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Un racconto MICHELE VIZZANI ANIME, FELICITÀ E GALASSIE

Anime, felicità e galassie

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Un breve racconto tra la fantascienza e il fantastico, sull'esplorazione dell'universo ma anche del proprio animo.

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Page 1: Anime, felicità e galassie

Un racconto

MICHELE

VIZZANI

ANIME, FELICITÀ E

GALASSIE

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MICHELE VIZZANI

Anime, Felicità e

galassie

UN RACCONTO

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PREFAZIONE Questo è il mio primo racconto, quindi non mi

aspetto assolutamente nulla da esso e probabilmente

non ne scriverò altri. Ma confesso che è stato fatto

con amore, e per questo, comunque andrà, amerò

sempre la storia qui riportata. Un influsso notevole

mi è stato dato dai libri di Asimov, che mi hanno

donato una smisurata passione per l’umanità e per

ciò che la riguarda. In effetti questo racconto, come

tutti quelli dell’autore sopracitato, più che del futuro,

parla dell'uomo, preso in tutte le sue sfaccettature e

anche di ciò che l'uomo ha creato e potrà creare in un

futuro remoto. Inoltre ci terrei a fare una

precisazione: l'interpretazione di questo racconto non

è unica ma dipende da ciò che il lettore pensa. C'è

un'unica e sola questione che non può essere

interpretata in maniera diversa, essa è l'importanza

dell'individuo, così com’esso è. Dunque vi raccomando

solo una certa attenzione ai concetti espressi,

perdonando alcuni miei eventuali grossolani errori

da inesperienza, sperando che essi non pregiudichino

l’essenza di questa storia. Buona lettura.

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CAPITOLO 1 FELICITÀ

Grant era un piccolo uomo, almeno per gli standard

di chi viveva ai suoi tempi. Così piccolo che veniva

puntualmente schernito dai suoi pochi conoscenti,

quelle poche volte in cui era proiettato

olograficamente in sede di consiglio… Ah già,

dimenticavo che in quell’epoca erano ancora

utilizzati gli ologrammi come mezzi di comunicazione

per non spostarsi dalla propria dimora, cosa barbara,

ma all’epoca molto in voga. Tornando a noi, questo

Grant, oltre ad essere piccolo, era anche tozzo, e ciò

faceva pensare a un enorme problema di

programmazione genetica, cosa veramente rara. Ma

la vera stranezza di quest’individuo era la sua

convinzione di essere l’umano più infelice del mondo!

Che assurdità! Tutti erano felici in quel mondo! Lui

però non era convinto, veniva, infatti, puntualmente

assalito dal terrore che la sua società producesse

uomini sostanzialmente tristi e solitari, e

paradossalmente questo lo faceva ancora più infelice.

Ma quale soluzione poteva avere un problema tanto

curioso, quanto stupido? Beh, siccome non trovava

altro modo di uscire da quel problema angosciante,

decise di partire; andare a visitare gli altri abitanti

di Koinos, il mondo perfetto. Qui comincia la nostra

storia, a casa di Grant, mentre faceva gli ultimi

preparativi per quel viaggio Don Chisciottesco. La

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sua dimora presentava gli stessi parametri di quella

degli altri Koinosiani, la variabilità. I mobili nei fatti

non esistevano, ma apparivano esattamente nel

punto più comodo, nel momento più propizio. I colori

erano anch’essi cangianti secondo i gusti

momentanei del proprietario e a casa di Grant, quel

giorno erano grigio scuro.

-Bene, qui c’è tutto, e non mi serve altro, credo. -

disse armeggiando un cubo di un centimetro di lato.

Era un microkub, uno strumento indispensabile per

chi viaggiava nell’iperspazio, permetteva, infatti, di

comprimere le molecole di un qualsiasi oggetto a

proprio piacimento. Tecnologia antiquata, lo so, ma

per amor del vero sono costretto a rammentare

queste sottigliezze. Dunque, dopo aver “fatto i

bagagli”, la sedia volante di Grant si diresse oltre il

varco della sua casa per procedere verso il tunnel

iperluce in giardino. Entrò con il suo fare frettoloso e

in maniera altrettanto veloce indicò mentalmente al

computer di elaborare le coordinate della dimora

appartenente al suo conoscente più stretto, un certo

Ottinius. I suoi atomi in due nanosecondi si

scomposero, per ricomporsi nella stessa maniera

dentro il tunnel iperluce del suo compare.

