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TRIMESTRALE DI ARTE, SCIENZA E CULTURA FONDATO DA SALVATORE LOSCHIAVO Anno LXVI n. 2 Aprile-Giugno 2020

Anno LXVI n. 2 Aprile-Giugno 2020 · 2020. 6. 15. · G. Scotto di Perta, Procida: un Venerdì santo4 col coronavirus p. 53 M. Florio, Aldo De Gioia p. 54 Ci hanno lasciati p. 56

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TRIMESTRALE DI ARTE, SCIENZA E CULTURA FONDATO DA SALVATORE LOSCHIAVO

Anno LXVI n. 2 Aprile-Giugno 2020

Page 2: Anno LXVI n. 2 Aprile-Giugno 2020 · 2020. 6. 15. · G. Scotto di Perta, Procida: un Venerdì santo4 col coronavirus p. 53 M. Florio, Aldo De Gioia p. 54 Ci hanno lasciati p. 56

IN QUESTO NUMERO:

Editoriale, “Il Rievocatore” al tempo delcoronavirus p. 3

A. La Gala, Gli acquedotti di Napoli p. 4

F. Ferrajoli, San Giovanni a mare p. 7

E. Notarbartolo, Napoli paleocristiana p. 9

E. Barletta, Vittorie e sconfitte di un guerrieroamante delle arti p. 11

S. Zazzera, Le due epigrafi della facciata delPalazzo Penna p. 15

E. D’Acunti, L’anticurialismo di Pietro Giannone p. 19

E. Aloja, L’”Architiello” p. 21

O. Dente Gattola, 1848: i giorni delle barricate p. 23

G.Retaggio, La famiglia Schiffer a Procida p. 27

M. Piscopo, La “Parlèsia” p. 29

F. Lista, Dalla porosità di Benjamin alla “Smorfia”napoletana p. 30

A. Grieco, Camillo Catelli p. 32

D. Capecelatro, Una lapide a Napoli perFerdinando Ferrajoli p. 35

N. Dente Gattola, Quale Napoli dopo il coronavirus? p. 37

M. Lembo, La “Bella ‘Mbriana” p. 40

A. Ferrajoli, La pizza p. 42

C. Pennino, ‘A Passiona ‘e Giésucristo p. 44

“Una parola al giorno” p. 47

DOSSiER COviD-19:L. Marino, Argomentazioni da “recluso domestico” p. 49R. Pisani, Riflessioni in tempo di pandemia p. 51G. Scotto di Perta, Procida: un Venerdì santo” col

coronavirus p. 53

M. Florio, Aldo De Gioia p. 54

Ci hanno lasciati p. 56

Libri & Cd p. 58

La posta dei lettori p. 60

Anno LXVI n. 2 Aprile-Giugno 2020

Direttore responsabile: SErgio ZaZZEraRedattore capo: CarLo ZaZZEraRedazione: antonio La gaLa,FranCo LiSta,ELio notarbartoLo,MiMMo PiSCoPoPast-director: antonio FErrajoLi

Direzione, redazione, amministrazione:via g. Sagrera, 9 - 80129 napoli- tf. 081.5566618 - e-mail: [email protected]

Registrazione:tribunale di napoli, n. 3458 del 16 ottobre 1985

Fascicolo chiuso l’11 giugno2020, pubblicato online ai sensidell’a. 3-bis l. 16 luglio 2012, n.103.

diffusione gratuita

In copertina:Franco Lista - Elena Saponaro,

Pizza apotropaica

https://www.facebook.com/ilrievocatore

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Editoriale

“IL RIEVOCATORE” AL TEMPO DEL CORONAVIRUS

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Anno LXVI n. 2 Aprile-Giugno 2020

In una sequenza temporale incalzante, il contagio, poi l’epidemia e, in-fine, la pandemia hanno caratterizzato, tra la fine di febbraio e la metà

di marzo di quest’anno, la diffusione del Covid-19, patologia subito in-dicata con la denominazione comune, quanto generica, di “coronavirus”:una guerra che, probabilmente, non avrà vincitori oppure, se ne avrà, saràuna vittoria di Pirro.Nonostante ciò, il n. 1/2020 di questo periodico è andato in rete consufficiente puntualità, intorno alla metà di marzo, e il suo invio ai lettori affezionati ha suscitatouna serie di commenti positivi, al riguardo, poiché tanti si sono meravigliati del rispetto della scadenzatrimestrale, pur in costanza di quell’evento calamitoso, sul quale, peraltro, questo numero ospita nu-merose riflessioni.Mentre siamo grati a quanti hanno apprezzato la puntualità dell’uscita della rivista, dobbiamo ri-levare, ancora una volta, il carattere positivo della decisione, a suo tempo (e in epoca non sospetta)adottata dalla redazione, di optare per il formato digitale della sua pubblicazione. Non v’è dubbio,infatti, che, qualora ne fosse stato mantenuto il formato cartaceo, sulla pubblicazione stessa e, ancorpiù, sulla distribuzione avrebbero inciso in maniera decisamente negativa i provvedimenti, pur neces-sari, che hanno limitato la libertà di circolazione degl’individui, emanati in conseguenza della diffu-sione, in maniera esponenziale, della patologia. In proposito, vale la pena di segnalare la sospensionedell’uscita di alcuni periodici free press in cartaceo, già nei primi giorni di presa di coscienza diquanto stava accadendo: il che – sia chiaro – è assolutamente comprensibile, ma segna anche la dif-ferenza rispetto al possibile formato digitale dei media.Ora è chiaro che la scelta, da parte di questa redazione, di diffondere Il Rievocatore in tale ultimoformato ha finito per risolversi in una sorta di eterogenesi dei fini; non si può negare, tuttavia, chegià a marzo scorso saremmo rimasti assenti dalla scena (o, almeno, avremmo rischiato di esserlo), sea suo tempo, sia pure in maniera inconsapevole, non avessimo esercitato questa opzione.

Il Rievocatore© Riproduzione riservata

Raccontare, raccontare, finché non muore più nessuno.Mille e una notte, milioni e una notte.

Elias Canetti

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GLI ACQUEDOTTI DI NAPOLI

di Antonio La Gala

L’acquedotto più antico a servizio della cittàdi napoli è quello greco della “bolla”.

nacque nell’entroterra campano, dalle collinedi Cancello (località ad est dell’autostrada a1e Marcianise, più in basso di Maddaloni e Ca-serta), attraversava la pianura della bolla(Volla), che sta fra Casalnuovo e Poggioreale,dove arrivava a via Stadera; poi, tagliando learee del rione Luzzatti e della stazione ferro-viaria centrale, serviva le attuali zone Mercato,Loreto, annunziata, Dogana, Cappella Vecchia.i romani, succeduti ai greci, portarono altraacqua in città aggiungendovi quelle prelevatedalle sorgenti del Serino, mediante l’acque-dotto costruito in età augustea, detto comune-mente “acquedotto Claudio”, che arrivava finoa Capo Miseno.Esso sorse in un periodo nel quale andavanoaumentando le già forti richieste idriche del-l’importante porto di Pozzuoli (città comunquegià servita, assieme ad altre zone vicine, da unaltro acquedotto locale, l’acquedotto Cam-pano), e quelle degli altri porti della costa flegrea.

infatti tra il capo di Posillipo e capo Miseno,tra il primo secolo avanti Cristo e la fine delsecondo secolo dopo Cristo, si aprivano i portiromani più importanti: quello commerciale diPozzuoli, per lungo tempo il principale portodi roma, dove si erano accresciuti i trafficicommerciali con i paesi d’oltremare; il portusJulius costruito nei laghi di Lucrino e diaverno; quello militare di bacoli; vi erano poivicini anche i porti di Cuma, baia e nisida e,sul versante opposto, quello di napoli. a baia l’acquedotto giungeva alle vasche ter-minali della Piscina Mirabilis, avente una ca-pacità di 12.600 metri cubi.L’acquedotto romano, inoltre, alimentava nu-merose ville rurali e ville affacciate sul mare,nonché molteplici gruppi termali (fra cui quellepresso agnano in via terracina) e le molteplicicisterne private oppure pubbliche, a servizio dicaserme ed edifici pubblici.Le acque di Serino, nei quasi 100 kilometri dipercorso, prima di giungere a Pozzuoli e Mi-seno, alimentavano numerose località, anche

Impara ad essere calmo e sarai felice.Blaise Pascal

Ammiro molto l’ideale della calma in un gatto seduto.Jules Renard

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non prossime al canale di adduzione, mediantediramazioni spesso considerevoli. Una lapidesistemata attorno al 320 d.C. in occasione diinterventi di ripristino dell’acquedotto e rinve-nuta nel 1936 elenca le località, alimentate dal-l’acquedotto, secondo l’ordine del loro de-crescente consumo idrico, e quindi dalla loroestensione ed importanza. al primo posto tro-viamo Pozzuoli, seguita da nola, atella, na-poli, Cuma, acerra; baia, Miseno.Una località servita dall’acquedotto romanoera Pompei, ilcui castellumaquae, il serba-toio della città,era collocato aPorta Vesuvio,il punto più altodella città, cheveniva rifornitomediante uncanale derivatoproveniente daSarno e costeg-giando le pen-dici del Monte Somma, dopo un percorsovalutabile in sei chilometri, canale poi distruttodall’eruzione del 79 d.C.La città di napoli era solo sfiorata dal canaleaugusteo; in effetti il canale principale nell’av-vicinarsi a napoli serviva l’area di Casoria, S.Pietro a Patierno, giungendo poi alla localitàdetta Cantarielli. a Capodimonte il canale s’interrava nella col-lina e riappariva ai Ponti rossi, dove sono ri-maste alcune arcate del percorso, i noti “Pontirossi” (nell’illustrazione). in città l’acquedotto aveva il castellum aquaeall’altezza degli attuali quartieri spagnoli, col-

locato al di fuori della murazione cittadina. an-cora oggi una delle traverse di via PasqualeScura si chiama via del Formale. Fu comunquepossibile portare in città altra acqua e raggiun-gere le attuali zone Vicaria, tribunali, Forcella,Foria, toledo, Palazzo reale, S. Lucia.L’acquedotto, superata la Neapolis di allora,alimentava con una diramazione le splendideville della collina di Posillipo. il canale attra-versava la grotta per Pozzuoli, la Cripta Nea-politana, ove era posizionato all’altezza di una

spalla dellagalleria, per poidividersi in duerami, il primodei quali pas-sava su unponte-canalecostruito sulmare per ali-mentare l’iso-lotto di nisida.L’acquedottoClaudio era un’opera gigante-

sca. Comprendeva numerose gallerie scavatenella roccia, anche lunghe e dotate di cunicoliverticali ed inclinati, costruiti per l’ispezione ela manutenzione. Per superare i dislivelli esi-stenti nelle valli, l’acquedotto correva su ponti-canale, dei quali il più esteso era quello pressoPomigliano d’arco lungo oltre 3.500 metri conarchi alti sino a 4-5 metri. Con la caduta diroma l’acquedotto Claudio andò sempre piùin rovina. gli acquedotti greco-romani nella storia sonolegati ad alcuni episodi storici importanti: fuattraverso i loro cunicoli che nel 537 durantela guerra gotico-bizantina belisario penetrò in

Bisogna sapersi fermare per conoscersied essere sé stessi.

Tiziano Terzani

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Anno LXVI n. 2 Aprile-Giugno 2020

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città e nel 1442 vi entrò alfonso i D’aragona.nei secoli successivi, per soddisfare le esi-genze sempre crescenti della crescente napoli,si cominciò a studiare l’acquedotto romano aifini di un qualche suo recupero. il primo a stu-diarlo, nel Cinquecento, fu l’ingegnere napo-letano Pietrantonio Lettieri che, per incaricodel viceré spagnolo Don Pedro di toledo, seguìper quattro anni – descrivendoli accuratamente– i resti e le tracce dell’antico acquedotto sinoa napoli.nel 1627 agli acquedotti precedenti si aggiunsequello cosiddetto “Carmignano”, che traspor-tava l’acqua del fiume Faenza, poco distanteda S. agata dei goti, realizzato in parte a spesedel patrizio napoletano Cesare Carmignano.nel Settecento Carlo iii, le cui cure principalisi concentravano sulle sue numerose regge, de-rivò una parte delle acque del Carmignano perservire (e abbondantemente) la reggia di Caserta.nel 1881, in considerazione delle gravi condi-zioni igieniche in cui versava napoli, inizia-rono i lavori di costruzione di un nuovoacquedotto che portava le acque del Serino anapoli. attraversava Cancello, e arrivato incittà convogliava le acque in due enormi ser-batoi, uno allo Scudillo e un altro a Capodi-monte. L’acqua di questo nuovo acquedotto

zampillò nel 1885 in una fontana circolare co-struita in piazza Plebiscito, evento di cui è ri-masta ricca memoria iconografica. Una sostanziale differenza di questo acque-dotto rispetto a tutti i precedenti era nella tec-nologia di costruzione. negli acquedottiprecedenti l’acqua scorreva “a pelo libero”,cioè scorreva in canali aperti e si accumulavain cisterne da cui veniva prelevata. nel Serinodi fine ottocento l’acqua scorreva “a pres-sione”, cioè in canali chiusi interrati, e quindipoteva assicurare una distribuzione capillaresenza bisogno di accumuli in cisterne.nelle zone collinari, per secoli non arrivavaacqua mediante acquedotti, ma si faceva uso dipozzi e di quella piovana conservata nelle ci-sterne. La cisterna più famosa è quella diSant’Elmo realizzata nel 1538, di capacità suf-ficiente a resistere a sei anni d’assedio.Da quanto abbiamo fin qui esposto, risulta chenapoli ha sempre goduto di acqua sostanzial-mente sufficiente per le sue necessità, circo-stanza che riteniamo molto positiva, consi-derando che la città per secoli ha ospitato unasovrappopolazione che senza il prezioso li-quido sarebbe stata sicuramente afflitta da epi-demie più numerose delle non poche già patite.

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KEEP CALMCi sono cose che impari meglio nella calma …altre solo nellatempesta.

Willa Cather

La pace mentale ti arriva quando dal non vorrai più cam-biare gli altri!

Gerald Jampolsky

Se riesci a mantenere la calma quando tutti intorno a tela stanno perdendo, può darsi che tu non abbia afferratola situazione!

Rose Kennedy

La felicità è come una farfalla: se l’insegui… non riesci aprenderla, ma se ti metti tranquillo… può anche posarsisu di te.

Nathaniel Hawthorne

(Ricerca di Aldo Cianci)

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SAN GIOVANNI A MARE

di Ferdinando Ferrajoli

Prima che se ne cancelli del tutto il ricordo,percorriamo i resti delle vie della Selleria,

degli orefici, della Conceria, degli armieri,degli Zap-pari, ruaFrancese,rua Cata-lana e tantealtre, pers o f f e r -marci neiquadrivi ,nelle piaz-zette, in-nanzi aibassi, aif o n d a c i ,nelle chie-se e davan-ti ai palaz-zi baronaliper rivive-re episodi e fatti perduti nel gran dramma deisecoli.Questi rioni, così detti Quartieri Bassi, eranogremiti di plebe; vi si incontravano pescatoridalla faccia abbronzati dal sole, venditori am-bulanti bottegai e bettolieri che napoli, comele grandi capitali di quel tempo, ebbe semprein abbondanza.Sappiamo per certo che, all'epoca delle cro-ciate, una piccola chiesa, con annesso un ospe-dale per ricevervi i pellegrini reduci dallaterrasanta, sorse in quel luogo deserto ed ino-

spitale. il primo documento lo abbiamo nel No-tamentum istrumentorum S. Gregorii Majorisdove un documento del 10 marzo 1186, indi-

zione iV, sotto n.554, dice: «Tusiafilia di AdemaricognomentoIuppari, legatHospitali S.G e r u s a l e mquod est a Mo-rocinum Pare-nos quatuor»1.Un altro docu-mento ci con-ferma che neldicembre dela f f o l l a v a n o1231 l'impera-tore Federicoii fece al-l'ospedale S.

giovanni di gerusalemme in napoli la conces-sione di uno spazio di terra accanto all'ospe-dale, costruito a suo tempo già su un ap-pezzamento di terreno concesso da guglielmo ii.La fabbrica dei frati gerosolomitani s'ingrandìancor più allorché l'imperatore Federico parte-cipò alla Crociata.i cavalieri ospitalieri di S. giovanni di geru-salemme poscia di Malta, mantennero per se-coli in vita l'ospedale, finché, al principio delnostro e, durante l'occupazione militare fran-cese, il demanio dello Stato non tutti i beni del-

Aprile-Giugno 2020Anno LXVI n. 2

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l'ordine.L'edificio fu adibito a privata abitazione e ifrati, anche dopo la fine dell'occupazione fran-cese, non potettero più ritornare in possesso del-l'ospedale.a noi è per-venuta sol-tanto la chiesadi S. gio-vanni, nellecui fabbri-che è agevoledistinguere irifacimenti egli amplia-menti avve-nuti nel tem-po.La chiesa(foto n. 1) èdivisa in tre navate: la parte inferiore è compo-sta da sei colonne, quella superiore da quattropilastri che, a loro volta, reggono cinque arcatea sesto acuto con volte lunettate. Solo le duearcate, che poggiano sui pilastri, sono più altedelle altre: la loro chiave, infatti, tocca quasi lavolta.in questa chiesa si svolgeva una delle più me-morabili feste napoletane, tanto che il Velardi-

niello, poeta dialettale del '500, nel suo poemaStoria de cient’anni arreto2, rimpiange, fra lealtre feste popolari, quella celebrata in onoredi S. giovanni battista. Per avere una qualche

idea di que-sta festa,d o b b i a m otener pre-sente i Diur-nali di Sci-pione guer-ra, i poetivernacoli del'600, giulioCesare Cor-tese, Sgrut-tendio, leantiche me-morie stori-che, i Diari,

le Cronache e soprattutto i giornali pubblicati inepoca vicereale, che riportano gli stupendi festeg-giamenti in onore del Santo (foto n. 2).____________

1 M. radogna, S. Giovanni a Mare, napoli 1873.2 F. russo, Il poeta napoletano Velardiniello e la festadi S. Giovanni a Mare, roma 1913.

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Aprile-Giugno 2020Anno LXVI n. 2

n. 2

È in libreria la 6a edi-zione, riveduta e am-pliata, del volume delnostro redattore

MIMMO PISCOPO, Il mio Vomero(ed. Àpeiron).

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NAPOLI PALEOCRISTIANA:CHIESE ANTICHE E AFFOLLATE

di Elio Notarbartolo

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Anno LXVI n. 2 Aprile-Giugno 2020

Pietro e Paolo non a caso erano passati pernapoli prima di andare a morire a roma.

a napoli c'erano già molti seguaci della nuovareligione e quando Costantino, con il suo edittodel 313, rese il Cristianesimo religione uffi-ciale, trovò naturale che, a napoli e dintorni,si fondassero tantechiese della nuovareligione. anzi,volle onorare lachiesa di napolisottraendo le spo-glie di santa resti-tuta da ischia (co-me sapete santarestituta è la pa-trona di ischia), perportarle a napolinella chiesa che an-cora si chiama disanta restituta cheha un ingresso dauna navata del duomo napoletano.non solo catacombe: basiliche e chiese sorseroa napoli, a Cimitile, a Sessa aurunca, a Mi-seno e ancora oggi potete avere una idea diquesta diffusione territoriale e di questa fededelle origini che sapeva affollare i suoi luoghidi culto a napoli e nei suoi dintorni.

nell'alto medioevo napoli ebbe, addirittura,due cattedrali, l'una vicina all'altra, una di ritoortodosso (o greco), Santa restituta (foto n. 1)che potete visitare anche oggi, e l'altra di ritocattolico (la Stefania), che poi Carlo i d'angiòdecise di demolire in grande parte per dar

luogo all'attualeDuomo di cui co-minciò a gettaresolo le fonda-menta.Fu il figlio Carlo iiche si prese il me-rito di aver com-pletato il Duomo dinapoli, anche se,per terremoti ealtro, nemmeno gliaragonesi potet-tero dire di avervisto completata que-sta grande chiesa.

in questa stessa chiesa, la cui facciata fu riela-borata, alla fine del XiX secolo da Enrico al-vino e inaugurata addirittura nel 1905, riposanole spoglie di Carlo i d'angiò.oltre al tesoro di san gennaro, preziosissimaraccolta di ori, argenti monili e oggetti prezio-sissimi, ce n’e un altro nel Duomo: la cappella

n. 1

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n. 2

Minutolo. Essa è quello che rimane in piedidella antica Stefania: ne è la base di una delledue torri che illeggiadrivano la facciata dell'an-tico duomo paleocristiano noto come la Stefa-nia.ancora oggi la famiglia Minutolo ha diritto dipatronato su questa cappella dove sono dipintii membri più influenti, a partire da Landulfoche morì nel 1240. tutti in ginocchio e vestitisecondo il costume religioso o militare deltempo in cui vissero.nella cappella c'è anche la tomba di FilippoMinutolo (foto n. 2), l'arcivescovo di napolicoinvolto, con il suo catafalco, nel raccontoche fece boccaccio delle vicende di andreuc-cio da Perugia.

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PÍNGJÌNG(la calma dei cinesi)

Se mantieni la calma in un momento d’ira . . . risparmierai centogiorni di dolore.

Proverbio cinese

A una mente tranquilla, anche l 'Universo si arrende!Zhuang-zi

Con ordine affronta il disordine e con calma l’irruenza. Ed avrai,così, il controllo del tuo cuore!

Sun Tzu

Il movimento vince il freddo, lo star fermi vince il calore. Chi ècalmo e tranquillo diventa Guida del mondo.

Lao Tzu

L’Uomo superiore è calmo senza essere arrogante; l’individuodappoco è arrogante senza essere calmo.

