32
Anno V - N° 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal Circolo Cittadino “Athena” - Galatina Anno V - N° 3, maggio/giugno 2010 - Autoriz. Trib. di Lecce n.931 del 19 giugno 2006 - Distribuzione gratuita www.circolocittadinoathena.com

Anno V - N° 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di ......2012/02/03  · Anno V - N 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal

  • Upload
    others

  • View
    1

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

Page 1: Anno V - N° 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di ......2012/02/03  · Anno V - N 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal

Anno V - N° 3, maggio/giugno 2010

Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal Circolo Cittadino “Athena” - Galatina

Ann

o V

- N

° 3,

mag

gio/

giug

no 2

010

- Aut

oriz

. Trib

. di L

ecce

n.9

31 d

el 1

9 gi

ugno

200

6

-

Dis

trib

uzio

ne g

ratu

ita

www.circolocittadinoathena.com

Page 2: Anno V - N° 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di ......2012/02/03  · Anno V - N 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal
Page 3: Anno V - N° 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di ......2012/02/03  · Anno V - N 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal

Historia NostraGARIBALDI E IL SALENTOdi Maurizio NOCERA 4

Poeti galatinesiUN RICHIAMATO DELL’ 89di Piero VINSPER 8

Scrivevano i nostri padri...LA SCUOLA A GALATINA NEL 1906di Carlo CAGGIA 12

Risorgimento salentinoSIGISMONDO CASTROMEDIANOdi Luigi GALANTE 14

Terra noscia IL SALENTO DELLE LEGGENDEdi Antonio MELE ‘MELANTON’ 16

C’era una volta...GISARINO, L’ETERNO INNAMORATOdi Emilio RUBINO 18

Autori & EditoriMONADE ARROCCATAdi Giuseppe MAGNOLO 20

Artisti salentiniSALVATORE CARBONEdi Eugenio GIUSTIZIERI 22

Associazioni culturaliUNIVERSITAS GALATINAdi Gianluca VIRGILIO 25

Sul filo della memoriaPALLA DE PEZZA, TUDDHRI E... CATASCAdi Pippi ONESIMO 27

Iniziative culturaliROTARY INTERNATIONALa cura del 2120° Distretto 30

SOMMARIO

Ieri ssira a Santa Caterinanu celu tersu e ll’aria fina finae tante stelle de tante misurelucenti e pizzutebrillanti e ‘ncantate e rricamatet’amori luntani e bbicini

A luna cisapenu nc’era s’hia scusacisape a ddhru stia

E nnui caminandu ripa ripa a lli scojibbabbati canisci a ccojere lucite scemme de stellescurnusi e prasciati fra rose e azaleee ppanari e cannizzi

e concertu te coreca ssammutta e llucisce ogni fiata

a teatru a lla chiazza a lla mmanealla sira te state e de jernu.

Giuseppe Greco

Parabita

COPERTINA: Salvatore Carbone - Omaggio al Salento - Olio su tela

Redazione Il filo di Aracne

Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina, edito dal Circolo Cittadino “Athena”Corso Porta Luce, 69 - Galatina (Le) - Tel. 0836.568220 info: www.circolocittadinoathena.com - e-mail: [email protected] Autorizzazione del Tribunale di Lecce n. 931 del 19 giugno 2006. Distribuzione gratuitaDirettore responsabile: Rossano MarraDirettore: Rino Duma Collaborazione artistica: Antonio Mele ‘Melanton’ Redazione: Antonio Mele ‘Melanton’, Maurizio Nocera, Pippi Onesimo, Piero Vinsper, Gianluca VirgilioImpaginazione e grafica: Salvatore ChiffiDistribuzione: Giuseppe De Matteis

Stampa: Editrice Salentina - Via Ippolito De Maria, 35 - 73013 Galatina73013 Galatina.

CANISCI DE STELLECANISCI DE STELLE

Page 4: Anno V - N° 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di ......2012/02/03  · Anno V - N 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal

Il Salento, l’ottocentesca Terra d’Otranto, è stata una ter-ra dove grandi e dure sono state le lotte per il consegui-mento dell’Unità d’Italia. Qui, agirono figure di livello

nazionale, come Bonaventura Mazzarella, Sigismondo Ca-stromediano, Giuseppe Libertini, Antonietta De Pace, altriancora. Fra di essi, sicuramente va annoverato anche Ema-nuele Barba, patriota e uomo insigne di Gallipoli, che ebberelazioni con Giuseppe Garibaldi, VictorHugo e altri scienziati e patrioti dell’epo-ca. Fu soprattutto con Garibaldi che il Bar-ba di Gallipoli tenne buoni e lunghirapporti, rilevabili ancora oggi da docu-menti dell’epoca conservati nell’archivioromano dei Barba, tra cui Eugenio Barba,il famoso regista dell’Odin Teatret danese.Per lo più si tratta di manoscritti e materia-le iconografico facente parte di una colle-zione di «ricordi garibaldini» che il Barba siera proposto di raccogliere a partire dall882, anno della morte di Garibaldi e chechi qui scrive, nel 1982, anno del centena-rio della morte dell’Eroe dei Due Mondi,ebbe modo di studiare e trarre da essi al-cune riflessioni, in parte poi pubblicate su«Il Corriere Nuovo» di Galatina (anno V, n.5-6, 1982), diretto allora dal compianto Carlo Caggia.

Garibaldi e il SalentoQui nel Salento è noto che il Barba fu un sincero patriota

e che per tutta la vita rimase fedele agli ideali del Risorgi-mento. Egli, nel maggio 1848, aveva partecipato ai moti in-surrezionali dando un non secondario contributo allacostituzione del Circolo patriottico gallipolino, sezione co-ordinata del Circolo patriottico leccese.

Per questa sua attività fu perseguitato e più volte incar-cerato dalla polizia borbonica.

Fino a che non vide l'Italia unita, lottò sempre, parteci-pando a tutte le iniziative che nel Salento e nella Pugliavennero prese a favore della liberazione dell'Italia del suddal governo dei Borboni. Fu garibaldino della prima ora,nel senso che si prodigò qui, nella sua terra, a propaganda-re e sostenere le azioni militari e politiche ispirate o direttedal generale Garibaldi. La prima volta che manifestò pub-

blicamente l'ammirazione per Giuseppe Garibaldi fu in oc-casione della prima "Festa patriottica", svoltasi a Gallipoliall'indomani dell'unità nazionale. Sotto la statua dell'Italiaturrita fece appendere la seguente epigrafe: «A Garibaldiunico/ l’Italia una./ La sua vita fu olocausto/ il suo nome/ sarà/simbolo della libertà/ dei popoli». Questa targa marmorea, del-la quale non c’è più traccia nella città ionica, fu apposta a ri-

cordo del grande contributo dato daGaribaldi alla causa dell’Unità d’Italia.Emanuele Barba, infatti, non dimenticò maile numerose iniziative che l’Eroe dei DueMondi più volte intraprese, soprattutto perliberare il Sud dai Borboni.

Nel 1860 Garibaldi, alla testa dei Mille,dopo aver sconfitto l'esercito borbonico edaver conquistato la Sicilia, aveva reso possi-bile l'unità nazionale, non riuscendo però aliberare Roma ancora governata dallo statopontificio. L’obiettivo del generale, però,piuttosto che quello di Camillo Benso, con-te di Cavour, e di Casa Savoia, era quello divedere Roma capitale dell’Italia unita; perquesto, nel 1862, egli intraprese nuovamen-te, ripartendo dalla Sicilia, un'azione mili-tare, questa volta però interrotta sull'Aspro -monte dalle truppe regolari del nuovo regno

d'Italia governato dai Savoia. È noto che, in quella impre-sa, lo stesso generale, nel corso di quella operazione, fu fe-rito e fatto prigioniero.

Nelle sue “Memorie” è lo stesso Garibaldi che così ricor-da quegli avvenimenti: «Dopo marce disastrose, per sentieriquasi impraticabili, l'alba del 29 agosto 1862 ci trovò sull'alti-piano di Aspromonte, stanchi ed affamati [...]. Giunsero i nostriavversari, e ci caricarono con una disinvoltura sorprendente [...].Noi non rispondemmo. Terribile fu per me quel momento. Getta-to nell'alternativa di deporre le armi come pecore, o di bruttarmidi sangue fraterno! [...]. Io ordinai non si facesse fuoco, e tale or-dine fu ubbidito, meno da poca gioventù bollente alla nostra de-stra, agli ordini di Menotti [...]. La posizione nostra nell'alto, conle spalle alla selva, era di quelle da poter tenere dieci contro cen-to. Ma che serve, non difendendosi, era certo che gli assalitori do-vevano presto raggiungerci. E siccome succede quasi sempre,essere fiero chi assale, in ragione diretta della poca resistenza del-

4 Il filo di Aracne maggio/giugno 2010

HISTORIA NOSTRA

Giuseppe Garibaldi

Page 5: Anno V - N° 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di ......2012/02/03  · Anno V - N 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal

l'avverso, i bersaglieri che ci marciavano sopra, spesseggiavano[replicavano] maledettamente i loro tiri, ed io che mi trovavo trale due linee per risparmiare la strage, fui regalato con due palle dicarabina, l'una all'anca sinistra, e l'altra al malleolo interno delpiede destro» (cfr. G. Garibaldi, “Memorie”, Avanzini e Tor-raca editore, Roma 1988, pp. 452-53).

A causa di questa ferita Garibaldi, dopo essere stato con-dotto a Varignano (forte militare nei pressi di La Spezia) fucondotto a Pisa, dove gli fu estratta la pallottola. Quindi,per evitare altre inconvenienze, contrastanti con la monar-chia sabauda, fu costretto a rifugiarsi a Caprera laddove,«dopo tredici mesi - scrive ancora nelle sue “Memorie” - cica-trizzò la ferita del piede destro, e sino al '66 condussi vita inerteed inutile» (cfr. Op. cit., pag. 454).

Però, occorre dire che proprio inerte edinutile la vita trascorsa in quell’occasioneda Garibaldi a Caprera non fu, in quanto ilpensiero della liberazione di Roma rimasein lui più vivo che mai. Della liberazione diRoma, in quegli anni, si occuparono moltialtri patrioti. Già il IX° Congresso delle So-cietà Operaie (Firenze, settembre 1861) ave-va deliberato, a conclusione dei suoi lavori,il massimo rafforzamento e la più ampiaestensione dei Comitati di Provvedimentoper Roma e Venezia, sorti dalla trasforma-zione dei preesistenti Comitati di soccorsoa Garibaldi per Napoli e Sicilia, che avevanosvolto un ruolo determinante prima e du-rante la lotta per fare unità l’Italia.

A Gallipoli, l'anima propulsiva di taliComitati fu indiscutibilmente anche quella del dottor Ema-nuele Barba. Da molto tempo, infatti, egli si dedicava allaraccolta di fondi, tramite sottoscrizioni pubbliche, che pe-riodicamente inviava all'organizzazione centrale. Di que-sta attività rivoluzionaria, dà notizia egli stesso su «IlGallo», giornale popolare gallipolino, del 22 maggio 1862,da lui fondato e diretto con lo pseudonimo di Filodemo Al-pimare. Scrive: «Il nostro Comitato di Provvedimento per Romae Venezia, il quale da 15 mesi [era stato costituito nel febbra-io 1860] ha dato opera allo installamento di altri Comitati filialiin molti paesi del Circondario, in men di due alla distribuzione dipiù migliaia di Azioni pel Fondo Sacro, ha iniziato nella nostraCittà una soscrizione» (cfr. «Il Gallo», anno 1, n. 1, Stabili-mento Tipografico, Lecce 1862, quarta pagina).

Il 4 novembre 1863, una delle tante somme raccolte dalBarba venne personalmente inviata a Giuseppe Garibaldiancora in ritiro a Caprera per i postumi della ferita subitasull'Aspromonte. Dalla sua isola, l’Eroe dei Due Mondi ri-spose, ringraziandolo così: «Caprera, 12 novembre 1863. Si-gnor Dottore Emanuele Barba. Ho ricevuto il vaglia di L. 287.39pel fondo sacro Roma e Venezia e la prego ringraziarne per me igenerosi oblatori. Suo G. Garibaldi».

Due anni dopo, nel 1865, si costituì nuovamente un altroorganismo simile al primo, il Comitato Unitario Costituzio-nale, questa volta con 1'obiettivo di sostenere, nelle elezio-ni parlamentari, i deputati della Sinistra. Su proposta delBarba, che in Gallipoli in quel momento assumeva l’incari-co di vicepresidente dell'Associazione Elettorale Italiana, ilComitato locale venne intestato a Giuseppe Garibaldi.

Sul finire di quello stesso anno, il Barba, con l'apporto dialtri suoi compatrioti, fondò la Società Operaia di MutuoSoccorso ed Istruzione della città, della quale divenne se-gretario a vita e compilò uno dei primi Statuti e Regola-menti delle società operaie e di mutuo soccorso di tuttaTerra d'Otranto.

