivere il suo tradizionale Convegno ecclesiale. L’appuntamento, giunto all’undicesima edizione, si svolgerà dal 29 al

31 agosto pp.vv. a San Giovanni Rotondo presso il Centro di Spiritualità “Padre Pio”. Padre Arcivescovo presenta il tema e i contenuti del convegno di fine agosto che avrà per tema “Parrocchia comunità educata ed educante. La Chiesa di fronte alla sfida educativa”.

Eccellenza, perchè la scelta di questa tematica?«Il tema è legato alla scelta di altri due ambiti sinodali: la Pastorale Scolastica e quella della Cultura e Comunicazioni Sociali, previsti per il secondo anno di approfondimento. Il senso del tema riguarda la sfida educativa che impegnerà la Chiesa italiana in questo decennio. Per noi vuol dire che una comunità che si ritiene evangeliz-zata, non può non evangelizzare; se si lascia educare dalla Parola di Dio non può non educare».

Spesso si associa la Parrocchia al prete e a qualche ope-ratore pastorale. Ma il concetto di comunità cristiana e parrocchiale è ben diverso più ampio…

«La comunità parrocchiale non è il Parroco o il singolo ope-ratore pastorale, ma l’intero “gregge”, cioè la comunità dei fedeli. Questa viene educata dalla Parola ed è chiamata ad educare. È soggetto la comunità che ascolta, prega, crede, ama, condivide programmi, matura una mentalità, respira un progetto, sostiene e condivide le iniziative, al punto che la testimonianza del singolo esplicita il modo di sentire della comunità».

Durante il Sinodo, nella sua lectio magistralis sull’am-bito della Pastorale Organica, don Giancarlo Gozzi aveva esordito affermando che “Parlare di parrocchia oggi è addentrarsi in un discorso impegnativo”. Signi-fica che la nostra Diocesi non ha paura di confrontarsi con una tematica che richiede parecchia riflessione e predisposizione al cambiamento?

«Il Parroco, con l’aiuto degli operatori e degli organismi pa-storali, anima l’intera comunità, la forma e la aggiorna per suscitare i migliori interessi educativi. Parla alle famiglie, alle associazioni e movimenti, ai gruppi e alle assemblee per renderle protagoniste e capaci di confronto, di riflessione e di cambiamento anche di mentalità per aprirsi alla missio-narietà. Tutto l’anno liturgico e la vita della Chiesa in modo diretto o indiretto, stimolano la comunità all’impegno».

Nel nostro Sinodo diocesano la riflessione sulla Par-rocchia è stata sempre sullo sfondo di ogni approfon-dimento. Nel Liber Synodalis il termine “Parrocchia” ricorre centinaia di volte. Come mai tutta questa atten-zione?

«Uno degli scopi del Sinodo era la valorizzazione della Par-rocchia e questo è stato evidenziato a sufficienza, tanto che nel programma triennale i vari aspetti la vedono come sog-getto diretto. La Parrocchia è la comunità più vicina alla gente e riflette intorno alla persona del Parroco la vita della Chiesa particolare ed universale. Si denota, però, anche la sua non autosufficienza: non si può e non si deve prescin-dere da essa, ma, se la Parrocchia vuol rendere un servizio di “vita buona del Vangelo” deve integrarsi con le altre realtà parrocchiali e non».

Ultimamente di Parrocchia si parla anche in termini di realtà in profondo e continuo cambiamento. Cosa però, al di là delle epoche storiche, rimane immutato in una realtà parrocchiale?

«Anche l’uomo è in continuo cambiamento pur rimanendo se stesso. Una Parrocchia ha le sue note immutabili nell’esse-re comunità di fede intorno alla Parola, di speranza intorno alla Grazia, di fraternità umana intorno alla carità: sono vir-tù da coltivare e testimoniare per essere anima del mondo. Il cambiamento riguarda i metodi da seguire, le esperienze da coltivare, i problemi da affrontare, la cultura da respirare. Cambia il mondo, non la Parola che risuona nella Parrocchia che sarà sempre in grado di animare e illuminare il mondo».La Parrocchia, per lunghissimo tempo, ha rappresentato un punto di riferimento per intere generazioni.

Oggi, i giovani in particolare, abitano altri spazi, i cosid-detti “sagrati virtuali”. Come far ritornare i ragazzi, ma non solo loro, nelle parrocchie?

«Le Parrocchie restano un punto di riferimento sempre, per-ché sono il luogo dove si parla di Dio e dell’uomo. Un tempo forse era unico punto di riferimento riconosciuto anche dalle famiglie, e questo facilitava le scelte. Era unico anche come proposta di socializzazione e di gioco. Oggi ci sono tanti al-tri spazi che si impongono. Invito i giovani a saper scegliere il luogo più giusto e benefico nella verità e per il loro bene, invito la Parrocchia a saper fare nuove proposte non per “ac-calappiare” i giovani, ma per renderli più liberi». Quali strategie adottare affinchè la Parrocchia sia davvero una comunità che educa?«Al di là dei servizi di culto e di carità, sempre necessari, la Parrocchia deve evidenziare il primato della Parola di Dio che educa alla vita buona, alla giustizia e alla santità, al bene e alla felicità. La Parrocchia faccia sentire questo discorso anche dai “tetti”, sappia coinvolgere le famiglie capaci di in-dividuare il vero bene, rilanci l’invito alla preghiera e l’espe-rienza del volontariato, offra la possibilità di aderire a scelte associative e di movimenti. La presenza di un oratorio sia ca-pace di filtrare e comprendere i nuovi linguaggi perché il vir-tuale non prevalga sul reale, faccia cogliere le differenze tra bene e male, tra virtù e vizio. Va recuperata un’alleanza con la scuola e con tutte le forme educative. Una parrocchia sen-sibile alla sfida educativa, apparirà una comunità che educa se farà comprendere a tutti che il vero Maestro è Gesù ».

Giovanni Morelli

L’intervista� Padre Arcivescovo illustra i contenuti del prossimo Convegno Ecclesiale Diocesano

La Parrocchia comunità educata ed educanteLa Chiesa di fronte alla sfida educativa

Vita Diocesana4 15 giugno 2011

Le linee pastorali dell’Arcivescovo per l’anno 2010 – 2011 hanno incoraggiato il Consiglio Vicariale di Ostuni ad adoperarsi per articolare percorsi di ascolto ragionato,

lettura ed interpretazione del territorio in cui opera, per ren-dere sempre più consapevole ed adeguata la sua presenza, il sostegno e l’azione con le persone che di questi bisogni si fanno portatori.

Credo di poter riassumere le istanze che hanno mos-so richiesta che mi è stata proposta da alcuni espo-nenti dello stesso Consiglio nel mese di marzo 2011,

con la conseguente esigenza di presentare alla comunità dei cattolici ostunesi (parrocchie, associazioni, volontari), una fotografia della percezione della qualità della vita della po-polazione locale.

Si è dunque ragionato insieme sulle fonti da cui attinge-re informazioni attendibili ed aggiornate e si sono in-dividuate: un’accurata ricerca condotta dal Laboratorio

di sociologia pastorale su richiesta stessa Vicaria ed un’in-dagine da me condotta con il Consorzio dei Comuni dell’Al-to Salento, entrambe risalenti ad una decina di anni fa, con l’aggiornamento dati desumibile dal Piano sociale regionale 2010 – 2011 e dall’ultimo Piano sociale di zona condotto nel-lo specifico ambito socio-sanitario di Fasano, Ostuni e Ci-sternino.

Sembravano dunque tracciate le grandi linee da percor-rere per il raggiungimento dell’obiettivo, ma la sensa-zione era quella di tentare di riempire ulteriormente

un contenitore già traboccante.

Lo sguardo nelle parrocchie (raccolta fondi, indumen-ti, distribuzione viveri, organizzazione della mensa, ecc.) ed i confronti avuti con i miei interlocutori, da-

vano l’idea infatti di una presenza costante a contatto con le richieste, i motivi di insoddisfazione, dolore e sofferenza di chi, usufruendo o no dei sussidi e delle forme di sostegno of-ferte dai servizi sociali dell’Amministrazione comunale o da quelli socio sanitari previsti dall’offerta sanitaria o dal Piano di Zona, si rivolge alle parrocchie in cerca di un conforto ma-teriale o spirituale.

Da questa considerazione è nato il progetto di un’ “Os-servazione qualificata”, che desse l’opportunità ai 9 parroci di alleggerire un tantino lo zaino carico dei

bisogni della comunità e desse a tutti gli altri la possibilità di conoscere la natura dei problemi avvertiti più pesantemente nel territorio comunale e diocesano.

Si è dunque elaborato un questionario, semi strutturato, che permettesse ai parroci di dare risposte confronta-bili tra di loro e con le fonti bibliografiche prescelte, ma

che raccogliesse anche le specificità di ognuno di loro, nelle chiavi si interpretazione e nell’elaborazione di risposte utili alle richieste accolte.

Il questionario era suddiviso in tre diverse parti:

• una prima più quantitativa, volta a raccogliere i dati struttu-rali (cenni biografici e di formazione dei parroci e dei quar-tieri di riferimento delle parrocchie) e ad individuare i biso-gni ed i portatori degli stessi che hanno raggiunto le proprie parrocchie;• per poi procedere verso un’aria più qualitativa in cui si chiedeva agli stessi parroci di confrontarsi con il sistema dei servizi del pubblico, dell’associazionismo e del privato socia-

le e di concentrare l’attenzione sui bisogni più pressanti rap-presentati nell’ultimo semestre,

• per concludere l’informativa con i tentativi che i parroci hanno attivato per rispondere ai bisogni registrati e la richie-sta agli stessi di suggerimenti perché nel territorio diocesano e cittadino le risposte divengano sempre più adeguate.

La collaborazione dei parroci è stata immediata, come il coordinamento, la distribuzione e la raccolta delle informazioni, esemplari e degni di organizzazioni ben

più complesse.In pochi giorni si è dunque organizzata una presentazione articolata sui dati estratti dalle fonti bibliografiche e sulle testimonianze dirette a religiosi e laici, alla presenza dell’ar-civescovo, nell’incontro che ha fatto seguito alla Stazione quaresimale dello scorso marzo.

Alle informazioni raccolte si sono aggiunte qualche riflessione, qualche spunto per attività future e qual-che definizione proveniente dalla comunità scien-

tifica, che facilitasse la lettura di concetti letti nei racconti e nelle testimonianze e più ostici da declinare in un contesto economico e sociale che si modifica repentinamente e non sempre immediatamente intelligibile.

Il lavoro realizzato è stato fonte di piena soddisfazione, l’impressione è stata quella di aver aiutato la luce a filtra-re un po’ più in basso, dove le necessità si fanno fitte ed

impellenti ed a volte è difficile rispondervi, di aver agevola-to una ulteriore occasione di confronto e scambio tra coloro che li raccolgono, di aver completato e confermato, con le otto fotografie (un solo parroco non ha collaborato), il mo-saico della nostra città e del territorio.

Il fuoco dell’indagine ci ha consentito di conoscere aspetti della nostra dimensione spazio temporale che non entra-no ogni giorno nelle nostre case come cronaca mediatica,

ma che chiedono la massima comprensione ed attenzione perché non lo diventino.

L’articolazione delle argomentazioni proposte, d’altro canto, come risulta evidente dal quadro che sinte-tizza i suggerimenti dei parroci di seguito riportati,

evidenzia il diagramma una risposta in sé complessa e arti-colata, capace di affrontare il reale nelle categorie di azione diretta (vedi risposte in rosso in alto), aggregazione e sen-sibilizzazione, previste con le risposte centrali, e costanza e pianificazione, come evidenziato nell’ultima riga.

Questa esperienza può considerarsi conclusa, e, d’al-tro canto, ha impiegato una quantità limitata di energie lavorative in un arco di tempo anch’esso ri-

stretto.

Ma la percezione è quella di un percorso appena aperto, in cui laici e religiosi a cui sta a cuore la vita della comunità, sviluppino la capacità di analisi, si

aprano al confronto ed all’apprendimento, creino partena-riati con chi ha a cuore tanto i bisogni dei cittadini e dei nuo-vi arrivati, quanto i diritti civili e le buone prassi ed, attraver-so appuntamenti costanti, forniscano un supporto concreto, vissuto e competente all’organizzazione dell’agenda politica, così bisognosa di partecipazione, di sollecitazioni sulle ur-genze e pressioni costanti e organizzate sulla programma-zione socio-territoriale del medio – lungo periodo.

Valeria Pecere Sociologa

ostuni Percorso di ascolto promosso dal Consiglio vicariale e presentato durante la stazione quaresimale

Un’osservazione qualificata della realtà civile ed ecclesiale

Vita Diocesana 515 giugno 2011

Don Giuseppe Pala-dini era nato a Le-verano il 18 luglio

1916; ordinato sacerdote il 28 giugno 1942, fu nomi-nato parroco alla “Madon-na della Consolazione” il 19 marzo 1957 dove rimase prima di divenire parroco della “Chiesa Madre” di Leverano, dal 26 settem-bre 1982 sino al 28 giugno 1999. Dal gennaio 2006, sino a pochi giorni prima della morte, ha celebrato la Santa Messa in casa dove riceveva per confessioni e conversa-zioni. Suo papà morì in guerra dopo pochi mesi dalla sua nascita. Don Giuseppe aveva un forte rammarico per non averlo conosciuto e lo amava immensamente.

Sapeva quello che voleva e i suoi programmi pastorali, concreti e chia-ri, si ispiravano al Concilio Vaticano II, specialmente alla Costituzione dogmatica “Lumen Gentium” e alla Costituzione pastorale “Gaudium et

Spes”.Lungimirante, favoriva la pastorale

interparrocchiale senza mortificare quella parrocchiale. Ripeteva spesso una confessione di don Primo Mazzo-lari: “mi sono stancato di tutto, fuor-chè di essere parroco”.

Attraverso l’Azione Cattolica si impe-gnava a formare laici, apostoli missio-nari. Amava pregare anche con lo stu-dio. I suoi autori preferiti erano don Primo Mazzolari, Padre David Maria

Turoldo, il Cardinal Carlo Maria Martini, don Tonino Bello, Mons. Bruno Forte. Amava chi lo faceva sof-frire, sapeva guidare e ob-bedire, sapeva parlare e in più ascoltare, era riverente ma non si piegava mai, ri-spettoso e mai adulatore, generoso, povero, profon-do conoscitore dell’uomo e appassionato ricercatore di Dio. Faceva suo il program-ma di San Paolo: “Guai a me se non evangelizzo”.

Pensando alla morte esclamava: “quanto vorrei chiamarti ‘sorella’ come Francesco, ma non ho la sua fede. Lenta si avvicina e silenziosa per non farmi paura; e io ti desidero e ti temo, anzi, non temo te, perché tu ‘la porta sei’. Al di qua il carico del mio male, di là il mistero, spero all’ingres-so di trovare una mano materna che in silenzio mi accompagni al cantuc-cio preparato dalla bontà infinita”.

don Cosimo Rolli

È stato presentato il 18 maggio scorso, presso l’Auditorium della Bi-

blioteca comunale di Ostuni, il nuovo libro curato dal prof. Dino Ciccarese “Don Italo Pignatelli, servo della cari-tà”, edito dalla Fondazione “Madonna Pellegrina” con il patrocinio della Società di Storia Patria per la Puglia.

All’incontro, moderato da don Franco Blasi, Presidente della Fondazione “Madonna Pellegrina”, hanno preso par-te, oltre all’autore, il Sindaco di Ostuni Domenico Tanzarella, Sua Eccellenza l’Arcivescovo, mons. Rocco Talucci, il Rettore del Pontificio Semi-nario regionale di Molfetta, mons. Lui-gi Renna e il vice presidente vicario del Centro Servizi al Volontariato “Poiesis”, Rino Spedicato.

Il libro si apre con le presentazioni dell’Arcivescovo, che inquadra l’opera lungo la scia del Sinodo diocesano con-cluso di recente, e con quella del sinda-co Tanzarella, secondo il quale la città di Ostuni, “ha amato don Italo e ancora oggi si inchina davanti alla sua opera di benefattore”.

Le oltre 200 pagine di studio, corre-date da un ricco repertorio fotografico, partono dall’analisi dell’assistenza so-ciale ad Ostuni, per poi approfondire la figura e l’opera di don Italo.

Quella di don Italino è stata una figura sacerdotale di estrema esemplarità che «pur avendo bisogno di tutto per assi-curare ai suoi ragazzi il meglio» – paro-le dell’autore – «è riuscito a chinarsi in ogni direzione sulle necessità altrui. Un uomo dal profondo animo caritatevole che con l’azzardo solidale del suo cuo-re lo ha portato, non a parlare di carità, ma a farsi e diventare carità testimo-niando più il noi che l’io».

È seguito l’intervento di mons. Lui-gi Renna il quale, nella sua relazione, ha tracciato un quadro della vita di don Italo esaltando la grandezza di un uomo, di un sacerdote semplice come un fanciullo che ha vissuto come un pellegrino la sua sofferenza, affidando alla Chiesa le sue opere. «Don Italo – ha sottolineato il rettore di Molfetta – è

stato un uomo dal cuore grande perché è stato prete attento ai segni dei tempi a trecentosessanta gradi. È stato prete dal cuore creativo, capace di educare (ispi-rato dalla scuola salesiana e dell’Azione Cattolica) con il canto, la musica, il te-atro, uomo di relazioni durature». Ed è proprio la grande umanità la caratteri-stica che emerge con più forza dal libro di Ciccarese. Don Italo stesso afferma-va infatti che “la sapienza pedagogica non può portare frutti se non si ancòra ad una serena umanità”. E ripercorren-do le tappe della sua vita, mons. Renna ha concluso dicendo: «don Italo è sta-to uomo grande, semplice, di fede e la Chiesa di Ostuni e il Seminario regiona-le si unisce a voi ringraziando il Signore per averlo avuto in dono».

Il libro, prezioso per la storia della città di Ostuni e per la spiritualità che trasmette, vuole essere uno strumento in grado di dare un messaggio forte e chiaro alla nostra società. E a tal pro-posito, Rino Spedicato ha voluto evi-denziare l’importanza che oggi assume questa pubblicazione. «Il libro – ha sot-tolineato il vice presidente del Csv – è utile per diversi motivi: per fare memo-ria di un sacerdote, figlio di questa ter-ra, che attraverso le opere della carità ha fatto parlare di Dio nella storia e tra la gente; ma anche per riflettere su una generazione di sacerdoti che in anni veramente difficili, di estrema povertà, seppe dare corpo e speranza agli inse-gnamenti e ai percorsi della Dottrina Sociale della Chiesa, e seppe portare speranza laddove c’era disperazione». Un esempio, una storia da raccontare

ai ragazzi, come ha affermato Spedica-to, «perché è la meravigliosa storia di una Chiesa e di un Mezzogiorno che non vogliono arrendersi, che voglio-no vivere il Vangelo della resurrezione e la grammatica della speranza, nella consapevolezza che non costruiremo il bene comune senza una coscienza cri-stiana comune ed una diffusa e condi-visa coscienza civica».

Le conclusioni sono state affidate all’Arcivescovo, il quale ha esortato a scoprire e conoscere le figure sacerdo-tali del territorio: «Abbiamo il diritto e il dovere di conoscere queste figure - ha detto mons. Talucci - per rendere erede di cose belle chi viene dopo di noi. E se l’attività caritativa presenta il miglior volto della Chiesa – ha aggiunto – un interprete della carità come don Italo ha presentato il miglior volto di Gesù, Buon Pastore vicino alle pecore deboli». Don Italo, che ha vissuto tra due epo-che, ha fatto sentire le novità del Conci-lio Vaticano II anche rileggendo, in una nuova chiave, il protagonismo laicale, ambito particolarmente curato anche dal Sinodo diocesano appena conclu-so. «Vedo in lui – ha detto Padre Arci-vescovo – un prete che, interpretando il Concilio in tutte le sue urgenze, è un antesignano di quanto abbiamo voluto scoprire oggi con il Sinodo. Don Italo, dono della Provvidenza, sia stimolo per tutti gli uomini ad avere questa capaci-tà di amare che deve diventare anche il nostro atteggiamento abituale».

Daniela Negro

Il rIcordo È morto il 25 maggio scorso a Leverano

Don Giuseppe Paladini, un padre

oSTUNI Presentato nella biblioteca comunale lo studio di Dino Ciccarese

Don Italo Pignatelli, dono della Provvidenza

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Questo numero è stato chiuso in redazione alle ore 16 del 10 giugno 2011

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Il tavolo con i relatori © A.Pacifico

A Brindisi il 10° Raduno dei Ministranti

Domenica 29 maggio, presso il Seminario Arcivesco-vile “Benedetto XVI”, si è svolta la X edizione del

Raduno diocesano dei Ministranti, momento culminante di tutto il cammino annuale, che ha visto coinvolti i ra-gazzi in diversi impegni e attività all'insegna del tema: “La gioia di donarsi con Gesù pane di vita”.Il raduno è iniziato di primo mattino, quando da tutta la diocesi sono giunti i vari gruppi. Al collo di ognuno è stato appeso un cartoncino colorato con il proprio nome in modo che questo gruppo eterogeneo diventasse un tutt'uno, affinchè ci si conoscesse e si facesse comunio-ne.

Non è mancato il momento di preghiera, fin quando i ragazzi sono stati raggiunti dal Padre Arcivescovo che ha vissuto con loro i momenti della tarda mattinata fino alla celebrazione eucaristica.

Il Mo.Mi (Movimento Ministranti) è una sorta di “mo-vimento” diocesano che racchiude e unifica in un unico cammino di crescita tutti i vari gruppi dei chierichetti delle nostre parrocchie, con la grande voglia e il deside-rio di diffondere un senso di appartenenza forte ad una “vocazione” di gioia e servizio.

Durante tutto l’arco di quest’anno si sono tenuti tre in-contri in ogni paese della nostra diocesi, incentrati sulla figura, le qualità e le prerogative di un ragazzo cristiano, che con gioia e slancio vuole porsi a servizio di Dio e della propria comunità; infatti prima di “divenire” mini-strante è opportuno sapere chi egli sia e successivamen-te impegnarsi a vivere, così come Gesù ci ha insegnato, la propria chiamata al servizio.

In ogni incontro si è partiti da un brano del Vangelo: nel primo la parabola dei talenti, nel secondo il brano dell’offerta della povera vedova, nel terzo, infine, il bra-no del fariseo e del pubblicano nel tempio, per poi trac-ciare, grazie alla stessa Parola di Dio, la figura del mini-strante e le motivazioni vere del suo servizio.

Un percorso parallelo è stato offerto anche ai respon-sabili dei vari gruppi ministranti; con loro è stato vissuto uno stretto rapporto di collaborazione per l’animazione nelle parrocchie, per la formazione e per le iniziative diocesane come il torneo di calcetto e il raduno annua-le.

Domenica 29 maggio, dunque, come ogni anno, il ret-tore, don Alessandro Luperto, ha invitato tutti i “chieri-chetti” della diocesi a condividere assieme una intensa giornata fatta di spunti, preghiera, gioco, comunione e riflessione.