Confucio

(Ricerca di Aldo Cianci)

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Rinascimento napoletano

VITTORIE E SCONFITTEDI UN GUERRIERO AMANTE DELLE ARTI

di Elio Barletta

Accade spesso che di una realtà poco nota sipresentino vari aspetti non considerati, che

invece meriterebbero attenzione. Scelgo unnome a caso, insolito per me: Alfonso. Pococitato, quasi marginale, ed ecco i valori che as-sume nella storia: alfonso i di Valencia o anchealfonso i di Maiorca, Sicilia, Corsica, gerusa-lemme ed Ungheria; alfonso i di napoli, ca-postipite aragonese; alfonso ii di Sardegna,primo rinascimento, cavaliere dell’ordine delDrago; alfonso iii di Valencia; alfonso iV diCatalogna o anche alfonso iV conte di barcel-lona e contee catalane (rossiglione e Cerda-gna). Sono titoli che si riferiscono a una stessapersona, il principe spagnolo della casa realedi Castiglia, diventato re alfonso V di ara-gona, duca titolare di atene e neopatria, capo-stipite aragonese di napoli; dati anagrafici:Medina del Campo, 24 febbraio 1396 - napoli,27 giugno 1458. Quando Ferdinando di trastàmara, il Cattolico,divenne re Ferdinando i d'aragona (1414), al-fonso, primogenito suo e di Eleonora d'albu-querque, fu duca di girona L’anno dopo (12giugno 1415), nella cattedrale di Valencia, al-fonso sposò la cugina di primo grado, princi-pessa Maria di Castiglia. Dopo il compromessodi Caspe (1412), Ferdinando i d'aragona af-

fidò i beni reali a Connor Lionel nardoni, Ca-valiere di Spagna e Consigliere del re, mentrealfonso fu infante d'Aragona. Per l’incorona-zione in aragona il re lasciò i quattro figli mag-giori, altrettanti infanti d'aragona, a sostituirloalla guida della famiglia reale trastámara: ilgià citato alfonso, figlio maggiore; Maria, pro-messa in sposa a giovanni ii, re di Castiglia;giovanni, futuro re d'aragona e di navarra;Enrico, gran Maestro dell'ordine di Santiago.alfonso si recò poi in aragona per affiancareFerdinando, di salute malferma, nel governodella corona. Quando il padre morì (2 aprile1416), gli succedette in tutti i suoi titoli. alfonso non fece mai mancare l’appoggio aifratelli. giovanni – già in Castiglia con il fra-tello Enrico nella lotta contro Álvaro de Luna,il favorito del re di Castiglia per il controllo delgoverno – fu richiamato dalla Sicilia e, perfarlo diventare re, si progettò di farlo sposarecon bianca di navarra, della regione basca. al-fonso si assicurò il possesso della Sardegna, daanni ribelle sotto il visconte di narbona, maprotetta da genova. Si mosse per occupare laCorsica, su cui gli aragona vantavano dirittiper l'antica donazione di bonifacio Viii; maappena conquistata la piazza di Calvi, la flottagenovese lo indusse a togliere l'assedio alla cit-

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tadina di bonifacio (1421) e ad abbandonarel'impresa. Con la Chiesa pur schierandosi in fa-vore di papa Martino V, tollerò che l'antipapabenedetto Xiii rimanesse nel castello di Peñí-scola in aragona. alfonso restò poco in Castiglia Convocò leCortes, ne diminuì le spese licenziando tutti icollaboratori portati dalla Castiglia, ricevendoin cambio una donazione di60.000 fiorini, astenendosida nuove campagne. Lasciòla moglie Maria a far da reg-gente e partì alla volta dellaSardegna in maggio e dellaCorsica in giugno. ad al-ghero acquistò dall'ultimosovrano arborense gu-glielmo iii di narbona terri-tori e prerogative dell'ultimostato sardo indipendente, ilGiudicato di Arborea. LaCorsica dovette lasciarla in-vece ai genovesi. nel frattempo la regina gio-vanna ii di napoli, in disaccordo con papaMartino V, subì l’attacco delle truppe di Muzioattendolo Sforza, guerrigliero al soldo delconte di Provenza Luigi iii d'angiò, che ilpapa aveva nominato re di napoli al suo posto.alfonso si schierò definitivamente con la re-gina, che, priva di discendenti, lo aveva adot-tato come figlio, reso duca di Calabria,designato successore alla corona, invocato perfermare Luigi iii d'angiò. alfonso, appoggiatodall'antipapa benedetto Xiii, aragonese comelui, si imbarcò per napoli dove giunse (8 luglio1421) e trovò come alleato andrea Fortebrac-cio, detto “braccio da Montone”, capitano diventura italiano. Conquistò gran parte delloStato ed ottenne il riconoscimento di papaMartino V, mediatore tra aragonesi ed an-gioini (1422). Sembrò che la vittoria gli arri-desse, ma quando (maggio 1423) fece arrestarel'amante della regina – il primo ministro gio-vanni (Sergianni) Caracciolo – perse i favori digiovanna ii, infastidita anche dalla sua prepo-tente invadenza nel governo dello Stato. avva-lendosi anche dell'opposizione di Filippo

Maria Visconti, duca di Milano e signore digenova, la regina si rivolse al conte Sforza chericorse alle armi e sconfisse alfonso nei pressidi Castel Capuano, costringendolo a rinchiu-dersi nel Maschio angioino (30 maggio 1423).Con l'aiuto delle ventidue galee della flotta ara-gonese alfonso resistette e respinse gli assali-tori che si dovettero ritirare ad aversa. gio-

vanna ii allora si riavvicinòa Luigi iii d'angiò (neoerede del regno di napoli) eal papa, Martino V. Pur potendo riprendere l'of-fensiva e impadronirsi nuo-vamente della città, alfonsosi rese conto della sua insta-bilità. Seppe che i suoi fra-telli giovanni ed Enricoerano in difficoltà in Casti-glia e che Visconti, era en-trato nella coalizione antia-ragonese. Decise allora dirimpatriare in aragona, la-sciando napoli al fratello più

giovane Pietro. nel rientro si diresse in Pro-venza (contea di Luigi iii), saccheggiò e incen-diò la fiorente Marsiglia, ne distrusse il porto,fece rotta su barcellona. Di converso la flottadel Visconti conquistò, gaeta, Procida, Castel-lammare di Stabia e Sorrento e pose l'assedioa napoli che, assediata da terra dalle truppe diFrancesco Sforza, resistette qualche mese, poisi arrese (aprile 1424), costringendo Pietro arientrare in Sicilia. alfonso appoggiò il conclave nel segno delloscisma della linea avignonese che elesse il pre-vosto di Valencia, Egidio Muñoz (10 giugno1423), nuovo Clemente Viii. riprese a soste-nere i fratelli, soprattutto Enrico che, perso ilpotere, era stato incarcerato. Lo fece liberare(1427) e prevalere sul partito del re di Castigliadi Álvaro de Luna che, in quello stesso anno,venne mandato in esilio. Due anni dopo(1429), i suoi fratelli vennero sconfitti. alloraintervenne militarmente in Castiglia, iniziandola guerra terminata con le tregue di Majano(16/07/1430), trattato firmato fra Castiglia earagona, che pose fine all'invasione aragonese

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della Castiglia (guerra castigliano-aragonese1429-1430) e che dopo i 5 anni seguenti di tre-gua portò alla pace di toledo (22 settembre1436). Enrico e giovanni furono esiliati inaragona e le loro proprietà in Castiglia ven-nero confiscate. alfonso ebbe anche una corrispondenza diplo-matica con l'imperatore d'Etiopia, Yeshaq i(1428), che nell'ottica di una politica antimu-sulmana gli offriva un'alleanza suggellata dalmatrimonio di una delle sue figlie con il fra-tello più giovane, Pietro, purché questi giun-gesse in Etiopia accompagnato da un cospicuonumero di artigiani. i primi che furono inviatiperirono lungo il tragitto (1450). allora al-fonso riallacciò il rapporto con il successore diYeshaq i, Zara Yaqob, confermando cheavrebbe inviato gli artigiani solo se avesseavuto la garanzia che fossero protetti duranteil viaggio. ritornato in Sicilia a maggio, chiesealla regina giovanna ii ed ottenne di esserereintegrato come erede del regno di napoli(1433). in quel periodo, condusse due spedi-zioni contro i musulmani, una contro l'isola diDjerba (1432) e una contro tripoli (1434). La reggenza dello stato spagnolo era stata te-nuta dalla regina Maria. Si stava arrivando alconflitto decisivo quando proprio l'interventodi Maria portò ad una tregua (1430). altre duespedizioni si ebbero contro gerba (in franceseDjerba, in arabo: jazirat), la più grande isoladel nordafrica (514 km²), situata nel golfo digabès sud orientale, imbocco del golfo di bou-ghrara, a sud-est della tunisia. La prima fucondotta dal principe Pietro (1424) e la se-conda personalmente da alfonso (1432) chenon distoglieva l’attenzione dalla facile con-quistabilità della monarchia napoletana permancanza di discendenti della regina. Si riac-costò a genova (1426) e a Milano, entrò in re-lazioni col re d'inghilterra, ma, sul punto distringere nuovi accordi con giovanna, trovò larecisa opposizione di papa Eugenio lV (1432)e abbandonò l'impresa ancora una volta.Quando il duca di Calabria Luigi iii d'angiò(l'altro erede di giovanna ii) morì (1434), gio-vanna ii nominò suo successore il fratello diLuigi, renato d'angiò, che sarebbe diventato

re quando la regina stessa morì (febbraio1435). Ma papa Eugenio iV, signore feudaledel regno di napoli, non diede il suo gradi-mento a tale avvicendamento e alfonso, ac-compagnato dai fratelli giovanni ed Enrico,poi da Pietro, tornò nel napoletano, occupòCapua e pose l'assedio a gaeta; la flotta arago-nese affrontò la flotta genovese che, per contodel Visconti, andava a portare vettovaglie agliassediati di gaeta. Si ebbe la battaglia di Ponzain cui alfonso e i suoi fratelli furono sconfittie fatti prigionieri dai genovesi (Pietro riuscì afuggire con due galee). La loro madre Eleo-nora, poco dopo aver ricevuto la notizia morìper il dolore. Catturato dal genovese biagioassereto, alfonso fu consegnato al Visconti evenne imprigionato. Quando ottenne in ottobredi essere ricevuto dal duca, riuscì a persuadereil suo carceriere di lasciarli andare liberi senzail pagamento di alcun riscatto, convincendoloche era interesse di Milano non ostacolare lavittoria aragonese e riconoscere alfonso già redi napoli.Con il fratello Pietro, alfonso rioccupò Capua(1436) e si impossessò di gaeta, mentre i fra-telli giovanni ed Enrico rientravano in ara-gona. il papa inviò in Campania un esercitoguidato da giovanni Vitelleschi. il principe ditaranto, fedele ad alfonso, entrò in guerra, mafu sconfitto e catturato. Quando la notiziagiunse ad alfonso questi si diresse subito anola, dove in battaglia costrinse il Vitelleschia ripiegare su Montefusco ed a trattare la libe-razione dell'ostaggio. alfonso riuscì a sfuggiread un agguato a giugliano grazie all'aiuto dellapopolazione locale (1437).tentò di assediare napoli quando vi risiedevarenato d'angiò (1438), ma fallì e il fratelloPietro perse la vita. Dopo la morte del coman-dante delle truppe angioine, jacopo Caldora,(dicembre 1439) la guerra volse a favore di al-fonso, che occupò aversa, Salerno, benevento,Manfredonia e bitonto (1440), riducendo re-nato al solo abruzzo e alla città di napoli, co-stringendolo anche a chiedere aiuto alpontefice ed agli Sforza. il primo inviò il car-dinale giovanni berardi con un potente eser-cito comandato dal conte di tagliacozzo,

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antonio orsini. L'armata si mise in marciaverso il regno (7 dicembre 1440). Ma dopo al-cuni brevi scontri, il cardinale chiese una tre-gua e ritornò nello Stato della Chiesa. Fran-cesco Sforza inviò il fratello giovanni con uncorpo di milizie che alfonso affrontò a troia(10 luglio 1441) quando – secondo la narra-zione dello storico bartolomeo Fazio – avanzòtroppo rispetto ai suoi e fu fatto prigioniero daun soldato sforzesco che, chiestogli il nome ericevuta la risposta di essere il re, si gettò aisuoi piedi dichiarandosi suo prigioniero. al-fonso, dopo la fuga di renato d’angiò, sbara-gliò le truppe di giovanni Sforza, per manodegli aragonesi mise sotto assedio napoli (10novembre 1441), la fece cadere (2 giugno1442), vi entrò trionfante (26 febbraio 1443) dichia-rando l’unione dei regni di Sicilia e napoli. tra aragonesi e duca furono stipulati due trat-tati (8 ottobre 1435): nel primo, palese, fu ri-spettato il patto tra Visconti e isabella, im-ponendo ad alfonso l'obbligo della fedeltà; nelsecondo, segreto, il duca rinunziava ad ognipretesa sul regno di napoli, promettendo aiutiper la sua conquista e dichiarandosi estraneoad ogni rapporto del re con la Chiesa. ottenevain compenso da alfonso la promessa che, conl'investitura, avrebbe soddisfatto agli obblighicontratti col papa. Visconti si piegò in favoredi alfonso, sembratogli meno pericoloso delprincipe francese, per motivi di opportunità po-litica oltre che per ragioni sentimentali. inoltrecooperò con intermediari genovesi per conqui-stare napoli. rinnovò (15 settembre 1442) iltrattato di arras del 1435 di fine guerra civilefrancese e stipulò con alfonso una lega controlo Sforza (30 novembre 1442), l’alleato del-l'angioino e di Firenze ben veduto da Venezia.Con la mediazione di alfons de borja y Caba-nilles (futuro Callisto iii) alfonso scelse di ac-cordarsi, fra papa Eugenio iV e antipapa FeliceV, con il primo per un inaugurare un futurotranquillo. Fu proprio Eugenio iV che gli rico-nobbe il diritto di regnare anche sul regno dinapoli, definito Utriusque Siciliae (trattato e

pace di terracina (14 giugno 1443) e bolla pa-pale (15 luglio 1443). governò appoggiandosi ai suoi fedeli milites,i Cossines che lo avevano seguito dalla Spa-gna, ma anche a soldati mercenari. i francesi,non soddisfatti dalla regina Maria, al rientro inFrancia occuparono la città di Perpignano,come pegno. Designato dal Visconti erede delDucato di Milano (1447), alla sua morte al-fonso inviò le truppe a occupare il Castello;ma, essendo queste ricacciate alla nascita dellarepubblica ambrosiana, rinunciò a ogni pretesa. inviò truppe e denaro all’albanese giorgio Ca-striota Scanderbeg (1451), che accettò di dive-nire suo vassallo; ricambierà (1462) durante laguerra di successione favorendone il figlio Fer-rante. nell'annosa rivalità con la repubblica digenova, sostenne le fazioni a lui favorevoli perentrare poi in guerra (1454) e porre l'assedio(1458). Morì a napoli di malaria contratta inuna battuta di caccia in Puglia (27 giugno1458). Lasciò il regno di napoli al figlio ille-gittimo Ferdinando dopo averlo fatto legitti-mare da papa Eugenio iV e nominato duca diCalabria. gli altri titoli della corona, inclusa laSicilia, andarono al fratello giovanni. Fu inu-mato a napoli nella chiesa di San Domenico,ma circa 2 secoli dopo i suoi resti mortali fu-rono traslati al monastero di Santa Maria di Po-blet. Sul suo conto esiste una doppia inter-pretazione storica: una negativa, che lo de-scrive rozzo, ignorante, fazioso, fautore degliaragonesi, avverso ai napoletani memori delladistruzione del Sedile del Popolo alla riconqui-sta del regno (1442), ricostruito da Carlo Viii(1495); una positiva, che lo vede destinatariodel magnifico arco trionfale di Castel nuovo,fondatore dell’accademia di napoli, ispiratoredi opere ed iniziative artistiche, esaltatore,nella letteratura classica, delle opere di Livio edi giulio Cesare, autore di un manoscritto, ilCancionero de Stúñiga, raccolta di poesie conle quali si cimentò proprio alla corte napole-tana.

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Procedi con calma tra fretta e frastuono, e ricorda quale pace possa esservi nel silenzio! Sorridi, respira e va’ piano.

THICH NHAT HANH

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LE DUE EPIGRAFIDELLA FACCIATA DEL PALAZZO PENNA

di Sergio Zazzera

1. I Banchi Nuovi e il Palazzo Penna.L’area dei banchi nuovi trae la denominazionedal fatto che qui, dopo avere trasferito dallapiazza dell’olmo i loro banchi, distrutti da untemporale, «si univano i mercatanti nei giornistabiliti a trattare i loro negozi», secondo la te-stimonianza del canonico Celano1, ed è situataal margine meridionale del centro antico di na-

poli. al suo interno si trova la piazzetta teo-doro Monticelli, in un angolo della quale sorgeil quattrocentesco Palazzo Penna (o Penne),che appartenne, fra gli altri, proprio all’abateMonticelli (1759-1845); questi, poi, essendoprivo di eredi diretti, lo lasciò, alla propriamorte, all’Università di napoli, nella qualeaveva insegnato vulcanologia2.Senza impegolarsi in questioni che involgereb-bero una leggendaria origine mefistofelica-fau-stiana dell’edificio3, è il caso di limitarsi a direch’esso fu edificato (e si dirà in seguitoquando) su commissione dei fratelli antonioSegreto e onofrio Penna, rispettivamente con-sigliere e segretario del re Ladislao di Du-razzo4.Le caratteristiche del palazzo, che richiamanosubito l’attenzione dell’osservatore, sono due:l’arco a sesto ribassato – «durazzesco-cata-lano», secondo la definizione di roberto Pane5

– del portale d’ingresso e le piccole bugne ret-tangolari di pietra che rivestono la facciata6; eciascuno di questi elementi racchiude una delleiscrizioni, delle quali qui ci si occuperà7.

2. L’epigrafe del portale.a metà della propria altezza all’incirca, il por-tale è percorso, da un lato all’altro, da un car-tiglio nastriforme – simile a quello della lastramarmorea di Franceschino De brignale, pro-

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veniente dalla chiesa di San Pietro Martire econservata nel Museo di San Martino8 –, sulquale è riportato il seguente distico elegiaco,tratto da un epigramma di Lucio Valerio Mar-ziale:

QUi DUCiS VULtUS Et non LEgiS iSta LibEntEr,oMnibUS inViDEaS, inViDEt nEMo tibi9.

L’articolazione dei versi attraverso le volutedel cartiglio ne rende difficoltosa la lettura, alpunto di avere indotto in errore alcuni autori.Così il Ferrajoli trascrive: «Aui ducis vultusinec aspicis isca libencer omnibus invideasnemo tibi»10; così, pure, Vittorio Del tufolegge «auspicis» in luogo di «aspicis»11; così,ancora, Luigi Catalani e aurelio De rose leg-gono «invide» anziché «invidet»12.resa, quindi, la trascrizione nei termini esatti,di cui sopra, il testo può essere tradotto corret-tamente in: «tu che giri la testa, o invidioso, enon guardi volentieri questo (palazzo), possadi tutti essere invidioso, nessuno (lo è) di te».Ed è evidente l’adattamento dei versi all’esi-genza dei Penna di vituperare/esorcizzaregl’invidiosi, laddove l’intento originario diMarziale era quello di biasimare coloro chenon apprezzavano i suoi versi13: il pronome di-mostrativo ista, infatti, per il poeta era riferitoai suoi epigrammata, mentre per i proprietaridel palazzo era da ricondurre a quest’ultimo(ma, allora, sarebbe stato corretto scrivereistum!), che, per le sue qualità positive, dovevaessere oggetto d’invidia da parte di molti.

3. L’epigrafe della facciata.incastrata fra le bugne della facciata, al di sottodello stemma degli angiò-Durazzo, si trova la

seconda iscrizione, concepita in esametri leo-nini14, il cui testo è il seguente:

XX anno rEgnorEgiS LaDiSLai

SUnt DoMUS HEC FaCtEnULLo Sint tUrbinE FraCtE

MiLLE FLUUnt MagnibiS trES CEntUM QUatEr anni.

(nel ventesimo anno di regno del re Ladislao sono stateedificate queste case; trascorrono 1406 lunghi anni,senza che siano danneggiate da alcuna tempesta).

il 1406, dunque, è l’anno di realizzazionedell’edificio15; in proposito, anzi, alcuni autoricontestano apertamente la diversa datazione –1380 – proposta da «vari scrittori delle cose dinapoli»16. Ciò nonostante, ancora di recente èstata sostenuta una terza datazione – 1414 –,

sulla scorta di un documento conservato nellabiblioteca nazionale di napoli17, senza valu-tarne minimamente l’attendibilità, sebbene siacompatto il fronte degli autori che ammettonoquella di cui all’iscrizione in questione, al disotto della quale l’immagine stilizzata di trepenne rimanda al cognome della famiglia com-mittente18. Peraltro, l’esigenza di costruire gliesametri, dei quali essa consta, ha imposto cheil numerale sex fosse reso con bis tres (= duevolte tre) e il numerale quadringenti con cen-tum quater (= quattro volte cento).

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4. Considerazioni conclusive.Sulla rispettiva natura delle due iscrizioni sonostate avanzate ipotesi fuorvianti: più precisa-mente, quella di cui al § 2 è stata definita «epi-grafe dedicatoria»19, mentre di quella di cui al§ 3 è stato scritto: «…parla di una lunga male-dizione, di una data misteriosa. Scongiuro, ar-roganza?»20.orbene, nel primo caso è evidente come il testonon contenga alcuna dedica (a chi, poi, e per-ché?); nel secondo, viceversa, mentre non sicomprende quale “arroganza” vi si potrebbecogliere, è evidente, altresì, l’influenza diquella leggenda di “patto col diavolo”, allaquale si è fatto cenno nel § 1.in proposito ritengo che sia più corretto ravvi-sare in entrambe le epigrafi una funzione apo-tropaica. E, invero, quanto alla prima, vienfatto d’immaginare l’incisore nell’atto di fareil gesto delle corna all’indirizzo degl’invidiosi.Quanto alla seconda, poi, sembra evidente l’in-tento di auspicare che il palazzo possa reggersiin piedi per un numero di anni pari al numeraleche ne esprime l’anno di fondazione; il che, nelbene e nel male, fino a questo momento sem-bra destinato ad avverarsi.Ma c’è un’altra considerazione da fare, proprioa proposito di quest’ultima iscrizione e, piùprecisamente, alla configurazione dello spazioche la accoglie, il che rende necessaria una pre-messa.Da una recente ricerca di Salvatore Forte èemerso il dato, secondo cui «…convinto di es-sere il legittimo possessore del graal21[:] è al-fonso V di aragona... il re avrebbe deciso didedicare al graal il Castelnuovo: la fortezza –voluta nel Duecento da Carlo i d’angiò – chericostruì dopo la conquista della città. …allabase del balcone del trionfo, da cui il sovranosi affacciava sul cortile del castello, è scolpita

una giara, l’emblema dell’ordine della giara,fondato dal padre di alfonso, Ferdinando “ilgiusto”: era sì una delle onorificenze più im-portanti del regno, ma anche una coppa»22. ad-dirittura, anzi, c’è chi pone in evidenza il fattoche «il balcone… se rovesciato assume le sem-bianze di un grande calice»23.La tradizione del graal, però, appartiene anchealla Francia: si pensi, fra i tanti esempi, al Per-ceval, ou le Conte du Graal di Chrétien de tro-yes24.ora – suggestione per suggestione –, se siguarda attentamente l’epigrafe che contiene ladatazione, è agevole notare che la composi-zione costituita dalla stessa e dallo stemmadegli angiò-Durazzo che la sovrasta ha tuttol’aspetto di un calice: che si tratti proprio delgraal?Questa mia – sia chiaro – vuol essere soltantouna provocazione25. Ma, poi, si può essere si-curi che sia proprio e soltanto tale?_________1 Cfr. C. Celano, Notizie del bello dell’antico e del cu-rioso della città di Napoli, a c. di a. Mozzillo e aa., 5,napoli 1974, p. 1268.2 Cfr. g. Doria, Le strade di Napoli2, Milano-napoli1971, p. 455; r. Marrone, Le strade di Napoli, 2, romar. 2004, p. 617; inoltre, sulle vicende del palazzo sottola proprietà del Monticelli, v. o. nicolardi, Napoli centofermate facoltative, napoli 1952, p. 215 ss..3 in proposito si rinvia ad a. Matassa, Leggende e rac-conti popolari di Napoli, roma r. 2004, p. 309; a. Pa-lumbo - M. Ponticello, Il giro di Napoli in 501 luoghi,roma 2014, p. 228 s.; V. Ceva grimaldi - M. Franchini,Napoli insolita e segreta, Versailles 2014, p. 118 s.4 non giovanni, come vorrebbe a. Matassa, o. l. c.: cfr.L. Catalani, I palazzi di Napoli, napoli r.2 1979, p. 32;L. terzi, I palazzi napoletani del Rinascimento, roma1996, p. 35; a. De rose, I palazzi di Napoli, roma r.2004, p. 240.5 Cfr. r. Pane, Napoli imprevista, a c. di g. Pane, napoli2007, p. 85; il portale è realizzato in un’alternanza dimarmo bianco e «rossiccio portasanta»: cfr. M. Cava-

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Le città, come i sogni, sono costruite di desideri epaure, anche se il filo del loro discorso è segreto, leloro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ognicosa ne nasconde un’altra.