-Grant, cosa ti salta in mente, stai violando

inutilmente la mia libertà di movimento!-

Ottinius era già davanti al tunnel iperluce ad

aspettare il nostro viaggiatore. Era alto quanto

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basta, con un lungo viso coperto da ispida barba

nera; I capelli invece erano lisci e cadevano senza

cura sulla fronte, sembravano quasi messi lì a caso.

-Ah! Ottinius! Comunque la mia esistenza limita la

tua libertà di movimento, dovresti eliminarmi sai?-

Il compare prese un’aria pensosa, come se la

proposta lo allettava. Poi disse improvvisamente

-Credo tu abbia ragione, forse è per questo che i

nostri incontri sono così limitati, per non farci capire

che siamo nocivi l’uno per l’altro… Non avresti

dovuto dirmelo. Ma non preoccuparti, l’ucciderti

comprometterebbe irrimediabilmente la mia

libertà… Non lo farei per nessun motivo. -

-Questo comporta un’altra limitazione grave alla tua

libertà, vedi, per quanto le nostre conoscenze ci

affranchino da tutte le limitazioni, la nostra stessa

esistenza contiene in se presupposti di limitazione. -

Grant parlava in maniera frenetica, quasi stesse per

andarsene, mentre il proprietario di casa lo guardava

attonito.

-Ancora con questa paranoia dell’infelicità? Grant tu

mi preoccupi. Entra, così che possiamo parlare in

maniera più… Calma. -

I due si diressero all’interno della residenza tramite

le proprie sedie volanti, attraversando prima un

lungo e alto porticato, poi uno stretto corridoio dalle

pareti verde tenue. Le portiere metalliche di un

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ingresso si aprirono al passaggio dei due, ed

entrarono in una sala smisuratamente larga, ma

assolutamente vuota. Grant si guardò attorno, un

tanto a disagio a dire il vero, poi cominciò a parlare:

-Avvolte, penso che questa mania della libertà ci

abbia portato a trascurare importanti aspetti umani,

come ad esempio la cordialità. Ho, infatti, visonato

un ologramma antico, dove degli ibridi si sedevano a

un tavolo e sorseggiavano uno scuro liquido in piccoli

contenitori di ceramica e mentre lo facevano,

discorrevano dei propri affari. -

Lo sguardo di Ottinius era divertito, sembrava che

Grant avesse appena fatto una di quelle brutte figure

di cui vergognarsi per il resto dei propri giorni.

-Credo si chiamasse “Caffè” la bevanda, o una cosa

simile. Ho visto anch’io quell’ologramma. È una delle

usanze più… Barbare e arcaiche che io abbia mai

visto! Ma cos’hai?-

-Credo di aver capito una cosa Ott … La libertà non è

la felicità. Noi abbiamo tutte le libertà che si possono

immaginare, ma la mia vita, e penso anche la tua, è

priva di qualcosa!-.

-Ma lo vuoi capire o no che quegli ibridi erano esseri

inferiori! Loro avevano perfino bisogno di un’altra

persona per continuare la specie! La devi smettere di

guardare quei vecchi ologrammi, sono nocivi per la

tua salute mentale!- Ora Ottinius era furioso, e

sembrava che, o la discussione si sarebbe chiusa a

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suo favore, o l’ospite avrebbe dovuto sopperire. Solo

in quel momento Grant riusciva a capire, nessuno

era felice su quel mondo, e doveva al più presto

andarsene da lì se voleva risolvere la situazione.

Si congedò in fretta dal compagno, tornò nel tunnel

iperluce, per sbucare nell’hangar personale. La sua

nave! Meravigliosa, dalle forme affusolate, di un

bianco splendente e con le rifiniture blu, un piccolo

dettaglio che solo lui aveva segretamente aggiunto.

