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Anno XXXIV 5 15 Maggio 2011 € 1,00 Redazione: piazza Duomo, 12 Brindisi E-mail: [email protected] tel. 340.2684464 | fax 0831.524296 Spedizione in A.P. - art. 2 - c.20 - L.662/96 3° Convegno ecclesiale regionale Dal 27 al 30 aprile 2011, trecentocinquanta delegati e i vescovi delle diciannove diocesi pugliesi si sono riuniti a San Giovanni Rotondo, presso il Centro di spiritualità “Padre Pio”, per partecipare al 3° Convegno ecclesiale regionale sul tema: “I laici nella Chiesa e nella società pugliese, oggi”. Nutrita anche la rappresentanza della nostra diocesi, che ha preso parte ai lavori con i suoi 20 delegati, tra laici , seminaristi e sacerdoti, guidati da Sua Eccellenza l’Arcivescovo, Mons. Rocco Talucci. Ampio resoconto alle pagine 11-14 Abbiamo un Santo in Paradiso Angelo Sconosciuto Q uesta non è metafora: «Abbiamo un santo in Paradiso!». Non che pri- ma non ne avessimo, ma il Beato Giovanni Paolo II, lo abbiamo conosciuto eccome; magari lo abbiamo anche sfiorato, perchè non vi è stato uomo che abbia incontrato più persone di lui. Possiamo dire che davvero ci ha chiamati per nome, dimostran- doci che quel filo di amore tra l’uomo e Dio non si è mai inter- rotto, tanto da fargli affermare: «Egli sta cercando voi», invitan- doci a lasciare «che lo Spirito parli al... cuore». Il costruttore di ponti tra il cielo e la terra ora è Beato: non gioisce solo la Chiesa; ciascuno di noi sente ancora questo forte lega- me, avverte le parole: «Coraggio, la santità è possibile, è possibile in qualunque situazione, no- nostante i condizionamenti del male. Alla crisi del nostro tempo può dare una risposta adeguata solo una grande fioritura di san- tità». Egli non ci ha indicato una via facile, ma una via possibile, una ricerca da percorrere con fede e ragione. Una ricerca a piccoli passi, perchè «ogni verità rag- giunta è sempre solo una tappa verso quella piena verità che si manifesterà nella rivelazione ultima di Dio»; una ricerca con l’animo del bimbo capace di stu- pirsi anche delle piccole cose e di guardarle a fondo, perchè «sen- za meraviglia l’uomo cadrebbe nella ripetitività» e perchè «lo stolto... si illude di conoscere molte cose, ma in realtà non è capace di fissare lo sguardo su quelle essenziali». I biografi hanno scritto che non ha mai pensato di essere stato il protagonista di tanti cambiamenti nel mondo. Attri- buiva ad Altri quest’opera. Sa- peva però dell’amore che all’uo- mo era riservato e che «l’uomo non è fatto per vivere solo». Da soli ci si dispera e ci ha avvertito che «una delle maggiori minac- ce è la tentazione della dispera- zione». Del resto, è la P(p)arola che fa l’uomo un essere unico. E attraverso di essa che si giun- ge alla verità e questa – ce lo ha ricordato - «non può essere che una sola»: quel Cristo immagi- ne visibile di Dio,«sintesi viva e personale della perfetta libertà nell’obbedienza totale alla vo- lontà di Dio». EDITORIALE Un gigante della fede Servizi alle pagg. 2-3 Vita Diocesana Ad Ostuni la Giornata diocesana delle Caritas parrocchiali A pagina 4 Aggiornamento clero I valori e gli aspetti del Sovvenire Nostra intervista a mons. Vittorio Peri A pagina 5 Chiesa & Arte Riaperta al culto la splendida chiesa Santa Maria degli Angeli A pagina 15 Giustizia è fatta Ma la giustizia é altra cosa L a notizia è pesante. L’uccisio- ne di Osama Bin Laden non è un fatto irrilevante nel panorama internazionale. Ma il modo in cui è stata raccontata e commentata suscita un grave malessere. Non ci riferiamo ai sospetti avanzati da qualcuno sulla fretta con cui il corpo di Osama è stato sottratto a osservatori e fedeli. È del tutto comprensibile la preoccupazione Usa di evitare ogni possibile spun- to per facilitare la trasformazione in martire di chi fu assassino. Le immagini della salma, così come un luogo fisico di sepoltura, po- tevano diventare simboli da usare e frequentare per dare ossigeno a chi è drogato dalla violenza. Per questo sono state negate le foto e il corpo è stato ‘sepolto’ in mare, assicurando il rispetto dei riti fu- nerari musulmani. Consapevole che la vicenda Osa- ma è soprattutto una questione di comunicazione, la presidenza Usa ha curato nei minimi dettagli – certamente da tempo – annun- cio e gesti legati alla morte di Bin Laden. Le ragioni del malessere stanno in una frase del discorso di Oba- ma, che ha sì ottenuto il consenso degli esponenti del partito repub- blicano, ma che ha suscitato i bri- vidi in milioni di ascoltatori in tut- to il mondo. Obama si staglia, per statura politica e morale, molto al di sopra degli altri attuali leader internazionali. Ma affermare che “giustizia è fatta” dopo aver ucciso un uomo non è accettabile. Nessu- no vuole proporre angelismi, è del tutto chiaro che la morte di Osa- ma fosse nelle prospettive possibi- li dell’azione Usa. La violenza e la morte dell’altro fanno parte – pur- troppo – della storia dell’uomo. Un padre non rimane inerme se stanno violentando sua figlia. Ma la giustizia è altra cosa. È creare e alimentare quotidianamente rela- zioni umanizzanti, che promuovo- no la vita, non la violano. I citta- dini Usa che hanno manifestato in festa si compiacevano del dolore altrui, che non restituisce nulla e se mai alimenta nuovo rancore e nuove vendette. Ce lo hanno inse- gnato bene in Sud Africa, dove vit- time e carnefici hanno confessato e pianto insieme il loro dolore. Quella è vera giustizia. Spiace che quella categoria, politicamente fondamentale, venga mistifica- ta da chi sa che quando parla ha responsabilità mondiali. Non solo politiche, ma anche educative.

Angelo Sconosciuto A pagina Un gigante della fede · l’animo del bimbo capace di stu-pirsi anche delle piccole cose e di guardarle a fondo, perchè «sen - za meraviglia l’uomo

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Page 1: Angelo Sconosciuto A pagina Un gigante della fede · l’animo del bimbo capace di stu-pirsi anche delle piccole cose e di guardarle a fondo, perchè «sen - za meraviglia l’uomo

Anno XXXIV n° 5 15 Maggio 2011 € 1,00Redazione: piazza Duomo, 12 Brindisi

E-mail: [email protected]. 340.2684464 | fax 0831.524296 Spedizione in A.P. - art. 2 - c.20 - L.662/96

3° Convegno ecclesiale regionale

Dal 27 al 30 aprile 2011, trecentocinquanta delegati e i vescovi delle diciannove diocesi pugliesi si sono riuniti a San Giovanni Rotondo, presso il Centro di spiritualità “Padre Pio”, per partecipare al 3° Convegno ecclesiale regionale sul tema: “I laici nella Chiesa e nella società pugliese, oggi”. Nutrita anche la rappresentanza della nostra diocesi, che ha preso parte ai lavori con i suoi 20 delegati, tra laici , seminaristi e sacerdoti, guidati da Sua Eccellenza l’Arcivescovo, Mons. Rocco Talucci.

Ampio resoconto alle pagine 11-14

Abbiamoun Santoin Paradiso

Angelo Sconosciuto

Q uesta non è metafora: «Abbiamo un santo in Paradiso!». Non che pri-

ma non ne avessimo, ma il Beato Giovanni Paolo II, lo abbiamo conosciuto eccome; magari lo abbiamo anche sfiorato, perchè non vi è stato uomo che abbia incontrato più persone di lui. Possiamo dire che davvero ci ha chiamati per nome, dimostran-doci che quel filo di amore tra l’uomo e Dio non si è mai inter-rotto, tanto da fargli affermare: «Egli sta cercando voi», invitan-doci a lasciare «che lo Spirito parli al... cuore».

Il costruttore di ponti tra il cielo e la terra ora è Beato: non gioisce solo la Chiesa; ciascuno di noi sente ancora questo forte lega-me, avverte le parole: «Coraggio, la santità è possibile, è possibile in qualunque situazione, no-nostante i condizionamenti del male. Alla crisi del nostro tempo può dare una risposta adeguata solo una grande fioritura di san-tità».

Egli non ci ha indicato una via facile, ma una via possibile, una ricerca da percorrere con fede e ragione. Una ricerca a piccoli passi, perchè «ogni verità rag-giunta è sempre solo una tappa verso quella piena verità che si manifesterà nella rivelazione ultima di Dio»; una ricerca con l’animo del bimbo capace di stu-pirsi anche delle piccole cose e di guardarle a fondo, perchè «sen-za meraviglia l’uomo cadrebbe nella ripetitività» e perchè «lo stolto... si illude di conoscere molte cose, ma in realtà non è capace di fissare lo sguardo su quelle essenziali».

I biografi hanno scritto che non ha mai pensato di essere stato il protagonista di tanti cambiamenti nel mondo. Attri-buiva ad Altri quest’opera. Sa-peva però dell’amore che all’uo-mo era riservato e che «l’uomo non è fatto per vivere solo». Da soli ci si dispera e ci ha avvertito che «una delle maggiori minac-ce è la tentazione della dispera-zione». Del resto, è la P(p)arola che fa l’uomo un essere unico. E attraverso di essa che si giun-ge alla verità e questa – ce lo ha ricordato - «non può essere che una sola»: quel Cristo immagi-ne visibile di Dio,«sintesi viva e personale della perfetta libertà nell’obbedienza totale alla vo-lontà di Dio».

editoriale

Un gigante della fede

Servizi alle pagg. 2-3

Vita Diocesana

Ad Ostuni la Giornata diocesana delle Caritas parrocchiali

A pagina 4

Aggiornamento clero

I valori e gli aspettidel SovvenireNostra intervista a mons. Vittorio Peri

A pagina 5

Chiesa & Arte

Riaperta al culto la splendida chiesa Santa Maria degli Angeli

A pagina 15

Giustizia è fattaMa la giustizia

é altra cosa

La notizia è pesante. L’uccisio-ne di Osama Bin Laden non è

un fatto irrilevante nel panorama internazionale. Ma il modo in cui è stata raccontata e commentata suscita un grave malessere. Non ci riferiamo ai sospetti avanzati da qualcuno sulla fretta con cui il corpo di Osama è stato sottratto a osservatori e fedeli. È del tutto comprensibile la preoccupazione Usa di evitare ogni possibile spun-to per facilitare la trasformazione in martire di chi fu assassino. Le immagini della salma, così come un luogo fisico di sepoltura, po-tevano diventare simboli da usare e frequentare per dare ossigeno a

chi è drogato dalla violenza. Per questo sono state negate le foto e il corpo è stato ‘sepolto’ in mare, assicurando il rispetto dei riti fu-nerari musulmani.

Consapevole che la vicenda Osa-ma è soprattutto una questione di comunicazione, la presidenza Usa ha curato nei minimi dettagli – certamente da tempo – annun-cio e gesti legati alla morte di Bin Laden.

Le ragioni del malessere stanno in una frase del discorso di Oba-ma, che ha sì ottenuto il consenso degli esponenti del partito repub-blicano, ma che ha suscitato i bri-vidi in milioni di ascoltatori in tut-to il mondo. Obama si staglia, per statura politica e morale, molto al di sopra degli altri attuali leader internazionali. Ma affermare che “giustizia è fatta” dopo aver ucciso un uomo non è accettabile. Nessu-

no vuole proporre angelismi, è del tutto chiaro che la morte di Osa-ma fosse nelle prospettive possibi-li dell’azione Usa. La violenza e la morte dell’altro fanno parte – pur-troppo – della storia dell’uomo. Un padre non rimane inerme se stanno violentando sua figlia. Ma la giustizia è altra cosa. È creare e alimentare quotidianamente rela-zioni umanizzanti, che promuovo-no la vita, non la violano. I citta-dini Usa che hanno manifestato in festa si compiacevano del dolore altrui, che non restituisce nulla e se mai alimenta nuovo rancore e nuove vendette. Ce lo hanno inse-gnato bene in Sud Africa, dove vit-time e carnefici hanno confessato e pianto insieme il loro dolore. Quella è vera giustizia. Spiace che quella categoria, politicamente fondamentale, venga mistifica-ta da chi sa che quando parla ha

responsabilità mondiali. Non solo politiche, ma anche educative.

Page 2: Angelo Sconosciuto A pagina Un gigante della fede · l’animo del bimbo capace di stu-pirsi anche delle piccole cose e di guardarle a fondo, perchè «sen - za meraviglia l’uomo

Primo Piano2 15 maggio 2011 Primo Piano 315 maggio 2011

Parlano lingue diverse; sono volti giovani e meno giovani; portano scarpe da ginnastica, sandali da

frate, jeans e un velo da monaca. Non esistono differenze tra loro perché chi li ha convocati in piazza San Pietro è il Papa che ha detto loro di non aver pau-ra. Sono passati sei anni e 29 giorni dal-la morte – dal passaggio “di vita in vita” – di Giovanni Paolo II. E loro sono tor-nati con i sacchi a pelo, con le bandiere; con i loro canti e con la loro gioia. L’abbraccio delle colonne berniniane fa fatica a contenerli e così ec-coli lungo via della Concilia-zione, al Circo Massimo.

«Tante volte ci hai benedet-to in questa piazza dal Palaz-zo. Oggi, ti preghiamo: Santo Padre, ci benedica.» Benedet-to XVI aggiunge queste pa-role al testo scritto della sua omelia per la messa di bea-tificazione di Giovanni Paolo II. Raccoglie così il pensiero e il desiderio di quanti sono venuti per ricordare il Papa venuto da un Paese lontano. Oggi è il successore di papa Wojtyla ed è sta-to uno dei più stretti collaboratori del nuovo Beato: «Per 23 anni ho potuto stargli vicino e venerare sempre più la sua persona». E già in quella parola si respira quel «profumo di santità» che aleggiava fin dal giorno dei funerali, con quel grido prolungato venuto dalla piazza: santo subito.

C’è una novantina di delegazioni uffi-ciali: re, principi, capi di Stato e di go-verno, politici e ambasciatori. Ma c’è soprattutto il popolo di papa Wojtyla, quanti lo hanno accompagnato pelle-grino per le strade del mondo; accolto nelle piazze e nelle chiese. Quanti han-no sofferto e pregato nei giorni dei rico-veri al Gemelli, e quanti hanno pianto in quella sera del 2 aprile 2005: «Pro-fondo era il dolore per la perdita, ma

più grande ancora era il senso di una immensa grazia che avvolgeva Roma e il mondo intero: la grazia che era come il frutto dell’intera vita del mio amato predecessore, e specialmente della sua testimonianza nella sofferenza».

È la domenica della Divina Misericor-dia, la festa che proprio papa Wojtyla ha voluto introdurre nel giorno in cui la Chiesa ricorda la prima domenica dopo

Pasqua, la domenica in albis. Ed è nei primi vespri della Divina Misericordia che Giovanni Paolo II si è spento, alle 21.37 di 6 anni fa. «Ed ecco che il giorno atteso è arrivato; è arrivato presto, per-ché così è piaciuto al Signore: Giovanni Paolo II è Beato». Lui, il Papa che nella storia della Chiesa ha elevato agli onori degli altari il maggior numero di Bea-ti e Santi, è entrato a pieno titolo nella schiera di coloro che ci ricordano «con forza la vocazione universale alla misu-ra alta della vita cristiana, alla santità».

Inizia il suo ministero di pastore uni-versale, chiamato ad accompagnare la Chiesa nel terzo millennio, portando-si dietro una duplice riflessione: da un lato, l’idea che l’Europa dovesse essere una, unita dall’Atlantico agli Urali; la seconda, che il confronto tra marxi-smo e cristianesimo dovesse essere in-

centrato sull’uomo. È in questa logica che va letto il primo grande appello di papa Wojtyla, pronunciato nel gior-no d’inizio pontificato: “Non abbiate paura. Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo”. Commenta papa Benedetto: «Quello che il neo-eletto Papa chiedeva a tutti, egli stesso lo ha fatto per primo: ha aperto a Cristo la società, la cultura, i sistemi politici ed economici, inverten-

do con la forza di un gigante – forza che gli veniva da Dio – una tendenza che poteva sembrare irreversibile». Lui, figlio della nazione polacca, «ha aiutato i cristiani di tutto il mondo a non avere paura di dirsi cristiani, di apparte-nere alla Chiesa, di parlare del Vangelo. In una parola: ci ha aiutato a non avere paura della verità, perché la verità è garanzia della libertà».

Di più : «Quella carica di speranza che era stata ceduta in qualche modo al marxismo e all’ideologia del progresso, egli l’ha legittimamente ri-

vendicata al cristianesimo, restituendo-le la fisionomia autentica della speran-za, da vivere nella storia con uno spirito di avvento, in un’esistenza personale e comunitaria orientata a Cristo, pienez-za dell’uomo e compimento delle sue attese di giustizia e di pace».

Ricorda infine Benedetto XVI i giorni della sofferenza e della malattia di papa Wojtyla e dice: «Il Signore lo ha spoglia-to pian piano di tutto, ma egli è rimasto sempre una roccia». E proprio la sua «profonda umiltà, radicata nell’intima unione con Cristo, gli ha permesso di continuare a guidare la Chiesa e a dare al mondo un messaggio ancora più elo-quente proprio nel tempo in cui le forze fisiche gli venivano meno».

Fabio Zavattaro

Domenica 1 maggio, Benedetto XVI ha iscritto nell’albo dei beati il servo di Dio Giovanni Paolo II, un gigante

della fede del nostro tempo, che ha segnato il cammino della Chiesa e non solo.

A Roma oltre un milione di pellegrini hanno vissuto con fede la celebrazione eucaristica in cui Karol Wojtyla è sta-to elevato alla gloria degli altari e ad Ostuni è stato orga-nizzato, nella serata del 1 maggio presso il Teatro Roma, un momento di festa per «prolungare nella nostra città la gioia della mattinata vissuta in piazza San Pietro da tutta la cristianità», come ha sottolineato nel suo intervento don Franco Blasi, presidente della Fondazione “Madonna Pelle-grina”, promotrice dell’evento.

La serata, che ci ha fatto rivivere ricordi ed emozioni intense legate a Giovanni Paolo, è stata presentata dal giornalista Francesco Roma ed animata dai wakeup gospel project di Martina Franca. Il coro, diretto dal Maestro Gra-ziano Leserri, è nato nel 2005 e si è subito affermato come nuova e travolgente realtà italiana della Gospel Music. L’energia vitale della lode, del canto e della musica rende le loro performance davvero uniche.

Si sono poi alternate le immagini, i filmati e i brani più significativi del Beato, tra cui quelli che mostrano l’intimo rapporto del Papa con la Madonna di Fatima e la Madonna Nera di Czestochowa, letti da Antonella Colucci con sotto-fondo musicale curato da Giovanni Francioso.

All’amore di Giovanni Paolo II per l’estetica e lo sport, ci hanno riportato le coreografie eseguite dalle ragazze del

“Laboratorio del benessere” di Angelo Cisternino.I bambini del Cif, intitolato dal 2005 a Giovanni Paolo II,

con semplici parole hanno espresso il loro affetto verso Ka-rol Wojtyla, ricambiando quella speciale attenzione che il Papa ha sempre manifestato con parole e gesti, ancor più eloquenti, nei confronti dei bambini di tutto il mondo.

Ma sappiamo, anche, che questo Papa Santo si è fatto tutto a tutti, soprattutto, giovane con i giovani. È stata la sua stessa vita a rendere così affascinante il suo invito ai giovani di tutto il mondo ad una radicale sequela di Cristo, quale unico vero senso della vita di ogni persona. Questa la testimonianza di tre giovani donne, che hanno incontro Giovanni Paolo durante la Giornata Mondiale della gioven-tù organizzata nel 2000 a Roma e che nel corso della sera-ta sono state intervistate da Francesco Roma.

Anche il nostro Padre Arcivescovo, pur essendo impegna-to per la beatificazione della mattina, ha voluto essere pre-sente inviando un video messaggio da Roma, per ricordare l’affetto e il legame con il Papa che lo ha elevato alla di-gnità episcopale e che ha invitato ogni uomo ad “aprire le porte a Cristo”.

La comunità civile nella persona del Sindaco, Domenico Tanzarella, ha voluto ricordare il Papa vicino ai lavoratori e a tutti gli uomini di buona volontà, scegliendo di intitolare il Largo Concattedrale a Giovanni Paolo II.

Sulle note di “Resta qui con noi” si è conclusa la serata, che non è stata un semplice spettacolo, ma una vera festa, un momento vivo, segno della forza e della presenza di

Giovanni Paolo II, che nella comunione dei santi è sempre con noi.

Agnese Galiano e Nicola Moro

festa� Iniziativa della Fondazione “Madonna Pellegrina”

Ostuni celebra Giovanni Paolo II beato

“Giovanni Paolo II è beato!”. L’escla-mazione di Benedetto XVI, nell’omelia della Messa di bea-

tificazione celebrata domenica 1° maggio in piazza San Pietro, è stata accolta da un fra-goroso applauso che si è levato dalla piazza e da via della Conciliazione, gremite di pelle-grini convenuti per l’occasione. Un milione, diranno i dati ufficiali, mentre 200 mila sono stati coloro che hanno partecipato, la sera prima, alla veglia di preghiera al Circo Mas-simo. Da oggi in poi, ha stabilito il Papa reci-tando in latino la formula di beatificazione, il 22 ottobre sarà la festa liturgica dedicata al beato Wojtyla.

Un abbraccio mondiale. A precedere la beatificazione, sabato sera, è stata la veglia di preghiera al Circo Massimo, centro di “un abbraccio mondiale”. Trasmessa in ol-tre cento Paesi, ha visto partecipi in maniera particolare cinque santuari mariani – il san-tuario Lagiewniki della Divina Misericordia a Cracovia (Polonia), Notre Dame du Leba-non – Harissa a Beirut (Libano), il Santuario di Kawekamo a Dodoma (Tanzania), Sancta Maria de Guadalupe in Messico e il Santua-rio di Fatima (Portogallo) – dai quali sono stati recitati i cinque “misteri della luce” del rosario, quelli voluti da papa Wojtyla.

Testimonianze e preghiera. L’esempio e la

spiritualità del Papa beato hanno fatto da filo conduttore alla serata, prima con alcune te-stimonianze, poi con la preghiera del rosario, conclusa con la benedizione impartita, attra-verso un videomessaggio, da Benedetto XVI. Joaquin Navarro-Valls, per ventun’anni diret-tore della Sala Stampa vaticana, ha sottoline-ato come il pontefice ricorresse settimanal-mente al sacramento della riconciliazione. Mentre la preghiera «per lui era un bisogno» e non «un obbligo». «Vederlo pregare era ve-derlo parlare con Dio». E nella sua preghiera riversava le preghiere e le richieste d’inter-cessione del mondo: «Riceveva migliaia di lettere da tutto il mondo» e «nutriva la sua preghiera dei bisogni degli altri». Suor Marie Simon-Pierre, miracolosamente guarita da papa Wojtyla, ha raccontato la sua vicenda vedendo in Giovanni Paolo II «un pastore secondo il cuore di Dio», «vicino a tutti, dal più debole al malato, fino al più piccolo della terra». «Tanta è la commozione», ha aggiun-to il card. Stanislaw Dziwisz, ora arcivescovo di Cracovia e per 40 anni a fianco di Karol Wojtyla come suo segretario particolare. Tra i tratti caratteristici del Papa il porporato ha ricordato il silenzio, la preghiera (“pregare per Giovanni Paolo II era respirare”) e l’au-tenticità, «corrispondenza tra ciò che diceva e ciò che viveva».

La� CRONa�Ca� Tra sabato 30 aprile e il 1° maggio

Il profumo di Dio in mezzo a noi

I l passaggio da un secolo all’altro è sem-pre passaggio epocale, apre una nuova dimensione nella storia, propone di-

namiche inedite, giovani volti si affacciano e raccolgono il testimone per portare avanti l’umanità: verso dove? Verso chi?Una constatazione che deve trasformarsi nell’assunzione esplicita di una responsa-bilità storica e umana, perché altrimenti risulta solo passaggio convenzionale, ob-bligato.“Stare sulla soglia della speranza” ci ha insegnato il neo Beato Giovanni Paolo II e ci ha pure consegnato un “come” che può tradursi in vita quotidiana, essere as-similato passo dopo passo.Papa Benedetto, nel suo dire piano e in-cisivo, invita “all’indicativo”, cioè ad as-sumere quel vigore che emanava dalla testimonianza dell’uomo polacco Karol Wojtyla che visse i tempi oscuri della II guerra mondiale, della persecuzione nazi-sta e il crogiolo del marxismo e, forse pro-prio per questa sofferta esperienza, non si smarriva in analisi trite e inutili ma pun-tava diritto al “dove” della sorgente: Gesù Cristo, nostra speranza. Solo guardando a Lui si può “vivere nella storia con uno spirito di ‘avvento’” e, allora, fiorisce: “Pienezza dell’uomo e compimento delle sue attese di giustizia e di pace”.Chi sta sulla soglia può gettare uno sguar-do al passato, coglie il presente ma già si sente proiettato nel futuro, Giovanni Pao-lo II visse questa triplice dimensione: rac-colse tutta l’eredità della Chiesa, il gran-de lavoro dello Spirito con il Vaticano II ma gettò, simultaneamente, le basi di un futuro, di un tempo in cui rimanere pro-tesi in attesa, in ascolto. Posture tipiche e ineludibili del cristiano ma, soprattutto, di ogni prete, orante, sollecitato e dolente per i gravi problemi che affliggono l’uma-nità, e che non li sfugga da struzzo, ma sia disposto a “diventare un tutt’uno con quel Gesù, che quotidianamente riceve e

offre nell’Eucaristia”.È la fede, quindi, il perno che consente e fonda lo stare sulla soglia, quell’adesio-ne profonda che sa e vuole pronunciare un “Amen” al Padre nell’“Amen” che è Gesù Cristo, sempre all’indicativo e non all’esortativo: “Così è!”.“Amen” pronunciato non come una qual-siasi parola di circostanza o di conve-nienza, ma un “Amen” che gioca tutta la persona e tutta la vita, in qualsiasi circo-stanza, con qualsiasi umore e in qualsia-si affanno che colpisca la nostra umani-tà: catastrofi naturali, dissensi politici, guerre sempre ingiuste, poteri economici occulti e palesi che rovinano nazioni e persone. È inutile ricorrere a narcotici o a stordimenti mediatici che facciano vivere qualche ora fiabesca, la realtà è un’altra, dolorosamente un’altra.Giovanni Paolo II l’ha proclamata con il suo semplicissimo stemma, non ari-stocratico, di sangue blu e perciò caduco ma simbolo di un legame eterno e forte: “Nell’icona biblica di Cristo sulla croce con accanto Maria, sua madre”, che fu per lui il prisma con cui guardare lo scorrere del tempo e il divenire della storia.La sapienza teologica di papa Benedetto ha colto come questa scoperta giovanile del giovane polacco, sia diventata il tes-suto connettivo della sua vita sacerdotale, della sua vigoria, della sua accettazione nella dissoluzione che ha corroso le sue giornate di malato, torcendolo ma non piegandolo nella sua oblatività e nel suo “humour”.Maria, prisma biblico ed esistenziale, è per noi, all’indicativo, il modello, il “come” vivere senza cedimenti, perché seppe pronunciare il suo “Amen” alla vo-lontà del Padre. “Amen” di cristallina fede come Maria è (non... sia) per noi il dono del Beato.