Antonella Di Coste

Associazioni & Movimenti6 15 giugno 2011

Ti aspetti molte cose da una festa diocesana dell’Azio-ne Cattolica. Ti aspetti di incontrare tanti, tantissimi volti amici, sorridenti e gioiosi. Ti aspetti di vedere

una piazza affrescata di mille colori. Ti aspetti di capire da lontano di essere arrivato nel luogo della festa sol perché senti un brusìo di voci, un intreccio di canti e schiamazzi, un continuo rincorrersi di saluti e coretti improvvisati.

È così che decidi che prima di tuffarti in questo fantastico clima di bellezza, condivisione e calore umano sia il caso di ritagliarti un momento tutto tuo attraverso il quale godere per un istante di una sintesi personale di tutto ciò che ac-cade attorno a te.

È per questo che domenica 5 giugno nel pomeriggio de-cidi, appena arrivato in piazza Mitrano a Locorotondo per il tradizionale appuntamento della Festa Diocesana Unita-ria a conclusione del cammino di Azione Cattolica annua-le, di cercare un angolo dal quale far partire le linee della tua personale prospettiva, un luogo dal quale poter osser-vare tutto intorno e capire se le tessere del mosaico che ti aspetti, siano tutte lì al loro posto. Quello che scopri è un piccolo mondo di bandiere tricolore portate da ogni parte della diocesi, intrise di riflessioni già cominciate nei gruppi parrocchiali sul senso più profondo delle celebrazioni sui 150 anni di Unità d’Italia, sulla stretta relazione che esiste tra il percorso degli ormai 143 anni di cammino associativo e la partecipazione attiva alla vita del tuo Paese, del quale ti senti, come ha ricordato il neo-presidente diocesano Piero

Conversano, un “socio fondatore”. L’istantanea che hai scattato dal punto che ti sei scelto

deve necessariamente registrare un elemento incontro-vertibile della festa (e poi anche dell’essere di AC): la co-esistenza pienamente riuscita e laboriosa di generazioni diverse, che si divertono insieme, riflettono insieme e pre-gano insieme guidate dalla sicura mano del Padre Arcive-scovo.

Questa unitarietà (è così che si chiama nel gergo associa-tivo lo stare insieme di Adulti, Giovani e Ragazzi di AC) la percepisci dalla sintesi dei lavori fatti per settore, scanditi dal colore della bandiera: verde per il settore giovani, come segno di speranza e Impegno; bianco per l’articolazione ACR, simbolo di scommessa per il futuro; rosso per il setto-re adulti, espressione e simbolo di passione, testimonianza e sacrificio.

In questa splendida domenica pomeriggio quello che ti aspetti, e che verifichi con gioia, è l’entusiasmo straripante dell’associazione parrocchiale di Locorotondo che con ogni attenzione vizia e vezzeggia i suoi ospiti. Quello che non ti aspetti, ma accade e ti auguri possa continuare ad accade-re, è di vedere un folto gruppo di adulti in cappellino rosso coinvolgersi e coinvolgere in una passione senza limiti e contagiosissima.

Una splendida esperienza associativa, una entusiasmante esperienza di Chiesa.

Angelo Cipolla

azione cattolica Splendida esperienza associativa, entusiasmante esperienza di Chiesa

Comunità d’Italia. 150 modi per...

Il Convegno di Cultura “M. Cristina di Savoia”, sabato 21 maggio 2011 nel Salo-ne San Michele della Basilica Cattedra-

le, ha organizzato una conferenza dal titolo: “Risorgimento, Unità d’Italia e ruolo della Chiesa e dei cattolici”, in collaborazione con il Serra Club di Brindisi.

La realizzazione dell’iniziativa è stata detta-ta dal comune sentire di dare il proprio con-tributo ai festeggiamenti per il 150° anniver-sario dell’Unità d’Italia.

Il relatore, don Francesco Castelli, Docente di Storia della Chiesa Contemporanea, Di-rettore dell’Archivio Storico della Diocesi di Taranto e Articolista dell’Osservatore Roma-no, ha fornito ad un uditorio particolarmen-te interessato una dotta lezione sul periodo storico che portò all’unificazione dello Stato Italiano e non solo.

Sì perché, ha affermato Don Castelli, «le ra-dici dell’Italia affondano ad un periodo mol-to anteriore all’800». L’unificazione è un pro-cesso di secoli, non è solo quello degli ultimi anni prima dell’unità. Un processo che com-prende appieno la formazione che la Chiesa ha esercitato nella costruzione dell’identità italiana, premessa dello Stato unitario. Si

pensi alla creazione dello “spazio italiano” , prima ancora dello Stato italiano, al ruolo cruciale del Papa in modo particolare.

Nell’800 c’è stato poi chi ha raccolto l’eredi-tà precedente e l’ha portata dentro il proces-so di unificazione anche politico-istituzio-nale. Si pensi al ruolo che hanno esercitato il Rosmini, il Manzoni, i quali sono stati inter-preti di questa eredità e l’hanno trasformata in una delle componenti fondamentali del dibattito risorgimentale.

Il ruolo della Chiesa e dei cattolici è stato un ruolo importante, anche se il conflitto Chiesa-Stato ha segnato le origini dello Stato unitario.

Una persona sicuramente centrale nelle vi-cende risorgimentali fu Papa Pio IX che, in un periodo difficilissimo, difese la teologia cristiana e la Chiesa dal liberismo, dal natu-ralismo e dal razionalismo assoluto che vole-vano ridurre o eliminare il Cristianesimo e il legame tra fede e ragione. Pio IX proponeva un patto doganale di libera circolazione delle merci come primo passo verso l’unità, ma il pericolo di scissione con la chiesa austriaca, il cambio del governo piemontese che passò dall’appoggio del progetto di Confederazio-

ne di Rosmini ad un progetto espansionistico, il pericolo che prevalesse l’ala più libe-rista anticattolica, spinsero Pio IX a mettersi sulla difen-siva.

I contrasti aumentarono con le leggi di esproprio dei beni ecclesiastici e la chiusura degli ordini religiosi in Piemonte prima,e in tutto il regno d’Italia dopo. Pio IX non ebbe poi consiglie-ri capaci come Cavour, che invece si distinse per doti diplomatiche tanto da guadagnarsi l’appoggio della Francia, determinante nelle campagne militari contro l’Austria, e degli inglesi che finanziarono l’impresa dei Mille.

Dopo la proclamazione del Regno d’Italia 17 marzo 1861 i cattolici si divisero in tran-sigenti e intransigenti. Questi ultimi, il cui motto era “Cattolici con il Papa e per il Papa” furono la corrente più numerosa e più attiva sul piano socio-economico e culturale. Essi costruirono uno stato sociale capace di aiu-tare i contadini e gli operai abbandonati dal governo liberista. In questo periodo i catto-lici fecero opere culturali e sociali, ebbero come avversari prima il liberismo e poi il so-

cialismo. I cattolici difesero il ruolo dell’edu-cazione cattolica nella scuola pubblica e il matrimonio cristiano di fronte all’istituzione del matrimonio civile.

La vicenda dell’Unità d’Italia ci spinge a ri-flettere sul vero significato della parola laicità e sui rapporti tra Stato e Chiesa:Illuminanti, da questo punto di vista sono le parole di Be-nedetto XVI nella Deus Caritas Est: “Lo Stato non può imporre la religione, ma deve garan-tire la sua libertà (….) La società giusta non può essere opera della Chiesa, ma deve esse-re realizzata dalla politica. Tuttavia l’adope-rarsi per la giustizia lavorando per l’apertura dell’intelligenza e della volontà alle esigenze del bene la interessa profondamente”.

Elide Criscuolo Carrino

convegni di cultura Il 21 maggio scorso nel Salone San Michele

Il ruolo dei cattolici nel Risorgimento

Dal 6 all’ 8 maggio si è tenuta presso Riva Marina Resort (Specchiolla) la Ma-

riapoli 2011 di Puglia e Basilicata. La Maria-poli è una cittadella temporanea dove una volta l’anno le persone si ritrovano e vivono giornate di fraternità, una sorta di mosaico di cui ognuno di noi è un tassello unico ed insostituibile.

La Mariapoli è organizzata dal Movimento dei Focolari o Opera di Maria, movimento laico fondato da Chiara Lubich all’interno della Chiesa cattolica con l’obiettivo di rea-lizzare l’unità tra le persone proprio come richiesto da Gesù secondo il racconto del Vangelo secondo Giovanni (17,21). Ne conse-gue una precisa vocazione ecumenica oltre che al dialogo in altri settori della cultura.

Le Mariapoli nascono nel dopoguerra, d’estate, sui monti del Trentino, quando ad un primo gruppo del nascente Movimento guidato da Chiara Lubich si uniscono un nu-

mero sempre maggiore di giovani, famiglie, operai, professionisti, politici che vogliono vivere nell’amore scambievole. Vi fanno vi-sita personalità politiche come il Presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi. Si compone la Mariapoli, bozzetto temporaneo di una società rinnovata dall’amore evangelico. Si incontrano sud-tirolesi e italiani, francesi e tedeschi, che vedono sciogliersi odi e ran-cori. Le Mariapoli si ripetono tutt’oggi nei 5 continenti.

La Mariapoli 2011, la prima organizzata nella nostra diocesi, ha avuto come tema quest’anno “Un sì all’amore” e ha visto coin-volti circa 800 persone di Puglia e Basilicata. Nei tre giorni dell’evento si sono intervalla-ti momenti di riflessione, racconti di espe-rienze di vita e momenti di gioco volti alla socializzazione tra le diverse generazioni. Si è approfondito in particolare il tema della volontà di Dio, Chiara Lubich diceva che im-

medesimarsi con Gesù, per essere con Lui, quindi, essere la volontà di Dio è una realtà abissale, come Dio stesso. È il modo di Dio di esprimerci il suo amore e che poi chiede una nostra risposta per poter arrivare alla nostra piena realizzazione.

Alla Mariapoli ha partecipato anche il nostro Arcivescovo che nel pomeriggio del 6 maggio è venuto a dare il suo persona-le benvenuto a tutti i partecipanti. Mons. Rocco Talucci ha voluto condividere la sua personale esperienza all’interno della con-ferenza regionale sulla laicità dei movimen-ti, mettendo in risalto come ogni singola realtà abbia la capacità di rappresentare il Vangelo ognuno per un aspetto diverso. Proprio l’unione degli uni con gli altri, ha dato la possibilità di mettere insieme le pro-prie identità in modo scambievole. L’unità tra i cristiani infatti non può prescindere dall’unicità tra i Movimenti proprio per dire

quel “sì” alla Chiesa, che è la sintesi dell’uni-tà. L’Arcivescovo, inoltre, ha messo in risal-to l’importanza che la parola di vita riveste per il Movimento dei Focolari visto che la stessa fondatrice del movimento, Chiara Lu-bich, si è sempre prodigata per diffonderla capendo che essa è l’essenza dell’amore di Dio. Perciò se le nostre parole corrispondo-no alla Parola, davvero la luce cammina in mezzo a noi.

Riccardo Mancini

Una gradita novità in diocesi: la Mariapoli 2011 di pUglia e Basilicata

Parrocchie & Associazioni 715 giugno 2011

Il 13 maggio scorso sono riprese le celebrazioni mariane all’Opera “Nostra Signora di Fatima” di Ostuni, in me-moria delle Apparizioni della Vergine Maria, avvenute

nel 1917 in Portogallo.L’enorme affluenza di fedeli provenienti da tutte le provin-

ce della Puglia è un segno di speranza che si può uscire dal degrado morale in cui si trova la società odierna.

Diciotto pullman e numerosissimi mezzi privati hanno raggiunto l’Opera portando ai piedi della Madonna circa duemila anime piene di aspettative, con la voglia di aprire il loro cuore alla Mamma Celeste ed ottenere da Lei rifugio e consolazione.

Ricorrono quest’anno degli anniversari molto importanti: 6 anni di fondazione del movimento ecclesiale della Fami-glia del Cuore Immacolato di Maria, 20 anni di fondazione dell’Istituto religioso dei Servi del Cuore Immacolato di Ma-ria, 30 anni dall’attentato al papa Giovanni Paolo II, quan-

do “una mano materna” deviò il proiettile che altrimenti l’avrebbe ucciso, in piazza San Pietro, a Roma.

Quante grazie in tutti questi anni ha effuso la Madonna alla città di Ostuni! Basti guardare i cambiamenti dell’Opera e delle persone che hanno visitato questo luogo benedetto.

Alle ore 21, in un clima di raccoglimento e di preghiera, si è svolta la consueta processione con l’effige della Madonna di Fatima portata in spalle. Il cielo era stellato e guardava benevolo le luci di migliaia di flambeaux, che, come un fiu-me in piena, si muovevano lungo il percorso prestabilito.

Alle 22 ha presieduto la celebrazione eucaristica, nella cappellina all’aperto, mons. Fernando Filograna, vicario ge-nerale dell’Arcidiocesi di Lecce. Nella sua omelia ha invitato tutti a convertirci continuamente attraverso la Confessione, così come la Madonna ha chiesto a Fatima ai Pastorelli. Ha esortato a fare sacrifici e a pregare per la conversione degli altri. Ha esortato i presenti ad essere «come carboni arden-

ti che incendiano il mondo dell’amore di Dio». Ha chiesto, inoltre, di avere fiducia nella misericordia di Dio: «come la sabbia asciutta della riva si lascia continuamente bagnare dall’acqua del mare, così noi dobbiamo lasciare che la mi-sericordia di Dio bagni la nostra anima inaridita dal pecca-to».

Tutto si è concluso con lo sventolio dei fazzoletti bianchi con cui si salutava la Madonna, che ritornava nella sua cap-pellina.

Luigina Ramunno

opera nostra signora di fatima Riprese le celebrazioni mariane

Da ogni luogo per pregare la Vergine

Il 21 maggio scorso, nella Chiesa di San Pio in Me-

sagne, si è celebrato il VII Convegno Diocesano dei Gruppi di Preghiera di Pa-dre Pio.

Nella luminosa ed accogliente Chiesa, nel primo pomerig-gio, sono convenuti i Gruppi che, con i loro stendardi e i co-lori vivaci dei foulards dei partecipanti, hanno contribuito a creare un clima gioioso di festa. Molti di noi attendevano con gioia questo momento, perché, dopo circa un anno, ci si ritrovava entusiasti per ascoltare i relatori, raccontare esperienze, evidenziare eventuali difficoltà nel gestire ed organizzare i propri Gruppi, pregare e lodare il Signore.

Tutti si aspettavano tra noi il coordinatore regionale, pa-dre Fortunato Grottola, che solo pochi giorni prima del convegno si è trovato nell’impossibilità di raggiungerci, ma il vuoto da lui lasciato è stato immediatamente colma-to dalla presenza degli altri relatori che da un lato, hanno soddisfatto ogni aspettativa, dall’altro, hanno creato un cli-ma di fraterna comunione che ha consentito ai capigruppo presenti di intervenire nel momento dedicato al dibattito e ricevere preziosi ed esaurienti consigli sulla guida dei grup-pi e sulle iniziative intraprese

Hanno accolto i Gruppi convenuti, il parroco della Parroc-chia San Pio, don Giuseppe Laghezza, che nel suo saluto ha espresso grande gioia perché il direttivo diocesano ha scelto come sede del Convegno la chiesa dedicata al Santo fondatore, il Coordinatore diocesano, padre Diomede Sta-no e don Adriano Miglietta, membro del direttivo dioce-sano, che ormai da diversi anni offre la sua preziosissima collaborazione e competenza per programmare gli incontri di catechesi dei Gruppi .

Ha dato inizio all’incontro il nuovo coordinatore diocesa-no che, dopo essersi presentato ed aver salutato i Gruppi,

ha sviluppato una riflessione sulla spiritualità dei Gruppi di Preghiera.

Attraverso la preghiera comunitaria essi si impegnano a “santificarsi e santificare”, cercando di rimanere fedeli al modello di vita indicato da San Pio: Eucaristia e Santo Rosario ogni giorno. Finalità precipua degli aderenti ai Gruppi, ha ribadito padre Diomede, è dare testimonianza di vita di comunione nella preghiera e nella carità, nutriti quotidianamente della Parola e del Pane Eucaristico.

Don Adriano, nel suo intervento, ha richiamato l’atten-zione dei presenti sul III Convegno Regionale “I laici nella Chiesa e nella società pugliese oggi”, del quale ha trasmes-so, con estrema chiarezza, i messaggi più interessanti, so-prattutto quelli riguardanti le aggregazioni laicali che sono chiamate ad animare la Chiesa nello spirito apostolico di comunione e condivisione. Ha esortato i presenti a docu-mentarsi individualmente sui lavori del Convegno, attra-verso il periodico “Fermento”del 15 Maggio 2011, nel quale viene dato ampio spazio all’argomento. Ha suggerito, altre-sì, di soffermarsi, in particolare, sull’articolo riguardante la relazione di apertura della professoressa Annalisa Caputo, che, guidata dal pensiero di Don Tonino Bello, ha esortato i laici a farsi “pietre di scarto” per diventare “pietre angola-ri” su cui basare la struttura della Chiesa Viva.

Don Adriano, infine, riferendosi in modo particolare ai Gruppi di Preghiera, ha richiamato alla mente degli astanti i laici figli spirituali di Padre Pio, che hanno speso tutta la loro vita collaborando alla realizzazione del meraviglioso progetto del Santo di Pietrelcina.

Durante gli incontri di ca-techesi di questo anno pa-storale, su proposta dello stesso don Adriano, molti Gruppi della Diocesi hanno utilizzato le schede-guida

da lui preparate, che hanno consentito di conoscere da vi-cino i più stretti collaboratori di Padre Pio, così da seguir-ne l’esempio nelle vicende di vita comunitaria, ciascuno secondo le proprie possibilità. Nella società in cui viviamo occorre che gli aderenti ai Gruppi di Preghiera, imitando nell’ordinarietà lo stile di vita dei laici impegnati alla se-quela di Padre Pio, cooperino alla realizzazione del Regno di Dio, costruttori di un magnifico e solido “ponte” tra so-cietà e Chiesa.

Al termine della riflessione di don Adriano, ci ha raggiunti il nostro Padre Arcivescovo, Mons. Rocco Talucci, che, dopo aver salutato i presenti con parole di incoraggiamento a proseguire con sempre maggiore entusiasmo nel cammino intrapreso, testimoni credibili dell’unità della Chiesa, ha benedetto una bellissima statua in legno di San Pio, realiz-zata con il generoso contributo dei parrocchiani.

Al termine della benedizione della statua e dopo il saluto di commiato dell’Arcivescovo, il nuovo coordinatore dioce-sano, padre Diomede, ha invitato i capigruppo presenti a prendere la parola, per presentare il proprio Gruppo con la sua storia e le attività intraprese nella realtà parrocchiale e diocesana.

Il Convegno si è concluso con la concelebrazione eucari-stica di tutti i sacerdoti presenti, accompagnata dai canti del coro parrocchiale, eseguiti con professionalità di altissi-mo livello, così come si addice alle solenni celebrazioni.

Anna Maria Manfreda

gruppi di preghiera Il 21 maggio a Mesagne il Convegno diocesano

Con San Pio, “santificarsi e “santificare”

Mentre narravo le vicende del no-stro San Pietro Nolasco, fondatore dell’Ordine dei Mercedari, ai bam-

bini di 6-7 anni che accompagno nella cate-chesi, uno di loro , esterrefatto, mi ha chie-sto se tutto ciò che avevo appena raccontato corrispondesse davvero a verità o fosse stato frutto della mia fantasia. San Pietro Nolasco con la sua storia e il suo carisma affascina anche i più piccoli anche se è conosciuto poco. Chi ha partecipato all’intenso triduo (3-4-5 maggio) predicato dal nostro Superio-re Padre Giovanni Fabiano ha avuto modo di conoscere meglio questa figura di cui storica-mente non si sa tanto, ma quel che si sa ba-sta a renderlo un Santo “maestro di vita, eroe della carità e cavaliere della libertà”. Padre Giovanni ha scandagliato la figura del Santo attraverso le tre virtù teologali fede, speranza e carità dando maggior risalto a quest’ultima che non si vede con gli occhi ma permane nel cuore di ognuno di noi. Come cristiani ci dobbiamo lasciar guidare dalla speranza nel condurre una vita non segnata dalla rasse-gnazione ma da una «combattività costrutti-va e positiva». La speranza è la marcia in più di noi cristiani proprio come lo è stata per San Pietro che da mercante di stoffe divenne «mercante di libertà». Mai perse la speranza

di poter riscattare migliaia di schiavi a rischio della sua stessa vita. Seppe far fronte a tanti e continui bisogni, sviluppando un’organizza-zione meravigliosa.

Nella serata del 6 maggio, Festa di San Pie-tro Nolasco, Padre Giovanni e Padre Arcan-gelo hanno rinnovato la loro professione mentre la Fraternità Laicale Mercedaria si è arricchita di dieci nuovi aggregati che sono stati consacrati dal Superiore (guida spiritua-le della Fraternità). Esserne membri compor-ta molti doveri. La figura di San Pietro deve essere la nostra guida per vivere tendendo sempre lo sguardo al bisognoso, evitando l’effimero, le eccedenze ed impegnandosi ad aiutare, ognuno nelle proprie possibilità, un fratello in difficoltà.

Come Fraternità ci siamo impegnati a colla-borare con Padre Giovanni (cappellano della casa circondariale di Brindisi) all’acquisto delle uova di Pasqua per le famiglie dei car-cerati. Inoltre abbiamo organizzato la Fiera del Dolce per la campagna organizzata dalla Curia Generalizia “LIBERAREDUCANDO al fine di delle scuole in Kikulungo.

Aiutare il prossimo, per noi cristiani, per di più guidati dal carisma mercedario, non deve essere un optional, ma uno stile di vita..

Lucia Semeraro

Il 15 maggio, scorso, con la celebrazione del Sacramento della Cresima e dell’Eu-caristia di nostra figlia, abbiamo raccolto

il “frutto” che, nel corso di cinque anni, con tanto amo-re avevamo sognato.

Quando in Parrocchia ci fu illustrato il nuovo percorso dell’Iniziazione Cristiana, fra tanti disappunti e perples-sità io fui subito entusiasta. La perplessità però nacque quando il parroco invitò an-che noi genitori a seguire lo stesso cammino dei nostri figli. Non mi sentivo coinvol-ta, non ne capivo il motivo e la necessità. Vista la mia indecisione, fu mio marito ad offrirsi volontario e così ogni mese per quattro anni ha seguito lui il cammino. Dopo ogni incontro, quando tornava a casa, mi racconta-va quello di cui si era parlato; le prime volte prestavo poca attenzione, era come se non mi riguardasse, e quando lui mi invitava a frequentare rispondevo che non potevo per-ché dovevo occuparmi del nostro secondo-

genito Simone. Una sera, di ritorno dall’incontro, mio ma-

rito mi ha fatto promettere che nel momen-to in cui sarebbe arrivato il momento di Simone avrei dovuto frequentare anch’io il percorso. Così, a settembre 2010, timidamente mi sono avvicinata, l’impatto del pri-mo incontro è stato inten-so, forte, ma importante per sbloccarmi, per aprirmi e accogliere Dio da una nuova prospettiva. È stato bello co-noscere altre mamme e papà che come me si stavano av-vicinando a Dio insieme ai propri figli; vedere quei geni-tori così affiatati, interessati e coinvolti mi ha fatto rendere conto di quanto avessi perso negli anni precedenti.