Entrò dal portellone sullo scafo, e si pose in quella

che una volta si definiva sala comandi, questa, però

funzionava a sinapsi: bastavano, infatti, degli stimoli

derivanti dai neuroni a modificare ciò che il computer

di bordo non faceva già per conto suo, in sostanza il

99,9% delle operazioni. Senza che apparentemente

fosse successo nulla, la nave si alzò in volo, e con la

delicatezza di un pattinatore, volteggiava in aria per

cercare la spinta gravitazionale necessaria per

superare l’atmosfera. Tutto accadde in qualche

minuto, poi lo spazio, nero, immenso.

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CAPITOLO 2 GALASSIE

Grant non aveva proprio idea di dove andare, dunque

si mise a cercare disperatamente un punto di

partenza, qualcosa che potesse ispirarlo verso la

soluzione di quell’enigma assurdo, trovare la felicità.

Non si aspettava certo di individuare un cartello con

scritto: ”Ecco la felicità”, ma almeno una vera via per

cominciare a essere soddisfatto. Forse stette intere

“ore standard” a fissare il vuoto cosmico immerso nei

suoi pensieri, fatto sta che alla fine, deluso dalla

propria mente, aprì un file sulla storia di altri

pianeti conosciuti. Subito notò qualcosa

d’interessante, un pianeta chiamato Utopia. Mentre

finiva la sua ricerca, il radar sonico segnalò per una

frazione di secondo la presenza di un oggetto nei

pressi della nave. Grant andò a controllare, ma ora

sull’ologramma non c’era più niente. -Probabilmente

è solo un meteorite…- pensò e diresse la nave al più

prossimo portale a energia oscura, dove viaggiò

attraverso cose che non posso descrivere.

Utopia si stagliava imponente dietro lo schermo della

nave. Come tutti i pianeti ad atmosfera azoto-

ossigeno, presentava un colore azzurro intenso per

via dei grandi oceani che lo componevano. I

continenti erano due, dalle coste frastagliate,

presenti soprattutto nell’emisfero australe. Una

comunicazione arrivò alla nave, una voce rauca parlò

scandendo bene le parole:

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-Sono il rappresentante galattico Briev, le porgo i

miei convenevoli saluti straniero, la sua nave ha

delle particolarità a noi ignote, ma sono sicuro che

una volta atterrato ci spiegherà la natura di questi

congegni… Benvenuto su Utopia. -

L’atterraggio era smorzato dall’antigravità prodotta

dalla nave e guidato dalle autorità Utopiane verso

una stazione situata in una valle di un promontorio

innevato. Gli arpioni inferiori si ancorarono al

terreno leggermente instabile, e il portellone si aprì.

Grant era coperto dalla testa ai piedi dalla sua tuta,

strettissima, solo gli occhi azzurri erano visibili

dietro un occhiale simile a quello usato dagli alpini;

gli utopiani invece erano vestiti con pesantissimi

cappotti e berretti di pelliccia. Sia Grant che gli

indigeni si scambiarono occhiate indagatrici. Gli

utopiani notavano l’abbigliamento di Grant, lui

invece notava le loro armi. Vecchi fucili a raggi TR,

un’altra cosa di cui il koinosiano aveva solo visto

ologrammi. Fu un abitante del posto a rompere il

silenzio, quello che sembrava essere il capo li.

-Benvenuto su Utopia, compagno interstellare, è da

lungo tempo che non riceviamo visite ed è dunque

nostra premura evitare le possibili ostilità- indicò

delle armi e poi riprese: -Devo essere sincero, non mi

è mai capitato un uomo vestito in una tale maniera,

mi sembra che voi veniate da un sistema

periferico…-.