Cristiana DobnerCarmelitana scalza

RifLessiONi Wojtyla ha insegnato ‘come stare’

Sulla soglia della speranza

Giovanni Paolo II è beato, continua la nostra grande gioia

Fioristi dalla Puglia per la beatificazione

Una sessantina di fioristi pugliesi hanno realizzato alcune composizioni floreali che hanno ornato le celebrazioni della beatificazione di Papa Giovanni Paolo II. Sono “made in Puglia” il progetto di allestimento ed i fiori del grande giardino all'italiana che ha addobbato il sagrato di piazza San Pietro il primo e due maggio. A curarli la Cooperativa Progetto 2000 anche con il contributo economico della Camera di Commercio di Bari. Al centro del giardino all'italiana, vasi e anfore in ceramica della Puglia decorati a mano, che hanno dato grande visibilità anche all'artigianato di pregio della regione. Circa 25mila le rose provenienti da Terlizzi.

È stato presentato martedì 3 maggio scorso, nell’auditorium dell’Istituto Superiore di Scienze religiose (Issr)

“San Lorenzo da Brindisi” il libro «Giovan-ni Paolo II: Scienza e Verità» del prof. Mario Castellana,docente di Filosofia della Scienza ed Epistemologia nell’Università del Salento. Alla presentazione erano presenti il direttore dell’Issr, mons. Antonio Valentino, l’autore del libro e il prof. Francesco Cardone, docen-te di Antropologia filosofica presso lo stesso Istituto, il quale ha introdotto, presentando l’autore nei suoi progetti di ricerca.Il prof. Castellana, quindi, ha illustrato i contenuti della sua antologia sofferman-dosi sui rapporti fra conoscenza scienti-fica ed esperienza di fede nell’ambito di alcuni interventi sulla scienza pronuncia-ti da Giovanni Paolo II nel corso del suo pontificato presso la Pontificia Accade-mia delle Scienze. In particolare, l’autore ha riflettuto su come la riflessione episte-mologica sia stata, per papa Wojtyla, uno strumento in grado di segnare alcune rot-te sia al pensiero scientifico, sia alla ricer-ca teologica, luoghi questi deputati a fare i conti con l’esperienza della verità.E forse anche per questo – ha affermato l’autore - «che durante il suo pontificato, Papa Wojtyla ha ospitato, presso l’Acca-demia Pontificia delle Scienze, persona-lità di diverso orientamento scientifico e religioso con cui ha tenuto un canale aperto di dialogo continuo e costante». I frutti di questo rapporto fecondo, del re-sto, si riscontrano anche nella soluzione del cosiddetto “caso Galileo”. Fu durante il pontificato del papa polacco, infatti, che si avviò un processo positivo ed esplicito di riabilitazione dello scienziato pisano, a cui è stato riconosciuto che la rivoluzione scientifica fu anche una rivoluzione cultu-rale - della quale la Chiesa stessa, all’epo-

ca, si è privata -, dando atto a Galilei di aver liberato il mondo cristiano da quel-la forma di letteralismo biblico che tanti danni aveva arrecato.«Questi scritti – ha affermato l’autore -, che precedono la Fides et Ratio ci danno una immagine particolare della scienza abbinata ad una vera e propria pastorale della scienza, con le quali il mondo laico e dei credenti devono costantemente con-frontarsi per avviare insieme dei percor-si di reciproco arricchimento, una volta che si è presa coscienza dei limiti ovvero di quelli che Benedetto XVI ha definito ri-spettivi “restringimenti ideologici”».Insomma, l’autore ha dimostrato con do-vizia di particolari come «Giovanni Paolo II abbia compreso che la scienza è un per-corso di verità e che fede e scienza costitu-iscono due complementari distinti» ed era ovvio che, con tanti e qualificati stimoli di riflessione, al termine della presentazione, il dibattito con gli studenti dell’Issr doves-se essere ricco ed articolato.

Fr. Ca.

LibRi Iniziativa del nostro Issr “S.Lorenzo da Br”

Giovanni Paolo II: scienza e verità

La� CeLebRa�ziONe San Pietro gremita di fedeli e Capi di Stato

«Santo Padre, ci benedica!»

© F.Marseglia

© F.Marseglia

© F.Marseglia

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Vita Diocesana4 15 maggio 2011

Le Caritas parrocchia-li di tutta la dioce-si come ogni anno

sono state inviate dal Con-siglio diocesano Caritas a incontrarsi per ascoltare la Parola, rifletterla, con-testualizzarla e verificarla nelle attività di servizio e di animazione pastorale. L’obiettivo è di trarre nuove indicazioni future anche in virtù degli Orientamenti Pastorali della Cei per il decennio 2010/2020 “Educare alla Vita Buona del Vangelo”, delle tracce riportate nel Liber Sy-nodalis e nelle Linee Pastorali del nostro Arcive-scovo.

I lavori sono stati aperti da Mons. Talucci che ha ricordato come nell’Amore vero e sincero c’è Dio; l’Amore non cammina con la menzogna e l’inganno. Educare alla Carità nella Verità mette in gioco inevitabilmente tutte e tre le dimensioni della Chiesa. Il rapporto tra la Carità e la Verità vuol dire che la Carità nasce dalla Parola di Dio. L’uomo che si incontra con la Verità e la Carità non potrà non elevare il suo cuore alla lode e alla preghiera e quindi incontrare la Liturgia. Tre di-mensioni di un’unica testimonianza di Chiesa. Il cristiano crede, ama e loda. L’Arcivescovo ha concluso il suo intervento esortando gli operato-ri Caritas a fare del gesto dell’accompagnamen-to nella Comunione lo stile proprio per «godere della compagnia del Signore che ci ama e offrirla ad altri con lo stesso Amore».

Il Convegno è proseguito con l’intervento di Vittorio Mirabile dell’Ufficio Catechistico dioce-sano il quale ha commentato l’icona biblica di At 8,26-40 (Filippo e l’Eunuco Etiope). I partecipan-ti sono stati sollecitati a riflettere sulla pedagogia dell’accompagnamento rimettendo in discussio-ne il loro essere operatori pastorali. La domanda era: nel nostro stare sulla strada è protagonista lo Spirito del Signore? E noi, siamo disponibili ad essere co-protagonisti? Se siamo attenti, an-che oggi come fece con Filippo verso l’Eunuco, lo spirito del Signore ci spinge sulle strade del nostro vivere quotidiano a farci ascoltatori silen-ziosi del desiderio di Vita che ogni uomo si por-ta dentro. Molto spesso questa domanda di Vita emerge nei deserti delle vite in cerca di senso, luoghi cioè, privi dei riferimenti tipici della no-stra religiosità sui quali poggiamo le nostre sicu-rezze. Siamo disponibili agli inviti dello Spirito “di deporre le nostre vesti” per vestire i panni del fratello e farci suoi compagni di strada, con il suo passo e il suo tempo? E in questo andare insie-me scoprire le ricchezze del fratello? Quando ci poniamo con l’altro in una relazione di ascolto-dialogo una parte di lui entra in noi e una parte di noi entra in lui. In questo scambio è lo Spirito di Dio che deve essere comunicato.

Dobbiamo passare attraverso la Parola per ri-nascere ad una Vita nuova. L’accompagnare è uno stile più che un compito, è un cercare insie-me una risposta agli interrogativi e ai bisogni.

Cosa è necessario perché una comunità diventi accompagnatrice?

Innanzitutto la flessibilità, cioè la capacità di adattarsi ad ogni situazione, di entrare nel mon-do interiore delle persone senza violenza, con le loro domande aspettando i loro tempi. In se-condo luogo occorre stabilire legami autentici. Inoltre, sono necessari l’intuizione che fa presa-gire i passi futuri e le reazioni, aprendo a nuove situazioni, lo spirito di accoglienza sincera, la capacità di condivisione e di ascolto, non di semplice curiosità, per gioire e soffrire insieme.

Questa metodologia dell’ accompagnamento è innanzitutto una grazia per noi, un rafforzamen-to della nostra fede e poi un dono per gli altri. Siamo invitati quindi, a lasciare le nostre como-de sedie nelle parrocchie e a lasciarci spingere dallo Spirito nella ricerca delle persone che il Signore vuole che incontriamo senza titubanze seguendo il diacono Filippo.

Nella tarda mattinata si è svolta la tavola roton-da moderata da Salvatore Licchello.

Occasione per riflettere sull’aspetto educativo, compito “prioritario” per tutta la comunità ec-

clesiale.Sono stati invitati a testimoniare persone im-

pegnate per passione civile, per lavoro o per im-pegno ecclesiale in ambiti che il convegno ha definito cortili perché ricordano plasticamente i luoghi della nostra infanzia, soprattutto nei pa-esi, in cui i nostri genitori si riunivano per con-frontarsi, costruire relazioni, trovare soluzioni ai problemi.

Ricalcando il Convegno ecclesiale nazionale di Verona (2006) sono stati individuati 6 cortili.

Cortile della famiglia. Annamaria e Arturo Destino Coppia responsabile per la Pastorale Fa-miliare diocesana, hanno sottolineato come in questo particolare momento storico di crisi della famiglia, di difficoltà relazionali, di chiusura re-ciproca, il ruolo dei genitori sia molto difficile. Essi pertanto devono essere aiutati dalla comu-nità cristiana. Bisogna che sia chiara l’importan-za della valorizzazione all’interno del gruppo fa-miglia dell’«accoglienza dell’altro con i suoi alti e bassi; dell’ascolto dei problemi dei figli per i qua-li divenire solidi punti di riferimento, esempi di coerenza con il Vangelo e testimoni di speranza cristiana». Per evitare la disgregazione delle fa-miglie è necessario curare in maniera particolare i corsi prematrimoniali , investire sull’educazio-ne all’Amore degli adolescenti e cercare di coin-volgere quanto più possibile i genitori nell’ambi-to della Iniziazione Cristiana. In quest’ottica urge il recupero dell’oratorio come luogo privilegiato di crescita personale e spirituale.

Cortile della fragilità: Lorenza Longhini, Di-rettrice della “Nostra Famiglia” di Lecce, ha ri-cordato di aver riscoperto il vero significato della Carità sul messaggio di don Luigi Monza il quale diceva “la carità non è solo il fare, ma il riflesso dell’amore di Dio, della sua tenerezza”. È impor-tante però essere consapevoli che noi per primi siamo fragili: solo partendo da una posizione di parità possiamo comprendere la debolezza al-trui. Le realtà ecclesiali devono prendere a cuore le famiglie, spesso molto giovani, che hanno vi-sto la loro vita segnata da un figlio disabile. Esse hanno bisogno di sentirsi parte di una famiglia più grande che possa sostenerli nel momento dello sconforto quando si ritiene di non essere all’altezza del gravoso compito che Dio ha as-segnato loro. Attorno al bambino si potrà così creare una rete di rapporti, di prossimità, di so-lidarietà, di Amore. La malattia incredibilmente si trasformerà da disgrazia in dono per tutta la comunità.

Cortile della scuola: Lucia Marseglia, inse-gnante da anni impegnata in Azione Cattolica, richiamando l’«I Care» di don Milani, ha invi-tato ad amare il nostro tempo così com’è, senza inutili lamentele; oltre al tempo bisogna amare, nella scuola, gli studenti. Oggi le scelte di politi-ca economica stanno togliendo tanto spazio alla centralità della persona. È difficile replicare alla regola di Barbiana quando hai classi di 27 alun-ni che rendono difficile persino il recupero delle persone-alunni in difficoltà. Don Milani ci ha in-segnato che bisogna guardare al bambino in un rapporto di reciprocità e che non basta educare per gli altri, ma con gli altri. La responsabilità dell’educazione deve essere condivisa tra Chiesa, Scuola, Famiglia, Istituzioni civili che in rete de-vono costruire progetti possibili. Per la Marseglia la Comunità parrocchiale deve dare Verità alla Parola che deve illuminare e nutrire il progetto educativo di rete. La famiglia ha bisogno di so-stegno per una definizione più precisa del ruolo dei genitori. La Chiesa vicariale deve confrontar-si con le Istituzioni Civili in particolare con i set-tori scuola e servizi sociali. La scuola infine deve

offrire non solo competen-ze, ma costruire persone libere e capaci di amare. Da qui l’importanza del ruo-lo dei docenti che devono dimostrare coerenza nello stile, competenza e rigore metodologico e recuperare l’eticità dell’esistenza.

Cortile del lavoro: Anto-nio Petraroli, tutor dioce-sano del Progetto Policoro,

ha raccontato la sua esperienza di giovane im-pegnato, per e con altri giovani, in un progetto che prima ancora di essere un lavoro è uno stile di vita. È la sensazione positiva di sentirsi utile, di essere per un po’ compagno di viaggio di un giovane in difficoltà. Anche quando il progetto non si realizza e si resta delusi, si cerca sempre di infondere nel ragazzo un seme di speranza, una voglia di non arrendersi, di attivarsi anche usando la fantasia. Solo con questo spirito stato possibile concretizzare in Puglia 100 progetti in 15 anni. Occorre trasformare lo stato di disoccu-pazione, da una sconfitta sociale e personale, in una fase di attesa e di speranza. E in conclusione l’invito agli adulti che possono dare il loro con-tributo in termini di esperienza e di professiona-lità.

Cortile della Cittadinanza: Rino Spedicato, Vi-cepresidente Vicario del Centro Servizi al Volon-tariato, è partito da una domanda: cosa ha a che fare la speranza cristiana con la cittadinanza at-tiva? Premesso che il cuore e la competenza del volontariato cattolico arricchiscono il volonta-riato in generale, per un cristiano essa è la molla che spinge e rende più significativo l’impegno gratuito nel sociale a favore delle persone che si trovano nel bisogno. L’esempio della tendopoli di Manduria dove sono stati accolti migliaia di giovani tunisini,dimostra che le Istituzioni da sole non ce la possono fare. Per un cristiano, ha ammonito Spedicato, l’ impegno civile non è una semplice girandola di cose da fare, bensì uno sti-le di vita. È necessario accompagnare la teoria alla pratica, se vogliamo che i nostri giovani si educhino alla accoglienza, all’integrazione del diverso, all’accettazione delle differenze. È fon-damentale e urgente un progetto educativo che sottolinei la centralità del sevizio e del rispetto umano in una società che invece propone mo-delli che vanno in tutt’altra direzione.

Cortile della legalità: Maria Minischetti, vo-lontaria della Fondazione Antiusura “S. Nicola e SS. Medici” di Bari, cerca di aiutare attraverso l’assistenza legale, psicologica e tecnica le perso-ne usurate. Ma anche quelle a rischio cioè coloro che si sovra-indebitano per perdita di lavoro, au-mento dei tassi d’interesse, gioco d’azzardo, per-dita di controllo dell’acquisto rateale.

Resta la possibilità di considerare i fatti sotto l’aspetto pedagogico. Fare conoscere le storie delle vittime dell’usura può aiutare ad assumere uno stile di vita che rifugge dal chiedere favoriti-smi, dal consumismo incontrollato, dai compro-messi morali, dai vizi pericolosi.

Nel pomeriggio le Vicarie hanno portato a co-noscenza dell’assemblea le attività delle varie Caritas parrocchiali. Abbiamo potuto apprende-re della situazione e delle problematiche relative alla gestione del dormitorio e della mensa della Caritas diocesana. E condiviso le forti testimo-nianze del cappellano del carcere di Brindisi e di due amici che hanno utilizzato il tempo della detenzione per una di ricerca interiore spirituale e umana.

I referenti vicariali hanno esposto le iniziative attraverso filmati, diapositive, testimonianze di-rette, rappresentazioni teatrali e musicali, con un risultato finale molto apprezzato dai parteci-panti. Nelle conclusioni, Mons. Giuseppe Satria-no, Vicario Generale e Rino Romani, Direttore di Caritas diocesana, hanno ringraziato tutti per la partecipazione e la collaborazione nella riuscita di una bella giornata di studio, a dimostrazione di una Chiesa viva che scorge il volto di Dio nello sguardo triste e incerto dell’uomo che cammina solo sulla strada della vita.

Mimina Marciante e Donato D’Agostino

caritas Le Caritas parrocchiali a convegno presso il centro “Madonna della Nova”

Educare alla Carità nella Verità: animare parrocchie e territori attraverso l’accompagnamento educativo

Nuovi serviziper i fratelli

immigrati

Al fine di rendere migliori le condizioni di vita dei

fratelli immigrati presenti a Brindisi e di promuoverne l’integrazione sociale, il 18 aprile scorso Mons. Arcive-scovo ha benedetto i locali del Centro Sociale delle Suo-re Vincenziane che ospitano un nuovo centro servizi con docce, punti internet e spazi di incontro e socializzazione.Gli immigrati che lo deside-rano possono usufruire del servizio docce ogni lunedì e venerdì dalle ore 15 alle ore 17 ed utilizzare i computer collegati alla rete internet. La struttura dispone inol-tre di un soggiorno dove gli ospiti potranno intrattenersi fra loro o interloquire con i volontari.

Tali spazi sono a disposizio-ne anche per le numerose badanti operanti in città, le quali, nelle giornate in cui solitamente sono libere, pos-sono sostare presso la strut-tura.

Il servizio docce (che com-prende 3 box e un bagno), viene gestito direttamente dalle Figlie della Carità, in collaborazione con il volon-tariato vincenziano e con la Caritas diocesana.

Coordinatrice dei servizi è suor Giovanna Fanuli, Su-periora delle Vincenziane, la quale ha dichiarato: «La doccia o il punto internet rappresentano, per noi, solo uno strumento per avvici-nare i fratelli immigrati, dei quali ci interessa piuttosto intercettare domande e bi-sogni. Abbiamo pensato a quei tanti ragazzi immigrati che, dopo aver lavorato tutto il giorno in campagna, non hanno la possibilità di lavar-si e abbiamo notato come in alcuni giorni della settimana, tante badanti passeggiano sui corsi della città o sostano sulle panchine delle piazze senza avere uno spazio che permetta loro di incontrarsi e socializzare».

Nel benedire la nuova struttura, Mons. Talucci ha affermato come «in questa casa si vuole prolungare il segno della lavanda dei pie-di. Se per il cristiano è prio-ritario credere alla parola di Gesù, esempio di carità e di amore, è altrettanto im-portante far vedere le opere che altro non sono se non amore generato a vantaggio dei fratelli i quali un giorno crederanno alle nostre paro-le solo perché ci hanno visti alla prova».

«La casa che inauguriamo oggi - ha rimarcato l’Arcive-scovo - rappresenta una va-lida applicazione del Sinodo diocesano che proprio nella sua icona richiama il coman-do di Gesù “Come ho fatto io, così fate anche voi”».

Un invito ai presenti, ma esteso all’intera comunità diocesana, ad indossare il grembiule e a chinarci per servire i fratelli. Proprio come fece Gesù lavando i piedi dei suoi discepoli.

gio.mor.

Un momento del Convegno © S.Licchello

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Vita Diocesana 515 maggio 2011

Lunedì 9 maggio, presso l’audito-rium del nuovo Seminario Arci-vescovile “Benedetto XVI”, si è

tenuto l’ultimo incontro di aggiorna-mento del clero. Mons. Vittorio Peri, Vicario episcopale per la Cultura della diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gual-do Tadino, ha relazionato su “Il sovve-nire: tradizione ecclesiale e riflessione teologica”.

Mons. Peri, come e quando nasce il “sovvenire”?

«Il “sovvenire”, parola che esprime l’attuale sistema di finanziamento del-la Chiesa cattolica, nasce con la legge 20 maggio 1985, n. 222, di derivazio-ne concordataria. Esso consta di due “pilastri”: il meccanismo dell’otto per mille e, quello meno noto, delle offer-te deducibili per il sostentamento dei sacerdoti».

Il valore di fondo è la partecipazio-ne dei fedeli alla esigenze econo-miche della comunità ecclesiale. Quali sono gli altri valori del “sov-venire”?

«Prima ancora di quello economico, il “sovvenire” esprime un valore spiri-tuale fortemente evidenziato dal Con-cilio: ossia che la Chiesa, al di là degli aspetti esteriori, è primariamente un “mistero di comunione”, una imma-gine visibile della comunione trinita-ria».

Sovvenire non è solo otto per mille. Ci spiega gli altri aspetti?

«Nel 1990, per la prima volta, in oc-casione della dichiarazione dei red-diti, i contribuenti italiani ebbero la possibilità (non l’obbligo!) di firmare per la destinazione dell’otto per mille dell’Irpef. La quota complessiva che va alla Chiesa cattolica è gestita dal-la Conferenza episcopale italiana (e non dal Vaticano, come spesso si sen-

te dire) per le necessità generali delle parrocchie e diocesi (culto, attività pastorali, interventi caritativi anche all’estero ecc.).

L’anno precedente, invece, si ebbe la possibilità di inviare “offerte dedu-cibili” all’istituto centrale per il so-stentamento del clero per provvede-re economicamente ai circa 38 mila sacerdoti che lavorano nella Chiesa italiana. Sono dette deducibili perché si possono dedurre dal reddito impo-nibile nella dichiarazione dei redditi fino ad un massimo di 1.032,91 euro l’anno».

Gli ultimi dati parlano di un calo soprattutto nelle offerte per il so-stentamento del clero. Come mai secondo Lei? Cosa si può fare per invertire questa tendenza?

«Il calo delle offerte deducibili in-dica, purtroppo, che molti cristiani sentono la Chiesa non come la pro-pria famiglia spirituale che necessita dell’apporto di tutti, ma come una di “stazione di servizi religiosi” da paga-re al momento in cui si ricevono. Più delle firme dell’8 per mille che nulla costano, sono pertanto le offerte “di tasca propria” che esprimono la cor-responsabilità ecclesiale e che educa-

no ai valori della solidarietà».

Mons. Peri, ci spiega meglio il tito-lo scelto per l’incontro di aggior-namento?

«Nella riflessione presentata al clero di Brindisi-Ostuni ho messo in rilevo anzitutto, che la prassi del “sovveni-re” risale addirittura ai primi decenni della Chiesa. La raccolta di denaro tra i cristiani promossa da san Paolo in soccorso della tribolata Chiesa di Ge-rusalemme è da lui addirittura qua-lificata come “azione liturgica”: non solo colletta per i bisognosi, ma atto di culto a Dio.

Ho poi detto che il fondamento di questo dovere spirituale che riguar-da ogni battezzato, si fonda sulla co-scienza di essere Chiesa: non fruitori di servizi, non sudditi o semplici col-laboratori, ma veri corresponsabili nei vari ambiti della sua vita.

Potrei sintetizzare l’idea-forza del-la riflessione con questo slogan: non grandi offerte di pochi, ma piccole offerte di molti perché, come dice un proverbio spagnolo, “tanti poco fanno un molto”. Nella Chiesa, fanno una co-munità che vive la comunione trinita-ria».

Giovanni Morelli

Dopo aver percorso insieme un cammino, educatori e seminaristi, fatto di confron-

to e approfondimento di quelli che sono i capisaldi della nostra espe-rienza formativa, siamo pronti ora a darci e a sottoscrivere una vera e propria “Regola di vita” della comu-nità, che l’Arcivescovo ha definito e approvato.

Tale Regola di vita si pone come una mediazione del progetto forma-tivo del seminario, “Se vuoi…vieni e seguimi!” (2008) il quale a sua volta si rifà agli “Orientamenti e norme per i seminari” (2006) dei vescovi italia-ni. Nella pratica la materia contenu-ta in questo libretto che ora vede la luce non è nuova, è stata ampiamen-te sperimenta; tuttavia era importante mettere per iscritto quegli impegni e quelle regole che danno consistenza e forma al quotidiano.

La “Regola di vita” è dunque un vade-mecum che raccoglie, a seconda delle dimensioni spirituale, umana e cul-turale, non solo ciascuna regola, ma anche i valori a cui le regole sono ordi-nate. Le regole, infatti, sono per la vita, non fini a se stesse: ecco perché il testo vuole essere uno strumento semplice e immediato per aiutare i ragazzi che

hanno scelto di coinvolgersi in questo percorso umano, spirituale e quindi vo-cazionale, a guardare con chiarezza al sentiero da percorrere.

Il rapporto con le regole è uno degli aspetti più delicati e a volte critici del processo di maturazione della perso-na verso l’autonomia e la libertà, so-prattutto nella fase dell’adolescenza. Parlare oggi di una regola per la vita, rappresenta quindi una vera e propria sfida, nonché un punto nodale di ogni relazione educativa. Spesso si rischia

di oscillare da un atteggiamento estremamente rigido che punta ad un’osservanza arida della norma e che non lascia intravedere il valore a cui essa rimanda, ad un altro sti-le, altrettanto problematico, che in nome di una libertà a buon merca-to, rinuncia in partenza alla fatica di porre quei paletti all’interno dei quali, invece, è possibile sperimen-tare la propria libertà e la possibi-lità di gestire e orientare le proprie energie e scelte.