Giorno dopo giorno mi ren-do conto che questo cammi-

no ha dato molto alla mia famiglia, perché oggi riusciamo più di prima a cogliere ciò che veramente ha valore e senso.

Famiglia Buccolieri

s.maria mercede Alla scuola di S. Pietro Nolasco

Maestro di vita, eroe di caritàmaterdomini Il 15 maggio a Mesagne

Colto il frutto di cinque anni

Istituire una “Giornata nazionale della famiglia”, da celebrarsi il 15 maggio, in coincidenza con la Giornata interna-

zionale della famiglia promossa dall’Onu. È la proposta del Forum delle associazio-ni familiari, formulata da Luisa Capitanio Santolini durante il convegno organizzato il 13 maggio, a Roma, presso la Biblioteca del Senato sul tema: “La famiglia esposta. Le relazioni familiari nel linguaggio comu-nicativo oggi”, promosso dal Forum delle famiglie. «Saranno le famiglie a salvare le fa-miglie, ma i politici devono fare la loro par-te», ha affermato la relatrice, alla presenza del sottosegretario Carlo Giovanardi, che ha dato «l’assenso di massima» al disegno di legge «trasversale» presentato in materia. “Libertà responsabile” antidoto a “invasio-ne”. «Famiglie in rovina, maltrattanti, in gra-ve difficoltà», in cui «la molteplicità di condi-zioni, di modelli familiari e di storie familiari viene considerata un dato positivo, contro quel luogo di prevaricazione e di scandalo che è la famigerata “famiglia tradizionale”. A lanciare l’allarme su come la famiglia viene «ritratta» dai media è stato Francesco Bel-letti, presidente del Forum delle associazio-ni familiari. Spesso, la denuncia del Forum, la famiglia in Italia è sottoposta ad «una vera e propria invasione, se non addirittura colo-nizzazione, della sfera privata da parte dei mass-media, che è una vera minaccia all’in-tegrità della dignità della persona». «Oggi - ha affermato il presidente del Forum - non possiamo governare la relazione con i mezzi di comunicazione solo con modalità di con-trollo preventivo, con la censura: non possia-mo limitarci a dire la Rai o Mediaset devono programmare delle buone trasmissioni, per-ché dobbiamo governare una multimediali-tà infinita, la tv dei 1.000 canali, Internet». Il compito delle famiglie, per il Forum, è inve-ce quello di «consentire ad una libertà fragile di esercitarsi responsabilmente»: «Nei con-fronti dei nostri figli - ha esemplificato Bel-letti - non possiamo pensare di spegnere il computer (e con esso i collegamenti con In-ternet), perché ormai fa parte della loro vita quotidiana, ci fanno i compiti, ci parlano con gli amici, ci leggono le notizie». Sono i nostri figli, in altri termini, a «governarsi»” nell’uso dei media, alle famiglie spetta il compito di «accompagnarli». Da qui l’invito del Forum ad «educare una libertà responsabile e non governare e controllare un cortile protetto». Per una “ecologia dei media”. I media oggi «non sono solo canali e linguaggi, ma de-gli ambienti culturali e simbolici», e quindi «non basta bloccare certi canali o scegliere quelli più compatibili con i valori familia-ri, né è sufficiente apprendere i linguaggi e maturare una competenza necessaria a de-codificarli e a capirne le logiche e i mecca-

nismi interni». A teorizzare in questi termi-ni la necessità di una «ecologia dei media», da tradursi in una «sostenibilità ambienta-le dell’ambiente mediatico» è stato Guido Gili, della Facoltà di scienze umane e sociali dell’Università del Molise. «Preservare la bio-diversità; contenere le specie infestanti o nocive; migliorare la qualità dell’ambien-te»: questi, per il docente, gli imperativi più urgenti a cui rispondere per questa sorta di «bonifica» dei media, da condurre sulla scor-ta di quella ambientale. «Preservare la bio-diversità», ha spiegato, significa garantire il «pluralismo del sistema comunicativo», che non è solo pluralità di canali, reti, fonti co-municative, ma anche «pluralismo dei sog-getti e delle voci». Se per la tv, ha osservato Gili, «tenere sotto controllo e limitare il più possibile le specie nocive» significa evitare «certi talk show o reality show oppure a cer-ti dibattiti irresponsabili in cui si manifesta una forma assai rilevante della violenza della televisione», nel mondo della rete, e del web «la propagazione di specie velenose è anco-ra più ampia»: basti pensare allo sviluppo «di siti che fomentano l’odio e l’intolleranza in rete o siti-esca che attirano soprattutto i più giovani». In questo contesto, «una stra-tegia delle difese esterne da sola non basta: proprio perché l’offerta dei media è sempre più eterogenea e proteiforme, cambia conti-nuamente forme, canali, generi, contenuti - ha detto Gili - occorre affidarsi non solo ad una efficace tutela negativa, cioè contenere e contrastare le specie infestanti o nocive, ma occorre puntare su una promozione positiva, un innalzamento della qualità dei prodotti mediali sia dal punto di vista dei contenuti, sia dei linguaggi e delle forme espressive». Il “digital divide”. Tra i ragazzi i nuovi media «spopolano» rispetto ai media tradiziona-li - ad eccezione della televisione - ma nello stesso tempo «proprio questi nuovi media sono quelli il cui uso è meno controllato e governato dai genitori, anche dei giovanissi-mi». È uno dei dati salienti della ricerca del Forum delle associazioni familiari sull’uso dei media da parte dei minori. «Senza in-dulgere a sterili allarmismi - ha detto Pietro Boffi, ricercatore del progetto Fuoco e coor-dinatore per la comunicazione del Forum delle famiglie - non si può negare che tra i compiti più urgenti della nostra società ci sia quello di aiutare i nostri giovani e i loro educatori ad un utilizzo sano ed equilibra-to delle nuove tecnologie». Anche qui, la ri-cerca dimostra come i giovani siano meno sprovveduti degli adulti: alla domanda “ritie-ni che Internet contenga dei pericoli”, il 92% ha risposto sì, così come che l’influenza dei media sia negativa (64,4%) o molto negativa (7,8%).

famiglia e società� Peggiora la condizione economica

Emergono segnali di stanchezza

Ancora una volta le fa-miglie italiane risul-tano in uno stato di

sofferenza. I nuclei familia-ri percepiscono un declino della loro condizione eco-nomica e non si riscontrano politiche adeguate.

Ci si chiede: fin quando le famiglie potranno continua-re a essere una risorsa per il nostro tessuto sociale? La pressione subita è indicata da due rilevazioni, rese pub-bliche nel giro di pochi gior-ni.

Da una parte l’Istat mostra lo scoraggiamento dei nuclei familiari nei confronti della propria situazione economi-ca. I consumatori, dice un’indagine periodi-ca, esprimono giudizi negativi rispetto alla situazione attuale e la loro fiducia scende ancora più rapidamente quando guardano al futuro: il saldo tra quelli che rispondono in modo positivo e quelli che rispondono in modo negativo rispetto alla propria situazio-ne economica infatti scende da – 43 a – 44 e la flessione è ancora più ampia per le pro-spettive future (da –13 a –17), senza contare che il saldo delle risposte sulle opportunità di risparmiare nei prossimi 12 mesi scende da –50 a –59.

In sintesi l’Istituto di ricerca ribadisce le difficoltà per le famiglie di tirare avanti la carretta in una situazione di crisi che non accenna a terminare, ma ciò che risulta più grave è la visione pessimistica per il futuro.

Dall’altra parte uno studio dell’Ocse rileva l’irrisorio investimento pubblico che l’Italia dedica alla famiglia: nel nostro Paese è appe-na l’1,4% del Pil, contro il 3,7 della Francia, il 3,6 della Gran Bretagna e il 2,8 della Ger-mania.

Nel rapporto si sottolinea come a subire le conseguenze maggiori della scarsa attenzio-ne della politica siano i più deboli: i bambini che nascono appartengono spesso a famiglie

monoreddito, più povere delle altre; inol-tre le mamme di frequente sono costrette a rinunciare al lavoro perché in Italia ancora non attecchisce un’idea adeguata di flessi-bilità. Come si può notare è un cane che si morde la coda.

Il sistema di welfare italiano spesso tesse le lodi delle nostre famiglie capaci di assistere gli anziani soli non autosufficienti, capaci di ammortizzare gli effetti della precarietà giovanile mantenendo le spese dei propri figli che continuano ad avere collaborazioni senza progetto, sovvenzionando le giovani coppie che altrimenti non riuscirebbero mai a dare un anticipo per acquistarsi una casa, oppure garantendo per loro nel contrarre un mutuo. Le stesse famiglie che poi aiutano i genitori ad accudire i figli, dato che la scuola non ha gli stessi orari degli altri posti lavora-tivi.

Gli ultimi dati sembrano rilevare una stan-chezza, perché mancano un orientamento per il futuro e un sostegno nel presente.

Viene il dubbio, però, che le politiche per la famiglia, più che la logica della sussidiarietà, seguano la logica della deresponsabilizzazio-ne. E purtroppo pare che ad un certo punto anche la famiglia inizi a sentire stanchezza.

Andrea Casavecchia

famiglia e media Educare ad una libertà responsabile

Alleati non avversari

Verso l’Incontro Mondiale delle Famiglie

Un sito internet potenziato e rinnovato da parte del Pontificio Consiglio per

la famiglia (www.familia.va), un secondo sito internet specifico per l'appuntamen-to mondiale di Milano (www.family2012.com), la diffusione a stampa e on-line di un volume "La famiglia: il lavoro e la fe-sta" con le catechesi preparatorie in sette lingue da utilizzare in tutto il mondo, ol-

tre a innumerevoli iniziative pubblicitarie e di sponsorizzazione a livello nazionale e internazionale: sono questi gli "ingre-dienti" del cammino preparatorio in vista del VII incontro mondiale delle famiglie in programma a Milano dal 30 maggio al 3 giugno 2012. La celebrazione dell’incontro mondiale metterà a fuoco tre modi di rinnovare la vita quotidiana: vivere le relazioni (la fa-miglia), abitare il mondo (il lavoro), uma-nizzare il tempo (la festa).

festa della famiglia Decine di coppie hanno raggiunto il Santuario della Madonna di Picciano

Una giornata vissuta tra preghiera, svago e riflessione

Si è svolta lo scorso 2 giugno, presso il santuario della Madonna di Picciano (Matera) la Festa diocesana della Famiglia. L’incontro è stato vissuto in un clima di festa,

ma anche di partecipazione e confronto sui temi dell’Inizia-zione Cristiana.

La giornata è iniziata con il raduno dei partecipanti e la partenza dai diversi paesi della Diocesi; giunti a Picciano ab-biamo celebrato la S. Messa, al termine della quale, Loren-zo, uno dei ragazzi della comunità di Mater Domini di Me-sagne che ha seguito l’itinerario formativo di cinque anni, ricevendo i sacramenti della Cresima e della Eucarestia, ci ha raccontato ciò che ha provato durante questo cammino, mostrando l’entusiasmo per quanto fatto insieme ai suoi compagni e all’intera comunità. Lorenzo ha raccontato di essersi sentito protagonista, specie durante il periodo della Quaresima di quest’anno quando ha ricevuto diversi segni, ognuno con il proprio significato; ad esempio la veste bian-ca, il piccolo cero da accendere durante la veglia pasquale e la celebrazione dei Sacramenti.

Dopo aver consumato il pranzo al sacco, nel pomeriggio, i ragazzi e gli adulti, insieme agli animatori del Centro Sporti-vo, hanno organizzato dei giochi divertenti che hanno coin-volto grandi e piccoli.

Successivamente tutte le comunità si sono trasferite all’in-terno della struttura dei Padri Benedettini presenti nel San-tuario, per un confronto sul tema dell’Iniziazione Cristiana. Moderatori sono stati don Massimo Alemanno e don Angelo Ciccarese.

Abbiamo ascoltato alcune testimonianze di mamme, della comunità di Mater Domini e della parrocchia Santa Rita di San Vito dei Normanni, che hanno fatto, o stanno ancora fa-cendo insieme ai loro figli, questa nuova esperienza di cam-mino parallelo a quello dei ragazzi.

È stata illustrata l’articolazione del percorsi attraverso le di-verse tappe, Arare, Seminare, Irrigare, Germogliare, Portare Frutto, che vede i genitori parte attiva con la partecipazione mensile agli incontri su un tema che viene affrontato anche dai loro figli durante la catechesi settimanale.

Don Angelo Ciccarese ha parlato proprio dell’importanza della famiglia come prima fonte di trasmissione della fede. Circa l’Iniziazione Cristiana, l’ha definita «come un tiroci-nio che ciascun credente deve compiere nella propria vita a partire dal segno della croce, segno distintivo di noi cristiani, quindi un processo di crescita continua che ci deve portare a conoscere sempre di più Gesù Cristo e la sua Parola; un pro-cesso in divenire che non ci deve far sentire arrivati una volta

ricevuti i sacramenti». «Non basta più iniziare ai sacramenti – ha concluso con Ciccarese - ma attraverso i sacramenti».

L’Iniziazione Cristiana vede impegnati non solo i ragazzi e i loro genitori ma l’intera comunità in un rapporto di col-laborazione e fraternità che dovrà rafforzarsi sempre di più mediante la continuità del cammino intrapreso, attraverso la cosiddetta Mistagogia, che rappresenta la vera scommessa del dopo-Iniziazione.

Proprio per questo nella comunità di Mater Domini, al ter-mine dei tre “turni” di celebrazione dei Sacramenti, è stata fatta un’altra consegna, “la consegna della Domenica”, è sta-to sottolineato, cioè, ed è stato fatto prendere l’impegno ai ragazzi, di partecipare alla celebrazione dell’Eucarestia fonte e culmine della vita cristiana, e ad essere testimoni credibili dell’amore di Dio.

La giornata di festa si è conclusa con la visita alla città di Matera. In un primo momento siamo andati a vedere i Sassi dalle colline che si trovano di fronte alla città, in seguito ci siamo spostati nel centro cittadino Verso sera abbiamo ripre-so i pullman e siamo ritornati a casa felici di aver trascorso un giornata serena e anche ricca di esperienze e confronto.

Angelo e Maria De Benedittis

Si è svolto lo scorso 5 giugno, presso il Pontificio Seminario Regionale di Mol-fetta, l’incontro regionale della Pastora-

le delle Famiglie. Relatore d’eccellenza mons. Renzo Bonetti, attualmente parroco di Bovo-lone nel veronese, ma con un’esperienza ul-tra ventennale nella Pastorale familiare.

Mons. Bonetti, che ha relazionato su La grazia del sacra-mento: stupirsi del dono grande, ha esordito affermando che per capire a fondo il Sacramento del matrimonio oc-corre stupirsi del dono grande, ma soprattutto è indispen-sabile la fede.

Senza la fede il matrimonio è vissuto solo come un ac-cordo, un contratto tra un uomo e una donna. La fede ci inserisce nel mistero grande del sacramento del matrimo-nio dove si esige grande umiltà per continuare ad imparare sempre e non definirsi mai degli arrivati. Senza Gesù non c’è piena comprensione del mistero delle nozze. Solo Lui svela all’uomo-donna il mistero nascosto dell’immagine della somiglianza di Dio. Nella luce della croce si scopro-no in pienezza le nozze; la croce altro non è che lo svela-mento dell’amore totale, di un Cristo che ha tanto amato gli uomini fino a dare la sua vita. Solo in Gesù vivo e risorto, con la forza che viene da Lui, si può realizzare tutta la pie-nezza possibile delle nozze; pienezza intesa come amore esclusivo, definitivo e gratuito (ci si dovrebbe sposarsi non per sistemarsi ma perché si ama). È in questo orizzonte che si scopre il significato vero dell’Eucarestia, Gesù che si fa pane diviene forza e fonte stessa del matrimonio cristia-no. Nell’Eucarestia è resa possibile una unità alta con Dio; un’unità che non esiste nel mondo e che consente le noz-ze di Dio con la sua Chiesa. È nell’Eucarestia che si realizza la pienezza delle nozze, solo guardando ad essa si produce ricchezza nelle coppie. Allora ci si chiede: stiamo amando totalmente? Abbiamo seppellito qualcosa di noi per rende-re felice l’altro? Abbiamo cominciato a tirar fuori la capacità di amare o ci siamo rassegnati a seppellire il vero amore?

Lo scopo della vita non è quello di “farsi una famiglia”,

bensì quello di “fare famiglia qui” come germoglio di fa-miglia dell’aldilà. È nell’Eucarestia domenicale che inizia a trovare scopo la mia vita. Con l’Eucarestia gli sposi costrui-scono questa unità ora, per una unità più piena dopo.

Gli sposi sono segno-sacramento, hanno il potere–possi-bilità di amarsi come Dio vuole. Nel sacramento del matri-monio viene consacrata la relazione. Gli sposi hanno rice-vuto la grazia di amare tutto della propria moglie-marito, così come Cristo ha amato tutto dell’umanità, compresi i suoi limiti. Nel sacramento del matrimonio si riceve questa forza che porta a vivere straordinariamente l’ordinario. C’è bisogno di valorizzare i gesti semplici e quotidiani, prestare più attenzione all’altro.

Solo con la fede si può avere una vera e propria carta d’identità di sposi. Se come coppia ci si mette in ascolto di Dio, si scoprono le meraviglie operate da Gesù.

Finchè non avremo coppie che parlano con competenza ed entusiasmo della grazia del sacramento del matrimonio, non avremo più matrimoni cristiani.

Al termine del primo intervento di mons. Renzo Bonetti,

i responsabili regionali della Pastorale Fa-miliare, hanno comunicato i prossimi ap-puntamenti per le Famiglie.

Subito dopo la celebrazione eucaristica e un frugale pranzo condiviso con i se-minaristi, mons. Bonetti ci ha illuminato

riguardo Il Rinnovamento della Pastorale a partire dal Sacramento, mettendo anzitutto in evidenza la soggettivi-tà della famiglia protagonista dell’azione pastorale perché lo sposo-sposa, col sacramento nuziale, svelano il com-pimento della creazione. L’uomo-donna vengono posti al centro della creazione, per questo gli sposi sono portati a contemplare il creato ed essi insieme diventano via per scoprire il Creatore.

Il secondo aspetto dell’identità degli sposi è dato dalla Grazia che gli sposi ricevono con il Sacramento. Essi sono coinvolti nell’alleanza d’amore con Cristo e con la Chiesa per costruire la relazione. Il Sacramento del Matrimonio

come Alleanza dà concretezza a Cristo che vuole abbrac-ciare ogni pecorella smarrita.

Il terzo aspetto riguarda la forza del sacramento del ma-trimonio perché in virtù di esso viene costruita l’unità e la bellezza della distinzione. Unità e distinzione è il segreto della nostra famiglia. Uomo e donna uniti nel vincolo del matrimonio fino a formare un solo corpo, una sola carne ma distinti perché maschio e femmina.

Il quarto aspetto è che il Sacramento conduce alla pater-nità e maternità grande: gli sposi sono chiamati a condurre a Colui che è Padre.

Il sacramento del Matrimonio fa vivere alla famiglia la dimensione della Chiesa; si è Chiesa quando si è uniti nel nome del Signore. La famiglia è chiamata a riscoprire il suo mandato di evangelizzazione, avendo come sua vocazione la capacità di relazionarsi con tutti coloro che gli stanno in-torno. Essa può realizzare una rete relazionale per formare un corpo di persone e far passare il calore divino.

Claudio e Maria Carmela Martellotto

matrimonio A Molfetta incontro con don Bonetti

Riscoprire la grazia del sacramento

Nella foto il Santuario della Madonna di Picciano © F.Destino Famiglie al loro arrivo al Santuario di Picciano © F.Destino

10 15 giugno 2011Attualità & Territorio

In Puglia gli anziani sono più di 756 mila e rappresentano il 18,5%

della popolazione. La spe-ranza di vita dei pugliesi è di 79,6 anni per gli uomini (più del dato italiano pari a 79,1 anni) e di 84,3 anni per le donne. Sono alcu-ni dei dati Istat diffusi il 16 maggio in occasione della presentazione del Forum Aal, la piattaforma europea sulle tecnologie a disposi-zione degli anziani, in pro-gramma per la prima volta in Italia a Lecce, dal 26 al 28 settembre prossimi.

La crescita rispetto al

2009 è di tre decimi di anno per gli uomini e di due per le donne. Nel 2010, infatti, all’età di 65 anni la speran-za di vita residua è di altri 18,3 anni per gli uomini e di 21,9 anni per le donne. In tutto il territorio naziona-le negli ultimi dieci anni la percentuale di individui di 65 anni e oltre è aumentata dal 18,4% del 2001 al 20,3% del 2011, con un incremen-to di 1,8milioni di individui per questa classe di età. I ragazzi fino ai 14 anni sono invece il 14% del totale.

Sempre in Italia partico-larmente veloce è stata la

crescita della popolazione di 85 anni e oltre. Nel 2001 i cosiddetti “grandi vecchi” erano un milione e 234mi-la, pari al 2,2% del totale. Oggi sono un milione e 675mila, pari al 2,8% del to-tale. La stima delle persone ultracentenarie si è addirit-tura triplicata, dal 2001 al 2011, da circa cinquemila e 400 individui a oltre 16mila. In Puglia, al primo gennaio 2011, le persone di 65 anni e oltre risultano 756.650 e rappresentano il 18,5% del-la popolazione totale (nel Mezzogiorno sono il 18,3% e in Italia il 20,3%).

La Corte di giustizia dell’Unione europea ha bocciato la norma

italiana, contenuta nell’am-bito del cosiddetto “pacchet-to sicurezza” del 2009, che prevede il reato di clandesti-nità, punendo con la reclu-sione gli immigrati irregolari. La norma - secondo i giudici europei - è in contrasto con la direttiva europea sui rim-patri dei clandestini. Ecco alcune reazioni.Migrantes, “un passo in avanti”. La sentenza della Corte europea di giustizia che boccia il reato di clan-destinità introdotto in Italia è «un passo avanti verso un diritto delle migrazioni che aiuti a rendere efficaci le azioni e le politiche migrato-rie dei singoli Stati europei, comprese anche quelle di allontanamento e di rimpa-trio, senza però mai ledere i diritti della persona, e senza esasperare situazioni di trat-tenimento». È quanto affer-ma mons. Giancarlo Pere-go, direttore generale della Fondazione Migrantes.«La sentenza motivata da un’in-terrogazione della Corte d’Appello di Trento - aggiun-ge mons. Perego - conferma quanto già aveva affermato la Corte Costituzionale ita-

liana, cioè la non legittimità di procedere all’arresto e alla reclusione di un cittadino di un Paese terzo in soggiorno irregolare». Inoltre la sen-tenza «conferma le tre azioni possibili verso un cittadino irregolare fermato sul terri-torio nazionale: il rimpatrio volontario entro 30 giorni; il rimpatrio coatto; per gra-vi ragioni il trattenimento in un centro che non sia di detenzione, a tutela della dignità della persona, per il più breve tempo possibile».