Anche in questa occasione, Emanuele Barba dimostrò diessere un fervente garibaldino. Agli operai e ai patrioti diGallipoli, riunitisi il 4 dicembre 1865 per la fondazione del-la società, disse: «Fratelli Operai, confortati dagli esempi splen-didissimi di altre città italiane, voi volete costituirvi in società dimutuo soccorso ed istruzione, del cui statuto e regolamento vipiacque commettermi la compilazione. Ebbene a ringraziarvi pertant'onore e fiducia vi dirò poche e franche parole, quali si addi-

cono a leale operaio in libera terra. A me pareche col volervi affratellare in questa maniera,mostrate di essere capaci e degni di ogni bene,perché volete onestamente usare dei due primi epiù antichi diritti dell'uomo, che sono la liber-tà e l'associazione. Io spero ancora che voi con-seguirete ogni bene, perché volete compiere i dueprimi doveri dell'uomo sociale, che sono loscambievole soccorso e l'istruzione. Io anzi af-fermo che voi già possedete i due maggiori beniche possono avere quaggiù gli operai cristiani,cioè la volontà di perseverare nel lavoro, il qua-le è l'origine più santa di ogni proprietà, la finedi ogni miseria, e il desiderio di uscir dall'igno-ranza, la quale è il più funesto retaggio delleclassi laboriose, la cagione precipua d'ogni lorosciagura. Voi dunque potete andare alteri d'imi-

tare in ciò l'eroe più caro d'Italia nostra, Giuseppe Garibaldi»(cfr. “Statuto e Regolamento della Società Operaia di Mu-tuo Soc- corso-Istruzione di Gallipoli”, Tip. A. Del Vecchio,Gallipoli, 1866).

Di questo periodo della vita del Barba, dei suoi rapporticon Gariba1di, in modo più preciso e dettagliato riferisceanche l'avv. Stanislao Senape-De Pace, che scrisse questeparole:«Scettico in politica dopo il '60, sentì ancora fremere po-tentemente il sentimento patriottico al 1866, quando tutta Italiasorgeva animosa a pugnare pel riscatto dell'antica martire delleLagune, quando Garibaldi gridava: "A Vienna, a Vienna" e ricor-rendo al Comitato per la liberazione di Roma e Venezia, che fuuno dei primi a costituirsi in Gallipoli, mandò all'esule di Capre-ra il contributo dei nostri conterranei. E sotto il governo italiano,ebbe ancora 1'onore d'essere sospettato di troppo liberalismo, tan-to che dopo Aspromonte, ricevè varie perquisizioni domiciliari,perché si temeva, ed era vero, che facesse parte del Comitato per1'arruolamento dei Garibaldini». (cfr. “Albo ad Emanuele Bar-ba”, Tip. G. Campanella, Lecce 1888, p. 85).

Un'altra prova di ammirazione per l’Eroe dei Due Mon-di, Emanuele Barba lo manifestò pubblicamente nel 1873quando, assieme ad alcuni amici poeti, fra i quali Forleo-Casalini, Forcignanò, Prudenzano, Adele Lupo, Minervinied altri ancora, pubblicò un opuscolo di poesie e raccontibrevi, sul quale fece stampare un suo componimento poe-tico, dal titolo “Garibaldi su la tomba di Ugo Foscolo nel21 aprile 1864”: «Sotto ciel nebuloso e brulla terra/ Giace lun-g'ora, ahimè! colui che s'ebbe/ Da ignari e da tiranni eterna guer-ra:/ Di quei che in Grecia nato Italo crebbe/ Le sacre ossa ignota

maggio/giugno 2010 Il filo di Aracne 5

Emanuele Barba

Page 6: Anno V - N° 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di ......2012/02/03  · Anno V - N 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal
Page 7: Anno V - N° 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di ......2012/02/03  · Anno V - N 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal

gleba serra:/ Chi di Pindo e Valchiusa al fonte bevve,/ Chi com-battèa dei despoti le brame,/ Dei “Sepolcri il cantor” moria di fa-me!// Volgon più lustri - e l'Anglica nazione / Plaude festante alForte di Caprera;/ Muto ristà dei liberi il campione/ All'aura po-polar - Ei tutto spera/ In un pensier di patria religione/ Che riful-ge qual Sol che non ha sera:/ E colui che i due mondi onorantanto/ D'Ugo il sepolcro confortò di pianto.// E dopo il pianto conpietosa mano/ Depone una corona in su l'avello;/ Poi togliendo aldivin Carme un brano/ Di suo pugno lo incide su di quello;/ E al-la tomba del Pindaro italiano/Esclama alfin, Macedone no-vello:/ Ad Ugo al generoso algrande al forte/ Giusta di glo-rie dispensiera è morte.// Equel grido ripetesi da un'eco/Che alla voce risponde deglieroi;/ Si ripercuote il grido inogni speco,/ Quel grido giàcommove il petto a noi/ Chedi Foscolo il genio italo-greco/Ereditammo, perché figlisuoi;/ E... Italia grata omai al-zi una voce:/ Ugo riposa eter-no in Santa Croce» (cfr. E.Barba, in “Strenna delgiornale «L'Araldo Gallipolino» per l'anno 1873”, p. 63).

Appena due anni dopo, Emanale Barba, nel commemo-rare a Gallipoli il 19° Anniversario dell'Unità d'Italia, dedi-cò un nuovo componimento poetico – “Un sospiro diGaribaldi nella festa nazionale del 1875” – con versi che ov-viamente riflettono lo stato d’animo di quei patrioti deside-rosi di vedere Roma capitale d’Italia.

Questi stessi versi, scritti su un foglio volante e distribui-to in Gallipoli come un volantino, Emanuele Barba li inviòanche a Garibaldi, che così gli rispose: «Prof. Emanuele Bar-ba - Gallipoli. Grazie per la vostra lettera del 7 luglio e per i vo-stri bei versi. Vi stringo la mano e sono Vostro G. Garibaldi.Frascati, 10 - 7 – 75».

Era il 1875, Garibaldi aveva 68 anni e, la maggior partedel suo tempo, lo trascorreva a Caprera. L’Italia era ormaiunita e Roma ne era la capitale. Anche Emanuele Barba nonera più il giovane rivoluzionario risorgimentalista del 1848e la sua vita (ha 56 anni) trascorreva prevalentemente fra ilibri della Biblioteca Comunale di Gallipoli, della quale erastato nominato bibliotecario a vita, Le sue preoccupazionimaggiori erano rivolte ad arricchire di libri gli scaffali del-la biblioteca e, nello stesso tempo, a dare corpo a quellasplendida istituzione da lui stesso creata e che a tutt'oggi èil Museo naturalistico gallipolino, una delle istituzioni pub-bliche più importanti dell’intero Salento. Questi suoi inte-ressi, però, non gli impedirono di continuare ad avere comefaro della sua azione l’Eroe dei Due Mondi. Quando Gari-baldi morì a Caprera, il 2 giugno 1882, Emanuele Barba de-dicò un nuovo componimento poetico, intitolato “Il Fortedi Caprera”, VI° Canto dell' “Album di dolore sulla tombadi G. Garibaldi”, pubblicato a cura dell'amico patriota Lui-gi Forcignanò.

Ad avvisarlo della morte dell’Eroe erano stati il garibal-dino Timoteo Riboli e l'amica Antonina Ceva-Altemps, spo-sata Stampacchia, due personaggi importanti della prima

Italia unita. Timoteo Riboli (1808-1895) era medico e patrio-ta di Colorno, fedelissimo di Garibaldi il quale, nella prefa-zione alle sue “Memorie”, lo ricordò con queste parole: «Aicari D.ri Prandina, Cipriani, Riboli, io devo pure una parola digratitudine, siccome al D.re Pastore. Il D.re Riboli in Francia,chirurgo capo dell'esercito dei Vosges, fu contrariato da indispo-sizione seria ed accanita. Così stesso, egli non mancò di prestaropera utilissima» (cfr. G. Garibaldi, “Memorie”, Op. cit., pag.39). Il Riboli, che fu pure massone come Sovrano Commen-

datore della Giurisdizioneitaliana del Supremo Con-siglio del Rito scozzeseantico e accettato, ebbeanche il delicato compito,affidatogli da Garibaldi,di collocare il manoscrittode “I Mille” presso un edi-tore. Corrispose con Ema-nuele Barba sin dal 1880.Antonina Ceva-AltempsStampacchia era la mogliedel patriota salentino emedico di Casa SavoiaGioacchino Stampacchia.

Entrambi questi dueamici del Barba, dopo la morte dell’Eroe, continuarono adinformarlo di tutte le iniziative organizzate in Italia nel no-me di Garibaldi.

Per anni gli inviarono lettere e fotografie del generale, conle quali il Barba iniziò a formare quella collezione di «Ricor-di garibaldini» (oggi conservata a Roma nel ramo della fami-glia Barba colà stabilitasi), alla quale rimase affezionato peril resto della vita. Egli aveva formato un piccolo faldone dicarte, chiuso con un biglietto inviatogli dall’amico Luigi Ca-stellazzo (1827 - 1890), patriota e garibaldino sin dal maggio'48, che aveva preso parte alle campagne militari per l’Uni-tà d’Italia del 1859 e del 1860 come ufficiale di Giuseppe Ga-ribaldi. Il Castellazzo fu pure deputato, e cominciò acorrispondere col Barba a partire dal 1884.

Sul biglietto, che chiude il faldone, c’è scritto un pensie-ro, secondo me di estrema attualità. Eccolo: «Se Garibaldi ri-vivesse, Egli, nella sua magnanima e fiera natura di Patriota e diEroe, imprecherebbe a questa Italia degenerata, che lo commemo-ra a parola, gli erige monumenti di pietra, ma non sa imitarne levirtù, proseguire l'opera e compierne i sublimi ideali». •

maggio/giugno 2010 Il filo di Aracne 7

Battaglia di Calatafimi

Maurizio Nocera

Un gravissimo lutto ha colpito il nostro direttore responsabile, dr. Rossano Marra.All’età di 87 anni è deceduto il suo caro

papà PietroLa redazione de “il filo di Aracne” e i soci

del Circolo Cittadino “Athena” partecipanocon costernazione alla dolorosa perdita e

porgono le più sentite condoglianze

Page 8: Anno V - N° 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di ......2012/02/03  · Anno V - N 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal

Nel dicembre del 2007 Giovanni Montinari, proni-pote del Salacino, stampa un libretto, fuori com-mercio, riproducente il Diario o, per meglio dire,

quello che resta del Diario, per farlo leggere al padre Ange-lo, nipote del Nostro, che venerava molto suo zio e al qua-le lo legava un profondo affetto e ungrandissimo amore.

Il Diario gli era stato donato daEdda, sua cugina. È doveroso pre-mettere che il capitano Fedele Sala-cino è richiamato alle armi durantela guerra in Africa Orientale. Dopovarie peripezie, come si evince dalDiario, nel 1940 da Napoli si reca aBari e s’imbarca sul piroscafo Olim-pia alla volta di Valona, in Albania.Ma l’Olimpia, ancorata presso Sase-no, isoletta davanti alla baia di Valo-na, viene bombardata dagli inglesi:la cabina del capitano Salacino èsommersa dall’acqua; tutti i bagaglivanno in malora, compreso anche ilDiario e tutti quanti i disegni in ac-querello fatti su di esso: sicché i di-segni sono sbiaditi e la scrittura, per così dire, liquefatta edi difficile interpretazione.

Bisogna aggiungere, inoltre, che il Salacino nasce a Gala-tina il 25 giugno del 1889; svolge la professione di inse-gnante elementare nella sua città. Sposa Giulia MariaTundo, dalla quale ha quattro figli: Luigi, Raffaele, Carme-la ed Edda. Nel 1929 pubblica un volumetto di poesie invernacolo, A tiempu persu, con lo pseudonimo di Cino dePortaluce. Muore a Galatina all’età di 54 anni, l’8 ottobredel 1943.

Il Diario è una vera e propria testimonianza della vitadel capitano Salacino durante questo periodo bellico e ma-nifesta, in maniera inequivocabile, tra ansie e timori, i dub-bi e l’incertezza sull’esito della guerra. Spesso, infatti, dice:“Perché sto in Albania? Perché? Perché?...”.

E gli ritornano in mente le lunghe passeggiate che face-va con Uccio De Donno “lungo i pietrosi sentieri che da con-trada San Sebastiano in Galatina, mandano a Galatone, a Nardò

e a Collemeto, traverso una foresta di ulivi… Nessun casolare,non una voce d’uomo… Finalmente il verde cupo che fino a quelmomento, aveva impedito di volgere lo sguardo su più vasto oriz-zonte, cominciò a divenire più rado e poi a scomparire. Una cam-pagna brulla ci si presentò davanti… A pochi passi dalla strada era

una casa colonica… Questa è contradaLatronica. A cinquecento metri, lì giù,più avanti, è la masseria della Latroni-ca… Bussammo in un vecchio portone…Dopo non poca attesa… dall’interno…apparve il capo di una donna anziana checi chiese cosa volessimo… Ho dimenti-cato di dire che De Donno indossava,quella volta, la sua divisa coloniale constivali e speroni e frustino in mano.