Stabilire le regole, quindi, non significa solo garantire una convi-venza pacifica e ordinata, ma aiuta-re tutti a trovare, nelle piccole cose di ogni giorno, le vie che portano all’acquisizione dei grandi valori e

in particolare del valore fondamentale: la sequela Christi.

In occasione della Giornata del Semi-nario invieremo in dono a tutti i sacer-doti della diocesi, una copia della no-stra nuova “Regola di vita”, convinti che, in uno spirito fraterno di condivisione, può essere anche questo un modo per sentire sempre più la vicinanza del Se-minario e per seguire il cammino for-mativo dei nostri giovani seminaristi.

don Alessandro Luperto

aggiornamento clero Relazione di Mons. Vittorio Peri

Il sovvenire: tradizione ecclesiale e riflessione teologica

seminario La nuova Regola di vita della comunità

Sono canti per me i tuoi precetti

Pubblicazione quindicinaleReg. Tribunale Brindisi n. 259 del 6/6/1978

Direttore Responsabile: Angelo SconosciutoCoordinatore di Redazione: Giovanni MorelliHanno collaborato: Daniela Negro, Cecilia Farina, Danilo Di Leo

Questo numero è stato chiuso in redazione alle ore 14 dell’11 maggio 2011

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Periodica Italiana

Nomine dell’Arcivescovo

BRINDISI

DE MITA don Pietro, Parroco “Cuore Immacolato di Maria”

CARovIgNo

BACCARo don Costantino, Parroco “S. Maria del Soccorso” gRASSI don giuseppe, Parroco “S. Pietro apostolo”

gUAgNANo

FoRTE don Antonio, Parroco “S. Maria del Carmelo (villa Baldassarri)”

LEvERANo

vALENTINo Mons. Antonio, Parroco “Chiesa Madre” DE PREZZo don giancosimo, Parroco “S.Maria della Consolazione”

MESAgNE

D’AgoSTINo don Alessandro, Parroco “S.Pio da Pietrelcina”PENDINELLI don giuseppe, Parroco “Mater Domini”

SALICE SALENTINo

MARTINA don M. Arcangelo, Parroco “San giuseppe”

SAN DoNACI

PANNA don Donato, Parroco “Chiesa madre”

SAN PANCRAZIo SALENTINo

MANZo don Pierino, Parroco “Chiesa madre”

SAN vITo DEI NoRMANNI

LAgHEZZA don giuseppe, Parroco “Immacolata”vITA don vito, Parroco “San Domenico”

ALTRE NoMINE

IvoNE don Rocco, rettore chiesa “Cristo” in BrindisiPINTo don Sebastiano, rettore chiesa “Immacolata” loc. Rosa Marina, in OstuniTATEo don Aldo, rettore chiesa “S. Maria goretti” in fraz. Serranova

DE CARLo don Nino, collaboratore c/o “Chiesa madre” in GuagnanoMASSARo don giuseppe, collaboratore c/o “S.Maria degli Angeli”, in Brindisi MoRo don Peppino, collaboratore c/o “Immacolata” in S.Vito dei Normanni

ARDITo TATEo don Raffaele, vicario parr. “Ss. Addolorata” in TuturanoCENACCHI don Claudio, vicario parr. “S.vito martire” in BrindisiD’AgNANo don Luca, vicario parr. “Spirito Santo” in BrindisiPRETE don giovanni, vicario parr. “Cuore Immacolato di Maria” in Brindisi

TRICARICo dott. Francesco, Direttore “Sostegno alla Chiesa”Da sinistra: il dott. Franco Tricarico e mons. Vittorio Peri

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Vita Diocesana6 15 maggio 2011

Dal 9 al 15 aprile u.s. nei locali della Bi-blioteca Diocesana

Pubblica “R. Ferrigno” di Ostuni, è stata allestita una Mostra dal titolo “ Tesori di Carta. Sfogliando le pagine della Biblioteca Diocesana”.

Curatrici della Mostra e guide eccellenti per i nume-rosi visitatori, sono state le dott.sse Maria Grazia Barna-ba e Laura Maria Campa, in collaborazione con la prof.ssa Teresa Legrottaglie, Diri-gente della Biblioteca e con tutti gli Amici della Bibliote-ca Diocesana.

È stato questo il nostro modo per partecipare alla XIII Settimana della Cultura che ha consentito di visita-re gratuitamente, su tutto il Territorio Nazionale, Musei, Aree archeologiche e Monu-menti.

Il Beato Giovanni Paolo II, nel suo lungo Magistero, più volte ha sottolineato che “la cultura è il fondamento del-lo sviluppo integrale della persona umana”. “La cultura - ci ha detto - fa l’uomo più uomo, lo rende capace di es-sere più umano. È nella cul-tura che affondano le radici, e quindi i principi e i valori,

che definiscono l’èthos di un popolo, le norme di vita di una società. Ed è lì, nella cul-tura, dunque nella memoria, che ogni Nazione può trova-re la sua origine, ma anche la propria identità e la propria sovranità.”

Condividendo profonda-mente tale visione della sto-ria e dell’autentico progresso umano, abbiamo aperto le porte della nostra Biblio-teca ai Cittadini e ai turisti, agli Studenti ed ai Docen-ti, mostrando loro dei veri Capolavori dell’Arte e della Cultura, portandoli a coglie-re, con parole e immagini, la loro origine e la loro storia, offrendo momenti di alta spiritualità con i “Canti dal Graduale”, interessandoli alla cura che dei libri biso-gna avere, attraverso la pre-venzione e il restauro.

In tutti i visitatori, notevo-le è stato l’apprezzamento, l’entusiasmo, la voglia di co-noscere, e unanime l’invito a continuare ad offrire occa-sioni di così grande interes-se e valore culturale, come testimoniano i commenti da loro espressi.

Teresa Legrottaglie

Quest’anno il Serra Club oltre a proporre il percorso di approfondimento di alcune biografie di sacerdo-ti della Diocesi (lo scorso anno Mons. Lino Lavilla,

quest’anno Mons. Giacomo Perrino) ha desiderato offrire due nuove iniziative (la presentazione del libro di Maria Ton-do, Nel giardino del Risorto, ed un pellegrinaggio ad Assisi) sempre nell’intento di sostenere la crescita di consapevolez-za della vita come vocazione e così maturare una più decisa vicinanza a chi per primo è segnato dall’impegno della Se-quela Christi nell’esercizio del ministero presbiterale.

La testimonianza che segue vuole essere un semplice con-tributo a quanto vissuto e sperimentato.

Nello scorso aprile ho vissuto una esperienza molto edifi-cante, che spero il tempo non sbiadisca e non alteri, perché può tornarmi utile nei momenti di difficoltà.

Ho sempre pensato che partecipare ad un pellegrinaggio, magari in bei luoghi solitari, lontani dalle fonti di preoccu-pazione e dai turbamenti dell’animo, aiutasse a rimettere un po’ in ordine lo spirito affaticato dai problemi della vita quotidiana. Se a ciò si aggiunge il desiderio di conoscenza, il bisogno di approfondire e saperne di più su luoghi sacri e su figure importanti, quali ad esempio i molti santi del no-stro paese, modelli sempre attuali di vita cristiana, è sempre cosa buona cogliere l’invito che ti viene proposto, special-mente per chi come me vive nella continua ricerca del senso dell’umana esistenza, nel desiderio di raddrizzare al meglio il proprio percorso di vita, spesso nel dubbio se fare o non fare certe scelte nella vita privata e professionale, nella ne-cessità periodica di confrontare e soddisfare l’etica personale con le moderne realtà. La prospettiva di vivere momenti di fede vivificanti, pieni di riflessione e conforto, è stato uno sti-molo forte da non sottovalutare o ignorare.

Chi non vorrebbe trovarsi già sulla rotta giusta e definiti-va del proprio cammino e recuperare la pace tanto augurata nelle occasioni più varie, che ci renderebbe uomini dispo-nibili, comprensivi, aperti agli altri, senza le incertezze che si frappongono e ci ostacolano nelle relazioni umane? In questa occasione, a rischiarare l’orizzonte sono intervenuti

gli amici, felici di diventare compagni di viaggio, pronti a su-perare insieme le difficoltà pratiche, le fastidiose limitazioni che si affacciano nella mente, che si sono offerti come soste-gno e aiuto nel bisogno.

E così per questo viaggio ad Assisi si è formato un piccolo gruppo di persone, tutto stretto intorno alla guida spiritua-le, chiave di volta della riuscita di questa bella e buona espe-rienza. Sappiamo tutti che, se non c’è un buon pastore, vigile e attento al suo gregge, sensibile alle sue molteplici istanze, non si possono raccogliere i buoni frutti previsti; purtroppo il pericolo della dispersione e del fraintendimento può af-facciarsi sempre dietro l’angolo. Il nostro stare insieme, inve-ce, tra discorsi gioviali e familiari, si è nutrito di argomenti e approfondimenti evangelici, alla luce di temi alla portata di tutti, ma profondi e curati, come la riflessione sul radica-le cambiamento di vita di Francesco, la sua conversione, la scelta della povertà, l’amore profondo e rispettoso per il cre-ato, il voto dell’ obbedienza e della castità la preziosità della vita claustrale di Chiara. Pensavo di conoscere bene France-sco, ricordandone a memoria il Cantico e le Lodi, ma non ne avevo misurato la grandezza, la fede vera, la ferma volontà di vivere il Vangelo senza mezze misure, ingerenze o vergogne. Le letture scelte e il loro commento hanno dato la serenità e il conforto desiderati a noi tutti, sicuri che lì non ci stavamo per caso.

Abbiamo avuto un grosso privilegio e ora abbiamo l’obbli-go di testimoniarlo e sfruttarlo al massimo, portando via con noi, a casa, sul posto di lavoro, nei contatti con il prossimo, la speranza del bene, della possibilità di un mondo finalmente migliore.

In quei giorni mi ha confortato molto il dono di una picco-la immagine sacra, raffigurante nostro Signore in croce, con teneri occhi socchiusi, emanante forza per l’evidente e pieno abbandono alla volontà del Padre.

Questo viaggio si è trasformato pian piano in un bagaglio di emozioni piacevolissime, una fonte fresca e zampillante di carità e amore; le anime complicate ed esigenti come la mia ora desiderano solo rischiarare le nebbie residue e annullare

le umanissime esitazioni. Contribuirà a questo l’aver visita-to un luogo unico che tutti quanti dovrebbero conoscere, la chiesa di San Damiano. Lì il Crocifisso ha parlato a France-sco e dalle sue mura antiche si è diffuso un messaggio poten-te, una luce chiara che illuminerà la mia strada.

Beatrice Proto

serra club� Iniziativa partecipata nel mese di aprile, un’esperienza da ripetere

Guardando al Crocifisso lungo i passi di Chiara e Francesco

Si è tenuto sabato 30 aprile scor-so, il secondo incontro, della Scuola di formazione all’impe-

gno sociale e politico, con la dott.ssa Paola Giacovazzo, Segretario Genera-le del Comune di Brindisi. Argomento della serata è stato l’importante tema della trasparenza e della partecipa-zione dei cittadini all’attività ammi-nistrativa, mentre il primo aveva ri-guardato funzioni e competenze degli organi del Comune.

Preliminarmente, l’ottima dottoressa ha informato i partecipanti che dal 1° gennaio di quest’anno i Comuni han-no l’obbligo di pubblicare i loro atti sull’Albo Pretorio on line, rendendo in tal modo facile l’accesso del cittadino ad alcuni provvedimenti amministra-tivi (deliberazioni, ordinanze sindaca-li, manifesti e tutto ciò che per legge deve essere portato a conoscenza de-gli amministrati).

La relatrice si è poi soffermata sulla legge n. 241 del 1990 e sulle successi-ve (L. 15/2005 e L. 69/2009), metten-do in rilievo le profonde innovazioni da esse introdotte, laddove si fissano dei limiti ai poteri discrezionali della Pubblica Amministrazione, limiti che non riguardano solo i tempi dell’ema-nazione dell’atto amministrativo.

Entro 30 giorni (certezza dei tempi) la Pubblica Amministrazione deve determinarsi sulla domanda del citta-dino, con la sola eccezione dei prov-vedimenti complessi. Il termine può essere interrotto una sola volta, mo-tivatamente, con una proroga mas-sima di ulteriori 30 giorni. Qualora si configurassero comportamenti dolosi da parte del responsabile del proce-dimento (il funzionario incaricato dell’istruttoria della pratica, che inter-loquisce con il cittadino in tutte le fasi

del processo decisionale), che doves-sero ritardare la conclusione dell’iter burocratico, l’interessato ha diritto di richiedere al giudice amministrativo il risarcimento del danno.

Per quanto concerne gli abusati ter-mini della trasparenza e della sempli-ficazione, la dott.ssa Giacovazzo ha tenuto a precisare che esse altro non sono se non la conoscenza preventiva delle regole cui sottostà l’atto ammi-nistrativo, nonché l’informazione do-vuta al cittadino istante sull’avvio del procedimento e sulla sua conclusione. Perché, a differenza di quanto avveni-va nel passato, allorché preoccupazio-ne principale della Pubblica Ammi-nistrazione era l’osservanza formale della normativa (logica legale) senza cura alcuna delle conseguenze sulla vita del cittadino, con le nuove dispo-sizioni l’obiettivo principe si identifica con gli effetti raggiunti, secondo una logica del risultato atteso.

La conoscenza, peraltro, va coniuga-ta con la partecipazione del cittadino, il quale ha diritto all’informazione (chi è il responsabile del procedimento, la comunicazione dell’avvio e della con-clusione del procedimento) ed anche

ad un’eventuale collaborazione nella formazione della decisione.

La Giacovazzo non ha mancato di inquadrare le norme di cui sopra nella riforma del Titolo V della Costituzio-ne, in particolare degli artt. 117 e 118, con riferimento ai principi dell’auto-nomia normativa dei Comuni e della sussidiarietà.

A conclusione dell’incontro, quasi a testimoniare la volontà del dirigente di aprire le porte del “Palazzo” alla co-siddetta società civile, la brillante re-latrice ha illustrato le ragioni e i con-tenuti del Bilancio sociale (l’impatto dell’attività dell’Amministrazione co-munale sulla vita dei cittadini) ed ha proposto di inserire sia la Diocesi sia la Scuola tra gli stakeholders del Co-mune di Brindisi.

Proposta accettata all’istante dal Di-rettore della Scuola, Eugenio Cascio-ne, il quale ha calorosamente ringra-ziato la dottoressa Giacovazzo ed ha fatto sapere che ella si è dichiarata disponibile ad un ulteriore incontro per sabato 14 maggio p.v. sul tema del Bilancio comunale.

Vincenzo Iaia

scuola socio-politica 2° incontro con Paola Giacovazzo

Trasparenza e partecipazione

Paola Giacovazzo ed Eugenio Cascione © V.Musa

ostuni Nella biblioteca “Ferrigno”

Tesori di carta in mostra

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Vita Diocesana 715 maggio 2011

Martedì 3 maggio a Locorotondo si è svolta la Giornata diocesana della Pastorale della Sa lute/Sanità, con

i Sofferenti ed i loro Familiari, gli Operatori sanitari ed i Volontari.

Da diversi anni la nostra diocesi organiz-za questo incontro ecclesiale nella giorna-ta in cui la liturgia celebra la festa dei santi Filippo e Giacomo. Quest’ultimo apostolo è l’autore della breve “lettera cattolica” (Nuovo Testamento) nella quale si riporta la prassi della comunità cristiana di Gerusalemme di “pregare (imponendo le mani) sul malato, dopo averlo unto con l’olio, nel nome del Si-gnore” (Gc. 5,13).

Ogni anno la “giornata” viene celebrata in una delle sei vicarie in cui è articolato il ter-ritorio diocesano. Quest’anno la vicaria è sta-ta quella di Locorotondo, la sede del raduno la Casa di riposo “Domus Sancta Familia”, struttura promossa e guidata da don Pep-pino Micoli e che ospita una cinquantina di anziani.

Hanno raggiunto la struttura diversi soffe-renti (anziani, malati e diversabili), molti dei quali accompagnati dai volontari del gruppo locale dell’UNITALSI, con l’utilizzo dei mez-zi di trasporto speciali sia del gruppo unital-siano che della Cooperatiava “UOMO 2000”. Poco dopo le 16 la chiesa-cappella della struttura si è andata riempiendo fino ad essere occupata in ogni ordine di posti. A quanti entravano nell’aula liturgica si è presentato un grande schermo posto ai piedi dell’altare.

E su questo schermo che si sono proiettati immagini e vi-deo che hanno accompagnato la testimonianza “inusuale” di don Gaetano Borgo: un sacerdote della Diocesi di Padova che il nostro Ufficio diocesano per la Pastorale della Salute/Sanità, guidato da don Piero Suma, ha invitato in quanto

autore di canti cristiani che traducono l’esperienza pastorale che il giovane sacerdote svolge come parroco in una piccola parrocchia del nord.

Filo conduttore delle canzoni proposte è stata la storia di Manola: una giovane ragazza della parrocchia di don Bor-go che nel pieno della sua giovinezza scopre un tumore. La reazione della giovane, la scoperta della fede, e la scelta di celebrare il sacramento dell’Unzione degli Infermi, hanno

coinvolto il parroco-cantautore che da ac-compagnatore pastorale e spirituale di Ma-nola viene coinvolto tanto da “divenire io co-lui che ha molto imparato dalla esperienza e dalla vicinanza di questa giovane parrocchia-na”, afferma don Gaetano mentre presenta i diversi canti religiosi che sono riprodotti in diversi CD. L’esibizione dei canti ha trovato una attenta e partecipata attenzione di tutti i presenti.

La scelta di invitare don Gaetano, ha affer-ma don Franco Pellegrino (vicario foraneo, nonché parroco della Chiesa madre di Loco-rotondo), ha coronato l’attività pastorale che ha visto molti sofferenti celebrare, con gioia e serenità, quello che una volta si chiamava l’Estrema Unzione, dopo una puntuale cate-chesi che si è svolta in molte abitazioni dei/con i malati, gli anziani e i diversabili.

La celebrazione eucaristica, presieduta dal Vicario generale, Mons. Giuseppe Satria- no, assistito dai sacerdoti della vicaria locoroton-dese, è stato il “culmine prezioso della giorna-ta, dopo la bellissima testimonianza riportata da don Gaetano” (coadiuvato dal giovane El-vis). Nel contesto della liturgia è stato confe-rito il sacramento dell’Ultima unzione ad una dozzina di fedeli.

Il dono di icone mariane, realizzate dagli anziani ospitati nella struttura della “Domus”,

con- segnate a quanti hanno promosso ed organizzato l’in-contro, ha concluso la bella esperienza che sarà ricordata, anche, attraverso una immagine, consegnata ai presenti, sulla quale erano stampate alcune parole del beato Giovanni Paolo II ai malati, e (nel retro) una preghiera sulla funzione dell’Olio dell’unzione degli infermi.

Franco Bungaro

iniziAtivA Celebrata a Locorotondo l’annuale giornata diocesana della Pastorale della Salute/Sanità

Quell’Unzione che fa pregare tutti insieme

Ammalati e volontari a Lourdes

L’Arcivescovo in visita agli anziani ospiti di una casa di cura

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8 15 maggio 2011 Associazioni & Movimenti

Uno sguardo all’associazione, al triennio passato e al futuro, ma an-che alla Chiesa, senza dimenticare

l’Italia e la vita pubblica. Con un “Docu-mento finale”, discusso e votato dai delegati giunti da tutt’Italia, e un “Messaggio alla Chiesa e al Paese” si sono chiusi i lavori della XIV assemblea nazionale dell’Azio-ne Cattolica italiana (Ac), che si è svolta a Roma dal 6 all’8 maggio sul tema “Vivere la fede, amare la vita. L’impegno educati-vo dell’Ac”. Il “Messaggio” riassume alcuni degli elementi approfonditi nei tre giorni (educazione, laicità, servizio alla società e alla vita civile). Tra le “scelte associati-ve” proposte al dialogo “con tutti gli uomini e le donne di buona volontà, alle parti politiche, ai corpi intermedi, alla società civile, alle altre associazioni laiche e cattoliche” fi-gurano “il rispetto assoluto della vita e di ogni vita”, il “ri-conoscimento e la promozione della famiglia”, “la sobrietà delle scelte quotidiane”, “la solidarietà e la scelta preferen-ziale per i poveri, gli stranieri e le famiglie in difficoltà”. E, ancora, “il senso del dovere professionale e il valore dello studio”, “la coerenza tra sfera privata e sfera pubblica”, “l’at-tenzione alla vita amministrativa e politica delle città e del Paese”.

“Forza educativa qualificata”. In apertura dei lavori è giun-to ai partecipanti un messaggio di Benedetto XVI, nel qua-le l’Ac viene definita “forza educativa qualificata, sostenuta da buoni strumenti, da una tradizione più che centenaria”. Il Papa ha invitato a essere “palestre di santità, in cui ci si allena a una dedizione piena alla causa del Regno di Dio”. “Santità – ha aggiunto – significa per voi anche spendersi al servizio del bene comune secondo i principi cristiani, offrendo nella vita della città presenze qualificate, gratuite, rigorose nei comportamenti, fedeli al magistero ecclesiale

e orientate al bene di tutti”. È la “formazione all’impegno culturale e politico”, “compito importante, che richiede un pensiero plasmato dal Vangelo”. Oggi in particolare, ha pre-cisato il Papa, “la vita pubblica del Paese richiede un’ulte-riore generosa risposta da parte dei credenti, affinché met-tano a disposizione di tutti le proprie capacità e le proprie forze spirituali, intellettuali e morali”. Da Benedetto XVI anche la richiesta “di essere generosi, accoglienti, solidali, e soprattutto comunicatori della bellezza della fede” di fronte al “grande sconvolgimento del mondo e del Mediterraneo”.

La Chiesa e l’Ac. Tra i saluti quelli del card. Stanislaw Ryl-ko, presidente del Pontifico Consiglio per i laici, che ha lo-dato “la straordinaria vitalità e il dinamismo missionario dell’Ac”; di mons. Mariano Crociata, segretario generale della Cei, per il quale l’associazione «dice già con la sua sola forma associativa e con la sua struttura istituzionale che la Chiesa è aperta a tutti»; di mons. Giacinto-Boulos Marcuz-zo, vescovo ausiliare di Gerusalemme e vicario patriarcale latino per Israele, che ha evidenziato l’esperienza dei corsi di formazione residenziali organizzati dall’Ac; del presiden-te della Repubblica Giorgio Napolitano, che in un messag-

gio ha ricordato come l’Ac sia “divenuta un’importante componente del tessuto sociale del Paese”. L’ultimo giorno assem-bleare, invece, è stato aperto dalla cele-brazione eucaristica presieduta dal card. Angelo Bagnasco, presidente della Cei, il quale ha espresso «la vicinanza affettuosa e incoraggiante dei vescovi italiani», «certo che le decisioni maturate in questi giorni sono state guidate dalla vostra preghiera e dall’amore per la Chiesa: è questo che ren-de viva e vitale l’Azione Cattolica». Mentre l’assistente generale dell’Ac, mons. Dome-nico Sigalini, aveva ricordato che l’asso-ciazione ha messo Gesù «al centro del suo cammino formativo» e «lo vuole sulla barca dell’assemblea, come luce e sale, per vivere la fede e amare la vita».

Esperienza democratica. «L’esperienza democratica vissuta in questi giorni espri-me la nostra passione associativa», ha af-

fermato il presidente nazionale di Ac, Franco Miano, nel suo intervento finale, chiedendo all’associazione di «inau-gurare una stagione in cui si riflette appieno su cosa signifi-ca la democraticità», affinché «un valore forte e importante come questo non si perda». Sull’accoglienza del prossimo, con riferimento in particolare ai migranti che approdano sulle nostre coste, Miano ha rimarcato che «cacciare in-dietro persone per noi non è possibile, è come se caccias-simo indietro il Signore Gesù». E, come gesto concreto di vicinanza e solidarietà, le offerte raccolte nella Messa do-menicale sono state destinate all’Ac di Lampedusa. Da ulti-mo, «l’impegno educativo», «elemento caratterizzante» per l’associazione, e l’attenzione per l’Italia. «Siamo preoccupa-ti per la tenuta morale del Paese» davanti a «messaggi che vengono lanciati, in Italia e in Europa», che «alimentano il rancore tra Nord e Sud e indicano un deficit di idee e pro-getti trasversali a tutte le forze politiche», aveva denunciato nella sua relazione d’apertura, proponendo di «riflettere su alcune questioni, che oggi sclerotizzano la scena politica e la riducono, in certa misura, a mera amministrazione del potere».

Francesco Rossi

azione cattolica Celebrata a Roma (6-8 maggio) la XIV assemblea nazionale

Vivere la fede, amare la vita

Il gioco come esperienza fondamentale per la crescita dei ragazzi. È stato questo il tema al centro del tradizionale appuntamento del

convegno diocesano degli Educatori, organizzato dall’Azione Cattolica dei Ragazzi di Brindisi-Ostu-ni.

Lo scorso 10 aprile, presso il Teatro della Parroc-chia Beata Vergine del Carmelo a Mesagne, re-sponsabili educativi e associativi provenienti dalle diverse zone della diocesi si sono incontrati sul tema “Gioco perché voglio crescere. Il gioco come esperienza educativa”.

I lavori, introdotti dal saluto di Piero Conversa-no, Presidente diocesano, sono stati guidati dalla riflessione di Giorgio Nacci, già Responsabile dio-cesano dell’articolazione ed esperto pedagogista.

L’intervento di Giorgio ha permesso di appro-fondire la conoscenza della realtà dei ragazzi at-traverso il mondo del gioco, ad essi molto vicino, esplorandolo da un punto di vista pedagogico e riflettendo su come il gioco entra nella proposta formativa dell’ACR.

