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Pagina 1 Immagine di copertina
Fusione tri-dimensionale della coronarografia computerizzata e della perfusione miocardica
I dati combinati SPECT/CTCA di perfusione miocardica (rappresentata sulla
superficie epicardica ventricolare sinistra estratta dallo studio SPECT) e
dell’albero coronarico visualizzato con la CTCA. L’immagine combinata sotto
stress (sinistra) mostra diminuita perfusione nell’apice e nella parete
antero-apicale (regione blu, freccia) corrispondente al territorio
vascolare della coronaria discendente anteriore (LAD). L’immagine
combinata in riposo (destra) mostra perfusione normale nella stessa
regione. L’informazione combinata, quella generata dallo studio SPECT di
perfusione e quella ottenuta dalla coronarografia CTCA dimostra la
presenza di ischemia miocardica causata da stenosi di LAD. La integrazione
dell’informazione anatomica (CTCA) e fisiologica (imaging di perfusione
miocardica) indica che la terapia interventistica dovrebbe essere diretta a
correggere la lesione nella coronaria discendente anteriore (LAD). SPECT
(single-photon emission computed tomography);(CTCA=computed
La Nuova
INFORMAZIONEINFORMAZIONEINFORMAZIONE CARDIOLOGICACARDIOLOGICACARDIOLOGICA
N. 3N. 3N. 3 - 6 settembre 2007 -
Anno 27°- foglio elettronico domiciliare
Pagina 2 INDICE
tomography coronary angiography) . Tecniche e applicazione clinica sono descritte
nell’aggiornamento.
1. Shmuel Rispler, Zohar Keidar, Eduard Ghersin, et al. Integrated Single-Photon Emission
Computed Tomography and Computed Tomography Coronary Angiography for the Assessment of
Hemodynamically Significant Coronary Artery Lesions. J Am Coll Cardiol, 2007; 49:1059-1067.
Editoriale di Paolo Rossi: Cardiotossicità del Rosiglitazone. Pag. 3-8
Leading Article di Mauro Campanini: Effetti del torcetrapib sulla
progressione dell’aterosclerosi coronarica. Pag. 9-20
Aggiornamento di Paolo Rossi: Valutazione Sincronizzata con Tecnica non
Invasiva di Lesioni Coronariche e Funzione Miocardica. Pag. 21-27
Flash: Tomografia computerizzata nella sindrome coronarica acuta. Pag.27
Medicina ed Etica di Gabriele Dell’Era: TESTAMENTO BIOLOGICO LE
CONCLUSIONI DEL CONVEGNO DI UDINE. Pag. 28-30
LA NUOVA INFORMAZIONE CARDIOLOGICA
è inviata gratuitamente secondo una mailing list si può essere cancellati o essere
iscritti per riceverla, inviando la propria e-mail a: [email protected]
Archivio: nel sito: www.foliacardiologica.it
Direttore Responsabile: Prof. Paolo Rossi Direttore Responsabile: Prof. Paolo Rossi Direttore Responsabile: Prof. Paolo Rossi --- [email protected][email protected][email protected]
Direttore Scientifico: Dott. Eraldo Occhetta Direttore Scientifico: Dott. Eraldo Occhetta Direttore Scientifico: Dott. Eraldo Occhetta --- occhetta@rocchetta@[email protected]
Segretario Scientifico: Dott. Gabriele Dell’Era Segretario Scientifico: Dott. Gabriele Dell’Era Segretario Scientifico: Dott. Gabriele Dell’Era --- [email protected]@[email protected]
A.P.C. ASSOCIAZIONE PREVENZIONE CARDIOPATIE
Autorizzazione del Tribunale di Novara n. 19 del 15 settembre 1979
INDICE
Pagina 3 Rossi - editoriale
Cardiotossicità del Rosiglitazone
I tiazolidinedioni, pioglitazone e rosiglitazone, sono farmaci antidiabetici di
nuova generazione che si legano con alta affinità ai recettori attivati che
stimolano la proliferazione dei peroxisomi nelle cellule (PPARs). I peroxisomi
sono organelli ubiquitari nelle cellule eucariotiche la cui funzione è quella di
sbarazzarsi delle sostanze tossiche.
I tiazolidinedioni agiscono legandosi a PPAR (peroxisome proliferator-activated
receptors), un gruppo di molecole con funzione di recettoi all’interno del
nucleo cellulare, e in modo specifico ai PPARγ (gamma). I ligani normali per
questi recettori sono gli acidi grassi liberi (FFAs) e gli eicosanoii. Dopo essere
stato attivato, il recettore migra verso il DNA, attivando la transcrizione di un
certo numero di geni specifici (vedi figura). Quindi, questi recettori agiscono
come fattori di transcrizione genica e si ritrovano nel nucleo in tutti tessuti
biologici in varie isoforme. I tre tipi identificati, di PPARs: alpha, gamma e
delta (beta), sono intimamente connessi al metabolismo cellulare (carboidrati,
lipidi e proteine) e alla differenziazione cellulare.
Funzione fisiologica (figura 1)
Tutti i PPARs dimerizzano con retinoide X recettore (RXR) e si legano a regioni
specifiche sul DNA dei geni bersaglio. Tali sequenze DNA sono denominate
PPREs (peroxisomesigeproliferator response elements). Generalmente, queste
sequenze si verificano nella regione promotrice di un gene, e quando il PPAR
si combina con il suo ligante, le transcrizioni dei geni bersaglio sono
aumentate o diminuite, dipendendo ciò dal gene. Modi di azione
Con l’attivazione dei PPARγ (gamma):
La resistenza all’insulina è diminuita
La differenziazione degli adipocit è modificata
L’angiogenesi indotta da VEGF è inibita
E d i t o r i a l e
d i
P a o l o R o s s i
Pagina 4 Editoriale— Rossi
Figura 1
I livelli di leptina diminuiscono (provocando un aumento dell’appetito)
I livelli di alcune interleuchine (e.g. IL-6) decrescono
I livelli di adiponectina aumentano
Il rosiglitazone si lega al PPAR-γ (gamma) e rende le cellule (del tessuto
adiposo, dei muscoli e del fegato) più sensibili all’insulina, facendo così in
modo che l’organismo usi meglio l’insulina che produce.
Effetti collaterali e controindicazioni del rosiglitazone
Il rosiglitazone come farmaco antidiabetico, è stato commercializzato come
Avandia dalla società farmaceutica GlaxoSmithKlin, sia in preparazione
singola che in combinazione con metformia (Avandamet). Un altra
combinazione di farmaci approvata dalla FDA è Avandaryl (con glimepirid). Il
principale effetto collaterale di tutti i tiazolidinedioni è la ritenzione di acqua,
provocando edema, aumento del peso corporeo, e potenzialmente
aggravando lo scompenso di cuore. Perciò,i tiazolidinedioni non dovrebbero
essere prescritti in pazienti con depressa funzione ventricolare (NYHA classe
Pagina 5 Rossi – editoriale
III or IV scompenso cardiaco). Nel febbraio 2007, in seguito ad una revisione
dei dati di sicurezza provenienti dallo studio clinico ADOPT (A Diabetes
Outcome and Progression Trial)7 e riguardanti le specialità medicinali
contenenti rosiglitazone è emerso che le pazienti di sesso femminile trattate
con tale principio attivo sono andate incontro ad un aumento significativo di
fratture del piede, della mano e del braccio, rispetto alle pazienti trattate con
metformina e glibenclamide. Il meccanismo relativo all'aumento di fratture è
incerto.