… Vogliamo comprare della ricotta sece la volete vendere… oppure del formag-gio fresco… Qui il vecchio portone sispalancò e venne fuori un uomo. – Favo-rite! Entrammo nella masseria e ci met-temmo a sedere. L’uomo si allontanò erientrò con una grossa forma di cacio pe-corino e me la offerse.

- Professore, te la regalo per la BuonaPasqua! Ricotta a quest’ora non ce n’è!....

Era già buio e Galatina attendeva al di là dell’oliveto, dopo loscontorto sentiero irto di pietraia e di fossette erbose a circa sei chi-lometri. Come scorgemmo le prime case della città, già pioveva…“

E ancora con nostalgia il Salacino rivive con la mente iltempo in cui lui, studentello di quinta ginnasiale, facevala corte a Giulia, sua futura moglie.

… “Povera Giulia, quanta noia non le diedi, quanti dispiace-ri per nonnulla… Ella però mi voleva bene davvero… e finì conl’avere ragione del tutto il giorno 27 giugno dell’anno 1911,quando ci sposammo… Giulia, insieme a me, aveva un altro pre-tendente, un certo Antonio Vergine, cartolaio e legatore di li-bri… Costui a dire un po’ il vero era il beniamino di miosuocero:… questi vedeva nel Vergine una persona più seria, piùfattiva e più capace… Certo è che tra me e il Vergine si stabiliro-no rapporti poco cordiali… Si era in campagna ai Paduli, l’an-no 1909. Il mio podere distava da quello di Giulia appena undieci minuti di cammino: per la quale cosa non mi era di impe-

8 Il filo di Aracne maggio/giugno 2010

POETI GALATINESI

Cap. Fedele Salacino

Page 9: Anno V - N° 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di ......2012/02/03  · Anno V - N 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal

dimento l’andare da lei tre o quattro volte al giorno… Il giorno8 settembre mio suocero mi propose di andare a Collepasso… pervedere le luminarie e i fuochi di artificio in onore della Madon-na delle Grazie… Andammo… Ed ecco che si presenta in mez-zo a noi Antonio Vergine: vestito di nuovo e conduceva a manouna lussuosa bicicletta… Ci incontrava… casualmente. Vollefar sfoggio del suo ubi consistam: comprò delle noccioline e del-le mandorle abbrustolite e ne diede in maggior parte a mio suo-

cero… ci menò in una osteria e lì fece bere diversi bicchieri divino…

Dopo la mezzanotte prendemmo la via del ritorno. Mio suoce-ro invitò il cartolaio a seguirci e fare con noi la strada dei Padu-li; da qui poi avrebbe raggiunto la strada di Cutrofiano che, dallastrada Colaturo, mena a Galatina… Fu questa per me una gra-ve umiliazione. Quell’invito significava appunto: Giulia è in ca-sa: se vuoi vederla… E per tutta la vecchia strada da Collepassosino alla casina di Ascalone, fu tutta un’infilata di punzecchia-ture… Dalla casina Ascalone alla contrada Colaturo correva unavecchia carreggiata, in certi punti al di sopra di 1 e 2 metri dalpiano coltivato, impraticabile nel periodo di pioggia… Da que-sta carreggiata a cento metri di detta tenuta si accedeva alla ca-sa di villeggiatura dei miei futuri suoceri… Colsi l’occasione dinon so quale allusione che a me il Vergine faceva, e questa vol-ta… cominciai ad assestargli pugni e calci con la violenza di unagragnuola estiva che arriva inaspettatamente… Lo presi per ifianchi e lo scaraventai nel sottostante vigneto… A terra, sullacarreggiata era poggiata la sua bicicletta di marca… dopo alcu-ne mie pedate ai raggi delle ruote, la sollevai di peso con ambe lebraccia e la gettai lontana riducendola in frantumi…

Alcuni anni dopo ci riappacificammo con il Vergine: ma comegià scritto nel libro del destino egli non doveva godere di questa

vita: richiamato alle armi nel 1915 morì di palla austriaca nelcampo dell’onore!”

Da quanto s’è detto, appare chiaro che il Salacino è uno“scrittore” asciutto, breve, senza fronzoli e senza aridità;senza enfasi, alieno da ogni colore rettorico, badante piut-tosto alla sintesi degli avvenimenti che alla narrazione deifatti ai quali partecipò in prima persona. E il Diario si snoc-ciola tutto in questa direzione, sia che parli dei paesaggiintorno a Valona sia che faccia il resoconto delle operazio-ni di guerra. Però il Salacino, alias Cino de Portaluce, sta tut-to in tre componimenti del suo Diario, in vernacolo, in cuiappare a volte una pungente, a volte una celata e malinco-nica ironia.

Aggiu fattu na notte propriu brava,Giulia: me sonnu de na signurina!...

C’era?... nun so!... La signurina stavaSusu a nu canapè de seta fina,

russa ca ti cecava l’occhi!...Cosa de meravija, Giulia! Piettu e coscia

nudi!... a stenti na magliettina rosadhu puntu li scundia ca nu sse moscia!

Cu l’anche a cavarcuni, tutte zzizzi,cu certe scarpicelle a simpatia, cu lli capelli neri e rizzi rizzi…

Giulia, propiu cusì… parola mia!E poi l’occhi… Nu l’aggiu visti mai,Giulia, e li musi comu na rusicchia…

Ti giuru ca se Santi eranu a dhai ti li scuddhava puru de la nicchia!

Eppuru, Giulia lu maritu tovustava a sou postu comu petra cruda!...

Iu la quardava senza cu mme movula bella signurina tutta nuda…

Oh la quardava, sì,… lu pizzichinuné era… ma poi la ragiunava, già, la cosa:

e cce vi, se me nvicinu?...Tu, Giulia, sai ca quista è verità!

E, nu putendo d‘ommu, la facia d’artista!...Forsi forsi, moglie mia, pe lla tema ti dole sta facenda,

ca tocca llassi in tuttu la marenda!Maca!... ciuvieddhi, e cu lla fazza ‘n posta,

avia saputu meju, ieri a sera…percè la signurina facci tosta

era… na crossa bambula de cera!È un componimento, questo, dedicato alla moglie Giu-

lia, per farla, per così dire, ingelosire. Gelosia che la don-na non provava come lo si può constatare da altre paginedel Diario.

Tutti li passarihannu lu pizzu:

hannu le femmanetutte lu rizzu;tutti li masculiportanu mpisala cravattinaa la camisa;

ogni caddhinatene la crista;tene la manica

maggio/giugno 2010 Il filo di Aracne 9

Page 10: Anno V - N° 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di ......2012/02/03  · Anno V - N 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal

10 Il filo di Aracne maggio/giugno 2010

qualunque cista;persone e ciste,buttija e rzulu

sotta alle manichehannu lu culu;hannu le pecure

la fantasiade le cacagnule

comu vulia,mentru lu vove

cchiu sacristanula face comu(illeggibile);ogne pasulu

ndistintamentetene lu spiritu

de cumbattente;tutte le miessihannu la spica;ogne culumbuporta la fica;

i ciucci volenule ricche longhe;su’ mare tuttele catalonghe;

qualunque sèmanafruttu produce;

li api cunservanulu fruttu duce;

hannu li prevatilonga suttana

ogne dumenacaface semàna;tene lu lippu

la cozza nuda;hannu li pulici curta la cuda.Ogne carusatene lu spilu,

sotta a lle manichecrisce lu pilu;

sotta a lla nevestannu li strunziogne Puntalicetene li nunzi;

sotta a lla lammiastisu lu jettu;

intra a llu jettulu scarfaliettu;susu a llu jettudorme lu tale

sotta a llu jettunc’è lu rinale;doppu lu marezzicca la terra;

doppu la Francianc’è l’Inghilterra;

tutti li scenchihannu la trippa;

tutti li ngrisifumanu a pippa;hannu li ngrisitostu lu coru:

quiddru ca dannudi robba loru!...

...............

...............

...............Una sottile e incosciente sia pur bonaria ironia traspare

dal tratteggio di Hoxha, la lavandaia. Ede lu diavvulu

pintu e scuddhatu:nasi de papara

occhi pisciatu…Simile a ncinu

lu vangalieddhu,sanni de ciucciumusi de geddhu,la pelle a scarde

de baccalà…Hoxha la veduva

èccula qua!Cùtumi cùtumiquantu na rzulanu cruppu d’aria

face cu vula.Porta li sandalifatti de ntrama,porta la veste

usu pigiama…Se vole ppiscia,

l’ave ttrinchià…Hoxha la veduva

èccula qua.Susu a llu còcculu

nu muccaluru fronte li mbojaca

e capu puru;lu stessu sparganulu coddhu chiudee scinde all’anguli

come do’ cude:simile a monaca

de caritàHoxha la veduva

èccula qua.De forma tundalu retu manca,lisciu lu piettu

comu na chianca:…Era nu masculuma bruttu assai

se nu tteniadha cosa ddhai…

Ci vole vedere la rarità,

Hoxha la veduvaèccula qua.

Page 11: Anno V - N° 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di ......2012/02/03  · Anno V - N 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal

maggio/giugno 2010 Il filo di Aracne 11

Questa lavandaia è brutta quanto il diavolo; ha il mentoa forma di uncino, i denti simili a zanne, grossi quantoquelli degli asini, mentre le labbra sono piccolissime comeil becco degli uccelli.

Il termine cùtumi potrebbe derivare dal greco kùtos, par-te concava di un recipien-te; però è più verisimileche si riferisca al latinoquotumus, piccolo. Rzulu(lat. urceolus, dim. di ur-ceus) è l’orciuolo, reci-piente di creta per acquae per vino. Còcculu (gr.kòkkalos, pigna) è il cra-nio, la testa; muccaluru(lat. muccatorius) fazzolet-to per il naso. Spàrganu(gr. spàrganon), fascia,pannicelli per bambini.Per ciò che riguarda lavoce cruppu non so se ilMontinari l’abbia decifrata bene. Può darsi che il Salacinoabbia scritto cruffu, che è il libeccio o il vento sciroccosoche viene dal mare. Ma, sia nell’uno che nell’altro caso, ilsenso e il significato del verso non cambiano.

Piccola piccola, quanto un orciuolo, il soffio dello sciroc-co o una folata di vento la fa volare. Ha i sandali intreccia-ti con delle corde che sembrano budella. Ha sul cranio ungrande e lungo fazzoletto che le copre la fronte e la testa,

e come una fascia le cinge il collo e scende giù da una par-te e dall’altra con due code. Il corpo è rotondo; scarseggiadi glutei e di seno. Con linguaggio più colorito diremmonoi: chianulisciata de nanzi e de retu (piallata sul davanti e suldi dietro).

Però, malgrado la de-scrizione nuda e cruda, siapur realistica, della donna,il capitano Salacino vuolebene a questa lavandaia.Poco prima l’ha informatadell’uccisione di sua sorel-la per mano del marito,che ora sta sui monti conle capre.

“E qui la donna ruppe inpianto asciugandosi gli oc-chi in un lembo del suo co-pricapo. Poi svolse il miofagottino e numerò il conte-nuto… E se ne fuggì verso

una catapecchia di legno, nera come la notte, nei cui pressi sta-va una tinozza piena d’acqua, un pezzo di sapone e dei panniammonticchiati… Più in là, invece, mosse da un vento legge-ro leggero, alcune camicie fermate a una corda, tra albero e al-bero, mostravano al sole del mattino il loro candoreaccecante…“ •

Piero Vinsper

Gli acquerelli sono tratti dal Diario di Fedele Salacino

Page 12: Anno V - N° 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di ......2012/02/03  · Anno V - N 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal

12 Il filo di Aracne maggio/giugno 2010

SCRIVEVANO I NOSTRI PADRI...

Come ogni conoscitore di cose salentine sa, il 1906 èun anno particolarmente importante per le durissi-me lotte politico-sociali che si svolgevano nel no-

stro territorio, in particolare da Galatina sino al Sud delCapo di Leuca, per l’emancipazione delle classi contadineed operaie che rivendicavano, attraverso le Leghe di Resi-stenza, condizioni di vita e di lavoro più umane e civili(orario di lavoro, paga, ecc.). Non dimentichiamo che nel1905 a Maglie e nel 1906 a Galatina si hanno i primi con-

tratti di lavoro stipulati in Italia per i contadini e per le rac-coglitrici di ulive.

Le organizzazioni operaie si ponevano però anche il pro-blema dell’istruzione popolare, attivando Scuole serali peranalfabeti, con l’aiuto e la collaborazione di maestri e pro-fessori la cui formazione culturale era positivistica o (quan-to meno) socialisteggiante.