Italo Calvino

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liere, Porte, portali e roste di Napoli, roma 1995, p. 45.6 Cfr. L. terzi, o. c., p. 37.7 Per il cui testo si rinvia, fin d’ora, a g. a. Summonte,Historia della città e regno di Napoli, t. 3, napoli 1748,p. 522; C. t. Dalbono, Nuova guida di Napoli e dintorni,napoli 1876, p. 53; o. albanesi, Epigrafia napoletana,napoli 2015, p. 120 ss.; n. Della Monica, Palazzi e giar-dini di Napoli, roma 2016 (e-book).8 Cfr. già g.M. Fusco, Dichiarazioni di acune iscrizionipertinenti alle catacombe di San Gennaro dei poveri...,napoli 1839, p. 25 s.; g.a. galante, Guida sacra dellacittà di Napoli, napoli 1872, p. 316 s., e ora g. bausilio,Storie antiche di una Napoli antica, Vicalvi 2016, p. 41 s.9 Mart., Ep., 1,40.10 Cfr. F. Ferrajoli, Napoli monumentale, napoli 1968,p. 141; si discosta di poco la lettura, anch’essa inesatta,di V. Ceva grimaldi - M. Franchini, o. c., p. 119.11 Cfr. V. Del tufo - S. Siano, L’uovo di Virgilio, napoli2019, p. 222.12 Cfr. L. Catalani, o. c., p. 33; a. De rose, o. c., p. 241.13 Cfr. b. Varchi, Sopra l’invidia, roma 1853, p. 55.14 Caratterizzati, cioè, dalla presenza della rima interna:cfr. g. gentile - C. tumminelli, s.v. Esametro, in Encicl.Italiana, 14, roma 1932, p. 285.15 Una parola definitiva sembra potersi leggere in M.Campi - a. Di Luggo - S. Scandurra, 3D Modeling forthe Knowledge of Architectural Heritage and Virtual Re-construction of its Historical Memory, in InternationalArchives of the Photogrammetry, Remote Sensing AndSpatial Information Sciences, 2017, p. 134.16 Così g.b. Chiarini, Aggiunzioni a C. Celano, o. c., p.1292; cfr. pure L. Catalani, o. c., p. 32.

17 bnn., Sez. mss. e rari, C 21, f. 233 t. («circa l’annodi nostra salute 1414 antonio da Penna …fece edificarenella sua patria un nobilissimo palazzo appresso lachiesa di S. Demetrio sopra il pennino di S. barbara»):cfr. V. tempone, Presenze rinascimentali a Napoli: lazona dei Banchi, in Architettura del classicismo traQuattrocento e Cinquecento, a c. di a. gambardella eD. jacazzi, roma s.d., p. 94.18 a. Matassa, o. l. c., retrodata il fabbricato, addirittura,ai primi del sec. XiV.19 Così a. Langella, De Penne il segretario del re Ladi-slao, s.l. 2015, p. 8.20 Così a. Cilento, Bestiario napoletano, roma-bari2015 (e-book).21 La letteratura sul graal è vastissima: per tutti si v. L.gardner, La linea di sangue del Santo Graal, tr. it.,roma r. 2005.22 Così S. Caruso, Il Graal, il libro di luce e il MaschioAngioino, in Napoliflash, 29 giugno 2017 (al sito inter-net: https://www.napoliflash24.it/) riferisce il pensierodel Forte. E v. pure la recentissima intervista a quest’ul-timo, di g. Cerino, Il Graal nel Maschio Angioino, inFreedom, aprile 2020, p. 60 s.23 Cfr. Napoli esoterica (al sito internet dell’aPt di na-poli: https://cosedinapoli.com/). 24 Cfr. F. Cardini - M. introvigne - M. Montesano, IlSanto Graal, Firenze 1998, p. 20 ss. 25 Dal momento che sul tema del graal si possono anchescrivere “seriamente cose fantastiche”, come fa a. Col-lins, Il Graal. Sulle tracce di una leggenda, tr. it., roma 2005.

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L’ULTIMA LETTERA DI TORQUATO TASSO

Che dirà il mio signor Antonio, quando udirà la morte del suo Tasso? E per mioaviso non tarderà molto la novella; perch’io mi sento al fine de la mia vita, nonessendosi potuto trovar mai rimedio a questa mia fastidiosa indisposizione, so-pravenuta a le molte altre mie solite; quasi rapido torrente, dal quale, senza potereavere alcun ritegno, vedo chiaramente esser rapito. Non è più tempo ch’io parlide la mia ostinata fortuna, per non dire de l’ingratitudine del mondo, la quale hapur voluto aver la vittoria di condurmi a la sepoltura mendico; quando io pensavache quella gloria che, mal grado di chi non vuole, avrà questo secolo da i mieiscritti, non fusse per lasciarmi in alcun modo senza guidardone. Mi sono fatto

condurre in questo munistero di Sant’Onofrio; non solo perchè l’aria è lodata da’ medici, più ched’alcun’altra parte di Roma, ma quasi per cominciare da questo luogo eminente; e con la conver-sazione di questi divoti padri, la mia conversazione in cielo. Pregate Iddio per me: e siate sicuro,che sì come vi ho amato ed onorato sempre ne la presente vita, così farò per voi ne l’altra più vera,ciò che a la non finta ma verace carità s’appertiene. Ed a la Divina grazia raccomando voi e mestesso. Di Roma, in Santo Onofrio*.__________

* 1-10 aprile 1595; il Tasso muore il 25 aprile successivo.

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L’ANTICURIALISMO DI PIETRO GIANNONELO SFERZANTE GIUDIZIO DEL MANZONI

di Eugenio D’Acunti

Quest’anno* ricorre il 3° centenario dellanascita dello storico e giureconsulto me-

ridionale Pietro giannone. Egli nacque infattia ischitella (Foggia) il 7maggio 1676 da Scipione,«di professione speziale», eda Lucrezia Micaglia.Fu contemporaneo di giam-battista Vico. Ma, pur es-sendo vissuti insieme a na-poli per parecchi anni, essinon ebbero nessuna rela-zione tra loro. E se il Vico,nel suo intransigente e am-mirevole cattolicesimo, nonnominò mai il giannonenelle proprie opere, questi,quando il Vico pubblicò l’Autobiografia, si affrettò adefinirla «la cosa più sciapita che si potessemai leggere».Sostanziali differenze d’animo e di mentalitàdivisero inevitabilmente i due uomini.Venuto a napoli per ragioni di studio e diven-tato doctor in utroque, il giannone si proposedi scrivere l’Istoria civile del Regno di Napolidalle origini del cristianesimo alla fine del se-colo XVii. Vi incominciò a lavorare infatti nel1702 e la terminò nel 1723.tutta pervasa da fazioso spirito anticurialista,

l’opera gli procurò subito la scomunica dell’ar-civescovo di napoli. Per sfuggire all’ambienteostile che gli si era creato intorno, riparò a

Vienna, presso Carlo Vi, cuil’Istoria era dedicata. Qui ri-mase 11 anni e vi composequasi tutto il Triregno, doveancora più violenti sono gliattacchi contro il papato.nella prima opera sostieneche tutte le vicende dell’ita-lia meridionale sono ricon-ducibili alla lotta fra Stato eChiesa; e con artificioso ma-nicheismo pone tutto il beneda parte dello Stato e tutto ilmale da parte della Chiesa.Da questo la sua risonanza ela sua fama negli ambienti

laicisti, ma contemporaneamente anche la suainesorabile caducità sotto l'aspetto storico-scientifico.Lo stesso Fausto nicolini ne condanna «l’astratta e fantastica configurazione dello statocome bene assoluto, progresso, civiltà, forzagenerosa, e della chiesa come male, regresso,oscurantismo, malizia frodolenta; lo scarso onessun rilievo dato alle diverse fisionomie deisingoli personaggi storici, costruiti tutti d’unpezzo e tutti allo stesso modo, cioè, pur con

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Pagine vive.1

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differenze in più o in meno, presentati comevasi d’ogni virtù se uomini di stato, d'ogni ne-quizia se uomini di chiesa; l’ipercritica, e so-vente la cavillosità avvocatesca, con cui idocumenti non collimanti coi fini pratici del-l’autore sono sforzati e travolti; e via enume-rando» (Enciclopedia Italiana, XVi, pp.967-968).alessandro Manzoni nella sua Storia della co-lonna infame parlando della Istoria del gian-none, col suo sottile e inimitabile umorismo, fanotare inoltre che buona parte di essa è formatada interi e lunghi brani presi dalle opere digiambattista nani, Domenico Parrino e PaoloSarpi, i quali non vengono neppure citati. Diceche il giannone si comporta «nella stessa ma-niera che uno, il quale compri biancheria usata,leva il segno dell’antico padrone, e ci metta ilsuo». Più avanti scrive: «Spesso il giannone,invece di star lì a cogliere un frutto qua e unolà, leva l'albero addirittura, e lo trapianta nelsuo giardino». Poi, dopo aver fatto notare variee allegre scopiazzature (perfino di errori! «nonfece nemmeno la fatica di sbagliare», postilla),conclude: «E chi sa quali altri furti non osser-vati di costui potrebbe scoprire chi ne facessericerca; ma quel tanto che abbiam veduto d'untal prendere da altri scrittori, non dico la sceltae l’ordine de' fatti, non dico i giudizi, l’osser-vazione, lo spirito, ma le pagine, i capitoli, ilibri, è sicuramente, in un autor famoso e lo-dato, quel che si dice un fenomeno. Sia stata,o sterilità, o pigrizia di mente, fu certamenterara, come fu raro il coraggio, ma unica la fe-licità di restare, anche con tutto ciò (fin cheresta), un grand’uomo» (cfr. Storia della co-lonna infame, cap. 7°).Lo stesso giudizio di plagio continuo e indi-

scriminato espressero, dopo il Manzoni, gio-vanni bonacci, Carmine Di Pierro e altri stu-diosi.Passiamo adesso a dire una breve parola sulTriregno. Come accennavamo sopra, è qui che.la. passione politica e lo spirito polemico delgiannone raggiungono l’acme. non contentopiù di lasciare al papato la sola potestà spiri-tuale, egli vi sostiene che, per il libero svolgi-mento delle funzioni statuali, è necessariosopprimere addirittura il papato e ogni gerar-chia ecclesiastica, privare il clero di ogni benetemporale e sottoporlo incondizionatamenteallo Stato.in sostanza, perciò, non si può non concordarecon lo storico Carlo troya, il quale afferma«che il giannone assai sovente fu in quelle di-spute uomo di parte».nel 1734 l’austria dové abbandonare il regnodi napoli e il giannone perdette la pensioneannua di 1000 fiorini che venivano prelevatidal bilancio del regno delle Due Sicilie. tentòdi ritornare a napoli ma, arrivato a Venezia,seppe che non gli era consentito. L'anno suc-cessivo fu scacciato anche da Venezia e riparòa Modena, a Milano, e poi a ginevra. il primoministro del re di Sardegna, pensando di acqui-starsi benemerenze presso la Curia romana, loattirò con inganno in un luogo prossimo a que-sta città ma sottoposto alla giurisdizione sa-bauda. Ve lo fece arrestare nel 1736. Morì incarcere a torino nel 1748.___________

* L’articolo fu pubblicato nel fascicolo di agosto 1976di questa rivista (n.d.r.).

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WORLD DIGITAL LIBRARY

L’UNESCO ha lanciato in rete la propria biblioteca digitaleuniversale, che raccoglie mappe, testi, foto, registrazioni e fil-mati di tutti i tempi e illustra in sette lingue i gioielli e i cimeliculturali di tutte le biblioteche del pianeta. Al sito si accededigitando l’url: www.wdl.org.

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L’“ARCHITIELLO”

di Ennio Aloja

1. L’Oasi Mariana dell’”Architiello”.alla fine di via Case Puntellate, di poco elevatarispetto al tracciato stradale, l'oasi Marianadell'architiello è miracolosamente sopravvis-suta al dissacrante sacco edilizio del secondodopoguerra.cappella a Lei intitolata e nel cortile della mas-seria in cui ha sede, da anni, l'Unione Cattolicaoperaia che porta il suo nome. nei due secolidel vicereame spagnolo la masseria custodiscela viva memoria di voti e grazie ricevute e del-l'emozionante partecipazione, il Lunedì inAlbis, al pellegrinaggio a Sant'anastasia. Laforza della fede popolare e la volontà riforma-trice della Chiesa, dettata dal Concilio ditrento, convergono: la Curia arcivescovile dinapoli promuoverà la nascita di nuovi edificisacri nei casali del Vomero e dell'arenella. nel1754 Don jacopo Catucci fonda, in via CasePuntellate, una cappella dedicata a san gia-

como apostolo che, nel 1829, verrà intitolataa Sancta Maria ab Arcu. L'intitolazione, ancoraoggi visibile sul frontespizio della facciata, se-condo la pietà popolare, è occasionata dal ri-trovamento di un'icona Mariana sotto l'ar-chitiello, l'ingresso della masseria.La Cappella, restaurata dal devoto architettoachille Piediferro ed officiata da Don giu-seppe navarra, è meta, il Lunedì in Albis, delpellegrinaggio dei fedeli del circondario chenon possono raggiungere il Santuario dellaMadonna dell'arco. Chiusa al culto per seianni, in seguito ai danni provocati dal terre-moto del 1980, la cappella subisce il furto diarredi sacri e dell'ottocentesco dipinto della"Madonna dell'architiello": così è denominata,nel cuore della napoli collinare, la Vergine colbambino raffigurata sullo sfondo del piccoloarco d'ingresso della masseria. La risposta alfurto sacrilego è esemplare: il dipinto rubato

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La calma è uno tra i più sicuri indizidella Forza di spirito.

Arturo Graf

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viene sostituito da un quadro novecentesco eSancta Maria ab Arcu apre i battenti per incon-tri di catechesi e di preghiera e per la SantaMessa domeni-cale officiata dadon Marco bel-tratti, parroco dinostra Signoradel Sacro Cuore.

2. Le edicole vo-tive di via CasePuntellate.Via Case Puntel-late, che con-serva ancora iltracciato dell'an-tico percorso Pu-teolis Neapolimper colles, è statateatro di famosieventi della storia religiosa della napoli colli-nare.Qui, nel i secolo dell'era cristiana, sono passatii proseliti dell'apostolo Paolo per evangelizzareil Praedium Antinianum; qui, due anni dopol'editto costantiniano di tolleranza, del 313, èpassata la solenne processione con le reliquiedel capo e del corpo di san gennaro prima diraggiungere le catacombe di Capodimonte; daqui, sono partiti, dopo il primo miracolo del 6aprile 1450, i devoti alla Madonna dell'arcoper dar vita al pellegrinaggio penitenziale e ca-tartico del Lunedì in Albis.a napoli chi è devoto alla Madonna delle gra-

zie vive la relazione di presenza con Lei nelproprio spazio vitale quotidiano. Le edicole vo-tive di Vicenzo Sica e di imma Stefanelli sono

sorte, come atte-stano le breviepigrafi, per gra-zia ricevuta.Esse testimo-niano, in primis,una granitica fe-de personale efamiliare e, poi,per un intimo rap-porto affettivo conla Vergine Maria,un segno tangibiledella devozionecomunitaria di viaCase Puntellate.Queste due edi-cole sono spazi

sacri che si aggiungono alla vicina Cappella diSancta Maria ab Arcu, alla sede dell'unioneCattolica operaia, promotrice di suggestive"funzioni", alla parrocchia di nostra Signoradel Sacro Cuore di via Scala ed alle altre par-rocchie presenti sul territorio.Davanti a queste due edicole votive le famiglieSica, Stefanelli ed altre famiglie di via CasePuntellate rinnovano suppliche antiche e tra-smettono, di generazione in generazione, laforza di una fede che attraversa i secoli perchésorretta dalla logica del cuore.

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BORSE DI STUDIO I.I.S.S.L’istituto italiano per gli studi storici bandisce il concorso alle seguenti borse di stu-dio annuali per laureati e dottori di ricerca in discipline storiche, filosofiche e lette-rarie nati dal 1° agosto 1988, per lo svolgimento di ulteriori ricerche: a) dieci borsedell’importo di € 12.000,00 lordi ciascuna; b) una borsa intitolata a «Federico ii»offerta dall’Università degli studi di Napoli per laureati nelle università italiane conuna tesi di argomento medievistico, dell’importo di € 10.300,00 lordi; c) una borsaofferta dal Pio Monte della Misericordia, dell’importo di € 10.000,00 lordi, per unaricerca su «Le Sette Opere di Misericordia nei documenti dell’Archivio storico del

Pio Monte della Misericordia di Napoli». Le domande dovranno pervenire entro e non oltre il 31 lu-glio 2020. Ulteriori informazioni e bando completo vanno richiesti a: [email protected].

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di Orazio Dente Gattola

Alla fine del 1847 le passioni politiche alungo sopite vennero a maturazione. L’im-

pulso anche nel Mezzogiorno venne da unaserie di episodi concomitanti: la pubblicazionedel Primato di Vincenzo gioberti e l’ascesa altrono di Pio iX furono tra le cause principali.né va trascurato l’impulso che venne dalle vi-cende politiche che stavano maturando in Fran-cia in opposizione alla corruttrice politica diLuigi Filippo.anche a napoli la componente politica liberaleprese a chiedere nuove e sostanziali riforme eprese a pensare ad uno Statuto. Sostanzial-mente si assistette ad una ripresa degli idealiche erano stati all’origine dei moti del 1820-1821. Era, infatti, necessaria una costituzioneper rimediare ai guasti portati alla cosa da unacorruzione dilagante dietro l’impalcatura degliordinamenti ferdinandei che non trovavano ri-spondenza in una sana coscienza politicaLe accuse che in Francia si muovevano allamonarchia di luglio fecero da modello edesempio per i liberali napoletani: grande famaebbe, infatti, la Protesta contro il malgoverno

borbonico indirizzata dal Settembrini al popolonapoletano. L’ambasciatore austriaco Principedi Schwarzenberg ebbe a scrivere al Metter-nich che a napoli si voleva “«cambiare l’indi-rizzo e forse anche la forma del governo». Èsintomatico che lo Schwarzenberg abbia rico-nosciuto la fondatezza delle richieste di cam-biamento che si levavano da parte dei liberalinapoletani definendo deplorevole lo stato dellacosa pubblica aggiungendo che in molti non sierano perduti i ricordi dei fatti del 1820-1821e rimanevano intatti i benefici promessi e nonmantenuti. L’ambasciatore aggiungeva che «iMinisteri sono la vera sede della corruzione edell’arbitrio. La massa del popolo è nella mi-seria e per questa ragione facile alla seduzione,le classi più elevate sanno bene dov’è il male,ma esse sono in un’incresciosa illusione sul ri-medio da apportarvi». in effetti nella lettera dello Schwarzenberg èdato riscontrare una precisa diagnosi dellostato delle cose. Dà atto, infine, l’ambasciatoredelle buone intenzioni del re che, però, in quin-dici anni di governo non è riuscito a modificare

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1848: I GIORNI DELLE BARRICATE

Solo in acque quiete le cose riflettono sé stessein maniera non distorta. Solo in una mente quietavi è la percezione adeguata del mondo.

Hans Margolius

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le cose. Chiudeva il suo messaggio lo Schwar-zenberg ribadendo la necessità di un cambia-mento di sistema.ai primi di settembre furono duramente re-pressi alcuni movimenti scoppiati a Messina ea reggio. il re borbone decise di fronteggiareil movimento contando più che sulla polizia osull’esercito napoletani sul fatto che in caso dipericolo l’austria non avrebbe fatto mancareil suo intervento armato. a metà novembrequesta sicurezza cominciò a vacillare: allepressanti richieste di intervento il governo au-striaco rispose unicamente con generiche esor-tazioni a tenere duro. in ogni caso occorreconsiderareche le truppeservivano al-l’austria perm a n t e n e r el’ordine alsuo interno ela contrarietàdel governogranducale edi quellopontificio ache truppeaus t r i a chepassasseroattraverso i loro territori. né appariva fattibileuno sbarco austriaco sulle coste pugliesi.Ferdinando ii tuttavia non venne meno alla suapolitica di opposizione ai nuovi movimenti e ametà settembre si limitò a qualche rimaneggia-mento nella compagine ministeriale e a rifiu-tare di entrare a far parte della lega doganalesottoscritta il 3 dello stesso mese dal governopontificio, dal Piemonte e dalla toscana per-dendo un’ottima occasione per uscire dall’ isolamentoe respinse un’ avance di Pio iX che si era offertodi fare da mediatore tra lui e i suoi sudditi.Quella di mantenere una politica di assolutaautonomia fu del resto una costante della poli-tica estera di Ferdinando ii.La crisi vera e propria ebbe inizio il 27 gennaio1848 quando a fronte di dimostrazioni nellastessa napoli quasi tutti i generali borbonicisottoscrissero un documento nel quale si di-

ceva che l’esercito non avrebbero potuto repri-mere violente manifestazioni di piazza a na-poli e nelle province. Dal canto suo loSchwarzenberg inviò al sovrano una nota daltono quasi ultimativo nella quale si ricorda-vano al re i suoi doveri di Capo dello Stato po-nendo in risalto le sue responsabilità neiconfronti degli altri sovrani europei, l’amba-sciatore austriaco d’intesa con quelli dellaPrussia e della russia invitava (è un eufemi-smo) il re delle Due Sicilie a riprendere inmano con decisione il governo della cosa pub-blica e a riprendere il comando dell’esercitocontro l’ormai imminente rivoluzione. rimet-

teva a Ferdi-nando ii unproclama dalui stessopredisposto:si trattava diuna vera epropria di-chiarazionedi guerra atutto ciò chesuonava diliberalesimo.il borboneavrebbe do-

vuto affermare che «fedele ai doveri impostiglidalla Divina Provvidenza, non avrebbe giam-mai permesso che una minoranza di faziosi,impazienti di sottrarsi alle leggi in vigoreavesse tentato di adibire la forza per istrappar-gli delle concessioni che, infallibilmente,avrebbero condotto all’anarchia tanto nel regnoche negli stati tutti componenti la penisola ita-liana». Era la fine di ogni equivoco.Ferdinando ii non solo perdeva ogni speranzanell’intervento austriaco a suo sostegno ma sivedeva addossare il peso del mantenimentodell’ordine pubblico dell’intera Europa. Dopoil fallimento di repressione di un moto in Sici-lia e le dichiarazioni dei generali il sovrano dif-fidava del suo esercito ed ormai diffidavaanche della polizia, della quale qualche giornoprima aveva dovuto rimuovere l’odiatissimocapo perché aveva osato architettare un colpo

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di stato di impronta liberale, che ritenevatroppo indulgente e che esitava ad assumersi leresponsabilità insite nella sua carica. il re,quindi, non pose in essere quell’atto di energiache gli alleati gli chiedevano ed anzi decise diabbandonare la sua intransigenza e destituì ilpresidente del Consiglio, il marchese Pietraca-tella, che riteneva di non poter mantenere l’in-carico nella situazione che si era venuta acreare e nominò in sua vece il duca di Serraca-priola, chiamò a far parte del governo nuoviministri e con un fretta che contrastava con laprecedente inerzia ordinò che il decreto di no-mina venisse pubblicato senza nemmeno atten-dere il consenso degli interessati. nelle orepomeridiane del 28 il sovrano dettò le basidella Costituzione. Fu allora che ebbe a dire:«Puisqu’il faut danser, dansons, io sarò il piùcostituzionale di loro tutti». tuttavia nella se-rata del 28 gennaio nessuna decisione era statapresa e fu a seguito della notizia dell’abban-dono di Palermo che la situazione si evolse ela mattina del 29 i napoletani trovarono affissoil proclama con il quale Ferdinando ii annun-ciava la concessione della costituzione e ne sta-biliva i principi fondamentali. Seguì l’11febbraio la pubblicazione del testo.tutte le costituzioni emanate nel tempo furonooggetto di studio. La scelta fu quella di una co-stituzione moderata frutto dei notevoli studifatti nella materia a napoli dove l’esperienzafatta era notevole. Per eliminare ogni equivocosi volle definire la forma di governo presceltacome “monarchia temperata ereditaria”; il testorichiamava quello della costituzione francese

del 1830 della quale si accentuò l’impronta au-toritaria ponendo l’accento sulla parola “tem-perata” contrapposta a “democratica”. Poichéil Papa e i restanti sovrani italiani temevano ilpossibile diffondersi di rivoluzioni si limita-rono ad adagiarsi sul testo della costituzionenapoletana.gravissime furono le conseguenze della costi-tuzione napoletana in un paese che aveva aspi-razioni politiche molto complesse per cui iltesto fu accolto da vivacissime critiche: quellache si voleva era la moralizzazione delle strut-ture di governo da ottenersi a mezzo di ordina-menti democratici. occorreva poi tener contodel fatto che alla questione istituzionale delregno andava aggiunta quella siciliana che,come già era accaduto nel 1820-1821, tornavaa distrarre l’attenzione dei liberali napoletanidai problemi che gli erano propri. Di fronte allecorrenti democratiche che si andavano diffon-dendo nel meridione, ai problemi posti dalla ri-voluzione siciliana, e a quelli posti dalla par-tecipazione alla guerra contro l’austria si de-terminò una situazione di crisi: non va dimen-ticato che l’esercito necessario alla guerra ve-niva distolto dalla Sicilia. il re non poteva nonessere vivamente preoccupato della situazioneche si era venuta a creare costituta dalla perditadel controllo del movimento.in effetti la crisi scoppiò il 15 maggio.alla vigilia del 15 maggio, i deputati liberalinapoletani più intransigenti, del neo eletto par-lamento napoletano, insistettero nella richiestaa re Ferdinando di modificare parte della Co-stituzione su cui avrebbe dovuto giurare. nella

Con l’opera “Il mestiere di mio padre” (nellafoto), l’artista procidana Antonietta Righi si èclassificata al primo posto del terzo gruppo delconcorso “Arte Armenia 2020”, organizzato da“Artetra-Art-Art Associates”, aggiudicandosi ildiritto all’esposizione fisica gratuita del dipintoalla manifestazione omonima, che si svolgeràin Armenia, in data da stabilirsi. Ad Antoniettagiungano le congratulazioni de Il Rievocatore.