Ricerche cliniche
La recente meta-analisi pubblicata da Nissen and Wolski,(1) che ha evidenziato
un significativo incremento del rischio di infarto miocardico nel trattamento
con rosiglitazone (Avandia) ed un aumento di simile ampiezza, benché non
significativo, del rischio di morte da cause cardiovascolari, ha creato furore
nella stampa e dilemmi nei medici e nei loro pazienti. Con detta meta-analisi è
risultato un incremento del rischio d’infarto miocardico legato al trattamento
con rosiglitazone (rapporto di rischio, 1.43; 95% IC, 1.03-1.98).
Date le inadeguatezze insite nelle meta-analisi in generale i clinici sono
rimasti incerti sull’impiego del rosiglitazone nel trattamento del diabete tipo 2.
Poiché milioni di pazienti con diabete e problemi cardiovascolari sono in
trattamento con rosiglitazone in tutto il mondo, la chiara risposta a tale
quesito presenta importanti implicazioni cliniche (2).
Con il dichiarato intento di provvedere la più completa delle attuali evidenze è
stato pubblicata in modo imprevisto un’analisi interim dallo studio RECORD
(Rosiglitazone Evaluated for Cardiac Outcomes and Regulation of Glycaemia in
Diabetes) una sperimentazione multicentrica, sponsorizzata dalla Azienda
Farmaceutica produttrice del rosiglitazone.(3) Mentre i 42 studi inclusi nella
meta-analisi pubblicata erano generalmente orientati a valutare l’effetto del
rosiglitazone sulla glicemia e non erano designati o di forza statistica
sufficiente per studiare potenziali eventi avversi come le malattie
cardiovascolari, lo studio RECORD è stato designato in modo specifico per
valutare gli effetti su esiti cardiovascolari del trattamento con rosiglitazone
combinato con metformina o sulfonilurea, confrontati con quelli del
trattamento con metformina combinata con sulfonilurea in pazienti con diabete
tipo 2 che presentano controllo inadeguato della glicemia. Nello studio
Pagina 6 Editoriale - rosiglitazone
RECORD la durata prevista è di 6 anni, con un disegno di genere aperto e di
non-inferiorità (tra i due trattamenti). L’esito primario è costituito dalla
combinazione di due eventi, l’intervallo di tempo della prima
ospedalizzazione per un evento cardiovascolare o la morte da cause
cardiovascolari(4). Nel Marzo 2007, sono stati esaminati i dati accessibili
concernenti 4447 pazienti e seguiti per una media di 3.75 anni (circa al 60%
di durata della sperimentazione). Questi risultati ad interim hanno
evidenziato che il rosiglitazone è risultato essere associato con un piccolo
aumento, anche se non significativo, del rischio dell’esito primario (rapporto
di rischio, 1.08; 95% intervallo di confidenza [CI], 0.89 - 1.31). Per l’infarto
miocardico fatale o non fatale, il rapporto di rischio fu 1.16 (95% CI, 0.75 -
1.81). Gli Autori dello studio RECORD ritengono che, "i risultati sono
importanti in quanto permettono di rispondere ad alcune preoccupazioni
sulla sicurezza del rosiglitazone sollevate dalla recente meta-analisi di Nissen
and Wolski."
Tra i molti punti deboli, la principale limitazione rilevabile nella
sperimentazione RECORD è costituita dal fatto che la frequenza di eventi è
risultata essere eccezionalmente bassa in una popolazione di pazienti con
diabete ad alto rischio. La frequenza d’infarto miocardico di 4.5 per 1000
persona-anni rilevata nello studio RECORD corrisponde al 40% dell’incidenza
rilevata in uno studio di popolazione basato su pazienti con diabete di 56-60
anni di età (5) ed è vicina alle frequenze rilevate nella popolazione generale di
età compresa da 55 a 59 anni (6) . Un accertamento incompleto degli eventi
costituisce forse la spiegazione più probabile di tale differenza. La prevalenza
di casi perduti nel follow-up è stata alta (circa il 10%). Un altro motivo
potrebbe essere nel numero elevato di Paesi dell’est Europeo coinvolti nello
studio. L’assistenza medica, inclusi i criteri seguiti nella ospedalizzazione per
cause cardiovascolari, differisce sensibilmente nei Paesi dell’est Europeo
rispetto a quelli seguiti nei Paesi dell’Europa occidentale.
Anche se le limitazioni del disegno e della conduzione nella sperimentazione
RECORD inducono ad una cauta interpretazione dei suoi dati, i risultati sul
rischio d’infarto miocardico (rapporto di rischio, 1.16; 95% IC, 0.75-1.81) si
rivelano nondimeno compatibili con quelli evidenziati dalla meta-analisi. La
coincidenza degli intervalli di confidenza al 95% della sperimentazione con
quelli della meta-analisi è considerevole.
Pagina 7 Editoriale—rosiglitazone
La combinazione di tutti i risultati concernenti il rischio d’infarto miocardico
permette di ottenere una sintesi complessiva dell’evidenza emersa dalla
sperimentazione clinica. Una meta-analisi basata sulla varianza degli effetti
che include le sperimentazioni RECORD, ADOPT (A Diabetes Outcome
Prevention Trial)(7), e DREAM (Diabetes Reduction Assessment with Ramipiril
and Rosiglitazone Medication,) (6) e il gruppo di piccoli studi esaminati nella
meta-analisi di Nissen and Wolski evidenzia ancora che il trattamento con
rosiglitazone comporta un aumentato rischio d’infarto miocardico (rapporto di
rischio, 1.33; 95% IC, 1.02-1.72). L’aggiunta delle frequenze di eventi
miocardici aggiornati da Krall (7) acquisisce un rapporto di rischio di 1.36
(95% IC, 1.04-1.78). Pertanto, anche con l’inclusione dei risultati della
sperimentazione RECORD, mentre la possibilità di un beneficio rimane
lontana, in relazione al rischio d’infarto miocardico,l’evidenza di un danno è
ancora significativa. Il livello di rischio, con un rapporto di rischio di 1.33, è
considerevole ed in grandezza è all’incirca equivalente, ma nella direzione
opposta, a quello benefico per la salute dei farmaci ipolipidici come le statine.
Il rosiglitazone, fu introdotto nell’uso clinico nel 1999; sono passati 8 anni ed
è stato impiegato in milioni di pazienti prima che ne fosse riconosciuta la
cardiotossicità. I limiti principali delle meta-analisi sono la quantità e la
qualità dei dati accessibili. La responsabilità per la limitata disponibilità di dati
di qualità elevata ricade principalmente sulla società farmaceutica (Glaxo-
SmithKline) e forse anche sulla Food and Drug Administration (FDA). I
ricercatori dello studio RECORD, tra i quali sono inclusi anche dipendenti della
società Glaxo-SmithKline produttrice del farmaco, si proposero di stabilire se
“il promettente impatto dei tiazolidinedioni sulla sensibilità all’insulina e sui
fattori di rischio cardiovascolare si sarebbe tradotto in un miglioramento dei
risultati clinici cardiovascolari (4) . Inoltre, i ricercatori si sono posti l’obiettivo
di rivedere la preoccupazione dello scompenso cardiaco sollevata dalla
ritenzione idrica prodotta dal rosiglitazione; di confermare che i migliori
risultati associati con il migliore controllo glicemico, come quelli descritti in
UKPDS (9) [the United Kingdom Prospective Diabetes Study], sono applicabili
anche a questo gruppo di farmaci; e di attenuare le preoccupazioni basate
sulle concentrazioni del colesterolo LDL [low-density lipoprotein] piuttosto che
sulla aterogenicità delle particelle LDL." Gran parte di questi scopi sembrano
riflettere le posizioni della società produttrice riguardanti il rosiglitazone,
invece che gli obiettivi di una indagine scientifica neutrale. Dato che i risultati
Pagina 8 Editoriale –bibliografia
della meta-analisi costituiscono una valida stima del rischio d’infarto
miocardico, le "circostanze eccezionali" invocate dagli Autori dell’analisi ad
interim, sembrano raccontare la storia di perdute opportunità della vera
ricerca scientifica e della regolazione dei controllo di valutazione.