“Attenzione alla persona umana”. La sentenza «di-mostra attenzione alla per-sona umana anche quando si trova in una situazione irregolare». Lo ha dichiarato il presidente del Pontificio Consiglio per i migranti e gli itineranti, mons. Antonio Maria Vegliò. «La sentenza dimostra attenzione e sen-sibilità verso la dignità della persona umana - ha preci-sato mons. Vegliò - anche se essa, cioè la persona umana, si trova in situazione irrego-lare. Questa attenzione alla persona è alla base della sollecitudine pastorale della Chiesa e della sua dottrina sociale». «Ovviamente - ha detto - i governi si trovano a

dover individuare il giusto equilibrio che rispetti sia le esigenze di sicurezza inter-na e internazionale, sia le forme di legalità previste dai singoli sistemi normativi».

“Il governo italiano ci ri-pensi”. «Ora il governo ita-liano ci ripensi». È l’appello lanciato da mons. Agostino Marchetto, segretario eme-rito del Pontificio Consiglio per i migranti. A suo avvi-so, la sentenza è «l’ulteriore conferma di quanto abbia-mo sempre detto, ossia che è indegno prevedere misure come i respingimenti e il re-ato di clandestinità, che non

rispettano i diritti delle per-sone. Mi auguro che questa condanna in sede europea possa portare il nostro gover-no a rivedere misure che non rispettano i diritti e la dignità della persona e induca l’Ita-lia ad annullare il reato di clandestinità, misura senza senso e sproporzionata, che colpisce anche i rifugiati».

Caritas, “recepire direttiva europea”. «Le nostre forti perplessità e le nostre criti-che sul reato di clandestinità espresse già nel momento in cui venne introdotto il pacchetto sicurezza, trova-no conferma nella senten-

za della Corte di Giustizia europea». Lo dice Oliviero Forti, responsabile nazio-nale dell’ufficio immigra-zione di Caritas italiana. «Ora ci attendiamo risposte adeguate da parte del go-verno italiano - precisa -, e cioè che venga recepita la direttiva dell’Unione eu-ropea sui rimpatri e quin-di che venga rispettata la sentenza europea. Si tratta di dare seguito al princi-pio del rimpatrio volonta-rio assistito, che oltretutto avrebbe costi assai inferiori rispetto ai rimpatri forzati».

Patrizia Caiffa

corte europea� Bocciata la norma italiana che punisce la clandestinità

L’immigrazione clandestina non è un reato

È questa l’impressione che si trae dalla lettura del rapporto Inps 2010. Sembra davvero che l’Italia promuova chi non avrebbe bisogno di esserlo e an-

nichilisca chi si trova, invece, nei momenti più importanti e “difficili” del proprio percorso professionale e di vita. Le disparità spaventano. Il rapporto, infatti, tra quanto per-cepisce oggi un dirigente e l’entità della pensione di un “atipico” (co.co.co /co.co.pro) è di 40 a 1. Preoccupa, direi, anche perché questa fetta di lavoratori è destinata ad au-mentare sensibilmente, coinvolgendo figure professiona-li eterogenee. Una categoria sociale di “svantaggiati” per i quali non sembra, a differenza di quanto sta avvenendo nel resto d’Europa, le cose potranno migliorare a breve.

La classifica delle pensioni è dunque così articolata: i di-rigenti 3.788 euro (al mese), 2.000 euro i telefonici, 1.500 euro l’area dei trasporti. Gli altri tutti sotto gli 800 euro. I

preti s’accontentano di 574 euro e i co. co. co. finiscono a 121 euro al mese. Permangono all’interno di questo quadro le diseguaglianze a cui, ormai, siamo abituati. In particola-re quelle riguardanti le diverse aree del Paese e sopratutto le differenze di trattamento che riguardano le donne. L’In-ps, per il ruolo e la tipologia di servizi che eroga permette

una fotografia precisa di quanto sta avvenendo e, sopra-tutto, del risultato delle politiche sin ora adottate. In tutti i sensi, possiamo dire, abbiamo accantonato il futuro del Paese, promuovendo, oltre ogni logica, il passato. È proprio quell’idea di futuro a cui le precedenti generazioni erano abituate, che sembra, inesorabilmente, venire meno. Come non collegare questa impietosa fotografia con le mobilita-zioni dei giovani di questi giorni in Spagna e ancora prima, in Francia, quando i giovani immigrati delle periferie fran-cesi avevano coniato lo slogan di queste generazioni:“il fu-turo è questa notte!”.

C’è da chiedersi, quindi, se chi osserva tali fenomeni, co-struendo politiche, sia pienamente consapevole del fatto che se è sempre più difficile avere chiaro quando finirà “la notte” che sembra abbracciare le risorse migliori del Pae-se. Per questo, oggi più che mai, non possiamo eludere la

domanda circa la sostenibilità sociale del sistema che è sta-to costruito. I fenomeni sociali non seguono le leggi della statistica. I tempi sono maturi, sopratutto moralmente, per imprimere una svolta. Redistribuendo quei diritti che fan-no oggi dell’Italia un Paese al contrario!

Cristiano Nervegna

ra�pporto Inps 2010 Disparità crescenti tra generazioni e lavoratori

L’Italia è un Paese al contrario

l’Inda�gIne Analizzando i dati Istat 2010

Uomini pugliesi più longevi d’Italia

A Brindisi una Consulta dei migranti

È stata presentata il 28 maggio a Brindisi,

una iniziativa promossa dall’Amministrazione Co-munale brindisima fina-lizzata alla costituzione di una “Consulta dei Migran-ti”.

Si tratta di uno stru-mento che si propone come luogo di scambio e di approfondimento di questioni di ambito in-terculturale. La Consulta nasce all’interno della Commissione per le Pari Opportunità ed è aperta alla partecipazione dei rappresentanti delle co-munità di migranti, così come di associazioni che siano espressione di tali realtà e di associazioni di volontariato che operano nell’ambito della promo-zione e della tutela della multiculturalità.

Le funzioni di questo or-ganismo sono consultive, di informazione, di con-fronto e di approfondi-mento, di ricognizione, di sussidio alle attività della Commissione Pari Oppor-tunità che hanno come oggetto tematiche ineren-ti l’integrazione, l’acco-glienza e l’interculturalità.

Il Comune di Veglie con Deliberazione della Giunta Comunale n. 70

dell’11 Aprile 2011, ha ap-provato il protocollo d’inte-sa riguardante il “Progetto integrativo con l' Azienda Sanitaria Locale Lecce per la raccolta delle dichiarazioni di volontà alla donazione di organi e tessuti”.Tale importante progetto ha la finalità di:- aumentare la diffusione della cultura della donazio-ne di organi e tessuti- promuovere attraverso una corretta informazione il su-peramento delle diffidenze che condizionano la dona-zione di organi per consen-

tire ad ogni persona di effet-tuare una scelta consapevole- agevolare i percorsi presso gli uffici preposti alla raccol-ta delle dichiarazioni utiliz-zando dei momenti durante i quali gli utenti sono già a contatto con altre formalità burocratiche presso gli uffici comunali.

Con tale intesa quindi la di-chiarazione di volontà alla donazione di organi e tessu-ti, da parte dei cittadini inte-ressati, potrà essere raccolta presso le sedi degli Uffici dell’Anagrafe del Comune di Veglie, dal personale prepo-sto addetto alla raccolta del-le suddette dichiarazioni.

veglIe Un progetto integrativo teso a educare

Accordo tra il Comune e la Asl

Dossier

Nell’«approfondire i diversi aspetti critici che accompagnano la diffusione della nuova cultura digitale» la Chiesa «sta

solo facendo quanto il Signore le ha chiesto: por-tare l’annuncio del Vangelo agli uomini del no-stro tempo». È quanto ha affermato mons. Clau-dio Giuliodori, vescovo di Macerata e presidente della Commissione episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali, aprendo il convegno na-zionale “Abitanti digitali”.“Abitare” i cambiamenti. Mons. Giuliodori ha sottolineato che il convegno «fa parte del cam-mino della Chiesa italiana per rilanciare e svi-luppare, nel decennio dedicato all’educazione, ‘una nuova intelligenza della fede’» «Oggi - ha affermato - ci interroghiamo su come sia possibile da cristiani educare alla piena cittadinanza in questo nuovo mondo digitale, conservando le prerogative della di-gnità umana e sviluppando una più intensa esperienza spirituale». Per mons. Giuliodo-ri «il mondo dei media» non ha cancellato «le domande fondamentali», e per questo «la Chiesa, attenta a ciò che l’uomo vive, cerca di capire i cambiamenti in atto e di ‘abitarli’». Il nuovo “areopago”. Dunque, per i credenti, ci sono due compiti fondamentali: il primo è «l’ap-profondimento di tutti gli aspetti antropologici, sociali e culturali che delineano il volto di questo nuovo ambiente» e il secondo «verificare in che modo la fede si cala in questo ambiente». Infatti non «basta essere nel web o usare i nuovi stru-menti di comunicazione digitali. Per il cristiano è fondamentale, anche in questo nuovo ambien-te, verificare se e come cresce il rapporto con Dio e l’amore tra le persone e nella società». Secondo mons. Giuliodori, «la rete è oggi il nuovo areo-pago dove incontrarsi e confrontarsi» ed è «sulle nuove frontiere digitali che si gioca la capacità della Chiesa di essere un segno di contraddizio-ne e di speranza».La “dimensione umana” del digitale. «Che cosa significa formazione al tempo dei social net-work? Quali proposte? E, anche, che cosa già si sta muovendo in questa direzione, anche nelle nostre realtà per abitare il tempo del digitale?».

Se lo è chiesto don Ivan Maffeis, vicedirettore dell’Ufficio Cei per le comunicazioni sociali, nel suo intervento introduttivo al convegno. «Abita-re - ha risposto don Maffeis - è sinonimo di casa, ambito delle relazioni sociali primarie, condizio-ne di sicurezza e di pace. Assicurare una dimen-sione umana all’abitare significa tenere insieme l’esigenza di strutture, di servizi e di spazi ampi con il bisogno di riservatezza e di intimità. Abi-tare è parola che richiama l’incontro; anche con Colui che ha piantato la sua tenda fra noi, fino ad abitare in noi e con noi».Dal canto suo mons. Domenico Pompili, diret-tore dell’Ufficio per le comunicazioni sociali, ha esordito ribadendo che «la rete non copre tut-ta la realtà anche se ne modifica in profondità l’esperienza umana, al punto che non possiamo non dirci ‘abitanti digitali’». «È dunque neces-sario per la Chiesa mantenere lo sguardo vigile e il cuore aperto rispetto ai mutamenti in corso - ha richiamato mons. Pompili -. Per poter par-lare a questo tempo, infatti, non si può guardare dallo specchietto retrovisore, come ammoniva McLuhan. Occorre con curiosità e lucidità pe-netrarne i linguaggi e le forme, valorizzandone le possibilità e contenendone i rischi. Si tratta di ripensare e reinterpretare il legame, antico e sempre nuovo, tra la tecnica, la verità e la li-bertà». I media digitali, ha sottolineato citando l’enciclica “Caritas in veritate”, non sono «puri ‘strumenti’, ‘devices’, ma possono diventare ‘ope-re che recano impresso lo spirito del dono’, e che consentono d’intraprendere un cammino di ‘re-lazionalità, di comunione e di condivisione’». Il microfono e la campana. Oggi, ha aggiun-to mons. Pompili, «il medium è il messaggio, e i media da strumenti diventano ambiente dove cambiano le condizioni della nostra esperienza». Un esempio di questo cambiamento? «L’impatto dell’introduzione del microfono sulla liturgia», che ha portato alla «riformulazione della litur-gia stessa». La sua introduzione, ha sottolineato mons. Pompili, «da un lato ha coinciso con l’ab-bandono del latino» e «la diffusione del verna-colo»; dall’altro «all’avvento del microfono cor-

risponde anche il rivolgersi dell’officiante verso i fedeli, anziché verso l’altare». In secondo luogo, il rapporto “«tra orizzontalità e verticalità» in un contesto di «ambienti discontinui». Un esempio, qui, è «la campana». «Nei villaggi rurali, ma an-che nelle città, la campana - ha ricordato il sotto-segretario Cei - delimita infatti un territorio i cui confini coincidono con l’udibilità del suono». Ma «se lo spazio del villaggio era audio-visuale (la campana sta sul campanile, il suono ha una posizione riconoscibile e si diffonde da un cen-tro), oggi lo spazio digitale è pienamente audio-tattile»; «la possibilità di essere perennemente connessi, anche nella mobilità, taglia i confini spaziali che demarcano le diverse situazioni e rende i contesti della nostra vita quotidiana sem-pre simultaneamente accessibili, quindi com-presenti».Ma come abitare il web, «spazio senza campa-nili»? «Rispetto agli spazi che storicamente sia-mo usi abitare, quello digitale - ha riconosciuto don Pompili - è uno spazio orizzontale, senza sporgenze, senza gerarchie, fatto di relazioni alla pari; uno spazio totalizzante, senza un fuori e un sopra; uno spazio abilitante, ma anche limitan-te» Tuttavia proprio «la rete, se si va al di là della logica del dispositivo, può essere il luogo in cui tentare la ‘nuova sintesi umanistica’». A partire proprio «dal modo di abitare».«La vera sfida - ha evidenziato - è oggi quella della trascendenza: essere pienamente dentro, ma affacciati su un altrove; essere ‘nel web’, ma non ‘del web’».

voci dal convegno Consapevoli che la “rete” ora coincide con il “mondo”

La sfida: essere “nel web”, ma non “del web”

comunicazioni sociali A Macerata i direttori degli Uffici diocesani

Abitanti digitali, stranieri o cittadini?

I n diversi Paesi dell’Est eu-ropeo si percorrono strade che attraversano moltissi-

mi villaggi senza campanili.Pensando ad altre terre eu-

ropee si avverte subito un’as-senza.

Non è solo una questione estetica.

C’è un rimando al paesaggio dell’anima che appare privato non di un oggetto ma di un re-spiro.

Di questo furto conosciamo gli autori e le conseguenze.

Anche nel paesaggio digitale, è un messaggio che viene dal convegno di Macerata, esiste il rischio della scomparsa dei campanili, delle campane, del loro suono.

L’immagine non è richiama-ta per una nostalgia ma per un pensiero immerso nella re-altà e rivolto al futuro.

C’è il rischio, nel digitale, che il flusso di parole, immagini, voci e suoni impedisca o ren-da più difficile ascoltare un messaggio altro, che viene da un altrove.

Ma potrebbe anche essere che, abitando una casa senza soffitta e senza pareti, l’uomo avverta l’esigenza di infinito e si ponga sui suoi sentieri, anche se in modo confuso e incerto.

Allora la presenza del cam-panile invisibile, cioè della li-nea verticale del pensiero e del dialogo, diventa importante e decisiva.

Ed è proprio in questa picco-la immagine che si riassume il significato dell’abitare da cre-denti il digitale.

Non per alzare bandiere, si è affermato, ma per far nasce-re, anche con i linguaggi delle nuove tecnologie, le domande ultime che ogni uomo e ogni donna si portano nel cuore e nella mente.

Un campanile che si affaccia su un cortile dei gentili, luogo che non ha alcuna recinzione.

L’avventura digitale può partire da qui.

Affrontarla con realismo, serenità e fiducia è oggi irri-nunciabile per una Chiesa che intende stare dentro la nuova storia con amore.

Anche in questo terreno è chiamata a essere “mater et magistra” nell’accompagna-re un cammino dell’uomo di oggi indicando la meta.

Anche in questo mondo in cui i confini tra virtuale e re-ale s’incontrano e a tratti si sovrappongono il compito è di dire con linguaggi nuovi le ragioni della speranza.

Questo percorso porta all’in-contro con Dio?

Non c’è una risposta prefab-bricata.

Si può, però, richiamare quella che Matteo Ricci, diede ai suoi interlocutori a Roma: “Non so quanti cinesi ho con-vertito, so però che molti oggi si chiedono Chi c’è dietro le stelle”.

Il digitale, come altre espe-rienze umane, può condurre l’uomo del nostro tempo fino alla soglia del Mistero. Non è poco.

Paolo Bustaffa

Dossier15 giugno 201112 Dossier

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In un mondo della comunicazione e dell’inter-connessione dove sembra dominare la «frene-sia» e spesso «non c’è spazio per la riflessione»,

il Vangelo indica due strade da percorrere: «la no-tizia buona» e la «notizia vera». Questo il filo con-duttore dell’omelia di mons. Edoardo Menichelli, arcivescovo di Ancona-Osimo, alla messa celebra-ta al convegno “Abitanti digitali”. L’arcivescovo ha spiegato che i mezzi di comunicazione, di per sé “neutri”, vanno «usati, guidati e governati» sul-la «misura uomo» e devono diventare strumenti della «misura adulta» della persona e non essere causa di «dipendenza», «squilibri», «stanchezza dell’anima» e «assuefazione all’impudicizia». Per il presule è urgente una «comunicazione di fra-ternità» che sia di «nutrimento» per le persone e abbia una «moralità evangelica». Mons. Meni-chelli ha poi evidenziato che la comunità cristia-na ha «il compito educativo» d’«intercettare le cose nuove», ma anche «orientare alla conoscen-za sapiente» e agire nei media in modo da «sco-prire la valenza etica del prodotto che veicolano». Un cambio di paradigma. La formazione, ha sot-tolineato Pier Cesare Rivoltella, docente di di-dattica e tecnologie dell’istruzione all’Università Cattolica di Milano, parlando della «formazione al

tempo dei social network», risente di un «cambio di paradigma» e richiama lo «sviluppo integrale e continuo della persona». «Nel paradigma tradizio-nale - ha premesso Rivoltella - la formazione era qualcosa di diverso da educazione e istruzione» all’interno di una tripartizione dove alla formazio-ne era demandato un «training tecnico volto allo sviluppo di competenze professionali». Ora, inve-ce, la mutazione è dovuta alla «crescita del prota-gonismo di sistemi informali nell’ambiente socia-le», all’interno dei quali «passano comportamenti e valori». Perciò la formazione è divenuta un ele-mento «profondamente antropologico e per nulla confinato alla questione tecnica». Tre gli snodi co-stitutivi delle reti sociali messi in luce dal docente: informalità, interattività, autorialità. «Le logiche dei social network sono informali e ascendenti»; in secondo luogo «sono interattive, partecipative» e fanno leva sulla «condivisione di risorse»; infine «i social network sono creativi, basati sulla creazione e pubblicazione» e «la logica della partecipazione individuale prevale su una di mero ‘download’». Possibilità e rischi. Rispetto alle nuove tecnologie «si può costruire un’agenda formativa da declina-re nei nostri contesti di presenza ecclesiale?», ha chiesto il docente. Quattro sono i possibili livel-

li di quest’«agenda», ha risposto, e coinvolgono «tutti gli operatori, dai presbiteri ai catechisti»: in-formazione («ne ho sentito parlare»), padronanza («so fare»), appropriazione («comprendo, formo»), sviluppo («faccio evolvere»). Il primo è il livello di base che dovrebbe essere fatto proprio da «cia-scun operatore dell’educazione e della pastorale». Al terzo livello si pone invece la «saggezza digita-le», «capacità grazie alle tecnologie di fare scelte critiche e prendere decisioni più pragmatiche». Operai nella vigna digitale. Da ultimo, tre indica-zioni per rendere possibile ed efficace la formazio-ne al tempo delle reti digitali. «Non cediamo alla semplificazione - è il primo suggerimento di Ri-voltella - e non crediamo a quelle retoriche mito-logiche che attorno a questi temi le nostre società producono di continuo». In secondo luogo «non abbiamo paura del cambiamento» e ricordiamo che cambiare non significa adottare acriticamente “il nuovo”, né «tendere all’entropia, precondizione per tornare al vecchio». Infine, «tornare dalle paro-le ai fatti». «Abbiamo bisogno - ha ammonito - che la parola si evolva nell’azione, e non viceversa. È necessario che gli abitanti digitali diventino opera-tori digitali, e anzi - ha concluso - lavoratori nella vigna digitale».

Una ricerca che «s’inserisce in un nuovo filo-ne di analisi, ancora in fase sperimentale, che utilizza il web non solo come oggetto di

analisi, ma anche come canale di accesso e come strumento di rilevazione». Chiara Giaccardi, do-cente di sociologia e antropologia dei media all’Uni-versità Cattolica di Milano, ha presentato i risultati di uno studio condotto sulle «identità digitali». Tra i risultati si è rilevato «che la maggior parte dei gio-vani si dichiara credente, circa il 53%» e «anche in coloro che si dichiarano atei o agnostici, emerge co-munque la convinzione di una vita dopo la morte». È un «campione probabilistico» quello che sta alla base della ricerca, ha ricordato la sociologa. Il “tar-get” di riferimento sono i giovani tra i 18 e i 24 anni, raggiunti on line e ai quali sono state proposte 77 domande, dai «dati socio grafici» alla «famiglia», dalla «rete di relazioni» alle «pratiche di comunica-zione mediata», dai «media e reti sociali» frequentati al «rapporto tra relazioni online e offline», fino alle «credenze e pratiche religiose».

Andando ad analizzare i risultati, relativamen-te all’off line «emerge la predilezione per spazi di tipo relazionale: non solo il pub o la birreria, ma lo sport, che risulta l’ambito privilegiato, dove si uni-sce la cura - a volte ossessiva - per il corpo con il bisogno di trovare relazioni, stare insieme ad altri». E «anche al centro commerciale ci si va con altri», mentre, al contrario, «sono in ribasso quei luoghi che si frequentano da soli: cinema, sale giochi, ma anche discoteche, dove comunicare è difficile». Secondo la ricerca, poi, vi è una correlazione diret-ta tra la pratica religiosa e il volontariato, che im-plica «alterità e gratuità». A tal riguardo poche, ha osservato Giaccardi, sono le «persone che fanno volontariato» e queste si collocano, come prati-ca religiosa, tra i «credenti convinti». Si conferma invece sempre più l’importanza del cellulare tra i giovani, che di fatto è una «protesi del sé, appendi-ce che non viene mai spenta e si usa per restare in contatto con gli amici». Riguardo all’appartenenza religiosa degli intervistati, vi è un 10,4% di atei, 12,3%

di agnostici («non so se Dio esiste»), 13,9% alterna-tivi («non credo in un Dio personale, ma credo in un’entità superiore di qualche tipo») e 63,4% cre-denti («tiepidi» nel 38.5% dei casi, «convinti» 24,9%). La sociologa ha ricavato dalla ricerca anche alcune indicazioni pastorali. «La partecipazione a spazi reli-giosi - ha rilevato tra l’altro - non corrisponde neces-sariamente a una percezione di particolare vicinanza con le relazioni che s’intrecciano in tali mondi. Per il credente convinto tali relazioni sono significative quanto quelle con i colleghi di lavoro, e meno rispet-to a quelle con i compagni di scuola o di università». Emerge pure l’importanza del «silenzio digitale» e della pausa come elemento da valorizzare, contro una saturazione che lascia spazio solo a immedia-tezza e contingenza. Percepita con maggiore forza dai credenti è la «consapevolezza della pausa da in-ternet». Ultima indicazione, l’«atteggiamento con cui porsi dentro al web». Serve competenza, da parte degli educatori e del mondo adulto, poiché «se non si capiscono le logiche, è difficile entrare in relazione con chi queste logiche le ha per natura».