È interessante scorrere le pagine di questa rivista di pic-

colo formato e di sedici pagine perché si potrà avere unospaccato di qual era la situazione socio-culturale di Gala-tina. È di particolare rilievo, a pagina 6, una lettera apertaal Cav. Avv. Pasquale Galluccio, Sindaco di Galatina, daltitolo “Pro analfabetismo”. Da questo articolo si ricava chesu di una popolazione di 14.086 abitanti (censimento del1901), solo 4.000 soggetti sanno leggere e scrivere, mentregli evasori dall’obbligo dell’istruzione elementare (fanciul-li dai 6 a 12 anni) sono ben 1.300.

Dice la rivista: “…ci siamo convinti che la maggior parte deifigli dei lavoratori non vanno a scuola o perché i genitori nonhanno denaro per comprare loro il pane, qualche vestitino e lescarpe, o perché essi hanno bisogno di sfruttare il lavoro dei te-neri figli per provvedere al gramo sostentamento delle fami-glie…”.

E continua: “Gli adulti poi non s’istruiscono perché qui man-cano le scuole serali e festive”.

Ed ancora: “Ciò premesso, noi ci rivolgiamo alla S.V. per pre-garla di fare le pratiche necessarie per istituire, col concorso del-lo Stato, nel prossimo mese di novembre, corsi regolari serali efestivi per gli adulti…”.

Ed inoltre: “Costituisca dunque la S.V. un comitato delleprincipali autorità cittadine, di professionisti, insegnanti, ricchiproprietari, caritatevoli e gentili signore, e vedrà, in poco tempo,sorgere nella nostra città le cucine economiche per gli alunni po-veri, la refezione scolastica…”.

Sotto il titolo “La sorte di molte idee-pratiche” (pag.14)si riporta un brano apparso sulla rivista “I diritti dellaScuola”, in cui si riprende un’idea dell’on. Luigi Cedraro –ex sottosegretario all’Istruzione – che invitava le SocietàOperaie e le organizzazioni operaie e contadine a fare “ob-bligo per statuto ai propri soci di mandare a scuola i figlioli”, pe-na l’espulsione per “coloro che non si sottoponevano aquest’obbligo”.

A circa cent’anni da allora, possiamo rilevare l’ingenui-tà (per lo meno) di quest’idea, considerando che l’atteg-giamento dei genitori-lavoratori era determinato da benaltre motivazioni.

Nel mio archivio privato di pubblicazioni antiche galatinesi, esiste un numerodi una rivista, “LA SCUOLA PER LA VITA”, datato1 giugno 1906 (anno 1, n. 2).Il sottotitolo è: Rivista mensile per l’educazione e l’istruzione delle Classi po-polari. Redattori i proff. Pietro Papadia-Baldi e Pietro Baldari. Una copia £ 0,15, stampatore “Tipografia economica”.

Dal “CORRIERE” del mese di gennaio 1991

LA SCUOLA A GALATINA LA SCUOLA A GALATINA NEL 1906NEL 1906

di Carlo Caggia*

Carlo Caggia

Page 13: Anno V - N° 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di ......2012/02/03  · Anno V - N 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal

maggio/giugno 2010 Il filo di Aracne 13

Altre notizie si possono ricavare dalla rivista: in incita-mento per l’erezione di un monumento a Pietro Siciliani“gran filosofo, gran pedagogista, grande educatore”; unanota circa il servizio automobili-stico in provincia di Lecce (Trica-se-Galatina-Lecce, ore 8 di viag-gio!), una nota per restauri nellachiesa di Santa Caterina, indiriz-zata all’on. Antonio Vallone; l’isti-tuzione di una Scuola di Reci-tazione (ad iniziativa dei signoriPietro Cesari, Giacinto Bardosciaed Emanuele Bernardini); un cor-so tecnico-pratico di Lingua Fran-cese, tenuto dal prof. TommasoLuceri; una serie di lezioni teori-co-pratiche sulle concimazioni(Prof. G. Ceccarelli); una confe-renza “dell’illustre scienziato Cav.Dott. Cosimo De Giorgi” su “I ter-remoti salentini e le nostre costru-zioni edilizie”.

***Ampio spazio viene dato a due

scuole superiori: la Scuola Tecnica“P. Cavoti”, con tre sezioni (a tipo comune, commerciale,agrario), con un totale di due classi con 85 alunni, di cui

44 “forastieri” e 25 “giovanette”. Il Consiglio di Ammini-strazione era composto dal Cav. Avv. P. Galluccio, Presi-dente effettivo; Cav. Avv. C. Bardoscia, Ing. P. Micheli.

Direttore: Prof. Pietro Cesari. Inse-gnanti: Ceccarelli Giuseppe, CesariPietro, Coluccia Maria, Congedo Giu-seppe, Leone Emilio, Luceri Pietro,Marra Luigi, Mauro Giuseppe, PanicoGiuseppe, Papadia Pietro, SusannaAlessandro.

Il Convitto P. Colonna contava inve-ce 74 convittori, di cui 66 “forastieri”ed era diretto dal Sac. Dott. Rocco Cat-terina; Censore, Alfonso Castriota, Vi-ce-Censore Ippolito De Maria. I 74convittori erano divisi in quattro“compagnie” con a testa i relativi “isti-tutori”.

Circa un secolo è passato da quandosi pubblicavano queste cose e si svi-luppavano queste tematiche. Quantaacqua è passata sotto i ponti!

Oggi i tempi sono mutati: vecchiproblemi sono stati cancellati ma nuo-vi e più drammatici (basti pensare adroga e disoccupazione giovanile)

premono sui nostri giorni. •* Carlo Caggia è scomparso il 15 agosto 2006

Page 14: Anno V - N° 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di ......2012/02/03  · Anno V - N 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal

Pietro mio.Ebbi la tua carissima ed aspettata lettera nella quale tra-

luceva quella verità, assai difficile a trovarsi oggigiorno, oper dir meglio impossibile in questo secolo d’ipocrisia!Nella tua ultima mi raccomandi alla mia salute e al riposo,ma il mio stare non ti dico. Ti scrivo coi ferri che annienta-no l’anima mia. Sono affetto di dolori a tutto il corpo…preveggo grandi sventure a questa oltretomba! Dio, quan-do finirà Pietro mio? Che destino terribile il mio, la galerami spaventa e mi confonde. A che querelarci noi adunqueche per quel tanto di vero sentire la patria esistiamo dad-dovero, o almeno siamo in grado di render gra-zie all’Eterno Artefice per aver donatociun’anima che ama lealmente, tema che pos-sa la burbanza altrui con potenza inferna-le stracciarcela dal petto. Tutti siamo esulifratello mio! E questa patria nostra, che peri figli propri è novera, e agli estranei è ma-dre amorosa, ne fa sicuranza che sarà sur-rogata dalla madre dei buoni, che accogliecon suprema gioia i figli tutti affratellatida una mutua speranza. Che gridino pu-re contro noi gli stolti, animati dalla gros-sa sapienza; che ci chiamino pure stra-vaganti. Mi dici nella tua, che assai ti pesala cura della tua famigliola, ma che l’aminon però. Oh quanto sei lodevole perciò. Tu sei il solo in cui essa ha un confor-to, una guida; e tu sei nell’obbligo d’es-ser tutto per essa. Ben sai che disse il Pellico all’oggetto«Per esercitar la divina scienza della carità con tutti gli uomini,

bisogna farne il tirocinio infamiglia». Qual dolcezzanon v’è in questo pensie-ro: siamo figliuoli dellastessa Madre. Qual dol-cezza nell’aver trovato ap-pena venuti al mondo glistessi oggetti da venerarecon predilezione! d’identi-tà del sangue, e la somi-glianza di molte abitudinitra fratelli genera natural-mente una forte simpatia,a distruggere la quale nonci vuole meno che un orri-bile egoismo. Se vuoi esse-re buon fratello, guardatidall’egoismo, ascolta il tuo Gismondo; proponiti ogni gior-no nelle tue fraterne relazioni d’esser generato. Ciascunde’ tuoi fratelli e delle tue sorelle vegga che i suoi interes-si ti son cari quanto i tuoi. Rallegrati delle loro virtù, inci-tale, promuovile anzi col tuo esempio; fa che abbiano abenedire la sorte d’averti Fratello. Ecco ciò che dice Pelli-

co; tu lo metti in pratica: sei adunque ottimo fratello, de-gno di ricevere dalla società quella stima, e quella fedealla verità, che sono di frutto d’un perenne esercizio di

dignitosi sentimenti. Mi dicevi che forse io mi sa-rei noiato a legger la tua lettera perché lunga. Ah,no Pietro mio, t’inganni d’assai! Quella letteraera brevissima per me, che divorava quelle tueparole coll’ansia d’un affamato che da lungapezza non gusta cibo saporoso e poscia condi-

to in modo da tramandare fortissimo l’odo-re. Qual altro bene abbiamo noi poveridivisi se non quello di manifestarci per lo

mezzo di scritti ciò che amore ci detta den-tro? Qual altro conforto aver la nostra vera ami-

cizia se non se quello di venderci per via di lettere,meno pesante e dura la lontananza? DicoVera Amicizia, dappoichè questa in noi ècominciata da una scambievole simpatia

tra giovinetti e manifestazione di stima; e durerà per la for-za di eguali principi tra noi. L’amicizia tu ben sai ch’è una

14 Il filo di Aracne maggio/giugno 2010

RISORGIMENTO SALENTINO

Sigismondo Castromediano“Lettera a Pietro Cavoti”

di Luigi Galante

Epistola inedita indirizzata dal carcere di Montesarchio a Pietro Cavoti

2a parte

L’ultima lettera, inv. 3294, sfuggitami per lungo tempodai miei studi, riappare alla luce per arricchire e com-pletare le parti mancati delle Lettere dal Carcere del No-stro. Lettera interessantissima per i contenuti di doloree martirio che il Castromediano è costretto a subire, eche racconta all’amico Cavoti dal duro carcere diMontesarchio (racchiuso dal giugno 1855 al gennaio1859). La lettera, dopo accurata e scrupolosa indagine,risulta inedita dal carteggio delle Memorie.

Sigismondo Castromediano

Galatina - Museo CivicoPanciotto di S. Castromediano

Page 15: Anno V - N° 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di ......2012/02/03  · Anno V - N 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal

fratellanza, e nel suo più alto senso, è il bello ideale dellafratellanza. È un accordo supremo di due o tre anime, nonmai di molte, le quali son divenute comenecessarie l’una a l’altra, le quali hannotrovato l’una nell’altra la massima dispo-sizione a capirsi, a giovarsi, a nobilmenteinterpretarsi, a spronarsi al bene. Parlia-mo d’altro. Mi domando che me ne faccioio qui? Potrai bene immaginarlo, amicomio! Ma voglio dirti come strascino i mieigiorni.

Appena menato a riposato mi sveglionell’oblio. La mattina comincio a far ri-flessioni tra me e me su lo stato mio pre-sente… e s’ingombra la mente da tantecontraddittorie supposizioni, che per po-co non degenerano da mania. Allora puoiimmaginarti i castelli in aria ch’io faccio,le belle palazzine da fata ch’io creo nelmio pensiero, (più scomposto e disordi-nato dell’album d’un Artista, a tuo dire).Nella mia malinconia, la fortuna di averecompagni che mi assistono in cuore e in spirito. Te ne par-lai caro Pietro mio, ma ti confido che tra tanti, il poveroPanfilo1 è affranto da lunghi e mortali dolori fisici. A ciòsiam destinati! Accetta, o fratello, un bacio di cuore, eduna benedizione dal mio labbro, e và felice; che Iddio te nedarà sempre dal suo alto seggio onnipossente.

P.S. Salutami i miei parenti ed i miei amici di Galatinae perdonami se non ho potuto prima scriverti, giacchè la

mente mia non è al suo segno…. e… nonposso dirti di più. Prega per il tuo Gi-smondo.

Addio caro Pietro, ti abbraccio con ognistima ed affetto

Castello di Montesarchio, prigione poli-tica, 11 febbraio 1858

Il tuo affezionatissimoSigismondo Castromediano

NOTE:

1. Panfilo Serafini, morì povero e a causa delle infer-mità contratte nella detenzione, a soli 47 anni. Oggiè sepolto presso la chiesa della S.S. Annunziata.Scrisse molte opere di carattere storico e un com-mento al Canzoniere di Dante Alighieri pubblicatoa Firenze nel 1883. Grazie alla temperie della IIguerra d'indipendenza e all'accelerazione del pro-cesso unitario, fu graziato il 29 agosto del '59, e asse-

gnato al domicilio coatto sotto sorveglianza in una località che nonfosse quella di origine. Andò a Chieti. L'anno successivo Garibaldi,spazzando il regime borbonico, lo liberò definitivamente. Il sogno, ilsuo sogno dell'Italia unita, libera e indipendente, si era realizzato. Tor-nato a Sulmona, scomparve prematuramente all'età di 47 anni, anche acausa delle angherie patite nel periodo di dura detenzione nelle carce-ri borboniche.

maggio/giugno 2010 Il filo di Aracne 15

Galatina - Museo Civicoinv. 3378 - Ritratto del Cavoti

Page 16: Anno V - N° 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di ......2012/02/03  · Anno V - N 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal

Siamo stati fortunati, quelli della nostra generazione.L’ultima della millenaria civiltà contadina, la primadi quella spaziale e tecnologica. A cavallo – e il gioco

di parole è qui davvero inevitabile – tra i cavalli che scal-pitavano sulle strade di polvere bianca e le astronavi chesono sbarcate sulla luna.