Bibliografia
1. Nissen SE, Wolski K. Effect of rosiglitazone on the risk of myocardial infarction and death from cardiovascular causes. N Engl J Med 2007;356:2457-2471. 2. Psaty BM, Furberg CD. Rosiglitazone and cardiovascular risk. N Engl J Med 2007;356:2522-2524. 3. Home PD, Pocock SJ, Beck-Nielsen H, et al. Rosiglitazone evaluated for cardiac outcomes - an interim analysis. N Engl J Med 2007;357:28-38. 4. Home PD, Pocock SJ, Beck-Nielsen H, et al. Rosiglitazone Evaluated for Cardiac Outcomes and Regulation of Glycaemia in Diabetes (RECORD): study design and protocol. Diabetologia 2005;48:1726-1735. 5. Booth GL, Kapral MK, Fung K, Tu JV. Relation between age and cardiovascular disease in men and women with diabetes compared with non-diabetic people: a population-based retrospective cohort study. Lancet 2006;368:29-36. 4. Atherosclerosis Risk in Communities (ARIC). Average annual incidence rate table. Chapel Hill: University of North Carolina School of Public Health.http://www.cscc.unc.edu/aric/othdocs/UNLICOMMAverageAnnualIncidenceRateTables12162003.pdf.) 5. The Diabetes Control and Complications Trial Research Group. The effect of intensive treatment of diabetes on the development and progression of long-term complications in insulin-dependent diabetes mellitus. N Engl J Med 1993;329:977-986. 6. Montori VM, Isley WL, Guyatt GH. Waking up from the DREAM of preventing diabetes with drugs. BMJ 2007;334:882-884. 7. Krall RL. Cardiovascular safety of rosiglitazone. Lancet (DOI: 10.1016/S9140-6736(07)60824-1). 8. Psaty BM, Furberg CD. Rosiglitazone and cardiovascular risk. N Engl J Med 2007;356:2522-2524. 9. UK Prospective Diabetes Study (UKPDS) Group. Effect of intensive blood-glucose control with metformin on complications in overweight patients with type 2 diabetes (UKPDS 34). Lancet 1998;352:854-865. [Erratum, Lancet 1998;352:1558.]
Prof. Paolo Rossi Primario Cardiologo Novara. E-mail: [email protected]
Pagina 9 Leading article—Campanini
Effetti del torcetrapib sulla progressione dell’aterosclerosi
coronarica Effect of torcetrapib on the progression of coronary atherosclerosis.
Niessen S.E., Tardif J-C., Nicholls S.J. et al. New England Journal of Medicine
2007;356:1304-16
Scopi dello studio
Gli autori hanno studiato gli effetti dell’aumento del colesterolo HDL
determinati da un inibitore della Cholesterol Ester Transfer Protein (CETP), il
torcetrapib, sull’aterosclerosi coronarica, valutata come dimensioni
dell’ateroma con tecnica ultrasonografica intracoronarica. Il presupposto
scientifico è che bassi livelli di colesterolo HDL correlino con gli eventi
cardiovascolari e che un aumento delle HDL determini una riduzione degli
stessi.
Metodi
L’Investigation of Lipid level Management Using Coronary Ultrasound to
Assess Reduction of Atherosclerosis by CETP Inhibition and HDL Elevation
( ILLUSTRATE) trial è uno studio prospettico, randomizzato, multicentrico in
doppio cieco. I pazienti arruolati erano di età compresa fra 18 e 75 anni ed
erano considerati eleggibili se presentavano, ad uno studio agiografico,
almeno una stenosi coronarica pari al 20% e con meno del 50% di ostruzione
per un tratto completo di almeno 40 mm.
Criteri di esclusione erano un’ostruzione delle coronaria sinistra superiore al
50%, la pressione arteriosa > 140/90 mmHg nonostante il trattamento, i
trigliceridi > 500 mg/dl e la creatinina superiore ad 1.7 volte il valore
superiore di normalità. Durante la fase di run-in di 4-10 settimane furono
consigliate ai pazienti alcune modifiche dello stile di vita quali una dieta
ipolipidica ed un aumento dell’attività fisica e quindi fu somministrata
Leading Article di Mauro Campanini
Pagina 10 Leading article—Campanini
atorvastatina ad una dose iniziale di 10 mm Hg; il dosaggio fu titolato a 2
settimane di intervallo a 20 mg, 40 mg o 80 mg per raggiungere livelli di
colesterolo LDL inferiori a 100mg/dl. I pazienti che raggiungevano questo
valore di colesterolo LDL erano randomizzati a ricevere o una combinazione
fissa di atorvastatina associata a 60 mg di torcetrapib o atorvastatina in
monoterapia.
Dopo la coronarografia i pazienti furono sottoposti, al tempo 0 e dopo 24
settimane, ad una ultrasonografia intravascolare per acquisire e misurare la
regressione-progressione dell’ateroma di uno stesso segmento di coronaria.
Risultati
Furono arruolati 1188 pazienti presso 137 centri del Nord America e
dell’Europa e di questi 597 randomizzati al gruppo solo-atorvastatina e 591
al gruppo torcetrapib-atorvastatina. Dopo 24 mesi di trattamento 910
pazienti (77%) erano ancora inseriti nel protocollo dello studio ed erano stati
sottoposti ad una valutazione ultrasonografica sia al basale che al termine
del periodo di follow-up. I due gruppi erano omogenei sia per le
caratteristiche demografiche che per i farmaci impiegati.
Dopo 24 mesi di trattamento il colesterolo HDL nel gruppo solo-atorvastatina
si ridusse da 45.2 a 43.9 mg/dl mentre nel gruppo torcetrapib-atorvastatina
aumentò da 46.0 a 72.1 mg/dl. Dopo 24 mesi i livelli di colesterolo LDL nel
gruppo solo-atorvastatina aumentarono da 84.3 a 87.2 mg/dl mentre nel
gruppo atorvastatina-torcetrapib si ridussero da 83.1 a 70.1 mg/dl. I
pazienti nel gruppo atorvastatina-torcetrapib presentavano un aumento dei
valori di colesterolo HDL del 61% ed una riduzione del colesterolo LDL del
20% rispetto ai pazienti del gruppo solo-atorvastatina.
La pressione arteriosa basale era 120/73 mm Hg in entrambi i gruppi di
studio. La media dell’aumento dei valori di pressione sistolica fu di 2.0 mm
Hg nel gruppo solo-atorvastatina e di 6.5 mm Hg nel gruppo atorvastatina-
torcetrapib, con una differenza media di 4.6 mm Hg ( 95% CI, 3.7 to 5.6;
P<0.001). I livelli di proteina C-reattiva non si differenziavano in modo
significativo fra i due gruppi.
Gli end point di efficacia misurati con tecnica ultrasonografica dimostrarono
che l’obiettivo primario, le variazioni in percentuali del volume dell’ateroma,
aumentò del 0.19% nel gruppo solo-atorvastatina e del 0.12% nel gruppo
torcetrapib-atorvastatina (P=0.72); la seconda misurazione, la
Pagina 11 Leading article—Campanini
normalizzazione del volume dell’ateroma, dimostrò un piccolo effetto
favorevole nel gruppo torcetrapib-atorvastatina, con una riduzione di 9.5 cm
3, quando confrontato con una riduzione di 6.3 mm3 nel gruppo solo-
atorvastatina (P=0.02). Un'altra misurazione secondaria di efficacia, le
variazioni nei 10 mm del segmento vasale più alterato, dimostrò una
differenza non significativa, con una riduzione di 3.3 mm3 nel gruppo solo-
atorvastatina e di 4.2 mm3 nel gruppo torcetrapib-atorvastatina (P=0.12).