Nel corso del dibattito che ha fatto seguito alla relazione della

sociologa Chiara Giaccar-di è stato evidenziato come «bisogna smontare il mec-canismo dell’anonimato, trasmettere idee e parole fa-cendosi riconoscere, senza dimenticare la propria storia e le proprie convinzioni». Il confronto si è sviluppato con gli interventi di genitori, in-segnanti, utilizzatori del web, comunicatori. Diverse le sot-tolineature: alcuni si sono soffermati sui rischi rappre-sentati dal web, specialmente per i minori; altri ne hanno indicato il potenziale comunicativo. «È ne-cessario essere presenti in rete - ha affermato uno dei partecipanti -, soprattutto per cominciare a seminare domande. Infatti sono troppe le affermazioni», i «punti esclamativi», «ognuno immette la

sua verità», invece «occorre aiu-tare a ragionare e favorire il con-fronto». I “sagrati virtuali”. Nella rete si trovano oggi dei “sagrati vir-tuali” e gli incontri che si fanno “on line” spesso sono seguiti da incontri di persone. È il bilancio di un monitoraggio del rapporto

tra parrocchie e rete che ha presentato Rita Marchetti, dell’Università di Perugia. Nel corso della sua indagi-ne la studiosa ha rilevato che le parrocchie sono pre-senti in internet con i loro siti per “informare” (orari delle messe, date degli in-contri, informazioni stori-co-artistiche) e “mobilitare i fedeli che già frequentano la parrocchia”, ma sicura-mente la frontiera è la pre-senza sui social network. «A volte si creano pagine Facebook per singoli even-

ti - ha raccontato Marchetti - ma la presenza più interessante è quella dei profili dei sacerdoti. La rete può infatti aiutare a re-cuperare relazioni e opportu-nità, favorire gli incontri anche con i ‘lontani’, sia geografica-mente che culturalmente».

DIBATTITI Dopo la relazione di Giaccardi

Oltre i sagrati virtuali

RIFLESSIONI Guardando alla «notizia buona» e alla «notizia vera»

La formazione al tempo dei social network Il primato della relazione. «Il web si sta orientando verso un primato della relazione. Da questo punto di vista la contrapposizione tra virtuale e reale, tra ana-logico e digitale o anche tra locale e globale tendono a eclissarsi». È quanto affermato da Ruggero Eugeni, docente di Semiotica dei media all’Università Catto-lica di Milano, il quale ha osservato come si registra, soprattutto mediante i social network, i blog, le chat, «una costante messa in scena di sé», «un’intimità esposta, resa pubblica», accanto a «forme narrative deboli, segnate da situazioni puntiformi e segmenti di racconto». Ma tale relazione - si è chiesto il rela-tore - si può definire «autenticamente umana», dato che richiede tempo, «mettersi nei panni dell’altro», ascolto e dialogo.

Secondo Eugeni, per «mettersi in relazione», sul web come nella quotidianità, è essenziale «riscoprire la ruminatio», ripensare gli eventi, «interiorizzando la realtà e le relazioni». Si deve «andare oltre il qui e ora, per creare una memoria autobiografica», la qua-le «richiede la volontà e capacità di coltivare l’intimi-tà, il sé».

Opportunità e rischi. Massimo Scaglioni, docente di Storia dei media all’Università Cattolica di Milano, ha spiegato che nel web «i rischi più grossi sono due: lasciarci soggiogare da ingenui entusiasmi, da un lato, oppure da ingiustificati allarmismi, all’estremo opposto».

«Media tradizionali (come giornali, tv e radio) e media nuovi (come la rete e i social network) pos-

sono agire sinergicamente per generare un senso di appartenenza». In questa logica, ha concluso, non ci si deve negare «l’opportunità di accettare la sfida del dialogo. È vero che il sistema mediale contempo-raneo consente opportunità inedite per comunica-re un messaggio, ma richiede anche di accettare un confronto necessario con quella cultura discorsiva-mente densa e diffusa che, non sempre, è ‘amichevo-le’ e ‘ben disposta’».

EDucATORI Dopo l’intervento di Eugeni

Le relazioni siano umane

cOmuNIcAzIONI SOcIALI A Macerata, dal 19 al 21 maggio, i direttori degli Uffici diocesani si interrogano sulle opportunità e i rischi del web

Abitanti digitali, cittadini o stranieri?ESPERIENzE Confrontarsi con le identità digitali

Educati a relazionarsi

Microsoft acquista Skype

Doveva essere una volata a due, con Facebook in testa rispetto al rivale (Google), in ragione

di maggiori sinergie industriali, e invece quando tutti gli osservatori sono distratti da questo testa a testa ecco spun-tare il terzo incomodo (Microsoft) che, in barba agli altri due, ha chiuso l’accordo: il “vecchio” (56 anni all’anagrafe, ma ben 36 alla guida del colosso di Redmond) Bill si è comprato Skype.La notizia ha lasciato tutti di stuc-co, sia perché Gates è rimasto sot-tocoperta fino all’ultimo sia per il valore finale di acquisto.Microsoft ha sbaragliato tutte le carte, puntando diritta al mercato delle telecomunicazioni (pro-babilmente per cercare di contrastare l’avanzata di Apple e Google) ed ha acquistato il campione del VoIP per 8,5 miliardi di dollari. Una cifra re-

cord per Microsoft, l’acquisizione più cara della sua lunga storia, e più del triplo di quanto eBay pagò per Skype nel 2005 (2,6 miliardi di dollari). L’annuncio è stato dato lo scorso 11 maggio, da-gli amministratori delegati delle due società, Ste-

ve Ballmer (Microsoft) e Tony Bates (Skype), nel corso di una conferen-za stampa nella quale Ballmer ha anche spiegato il ruolo strategico dell’operazione: “Skype è un servi-zio fenomenale amato da milioni di persone in tutto il mondo e insieme creeremo il futuro della comunica-zione in tempo reale”.Ma gli analisti sono più prudenti,

Skype ha da sempre il problema di non riuscire a “monetizzare” a sufficienza la sua base di utenti e il prezzo pagato da Gates sembra sovrastimare le previsioni di successo. La borsa, il giorno dopo, non ha reagito con entusiasmo alla notizia dell’ac-quisizione e molti vedono avvicinarsi sempre di più lo spettro di una seconda bolla internet.

Dossier15 giugno 201114

Compie 40 anni l’istruzione pastorale “Communio et progressio” sugli strumen-

ti della comunicazione sociale, approvata da Paolo VI in data 23 maggio 1971. Formulata dopo sei anni di lavoro dall’apposita Com-missione Pontificia, l’Istruzione veniva a completare il decreto conciliare “Inter mirifica” ed essa stessa può essere considerata un documento conciliare trattando dell’atteggiamento dei cattoli-ci nei riguardi degli strumenti di comunicazione so-ciale alla luce delle direttive del Con-cilio Vaticano II. Riprendeva inol-tre, aggiornando-le, le riflessioni già espresse dalle en-cicliche “Vigilanti cura” di Pio XI e “Miranda prorsus” di Pio XII.

“La comunione e il progresso della società umana co-stituiscono lo sco-po primario della comunicazione sociale e dei suoi strumenti, quali la stampa, il cinema, la radio e la televisione. Il loro continuo perfe-zionamento infatti ne estende la diffusione a nuove moltitudini di persone e li rende più accessibili ai singoli, favorendo una sempre maggiore e profonda incidenza di questi strumenti nella mentalità e nel modo di vivere degli uomi-ni. La Chiesa riconosce in questi strumenti dei ‘doni di Dio’”. Così il passo introduttivo della “Commu-nio et progressio”.

Il documento - improntato a ot-timismo e grande apertura, in uno spirito autenticamente ecume-nico - accenna nella prima parte agli sforzi necessari per dare agli strumenti della comunicazione sociale un inserimento dottrinale e pastorale nel contesto della mo-derna catechesi. I giornali, la ra-dio, la televisione, il cinema, non

sono più un qualcosa di aggiunto e di volontaristico per il cristiano che vuole annunciare il Vangelo. Entrano nel tessuto teologico e spirituale della Chiesa e diventano problema per le coscienze di uo-mini e donne. L’Istruzione richia-ma alla maturità personale con il rispetto della libertà di opinione di tutti, ricordando che “l’uomo del nostro tempo non può fare a meno dell’informazione, che deve rispondere a criteri di rettitudine, di accuratezza, di esattezza e di

fedeltà”. Il diritto all’informazione è “essenziale per il bene comune”, però non deve ledere al-tri diritti essenziali, quindi si richiede senso di responsa-bilità sia da parte di coloro che sono coinvolti nel pro-cesso di comunica-zione, sia da parte dei destinatari, nel-la considerazione che i media posso-

no “arricchire ma anche degrada-re” la natura umana.

Inevitabilmente l’Istruzione re-datta 40 anni fa dalla Pontificia Commissione per le comunica-zioni sociali, ora Pontificio Con-siglio, risulta “datata” rispetto all’evoluzione tecnologica e ai cambiamenti nella stessa società intervenuti nel frattempo, però i princìpi fondamentali rimango-no validi e vitali ancora oggi. La “Communio et progressio”, come profeticamente ebbe allora a di-chiarare l’arcivescovo John Mar-tin O’Connor, presidente della Commissione, “è l’esposizione più completa finora apparsa sulla posizione cattolica nel campo de-gli strumenti delle comunicazioni sociale. Il documento è testimo-nianza di uno sviluppo dottrinale di cui i cattolici dovranno ormai tener conto”.

P.I.

Giovedì 2 giugno S. E. l’Arcivescovo è stato ospite, in diretta, degli studi ra-diofonici dell’emittente “Ciccio Ric-

cio” presso il laboratorio urbano “Lab Cre-ation” di Mesagne. Durante il programma, condotto da Ilia D’Arpa, Mons. Talucci ha ri-sposto ad alcune domande poste dagli ascol-tatori e dal pubblico presente negli studi.

Al primo quesito sul perché la Chiesa non si apra alla sessualità umana, intesa come profonda manifestazione dell’ Amore, uma-no e spirituale, Mons. Talucci ha risposto che «occorre sapersi educare alla sessualità come all’uso del corpo. Basti pensare che ol-tre all’uso c’è anche un abuso e di questo la Chiesa se ne preoccupa. Non si tratta tanto di aperture, quanto piuttosto di un discorso educativo per il buon uso della sessualità, perché faccia par-tire un amore che è destinato al bene dell’altro e non vice-versa». E sulla questione del celibato dei preti ha aggiunto: «c’è un uso bello e libero della sessualità aperto all’amore coniugale, alla famiglia, alla vita, ma al sacerdote è chiesto di scegliere Dio nella sua totalità per amare tutti, a lui viene chiesta la migliore somiglianza al Signore Gesù che, nella sua esperienza, ha parlato e ha sostenuto la famiglia mostrando-si come uomo casto, povero ed obbediente».

Ad un’altra domanda su cosa si dovrebbe cambiare nel-la Chiesa, Mons. Talucci ha risposto che «se Gesù Maestro

ha voluto la Chiesa è perché fosse storicamente la Maestra dell’educazione, dell’evangelizzazione, della vita. Il pro-gramma della Chiesa è il programma del Signore e questi contenuti non sono soggetti a cambiamenti», sottolineando inoltre come non bisogna «adeguarsi alla mentalità del tem-po, quanto piuttosto cercare ed usare un linguaggio nuo-vo, un altro tipo di vicinanza per far comprendere meglio il messaggio del Vangelo». E in riferimento al mondo giovanile e al rapporto con la Chiesa, l’Arcivescovo ha ribadito la sua passione pastorale per i giovani, invitando i genitori ad es-sere i primi educatori «perché con la loro esperienza e testi-

monianza possono saper giudicare il bene e il male».

L’ultimo quesito posto a mons. Talucci ha riguardato la questione della pedofilia. L’Ar-civescovo ha ribadito che «i fatti di abuso sui bambini, pur gravi, non tolgono nulla all’opera meritoria di tanti sacerdoti che nel corso dei secoli hanno dato la vita, educan-do, amando e rinunciando a tante espres-sioni della “vita normale”». «La nostra at-tenzione educativa – ha sottolineato Mons. Talucci - deve portarci a coltivare sempre di più queste forme di amore oblativo che evi-tino ripiegamenti su se stessi e sugli altri». Ed ha concluso: «dovremmo saper riconoscere la grande testimonianza cristiana di sacer-doti che come Gesù sanno dire “lasciate che

i bambini vengano a me».Al termine del programma Padre Arcivescovo ha rivolto un

messaggio ai giovani in ascolto: «ritengo che, al di là delle apparenze, i giovani siano meravigliosi perché proiettati ad orizzonti grandi. La mia presenza in radio rappresenti un ponte di dialogo che esprime la maternità e la logica della Chiesa a cui è bene rispondere, perché incontrandoci pos-siamo fare cose belle».

Daniela Negro

esperienze Il 2 giugno scorso Mons. Talucci ospite dell’emittente radio “Ciccio Riccio”

«Incontrandoci possiamo realizzare cose belle»

magistero I 40 anni di Communio et progressio

Un dono e un compitoSempre più immersi nella metropoli di-

gitale delle nuove tecnologie, rischia-mo di perderci nelle immagini, nelle

parole, nei contatti e nel flusso inarrestabile di contenuti e forme, spesso in disordine, di cui quotidianamente internet e i media in genere ci inondano. Ma la sete di infinito non si spegne e, anzi, si rafforza proprio di fronte al possibile smarrimento di senso e di valori che il villaggio globale può generare. Lo ha ricordato Benedetto XVI nell’udienza generale dell’11 maggio, con parole semplici e dense: «L’uomo ‘digitale’, come quello delle caverne, cerca nell’esperienza religiosa le vie per superare la sua finitezza e per assicurare la sua precaria avventura terrena».

A fronte di un clima sociale in cui «Dio sem-bra sparito dall’orizzonte di varie persone o diventato una realtà verso la quale si rimane indifferenti», si raccolgono al contempo mol-ti segni che indicano «un risveglio del senso religioso, una riscoperta dell’importanza di Dio per la vita dell’uomo, un’esigenza di spi-ritualità, di superare una visione puramente orizzontale, materiale della vita umana». Bi-sogna saper cogliere questi segnali per inter-pretarli e rispondere in modo adeguato alla nuova sete spirituale delle persone, volgendo in risorse i potenziali rischi del mondo web.

Le nuove tecnologie, parte integrante del no-stro ambiente esistenziale, permettono possibili-tà inedite e sempre nuove per gestire i legami e le relazioni con gli altri, con il mondo e con la stes-sa trascendenza. Il nodo da sciogliere riguarda il rapporto fra la tecnica e la verità dell’esperienza in rete. L’interconnessione resa possibile dall’am-biente digitale può rappresentare l’occasione per un approfondimento delle relazioni con gli altri, aprendo la porta a percorsi di comunione. E può anche costituire un’apertura ulteriore a quel “Tu” che fonda la nostra umanità e la nostra libertà. Restare indifferenti a questa possibilità, usando i nuovi media soltanto per le loro potenzialità tecni-che, significa cadere nell’indifferenza e nella tenta-zione della rinuncia.

Un altro rischio connesso all’uso scorretto de-gli strumenti digitali è l’idolatria della tecnica, cui può essere subordinata non soltanto una maggiore efficienza professionale e sociale, ma anche la ten-sione alla trascendenza e, quindi, il rifiuto della re-ligione. Dio non può restare escluso da questo ul-teriore ambito di espressione dell’ingegno umano: i media digitali non sono soltanto dispositivi utili, ma opere che devono mantenere saldo lo spirito del dono e favorire la comunicazione a tutti i livelli. La sorgente del senso non è la tecnica, ma l’essere

umano. Le potenzialità della rete, quindi, devono essere esplorate e usate alla luce dell’esperienza di fede, per cogliere appieno tutte le potenzialità di “umanizzazione” che esse offrono e sviluppare ulteriormente la capacità delle persone di vivere integralmente e consapevolmente questa epoca mediatica.

Benedetto XVI lo ricorda anche nel messag-gio per la Giornata delle comunicazioni sociali di quest’anno, laddove ci richiama a un dato fonda-mentale: “La verità che è Cristo, in ultima anali-si, è la risposta piena e autentica a quel desiderio umano di relazione, di comunione e di senso che emerge anche nella partecipazione massiccia ai vari social network”. Se la crescente frequentazione di questi ultimi è indice del bisogno di incontro e confronto costitutivo di ogni persona, non bisogna lasciare che i contatti online diventino un surroga-to delle relazioni vere, al punto da ridurre le per-sone a categorie, favorendo chi cerca di manipo-larle o permettendo a chi ha più potere mediatico di monopolizzare a proprio vantaggio le opinioni altrui.

Siamo chiamati a comunicare con integrità, one-stà e verità anche attraverso le nuove tecnologie, per farle diventare non uno strumento da cui di-pendere ma una risorsa in più nella nostra tensio-ne verso gli altri e verso l’Altro.

Marco Deriu

“L’uomo ‘digitaLe”neLLe paroLe di Benedetto XVi

16 15 giugno 2011Vita di Chiesa

Dal 13 giugno l’Anagrafe degli istituti culturali ecclesiastici (archivi, musei

e biblioteche) è presente sul web. Il sito www.chiesacattolica.it/anagrafe consen-te l’interoperabilità con l’Anagrafe delle biblioteche italiane del ministero per i Beni e le Attività culturali (MiBac), ge-stita dall’Istituto centrale per il Catalogo unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche (Iccu). Attra-verso questo servizio, informa una nota della Cei, “gli archivi, le biblioteche ed i musei diocesani ed ecclesiastici che vi aderiscono metteranno a disposizione di tutti gli utenti del web le informa-zioni che li riguardano” e “sarà possi-bile conoscere gli orari di apertura, le condizioni di fruibilità, la dotazione dei servizi, la dotazione di documenti, libri, opere d’arte” e altro.

Nell’anagrafe sono censiti in modo completo 1191 istituti, di cui 335 biblio-teche, 640 archivi e 216 musei ecclesia-stici. L’Anagrafe degli Istituti culturali ec-clesiastici, inoltre, andrà ad arricchire di contenuti il servizio realizzato dal MiBac dedicato alle biblioteche e consultabile all’indirizzo: http://anagrafe.iccu.sbn.it.

In base ad un accordo tra Cei e Ministe-ro, ci sarà un riversamento periodico dei dati riguardanti le biblioteche ecclesia-stiche verso l’Anagrafe delle biblioteche italiane del MiBac. L’Anagrafe promossa e coordinata dall’Iccu sin dal 1989 rac-coglie informazioni dettagliate relative ad oltre 16.000 biblioteche delle diverse tipologie: statali, universitarie, comuna-li, scolastiche, di ente ecclesiastico e di numerose accademie e fondazioni.

Anagrafe degli istituti culturali

ecclesiastici

ARCIDIOCESI BRINDISI – OSTUNIErogazione delle somme otto per mille

per l’anno 2010

Per esigenze di Culto e Pastorale

Quadro A - esercizio del culto: Euro 130.000,00Quadro B - esercizio della cura delle anime Euro 347.300,00Quadro C - formazione del clero Euro 187.000,00Quadro D - scopi missionari Euro 10.000,00Quadro E - catechesi ed educazione cristiana Euro 20.000,00Quadro F - contributo Prom. Sost. Econ. Chiesa Euro 3.000,00Totale erogazioni Euro 697.300,00Assegni non riscossi al 31/03/2011 Euro 2.700,00

Quadro H – fondo di garanzia accantonato Euro 78.580,17 Totale 780.580,17

Per Interventi Caritativi

Quadro A - distribuzione a persone bisognose Euro 200.000,00Quadro B - opere caritative diocesane Euro 90.000,00Quadro C - opere caritative parrocchiali Euro 75.000,00Quadro D - opere caritative altri enti ecclesiastici: Caritas Diocesana Euro 83.116,35Totale erogazioni Euro 448.116,54

Brindisi, 25 maggio 2011 L’Economo Diocesano

don Sergio Vergari

Da lunedì 13 giugno la quotidiana ri-flessione sul Vangelo, in onda sulle

radio del circuito InBlu sarà curata dal nostro don Adriano MigliettaDon Adriano riceve il testimone da don Davide Pedrosi, di Rimini. Nato a Brin-disi nel 1958, don Miglietta come sacer-dote si è formato nel Seminario Romano Maggiore. È stato rettore del Seminario diocesano di Ostuni dal 1984 al 1989; docente di Teologia Morale presso l’Isti-tuto Superiore di Scienze Religiose “S. Lorenzo da Brindisi” dal 1984 al 2007; direttore dell’Ufficio diocesano per l’Educazione Cattolica (settore Insegna-mento della Religione Cattolica) dal 1989 al 2001; direttore del Centro Diocesano Vocazioni dal 1989 al 2007; cappellano presso la Casa di riposo “Il Focolare” di Brindisi dal 1993 al 1997, parroco della chiesa dei SS. Anna e Benedetto di Brin-disi dal 1997 al 2002. Attualmente, don Adriano è assistente Regionale dell’AIMC e assistente della Caritas diocesana. Dal settembre 2002 è parroco della Catte-drale di Brindisi. A don Adriano, attento e fedele lettore del nostro giornale, l’au-gurio di buon lavoro dall’intera redazio-ne di Fermento.

Don Miglietta porta il Vangelosu Radio InBlu

Vita di Chiesa 1715 giugno 2011

La scomparsa di mons. Ruppi

Lutto nelle Chiese di Puglia per la scomparsa di mon-signor Cosmo Francesco Ruppi, per vent’anni arci-

vescovo di Lecce e per molti anni presidente della Con-ferenza episcopale pugliese. Il prelato si è spento a 79 anni nel pomeriggio del 29 maggio nella casa di riposo per anziani “Fondazione Giovanni XXIII” che lui stesso aveva contribuito a realizzare nella natia Alberobello.

Cosmo Francesco Ruppi venne ordinato sacerdote il 18 dicembre 1954. Il 13 maggio 1980 fu eletto vescovo delle diocesi di Termoli e Larino. Ricevette l’ordinazione epi-scopale il 29 giugno 1980 dal cardinale Corrado Ursi.

Il 7 dicembre 1988 fu eletto arcivescovo metropoli-ta di Lecce. In tale veste è stato presidente della Con-ferenza Episcopale Pugliese fino al gennaio 2008. Nella Conferenza episcopale italiana ha fatto parte delle Com-missioni per le Comunicazioni Sociali e per la Scuola, l’Educazione e la Cultura. Ha svolto un’intensa attività giornalistica.