Una generazione passata dalla povertà al benessere eco-nomico. Dalla semplicità alla smoderatezza. Una genera-zione che ha conosciuto i lumi a petrolio e le luci fatuedella televisione, l’analfabetismo diffuso e il precariato peri laureati, la felicità dell’attesa per le piccole cose e l’inso-stenibile insoddisfazione del tutto e subito...

Siamo stati fortunati perché possiamo confrontare, capi-re, e fors’anche spiegare, quanta ricchezza ed amore ave-vamo. Quando noi siamo stati piccoli, le nostre famiglieerano tutte numerose. Ai genitori, e fratelli, e sorelle, si ac-compagnavano nonni, nonne, zii, cugini, amici, conoscen-ti, persone di passaggio, vicini di casa. Un tesoro diumanità inestimabile. Forse mai più ripetibile. Sicuramen-te mai dimenticabile.

Non sembra, ma sono trascorsi secoli. Anni-luce, anzi.La gente – ciascuno di noi – viveva con naturalezza nellecase e nelle strade, e dividevamo le stesse emozioni.

I racconti, ad esempio. Quel fascinoso momento, soprat-tutto in estate, quando le sere all’aperto – seduti con gli oc-chi curiosi intorno ai nostri maestri di vita – si affollavanodi orchi, di draghi, di figlie del re, di misteriosi tesori na-scosti... Le nostre fantasie ci accompagnavano verso eroitemerari e invincibili che attraversavano boschi e monta-gne, e cammina e cammina, superando insuperabili provee rompendo incantesimi, sempre arrivavano in quell’inde-finibile e magico confine del mondo, al di là di tutti i pos-sibili orizzonti, “dove non canta gallo e non luce luna”...

Siamo stati fortunati. Perché quella nostra generazioneha saputo comunque tenere viva la memoria e trasferirequalcosa di quei vecchi tempi che i tempi nuovi non po-tranno più disperdere: la purezza dell’essere, il senso del-l’identità e dell’appartenenza, l’orgoglio delle ‘radici’.

Valori autentici. Resistenti. Inalterabili. Ovunque e conchiunque si concerti la propria esistenza. E che il Salento inbuona parte conserva e sa trasmettere ancora, grazie an-

che (e soprattutto) attra-verso la cultura e le saldetradizioni popolari.

4. Autentico marchio difabbrica della civiltà sa-lentina sono alcune leg-gende come questa, ri-guardante la famosa “pie-tra miracolosa” della cap-pella di San Vito aCalimera.

Vi si va obbligatoria-mente nel giorno dellaPasquetta, e si accede altempietto – ubicato appe-na fuori dal paese, ad estdel cimitero, sulla stradache conduce a Martano –per il rito propiziatorio“della fertilità e della sa-lute”, arcaico e pagano,ma cooptato nella religio-ne cristiana. Al centrodell’unica navata spuntadal terreno un masso fo-rato, preesistente alla chiesa stessa.

L’apertura nella ‘pietra miracolosa’ pressoché circolare,è alquanto stretta. E tuttavia, appiattendosi sul pavimento,stirandosi e contorcendosi all’occorrenza, una moltitudi-ne di pellegrini (di varia e diversa età, ses-so, peso, volume e statura) si provanotenacemente ad attraversare questo mono-lite d’epoca preistorica, redimendosi e assorbendo dallamagica petra de santu Vitu ogni proprietà benefica e rinno-vate energie.

Un’impresa, come si può facilmente intuire, inconsuetae per nulla agevole, ma che – come vuole la leg-genda – avrà un esito immancabilmente positivoper chi sia animato da purezza di spirito e da unafede solida e profonda, elemento essenziale per-ché il prodigioso ‘passaggio’ purificatorio si ve-rifichi.

Se la fede muove le montagne, qui nella chie-setta di san Vito le attraversa.

5. Ci sono altre “pietre” che continuano a solle-ticare la fantasia del popolo salentino.

Fra queste, le più misteriose e spettacolari sonosicuramente quelle che si trovano (da secoli, edanzi da millenni) nelle campagne fra Minervino eil comune più piccolo e anche più grazioso dellaprovincia di Lecce, Giuggianello.

Benché di dimensioni eccezionali, non è faciletrovarle, dissimulate come sono fra le vaste diste-se di ulivi che ricoprono le serre del luogo. Unavolta reperite, però, la fatica cederà il passo allameraviglia e al piacere della scoperta, e la sorpre-sa e l’ammirazione saranno assolute. Non è ne-

16 Il filo di Aracne maggio/giugno 2010

terra noscia terra noscia terra noscia terra noscia terra noscia terra noscia terra noscia terra n

Misteri, prodigi e fanell’antica Terra d’O

Seconda puntat

di Antonio Mele ‘Mela

Calimera - Cappella di S. Vito - Pietra miracolosa

Minervino - Il masso osc

Quando muoiono le leggende finisQuando finiscono i sogni, finisce og

Page 17: Anno V - N° 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di ......2012/02/03  · Anno V - N 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal

anche facile descriverle intutta la loro completa ma-gnificenza: bisogna in-somma pazientementecercarle, vederle, e toccar-le (davvero) con mano.Un’emozione unica e stu-pefacente.

Nell’area in questione, apoca distanza gli uni daglialtri, si trovano i massi piùimponenti, ai quali la tra-dizione popolare ha asse-gnato nomi favolosi comelu Furticiddhu (arcolaio) dela Vecchia (cioè della Stre-ga, moglie de lu Nanni Or-cu), lu Liettu de la Vecchia,o lu Pede d’Ercule (a formadi un piede gigantesco).

Per convincimento delcelebre archeologo france-se François Lenormant(1837-1883), che intorno al1866 fu in Italia per esplo-rare anche le regioni sa-

lentine, lu Furticiddhu (che ha la forma di un colossalefungo pietrificato, ed è anche conosciuto come il Massooscillante) sarebbe nientemeno che la prova fisica del famo-so “mito di Ercole” narrato da Aristotele e riportato nel De

Mirabilis Auscultationibus. Secondo tale mito, Ercole rincor-

se i Titani fin nella Japigia meri-dionale (la nostra Terra d’Otranto), lanciandocontro di loro dei massi enormi nello scontro de-cisivo, avvenuto appunto nella zona fra gli attua-li centri abitati di Giuggianello e Minervino. Uno

di questi massi ricadde poi su un cumu-lo di altre pietre colossali, posizionando-si in un tale equilibrio che il semplicetocco del dito di un bambino basterebbeper farlo rimuovere...

Sempre a proposito dei Titani, va anco-ra detto che essi, spinti da Ercole verso ilmare, finirono poi per annegare, e la de-composizione dei loro corpi diede originealle acque sulfuree delle terme di SantaCesarea.

Ma questa è un’altra storia. Anzi, un’altra leg-genda.

6. E le storie d’amore? Eccone una, particolar-mente curiosa: è quella della bellissima Principes-sa di Brindisi e dell’intraprendente Cavalieremisterioso venuto dall’Oriente.

Le nonne dell’alto Salento narrano ancora delnobile don Alfonso, signore brindisino al tempodella dominazione spagnola il quale, essendogiunta la sua unica figlia, fanciulla di rara bellez-

za, in età da marito, era pronto a concederla in sposa, e conuna ricchissima dote, al cavaliere che più d’ogni altro aves-se dimostrato di essere forte, audace, e massimamente in-gegnoso.

Per questo, ricorse ad un astuto stratagemma. In un’aladel tuttora esistente castello-fortezza posto sull’isola disant’Andrea, in gran segreto, e in tredici stanze diverse, fe-ce alloggiare la figlia ed altre dodici fanciulle della stessaetà, abbigliate tutte allo stesso modo, sfidando gli aspiran-ti mariti ad indovinare il nascondiglio, e identificando poi,senza alcun indizio particolare, chi fra le tredici fanciullefosse la vera Principessa.

Aperto ufficialmente il bando, numerosi contendenti sicimentarono nell’impresa, ma dopo molte settimane nes-suno fu in grado di risolvere l’arcano. La Principessa, pe-raltro, si stava letteralmente ammalando di noia. Finché, abordo di un grande veliero, giunse dall’Oriente un giova-ne e nobile cavaliere il quale, venuto a conoscenza dellasingolare ed enigmatica competizione, si fece costruire dalpiù valente cesellatore della città, con la massima riserva-tezza, una grande aquila d’oro, capace di nascondere al-l’interno una persona, e dotata altresì di un meccanismoche, facendo muovere le ali, diffondeva nell’aria un profu-mo soave, e una musica attraente e melodiosa.

Incuriosito dallo straordinario gioiello di cui parlava or-mai tutta la città, don Alfonso chiese all’orafo di poterloavere in prestito, con l’intento di mostrarlo alla figlia e, sedi suo gradimento, di fargliene dono. Il gioielliere natural-mente acconsentì e l’aquila d’oro (nella quale si era pre-ventivamente nascosto il giovane cavaliere d’Oriente) fuportata con ogni cautela nella stanza della Principessa.

Il seguito è di facile intuizione: andati via tutti dalla stan-za segreta, il misterioso e scaltro cavaliere – che era peral-tro di aspetto affascinante, e figlio di un ricco Sultano – uscìdal nascondiglio, si presentò alla bella Principessa, le rac-contò le sue ardimentose imprese, e si dichiarò innamora-to perdutamente di lei. Anche per la Principessa si trattò diun autentico colpo di fulmine: così, la storia si concluse conil primo di un’infinita serie di baci.

Superfluo aggiungere che, come in tutte le storie d’amo-re dei vecchi tempi, la Principessa di Brindisi e il prode Ca-valiere d’Oriente vissero per sempre felici e contenti...

Auguri e figli maschi! •

maggio/giugno 2010 Il filo di Aracne 17

erra noscia terra noscia terra noscia terra noscia terra noscia terra noscia terra noscia terra noscia terra noscia terra noscia terra no-

i, prodigi e fantasie tica Terra d’Otrantoeconda puntata

onio Mele ‘Melanton’

vino - Il masso oscillante

Brindisi - Castello Alfonsino o Forte a mare

(2. continua)

oiono le leggende finiscono i sogni.cono i sogni, finisce ogni grandezza.

Page 18: Anno V - N° 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di ......2012/02/03  · Anno V - N 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal

Non si sa quand’egli sia nato, e si conosce appe-na il periodo della sua dipartita, che i più an-ziani del paese concordano nel circoscrivere

intorno al 1930.Qualcuno lo ricorda come un bullo impenitente, ma era

piuttosto un sempli-ce bonaccione checredeva eccessiva-mente in sé e nellesue improbabili vir-tù amatorie, nono-stante fosse alquan-to “stagionato”, econtasse almeno unasettantina di prima-vere.

Come la gran par-te del popolino diquei tempi, era perdi più analfabeta, eil non saper leggerené scrivere gli crea-va un grosso pro-blema, essendosempre alla ricercadi “avventure” ga-lanti con le donneche frequentavanola Chiesa di San Do-menico di Nardò, eche egli, sacrestanodi lungo corso, adocchiava in quel luogo sacro, fra unoscampanio e l’altro, sotto lo sguardo scandalizzato, irri-tato e severo del Signore Iddio, della Madonna, e deivari Santi e Sante.

Non avendo la possibilità e, forse, neppure il coraggiodi avvicinarle personalmente, si trovava così costretto arivolgersi ad un amico per scrivere la usuale dichiara-

zione d’amore. L’amico (che, pur con calligrafia contor-ta e sghimbesciata, sapeva a modo suo trasferire sullacarta le idee che frullavano per la testa di Gisarino) eraun certo Pippinu, e sovente le frasi scritte sulle epistoleamorose erano frutto dei suoi suggerimenti.

Gisarino, di giàprescelta la donna,sempre si ripromet-teva che quella do-vesse essere l’ultimasua fiamma e, sedu-to a tavolino conl’amico, si metteva asnocciolare con calo-re tutti i sentimentiche quella vista (o,se volete, quella vi-sione beata) gli ave-va fatto nascereimprovvisamentenel cuore, facendolobattere tumultuosa-mente dentro il suopetto.

Come tutti gli in-namorati, intessutele dovute lodi al-l’amata, si esibiva inpromesse appassio-nate, spergiurandooceani di immenso

amore e montagne di calda felicità.In tutte le dichiarazioni che dettava all’amico Pippinu

(il quale – è bene pur dirlo – ogni volta, in quelle promes-se, ci credeva più dello stesso Gisarino che le formulava),giunto alla fine, per una evidente e comprensibile que-stione di prestigio, si raccomandava calorosamente discrivere sempre così:

18 Il filo di Aracne maggio/giugno 2010

C’ERA UNA VOLTA...

di Emilio Rubino

Page 19: Anno V - N° 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di ......2012/02/03  · Anno V - N 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal

“Tille – rimarcava – ca sontu musicista, ca sonu nu stru-mentu a corde: li campane ti San Duminicu”.