La frequenza di eventi cardiovascolari maggiori fu simile nei due gruppi di
studio ma nel gruppo torcetrapib-atorvastatina si dimostrò un numero
maggiore di eventi avversi legati all’aumento della pressione arteriosa
(23.7% vs. 10.6%) ed un numero maggiore di valori pressori superiori a
140/90 mm Hg (21.3% vs. 8.2%). Un aumento superiore a 15 mm Hg nella
pressione sistolica si dimostrò nel 9.0% dei pazienti nel gruppo torcetrapib-
atorvastatina e nel 3.2% dei pazienti nel gruppo solo-atorvastatina.
Discussione
I dati epidemiologici hanno dimostrato che il colesterolo HDL presenta una
stretta relazione inversa con gli eventi cardiovascolari(1). Riveste pertanto
particolare interesse lo sviluppo di strategie volte ad aumentare i valori del
colesterolo HDL. I farmaci che possiedono questa capacità presentano però
numerosi effetti collaterali; infatti i fibrati, quali il gemfibrozil ed il
fenofibrato, che dimostrano fra l’altro solo una modesta capacità di
aumentare i livelli di colesterolo HDL, sono gravati da numerosi ed importanti
effetti collaterali quali flushing, epatotossicità ed iperglicemia.
L’inibizione della CETP, che media il trasporto inverso del colesterolo, riveste
notevole interesse in rapporto ai risultati di studi che hanno dimostrato (2) che
la carenza congenita di CEPT determina la presenza di valori molto elevati di
colesterolo HDL.
Lo studio dimostra che dopo 24 mesi di trattamento con un inibitore delle
CEPT, il torcetrapib associato all’atorvastatina aumenta i valori di colesterolo
HDL di circa il 60% e riduce il colesterolo LDL del 20%, quando confrontato
con la monoterapia con sola atorvastatina. Nonostante questo effetto
favorevole sui livelli delle lipoproteine, non si dimostra una significativa
riduzione nella progressione dell’aterosclerosi coronarica, dimostrata da una
mancanza di effetti sul volume dell’ateroma, l’end-point primario di efficacia
Pagina 12 Leading article—Campanini
dello studio. Questo potrebbe dipendere da una riduzione non sufficiente dei
valori di colesterolo LDL. Infatti il valore medio di colesterolo LDL è un
potente predittore di progressione dell’aterosclerosi coronarica negli studi che
hanno utilizzato l’ultrasonografia; si dimostra una regressione della placca
quando i livelli di colesterolo LDL si riducono a valori inferiori a 75 mg/dl.
Nello studio, il gruppo solo-atorvastatina presentava un valore medio di
colesterolo LDL di 87.2 mg/dl, con il risultato di una progressione netta
dell’ateroma del 0.19%. I pazienti nel gruppo atorvastatina-torcetrapib
presentavano un valore medio di colesterolo LDL di 70.1 mg/dl, ma con un
aumento nelle percentuali del volume dell’ateroma dello 0.12%.
Non sono presenti in letteratura altri trials che hanno valutato gli effetti della
terapia volta ad aumentare i livelli di colesterolo HDL sulle dimensioni
dell’ateroma con tecnica ultrasonografica. Solo un piccolo studio ha valutato
l’effetto di un’infusione nel breve termine di un agente HDL-like,
l’apolipoproteina A1 Milano e ha dimostrato una regressione significativa, con
una riduzione delle percentuali del volume dell’ateroma di 1.06%(3).
Una misura secondaria di efficacia, le variazioni del volume totale
dell’ateroma, dimostrò un effetto favorevole del torcetrapib pari ad una
riduzione relativamente piccola di 3.2 mm3, soprattutto se si considera la
breve durata del trial. Altri studi, che avevano sempre utilizzato la tecnica
ultrasonografica, hanno dimostrato effetti favorevoli, di maggiore entità, con
altre terapie. Infatti uno studio recente con una terapia intensiva con statine
ad alto dosaggio per 24 mesi ha dimostrato una regressione di 14.7 mm3 del
volume totale dell’ateroma(4). La già ricordata infusione della apolipoproteina
A-1 Milano riduce il volume totale dell’ateroma di 14.2 mm3. Pertanto tutti
questi elementi supportano la conclusione che il torcetrapib, nonostante gli
effetti favorevoli sulle lipoproteine, non dimostra i possibili e prevedibili
risultati favorevoli sull’aterosclerosi.
Molti meccanismi sono possibili per spiegare la mancanza di efficacia
sull’aterosclerosi osservato nel gruppo torcetrapib-atorvastatina. In primo
luogo l’aumento della pressione arteriosa sistolica pari a 4.6 mm Hg, con il
21.3% dei pazienti che supera 140/90 mm Hg ed il 9% presenta un aumento
sostenuto superiore ai 15 mm Hg. Questo aumento nella pressione arteriosa
può controbilanciare in senso negativo gli effetti favorevoli sul metabolismo
lipidico quali l’aumento del colesterolo HDL e la riduzione del colesterolo LDL.
Pagina 13 Leading article—Campanini
Anche altri studi avevano dimostrato un rapporto tra le variazione della
pressione arteriosa e la progressione dell’aterosclerosi (5,6) .
Un’altra possibilità è che il colesterolo-HDL prodotto dal torcetrapib possa
essere disfunzionale. I dati in questo senso non sono univoci in quanto la
completa assenza di questo enzima può produrre colesterolo HDL
disfunzionale mentre l’inibizione parziale determina HDL funzionali(7). In
modelli animali transgenici di aterosclerosi, l’inibizione della CEPT determina
risultati vari, con effetti sia proaterogeni che antiaterogeni, in rapporto alle
diverse specie studiate(8). Pertanto rimane ancora incerto se il colesterolo HDL
prodotto dall’inibizione delle CEPT sia funzionale. Infatti l’inibizione di questo
enzima determina un aumento di particelle alpha HDL, che non presentano un
contenuto ottimale di ABCA1 (transmembrane ATP-binding cassette
transporter A1), che a loro volta regolano l’efflusso di colesterolo dai
macrofagi. Un’altra possibilità è che il torcetrapib abbia una tossicità vascolare
generalizzata, di cui l’aumento della pressione arteriosa è espressione e che si
estrinseca in un numero superiore di eventi cardiovascolari maggiori nel
gruppo torcetrapib-atorvastatina rispetto al gruppo solo-atorvastatina; la
differenza non raggiunge la significatività statistica in quanto lo studio non
era stato disegnato per valutare gli outcomes cardiovascolari.
I risultati di questo studio hanno notevole importanza, anche per
l’implementazione di nuovi metodi di imaging nello sviluppo di nuove terapie
antiaterosclerotiche. Questa tecnica però non è in grado e non possiede la
sensibilità per evidenziare la tossicità o altri problemi di sicurezza legati ai
farmaci in fase di sviluppo e pertanto non si potrà sostituire nei trials, nella
valutazione dell’efficacia e della sicurezza di un farmaco antiateroslcerotico,
agli end-point clinici.
Commento
I dati epidemiologici hanno dimostrato una correlazione inversa tra le
concentrazioni di HDL e l’incidenza di eventi cardiovascolari. Le HDL sono
lipoproteine piccole e dense che sono costituite per il 50% da proteine. La
principale lipoproteina presente nelle HDL è la apo A-1, che costituisce il 70%
della componente proteica e l’Apo A-II, che costituisce il 20% delle proteine
totali. L’apo A IV, le apo E ed apoJ sono presenti in quantità inferiore nelle
particelle di HDL. Altre proteine sono associate con le HDL e comprendono la
lecitin cholesteryl acetyl transferase, la paraoxonase e la PAF-acetylhydrolase.