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notte fra il 14 e 15 maggio, mentre i deputatitentavano le ultime negoziazioni col re, inizia-rono a sorgere delle barricate una delle quali fueretta in via toledo davanti a Palazzo Cirella,e altre nelle vie laterali.gli scontri iniziarono verso le 10, dopo che reFerdinando fece arrestare i deputati Capitelli eimbriani inviati in un ultimo tentativo di nego-ziazione. Pietro Catalano gonzaga si mise acapo della barricata sorta davanti al PalazzoCirella e uomini furono posti dal duca Pasqualesul tetto e dietro le finestre dello stesso. re-spinto un primo assalto delle truppe regie, lebarricate cedettero sotto il fuoco dell'artiglieriae due compagnie di Cacciatori Svizzeri, supe-rate le barricate, sfondarono il portone di Pa-lazzo Cirella ed invasero il palazzo trucidandotutti coloro che vennero trovati con le armi inpugno. Vennero catturati il duca Pasquale Ca-talano gonzaga, i suoi figli Luigi e Clementee suo fratello Pietro. il palazzo fu saccheggiato:quadri, suppellettili e mobili furono gettatidalle finestre e la biblioteca, assieme all’archi-vio, bruciata. i prigionieri vennero condotti allaDarsena e rinchiusi a bordo di un regio Legnodella Marina borbonica attrezzato a galera.Evasero con l'aiuto del generale Pepe e rag-giunsero gli Stati Pontifici.Lo stesso giorno Ferdinando sciolse il Parla-mento e la guardia nazionale, nominò un

nuovo governo, proclamò lo stato d'assedio. Laferoce repressione causò circa 500 morti. trale vittime illustri vi fu Luigi La Vista, giovanescrittore fucilato dai mercenari svizzeri all'etàdi 22 anni davanti a suo padre, il filosofo an-gelo Santilli ucciso a baionettate assieme a suofratello, un amico e una fantesca. Contro lebarricate che gli insorti avevano innalzate si in-franse la furia dei reggimenti svizzeri mentreuna tempesta di colpi si abbatteva su di essi daibalconi dei palazzi che davano su via toledo esu via Santa brigida lungo le quali era stata in-nalzata la maggior parte delle barricate. Se-condo il racconto del troya nella tarda mat-tinata del 15 maggio andarono da lui il Principeischitella ed il generale Carrascosa a proporreche venissero demolite tutte le barricate. Laloro richiesta, così continua il racconto deltroya, venne disattesa in quanto, se il testodella rettifica della formula del giuramentofosse stato reso noto tempestivamente, napoli– così si conclude il racconto del troya –avrebbe avuto una costituzione e sarebbe stataun regno costituzionale.Ferdinando ii, infatti, rimosse le barricate e ve-nute meno le ragioni dei moti non volle piùproporre una costituzione. L’esperienza costi-tuzionale era finita e si avvicinava il momentodella resa dei conti con la caduta della monar-chia borbonica.

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Dal mese di maggio scorso il pe-riodico IL CONFRONTO, del qualeè direttore editoriale il nostroredattore Elio Notarbartolo, èpassato al formato digitale, alsito Internet: https://ilcon-fronto.eu/, alla cui newsletterè possibile iscriversi, per rice-verne gratuitamente una copia.

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LA FAMIGLIA SCHIFFER A PROCIDA

di Giacomo Retaggio

Attraverso* la famiglia Schiffer, Procidanegli anni 40 si avvicina alla grande storia.

i fratelli Schiffer, ebrei ungheresi, erano statimandati a Procida per pre-siedere all’elettrificazionedi ischia e Procida. Deidue fratelli uno era sposatoe con due figli, e l’altro ce-libe. Quest’ultimo era unbel ragazzo che vivevanelle fantasie delle giovaniprocidane. L’altro fratello,che era più grande, avevadue figli muti dalla nascitae questo mutismo venivavisto come una maledi-zione di Dio per il loro essere ebrei. tanto èvero che mia nonna aveva sentito dire dal par-roco della propria chiesa che il mutismo deidue ragazzi era il segno della maledizione di-vina verso la razza ebraica.Per quanto riguarda il resto, la vita di questiebrei scorreva tranquilla, perché Procida era unpaese appartato che non giocava molto sul-

l’orizzonte politico della guerra. Ma questa at-mosfera idilliaca fu guastata quando il 10 giu-gno 1940, giorno della dichiarazione di guerra

da parte di Mussolini chedoveva essere trasmessa intutte le piazze nazionalicon grande enfasi, non fupossibile ascoltarla perchéa Procida andò via la cor-rente elettrica. i fratelliSchiffer, che avevano dasempre segnalato la vetu-stà dell’impianto con pos-sibile facilità delle eroga-zioni dell’officina elettrica,furono accusati, da parte

del pubblico in mezzo alla Marina, di boicot-taggio e di aver causato danni all’impianto.Una massa di procidani corse sotto la centraleelettrica, prelevarono i due fratelli, li costrin-sero a bere l’olio di ricino.Da quel momento la situazione degli Schiffernon fu potuta tenere nascosta come prima e gliSchiffer furono mandati via, oltre che dal-

giuseppe Schiffer

Vivaldi? Un musicista noioso, che ha scritto seicento volte lo stesso concerto.

Igor Stravinskij

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l’azienda anche da Procida. a Procida si sca-tenò una camorra su chi era stato a denunciarei due fratelli. il fratello Schiffer senza sposaresi era innamorato di una procidana bella e for-mosa e durante la gravidanza dovette subirepure lei i maltrattamenti del pubblico proci-dano e andare pure lei via da Procida. narranoche questa bella ragaz-za, dal nome italia, cheera incinta del primofiglio, non poteva piùcamminare per la stra-da perché sottopostaalle invettive e aglisputi del popolo inquanto sposa di unebreo, uno sporcoebreo. E così la fami-glia Schiffer visse perqualche anno neipressi di Campobasso,affidati alla pietà degliabitanti del posto; dopo questo periodo prefe-rirono salire al nord nei pressi di Cuneo, cheera il loro luogo di origine, ma qui il maggioredei fratelli Schiffer fu raccolto in una retatanazi-fascista, fu fatto prigioniero e deportatoad auschwitz, dove, per colmo della sfortuna,morì il 1° gennaio 1945, il giorno prima cheentrarono i russi a liberare il campo.Passò il tempo e durante l’estate del 1970 miarrivò dall’istituto della resistenza di Cuneoun libro, dal titolo Non c’è ritorno a casa. ri-masi molto meravigliato perché da bambinoavevo sempre sentito parlare di Schiffer e illibro che mi era stato inviato da un medico diCuneo era per far conoscere i fatti della propriafamiglia; il libro prendeva spunto dalle notizieche avevo scritto nel mio libro A Procida noncaddero bombe, libro che gli avevo inviato permetterlo a conoscenza di quello che io sapevo,da procidano, sugli Schiffer. Mi misi in con-tatto con questo medico e lo invitai a Procida.

Questo giovane Schiffer che stava a Procida,andando via dall’isola, aveva studiato, si eralaureato in medicina ed era diventato in questianni il direttore dell’istituto di Chirurgia di to-rino. E scusate se è poco! Lo invitai immedia-tamente a Procida. Fece un poco di resistenzaperché aveva ancora negli occhi i maltratta-

menti della folla nellapiazza della Marina,delle invettive e deglisputi, ma poi accettò.Venne a Procida e ri-mase una settimanapresso l’albergo Solca-lante.il libro fu presentatopresso la hall dellascuola media, in quel-l’occasione io lanciaila proposta di affiggereuna targa ai fratelliSchiffer a Procida nell’

atrio della centrale elettrica. impiegai 10 anniper raggiungere l’effetto, ma oggi sulla paretedell’edificio c’è la targa ai fratelli Schiffer, vit-time delle leggi razziali. Per me è una grandis-sima soddisfazione e un modo per chiederescusa dei danni apportati a una famiglia per-bene quando la mancanza di lucidità e di obiet-tività procura il sonno della ragione. gli epi-sodi inerenti alla famiglia Schiffer sono alta-mente deleteri per lo spirito politico e demo-cratico procidano ma quello che più conta èl’alto segno di disprezzo nei riguardi dell’ebraismo da parte dei preti. D’altra parte biso-gna riconoscere che solo da pochi anni è stataeliminata dalla Chiesa dalla liturgia del Venerdìsanto la dicitura “perfidi ebrei”.__________

* autorizzati dall’a., pubblichiamo questo suo scritto,apparso il 14 marzo scorso sul blog Il Procidano.

i fratelli giuseppe e alessandro Schiffer

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Ognuno ha il suo dramma personale; solo la tragedia è in comune.

Turan Rasiev

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LA “PARLÈSIA”

di Mimmo Piscopo

Dagli antenati storici degli antichi rapsodi,sin dal tempo di Petronio, si sono succe-

duti cantori popolari, posteggiatori, cantanti,menestrelli, checon pochi stru-menti musicaliallietavano anti-che mense. tramandata sindal 1221, la na-scita della “po-steggia” vera epropria, con mu-sici, le “villa-nelle”, sotto for-me adattate aitempi, è giuntafino ai tempi no-

stri con le fantasmagoriche Piedigrotte.Personaggi famosi del genere furono giorgio

Schottler, Di Francesco ‘o zingariello, Pa-squale jovino ‘o piattaro, Mazzoni, Pedullàmanella d’oro, Silvio ’o cecato, Lucia ’a ma-dunnella, i Vezza, Marmorino, Ciccio ‘o contee Massimo ranieri, ultimo cantore contempo-raneo.i posteggiatori, dagli atteggiamenti seriosi, ap-parivano affiliati di una misteriosa compagnia,dalla oscura parlata per intendersi tra di loro,creando un gergo fino ad oggi sconosciuto: laparlèsia, la cui traduzione è rimasta oltremodosegreta come in una setta.

Si è potuto carpire il significato di alcuni ter-mini come, appunto parlèsia - parlata, rasto -piattino, bagaro - cattivo, toto - buono, bacono- stupido, jammosa - bella donna, toche-toche- tette, appunisce - ti piace, spunita - affondata,jola - barca, accamoffa - ascolta, pila - paga,loffia - bassa, tale e quale - specchio, tuorne -restituito.tempo addietro fu pubblicato un dizionario ditale parlèsia1, che può esaudire la scoperta delcolorito gergo, sottraendolo alla pura, super-stite trasmissione orale che il tempo inesora-bilmente cancella.________

1 F. Ciummo, Dizionario della parlèsia, napoli 2000.

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La “posteggia” dei galasso

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DALLA POROSITÀ DI BENJAMINALLA “SMORFIA” NAPOLETANA

di Franco Lista

Nell’attuale, deprimente, condizione di ob-bligo di non uscire dalle proprie case

ognuno di noi è alla ricerca di risarcimenti perla perduta socialità: una sorta di atteggiamentoreattivo per attenuare i disagi cercando di tro-vare qualcosa di positivo all’interno dell’invo-lontaria, laica clausura.tra le poche, possibili evalide consolazioni, perquanto mi riguarda, vi èquella della lettura o dellarilettura di libri, assieme allabuona musica e alla pittura.Una spinta a tirare fuori dallascaffalatura i sempre attuali estimolanti saggi di Walterbenjamin è data dalla recenteversione integrale dello scrittosu napoli, edito da Dante &Descartes col titolo Napoliporosa (v. la recensione inquesto numero).Lo scritto fu pubblicatonell’agosto del 1924, dal giornale FrankfurterZeitung, e, bisogna dire, la sua notorietà derivasoprattutto da un attributo, la porosità, coniatoda benjamin nell’osservare, da acuto flâneurqual era, la città nella sua struttura fisica e nellavita che vi si svolgeva. napoli era ed è tuttora nella sua parte storica,una città tutta costruita di tufo e fondata sultufo. benjamin, in proposito, scriverà: «Porosa

come questa pietra è l’architettura. Strutture evita interferiscono continuamente in cortili, pa-lazzi, arcate e scale». La pietra tufacea, vulcanica, leggera, resistente,coibente per la sua porosità, è l’essenza tattileed estetica di napoli: la sua forma e la sua

struttura allo stesso tempo.Varrebbe la pena interro-garsi su questa totale con-dizione con la mia solitaaporetica domanda: strut-tura della forma o formadella struttura?Come per la viva socialitàdei napoletani, potremmochiederci ancora: essa èforma o è struttura com-portamentale?benjamin le mette as-sieme perché esse sono unautentico connubio.il tufo è il risultato di unaeruzione vulcanica esplo-

siva, i cui materiali si sono effusivamente de-positati, analogamente alla nostra storia.lungamente sedimentata, nel tempo. Fondaledella vita il tufo, sacra scena del quotidiano,perché – come ha mirabilmente scritto juan-Eduardo Cirlot, grande poeta e critico d’arte –la «pietra costituisce la prima solidificazionedel ritmo creatore… è la musica pietrificatadella creazione».

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ora tufo napoletano e architettura insieme can-tano («musica irrigidita», secondo Schelling oanche «musica ammutolita», secondo goethe)quale connubio musicalmente sensibile, rinno-vando il mito di orfeo che ordina le pietre percostruire una nuova città.Una nuova città. immediato è il rimando aNeapolis, città sempre canora, di una sonoritàinsediata dovunque finanche nel sottosuolo,nelle cavità e nella espansiva porosità della suaorografia vulcanica.a napoli, «il definitivo, il caratterizzato ven-gono rifiutati», essa «conserva lo spazio vitalecapace di ospitare nuove e impreviste costella-zioni» (benjamin). Ecco la storica caratteristica di ospitalità e ac-coglienza di tutto e di tutti (dal plebeo all’au-lico, dalla ricchezza alla povertà, dal bello allaido, dalla mitologia all’antropologia e cosìvia per molte altre categorie antinomiche) perla quale contrapposizioni e contraddizioni, chealtrove vengono rigettate, qui si stemperano, sipacificano, fondendosi come naturale incarna-zione e inclusività della città.Caratteristiche tali da resistere al divenire sto-rico e da suggestionare, per non dire folgorare,viaggiatori, intellettuali, turisti, stranieri, la-sciando in essi ricordi persistenti.Questi ricordi così durevoli, ancora una voltarinviano a Walter benjamin non tanto al suoAngelus Novus, che pure potremmo immagi-nare in volo, in una condizione diversa (senzala tempesta «che si è impigliata nelle sue ali»,ma solcando leggero l’aria e seguendo l’anda-mento della costa con la totalità delle rovineposte ai suoi piedi), quanto piuttosto alla suaconcezione di «ricordo», quale «reliquia seco-larizzata».infatti, Das Andenken, per il filosofo significa«oggetto-ricordo» legato alla nostra esperienzaesistenziale: «in esso si deposita la crescenteautoestraniazione dell’uomo, che cataloga ilsuo passato come morto possesso». Per benjamin il ricordo è reliquia perché pos-siede una sua oggettualità: «La reliquia deriva

dal cadavere, il ricordo dall’esperienza de-funta, che si definisce, eufemisticamente, espe-rienza vissuta».il ricordo, per quelli che hanno capacità eide-tiche, arriva finanche a essere intersensoriale,perché legato a suoni, odori, soprattutto a im-magini vive, dettagliate nei più minuti partico-lari e per queste incise e indelebili nella nostramemoria, anche se la percezione di esse è lon-tana nel tempo.ricorderemo quindi questo nostro tempo pre-sente, in stato di coazione domestica, nellostesso modo di “oggetto-ricordo”, sollecitati dafoto, filmati, ritagli di giornale?Penso di sì, sarà pure la caratteristica, tutta na-poletana, di leggere con fatalismo tra l’ironicoe l’onirico la realtà del coronavirus come sur-realtà-reale. Si tratta forse di una sensibilità ri-cettiva lungamente esercitata dal gioco dellavita, che è come quella del Lotto, dove la vi-sionarietà del sogno attribuisce veridicità allairrealtà?Provo a farne una diretta applicazione, pas-sando dalla filosofia all’antropologia Penso che tra silenziosa potenzialità del benja-miniano “oggetto-ricordo” e gioco (lotto otombola che sia), potremmo sinteticamente at-tribuire il numero 40, della nostra preziosaSmorfia partenopea ai mesi di chiusura in casa, permolti di forzata pigrizia, per non dire accidia.attenzione a questo numero di forte valenzasimbolica; non è solo il numero dei ladronidella famosa fiaba di alì babà! Pensiamo alsuo valore mistico, a come esso ricorra nume-rose volte nel Vecchio e nel nuovo testa-mento.Per il dissacrante popolo partenopeo 40 è ‘apaposcia, e va visto non solo nel significato diabbuffà ‘a guallera, per il fastidio derivantedalla forzosa segregazione subita ma anchedallo star fermo, dal non poter camminare, in-somma dalla totale staticità corporale che nederiva.«Ho detto tutto», avrebbe detto Peppino!

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CAMILLO CATELLIALLA RICERCA DELL'ARMONIA PERDUTA

di Antonio Grieco

Nei giorni bui del contagio, immersi nellalettura, siamo stati quasi naturalmente

spinti a riavvicinarci alla vita e alle opere di ar-tisti napoletani di cui negli ultimi anni sembrasi sia quasi del tutto cancellata la memoria. inalcuni casi, la loro biografia ha coinciso con lariscoperta di territori e comunità ai marginicompletamente oscurati da una globalizzazionedella cultura sempre più subal-terna alle leggi implacabili delmercato. Uno degli artisti napoletani checon la loro arte, ancora oggi, cipermettono di ricostruire pae-saggi, tradizioni, volti e storiedi microcosmi della nostra cittàai più sconosciuti, è senz’altroCamillo Catelli (napoli, 1908-1978), il pittore contadino deiCamaldoli1. Di lui in questigiorni abbiamo ritrovato tracceanche in Via Soffritto2, il librodedicato alla comunità conta-dina camaldolese dal nostro in-dimenticabile amico gennaro Di Vaio, cheintese rendergli omaggio pubblicando in coper-tina uno dei suoi dipinti più intensi e rappre-sentativi: Nevicata ai Camaldoli (foto n. 1), del1973. nelle sue opere, e per tutto il novecento,

Catelli ci ha mostrato la luce e i colori di unmondo incantato, magico, non ancora travoltodal consumismo e dalla distruzione selvaggiadel nostro habitat naturale. Ma la sua pittura,trasparente e luminosa, non fu mai tentata dal-l'oleografismo, e riuscì sempre – pur così di-stante dalle tensioni culturali e artistiche deltempo – ad interagire con i movimenti più vivi

dell'arte contemporanea euro-pea. L'originalità del suosguardo – quell'ansia di rappre-sentare le cose e gli uomininella loro primitiva semplicitàe purezza – colpì molti critici,artisti e scrittori italiani, i quali,talvolta accompagnati da Paoloricci – suo amico e tra i suoiprimi estimatori – si recavanoin quell'estremo lembo citta-dino, per scoprire da vicino ilsegreto di un'arte che, come os-servò guttuso, racchiude «tuttele virtù che si chiedono alla pit-tura: bellezza, freschezza, ener-

gia, dolcezza, verità»3. Catelli si trasferì ai Camaldoli dopo che la suaazienda – di cui era proprietario – andò, cometante altre, in rovina dopo la terribile reces-sione del 1929. Da giovane già dipingeva volti

Camillo Catelli, il pittore contadino dei Camaldoli, dipinse per tutta la vita un mondo incantatonon ancora travolto dal consumismo.

* * *

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familiari, opaesaggi ma-rini «affac-ciato ai bal-coni dellasua casa chedava sull'an-tica Villa delpopolo, ilvecchio giar-dino – ora di-strutto – oltreil quale si ve-devano lebarche e igrandi bat-

telli che entravano o uscivano dal porto, i pae-saggi animati dal lavoro degli operai, deipescatori, e dei marinai»4. ai Camaldoli, nelpodere ereditato da sua moglie, Catelli coltivòla terra aiutato dai suoi figli, iniziando a ritrarrecon continuità e passione tutto che vedeva in-torno a lui: alberi, cortili, animali, volti fami-liari, cieli, con uno stile molto personale. autodidatta, si è facilmente portati a pensarealla sua pittura come ad una pittura naïf, maquesta definizione nel suo caso è completa-mente errata, perché la sua “innocenza” non èstata mai prigioniera dell'ossessione identitaria,né del manierismo tipico dei pittori della do-menica. tutt'altro. Possiamo, infatti, conside-rare Catelli il più “locale” dei pittori napoletanie, al tempo stesso, l'artista più sensibile alnuovo, a «quella deformazione espressionisticache mira alla costruzione dell'immagine pun-tando unicamente sui sentimenti primari»5.Questa spontanea apertura alla modernità, oltreche in certi delicati paesaggi dove dominanogli spazi aperti insieme alla luce e ai colori

della nostra terra – come in Marina di Min-turno, Casa ai Camaldoli, Nevicata ai Camal–doli, tutti del 1973 – la cogliamo soprattuttonella serie dei ritratti di amici e familiari – sipensi a Ragazza che legge (1966), Ritratto diMatilde (1973, foto n. 2), Vladimiro (1970, foton. 3), Mezza figura (1972) – che colpiscono siaper la essenzialità compositiva, che per una ca-ratterizzazione dall'acceso accostamento cromatico. osservandoli più da vicino, questi ritratti, si hapoi l'impressione che – per dirla col jean-Lucnancy – il “Maestro dei Camaldoli” più chepuntare sulla rappresentazione fedele del sog-getto, abbia in realtà mirato a rivelarci la suapiù intima verità interiore6. Catelli, insomma,in queste come in altre opere, si allontana dauna semplice rappresentazione del reale, percogliere la dimensione più intima e vera deipersonaggi da lui ritratti e amati: con una chia-rezza ed energia espressiva che – anche neisuoi dipinti di più piccole dimensioni – li rendestraordinariamente vivi e “contemporanei”. Si

pensi, al riguardo, soprattutto a un'opera comeFrancesco (1950, foto n. 4) – dai tratti marcatie dai vivaci colori mediterranei (dal giallo al-l'ocra al rosa) – che ci mostra il ragazzo in unatteggiamento meditativo, con il dito accostato

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PREMIO GALASSO 2019

La giuria del Premio “Giuseppe Galasso” 2019 – indetto dalla Società na-poletana di storia patria –, formata da David Abulafia, Maurice Aymard,Renata De Lorenzo, Giovanni Muto e Guido Pescosolido, ha assegnato ilpremio al saggio di Egidio Ivetic, Storia dell’Adriatico (Bologna, Il Mulino,2019).