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Per Grant il suo accento era molto buffo, le vocali

erano molto prolungate nella dizione. Grazie agli

aiuti elettronici i suoni erano percepiti in maniera

limpida dal suo orecchio, che altrimenti avrebbe

ascoltato soltanto un sibilo per via del forte vento che

attraversava la valle. Rispose prontamente:

-In realtà vengo da uno dei pianeti più centrali mai

colonizzati, Koinos. È da secoli che un nostro

rappresentante non è mandato in viaggi diplomatici,

abbiamo interrotto qualsiasi contatto esterno per

garantire la nostra più totale libertà. Comunque se

mi è possibile, vorrei incontrare un vostro

rappresentante qualificato, per discorrere con lui di

alcune questioni. -

-Certo, certo. Vi farò subito incontrare con il

presidente dell’ufficio relazioni interplanetarie di

questo settore. È stato già informato del vostro

arrivo, seguitemi. -

Grant che era uscito in sedia, continuò a rimanerci

nel seguire l’ufficiale, la cosa però non stupì gli

utopiani, che evidentemente avevano questo tipo di

poltrone come aiuto riservato a persone

diversamente abili. Attraversarono un lungo

porticato, nel quale c’era solo un uomo anziano

vestito come gli altri che fissò lo sguardo su di lui.

Grant non ci fece molto caso poiché doveva essere per

via della sua veste. Dunque salirono su di un

ascensore, che portò il gruppo composto da Grant e i

soldati su di una veranda chiusa da un massiccio

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vetro sigillato ai bordi, il cui esterno era sferzato dal

vento e dalla neve. All’interno c’era un uomo

massiccio, con capelli rasati da militare e una lunga

cicatrice che divideva trasversalmente in due il volto

dai tratti spigolosi. Egli fece un cenno ai soldati che

subito lasciarono Grant e il presidente da soli.

-Lasciamo da parte i convenevoli … Signor?-

-Grant, o Grant settantatreesimo, come preferisce. -

-Bene, Grant, verrò subito al sodo. Sono sessantadue

anni che uno spaziale non si fa vedere su questo

pianeta. Lei è informato che la società dei pianeti

liberi ha eliminato il vostro mondo, come il nostro

dalla lista?-

-Certo. Ma non m’interessa. -

-Dunque cosa le interessa? Perché è venuto su questo

pianeta?-

-Per porvi una domanda… Credo sia abbastanza

semplice. Su questo pianeta siete felici?-

Stranamente il viso dell’utopiano rimase impassibile,

eppure la domanda era così… Strana!

-La nostra società è una delle più felici che si siano

mai avute nella storia dell’umanità. Chi fondò questo

pianeta, ai tempi della prima ondata di

colonizzazione, aveva in mente un’idea di società

diversa, s’inspiravano formalmente al pensiero di un

certo terrestre. Purtroppo i suoi scritti credo siano

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andati completamente perduti, ma posso dirgli in

sostanza su cosa si fonda la nostra società odierna.

Noi non abbiamo un vero e proprio stato, solo degli

apparati burocratici che facilitano la vita dei

cittadini. Di norma questi “apparati” sono gestiti dai

militari, unici garanti dell’uguaglianza sostanziale di

tutti gli individui, che lavorano per il bene dell’intera

organizzazione sociale. -

-Non ha risposto alla mia domanda però. -

Il presidente sospirò, poi con un filo di voce disse:

-Mi piacerebbe dirvi di sì, ma la mia risposta è

negativa. Nonostante tutti gli sforzi di noi presidenti,

i cittadini sono infelici. Molti non accettano di essere

come sono gli altri, alcuni hanno brama di possedere

qualcosa, atto che da noi è vietato. -

Credo che non ci sia più nulla da raccontare su

questo incontro, Grant era abbattuto e triste.

Tornato sulla sua navicella, aveva passato molti

giorni come un ossesso a cercare tra la sua oloteca

qualcosa che potesse rivelargli l’esistenza di una

società felice. Sembrava che non esistesse nulla del

genere. Eppure non si dava per vinto, la ricerca

doveva finirsi! E fu nel momento in cui pensò queste

parole che la sua mente fu pervasa di speranza. Un

pianeta, Faith, sembrava una buona pista. Immise le

coordinate e dopo poche ore era sulla sua orbita.