Pagina 14 Leading article—Campanini
La paroxonase conferisce alle HDL le proprietà antiossidanti(9). Due importanti
studi epidemiologici, prospettici, il Framingham Heart Study (10) negli Stati
Uniti ed il Prospective Cardiovascular Munster study (11) in Europa hanno
dimostrato che le concentrazioni ridotte di colesterolo HDL sono associate in
modo indipendente con un aumentato rischio di malattia coronarica. Una
review di 19 studi prospettici sui fattori di rischio di cardiopatia ischemica del
National Institutes of Health del 1992 dimostra in 15 di essi un’associazione
significativa tra i valori ridotti di colesterolo-HDL e la cardiopatia ischemica
mentre 4 non mostrano questa associazione (12) . Sulla base di queste
evidenze è stato dimostrato che un aumento del colesterolo- HDL di 1 mg/dl
determina una riduzione del rischio cardiovascolare del 2-4% (10) .
Le proprietà antiaterogene delle HDL sono legate a diversi meccanismi. Il più
importante è che le HDL mediano l’efflusso del colesterolo dalle cellule della
parete arteriosa (13) . L’efflusso di colesterolo dalle foam cells è mediato dalle
HDL o dalle sue apolipoproteine e rappresenta uno step fondamentale nella
prevenzione e nella regressione dell’aterosclerosi.
Inoltre le HDL possono modulare il metabolismo di altre lipoproteine. Per
esempio la formazione della LDL dense e piccole, che sono particolarmente
aterogene, è ridotta quando il colesterolo HDL è elevato. Il metabolismo delle
lipoproteine ricche di trigliceridi è intimamente correlato al metabolismo del
colesterolo HDL. Le HDL inoltre riducono nelle cellule endoteliali l’induzione
delle molecole di adesione determinata dal Tumor necrosis factor (14) ,
meccanismo che riveste un ruolo importante nella formazione e nella
propagazione delle lesioni aterosclerotiche. Inoltre il legame delle HDL al
recettore scavenger B1 determina attivazione della NO sintasi endoteliale e
quindi vasodilatazione. Pertanto, le HDL possono influenzare la funzione
endoteliale sia indirettamente che direttamente. Le HDL possono avere un
effetto anti-infiammatorio come dimostrato da Wadham et al (15) , infatti l’
incubazione di cellule con HDL inibisce fortemente l’espressione delle molecole
di adesione mediato dalla proteina-C reattiva. Il preciso significato degli effetti
antinfiammatori delle HDL non è ancora però ben determinato. In uno studio
condotto in vivo, Nichollas et al (16) dimostrò che l’infusione di HDL contenente
25 mg di apo A1 per tre giorni consecutivi in conigli normocolesterolemici
inibisce marcatamente l’infiltrazione di neutrofili della parete arteriosa della
carotide in risposta all’applicazione di un collare elastico peri-arterioso. Si
osserva inoltre anche una riduzione, da parte dell’endotelio, della produzione
Pagina 15 Leading article—Campanini
di radicali liberi di ossigeno, dell’espressione di molecole di adesione e di
chemochine. Questi effetti favorevoli sono stati dimostrati nell’animale con
bassi livelli di colesterolo totale e pertanto è probabile che questo effetto non
dipenda da un aumentato efflusso di colesterolo dalle cellule. Questi risultati
indicano però che le HDL possono inibire l’infiammazione vascolare acuta che
accompagna situazioni cliniche quali le sindromi coronariche acute e lo stroke.
Gli effetti antiaterogeni delle HDL sono confermati anche da studi sperimentali
ove le HDL venivano infuse in un modello di aterosclerosi nel coniglio. In
questo studio Badimon et al (17) dimostrò che l’infusione settimanale di HDL-
VHDL riduce la formazione di fatty streaks aortiche nei conigli New Zeeland
White. Nello stesso studio (18) fu anche dimostrato che la stessa infusione
settimanale di HDL-VHDL per 30 giorni riduce l’area delle fatty streak in un
modello sperimentale di coniglio. Questi risultati forniscono pertanto la
dimostrazione, che oltre ad inibire l’aterogenesi, le HDL sono in grado di
determinare la regressione della placca. Il più clamoroso di questi effetti
benefici delle HDL fu dimostrato nello studio ove furono infuse HDL, ad
uomini volontari sani, contenenti apo-A1 Milano (19) con il risultato di
normalizzare la disfunzione endoteliale e di ridurre del 4% l’ateroma
coronarico valutato con tecnica ultrasonografica intravascolare. Uno studio più
recente ove venivano infuse HDL ricostituite (CLS-111) per 4 settimane in
pazienti coronaropatici pur avendo dimostrato una riduzione nel volume
dell’ateroma, seppure con tecnica ultrasonografica intravascolare, non
raggiungeva la significatività statistica. Si dimostrava però un miglioramento
delle caratteristiche della placca con una differente ecogenicità espressione di
una maggiore stabilità e quindi con una minore probabilità di eventi clinici
cardiovascolari (20)
Tutte queste considerazioni spingono a valutare strategie terapeutiche volte
ad aumentare i valori di colesterolo HDL. L’attività fisica, la riduzione del peso
e l’abolizione del fumo sono fattori comportamentali importanti. Anche una
moderata assunzione di alcool è associata ad un aumento del colesterolo-HDL
in pazienti con trigliceridi normali. Molti pazienti con HDL basse presentano
elevate concentrazioni di trigliceridi e l’assunzione di alcool può esacerbare
l’ipertrigliceridemia ed ulteriormente ridurre il colesterolo HDL.
Tutti i farmaci ipolipemizzanti possiedono effetti sul metabolismo del
colesterolo HDL. I farmaci che presentano quale loro target il colesterolo LDL,
come le statine e le resine, hanno solo modesti effetti sulle concentrazioni
Pagina 16 Leading article—Campanini
delle HDL, determinandone un aumento pari a circa il 5-10% (21) . I fibrati e
soprattutto l’acido nicotinico/niacina possiedono effetti significativi sulle HDL.
I fibrati mediano il loro effetto sul colesterolo-HDL attraverso l’attivazione
della trascrizione nucleare dei peroxisome proliferator-activated receptor-alfa
(PPARalfa). I fibrati sono stati valutati sia in studi di prevenzione primaria che
secondaria (Helsinki Heart study, VA-HIT study) dimostrando una riduzione di
circa il 20% del rischio associato con il trattamento con gemfibrozil. I dati
della letteratura non sono però concordanti in quanto con altri fibrati quali il
bezafibrato, nello studio BIP (Bezafibrate Infarction Prevention study), il
vantaggio clinico è più modesto e limitato solo ad una categoria limitata di
pazienti quali sono quelli con sindrome metabolica (22-24) .
L’acido nicotinico determina un aumento del colesterolo HDL attraverso
un’inibizione della lipolisi periferica e della sintesi epatica di VLDL, che
indirettamente determina un aumento del colesterolo HDL; questo effetto è
dose dipendente ed è strettamente correlato alla riduzione delle
concentrazioni dei trigliceridi. Nonostante questo effetto significativo sulle
concentrazioni di HDL il suo impiego in clinica è reso difficile dalla comparsa
degli effetti collaterali soprattutto dal flushing. Gli effetti dell’acido nicotinico
furono studiati in due trials circa trenta anni fa (25,26) . In uno studio l’acido
nicotinico fu utilizzato in monoterapia ed in un altro in associazione con il
clofibrato dimostrando una riduzione degli eventi cardiovascolari di circa il
25%. Uno studio recente (ARBITER-2) ha valutato l’effetto della niacina sullo
spessore dell’intima media in pazienti con malattia coronarica e colesterolo-
HDL ridotto in associazione alla terapia con statine (27) . Nel gruppo in
trattamento con niacina non si assisteva ad una progressione dello spessore
intima-media a differenza del gruppo in placebo ove lo spessore tendeva ad
aumentare. La prosecuzione di questo studio è l’ARBITER 3 che aveva come
end-point primario se la combinazione di niacina con simvastatina, fosse
superiore alla statina da sola nel prevenire gli eventi cardio-vascolari nei
pazienti con malattia vascolare (28) .