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alla bocca e gli occhi spalancati sul mondo. Una pittura barbarica, primitiva, questa di Ca-telli, in cui sembrano riaffiorare echi – comeattenti studiosi della sua arte hanno rilevato –dei maggiori artisti d'avanguardia del nove-cento europeo, da Schmidt-rottluff a ErichHeckel, per i suoi paesaggi «dal largo respirospaziale»7, sino al Picasso cubista della “scul-tura negra”. Questa contaminazione pittorica,che non ha nulla di formale o di estetizzante,la ritroviamo anche nelle sue numerose naturemorte – Interno-esterno (1975) o in Naturamorta (1974), in particolare – che sorprendonosia per il loro inedito “taglio cinematografico”,che per l'estrema libertà linguistica che le av-vicina all'arte astratta. il tono lirico delle im-magini di Catelli nasce da una resistenzasolitaria e silenziosa8, da uno sconfinato amoreper la pittura e da un autentico sentimento del-l'umano che ha un respiro antico. Ed è per que-sto che ripensando alle sue opere, non pos-siamo che concordare con guttuso che, riflet-tendo sulla sua esperienza artistica, osservò:

«Quando si farà una storia giusta della pitturaitaliana di questo secolo, quando saranno ab-battuti tutti i pregiudizi e saranno svaniti i fumidel cosmopolitismo e della moda, dovremometterci a cercare tra le rovine di tante gloried'oggi ridotte in polvere, e qua e là, fuori dallapubblicità, e degli interessi di mercato, trove-remo che ai Camaldoli o a ischia o a gallarateo a Siracusa o a orgosolo c'era qualcuno chefaceva pittura, per il suo privato piacere diesercitare l'esercizio della conoscenza, del-l'amore delle cose umane e degli uomini»9. Pa-role, queste del pittore siciliano, che in questotriste scenario globale, dove anche l'arte sem-bra ridursi a una merce tra le tante, ci spingonoa guardare alla pittura di Catelli come ad unseme prezioso che può aiutarci a ritrovare quel-l'armonia tra la natura e l'uomo che abbiamoda troppo tempo cancellato dal nostro sguardo.__________1 Sull'esperienza umana e artistica di Catelli, si veda P.ricci, L'opera completa di Catelli, napoli 1984; L. tal-larico, Catelli, tra reale e ideale, Ferrara 2005.2 g. Di Vaio, Via Soffritto2, napoli 2011.3 r. guttuso, in P. ricci (a c.), Catelli, napoli s.d. ma1974.4 P. ricci, Arte e artisti a Napoli (1800-1943), napoli1982, p. 227.5 Ibidem.6 Cfr. j.-L. nancy, Il ritratto e il suo sguardo, tr. it., Mi-lano 2002, p. 21.7 E. rathke, L'Espressionismo, Milano 1970, p. 17.8 Cfr. a. grieco, Camillo Catelli, resistenza solitariad'un artista al tempo della globalizzazione dell'arte, inPartenope, ottobre-dicembre 2013.9 r. guttuso, op. cit., p. 39.

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Al compimento del 10° anno, laFondazione Valenzi, che ha sede inCastelnuovo, ha messo in rete ils u o nuovo s i to Internet

(https://www.fondazionevalenzi.it/), nel quale sono presenti, oltre alla sto-ria dell’istituzione, anche i video del ciclo “La Memoria al tempo del virus”,curato da Lucia Valenzi, le mostre virtuali e la rubrica “Raccogliere segni”,nella quale i possessori di schizzi, disegni e ritratti realizzati da MaurizioValenzi, possono farne inserire le foto.

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Pagine vive.2

UNA LAPIDE A NAPOLIPER FERDINANDO FERRAJOLI

di Domenico Capecelatro Gaudiosodi Castelmorrone

Nel 1986, Domenico Capecelatro Gaudioso di Castelmorrone, che aveva dettato il testo dellalapide commemorativa di Ferdinando Ferrajoli, collaboratore “della prima ora” di questa te-stata, collocata accanto alla libreria Feltrinelli di piazza dei Martiri, ne ricordò la personalitàcon questo scritto, da noi pubblicato a suo tempo e che ora riproponiamo con piacere.

* * *

Ferdinando Ferrajoli, sulla scia del brunel-leschi, che assieme a tommaso di Ser gio-

vanni, soprannominato Masaccio, a Donato dibetto, passato alla storia con l’ap-pellativo del «Donatello», delbiondi e del bracciolini, quest’ul-timo un vero artista per vivacità disentimenti, fantasia arguta, espres-sione pronta e pittoresca, si dedicòalla scienza che mira alla ricostru-zione delle civiltà antiche non soloattraverso gli scavi archeologici,ma impegnandosi nello studio dellavaria e cospicua documentazionemonumentale dei prodotti artisticie delle iscrizioni, tendendo a con-giungere, secondo le regole della moderna ar-cheologia, lo studio della vita pubblica eprivata dei popoli classici con lo studio storicodell’arte antica.La passione che Ferdinando Ferrajoli mise nelsuo lavoro fu frutto del suo amore umanistico

per la riscoperta dell’antichità e dell’esigenzastorica di approfondire e di conoscere gli isti-tuti pubblici della classicità fuori della con-

sueta assimilazione a istituti con-temporanei.L’archeologia, per Ferdinando Fer-rajoli, fu contemplazione ed eleva-zione morale, perché egli amò lasua professione con l’attaccamentoe con l’onesta ambizione di non ri-manere indietro agli altri, col desi-derio vivo di rivelare, per propriasoddisfazione, le sue capacità d’in-terpretazione in una gara con sestesso, impegnando profonda vo-lontà in un immane sforzo di po-

tenziare ed accrescere le proprie capacità, dicui la natura, nei suoi confronti, per la verità,non era stata avara.Da uomo impegnato poneva nel suo lavoro se-rietà, sagacia e zelo, una cura attenta, diligente,meticolosa, con l’impiego di tutta la volontà e

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di tutte le sue forze.È classico tutto ciò che appartiene alla antichitàgreca e latina, ma è classico anche il giudiziodi valore, perché il termine ha significato ancheper ciò che è perfetto, che è eccellente, tale, inuna parola, da servire come modello di unaforma d’arte e che costituisce, quindi, una tra-dizione, oppure che è legato ad una tradizionemigliore, tanto che da questo significato acces-sorio del termine deriva l’uso estensivo dellaparola per definire le opere degli uomini insi-gni e le opere eccelse, dando origine nel lin-guaggio comune, a frasi come «è un’operadivenuta classica» cioè d’importanza fonda-mentale; oppure: «questa è classica» per dire«questa è bella».Ferdinando Ferrajoli amò il mondo classicoperché nel classicismo trovava se stesso, sicompletava, si perfezionava, si realizzava.Fu artista perché non solo nella sua attività in-faticabile di archeologo ebbe indiscusso virtuo-sismo ed abilità tecnica, ma perché fu pittoree, quindi, trasmise anche in questo campo l’e-spressione non solo della sua capacità, ma lasua predilezione per il classicismo, principioinformatore di ogni attività.Fu poeta e tradusse in forma concreta il propriocontenuto spirituale, esprimendo intensità disentimenti.Fu scrittore e Max Vajro, come ebbi occasionedi ricordare allorché presentai il libro napoli eil golfo di Ferdinando Ferrajoli al Circolo ar-tistico Politecnico di napoli, lo definì, in unsuo scritto «una delle più amabili figure del-l’ambiente culturale dell’ultima napoli e forsel’ultimo degli studiosi amorevoli della storia edell’arte di napoli nel solco tracciato dal Ca-passo, da gino Doria e dal De Filippis».Ernesto Pontieri, che per un lungo spazio ditempo, profuse agli altri il suo sapere, con pre-stigio e onore dalla cattedra di Storia dell’uni-versità di napoli, e che fu Presidente di quelglorioso sodalizio che è la Società napoletanadi Storia Patria, a cui mi onoro di appartenere,affermò che Ferdinando Ferrajoli, nei suoilibri, « porta l’impronta della sua appassionatavocazione di discorrere pacatamente e lucida-mente del passato di napoli in modo precipuo

in mezzo ai napoletani », per cui ci viene spon-taneo aggiungere che Ferdinando Ferrajoli fuamante appassionato di napoli, sua città diadozione, per avere avuto i natali a Sant'EgidioMont’albino, in provincia di Salerno, ove ilComune gli ha dedicato una lapide marmoreain ricordo, la cui leggenda fu da me scritta suincarico di quella amministrazione Comunale,così come è stato per la targa marmorea, sem-pre a ricordo di Ferrajoli, inaugurata nell’isoladi Procida, ove egli attese a numerosi ed im-portanti lavori, e così come è stato per la targamarmorea che oggi inauguriamo, apposta dalComune di napoli, per la quale, su incaricodell’amministrazione Comunale di napoli, hoavuto il privilegio di scrivere la leggenda.Ferdinando Ferrajoli fu affascinato dalle bel-lezze naturali di questa città, dalla sua storia e,perché no, dalla sua miseria, che fa di questanapoli un triste ricettacolo di brutture e di ab-bandono: la disoccupazione, la droga, il mal-costume, l’estorsione, gli scippi, le rapine, cheallontanano dalla città ogni forma di turismocon grave pregiudizio per l’economia napole-tana, e che, in una parola, fanno di napoli lacittà che desiderò e volle, nel lontano 1860,quel triste figuro di Liborio romano, apparso,in una luce sinistra, sulla scena politica al tra-monto del reame di napoli.Una situazione preoccupante e disastrosa cheaddolora e per la quale io, figlio di questa na-poli, nonostante tutto, sento attaccamento eamore, e per la quale scrissi, in una rivista Me-ridionalistica, una accorata preghiera, nellasperanza di rivedere napoli risorgere.E con questa speranza che non ci auguriamo,in un avvenire non lontano, che ritorni la na-poli che Volfango goethe, nel 1787, così de-scriveva: « un Paradiso dove ognuno vive unaspecie di ebbrezza e di oblio di se stesso », unanapoli, insomma, onesta, ordinata, nella qualetrovino luogo spazio manifestazioni comequella di oggi, che in via Cappella Vecchia havisto riuniti un gruppo di galantuomini, peronorare la memoria di un galantuomo, virtuosoin arte e in letteratura, che, con le sue opere, hareso illustre il suo nome.

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QUALE NAPOLI DOPO IL CORONAVIRUS?

di Nico Dente Gattola

Come una tempesta inesorabile il c.d. coro-navirus si è abbattuto anche sulle nostre

zone, in un’area del paese che già di suo avevaforti problemi.Dai primi di marzo, tutto è cambiato, constrade deserte, gente chiusa in casa con inp r i m ol u o g oprofondicambia-m e n t ia n c h en e lcompor-tamentodei na-poletani,di solitogiovialie disponibili all’incontro con il prossimo.Fa un certo effetto vedere come la maggio-ranza di noi abbia riscoperto il balcone comemezzo di contatto con il prossimo, quasi avoler inconsapevolmente imitare il grandeEduardo.il primo tangibile effetto di quest’epidemiacosì infida è questo, ovvero l’avere modificatoil modo di vivere genetico di un popolo, abi-tuato da sempre a vivere gli spazi aperti ad in-contrarsi e nell’avere un’ampia gestualità non-ché a vivere pubblicamente ogni momento difesta sia religioso o laico.

inoltre le strade di napoli prima erano piene divita, mentre adesso sono deserte e si può per-sino sentire il rumore dei passi o non è nem-meno inverosimile sentire, mentre si cammina,la voce di una mamma chiamare i figli a tavolaper pranzo, mentre prima l’inquinamento acu-

s t i c o ,i m p e -diva dis e n t i r equalsiasicosa.Ci sonop e r òa n c h ea s p e t t ipositivi,anche separados-

sali, in questa fase, come la rivincita della na-tura, con un fiume come il Sarno che statornando limpido o come le coste del litoralecasertano o anche il lungomare di napoli chesembra per qualcuno addirittura più limpidodella Sardegna.ancora pensiamo ai continui controlli delleforze dell’ordine nella c.d. zona della terra deifuochi, che hanno portato ad una riduzione deiroghi, perché loro malgrado anche i delin-quenti, che abitualmente si adoperano in questespregevoli pratiche, si sono astenuti loro mal-grado.

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Ecco, se al termine dell’emergenza, solo siavesse il coraggio di adottare misure reali a so-stegno dell’ambiente i nostri territori ne gua-dagnerebbero; si riuscirà? difficile dirlo, disicuro è auspicabile un differente modo di ge-stire il rapporto con il territorio.Solo così si potrà dire che il Covid-19 avràavuto non soltanto un lascito negativo e sipotrà dire che da una tragedia si può generarebenessere e nuova opportunità.Da qualsiasi lato si guardi, siamo, in definitiva,al cospetto di una storica unica, che ha modifi-cato, temporaneamente o no, ancora non è datosaperlo, le nostre abitudini frutto di millenni,di commistioni con altri popoli, e che avevanoportato le popolazioni del meridione d’italia afare dell’accoglienza una vera e propria regola,sulla scorta di disposizioni governative.al principio quando furono emesse le misuredel c.d. lockdown, però si è levata più di unaperplessità sulla capacità del napoletano di riu-scire a rispettare misure così rigide e restrittivedella libertà di movimento: a distanza di più didue mesi la sfida si può dire vinta con cittadiniche hanno dimostrato piena maturità.Chiaro che un evento di questo genere ha forticonseguenze anche dal punto di vista econo-mico, con tante persone che si sono trovate anapoli come altrove letteralmente sul lastrico,con un’economia intera da ripensare.basti pensare all’apertura di tanti Bed & Bre-akfast nell’area napoletana, che costituivanouna valida fonte di sostentamento per tanti,visto il flusso di turisti che stava approdandonelle nostre aree o ai tanti impegnati nel settoredella ristorazione.Come ricostruire un settore come quello del-l’accoglienza e del turismo quando tutto saràfinito? sarebbe auspicabile aumentare a napoligli spazi all’aperto da far utilizzare ai locali,con una politica che privilegi negli aiuti i B&Bche mostrano di rispettare le normative in ma-teria.alcuni pensano che non sia un male il venirmeno del turismo c.d. di massa; certo non portasolo benefici ma è indiscutibile che si tratti diuna fonte di reddito per tante persone e checonsente di far maturare una prospettiva di vita

differente a tanti.auspicabile sarebbe, in tal senso, partire dai di-sagi del coronavirus, per effettuare interventi afavore del turismo anche in zone di napolimeno turistiche, per esempio con incentivi eco-nomici riservati a chi apre un ristorante o unbar; si potrebbe obiettare che a lungo bisogneràevitare gli assembramenti ma non si tieneconto del fatto che vi sono zone di napoli unpo’ più periferiche, che potrebbero giovarsidella nascita di nuove strutture.Per dire, potrebbe essere lo spunto per dare fi-nalmente una prospettiva differente a zone dinapoli come i Vergini o Porta Capuana o For-cella, che fino ad oggi non hanno minima-mente usufruito del rilancio del turismo anapoli, con evidenti ricadute anche per l’eco-nomia e la vita cittadina.Senza contare che in questo modo si potrebbefavorire una distribuzione, più corretta deiflussi turistici, alleggerendo zone come i De-cumani che oggi sono fin troppo inondate daituristi, ottenendo in tal modo un duplice ef-fetto: da un lato migliorerebbe la qualità dellavita delle zone più frequentate e dall’altro nellestesse ci sarebbe una minore usura dei monu-menti; una serie di aspetti da non sottovalutare.insomma per quanto paradossale in certi set-tori, un evento come il coronavirus, potrebberivelarsi un’opportunità, sempre che si fac-ciano interventi costruttivi e coerenti con lanuova “vita” che stiamo vivendo. Sempre apatto che si abbia finalmente il coraggio disemplificare le regole a napoli e di consentirefinalmente un vero sviluppo economico dellacittà; sviluppo che non deve essere però assi-stenzialismo. Per intenderci sarebbero da evi-tare errori come in altre grandi calamità comeil terremoto, in cui vi è stato un enorme af-flusso di fondi, distribuiti con criteri opinabilie a pioggia, senza una vera prospettiva di svi-luppo, anche per evitare appetiti criminali: cri-minalità organizzata, che in assenza di concretemisure a sostegno dell’imprenditoria locale,specie attività commerciali, rischia di fare unsalto di qualità, anche perché spiace dirlo, masi presta a rispondere molto più velocementealle richieste di credito o di aiuto che le pro-

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vengono.La camorra sa bene come “fare impresa” ecome inserirsi nei circuiti commerciali e in unmomento come questo sarebbe essenziale ac-celerare le procedure di aiuto non solo al set-tore economico ma anche all’intera cittadi-nanza napoletana.Da più parti infatti si sono sollevate grida d’al-larme sul fatto che la camorra stava provve-dendo al sostentamento materiale con la spesasettimanale di numerose famiglie bisognose,aiuto che non è ovviamente disinteressato maè teso ad acquisire benevolenze per aiuti futuri,ovvero per l’arruolamento nelle sue fila; questoperché lo stato non è stato in grado fino ad oggidi predisporre un sistema efficiente per prov-vedere ai bisogni dei più bisognosi, problemache si avverte particolarmente dalle nostreparti.intendiamoci, nulla è perduto anche perché,purtroppo, i prossimi mesi saranno ancora piùduri dal punto di vista economico e della crisiche allo stato è un concreto lascito del corona-virus a napoli, ma occorre un reale cambio dimentalità e di gestione delle risorse pubbliche,cosa difficile dalle nostre parti, ma unico rime-dio possibile.La mancanza di progetti e di annessi interventiconcreti e coerenti si avverte in questo periodoanche per le politiche giovanili, con il mondodella scuola in prima fila. intendiamoci, è statoutile in questo periodo il ricorso alle c.d. le-zioni online per le classi, ma anche qui po-trebbe essere l’occasione per informatizzarecategorie sociali di ragazzi che ne sono ad oggitagliate fuori, e che invece in presenza di ade-guati interventi e di politiche audaci potrebberoavere prospettive fino ad oggi sconosciute,come una concreta politica tesa ad assicurareun p.c a tutti i ragazzi che ne hanno bisogno ea non lasciare nessuno indietro, accompagnatada un adeguato tutoraggio che significa anchemaggiori risorse per tutto il comparto scuola:ciò almeno nel sud porterebbe dei benefici diportata storica. Ed è ovvio che ciò si dovrebbeaccompagnare ad un piano di assunzioni di do-centi anche con in primo luogo una stabilizza-zione dei tanti precari.

tutte cose, queste, che presuppongono misureeconomiche urgenti che solo un evento comequesto parrebbe assicurare (impensabile ciò intempi normali), ma che darebbero finalmenteuna diversa dimensione agli interventi straor-dinari per eventi eccezionali, effettuati a na-poli e nel Mezzogiorno in generale.insomma ci si deve augurare che un eventocome il coronavirus possa segnare uno spar-tiacque nella gestione dell’emergenza, con in-terventi nella fase del post per una volta nonutili ad assicurare assistenza ma a generareprospettive di sviluppo per i beneficiari.Una simile visione politica avrebbe effetti an-che nei rapporti con il governo centrale e conle regioni più ricche del paese, che nella loroparte più sana (c’è anche questa) comprende-rebbero il vantaggio di avere finalmente un sudal passo.Si tratta di un passaggio essenziale e forse diun treno che non passerà più, vista la continuariduzione di risorse a disposizione di eventi delgenere e della sempre minore percezione di so-lidarietà nel paese italia.insomma anche un evento luttuoso e foriero diproblemi come il coronavirus, può avere un la-scito positivo dalla sua fase emergenziale, peròa patto di affrontare da parte della classe poli-tica meridionale differentemente la fase suc-cessiva all’emergenza, gestendo la stessa emer-genza con criteri innovativi e non assistenziali.napoli e il Mezzogiorno si trovano davanti aun bivio: o rischiano di essere travolti dal-l’emergenza e di precipitare in una miseria an-cora più profonda, o al contrario questa fase diemergenza può essere l’occasione per superarevecchie logiche e proporre nei settori vitali unnuovo modello di gestione, ovviamente conuna progettualità coerente che fino ad oggi èsempre mancata.Che napoli e che sud ritroveremo dopo il co-ronavirus? Certo dipende dai tempi e dai modicon cui sarà vinto, ma dipenderà anche dacome sapremo impostare gli interventi nellafase successiva: è difficile ma possibile un ef-fetto positivo.

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LA “BELLA ‘MBRIANA”

di Marisa Lembo

Una piccola nostalgia infantile mi fa ‘rie-vocare’ la Bella ‘Mbriana nei fatati rac-

conti della mia compagna di banco alla scuolaelementare. Luisa era,a differenza di me, diverace estrazione po-polare napoletana eparlava con l’assertivasicurezza di chi esponeelementi fondanti unastruttura culturale in-dubbia e identitaria: io,come il pastore dellameraviglia nel presepe,ad ascoltare, prona einferiore, questa auto-revolezza.Scoprii successiva-mente che ve ne eranotracce in scrittori, sto-rici, poeti, come g. b.basile, Matilde Serao emolti altri, minori, oltreche nella cultura tradi-zionale napoletana: tutte vagheggiando questaimportante figura della sua antropologia.Lo spirito femminile della casa, la Bella‘Mbriana, appunto, benevola e accogliente, ri-chiedeva rispetto e una filiale confidenza dagliabitanti (specie le donne) del nucleo familiare;compensava poi lautamente questa dedizionecon un gioioso clima di armonia, di piccole

complicità, di affetti relazionali, che, pur im-palpabili, fanno la forza di un tessuto parentale,soprattutto nelle difficili prove della vita.