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CAPITOLO 3 ANIME

Nuvoloso era forse l’aggettivo più appropriato per

quel geoide e i pochi spiragli lasciati liberi dalle nubi

mostravano solo oceani. Mentre lentamente si

avvicinava all’atmosfera, la navicella non ricevette

alcuna istruzione circa le modalità dell’atterraggio…

Cosa alquanto strana ma Grant aveva deciso per uno

sbarco forzato e nel caso in cui si fosse presentata

una qualsiasi ostilità, il suo cannone atomico avrebbe

dovuto permettergli di guadagnare tempo per

rientrare nella nave al sicuro. Ma egli considerava

quest’opportunità molto remota, infatti, un pianeta

che non da istruzioni a un visitatore è un pianeta

tecnologicamente arretrato. Intanto un’immensa

distesa di acqua si profilava sotto i bianchi riflessi

della navicella, la quale a velocità supersonica era

lanciata in linea leggermente obliqua rispetto

all’equatore, per poter così facilmente individuare

l’eventuale presenza d’isole. D’un tratto un pezzo di

costa sbucò dall’orizzonte, era alta e rocciosa e una

folta vegetazione ne ricopriva la sommità. La nave

proseguì fino alla prima zona pianeggiante, dopo di

che atterrò con grazia sull’erba umida. Appena Grant

mise il naso fuori, cominciarono a scendere sempre

più velocemente gocce spesse inclinate dal vento

piuttosto forte. Si guardò attorno, era proprio un

tempaccio, che certamente non contribuì a sollevare

molto il morale del piccolo koinosiano. Un guizzo tra

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gli alberi vicino la piana richiamò la sua attenzione.

Scansionò l’area e non trovò nulla… Un’animale

forse? Aveva deciso comunque di esplorare per

quanto possibile quel pezzo di terra alla ricerca di

esseri umani e nel caso in cui non li avesse trovati,

sarebbe semplicemente tornato a casa. La ricerca

non durò molto poiché oltre la piana, dove era

atterrata la nave c’era un insediamento e Grant era

molto sorpreso. Era arcaico, troppo arcaico. Una

cinta muraria attorniava un gruppo di case fatte di

un materiale che non riusciva a identificare, agli

angoli c’erano quattro torri di pietra con dei fori da

cui spuntavano delle armi. Dalla tuta furono montati

degli occhiali che aiutarono il nostro amico a capire

di che tipo di congegni si trattasse. Non credeva ai

propri occhi… Armi a proiettili metallici. Ma dove

era finito? D’un tratto vide movimento lungo le mura,

alcuni uomini agitati indicavano nella sua direzione.

Si apri un portone di metallo arrugginito e dei veicoli

con ruote gommate uscirono in tutta fretta, a bordo

c’erano una dozzina di uomini armati. Continuò ad

avanzare tranquillo fino a quando i mezzi non gli

bloccarono la strada e coloro che li occupavano,

scesero. Erano vestiti con delle strane tuniche, logore

e sporche, i capelli erano rasati, la barba incolta. Un

uomo calvo e pingue si fece avanti e disse sarcastico:

-Un koinosiano… Credevo aveste dimenticato che

esistono altri mondi oltre il vostro… Che cosa vuoi da

noi? Avete cambiato idea sulla “libertà” per caso?-

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-No, sono io che ho capito che essa non è tutto. -

Rispose freddo Grant.

-Un filosofo di Koinos dunque, che strano

accostamento di parole… Vieni, parleremo meglio

dentro le mura. -

Tutti entrarono negli automezzi che velocemente

tornarono da dove erano venuti, Grant li seguiva con

la sua sedia volante, ora coperta da un guscio

trasparente che defletteva la pioggia battente.

La città era a dir poco triste, le donne magre e

stanche portavano indaffarati cesti di panni verso

una fontana, uomini dai visi sporchi caricavano

sacchi su dei carrelli. Ogni tanto si vedevano

individui vestiti come quelli che lo erano andati a

prelevare, a differenza degli altri loro però

rimanevano agli angoli della strada a guardare il

lavoro, molti erano grassi e contrastavano

nettamente con la maggior parte degli abitanti. Le

costruzioni non superavano i 50 metri di altezza,

erano ripetitive e spoglie, ma la cosa peggiore era il

cemento della strada; ovunque pieno di crepe e fossi.