Negli ultimi anni sono stati proposti nuovi approcci terapeutici per aumentare
il colesterolo HDL. Questi includono agonisti dei PPARalfa, PPARgamma e
PPARdelta. Questi farmaci paiono di particolare interesse nel trattamento
delle ipertrigliceridemie associate alla sindrome metabolica, in quanto è
possibile un effetto anche sul metabolismo lipidico. Molti di questi farmaci
sono attualmente studiati in studi di fase II o III . Un’altra strategia è quella
Pagina 17 Leading article—Campanini
di modificare il metabolismo del colesterolo HDL attraverso l’inibizione della
Cholesterol Transfer Protein (CETP), un enzima chiave nell’interazione fra le
HDL e le lipoproteine ricche di trigliceridi. CETP è una glicoproteina plasmatica
che facilita il trasferimento di esteri del colesterolo alle HDL dalle
apolipoproteine B (29) . Le persone con deficit di CETP, dovuto ad un difetto
molecolare del gene CETP, presentano valori marcatamente elevati di
colesterolo HDL e apo A-1. Il torcetrapib, è un inibitore delle CETP in grado di
aumentare in modo significativo i valori di colesterolo HDL. Barter PJ et al (30)
hanno dimostrato che il torcetrapib in pazienti con un valore di colesterolo HDL
< 40 mg/dl aumenta, sia al dosaggio di 120 mg una volta al giorno che al
dosaggio di 120 mg due volte al giorno, il colesterolo HDL da una media di
30± 6 mg/dl al basale a 47 ± 10 e 70 ± 15 mg/dl, rispettivamente. I rapporti
però fra l’attività della CETP ed il rischio di malattia coronarica è ancora
controverso. Infatti nell’Honolulu Heart Program (31) , un sottogruppo di
persone eterozigoti per una mutazione funzionale delle CETP, con un valore di
colesterolo HDL tra 40 e 60 mg/dl, presentavano un aumentato rischio di
eventi coronarici. Al contrario in studi di popolazione è stato dimostrato che la
variante genetica CETP (Taq IB2) si associa ad una ridotta attività della CETP,
ad aumentati livelli di colesterolo HDL ed un ridotto rischio di eventi coronarici(32). Lo studio di Nissen S et al, oggetto di questo leading article, conferma
l’importante aumento del colesterolo HDL con una riduzione del colesterolo
LDL. Si accompagna però a questi effetti estremamente favorevoli sul
metabolismo lipidico, un importante aumento della pressione arteriosa, e
come è stato sottolineato nella discussione, ad una mancata regressione
dell’aterosclerosi coronarica.
Anche lo studio ILLUMINATE che comprendeva 15.000 pazienti ad alto rischio
di malattia coronarica fu interrotto precocemente, poco dopo un anno, per un
eccesso di mortalità, infarto del miocardio, angina, procedure di
rivascolarizzazione e scompenso cardiaco congestizio nei pazienti con
torcetrapib più atorvastatina in confronto con i pazienti in trattamento con sola
atorvastatina(33). E’ possibile che questi effetti negativi del torcetrapib si
possano spiegare in parte in modo indiretto ad esempio attraverso un
aumento della pressione arteriosa ed in parte attraverso un effetto tossico
diretto sulla placca aterosclerotica. Un’altra possibilità è che il colesterolo HDL
prodotto dall’inibizione delle CETP possa essere disfunzionale. Il colesterolo
HDL è in grado di mediare il trasporto inverso del colesterolo che consiste nel
Pagina 18 Leading article—Campanini
rimuovere il colesterolo dalle cellule della parete arteriosa,trasportarlo nel
plasma, con successivo uptake da parte del fegato ed escrezione nella bile. Le
CETP svolgono un ruolo centrale nel trasporto inverso del colesterolo (34) .
Quando le CETP sono inibite o deficienti si attiva la via della clearance diretta
delle HDL dal fegato. Il risultato netto è una riduzione nella clearance assoluta
così come l’eliminazione fecale di steroidi (35). L’efficacia dell’efflusso di
colesterolo dalle cellule della parete arteriosa è però probabilmente
determinato dalle concentrazione e dalla funzionalità delle HDL. E’ altrettanto
poco probabile pertanto che l’inibizione delle CETP possa influenzare le diverse
vie dell’efflusso del colesterolo dalle cellule.
Una recente meta-analisi sul proteoma delle HDL ha dimostrato una pletora di
composti che possono potenzialmente regolare la loro proprietà
nell’influenzare il processo trombotico, i meccanismi infiammatori ed il
sistema del complemento (36) . La rilevanza di queste proprietà pleiotropiche
delle HDL e la loro funzione protettiva nei confronti dell’aterosclerosi non è
ancora nota, ma queste funzioni possono essere influenzate in modo negativo
dall’inibizione delle CETP.
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Dott. Mauro Campanini Primario della Divisione di Medicina dell’Azienda Ospedaliera “Ospedale
Maggiore” di Novara; e-mail: [email protected]
Pagina 21 Aggiornamento—Rossi
Valutazione Sincronizzata con Tecnica non Invasiva di Lesioni Coronariche e Funzione Miocardica
Lo studio di Rispler et al. (1) costituisce un’altra pietra miliare di convalida
nella strategia che ricerca con tecniche non invasive immagini che
provvedano una valutazione integrata della anatomia e della fisiologia in
pazienti con malattia delle arterie coronariche. Da poco tempo, con la
comparsa della tomografia computerizzata a rivelatori multipli (CT), è
divenuto ora possibile accedere all’anatomia coronarica con tecnica non
invasiva. Di conseguenza, una nuova sfida è in corso alle strategie
correntemente applicate alla diagnostica e ai modelli non invasivi delle
imagini. Nei pazienti con sospetta o probabile malattia delle arterie
coronariche si è soliti procedere ad una valutazione non invasiva allo scopo di
stabilire una stratificazione funzionale e prognostica, prevenendo in tal guisa
l’accesso all’angiografia coronarica invasiva a molti pazienti che presentano
una coronaropatia la cui prognosi è comunque ritenuta favorevole. Lo
sviluppo esplosivo delle procedure interventistiche di rivascolarizzazione ed
ora, a maggiore ragione, l’avvento dell’angiografia CT, rendono inutile la
funzione limitativa del testing funzionale a blocchi successivi che
probabilmente è destinato a scomparire. Ciò solleva preoccupazioni crescenti
circa l’uso appropriato della CT a fini diagnostici, tenendo anche presente che
la semplice documentazione anatomica di una placca sarà ritenuta sufficiente
per impiantare uno stent coronarico, senza preoccuparsi del quadro
sintomatico, del significato funzionale, o della valutazione prognostica della
stenosi. Attualmente ben il 71% delle procedure di rivascolarizzazione
percutanea vengono eseguite in assenza di una valutazione funzionale di
qualunque tipo (2) , e si teme che tale tendenza sconveniente crescerà con la
diffusione dello scenario sopra descritto. Come hanno scritto Rispler e coll.(1),
"la luminologia potrebbe determinare un trattamento del paziente guidato dal
Aggiornamento di
Paolo Rossi
Pagina 22 Aggiornamento—Rossi
così detto riflesso oculo-stenotico risultante in un grande numero di interventi
terapeutici", che potremmo definire non appropriati. Pertanto, benché
l’angiografia CT sia universalmente accolta come una opportunità eccezionale
per estendere la nostra capacità diagnostica della malattia coronarica con
l’impatto potenziale sulla morte cardiaca ischemica improvvisa e sull’infarto
miocardico acuto senza segni premonitori, ci troviamo nella improvvisa
necessità di ridisegnare la progressione dei paradigmi diagnostici. La questione
critica più importante si riferisce al ruolo specifico e all’impiego appropriato
della CT nelle varie popolazioni e sottogruppi di pazienti con sospetta o
probabile malattia delle arterie coronariche(3).