E l’amico lo accontentava.Nelle conquiste femminili, come nella vita, Gisarino fu

sempre sfortunato:mai un progresso,mai un passo avantinella sua condizio-ne sociale, e così fucostretto a suonarefino all’ultimo deisuoi giorni le cam-pane di San Dome-nico, cosa che fececon serena rasse-gnazione, senza maiimprecare alla catti-va sorte, per non fa-re peccato.

Poiché aveva uncuore giovane, fusempre instancabi-le, malgrado l’etàavanzata, nel quoti-diano impegno dicampanaro, ma,ahimé, la sua “musica” non incantò mai alcuna donna, ecosì restò sempre solo con i suoi sogni incompiuti. Insom-ma, nessuna delle “sue” donne volle mai accettare le tan-to infuocate profferte, anche per il fatto che lesceglieva sempre molto più giovani di lui. Perciò,visse la sua vita fra continue illusioni e ripetute de-lusioni.

Sempre pronto ad innamorarsi ma, come al soli-to, mai ricambiato, ebbe l’occasione di conoscere(e naturalmente di corteggiare) la giovane dome-stica, di nome Carmina, del Delegato di PubblicaSicurezza di Nardò, che all’epoca occupava un’aladel palazzo De Noha posto in un vicolo in ViaSambiasi, dove Gisarino effettuava qualche piccoloservizio per arrotondare le magre ricompense cheritraeva dall’attività di sacrestano nella Chiesa diSan Domenico.

La giovane Carmina, però, dovette tener duro edebbe, evidentemente, a dover respingere in mododeciso le profferte amorose di Gisarino che, indi-spettito dai netti rifiuti, ogni qualvolta che la in-contrava, poco galantemente – caso unico della suavita! – le canticchiava così:

Carrofalu scattusu,Carminella lu porta susu

E lu porta scarassatu,quarche prete li l’ha basatu!

A questo suo ritornello la giovane Carmina erasolita controbattere stizzita con l’antico detto:

“A te t’ha pigghiatu lu fuecu ti Nardò, quiddhu casusu arde e sotta no!”

Quella di Gisarino, però, era una rabbia del cuore,

perché, essendo vissuto eternamente solo, aveva bisognosolo di un po’ d’amore. Amore che, non solo non ebbe mai,ma che non rinvenne neppure nelle immagini sacre, nel vol-to e nei cuori delle tante Madonne che in chiesa lo circonda-

vano in ogni istantedella giornata.

Poi, un giorno –non sappiamo dipreciso quando – ilsuo cuore stanco eamareggiato pertanta solitudine, di-venuto ormai vec-chio, cessò di batterecon le campane.

Così, tutto finì co-me finiscono tuttele cose del mondo,anche se, pensiamo(ed è bello pensar-lo), qualcuna delle“sue” amate, qual-che volta, nellaChiesa di San Do-menico avrà, silen-ziosamente, quasi

per sdebitarsi del proprio rifiuto, pregato per lui, perchéla sua anima, in fondo in fondo niente affatto cattiva,volasse in cielo verso il Paradiso. •

maggio/giugno 2010 Il filo di Aracne 19

Nardò - Facciata della Chiesa di San Domenico

Page 20: Anno V - N° 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di ......2012/02/03  · Anno V - N 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal

Da cosa nasce la poesia? Generalmente si ritiene cheessa nasca dalla mente e dal cuore sotto l’urgenzadi una emozione da esprimere e da condividere.

La condizione che produce l’ispirazione poetica scaturi-sce da una impressione originaria che muove le corde delsentimento, ma al tempo stesso necessita di una adegua-ta decantazione per perdere il suo carattere di provvisorie-tà temporanea, ed acquisire forma definitiva in unadimensione oggettivata, che le possa conferire carattere diuniversalità, pur con tutti gli elementi circostanziali chela corredano. Lo stato emotivo iniziale si innesca nei mo-di più vari ed imprevisti: ascoltando-si dentro, leggendo, ricordando, ri-flettendo, avvertendo la presenza ol’assenza di qualcuno o qualcosa, me-ditando sulla vita individuale o suldivenire storico. L’ispirazione poeticapuò essere un fatto episodico, oppurepuò costituire una situazione ricor-rente con frequenza varia e differen-ziata. In qualche caso essa diventauna proiezione individuale sponta-nea, che può rientrare in un ampio earticolato processo evolutivo fatto difasi e stagioni diverse, di umori mute-voli innestati su convinzioni più omeno radicate, arrivando talvolta aconfigurarsi come modo d’essereistintivo e predominante.

L’esperienza poetica per Maria RitaBozzetti è una condizione pressochénaturale, che prefigura e sostanzia lasua tendenziale aspirazione ad esistere, pensare, relazio-narsi e motivarsi sulla base di un rinnovato incontro conl’atto creativo. Il suo percorso evolutivo in ambito poeticocopre un periodo ormai più che ventennale, connotato daslanci espressivi che coronano una ricerca profondamenteavvertita sul piano esistenziale, a tratti intensamente sof-ferta, condotta in una prospettiva valoriale che postula unatteggiamento di sincerità e coerenza assolute. Sul versan-te linguistico-formale tale processo appare sempre più sos-tenuto da una spiccata inventività, i cui effetti spesso in-ducono l’autrice ad esplorare e risemantizzare il lessico esi-stente, oppure a proiettarsi verso l’elaborazione di formenominali e cadenze ritmiche assolutamente nuove.

Assai raramente questo itinerario è scandito da momen-

ti di appagamento consolatorio, o almeno di pacata accet-tazione dell’esistente. Prevalgono invece esiti di laceranteinsofferenza, ed una pulsione di veemente contrasto difronte ai mali del mondo, alle falsità e i dubbi del viverequotidiano, all’impotenza nel rimuovere lo spettro dell’in-giustizia che attanaglia il destino di chi nel vasto teatro diun’umanità in eterno conflitto sembra predestinato a soc-combere. Questo conato ideale a schierarsi risolutamentedalla parte dei perdenti rimane tuttavia sostanzialmenteirrisolto, anche se ricomposto in una fatalistica rassegna-zione che trova qualche tenue spiraglio di spinta proposi-

tiva solo nella consapevolezza delproprio limite.

Nel suo recente volume di poesie in-titolato Monade Arroccata (ed. Lepi-sma, 2008) l’autrice proietta una fasedella sua vita contraddistinta da pro-fonda crisi esistenziale, unitamente aduna maturità artistica che conferiscenuova linfa vitale alla sua ricerca poe-tica, pur gravandola di dubbi e di om-bre che attanagliano il suo vissutoquotidiano, percepito come vano efrustrante se ridotto ad arroccato iso-lamento. Tale condizione di chiusuraella tenta di superare mediante il tra-vaglio connesso all’atto poetico, ondepervenire ad una visione di fede rasse-gnata, di umiltà e condivisione. Anco-ra una volta lo spunto è offerto dallarilettura di alcuni testi sacri, passi dalvangelo di Giovanni e dall’Ecclesiaste,

volendo con questo riaffermare in primo luogo la pienaconsapevolezza di quanto la vicinanza con Cristo-Dio ser-va a ridimensionare le ferite di qualunque individuo sof-ferente, per poi esitare verso una prospettiva di caratteregnomico-sapienziale, ma soltanto per constatare che qual-siasi aspirazione umana o illusione di successo è destina-ta a risultare vacua ed insignificante se limitata ad unavisione esistenziale mirata unicamente ad un consegui-mento di tipo immanente.

E’ evidente che occorre non farsi ingannare da suggestio-ni semplicistiche che portino a concepire il percorso di que-st’ultima esperienza poetica come un ennesimo faciletentativo di trovare rifugio dalle angosce del quotidiano inuna condizione di mistico distacco dalla realtà, per quan-

20 Il filo di Aracne maggio/giugno 2010

AUTORI & EDITORI

“MONADE ARROCCATA”“MONADE ARROCCATA”Genesi e sviluppo del processo creativo nella poesia di Maria Rita Bozzetti

di Giuseppe Magnolo

Page 21: Anno V - N° 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di ......2012/02/03  · Anno V - N 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal

to ciò possa apparire fondato e persino ovvio nei rimandidell’autrice a versetti e citazioni che vengono premessi al-le diverse sezioni della raccolta, sino a fungere da appa-rente prologo e battistrada al motivo sviluppato poe-ticamente. Tale linea interpretativa va invece rovesciata,nel senso che è necessario chiedersi perché la visione tristee a tratti disperante dell’esistenza, insita temporaneamen-te nello stato d’animo per il quale la Bozzetti tenta di apri-re un qualche varco di espressivitàcondivisibile con il lettore, trovi cor-rispondenza in quei particolari passibiblici e non in altri, ed ella possa av-vertire una sintonia che conduce lasua trepidante sete di verità dogma-tica verso la prospettiva trascenden-tale di mistica assertività insita nellaprosa di Giovanni, mentre su un pia-no diverso, più intimo e personale,ella sente una consonanza che la pro-ietta verso il doloroso richiamo allavanità dell’esperienza come espressonell’Ecclesiaste.

E’ probabile che l’autrice ritenga dipoter articolare la propria spintacreativa sul piano poetico-espressivocome conseguente a due diverse mo-tivazioni, l’una oggettiva ed assolu-tizzante, l’altra individuale e con-tingente. La prima determina in lei ildesiderio di assurgere ad una visioneprospettica di trascendenza e supe-ramento dell’ego attraverso la riaf-fermazione del Verbo, la parola divina che, se posta afondamento del vivere, è l’unica in grado di evitare la pro-strazione dell’isolamento sconfiggendo la negatività delmale e della morte. Ma evidentemente questo non basta,perché accanto a questa dimensione euristica di improntaspirituale ella sente anche il bisogno impellente di uno spa-zio di dialogo con i propri dubbi all’interno stesso del suopercorso artistico, per riflettere sulle debolezze che la carneeredita sin dal suo primo vagito, trascinando con sé affetti,ansie e sofferenze che sostanziano il quotidiano e lo con-trappongono all’eterno. Forse questo afflato personale, sep-pur flebile, a tratti defilato ed intimista, è ancora più vicinoal vero sentimento poetico di quanto non sia la dimensio-ne di tragica grandezza che ispira l’idea della croce.

Non è casuale infatti che sulla stessa linea psicologico-interpretativa si muovano le coordinate motivazionali delprotagonista del romanzo Senza Potere (ed. Lepisma, 2009),che nella produzione letteraria della Bozzetti costituiscequasi il contrappunto sul piano narrativo di un medesimoitinerario di riposizionamento esistenziale, rivolto a con-seguire uno stato di serenità interiore attraverso una riso-luta e definitiva rinuncia liberatoria. Per quanto impre-vedibile ed apparentemente incongruente, questa decisio-ne risulta necessaria per recidere i vincoli del potere sul-l’individuo, e consentirgli di essere finalmente libero nelleproprie scelte, anche a costo di degradarsi nella gerarchiasociale. Solo a tal prezzo è consentito ad ognuno di realiz-

zare un reale rovesciamento di quella diffusa e inganne-vole concezione del diritto di appartenenza che snatura laspinta originaria dell’individuo verso il senso di fratellan-za e condivisione (L’umiltà distacca dalla presa delle cose / erende l’ombra padrona della verità1).

Se è vero che un filo rosso mantiene costante una strettacolleganza tematica fra le due diverse forme espressive, dicui una convenzionalmente definita come genere narrati-

vo distinto dalle modalità ascrivibilialla poesia, è anche vero che soprat-tutto in ambito poetico l’autrice risul-ta particolarmente efficace nel suotentativo di costruire su un humus li-rico ed intimista un richiamo som-messo a riassaporare un gusto dellavita fatto di cose e sensazioni sempli-ci, che possono placare l’ansia di as-soluto indicendola a guardare alcontingente con occhi nuovi, ed in-frangendo le barriere di separatezzache condannano alla solitudine. Per-sino la parola può finalmente rina-scere come lògos, ossia energia crea-tiva capace di esprimere una visionedi idealità compiuta, facendo sì cheanche il lettore possa trasecolare sul-le ali della poesia dal reale al fanta-stico senza tempo e motivo, nellapienezza appagante del sentire poeti-co come sogno ad occhi aperti che ri-conduce la realtà vissuta ai suoielementi primordiali: umori, profu-

mi, luce, quiete, speranza nel domani. Il sogno diventaquindi metafora dell’atto creativo, veicolo perfetto deltrasumanare del pensiero razionale nella fantasia, l’essen-za stessa dell’ispirazione poetica:

Il sogno non si saziadi pane o di oro o di case, è un torrente che anela

alla piena per ascoltare il cantodell’acqua che dà al silenzio

un segnale della vita;è una corsa di insetti

su asperità di montagneper carpire un profumoche dia nettare migliore;

è il giro di un quarto di lunapassando dietro il sole;è una pioggia che lava,

e si smorza nel tintinnareallegro di gocce su stese

pergamene tra boccioli e pistilli;è un umore di pianto

che avvolge di fresco lo stelo,perché nella notte conservidi un giorno il suo fiorire2.