Dagli stretti vicoli sbucarono su di una larga piazza

con al centro una statua enorme raffigurante un

pianeta portato in spalla da una figura umanoide

dietro le cui spalle si aprivano ali d’aquila. Si

affacciava sulla piazza un palazzone dalle linee

spigolose, pieno di finestre ripetute fino all’ossessione

lungo tutto il perimetro, nel punto centrale c’era un

portone con dei rilievi che si aprì facendo entrare

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Grant, la sua sedia e il Faithiano. Attraversarono

diversi corridoi affrescati con orribili scene di guerre

e malattie, morte e dolore, nei quali persino i tappeti

erano pieni di mostruosi individui che mangiavano

uomini. Si fermarono in una piccola stanza con una

scrivania al centro e una parete colma di quelli che

sembravano videolibri. L’abitante di Faith iniziò a

parlare:

-Benvenuto nella mia dimora, sono Tayl III regnante

e capo della confraternita dei Soulisti, cosa vuoi

sapere mio spaziale e ignorante ospite?-.

-Magari potresti iniziare spiegandomi cosa hai detto.

- azzardò dubbioso Grant.

-Dunque, non penso che tu sia così stupido da non

capire che questo in cui ti trovi è un pianeta

religioso, sai almeno il significato di questa parola?-

Grant era turbato, aveva letto qualcosa durante il

suo immenso tempo libero circa l’argomento, ma non

aveva trovato nulla d’interessante e ora non

ricordava in maniera precisa il significato del

termine. Dunque abbastanza seccato dalla propria

ignoranza, disse:

-Non proprio, credo sia un tipo di visione del cosmo, o

qualcosa del genere. -

-Quanto sai allora della materia oscura?-

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-Beh, non abbiamo dati certi riguardo cosa sia,

sappiamo solo che esiste. -

-Ecco la religione è la materia oscura. Cerco di farti

capire meglio la questione. Molti secoli fa, quando

c’erano ancora degli esseri umani sulla terra, la

religione era ciò cui si affidava l’uomo quando non

sapeva come spiegare tutto ciò che accadeva attorno

a se, oppure quando voleva consolarsi. L’umanità

pensava che ci fossero una o più entità superiori le

quali, non soggette a leggi di questo cosmo,

addirittura supervisionassero il destino degli uomini.

Tuttavia la natura astratta di questa materia e la

non scientificità delle prove a suo favore uccisero i

“culti” e l’uomo imparò a vivere affidandosi solo al

suo ingegno. Dopo qualche decennio dall’inizio della

colonizzazione spaziale dei biologi scoprirono che nel

cervello umano c’è una piccola quantità di materia

oscura e che questa interagisce costantemente con

l’altra materia oscura presente nell’universo,

l’esistenza dell’”anima” era stata provata. Per questo

noi oggi abbiamo una religione, perché sappiamo con

certezza dell’esistenza dell’anima e dell’aldilà.-.

Il koinosiano era interdetto. Possibile che non avesse

mai conosciuto una storia simile?

-Interessante, posso fare un giro per l’insediamento?

In realtà sono qui per imparare su di voi. -

Una piccola bugia tattica…

-Certo, devi…-

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E in quel “devi” Grant notò un certo grado di

minacciosità.

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CAPITOLO 4 VERITÀ

Uscito all’aperto, sentì l’odore di pioggia riempirgli le

narici, anche se il temporale era terminato da un

pezzo, le persone erano bagnate fradice. Un piccolo

raggio di sole si fece spazio tra le nuvole e la piazza

fu brevemente illuminata, il chiarore faceva

sembrare quasi più bello quel sudicio sputo di

pianeta, pensò Grant. Un uomo si avvicinò

annaspando a lui, era vecchio e aveva il volto

sanguinante per una ferita da taglio.