Il contributo di Rispler (1) è stato diretto ad affrontare tale problematica in una
popolazione di 44 pazienti con elevata prevalenza di malattia coronarica
(70%). Gli studi furono eseguiti con un sistema di ricerca ibrido integrato
SPECT/CT che comprende una gamma camera con due teste gemelle ad
angolo variabile e uno scanner CT a 16-segmenti. Queste componenti
condividono un tavolo comune e sono spazialmente allineate in modo da
permettere l’acquisizione sequenziale degli studi SPECT (scintigrafia a fotone
singolo) e CT (tomografia computerizzata).
Ciò allo scopo di identificare la presenza di stenosi coronariche, e nella stessa
procedura, determinare il significato funzionale mediante l’immagine della
perfusione miocardica. Le Figure da 1 a 4 presentano il caso di una donna di
72 anni con angina pectoris dopo recente infarto miocardico anteriore. Prima è
stata acquisita la tomografia computerizzata ad emissione di singolo fotone
della perfusione miocardica del tallio-201 con la SPECT (single-photon
emission computed tomography) a riposo e dopo stress test della figura 1. Poi
in sequenza immediata è stata eseguita l’angiografia coronarica tomografica
computerizzata della figura 2.
Figura 1
Pagina 23 – aggiornamento—Rossi
Didscalia figura 1: Lo studio di perfusione cardiaca con la SPECT sotto stress
(fila superiore) e in riposo (fila inferiore) mostra un difetto reversibile di
perfusione nell’apice e nella regione antero-apicale (frecce) consistente con
ischemia miocardica. La convenzione del colore usata mostra perfusione
normale con colori più chiari e perfusione ridotta con colori più oscuri.
Figura 2
Didascalia Figura 2: L’angiografia coronarica tomografica computerizzata
(CTCA=computed tomography coronary angiography) è stata ottenuta con
Pagina 24 Aggiornamento—Rossi
scansioni seriali per ca 22 s a seguito dell’iniezione endovenosa di 85 cc del
mezzo di contrasto Ultravist 370 a 4 ml/s. (A) La ricostruzione multiplanare
curvata dell’arteria coronarica discendente anteriore sinistra (LAD) dimostra
una placca irregolare, in gran parte calcificata nella LAD prossimale che
provoca una stenosi significativa del diametro dell’arteria (>50%) (freccia
bianca continua). Inoltre, un difetto di riempimento ipodenso causa una
serrata stenosi luminale nel tratto medio di LAD (freccia punteggiata) e
molto probabilmente rappresenta un trombo intraluminale. (B) Le
ricostruzioni CTCA multiplanari del tronco comune della coronaria discendente
anteriore sinistra (LMCA=left main coronary artery) e dell’arteria coronaria
circonflessa sinistra (CRX) e (C) del ramo intermedio (ramus) mostrano
stenosi significative (>50%) del diametro nel tratto prossimale di entrambe le
arterie (frecce).
Entrambi i risultati sono presentati in una forma estremamente attraente che
li integra nell’unica immagine della figura 3 (1) .
Figura 3
Fusione tri-dimensionale della coronarografia computerizzata e della
perfusione miocardica
Didascalia figura 3: I dati combinati SPECT/CTCA di perfusione miocardica
(rappresentata sulla superficie epicardica ventricolare sinistra estratta dallo
studio SPECT) e dell’albero coronarico visualizzato con la CTCA. L’immagine
combinata sotto stress (sinistra) mostra diminuita perfusione nell’apice e
nella parete antero-apicale (regione blu, freccia) corrispondente al territorio
vascolare della coronaria discendente anteriore (LAD). L’immagine combinata
Pagina 25 Aggiornamento—Rossi
in riposo (destra) mostra perfusione normale nella stessa regione.
L’informazione combinata, quella generata dallo studio SPECT di perfusione e
quella ottenuta dalla coronarografia CTCA dimostra la presenza di ischemia
miocardica causata da stenosi di LAD. La integrazione dell’informazione
anatomica (CTCA) e fisiologica (imaging di perfusione miocardica) indica che la
terapia interventistica dovrebbe essere diretta a correggere la lesione nella
coronaria discendente anteriore (LAD). (Abbreviazioni come in Figura 1).
I 44 pazienti con angina pectoris, dopo aver eseguito in un’unica sessione
scintigrafia miocardica (SPECT) e coronarografia computerizzata (CTCA), sono
stati sottoposti entro tre settimane allo studio invasivo dell’albero coronarico
sinistro con l’angiografia radiologica della figura 4.
FIGURA 4
Didascalia fig. 4: L’angiografia selettiva invasiva della coronaria discendente
anteriore sinistra (LAD) mostra una severa stenosi (freccia), che fu
successivamente trattata sulla base dei dati integrati SPECT/CTCA.
(Abbreviazioni come in Figura 1)
Commento
L’utilità delle immagini combinate SPECT/CTCA per la individuazione di lesioni
coronariche che mostrano stenosi >50% fisiologicamente significative e difetti
di perfusione reversibili nello stesso territorio fu determinata e confrontata con
Pagina 26 Aggiornamento— Rossi
la sola CTCA. Dopo le esclusioni, la popolazione finale studiata per la
valutazione della CTCA e il rendimento della combinazione SPECT/CTCA
comprendeva 44 pazienti con un totale di 170 segmenti coronarici valutati.
La sensibilità, la specificità, il valore predittivo positivo e il valore predittivo
negativo della CTCA risultarono essere 96%, 63%, 31%, and 99%,
rispettivamente, mentre nel confronto, quelli della SPECT/CTCA furono 96%,
95%, 77%, and 99%, rispettivamente. Nella valutazione di pazienti con
dolore precordiale la sola CTCA evidenzia bassa specificità e basso valore
predittivo positivo. Le immagini combinate SPECT/CTCA producono un
marcato incremento della specificità e del valore predittivo positivo nel
riconoscimento di lesioni coronariche emodinamicamente significative. Il
sistema di ricerca ibrido SPECT/CTCA potrebbe migliorare il valore
diagnostico della CTCA e permettere la pianificazione su basi fisiologiche
delle procedure interventistiche in pazienti con dimostrata malattia
coronarica. Infatti, se debbono essere rivascolarizzate soltanto le lesioni
emodinamicamente significative(4), allora l’obbiettivo della rivascolarizzazione
meccanica può essere pianificato sulla base dell’informazione disponibile,
per cui lo stenting sarà limitato alle stenosi significative. In tal modo, le
procedure terapeutiche invasive sarebbero evitate in quei pazienti nei quali
è presente la placca con l’esame anatomico (CT) ma l’ischemia è assente
con l’esame funzionale (SPECT). Come risultato, gl’impianti degli stent non
necessari ed un buon numero di procedure di rivascolarizzazione non
necessarie potrebbero essere posticipate o evitate. Considerando i costi
crescenti delle procedure interventistiche con gli stents con eluzione di
farmaco e le preoccupazioni concernenti la loro sicurezza a distanza di
tempo, l’approccio proposto, anatomico e funzionale congiunto, sembra
essere conveniente e ragionevole.