Presenza diafana, qua-si angelica, dunque,che una leggera folatadi vento su una tendapuò rivelare, o un im-percettibile soffio, uncasuale ritrovamentodi insignificanti oggettiperduti, soldi ripescatiin tasche dimenticate,provvidenziali frasicòlte in libri fuori po-sto, improvvise sorpre-sine, guizzi di ispira-zioni illuminanti e de-cisive e mille positiviepisodi inspiegabili.tutto potrebbe sem-brare proiezione di sé:razionalizzando si par-la sempre di casualità,

di coincidenze fortuite, ma il filo rosso inter-pretativo, che senza forzature l’intuizione fem-minile napoletana scorge naturalmente, con-duce, con suggestiva levità, a questa eterea‘anima’ della casa. Essa è solare, luminosa,quasi ‘numinosa’; l’unanime responso etimo-logico è, infatti, dal latino meridiana, sia per leore meridiane in cui si può indovinarne la pre-

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senza, quasi mai la vista, sia per l’ombra chein quella parte meridiana del giorno può acco-gliere e proteggere i suoi devoti. Le si deve, però, riconoscere un posto, unruolo, una funzione significativa nella casa,non solo come un genius loci, ma come una vi-vificazione della dimora, come alveo maternoprotettivo, affettivo e rigenerante per i compo-nenti della famiglia ospitata, la quale le devesentimenti di gratitudine, di ossequio e anchepiccole attenzioni rituali, come lasciarle unposto riservato a tavola, un informale ma de-ferente saluto in entrata e in uscita di casa...non si deve, quindi, indispettirla con apostrofiderisorie o considerazioni offensive sull’inade-guatezza della casa, sulle falle, tanto meno conimprecazioni contro una non confortevole abi-tabilità. Si vendicherebbe fino alla morte: lareazione ad un vero tradimento!invece, schiva e fattiva come vuol essere, sitrasforma, se intravista, nell’utile geco che ciprovvede al servizio di bonifica dagli insettidentro le mura domestiche.L’origine della munificenza di questa semi-di-vinità verso la casa e i suoi occupanti se inti-mamente reverenti, espressa in forme materialie psicologiche, ha una matrice storica, così tra-mandata unanimemente: una principessa, acausa di una tragica disgrazia del suo amato,impazzì; andava quindi vagando senza meta, sifermava ogni giorno in una casa diversa, dovesempre trovava accoglienza e invito a pranzoun po’ per compassione un po’ per reverenza.il re, suo padre, in segno di scusa e di ricono-scenza per l’invadenza della figlia, a ciascunafamiglia ospitante faceva recapitare doni e be-nevolenze. nacque così la consuetudine popo-lare di salutare la benigna presenza di un numetutelare della casa, dotato di femminile bel-lezza e prodigalità, e una sua peculiare discre-zione. È per questo che molti artisti, attori ecantautori come Pino Daniele, non con robo-anti rievocazioni ma con filiali saluti teneri egrati ricordano nelle loro composizioni la Bella‘Mbriana.Vi è tuttora un afflato commosso e raccolto siadelle popolane dei vicoli sia di composti si-gnori dei quartieri borghesi di napoli, che non

trascurano, pur col sorriso ammiccante, l’osse-quio a questa influente figura atavica della vi-talità buona della casa; come del resto si usavaanche nell’antica romanità, quando si accende-vano lucerne a mo’ di tributo simbolico di lucee di calore a queste divinità minori, propizie al-l’ambito domestico e alla famiglia che l’abi-tava.gnomi, folletti, elfi, ninfe, satiri, sirene, semi-dei hanno sempre popolato le cosmogonie, lanarrativa, la favolistica di tutti i tempi e a tuttele latitudini, inducendo gli umani al rispetto diogni espressione, naturale e culturale, del suohabitat. Era solo superstizione? Era timore direaltà misteriose non decifrabili da rabbonireper neutralizzarne la potenza? Vogliamo ancheall’uopo forzare il pensiero di un ‘loico’ comeguido Cavalcanti, amico di Dante, che nellesue liriche accennava a ‘spiritelli’ (in qualsenso?). Molti altri scrittori e filosofi, lo sap-piamo, non trascuravano piccoli rituali propi-ziatori o apotropaici.L’effetto qual è comunque? Una rispettosa au-tolimitazione deferente e grata, un sommessoriconoscimento dell’identità di monti, boschi,fiumi, rocce, case, in passato come ora, in un’empatica coabitazione fra entità diverse in ununico organismo vivente.acquisire questo insegnamento oggi ci giove-rebbe in questa troppo violata biosfera, cosìcome nella nostra dimora, dove come in un‘nido’ pascoliano ci siamo rifugiati ora che unminaccioso esterno pandemico ci ha necessa-riamente ricondotti alla amniotica sicurezza delnostro interno domestico. anzi, riprendendol’espressione da un articolo di tomaso Monta-nari «Fate una casa, non un appartamento!»,pronunciata da padre Davide Maria turoldoper un matrimonio a Firenze, possiamo tesau-rizzare il consiglio di dare un’anima, disponi-bile e accogliente, alla nostra casa, perché siaaperta a tutti, solidale, munifica, luminosa-mente pulsante.noi napoletani, e forse gli altri ce lo invidiano,di quest’anima benefattrice della casa eredi-tiamo già per naturale via filogenetica l’habituse il nome: la Bella ‘Mbriana.

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Secondo alcuni studiosi, a causare l’estinzione deidinosauri sarebbe stata la caduta di un meteorite,che avrebbe prodotto un cratere di 200 chilometridi diametro, dal quale essi sarebbero stati inghiot-titi. Sembra più credibile, però, che la fine di quellaspecie sia dovuta a un virus, simile al coronavirusdi oggi, dal quale sarebbero stati contagiati. (A.F.)

LA PIZZA

La pizza fu inventata nell’antichità e gli abi-tanti di Palepoli, di Pompei, di Ercolano la

mangiavano coperta di miele, perché il dolcefuoco del pomodoro fu importato dall’ame-rica, da Cristoforo Colombo, nel 1492. Se-condo alcuni, addirittura sarebbe stata inven-tata dai Fenici, che im-pastavano lievito e fa-rina e la cuocevano suuna pietra rovente: inrealtà, i Fenici inventa-rono soltanto l’alfabeto;più probabilmente a in-ventarla furono i greci,o meglio i Cumani, po-polo che dalla turchiasi stabilì a nord di Mi-seno nel sec. Xi a.C.oggi tutto il mondo si ciba di questa preliba-tezza, ma come la si mangia a napoli è tuttaun’altra cosa: forse sarà l’acqua, o forse ilclima.Le pizze possono essere fritte o al forno: lefritte si imbottiscono con pomodoro, prosciuttoe provola, si accompagnano con la marsala all’uovo e a napoli sono dette “battilocchio” (se

di forma allungata) oppure “oggi a otto”, per-ché il popolo poteva – e può – gustarle oggi epagarle dopo otto giorni. La pizza al forno, in-vece, si prepara con pomodoro, origano e olio,o con pomodoro, mozzarella, olio e basilico, esi cuoce in un forno di mattoni, col fuoco fatto

con pezzotti di legnosecco, e dopo un po’ ditempo i mattoni assu-mono un colore bianca-stro, per l’alta tempera-tura; si accompagna conla birra. nella mia casadi Procida, che è del‘500, c’è un forno nelquale le pizze cuocionomolto bene.alla regina Margherita,

una volta, venne voglia di gustare una pizza:andò in una pizzeria nei pressi di via Chiaia eil pizzaiolo inventò la pizza “Margherita”, fattacol “tricolore”: mozzarella, pomodoro e basi-lico.tante volte con amici e parenti sono stato aVico Equense, da “gigino”, aperto dal 1950, adegustare la pizza “a metro” o “a chilometro”:

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di Antonio Ferrajoli

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PER IL CENTENARIO DI LEONARDO

Vogliamo brevemente ricordare Leo-nardo da Vinci, il cui quinto centenariodella morte (1519) si è da poco con-cluso. Nato a Vinci, in Val d’Arno, nel1452, egli era un uomo di poliedrico in-gegno: scultore, pittore, architetto, fi-sico, ingegnere, musicista e poeta, escriveva da destra verso sinistra; la suavita, che durò “appena” 67 anni, fu in-

tensissima. Nel periodo in cui visse a Milano dipinseil Cenacolo, in S. Maria delle Grazie, l’Annunciazione,che ora è agli Uffizi, la Vergine delle rocce, che ora èal Louvre. Morì in Francia, ospite di Francesco I. Lasua Gioconda, che pure è a Parigi, è affascinante e isuoi occhi seguono quelli che la guardano. (A.F.)

era un piccolo locale, che ora si è ingranditoenormemente. Per una coppia va bene quella“a metro”, ma per i gruppi si serve quella “achilometro”, su un lungo portapizza, e ognunotaglia la sua porzione.Un tempo lontano, a napoli alcuni giovani piz-zaioli giravano per le strade e per i vicoli, conun contenitore di metallo dal coperchio foratoai lati mediante dei coni, per vendere le pizzecalde, e gridavano: «Pizze», perché a queitempi il telefono non esisteva ancora: oggibasta una telefonata e, quasi subito, arriva lapizza in un contenitore termico di cartone.in Campania le pizzerie sono moltissime: perquelle fritte è famosa una nel mercatino nellevicinanze dell’ospedale “Loreto mare”, che oraha una succursale in piazza Vittoria. a Capri visono molte pizzerie, e così anche a ischia, doveuna confeziona una pizza chiamata “Perla”,perché sopra ha molte fette di prosciutto dispo-ste a forma di onde, con al centro un boccon-

cino di mozzarella (la “perla”). tra le pizzeriedi Procida – dove si gusta una pizza, chiamata“Corricella”, che ha il cornicione imbottito –vanno menzionati il “Cantinone”, le “grotteblu” e, a piazza dei Martiri, la “Piazzetta”; traquelle di Sorrento, l’“aurora”. a napoli ve nesono tantissime, soprattutto a Spaccanapoli, alVomero, a Posillipo e a Mergellina: tra quelleche preferisco, menziono “Lombardi” (del1930), il “trianon” (1928), “Umberto” – cheda quattro anni ne ha compiuti cento –, “gori-zia” (1916) e “Port’alba”, accanto alle Muragreche di piazza bellini, scoperte dall’archeo-logo Ferdinando Ferrajoli.Per me è tradizione, ogni lunedì, dopo il cine-forum del “Filangieri”, andare con mia mogliee i miei amici da “Mattozzi”, a mangiare la“montanara” o la “margherita” (magari conl’aggiunta di qualche funghetto), piegata “aportafoglio”.

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’A PASSIONA ’E GIÉSUCRISTOraccontata attraverso i modi di dire della lingua napoletana

di Claudio Pennino

Dopo la cena con i suoi discepoli, (quellache fu l’Ultima Cena), gesù si ritirò in

preghiera nel giardino di getsemani, appenafuori gerusalemme. nel frattempo giuda isca-riota, avvisati i sacerdoti, li condusse di notteal getsemani, dove gesù venne arrestato.L’apostolo giuda detto “iscariota”, si offrì diconsegnare gesù nelle mani dei suoi nemici incambio di trenta monete d’argento, e per indi-carlo ai soldati mandati dal Sinedrio per arre-starlo, gli diede un bacio: ’o vaso ’e Giuda, ilbacio del traditore. Espressione che si usaquando una lusinga cela il tradimento.nell’orto degli Ulivi, intervenendo in difesa digesù, Pietro recise un orecchio, che però il Si-gnore subito riattaccò, al servo del sommo sa-cerdote, di nome Malco, che i napoletani hannocorrotto in Marco, coniando l’espressione: chi-sto è chillo ca ha tagliato ’a recchia a Marco.L’episodio è narrato da giovanni nel suo Van-gelo (18,10): «allora Simon Pietro, che avevauna spada, la trasse fuori, colpì il servo delsommo sacerdote e gli tagliò l’orecchio destro.Quel servo si chiamava Malco. gesù alloradisse a Pietro: rimetti la spada nel fodero: ilcalice che il Padre mi ha dato, non dovròberlo?».La locuzione è usata ironicamente per indicareun attrezzo che abbia perduto le proprie fonda-

mentali attitudini di destinazione; per esempio,un coltello che ha perso l’affilatura e non è piùadatto a tagliare, come la tradizione vuole siaaccaduto con il coltello con il quale Simon Pie-tro recise l’orecchio di Malco.Quelli che avevano arrestato gesù lo condus-sero dal sommo sacerdote Caifa, presso il qualesi erano riuniti gli scribi e gli anziani. Pietro in-tanto lo aveva seguito, da lontano, fino al pa-lazzo del sommo sacerdote, per vedere comesarebbe andata a finire.Se ne stava seduto fuori, nel cortile, quando al-cune serve lo riconobbero e gli dissero: «an-che tu eri con gesù, il galileo!». Ma egli negò.Poi uscì fuori verso l’ingresso e un gallo cantò.Ma la serva continuò a dire che lui stava congesù, e lui negò per la seconda volta dicendo:«non conosco quell’uomo!». Ma i presenti in-sistevano, e gli si facevano contro e lui, per laterza volta, cominciò a imprecare e a giurare:«non conosco quell’uomo!». E subito un gallocantò. E Pietro si ricordò della parola di gesù,che aveva detto: «Prima che due volte il gallocanti, tu mi rinnegherai tre volte». E, uscitofuori, pianse amaramente.i napoletani, prendendo spunto da questo epi-sodio evangelico, dicono cantà ’a Passionecomm’ ’o gallo, all’indirizzo di chi viene a pre-sagirci disgrazie o a raccontarci cose affliggenti.

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La mattina del venerdì, appena fatto giorno, isacerdoti condussero gesù incatenato da Pon-zio Pilato, il quale lo inviò da Erode antipa.Questi, dopo averlo interrogato, lo rimandò in-dietro. Questo peregrinare cui fu costrettogesù, questo scarico di responsabilità tra Pilatoed Erode è ricordato nella fraseologia napole-tana con l’espressione mannà da Arode a Pi-lato, e significa, appunto, mandare qualcuno ingiro, da un luogo all’altro, a vuoto per evitaredi assumersi una responsabilità.P o n z i oPilato fuprocura-tore roma-no gover-n a t o r edella giu-dea dal 26al 36 d.C.ed è ricor-dato per ilruolo pre-m i n e n t eche ebbenella Pas-sione diC r i s t o .benché consapevole dell’innocenza di gesù,secondo i Vangeli, permise ugualmente la suacrocefissione incolpando le gerarchie giudai-che per la condanna, pur essendo l’unica auto-rità in grado di decidere una condanna a morte.nel Vangelo secondo Matteo, si narra che Pon-zio Pilato, non volendo decidere della sorte digesù, accusato di essersi proclamato re deigiudei, si lavò le mani in pubblico, dicendo«non sono responsabile di questo sangue»,consegnandolo al popolo che lo con- dannòalla crocefissione.Sono molti i modi di dire napoletani legati allafigura di Ponzio Pilato e alla Passione di Cri-sto, primo fra tutti lavarsene ’e mmane, che sidice per indicare il gesto di una persona che sisottrae alle proprie responsabilità, che nonprende posizione e lascia che altri decidano perlui: Se n’è lavato ’e mmane.Pilato, dunque, fu il giudice del processo:

gesù, prostrato, stava ê piede ’e Pilato, espres-sione che si usa per indicare una persona cheversa in un pessimo stato, sia fisico, che mo-rale, che economico. Pur tuttavia, Pilato giu-dicò gesù innocente e, per accontentare igiudei, annunciò di volerlo castigare severa-mente, sottoponendolo al supplizio della fla-gellazione, tramite bastoni, verghe e gatto anove code, strumento quest’ultimo che consi-steva, nella tipologia romana, in un corto ba-stone cui erano assicurati diversi lacci che

termina-vano conartigli me-t a l l i c i ,piombi es c h e g g ed’ossa cheprovoca-vano tre-m e n d el a c e r a -zioni efratture altorturato.nel preto-rio, gesùvenne fla-

gellato e coronato di spine da parte della coorteromana. Da tale episodio scaturisce l’espres-sione hê ’a purtà ’a croce si vuò ’a curona,usata quando si vuol significare che la meta siraggiunge solo con grandi sacrifici: ovvia-mente, in senso antifrastico, la “corona” èquella di spine.Dopo la flagellazione, Pilato mostrò alla follagesù con il volto sanguinante e coronato dispine e disse: «ecce homo», parole che i napo-letani hanno corrotto con l’espressione “acci-omo”. infatti, paré n’acci-omo, si dice all’indirizzo di una persona ridotta in pessime con-dizioni fisiche; ma anche, insanguinata per per-cosse o piaghe.Ma i giudei non si accontentarono e la folla,da essi sobillata, chiese a gran voce, ed ottenne,la sua condanna a morte. Decisero allora dimettere a Cristo ncroce, che nel linguaggio fi-gurato significa tormentare qualcuno fino a

Hans Memling, La Passione di Cristo (1470 - torino, galleria Sabauda)

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farlo spazientire.gesù si avviò con la Croce al Calvario e sulgolgota, che significa «Luogo del cranio»,venne crocifisso con due malfattori. all’orasesta, ossia a mezzogiorno, per effetto di un’e-clissi solare il cielo si fece buio su tutta la terrafino alle tre del pomeriggio. Sulla croce gesùsoffriva atroci tormenti. ancora oggi, dire ar-redurse comm’a Cristo nfacci’ ’a croce, vuoldire ridursi in un pessimo stato sia fisico chemorale; essere una persona degna di pietà ecommiserazione.gesù chiese aiuto pronunciando la parola sitio,“ho sete”. Un soldato corse a prendere una spu-gna, la inzuppò di aceto, la fissò su una cannae gli dava da bere. in napoletano, infatti, fà nusizia sizia, vuol dire lamentarsi, lagnarsi, essereossessivamente petulante. alle tre del pome-riggio, la terra tremò e le rocce si spezzarono:gesù morì sulla Croce a soli 33 anni. non c’ènapoletano, ancor’oggi, che nel sentire pronun-ciato il numero 33, non dica, con vivo senti-mento religioso: ll’anne ’e Cristo.Quando venne deposto dalla Croce, gesù davadi sé l’immagine di una persona distrutta daldolore e dalle sofferenze. Chi, infatti, è ridottoin cattive condizioni fisiche, debole e pallido,nella nostra parlata diciamo che pare nu Cristoschiuvato.Spogliato delle sue vesti, alcuni soldati divi-sero in più parti la sola tunica di cui era rico-perto; era credenza popolare che il possedereun lembo della camicia di un giustiziato por-tasse fortuna. Perciò, sparterse ’a cammisa ’eCristo, si dice oggi all’indirizzo di coloro che si di-vidono o contendono una cosa di per sé già esigua.Vi erano là anche molte donne, che osserva-vano da lontano; esse avevano seguito gesù

dalla galilea per servirlo. tra queste c’eranoMaria di Màgdala che proruppe in un piantostraziante, il cosiddetto chianto â Matalena,che si dice, con tono sconsolante, quando ci sitrova al cospetto di una persona o di una situa-zione pietosa, di estrema miseria, che rattristaenormemente, di profondissimo dolore. il rife-rimento, appunto, è alla scena straziante delpianto della Maddalena, presente con altredonne, ai piedi della Croce.Deposto nel sepolcro, il terzo giorno dalla suamorte in Croce gesù risuscitò lasciando il se-polcro vuoto. nel Vangelo di giovanni (20,19-27), gli apostoli raccontano di aver visto gesùrisorto. Ma tommaso risponde: «Se io nonvedo nelle sue mani l’impronta dei chiodi enon metto il mio dito nel posto dei chiodi e lamia mano nel suo fianco, non crederò». ottogiorni dopo Cristo riappare agli apostoli e ri-volgendosi a tommaso, gli dice: «Metti qui iltuo dito e guarda le mie mani; porgi la tuamano e mettila nel mio fianco. E non essere in-credulo ma credente».Perciò, una persona che si mostra diffidente,che non crede a ciò che gli si dice finché nonha le prove certe, si dice che è comm’a sanTummaso.L’insieme delle sofferenze sopportate da gesùper la redenzione dell’umanità, dalla veglianell’orto del getsemani fino alla morte incroce, di cui raccontano i Vangeli, sono ricor-date come la “Passione di Cristo”, termine dallatino tardo passio (-onis), derivazione di pas-sus, part. pass. di pati che significa «patire, su-bire, soffrire». Perciò dà a uno morte epassione, vuol dire tormentarlo con crudele ac-canimento.

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Talvolta, ci fa perdere la calmaanche l’eccesso di calma altrui.

ROBERTO GERVASO

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“UNA PAROLA AL GIORNO”IL MANIFESTO

Documenti

Il progetto “Una parola al giorno” (UPAG) nato a Firenze, nel 2010, è diffuso dal sito https://unaparo-laalgiorno.it, fondato da Giorgio Moretti e Massimo Frascati (nella foto), i quali ne esprimono il sensoattraverso la formula: «Dalla qualità delle parole che conosciamo dipende la qualità dei pensieri chefacciamo». Ne pubblichiamo qui di seguito il manifesto.

* * *

"tutti gli usi della parola a tutti"mi sembra un buon motto,dal bel suono democratico.

non perché tutti siano artisti,ma perché nessuno sia schiavo.

gianni roDari, Grammatica della fantasia

Con questo breve manifesto vogliamo dar conto delle nostre posizioni sulla lingua, chiarendo ciò su cuicrediamo sia importante concentrarci, e perché.

1. Migliorare la lingua, migliorare il pensieroMigliorare il proprio modo di pensare significa migliorare la propria vita. il pensiero è lo strumento concui interpretiamo il mondo intorno a noi e dentro di noi: in quest’ottica, il valore della lingua sta nellaversatilità, nella delicatezza e nella potenza di pensiero che permette. È l’articolazione del pensiero adarricchire la vita, a comprendere il bello, a scomporre e risolvere i problemi. Sfumature migliori signi-ficano una migliore intellezione della realtà esterna e interna. Forse, una migliore felicità.

2. Lingua e storiaLe lingue sorgono, si trasformano e tramontano: è il genere umano a restare. nella storia si sono avvi-cendate migliaia di lingue - e il passaggio da latino a lingue romanze non è stato una perdita di valore.Migliorare la propria intellezione qui e ora, con le lingue che si usano, vuol dire lavorare per il vantaggiodel genere umano e del contributo che si può dare a esso - oltre che della propria vita. Un vantaggio chedura più della singola lingua.

3. Lingue e biodiversitàLa biodiversità linguistica è un valore evolutivo cardinale - così come lo è per la varietà delle specie ani-mali e vegetali. ogni lingua è importante per il paradigma di realtà che rappresenta, per quella porzionedi umanità che struttura, come contributo all’intelligenza umana. E non si tratta di una questione estetica,attenta alla ricchezza dello zoo linguistico; le lingue non sono vetri colorati attraverso cui si manifestala mente umana: sono diverse conformazioni della mente stessa.

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4. Forestierismi e inglesei forestierismi sono una ricchezza. non ci sentirete tuonare contro l'inglese, ma ci vedrete schierati parolaper parola contro il cattivo gusto, la replica acritica di parole percepite e non capite, e gli usi esausti osciocchini. nel diciassettesimo secolo ci si scagliava contro... squallidi gallicismi quali baule, regalo, bi-glietto o gabinetto: oggi chi criticherebbe l’uso di queste parole?il problema dell’inglese è che non è conosciuto; e l’intrusione di una lingua ignota in una lingua nota èspesso goffa e inopportuna.

5. Registri linguisticiLa padronanza di una lingua passa per la padronanza dei diversi registri. È importante saper gestire tantoi registri più alti quanto quelli più bassi: la raffinatezza del linguaggio non è un parametro assoluto, marelativo al contesto in cui ci si trova. Chi parla solo aulico non è in una situazione molto migliore di chiparli solo volgare. Soltanto una conoscenza versatile può dirsi raffinata, evitare il ridicolo, e permettereappropriatezza nel parlare e nello scrivere.

6. L’italianoSiamo responsabili della nostra lingua, espressione di una cultura millenaria che abbiamo in retaggio.Essere cittadini del mondo vuol dire anche curare le proprie tradizioni e il tesoro che rappresentano perl’umanità intera; così come curare il proprio campo significa curare il paesaggio. alla domanda «Qualeè la lingua più bella del mondo?» si risponda «L’italiano» non perché lo è, ma perché è la risposta del-l’innamorato.

7. Parole comuni e meno comuninel nostro progetto, trattare parole comuni è tanto urgente quanto trattare parole meno conosciute: scen-dere a fondo nella conoscenza di parole che si usano già, che fanno già parte del nostro bagaglio, che te-niamo spesso in bocca, è più importante dell’aver nozione di parole rare che comunque useremmo poco.Saper cucinare una buona pasta è più importante che saper cucinare un buon igname.Le parole desuete possono rappresentare una grande risorsa di significati - ma talvolta c’è un motivo sesono sul viale del tramonto (nel qual caso, tendenzialmente non le trattiamo); non vanno né celebratecome vestigia di un passato più civile né escluse come vecchiume superfluo, ma ponderate caso per caso,specie alla luce del contesto e delle intenzioni con cui si usano.

8. Regole grammaticaliLe regole grammaticali sono consuetudini: sentieri linguistici fotografati dagli studiosi, non strade asfal-tate e imposte dal sovrano. a tutti piace correggere gli errori grammaticali altrui: ci fa sentire dotti, lamaestra ci avrebbe detto “bravi!”. E la violazione di una consuetudine non è meno grave della violazionedi una norma sovrana. in particolare esiste quella dozzina di regole grammaticali che tutte le personevagamente istruite conoscono e che sono sempre sulla cresta dell’onda e notate come cifre spicciole delbuon parlare e del buono scrivere. anche queste norme, il più delle volte, sono recepite acriticamente.La grammatica tradizionale va padroneggiata per discernere i diversi valori delle sue prescrizioni, che ènecessario saper mettere in dubbio. La conoscenza non è ricapitolazione.