Il rito funebre, presieduto dal Cardinale Salvatore De Giorgi, è stato celebrato martedì 31 maggio nella Basi-lica dei Santi Cosma e Damiano di Alberobello alla pre-senza, tra gli altri, del nostro Arcivescovo Mons. Rocco Talucci, il quale ha dichiarato: «Ricordo un uomo che ha amato il Papa e la Chiesa fornendo un significativo con-tributo soprattutto nell’ambito della comunicazione. Con lui scompare un uomo che aveva un forte desiderio di trasmettere la parola di Dio, non soltanto dall’altare ma anche attraverso i mezzi di comunicazione». «Monsignor Ruppi - ha detto ancora Mons. Talucci - ha amato la sua terra, valorizzandola con dedizione, ha sostenuto i semi-naristi volenterosi di apprendere, e si è sempre battuto sia in favore degli immigrati, sia per una politica molto spesso richiamata al suo ruolo primario, che è quello di pensare al bene comune».

“Educare i giovani alla giustizia e alla pace”: è questo il tema scelto dal Papa per la celebrazione della 45ª Giornata mondiale della pace (1° gennaio 2012).

Nel comunicato del Pontificio Consiglio della giustizia e del-la pace che propone alcune considerazioni preliminari sul si-gnificato di questa Giornata, si afferma che “il tema entra nel vivo di una questione urgente nel mondo di oggi: ascoltare e valorizzare le nuove generazioni nella realizzazione del bene comune e nell’affermazione di un ordine sociale giusto e pa-cifico dove possano essere pienamente espressi e realizzati i diritti e le libertà fondamentali dell’uomo”.

Pedagogia della pace. Il testo prosegue affermando che “la Chiesa accoglie i giovani e le loro istanze come il segno di una sempre promettente primavera e indica loro Gesù come modello di amore che rende ‘nuove tutte le cose’”. Nel com-mento si aggiunge poi che “i responsabili della cosa pubbli-ca sono chiamati ad operare affinché istituzioni, leggi e am-bienti di vita siano pervasi da umanesimo trascendente che offra alle nuove generazioni opportunità di piena realizza-zione e lavoro per costruire la civiltà dell’amore fraterno coe-rente alle più profonde esigenze di verità, di libertà, di amo-re e di giustizia dell’uomo”. Il Pontificio Consiglio sottolinea che il tema “si inserisce nel solco della ‘pedagogia della pace’ tracciato da Giovanni Paolo II nel 1985 (‘La pace ed i giova-ni camminano insieme’), nel 1979 (‘Per giungere alla pace, educare alla pace’) e nel 2004 (‘Un impegno sempre attuale: educare alla pace’)”, rilevando che “i giovani dovranno esse-re operatori di giustizia e di pace in un mondo complesso e globalizzato”. Anche in riferimento all’impegno della Chiesa per l’educazione delle nuove generazioni, il testo prosegue sottolineando che “ciò rende necessaria una nuova ‘alleanza pedagogica’ di tutti i soggetti responsabili”. Viene infine pro-posta un’analisi degli ultimi temi scelti dal Papa per questa Giornata, partendo dal primo dopo la sua elezione (2006:

‘Nella verità la pace’), proseguendo con le riflessioni sulla di-gnità dell’uomo (2007: ‘Persona umana, cuore della pace’), sulla famiglia umana (2008: ‘Famiglia umana, comunità di pace’), sulla povertà (2009: ‘Combattere la povertà, costruire la pace’), sulla custodia del creato (2010: ‘Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato’) e sulla libertà religiosa (2011: ‘Li-bertà religiosa, via per la pace’)”.

Ascolto e aiuto. Un invito ad ascoltare e aiutare le nuove generazioni nella costruzione di un mondo più giusto, paci-fico e solidale: è questo il senso del tema della 45ª Giornata mondiale per la pace. «I giovani che hanno incontrato Cristo e che vogliono testimoniarlo - ha dichiara al SIR padre Eric Jacquinet, responsabile della sezione Giovani del Pontificio

Consiglio per i laici (Pcl) - non possono restare solo nella Chiesa ma devono impegnarsi di più anche sul campo della giustizia e della pace, dunque in quello sociale. Fa parte del-la nostra missione di educatori formare le nuove generazioni su questo campo. Rivolgendosi, in primo luogo, ai cristiani, il Papa lancia un appello agli adulti dal quale non arrivano molti esempi positivi. Basta pensare al mondo della politica. E i giovani hanno bisogno di esempi e di testimoni credibi-li. Urge un’alleanza pedagogica che metta insieme giovani e adulti, responsabili, per lavorare nel campo della giustizia e della pace».

Un aiuto all’educatore impegnato nel formare i giovani alla giustizia e alla pace può arrivare dalla dottrina sociale della Chiesa, come affermato da don Nicolò Anselmi, responsa-bile del Servizio nazionale per la pastorale giovanile (Cei). «L’educazione dei giovani alla giustizia e alla pace - spiega - non deve essere pensata solo davanti ai grandi temi o eventi ma va vissuta nella quotidianità di una vita comunitaria che sia meno aggressiva, riconciliata, basata su relazioni sobrie e profonde. Questo modo di vivere dovrebbe pervadere len-tamente tutta la società a partire dai giovani in un rinnovato impegno e passione sociopolitica cui Benedetto XVI, e con lui anche il card. Angelo Bagnasco, ha fatto spesso richiamo». Ed è anche per questo che il Servizio per la pastorale giova-nile da molto tempo ha ripreso in mano la dottrina sociale della Chiesa, «utile - sottolinea don Anselmi - per orientar-si cristianamente nel mondo del lavoro, dello studio e della politica. La giustizia e la pace sono valori che vanno conti-nuamente riscoperti attraverso la testimonianza del mondo adulto che deve offrire testimonianze credibili per incentiva-re i giovani a essere operativi anche nel campo della cittadi-nanza e della politica».

GIORNATA MONDIALE DELLA PACE 2012 Reso noto il tema scelto dal Santo Padre

“Educare i giovani alla giustizia e alla pace”

“Tra le importanti re-sponsabilità del ve-scovo diocesano al

fine di assicurare il bene comune dei fedeli e, specialmente, la pro-tezione dei bambini e dei giovani, c’è il dovere di dare una risposta adeguata ai casi eventuali di abu-so sessuale su minori commesso da chierici nella sua diocesi”. Inizia così la lettera circolare della Con-gregazione per la dottrina della fede dal titolo: “Per aiutare le Con-ferenze episcopali nel preparare Linee guida per il trattamento dei casi di abuso sessuale nei confron-ti di minori da parte di chierici”. La risposta del vescovo diocesano - si legge nel documento, diffuso il 16 maggio - “comporta l’istituzione di procedure adatte ad assistere le vittime di tali abusi, nonché la forma-zione della comunità ecclesiale in vista della protezione dei minori. Detta risposta dovrà provvedere all’applicazio-ne del diritto canonico in materia, e, allo stesso tempo, te-ner conto delle disposizioni delle leggi civili”.

Attenzione alle vittime e “collaborazione”. “La Chiesa, nella persona del vescovo o di un suo delegato - chiarisce la circolare -, deve mostrarsi pronta ad ascoltare le vittime e i loro familiari e a impegnarsi per la loro assistenza spi-rituale e psicologica”. Quanto alla “protezione dei minori”, in alcune nazioni “sono stati iniziati in ambito ecclesiale programmi educativi di prevenzione, per assicurare ‘am-bienti sicuri’ per i minori. Tali programmi cercano di aiu-tare i genitori, nonché gli operatori pastorali o scolastici, a riconoscere i segni dell’abuso sessuale e ad adottare le misure adeguate”. Curare “con speciale attenzione la for-mazione permanente del clero, soprattutto nei primi anni dopo la sacra ordinazione, valorizzando l’importanza della preghiera e del mutuo sostegno nella fraternità sa-cerdotale”: queste le raccomandazioni della Santa Sede ai vescovi, che devono assicurare “ogni impegno nel trat-tare gli eventuali casi di abuso che fossero loro denuncia-ti secondo la disciplina canonica e civile, nel rispetto dei diritti di tutte le parti”. “L’abuso sessuale di minori non è solo un delitto canonico, ma anche un crimine perseguito dall’autorità civile”, ricorda la Santa Sede: “Sebbene i rap-porti con le autorità civili differiscano nei diversi Paesi, tuttavia è importante cooperare con esse nell’ambito delle rispettive competenze. In particolare, va sempre dato se-guito alle prescrizioni delle leggi civili per quanto riguar-

da il deferimento dei crimini alle autorità preposte, senza pregiudi-care il foro interno sacramentale”. Indicazione universale. «Dare un comune denominatore sostan-ziale di principi e fondamenti che tutti possono aver presente per formare le proprie direttive». Così padre Federico Lombardi, diret-tore della sala stampa della Santa Sede, ha presentato le “Linee gui-da” sulla pedofilia, in un briefing svoltosi sempre il 16 maggio con i giornalisti. «Un documento atteso, già annunciato», e che ora diventa «un’indicazione universale», af-finché «si preparino linee, indica-

zioni, per procedere perché i problemi, di gravità differen-ti, siano tenuti in conto da tutte le Conferenze episcopali in modo serio, approfondito, uniforme, con indicazioni chiare per far fronte alle situazioni che si presentano». In-terrogato dai giornalisti sullo “stato” degli abusi sessuali all’interno della Chiesa, padre Lombardi ha risposto che si tratta di «una situazione sempre in evoluzione».

L’esempio del card. Bagnasco. «Anche la Conferenza episcopale italiana ne terrà conto, e immagino che ci la-vorerà: sicuramente ci sarà una risposta, visto che adesso non esiste un documento di questa natura». Così padre Lombardi ha risposto ad una domanda sul caso del par-roco genovese indagato per abusi sessuali e spaccio di so-stanze stupefacenti. Padre Lombardi ha detto che «è stato di esempio l’intervento del card. Bagnasco come vescovo competente: un intervento tempestivo e molto apprezza-to dall’opinione pubblica italiana, e che era esattamen-te quello che si poteva fare come intervento immediato». A proposito della «cooperazione con le autorità civili» ha precisato: «Bisogna collaborare con la situazione che c’è. Se ci sono le leggi, vanno osservate; se non ci sono, non siamo noi che le facciamo. Occorre collaborare nel modo migliore perché ci sia la protezione delle vittime e sia as-sicurata la giustizia». Quanto al risarcimento alle vittime, padre Lombardi ha ricordato che «è un problema che ri-guarda i casi prescritti, perché per quelli non prescritti e ancora in giudizio c’è la legge civile». «Dare indicazioni di carattere generale per il mondo», in questo ambito - ha proseguito il portavoce vaticano - «è un po’ difficile, biso-gna cercare un modo comune di procedere anche a livello di società civile».

LETTERA CIRCOLARE Dalla Congregazione per la dottrina delle fede

Risposta adeguata della Chiesa agli abusi sui minori

PaginAperta 1915 giugno 2011

Il pianeta carcere, malgrado tutto, met-te al riparo i cittadini onesti da quelli meno onesti. Il carcere, istituzione rie-

ducativa, deve essere un luogo di redenzio-ne, di formazione e reinserimento sociale.

Tutto ciò è scritto nella legge, legge che coloro che sono detenuti hanno violato. La punizione deve essere, quando certa, scon-tata con la dignità che l’umanità richiede. Non ci può essere l’inumanità dietro la pe-nitenza.

Gli addetti ai lavori devono dare il loro contributo attraverso il buon esempio, solo l’amore genera amore. Con l’odio, sotto qualsiasi forma espressa, si creano i presup-posti della violenza e, nel caso delle carceri, del nuovo delinquere.

Ma in tutto questo variegato mondo del penale, ci sono le cosiddette anime pure: i bambini.

In tutto il mondo diverse associazio-ni combattono per far rispettare i diritti dei bambini, del nostro futuro. Del futuro dell’umanità tutta. I nostri eredi. Ma non sempre questo diritto viene raggiunto.

Un bambino ha diritto a vedere il proprio genitore, anche se detenuto. Ma cosa rima-ne impresso nella mente di un bambino? Cosa chiede un bambino ad un genitore de-tenuto? La domanda più semplice del mon-do: quando torni a casa?

Per evitare traumi di ogni genere, i dete-nuti si inventano diverse storielle, hanno un lavoro importante che devono termina-re e non possono uscire da lì altrimenti suc-cede una catastrofe, alcuni recitano la parte di costruttori di invenzioni segrete, altri di essere dei lavoratori protetti.

Tutto ciò in nome della difesa dell’inno-cenza dei bambini.

I figli dei detenuti sono costretti a subire una pena ingiusta e iniqua, una pena da in-nocenti.

Una pena che non gli appartiene ma che devono scontare, in silenzio e con il sorriso. Alla ricerca di un perché!

Sin dalla più tenera età sono costretti a fre-quentare da “innocenti” un mondo in cui si respira il clima della pena, della colpa, della condanna: è il carcere dei non detenuti in-fantili.

Sul problema dei figli dei detenuti c’è in-differenza, silenzio e un vuoto informativo.

Nessuno vuole sapere del problema, si preferisce donare, frettolosamente, un euro ad un bambino del terzo mondo, anzichè avere notizie dei figli dei detenuti. È un pro-blema reale che esiste e che nessuno vuole affrontare.

Una vacatio legislativa che consente di mostrare a questi bambini, fin dalla loro nascita, la brutalità e la bruttezza del carce-re. È il prezzo che ogni bambino, di genitore detenuto, è costretto a pagare per poter abbracciare il proprio genitore. Un prezzo alto, un con-to molto salato e a volte indige-sto!

I bambini, figli di dete-nuti, van-no, al pari di tutti gli altri, tutelati e aiutati.

I bam-bini che hanno un g e n i t o r e d e t e n u t o non vengo-no considerati come persone che hanno dritto e bisogno di aiuto, anzi, spesso, li si emargina ghet-tizzandoli.

Loro, invece, hanno bisogno di essere ri-conosciuti come gruppo vulnerabile, che ha bisogno di sostegno e di maggiore at-tenzione.

A questo proposito, il carcere dovrebbe essere strutturato per accogliere al meglio i bambini quando entrano per incontrare il proprio genitore. È uno spettacolo com-movente il vedere i bambini di ogni età, che mano nella mano delle mamme o delle nonne, attendono il loro turno, una volta alla settimana,per incontrare per un’ora o due il loro papà, per avere da lui una carez-za, un bacio.

Molti dei figli dei detenuti della casa cir-condariale di Brindisi affrontano veri e

propri viaggi per andare a trovare i loro papà:sono viaggi più o meno lunghi ma si-curamente tutti faticosi, la meta è certa, ma è proprio quando ci si arriva (magari molto tempo prima dell’orario d’ingresso per esse-re i primi) che bisogna saper aspettare, e si aspetta lì, tutti insieme, il proprio turno, sul marciapiede di via Appia 131, in attesa che si aprano le porte d’ingresso dei colloqui.

Sotto la pioggia, sotto il sole, al caldo o al freddo ed esposti agli occhi, a

volte curiosi, a volte pie-ni di compassione e a

volte indifferenti, di quanti passano

dalla via Appia.Uno spetta-colo poco edif icante per dei b a m b i n i sfortunati ed inno-centi.

U n a volta en-trati nel “ re c i nt o”

del carce-re, al riparo

da quegli oc-chi penetranti,

i tempi di atte-sa, prima di essere

chiamati ai colloqui, sono sempre lunghi e duri

da viversi, soprattutto per i bam-bini.

Per alleviare, in parte, tale innocente sof-

ferenza nel carcere di Brindisi si è pensato di creare per loro uno spazio ludico, di ani-mazione, dove i bambini, giocando, non solo ingannano il tempo, ma lo utilizzano per esprimere, rappresentare ed elabora-re i loro vissuti che, soprattutto in questi bambini, in questo tempo di attesa è ricco di sensazioni, spesso ambivalenti e, quindi, difficile da vivere.

Nel carcere di Brindisi, non essendoci molti spazi, si è pensato di utilizzare la sala di attesa (20 mq) come sala di animazione e giochi. Attualmente è il massimo che ci consente la struttura.

Faccio appello alle Associazioni, agli Ani-matori, ai Volontari che, tenendo conto dello spazio a disposizione, pensano che lo possano utilizzare per rendere meno pesan-ti e noiose le ore di attesa dei figli dei dete-nuti nei giorni in cui vengono a incontrare i loro padri.

Questo equivale ad alleviare le sofferen-ze “ingiuste” di tanti bambini ed evitare di traumatizzarli ancor di più.

Il tempo speso per gli altri è un tesoro che nessun ladro potrà mai rubare…

Per i credenti vale la parola di Gesù:” Chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me”.(Mt.18,5).

Un abbraccio e un augurio di ogni bene a tutti coloro che vogliono collaborare al pro-getto: un sorriso per i bambini detenuti in-nocenti.

P. Giovanni Fabiano Cappellano

È possibile contattare il cappellano (P. Giovanni 338/9999273 - 0831/951281)

PIANETA CARCERE Se riuscissimo a rendere migliori le strutture

Un sorriso per i bambini “detenuti” innocenti

I l secolo XIX fu importantissimo per la na-scita dell’Italia religiosa contemporanea ed è stato oggetto, a causa dei radicali

rivolgimenti verificatisi in esso e dell’atteggia-mento mantenuto dall’organizzazione ecclesia-stica, di appassionata discussione, come pure di molteplici attacchi da parte della storiografia non cattolica. In realtà questo secolo presenta nelle sue problematiche anche per ciò che con-cerne la Chiesa, aspetti religiosi, politici e sociali molteplici, come pure una galleria ricchissima di ritratti e una varietà straordinaria di correnti: zelanti, moderati ed estremisti, neoguelfi e catto-lici liberali, legittimisti e patrioti, intransigenti e conciliaristi, neotomisti e rosminiani. Giungono anche alla loro più piena attuazione le istanze disciplinari e spirituali dell’epoca controriformi-stica (accentramento ecclesiastico, difesa della dottrina cattolica, intensificazione dell’impegno delle opere di misericordia) con il contrappeso di una crescente maturità del laicato.

Mons. Raffaele Ferrigno, Arcivescovo di Brindisi dal 1856 al 1878 ebbe la stessa vi-sione che di tutto il processo di unificazione ebbe l’Episcopato dell’ex Regno delle Due Sicilie, e cioè una visione esclusivamente religiosa, anche per ciò che concerne la pro-prietà ecclesiastica, e vale a dire che i beni della Chiesa che lo Stato confiscava erano in definitiva i beni dei nullatenenti, per cui le leggi di alienazione venivano conside-rate sacrileghe. Egli si rifiutò di celebrare personalmente funzioni religiose di ringra-

ziamento per tutti i fausti avvenimenti e si astenne dal voto plebiscitario; di conse-guenza alcuni lo consideravano soverchia-mente attaccato alla dinastia borbonica, altri oltremodo papista. Del resto, i favori che la dinastia borbonica aveva conces-so con il concordato del 1818 alla Chiesa, come la graduale riapertura dei conventi e monasteri soppressi durante il decennio murattiano, le autorizzazioni date agli enti ecclesiastici per l’accettazione e l’acquisto di eredità e legati, avallavano tale atteggia-mento. Ferrigno aveva studiato a Napoli e si era laureato in utroque iure seguendo la tradizione scolastica che sbarrava la stra-da ai nuovi indirizzi teologici e filosofici. L’atteggiamento iniziale del medio basso clero nei confronti dei comizi elettorali nel 21 ottobre 1860, non era stato ancora for-temente antiunitario come sarebbe stato in seguito. L’arcivescovo Ferrigno, invitato dal sindaco a dare istruzioni ai sacerdoti perché sollecitassero il popolo a votare per il plebiscito, promosse la partecipazione popolare alle votazioni in senso favorevo-le all’unità. Così, in breve volgere di tem-po, a Brindisi e nel suo circondario, come

pure nel resto del Meridione, si decompose l’assetto politico-istituzionale dei Borboni e si affermarono i nuovi modelli politico-li-berali. Ma nel quadro di questo processo si innestarono ben presto focolai di resistenza e di opposizione, tali da mettere seriamen-te in pericolo il mantenimento dell’ordine pubblico e dello stesso ordine politico.

Al pericolo oggettivo per l’ordine pubblico rappresentato dagli sbandati e dai diserto-ri del disciolto esercito napoletano, si ag-giungevano nuovi e più pericolosi elementi di turbativa dopo l’esilio di Francesco II a Roma presso la corte pontificia. La politica antiecclesiastica del neonato Stato unita-rio, fece ben presto eco l’ostilità delle autori-tà ecclesiali. Il 25 maggio 1861 l’arcivescovo Ferrigno, mediante lettera, comunicava il suo rifiuto a far celebrare per la festa na-zionale del Regno d’Italia funzioni religiose in qualsiasi chiesa della sua diocesi.

Il 27 giugno 1866, il sottoprefetto di Brin-disi inviava al Prefetto della provincia di Terra d’Otranto alcune informazioni ri-servate sull’arcivescovo Ferrigno che a suo dire, come “capo del partito borbonico cle-ricale, esercitava la sua più grande influen-

za su tutti i ceti e soprattutto sulle masse superstiziose ed ignoranti”. Tale atteggia-mento era confermato dal sacerdote Pao-lano Grande, direttore diocesano dell’As-sociazione del clero italiano meridionale, che in un esposto alla Commissione Par-

lamentare d’inchiesta sul brigantaggio, del 17 febbraio 1863, accusava il clero di Me-sagne, fomentato dall’arcivescovo, di tenere un comitato segreto, di raccogliere e man-dare il suo obolo a S. Pietro e di fare dimo-strazioni reazionarie pervertendo le masse. Egli era assertore di un moderato impegno sociale e accusatore del clero reazionario cittadino, come pure del malgoverno delle autorità comunali.

L’azione pastorale del Ferrigno si esplica-va anche con l’insegnamento delle lettere pastorali nelle quali aveva grande atten-zione verso le “seduzioni del comunismo”. La Chiesa veniva presentata come custode e tutrice della vera libertà che preservava la dignità dell’uomo “contro il violento comu-nismo e il selvaggio socialismo” e “trionferà l’istituzione divina del matrimonio e della proprietà”. Insomma nelle lettere pastora-li di mons. Ferrigno era messa in evidenza una costante preoccupazione nei confronti dei suoi fedeli in un periodo storico di ca-povolgimenti sociali e politici: l’ateismo mi-nacciava la cristianizzazione del popolo.

Katiuscia Di Rocco

ITALIANI DA 150 ANNI La Diocesi tra 1856 e 1878

Mons. Ferrigno e la custodia della fede

Fermento torna a Luglio La redazione ricorda che è possibile inviare articoli, foto, lettere e riflessioni entro e non oltre il 5 Luglio.

Il tutto va spedito a: [email protected], oppure al numero di Fax: 0831/524296 o in busta chiusa indirizzata a: Redazione Fermento, Piazza Duomo, 12 - 72100 Brindisi.