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Prof. Paolo Rossi Primario Cardiologo - Novara. E-mail: [email protected]
FLASH
Tomografia Computerizzata Multistrato (TCM)
Sindrome Coronarica Acuta
Caratteristiche della lesione responsabile in un uomo di 40 anni: (A)
rappresentazione volumetrica, (B) TCM curvata, (C) ingrandimento di regione
d’interesse da (B), (D) angiogramma coronarico. Le frecce bianche in (A) e (D)
mostrano la sede dell’ostruzione luminale o lesione responsabile. Come
evidenziato dalle frecce gialle solide in due sedi della lesione responsabile in
(C), la lesione è rimodellata in espansione (positivamente) rispetto al segmento
coronarico normale prossimale alla lesione (indicato dalle frecce gialle
punteggiate). L’indice di rimodellamento in questo paziente era 1.43. Una
NCP<30 HU rappresenta la probabilità di una placca molle (i circolini rossi sono
posti lungo il bordo di bassa attenuazione), e 30HU<NCP<150 una placca fibrosa
(quadratini grigi). LAD=coronaria discendente anteriore; NCP= placca non
calcificata; il confronto tra TCM e ultrasuoni intravascolari (IVUS) ha permesso di
distinguere la NCP in 2 categorie; NCP<30HU (corrispondente ai nuclei lipidici di
IVUS) e NCP<150HU (corrispondente a placca fibrosa di IVUS). La placca
calcificata presentava una densità >220HU.
Sadako Motoyama, et al. Multislice Computed Tomographic Characteristics of
Coronary Lesions in Acute Coronary Syndromes. J Am Coll Cardiol 2007; 50:319-326
Pagina 28 Medicina ed Etica—Dell’Era
TESTAMENTO BIOLOGICO LE CONCLUSIONI DEL CONVEGNO DI UDINE
I medici non chiedono una legge ma di potenziare le cure palliative
“I medici sono contrari all’eutanasia e a ogni forma di accanimento
terapeutico così come sancito dal Codice di deontologia medica” e “ritengono
che, qualora il legislatore decidesse di intervenire in materia di dichiarazioni
di volontà anticipate di trattamento sanitario, debba preliminarmente essere
garantita una efficace rete di tutela dei soggetti più deboli perché inguaribili,
terminali, morenti, ancor più se divenuti incapaci”. Non poteva essere più
chiaro di così, il documento finale del Consiglio nazionale della Federazione
nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo),
approvato per acclamazione dopo tre giorni di discussione a Udine sul tema:
“Etica di fine vita: percorsi per scelte responsabili”.
Non soltanto nel documento non è rintracciabile nessuna richiesta di una
legge sul testamento biologico, ma appare molto evidente la preoccupazione
per le forzature che un intervento legislativo potrebbe comportare, in termini
di possibili lesioni del diritto dei soggetti più deboli. Si ribadisce, infine, il
valore dell’indipendenza del medico come “l’unica garanzia che le richiestedi
cura e le scelte di valori dei pazienti siano accolte nel continuo sforzo di
aiutare chi soffre e ha il diritto di essere accompagnato con competenza,
solidarietà e amore nel momento della morte”. Sarà molto difficile, dopo
questa presa di posizione, che si possa attribuire ai medici italiani la volontà
di riempire un presunto vuoto legislativo sulle cosiddette “disposizioni di fine
vita”. Già nel corso del convegno di apertura di venerdì scorso, la
presentazione dei primi dati di un’indagine promossa dalla Fnomceo su
opinioni e pratiche dei medici nelle fasi terminali della vita dei loro pazienti
aveva dato alcune indicazioni, riprese nel documento finale che è stato
diffuso ieri e che rappresenta il punto da cui partire per capire l’orientamento
Medicina ed Etica
a cura di
Gabriele Dell’Era
Pagina 29 Medicina ed Etica—Dell’Era
dei medici italiani. All’indagine Fnomceo, rivolta a quindicimila medici, hanno
risposto per ora soltanto in 2.674, meno del venti per cento sul totale degli
interpellati, e anche questo scarso interesse al pronunciamento (oltretutto
effettuato in forma anonima) la dice lunga sulla diffidenza verso forme
contrattualistiche di accordo tra medico e paziente da parte di chi
quotidianamente si confronta con la malattia, la sofferenza e la morte.
Nel documento del consiglio nazionale della Fnomceo si ribadisce ora, “sul
piano della prassi clinica, il rispetto dei valori fondanti il nuovo Codice
deontologico” e si assicurano “i cittadini che la professione medica mantiene
e vuole riaffermare quel ruolo di garanzia, di solidarietà e di rispetto dei
valori umani che, nei secoli, ne ha costituito il segno di appartenenza”. Oltre
al no esplicito all’eutanasia e alla richiesta di tutela per i soggetti deboli, il
documento chiede inoltre di “definire il profilo del miglior esercizio del
principio di autodeterminazione, a nostro giudizio compiutamente esigibile e
praticabile all’interno di un’alleanza terapeutica fondata sulla reciproca
fiducia, informazione, consenso, scambio e rispetto dei reciproci valori etici e
civili e delle rispettive libertà”. Per realizzare queste premesse “è necessaria
una maggior consapevolezza della necessità di interventi globali
nell’assistenza al morente, per la quale i medici, già impegnati per una
formazione più adeguata, chiedono alla società più risorse dedicate, che il
tempo di ascolto non sia coartato da inutili incombenze burocratiche e che si
prosegua nell’opera formativa e informativa, anche con il potenziamento
della ricerca scientifica sui temi di fine vita e delle cure palliative”. Sulla
necessità di potenziare le cure palliative, la stessa indagine Fnomceo aveva
indicato la più alta percentuale di consenso da parte dei medici interpellati. Il
68 per cento di loro, infatti, ritiene che “una sufficiente disponibilità di cure
palliative di alta qualità previene quasi tutte le richieste di eutanasia e di
suicidio assistito”. Proprio sul tema delle cure palliative, c’è una novità per
quanto riguarda l’assistenza dei bambini inguaribili. Lo scorso 27 giugno, la
Conferenza stato-regioni ha approvato un accordo tra il ministero della
Salute, le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, nel quale si
pongono le basi per costruire una rete che garantisca case dedicate,
assistenza domiciliare e qualità omogenea delle cure su tutto il territorio
nazionale. Sono undicimila, in Italia, i bambini e i ragazzi tra zero e
diciassette anni colpiti da malattie inguaribili, e circa milleduecento di loro
muoiono ogni anno. I piccoli malati trascorrono lunghi periodi in reparti
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d’ospedale, spesso fino alla morte, anche quando potrebbe essere possibile
curarli in casa, mentre le famiglie che decidono di affrontare in casa la
malattia e la morte di un figlio piccolo sono quasi sempre abbandonate a se
stesse, gravate di pesanti oneri assistenziali, economici e organizzativi. Di
cure palliative per i bambini inguaribili, di assistenza domiciliare adeguata e
di sostegno nel tempo alle famiglie, si occupa da anni la Fondazione Maruzza
Lefebvre D’Ovidio (www.maruzza.org), che ha avviato da tempo con il
ministero della Salute un programma per promuovere le condizioni migliori di
assistenza per i piccoli malati. Questo significa che l’ospedale dovrebbe
essere il luogo per la cura delle fasi acute, ma che i bambini dovrebbero
normalmente essere assistiti in hospice specializzati, con personale
addestrato alle cure palliative pediatriche o, meglio ancora, a casa propria,
con adeguati supporti per la famiglia. L’accordo del 27 giugno è un primo
successo, se non altro in termini di presa d’atto del problema da parte delle
Regioni, dopo che una commissione istituita ad hoc dal ministro Livia Turco
aveva raccolto in un documento conoscitivo una serie di dati sulla situazione
italiana, in vista dell’inserimento delle cure palliative per i minori nei
cosiddetti “livelli essenziali” di assistenza. Si spera ora che alle promesse
seguano sostanziosi fatti.