9. Etimologia e innovazionei molti significati di ciascuna parola scaturiscono da un nucleo concettuale profondo, dai contorni nebu-losi, a cui nel tempo possono essere associate diverse idee particolari. Comprendere quel nucleo e lastruttura dei significati associati a una parola permette di impiegarla in maniera non solo appropriata,ma anche innovativa, creativa, poetica. La comprensione di questa struttura si ha attraverso l’etimologia,cioè lo studio degli stadi precedenti attraverso cui è passata una certa parola.

10. Piacevolezza della culturail carattere primo e più importante dello studio delle parole deve essere la piacevolezza: la serietà, senzameraviglia, leggerezza e ironia, è solo palle.

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DOSSIER COVID-19

La pandemia in atto ha stimolato alcuni nostri collaboratori a formulare una serie di considerazioni divaria natura, che qui di seguito pubblichiamo.

* * *

ARGOMENTAZIONI DA “RECLUSO DOMESTICO”

di Luigi Marinosenatore emerito della Repubblica

Luigi Cancrini, uno dei più stimati psichiatri italiani (la Repubblica del 29.3.2020), ritiene che quelloche stiamo vivendo sia un tempo di ascolto e di dolore condiviso che fa bene a tutti. La pandemia è

«un’opportunità per scoprire vicinanza e solidarietà… il nemico è esterno all’umanità e gli uomini sonocostretti ad unirsi per far fronte alla comune minaccia… non è quindi il tempo dell’odio e della guerraove per sopravvivere si è costretti ad uccidere l’altro!». Ma lo stesso Cancrini afferma che «il nostropaese, come tutto l’occidente, è malato di narcisismo: avendo a disposizione tutto, tendiamo a sentircionnipotenti, al tempo stesso sospettosi verso il prossimo, considerato una minaccia per i nostri beni».Quindi avverte che «nel pericolo prevale l’istinto di sopravvivenza».Da coerente uomo di sinistra Cancrini vede nella eccezionalità della situazione (la comune minaccia daparte di un nemico esterno) il rafforzamento del sentimento di vicinanza e di solidarietà. Ed è la conclu-sione logica di un ragionamento condivisibile non solo da un punto di vista etico, ma anche pratico-esi-stenziale.«Finita l’emergenza – conclude Cancrini – dovremmo sforzarci di mantenere intatto questo sentimentodi vicinanza” temendo che “la coesione prodotta dall’eccezionalità possa venir meno con l’esaurirsi delvirus».Questo per quanto riguarda l’“emergenza sanitaria”. Ma molto più difficile, a parere di molti ecomomisti, sarà uscire dall’ “emergenza” derivante dalla con-seguente, inevitabile e spaventosa crisi economica e sociale, con il rischio di un ritorno all’individualismo,all’egoismo del “si salvi chi può”, ove questa “crisi” dovesse essere gestita a livello europeo non in ter-mini di solidarietà da parte dei paesi più forti verso i più deboli.il male quindi non è solo l’“epidemia”, dalla quale lucidamente si potrà uscire solo con l’aiuto reciproco,con la solidarietà. È quanto sostiene anche il cardinale Matteo Zuppi di bologna nell’intervista rilasciataa Włodek goldkorn (l’Espresso del 15.3.2020).Dall’ “epidemia” in un primo momento così registrata dall’0MS si è poi passati alla definizione di pan-demia da parte della stessa organizzazione Mondiale della Sanità. Ma in tutta l’intervista del Cardinaledi bologna non si esita a ricorrere al termine “apocalisse” in una lettura quasi biblica degli attuali cata-strofici avvenimenti.E qui senza nessun esplicito richiamo alla letteratura apocalittica giudaico-cristiana sulla profetica “ri-velazione” in ordine al destino ultimo dell’umanità, alla fine imminente, al conflittuale finimondo nelleprefigurazioni messianiche già dei profeti e poi del movimento cristiano, il cardinale Zuppi, che vienedalla lunga militanza nella comunità di Sant’Eligio, – in sintonia con Papa bergoglio («le cose si capi-

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scono dalle periferie») e con il laico di sinistra Cancrini – afferma come «l’amore sia l’unico modo pervivere nell’apocalisse» (anche se «l’apocalisse mette alla prova l’amore perché è facile voler bene quandole cose vanno bene e quando il Male è solo un’ipotesi teorica»). il Cardinale invita ad una lettura laicadi Cristo che «sta dalla parte dei vinti» («beati gli afflitti!»), degli ultimi, che sono le prime vittime delletante apocalissi, del mondo che si distrugge». Lo scenario quindi per il cardinale Zuppi è l’apocalisse, di cui la pandemia può costituire il segnale ri-velatore.Ma se non dovesse prevalere il sentimento d’amore, di vicinanza e di solidarietà tanto auspicato sia dalleautorità religiose (e certamente non solo cristiane, ma di tutti i credi), sia dalle personalità laiche e dovesseaffermarsi il Male più grave: l’egoismo – a fronte di crescenti, terribili e ingovernabili difficoltà e con-dizioni immiserite di vita?Se dovesse prevalere in questo scenario apocalittico l’homo homini lupus, il mors tua, vita mea, l’indif-ferenza nei confronti degli altri dettata dalla paura anziché la “compassione”, l’amore per il prossimo,per l’altro?i tanti episodi di solidarietà e di vicinanza a cominciare da quelli posti in essere da chi in prima fila stacombattendo contro il morbo sono un bene rasserenante e prezioso, come anche la testimonianza da piùparti di questi valori e sentimenti di cosciente umanità.C’è tuttavia seriamente da temere nell’apprendere di assalti a supermercati per la paura di non poterprovvedere ad approvvigionamenti di più lungo periodo o addirittura del caso verificatosi di una personaderubata della borsa della spesa. Un temibile “assalto ai forni” come nelle storiche pestilenze?nel suo intervento sul Financial Times Mario Draghi ha definito l’attuale flagello di dimensioni biblicheed ha invitato la U.E. ad assumere provvedimenti eccezionali per garantire il reddito di chi perde il lavoro,per evitare che le imprese falliscano, ecc. il che è possibile solo con alti debiti pubblici, ha sostenuto conforza.Di fronte alle conseguenze di carattere socio-economico di questa sciagura collettiva, non facilmente af-frontabili in tempi brevi, non si sta realizzando una unità di intenti a livello europeo, bensì viene affer-mandosi un ottuso egoismo da parte dei paesi più forti. Ma anziché ricercare sia pure con fatica un’intesa o un punto di mediazione tra le diverse o opposte esi-genze, c’è chi ritiene – e qualcuno da tempo – che la soluzione stia nell’uscita da questa “gabbia europea”e nel ritornare ad una moneta nazionale come panacea. tutto questo malgrado le conseguenti enormi dif-ficoltà di reperire sui mercati internazionali, nelle attuali condizioni del bilancio e del debito pubblico,le necessarie risorse per far fronte a tutte le emergenze non solo sanitarie, ma soprattutto socio-econo-miche.Paolo Maddalena già giudice costituzionale è tra quelli che sostengono – per il radicale mutamento dellecircostanze che hanno portato alla loro sottoscrizione – l’esigenza di sospendere i trattati U.E. e di emet-tere moneta propria richiamando, come è noto, il combinato disposto dell’art. 128 del trattato di Lisbonae dell’art. 16 dello Statuto della bCE. Quindi non l’uscita sic et simpliciter dall’Unione Europea ed il ri-torno alla moneta nazionale, ma la sospensione dei trattati e la stampa di moneta nell’ambito nazionale.tutto l’assunto del giudice Maddalena è ovviamente sostenibile sul piano giuridico, ma prescinde deltutto dalle conseguenze di carattere economico e dalle speculazioni che si stanno già svolgendo in borsaa livello internazionale, destinate del resto a diventare sempre più aggressive.a questo punto la memoria non può non andare ad alcuni avvenimenti del passato. La stampa di moneta nazionale ci ricorda per certi versi quelle “am-lire”, messe in circolazione durantel’occupazione alleata con il dollaro come valore di riferimento (stavolta l’euro?), con tutta la pesante in-flazione che ne discese e l’impoverimento soprattutto dei salariati, stipendiati e dei pensionati.Ed occorre tener presente che rispetto alla situazione attuale del “tutti a casa”, all’epoca delle am-liregran parte della popolazione era comunque attiva e dedita alla produzione ed alla ricostruzione. Più vicina all’attuale contesto nazionale fu la situazione nella Polonia di Solidarnosc, dove per lunghis-simo tempo si susseguirono scioperi riguardanti una notevole parte della popolazione che comunque se-guitava a ricevere le proprie retribuzioni. Ma all’epoca, in funzione anti-regime, non mancarono ingentisostegni finanziari degli USa, dello ior Vaticano, di tanti paesi e di tante altre organizzazioni, compresoin italia il PSi di Craxi. in Polonia non si lavorava, ma in un paese socialista, per la “contraddizion che

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nol consente”, non si poteva restare senza paga.Salterà l’Unione Europea? o salterà l’Europa per i paesi più deboli (con sollievo forse di quelli più forti)?Di fronte all’esigenza di assicurare a tutti quelli che resteranno inoperosi (decine di milioni di inoccupatiforzati oltre ai milioni di disoccupati) i necessari mezzi di sopravvivenza, senza la U.E. c’è il rischioreale che possano disgregarsi le stesse istituzioni del nostro paese, a cominciare dalle banche per il dis-sesto dell’economia sino alle altre strutture fondamentali e non ultime a quelle sanitarie. Come si paghe-ranno, ad esempio, e con quale moneta le importazioni degli stessi prodotti sanitari dal momento chetantissimi farmaci, anche di quelli eventualmente sperimentabili ed utilizzabili per far fronte alla nuovapestilenza, vengono prodotti negli USa, in Cina, in india ecc.? Che fine faranno i risparmi presso le banche, le Poste? Ci saranno limiti ai prelievi stanti le esigenze diliquidità da parte delle famiglie? E gli accreditamenti in banca delle pensioni? Saranno queste pagate inmoneta nazionale?in questo contesto, con alcuni segnali premonitori che già si vanno registrando, c’è ampio spazio perjacqueries urbane, per sommosse frutto di esasperazioni legittime o meno. non ci sono le condizioni dell’ottobre rosso, né esiste una spinta ideologica volta a mettere in discussioneo a modificare lo stato di cose presente. Dati gli attuali rapporti di forza, nonché l’integrità dell’apparatodissuasore statale, nell’angustia di false soluzioni nazionalistiche è ipotizzabile solo un colpo di mano,ovviamente di destra, per fronteggiare l’imperversare degli eventi.a meno che non prevalga un rinnovato senso dello stare insieme in una Unione Europea più fedele aiprincipi ed ai valori fondativi della solidarietà tra gli Stati membri. in mancanza di tutto questo è quasi scontato che sul piano internazionale alcune grandi potenze (USa,Cina, russia in primo luogo) e paesi come germania ed altri riusciranno comunque a superare, non deltutto indenni, le disgrazie presenti. altri paesi invece, come la nostra italia, la Spagna, la grecia, ecc.,subiranno un pauroso e grave declino. Senza la U.E., senza un forte sostegno della bCE in prosecuzionedella linea affermata in passato da Mario Draghi c’è solo il rischio fattuale di un’uscita da destra dallacomunità europea, con tutti i correlativi fenomeni di svalutazione e di inflazione che finiscono sempreper colpire essenzialmente i ceti più deboli ed in particolare quelli a reddito fisso.(30 marzo 2020)

RIFLESSIONI IN TEMPO DI PANDEMIAdi Raffaele Pisani

scrittore e poeta

1. Dio non c’entra, è l’uomo che sceglie.in questo tragico momento che l’intera umanità sta attraversando per la pandemia del Coronavirus, moltisono coloro che si chiedono perché Dio permetta tanto male. Questi dubbi possono essere anche lecitiper uno come me che sono solo uno scugnizzo nato ottant’anni fa in un vicolo di napoli, con pochi studie scarsa cultura, però lasciano alquanto interdetti se sono manifestati da illustri Dottori della Chiesa. Eallora? Personalmente continuo a credere fermamente nel libero arbitrio dell’uomo. E fermamente credoin Cristo gesù e nel Dio del bene e dell’amore che si manifesta nei sorrisi dei semplici, nella solidarietàverso gli emarginati, nelle azioni di milioni di umili sacerdoti e di comuni persone che quotidianamentedimostrano con i fatti l’esistenza del divino che ci vuole felici in una collettività dove tutti sono felici. Èsulla terra che ogni uomo, con le proprie azioni, sceglie se dare amore o seminare morte, se correre comeun pazzo verso un consumismo senza limiti o rallentare per non cadere nel baratro, se salvaguardareclima e ambiente o determinare catastrofi. Dio non c’entra, è solo l’uomo che sceglie, in assoluta libertà,se salvarlo il pianeta o avvelenarlo a vantaggio di ogni tipo di virus.

2. Coronavirus, non impareremo nulla per il “dopo”.Sono un vecchio, classe 1940, leggo sempre più spesso una domanda: impareremo qualcosa dopo il co-ronavirus?” rispondo convinto: non impareremo nulla! Sono nato 80 anni fa in un vicolo di napoli, unacittà distrutta dai bombardamenti, umiliata dalla miseria e mortificata dalla fame. Ho pochi studi, ma mi

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sono sempre guardato intorno, e molto anche dentro me stesso, particolarmente in queste ultime settimanefermo in casa per non correre il rischio di infettarmi e infettare, per rispettare le regole e per onorare ilsacrificio di tutti coloro che eroicamente sono in prima linea per salvaguardare la nostra salute. Ho sempresentito dire che la storia è maestra di vita, ma a me non sembra che l’uomo abbia fatto tesoro di qualcheinsegnamento. Cosa è cambiato nell’uomo nel corso dei secoli dopo le terribili epidemie di peste, lebbra,colera, spagnola, vaiolo? Sono forse cambiati gli italiani dopo la rovinosa tragedia provocata dal nazifa-scismo? a me non sembra, visto che ancora oggi c’è un buon 17% di popolazione che nega la Shoah eun 40% circa di persone che invoca l’uomo forte. abbiamo un grande problema: siamo di memoria troppocorta! nella parlata popolare della mia amata napoli diciamo “chi nasce quatro nun more tunno” (chinasce quadrato non muore rotondo), è vero! È la natura del singolo essere umano che vince, sempre!Chi nasce per costruire armonie non smetterà mai di farlo. Chi nasce per distruggere, godrà solo demo-lendo, tranne che non venga “fulminato sulla via di Damasco”! Vorrei tanto che mi smentissero i fatti.ora tutti osanniamo i medici e gli infermieri, li chiamiamo eroi, ed è giusto e doveroso che sia così.aspettiamo però che passi la bufera, vediamo se da parte della categoria di quei pazienti spazientiti scam-pati al Coronavirus non ci saranno più pestaggi per i sanitari e pronto soccorso devastati.

3. Riscopriamo la riconoscenza.Penso che tutti, se interrogati, sapremmo rispondere che “la riconoscenza è il sentimento per il quale siricorda il beneficio ricevuto e se ne prova gratitudine”. Ma quanti poi ne fanno tesoro? Proprio in questesettimane di terrore per il Coronavirus questo sentimento sarebbe tutto da riscoprire! Purtroppo ce nesfuggono le potenzialità, ma se ne riscoprissimo la sua grandezza potremmo ridare smalto al mondo in-tero. Spesso diamo per scontato quello che ci viene donato e ci dimentichiamo di dire “grazie”! tantifigli lo fanno con i genitori; tanti politici dimenticano subito che devono la loro carriera ai voti deglielettori e pensano più ai loro privilegi che al bene comune... e l’elenco potrebbe aumentare parecchio.noi italiani in particolare dovremmo essere riconoscenti al Signore che ci ha fatto nascere nella nazionepiù bella del mondo; riconoscenti a tutti coloro che ci hanno lasciato un patrimonio archeologico e arti-stico di inestimabile valore e tradizioni culturali di eccezionale rilevanza; riconoscenti ai nostri Cadutiche hanno immolato la loro vita affinché si realizzasse il grande sogno di vedere la nostra Patria final-mente unita e libera da ogni dominazione straniera e dittatura; riconoscenti ai letterati, artisti, inventori,musicisti e scienziati tutti protagonisti di una storia ineguagliabile; riconoscenti alla natura che ci ha datocittà, borghi, paesaggi, montagne, vulcani, spiagge, coste e panorami da incanto.Ma, purtroppo, nel cuore non abbiamo consapevolezza di tanta fortuna proprio perché abbiamo smarritoil sentimento della riconoscenza. riappropriamocene, coltiviamolo come merita e vivremo tutti comeveri figli di un unico Dio buono e misericordioso, come veri uomini che non barattano la propria dignitàe la grande storia della nostra terra per un poco di potere che puzza di rifiuti tossici e di frodi, di omertàe malaffare! riscopriamolo e, soprattutto, ricordiamolo quando sarà passata la bufera per rendere onorea tutti coloro che, in prima linea, hanno rimesso la loro vita per salvare la nostra!

4. I vecchi che se ne vanno.i vecchi che se ne vanno sono quei bambini del ’40 che – non sempre! – riuscivano a mangiare una fettinadi pane fatto con un pugno di farina e tanta segatura. Poi, appena fanciulli, iniziarono a lavorare per con-tribuire alla rinascita dell’italia, “sgarrupata” nell’anima e nel corpo, e per preparare brioche e abitifirmati per i propri figli!in queste ultime settimane ho letto spesso varie lettere di giovani che ricordano i loro nonni scomparsiper causa del Coronavirus che aggredisce in modo letale particolarmente le persone avanti con gli anni.a me ottantenne questo tema riguarda molto da vicino. il rapporto con i giovani mi sta a cuore e noto,commosso, la coinvolgente compartecipazione con cui nipoti e figli accompagnano col pensiero il con-giunto anziano verso l’ultima dimora. Qualcuno ha scritto che “ce ne andiamo in punta di piedi comeabbiamo vissuto”; altri ci riconoscono che non siamo mai riusciti a cancellare dai nostri occhi il terroredella guerra né abbiamo mai dimenticato la tragedia delle città distrutte dai bombardamenti, lo sgomentodei cadaveri dilaniati, delle donne e dei bambini consumati dalle lacrime e dalla fame. altri parlano deicontadini, dei braccianti e operai di quei tempi lontani contrassegnati da enormi sacrifici per le tante edure ore di lavoro, spesso umilianti e sottopagate, per portare qualche soldo a casa. Qualcuno ha anchescritto di tutto quello che ognuno di noi vecchi ha dato, senza pensarci mezza volta, per ricostruire una

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nazione “sgarrupata” nell’anima e nel corpo; di noi della generazione del ‘30/40 che non siamo statimai bambini... (non si poteva infatti essere bambini quando intorno a noi c’era la più nera miseria e ildesiderio, spesso inappagato, d’una fetta di pane). gli unici giocattoli erano quelli che ci creavamo noi:la sagoma di legno di una pistola che aveva come tamburo una molletta per i panni e un poco di elasticoper far partire il colpo che per lo più era un fagiolo; ‘o carruocciolo (specie di slittino con quattro cusci-netti a sfera o ruote di legno); ‘a mazza e ‘o pìvezo (lontanamente comparabile al gioco del baseball); unarco con le frecce realizzato con le astine di ferro di ombrelli rotti. in un’altra lettera ho letto che unnonno è morto portandosi nella tomba il sogno mai realizzato di un giro su un “paperino”, un prototipodegli scattanti motorini con cui i ragazzi di oggi sfrecciano per le vie delle città. Questo è stato il prezzo che noi del ‘30/40 abbiamo pagato per contribuire a creare un benessere per figlie nipoti. Quanti di questi miei coetanei il Coronavirus si porta via da soli, avvolti in un lenzuolo biancoda mani estranee! Vi assicuro che in quel lenzuolo c’è un mondo di sentimenti, di sogni, di aspirazioni,ma anche di cadute e di errori che viene spento per sempre e che i nostri nipoti non conosceranno mai!Per me è davvero triste e sconfortante vedere a volte atteggiamenti scortesi e mancanza di rispetto proprionei confronti di persone che dietro il volto rugoso e lo sguardo smarrito guardano il mondo “nuovo” cheli circonda ma che non riconoscono più come proprio e camminano con passo incerto per vie che li hannovisti giovani e baldanzosi. Per questo esorto, prima che il tempo inesorabilmente finisca lasciando solosensi di colpa e di rimpianto, a guardare – adesso – con rispetto e occhi nuovi e consapevoli i proprinonni donando loro qualche sorriso in più che sicuramente è di grande aiuto per vivere un pochino me-glio!(15 aprile 2020)

PROCIDA: UN VENERDÌ SANTO COL CORONAVIRUSdi Gabriele Scotto di Perta

priore emerito della Congregazionedell’Immacolata dei Turchini

Subito dopo le feste natalizie, quando si comincia a parlare della Settimana santa, dei suoi riti e dellafamosa e tradizionale processione del Venerdì santo, nessuno poteva immaginare che il 2020 ci

avrebbe riservato amare sorprese. il 23 di febbraio, giorno delle votazioni per eleggere il nuovo governodella Congregazione dell’immacolata dei turchini, dopo un lunghissimo periodo commissariale, portòalla guida dell’ente la nuova compagine amministrativa, nelle persone di Matteo germinario, priore, En-rica Cozzolino, primo assistente, Carmine Scotto di Carlo, secondo assistente, e Salvatore Corporente,tesoriere. i nuovi amministratori, vista la ristrettezza dei tempi per l’arrivo della Quaresima e della Settimana santa,cominciarono subito a pensare ai riti e alla processione del Venerdì santo, per organizzare al meglio leantiche e attesissime manifestazioni religiose e di pietà popolare.a smorzare gli entusiasmi, però, ha pensato un minuscolo, invisibile organismo, il Coronavirus, che tantidisastri e tanto male ha provocato. Procida, come il resto dell’italia, è divenuta un’isola fantasma, connegozi chiusi, chiese chiuse ai fedeli e riti religiosi cancellati. Una coltre pesante di malinconia si è andataad aggiungere al già opprimente silenzio.Ma bisogna pur dire che, in una situazione di forte disagio, i responsabili della Congrega dei turchinihanno pensato di far rivivere alcuni momenti della Settimana santa: il canto del Miserere il Mercoledìsanto e, grazie a nuvola tv, la Veglia di preghiera il mattino del Venerdì santo e la Via Crucis la sera, of-frendo un momento di preghiera e di aggregazione, anche se virtuale, attorno alla venerata immaginedel Cristo morto, centro e cuore della Settimana santa procidana. Con l’aiuto di Dio, speriamo che il tutto si possa riprendere l’anno prossimo con più vigore ed entusiasmo.auguri e saluti a tutti.(15 aprile 2020)

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In memoriam

ALDO DE GIOIAcultore della napoletanità

di Monica Florio

Con la scomparsa di aldo De gioia, avve-nuta a ottantacinque anni il 24 febbraio

scorso, napoli ha persouno dei suoi più affezio-nati divulgatori e, comespesso accade, non gliha riconosciuto i dovutimeriti. Classe 1934, aldo Degioia è nato e vissutonel cuore di napoli. Chi non ha avuto mododi conoscerlo non puòintuirne l’umanità e la gentilezza. La morte delpadre e l’eco del secondo conflitto mondialesegnarono profondamente la sua infanzia, fa-cendolo maturare in fretta. in particolare, il pe-riodo tra il 1940 e il 1945 rimase impressonella sua memoria e proprio i drammaticieventi che caratterizzarono le Quattro giornatedi napoli furono spesso oggetto della sua at-tenzione e vennero da lui ricordati nelle nume-rose celebrazioni di quell’anniversario tenutesinel corso degli anni. tra questi episodi vi è quello del marinaio tru-cidato dai tedeschi sulle scale dell’Università“Federico ii”, a lungo rimasto ignoto. ad an-

drea Mansi1, ventiquattrenne di ravello, accu-sato di tradimento e fucilato dal nemico da-

vanti a una folla di civilicostretta ad applaudire,lo scrittore dedicò la li-rica ‘O Marenaro.La poesia2 fu una dellepassioni di aldo Degioia che è noto soprat-tutto come ricercatore,memore della lezione diantonio La Pegna, diret-tore della biblioteca

brancaccio, e di antonio altamura. all’attività divulgativa va ricondotto il tritticoFrammenti di Napoli (napoli 2000), Napoli -strade, storie e misteri (napoli 2001) e Zibal-done napoletano (napoli 2003).Se Frammenti di Napoli è un affresco storicodella città dalle origini fino al novecento, Na-poli - strade, storie e misteri è ben più di unaguida topografica grazie ai numerosi aneddotiriportati su via tribunali, Porta Capuana, Spac-canapoli, Piazza del gesù, Piazza Mercato, ilCarmine e i Quartieri Spagnoli. Con Zibaldone napoletano, invece, aldo Degioia ci offre una gustosa miscellanea di avve-

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nimenti e personaggi appartenenti a varieepoche.il teatro e la musica furono altre passioni checoltivò sin da giovane, quando faceva da cla-quiste e da assistente alle prove sul palcosce-nico. in ambito canoro, è stato il promotore di inte-ressanti iniziative come il Museo della canzonepartenopea a Calvello, un paesino in provinciadi Potenza. Dopo le difficoltà incontrate sulsuolo napoletano3, De gioia è dovuto “emi-grare” in basilicata per attuare tale progetto,donando i propri cimeli: ben trecento reperti,tra cui un fortepiano4 appartenuto alla sua fa-miglia. Di prestigio fu la collaborazione al documen-tario sulla vita di Caruso girato dalla bbC etrasmesso in america nel febbraio del 1998.autore di una biografia sul tenore, De gioia glidedicò la canzone La leggenda di una voce,messa in musica da Luisa Monti ed eseguita alMuseo Carusiano di brooklyn, di cui poi vennenominato direttore.nel 1999 De gioia prese parte a numerosecommemorazioni in onore del Maestro tenutesia Capri, Procida e Sorrento. Durante la sua lunga carriera gli sono stati con-feriti un centinaio di riconoscimenti. Membrodella Commissione toponomastica cittadina delComune di napoli, De gioia è stato anche ac-cademico tiberino e Cavaliere al merito dellarepubblica. nel 1998 lo scrittore è stato pre-

miato in Campidoglio dal Ministro della Pub-blica istruzione rosa russo iervolino. in età avanzata, ha continuato la sua fervida at-tività divulgativa nei corsi tenuti come docentepresso la Fondazione Humaniter. in una recente intervista5 De gioia ha definitonapoli come “un’amante capricciosa” che nonlo aveva ripagato degnamente della sua devo-zione. Un po’ come accadde a Caruso che,dopo il fallimentare debutto al San Carlo neldicembre del 1901, giurò di non tornarvi più edivenne famoso all’estero. La storia si ripete, napoli è una città che di-mentica in fretta.