Libri20 15 giugno 2011

Lettera di Giacomodi Rosario Chiarazzo

Gli studi neotestamentari si arricchiscono di un nuovo,

significativo contributo grazie a Rosario Chiarazzo, docente di Sa-cra Scrittura presso l’Istituto Supe-riore di Scienze Religiose «Ecclesia Mater» della Pontificia Università Lateranense e professore invitato presso l’Istituto di Catechesi e Spi-ritualità Missionaria della Pontifi-cia Università Urbaniana in Roma. Il biblista, con «Città Nuova», ha dato alle stampe «Lettera di Giaco-

mo» (pp. 152, Euro 18,50), volume inserito nella Collana «Nuovo Te-stamento commento esegetico e spirituale», diretta da Santi Grasso, con lo scopo di «fornire ai cristiani del Duemila strumenti di vita, di meditazione e di lavoro sulla base della Sacra Scrittura, permettendo così di passare da una fede tradi-zionale ad una fede più illuminata e matura».Nell’ampia introduzione, l’autore discute dei temi maggiormente rilevanti questa lettera, a partire proprio dall’enigma dell’autore, della data e del luogo di composi-zione, per proseguire poi con i de-stinatari e l’ambiente culturale, il canone, le particolarità stilistiche ed il genere letterario.Chiarazzo, quindi, entra nel vivo della trattazione, dividendo il con-tenuto della lettera in nove, densi capitoli, metodologicamente im-postati secondo uno schema de-cisamente valido, dal quale esula solo il primo, nel quale l’autore analizza l’indirizzo di saluto. Tut-ti gli altri capitoli, infatti, dopo l’analisi puntuale della strategia compositiva, recando il relativo commento. E Chiarazza, inizia a trattare della «Perseveranza nelle prove», quindi dedica attenzione «All’origine della tentazione», a «La fede vissuta in autenticità» ed a «Le relazioni attraverso la paro-la». Si analizzano, quindi, «I frutti dell’autentica sapienza», «La con-ferma della scelta radicale», «Le il-lusorie certezze» e i temi propri di «Una comunità in cammino», dalla «paziente attesa» alla «preghiera perseverante» alla «solidarietà fra-terna nella fede». L’autore dimo-stra con chiarezza che «la riflessio-ne di Giacomo non si contrappone o non cerca di polemizzare in ma-niera sterile contro la visione pao-lina della fede, ma suggerisce una prospettiva complementare che scevra da estremismi fideistici, si colloca nella viva concretezza del Vangelo». Fondamentale, in tutto ciò, la notazione dell’autore secon-do il quale «l’incontro con Cristo glorioso, oggetto della speranza cristiana, si sostiene e si rafforza non nella prevedibilità di un dato cronologico, ma nella qualità di un rapporto costruito e consolidato».

(a. scon.)

L’Italia meridionale e l’Impero Bizantino

di Jules Gay

«Nel rinnovato interesse per la storia millenaria di Bisan-

zio» ecco la ristampa, con presenta-zione di Antonio Ventura de «L’Italia meridionale e l’Impero Bizantino: dall’avvento di Basilio I alla resa di Bari ai Normanni (867-1071)», di Ju-les Gay pubblicata da Capone Edito-re. Sono 446 pagine ben introdotte e corredate di un glossario dei termini riguardanti l’amministrazione bizan-tina e di 3 tavole cronologiche re-

lative ad avvenimenti e personaggi contenuti nell’opera, che agevolano il lavoro di chi studia questo libro, aprendo l’interesse ad un pubblico più vasto, che non fosse quello degli studiosi che per primi l’accolsero nel 1904 (edizione francese) o nel 1917 (edizione italiana).Noi salentini, del resto, non possia-mo prescinderne. Gay partì dall’ana-lisi dell’Italia meridionale prima del regno di Basilio I. Ciò servì per stu-diare, nel secondo libro, «la politica e la conquista dell’Italia meridiona-le. Dall’avvento di Basilio I alla vit-toria del Garigliano (867-915)» e per approfondire, nel terzo, «il regime bizantino nell’Italia Meridionale dal regno di Leone VI all’avvento di Ni-ceforo Foca (886-963)». Nel quarto libro, quindi, Gay trattò de «L’Italia Meridionale e l’Impero Bizantino dopo l’avvento di Niceforo Fioca fino alla morte di Costantino VIII (963-1028)», mentre nel libro conclusivo affrontò il periodo della «decadenza della dominazione bizantina». Il pe-riodo analizzato è tra i più densi di avvenimenti. «La parte greca dell’Ita-lia meridionale, anche per questo, nella prima metà del Mille, cambiò letteralmente volto per l’incremento demografico, favorito dai catapani, che produsse, ad opera dei grandi monasteri ma anche per l’intervento dei proprietari laici, il dissodamen-to di vastissime aree agricole e una intensificazione delle coltivazioni - si legge nella presentazione -. Da quel momento, il paesaggio agrario meridionale cambia in positivo e, a conferma della crescente ripresa economica e commerciale, si mol-tiplicano, intorno alle città murate, nuovi insediamenti umani (casali e castra). A nulla valse la tenace resi-stenza di queste città, però, di fron-te ai nuovi invasori arrivati dalla Normandia. Infatti - si conclude -, la legittimazione da parte della Chiesa di Roma della conquista normanna con l’investitura del Ducato di Puglia a Roberto Guiscardo, pone la parola fine alla presenza bizantina nell’Ita-lia Meridionale». Meritoria, dunque, quest’avventura editoriale che può vantare anche il pregio di aver defi-nito la biografia di Gay: l’Iccu consi-dera l’autore ancora vivente. Invece a vivere è solo la sua opera.

(a. scon.)

La geopolitica dello Stato pontificio

di Maurizio Gattoni

La geopolitica dello Stato pon-tificio sotto i riflettori dello

storico, che prima ha analizzato il pontificato di Leone X (1523-1534), quindi quello di Clemente VII (1523-1534) e, con particolare riferimento alla politica iberica, quello di Pio V (1566-1572), ancora quello di Grego-rio XIII (1572-1585). Maurizio Gatto-ni, dal 2000 ad oggi ha descritto un ampio arco di tempo, mettendo in relazione documenti dell’Archivio

Segreto Vaticano e quelli della Torre do Tombo di Lisbona e dell’Archivio Generale de Simancas. Con “Sisto IV, Innocenzo VIII e la geopolitica dello Stato Pontificio (1471-1492)”, che le “Edizioni Studium” di Roma hanno pubblicato nella collana “Religione e Società” (pp. 223, Euro 16), lo stu-dioso inserisce ulteriori e preziosi tassello nell’ampio mosaico che va descrivendo, soprattutto perché – com’è stato opportunamente osser-vato – la politica estera di quei due Papi, che hanno retto la Chiesa sul finire cronologico dell’età medie-vale, “è stata sinora poco meditata dalla storiografia”. Sul finire crono-logico del Medioevo, si è detto. In realtà, proprio grazie ai documenti di archivio ed alla bibliografia ag-giornatissima, Gattoni pone in evi-denza come l’azione di Sisto IV pos-sa mettere in luce quel pontefice quale “iniziatore della fase matura del Rinascimento per lo Stato Pon-tificio”. Papa della Rovere, infatti, viene considerato «l’iniziatore di quella filosofia rinascimentale» gra-zie alla quali i Papi, fino a Clemente VII (1534) «diventarono attori della politica internazionale: la loro visio-ne del futuro determinava l’azione presente, la plasmava, dandole una coscienza del momento attraverso una fase creativa (quindi attiva non più passiva) a differenza di quanto era accaduto durante tutto il pe-riodo della cattività avignonese». Oltremodo interessante il quarto capitolo che, analizzando i tre anni compresi tra il 1482 ed il 1484, pone lo studioso innanzi all’inter-rogativo: le alleanze variabili o le variabili delle alleanze? E così, per meglio orientare il lettore ecco come la cronaca di battaglie e del-le congiure sia corredata da schede biografiche dei protagonisti e dalle descrizioni delle magistrature; di particolare interesse sono l’analisi delle bolle pontificie dirette contro Lorenzo de’ Medici e delle fonti dot-trinali cui si ispirarono. “Dopo Inno-cenzo VIII, generalmente, il ponti-ficato di Alessandro VI è stato visto come “l’inizio della fine” per l’equi-librio italiano, nato a Lodi nel 1454 e confermato a Bagnolo nel 1484. Tuttavia, questo sarà tema dei vo-lumi successivi”, conclude Gattoni. E ci dà appuntamento ad un ulteriore percorso, fino al 1503.

(a. scon.)

La parrocchia nel Vaticano II

di Giampiero Ziviani

Va accolto con estremo favore dall’intera comunità di Chiesa

lo studio che don Giampiero Ziviani - 47enne direttore dell’Ufficio catechi-stico diocesano di Adria-Rovigo - ha pubblicato per le edizioni Dehoniane di Bologna, con una notevole prefa-zione di mons. Franco Giulio Bram-billa. «Una Chiesa di popolo. La par-rocchia nel Vaticano II», è uno studio di 312 pagine che tende ad essere strumento valido non solo per il pre-

sbitero, ma per ciascun christifideles.«Affrontando il tema della parroc-chia, l’autore propone un saggio di ermeneutica del concilio non solo metodologicamente corretto ma anche pastoralmente fecondo», scri-ve chi ha analizzato a fondo queste pagine. «Pur restando la parrocchia un interesse laterale del Vaticano II - si prosegue -, grazie all’impulso di questo essa è venuta trasformando-si da istituzione amministrativa a fi-gura pastorale, soggetto missionario attivo, non con un formale ripensa-mento della sua presenza e della sua azione, ma piuttosto mediante la ri-definizione dei suoi elementi vitati e della fisionomia dei suoi protago-nisti».Nell’introduzione, don Ziviani parla di nuovo orizzonte e pone la domanda se la parrocchia sia cambiata, quindi proponendo di «ritornare al Concilio» e guardando «il cammino della Chie-sa italiana» illustra il percorso della ricerca, che si va snodando intorno a quattro densi capitoli. Nel primo egli tratta del «Fare teologia sul Vaticano II», ponendo la questione delle fonti storiche e discutendo sia del Concilio e del problema storiografico, sia del-la storia della Chiesa come disciplina teologica, sia dell’evento conciliare e delle sue ricostruzioni. Nel secon-do capitolo, poi, ci si sofferma su «la parrocchia alla vigilia del Concilio», mentre nel terzo si studia, attraverso «gesti e testi conciliari», «La parroc-chia durante il Concilio». «Una Chiesa in forma di popolo» è il capitolo con-clusivo del lungo excursus. «A cin-quantanni dall’indizione del Concilio la parrocchia appare ancora un sog-getto debole segnato da un deficit di riflessione teologica non compensa-to dalle recente attenzione pratica, dovuta alla ristrutturazione della presenza ecclesiale sul territorio - hanno sostenuto gli studiosi -. Ma questa identità debole potrebbe oggi costituire uno dei suoi punti di forza, a patto che la logica amministrativa sia abbandonata a favore dello spa-zio di esercizio della comunione». Insomma, concepite per coloro che si riconoscevano dentro la Chiesa, ora le parrocchie sono chiamate a ripen-sarsi missionariamente e a ritrovare la capacità di trasmettere la fede anche a chi si trova nelle regioni del dubbio e della lontananza».

(Ang. Arg.)

Cinema 2115 giugno 2011

THE TREE OF LIFEregia: Terrence Malick

Terrence Malick è considerato il Salinger del cinema ame-

ricano. Come lo scrittore de “Il giovane Holden”, infatti, Malick vive recluso, escluso dalla vista degli altri e del mondo e gira un film una volta ogni sei, sette anni. Non a caso la sua filmogra-fia consta di solo cinque pellico-le, tutte però considerate delle vere opere d’arte.

Un po’ come per Stanley Ku-brick, il cinema di Malick è visto dai critici come l’espressione po-etica e filosofica di un’artista che non si adegua al canone di rap-presentazione cinematografica narrativa tradizionale, ma cerca una via d’espressione differente per il linguaggio della settima arte.

“The tree of life”, la pellico-la che Malick ha presentato in concorso al Festival di Cannes di quest’anno, vincendo la Palma d’oro, s’inserisce proprio all’in-terno di questa concezione: ci-nema come strumento poetico e non di prosa, cinema come mezzo per indagare il senso del-le cose, della vita e dell’uomo e non come semplice mezzo d’in-trattenimento. Molti hanno pa-ragonato quest’opera a “2001: Odissea nello spazio”: stessa ri-cerca visiva, stesse domande che l’attraversano, stessa ermeticità. “The tree of life” tenta di raccon-tare, infatti, attraverso la storia di una famiglia americana, il senso della vita, il perché delle nostre esistenze e soprattutto la presenza di una trascendenza che ci avvolge e che dà luce alle nostre vite. Attraverso un lin-guaggio non narrativo ma visivo, con immagini estremamente po-etiche e riflessive, quasi privo di dialoghi e attraversato solo dalle voci off dei protagonisti della vi-cenda che commentano le pro-prie vite alla ricerca delle rispo-

ste rispetto quello che accade loro, il film di Malick è un’opera di contemplazione, di visione, in cui lo spettatore è invitato ad abbandonarsi per godere della bellezza delle immagini e per lasciarsi suggestionare dalle do-mande poste.

Bellissime le scene della natu-ra, rappresentata in tutta la sua potenza e bellezza, anima del mondo che ci protegge e a vol-te ci ferisce, e altrettanto belle le immagini di vita quotidiana della famiglia protagonista, in cui vengono raccontate le gior-nate tra giochi, silenzi, affetto e severità che vivono i tre figli. Divisi tra una madre che li invi-ta ad amare tutto e tutti e a la-sciarsi andare alla bellezza che ci circonda e un padre duro e autoritario che vorrebbe invece insegnare ai propri figli che per avere successo nella vita biso-gna sapersi imporre e sopraffa-re gli altri. Fino ad un finale in cui viene visualizzato una sorta di Paradiso in cui ognuno di noi ritroverà le persone care che ha perso. La pellicola è certamente complessa, difficile da seguire dal momento che noi spettato-ri siamo abituati ad un cinema narrativo di nessi causa-effetto e lineare nella sua cronologicità. Qui invece si passa dal presen-te (uno dei figli della famiglia protagonista che ricorda il suo passato), al passato (l’infanzia passata negli anni Cinquanta in una cittadina di provincia), fino all’inizio della storia del mondo (la nascita delle prime cellule, addirittura i dinosauri), senza soluzione di continuità. Unico filo rosso, la ricerca del senso delle nostre esistenze, che per Malick si trova nell’amore per la natura, nella famiglia e negli af-fetti veri, nell’idea che esiste una trascendenza che ci avvolge tut-ti e che dà una prospettiva più ampia alle nostre vite.

cinematografo.it

IL RAGAZZO CON LA BICICLETTA

regia: Jean Pierre e Luc Dardenne

Hanno appena vinto un al-tro premio al Festival di

Cannes e il loro film, “Il ragazzo con la bicicletta”, sta ottenendo buoni risultati anche al botte-ghino. I fratelli Dardenne, auto-ri belgi che da sempre lavorano in coppia, hanno messo a segno un’ennesima vittoria, cinemato-graficamente parlando. Eppure il loro è un cinema complicato, drammatico, a volte totalmen-te pessimista, che richiede allo spettatore attenzione e invita sempre alla riflessione. I loro film sono scarni, essenziali, con pochi dialoghi e poca azione, macchina da presa a mano ad inseguire i protagonisti raccon-tati, con uno sguardo che scan-daglia fin dentro le loro anime, anche nelle parti più buie.

Un cinema complesso, dun-que, ma al tempo stesso estre-mamente vero, reale, umano. Al centro della vicenda, infatti, sempre uomini e donne svela-ti lentamente nelle pieghe del racconto in tutti i loro pregi e spesso difetti. Un cinema che pone, dunque, al centro l’uomo e le sue fragilità e che lascia che sia il progredire lento del tempo morto cinematografico a far sì che l’interiorità dei personaggi venga fuori. Allo stesso modo ne “Il ragazzo con la bicicletta” i due registi fanno sì che sia la lente d’ingrandimento di una macchina da presa mobile e sempre posizionata vicino ai loro attori a raccontarci la storia di Cyrill, dodicenne abbandona-to dal padre in un istituto per orfani, che non vuole rassegnar-si al rifiuto paterno e lo cerca, lo rincorre, anche solo per un sa-luto.

Cyrill è pieno di rabbia e, al tempo stesso, non vorrebbe al-tro che qualcuno da amare e da cui essere amato. Troverà questa persona in una parruc-chiera, incontrata per caso, e con cui instaurerà un rapporto all’inizio complicato e poi sem-pre più stretto fino a chiederle di poterlo adottare. Due solitu-dini che s’incontrano (la parruc-chiera è sola quanto lui, anche se non conosciamo le ragioni che la portano ad accettare di prendere con sé il bamb ino), che si studiano, si conoscono, anche nella conflittualità, ma che, grazie all’apertura, alla so-lidarietà e all’amore, si aprono l’una all’altra.

Il film è semplicissimo, quasi banale, ma proprio qui sta la sua forza: la forza della verità e dell’umanità dei suoi prota-gonisti e delle loro vicende che, per una volta tanto nel cinema dei fratelli Dardenne, hanno un finale positivo. Nonostante, infatti, il ragazzino sia tentato dalle sirene dell’illegalità e del-la violenza (emblemizzate da un ragazzo che come lui viene dall’istituto per orfani e che gli propone di entrare nella sua banda di delinquentelli di pa-ese) sarà il suo angelo custode, la parrucchiera, appunto, a sal-varlo e a permettergli di rico-minciare con una nuova vita. Una vita in cui finalmente Cyrill trova l’amore che cercava e la famiglia che da sempre sognava di avere. Un film emozionate, che recupera quel grande inse-gnamento del neorealismo cine-matografico italiano che impor-tanza capitale ha avuto nella storia del cinema e, cioè, che il cinema deve cercare di essere realista e soprattutto veicolare una nuova forma di umanesimo e di moralità.

Paola Dalla Torre

Era già nel nome: “Tree” chiamava Palma, e Palma è sta-ta. Chissà, si era già vociferato per la premiere ufficiale, se Terrence Malick fosse in sala in incognito, ma il pal-

co ha consegnato un’altra verità: a ritirare la Palma d’Oro i produttori e non il regista, come se fossimo agli Oscar e non al festival, il più grande del mondo, francese, e la Palma pre-miasse non l’occhio ma il portafoglio del miglior film. Para-dosso vero, perché in questa “Life” c’è molta, moltissima au-torialità e poca – nel senso castrante del termine – industria: film totale, cosmogonia demiurgica, creazione universale e insieme privata, addirittura esclusiva. Nella nostra redazio-ne c’è chi ha gridato al capolavoro – confortato da gran parte della stampa internazionale – e chi ha evidenziato le aporie del suo poetico massimalismo: hanno ragione i primi, alme-no così dice l’epilogo al “Gran Theatre Lumiere”.

Malick a parte, i mali tricolori. Sorrentino e Moretti a boc-ca asciutta, e spiace non solo per campanilismo: scorren-do il palmares, la loro presenza non sarebbe stata un corpo estraneo o illegittimo, tutt’altro. Eppure, sono fuori. Moretti non bissa la Palma di 10 anni fa, Sorrentino il Grand Prix del 2008: “La stanza del figlio” è nettamente inferiore ad “Habe-mus Papam”, ma vinse, “This Must Be The Place” non è risol-to come “Il Divo”, ma più ambizioso e complesso. Che dire, scherzi da festival? Nanni può consolarsi con i 36 Paesi che hanno acquistato il suo Papa, Paolo – per lui premio della Giuria Ecumenica – può guardare a un nuovo traguardo: gli Oscar, con Penn a fare gli onori di casa. Per ora, il “Sean was terrific” di De Niro.

Grand Prix ex-aequo ai Dardenne e il turco Ceylan, due ha-bitué della Croisette, e dei premi della Croisette: registi vin-centi quasi a prescindere, perché quest’anno “Il ragazzo con la bicicletta” non correva da solo, e neanche meglio di altri. Uno su tutti? Aki Kaurismaki, favorito e mazziato: Cannes non è “Le Havre”, che l’abbia fatto fuori la geografia? O la fol-lia, perché “Polisse” di Maiwenn – scenosa come poche sul

palco – tiene in Francia il riconoscimento della Giuria, men-tre la sceneggiatura va in Israele, al “Footnote” di Cedar, che meritava, per carità, ma possiamo spellarci le mani? Sì, con Nicolas Winding Refn che prende la regia per “Drive”: film di genere fatto da un autore, e che autore. Nel palmares di “Cannes 64”, il futuro è suo, anzi, il futuro è lui, e scommet-teremmo che tra De Niro, Thurman e Law è già gara per farsi dirigere dal genietto danese. Non l’unico sul palco: ha aleg-giato il fantasma di Von Trier, con la bella e “Melancholica” Kirsten Dunst miglior attrice. Altro che misogino, le donne le dirige da dio Lars, e se tacesse o si facesse curare meglio chis-sà la sua pasticca blu dove l’avremmo trovata. Applausi, i no-stri e in buona compagnia, anche per l’attore: Jean Dujardin è impalmato “The Artist”, dopo il Palme Dog al cagnino Uggy. Nulla da dire, se non gioire. Infine, plauso a “Cannes 64”, da Jacob a Fremaux fino alle maschere gentili, che guardano la bandierina sul badge e dicono “Buongiorno”: alta qualità sia in Concorso sia al Regard, un’annata più che buona se non ottima. Che poi le giurie non azzecchino tutto noi italiani lo sappiamo meglio di altri: vi ricordate Tarantino all’ultima Mostra?

Federico Pontiggia

festival di cannes Gli italiani tornano a mani vuote

Il portafoglio o l’occhio?Il Festival di Cannes ha celebrato il cinema italiano con

la consegna della Palma d'oro alla carriera a Bernardo Bertolucci. Un riconoscimento importante per uno dei registi italiani tra i più conosciuti all'estero, vincitore an-che del Premio Oscar per il suo "L'ultimo imperatore". Strana la carriera di Bertolucci, che parte come regista giovane e ribelle e diventa poi regista hollywoodiano di grandi film spettacolari, alternando sempre queste sue due anime. Negli anni Sessanta, con l'onda lunga della "Nouvelle Vague" che dalla Francia rivoluziona il cine-ma e con l'arrivo di tutte le contestazioni giovanili che sommergono e rivoltano l'Europa, Bertolucci esordisce con "La comare secca" (1962), pellicola che risente molto dell'influenza pasoliniana nello stile scarno, realistico e crudo.

Il primo vero film che lo fa conoscere, al pari del suo coetaneo Bellocchio, è "Prima della rivoluzione" (1964), che va anche al Festival di Cannes, dove viene ben ac-colto, a differenza dell'Italia dove invece la critica non gli risparmia nulla. Un film autobiografico, ambientato a Parma, liberamente tratto da "La certosa di Parma" di Stendhal, in cui Bertolucci racconta il disagio di un gio-vane borghese che cerca di emanciparsi dalla sua classe di appartenenza, che vuole ribellarsi, ma alla fine rima-ne condannato al suo stato e non riesce a fare la rivolu-zione, si ferma "prima della rivoluzione", appunto.