Innanzitutto ci si è soffermati sulla considerazio-ne che il gioco dovrebbe avere nel percorso forma-tivo dell’ACR. Fondamentale, in questo senso, è l’affermazione del grande psicanalista inglese Do-nald Winnicott: “E’ nel giocare e soltanto mentre si gioca che l’individuo, bambino o adulto, è in gra-do di essere creativo e di far uso dell’intera perso-nalità, ed è solo per essere creativo che l’individuo

scopre il sé. Solo nel gioco è possibile la comunica-zione”. I ragazzi, cioè, con il gioco sperimentano se stessi, acquisiscono abilità, competenze, espe-rienze, in una sola parola: crescono. Il gioco è per sua natura e per suo statuto educante, e proprio nei cammini associativi, quindi, non deve essere inteso come un riempitivo ma, al contrario, come una forte occasione educativa.

La centralità del gioco nei cammini di fede sug-geriti per i ragazzi nasce anche dalla sua stretta connessione con quelli che sono i capisaldi della proposta formativa dell’associazione: la dimen-sione esperienziale, la centralità della persona, il protagonismo dei ragazzi, il gruppo.

Se la dimensione esperienziale ritiene fonda-mentale il valore di concrete esperienze signifi-cative, va da sé che l’educatore ACR è chiamato a servirsi del gioco come una di queste esperien-ze. L’AC, inoltre, pone al centro innanzitutto la persona,“Ciascuno è grande agli occhi di Dio”: è su questa certezza che si fonda lo stile delle proposte formative ACR. Offrire al ragazzo occasioni di gio-co nelle quali egli sia al centro e nelle quali la sua personalità ha la possibilità di esprimersi, signifi-ca valorizzare la sua centralità, renderlo protago-nista della sua crescita.

Anche per ciò che attiene alla dimensione del gruppo, all’interno del quale il ragazzo si sente protagonista, membro attivo ed inserito, è fon-damentale l’esperienza del gioco. Il gruppo aiuta

ogni persona, bambino o adulto che sia, a cre-are relazioni vere con i propri simili grazie in particolare al mondo del gioco; in prima perso-na, ogni educatore è chiamato a dar vita a mo-menti di gioco che richiedano la partecipazio-ne e il coinvolgimento del gruppo e che in esso

trovino espressione quelle dinamiche che sono proprie di una crescita sana e condivisa.

Perché tutto questo abbia un senso e perché il gioco abbia veramente un valore, è però necessa-rio, come il relatore ha più volte sottolineato, che ogni educatore, si metta in gioco in prima perso-na, sappia giocare con i ragazzi, crei e proponga dei giochi all’interno del gruppo.

La bella riflessione della mattina si è poi tradotta nel pomeriggio in quattro diversi laboratori tema-tici di approfondimento, guidati da esperti del set-tore, e inerenti le diverse forme di espressione che permettono al ragazzo di crescere:

- Disegno perché voglio crescere. Impariamo ad osservare i disegni dei nostri ragazzi, guidato da Emanuela Manieri, Psicologa;

- Vivo la musica perché voglio crescere. L’espe-rienza musicale per entrare in contatto con se stessi, guidato da Maria Luisa Carrozzo, insegnate di danza;

- Ascolto perché voglio crescere. Il racconto come strada verso se stessi, guidato da Cristina Pedali, Pedagogista Clinico e Vice Responsabile diocesana dell’ACR;

- Sto con gli altri perché voglio crescere. L’espe-rienza del gruppo come strumento educativo, gui-dato da Raffaele Farina, Psicologo.

Andrea Coppola

educatori A Mesagne il tradizionale convegno diocesano Acr

Gioco perchè voglio crescere

Nella foto: il Presidente nazionale Franco Miano

Nuovo Presidente Coldiretti

Brindisi

Eletto per il prossimo biennio il nuovo Pre-

sidente della Coldiretti di Brindisi. Si tratta di Ser-gio Botrugno, imprendi-tore vitivinicolo brindisi-no titolare dell’omonima cantina, il quale succede a Salvatore Ripa. Laureato in Scienze Agra-rie, Sergio Botrugno ha maturato nel corso degli anni la propria esperien-za vitivinicola nell’azienda familiare, in cui ha colla-borato nella gestione e conduzione con il padre ed il fratello Antonio Bo-trugno sino al 1999, quan-do ha deciso di cambiare intestazione e titolarità trasformandola in ditta individuale denominata “ Az. Agr.e vitivinicola Bo-trugno” di Botrugno Ser-gio.

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Parrocchie 915 maggio 2011

Il 21 marzo scorso la comunità parroc-chiale “Santa Maria Assunta” di San Do-naci ha accolto con grande gioia la statua

“Maria di Nazareth”, attualmente venerata nella Basilica dell’Annunciazione di Naza-reth in Terra Santa. La deliziosa immagine della Santa Madre di Gesù, fu incoronata con un prezioso diadema da sua Santità Giovan-ni Paolo II il 15 aprile del 1998, in occasio-ne della “Peregrinatio Mariae Mondiale” (8 Marzo 1998 – Natale 1999) durante la quale “Maria di Nazareth” ha visitato 35 nazioni in-contrando innumerevoli fedeli in ogni parte della terra.

L’effige della Santa Vergine è stata appena restaurata in Italia dall’autore Gregor Mu-sner di Ortisei (Bz) e per un breve periodo ha peregrinato in Puglia attraverso una serie di tappe prefissate tra le quali, inizialmente, non era stata prevista la permanenza nella Comunità Parrocchiale di San Donaci. Tut-tavia, una serie di imprevisti considerati del tutto “provvidenziali”, hanno fatto sì che la Santa Vergine di Nazareth visitasse la comu-nità di San Donaci, fermandosi nella Chiesa Madre per tre giorni. L’iniziativa è stata cu-rata da P. Michele Perruggini (ofm), delegato dal custode di Terra Santa, Padre Pier Batti-sta Pizzaballa e dal Parroco don Costantino Baccaro, il quale è riuscito ad organizzare un tempo eccezionale di preghiera e devozione

mariana. Dopo una breve liturgia di accoglienza,

presieduta da sua eccellenza Mons. Rocco Talucci, la Peregrinatio Mariae sandonacese è stata scandita da una serie di veglie, cele-brazioni eucaristiche e mo-menti di pre-ghiera, dei quali è risultata essere partico-larmente intensa e suggestiva la recita del S. Rosario Antico (nel quale ad ogni Ave Maria corrisponde un mistero, illustrato da meravi-gliose an-tiche xilografie dei secc. XV e XVI), introdotta da P. Perrugini e guidata dal Par-roco Don Costanti-no.

«La Madonna - ha affermato Padre Perru-gini - viene qui a compiere il più grande dei miracoli: essere vicina ai suoi figli lontani, non solo fisicamente, ma soprattutto con il cuore”. La comunità sandonacese ha risposto all’amorevole richiamo della Santa Madre accorrendo numerosa all’incontro e contem-plando la Sua immagine impegnata in un passo in discesa che ci conduce all’umiltà, autentica porta della fede. Dopo il commiato dei fedeli, la sacra effige è stata accolta nel-la cappella dell’Istituto S. Maria degli Ange-li delle Suore Stimmatine Francescane, per un ultimo momento di preghiera riservato esclusivamente alle religiose, particolarmen-te devote della Santa Vergine.

Galiana Rita Epifani

L’esigenza di approfondire e di perso-nalizzare il dialogo fra fedeli e Par-rocchia, il proposito di potenziare

la disponibilità all’ascolto e la capacità di chiedersi in quale misura il proprio vissu-to si rapporti alla condizione di credente e di battezzato coerente con gli insegnamenti evangelici, hanno spinto il parroco, don Sal-vatore Innocente, ad organizzare nella Chie-sa madre di Guagnano, durante il periodo quaresimale, degli incontri settimanali per la “Lectio divina”.

La decisione, sollecitata dalla programma-zione degli incontri con le famiglie dei ragaz-zi che devono ricevere i sacramenti della Pri-ma Comunione e della Cresima, e l’iniziativa di estendere l’invito non solo alle associazio-ni religiose e laiche, ma a tutti i parrocchiani, alle ore diciannove di ogni mercoledì, hanno consentito una partecipazione largamente condivisa ed hanno creato l’opportunità per riflessioni e interventi da parte dei presenti. I brani biblici per la lectio sono stati i Vange-li che la liturgia ha presentato nel percorso quaresimale: la Trasfigurazione, il Cieco sin dalla nascita, la Samaritana, la Resurrezione di Lazzaro, l’Annuncio della Resurrezione di Gesù.

Gli incontri, dopo un breve momento per l’invocazione dello Spirito Santo, hanno pre-so l’avvio dalla lettura dei testi evangelici, che sono stati progressivamente analizzati ed interpretati nelle varie sequenze e han-no offerto motivi per riflettere sul messaggio evangelico e sulla sua valenza pedagogica al di sopra di ogni circostanza temporale. La Lectio non si è limitata solo al commento dei testi e all’annuncio del messaggio evan-gelico, ma ha messo in evidenza l’attualità della Parola e l’efficacia dell’insegnamento delle Scritture sul modo d’essere fedeli coe-renti e laici responsabili. In questa direzio-ne sicuramente essa ha aperto uno spiraglio nuovo, ravvivato da una luce più intensa

sullo scenario della vita di ogni giorno, ha offerto uno stimolo ad impostare un pro-cesso di “coscientizzazione” della comunità parrocchiale, con la prospettiva di riformarsi facendo proprio il significato più profondo dell’insegnamento di Cristo. A conclusione di quest’esperienza, in altre parole, si può af-fermare che è stato dato corso ad una effica-ce forma di accompagnamento nel cammino di formazione nella Parrocchia ed è stato of-ferto un esempio di lettura della Parola, gra-zie al quale rivedere e riconsiderare la storia individuale e collettiva alla luce della “veri-tà” che, sebbene nota, spesso resta lontana dall’esperienza e non s’innesta alla storia e all’uomo dei nostri tempi: gli incontri, dun-que, hanno proposto a tutti i presenti un per-corso attraverso il quale rileggere alla luce del Vangelo esperienze individuali e proble-matiche del territorio.

La lectio di don Salvatore Innocente ha visto un’assemblea attenta ed interessata, agevolata all’ascolto e alla comprensione dall’esposizione semplice ma profonda, inci-siva e coinvolgente, sorretta non solo da una robusta conoscenza delle Scritture, come era facilmente prevedibile, ma anche dalla capa-cità di rendere accessibili concetti complessi ricorrendo ad un linguaggio alla portata di tutti ed utilizzando esemplificazioni prati-che, fondate su una profonda conoscenza della natura umana e delle problematiche esistenziali legate all’ambiente. Interessan-ti momenti di riflessione, infatti, sono stati dedicati all’educazione dei figli e alla vita di coppia, alla necessità di formazione anche per gli adulti, al bisogno di superare il feno-meno del devozionismo con una fede più es-senziale e consapevole, tutti presupposti sui quali edificare una “casa”, fondata su “verità” e “carità”, sulla conoscenza e sulla pratica del Vangelo, sul rispetto dei valori di coerenza e di responsabilità cristiana.

Giuseppe e Maria Carmela De Riccardis

san donaci Vicina ai figli lontani

Maria di Nazareth tra noiguagnano Incontri settimanali in Quaresima

Lectio, un periodo intenso

Un paese in festa ha accolto, saba-to 30 aprile u.s., la

statua della Madonna di Loreto. A Salice Salentino il campo sportivo era gre-mito di fedeli, nonostante il maltempo e la pioggia che cadeva inces-sante. C’erano davvero tutti: le autorità ci-vili e religiose, il Sindaco Donato De Mitri, l’Amministrazione, l’Arciprete don Carmi-ne Canoci, il parroco Don Antonio Forte, Padre Fernando Mancino, con la comunità francescana, tutti i gruppi ecclesiali, gli am-malati, le Associazioni di Volontariato, gli Scout, i ragazzi del catechismo e dell’ACR. I bimbi dell’asilo Sacro Cuore, vestiti di angioletti, hanno reso più suggestiva l’ac-coglienza della Vergine che, scortata dalle forze dell’ordine, ha fatto il suo solenne in-gresso, accolta dai presenti festanti.

La Madonna era in mezzo a noi e sembra-va volerci stringere in un unico abbraccio, un abbraccio che univa cielo e terra e che, per miracolo, in un attimo, ha allontana-to le nuvole cariche di pioggia. L’affetto, la confidenza, la tenerezza filiale, verso Ma-ria si leggevano nei volti di tutti. Un lungo corteo, per le strade, addobbate dalle fami-glie, ha accompagnato la Vergine in Piazza Plebiscito per i saluti ufficiali del Sindaco e dell’Arciprete. Quest’ultimo ha evidenziato chiaramente l’amore e la gratitudine che la comunità salicese nutre da sempre nei riguardi della Vergine. “Ave o Maria! Dol-

cissima Madre, è così che, a nome di tutti i fedeli cristiani e mio personale, che ti vo-glio salutare e cioè con la preghiera che tutti noi abbiamo appreso sulle ginocchia delle nostre mamme ed è un saluto che purifica le nostre labbra e il nostro cuore, perché è come avvicinarsi ad una sorgente di acqua zampillante in un’oasi nel deserto…Ti ab-biamo attesa, o Madre, pur se ti avevamo già con noi, nella fede semplice e millenaria della nostra gente, perché abbiamo bisogno di Te: anche tra noi va insinuandosi la con-cezione secolaristica del mondo moderno, che si illude di poter fare a meno di Dio e

viviamo le contraddizioni presenti, oggi, in questa società: lo sfruttamento, la guerra e la violenza, la fede sempre più evanescente, la corsa al successo, alla ricchezza, alla bel-lezza, considerata un mito…Questa tua visi-ta, madre tenerissima, non la consideriamo una circostanza occasionale, trascurabile, ma è per noi l’occasione propizia per stare con Te e rinvigorire la nostra fede.

La Missione Mariana, infatti, è stata pen-sata e programmata dalle comunità parroc-chiali di Santa Maria Assunta e di San Giu-seppe, col Patrocinio del Comune di Salice, in comunione con il cammino della Chiesa

nazionale, regionale e dio-cesana, “per dare incre-mento alla formazione di laici cristiani (Convegno Regionale sul laicato), di-sposti a vivere la propria avventura ecclesiale come

cammino di comunione e di missione (Si-nodo Diocesano), nella riscoperta dell’es-senzialità dell’Eucaristia, (Congresso Eu-caristico nazionale) della necessità della Parola, dell’urgenza di rinnovare e rinver-dire la fede nelle nostre famiglie”.

I giorni di permanenza dell’effigie della Vergine, dal 30 aprile alla sera del 14 mag-gio, sono stati giorni di grande pietà popo-lare (rosari meditati, incontri di preghiera), ma soprattutto di intensa catechesi (cele-brazioni eucaristiche con riflessioni a tema proposte dal nostro Padre Arcivescovo, da Mons. Totò Mileti, da Mons. Luigi Bettazzi, dal Padre Provinciale O.f.m., Padre Tom-maso Leopizzi, dal Vicario Generale, Mons. Giuseppe Satriano e da tutti i sacerdoti sa-licesi), incontri sociali, politico-culturali. Il tono festoso è stato garantito da “I Colori di un Sì”, un medley di parole, suoni, immagi-ni, in onore alla Vergine e dalla presenza del noto cantautore don Giosy Cento.

Domenica, 15 maggio, un folto gruppo di fedeli son partiti per Loreto, dove, in solen-ne processione, hanno riposto la statua del-la Madonna nella Santa Casa.

Coralba Rosato

salice� Il 30 aprile sfidando condizioni meteorologiche proibitive

Tutti attorno alla Vergine laureatana

© I. Bramato

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10 15 maggio 2011Parrocchie & Associazioni

Nel 60° anniversario della morte del Servo di Dio don Ambrogio Grittani,

le suore oblate di S. Benedetto Giuseppe Labre hanno comme-morato il loro fondatore viven-do, il 30 aprile u.s., una giornata all’insegna della preghiera e del-la riflessione sulla spiritualità del “Santo degli accattoni”.

Figura sacerdotale di riferi-mento per tanti confratelli e fe-deli laici, don Ambrogio ha osato mettere in pratica il Vangelo nel-la Molfetta del periodo bellico e post-bellico, volgendo lo sguar-do - e non girandolo dall’altra parte - verso coloro che erano ritenuti il rifiuto della società, verso coloro che la beata Teresa di Calcutta avrebbe definito “i più poveri dei poveri”. Desiderio di don Ambrogio era restituire la dignità a coloro che sembra-va l’avessero perduta, giacché all’epoca vigeva il pregiudizio secondo cui dire accattone si-gnificava dire uomo vizioso e privo di inibizioni. Don Grittani intuisce la possibilità evangelica di redenzione anche per i miseri e i mendicanti, anch’essi figli di Dio, offrendo loro le risorse spi-rituali e materiali necessarie per il loro inserimento nella società. Accanto al pane materiale, don Ambrogio vuole offrire anzitutto quello spirituale, per riportare a salvezza coloro che apparivano smarriti, per offrire agli ultimi il

primo posto nel cuore di Dio e della Chiesa. Lo Spirito aposto-lico impregnato di carità ha, in don Ambrogio, una fonte eccel-sa: l’Eucaristia.

Molto bella è stata la sottoline-atura di don Mimmo Amato cir-ca la spiritualità eucaristica che ha caratterizzato la vita del Servo di Dio; una spiritualità incarnata nella dimensione esistenziale e sociale umana, desiderosa di restituire al povero il rispetto e la dovuta considerazione. Pro-prio dalla profondità della sua esperienza eucaristica, don Am-brogio ha maturato sentimenti di pietà verso il misero, scorgen-do in lui la viva presenza di Dio. Solo un’anima profondamente contemplativa ed innamorata dell’Eucaristia poteva “vede-re” nell’accattone la presenza di Gesù ed amarlo sino a donare la vita per la causa del povero. Da tale esperienza trae sostan-za il suo carisma, ancora oggi a servizio della Chiesa e a favore delle povertà del nostro tempo. Prima di morire, don Ambrogio aveva incoraggiato le oblate e i suoi collaboratori a continuare il lavoro dell’Opera, sostenuti dalla sua persona che, anche da mor-to, “avrebbe messo il cielo sotto-sopra”.

E così è stato: proprio nel gior-no dell’anniversario della sua morte è stato presentato il pro-getto, appena conclusosi, deno-

minato “MU.SA” (Multimediale/Sartoria); progetto portato avanti dalle oblate, in collaborazione con l’Assessorato al Mediterra-neo della Regione Puglia, che ha realizzato corsi laboratoriali per 40 giovani albanesi di Zheja, piccola città a 40 Km da Duraz-zo, promuovendo il tal modo lo sviluppo delle attività artigiana-li, l’alfabetizzazione informatica e la microimprenditorialità. Un modo nuovo per rispondere ai tanti “poveri” di oggi; un modo nuovo per incarnare un carisma di amore che non ha confini e che rivela la sollecitudine di Dio verso ogni uomo.

Anna Rita Lamendola

Il 13 aprile scorso gli alunni di alcune classi prime e seconde della scuola secondaria di pri-

mo grado “S. Giovanni Bosco” di Ostuni hanno incontrato, presso il salone della parrocchia SS. Medici, la dott.ssa Chiara Castellani volon-taria in Congo. L’incontro, preparato in precedenza nelle classi, si è propo-sto di aiutare gli allievi a riflettere sui diritti uma-ni, la difesa della dignità della persona, l’amore e la condivisione; è stato vis-suto anche come momento forte in preparazione alla S. Pasqua es-sendo la testimonianza della dott.ssa Castellani non solo quella di un medico di frontiera, ma di una “donna consacrata” missionaria laica convinta che «Dio è vicino ai poveri e lo si guadagna stando vi-cino a loro».

Un interessante dialogo si è svolto tra la dott.ssa Castellani e gli alun-ni della Bosco: la Pasqua, il valore della vita, la pace e l’inutilità delle guerre sono stati i temi fondamen-tali.

La testimone ha affermato che il cammino che indica la Pasqua e tutto l’insegnamento di Gesù è la non violenza, tutte le guerre sono inutili e ingiuste anche se c’è chi vuol far credere il contrario. Nelle guerre sono soprattutto i poveri, i bambini, gli anziani, «quelli che non contano» a subirne le conse-

guenze. Ora in Congo finalmente c’è la pace ed è possibile iniziare a realizzare programmi di cure dei malati di AIDS, di tubercolosi, dei malati di malaria, cosa che prima,

durante la guerra, era im-possibile fare.

La missione più difficile per la Castellano quando torna in Italia è far capi-re alla gente che non ha vissuto gli orrori della guerra che non ci sono guerre giuste, che la guer-ra è brutta, «che i feriti da armi da fuoco emanano

un odore terribile di carne morta su donne e uomini vivi».

Chiara Castellani ha sottolineato ancora che in Africa si vive molto più intensamente che qui in Italia, «proprio perché morire è più fa-cile e allora ogni giorno della vita, ogni ora, bisogna conquistarsela e quando te la conquisti è una bella soddisfazione, è qualcosa di vera-mente meraviglioso che dà senso alla mia professione di medico…quando vegli tutta una notte un bambino in coma e il giorno dopo il bambino si risveglia chiedendo da mangiare, senti qualcosa dentro che ti riempie in modo intenso e tutto il resto non conta più, non c’è più sonno o stanchezza, e quando si lotta tra la vita e la morte senti di essere una matita che scrive la pa-rola vita. La cosa più bella del mio lavoro è salvare una vita».

Giuditta De Feo

Mercoledì 27 apri-le si è tenuta, a San Pancrazio

Salentino, una tavola ro-tonda con i candidati alla carica di sindaco alle pros-sime elezioni amministra-tive.

L’incontro è stato orga-nizzato dal Consiglio Pa-storale Parrocchiale della Chiesa madre e si è svolto presso l’aula consiliare del Comune. Ha condotto il confronto Maria Pia Maz-zotta, giornalista dell’emit-tente televisiva “Telerama”. L’intenzione del Consiglio Pastorale Parrocchiale era quella di far conoscere alla cittadinanza il programma elettorale di ciascun aspi-rante sindaco.

I candidati si sono espressi sulla questione meridionale sostenendo che la gente del Sud deve essere protagonista del proprio riscatto sostenuto, però, dalla doverosa soli-darietà nazionale.

La questione ecologica, soprattutto per quanto ri-guarda gli impianti foto-voltaici che hanno com-portato lo stravolgimento del territorio, è stato am-piamente dibattuto e si è tentato di fare proposte concrete per rilanciare lo sviluppo del mondo agri-colo attraverso la moder-

nizzazione della stesso.Sul tema della criminali-

tà organizzata i candidati hanno espresso il loro im-pegno a combattere l’agire malavitoso che manipo-la gli appalti, interferisce sulle scelte urbanistiche, sulle autorizzazioni e sulle concessioni.

È stato affrontato, inol-tre, il problema della di-soccupazione giovanile e dell’emigrazione dei gio-vani.

Gli aspiranti alla carica di sindaco, infine, si sono espressi favorevolmente sul progetto di accoglien-za nei riguardi degli im-migrati e sulla possibilità di creare un centro nel caso si dovesse giungere ad una “emergenza”. Pur tenendo presente la crisi economica globale e la ca-renza di risorse economi-che che caratterizza i Co-muni, i candidati hanno espresso il loro impegno a sostenere le situazioni di povertà delle famiglie non autosufficienti con anziani o disabili a loro carico.

L’aula consiliare, per quanto grande, non è ri-uscita a contenere la cit-tadinanza che ha parteci-pato con grande interesse all’incontro.

Fernando Faggiano

S. PANCRAZIO� Prima del voto

Capire i problemi

ANNIVERSARI A 60 anni dalla morte di don Grittani

Ricordo del Santo degli straccioni

Le coppie dei nubendi insieme al parroco e all’equipe dei formatori

Domenica mattina al termine della messa che ha concluso il percorso di preparazione

al matri-monio, una giovane donna, pronta ad essere sposa fra qualche mese mi ha detto con voce tremula di emozione: “Peccato! Ieri sera è sta-to il primo sabato che il gruppo delle 25 coppie di fidanzati non si è incon-trato. È proprio un grosso dispiacere, ci siamo sostenuti nell’ascolto attivo, nel confronto e conoscenza dei con-tenuti che ci sono stati proposti da tutta l’equipe dei formatori”. La gio-vane sposa ha così continuato: “Ma un gruppetto di noi, affiatato, si è incontrato ugualmente, ieri sera, per continuare a riflettere”.

Per me e per gli altri amici che han-no guidato il percorso, è stata una bella esperienza umana e di Chiesa. Un atteggiamento molto bello che ho riscontrato è stato quello dell’umiltà con cui queste coppie hanno par-tecipato agli incontri, a differenza di quanto troppo spesso assistiamo

tra i giovani del nostro tempo che si sperimentano maestri di vita e fanno fatica a mettersi in relazione con gli altri e a condividere principi e valori. Mi sono rimasti impressi negli occhi e nel cuore, i volti dei giovani impre-gnati di sinergie, quindi, desiderosi e vogliosi di apprendere informazioni nuove o confermare quelle già pos-sedute, per costruire la propria storia familiare in modo del tutto originale. È emerso che il loro grande deside-rio è di dare alla scelta matrimoniale una identità tutta propria, tenendo sì presente i modelli affettivi delle loro famiglie di origine, ma anche voglio-si di esprimere il loro essere uomini e donne adulti, consapevoli, capaci di confrontarsi, di aprire la mente, il cuore alla dimensione creativa e procreativa del proprio “essere” e del proprio “fare”, incarnando così lo sti-le evangelico di Marta e Maria.

Consiglia Cardone

O�StuNI S. Maria Madre della Chiesa

Percorsi verso il matrimonio

Per vivere, anche visibilmente, la celebrazione della Gioia pasqua-le con i fratelli, la Comunità Par-

rocchiale Sant'Antonio di Mesagne, ha programmato l’intera Giornata del Lu-nedì dell’Angelo in Torre Santa Susanna, presso l'Istituto Maria Immacolata dei PP. Carmelitani.

La Pasqua ha riproposto nuovamente l’interrogativo che deve sconvolgere la vita di ogni cristiano, chiamato ad “Edu-carsi all’Amore”, per essere, vivendo, “te-stimone” della Luce.