(N.B.: La foto di Aldo De Gioia è stata gentilmenteconcessa da Alberto Del Grosso, photojournalist eGarante dei lettori del giornale Positanonews)._________

1 L’episodio venne ricordato anche da nanni Loy nelfilm Le Quattro giornate di Napoli del 1962. 2 tra le raccolte di liriche ricordiamo Attimi (Marigliano1998). Sue poesie sono apposte sulle lapidi commemo-rative a napoli, in via Morghen per Salvo D’acquisto ealla stazione marittima per il marinaio ignoto, in Egittoad El alamein per tutti i soldati italiani caduti in guerra. 3 attualmente, un altro museo della canzone napoletanaesiste solo a tokyo. 4 il precursore del moderno pianoforte. 5 Di adele brunetti, all’indirizzo internet: https://ivolti-dinapoli-napoli.blogautore.repubblica.it/2011/05/29/aldo-de-gioia/.

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Apprendiamo con piacere che il nostro collabo-ratore UMBERTO FRANZESE è stato nominato com-ponente del Comitato scientifico per la valo-rizzazione del patrimonio linguistico napole-tano, istituito dalla Regione Campania. Tale no-mina premia l’impegno ultradecennale profuso

da Franzese nel settore, attraverso la cura di pubblicazionie l’organizzazione di convegni e tavole rotonde. A lui il di-rettore e la redazione de Il Rievocatore formulano i più sin-ceri auguri di buon lavoro.

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CI HANNO LASCIATI

Il 30 marzo scorso, a Pozzuoli,

RAFFAELE AJELLO

professore emerito di Storia del diritto italiano, che era nato a Napoliil 5 aprile 1920, dove aveva insegnato nell’Università “Federico II”,dopo il periodo iniziale in quella di Catania. Allievo di Bruno Paradisi,

Ajello è stato, a lungo, anche vicepresidente della Società napoletana di storia patriae, da profondo studioso del pensiero dell’Illuminismo, ha coniugato, nella ricostruzionedella storia giuridica, soprattutto del Regno di Napoli, i profili sociali con quelli politici.Il Rievocatore si associa al dolore della famiglia e della classe accademica.

La notte sul 3 aprile scorso, a Napoli,

ANTONIO VINCENZO NAZZARO

professore emerito dell’Università di Napoli “Federico II”, commenda-tore al merito della Repubblica. Nazzaro, che era nato 81 anni fa a SanGiorgio del Sannio, era stato allievo di Francesco Arnaldi e aveva in-

segnato Letteratura cristiana antica, dapprima nell’Università della Calabria e, poi, aNapoli – dove era stato anche preside della Facoltà di Lettere e filosofia –. Era socio dinumerose associazioni culturali e accademie – prima fra tutte, l’Accademia Ponta-niana, della quale era attualmente vicepresidente –, nonché direttore o redattore didiverse riviste culturali, e curava da anni la Lectura Patrum Neapolitana. Alla famigliae alla classe accademica napoletana giungano le condoglianze del direttore e della redazionedi questo periodico, al quale egli aveva in più occasioni collaborato.

Il 6 aprile scorso, a Napoli, all’età di 86 anni, l’avvocato

SALVATORE MARIA SERGIO

esponente di spicco del foro penale napoletano, che partecipò alla fon-dazione dell’Unione delle Camere penali italiane, della quale è stato

anche segretario nazionale. Giornalista pubblicista, ha collaborato, fra l’altro, al quo-tidiano Roma; inoltre è stato valente scrittore, pittore e scacchista. Nel novembre 2008fu impegnato nella veste di difensore nel “Processo a Pulcinella”, celebrato nella saladel Consiglio provinciale in Santa Maria La Nova, il cui collegio fu presieduto dal di-rettore di questo periodico. Nella dolorosa circostanza, Il Rievocatore è vicino alla sua fa-miglia e alla classe forense napoletana.

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Il 24 aprile scorso, a Napoli, il professore

ALDO MASULLO

Nato ad Avellino, il 12 aprile 1923, e laureatosi a Napoli, dapprima inFilosofia e poi in Giurisprudenza, e, dopo un breve periodo di eserciziodella professione forense, si dedica all’attività accademica, sotto la

guida di Cleto Carbonara, ottenendo poi la cattedra di Filosofia morale; è stato, inoltre,cooptato come socio dall’Accademia Pontaniana. Eletto nelle liste del P.C.I., è statodeputato e, poi, senatore della Repubblica e, ancora, parlamentare europeo. Alla fa-miglia e al mondo accademico vadano le condoglianze di questa rivista.

Il 24 aprile scorso, a Napoli,

S. E. RAFFAELE NUMEROSO

Nato ad Aversa nel 1933 e nipote dell’omonimo deputato dell’assem-blea Costituente, Numeroso entrò in magistratura nel 1959 ed è statopresidente della Corte d’appello di Napoli e, prima ancora, procuratoregenerale della Repubblica a Perugia. Alla famiglia dell’illustre estinto

vadano le condoglianze de Il Rievocatore e, in particolare, quelle del suo direttore, checon lui ha avuto, in passato, un lungo periodo di collaborazione.

Il 27 aprile scorso, a Napoli, il diacono permanente

DON SERGIO DE CANDIA

La memoria di don Sergio, che, nato a Procida, l’8 gennaio 1970, siera formato nella Pontificia Facoltà Teologica napoletana, è affidata alsuo saggio Defende nos in proelio (Cercola 2017), dedicato al culto mi-

caelico, oltre che nella sua isola, anche in Italia e in Europa. Nella triste circostanza,Il Rievocatore è vicino alla famiglia dell’estinto e al clero procidano.

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LA STAGIONE 2020-21 DEL TEATRO SAN CARLO

Con la conferenza stampa, svoltasi il 1° giugno scorso, il Teatro SanCarlo ha presentato il cartellone della stagione 2020-21. Per la liricasono in programma La Bohème e Madama Butterfly di G. Puccini,Rigoletto e La Traviata di G. Verdi, Don Giovanni di W. A. Mozart, IlTurco in Italia di G. Rossini, Salome di R. Strauss, Carmen e Les pê-cheurs de perles di G. Bizet, L’elisir d’amore di G. Donizetti e My fair

lady di F. Loewe. Per il balletto saranno messi in scena Lo schiaccianoci di P. I. Čaikovskij,Cenerentola di S. Prokof’ev, Requiem di W. A. Mozart, Come un respiro di G. F. Händel, Bo-lero di M. Ravel e una Balanchine night. La sinfonica, infine, dopo il Concerto di Natale,diretto da J. Valčuha, vedrà impegnati, fra gli altri, i direttori Gabriele Ferro, Daniel Baren-boim e Riccardo Muti (con i Wiener Philarmoniker), il soprano Jessica Pratt e il mezzoso-prano Elīna Garanča.

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LIBRI & LIBRI

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CLEMENTINA GILY REDA, Leonardo. L’eleganza dell’Io (s.l. ma Roma, Albatros,2019), pp. 104, €. 15,00.Le riflessioni svolte nel volume derivano dall’incontro col Salvator Mundi di Leonardo,che l’a. legge «in figura e in parole», alla maniera di giordano bruno, dialogando col di-pinto sul tema della natura anima mundi, che gli occhi del soggetto ispirano, attraversoun excursus che considera anche altre opere dell’artista, cogliendovi quanto questi vi hamutuato dalla scienza. Emergono, così, il contrasto tra linea e sfumato e il concorso di

metodo e tecnica (ovvero di cervello e mani), nella realizzazione dell’opera; e soprattutto emerge l’iodell’artista, che in essa trasferisce sé stesso e il proprio modo di pensare. E l’eleganza di quell’io consistenella capacità di godere della bellezza e di formularne il relativo giudizio.

CARLO H. DE’ MEDICI, I topi del cimitero (Roma, Cliquot, 2019), pp. 144, €. 18,00.a dispetto della presentazione dell’a., in termini di “Edgard allan Poe italiano”, fattanedall’editore che lo ha riscoperto, de’ Medici si rivela tale soltanto nella forma della narra-zione, improntata, più che altro, a un decadentismo marcato e a tratti anche “bipolare”.nella sostanza, i racconti risultano abbastanza ingenui, al punto che talvolta lasciano per-fino presagire la conclusione: per questo verso, si fanno considerare in maniera positivasoltanto La felicità (p. 73) e Quel burlone di Nane (p. 85); per il resto, si ha difficoltà a

classificarli nei temi del “terrore”, del “mistero”, dell’“incubo” e dell’“impossibile”. Semmai, de’ Medicisi fa apprezzare più come illustratore, nelle xilografie che affiancano il testo.

LEONARDO SCIASCIA, Atti relativi alla morte di Raymond Roussel (Milano, Adelphi,2020), pp. 80, €. 7,00.La libertà, della quale gode lo scrittore, diversamente dall’operatore della giustizia, soggettoai vincoli della normativa procedurale, ha consentito a Sciascia di formulare, relativamentealla morte dello scrittore francese, un’ipotesi alternativa a quella ufficiale del suicidio, valea dire, quella dell’omicidio, la cui paternità egli attribuisce – sebbene soltanto in manieravelata – all’amante di lui. Ma sembra doveroso mettere il lettore sull’avviso, circa l’utiliz-

zazione soltanto parziale degli atti giudiziari da parte dell’a., il quale, pure, poté consultarli nella lorocompletezza: in tal caso, la libertà dello scrittore sarebbe stata esercitata in maniera arbitraria.

ANDREA CAMILLERI, Conversazione su Tiresia5 (Palermo, Sellerio, 2019), pp. 64,€. 6,80.ANDREA CAMILLERI, Autodifesa di Caino (Palermo, Sellerio, 2019),pp. 96, €. 8,00.i due monologhi, destinati alla rappresentazione teatrale, costituiscono il“canto del cigno” del compianto andrea Camilleri. il primo di essi, che ègiunto alla quinta edizione, sospeso fra mito classico e contemporaneità,

per certi versi anch’essa mitica, immagina che l’indovino della poesia omerica – nel qualel’a. stesso in qualche modo s’immedesima – eserciti la propria facoltà divinatoria ancheai nostri giorni, fino a giungere (o a credere di essere giunto) alla conoscenza dell’eternità. il secondo,

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mai andato in scena, è segnato da un carattere maggiormente spettacolare e affronta il tema dell’originedel male, spaziando dalle fonti delle Scritture, sia canoniche, che apocrife, fino alla tradizione popolare.

WALTER BENJAMIN - ASJA LACIS, Napoli porosa (Napoli, Dante & Descartes,2020), pp. 82, €. 7,00.il concetto di “porosità”, elaborato da benjamin, trova applicazione alla città di napoli,da lui visitata nel 1924, insieme con la drammaturga lettone asja Lacis: la descrizione,però, che essi fanno della città risulta selettiva, con una limitazione alle negatività, utiliz-zando come parametro la realtà a loro più familiare, il che equivale a un ragionamento pertesi. Dopo tutto, napoli ne emerge mitizzata, in maniera iperbolica, con modalità quasi

malapartiane (si pensi, per tutti, alle teste di gatto servite nelle osterie), e tutto il discorso sembra soltantoun perfezionamento della dottrina eraclitea dei contrari.

GIOVANNI ROMEO, L’isola ribelle (Bari-Roma, Laterza, 2020), pp. XIV+162, €.18,00.Le difficoltà di applicazione della normativa tridentina a Procida, nell’arco deisecoli XVi-XViii, e i conflitti che si determinarono all’interno della popolazione,del clero e dell’autorità civile – soprattutto nella reciprocità dei rapporti fra taliclassi di soggetti – emergono dall’esame di una documentazione d’archivio quasiesclusivamente inedita, che sembra riflettere in qualche modo situazioni perpe-

tuatesi fino alla contemporaneità.

NICOLA AVELLINO, Pompei. La Madonna dell’Arco a Civita Giuliana (Pompei, Fla-vius, 2016), pp. 120, €. 20,00.nel volume sono raccolti scritti, documenti e immagini (non di rado, ripetitivi eperfino disposti in maniera disordinata), relativi al culto della Madonna di Pompeie della Madonna dell’arco; il tutto, finalizzato alla diffusione della conoscenzadi un culto di quest’ultima invocazione della Vergine, radicato nella borgata pom-

peiana di Civita giuliana.

ALFREDO PARENTE, La lunga vigilia. Pensieri e ricordi politici, 1943-1946 (Roma,Società editrice Dante Alighieri, 2019), pp. 244, €. 9,00.a chi ancora credesse che le Quattro giornate di napoli siano state un moto popolare spon-taneo, le memorie di Parente chiariscono le idee, illustrando, fra l’altro, tutta la loro lungafase preparatoria, sia pure limitatamente all’attività del nutrito gruppo liberale, che gravitavaintorno alla persona di benedetto Croce. Si scoprirà, altresì, come l’autore si sia trovato a

passare dal ruolo di “mente” dell’organizzazione, a quello di “braccio”, proprio durante lo svolgersi diquegli avvenimenti.

(S.Z.)

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...& RIVISTE

POETI NELLA SOCIETÀvia arezzo, 62 - 80011 acerra (na)

tf. [email protected]

dir. resp. girolamo Mennella

EXCALIBURvia Monfalcone, 58-09122 Cagliari

[email protected]. resp. Efisio agus

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LA POSTA DEI LETTORI

In occasione della festa del 25 aprile rilancio la proposta d’intitolare una piazza ouna strada principale di Napoli ai Martiri di Cefalonia e Corfù, agli oltre 10milasoldati e ufficiali italiani che, nel lontano e sanguinoso settembre 1943, decisero di re-sistere all’assalto tedesco, perdendo la vita in battaglia. Tempo addietro, grazie al per-sonale interessamento dell’allora Capo dello Stato, Ciampi, che ne fece esplicitamenzione nel discorso pronunciato in ricordo della battaglia di Porta San Paolo, inquello che egli stesso definì il “viaggio della memoria”, l’eccidio di Cefalonia, dove fu decimata la di-visione Acqui, fu rimosso dall’oblio in cui era stato lasciato cadere per diversi decenni. In tempi più re-centi, presenti i reparti della neo-ricostruita Acqui di S. Giorgio a Cremano e le maggiori autoritàcittadine, nel Maschio Angioino è stata anche scoperta una lapide che ricorda il sacrificio dei soldaticaduti. Da ricordare anche il discorso pronunciato, proprio a Cefalonia, dall'allora presidente della Re-pubblica, Napolitano, in occasione del 62esimo anniversario della liberazione, con il quale fu reso nuo-vamente omaggio ai combattenti e ai caduti della divisione Acqui.Gennaro Capodanno (e-mail)

Risponde il direttore:È un dato di fatto quello che con la terza generazione ha inizio l’oblìo, e per Cefalonia la terza generazioneè, ormai, arrivata, mentre della seconda si riduce sempre più il numero dei superstiti. Dunque, la proposta

dell’ingegnere Capodanno giunge quanto mai opportuna ed è assoluta-mente condivisibile. Cefalonia – e, con essa, Corfù –, infatti, fu uno degliepisodi più tragici del secondo conflitto mondiale, nel quale gli orrori delnazismo si mantennero giusto un gradino al di sotto di quelli di auschwitz,Dachau e simili. Per farsene un’idea, sarà sufficiente la lettura delle me-morie postume di uno tra i pochi sopravvissuti alla strage nazista, Marianobarletta (Sopravvissuto a Cefalonia, Milano 2003), ufficiale di comple-

mento della Marina Militare (e, poi, preside dell’istituto nautico di Procida), padre del nostro collabora-tore Elio. a questo punto, è agevole quanto poca cosa sia, per napoli, averne consegnata la memoriaall’epigrafe affissa nel cortile di Castelnuovo (v. foto) e quanto il Comune di napoli dovrebbe accogliereil suggerimento dell’amico Capodanno. Possibilmente, peraltro, evitando di rinnovare il miserando trat-tamento riservato ad antonino tarsia in Curia (figura di spicco – per chi non lo sapesse – delle Quattrogiornate di napoli), al quale è stata intitolata una sorta di scivola per l’alaggio di scafi al borgo Marinari.

*   *   *

Un grazie ai lettori Filiberto ajello, Luigi alviggi, Luigi botte, Emilio bove, gennaro Capodanno,Yvonne Carbonaro, antonio Conte, giacomo de Cristofaro, grazia de Marinis, antonino Demarco, guidoDente, aurelio De rose, antonio Filippetti, gabriella Fiore, gea Palumbo, antonietta righi, Mario ro-vinello, antonella Salerno, giosuè Scotto di Santillo, alfredo taglialatela e aldo tramma, per gli ap-prezzamenti positivi che ci hanno rivolto.Siamo grati, altresì, alle pagine Facebook de “L'altro sguardo Circolo Fotografico Culturale” e di“Lab\per un laboratorio irregolare”, che hanno postato, rispettivamente, il 17 e il 26 marzo scorsi, l’ar-ticolo OpenHeart del nostro collaboratore antonio grieco, pubblicato nel n. 1/2020 della rivista.ringraziamo, infine, la Società napoletana di storia patria, che ci ha inviato, in formato digitale, il volumeCXXXVii/2019 dell’Archivio storico per le province napoletane.

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CRITERI PER LA

COLLABORAZIONE

La collaborazione a Il Rievocatore s’intende a ti-tolo assolutamente gratuito; all’uopo, all’attodell’invio del contributo da pubblicare ciascun col-laboratore rilascerà apposita liberatoria, sul mo-dulo da scaricare dal sito e da consegnare o farpervenire all’amministrazione della testata in ori-ginale cartaceo completamente compilato.Il contenuto dei contributi - che la rivistapubblica anche se il contenuto non è condi-viso dalla redazione, purché non contenganoestremi di reato - impegna in maniera prima-ria e diretta la responsabilità dei rispettiviautori.Gli scritti, eventualmente corredati da illustra-zioni, dovranno pervenire esclusivamente informato digitale (mediante invio per e-mail oconsegna su CD) alla redazione, la quale se ne ri-serva la valutazione insindacabile d’inserimentonella rivista e, in caso di accettazione, la sceltadel numero nel quale inserirli. Saranno restituitiall’autore soltanto i materiali dei quali sia stata ri-fiutata la pubblicazione, purché pervenuti me-diante il servizio di posta elettronica.L’autore di un testo pubblicato dalla testata potràfar riprodurre lo stesso in altri volumi o riviste,anche se con modifiche, entro i tre anni successivialla sua pubblicazione, soltanto previa autoriz-zazione della redazione; l’eventuale pubblica-zione dovrà riportare gli estremi della fonte.La rivista non pubblica testi di narrativa,componimenti poetici e scritti di criticad’arte riflettenti la produzione di un singolo arti-sta vivente. Gli annunci di eventi saranno inseriti,sempre previa valutazione insindacabile da partedella redazione, soltanto se pervenuti con un an-ticipo di almeno sette giorni rispetto alla datadell’evento stesso. I volumi, cd e dvd da recensiredovranno pervenire alla redazione in dupliceesemplare.È particolarmente gradito l’inserimento di note apie’ di pagina, all’interno delle quali le citazioni dibibliografia dovranno essere necessariamentestrutturate nella maniera precisata nell’appositasezione del sito Internet (www.ilrievocatore.it/col-labora.php).

La salsa è stata inventata daun cuoco filosofo: nel mondoci sono tante cose difficili dainghiottire.

Vytautas Karalius

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UN PO’ DI STORIA

alla metà del ventesimo secolo napoli an-noverava due periodici dedicati a temi distoria municipale: l’Archivio storico per leprovince napoletane, fondato nel 1876 dallaDeputazione (poi divenuta Società) napole-tana di storia patria, e la Napoli nobilissima,fondata nel 1892 dal gruppo di studiosi chegravitava intorno alla personalità di bene-detto Croce e ripresa, una prima volta, nel1920 da giuseppe Ceci e aldo De rinaldise, una seconda volta, nel 1961 da robertoPane e, poi, da raffaele Mormone.in entrambi i casi si trattava di riviste re-datte da “addetti ai lavori”, per cui Salva-tore Loschiavo, bibliotecario della Societànapoletana di storia patria, avvertì l’esi-genza di quanti esercitavano il “mestiere”,piuttosto che la professione, di storico, dipoter disporre di uno strumento di comuni-cazione dei risultati dei loro studi e delleloro ricerche. nacque così Il Rievocatore, ilcui primo numero data al gennaio 1950, chegodé nel tempo della collaborazione di fi-gure di primo piano del panorama culturalenapoletano, fra le quali mons. giovan bat-tista alfano, raimondo annecchino, p. an-tonio bellucci d.o., gino Doria, FerdinandoFerrajoli, amedeo Maiuri, Carlo nazzaro,alfredo Parente.alla scomparsa di Loschiavo, la pubblica-zione è proseguita dal 1985 con la direzionedi antonio Ferrajoli, coadiuvato dal com-pianto andrea arpaja, fino al 13 dicembre2013, quando, con una cerimonia svoltasi alCircolo artistico Politecnico, la testata èstata trasmessa a Sergio Zazzera.

Ricordiamo ai nostri lettori che i nu-meri della serie online di questo perio-dico, finora pubblicati, possono essereconsultati e scaricati liberamentedall’archivio del sito:

www.ilrievocatore.it.

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