-Buon uomo… O donna? Ehm… Non avete per caso

del gel curativo da darmi, la ripagherò come posso…-

-Che ti è successo villano?-

-Oh, non sono riuscito a pagare la rata stagionale al

protettore, e ho avuto la mia giusta pena, si…

signore…-.

-Tu chiami giusta pena questo?-

-Il Grande Benedicente provvederà alla vera

giustizia… Qui siamo solo di passaggio, e non posso

certo ribellarmi avendo una moglie e delle bocche da

sfamare…-.

Grant era spaventato. Non per la ferita, e neanche

per l’ingiustizia subita da quel villano, no. Era

terrorizzato dal sorriso di quell’uomo. Che cosa

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avevano fatto a quei disgraziati per imprigionare in

quel modo il loro pensiero.

-Dimmi, ti hanno somministrato farmaci

ultimamente?-.

-State forse insinuando la non spontaneità della mia

fede forestiero? Io sono felice, poiché il grande Divino

mi ha dato la vita! E credo fermamente a quel che

dico.-

Il cosmo precipitò su Grant. Sbiancato, non riusciva a

professare parola. Come poteva quell’individuo dirsi

felice? Il più umile degli umili, malmenato,

soggiogato, povero, insomma nessuno nell’universo

avrebbe voluto essere nei suoi panni, eppure

affermava con orgoglio la sua felicità.

-Forestiero? Il gel medico…-

-Gel… Gel… Si eccotelo…- ancora paralizzato passò

l’unguento al faithiano, il quale s’inginocchiò

immediatamente e baciò la mano di Grant.

-Mi sdebiterò appena possibile… Ve lo giuro. -

Si alzò e corse ancora sanguinante per una via che

sboccava sulla piazza. Intanto il koinosiano si era

parzialmente riavuto dallo shock. Doveva sapere di

più sull’argomento. Alla ricerca di un’oloteca,

attraversava le vie di quella città, veicoli gommati

scalpitavano e ostruivano le strade, mentre

bancarelle di ogni sorta spuntavano come funghi ai

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bordi della strada quando dei passanti attivavano un

sensore con il loro passaggio. Grant, viaggiava

incuriosito sulla sua sedia, quando notò che una

persona lo seguiva da un bel pezzo. Entrò in un vicolo

più piccolo, era privo di gente e solo un’insegna al led

illuminava la strada attraversata da mille crepe.

Girò a centoottanta gradi la sedia, e si vide

l’inseguitore davanti. Portava un cappuccio sulla

testa, il quale lasciava oscurato il volto. Parlò:

-Sapevo che alla fine ti saresti accorto di me…-.

-Che cosa vuoi? Mostrati per quello che sei feccia

galattica…

La mano d’istinto s’indirizzò al pulsante “difesa”.

-Lascia stare quel pulsante, vieni con me piuttosto…

Non volevi forse sapere cos’era la felicità?-.

Si levò il cappuccio. Lo conosceva.

-Ti ho già visto, eri su Utopia, nel corridoio! Non mi

catturerai mai sporco Twarep!-

-Attento osservatore… Scusa le maniere forti, ma

devo parlarti…- Un dardo lo colpì al collo, era stato

lanciato dall’alto, e da stupido qual era non aveva

attivato la barriera cinetica su tutti i lati, pensò.

Intanto un profondo sonno lo colpì, e dopo una vita,

tornava di nuovo a dormire.

Si svegliò su di una sedia, legato con delle solide

ganasce metalliche. Non aveva la strumentazione

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della tuta funzionante, e gli accessori di emergenza