Ma la continuità della Pasqua è data dalla Gioia di comunicare la Luce, in un mondo che cambia,

Alle ore 18 il nostro Parroco Padre An-gelo Muri ha celebrato l’Eucarestia, uni-tamente a Padre Enrico Ronzini, Provin-ciale dei Carmelitani.

La catechesi si è sviluppata in tre punti:• La Pasqua è inizio di Vita Nuova, che

nasce dalla Comunione con il Cristo Ri-sorto.

• La Pasqua è invito del Cristo a porta-re, con la Vita, l’annuncio ai propri Fra-telli, come Dono, nato dal vero incontro con Gesù.

• La Pasqua, festa della Vittoria della Vita sulla morte, sulla paura.

«L’augurio», ha detto Padre Angelo, «non è una prassi, ma l’espressione sin-cera di un cuore che gioisce, perché ha incontrato il Divino Risorto e, felice per questo evento, corre dai Fratelli e a tutti comunica la sua esperienza: “Ho visto il Signore, ecco … cosa mi ha detto …».

Maurizio Carmelo Iaia

mESAgNE S. Antonio

Pasqua è…

O�StuNI Incontro con Chiara Castellani

A lezione di diritti umani

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Dossier

Quali sono i doni e i valori che dovrebbe-ro essere comuni ai movimenti e alle ag-gregazioni laicali?

«La consapevolezza di essere un grande frut-to dello Spirito e una ricchezza della Chiesa nella diversità dei carismi che rendono bella la fede. L’elemento comune è proprio la ec-clesialità che si esprime nella chiamata alla santità, nell’adesione alla fede cattolica, nella comunione al Papa e ai Vescovi, nello scopo missionario e nella testimonianza all’interno della società».

I diversi e numerosi carismi che carat-terizzano i tanti movimenti di laici che animano la Chiesa sono una risorsa o, talvolta, possono essere un problema per l’unità dei fedeli?

«Senza dubbio sono una risorsa perché ogni carisma è un vero approfondimento di ogni aspetto del Vangelo, il quale, insieme agli al-tri, rivela la bellezza e l’attualità della Chie-sa. Se coltivati nella comunione col Vescovo e con la Chiesa e nella conoscenza e nella stima reciproca, non mettono mai a rischio l’unità, ma faciliteranno, invece, l’opera di evangelizzazione, la santificazione degli uo-mini e l’animazione della società».

Come fare in modo che le diverse ag-gregazioni laicali possano imparare ad aprirsi tra loro, conoscersi, apprezzarsi e scambiare esperienze?

«È sufficiente sentire l’universalità della Chiesa con il Papa e la diocesanità attorno al Vescovo. Ogni aggregazione è una vera espressione di Chiesa e non è una chiesa au-tonoma. Partecipa con gioia comunitaria alle convocazioni diocesane col proprio specifi-co, aderisce alla Consulta delle Aggregazio-ni che nel coordinamento garantisce l’unità nella diversità e la diversità nell’unità. Fa cir-colare la propria identità col piacere di cono-scere quella delle altre, nella gioia di essere Chiesa e facilitando esperienze di scambio reciproco».

Le aggregazioni confraternali come pos-sono essere punto di riferimento educati-vo per i laici cristiani?

«Le Confraternite, al di là di alcune appa-renze, hanno sempre avuto finalità caritative e culturali, insieme alla capacità di educare ai valori cristiani intere generazioni. Basta riscoprire i vecchi statuti aggiornati alla sen-sibilità del Concilio Vaticano II per ritrovarvi delle vere forme educative per i cristiani e di testimonianza per i non credenti».

Antonio Rubino

protagonisti Intervista a mons. Talucci

«Consapevoli di esseregrande frutto dello Spirito»

3° convegno regionale A San Giovanni Rotondo dal 27 al 30 aprile

I laici nella Chiesa e nella società pugliese oggi

«Come Benedetto XVI pellegrino a san Pio, anche noi siamo sa-liti quassù certi di poter leggere

con più attenzione i segni dei tempi e discer-nere quello che lo Spirito sta dicendo alle nostre Chiese e alla nostra società pugliese, affinché diventino costruttrici di speranza per il futuro della nostra terra», ha detto mons. Pietro Maria Fragnelli, vescovo di Castellaneta e presidente dell’Istituto pastorale pugliese, intro-ducendo i lavori del III Convegno delle Chiese di Puglia. I trecentocinquan-ta delegati e i vescovi delle diciannove diocesi puglie-si si sono riuniti dal 27 al 30 aprile a San Giovanni Rotondo sul tema: “I laici nella Chiesa e nella socie-tà pugliese, oggi”.

«I laici sono chiamati a ridare alla nostra Chie-sa pugliese la profondità di uno sguardo che sia capace di leggere i segni dei tempi, tramite i qua-li, in questi nostri tempi difficili, Dio ci chiede un supplemento di responsabilità nei riguardi di questo mondo al quale da cristiani appar-teniamo», ha detto mons. Michele Castoro, arcivescovo di Manfredonia-Vieste-San Gio-vanni Rotondo, durante la Celebrazione del-la Parola.

«La riflessione delle Chiese di Puglia è un contributo fondamentale per la vita dei pu-gliesi», una riflessione «stimolante» che co-glie «la dimensione di un meridionalismo che non è petulanza» ma che è «l’avventura del Mediterraneo», ha detto il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, portan-do il suo saluto al Convegno.

Ai partecipanti è giunto anche il messaggio

di Papa Benedetto XVI, il quale ha esorta-to tutti «ad alimentare l’unione con Cristo attraverso l’ascolto della Parola di Dio e la partecipazione all’Eucaristia per trasformare con spirito evangelico le realtà temporali, co-municare speranza, educare le giovani gene-razioni e camminare insieme verso il compi-

mento della storia umana nel Signore Risorto».

A conferma della voca-zione ecumenica della Puglia, inoltre, si è tenuta anche una celebrazione ecumenica presieduta dall’arcivescovo di Lecce, Domenico D’Ambrosio, e da padre Mihai Driga, parroco della Chiesa or-todossa rumena in Bari. Ai lavori del convegno, tra gli altri, hanno partecipa-to anche Abune Youssef Hailemikael, vescovo or-todosso etiopico e padre Evanghelos Ynfantilis, vi-cario generale della Sacra arcidiocesi ortodossa di Italia e Malta.

Ai convegnisti è stato anche offerto un concerto per coro e orchestra de-

dicato a Giovanni Paolo II con gli interventi dell’orchestra sinfonica della Provincia di Bari e del coro diocesano di Taranto.

L’ultimo giorno è stato presentato il mes-saggio conclusivo che raccoglie le 12 pro-posizioni da affidare ai vescovi che, dopo il loro discernimento, le riconsegneranno alle Chiese di Puglia. Il Convegno si è concluso con la celebrazione eucaristica nella nuova chiesa di san Pio.

Il Convegno celebrato a San Giovanni Ro-tondo si inserisce nella scia dei due prece-denti, “Crescere insieme in Puglia” (1993) e “La vita consacrata in Puglia” (1998).

la cronaca Giorni davvero speciali

Un valido contributo alla vita dei pugliesi

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Dossier15 maggio 201112 Dossier

15 maggio 2011 13

Il 3° convegno delle Chiese di Puglia sul tema “I laici nella Chiesa e nel-la società pugliese, oggi” ha avuto, sicuramente, il suo momento più alto nella relazione di apertura della prof.ssa Annalisa Caputo, proprio

come dice il proverbio popolare “il buongiorno si vede dal mattino”! La relatrice si è fatta guidare dalle parole di don Tonino Bello, essere “pietre di scarto”, fragili, limitate e, nonostante questo, “scelte e preziose”. Ognuna con la sua singolarità. Ha costruito il suo intervento, pensandolo come un chiarimento delle questioni che sono sottese al titolo, all’ambito, ai termi-ni/chiave del Convegno. Come una cornice, ha detto, in cui si andranno poi ad inserire, lavorando in profondità, i contributi delle tavole rotonde e i contributi di tutti, nei Laboratori.

Un’impostazione che parte dall’umano per arrivare all’ecclesiale. Interes-sante la scelta fatta del sottotitolo della relazione, “Tra diluvio e arcobale-no”, che significa, innanzitutto, il desiderio di scavare dentro queste parole/ponte: ‘laici’, ‘Chiesa’, ‘società’, ‘pugliese’, ‘oggi’. Non ponti orizzontali, finiti, definiti: ma ponti aperti, come un’iride; aperti su un ‘oltre’. Nodi dell’uma-no. Sempre gli stessi e sempre nuovi.

È partita, quindi, dalla parola “oggi”, sottolineando che è “l’ora dei laici”, come è quella dei sacerdoti e dei vescovi, per passare alla parola “laici”. Qui, dopo aver approfondito il termine dal punto di vista etimologico e dopo aver evidenziato le diverse accezioni con cui si usa, è giunta a difen-

dere questo termine, proprio nella consapevolezza che dietro i termini più equivoci si cela una posta in gioco più alta. «La laicità è l’essere del laico; e il laico è l’uomo. La laicità è un metodo; e laico è chi segue questa via metodologica». Perciò, è l’uomo che accomuna credenti e non. L’umani-tà dell’uomo. La sua laicità/secolarità, poi, si concretizza nell’amore per la terra, per il mondo, per il tempo… Questi, dunque, sono i “valori laici” che valgono per noi ‘fedeli laici’, ma anche per i ‘laicisti’. Perché sono scritti nel profondo del nostro essere uomini.

Il laico è l’uomo della relazione (non degli assolutismi); è l’uomo del ri-spetto dell’opinione altrui; è chi non si chiude nelle proprie certezze, ma sa camminare con l’altro, facendo un tratto di strada con lui, con la consa-pevolezza che da ogni incontro c’è da imparare.

Da qui la prof.ssa Caputo è passata al termine “società” e “Chiesa” . Sin-ceramente, mi è difficile commentare il pensiero della relatrice, perché siamo stati trasportati dalle sue parole, siamo entrati nella poesia, nelle immagini che passavano sulle slides.

«Sale. Lievito. Seme. Il silenzio dell’invisibile. Da cui traspare la luce. Sì, traspare… dagli occhi. Ma sempre umilmente, silente. …Saranno gli altri, se saremo veramente ciò che siamo, a chiederci ragione di quella luce, di quel ‘sapore’, di quella sovrabbondanza lievitante, che trabocca …più dell’etica; e più di quanto gli amori umani riescano umanamente a fare.

Saranno gli altri a chiederci ragione dei pomeriggi che ‘sprechiamo’ in parrocchia, a servizio dell’educazione di ragazzi che tra qualche anno per-deremo, perché le statistiche non sbagliano e dopo la Cresima se ne an-dranno. E lo sappiamo e lo temiamo. Ma rimaniamo comunque lì. A con-sumare il nostro tempo con loro. Saranno gli altri a chiederci ragione delle nottate passate in adorazione, o alla stazione, con i barboni, invece che nel caldo di casa. E risponderemo, allora…come una ragazza che mostra il suo primo anello, nascosto per pudore…: è la mia fede. Nuzialità.»

Ed è a questo punto che viene usata la metafora dell’arcobaleno per ridi-re la “Trinità”, la Chiesa…“ Ma il colore dell’arcobaleno ha molti aspetti”, ha detto la relatrice, «tanti quante sono le vocazioni nella Chiesa. Tutte di pari dignità, ma ognuna con la sua ‘indole’ e il suo colore specifico. Tanto che se mancasse il rosso, non sarebbe arcobaleno. Ma nemmeno se mancasse il viola».

Così siamo stati condotti, infine, alla comprensione della nostra autenti-ca vocazione richiamando Maria come la “laica” per eccellenza. Come co-lei che ha saputo coniugare la Parola alla vita.

Una relazione profonda, competente, un modo nuovo di intendere il lai-co, una nuova spinta a vivere con più consapevolezza la nostra vocazione.

Vittorio Mirabile

Diviene illuminante per la nostra rifles-sione la parabola del

buon Samaritano, che tra i tanti approcci interpretativi, può anche avere una lettura che potremmo definire “ec-clesiale”. In questa lettura il buon Samaritano è figura di Cristo, che si china sull’uma-nità ferita e depredata dalla potenza del male. E’ il cuore di Cristo la vera sorgente del-la compassione per il dolore umano. […]

Il buon Samaritano non si limita a soccorrere il malca-pitato, ma lo conduce in una locanda, per essere curato. Lì c’è chi possa prendersi cura di lui. L’albergo, la locanda è simbolo della comunità cristiana, è il luogo di guarigione che Cristo ha stabilito per tutti quelli che sono oppressi e sofferenti, bisognosi di es-sere sollevati dalla mano del Pastore. […]

C’è da aggiungere che l’albergato-re non riceve solo un comando, ma anche uno strumento indispensabile per fare quello che il samaritano gli ha chiesto: i due denari. Questi “due denari” sono la forza di Cristo risorto data alla sua Chiesa per operare in suo nome, per “salvare” l’umanità. E’ con la nostra disponibilità, ma so-prattutto con questa forza, che pos-siamo salvare altri!

La Chiesa ci viene consegnata come la casa che accoglie tutti, realtà che dà una casa ad ogni uomo, che salva tutti dalla morte, non tanto quella fi-sica, ma quella eterna, che togliereb-be all’uomo ogni valore, e alla vita dell’uomo ogni senso. In questa otti-ca la corresponsabilità non ha diritto di abitare solo in alcuni luoghi ma diviene lo stile con cui tutti i creden-ti (laici, preti, religiosi, consacrati) sono chiamati insieme a raccogliere la sfida consegnata dal Cristo, nelle varie comunità, mediante progetti e percorsi condivisi, in cui vivere la propria soggettività ecclesiale.

[…] Il concetto di corresponsabili-tà va ben oltre il puro esercizio della collaborazione. Esso, senza confon-dere i ruoli di ciascuno, pone l’accen-to sulla partecipazione, consapevole e responsabile, non solo sull’esecu-zione di un progetto ma su tutte le fasi necessarie per la sua progetta-zione. Siamo dinanzi ad una presa in carico della Chiesa e del mondo da parte dei laici e dei preti, a cui va rivolto un sereno invito ad abbando-nare ogni logica dissonante da un re-ale ministero posto a servizio di que-sta crescita. Tale esortazione prende le mosse da una visione del mondo che sempre più, a livello economico, politico, sociale sembra influenzare i nostri percorsi comunitari, fornen-do un modello di efficienza che vede accentrare, nelle mani di pochi, de-cisioni vitali e importanti per il bene di tanti […]

I “luoghi” della corresponsabili-tà sono gli spazi che, insieme, sia-mo chiamati ad abitare per attuare la missione affidata senza mandati speciali; sono anche quelle strutture di partecipazione in cui, pur espri-mendo ingegno ed impegno da par-te di ciascuno dobbiamo coltivare sempre quell’attenzione allo Spirito di cui ogni cosa è dono.

Certamente tra i “luoghi” sono da annoverare il Consiglio pastorale parrocchiale, quello vicariale o quel-lo diocesano; come anche non pos-siamo dimenticare quelle strutture di carattere Regionale o Nazionale. Essi sono segni e strumenti di una Chiesa che si comprende come comuniona-le e fraterna, autentiche palestre di corresponsabilità. C’è da dire però che ridurre la corresponsabilità solo a questi “luoghi” sarebbe un grave errore poiché, oggi come ieri, esi-ste il problema del primo annuncio, maggiormente accentuato dall’indif-ferenza religiosa in cui viviamo.

Nuovi ritmi di vita, nuovi stili, nuo-vi ambiti esistenziali, nuovi “areopa-ghi” ci obbligano a rivedere i nostri percorsi e progetti pastorali risco-prendo che in una forte mentalità missionaria possa risiedere la capa-cità di riattivare percorsi in cui con-frontarsi e sognare insieme. […]

La corresponsabilità diviene così stile di vita ineludibile per tutti i credenti ed attraversa ogni luogo dell’agire umano, da quello profes-sionale . […] a quello del volontaria-to . […]; dalla cultura . […] a quello dei mezzi della comunicazione . […]; dal mondo economico . […] a quello della giustizia . […]; dal mondo della famiglia . […] a quello dalla forma-zione […].

Vivere la comunità ecclesiale come luogo di corresponsabilità può e deve divenire segno profetico di una ritrovata capacità comunicativa e dialogica in un mondo sempre più arenato in forme di vita condiziona-te da atteggiamenti compromissori e funzionali, non orientati alla verità.

don Giuseppe Satriano

Due parole, ponte e dialogo, hanno segnato in modo particolare i lavori di questo convegno, parole usate nella relazione di fon-do e nella introduzione ai gruppi di studio. Sono anche ritornate

nell’approfondimento del gruppo Cittadinanza ed interculturalità dell’area tematica Testimoni.

Nel confronto è emerso che la Puglia, essendo una penisola e quindi con un notevole sviluppo costiero, è da sempre e continuerà ad essere, terra d’immigrazione. Lo è stata nei secoli scorsi con le invasioni, come testimo-niano le comunità albanesi e grecaniche esistenti e lo è attualmente, per-ché considerata come terra promessa o via di passaggio per altri luoghi, da tanti popoli dell’Europa orientale e dell’Africa che scappano dalla guerra, o che sono in cerca della possibilità di una vita dignitosa.

Il flusso migratorio ci provoca all’accoglienza. L’accoglienza va coniugata con la giustizia perché non sia elemosina e promuova la fratellanza. Siamo sollecitati a conoscere, oltre che attraverso il dialogo, anche con l’attivazione di percorsi formativi storico-antropologici, la cultura dei popoli che appro-

dano sulle nostre coste, per superare la diffidenza e la paura e per ricono-scere e valorizzare le loro ricchezze. Perciò bisogna impegnarsi nel superare l’autosufficienza e l’autoreferenzialità, ma anche per conoscere le nostre ra-dici e la nostra cultura.

È stato auspicato, a tal riguardo di istituire una Scuola di cittadinanza atti-va in ogni Diocesi.

È stata presentata la necessità urgente di “far funzionare” i luoghi ecclesia-

li di discernimento comunitario, nei quali le persone “imparano ad ascoltare, confrontar-si, ragionare” per programmare una forma-zione permanente a livello spirituale, morale, sociopolitico, e proporre quindi percorsi for-mativi integrali.

In questo gruppo di studio c’era anche l’imam della moschea di Gioia del Colle, in-sieme con la moglie che, pur essendo araba,

parla benissimo l’italiano. Hanno partecipato a tutto il Convegno e all’in-contro di preghiera ecumenico erano presenti anche i due figli, la figlia indossava il velo, come la madre. Questa puntualizzazione per dire che hanno dimostrato come si possa e si debba dialogare, senza annullare la propria identità religiosa, perché l’ascolto rispettoso, la conoscenza ed il dialogo con chi professa un credo diverso, da un lato aiutano a superare ogni pregiudizio, mentre dall’altro rinsaldano la propria fede.

Molto significativa è stata la frase pronunciata dalla moglie dell’imam du-rante la liturgia ecumenica quando, riferendosi ai cattolici che aveva avuto

l’opportunità di conoscere, ha affermato, tra l’altro: “Voi cattolici seminate l’amore per mietere la pace”. Mi piace considerare questa frase come un au-gurio: Seminate l’amore, mieterete la pace.

Seminiamo l’amore concretamente attraverso l’impegno anche politico, perché sia promossa la giustizia nella logica della fratellanza cristiana e sa-remo costruttori di ponti e operatori di pace.

Liliana Falcone

testimoni Due parole chiave “ponte” e “dialogo” in una regione che è penisola

Seminate l’amore per mietere la pace

riflessioni La relazione di fondo della professoressa Annalisa Caputo, guidata dalle parole di don Tonino Bello

Pietre di scarto....per costruire ponti aperti

Dover racchiudere in poche righe la ricchezza dell’espe-rienza vissuta non è cosa fa-

cile; il convegno è stato un forte mo-mento di Chiesa , un con – venire del Popolo di Dio che è in Puglia: Vesco-vi, Presbiteri, Religiosi, Consacrati e Laici, che insieme hanno guardato con la categoria dell’Alleanza il rap-porto tra il Signore e la terra di Pu-glia.

Il convegno è stato un’esperienza che ha posto come dato educativo

trasversale la reciprocità, la com-plementarietà, l’essere per, il sentirsi tessere dello stesso mosaico che in-sieme formano la Chiesa nella com-plementarietà dei compiti e dei ruo-li. Dato unificante è stato lo sguardo amorevole di Dio Padre-Creatore in relazione con le sue creature e con il creato, un Dio che si prende cura, che accompagna ogni uomo e ogni donna e che affida gli uni agli altri.

Prima di tracciare le linee dell’area educatori, mi piace introdurmi con un pensiero di Mons. Cesare Nosi-glia, Arcivescovo di Torino, a com-mento degli Orientamenti per il decennio 2010/2011: “Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò”. Penso in-fatti che ogni atto educativo è prima di tutto un atto di amore e di fidu-cia; formare, educare, far crescere, si radicano in una visione dell’uomo carica di Speranza, offerta a tutti, gratuitamente, con l’ unica preoccu-pazione di far sì che tutti “abbiano la vita e l’ abbiano in abbondanza” (Gv 10,10).

I tre gruppi dell’Area Educato-ri hanno riflettuto sui luoghi in cui l’esperienza educativa prende forma e si realizza e sulle modalità e priori-tà della trasmissione della fede.

Il 1° gruppo aveva come tematica: “Alleanza Educativa e Scuola ; il 2° gruppo: “Parrocchia, famiglia e gio-vani; il 3 ° gruppo: “Trasmissione della fede”.

Per leggere quanto è maturato in quest’area utilizzo una metafora afri-cana “Per poter crescere a un bambi-no non bastano i genitori, ma è ne-cessario l’intero villaggio”.

Ogni cristiano è chiamato, per vo-cazione, a prendersi cura dell’altro, quindi ad educare, compito questo che oggi non può essere vissuto in

solitudine, ma che richiede soste-gno reciproco, ovvero una rete tra i luoghi in cui il processo educativo prende forma: famiglia, comunità parrocchiale e scuola. La rete educa-tiva chiama in causa la figura di edu-catori affidabili, di educatori capaci di dedicare tempo all’ascolto, all’ac-compagnamento, alla conoscenza di un mondo in trasformazione, alla conoscenza del linguaggio nuovo e in cambiamento, capaci di flessibili-tà e aperti all’educazione personale

permanente. L’educatore tratteggiato deve essere capace di fermarsi sulla soglia, deve rifuggire l’inclusività, deve essere capace di educare alla libertà e all’amore, perché l’ amore nutre e sostiene la libertà.

La rete educativa, in realtà, non bi-sogna inventarla, ma è necessario solo riannodarne i fili e far funziona-re quei luoghi già esistenti (consigli di classe e d’istituto, gruppi fami-glie…) e trasformarli in spazi di con-fronto su tematiche comuni. Educare richiede che gli educatori siano cre-dibili, che parli la loro vita, perché gli interlocutori, soprattutto i giovani, percepiscano la fede vissuta come innamoramento e come narrazione di una esperienza di senso unica: questo risulta essere uno straordina-rio veicolo di trasmissione della fede. Paolo VI indicava i Testimoni più che i Maestri come “contagiatori “della Fede. La trasmissione della fede vie-ne sostenuta e assicurata dallo Spiri-to Santo. «La nostra speranza viene dallo Spirito Santo, nella sua forza amiamo e reinvestiamo l’amore» ha detto Mons. Fragnelli citando l’Abate Magrassi.

La costruzione di relazioni e la ca-pacità di recupero del dialogo in-tergenerazionale consentiranno di colmare le solitudini e l’incomuni-cabilità che rendono difficile in que-sto tempo l’ azione educativa. La fa-miglia, oggi, deve riappropriarsi del compito di trasmissione della fede che le compete e insieme alle comu-nità cristiane deve educare, a partire dalle ferite e dalle fragilità proprie e altrui, sostenuta e illuminata dalla Parola di Dio.

Lucia Marseglia

educatori Le diverse alleanze educative

Sentirsi tessere vivedi un bel mosaico

3° convegno regionale Anche la nostra diocesi presente a San Giovanni Rotondo con i suoi venti delegati guidati dall’Arcivescovo

I laici nella Chiesa e nella società pugliese oggicorresponsabili Seguendo il samaritano

La Chiesa, una casa che accoglie tutti

Page 12: Angelo Sconosciuto A pagina Un gigante della fede · l’animo del bimbo capace di stu-pirsi anche delle piccole cose e di guardarle a fondo, perchè «sen - za meraviglia l’uomo

Dossier15 maggio 201114

La partecipazione al convegno regio-nale sui laici per noi seminaristi è stata una tessera preziosa che ha ar-

ricchito e abbellito il mosaico della nostra formazione in vista del sacerdozio.

Senza i sacerdoti non c’è eucaristia, sen-za eucaristia non c’è Chiesa. Ma una Chie-sa senza i laici renderebbe vana l’essenza stessa del sacramento e ne tradirebbe il fine salvifico: “Questo è il mio sangue ver-sato per voi e per tutti”. Il sacerdozio mi-nisteriale ha la sua origine nel sacerdozio battesimale, perché il battesimo è la sor-gente di tutte le vocazioni.

Laico, com’è noto, è chiunque abbia rice-vuto il battesimo e fa parte del “popolo di Dio”. È pur vero, tuttavia, che il prete non è un superuomo che vive a un palmo da ter-ra, ma egli stesso è parte del popolo di Dio, quand’anche vi sia una diversità di funzio-ni e sia sacramentalmente configurato a Cristo in modo distinto rispetto al cristiano laico.

Da questa esperienza così fortemente ecclesia-le abbiamo appreso una lezione che suona quasi come un paradosso: dobbiamo mantenere sempre viva una dimensione “laicale”…anche da preti!

Tutto ciò, sia ben chiaro, non ha nulla da spartire con la laicizzazione del clero, una delle non poche derive di un malinteso progressismo conciliare stigmatizzato a più riprese nelle relazioni che han-no animato il Convegno. Vuol dire, piuttosto, che

se un prete non conosce, e soprattutto non ama i laici, nella Chiesa sarà un “lupo solitario”, non un pastore, un testimone, un maestro, lo sposo della comunità!

È un segno dei tempi che la formazione dei semi-naristi non si riduca all’arida acquisizione di nozio-ni teologiche, seppure necessarie, ma si arricchisca di esperienze di Chiesa, così incisive e qualificanti come quella vissuta a San Giovanni Rotondo.

Pierluigi Ruggiero

lA voce dei delegAti Nuovi percorsi

Per una presenza visibilelA voce dei delegAti I seminaristi al convegno

Senza eucaristia non c’è Chiesa

Il 3° convegno ecclesiale delle diocesi di Puglia è stata un’esperienza di Chie-sa di cui hanno goduto non soltanto

i laici adulti, ma anche i giovani delegati. Io stesso ho avuto la gioia di partecipare all’assise regionale portando con me le situazioni difficili e le speranze dei gio-vani cristiani pugliesi in un tempo in cui viviamo il vuoto dei valori e l’incertezza dell’avvenire.

Di grande spessore culturale e spirituale è stata la relazione della professoressa Ca-puto la quale ha messo in guardia anche noi giovani da un possibile rischio: «Se ci presentiamo agli altri come più bravi, più uomini, più laici, più giusti – ha detto la relatrice - non dialogheremo mai. Non esiste un unico modello di laico, ma una molteplicità di carismi, che, però, hanno un minimo comune, costituito da pre-ghiera, sacramenti e direzione spirituale. Questa non è e non sarà mai l’ora dei laici in Puglia se non sarà insieme l’ora dei ve-scovi, dei sacerdoti, dei religiosi e delle re-

ligiose, poiché la clericalizzazione dei laici o la laicizzazione del clero non è solo un problema pastorale, ma è innanzitutto un affronto alla fantasia della Trinità».

Al Convegno è giunto anche il messag-gio del Santo Padre Benedetto XVI che ha esortato tutti ad alimentare l’unione con Cristo attraverso l’ascolto della Parola di Dio e la partecipazione all’Eucaristia per trasformare con spirito evangelico le real-tà temporali, comunicare speranza, edu-care le giovani generazioni e camminare insieme verso il compimento della storia umana nel Signore Risorto.

Al temine delle attività, che hanno coin-volto i delegati nei vari gruppi di lavoro, sono state consegnate 12 proposizioni ai Vescovi che, dopo il loro discernimento, saranno riconsegnate alle Chiese di Pu-glia.

Danilo Corsa

La nostra partecipazione al con-vegno è stata una grazia del Signore che ci ha permesso di

vivere in pienezza l’argomento che più ci sta a cuore: l’essere laico oggi nella Chiesa.

Come coppia partiamo sempre dall’idea e dalla convin-zione, che l’identità del laico cristiano si com-pone di due aspetti: il primo, quello spirituale, in quanto agisce come membro del Corpo Mi-stico del nostro Signore Gesù Cristo, nella vita liturgica sacramentale, nell’apostolato, nell’evangelizzazio-ne e nelle opere di misericordia, se-condo il proprio carisma; il secondo quello temporale, in quanto vive nel quotidiano, inserito nelle varie man-sioni lavorative: intellettuali, manua-li, tecniche...

Tali aspetti di vita fanno del laico, testimone di fede, un segno di Cristo nel mondo, così da poter realizzare la Parola del Signore “Stare nel mon-do e non essere del mondo”.

Il laico è una figura privilegiata del cristiano, perchè è stato lo stesso Gesù Cristo, quando ha iniziato la sua vita pubblica, a scegliere i suoi discepoli, non tra la casta sacerdo-

tale dell’epoca, o tra gente con l’al-ta conoscenza di Dio, o tra farisei e sadducei, ma fra le persone appun-to laiche, dedite alle attività umane e che forse con Dio avevano poco a che fare, ma che, con un “vieni e se-guimi”, si sono messe subito alla se-

quela del Signore. Ancora oggi, soprattut-

to le persone “lontane”, pensano che la Chiesa si identifichi solo nei preti e nei consacrati, e che solo a loro sia dato l’ac-cesso alla Bibbia, men-tre il laico è una figura ridotta al minimo, ricon-

ducibile alla stregua di sacrestano (senza offesa per tale servizio).

Dal convegno è scaturito un per-corso di intenti fra clero e laicato va-lido per la generazione d’oggi, in un contesto di secolarismo e di ateismo pratico che riguarda anche tanti bat-tezzati.

Se criticità si possono muovere, sono riferite al brevissimo tempo per il lavoro nei gruppi e alla non parte-cipazione negli stessi dei Vescovi, i quali, probabilmente, avrebbero aiu-tato di più nella formulazione delle proposizioni.

Franco e Angela Loconsole

È ormai da qualche tempo che il ruolo del laico cattolico nella Chiesa e nella società interessa la mia riflessione ed i

miei studi ed ho quindi partecipato con una certa aspettativa di trovare, per quanto pos-sibile, un qualche riscontro ad alcune mie convinzioni, che ho esplicitato in una rela-zione tenuta, sempre a San Giovanni Roton-do, nell'ultimo convegno diocesano. A dire il vero, non ne ho trovati molti, ma ritengo che sia stata comunque un'esperienza umana, religiosa ed ecclesiale assai importante e, per alcuni versi, esaltante.

Trovarsi a poter discutere con persone provenienti da tutta la Puglia, da diverse esperienze ecclesiali, con diversi carismi è un'opportunità certamente non consueta; allo stesso modo, mi ha incuriosito, prima, ed emozionato, poi, il momento di preghie-ra ecumenica con i fratelli ortodossi, copti e musulmani. Mai avevo assistito ad un incon-tro in cui la fraternità, la voglia di stare e fare qualcosa insieme, il rispetto e la compren-sione trasudavano così naturalmente e visi-bilmente.

Nel gruppo di studio cui ho preso parte, dedicato alle aggregazioni laicali, la cui me-

todologia di conduzione mi è sembrata inve-ro troppo costrittiva (schede da compilare, confronti con pochi poi estesi, in pochi mi-nuti e con l'orologio incombente) lo spunto più interessante mi è parso quello prove-niente dalla traccia di riflessione del prof. Sportelli, quando ha sottolineato che la sfida per la Chiesa del nuovo millennio è quella di avvicinare le tante persone che frequentano la parrocchia solo nelle occasioni "topiche", per dare ed avere visibilità, per non sentirsi diversi... Verso questi cattolici "estempora-nei" bisogna studiare le strategie più idonee per renderli meno "estemporanei" e più con-vinti che essere cristiani è una scelta di vita, intercettando le loro esigenze ed interpre-tando i loro bisogni.

Infine, è stata anche una bella esperienza umana, perchè ho avuto la gioia di rivede-re amici (laici e sacerdoti) della mia passa-ta esperienza di fucino, che non vedevo da molti anni ed una bella esperienza cultura-le, nell'assistere alla spiegazione sui mosaici della cripta e al bel concerto nella suggestiva cornice della nuova basilica.

Salvatore Amorella

Quelli trascorsi a San Giovanni Rotondo sono state, decisa-

mente, giornate indimenti-cabili. Infatti, l'intensa par-tecipazione e l'afflato umano dei delegati, unitamente alle relazioni, tutte di altissimo livello culturale, tenute da il-lustri relatori, hanno avuto il merito di avviare i lavori del Convegno in maniera coin-volgente ed appassionata.

Inoltre, grande è stata l'at-tenzione quando, a nome

dei Vescovi Pugliesi, Mons. Pietro Maria Fragnelli ha di-chiarato che: «Siamo saliti quassù certi di poter leggere con più attenzione i segni dei tempi e discernere quel-lo che lo Spirito sta dicendo alle nostre Chiese e alla no-stra società pugliese. Siamo qui a gridare forte che da soli non riusciamo a dare pane di speranza a tutta la folla che è in ricerca».

Ed ancora, quando Mons. Francesco Cacucci ha affer-

mato che è stato il partico-lare momento che sta attra-versando la società italiana e pugliese: «a spingere le Chie-se, quelle di Puglia in parti-colar modo, a interrogarsi e a riflettere sull'impegno dei laici, un impegno che riguar-da tutta la comunità eccle-siale. Non è, perciò, un con-vegno dei laici, ma sui laici».

I delegati, riunitisi in grup-pi di lavoro, hanno prodotto 12 interessanti proposizioni confluite in un documento

conclusivo che è stato con-segnato ai Vescovi che, a loro volta, lo invieranno a tutte le Chiese di Puglia.

Nel documento è messo in evidenza come sia forte l'esi-genza di una parrocchia a dimensione di famiglia, che sappia rimodulare i propri tempi, spazi e luoghi in rap-porto ai ritmi e alle esigenze dei soggetti coinvolti. Una parrocchia "famiglia di fami-glie" che, nella corresponsa-bilità, curi le relazioni inter-

personali con sé e con Dio, tenendo presenti i tempi, le nuove condizioni di vita e i bisogni di tutti, soprattutto dei giovani. Inoltre, sarà op-portuno la costituzione di itinerari formativi comuni a livello spirituale, culturale e sociale, con la creazione di una Commissione Diocesa-na per la Formazione.

Un ruolo importante è an-che affidato alla Consulta delle Aggregazioni Laicali per sviluppare un'attiva co-municazione, attualmente piuttosto carente, fra religio-si e aggregazioni laicali, per creare comunione al servizio di Cristo e della Chiesa.

E infine, è urgente una più coraggiosa testimonianza

cristiana nella realtà socio-politica pugliese, alfine di conseguire più elevati livelli di giustizia sociale, di frater-na condivisione e integrazio-ne del "diverso", nonché di un più cosciente e responsa-bile perseguimento del bene comune, per la realizzazione di un modello etico di svi-luppo fondato sulla centrali-tà dell'uomo.

Come Popolo di Dio, ci au-guriamo ardentemente che quanto è emerso nel conve-gno trovi attuazione in tempi ragionevolmente brevi, per vivere in maniera correspon-sabile la comune passione evangelica.

Gianni Caputo

lA voce dei delegAti È quanto emerso dai gruppi di lavoro

Diventa urgente la testimonianza

lA voce dei delegAti Dopo il confronto

Essere cristiani è scelta di vitalA voce dei delegAti I giovani al convegno

Le proposte ai Vescovi

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Chiesa & Arte 1515 maggio 2011

Dopo un lungo periodo di chiusura per consentire i la-vori di restauro, è stata finalmente riaperta al culto, giovedì 5 maggio, la chiesa Santa Maria degli Angeli

in Brindisi.I lavori, iniziati nel 2007, hanno restituito alla città l’antico

santuario completamente rinnovato e ritornato agli antichi splendori, che i numerosi fedeli presenti hanno potuto am-mirare, insieme alle autorità e a S. E. l’Arcivescovo che ha be-nedetto la chiesa.

Mons. Rocco Talucci ha aperto la cerimonia, animata dal Coro Polifonico Arcivescovile “San Leucio”, con un breve momento di preghiera a cui ha fatto seguito la sua benedi-zione e l’introduzione di Mons. Mario Guadalupi, Rettore del santuario, particolarmente emozionato, il quale ha rin-graziato tutti coloro, nessuno escluso, che hanno contribuito alla realizzazione dei lavori: l’Arcivescovo, la CEI, la Com-missione Europea, la Soprintendenza per i beni architetto-nici, la Regione Puglia, le imprese e i tecnici, l’Associazione san Lorenzo, le autorità, la comunità delle Suore Missionarie dell’Incarnazione che prestano il loro servizio nel santuario e, non da ultimi, i fedeli. E ricordando don Ettore Biasi, sa-cerdote molto caro alla comunità, ritornato alla Casa del Pa-dre da circa un anno, don Mario, che guida questo santuario con fervida passione pastorale, ha esortato tutti a custodire il bene artistico ma soprattutto quello della fede: «Sta a noi custodire questa chiesa – ha detto- ma molto più la luce inte-riore, quella della fede che dovrà ravvivarsi e mai spegnersi».

Subito dopo è intervenuto il prof. Giacomo Carito, Diret-tore dell’Ufficio diocesano per i Beni Culturali Ecclesiastici: «Questa chiesa è cara ai brindisini e la bellezza serve per av-vicinarci a Dio. E qui, questo miracolo si è compiuto - ha det-to Carito – diventando il segno di un rapporto d’amore e se-gno culturale fortissimo». Ha ricordato, inoltre, che in punto di morte, san Lorenzo volle che il suo cuore fosse portato qui a Brindisi: «In qualche modo – ha concluso – ha portato la città nel suo cuore».

L’Architetto Luigi Dell’Atti, Direttore dei lavori di restauro e consolidamento statico, ha illustrato, in modo più detta-gliato, tutti gli interventi effettuati. «Dato lo stato degradato della struttura – ha precisato Dell’Atti – siamo intervenuti su tutte le situazioni gravi consolidando le murature ed evitan-do che si corrodessero ulteriormente. Abbiamo sistemato tutti gli alloggi delle suore, con una nuova pavimentazione (nonostante avessimo trovato dei reperti che sono stati con-segnati alle autorità competenti) mantenendo il vuoto sotto e permettere una ventilazione a tutto l’edificio». Dall’impianto elettrico alla scelta del coloro interno, luminoso e chiaro, dal

rifacimento di tutti gli altari al restauro delle tele, degli affre-schi, del coro e del pulpito: gli interventi sono stati numero-si e impegnativi, costati anni di duro lavoro, che hanno dato vita, tuttavia, ad un grande risultato che ha stupito tutti. E ciò grazie alla grande sinergia e intesa tra quanti hanno collabo-rato. «Ringrazio particolarmente tutte le imprese – ha detto Dell’Atti al termine del suo intervento – la Curia Arcivesco-vile, nella persona di Mons. Talucci, che ha riposto in noi la fiducia affidandoci un manufatto di così grande valore».

Gli interventi si sono conclusi con l’Architetto Augusto Ressa, Soprintendente per i beni architettonici e paesaggisti-ci per le province di Brindisi, Lecce e Taranto, che ha espres-so il tentativo, che c’è stato da parte di tutti, di portare in questa chiesa la bellezza, quella bellezza degli artisti del pas-sato che oggi è difficile riprodurre. «Questo luogo – ha sotto-lineato Ressa – era molto cupo, ora è un luogo di luce perché rimuovendo questi strati abbiamo trovato tutte le dorature e gli argenti che il tempo aveva celato».

Ed è proprio la grande luminosità ciò che si percepisce am-mirando il santuario di Santa Maria degli Angeli, rinnova-to ma conservato in tutta la sua bellezza. Bellezza artistica, bellezza che gli uomini sanno creare, bellezza di Dio. Que-sto il messaggio al centro della riflessione dell’Arcivescovo a cui sono state affidate le conclusioni. «Questo luogo lo sento nell’appartenenza pastorale ma anche nella responsabilità di chi ha seguito i lavori – ha detto Mons. Talucci – che ha unito, al lavoro tecnico, tanta comprensione umana e cristiana». E riferendosi a san Lorenzo, che ha desiderato dar vita a questo santuario, ha aggiunto: «Se questa chiesa custodisce il cuore di chi l’ha voluta, vuol dire che essa è il cuore di questa città, e come vorrei che la città se ne accorgesse maggiormente». Un invito, da parte di Padre Arcivescovo, a porre l’attenzione all’Eucaristia in quanto Santa Maria degli Angeli è il santua-rio eucaristico per eccellenza, dove vi è l’adorazione perma-nente. E a questo proposito, ha sottolineato che «l’Eucaristia è il cuore della Chiesa e senza di essa saremo solo un’aggre-gazione sociale. È presenza della bellezza che si è fatta carne, bellezza di Dio che si è resa visibile in Gesù». E con San Lo-renzo, cantore dell’Eucaristia, la Chiesa brindisina non po-teva che scegliere Santa Maria degli Angeli come luogo dove poter incontrare sempre il Signore. Eucaristia la cui centra-lità è emersa particolarmente nel Sinodo diocesano appena celebrato. «Questa chiesa – ha concluso l’Arcivescovo – deve portarci alla bellezza di Gesù Risorto. E iniziando questo nuovo percorso, l’adorazione vuole essere un invito a tutti i passanti a visitare la bellezza vera perché questa luogo rap-presenta l’incontro della città con il suo Signore».

Daniela Negro

BENI CULTURALI Dopo anni di lavori, il 5 maggio scorso l’attesa cerimonia

Riaperta al culto la chiesa Santa Maria degli Angeli

Un autentico scrignodi arte sacra

Il santuario, sorge nel cuore del centro stori-co di Brindisi, e fu costruito, per volere di San

Lorenzo, (patrono della città), frate minore cap-puccino di origine brindisina, nato nel 1559. Mor-to, probabilmente per avvelenamento nel 1619, venne proclamato santo nel 1881 da Leone XIII e annoverato dottore della Chiesa nel 1959 da Gio-vanni XXIII. San Lorenzo è ricordato anche per la sua straordinaria conoscenza della Bibbia nelle tre lingue originali e per la sua fede eucaristica, che lo portava a celebrare sempre la Messa per ore, nonostante le sue molteplici attività. Dopo vari incarichi in diverse regioni italiane ed anche all’estero, Padre Lorenzo ritornò a Brindisi nel 1604, anno in cui decise la costruzione di una chiesa, l’attuale santuario, che doveva sorgere sul terreno della sua casa natale, con annesso mona-stero di clausura trovando i finanziatori nel duca di Baviera, nella principessa di Caserta ed in al-tre personalità conosciute durante i suoi viaggi in Europa. La chiesa, i cui lavori iniziarono nel 1609, fu destinata alle suore clarisse di Brindisi.

La struttura è realizzata con pietra calcarenitica detta carparo, la pianta è a croce latina, mentre la facciata è di stile barocco, decorata con fiori e putti. La porta lignea è ornata con bassorilievi raffiguranti San Francesco d’Assisi, Santa Chiara, San Giovanni e San Matteo. L’interno, a navata unica, presenta lateralmente quattro cappelle, nelle quali sono ospitate alcune opere pittoriche e scultoree, tra cui un crocefisso attribuito ad An-gelo da Pietrafitta, proveniente dalla Chiesa di Santa Maria del Casale e il dipinto “Estasi di San Lorenzo” attribuito ad Oronzo Tiso (XVIII secolo). Nella cappella dedicata al santo è conservato un crocefisso d’avorio donato da Lorenzo da Brin-disi, utilizzato dallo stesso per incitare i soldati cristiani nella battaglia di Székesfehérvár (Albare-ale) del 1601 contro gli ottomani. Dietro l’altare maggiore, ornato con statue dei santi Francesco e Chiara, vi è un dipinto raffigurante l’Immacola-ta tra gli Angeli, di Pieter De Witte.

scheda

© Mario Gioia © Mario Gioia

© Mario Gioia

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16 15 maggio 2011Vita di Chiesa

“Nel cuore della realtà”. L’Istitu-

to Giuseppe Toniolo di studi superiori ha scelto questa espressione del fondatore, padre Agosti-no Gemelli, come motto della 87ª Giornata per l’Università Cattolica celebrata domenica 8 maggio in tutte le dio-cesi italiane. Questa espressione – spiega il rettore della Cattolica, Lorenzo Ornaghi, nel suo messaggio per la Giorna-ta – «indica chiaramente la volontà di fare grata memoria del nostro pas-sato e, nel contempo, di affrontare con rinnovato coraggio le prossime sfide nel campo dell’educazione e della ricerca scientifica, a cui risponderemo con sempre maggior determinazione in forza della vicinanza nella preghiera e dei gesti di con-creta amicizia che i fedeli delle diocesi italiane anche quest’anno non ci faranno mancare». Quello di quest’an-no, ricorda Ornaghi, è «un anno davvero speciale» per-ché «l’Italia festeggia i 150 anni dell’Unità e, per una significativa coincidenza, l’Università Cattolica del Sacro Cuore celebra i 90 dalla sua fondazione». «Ai giovani, soprattutto – prosegue Ornaghi - vogliamo dedicare il nostro impegno e la nostra attenzione: è sul-le generazioni di domani, infatti, che occorre scommet-tere senza esitazioni, aiutandone la formazione integra-le sia professionale sia umana in vista di un modello di sviluppo realmente a favore della persona e della vita. Come ricorda Benedetto XVI “la ricerca di Dio e la dispo-nibilità ad ascoltarLo, rimane anche oggi il fondamento di ogni vera cultura”». Attualmente l’Ateneo del Sacro Cuore conta oltre 40 mila studenti nelle quattordici facoltà attive nelle sue cinque sedi: Milano, Brescia, Piacenza-Cremona, Campobasso e Roma. «L’Ateneo del Sacro Cuore – conclude Ornaghi - è sta-to immaginato e tenacemente voluto da tutti i cattolici italiani per favorire l’incontro fra Vangelo e cultura at-traverso la manifestazione di un’esperienza cristiana convinta, aperta alla ragione e all’autentico progresso della ricerca scientifica. In questa delicata, affascinante missione crediamo fermamente. Così come accadde nel 1921 e, anno dopo anno, è continuato ad accadere».

unIversItà cattolIca

“Nel cuore della realtà”

«Tra le domande che sono state proposte, una è arri-vata da una donna musul-

mana della Costa D’Avorio che ha chie-sto un consiglio a Gesù, uomo e profeta di pace, per il suo Paese in guerra. Se una musulmana rivolge al Papa una si-mile domanda, ebbene questo ci dice che almeno il Venerdì Santo davanti alla figura di Gesù possiamo sentirci tutti quanti in ascolto e uniti». Così Ro-sario Carello, giornalista e conduttore televisivo, parla della puntata di “A Sua Immagine - Speciale Venerdì Santo” andata in onda il 22 aprile su Rai Uno. La trasmissioneha visto per la prima volta il Papa ospite di un programma televisivo per rispondere a sei doman-de provenienti da tutto il mondo.

«Benedetto XVI, già nel suo primo li-bro su Gesù di Nazaret, affermava che dobbiamo conoscere Cristo per amar-lo» e così abbiamo pensato di mettere insieme «la nostra voglia di parlare di Gesù nel giorno del Venerdì Santo e lo stile del Papa, che essendo un professo-re universitario è abituato al dialogo e al confronto».

«Il Santo Padre ha accettato in tempi molto brevi la nostra proposta - pro-segue Carello -, dimostrando grande genio comunicativo e umiltà«. «Se pen-siamo alle autorità politiche ma non solo, scopriamo che non è consuetu-dine rispondere alle domande dei tele-spettatori. Anche in questo - sottolinea il conduttore -, Benedetto XVI dimostra con grande semplicità che è possibile rompere tale abitudine per andare ol-tre».

Nel corso della selezione, sono state ricevute circa 3 mila domande: «È stato compiuto un lavoro di divisione in ma-crogeneri secondo i temi più ricorrenti. Quindi, è stata individuata la domanda più significativa all’interno di ciascuna area. Il dolore innocente dal Giappo-ne, nelle parole di una bambina, era ad esempio la soluzione migliore per rac-contare il dramma vissuto dal Paese. Tutte le domande sono una rappresen-tanza di tematiche ripetute con tanti

altri quesiti». Infi-ne, Carello si dice « profondamen-te grato al Papa» ed «emozionato e gioioso perché abbiamo riportato Gesù al centro nel giorno e nell’ora della sua morte». Tra le domande ricevute, precisa, «numerose sono di persone che non credono ma sono af-fascinate dalla figura di Gesù». In tal senso, «sono convinto che grazie al Papa abbiamo dato la possibilità a tutto il mondo di fermarsi un attimo davanti all’uomo più affascinante di tutti i tem-pi, senza divisioni di alcun tipo».

Dalla vostra parte. È un Papa che «parla con Dio» quello a cui si rivolge nella prima domanda Elena, la bam-bina giapponese di sette anni che ha chiesto al Santo Padre perché “devo avere tanta paura” e “i bambini devono avere tanta tristezza?”. Nella risposta il Pontefice ha affermato che “non abbia-mo le risposte, ma sappiamo che Gesù ha sofferto come voi, innocente, che il Dio vero che si mostra in Gesù, sta dalla vostra parte”. Un giorno, ha pro-seguito, “possiamo anche capire per-ché era così” ma “in questo momento mi sembra importante che sappiate: ‘Dio mi ama’, anche se sembra che non mi conosca. No, mi ama, sta dalla mia parte, ed essere sicuri che nel mondo, nell’universo, tanti sono con voi, pen-sano a voi, fanno per quanto possono qualcosa per voi, per aiutarvi”. Inoltre, prosegue il Pontefice, bisogna “essere consapevoli che un giorno, io capirò che questa sofferenza non era vuota, non era invano, ma che c’è un progetto buono, un progetto di amore dietro”. In-tanto “stai sicura, noi siamo con te, con tutti i bambini giapponesi che soffrono, vogliamo aiutarvi con la preghiera, con i nostri atti e siate sicuri che Dio vi aiu-ta”.

Servizio all’umanità. “Santità l’anima di questo mio figlio Francesco, in stato

vegetativo dal giorno di Pasqua 2009, ha abbandonato il suo corpo, visto che lui non è più cosciente, o è ancora vicino a lui?”. È la seconda domanda che Maria Teresa, mamma italiana di un figlio in stato vegetativo, ha posto a Benedetto XVI. “Certamente l’anima è ancora pre-sente nel corpo. La situazione, forse, è come quella di una chitarra le cui cor-de sono spezzate – ha spiegato il Papa -, così non si possono suonare. Così anche lo strumento del corpo è fragile, è vulnerabile, e l’anima non può suona-re, per così dire, ma rimane presente. Io sono anche sicuro che quest’anima nascosta sente in profondità il vostro amore, anche se non capisce i dettagli, le parole, eccetera; ma la presenza di un amore la sente”. Per questo, conclude il Santo Padre, “vi incoraggio a continua-re, a sapere che fate un grande servizio all’umanità con questo segno di fidu-cia, con questo segno di rispetto della vita, con questo amore per un corpo lacerato, un’anima sofferente”. La terza domanda, alla quale si è già accennato, è stata formulata da una donna musul-mana che vive in Costa d’Avorio mentre la quarta viene da sette giovani studenti iracheni di Baghdad che ogni giorno, per il solo fatto di essere cristiani, ri-schiano la vita. Le altre tre domande riguardano più da vicino il mistero del-la Pasqua. In particolare, una di quelle giunte da telespettatori italiani propo-ne la difficoltà dell’uomo moderno nel comprendere sino in fondo il mistero della risurrezione. E per finire non po-teva mancare una domanda sul Vener-dì Santo vissuto dalla Madre di Gesù ai piedi della croce.

coMunIcaZIonI socIalI Un evento che resta consegnato alla storia

Benedetto XVI ha risposto in tv alle domande su GesùPropaganda Fide

Mons. Filoninuovo Prefetto

Il Papa ha nominato monsignor Fernando Fi-

loni nuovo Prefetto della Congregazione per l'Evan-gelizzazione dei Popoli, l’ex Propaganda Fide. Filo-ni prende il posto del car-dinale Ivan Dias e lascia l’incarico di Sostituto della Segreteria di Stato. Mons. Filoni è nato a Man-duria (Taranto), il 15 aprile 1946. È stato ordinato sacer-dote il 3 luglio 1970. È laureato in Filosofia e in Diritto Canonico. Entrato nel Servizio diplomatico della Santa Sede il 3 aprile 1981, ha prestato successivamente la propria opera presso le Rappresentanze Pontificie in Sri Lanka e in Iran, presso la Segreteria di Stato, in Brasile e nelle Filippine. Il 17 gennaio 2001 è stato eletto alla sede titolare di Volturno, con dignità di Arcivescovo e nominato Nunzio Apostolico in Giordania e in Iraq. Ha ricevuto l’ordinazione episcopale dal Beato Giovanni Paolo II nella Basilica Vaticana il 19 marzo 2001. Il 25 febbraio 2006 è stato nominato Nunzio Apostolico nelle Filippine.Il 9 giugno 2007 il Benedetto XVI lo ha nominato Sosti-tuto per gli Affari Generali della Segreteria di Stato. Co-nosce il francese, lo spagnolo, l’inglese e il portoghese.

Verso Assisi. Pellegrini della verità, pellegrini della pace

Il 1° gennaio scorso, al termine della preghiera dell’Ange-lus, Benedetto XVI ha annunciato di voler solennizzare

il 25° anniversario dello storico incontro tenutosi ad Assisi il 27 ottobre 1986, per volontà del beato Giovanni Paolo II. In occasione di tale ricorrenza, il Santo Padre intende convocare, il 27 ottobre prossimo, una “Giornata di rifles-sione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo”, recandosi pellegrino nella città di San Francesco e invitando nuovamente ad unirsi a questo cammino i fra-telli cristiani delle diverse confessioni, gli esponenti delle tradizioni religiose del mondo e, idealmente, tutti gli uo-mini di buona volontà.

La Giornata avrà come tema: “Pellegrini della verità, pellegrini della pace”. Ogni essere umano è, in fondo, un pellegrino in ricerca della verità e del bene. Anche l’uomo religioso rimane sempre in cammino verso Dio: da qui na-sce la possibilità, anzi la necessità di parlare e dialogare con tutti, credenti o non credenti, senza rinunciare alla propria identità o indulgere a forme di sincretismo; nel-la misura in cui il pellegrinaggio della verità è vissuto au-tenticamente, esso apre al dialogo con l’altro, non esclude nessuno e impegna tutti ad essere costruttori di fraternità e di pace. Sono questi gli elementi che il Santo Padre in-tende porre al centro della riflessione.

Per questo motivo, saranno invitate a condividere il cam-mino dei rappresentanti delle comunità cristiane e delle principali tradizioni religiose anche alcune personalità del mondo della cultura e della scienza che, pur non profes-sandosi religiose, si sentono sulla strada della ricerca della verità e avvertono la comune responsabilità per la causa della giustizia e della pace in questo nostro mondo.

L’immagine del pellegrinaggio riassume dunque il senso dell’evento che si celebrerà: si farà memoria delle tappe percorse, dal primo incontro di Assisi, a quello successivo

del gennaio 2002 e, al tempo stesso, si volgerà lo sguardo al futuro, con il proposito di continuare, con tutti gli uo-mini e le donne di buona volontà, a camminare sulla via del dialogo e della fraternità, nel contesto di un mondo in rapida trasformazione. San Francesco, povero e umile, accoglierà di nuovo tutti nella sua città, divenuta simbolo di fraternità e di pace.

Le delegazioni partiranno da Roma, in treno, la mattina stessa del 27 ottobre, insieme con il Santo Padre. All’arrivo in Assisi, ci si recherà presso la Basilica di S. Maria degli Angeli, dove avrà luogo un momento di commemorazio-ne dei precedenti incontri e di approfondimento del tema della Giornata. Interverranno esponenti di alcune delle delegazioni presenti e anche il Santo Padre prenderà la parola.

Seguirà un pranzo frugale, condiviso dai delegati: un pasto all’insegna della sobrietà, che intende esprimere il ritrovarsi insieme in fraternità e, al tempo stesso, la parte-cipazione alle sofferenze di tanti uomini e donne che non conoscono la pace. Sarà poi lasciato un tempo di silenzio, per la riflessione di ciascuno e per la preghiera. Nel pome-riggio, tutti i presenti in Assisi parteciperanno ad un cam-mino che si snoderà verso la Basilica di San Francesco. Sarà un pellegrinaggio, a cui prenderanno parte nell’ul-timo tratto anche i membri delle delegazioni. All’ombra della Basilica di San Francesco, là dove si sono conclusi anche i precedenti raduni, si terrà il momento finale della giornata, con la rinnovazione solenne del comune impe-gno per la pace.

In preparazione a tale Giornata, papa Benedetto XVI presiederà in San Pietro, la sera precedente, una veglia di preghiera, con i fedeli della diocesi di Roma. Le Chiese particolari e le comunità sparse nel mondo sono invitate ad organizzare momenti di preghiera analoghi.

Il Papa chiede ai fedeli cattolici di unirsi spiritualmente alla celebrazione di questo importante evento ed è grato a quanti potranno essere presenti nella città di San France-sco, per condividere questo ideale pellegrinaggio.

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PaginAperta 1715 maggio 2011

Fine del celibato? Grande dispiacere ha provocato tra

i cattolici un articolo pubblicato dal quotidiano “Il Foglio” con il titolo “Con-tro il celibato dei preti” a firma di Gianni Gennari. Meraviglia perché il suo autore – come dice lo stesso giornale – è “teologo e giornalista di Avvenire, ordinato prete nel 1965 e ha ricevuto la dispensa da Giovanni Paolo II nel 1984”.

Oggetto delle dure critiche è il prefetto della Congre-gazione per il clero, il card. Mauro Piacenza, colpe-vole di aver pubblicato su “L’Osservatore Romano” due articoli nei quali richia-ma il magistero da Pio XI a Benedetto XVI a riguardo della naturale convenienza tra sacerdo-zio e celibato. La posizione del porporato è giudicata “dottrinalmente infondata e sot-tilmente violenta”: questo giudizio davve-ro sconcerta, perché nulla di tutto questo si trova nel colloquio internazionale che il card. Piacenza ha tenuto ad Ars nel gen-naio scorso e che è stato utilmente ripreso più volte dal giornale vaticano.

Dietro all’attacco al prefetto della Congre-gazione per il clero c’è la solita tesi che la scelta del celibato non sarebbe “essenzia-le – scrive Gennari – al ministero dei preti cattolici, contraddirebbe la stessa tradizio-ne apostolica”. Insomma, sarebbe un’in-venzione della Chiesa del IV secolo. La tesi è vecchia e sorpassata perché, è ormai assodato, che i Concili della Chiesa antica,

per primo quello di Elvira (300 ca), presso Granada, chiedendo ai chierici il celibato, testimoniano con ovvietà una prassi ben precedente, consolidata e che, pertanto, poteva essere tradotta in legge. Nella vita della Chiesa viene normato quanto già è vissuto: non si danno soluzioni di conti-nuità su argomenti decisivi. Del resto se ne

è parlato con serietà e documen-tazione al convegno teologico

internazionale “Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdo-te” (Laterano, 11-12 marzo 2010).

Il giornalista ritiene, ascoltando le opinioni di

taluni, che oggi sarebbe au-spicabile un cambiamento

per ammettere, finalmente, la fine del celibato per tutti. Ma i veri

cambiamenti sono quelli che conducono ad una maggiore imitazione di Cristo e ad un’adesione alla sua scelta radicale di vivere celibe per consacrarsi all’opera del Padre.

Coloro che sostengono l’abolizione del celibato ripetono continuamente che esso non è richiesto dal sacramento dell’Ordi-ne. Dicono le cose a metà. Il Concilio pre-cisa i termini: la scelta del celibato “non è certamente richiesta dalla natura stessa del sacerdozio (...)” ma “ha per molte ragioni un rapporto di convenienza con il sacer-dozio” (Presbyterorum ordinis, 16). Perché Gennari nel suo articolo cita il Concilio a metà?

M.D.

celibato dei preti Cose dette solo a metà

Una nota giornalistica che tradisce il Concilio

T ra le donne che più si distinsero duran-te l’Unità d’Italia è da annoverare la regina Sofia moglie di Francesco II di

Borbone che ormai incapace di reagire, tradito e chiuso nella rassegnazione si affidò alla vo-lontà della moglie, che ordinò a tutti i soldati che erano giunti anche a nuoto a Gaeta, a co-sto di lutti e sacrifici, la difesa ad oltranza: prefe-rire la fedeltà alla vita.

La regina in abiti maschili sotto i bombar-damenti si prodigava a soccorrere i feriti, a spronare i combattenti tanto da essere ricor-data come “eroina di Gaeta”. L’assedio durò tre mesi e costò 367 vittime ai piemontesi e migliaia ai napoletani che dovettero distri-carsi tra l’epidemia di tifo petecchiale ed i proiettili e le cannonate del generale Cialdi-ni. Durante la battaglia il re festeggiò il suo venticinquesimo compleanno con una gran-de parata militare nel frattempo Cavour si accordava con Napoleone III affinché i fran-cesi ritirassero le truppe che impedivano l’assedio via mare così la flotta piemontese bloccò l’arrivo di rinforzi e di cibo.

Quando Francesco II, per risparmiare ulte-riori lutti e sofferenze incaricò il governatore della piazzaforte di negoziare la resa le città dalla Campania al Piemonte, dalla Sicilia alla Puglia le città esultarono così come era

avvenuto in precedenza con l’ingresso a Na-poli del “Re Galantuomo, Vittorio Emanue-le”. La vittoria a Gaeta fu presentata dall’in-tendente con gioia, fierezza ed orgoglio e lo stesso intervenne in modo funzionale dando la comunicazione ufficiale ai Comuni invi-tandoli a celebrare l’avvenimento con una festività di tre giorni orientando la cittadi-nanza ad una partecipazione attiva.

In una conclusione decurionale del Comu-ne di Brindisi così si riporta: “uniformiamo-ci alla Comune esultanza, uniformiamoci in tale occasione a quanto trovasi superior-mente disposto, si fa appello all’amor patrio di questi bravi cittadini purché nobilmente gareggiassero tra loro, coll’aprire una sotto-scrizione il cui prodotto, unitamente per ciò che sarà ad offrire il Municipio, verrà inver-tito in opere caritatevoli per così solennizza-re questo giorno che ben può dirsi il più lieto della vita, per chi ha un onore veramente Italiano”. Così la cittadinanza rispose e af-

fluì nel pubblico teatro che fu aperto e illu-minato e con 50 ducati il Comune provvide all’illuminazione di “pubblici stabilimenti e funzioni di Chiesa”. Il denaro venne poi di-stribuito sia sotto forma di pane sia sottofor-ma di soldi devoluti ai poveri del Comune.

Brindisi viveva i nuovi avvenimenti dell’Unità italiana con coerenza, entusia-smo e compattezza eppure vi era tensione politica, il brigantaggio si rafforzava sempre più, ma si faceva appello all’orgoglio civico e all’autostima della città. Con toni profeti-ci i decurioni scrivevano: “questo Comune chiamato dal volere della Nazione a un bril-lante ed avventuroso avvenire”. Concetti che sarebbero ritornati nel 1870: “senza dubbio una novella vita, piena delle più lusinghie-re speranze, ed un posto non lontano tra le grandi ed importanti città d’Italia. Di fronte adunque a questo luminoso apparato di av-venimenti, fa d’uopo che la città si prepari più da oggi per non far mancare quello che è

puramente necessario alla comodità della vita, agl’intessi locali degli abitanti, all’uti-le de’ capitali che le società commerciali [si faceva riferimento alla Valigia delle Indie ed all’apertura del canale di Suez] profon-dono col costruire edifizi nuovi, nuovi al-berghi, e coll’impiantare stabilimenti d’ar-

te e d’industria”. Se gli auspici si siano più o meno rivelati

esatti lo lasciamo decidere ai lettori ciò che è certo fu la voglia di riscatto dal degrado in cui si era vissuti. Difficoltà economiche delle quali si colpevolizzarono sia i Borboni sia gli esponenti delle più alte cariche eccle-siastiche. Così per la gestione del Ginnasio Convitto oramai impotente perché privo di risorse a causa, dissero i decurioni, “della vecchia e dispotica abitudine dell’Ordina-rio Diocesano in amministrare le rendite del Monte degli Alunni, facendo tutto per soste-nersi in tale arbitrio, contro la volontà del testatore; ma eziando dal fine dei noti com-ponenti di esso nell’avversare le libere istitu-zioni ed i savi provvedimenti che dal Gover-no s’imprendono per trarre nel progresso la civiltà della Nazione”.

Katiuscia Di Rocco

italiaNi da 150 aNNi Dai Borboni ai Savoia

Quella voglia di riscatto

Fermento torna a Giugno La redazione ricorda che è possibile inviare articoli, foto, lettere e riflessioni entro e non oltre il 5 Giugno.

Il tutto va spedito a: [email protected], oppure al numero di Fax: 0831/524296 o in busta chiusa indirizzata a: Redazione Fermento, Piazza Duomo, 12 - 72100 Brindisi.

Pasqua, letteralmente, significa eso-do, passaggio, traversata. Pertanto, ciò che sta accadendo oggi può es-

sere un paradigma o una parabola che ci aiuta a capire o ad esprimere cosa è per il cristiano la Pasqua.

Si parla di esodo dalle proporzioni bibli-che: una schiera innumerevole composta da uomini, donne e bambini si imbarca stipata su chiatte malferme e insicure. Af-fronta l’ignoto e il pericolo mossa da una situazione di povertà, oppressione, guer-ra, nutrita solo dalla speranza di un paese ospitale che sappia saziare la sua fame di dignità, libertà, nuove opportunità.

Anche l’esistenza del credente è una traversata: essa è iniziata col battesimo quando siamo saliti sulla barca della chie-sa e abbiamo scelto non la casualità della contiguità, ma la compagnia di una frater-nità sposata. Paghiamo quotidianamente il prezzo della coerenza della fede, navi-ghiamo controvento e affrontiamo la fati-ca per sfuggire ai vortici del conformismo

e dell’omologazione. Certo, l’acqua viva della Parola e il Pane eucaristico non si esauriscono e non vengono meno. Come anche i nostri traghettatori, cioè i pastori, non si mimetizzano e non ci scaraventano in acqua e la nostra barca, pur affrontando l’ignoto e l’incerto, attraccherà al porto si-curo.

Accadrà anche a noi, una volta appro-dati, di venire vilipesi nella nostra dignità, chiusi come bestie in recinti che sembrano canili e braccati come belve o addirittura rifiutati, rigettati e respinti?

Sappiamo che non sarà così: «Nostra Pasqua è il Signore». Pertanto, il nostro esodo e la nostra traversata saranno una vera Pasqua, approdo sicuro in quella pa-tria comune dove tutti siamo concittadini, dove non v’è più estraneità o indifferenza, ma piena comunione, dove unico titolo d’ingresso richiesto è la prassi dell’amore: «Ho avuto fame…ero straniero e mi avete accolto»

don Cosimo Macilletti

riflessioNi Ma cos’è per il cristiano?

Pasqua, la traversatadella vita del credente

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Cinema18 15 maggio 2011

HABEMUS PAPAMregia: Nanni Moretti

Una grande folla piange il Pontefice deceduto, milioni di fedeli si raccolgono a San Pie-tro e, con loro, il mondo inte-ro attende il nome del nuovo vicario di Cristo. Morto un Papa se ne fa un altro, recita il detto, ma stavolta non è così "semplice": eletto a sorpresa dal Conclave (i bookmakers lo pagavano addirittura 90 a 1...), infatti, il cardinale Melville (Michel Piccoli) si blocca sulla soglia del balcone subito dopo l'annuncio "Habemus Papam", un attimo prima che il proto-diacono (Franco Graziosi) rife-risca al mondo il suo nome.Lo spunto del nuovo, atteso film di Nanni Moretti, era noto e ruota su quel senso di ina-deguatezza, tremendamente umano, che può colpire ogni persona nel momento in cui viene investita dal peso di un'enorme responsabilità: ma quali conseguenze può avere una tale rinuncia quando l'uo-mo in questione è il Sommo Pontefice? Come ogni grande opera d'arte, "Habemus Pa-pam" (in concorso a Cannes) rimane sospeso sulla doman-da stessa che dà origine al film (scritto dal regista con i sodali Francesco Piccolo e Federica Pontremoli), da un lato se-guendo con straordinaria uma-nità il percorso "fuori le mura" di Melville, dall'altro costruen-do con tenera, mai becera iro-nia degli insoliti passatempi (il torneo di pallavolo, con tabel-lone a gironi e partite di anda-ta e ritorno...) per i cardinali del Conclave rimasti all'interno della Santa Sede insieme allo psicanalista (Moretti), chiama-to per provare a comprendere le ragioni di quel blocco, ora "prigioniero" per evitare qual-siasi fuga di notizie all'esterno.Supportato, e non poco, dal-la prova maiuscola di tutti gli interpreti e dall'enorme lavoro sulla ricostruzione degli am-bienti, Moretti riflette sulla fra-gilità dell'uomo mostrandone il lato più autentico e sincero, spogliando con occhio attento ma non inquisitorio quel velo di invulnerabilità che accom-pagna, da sempre, le figure di spicco mondiale. E se nel "Cai-mano" si facevano nomi e co-gnomi, in "Habemus Papam" l'unico riferimento certo è a Giovanni Paolo II, dalle ripre-se reali del funerale, passan-do per gli accenni nel corso del racconto al predecessore di Melville, fino ad arrivare al protagonista stesso, amante dell'arte e attore in gioven-tù: potrà non sembrarlo, ma è una scelta "politica" anche questa, perché il discorso "Urbi et Orbi" che chiude il film (e che certifica la rinuncia) - auspicante una "Chiesa che guardi al cambiamento, capa-ce di dare amore, accoglienza e comprensione" - è un mes-saggio universale, come quello del film. Che fingendo di non esserne in grado - proprio come lo stesso Moretti nella scena della par-tita a scopa con i cardinali - "spariglia" l'ambito d'elezione e si offre allo sguardo di un pa-ese chiamato al cambiamento, magari attraverso qualche do-lorosa rinuncia.

cinematografo.it

LA FINE E’ IL MIO INIZIOregia: Jo Baier

Molte pellicole degli ultimi anni affrontano, a vario titolo, il problema della morte. Film come “Mare dentro”, “Million dollar Baby” o “Lo scafandro e la farfalla” hanno messo in evidenza come il tema della morte e, di conseguenza, della vita e del valore da assegnare ad essa sia centrale nella no-stra società contemporanea. Un altro film oggi presente nel-le nostre sale affronta di petto sempre questa problematica, con una prospettiva differente, però. Stiamo parlando de “La fine è il mio inizio”, tratto dal romanzo postumo del giornali-sta Tiziano Terzani.La pellicola racconta gli ultimi mesi di vita dello scrittore to-scano, accudito dalla moglie e dal figlio Folco a cui lascia in eredità i suoi ricordi e pensieri, che sono poi diventati appunto il libro dal medesimo titolo del film. Ultimi mesi di vita segna-ti dalla malattia, un cancro con cui Terzani lottava già da anni e con il quale aveva imparato a convivere. Abbiamo detto che il film affronta il tema della morte e della malattia con uno sguardo differente da quello che solitamente il cinema con-temporaneo ci propone: non è, infatti, uno sguardo nichi-lista quello che domina l’ope-ra, bensì uno sguardo sereno, quasi ottimista, comunque pieno di fiducia nei confronti di quello che ci aspetta dopo la fine della nostra vita. Sap-piamo che Terzani non era un cattolico, anzi per lungo tempo è stato un comunista convinto, sostenitore della Cina maoista (come lui stesso ricorda nel film), salvo poi ricredersi ve-dendo le distruzioni causate da quel totalitarismo, ma non è mai stato un laicista, un ateo negativista, anzi in tutta la sua vita ha cercato sempre una via spirituale dell’esistenza e ha sempre predicato l’importanza del dare un senso alle proprie azioni in relazione a un valore sacro della vita e della natura che ci circonda.In questa pellicola proprio questo aspetto viene fuori con grande attenzione: al di là, in-fatti, dei ricordi della sua stra-ordinaria carriera giornalistica, quello che emerge è il cam-mino di un uomo alla ricerca del senso della propria vita e dell’esistenza, in generale, che comprende come tutti noi fac-ciamo parte di un disegno più grande e di come ognuno di noi debba accettare serena-mente i pesi che la vita ti pone davanti. Come la malattia, ad esempio. Naturalmente le ri-flessioni di Terzani, interpreta-to nel film da un ottimo Bru-no Ganz, sono molto debitrici delle filosofie orientali e di un certo spirito “new age”, ma la sua attenzione verso la natura, la pace, la serena accettazione della morte e della malattia, il senso di trascendenza, sono tutti sentimenti pienamente condivisibili e di grande valore umano e culturale.È anzi ancor più rilevante che la sottolineatura della religiosi-tà che pervade la vita dell’uma-nità venga da qualcuno che non ha una fede precisa.

Paola Dalla Torre

C’E’ CHI DICE NOregia: Giambattista Avellino

Il cinema italiano ha scoper-to una nuova attrice. Stiamo parlando di Paola Cortellesi, comica di talento proveniente dal teatro e dalla televisione, oggi volto di punta della nuo-va commedia nostrana. Dopo “Maschi contro femmine” e il suo inverso “Femmine contro maschi”, l’abbiamo ritrovata in “Nessuno mi può giudicare” e ora in “C’è chi dice no”. Segno che l’industria cinematografica punta molto sulla sua persona-lità di attrice versatile e istrio-nica. E certamente la Cortellesi ha messo al servizio del gran-de schermo, con ottimi esiti al box office, tutta la sua capacità e professionalità. Ma bisogna dire che ci sembra che il cine-ma italiano stia un po’ spre-cando una ghiotta occasione per trasformare la Cortellesi da brava comica prestata al gran-de schermo a vera attrice a tutto tondo. Non fa eccezione quella che ha interpretato per Giambattista Avellino in “C’è chi dice no”, commedia che af-fronta tra l’altro un problema serio come il precariato e il si-stema della raccomandazione, male tipico italiano.Max è un precario di talento impiegato presso un quotidia-no locale dove sogna di essere assunto ma viene ancora una volta scalzato dal raccomanda-to di turno. Samuele insegna diritto penale, mentre aspira al posto da ricercatore e assiste un barone universitario che gli preferisce da sempre segnalati incapaci. Irma è una dottores-sa appassionata in attesa di un contratto, soffiato in “zona Ce-sarini” dalla procace fidanza-ta del primario. Ex compagni di liceo, ritrovatisi a una cena commemorativa, Max, Samue-le e Irma si scambiano difficol-tà e dilemmi e deci dono di far fronte comune contro la piaga della raccomandazione. Fonda-tori di un movimento virtuale, “I pirati del merito”, divente-ranno le (lunghe) ombre nere della coscienza dei “segnalan-ti”, incalzandoli con molestie e rappresaglie decisamente cre-ative. Avvalendosi di un cast assortito che sfrutta abilmente la duplice notorietà cinemato-grafica e televisiva dei suoi at-tori (la Cortellesi appunto e lo sfruttatissimo Luca Argentero), il film si inserisce nella nutrita schiera della nuova commedia nazionale, che si batte demo-craticamente per cause civiche ed etiche, in grado di inter-cettare i gusti del pubblico e un tema corrente e dibattuto su giornali e mass media. Ma lo fa con superficialità, accar-tocciandosi in una narrazione che diventa un po’ ripetitiva e al limite dell’inverosimile e con dei protagonisti che non riescono ad assumere una tri-dimensionalità ma rimangono appiattiti in uno schema tipiz-zato di stereotipi (basti vedere anche il ruolo dato a Giorgio Albertazzi che interpreta il ba-rone dei baroni universitari). Un’occasione sprecata, perciò, in duplice senso: dare la pos-sibilità alla Cortellesi di trovare finalmente un ruolo attoriale a tutto tondo e affrontare uno spinoso problema della con-temporaneità, mal governo del mondo del lavoro e suo intasa-mento.

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Cultura & Comunicazione 1915 maggio 2011

Nell’ambito del ciclo di seminari inti-tolato “Quando la ricerca incontra il territorio”, proposto dalla Facoltà

di Scienze Sociali, Politiche e del Territorio e dal Dipartimento di Scienze Sociali e della Comunicazione dell’Università del Salento, è stato presentato, il 16 aprile scorso, pres-so la Sala Conferenze di Palazzo Granafei-Nervegna a Brindisi, il libro “La crisi della tv, la tv della crisi” di Mihaela Gavrila, edito da Franco Angeli.

Mihaela Gavrila, è professore aggregato presso la Facoltà di Scienze della Comu-nicazione dell’Università “La Sapienza” di Roma, dove insegna Sociologia dei processi culturali e comunicativi, Analisi dell’indu-stria culturale e Formati e generi televisivi. Coordina, inoltre, il Master in linguaggi, produzione e marketing della radio in col-laborazione con RadioRai, e svolge attività di ricerca su stili di vita, dinamiche del mu-tamento sociale, consumi culturali, media e tecnologie.

Oltre all’autrice sono intervenuti, all’in-contro, il sindaco Domenico Mennitti, Marcello Strazzeri, Preside della Facoltà di Scienze Sociali, Politiche e del Territorio e Vitantonio Gioia, Direttore del Dipartimen-to di Scienze Sociali e della Comunicazione dell’Università del Salento, Maurizio Gio-vanni Foderaro, Giornalista e responsabile della programmazione musicale di Radio1 Rai, e, infine, Pietro Grignani, Autore Rai e

Project Manager Rai Educational.Tra le pubblicazioni dell’autrice ricordia-

mo “Quella deficiente della TV. Mainstre-am Television e Multichannel” e “La Tv nell’Italia che cambia. Qualità e innovazio-ne nell’esperienza televisiva”.

Quest’ultimo lavoro affronta il tema della trasformazione della televisione, alquanto necessaria, alla luce della crisi del mondo moderno e dell’affermazione di Internet. La tv è ormai un mezzo di comunicazione che subisce, oggi, grandi cambiamenti e nono-stante la crisi che vive, questa potrebbe, in realtà, rigenerare la potenzialità del mezzo.

Da qui, il bisogno dei media della ricom-posizione, come ha affermato l’autrice, e di un servizio pubblico che possa offrire ai giovani, in particolare, riferimenti e valori in vista del futuro.

Ma la crisi della tv e la tv della crisi riguar-da anche i professionisti che operano nel settore, e quindi la loro competenza e for-mazione: due elementi spesso in bilico tra codici deontologici poco definiti, etiche personali e generazionali e difficoltà di ac-creditamento sociale e professionale.

Il libro di Mihaela Gavrilia vuole essere, quindi, uno spunto di riflessione su ciò che la tv offre oggi, ma soprattutto cosa dovreb-be trasmettere, nell’attuale contesto sociale e storico, alle nuove generazioni.

Daniela Negro

La crisi deLLa tv, La tv deLLa crisi

Sabato 9 aprile è avvenuta l’inaugu-razione della nuova sede della “Fon-

dazione Teatro Verdi” e, contemporane-amente, dell’inizio della XIII Settimana della Cultura di cui, le attività artistiche del Teatro Verdi, sono una eccelsa espres-sione.

Non potendo l’Arcivescovo essere pre-sente, mi sono recato per la benedizione. Certamente, l’invito e la richiesta della benedizione esprime il desiderio di por-re sotto i migliori auspici le nuove attivi-tà che in detta sede matureranno perché svolgano sotto lo sguardo benedicente di Dio, foriero di fecondità e successo.

Ma credo che, in fondo, tale deside-rio dica anche la consapevolezza dello stretto legame che c’è tra fede e cultura, tra religione ed arte. Indubbiamente, la Chiesa ha da sempre utilizzato le diverse espressioni dell’arte per veicolare ed il-lustrare la fede e suoi contenuti. Un solo esempio: basti pensare agli affreschi del-le chiese romaniche, considerati la bibbia dei poveri.

La stessa liturgia, attraverso la semplici-tà, l’immediatezza e la bellezza dei sim-boli, comunica l’amore appassionato di Dio ed esprime la risposta dell’uomo che, attraverso essi, in Cristo, si offre al Padre.

Ma, soprattutto, la Chiesa ha da sempre manifestato apprezzamento e simpatia

per le diverse espressioni artistiche e per gli artisti.

Infatti, non solo l’arte veicola i più alti valori umani, ma esprime il cammino laborioso, faticoso, sofferto dell’uomo alfine di armonicamente esprimere nella bellezza l’uno, il vero e il buono.

Tale percorso è simile a quello compiuto dall’uomo alla ricerca della fede e dell’in-contro con Dio in Cristo. Infatti, l’Uno, il Vero, il Bene e il Bello sono le categorie trascendentali che esprimono gli attributi di Dio, ma che attengono anche alle sue creature, l’uomo perché sua immagine, le cose create, perché sue vestigia.

Come l’uomo credente, mendicante di Dio, così l’artista nella sua ricerca, anche se inconsapevolmente, è cercatore di Dio perché tutto ciò che è bello è riflesso di Dio e della sua presenza alle creature.

Infine, la nuova sede, nelle Scuole Pie, dice il ritorno di tale sito alla sua vocazio-ne originaria, cioè l’essere palestra di for-mazione ed educazione. Perciò, l’auspicio che la “Fondazione Teatro Verdi” non solo educhi attraverso l’arte ai più alti valori umani, ma formi anche i giovani all’arte, non solo per esserne fruitori, ma soprat-tutto artefici.

don Cosimo Macilletti

FONDAZIONE TEATRO VERDIINAUGURATA NUOVA SEDE

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Libri20 15 maggio 2011

Libertà e Politica in S. Caterina

da Sienadi Maria Francesca Carnea

«Santa Caterina da Siena offre, seppure semplice popolana,

uno stimolo formidabile alla ela-borazione di un pensiero politico e giuridico italiano». Così il papa Be-nedetto XVI ha descritto la santa pa-

trona d’Italia nel suo Mes-saggio del 17 marzo scorso inviato «a S.E. l’On. Giorgio Napolitano, P r e s i d e n t e della Repub-blica Italiana, in occasione dei 150 anni dell’Unità Po-litica d’Italia». È unanime-mente ricono-sciuto a que-sto dottore della Chiesa il suo impegno nel consolare, incor ag g ia -re, esortare

persone di ogni ceto sociale, «con-tribuendo così sorprendentemente alla soluzione di diverse questioni tra i Comuni e i partiti del tempo». Ma Caterina da Siena è più che mai attuale oggi e provvidenziali sono le pagine di Maria Francesca Carnea, che offre all’intera comunità civi-le «Libertà e Politica in S. Caterina da Siena», pubblicato da VivereIn (pp.132, Euro 13).L’autrice, dopo aver inquadrato, nel-la prima parte, il periodo storico cateriniano, col papato in Avigno-ne, affronta la situazione italiana di quel secolo e tratta con chiarezza e dovizia di contenuti l’«interventismo epistolare di Caterina», determinan-te per l’abbandono di Avignone. Quindi passa ad affrontare il tema del magistero di libertà e politica, parlando prima della «verità voliti-va in Caterina», quindi facendo un opportuno e chiaro raffronto del pensiero politico di due grandi do-menicani, quali sono stati Tommaso d’Aquino e Caterina da Siena, infine trattando dell’attività pubblica di Caterina. «Caterina stessa evidenzia come tre sono le cose necessarie per ben governare – scrive Carnea -. La prima è la coscienza di possedere la Signoria come “cosa prestata e non propria”. In secondo luogo, il “reg-gitore” deve mantenere “la santa e vera giustizia” conservando in pace lo Stato e le città. La terza cosa è la dilezione e l’amore per il prossimo. Ma ci ricorda – conclude – che: “il reggere gli altri” esige, innanzi tut-to, la capacità di “reggere se stessi”, poiché, “chi non sa governare se stesso non può governare gli altri”. Infine tiene presente il fatto che c’è, per l’uomo di governo, il dovere di esercitare e consentire a tutti l’eser-cizio del dono della libertà». Il tutto inquadrato nel libero arbitrio. Non solo. «Tra i meriti di Maria France-sca Carnea troviamo precisamente quest’osservazione – scrive p. Mar-celo Santos das Neves nella Presen-tazione -, di aver compreso sotto l’ispirazione della santa Dottore se-nese che nessun cambiamento fuori di noi potrà essere duraturo se non prima preceduto da un cambiamen-to interiore». Concetti ai quali biso-gna sempre porre mente, ora come allora.

(a. scon.)

IL L

IBR

ODon Italo Pignatelli

servo della caritàdi Dino Ciccarese

Dopo le riflessioni di Vittorio Ci-raci (In memoria di Don Italo

Pignatelli, 1984) e quelle di mons. Angelo Catarozzolo (La pastorale del cuore, 2001) era doveroso che la sua cittadina, alla quale tanto ha dona-to, promuovesse uno studio capil-lare su «don Italino». Ecco dunque,

freschissimo di stampa, «Don Italo Pi-gnatelli, servo della carità» curato da Dino Ciccarese e pubblicato dalla Fonda-zione «Madon-na pellegrina», perché, come dice il suo attuale pre-sidente: «…questo libro ci voleva». P r e s e n t a t e d a l l ’a r c i v e -scovo Talucci, che inquadra ques t ’opera lungo la scia

del Sinodo diocesano recentemente concluso, e con il plauso del sinda-co di Ostuni Tanzarella, le oltre 200 pagine di studio, corredate da un validissimo apparato iconografico, partono dall’analisi dell’assistenza sociale ad Ostuni e da ciò che la fa-miglia Pignatelli, prima di don Italo, ha rappresentato nel corso dei seco-li, per la storia della «Città bianca». I due capitoli sono la degna premes-sa a studiare don Italo Pignatelli, vice parroco della Cattedrale, vice assistente nazionale della Gioven-tù maschile dell’Azione cattolica in anni difficili, e ancora parroco a S. Maria delle Grazie, particolarmen-te impegnato su diversi fronti negli anni duri del secondo dopoguerra, quando bisognò ripartire da zero. Alla stregua di altri preti che han-no fatto l’Italia, con la loro azione di promozione totalizzante della persona umana, ecco don Italo e la casa dell’orfano, ecco il Villaggio del fanciullo ad Ostuni e la Fondazione Madonna Pellegrina.Capitoli densi e documentati sono dedicati, quindi a «Villa Sansone - Villa della speranza – Istituto pri-vato per mongoloidi», alla «Colonia Montana di Serrisi in Sila». Toccante, il capitolo XI dedicato al passaggio di don Italo all’altra vita, una vita non tolta ma trasformata, se è vero che continuano a parlare le opere. Si giustifica così il capitolo dedicato a «La Fondazione Madonna Pelle-grina dopo Don Italo», mentre de-stinate ad un pubblico vastissimo - nel quale comprendiamo nume-rose schiere di studiosi, da quelli di storia contemporanea ai cultori di sociologia – sono le pagine del ca-pitolo nel quale Ciccarese studia «Le agende di don Italo». Singolare e riuscita la scelta di spiegare nell’ul-timo capitolo le ragioni e l’attualità della ricerca: lì collocate fanno sì che l’approccio sia senza influenze e ciascuno tragga il proprio convin-cimento, anche andando oltre le di-chiarate intenzioni dell’autore. Vali-dissima l’appendice: se non avesse il merito di arricchire ulteriormente l’ampio arazzo descritto, che pure le appartiene, ha l’indubbia validità di confermare, così come vuole la più recente ed accreditata storiografia, che l’intervista è tra le fonti di inda-gine storica.

(a. scon.)

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Il nostro Sud in un paese

(reciprocamente) solidale

di Paolo Lòriga

Federalismo fiscale e Unità d’Ita-lia, vescovi e Mezzogiorno, pro-

fezia e 8 per mille. Non solo: Lega Nord e Sud d’Italia; donne e ‘ndran-

gheta, Fiat e sindacati, grande centro e politici cat-tolici, Chiesa e mondo del la-voro. C’è qual-cosa, che pos-sa attraversare tali questioni - quelle vera-mente cogenti nel Paese - nel tentativo di dar loro una risposta uni-taria? Il bravo Paolo Lòriga, che ha inter-vistato mons. GianCarlo Ma-ria Bregantini, non ha dub-

bio alcuno: «è il fattore R», perchè «reciprocità è quello di cui ha biso-gno l’Italia, il Nord quanto il Sud - scrive -. E serve anche alla vita della Chiesa per arrivare a vivere la piena corresponsabilità sin dalla vita par-rocchiale».«Il nostro Sud in un paese (reci-procamente) solidale» (Città Nuova editrice, pp. 101, Euro 10), raccoglie una lunga intervista, che il capo-redattore di «Città Nuova» ha rea-lizzato con mons. GianCarlo Maria Bregantini, presidente della Com-missione Cei per i problemi sociali e il lavoro, che sarebbe riduttivo definire vescovo antimafia, sol per-chè ha testimoniato il Vangelo gui-dando quella parte di popolo a lui affidata prima nella Locride, ora a Campobasso-Bojano. L’affermazione che nelle questioni sopra accennate «la differenza può farla solo la reciprocità», dunque, non è teoria formulata a tavolino, ma frutto di esperienza pluriennale. La reciprocità «riveste una centrali-tà del tutto particolare: è la chiave interpretativa dei fenomeni, è la te-rapia per le molteplici malattie, è il fondamento delle sue proposte, tan-to pastorali, quanto sociali», osserva ancora Lòriga ed indica il federali-smo fiscale, quale «misura e verifica della reciprocità». E allora leggia-mole, a mo’ di esempio, le affer-mazioni sul tema. Mons. Bregantini parte dall’osservare, con don Mila-ni, che «non c’è peggior ingiustizia che fare parti uguali tra disuguali» e la conclusione non può che essere: «Un sano federalismo è ciò che ser-ve al Sud. Ne rappresenterebbe una salutare sfida per avviare una boni-fica del sistema dei rapporti sociali. Penso alle scelte e alla responsabi-lità delle amministrazioni regionali e comunali relative alla qualità e ai costi dei servizi offerti ai cittadini. Non potrà comunque venire meno - osserva - l’impegno, anche finan-ziario, dello Stato per evitare che si creino tra i cittadini diritti diffe-renziati a seconda della regione in cui vivono. Ricordo bene - conclude - quanto affermò Giovanni Paolo II al convegno ecclesiale di Palermo nel novembre del 1995: “Spetta alle genti del Sud essere protagonista del proprio riscatto, ma questo non dispensa dal dovere della solidarie-tà l’intera nazione».

(a. scon.)

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Sport22 15 maggio 2011

MORTE AL GIRO La tragica scomparsa di Weylandt

Pudore e lacrime vereAmbìto premio

al Csi di Brindisi

Si è svolta lo scorso 11 aprile a Brin-disi, presso l’auditorium dell’Au-

torità portuale, la Cerimonia annua-le del CONI Comitato Provinciale di Brindisi per la consegna delle meda-glie al merito sportivo assegnate dal CONI Nazionale, e di alcune targhe speciali che il Comitato provinciale ogni anno assegna a tecnici, dirigen-ti ed atleti che si distinguono nel loro impegno a diffondere i valori dello sport.

Una targa speciale “Ente di Promo-zione Sportiva” il CONI ha voluto as-segnarla ad uno dei 13 Enti di Promo-zione Sportiva presenti in provincia di Brindisi, infatti ad essere premia-to è stato il Comitato Provinciale del CSI per i risultati e l’impegno profuso negli ultimi anni al servizio della co-munità brindisina.

A ritirare il premio dalle mani del Dott. Michele Barbone, componente della Giunta CONI Nazionale, è stato Francesco Maizza presidente provin-ciale del CSI Brindisi, assieme a lui presenti il Vice Presidente Regionale Ivano Rolli, nonché anche Vice Presi-dente provinciale del CSI di Brindisi assieme all’altro Vice Presidente Co-simo Destino.

Il Giro d’Italia perde tragi-camente un giovane che le cronache raccontano

sempre sorridente e gioioso, profondo ed amico di tutta la carovana. Questo è il modo nel quale viene ricordato e resterà per sempre Wouter Weylandt, vittima in discesa di una curva e di un muretto.Abbiamo chiesto a Franco B. Ascani, presidente della Federazione internazionale cinema e televisione sportivi (Ficts) e membro della Com-missione cultura del Comita-to internazionale olimpico, di spiegarci come lo sport riesca a rielaborare fatti drammatici come quello di ieri al Giro.Pudore e lacrime. «La morte nello sport è un fatto straordinario ma ineluttabile nella sua improvvisa e violenta manifestazione. Lo sportivo che muore – spiega Ascani- col-pisce perché lo sport è emblema di salute, allegria, gioia, ed il dolore per la sconfitta sportiva è e deve essere spunto di partenza per la rivincita, per migliorarsi. Ecco allora che la tragedia di Wouters Weylandt entra di diritto nel novero delle leggende dello sport, nella memoria storica del ciclismo, proprio per la semplicità della vita di questo onesto

e simpatico corridore, ma che non era una campione, non era uno che faceva titoli, che attirava le folle». Inoltre, prosegue Ascani, «il corridore belga che ha lasciato la sua vita sui tornanti del Passo del Bocco è la conferma di ciò che lo sport rappresenta: i suoi eroi pas-sano sempre attraverso la ricerca del miglio-ramento, e vivono con fierezza il loro sudoreIl presidente Ficts osserva come «alto è sta-to il senso etico del servizio offerto da RAI-Sport, che non ha riproposto le drammatiche immagini del corpo del corridore belga, non limitando la cronaca, ma ammantandola di pudore e lacrime vere dei giornalisti al se-

guito del Giro. Questo perché – sottolinea il membro Cio - davanti alla morte di Wouter Weylandt nella tappa del 10 maggio del Giro il primo sen-timento che nasce è quello di fermarsi: ma subito viene la conferma che lo sport davan-ti ai drammi riesce ad offrire un motivo di speranza in più. La morte di Weylandt la-scia aperta la porta alla vita: il dolore conferma i valori sportivi, ne esalta il senso di lealtà, di rispetto della fatica, di rispetto per lo sconfitto. E quale sconfitta maggiore se non la morte di un giovane,

amato da tutta la carovana del Giro, e pros-simo padre?». Storia di volontà. Per Ascani «quel corpo riverso, senza vita, resterà, sì, una macchia indelebile sulla gioia dei futuri trionfi nelle prossime tappe, ma l’allegria, la spontaneità, il ricordo che Weylandt lascia è quello di un uomo capace di fare di se e della sua profes-sionalità una testimonianza di rispetto e di sportività come da tempo non se ne vedeva-no. Sarà proprio il ricordo dello sfortunato velocista belga lo stimolo, la forza, la spinta in più che farà andare avanti la carovana del Giro».

Wouter Weylandt, ciclista belga morto al Giro d’Italia

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Accadde nel.... 2315 maggio 2011

Scelse la forma meno solenne, ma non per questo meno impor-

tante della «Lettera aposto-lica» per dare continuità alla sua Populorum progressio, nella quale aveva letto lo svi-luppo secondo la prospettiva cristiana, insegnando che questo deve sempre riguar-dare in modo proporzionato tutte le fasce di una società, deve considerare le esigenze delle stesse persone e della società, deve avere grande attenzione verso le facoltà spirituali della persona. Il 14 maggio 1971, Paolo VI ema-nò l’Octogesima adveniens, con la quale – hanno soste-nuto i più accreditati studio-si – «in forma più immediata, cercò di dare un insegnamento di metodo sulle proble-matiche di quel tempo, secondo il quale, la modernità non permetteva più una con-cezione accentrata dell’insegnamento so-ciale, ma si doveva valorizzare il magistero diffuso della dottrina sociale della chiesa, inteso come la capacità delle singole chie-se locali, che dovevano, attraverso il riferi-mento ai principi e il discernimento locale, ricavare le direttive per l’azione sociale dei credenti».

Essa, innanzi tutto, fu – assieme alla Po-pulorum progressio – la risposta alle forti riserve che in quel periodo storico si le-vavano circa l’utilità di un insegnamento sociale cattolico. Paolo VI rispose collo-candosi nello spirito della Rerum novarum , rileggendola alla luce del Concilio Vati-cano II, che aveva condotto felicemente a conclusione. «Trattò poi il tema del senso della politica e del pericolo costituito da vi-sioni utopistiche e ideologiche che ne pre-giudicavano la qualità etica e umana. Sono argomenti strettamente collegati con lo sviluppo», ha ricordato, a proposito, papa Benedetto XVI nella sua Caritas in veritate (14), compendiando così le cinque parti, che vanno a costituire il documento, dai «nuovi problemi sociali» (8-21), alle «aspi-razioni fondamentali e correnti di ide» (22-37), dall’«interrogativo delle scienze sull’uomo» (38-41), ai «cristiani dinan-zi ai nuovi problemi» (42-47) all’«invito all’azione» (48-52), che costituisce, secon-do Sergio Lanza, «il punto saliente del do-cumento».

In ogni caso,la Lettera apostolica, « per la prima volta tratta di Dottrina sociale da un punto di vista metodologico». P. Bartolo-meo Sorge ha parlato espressamente, non molti anni addietro, di un «nuovo metodo induttivo… da parte della Chiesa post con-

ciliare», ed ha citato il n.4 di questo docu-mento, che affida il compito «alle comuni-tà cristiane» di «analizzare obiettivamente la situazione del loro Paese; chiarirla alla luce delle parole immutabili del Vangelo, attingere principi di riflessione, criteri di giudizio e direttive di azione nell’insegna-mento sociale della chiesa…; individua-re – con l’assistenza dello Spirito Santo, in comunione con i vescovi responsabili, e in dialogo con gli altri fratelli cristiani e con tutti gli uomini di buona volontà – le scel-te e gli impegni che conviene prendere per operare le trasformazione sociale, politi-che ed economiche». Ed il passo verso la successiva affermazione di Giovanni Paolo II nella Sollicitudo rei socialis sulla dottrina sociale come «categoria a sé» (n. 41) è sta-to una logica, rassicurante conseguenza.

Non «terza via», dunque, tra socialismo e capitalismo, ma «categoria». «Nella Dottri-na sociale della Chiesa è in atto il magiste-ro in tutte le sue componenti ed espressio-ni», si legge del resto nel Compendio della Dottrina sociale della Chiesa (80) e poco oltre: «L’insegnamento sociale dei vescovi offre validi contributi e stimoli al magiste-ro del Romano Pontefice».

Passaggio fondamentale, dunque, questo documento pontificio. «Il Papa riflette sul-la società post-industriale con tutti i suoi complessi problemi, rilevando l’insuffi-cienza delle ideologie a rispondere a tali sfide: l’urbanizzazione, la condizione gio-vanile, la situazione della donna, la disoc-cupazione, la discriminazione, l’emigra-zione, l’incremento demografico, l’influsso dei mezzi di comunicazione sociale, l’am-biente naturale», ricorda il Compendio al n. 100. Un’agenda ancora valida da quelle parole profetiche di papa Montini.

(a. scon.)

octogesima adveniens (1971)

La guerra italo-turca (nota in italiano an-che come guerra di

Libia o campagna di Libia e in turco come Trablus-garp Sava§ı, ossia Guerra di Tripolitania) fu com-battuta tra il Regno d’Italia e l’Impero ottomano per il possesso delle regioni Nordafricane della Tripoli-tania e della Cirenaica, tra il 28 settembre 1911 e il 18 ottobre 1912.

Le ambizioni coloniali spinsero l’Italia ad impa-dronirsi delle due province ottomane, che assieme al Fezzan, nel 1934, avreb-bero costituito la Libia, dapprima come colonia italiana, in seguito come Stato indipen-dente. Durante il conflitto fu occupato an-che l’arcipelago del Dodecaneso, nel Mar Egeo; quest’ultimo avrebbe dovuto essere restituito ai turchi alla fine della guerra, ma rimase sotto l’amministrazione prov-visoria dell’Italia fino a quando - con la firma del Trattato di Losanna nel 1923 - la Turchia rinunciò ad ogni rivendicazione e riconobbe ufficialmente la sovranità ita-liana sui territori perduti nel conflitto. Nel corso della guerra, l’impero ottomano si trovò notevolmente svantaggiato poiché poté rifornire il suo piccolo contingente in Libia solo attraverso il Mediterraneo e gli ottomani non riuscirono a inviare rinforzi alle province africane.

La flotta turca non era in grado di compe-tere con la Regia Marina Italiana ed in par-ticolare con il 5ª squadriglia torpediniere che partiva da Brindisi. La capoclasse op-pure la nave che era in testa al gruppo delle torpediniere d’altomare era la Pegaso poi Pallade, Cassiopea, Climene, Albatros, Ar-dea, Arpia, Alcione, Calipso, Astore, Airone giunsero e ripartirono nel porto di Brindi-si nei primi mesi del 1911 dopo aver fatto i rifornimenti logistici. Con l’apertura del canale di Suez (1869) il Mediterraneo ave-va riacquistato in parte l’importanza stra-tegica che aveva perso nel XV e XVI secolo con l’apertura delle rotte per le Americhe e del capo di Buona Speranza per collegare l’Estremo Oriente con i mercati dell’Euro-pa. Di conseguenza era aumentata anche l’importanza strategica dell’Italia e dei porti che si affacciavano sul Mediterraneo, in quanto punti base in grado d’impedire l’accesso al Mediterraneo Occidentale alle rotte passanti per il canale di Suez. Tuttavia l’unico modo di garantire questa rilevanza strategica era quello di avere il controllo, almeno parziale, dell’Africa Nord-Occiden-

tale da qui la grande attenzione al porto di Brindisi poiché l’unico territorio strategi-camente utilizzabile per chiudere il pas-saggio fra i due bacini (Mediterraneo Occi-dentale e Mediterraneo Orientale) restava la Libia, dato che l’Egitto era sotto stretto controllo britannico. Partendo da Brindisi la zona di sbarco consigliata per l’occupa-zione di Tripoli era in prossimità di capo Tajura, la flotta turca avrebbe dovuto esse-re contrastata con forze navali commisura-te alla potenzialità dell’avversario mentre le operazioni terrestri avrebbero dovuto essere appoggiate da un bombardamento dei forti che difendevano Tripoli.

In primis venne evidenziata la rilevanza strategica in Italia del porto di Brindisi ed in Libia di Tobruch e la fertilità dell’area di Derna, in Pirenaica. Pure se minore, que-sto evento bellico fu un importante precur-sore della prima guerra mondiale perché contribuì al risveglio del nazionalismo nei Balcani. Osservando la facilità con cui gli Italiani avevano sconfitto i disorganizzati Turchi ottomani, i membri della Lega Bal-canica attaccarono l’impero prima del ter-mine del conflitto con l’Italia. Dal punto di vista strategico la Libia non era in grado di “fare sistema” con le basi in Italia meridio-nale e nelle isole, praticamente ottenendo solo il risultato di un aumento sia dell’im-portanza sia della vulnerabilità dell’Italia come avrebbe successivamente dimostra-to l’esperienza della seconda guerra mon-diale.

A spingere verso la guerra ci furono an-che voci precedentemente insospettabili, come il poeta Giovanni Pascoli, che, in-fiammato dalla propaganda che circolava in Italia, scrisse, parlando della patria al teatro di Barga “la grande proletaria si è mossa”.

Katiuscia Di Rocco

così vivemmo la guerra libica (1911)

Papa Paolo VILe truppe italiane sbarcano a Tripoli