Note:1 Monade Arroccata, pag. 68.2 Ibid., pag. 187.

maggio/giugno 2010 Il filo di Aracne 21

PalermoChiesa di San Giovanni degli eremiti

Fot

o di

Alfi

o C

rivel

li -

Col

lezi

one

priv

ata

Page 22: Anno V - N° 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di ......2012/02/03  · Anno V - N 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal

Se, in qualche modo, non si entra nella deli-berata ma utile complessità di Salvatore Car-bone, si rischia di non intendere il suo

magnifico e seducente modo di fare arte. Guarda-re le opere di grafica, di pittura, di scultura spie-ga poco dell’unicità e diversità dell’artista, che èrappresentato soprattutto dal metodo, dal proces-so ideativo, da un sistema tutto personale. Una di-versità che ha origini storiche; fra le altre cose, stadentro la sua formazione da autodidatta, in un at-teggiamento “altro”, ancora oggi, rispetto al siste-ma dell’arte e del suo consumo che pone al centrodel proprio lavoro la questione del senso del pro-getto del mondo contemporaneo, del ruolo del-l’artista che sembra debba essere sempre alservizio della collettività. L’artista sottopone allacomune riflessione desuete parole-ideali, come di-gnità, uguaglianza, necessità di coniugare qualitàe produzione artistica.

Salvatore Carbone propone una sfaccettata con-figurazione dello spazio con l’intenzione di faremergere quanto sta dietro e attorno al lavoroprogettuale e produttivo; articola la sua ricerca intre punti di allegorie, che illustrano rispettivamente il di-segno, le riflessioni concettuali, il percorso dell’arte mo-

derna. Tre momenti che in real-tà poi s’intrecciano organica-mente in una metodologiaunitaria. Ne ha collocato il per-corso dentro il suo lavoro e lesintesi allegoriche all’interno diuna pietra d’ambra, che come ladivinità greca della luce Elettra,illumina figure e oggetti svelan-done altre implicazioni, diversipossibili livelli di lettura per ilfatto che insinua dubbi e propo-ne riflessioni.

La pittura, come la scultura,deve essere soprattutto confes-sione, diario, mezzo di scanda-glio o di protesta, messaggio.Salvatore Carbone elabora unsegno che sa cogliere l’attimofuggente, nel quale profonde ilsuo coraggio, la sua volontà diparola. Crede in un’arte che siaimpuramente compromessa

con la vita, testimone delle sue sofferenze, delle sue batta-glie, della sua moralità.

Sembrerebbe che obiettivo principale diogni sua opera sia l’etica. L’artista porta alleestreme conseguenze il suo linguaggio, fattodi archetipi primordiali, in cui la cultura me-diterranea e salentina, con i suoi segni seve-ri, si fonde con gli stimoli culturali elaboratinel tempo.

Dagli anni Novanta ad oggi i segni dellamemoria fluiscono come continuità della vi-ta e attivano all’interno dell’immaginariouna sorta di campo sensitivo infinito. Sem-bra che la pittura non possa più vivere mi-mando la realtà, si vuole invece un’arte chesi fondi sulle ragioni autonome della propriaesistenza. Ne escono tele di sofferta concen-trazione, mentre nel manto di colore s’inibi-sce ogni preoccupazione di grazia, s’ascoltaquasi la voce d’un animo che vive in una

22 Il filo di Aracne maggio/giugno 2010

ARTISTI SALENTINI

SALVATORE CARBONE

“Paesaggio in rosso” - Tecnica mista

“Verso Sud” - Olio su tela

L’arte come rivelazioneL’arte come rivelazione

di Eugenio Giustizieri

Page 23: Anno V - N° 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di ......2012/02/03  · Anno V - N 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal

proiezione continua oltre se stesso, finché non si manifestain un “oltre” che è insieme fisico e concettuale.

Le reminiscenze sono metafore del vissuto, luogo del-l’intimo, meccanismi osservatori di immagini che costrui-scono il pensiero soggettivo. In questa zona di recessi e

delle derive s’incontrano ombre e respiri inquieti, si rive-lano e si svelano enigmi imperscrutabili, esplodono desi-deri ineguagliabili, che diventano passione desiderante,intensità visiva, vertigine visionaria.

Le sue opere raccontano mondi rinvenuti, disegnanocorpi in caduta libera, delineando sagome. Il ricordo siscandisce attraverso la durata e la memoria ricomponel’essere, diviene territorio anar-chico, una zona di confine, do-ve immaginazione ed esistentes’intersecano per ricomporreframmenti. È soprattutto l’in-conscio che in questo stratifica-to procedere rende incande-scente il ricordo, deopalizzan-do le immagini di istanti dellapropria esistenza e costruisceuniversi nati da sguardi amati,da voci sentite, da umori vissu-ti che, una volta manipolatidall’effetto decostruttivo delprocedimento artistico, modifi-cano la vaghezza del ricordo indisidentità.

L’immagine diventa oggetti-va, tende a perdere la familia-rità con se stessa, divieneicona inedita e ineffabile. Per-ché ognuno ha il suo posto e ilsuo procedere, il mondo è sinfonico e, nelle sfumaturecromatiche, la varietà dei destini si placa e riposa. Il ver-de tenero della primavera, il bianco calcinato delle casee della luna, il rosso acceso del tramonto e, su tutto, lapatina di ruggine, che riporta al Sud, ad ogni sud delmondo, al cullare del tempo e della storia.

Credo che Salvatore Carbone veda i colori così come lihanno visti gli antichi Greci, rinviando non al linguaggiodella pittura ma a quello della poesia, dove l’oggettivo ri-sponde più a un sentimento che a una percezione. Questovale anche per l’evoluzione della pittura moderna: perchéalle percezioni cromatiche dell’impressionismo, con il suoocchio visivo, è subentrato il sentimento deformante del-l’espressionismo, con il suo occhio interiore. Così che i co-lori irrealistici del linguaggio della poesia greca ritornano,in chiave diversa, nel linguaggio della pittura moderna.

Cosciente del potere dirompente di tale visione, Carbo-ne, forte dei risultati ottenuti con la creatività impiegatanella prima parte della sua vita artistica, inventa un se-condo momento creativo conseguenza obbligatoria, fati-cosa, a tratti eccitante. Tutti aggettivi che connotano lalibertà stessa.

L’impressione è che l’inventiva dell’artista abbia trasfor-mato, il già labirintico processo mentale, in un percorso incui perdersi nel continente dei sogni perduti. Il buio, il si-lenzio e le grandi dimensioni delle immagini contribuisco-no a creare un’atmosfera coinvolgente di grande impattovisivo, carica di liricità e introspezione, essenziale e ricer-cata allo stesso tempo. È come se una geniale teoria cosmo-logica aprisse la possibilità di un nuovo, immensouniverso accanto a quello che si credeva totale.

È questo che sfolgora nell’opera di Salvatore Carbone:l’arte come rivelazione, prima ancora che fonte di nuovafelicità. Eppure la voce diventa sempre più roca, flebilequasi, sommessa, venata di malinconia e abitata da un sen-so di sperdutezza profonda. I personaggi che popolanoquesti lavori divengono maschere, qua e là bagnate di co-

lore: stanno a testimoniare l’ambiguità, la doppiezza, lavanità che, forse, più ineluttabilmente d’ogni altra condi-zione, segnano la vita e i suoi rapporti. Né tremende, néprofetiche ma soltanto dolenti svelano la realtà d’un Car-bone segreto che continua a non perdersi, perché conti-nua a credere. •

maggio/giugno 2010 Il filo di Aracne 23

“La stanza dei sogni” - Tecnica mista

“Una notte diversa” - Tecnica mista

Page 24: Anno V - N° 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di ......2012/02/03  · Anno V - N 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal
Page 25: Anno V - N° 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di ......2012/02/03  · Anno V - N 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal

Il presente articolo si lega idealmente a quello del mede-simo argomento da me scritto per questa rivista (nu-mero di settembre-ottobre 2009). Lì si

programmava l’attività futura dell’Universi-tà Popolare “Aldo Vallone”, qui si tenterà, nelbreve spazio concesso, di tirare le somme e ditrarre gli auspici per l’anno venturo.

Lungi da me la tentazione di elencare le at-tività svolte. Dirò solo che il messaggio rivol-to ai cittadini otto mesi addietro non è rimastoinascoltato. Nel mio intento, l’Università Po-polare doveva e deve essere veramente unaUniversitas, ovvero un libero luogo di con-fronto e di crescita culturale e umana di tutticoloro che vogliano partecipare alle attivitàche vi si svolgono. In questa direzione biso-gnerà lavorare ancora, perché si comprendabene quanto sia importante per una città co-me la nostra avere a disposizione un siffattoluogo pubblico, nel quale non si fanno valereinteressi di ordine particolare e utilitaristico,bensì il libero esercizio dell’intelligenza, le va-rie espressioni della cultura e della partecipa-zione collettiva ai discorsi comuni.

Voglio qui ricordare che l’Università Popo-lare non si rivolge ad una categoria sociale oa un’età della vita (per es. gli anziani, come èstato per il passato), ma a tutti i cittadini indi-stintamente e a tutte le età, senza eccezioni oesclusioni. Inoltre, rivolge le proprie attenzio-ni al mondo della scuola (studenti, genitori,docenti), presentandosi come un’associazio-ne le cui attività sono complementari a quel-le che si svolgono nelle aule scolastiche.L’approfondimento di temi letterari e artisti-ci, scientifici e storici, relativi alla cultura etradizione locale spesso non può essere fattoa scuola per motivi connessi alle esigenze diprogrammazione scolastica che non lo con-sentono. L’Università Popolare offre questa possibilità,questo completamento degli studi, garantendo sempre unapproccio alle varie discipline mediato dai migliori esper-ti presenti in loco e non solo.

Per finire, i ringraziamenti: alla Dirigente Scolastica del

1° Circolo Didattico, dott.ssa Anna Antonica per averciospitato nel suo Istituto per cinque mesi (da novembre

2009 a marzo 2010); al Comune di Gala-tina, per averci consentito l’uso della Sa-la “Contaldo” del Palazzo della Culturaper due mesi (da aprile a maggio 2010);al prof. Vincenzo Congedo per aver di-retto egregiamente il 1° Corso di mani-polazione artistica della terracotta; atutti i relatori che hanno prestato volon-tariamente e gratuitamente la loro ope-ra per l’utilità pubblica; a tutti ipartecipanti e gli intervenuti, perchésenza le loro sollecitazioni l’UniversitàPopolare non avrebbe avuto ragioned’esistere; a Raimondo Rodia(www.galatina.blogolandia.it), Tomma-so Moscara (www.galatina2000.it), Ros-sano Marra (“il Galatino”), Rino Duma(“il filo di Aracne”) e Franco Sperti (Bi-blioteca Comunale di Tuglie), che hanno

costantemente seguito e pubblicizzato le attività dell’Uni-versità Popolare; e infine a Tony Tundo e alla sua “Fonda-zione Popoli e Costituzioni”; a tutti costoro un graziesentito accompagnato con l’augurio di nuove proficue fu-ture attività comuni. •

maggio/giugno 2010 Il filo di Aracne 25

ASSOCIAZIONI CULTURALI

Universitas GalatinaUn bilancio delle attività annuali dell’Università Popolare “Aldo Vallone”

di Gianluca Virgilio

Prof. Piero Giannini

Marco Graziuso declama una poesia

Page 26: Anno V - N° 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di ......2012/02/03  · Anno V - N 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal
Page 27: Anno V - N° 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di ......2012/02/03  · Anno V - N 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal

maggio/giugno 2010 Il filo di Aracne 27

Vico San Biagio, che promana da Via Biscia e ad es-sa si aggrappa disperatamente per non ruzzolarerovinosamente giù verso la Staffa de cavallu (Piaz-

zetta Cavoti), si trova esattamente nel cuore del Centro An-tico, a monte di Piazza Vecchia, che sonnecchia da secoli inprecario equilibrio lungo la ripida discesa di Via Vignola.

La Chiesa delle Anime, saldamente ancorata a valle sul-la sua strategica pianta ottagonale, dal basso osserva la piùantica Piazza di Galatina con trepida apprensione e la sor-regge con generosa solidarietà cristiana, da quando si è re-sa conto che la Casa paterna dei Vignola, pur confinante eprecariamente ancorata a Vico Vecchio, non riesce più a te-nerla su per i vistosi acciacchi della sua vecchiaia.

A chi osserva Vico SanBiagio dall’alto, la stradinasembra stretta, buia, triste,angosciante e nervosa-mente tortuosa, come sepiangesse languidamenteripiegata su sé stessa.

Dopo un breve trattopianeggiante, in precipito-sa successione, scivolafrettolosamente giù in unasilenziosa, irrazionale con-fusione come un rivolo,che trascina, spingendoli avalle, i suoi fitti misteri e lesue ombre così cupe e den-se, che tenacemente riesco-no a sconfiggere anche laluce del giorno.