erano ovviamente spariti. Non aveva scampo. La

stanza dove era stato portato era illuminata da due

grandi finestre ai lati, ma per il resto non aveva

niente, era completamente vuota. All’improvviso

davanti a lui si materializzò il misterioso rapitore…

-Perdona il mio comportamento, caro Grant, ma tutto

ciò è stato necessario per la mia incolumità. Non sono

un Twarep, i vostri antichi coabitanti sono stati,

infatti, da voi sterminati completamente tempo fa. Io

sono uno “Stendardo”. -

-E cosa sarebbe uno Stidardo?-

-Stendardo! Un difensore del sapere umano; ma cosa

v’insegnano su Koinos? Gli ultimi terrestri, prima di

abbandonare il nostro pianeta natale

definitivamente, avevano notato la propensione delle

colonie al cancellamento della storia e delle

tradizioni terrestri, bollandole come antiche e

superstiziose, mentre in realtà dietro questa

distruzione si celava un fine politico e

indipendentista. Così attraverso l’aiuto della

genetica gli abitanti della terra crearono dei

superuomini, con una vita lunghissima e con doti

mnemoniche incredibili, al fine di conservare il

sapere umano… Io sono l’ultimo di questi

individui…-.

-è ridicolo… dovresti avere almeno… seicento anni!-.

-Settecento due per l’esattezza…-

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-Che assurdità!-

-Non ti rendi conto che la tecnologia terrestre era

avanzatissima a quel tempo… Mentre voi coloni

eravate intenti a uccidervi da soli per quei pochi

pianeti abitabili della galassia, noi sviluppavamo

nuovi modi di manipolare la genetica. Ma arriviamo

al dunque, finalmente dopo tanti sforzi, duecento

quarantacinque anni fa sono riuscito a boicottare un

figlio di Koinos, rendendolo vulnerabile al mondo

esterno, quel koinosiano sei tu! -

Ecco il motivo di quella sua insana voglia, ora tutto si

spiegava. Ma perché tutto questo da farsi per un solo

pianeta che alla fine non dava alcun fastidio

all’universo?

-Perché interessarsi a Koinos allora?-

-Perché siete il pianeta più tecnologicamente

avanzato, e secondo i nostri calcoli non passerà molto

prima che decidiate di conquistare l’intero Universo.

Il buonsenso, quindi, deve partire da voi, anzi no, da

te. Vedi, tu cercavi la felicità, la felicità vera… Pensi

di averla trovata?-.

-No, non credo di essere più felice che prima ora che

so queste cose. -

-Beh, è perché tu pensi di non essere felice…

Inizialmente la cercavi nell’ordinamento sociale, ma

non vi hai trovato niente, perché l’uomo nel momento

in cui si aggrega ad altri, ha sempre una certa

Page 25: Anime, felicità e galassie

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propensione alla prevaricazione, alla furbizia verso il

prossimo, cosa che gli antichi chiamavano “peccato

originale”. La conclusione più logica è che la felicità

deriva dall’individuo. Essa è solo una condizione

mentale, poiché altrimenti, non si spiega perché

uomini in situazioni perfettamente identiche

sviluppano un diverso approccio alla realtà. Poi

ovviamente, dobbiamo considerare che alcuni

confondano il significato di felicità con altre cose, ed è

questo che fate da secoli su Koinos.-.

Perplesso, Grant fece una grossa domanda:

-Dunque questa è la verità?-

Lo Stendardo gli fece un sorriso, poi voltatosi, si

diresse alla porta; la aprì, e prima di uscire disse:

-Non lo so… Ma a me piace. -

Page 26: Anime, felicità e galassie

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CAPITOLO 5 FINALE

-Maestro! Maestro! E già finita la storia?- disse il

piccolo Magrot agitando la manina.

-Si… Adesso il maestro è stanco bambini, perché non

andate a giocare sul prato?-.

-Ma poi come finisce? Che cosa fa Grant? Maestro!-

-Beh, lo potete vedere con i vostri occhi. -

Il maestro uscì dall’edificio con la sua sedia volante,

ma prima di passare il cancello positronico si voltò

un attimo, e notò la scritta sulla facciata del palazzo:

“SCUOLA DI CIVILTÀ GRANT LXXIII”.

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INDICE Prefazione .................................................................. 2

Capitolo 1 ................................................................... 3

Capitolo 2 ................................................................... 8

Capitolo 3 ................................................................. 13

Capitolo 4 ................................................................. 19

Capitolo 5 ................................................................. 25