Il cinema di Bertolucci è fortemente legato ad un ni-chilismo di fondo, tipico della generazione di cineasti di cui fa parte, molto ideologico nella prima parte della carriera, più attento anche alla spiritualità nella seconda parte (l'avvicinamento al buddismo). Dall’attacco fronta-le all’uomo e alle istituzioni, al recupero della centralità dell’umanità, anche nella sua dimensione spirituale.

cannes Riconoscimento alla carriera

Premio a Bertolucci

Sport22 15 giugno 2011

GIOCHI DELLA GIOVENTù 2011 campo scuola di atletica “Montanile” una bella giornata di sport

Tutti protagonisti, nessuno escluso

Si espande l’inchiesta “calcio scommesse”, avviata con l’accusa di frode sportiva, e che ora sembra coinvol-gere 5 squadre di serie A (Roma, Fiorentina, Cagliari,

Lecce e Genoa) oltre a società e giocatori che militano nei campionati minori. Nei giorni scorsi sono finiti agli arresti 16 calciatori, tra cui l’ex azzurro Beppe Signori (ai domici-liari) e il portiere del Benevento Marco Paoloni (in carce-re). Sulla vicenda, il SIR ha chiesto un parere a Bruno Piz-zul, noto telecronista e commentatore sportivo.Negli ambienti calcistici c’era sentore di questo giro ille-cito di scommesse prima dell’inchiesta giudizia-ria?«C’era effettivamente la sensazione di qualcosa di poco pulito: troppe partite venivano individuate da-gli stessi bookmakers per puntate eccessive. D’altra parte le scommesse clan-destine, perlomeno nel calcio, sono una piaga che periodicamente si rinnova, una cattiva abitudine dalla quale in Italia non riuscia-mo a liberarci e che, peral-tro, trova riscontri anche all’estero: in Germania, Francia e Inghilterra, dove di tanto in tanto emergono situazioni con tesserati coinvolti». Quali sono gli “orizzonti” di questo malaffare?«È difficile individuare tutte le partite colpite, ma la sen-sazione è che ci siano parecchi giocatori coinvolti. Non va dimenticato il fatto che il calciatore, per la federazione ita-liana, in quanto tesserato non può scommettere. Pertanto già la scommessa, anche se condotta con canali leciti, è un comportamento deontologicamente scorretto. Ciono-nostante, c’è una tendenza diffusa a scommettere sulle partite. Questa vicenda è demoralizzante per il pessimo esempio che viene dato da calciatori professionisti, che finiscono per essere modello di riferimento per le giovani generazioni». È dunque un danno sul piano educativo?«Più volte diciamo che sarebbe auspicabile che lo sport fosse un’agenzia educativa, ma esempi così deleteri rendo-no estremamente problematica l’utilizzazione dello sport per la crescita, non solo agonistica ma anche morale e ci-vile, dei giovani».Oltre alle scommesse vietate stanno emergendo episo-di di corruzione o, addirittura, la somministrazione di sonnifero ai giocatori… Ma la rete criminale era davve-ro così potente?«Nelle situazioni in cui si è individuata l’ingerenza di que-sto sistema malavitoso molto spesso il disegno non è an-dato a buon fine. Questa non è una giustificazione, né eli-mina il problema, ma significa che era presente anche una dose di millantato credito, con personaggi che tessevano reti d’intrighi asserendo di avere il controllo delle squadre,

il che non era poi vero. Lo stesso Paoloni (il portiere che aveva usato il sonnifero, ora in carcere, ndr) ha racimolato un gruppo di scommettitori ma, per scommesse perse, alla fine si è indebitato pure lui e ha subito minacce».“Calciopoli”, “calcio-scommesse”, ultrà che provocano violenze. Periodicamente il pallone finisce al centro dell’attenzione per vicende che con lo sport non hanno nulla a che fare…«Non c’entrano con la cronaca sportiva, ma hanno a che fare con la società in cui viviamo: questo malcostume fa

particolarmente impressio-ne nello sport perché nel comune sentire dovrebbe essere caratterizzato da comportamenti virtuosi. In realtà il calcio risente delle storture e criticità della so-cietà nella quale è immer-so. Questo non è un alibi, ma solo denuncia un siste-ma incancrenito che, pur-troppo, trova riscontro an-che negli altri ambiti della nostra convivenza». C’è chi attribuisce queste “deviazioni” al giro di sol-

di che c’è attorno allo sport professionistico e, al contra-rio, chi denuncia episodi di squadre sull’orlo della ban-carotta e giocatori che non vengono pagati.«Da alcuni le scommesse sono state addirittura viste come una forma di auto-tutela per quei tesserati – che giocano nei campionati minori – senza stipendio per problemi fi-nanziari delle loro società… In realtà siamo ben lontani da una giustificazione, ma piuttosto questo è il segnale che il calcio italiano è sovradimensionato a livello professioni-stico. Abbiamo ben 134 società professionistiche, mentre realtà calcistiche ben sviluppate come quella spagnola o inglese hanno un terzo o un quarto delle nostre società. Il problema è articolato e complesso, fermo restando che in cima vi è l’integrità etica e morale dei singoli».Da ultimo, è possibile voltare pagina o ciclicamente sia-mo destinati a parlare di calcio non per lo sport, ma per la cronaca giudiziaria?«Non bisogna mai arrendersi, ma consideriamo che tra le connotazioni tipiche del mondo dell’agonismo c’è anche questa deriva che può intervenire nel momento in cui ci sono troppe attenzioni di carattere materiale, ovvero trop-pi soldi. È un problema vecchio come il mondo, denuncia-to già dal drammaturgo greco Euripide nel quinto secolo avanti Cristo. Laddove il risultato sportivo dà fama, ricchez-za, soldi ecc. scatta la tentazione di raggiungere l’obiettivo a qualsiasi costo, e magari adottare comportamenti truffal-dini. È un rischio congenito nell’organizzazione dello sport di vertice, perciò non si deve alzare bandiera bianca, ma al tempo stesso riconoscere le insidie e i pericoli».

Francesco Rossi

Il Campo Scuola di Atletica Leggera “Lu-cio Montanile” di Brindisi, in contrada Masseriola, ha ospitato anche quest’anno

la Festa di Sport “Giochi della Gioventù”, promossa dal Coni di Brindisi con il Patro-cinio dell’Unicef ed in collaborazione con il Ministero della Pubblica Istruzione, l’Ammi-nistrazione Provinciale, la Camera di Com-mercio ed i Comuni di Brindisi, Carovigno, Ceglie Messapica, Erchie, Fasano, Ostuni, San Pietro Vernotico, San Vito dei Normanni e Torre Santa Susanna.

Una festa celebrata all’insegna del motto “Tutti protagonisti, Nessuno escluso”, filo-sofia di fondo di questa manifestazione che anni fa vide proprio Brindisi sede di test.

Numerose le autorità civili, militari e re-ligiose presenti, tra le quali: il Sindaco di Brindisi On. Mennitti, l’Arcivescovo Mons. Talucci, il Prefetto di Brindisi Dott. Prete, il Questore Dott. Carella. Significativa la pre-senza di Giacomo Leone, Consigliere Na-zionale del Coni, che ha iniziato l’attività di atleta con i Giochi della Gioventù per poi emergere a livello Internazionale ed Olimpi-co.

Ad aprire la lunga teoria delle rappresenta-

tive delle scuole partecipanti, il tricolore ed i bandieroni del Coni e del Comitato Paralim-pico.

La sfilata è stata preceduta dalla Compa-gnia di sbandieratori e musici “I Carvinati” di Carovigno e chiusa dai giovanissimi atleti del gruppo “Rope Skipping” di San Vito dei Normanni, le cui esibizioni sono state parti-

colarmente apprezzate.Il saluto d’apertura è stato del Presidente

del Coni Provinciale, Dott. Nicola Cainazzo; sono seguiti quelli del Prof. Francesco Ca-pobianco, della Dott.ssa Maria Errico, del Prefetto Dott. Prete, dell’Arcivescovo Mons. Rocco Talucci e del Sindaco On. Domenico Mennitti,

Ad accendere il tripode due tedofori d’ecce-zione, gli studenti-atleti Andrea Basile (tito-lo italiano 80 ostacoli ai Giochi Sportivi Stu-denteschi) e Michele Scivales (titoli italiano ed europeo di pattinaggio corse 500 m).

Dopo i saluti, si sono svolte le gare cui han-no preso parte circa 1200 alunni-atleti pro-venienti dalle Scuole Secondarie di primo grado “Vinci-Alighieri”, “Kennedy-Mameli”, ”Marzabotto-Cesare”,“Pacuvio-Don Bo-sco” e ”Salvemini-Virgilio” di Brindisi, “Pascoli” di Ceglie Messapica, “Pascoli” di Erchie, ”Bianco” di Fasano, ”San Giovan-ni Bosco” di Ostuni, “Don Minzoni” di San Pietro Vernotico, ”Buonsanto-Meo” di San Vito dei Normanni e ”Mazzini” di Torre Santa Susanna.

Le premiazioni hanno suggellato una bel-lissima giornata di sport che, in sintesi, sarà possibile rivedere sul sito nazionale dei Gio-chi della Gioventù.

Grande soddisfazione per l’ottima riuscita dell’evento è stata espressa dal Presidente Provinciale del Coni che ha avuto parole di elogio e di gratitudine per tutti colori che hanno reso possibile questa bella giornata di sport.

L’incubo sembra non avere fine: dopo 5 anni da Calciopoli

riecco Scommessopoli, un nuovo gigantesco calderone di miserie da cui emergono illeciti, partite comprate e vendute, giocatori avidi, di-rigenti corrotti, con il solito contorno di ambienti ma-lavitosi e di patologie legate allo scommettere su tutto e su tutti.

Dalla procura di Cremona emerge un quadro devastan-te, anche se purtroppo già visto troppe volte: il denaro che entra a piedi uniti sullo sport, che ne cambia i con-notati, ne snatura la filosofia, fa prevalere interessi diversi rispetto alle logiche di cam-po, alle aspettative dei tifosi. Solo che stavolta si è passato il segno: gli inquirenti, che hanno passato al vaglio 50 mila intercettazioni, riferi-scono che c’era persino chi somministrava a compagni intrugli capaci di sopirne gli ardori, pur di poter arrivare ad alterare un certo risulta-to: pare sia successo durante l’intervallo di un Cremonese-Paganese, con ben 5 gioca-tori grigiorossi vittime di un compagno di squadra, con l’aggravante che uno di que-sti ha poi rischiato anche la propria incolumità, nel dopo partita, al volante di un’auto. Scenari inquietanti che per ora non riguardano, se non marginalmente, la grande ri-balta della Serie A, ma quelle inferiori, la B e la Lega Pro. Nel primo caso a rischiare sono ora proprio le due com-pagini che hanno raggiunto la promozione diretta: Ata-lanta e Siena; nel secondo caso, esiste una galassia di casi e di illeciti direttamente collegati a un calcio sull’orlo della bancarotta, con società in liquidazione, stipendi che vengono pagati con il con-tagocce e giocatori che per “arrotondare” non trovano

di meglio che addomesticare le partite. Tutto dovrà essere ampiamente provato, è ov-vio, ma il quadro è davvero desolante, con tesserati ed ex illustri come il vicecampione del mondo Beppe Signori in-vischiati in una vicenda gra-ve e pericolosa. Si scommet-teva di tutto e su tutto: non solo il risultato finale come accadde 31 anni fa durante il primo scandalo che trasci-nò in B Milan e Lazio, rovi-nando la reputazione ai vari Rossi, Giordano, Albertosi e Manfredonia.

Oggi si può scommettere sul numero di gol, il risultato del primo tempo, i marcato-ri e tutta una serie di varia-bili che per chi è malato di questi azzardi diventa una vera ossessione. Sono deci-ne i club coinvolti e, come sempre, l’auspicio sareb-be: pulizia, per ripartire da zero. Ma difficilmente sarà così, altrimenti la “purga” del 2006 qualche insegna-mento l’avrebbe lasciato. In-vece siamo punto e a capo, con interessi miliardari che continuano a minare la pu-lizia dello sport più bello del mondo e con il timore, or-mai fondato, che i nostri figli finiscano per disamorarsi, definitivamente del giocatto-lo, rotto ormai troppe volte e poi troppo maldestramente riparato.

Leo Gabbi

sCOmmEssE Ritorna un incubo

Fango in camposCOmmEssE A colloquio con il noto giornalista Bruno Pizzul

Non bisogna arrendersi mai

Accadde nel.... 2315 giugno 2011

L’attentato del 13 maggio 1981 a Papa Giovanni Paolo II

in piazza San Pietro, fece sì che il 15 successivo, 90° an-niversario dell’enciclica Re-rum Novarum, trascorresse senza celebrazione alcuna. Ma quell’evento così cruento ebbe solo l’effetto di rinviare al 14 settembre successivo la pubblicazione di un’enciclica già pronta, la Laborem exer-cens, la prima enciclica socia-le del papa polacco da poco Beato; quella che «come già la Redemptor hominis – lo ha scritto Guido Formigoni -, si rifà al collegamento tra mis-sione della Chiesa e centrali-tà dell’uomo».

L’enciclica vide la luce in un momento storico davve-ro particolare, nel corso del quale, in Italia assistiamo allo scandalo della loggia massonica P2 ed all’installazione degli euromissili a Comi-so, mentre guardando oltre i nostri confini, notiamo l’ingresso nella Cee della Grecia, la vittoria dei socialisti lì ed in Francia con Mitterand alla presidenza; l’assassinio di Sadat in Egitto con Mubarak che prende il potere, mentre in Libano si inasprisce la guerra civile, in Iran vengono finalmente liberati gli ostaggi americani, ed in Polo-nia il generale Jaruzelski attua un colpo di stato e dichiara fuori legge il sindacato So-lidarnosc.

Tante fibrillazioni, dunque, in quegli anni ’80, caratterizzati non solo dallo sviluppo delle multinazionali, che accentuano un neo-colonialismo economico, e dal divario tra il nord ed il sud del mondo che va au-mentando, ma anche caratterizzati dal de-grado della dignità dell’uomo, con il lavoro materiale che diventa una della tante com-ponenti della produzione; dall’accentuarsi del desiderio di partecipazione, da parte delle masse, a quelle che vengono chiama-te scelte di politica economica;dallo scon-tro tra modelli politico-economici, che di-venta meno ideologico e più economico, meno politico e più sociale, meno diffuso socialmente e più culturale. Insomma è più subdolo e variegato lo scontro tra mo-dello capitalista e modello collettivista, in quest’epoca definita della «de-ideologizza-zione», con la nascita di sindacati autono-mi e con «il mondo della produttività che diventa più pragmatico». E Giovanni Pao-lo II, in tutto ciò, notò un’incapacità delle classi dirigenti; vide come l’ingresso mas-siccio di tecnologie fosse inversamente proporzionale all’intensificarsi delle ide-ologie ed in questa grande problematica egli vuole arrivare al centro della persona umana: alla dignità dell’uomo.

Ecco perché il primo punto dell’enciclica su cui riflettere è la «dignità dell’uomo che lavora», con il lavoro che è diritto da espri-mersi «tra i diritti fondamentali dell’uo-mo». Non solo: il Papa offri una rilettura attualizzata del conflitto tra capitalismo e collettivismo, nonché riflessioni sul diritto di proprietà e sul suo uso in quella tempe-rie. «Si immagina il superamento della lot-ta tra capitale e lavoro e vengono elabora-re le proposte riguardanti la proprietà dei mezzi di lavoro – è stato osservato -. E si

espone, allora, una prospettiva sociale co-munitaria e si parla del cosiddetto “aziona-riato del lavoro”», con un invito alla ricerca e alla riproposizione nella spiritualità del lavoro.

Gli insegnamenti? Il primo è che l’esse-re umano è, e deve essere sempre, il sog-getto del lavoro, che serve a definire la dignità personale di ciascuno. Ancora: il lavoro consolida la ricchezza di una socie-tà e ciò significa che il capitale resta fun-zione strumentale, mentre la proprietà è subordinata nel suo uso alla realizzazione del bene comune. Va poi ricordato il nes-so tra lavoro e emigrazione, perché vi è il diritto di lasciare il proprio paese di origi-ne per raggiungerne altri onde migliorare le condizioni di vita e di lavoro. «Nessun popolo o ordinamento può e deve limita-re in modo discriminatorio la circolazione di persone appartenenti a culture ed etnie se si ha l’obiettivo di migliorare le proprie condizioni di lavoro», è stato autorevol-mente scritto.

È documento interessantissimo, dunque, quello pubblicato da papa Wojtyla, che ri-leggeva la Rerum novarum a 90 anni dalla sua pubblicazione. E se papa Benedetto XVI la richiama ben 4 volte nella sua Cari-tas in veritate, significa che il solco lascia-to è di tutta evidenza. «La dottrina sociale della Chiesa illumina con una luce che non muta i problemi sempre nuovi che emergono. Ciò salvaguarda il carattere sia permanente che storico di questo “patri-monio” dottrinale», dice papa Ratzinger (n. 3), mentre ricorda come l’imprenditoriali-tà, sia « inscritta in ogni lavoro, visto come “actus personae” » (24), e come «i poveri in molti casi sono il risultato della violazione della dignità del lavoro umano, sia perché ne vengono limitate le possibilità (disoc-cupazione, sotto-occupazione), sia perché vengono svalutati “i diritti che da esso sca-turiscono, specialmente il diritto al giusto salario, alla sicurezza della persona del lavoratore e della sua famiglia”»(n.8). La persona al centro, dunque. Ecco perché «la tecnica è l’aspetto oggettivo dell’agire umano, la cui origine e ragion d’essere sta nell’elemento soggettivo: l’uomo che ope-ra. Per questo la tecnica non è mai solo tecnica» (n.5). Più chiari di così…

Angelo Sconosciuto

LABOREM EXERCENS (1981)

Esattamente cento anni fa, si celebra-va la prima giornata

della donna. Era il 19 mar-zo 1911 e quel giorno pas-sò alla storia. Fu il giorno in cui con decisione e co-raggio le donne sfidarono le istituzioni, la cultura e il pensiero comune, e venne-ro organizzati incontri e ri-unioni in ogni città grande e piccola della Danimarca, Germania, Svizzera e Au-stria, diffusi attraverso il passaparola e propaganda-ti porta a porta. Quello che le donne rivendicavano non era solamente il dirit-to al voto, ma anche quello alla formazione professio-nale ed a un lavoro non discriminante. A meno di una settimana da quella memorabile giornata, in un tremendo incendio nel-la fabbrica Triangle di New York persero la vita più di 140 ragazze lavoratrici, la mag-gior parte immigrate italiane ed ebree.

Per la costruzione della giornata dell’8 marzo era stata fondamentale la secon-da Conferenza Internazionale del lavoro delle donne, tenutasi l’anno prima a Co-penaghen; in tale occasione fu la sociali-sta e femminista Clara Zetkin a suggerire l’idea di un International Women Day. La sua figura, seppur spesso non convenzio-nale all’interno del panorama femminista dell’epoca, ha lasciato contribuiti fonda-mentali nell’aver saputo legare il discorso sul socialismo a quello delle rivendicazio-ni delle donne. Da una parte il socialismo della Zetkin dall’altra il cattolicesimo di Maria Fanny Tanzarella Panese, una figura ostunese a cavallo di due secoli o meglio due ere della storia delle donne: l’era della sottomissione e delle dimensioni ristrette e l’epoca dell’autonomia economica e giuri-dica, l’era del positivismo e dell’anticleria-lismo e l’era in cui grandi esponenti della cultura cattolica cercavano di ricostruire una nuova Italia. Nell’Italia tra le due guer-re, periodo di trasformazione, tanto più difficile quanto più radicale, Maria Tanza-rella era dirigente dell’Azione Cattolica e soprattutto segretaria di propaganda per l’arcidiocesi di Brindisi. Era collaboratrice de “L’Osservatorio” e de “Lo Scudo”, stori-co periodico cattolico ostunese, al quale collaborò fino a qualche mese prima della morte, avvenuta il 22 aprile 1981. Già nel 1924 il dibattito sul “problema femmini-le” trovava spazio nelle pagine dello “Lo Scudo” dove particolare risalto era dato alla “formazione morale della donna” che “biologicamente, psicologicamente, sto-ricamente, sociologicamente, filosofica-mente è ordinata alla famiglia nella quale ha una funzione specifica: la maternità per l’allevamento e l’educazione dei figli”. Maria Tanzarella si espresse ampiamente sull’argomento in un discorso scritto per la Settimana delle Donne tenutasi a Bari nel 1938 e conservato nella Biblioteca Pubbli-ca Arcivescovile “A. De Leo”. Si tratta di un testo ricco di citazioni ma assolutamente lontano dalla retorica di quegli anni. L’in-cisività della parola e la brevità delle frasi aiutano il lettore a focalizzare immediata-

mente il senso del discorso, ovvero quello di segnalare come la donna non abbia “un posto nella vita non (abbia) influenza nella famiglia, nella società, non (abbia) autori-tà, non (abbia) prestigio nulla nulla”, come se fosse “una bestia senza origine e senza destino perché un destino non sa di aver-lo”. Proprio questa profonda consapevo-lezza spinge Maria Tanzarella a reclamare una “santa libertà di creature libere; libere dalla colpa che ci fa schiave; da pregiudizi che ci rendono infelici; dal peso delle tra-dizioni che ci offuscano lo sguardo; e im-pediscono di slanciaci verso l’infinito”.

Sull’esempio della Barelli, la Tanzarella come molte altre donne del Nord e soprat-tutto quelle del Sud, non abituate ad uscire di casa, si buttarono nell’azione, rompen-do schemi rigidi a cui la cultura le aveva assoggettate. La Barelli insegnava loro a stare davanti alle autorità civili e religiose con dignità, vincendo timidezze e paure, senza presunzioni e disobbedienze, ma con la forza dettata dalla consapevolezza della necessità di percorrere strade nuove nell’educazione, nell’annuncio del Van-gelo, nella carità. La Barelli chiamò a col-laborare tutti i ceti: dalle ragazze borghesi alle contadine. Le invitava ad uscire, tal-volta a lasciare la famiglia; alcune sareb-bero andate a vivere a Milano, sede allora della nascente associazione della Gioven-tù Femminile. Tra tutte Donna Maria capì e abbracciò con slancio la novità di vita proposta: sapeva leggere e scrivere (occor-re tener presente il grande tasso di anal-fabetismo soprattutto riferito alle donne) per seguire quanto la Barelli le insegnava e per studiare sui testi che l’associazio-ne proponeva. È una rivoluzione pacifica l’emancipazione personale, la scoperta della propria storia e della propria vita in dimensione diversa da quella tradizionale. Tutto ciò favorì anche un fenomeno mol-to singolare: un rapporto fra ceti diversi, tra culture diverse, tra regioni e situazioni diverse che creò una vera “sorellanza”, vis-suta nella profonda formazione religiosa o politica, nella dedizione agli ideali e nel servizio: “Dall’Alpe nevosa all’isola arden-te...” canteranno le giovani.

Katiuscia Di Rocco

LA PRIMA GIORNATA DELLA DONNA (1911)

Giovanni Paolo II alla Fincantieri di Castellamare (1992) Maria Fanny Tanzarella Panese