In questo suo scorrere vi è tutta la voglia di liberarsi dal-le sue ansie, e gridare prepotentemente il bisogno di sorri-dere e di rivedere il sole.

E a valle del pendio si affanna a prendere, finalmente,una boccata d’aria vicino all’antica arcata, da pochi mesiriaperta, e che solo ora riesce a riaffacciarsi sulla Staffa, do-po la rozza, degradante e offensiva decisione del Palazzodi tenerla murata per molti decenni.

Poi alla fine, con impazienza frenetica, abbraccia volut-tuosamente, in un mistico e avvolgente amplesso, lo slar-go (abbrutito dalla ingombrante, perenne presenza delle

auto in sosta di Via Lillo, che si modella, per una strana emisteriosa bizzarria architettonica, fra Palazzo Galluccio, lafontanina pubblica, l’imboccatura di Vico Freddo e la stroz-zatura della Staffa).

Intanto, proprio sull’ansa di Via Biscia, ‘na decina de va-gnuni (alcuni ragazzini) scalzi e accaldati rincorrevano, afrotte ondeggianti in un turbinio confuso e imprevedibile,una rudimentale palla di pezza.

Era stata costruita artigianalmente dal ragazzino piùgrande e più esperto, nel cortile di casa, arrotolando in uncalzino di lana o in una calza di nylon brandelli di stoffedismesse, poi rinforzata e appesantita cu lle curisce (strisce)di una camera d’aria, recuperata dalla ruota di una vecchia

bicicletta in disuso. Altri, cinque o sei, quasi

appartati, fermi più infondo verso Vico San Bia-gio, attenti e riservati,giocavano a tirassegnu culli nuci, disinteressandosidi tutto il frastuono che licircondava.

Il gioco delle noci è anti-chissimo: risale nella nottedei tempi.

Consiste nel tentare dicolpire a turno, da una di-stanza convenuta, cu llapaddhra (una noce piùgrossa, scelta fra le più du-re e robuste, possibilmentecon un guscio a tthre cantu-

ni) una serie di noci, che formavano lu piattu (la posta), for-nite, una ciascuno, da ogni giocatore partecipante e tenuteallineate e dritte con sabbia o terra umida disposta su unariga, tracciata sulle chianche.

Le noci colpite, e che rimanevano riverse per terra lonta-ne dalla riga, costituivano la vincita.

A volte, se non di frequente, qualche giocatore sfortuna-to, comunque scorretto, o qualche spettatore invidioso,escluso dal gioco perché non aveva noci da mettere in pa-lio, organizzava la catasca (dal greco katàschesis: il prende-re con forza, sequestro).

SUL FILO DELLA MEMORIA

PPAALLLLAA DDEE PPEEZZZZAA.... .. TTUUDDDDHHRRII EE CCAATTAASSCCAA

I racconti della Vadea

di Pippi Onesimo

Galatina - Via Girolamo Biscia

Foto di Giovanni Onesimo

Page 28: Anno V - N° 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di ......2012/02/03  · Anno V - N 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal

Gridando all’improvviso, come uno spiritato, “catasca“,arraffava da terra, con una velocità supersonica, quantepiù noci possibili e si dileguava in un baleno, correndo apiedi nudi per le vie del borgo, inseguito, spesso senza suc-cesso, dai compagni di gioco, inviperiti per l’affronto, perlo scorno, ma soprattutto per il furto.

E al danno spesso si aggiungeva la beffa.Infatti era facile, per chi era nato in quel rione, ricamato

da una fitta rete di piazzette, corti, vicoli, viuzze e cortili,attraversare Piazzetta Arcudi, dirigersi verso Vico del Ver-me e svicolare da Corte Ferrando per uscire a rretu llu spi-tale vecchiu (alle spalle del giardino del vecchio Ospedale)e poi perdersi fra Vico Vecchio o Vico Lucerna.

Magari a volte, in segno di sfida e con notevole facciatosta, risaliva da Via Vignola, o dalla via de lu Cazzasajet-te per Vico San Biagio e tornava sul luogo del delitto pergodersi impunemente, di nascosto, lo spettacolo di chiera rimasto sconsolato e seduto, a mani vuote, su llu paz-zulu de na porta.

Ma se veniva afferrato e riconosciuto, ia spicciatu de mmè-tere e de pisare (non aveva più scampo, perché non gli la-sciavano addosso nemmeno i vestiti!)

Anche se nessuno poi, in fondo in fondo, si arrabbiavapiù di tanto, perché tutti sapevano che il rischio della cata-sca faceva parte del gioco e che tutti, a rotazione, poteva-no farla, o subirla.

Intanto due ragazzine, poco più che bambine, silenziosee composte con le loro treccine nervose, asimmetriche, ri-gide e sporgenti sulle orecchie, come imbalsamate,perché

tenute su da un fiocchetto di stoffa colorata, erano sedute,una di fronte all’altra in una zona d’ombra, sul pazzulu diun anfratto di Via Biscia, posto accanto al limbatale (soglia)della porta di casa.

Giocavano serie e appartate a tuddhri ( sassolini arroton-dati e ben levigati di pietra viva).

Era un gioco semplice, allora praticato da tutti i ragazzi-ni perché non costava un centesimo, divertiva e rasserena-va lo spirito e soprattutto portava a socializzare; era ungioco antichissimo che veniva da molto lontano (forse ri-sale ai tempi dei Messapi) e si perdeva nella memoria del-la tradizione popolare.

Adesso è sconosciuto, come tanti altri.Mazza e mazzarieddhru, la campana, ficura o scrittura, la schiat-

talora, le stacce, cavaddhru barone, a scundarieddhri, ai quatthrucantuni, alla rota, lu curuddhru, alla linea allu risciu, a spaccachianche ecc. erano alcune semplici testimonianze, veraci eautentiche, della nostra cultura e della nostra tradizione.

Erano briciole della nostra storia, piccoli scampi del no-stro vivere quotidiano, ora irrimediabilmente perduti.

Peccato!Il gioco de li tuddhri si svolgeva con cinque sassolini, sco-

dellati per terra.Un giocatore, estratto a sorte, afferrava, pizzicando col

pollice e il medio della mano destra, un sassolino alla vol-ta e lo lanciava in aria all’altezza del viso, cercando poi direcuperarlo, durante la ricaduta e prima che toccasse ter-ra, nell’incavo che si formava sul dorso della stessa mano,raccogliendo a sé, e tirandoli in su, l’indice, l’anulare e il

mignolo.Le regole del gioco, che proclamavano il vincitore,

erano varie e complesse e presentavano delle varian-ti a secondo dei tempi e dei luoghi in cui si svolgeva.

Non mancava, certo, la fantasia ai bambini!Passatempi ingenui, semplici e solari che rappresen-

tavano per i ragazzini d’allora, quelli venuti fuori dal-la fame, dalla disperazione e dallo scempio morale epsicologico di una guerra vissuta direttamente sullapropria pelle, l’unico diversivo, l’unico divertimento,il loro solo vizio.

Questi rappresentavano per loro la cosiddetta dro-ga povera, quella gratis che si comprava allegramentee liberamente sui marciapiedi, agli angoli delle stra-de, nei cortili di casa, fra le aiuole dei giardini pub-blici, fra i viottoli di campagna e nella fantasiasconfinata, fatta solo di immaginazione, di candidefinzioni e di sogni che rimanevano sempre tali, per-ché non svanivano mai.

La droga ricca invece, quella vera, (c’era anche allo-ra) scorreva solo (fortunatamente per li vagnuni, chenon corsero mai il rischio di essere infettati dalla can-crena letale del consumatore di droga a fini di spaccio)nei salotti bene, nelle tasche de li Signurini o nelle bor-sette delle pulzelle di alto lignaggio e serviva per scac-ciare la loro noia, ma non la loro insipienza.

Poveretti!Non era facile per loro passare le tante, inutili e vuo-

te giornate, fatte di nulla, di vuoto assoluto, di ozioperenne nei loro ricchi palazzi desolatamente vuoti,

28 Il filo di Aracne maggio/giugno 2010

Page 29: Anno V - N° 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di ......2012/02/03  · Anno V - N 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal

maggio/giugno 2010 Il filo di Aracne 29

ma riempiti di un assordante silenzio, bui e freddi, special-mente d’ inverno, nonostante i camini accuratamente acce-si dalla servitù accorta e servizievole.

Il freddo, come la loro aridità,derivava sopratutto dalla man-canza del calore dei sentimenti,dalla incapacità di voler bene, dirispettare gli altri, i diversi, e ri-conoscere loro la inalienabile di-gnità di esseri umani.

I giorni, poi, che passavanod’estate nelle immense tenute dicampagna, erano sempre esagera-tamente riempiti solo di fatui sba-digli e di insulsi, stupidi capricci.

La loro era solo una felicità ar-tificiale, dorata ma finta.

Al di fuori da quei palazzi, olontano da quelle assolate e lussu-reggianti ville, la vita era più ricca (di sentimenti), più viva,più felice, più vera, più solidale perché, pur se povera, erafatta di momenti autenticamente spontanei e più semplici.

Bastava affacciarsi sull’ansa di Via Biscia per capire, gu-standola, tutta la differenza !

Vi era un ingenuo, gioioso vociare divertito e scanzona-to, fatto di schiamazzi vigorosi che rimbombavano di can-tone in cantone.

O un groviglio avvolgente di gambe annerite e sbuccia-te sugli spigoli arrotondati de li scansacarri (paracarri).

O un turbine di inevitabili spintoni che si potevano rice-vere sull’onda frenetica e impre-vedibile di una palla goffa eirriverente, che ti schizzava ac-canto.

Qui la vita batteva i suoi ritmi,mentre i giochi scandivano i tem-pi e le cadenze della felicità.

Questa allegra e scanzonataconfusione convinse facilmente lacomitiva de lu Cheròndula di sce-gliere, a ragion veduta, la soluzio-ne della Chiesa della Purità.

Oltretutto, così aveva deciso luPiethruzzu! E dovevano necessa-riamente assecondarlo, perché,da attore navigato, era molto in-

transigente.Pretendeva e otteneva, senza discutere, silenzio, calma,

quiete piatta per raggiungere il giusto raccoglimento, sce-nograficamente adatto, per i suoi contatti… spirituali.

Per tutta questa messinscena qualcuno sosteneva (e for-se non a torto) che lu Piethruzzu fosse tutt’altro che dellabuccata, ma un sornione, inossidabile, bonario… fiju de…bbona mamma. •

Galatina - Palazzo Vignola

Fot

o di

Gio

vann

i One

sim

oPippi Onesimo

Page 30: Anno V - N° 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di ......2012/02/03  · Anno V - N 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal

30 Il filo di Aracne maggio/giugno 2010

INIZIATIVE CULTURALI

Il gruppo scultoreo della Crocifissionedella Basilica di Santa Caterina d’Ales-sandria a Galatina, detto “Il Calvario”, è

descritto nelle fonti storiografiche, come trai pochi, se non l’unico, conservato integrotra quelli dell’estremo Mezzogiorno d’Italia.E’ attribuito ad Angelo da Pietrafitta, fratelaico, scultore, attivo nella seconda metà delseicento.

E’ indubbiamente una delle opere più pre-stigiose della Basilica cateriniana, scrigno diarte che rende Galatina uno dei centri dimaggiore importanza culturale del nostromeridione.

Proprio in considerazione dell’elevato va-lore storico e artistico, l’intervento di restau-ro si impone, come urgenza, proprio per lasalvaguardia di questa testimonianza diidentità culturale da tramandare ai posteri.

A tal proposito il Rotary Club Galatina Ma-glie e Terre d'Otranto con il suo PresidenteAntonio De Matteis ha firmato un protocol-lo d'intesa con il parroco della Basilica diSanta Caterina Fra’ Massimo, in cui il Clubsi impegna ad offrire un contributo econo-mico per tre anni allo scopo di ultimarel'opera del resaturo.

Venerdì 30 aprile alle 20.30 nella Basilicadi Santa Caterina, nell'ambito delle iniziati-ve della Fellowschip di tennis fra rotarianiche si è tenuta al Circolo Tennis di Galatina,è stato celebrato un concerto del M° LuigiFracasso destinato alla raccolta di fondi peril succitato restauro.

Il concerto è stato preceduto, dopo il salu-to delle autorità civili (Sindaco di GalatinaGiancarlo Coluccia, Vicepresidente Regio-ne Puglia Loredana Capone e SenatriceAdriana Poli Bortone) rotariane, militari ereligiose, dall'intervento di Maria Prato, re-stauratrice, che ha illustrato le fasi del re-stauro e le peculiarità della preziosa operascultorea. •

Galatina - Basilica di Santa Caterina d’Alessandria“Il Calvario” - Gruppo scultoreo della Crocifissione (particolare)

Page 31: Anno V - N° 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di ......2012/02/03  · Anno V - N 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal
Page 32: Anno V - N° 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di ......2012/02/03  · Anno V - N 3, maggio/giugno 2010 Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal