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EDITORIALE È vera crisi! VOCI DAL PALAZZO DI GIUSTIZIA Lettera aperta di un Avvocato del Foro HISTORIA ET ANTIQUITATES Se le donne possano o non possano essere ammesse all’esercizio dell’avvocheria: il caso di Lydia Poët NOTIZIE DAL CONSIGLIO Scadenzario Cassa Forense Nuove modalità di attivazione PEC Ordine EDITORIALE È vera crisi! VOCI DAL PALAZZO DI GIUSTIZIA Lettera aperta di un Avvocato del Foro HISTORIA ET ANTIQUITATES Se le donne possano o non possano essere ammesse all’esercizio dell’avvocheria: il caso di Lydia Poët NOTIZIE DAL CONSIGLIO Scadenzario Cassa Forense Nuove modalità di attivazione PEC Ordine Anno VII N° 2 • Poste Italiane - spedizione in a. p. - art. 2 comma 20/c legge 662/96 - Direzione Commerciale - Napoli

Anno VII N° 2 † Poste Italiane - spedizione in a. p. - art ... · Il concorso doloso nel delitto colposo ... funzionari dello Stato a ciò delegati. E non esiste tutela dei diritti

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EDITORIALEÈ vera crisi!

VOCI DAL PALAZZO DI GIUSTIZIALettera aperta

di un Avvocato del Foro

HISTORIA ET ANTIQUITATESSe le donne possano

o non possano essere ammesseall’esercizio dell’avvocheria:

il caso di Lydia Poët

NOTIZIE DAL CONSIGLIOScadenzario

Cassa ForenseNuove modalità

di attivazione PEC Ordine

EDITORIALEÈ vera crisi!

VOCI DAL PALAZZO DI GIUSTIZIALettera aperta

di un Avvocato del Foro

HISTORIA ET ANTIQUITATESSe le donne possano

o non possano essere ammesseall’esercizio dell’avvocheria:

il caso di Lydia Poët

NOTIZIE DAL CONSIGLIOScadenzario

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Anno

VII

N° 2

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Periodico Trimestraledell’Ordine degli Avvocatidi Nocera InferioreRegistrazione presso il Tribunaledi Nocera Inferioren. 184 del 23.02.2004

PresidenteAniello Cosimato

Direttore EditorialeLuigi Ciancio

Direttore ResponsabileMarianna Federico

Comitato di RedazioneAngela AbrunzoSilvio CalabreseAngela CisaleMaria CoppolaGianluigi DiodatoOrnella FamigliettiGianluca GranatoMarco MainardiOlindo LanzaraPiervincenzo PacileoVincenzo Vanacore

Segretario di RedazioneMassimo De Martino Adinolfi

Hanno collaborato a questo numeroBarbara BarbatoRino CarpinelliAntonella CiancioBruno CirilloVirgilio D’AntonioFrancesca Del GrossoRenato DiodatoMaria Grazia IannielloMaria IuzzolinoAntonia MarchinoMariella OrlandoElisa SavaCostantino Scudiero

Proposte e suggerimenti ai contattiOrdine degli Avvocatidi Nocera InferioreTel./Fax 081.929600 - 081.927432e.mail:[email protected]

Progetto grafico a cura diMarianna Federico

Il materiale per la pubblicazione,che dovrà essere inviato su supporto magneticoformato Word, non sarà restituito

In copertina:Angri, particolare del Monumento ai Cadutie del castello DoriaFrottage dalle foto di Giuseppe Buongiornoe Giovanni Ferrentino

Si ringraziano l’associazione culturaleMaggio del ‘600 Onlus per le cartoline d’epocae Alfio Giannotti per le foto di pag. 41

Realizzazione EditorialeAltrastampa Edizionicell. [email protected]

© 2010 FotoAltrastampa Edizioni

© 2010 TestiOrdine degli Avvocatidi Nocera Inferiore

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Luigi CiancioEditoriale 4

VOCI DAL PALAZZO DI GIUSTIZIA

la redazioneLettera aperta di un Avvocato del Foro 6

GIURISPRUDENZA

Barbara BarbatoCompetenza territorialein casi di equa riparazione 8

Angela CisaleOpposizione al decreto penale di condanna:non necessaria la procura speciale,non è opposizione il ricorso per saltum 9

Maria CoppolaSulla data di perfezionamentodelle notifiche effettuate dagli avvocati,ai sensi dell’art. 3 della Legge21 gennaio 1994, n. 53, a mezzodel servizio postale 12

Gianluigi DiodatoFrammentazione del creditoed improponibilità della domanda 14

Gianluca GranatoEsame d’avvocato: i provvedimentidella commissione esaminatricevanno di per sé considerati adeguatamentemotivati quando si fondino su votinumerici, attribuiti in base a criteripredeterminati, senza necessità diulteriori spiegazioni e chiarimenti 15

Mariella OrlandoNulla l’ipoteca se il debito del contribuenteè inferiore agli ottomila euro 17

Piervincenzo PacileoLa natura giuridicadella responsabilità medica 19

Elisa SavaLa legittimazione ad agirenon è “ornamentale” 22

Vincenzo VanacoreLa residenza non può costituireun limite al conferimento di incarichiprofessionali agli avvocati 23

la redazioneIllegittimità costituzionale delle normeche consentivano ai praticanti abilitatidi assumere la difesa d’ufficionei procedimenti pendenti avantial giudice di pace ed al Tribunalein composizione monocraticaper i reati previsti dall’art. 550 c.p.p. 24

DOTTRINA

Antonella CiancioVelocizzazione dell’azione amministrativae strumenti precauzionali: conferenzadi servizi preliminare, V.I.A.e concessione di lavori pubblici 27

Virgilio D’AntonioLa riforma sulle intercettazionied il “diritto di fare informazione” 29

Francesca Del Grosso e Maria IuzzolinoLe sponsorizzazioninella pubblica amministrazione 33

Maria Grazia IannielloObbligo degli alimentie diritto al regresso 34

Antonia MarchinoIn tema di conciliazione nellecontroversie civili e commerciali 35

Costantino ScudieroIl concorso doloso nel delitto colposoe il concorso colposo nel delitto doloso:una panoramica generale sull’atteggiamentopsicologico del concorrente nel reato tra“simbiosi” e “sinergia criminale” e spunti diriflessione sulla tenuta del principiodi affidamento all’interno della c.d. “causalità della colpa” 36

CONTRIBUTI DAI COLLEGHI

Rino CarpinelliSpigolando 40

HISTORIA ET ANTIQUITATES

Gianluca GranatoSe le donne possano o non possanoessere ammesse all’eserciziodell’avvocheria 43

SOTTO LA LENTE

A cura di Renato DiodatoStudi di diritto della comunicazione.Persone, Società e Tecnologiedell’Informazione 45

NOTIZIE DAL CONSIGLIO DELL’ORDINE

la redazioneScadenzario Cassa Forense 46

Nuove modalità di attivazionePEC dell’Ordine 47

L’avvocato Gianfranco Trottadi Nocera Inferiore elettovice presidente dell’UnioneNazionale Camere Minorili 47

Statistiche iscritti 48

Cartolina d’epoca.

anno VII n. 2 giugno 2010

Questo, oltre ad essere un comportamento lesivo della dignità e del decoro professionale, non garanti-sce neppure la qualità della prestazione.Il rispetto delle regole contraddistingue non solo la serietà di una categoria ma serve ad evitare anchedisdicevoli atti concorrenziali tra i vari iscritti all’Albo.È evidente che non sono solo queste le cause per le quali anche la nostra categoria sta subendo la crisieconomica che incombe, ma sicuramente sono alcune delle tante che destano forte preoccupazioneanche per il prossimo futuro.Perché, checché se ne dica, questa è vera crisi.

5 giugno 2010

È vera crisi!

L’argomento più attuale è quello relativo allamanovra economica che il Governo ha varato neigiorni scorsi e su cui si è acceso un dibattito arti-colato.Dibattito al quale non abbiamo alcun intenzionedi partecipare, prima perché non ne abbiamo lacompetenza e poi perché dovremmo addentrarciin ragionamenti anche di natura politica che nonappartengono a questa rivista.Possiamo però scrivere di come e di quanto lacrisi attanaglia anche la nostra categoria che mai,come in questo momento, ha attraversato unperiodo così preoccupatamente disagevole.Non è difficile infatti raccogliere nei corridoi delTribunale giustificate lamentele in ordine ad unvertiginoso crollo degli “affari” legali che mal siconcilia con gli inaspettati aumenti di tasse ebalzelli vari che gravano sulla gestione di unostudio professionale.Che, ad onta di quanto sostengono i solitidetrattori della nostra categoria, necessita disforzi economici non proprio e non sempre abbordabili.Uno stringato calcolo delle spese mensili per uno studio di media grandezza comporta un impegnofisso di non meno di 1500 euro (fitto, telefono, spese condominiali, energia elettrica, TARSU) cui vannoaggiunte le spese per la segretaria (per chi se la può permettere) e le quote di iscrizione all’Ordine ed allaCassa di Previdenza.Senza dimenticare, ovviamente, IVA, IRPEF, IRAP e... altro.E tutto quanto, senza alcuna esagerazione e limitandosi allo stretto necessario.A fronte di queste spese, fisse ed inderogabili, non si riscontra un corrispondente aumento delle entra-te: di qui le lamentele di cui innanzi che non provengono solo dai giovani colleghi ma anche dai vetera-ni. Le cause di questo fenomeno sono molteplici: crescita esponenziale degli avvocati, decremento degliaffari legali, lentezza della giustizia, rampantismo sfrenato.Nel nostro Circondario operano, ad oggi, 1894 (vedansi in proposito le statistiche alla pag. 48) tra avvo-cati e praticanti i quali devono dividersi una fetta di circa quindicimila clienti (tanti sono all’incirca gliaffari legali pendenti ogni anno), destinata a ridursi per la cronica diffidenza che l’utenza ha nei con-fronti della giustizia la quale viene amministrata con spasmodica lentezza.Perché, se è vero che negli uffici giudiziari mancano, come più volte detto, le risorse umane, è anche veroche la domanda del cittadino, per avere risposta, registra attese lunghissime.Per la pubblicazione di una sentenza si aspetta, a volte, anche più di un anno; per la emissione di undecreto ingiuntivo si deve attendere, a volte, anche dieci mesi; per la decisione di un provvedimento cau-telare, a volte, anche più di dieci mesi.Nel nostro Tribunale, ormai, i rinvii vengono fissati ad un anno data per cui la durata di una causa, setutto va bene, è di almeno quattro anni.Tutto questo determina nel cittadino-utente una incontenibile sfiducia che lo porta molto spesso a per-correre altre strade (quali?) per ottenere giustizia. Il tutto a discapito dell’avvocatura che vede scemareil lavoro per motivi di cui non porta responsabilità.Mentre invece all’avvocatura, o meglio a parte di essa, sono addebitabili comportamenti non conformial codice deontologico.Il mancato rispetto dei canoni stabiliti da quest’ultimo e dalla legge si evidenziano nel venir meno alprincipio della inderogabilità dei minimi tariffari che, oltre a far registrare la violazione, evidenzia ancheuna sorta di concorrenza sleale.Pervengono, infatti, continue segnalazioni che denunciano fenomeni di rampantismo praticato da col-leghi i quali, pur di accaparrarsi il cliente, chiedono compensi professionali in misura inferiore ai mini-mi tariffari.

4 giugno 2010

Editorialedi Luigi Ciancio

Scultura bronzea romanaraffigurante amorino.

funzionari dello Stato a ciò delegati.E non esiste tutela dei diritti soggettivi senza l’av-vocato. Così come non esiste esecuzione in tuteladei diritti soggettivi senza lo Stato. Nel processola difesa è tecnica. Tranne eccezioni di pococonto, in realtà, non ci può essere processo senzal’avvocato.Su questi principi dicevo ho basato la mia vita. Il Decreto Legislativo n. 28 adesso stabilisce che cipuò essere titolo esecutivo senza il processo esoprattutto senza l’avvocato. Se si può accoglierecon favore la prima parte dell’innovazione è inac-cettabile, invece, la seconda perché, non solopotrebbe aumentare a dismisura i giudizi diopposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. (pernon dire le opposizioni agli atti esecutivi ex art.617 c.p.c.), ma imbarbarirebbe definitivamentel’Ordinamento. Chi determinerebbe, per esempio,nel caso di conciliazione, la causa petendi e il peti-tum? Tanto più che lo stesso legislatore del 2006ha ritenuto si potesse concedere la provvisoriaesecuzione alle domande giudiziarie prodotte dairicorrenti che basassero il proprio diritto di credi-to su documentazione sottoscritta dal debitore ecomprovante il diritto fatto valere (art. 642 c.p.c.).La discrasia è evidente: in questo ultimo caso perottenere il titolo esecutivo bisognerebbe, comun-que, passare per una domanda giudiziale; nel casodi inadempimento al verbale di conciliazione,invece, la prova del credito pur derivando dadocumentazione sottoscritta dall’inadempiente(il verbale medesimo), deriverebbe la propria ese-cutività da una semplice omologazione da partedel Tribunale dell’accordo verbalizzato.Nessun conto, poi, ha l’opinione di qualcuno cheha eccepito che la presenza obbligatoria degliavvocati potrebbe rendere più difficile la concilia-zione. Mi riporto, per rispondere, semplicementea quanto stabilito dai novellati artt. 91, 92 e 96 del

Codice di procedura civile nonché all’art. 13 delDecreto Legislativo n. 28 in discussione chetestualmente recita: “Quando il provvedimentoche definisce il giudizio corrisponde interamenteal contenuto della proposta, il giudice esclude laripetizione delle spese sostenute dalla parte vinci-trice che ha rifiutato la proposta, riferibili alperiodo successivo alla formulazione della stessa,e la condanna al rimborso delle spese sostenutedalla parte soccombente relativa allo stesso perio-do, nonché al versamento all’entrata del bilanciodello Stato di un’ulteriore somma di importo cor-rispondente al contributo unificato dovuto...”.Credo che maggiore incentivo alla conciliazione illegislatore non avrebbe potuto trovare!Pur essendo un fautore convintissimo della pre-valenza degli interessi delle parti in controversiasulla forma (anche processuale), (tanto è vero chelo scorso mese mi sono anche già formato comeConciliatore Specializzato e il mio Consigliodell’Ordine territoriale è tra i primi dieci in Italiaad aver già istituito un Organismo diConciliazione), ribadisco che la mancata previsio-ne da parte del legislatore della obbligatorietàdella difesa tecnica nei tentativi di conciliazione(obbligatori e non) da cui scaturisca l’effetto diattribuire ai verbali di conciliazione medesimiefficacia esecutiva rappresenterebbe per il sotto-scritto motivo di rinuncia all’attività professiona-le di avvocato perché sarebbe il segnale evidente diun imbarbarimento definitivo dell’arte del dirittoa cui mi rifiuto di sottostare.La cosa potrebbe interessare pochi (ce ne sono giàtanti di avvocati), ma personalmente ritengo che iproblemi della giustizia non si risolvano abdican-do definitivamente alle certezze del diritto su cuitutte le generazioni, ad oggi, si sono formate.

Avvocato Bruno Cirillo

7 voci dal palazzo di giustizia giugno 2010

Lettera aperta di un Avvocato del Foro.

Sono un avvocato di trentacinque anni. Svolgol’attività da quando ne avevo ventidue. Il diritto èstato ed è la mia vita.La pubblicazione del Decreto Legislativo n. 28 del4 marzo 2010, relativo alla mediazione finalizzataalla conciliazione delle controversie in materiacivile e commerciale mi ha indotto a una rifles-sione che, per coerenza, se il diritto è un “affareserio” (come ho sempre creduto) mi dovrà porta-re alle estreme conseguenze: abbandonare la toga.In via preliminare, devo precisare che, negli ultimianni (ma questo è noto a tutti), c’è stato unimbarbarimento del diritto. Accesso smodato allaprofessione di avvocato (il numero di legali, auto-rizzati all’esercizio della professione in Italia, nonha nessun precedente e/o pari al mondo), conse-guente scadimento qualitativo di avvocati, magi-strati e soprattutto del legislatore hanno reso lagiustizia ancor più lenta di quanto sia semprestato e non rispondente ai bisogni dei cittadini.Nonostante la necessità di doversi conformarealla normativa europea per avvicinarsi alle legisla-zioni degli altri Stati membri dell’Unione (ciò èaccaduto, per esempio, con il Decreto Legislativo231/2002 “sulla lotta contro i ritardi nei paga-menti delle transazioni commerciali”; con la“legge Pinto” sull’irragionevole durata dei proces-si” etc.), lo Stato italiano ha dimostrato, troppospesso nel corso di questi ultimi anni, di nonriuscire ad adeguare il proprio Ordinamento allesfide che la velocizzazione degli scambi commer-ciali e finanziari impone; e ciò malgrado l’Italiasia (o forse e meglio sia stata) la “culla del diritto”.Con una pubblicazione dello scorso febbraio hosalutato con favore, invece, alcune innovazioniche il legislatore (come mai prima) ha apportatoal processo civile. Mi sembrava una svolta davveroimportante per colmare, finalmente, il gap tra ilbisogno di giustizia (e rapidità) dei cittadini e lerisposte, fino ad ora, apprestate dallo Stato.La calendarizzazione del processo, la possibilitàdi acquisire le testimonianze per iscritto nel pro-cesso, la generalizzazione del processo di cogni-zione sommaria, la previsione espressa dell’effettodi accertamento per i fatti non specificatamentecontestati dalle parti, la semplificazione nellaredazione delle sentenze con l’introduzione dellapossibilità della sola relationem ai precedenti giu-risprudenziali e l’eliminazione dell’esposizionedello “svolgimento del processo” introdotti dallaLegge 69/2009 hanno diminuito drasticamentegli alibi dei magistrati e degli avvocati per giusti-ficare i ritardi nella tutela giurisdizionale (almenodi quella civile per cui certamente vi è maggioredomanda).

Le innovazioni citate, a parer mio, hanno benindividuato l’esigenza di dar maggiore importan-za e risalto agli interessi delle parti processualipiù che alla forma o meglio all’abuso del princi-pio del contraddittorio.Lo stesso principio è alla base del DecretoLegislativo n. 28 sopra citato che, tra l’altro, attuai principi contenuti nella delega data dal legisla-tore al Governo con la stessa Legge n. 69/2009.L’errore, però, è stato di attribuire efficacia esecu-tiva al verbale di conciliazione eventualmente rag-giunto dalle parti senza la previsione, di converso,dell’obbligatorietà di farsi assistere da un avvoca-to (difesa tecnica). Attribuzione dell’efficacia ese-cutiva al verbale di conciliazione significa che,qualora una delle parti che ha conciliato nondovesse eseguire la propria prestazione dedottanel verbale, si potrebbe vedere l’UfficialeGiudiziario bussare alla porta di casa, per esem-pio, per procedere al pignoramento dei propribeni. Mi si potrebbe ribattere che il verbale di con-ciliazione deve essere omologato dal Tribunale esenza l’omologazione lo stesso non può acquisireefficacia esecutiva o anche che altri esempi diattribuzione di efficacia esecutiva ad accordi tra leparti esistono già nel nostro Ordinamento giuri-dico (titoli di credito - cambiali e assegni prote-stati). Sono eccezioni prive di fondamento.È semplice, infatti, rispondere che nell’omologa-zione il Tribunale verificherà solo che l’accordosia formalmente corretto e che non sia contrarioall’Ordine Pubblico o a norme imperative; ciò,chiaramente, non è sufficiente, però, a verificareche la composizione degli interessi delle parti siastata equa e, soprattutto, giuridicamente sosteni-bile per le stesse. I titoli di credito, invece, sono,sostanzialmente, mezzi di pagamento per facilita-re e velocizzare appunto gli stessi. E in più mi ver-rebbe da chiedere, provocatoriamente, perchél’Ordinamento, a questo punto, non attribuisce lamedesima efficacia esecutiva a tutti gli accordi, icontratti tra le parti (anche a quelli non concilia-tivi)? In questo modo si potrebbe mettere in ese-cuzione l’accordo senza necessità delprocesso/procedimento giudiziario per la forma-zione del titolo esecutivo e senza necessità degliavvocati!La verità, invece, è un’altra. Mi hanno insegnato,da quando frequentavo il primo anno dellaFacoltà di Giurisprudenza, che il diritto soggetti-vo è il potere che ogni soggetto ha di tutelare ipropri interessi senza l’intermediazione (o la con-cessione) di nessuno. In sostanza è il diritto cheognuno ha di agire in giudizio per la soddisfazio-ne del proprio interesse; di ottenere, cioè, daiTribunali della Repubblica un titolo che possaessere messo coercitivamente in esecuzione dai

giugno 2010

Voci dalPalazzo di Giustizia

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Cartolina d’epoca.

giudici di Torino ritenendosi incompetenti, chie-sero il regolamento di competenza.Pertanto la Cassazione a Sezioni Unite con laemarginata sentenza (16 marzo 2010, n. 6306) hacosì deliberato:1) anche per i procedimenti pendenti dinanzi allaCorte di Cassazione ed agli uffici di vertice dellegiurisdizioni speciali con sede in Roma, la compe-tenza a decidere sul ricorso di equa riparazione vaindividuata sulla scorta dei criteri dettati dall’art.3, comma 1, legge Pinto.Resta in tal guisa superato il precedente orienta-mento di legittimità, in virtù del quale qualora ilgiudizio presupposto (ossia il giudizio o il gradodi giudizio durato oltre i limiti di ragionevoledurata) si fosse tenuto o fosse pendente dinanzialla Corte di Cassazione (o anche davanti alConsiglio di Stato o alle Sezioni centrali dellaCorte dei Conti), la competenza era da attribuirsinon in base all’art. 3 comma 1 della legge Pinto,ma con riguardo ai criteri di diritto comune conconseguente attribuzione, ex art 20 c.p.c., (cfr.Corte di Cassazione, Sezione 1 Civile, 20 ottobre2005, n. 20271);2) tuttavia il giudizio presupposto va consideratoin maniera unitaria. Ne deriva che la competenzava determinata con riguardo al giudice di meritodinanzi al quale il procedimento è iniziato (nelcaso di specie il Pretore di La Spezia, Distretto diCorte di Appello di Genova con competenza exart. 11 c.p.p. della Corte di Torino) e non in rela-zione all’ufficio giudiziario davanti al quale ilprocedimento è pendente ovvero si è concluso oestinto nei gradi successivi al primo (nel caso dispecie Corte di Cassazione, con sede in Roma ecompetenza ex art. 11 c.p.p. della Corte di Perugiaovvero, secondo il citato orientamento, dellaCorte di Appello di Roma ex art. 20 c.p.c).Quindi, la competenza territoriale nei giudizi perl’equa riparazione è sempre ancorata al processodi merito, escludendo che, quando la ragionevoledurata del procedimento viene oltrepassata nelgrado di legittimità - cioè davanti alla Cassazionestessa, come talvolta accade - scatti la competenzadella Corte d’Appello di Perugia. Al contrario, ladecisione sulla violazione della ragionevole dura-ta del processo segue la norma generale dell’art.11 del Codice di procedura penale sui procedi-menti riguardanti i magistrati: competente, insostanza, è la Corte d’Appello confinante aldistretto territoriale dove è nato il processo.Le Sezioni Unite hanno avallato tale interpreta-zione in quanto il diritto all’equa riparazione el’azione tramite cui è fatto valere sono unitari enon frazionabili né scindibili con riferimento avicende o fasi del processo. Pertanto, «benché sia possibile individuare degli

standard di durata media ragionevole per ognifase del processo, si deve sempre procedere a unavalutazione complessiva, anche quando il proces-so si è articolato in gradi e fasi»; e del resto «nonrientra nella disponibilità della parte riferire lapropria domanda a uno solo dei gradi di giudizio,optando per quello in cui sia stato sforato il limi-te» della ragionevolezza «segmentando a propriadiscrezione la vicenda processuale presupposta».E proprio sulla base dell’«unitarietà» del giudiziopresupposto, le Sezioni Unite fissano la compe-tenza «del giudice di merito distribuito sul terri-torio, ordinario o speciale, davanti a cui il giudi-zio è iniziato»: anche per evitare un eccessivo cari-co alla Corte d’Appello di Perugia, “competente”anche sui procedimenti pendenti presso la Cortedi Appello di Roma e presso la Corte diCassazione. Questo significa che ogni volta chedeve essere proposta una domanda per l’equariparazione per l’eccessiva durata di processi svol-tisi presso gli organi supremi o in pendenza delprocedimento presso tribunali speciali, questadovrà essere presentata presso il foro ove ha avutoorigine la lite. In breve, si tratta di individuare ildistretto di competenza ex artt. 11 c.p.p. e 3 Legge89/01. Per cui la portata rivoluzionaria e dirom-pente della pronuncia delle Sezioni Unite del foro“derogatorio” è relativa ai soli gradi di merito, inquanto viene esclusa in radice la applicazioneestensiva dell’art. 3 primo comma proprio allecontroversie pendenti avanti alle Corti Superiori.In tal modo sarà possibile ottimizzare le risorsedelle singole corti, deflazionare il carico di lavorodi determinate Corti d’Appello e distribuirlo piùequamente su tutto il territorio con maggioretutela del cittadino.

Angela CisaleH

Opposizione al decreto penaledi condanna: non necessaria laprocura speciale, non è opposizioneil ricorso per saltum.

Commento a Cass. SS.UU., 29 ottobre 2009, n.47923, depositata 15 dicembre 2009 e Cass. IVSez. Pen., 16 dicembre 2009, n. 3599, depositata il28 gennaio 2010.

Con le sentenze in commento la Suprema Cortedi Cassazione offre un importante apporto giuri-sprudenziale, stabilendo prima che il difensorenon necessita di procura speciale per proporreistanza di oblazione avverso un decreto penale dicondanna, e poi affermando che non può consi-derarsi opposizione il ricorso per cassazione.

Barbara BarbatoH

Competenza territoriale in casidi equa riparazione.

Cassazione, Sezioni Unite Civili, 16 marzo 2010,n. 6306, Presidente Carbone, Relatore Vittoria.

Per individuare la competenza territoriale nei processi diequa riparazione, le Sezioni Unite, andando in contra-rio avviso rispetto alle precedenti statuizioni della Isezione, hanno ritenuto che anche nei casi in cui il proce-dimento per il quale si richiede la riparazione sia pen-dente o definito in Cassazione, bisogna far riferimentoalla sede del giudice di merito davanti al quale il giudizioè iniziato ed, in base al luogo così individuato, attivare ilcriterio di collegamento della competenza, individuandoin tal modo il giudice competente secondo il criterio sta-bilito dall’art. 11 cod. proc. pen., richiamato dall’art. 3della Legge n. 289 del 2001.(Nello stesso senso la sentenza Cassazione,Sezioni Unite Civili, 16 marzo 2010, n. 6307).

La Legge 24 marzo 2001 n. 89 nota come “leggePinto” (dal nome del primo Senatore firmatario,peraltro nostro illustre conterraneo), ha introdot-to nel nostro ordinamento un meccanismo voltoa garantire equa riparazione ai danni subiti dagliutenti del “servizio giustizia” a causa della duratairragionevolmente eccessiva del procedimentogiudiziario di cui sono stati parti.Orbene, chi sia stato coinvolto in un qualsiasiprocedimento giudiziario (civile, penale, ammini-strativo, tributario, etc.) per un periodo di tempoirragionevole ha diritto ad una “equa riparazio-ne”, che prima del 2001 poteva essere chiestadirettamente alla Corte Europea di Strasburgo eche, a partire dalla Legge 24 marzo 2001 n. 89,deve essere inoltrata direttamente al giudicenazionale. Le questioni connesse alla equa ripara-zione per i cosiddetti “processi lumaca” sonoargomenti di cui la Cassazione si è occupata spes-so, soprattutto ultimamente. Infatti, le SezioniUnite Civili, con i regolamenti di giurisdizionenn. 6306 e 6307 del 1° dicembre 2009, depositatiil 16 marzo 2010, hanno affrontano una partico-lare problematica relativa all’interpretazione diquesta disciplina: la corretta individuazione delforo competente per presentare l’istanza in ogget-to nel caso in cui l’eccessiva durata del processo siriferisca alla fase di legittimità o ad una causatrattata da un altro organo superiore di giustizia.Ciò potrebbe valere anche nell’ipotesi in cui unostesso processo sia trattato innanzi a diverse Cortidi Appello quale giudizio rescissorio a seguito digiudizio rescindente.

Tale circostanza comportava il dubbio circa l’in-dividuazione della Corte di Appello di competen-za, che nel caso in esame era stata individuata inquella di Perugia per essere ancora pendente ilgiudizio, che ne aveva dato origine, innanzi allaCorte di Appello di Roma.Le Sezioni Unite, pertanto, si sono pronunciatesull’interpretazione della norma sulla competen-za dettata dalla Legge 24 marzo 2001, n. 89, art. 3,comma 1. Il primo comma dell’art. 3 della Legge24 marzo 2001 n. 89, ai fini della individuazionedella Corte di Appello competente per territorio adecidere le cause di equa riparazione, rinvia al“distretto in cui ha sede il giudice competente aisensi dell’art. 11 del Codice di procedura penale agiudicare nei procedimenti riguardanti i magi-strati nel cui distretto è concluso o estinto relati-vamente ai gradi di merito ovvero pende il proce-dimento nel cui ambito la violazione si assumeverificata”. Il rinvio al distretto in cui ha sede ilgiudice competente ai sensi dell’art. 11 del Codicedi procedura penale, faceva pensare ad una dero-ga (foro “derogatorio”) alle normali regole delCodice di procedura civile. Ma con la recentissimasentenza n. 6306 del 16 marzo 2010 le SezioniUnite hanno chiarito che si tratta di una derogaapplicabile uniformemente a tutti i giudizi pre-supposti in cui si assume essersi verificata la vio-lazione del termine di durata ragionevole e dun-que anche ai giudizi pendenti avanti alla Corte diCassazione. Infatti, nel caso di specie, come giàinnanzi si era fatto cenno, un cittadino aveva pro-posto ricorso per equa riparazione ex Legge n. 89del 2001, dinnanzi alla Corte di Appello diPerugia per essere il giudizio pendente dinanzialla Corte di Cassazione, quindi sedente neldistretto della Corte di Appello di Roma. Per cuiai sensi dell’art. 3 co. 1: “La domanda di equa ripa-razione si propone dinanzi alla Corte di Appellodel distretto in cui ha sede il giudice competenteai sensi dell’art. 11 c.p.p., a giudicare nei procedi-menti riguardanti i magistrati nel cui distretto èconcluso o estinto relativamente ai gradi di meri-to ovvero pende il procedimento nel cui ambito laviolazione si assume verificata”.In applicazione della tabella “A” della Legge 2dicembre 1998, n. 420, recante disposizioni per iprocedimenti riguardanti i magistrati, la compe-tenza spettava alla Corte di Appello di Perugia.Di contro la Corte di Appello di Perugia declinò lapropria competenza in favore della Corte diAppello di Torino, osservando che il procedimen-to, per la cui irragionevole durata si chiedeva l’in-dennizzo, era iniziato dinanzi al Pretore di LaSpezia, appartenente al distretto di Corte diAppello di Genova e quindi competente ex art. 11c.p.p. la Corte di Appello di Torino. Ma anche i

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Giurisprudenza

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Le Sezioni Unite, nel rispetto delle norme proces-suali ed ancor di più nel rispetto del principio dinomofilachia, hanno stabilito che il difensorenon necessita di procura speciale per la presenta-zione dell’istanza di oblazione, con siffatta pro-nuncia è stato così riconosciuto al difensore undiritto prima ritenuto appartenente al solo impu-tato. Inoltre, il Supremo Collegio ha statuito consiffatta sentenza che l’istanza di oblazione puòessere reiterata nel giudizio conseguente all’oppo-sizione, qualora la stessa in sede di opposizionenon sia stata erroneamente accolta. La QuartaSezione penale, invece, discostandosi da una pre-cedente sentenza pronunciata dalle SezioniUnite, ha stabilito che non è possibile convertirein opposizione il ricorso per saltum presentatodall’imputato a cui è stato notificato un decretopenale di condanna. Due sentenze di estremaimportanza: con la prima sono stati ampliati i“poteri-diritti” del difensore, e con la seconda si“esclude” che l’opposizione possa essere conside-rata un mezzo di impugnazione.

Il decreto penale di condanna.Il decreto penale di condanna inizialmente disci-plinato dagli artt. 298-302 del Codice di procedu-ra penale del 1913, disciplinato poi dall’art. 506del Codice del 1930, è oggi disciplinato dagli artt.459 s.s. Il decreto penale di condanna, che rientratra il novero dei c.d. riti premiali o speciali, ècaratterizzato dall’assenza di contraddittorio trala pubblica accusa ed il condannato; il “prezzo”dell’assenza di contraddittorio tra le parti (che ègarantito dall’art. 111 Cost.) è ricambiato con“benefici” e sconto di pena.Procediamo per ordine.Con il decreto penale di condanna lo Stato san-ziona le condotte di minore allarme sociale.Il magistrato del pubblico ministero, entro seimesi dall’iscrizione della notizia di reato, puòadottare un decreto penale di condanna nei con-fronti di un soggetto che abbia indifferentementecommesso tanto un reato perseguibile d’ufficiotanto un reato perseguibile a querela di parte (adeccezione del caso in cui il querelante abbia fattoespresso riferimento in querela, ed è irrilevante uneventuale dissenso successivo, di opporsi alla defi-nizione del procedimento con decreto di condan-na). Qualora la richiesta di definizione del proce-dimento instauratosi con decreto penale di con-danna pervenga allo scadere dei sei mesi, cosìcome indicati dalla norma, il giudice per le inda-gini preliminari “dovrebbe” restituire gli atti almagistrato del pubblico ministero, ma se dovesseaccogliere la richiesta l’atto di condanna sarebbevalido. Infatti, in merito alla richiesta tardiva nes-suna norma penal-processuale prevede una nulli-

tà ex art. 178 lettera b o c.Il magistrato inquirente con la richiesta di defini-zione del procedimento con decreto penale dicondanna, esercita l’azione penale: enuncia ilfatto addebitato all’indagato, lo qualifica e sulla“scorta” di un accertamento sommario ne chiedela condanna al pagamento di una pena pecuniaria(multa o ammenda).Spetta, poi, al giudice per le indagini preliminariaccogliere l’istanza avanzata dal magistrato delpubblico ministero, al quale vanno restituiti gliatti in caso di petitum non accoglibile.L’indagato/condannato se ritiene che la condan-na inflittagli sia ingiusta può (entro quindicigiorni) presentare opposizione.Il legislatore per evitare inutili opposizioni (spes-so con soli fini dilatori), stabilisce al quintocomma dell’art. 460 c.p.p. dei “benefici” per ilcondannato acquiescente, pertanto quest’ultimonon potrà essere condannato alle spese proces-suali e né subire pene accessorie.Inoltre, il reato si estingue se il condannato neicinque anni o, rispettivamente due anni, noncommette delitti o contravvenzioni della stessaindole, nel qual caso cade ogni effetto penale e lacondanna non osta a nuova sospensione condi-zionale della pena1. La pena poi è determinatasecondo il richiamato articolo: ossia la pena pecu-niaria sarà diminuita sino alla metà rispetto alminimo edittale della pena, ulteriormente dimi-nuita in caso di applicazione delle attenuanti exartt. 62 o 62 bis c.p. Il decreto penale di condannapassa ingiudicato allo spirare dei quindici giornisuccessivi alla notifica qualora l’imputato (o ilcivilmente obbligato) non abbia proposto opposi-zione, il decreto de quo equivale a sentenza ma noncostituisce giudicato ai fini extrapenali; inoltre,non vi può essere costituzione di parte civile (per-ché manca il contraddittorio tra le parti) e mancal’udienza preliminare. La condanna diventa irre-vocabile rispetto ai concorrenti nel reato che nonabbiano proposto opposizione, salvo che il con-corrente opponente venga assolto con formulapiena.

L’opposizione.Avverso il decreto penale di condanna è possibileproporre opposizione e contestualmente “optare”per la scelta dell’oblazione, applicazione dellapena su richiesta, giudizio abbreviato o giudizioimmediato; quando l’opponente non scegliealcun rito, segue di diritto il giudizio immediato.Il civilmente obbligato alla pena pecuniaria nonha scelta: può chiedere solo il giudizio immedia-to. Sono legittimati a proporre opposizione avver-so il decreto penale di condanna tanto l’imputatoche l’eventuale civilmente obbligato alla pena

pecuniaria, personalmente o mediante i rispettividifensori. Può il difensore privo di procura spe-ciale presentare opposizione avverso il decretopenale di condanna e contestualmente richiederela definizione del procedimento attraverso l’obla-zione? “[...] In ordine alla questione problematicadei limiti della legittimazione del difensore, laS.C. ha ritenuto a suo tempo corretta, relativa-mente alla disciplina delineata dal previgentecodice di rito (ex art. 125 c.p.p.), la scelta del legis-latore di non prevedere espressi poteri di rappre-sentanza in capo al difensore”2.

Conformandosi a siffatto orientamento, il G.I.P.del Tribunale di Bologna, prima, ed il giudicemonocratico dello stesso tribunale, poi, rigettava-no l’opposizione avanzata da un difensore, sprov-visto di procura speciale, che opponendosi aldecreto penale di condanna aveva contestualmen-te chiesto l’ammissione del suo assistito all’obla-zione ai sensi dell’art. 162 bis c.p.“Il Tribunale, dichiarata la contumacia dell’impu-tato e revocato il decreto penale, rilevava, quantoalla domanda di ammissione all’oblazione formu-lata contestualmente all’atto di opposizione aldecreto penale, che essa era stata proposta daldifensore non munito di procura speciale, e quin-di da un soggetto non legittimato a formularla,trattandosi, per costante insegnamento giuri-sprudenziale, di un diritto personale dell’imputa-to; e, quanto alla reiterazione della domanda pre-sentata in udienza, che ad essa ostava il chiarodisposto dell’art. 162 comma 3 c.p.p.”3.

Le Sezioni Unite della Suprema Corte diCassazione investite della questione hanno rite-nuto, diversamente dalle pronunce delle SezioniSemplici, legittima l’attività posta in essere daldifensore, ritenendo non necessaria la procuraspeciale, poiché l’opposizione non rientra tra gliatti personalissimi dell’imputato. Le SezioniUnite sono giunte a tale conclusione analizzandoin primis il dettato normativo di cui all’art. 99c.p.p., che nell’estendere al difensore le facoltà edi diritti spettanti all’imputato, fissa un principiogenerale in base al quale sul difensore incombe laresponsabilità non solo di tutte quelle attività cheegli deve compiere in prima persona, ma anche diquelle che, pur esercitabili dal proprio assistito,gli sono demandate o per la sua competenza, oper l’inattività dell’interessato, da qualunquecausa determinata4. Ad avviso della SupremaCorte l’istanza di ammissione all’oblazione non èricompresa tra gli atti riservati all’imputato, enulla vale il fatto che il Codice penale (agli artt.162 e 162 bis) si riferisca al “contravventore”, dalmomento che la norma si riferisce a quest’ultimo

quale soggetto ammesso al pagamento. L’art. 461comma 3 c.p.p. indica espressamente i riti alter-nativi che l’imputato può scegliere (in tali casi ildifensore necessita sempre di procura speciale), etra questi non è ricompresa l’oblazione. Infine, leSezioni Unite hanno osservato che l’istanza de quanon estingue sic et simpliciter il reato, dal momentoche essa va vagliata ed approvata dall’organorequirente, e che solo successivamente al paga-mento della somma indicata nel provvedimentogiudiziario il reato si estingue. Qualora, poi, l’im-putato decidesse di non pagare quanto stabilitodall’organo giudicante il reato non si estinguereb-be ed il processo proseguirebbe nelle forme delgiudizio immediato, da ciò si ricava che l’istanzadi ammissione all’oblazione non è atto idoneo adincidere irreversibilmente sull’esito del procedi-mento e sulle relative regole di giudizio. L’istanzaavanzata dal difensore, sottolineano i giudici dilegittimità, potrà sempre essere revocata dall’im-putato in udienza, anche dopo il provvedimentodi ammissione del giudice al pagamento dellapena pecuniaria, dando così corso alla normaleprocedura di giudizio. A seguito di tali riflessioni,le Sezioni Unite sono giunte ad affermare l’am-missibilità dell’opposizione al decreto penale dicondanna con contestuale domanda di oblazioneda parte del difensore privo di procura speciale,dal momento che non esistono norme né espres-se e né ricavabili in via interpretative di segno con-trario. La Suprema Corte con la sentenza in com-mento ha stabilito, anche, che la domanda dioblazione potrà essere reiterata alla prima udien-za, prima dell’apertura del dibattimento, quandoerroneamente non sia stata accolta dal giudiceper le indagini preliminari, sicché è dovere delgiudice del dibattimento di prendere in conside-razione detta richiesta.

Il ricorso per saltum.Avverso il decreto penale di condanna è possibile,come visto, proporre opposizione entro quindigiorni. La Quarta Sezione Penale della Corte diCassazione ha stabilito che il ricorso per saltumproposto avverso un decreto penale di condannanon può essere convertito in opposizione, per viadelle diverse finalità che siffatti strumenti perse-guono. Infatti, osserva la Corte, mentre il ricorsoper Cassazione ex art. 606 c.p.p. è da ritenersi unostrumento di impugnazione in senso tecnicoavverso un provvedimento, l’opposizione è invecefinalizzata all’instaurazione di un giudizio al ter-mine del quale verrà adottato un provvedimento.Nel caso concreto la Corte era stata chiamata astatuire in merito ad un ricorso presentato dalsig. S.L. avverso un decreto penale di condannaper guida in stato di ebbrezza: “[...] l’odierno

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ricorrente, al fine di denunciare la contrarietà alegge della pena irrogata non ha altra possibilitàche quella di proporre ricorso per saltum ex art.111, comma 7 Cost. ed ex art. 569 c.p.p., posto chel’ordinaria opposizione, avanzando la quale il giu-dice del merito avrebbe revocato il decreto penaledi condanna e disapplicato la pena accessoria,non avrebbe consentito all’opponente di goderedei benefici che invece è sua intenzione ottenerechiedendo l’applicazione della pena ex art. 444c.p.p [...]”5. La Quarta Sezione Penale fin dalle“prime battute”, discostandosi da una precedentee consolidata giurisprudenza di legittimità, stabi-lisce che il rito monitorio prevede quale unico esolo rimedio l’atto di opposizione, la “[...] peculia-rità del rito e la espressa previsione di uno specifi-co rimedio, portano ad escludere la possibilità perl’imputato di proporre il ricorso per cassazione.Vero è che nella giurisprudenza di questa Corte èstata affermata la legittimità del ricorso per cas-sazione proposto dal P.M. avverso il decreto pena-le di condanna (ex plurimis, Sez. IV, n. 11358/08);ma tale opposizione ermeneutica trova fonda-mento in ragioni che riguardano esclusivamentel’ufficio del P.M. per il quale, a differenza dell’im-putato, non è previsto alcun rimedio specifico,finalizzato a censurare eventuali statuizioni ille-gittime contenute nel decreto penale: donde lapossibilità, per la sola pubblica accusa, di avvaler-si del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111della Costituzione [...]”. Ad avviso dei giudici,contrariamente a quanto statuito dalla giurispru-denza di legittimità consolidatasi nel tempo (edin particolare con quanto fissato dalle SezioniUnite con la sentenza Bonaventura n. 45371 del31/10/2001 Cc., dep. 20/12/2001, Rv. 220221,richiamata nella requisitoria del P.G.), l’atto diopposizione non può essere considerato mezzo diimpugnazione in senso stretto, dal momento che:1) l’opposizione al decreto penale di condannanon ha ad oggetto un provvedimento adottatoall’esito di una valutazione di merito;2) con l’opposizione il condannato chiede la deca-denza degli effetti del decreto penale di condannae contestualmente l’instaurazione del contraddit-torio;3) non esiste alcuna norma che esclude la possibi-lità di applicazione della pena su accordo delleparti a seguito di opposizione a decreto penale dicondanna. Per la Quarta Sezione Penale: “[...] laconversione ai sensi dell’art. 568, quinto comma,c.p.p. - pur nell’interpretazione estensiva di talenorma fornita dalle Sezioni Unite di questa Cortecon la sentenza Bonaventura (fondata sulla neces-sità di salvaguardare comunque la volutas impu-gnationis) - trova evidentemente il suo fondamen-to, in sintonia con la ratio delle disposizioni che

disciplinano i mezzi di impugnazione in sensotecnico, nella volontà del soggetto di sottoporreal vaglio del giudice dell’impugnazione le propriedoglianze in relazione alla decisione emessa all’e-sito di una valutazione di merito: orbene, come siè detto, l’atto di opposizione - finalizzato invecead instaurare il giudizio - non presenta siffatteconnotazioni [...]”. Nel caso concreto neppurepoteva essere preservata la volutas impugnationis,dal momento che il condannato aveva fatto ricor-so alla Suprema Corte per mera “opportunità”,credendo che i “benefici” ottenuti con il decretopenale di condanna non fossero conseguibili conaltro strumento. Non possono non essere condi-vise le pronunce in commento, che nel pienorispetto della norma processuale hanno portato igiudici a ribadire quanto il legislatore ebbe a sta-bilire. Infatti, la Corte in entrambe le sentenze haproceduto secondo il noto brocardo “Ubi lex voluitdixit, ubi noluit tacuit”, conformandosi agli orienta-menti giurisprudenziali e dottrinali più autorevo-li, senza mai per questo tralasciare il principio dinomofilachia............................................1 F. Cordero, Procedura Penale, Giuffrè Editore S.p.A., Milano, 2006.2 A. Scarcella, in Diritto e Formazione, Rivista del Consiglio Nazionale

Forense e della Scuola Superiore dell’Avvocatura, Anno IV n. 1,2010.

3 Cass. S.S. U.U., sent. del 29 ottobre 2009, n. 47923.4 Della Casa, I soggetti, in AA.VV., Compendio di procedura penale, a cura

di G. Conso e V. Grevi, Cedam, 2003.5 Cass. IV Sez. Pen., 16 dicembre 2009, n. 3599.

Maria CoppolaH

Sulla data di perfezionamentodelle notifiche effettuatedagli avvocati, ai sensi dell’art. 3della Legge 21 gennaio 1994, n. 53,a mezzo del servizio postale.

Nota a Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 13aprile 2010, n. 2055.

Anche per gli avvocati che notificano atti in proprio exLegge n. 53/1994 la notifica si perfeziona, per il soggettonotificante, al momento della consegna del plico all’uffi-cio postale (e non alla data di consegna dello stesso aldestinatario).

Premessa.Grazie alla Legge n. 53/1994 gli avvocati hanno lafacoltà di notificare in proprio - ossia senza l’in-termediazione dell’ufficiale giudiziario - gli atticivili, amministrativi e stragiudiziali.Possono utilizzare questa forma di notifica gliavvocati che:- siano iscritti all’albo;

- siano stati preventivamente autorizzati dalConsiglio dell’Ordine di appartenenza1;- siano muniti di apposito registro cronologico2;- siano muniti di procura alle liti, rilasciata nelleforme di cui all’art. 83 c.p.c.L’autorizzazione deve essere richiesta al Consigliodell’Ordine competente per iscrizione. È persona-le (e, pertanto, non può essere rilasciata indistin-tamente in favore delle associazioni professionali)e può essere concessa solo ove il professionistanon abbia procedimenti disciplinari in corso enon abbia riportato la sanzione disciplinare dellasospensione dall’esercizio professionale o altrapiù grave sanzione (cancellazione o radiazione).Due, le forme di notifica: quella diretta3 e quella amezzo del servizio postale4/5. La sentenza che cioccupa fa riferimento alla seconda delle dueforme appena citate e si allinea alla nota pronun-cia della Corte Costituzionale del 26 novembre2002, n. 477 (sul c.d. principio dello “sdoppia-mento” del momento perfezionativo della notifi-ca - quanto al notificante con la consegna delplico all’ufficiale giudiziario o all’ufficio postale,quanto al notificando con la ricezione dell’atto -),con riferimento al combinato disposto dell’art. 4,comma 3, della Legge 20 novembre 1982, n. 890(secondo cui “l’avviso di ricevimento costituisceprova dell’avvenuta notificazione”) e dell’art. 149c.p.c., concernente le modalità di effettuazionedelle notifiche a mezzo posta.

Alcuni precedenti contrari.Invero, con sentenza del 25 settembre 2002 n.13922, la sez. II della Cassazione Civile aveva rite-nuto che la notificazione di un atto processuale amezzo del servizio postale eseguita, ai sensi dellaLegge n. 53/1994, da un avvocato munito di pro-cura alle liti e dell’autorizzazione del Consigliodell’Ordine di appartenenza, si perfezionasse, inforza del rinvio operato dall’art. 3, comma 3, didetta legge alla disciplina della Legge 20 novem-bre 1982 n. 890, con la consegna del plico al desti-natario da parte dell’agente postale. Secondo que-st’orientamento, solo l’avviso di ricevimento pre-scritto dall’art. 149 c.p.c. faceva piena prova del-l’avvenuta consegna e della data di essa. Più direcente, anche il TAR Piemonte aderiva a dettasoluzione, ritenendo che “per il rispetto del ter-mine non basta avere consegnato il plico all’uffi-cio postale, in quanto la notifica si perfeziona conla ricezione”6. Ad avviso del menzionato TAR,infatti, la sentenza della Corte Costituzionale del26 novembre 2002, n. 477, non si applicherebbealla notifica diretta “per la diversità del ruolo edella funzione dell’ufficiale giudiziario rispettoall’avvocato”, ragion per cui “è solo relativamentealle notifiche effettuate dal primo, in quanto pub-

blico ufficiale deputato specificamente ed istitu-zionalmente ad effettuare notifiche di atti giudi-ziari, che è intervenuta la Corte Costituzionalecon la nota sentenza n. 477/2002 e che pertantonon può applicarsi alle notifiche effettuate inproprio dall’avvocato ex art. 3, Legge n. 53/1994,il meccanismo anticipatorio del momento perfe-zionativo della notifica alla consegna del plicoall’ufficiale notificante”. Ebbene, è abbastanzaevidente che le citate sentenze, benché di autore-vole provenienza, lascino ampio spazio a profili diillegittimità costituzionale atteso che, una voltadelineata l’analogia tra le forme di notifica e lalibertà di scelta per il notificante (ufficiale giudi-ziario o notifica diretta da parte dell’avvocatoappositamente autorizzato) sembra illogico rite-nere che i termini di decorrenza possano essereritenuti differenti per l’una e per l’altra dellemodalità. La giustificazione operata dal TARPiemonte, così come la decisione della CassazioneCivile n. 13922/2002, non sembrano, in verità,“eque” e non stupisce, pertanto, che il Consigliodi Stato, con la sentenza in questa sede annotata,abbia ribaltato l’indirizzo in esse prospettato7.

La recente pronuncia del Consiglio di Stato.Con la sentenza n. 2055/2010, il Consiglio diStato fa proprio il principio generale affermatodalla più volte ricordata sentenza della CorteCostituzionale n. 477/2002, in tema di momentoperfezionativo della notifica per posta, poi trasfu-so nell’ultimo comma dell’art. 149 c.p.c. (secondocui “la notifica si perfeziona, per il soggetto noti-ficante, al momento della consegna del plicoall’ufficiale giudiziario e, per il destinatario, dalmomento in cui lo stesso ha legale conoscenzadell’atto”8), e lo ritiene applicabile anche alle noti-fiche effettuate dagli avvocati per mezzo del servi-zio postale, a norma dell’art. 3 della Legge 21 gen-naio 1994, n. 53. Ne deriva che gli effetti dellanotificazione a mezzo posta vanno ricollegati, perquanto riguarda il notificante, al solo compimen-to delle formalità a lui direttamente imposte dallalegge, ossia alla consegna dell’atto da notificareall’ufficiale giudiziario, essendo la successiva atti-vità di quest’ultimo e dei suoi ausiliari (qualeappunto l’agente postale) sottratta in toto al con-trollo ed alla sfera di disponibilità del notificantemedesimo. Ergo, anche la notifica a mezzo postadi atti in proprio ex Legge n. 53/1994 si perfezio-na, per l’avvocato notificante, al momento dellaconsegna del plico all’ufficio postale............................................

1 “L’attività di notificazione svolta dagli avvocati, ai sensi della Leggen. 53 del 1994, in mancanza dei requisiti prescritti dalla legge stes-sa (nella specie, quello relativo alla previa autorizzazione delConsiglio dell’Ordine), va considerata nulla e non inesistente. Neconsegue che tale nullità, quand’anche riscontrata, è sanata dalla

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ad un’ulteriore indagine, tesa a dimostrare leragioni sottese al convincimento circa la “sorte”delle domande proposte in violazione dei principiin questione. La c.d. ratio del provvedimento, evin-cibile dal tessuto motivazionale dell’autorevoleprecedente, consiste nell’affermazione dellanecessità di assicurare la correttezza e la buonafede anche in campo processuale, non alterando ilgiusto equilibrio degli opposti interessi delle particontrapposte ed evitando il rischio di peggiorarelo status del debitore. Tale modificazione in peiusdella posizione del debitore si realizza tanto sottoil profilo del prolungamento del vincolo coattivo,cui egli deve sottostare per liberarsi dall’obbliga-zione nella sua interezza, ove il credito sia aziona-to nei suoi confronti inizialmente solo pro quota,con riserva di ulteriori azioni - poi esercitate - perla parte residua, quanto nell’inaccettabile pro-spettiva dell’aggravio delle spese processuali edegli oneri derivanti da molteplici opposizioni,tese ad evitare la soccombenza nelle liti, a cui ildebitore dovrebbe soggiacere a fronte della molti-plicazione di contestuali iniziative giudiziarie.Non va sottaciuta, sul punto, la necessità di evita-re, ai principi del giusto processo, un ulteriore vul-nus, che deriverebbe sia dalla possibile formazionedi giudicati contraddittori, concretamente ipotiz-zabile in forza di plurime e coeve azioni collegateallo stesso rapporto, sia dall’effetto inflattivoconseguente ad una proliferazione di giudizi, conconseguente frustrazione dell’obiettivo dellaragionevole durata del processo, cristallizzatonell’art. 111 della Costituzione. È di palmare evi-denza, sul punto, la posizione sostanzialmenteantinomica dalla quale muovono, da un lato, lamoltiplicazione dei processi e, dall’altra, la possi-bilità di contenimento della durata (nonché deicosti) degli stessi. In sintesi, la parcellizzazione inun giudizio di un credito unitario, per ottenerneil pagamento, importa che la domanda vadadichiarata improponibile dal giudice e tale vizioinvestirà ciascuna delle singole altre domande - inciascuna delle relative diverse cause - in cui è statafrazionata la richiesta riguardante l’intera sommain questione. In pratica, ad essere travolta è l’inte-ra domanda - attraverso i suoi molteplici e volon-tari rivoli processuali - come avrebbe dovuto esse-re proposta per essere ritenuta rituale e, quindi,proponibile. Nel solco tracciato dalle SezioniUnite, inoltre, il Supremo Collegio ha ribadito ilprincipio testè esposto con la pronuncia n.15476/2008, secondo la quale non è consentito alcreditore di una determinata somma di denaro,dovuta in forza ad un unico rapporto obbligato-rio, di frazionare il credito in plurime richiestegiudiziali di adempimento, contestuali o scaglio-nate nel tempo. Tutte le domande giudiziali, così

proposte, vanno dichiarate improponibili.Nella fattispecie in parola, come ricordato in pre-messa, le domande monitorie opposte sono statepromosse contro la stessa parte debitrice dallamedesima parte creditrice a distanza di pochigiorni l’una dall’altra, facendo risaltare, con cri-stallina chiarezza, la parcellizzazione processualee sostanziale dei crediti stigmatizzata dai giudicidi piazza Cavour. Alla luce delle deduzioni innan-zi richiamate, esposte in modo logico, completo elineare in parte motiva, applicando il principio didiritto espresso dai giudici di legittimità, il giudi-cante conclude correttamente nel ritenere che idecreti ingiuntivi impugnati vadano dichiaratinulli e le domande, così come formulate, debbanoinevitabilmente cadere sotto i colpi della scuredell’improponibilità.

Gianluca GranatoH

Esame d’avvocato: i provvedimentidella commissione esaminatricevanno di per sé consideratiadeguatamente motivati quandosi fondino su voti numerici, attribuitiin base a criteri predeterminati, senzanecessità di ulteriori spiegazionie chiarimenti.

I provvedimenti della commissione esaminatrice - cherilevano l’inidoneità delle prove scritte e non ammettonoall’esame orale il partecipante agli esami per l’abilita-zione all’esame di avvocato - vanno di per sé consideratiadeguatamente motivati quando si fondano su votinumerici, attribuiti in base ai criteri da essa (o comun-que dalla competente commissione istituita presso ilMinistero della Giustizia) predeterminati, senza necessi-tà di ulteriori spiegazioni e chiarimenti (Cons. St., IV, 22giugno 2006, n. 3924) e senza che possa assurgere ad ele-mento significativo, da cui possa desumersi la carenza dimotivazione, la circostanza che sugli elaborati non siastato apposto alcun segno grafico di correzione (v., daultimo, dec. 9 settembre 2009, n. 5406).

Proposto ricorso innanzi al TribunaleAmministrativo Regionale per il Lazio, nel pre-mettere che la commissione costituita presso laCorte d’Appello di Catania stabiliva, in caso divalutazione di inidoneità ai fini dell’ammissionealle prove orali, di esplicitare apposita motivazio-ne, il ricorrente evidenziava come il giudizioespresso nei propri confronti si fosse risolto nellamera attribuzione di un coefficiente numerico eche il predetto organismo avesse, quindi, contrav-venuto ad un principio dalla medesima posto ai

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rituale e tempestiva costituzione dell’intimato e, quindi, dall’accer-tato raggiungimento dello scopo della notificazione stessa”. In ter-mini, Cass. Civ., SS.UU., 01.12.2000, n. 1242.

2 Il registro deve rispettare il modello stabilito dal Ministero (si v. alle-gato al D.M. 27.05.1994, in G.U. 07.06.1994, n. 131).

3 La notifica diretta si attua con la consegna, appunto, “diretta” daparte del difensore, nel domicilio del destinatario. Ciò è possibile acondizione che:- destinatario sia altro avvocato che abbia la qualità di domiciliata-rio di una parte;- il destinatario sia iscritto nello stesso albo del difensore notifican-te;- l’atto sia preventivamente vidimato e datato dal Consigliodell’Ordine nel cui albo entrambi sono iscritti; - l’atto sia consegnato personalmente nelle mani proprie del desti-natario nel suo domicilio (e, quindi, non in un qualunque luogo),oppure, se la notifica non può essere fatta personalmente, a perso-na addetta allo studio ovvero al servizio del destinatario.Non è pertanto ammissibile la consegna ad altri soggetti quali ilportiere o il vicino.

4 Per l’avvocato che notifica personalmente a mezzo del serviziopostale non esistono i limiti di competenza territoriale come perl’ufficiale giudiziario (al contrario di quanto accade per la notificadiretta). “Il nuovo tipo di notificazione degli atti civili, amministra-tivi e stragiudiziali delineato dalla Legge n. 53 del 1994 (che siaffianca alle forme tradizionali di notificazione) si basa sull’elimi-nazione del coinvolgimento della figura dell’ufficiale giudiziario, inquanto il difensore è stato trasformato in organo del relativo proce-dimento notificatorio. Ne consegue che - a differenza di quantoavviene per l’ufficiale giudiziario, per il quale, in quanto inseritonell’organico giudiziario, vige il principio fondamentale della com-petenza territoriale - nei confronti dell’avvocato non può configu-rarsi alcuna questione di competenza territoriale, non incontrandoegli alcun limite territoriale alla sua potestà notificatoria” (ex multis,Cass. Civ., Sez. lav., 19 febbraio 2000, n. 1938).

5 Cfr. Balena, Facoltà di notificazioni di atti civili, amministrativi, e stragiu-diziali per gli avvocati e procuratori legali, in Le Nuove Leggi Civili, 1994;Brunelli, Prime riflessioni intorno alla nuova legge sulle notificazioni affi-date agli avvocati, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1994.

6 TAR Piemonte, sent. n. 1018 del 19 aprile 2009.7 Invero, già il TAR Veneto, sez. II, si era pronunciato sulla medesima

questione (con sentenza n. 2393 dell’11.09.2009), stabilendo che “lanotificazione effettuata dall’avvocato a mezzo del servizio postale siperfeziona in maniera analoga a quanto avviene nella notifica amezzo servizio postale da parte dell’ufficiale giudiziario. Difatti, invirtù del menzionato rinvio, è da ritenere che il meccanismo antici-patorio del momento perfezionativo della notifica alla consegna delplico all’ufficiale postale, come vale per l’ufficiale giudiziario, valgaanche per l’avvocato che si avvale della facoltà di cui alla Legge n.53/1994”. Lo stesso Consiglio di Stato, sez. IV, con sentenza n. 7463del 15 novembre 2004, ha ritenuto perfezionata la notificazione inproprio con la consegna da parte dell’avvocato dell’atto all’ufficiopostale.

8 Il citato comma è stato aggiunto ex art. 2, comma 1, lett. e) dellaLegge n. 263/2005, con effetto dall’1.03.2006, ex art. 39 quater,Legge n. 51/2006.

Gianluigi DiodatoH

Frammentazione del credito edimproponibilità della domanda.

Tribunale di Nocera Inferiore, Sezione II Civile,Giudice Cons. dott. Rocco De Giacomo, Sentenzatra A.S.L. Sa1/S.2000 s.r.l., n. 416/2010 del 22aprile 2010.

Non è consentito al creditore di una determinata sommadi denaro, dovuta in forza ad un unico rapporto obbli-gatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giu-

diziali di adempimento, contestuali o scaglionate neltempo. Tutte le domande, così proposte, vanno dichiara-te improponibili per violazione dei principi di correttez-za e buona fede e della ragionevole durata del processo.

Nella pronuncia in oggetto, il Tribunale diNocera Inferiore, nella persona del GiudiceIstruttore, Cons. dott. Rocco De Giacomo, affron-ta l’attualissima problematica relativa alla pecu-liare ipotesi del frazionamento di un unico credi-to nei confronti di un medesimo debitore.Segnatamente, allo scrutinio del giudicante sonostati posti tre giudizi introdotti a seguito di for-male opposizione ad altrettanti decreti ingiuntivi,promossi da una società a responsabilità limitatanei confronti della locale azienda sanitaria.Le tre domande monitorie opposte, attivate adistanza ravvicinata ed avanzate sulla base delmedesimo rapporto contrattuale sussistente interpartes, erano tutte fondate sul mancato pagamen-to di somme indicate su fatture emesse dallasocietà intimante. Schiuse le porte al giudizio dicognizione, per effetto delle suddette opposizionidell’azienda intimata, il giudicante, previa riunio-ne dei procedimenti de quibus per evidenti ragioniconnettive, è pervenuto alla conclusione delladeclaratoria di nullità delle ingiunzioni in parola,per improponibilità delle relative domande, inforza delle argomentazioni che seguono. LaSuprema Corte, con la perclara sentenza resa aSezioni Unite n. 23726/2007, ha stabilito il prin-cipio secondo il quale non è consentito al credito-re di una determinata somma di denaro, dovutain forza di un unico rapporto obbligatorio, di fra-zionare il credito in plurime richieste giudiziali diadempimento, contestuali o scaglionate neltempo. Una tale scissione del contenuto dell’ob-bligazione, difatti, operata dal creditore per suaesclusiva utilità con unilaterale modificazioneaggravativa della posizione del debitore, si ponein contrasto con due basilari principi del nostroordinamento giuridico. Il primo è il canone dicorrettezza e buona fede, che deve improntare ilrapporto tra le parti, non solo durante l’esecuzio-ne del contratto, ma anche nell’eventuale fase del-l’azione giudiziale promossa per ottenerne l’a-dempimento. Il secondo è il principio costituzio-nale del giusto processo, che rischia di essereminato dalla parcellizzazione della domanda giu-diziale, diretta alla soddisfazione di un’unica pre-tesa creditoria, in quanto destinata a tradursi inun abuso degli strumenti processuali che l’ordi-namento offre alla parte, nei limiti di una corret-ta tutela del suo interesse sostanziale. Fatta que-sta doverosa premessa, il giudicante, tuttavia, nonsi limita acriticamente ad applicare al caso inesame quanto sancito dagli Ermellini, ma procede

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fini dello svolgimento delle attività di valutazionerelative agli elaborati dimostratisi insufficienti.Il TAR Lazio, per le motivazioni che seguono, haritenuto il ricorso infondato: “va in primo luogoosservato che il comma 9 dell’art. 22 del RegioDecreto Legge 27 novembre 1933 n. 1578, conver-tito, con modificazioni, dalla Legge 22 gennaio1934, n. 36 (come modificato dall’art. 1 bis delDecreto Legge 21 maggio 2003 n. 122, inserito insede di conversione dalla Legge 18 luglio 2003, n.180), prevede che “la commissione istituita pressoil Ministero della Giustizia definisce i criteri per lavalutazione degli elaborati scritti e delle proveorali e il presidente ne dà comunicazione alle sot-tocommissioni.La commissione è comunque tenuta a comunica-re i seguenti criteri di valutazione:a) chiarezza, logicità e rigore metodologico dell’e-sposizione;b) dimostrazione della concreta capacità di solu-zione di specifici problemi giuridici;c) dimostrazione della conoscenza dei fondamen-ti teorici degli istituti giuridici trattati;d) dimostrazione della capacità di cogliere even-tuali profili di interdisciplinarietà;e) relativamente all’atto giudiziario, dimostrazio-ne della padronanza delle tecniche di persuasio-ne.Nella fattispecie, la commissione anzidetta haapprovato ... i criteri di cui sopra, provvedendo adarne comunicazione ai presidenti delle sotto-commissioni. Tali criteri ... sono i seguenti:a) chiarezza, logicità e rigore metodologico delleargomentazioni, capacità di sintesi e di intuizionegiuridica;b) conoscenza della lingua italiana sotto il profilodell’uso delle forme grammaticali logiche di sin-tassi e di ortografia e padronanza del lessico ita-liano e forense;c) dimostrazione della concreta capacità di risol-vere problemi giuridici utilizzando giurispruden-za e dottrina al servizio della propria preparazio-ne giuridica;d) dimostrazione della capacità di cogliere even-tuali profili di interdisciplinarietà collegandoanche al diritto costituzionale ed al diritto comu-nitario la soluzione dei casi che oggi vengono pro-spettati in una dimensione anche europea;e) coerente formulazione e logica motivazionedelle conclusioni tratte, anche se difformi dall’in-dirizzo giurisprudenziale e/o dottrinario comunee prevalente.Non è chi non veda come i suindicati criteri rechi-no una congrua specificazione rispetto alle indi-cazioni (necessariamente generali) contenutinella normativa primaria di riferimento. Ciòposto, la stessa documentazione depositata dal

ricorrente ... smentisce l’assunto dal quale muo-vono le censure ... dedotte. Come precedentemen-te osservato, lamenta il dott. xxx che - in violazio-ne delle indicazioni dalla stessa commissionecostituta presso la Corte d’Appello di Catania ela-borate ai fini dell’espressione del giudizio in esitoalla valutazione degli elaborati - non sia stato for-nito alcun corredo motivazionale alla votazioneal medesimo attribuita. Il verbale di correzionedella IV sottocommissione evidenzia, al contrario,le puntuali ragioni per le quali gli elaborati relati-vi alla prova di diritto penale ed a quella relativaad un atto giudiziario siano stati insufficiente-mente valutati; ed esprime, altresì, un complessi-vo giudizio sulle prove svolte dal dott. xxx rile-vando che quest’ultimo “non si è mostrato all’al-tezza ... dell’elaborazione dei tre elaborati, mani-festando una conoscenza insufficiente ... dellequestioni giuridiche, peraltro trattate in manieraconfusa e con linguaggio per niente appropriato”.Va escluso, in linea di principio, che la valutazio-ne espressa unicamente mediante voto numericosia, come pure sostenuto da parte ricorrente, ille-gittima, atteso che ... i provvedimenti della com-missione esaminatrice ... vanno di per sé conside-rati adeguatamente motivati, quando si fondinosu voti numerici, attribuiti in base ai criteri daessa (o comunque dalla competente commissioneistituita presso il Ministero della Giustizia) prede-terminati, senza necessità di ulteriori spiegazionie chiarimenti. Deve inoltre rammentarsi come,per costante insegnamento giurisprudenziale, levalutazioni delle prove di esame da parte dellecommissioni esaminatrici di concorso sianoespressione di ampia discrezionalità tecnica, voltaad accertare l’idoneità tecnica e culturale dei can-didati: la cui sindacabilità sotto il profilo dell’ec-cesso di potere viene in considerazione solo lad-dove ricorrano fattispecie inficianti sub specie dellaillogicità manifesta, del travisamento dei fatti,ovvero della disparità di trattamento (ex multis,Cons. Stato, sez. IV, 4 febbraio 2008, n. 294).Quanto alla sottoposta fattispecie, va poi ulte-riormente osservato che le regole dalla commis-sione prefissate ai fini dello svolgimento dell’atti-vità valutativa risultano essere state pienamenterispettate, atteso che (come illustrato) il giudiziodi insufficienza è corredato da apparato motiva-zionale senz’altro congruo e sufficiente...” (TARLazio, sentenza n. 11660/2009). Peccato che ilgiudizio di insufficienza esaminato dal Tribunaleè risultato poi essere il giudizio di un altro candi-dato e non quello del ricorrente!Proposto, dunque, ricorso innanzi al Consiglio diStato, il gravame è stato respinto in quanto “...alla stregua dell’orientamento consolidato ... (v.decisioni n. 1229/09, n. 2576/09 e n. 5751/09)

secondo cui, negli esami di abilitazione alla pro-fessione di avvocato, la fase della correzione evalutazione degli elaborati non richiede l’annota-zione, né sugli elaborati stessi né nel verbale delleattività della commissione, di particolari chiari-menti circa gli errori o le inesattezze giuridicherilevati: ciò perché, da un lato, secondo la stessalettera della legge (v. penultimo comma dell’art.23 del R.D. n. 37/1934), alla lettura dei “lavori”segue l’assegnazione del punteggio; e, dall’altro,detto punteggio, pacificamente, è sufficiente adesprimere in forma sintetica il giudizio tecnico-discrezionale demandato alla commissione, senzabisogno di ulteriori spiegazioni e chiarimenti (v.,per tutte, Cons. St., IV, 17 febbraio 2009, n. 855).Se è vero, poi, che tale attività è regolata unica-mente dai criterii fissati dalla commissione di cuiall’art. 22 del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578(Cons. St., IV, 22 dicembre 2009, n. 8621) e dalleminuziose indicazioni procedurali dettate dallegislatore, a regolare la fase della valutazione edel giudizio tecnico-discrezionale di competenzadella sottocommissione (che, come già detto, èsufficientemente sintetizzato dal voto numerico)non possono valere certo eventuali ulteriori auto-limitazioni (quale quella, che viene in considera-zione nel caso di specie, della regola procedimen-tale datasi dalla sottocommissione de qua di espri-mere, nell’eventualità di non ammissione, lamotivazione dei voti negativi), che si rivelanoinvero del tutto inidonee ad assumere quell’effi-cacia vincolante riconoscibile ai soli criterii divalutazione propriamente detti indicati dallacommissione di cui sopra, oltre che naturalmentealle precise e complete scansioni procedimentaliindividuate dal legislatore; sì che ogni eventualescostamento da dette ulteriori ed ultronee regole,foriere di ledere il principio di massima uniformi-tà delle procedure di valutazione su tutto il terri-torio nazionale nell’esame di abilitazione di cui sitratta cui è chiaramente ispirata la disciplinalegislativa, non è in grado certo di assumere carat-tere invalidante quando, come accade nella situa-zione in esame, criterii di riferimento (dettatidalla competente commissione) per la valutazio-ne siano comunque sussistenti, gli stessi non pre-vedano alcuna attività aggiuntiva rispetto a quel-la di assegnazione del punteggio e non venganoinfine comunque segnalati errori di fatto nel giu-dizio reso ovvero elementi di macroscopica irra-zionalità dello stesso, sì che la stessa denunciataomissione (effettivamente sussistente, a differen-za di quanto ritenuto dal TAR) non è comunquedi per sé idonea, in assenza quanto meno di unsufficiente principio di prova di erroneità del giu-dizio, a fornire un idoneo indizio di una valuta-zione palesemente incongrua, o di un qualche

possibile sviamento... che nella specie comunquenon si rinvengono nel modus procedendi della sot-tocommissione, alla quale nessun fatto specificooggetto di deduzione consente di addebitare unaqualche omissione del dovuto, rigoroso, rispettodei criteri prefissati, cui non è certo assimilabile,in termini di portata invalidante dell’attività allastessa demandata, la mancata osservanza di rego-le procedimentali, quale quella della cui violazio-ne qui si discute, fissate dalla sottocommissionestessa del tutto al di fuori del paradigma procedi-mentale fissato dal legislatore; mancata osservan-za, che, attenendo a mere operazioni materialidell’attività della sottocommissione esulantidallo schema unico di per sé necessario e suffi-ciente ad assicurare il rispetto del predetto para-digma, non è in grado di configurare un qualchevizio della motivazione resa con voto numerico(che assicura la necessaria spiegazione delle valu-tazioni di merito compiute dalla sottocommissio-ne e consente il sindacato sul potere amministra-tivo esercitato: v., ex plurimis, Cons. St., IV, 7marzo 2005, n. 900; 3 maggio 2005, n. 2154; 10maggio 2005, n. 2269; 27 maggio 2002, n. 2906;da ultimo, 6 maggio 2008, n. 2064 e 9 settembre2009, n. 5406) e tanto meno il dedotto vizio didisparità di trattamento, semmai suscettibile discaturire proprio dalla proliferazione e dall’appli-cazione, da parte delle singole sottocommissionisparse sul territorio nazionale, di moduli procedi-mentali dell’attività di correzione degli elaboratiad esse demandata esulanti dall’unico ed indefet-tibile procedimento-tipo compiutamente dise-gnato dal legislatore” (Consiglio di Stato, Dec. n.2094/2010). In definitiva, accade che la violazio-ne, da parte della commissione, di una regola d’e-same da essa stessa fissata e l’applicazione nonomogenea di precostituiti criteri di valutazione -con evidente disparità di trattamento tra i candi-dati esaminati - non sarebbero in grado di confi-gurare alcun vizio della motivazione, purché que-st’ultima risulti resa con il sistema del voto nume-rico nel rispetto del paradigma procedimentalefissato dal legislatore!

Mariella OrlandoH

Nulla l’ipoteca se il debito delcontribuente è inferiore agliottomila euro.

Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza del22 febbraio 2010, n. 4077.

La Suprema Corte di Cassazione si è pronunciatain materia di riscossione coattiva dei crediti dello

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Stato. In particolare la Corte ha rigettato il ricor-so dell’agenzia per la riscossione Equitalia Polis ecosì accogliendo il ricorso di un contribuente diCastellammare di Stabia il quale lamentava diaver subito una iscrizione ipotecaria sui beniimmobili per un debito pari ad euro 916,93.Secondo la tesi del ricorrente, l’utilizzo dellamisura cautelare ipotecaria sarebbe legittima sol-tanto per debiti tributari superiori ad euro otto-mila così previsti dall’art. 77 del DPR 602/73.Non quindi nel caso in questione.Da parte sua, l’agenzia per la riscossione Equitaliasosteneva la correttezza del suo operato in quan-to il limite minimo di euro otto mila fissato dallanorma citata sarebbe applicabile solo nel caso diavvio della espropriazione immobiliare, consen-tendo perciò di iscrivere ipoteca anche per impor-ti inferiori alla predetta soglia. In primo grado ilgiudice di pace ha qualificato l’azione intrapresadal contribuente come un’opposizione all’espro-priazione e proprio per questo motivo avevaannullato l’iscrizione dell’ipoteca perché il valoreper il quale si agiva era inferiore ad ottomila euro.La Suprema Corte - in questa innovativa sentenza- ha in primis rammentato che al pari delle contro-versie in tema di fermo di beni mobili di cuiall’art. 86 del DPR 602/1973, anche quelle intema d’iscrizione ipotecaria rientrano nella giuri-sdizione della Commissione Tributaria nel casoin cui siano state effettuate per ottenere il paga-mento d’imposte o tasse1; ed in secondo luogoindividua l’ipoteca come un atto preordinato estrumentale all’espropriazione, nel senso che nonpuò essere iscritta se il debito del contribuentenon supera gli ottomila euro. Infatti, l’iscrizionedi ipoteca2 ha il fine di costituire una prelazione,attribuendo all’agenzia di diritto di espropriare ibeni vincolati a garanzia del suo credito e di esse-re soddisfatto con preferenza sul prezzo ricavatodall’espropriazione; ciò al fine di garantire la pre-tesa tributaria. Nel caso di specie vi è un collega-mento funzionale tra ipoteca e procedura diespropriazione in virtù del quale si estende allaprima la disciplina prevista per l’esecuzione.È chiaro che in materia di iscrizione di ipoteca, lenorme del DPR n. 602/1973 hanno natura spe-ciale - e quindi derogabile - rispetto alle normegenerali sull’espropriazione forzata principal-mente contenute nel Codice di procedura civile,così che il rapporto tra iscrizione ed espropriazio-ne forzata in materia tributaria assume una con-notazione del tutto particolare. Va infatti consi-derato che l’obbligazione tributaria ha naturaindisponibile “riguardo fattispecie disciplinate daun regime legale non derogabile, rinunciabile omodificabile dalle parti”3. Ne consegue che quan-do l’Erario, dopo aver iscritto a ruolo le somme

pretese, iscrive successivamente ipoteca sui benidel contribuente debitore, agisce sempre e solo invista dell’irrinunciabile necessità di soddisfare ilcredito erariale per cui, salvo uno spontaneopagamento del debito da parte del contribuente,dovrà fare necessariamente seguito l’azione espro-priativa sul bene medesimo. Di qui la stretta con-notazione tra iscrizione ipotecaria ed espropria-zione forzata.A norma dell’art. 76 del DPR n. 602/1973 l’agen-te può procedere all’espropriazione immobiliarese l’importo del credito per cui procede superacomplessivamente ottomila euro. Il successivoart. 77 sancisce, invece, che il ruolo costituiscetitolo per iscrivere ipoteca sugli immobili deldebitore e dei coobbligati per un importo com-plessivo del credito. Se l’importo complessivo delcredito per cui si procede non supera il cinque percento del valore dell’immobile da sottoporre adespropriazione il concessionario, prima di proce-dere all’esecuzione, deve iscrivere ipoteca. Decorsisei mesi dall’iscrizione senza che il debito sia statoestinto, il concessionario procede all’espropria-zione. In virtù di quanto detto la Corte diCassazione a Sezioni Unite con questo storicointervento in materia di riscossione coatta dei cre-diti dello Stato ha ritenuto che il limite posto dal-l’art. 76 del DPR n. 602/1973 all’espropriazioneforzata di beni immobili deve necessariamenteestendersi anche al potere dell’agente della riscos-sione di procedere ad iscrizione ipotecaria.Va rilevato, comunque, che la Cassazione nulladice su chi si debba accollare i costi delle opera-zioni di cancellazione di molte ipoteche riferite adebiti inferiori agli otto mila euro. Tale questioneapre le porte a nuovi contenziosi che non farannoaltro che aggravare ulteriormente le casse disse-state della pubblica amministrazione............................................

1 Corte di Cassazione n. 14831 del 2008 e n. 6593 del 2009.2 L’ipoteca può avere ad oggetto i beni immobili, i diritti, le rendite, e

tutti gli altri beni indicati dall’art. 2810 c.c.3 In particolare la Corte di Cassazione con ordinanza n. 25653 del

2008 ha affermato quanto segue: “In materia tributaria, la decaden-za dell’amministrazione finanziaria dall’esecuzione di un potere neiconfronti del contribuente, in quanto stabilito in favore e nell’inte-resse esclusivo del contribuente, in materia di diritti da questo dis-ponibili, non può essere rilevata d’ufficio dal giudice, ma deve esse-re dedotta dal contribuente in sede giudiziale, mentre la decadenzadel contribuente dall’esercizio di un potere nei confronti dell’am-ministrazione finanziaria, in quanto stabilita in favore di quest’ul-tima ed attinente a situazioni da questa non disponibili - perchédisciplinata da un regime legale non derogabile, rinunciabile omodificabile dalle parti - è rilevabile anche d’ufficio. Ne conseguesul piano processuale, alla luce del D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546,art. 57, comma 2, e art. 345 c.p.c., comma 2, l’inammissibilità delladeduzione, effettuata per la prima volta in appello, della violazionedi un termine di decadenza sostanziale stabilito in favore del con-tribuente, e, per converso, la deducibilità per la prima volta in appel-lo della decadenza stabilita della legge fiscale in favore dell’ammini-strazione finanziaria, come nel caso di decadenza del contribuente

dal diritto al rimborso per non aver presentato la relativa istanza neltermine previsto dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, salvoche sul punto si sia già formato un giudicato interno (CassazioneCivile, Sez. trib., 21 giugno 2004, n. 11521)”.

Piervincenzo PacileoH

La natura giuridicadella responsabilità medica.

Tribunale di Nocera Inferiore, I Sez. civ., GiudiceRel. dott.ssa Marianna D’Avino, 3 marzo 2010.

La responsabilità del professionista che l’istante ha avutoin cura, stante l’interpretazione giurisprudenziale con-solidata del disposto di cui all’art. 2236 in relazioneall’art. 1176, II comma, c.c., produce i suoi effetti sui verinodi della responsabilità del medico e cioè il grado dellacolpa e la ripartizione dell’onere probatorio.Si è sottolineato, infatti, che sotto il profilo dell’inquadra-mento sistematico le norme sulla diligenza (art. 1176c.c.) sono previste per tutti i tipi di obbligazioni e nonautorizzano ad individuare materie distinte, per cui, ilconcetto di colpa è unitario ed è quello previsto dall’art.1176 c.c. che impone di valutare la colpa con riguardoalla natura dell’attività esercitata.La responsabilità del medico per i danni causati alpaziente, pertanto, postula la violazione dei doveri ine-renti allo svolgimento della sua attività, tra i quali quel-lo della diligenza che va, a sua volta, valutato con riguar-do alla natura dell’attività e che in rapporto alla profes-sione di medico specialista implica scrupolosa attenzioneed adeguata preparazione professionale.Infatti, il medico specialista nell’adempimento delleobbligazioni inerenti alla propria attività professionale ètenuto a una diligenza che non è solo quella del buonpadre di famiglia, come richiesto dall’art. 1176, Icomma, c.c., ma è quella specifica del debitore qualifica-to, come indicato dall’art. 1176, II comma, c.c, il qualecomporta il rispetto di tutte le regole e gli accorgimentiche nel loro insieme costituiscono la conoscenza dellaprofessione medica.Il richiamo alla diligenza ha, in questi casi, la funzionedi ricondurre la responsabilità alla violazione di obblighispecifici derivanti da regole disciplinari precise. In altritermini, sta a significare applicazione di regole tecnicheall’esecuzione dell’obbligo e quindi diventa un criteriooggettivo e generale e non soggettivo.Inquadrata la responsabilità del medico nei confronti delpaziente nell’ambito della responsabilità contrattuale,trova applicazione diretta l’art. 2236 c.c., a norma delquale, qualora la prestazione implichi la soluzione diproblemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’ope-ra risponde dei danni solo in caso di dolo o colpa grave,con esclusione dell’imprudenza e della negligenza.Infatti, anche nei casi di particolare difficoltà, tale limi-tazione non sussiste con riferimento ai danni causati per

negligenza o imprudenza, dei quali il medico risponde inogni caso; ovvero il professionista risponde anche di colpalieve quando per omissione di diligenza ed inadeguatapreparazione provochi un danno nell’esecuzione di unintervento operatorio o di una terapia medica.Quanto alla ripartizione dell’onere probatorio, la giuri-sprudenza considera unitariamente, a tali fini, l’attivitàsanitaria come prestazione di mezzi, senza più farsicarico della natura della responsabilità del medico e ritie-ne che incomba al professionista che invoca il più ristret-to grado di colpa di cui all’art. 2236 c.c. provare che laprestazione implicava la soluzione di problemi tecnici dispeciali difficoltà e, per andare esente da responsabilità,che l’insuccesso dell’operazione non è dipeso da un difet-to di diligenza propria, ma da caso fortuito o forza mag-giore.Quanto all’ente - struttura ospedaliera - deve precisarsiche il rapporto che si instaura con il paziente ha fonte nelcontratto che può concludersi anche con l’accettazionedel paziente stesso. Si tratta di un contratto atipico coneffetti protettivi nei confronti del terzo che fa sorgere acarico della casa di struttura anche obblighi di messa adisposizione del personale medico ausiliario, di quelloparamedico e dell’apprestamento di tutte le attrezzaturenecessarie, anche in vista di eventuali complicazioni. Laresponsabilità dell’ente ospedaliero nei confronti delpaziente ha dunque natura contrattuale e può consegui-re, a norma dell’art. 1218 c.c., all’inadempimento diquelle obbligazioni che sono direttamente a carico del-l’ente debitore.Può anche conseguire, a norma dell’art. 1228 c.c., all’i-nadempimento della prestazione medico-professionalesvolta direttamente dal sanitario che assume la veste diausiliario necessario del debitore. Rispetto a quest’ultimaevenienza occorrono alcune precisazioni. Innanzituttonon è necessario che il medico sia “dipendente” dell’entepoiché, a norma dell’art. 1228 c.c., il debitore che nell’a-dempimento dell’obbligazione si vale dell’opera di terzi,risponde dei fatti dolosi e colposi di costoro. Ausiliari,dunque, sono tutti coloro dei quali il debitore si avvalenell’esecuzione della prestazione, indipendentementedalla natura del rapporto che ad esso li leghi.In secondo luogo, in applicazione dell’art. 1228 c.c., nonrileva che il sanitario il quale esegue l’intervento possaessere anche sanitario di fiducia del paziente, ove la scel-ta, come nel caso di specie, cada su soggetto comunquecollegato all’organizzazione aziendale dell’ospedale. Laprestazione dell’ausiliario, cioè del medico, è necessariaper l’esecuzione della prestazione cui lo stesso si è obbli-gato al momento dell’accettazione del ricovero.Quanto alla determinazione del danno, deve essere pre-liminarmente chiarito che la sua considerazione non puòche essere “unitaria”.Ed invero, nell’ambito del danno non patrimoniale, ilriferimento a determinati tipi di pregiudizi in variomodo denominati (danno morale, danno biologico,danno da perdita del rapporto parentale, danno esisten-

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ziale) risponde ad esigenze descrittive ma non implica ilriconoscimento di diverse e distinte categorie giuridichedi danno, essendo compito del giudice accertare l’effetti-va consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dalnome attribuitogli, individuando quali ripercussioninegative sul soggetto leso si siano verificate e provveden-do per intero alla loro riparazione. Di danno esistenzia-le come autonoma categoria di danno non è dato più dis-correre, poiché laddove il giudice, dopo aver liquidato ilcosiddetto danno biologico, ravvisi l’allegazione e provadi ulteriori pregiudizi all’integrità psico-fisica del sogget-to che in quello non abbiano trovato adeguato ristoro,pur sempre nell’ambito della voce di “danno non patri-moniale”, provvederà ad adeguare - in via equitativa - lesomme a tale titolo dovute. Punto fondamentale delle considerazioni innanzidescritte deve essere il superamento della considerazionedel danno esistenziale e del danno morale come danno“in re ipsa”, liquidabile in ragione del solo accertamentodella lesione del bene - sia pure costituzionalmentegarantito - dell’integrità psico-fisica. La loro considera-zione e liquidazione ai fini della determinazione deldanno non patrimoniale presuppone l’adempimentodello specifico onere di allegazione e prova delle specifi-che circostanze che ne hanno legittimato la richiesta eche, intanto, possono avere incidenza autonoma rispettoal danno biologico, in quanto l’istante abbia fornito larigorosa prova dei pregiudizi ulteriori e diversi che il lesoin conseguenza delle lesioni ha patito.Perché il ricorso sia integrale il Giudice deve procedere adadeguata personalizzazione del danno biologico, valu-tando anche le sofferenze fisiche e psichiche patite dal sog-getto leso.Venendo quindi ai criteri per procedere alla liquidazionedel danno, questo giudice ritiene di dover condividere latabella in uso presso il Tribunale di Milano, quale tabel-la maggiormente seguita nei Tribunali e nelle Corti delterritorio nazionale e che prevede una liquidazione deldanno non patrimoniale comprensiva anche della partedovuta quale danno biologico, secondo il punto percen-tuale di invalidità accertata dal medico legale.

La responsabilità professionale del medico - ovepure egli si limiti alla diagnosi ed all’illustrazioneal paziente delle conseguenze della terapia o del-l’intervento che ritenga di dover compiere, alloscopo di ottenerne il necessario consenso infor-mato - ha natura contrattuale e non precontrat-tuale1; ne consegue che, a fronte dell’allegazione,da parte del paziente, dell’inadempimento del-l’obbligo di informazione, è il medico gravato del-l’onere della prova di aver adempiuto tale obbli-gazione2. In particolare, la Corte di Cassazioneafferma che ogni intervento chirurgico è a sé ed ilconsenso del paziente non è presunto e deve essermanifestato previa completa informazione diret-ta. L’obbligo di rendere edotto il paziente anche

di rischi minimi sussiste se è in gioco un benedelicatissimo e l’onere di provarne l’adempimen-to spetta al medico. Il consenso informato,espressione del diritto personalissimo, di rilevan-za costituzionale, all’autodeterminazione tera-peutica, è un obbligo contrattuale del medico per-ché è funzionale al corretto adempimento dellaprestazione professionale, pur essendo autonomoda esso3. In tema di responsabilità civile per danniderivanti dall’esercizio dell’attività medico-chi-rurgica, la correttezza del comportamento tenutodal medico, pur comportando il rigetto delladomanda di risarcimento proposta nei suoi con-fronti, non esclude la configurabilità di unaresponsabilità autonoma e diretta della strutturaospedaliera, ove il danno subito dal pazienterisulti causalmente riconducibile all’inadempi-mento delle obbligazioni ad essa facenti carico, inrelazione all’insufficienza delle apparecchiaturepredisposte per affrontare prevedibili emergenzeo complicazioni, ovvero al ritardo nel trasferi-mento del paziente presso un centro ospedalieroattrezzato4.Pertanto, in materia di responsabilità medicaconcorrente, contrattuale ed extracontrattuale,dell’istituto sanitario incombe sul danneggiatodall’operato medico l’onere di provare l’interve-nuta stipulazione del contratto e l’inadempimen-to del professionista, mentre grava sulla strutturasanitaria fornire la prova in ordine all’avvenutaesecuzione della prestazione in modo idoneo aquanto in fattispecie simili richiesto e della con-seguente imputabilità degli esiti lesivi ad eventoimprevisto ed imprevedibile5.Dunque, rilevato che la relazione che si instauratra la struttura ospedaliera ed il paziente dà luogoad un rapporto di tipo contrattuale, anche qualo-ra fondato solo sul solo contatto sociale, ai sensidel disposto codicistico di cui all’art. 1218 c.c., ilpaziente è unicamente gravato dall’onere di alle-gare l’inesattezza dell’inadempimento del profes-sionista, e non già la colpa o la sua gravità, men-tre, al contrario, questi, al fine di andare esente daresponsabilità, sarà tenuto a dare prova della nonimputabilità ad esso dell’addebitatogli inadempi-mento6. Infatti, ove sia dedotta una responsabili-tà contrattuale della struttura sanitaria e/o delmedico per l’inesatto adempimento della presta-zione sanitaria, il danneggiato deve fornire laprova del contratto (o del “contatto”) e dell’ag-gravamento della situazione patologica (o dell’in-sorgenza di nuove patologie per effetto dell’inter-vento) e del relativo nesso di causalità con l’azio-ne o l’omissione dei sanitari, restando a caricodell’obbligato - sia esso il sanitario o la struttura -la prova che la prestazione professionale sia stataeseguita in modo diligente e che quegli esiti siano

stati determinati da un evento imprevisto eimprevedibile; tuttavia, l’insuccesso o il parzialesuccesso di un intervento di routine, o, comunque,con alte probabilità di esito favorevole, implica diper sé la prova dell’anzidetto nesso di causalità,giacché tale nesso, in ambito civilistico, consisteanche nella relazione probabilistica concreta tracomportamento ed evento dannoso, secondo ilcriterio, ispirato alla regola della normalità causa-le, del “più probabile che non”7.D’altronde, l’accettazione del paziente in unastruttura (pubblica o privata) deputata a fornireassistenza sanitario-ospedaliera, sia ai fini delricovero che di una visita ambulatoriale, compor-ta comunque la conclusione di un contratto diprestazione d’opera atipico di spedalità con lamedesima, e, quindi, la responsabilità da contattodel medico dipendente dell’ente ospedaliero versoil paziente, atteso che solo la diretta gestione dellaclinica costituisce elemento idoneo a consentirel’individuazione del soggetto titolare del rappor-to istaurato tra medico e paziente e, conseguente-mente, fonda la correlativa responsabilità. Igitur,il paziente che alleghi di aver patito un danno allasalute in conseguenza dell’attività professionaledel medico, ovvero di non avere conseguito alcunmiglioramento delle proprie condizioni di salutenonostante l’intervento del medico, deve provareunicamente l’esistenza del rapporto col sanitarioe l’insuccesso dell’intervento, e ciò anche quandol’intervento sia stato di speciale difficoltà, inquanto l’esonero di responsabilità di cui all’art.2236 c.c. non incide sui criteri di riparto dell’one-re della prova. Costituisce, invece, onere del medi-co, per evitare la condanna in sede risarcitoria,provare che l’insuccesso dell’intervento è dipesoda fattori indipendenti dalla propria volontà etale prova va fornita dimostrando di aver osserva-to nell’esecuzione della prestazione sanitaria ladiligenza normalmente esigibile da un medico inpossesso del medesimo grado di specializzazione8.Più specificamente, in caso di prestazione profes-sionale medico-chirurgica di routine, per l’appun-to, spetta al professionista superare la presunzio-ne che le complicanze siano state determinate daomessa o insufficiente diligenza professionale oda imperizia, dimostrando che siano state, invece,prodotte da un evento imprevisto ed imprevedibi-le secondo la diligenza qualificata in base alleconoscenze tecnico-scientifiche del momento. Neconsegue che il giudice, al fine di escludere laresponsabilità del medico nella suddetta ipotesi,non può limitarsi a rilevare l’accertata insorgenzadi “complicanze intraoperatorie”, ma deve, altresì,verificare la loro eventuale imprevedibilità ed ine-vitabilità, nonché l’insussistenza del nesso causa-le tra la tecnica operatoria prescelta e l’insorgenza

delle predette complicanze, unitamente all’ade-guatezza delle tecniche scelte dal chirurgo perporvi rimedio9............................................

1 In argomento si rinvia a P. Stanzione-V. Zambrano, Attività sanitariae responsabilità civile, Milano, 1998, passim; V. Zambrano, Interesse delpaziente e responsabilità medica, in P. Stanzione-S. Sica (a cura di),Professioni e responsabilità civile. Professioni legali, tecniche, mediche,Bologna, 2006, pp. 1023 ss.; P. Masciocchi, Medico competente.Compiti, funzioni e responsabilità, Milano, 2010, passim; G. Cassano, Laresponsabilità civile del medico e della struttura sanitaria. Giurisprudenza diassoluzione e di condanna, dopo le sezioni unite, Santarcangelo diRomagna (RN), 2010, passim; D. Chindemi, Responsabilità del medicoe della struttura sanitaria pubblica e privata, Montecatini Terme (PT),2010, passim; G. Iadecola-M. Bona, La responsabilità dei medici e dellestrutture sanitarie. Profili penali e civili, Milano, 2009, passim; M. Pulice,Responsabilità medica. Un’approfondita disamina dottrinale e giurispruden-ziale della casistica relativa alla responsabilità professionale del settore sani-tario, Napoli, 2009, passim; R. Cataldi-C. Matricardi-F. Romanelli-S.Vagnoni-V. Zatti, La responsabilità professionale del medico. Tutela civile eprofili penali. Normativa, giurisprudenza, casi pratici, Santarcangelo diRomagna (RN), 2009, passim; C. Parrinello, Medical malpractice e rego-le di responsabilità civile. Tradizione e innovazione, Milano, 2008, passim;G. Montanari Vergallo, Il rapporto medico-paziente. Consenso e informa-zione tra libertà e responsabilità, Milano, 2008, passim; R. Pastore-G.Palmieri, La responsabilità nell’esercizio della professione medica. Profilicivili, penali, amministrativi e di diritto del lavoro, Piacenza, 2008, passim;G. Cassano, La giurisprudenza della responsabilità del medico. Raccoltaselezionata delle sentenze in tema di nesso di causalità, prova e quantifica-zione dei danni patrimoniali, biologici, genetici, esistenziali, Padova, 2007,passim; A. Buzzoni, Medico e paziente. Le responsabilità civili e penali delmedico e dell’equipe medica, Assago (MI), 2007, passim; M.G. DiPentima, L’onere della prova nella responsabilità medica, Milano, 2007,passim; M. Di Pirro, Responsabilità del medico. Tutela civile, penale e pro-fili deontologici. Dottrina, giurisprudenza, formulario, Napoli, 2007, pas-sim; G. Marseglia-L. Viola, La responsabilità penale e civile del medico,Matelica (MC), 2007, passim; S. Canestrari-M.P. Fantini, La gestionedel rischio in medicina. Profili di responsabilità nell’attività medico-chirurgi-ca, Milano, 2006, passim; E. Appendino, Responsabilità civile e penale ecartella clinica nell’attività medico chirurgica, Torino, 2006, passim; M.Frazzini-M. Sgroi, La responsabilità del medico. La casistica individuatadalla giurisprudenza e le tipologie del danno (patrimoniale, genetico, mora-le, esistenziale), Matelica (MC), 2006, passim; M. De Luca-A. Galione-S. Maccioni, La responsabilità medica. Profili penali, civili, contabili e disci-plinari, Milano, 2006, passim; P. Venturati-S. Caltabiano,Responsabilità sanitaria e medico chirurgica. Rassegna sistematica di giuri-sprudenza e dottrina, Milano, 2006, passim; M. Bilancetti, La responsa-bilità penale e civile del medico, Padova, 2005, passim; T. Spasari,Lineamenti della responsabilità professionale nel settore medico, Roma,2005, passim; U. Ruffolo (a cura di), La responsabilità medica. Le respon-sabilità contrattuali ed extracontrattuali, per colpa ed oggettive, del medico edegli enti sanitari (privati e pubblici), Milano, 2004, passim; G.Bellagamba-G. Cariti-A. Del Re, La tutela della salute. Trattamenti sani-tari e responsabilità nella giurisprudenza costituzionale, civile, penale eamministrativa. Giurisdizione, servizio sanitario nazionale, trattamentisanitari, colpa del medico, responsabilità della struttura sanitaria, Milano,2004, passim; F. Ambrosetti-M. Piccinelli-R. Piccinelli, La responsabili-tà nel lavoro medico d’equipe, Torino, 2003, passim; M. Barni,Consulenza medico-legale e responsabilità medica. Impegno etico-scientificoin divenire, Milano, 2002, passim; A. Ciatti, Responsabilità medica e deci-sione sul fatto incerto, Padova, 2002, passim; M. Barni, Diritti-doveriresponsabilità del medico dalla bioetica al biodiritto, Milano, 1999, passim;G.M. Losco-P. Mariotti, Responsabilità civile. Compendio normativo com-mentato (medico, anestesista, psichiatra, chirurgo plastico), Milano, 1997,passim; M. Barni-A. Santosuosso (a cura di), Medicina e diritto.Prospettive e responsabilità della professione medica oggi, Milano, 1995,passim; R. De Matteis, Responsabilità medica. Un sottosistema dellaresponsabilità civile, Padova, 1995, passim.

2 Così Cass. Civ., sez. III, 9 febbraio 2010, n. 2847, secondo cui “l’ina-dempimento dell’obbligo di informazione sussistente nei confrontidel paziente può assumere rilievo a fini risarcitori - anche in assen-za di un danno alla salute o in presenza di un danno alla salute non

giurisprudenza giugno 2010 giurisprudenza giugno 2010

invenzioni industriali dev’essere comunicataall’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi a cura di chipromuove il giudizio”, né l’adempimento venivadisposto d’ufficio, così come previsto dallo stessoart. 80 al secondo comma, qualora la parte non viprovveda, tanto che la causa avrebbe dovuto esse-re rimessa al ruolo al fine di consentire la comu-nicazione in questione e integrare il contradditto-rio. Dalle considerazioni che precedono deriva,tuttavia, l’irrilevanza della mancata integrazionedel contraddittorio, dovendosi concordare con lagiurisprudenza di legittimità che, da ultimo, aSezioni Unite ha così statuito: “il rispetto del fon-damentale diritto a una ragionevole durata delprocesso impone, in concreto, al giudice, di evita-re e impedire comportamenti che siano di ostaco-lo a una sollecita definizione dello stesso, tra iquali rientrano quelli che si traducono in un inu-tile dispendio di energie processuali e formalitàda ritenere superflue perché non giustificate dallastruttura dialettica del processo e in particolaredal rispetto effettivo del principio del contraddit-torio, espresso dall’art. 101 c.p.c., da effettivegaranzie di difesa e dal diritto alla partecipazioneal processo, in condizioni di parità, dei soggettinella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato adesplicare i suoi effetti. Alla luce delle su esposteconsiderazioni, nel processo in cui vi sia una plu-ralità di soggetti che hanno diritto a ricevere lanotifica dell’impugnazione, non può non ritener-si superflua e, quindi, da evitare, al fine di defini-re con maggiore celerità il giudizio, la concessio-ne di un termine per la notifica della impugna-zione alla parte totalmente vittoriosa nei cui con-fronti sia stata omessa, quando il giudice ritienedi dover dichiarare l’inammissibilità o l’improce-dibilità dell’impugnazione. In tale situazione,impedendo la dichiarazione di inammissibilità oimprocedibilità dell’esame nel merito, e determi-nando il passaggio in giudicato della sentenzaimpugnata... non ha alcun interesse a ricevere talenotifica al fine di partecipare al processo, attesoche tale omissione non si traduce in un effettivo econcreto pregiudizio per la stessa e la sua even-tuale partecipazione a un processo dall’esitoscontato non potrebbe apportare alcun utile con-tributo al fine della giustizia della decisione(Cass. Civ., Sez. Un., 3 novembre 2008, n. 26373).

Vincenzo VanacoreH

La residenza non può costituire unlimite al conferimento di incarichiprofessionali agli avvocati.Brevi note a TAR Lombardia, Milano, ordinanzan. 362 del 21 aprile 2001.

L’ordinanza del TAR Lombardia, Milano, n. 362del 21 aprile 2010, è di estremo interesse per laclasse forense.Con tale pronuncia il collegio meneghino affer-ma il principio secondo cui gli avvocati non pos-sono essere scelti esclusivamente tra gli iscrittiagli albi professionali regionali. La pronuncia è ancora più interessante in consi-derazione dell’imminenza dell’entrata in vigoredel Decreto Legislativo che recepisce la famosadirettiva Bolkestein sui servizi nel mercato inter-no. In sostanza, il TAR ha bocciato la decisionecon la quale l’Autostrada PedemontanaLombarda aveva formato un elenco di avvocati aiquali affidare il contenzioso interno.Per i giudici milanesi l’esclusione degli avvocati“non lombardi” dall’elenco avrebbe determinatoun danno a costoro, in considerazione dell’evi-dente restrizione della concorrenza tra professio-nisti: il patrocinio legale non può essere limitatodalla competenza territoriale dell’Albo, dalmomento che tutti gli avvocati possono esercitaresull’intero territorio nazionale e comunitario. Neppure può evidenziarsi un collegamento traresidenza ed iscrizione ad un Albo, in quanto èpossibile iscriversi in un Ordine presso unTribunale diverso dal luogo di residenza.Il requisito richiesto dalla società autostradalepoteva considerarsi legittimo solo ove fosse statoattribuito un punteggio al libero professionistache avesse una propria struttura operativa ovverouno studio secondario nel territorio regionale, inconsiderazione della facilitazione dei rapporti tracliente e professionista. Tuttavia, sia consentito aggiungere che nell’eradella globalizzazione e di internet, dello scanner,etc. etc. la considerazione appare, quanto meno,superata. In termini, in parte, si era già espresso ilTAR Lecce con la sentenza n. 5053/2006, secondocui il requisito territoriale non può costituire unlimite all’accesso agli elenchi predisposti dalleamministrazioni pubbliche; soltanto l’anzianitàdi iscrizione può costituire un titolo cui è possi-bile attribuire un punteggio preferenziale.In ogni caso, le procedure per il conferimentodegli incarichi di collaborazione sono per legge“comparative”, indipendentemente dagli importi,sicché un requisito puramente territoriale si ponein contrasto con il principio della massima e piùampia partecipazione (art. 7 Decreto Legislativo.165/2001).In conclusione, con la segnalazione della pronun-cia in commento la Rivista prosegue nel propriopercorso di comunicazione ai colleghi del presti-gioso Foro nocerino dei messaggi giurispruden-ziali più rilevanti per la classe forense.

giurisprudenza giugno 2010

ricollegabile alla lesione del diritto all’informazione - tutte le voltein cui siano configurabili, a carico del paziente, conseguenze pre-giudizievoli di carattere non patrimoniale di apprezzabile gravitàderivanti dalla violazione del diritto fondamentale all’autodetermi-nazione in se stesso considerato, sempre che tale danno superi lasoglia minima di tollerabilità imposta dai doveri di solidarietàsociale e che non sia futile, ossia consistente in meri disagi o fasti-di”.

3 V. Cass. Civ., sez. III, 29 settembre 2009, n. n. 20806.4 Sul punto v. Cass. Civ., sez. III, 11 maggio 2009, n. 10743.5 Cfr. Cass. Civ., sez. III, 26 gennaio 2010, n. 1524.6 Cass. Civ., sez. III, 4 gennaio 2010, n. 13.7 È di tale avviso Cass. Civ., sez. III, 16 gennaio 2009, n. 675, in Danno

resp., 2010, 4, pp. 372 ss., con note di M. Capecchi e B. Tassone.In tema, occorre evidenziare che, secondo la giurisprudenza di legit-timità, il concetto di causalità in sede civile non coincide con quel-lo applicato dal giudice penale, atteso che i caratteri morfologici efunzionali del nesso eziologico si strutturano secondo modelli dianalisi ampiamente diversificati in seno a ciascuno dei due sottosi-stemi di responsabilità. La causalità civile ordinaria si attesta, difat-ti, sul versante della probabilità relativa (o “variabile”), caratterizza-ta dall’accedere ad una soglia probabilistica meno elevata rispetto aquella penale, secondo modalità (anche) semantiche che, specie insede di perizia medico-legale, possono assumere molteplici formeespressive, senza che questo debba, peraltro, vincolare il giudice aduna formula peritale e senza che egli perda la sua funzione di ope-rare una selezione di scelte del “giuridicamente rilevante” in undeterminato momento storico e con riferimento al singolo, specifi-co (per certi versi “unico”) caso concreto, che ben può prescindere,a fronte dell’altrettanto specifica evidenza probatoria, dalle leggi edalle risultanze di tipo statistico (cfr. Cass. Civ., sez. III, 16 ottobre2007, n. 21619, in Corr. merito, 2008, 6, pp. 694 ss).

8 Così Cass. Civ., sez. III, 8 ottobre 2008, n. 24791, in Nuova giur. civ.comm., 2009, 5, I, pp. 550 ss., con nota di L. Klesta Dosi.

9 Sul punto v. Cass. Civ., sez. III, 29 settembre 2009, n. 20806.

Elisa SavaH

La legittimazione ad agirenon è “ornamentale”.Tribunale di Nocera Inferiore, prima sezione civi-le, sentenza n. 393/2010.

In tema di nullità di brevetto industriale ornamentale èonere della parte che la richiede comunicare l’azioneintrapresa all’ufficio competente e verificare le condizio-ni di legittimità ad agire.

Si riporta una interessante sentenza del Tribunaledi Nocera Inferiore avente ad oggetto la richiestadi nullità di un brevetto industriale ornamentale. La pronuncia oltre a porre in evidenza la necessi-tà di legitimatio ad agire è un chiaro esempio dieconomia processuale nell’ambito del giusto pro-cesso. Occore precisare, preliminarmente, che aseguito della nuova normativa introdotta dallaDirettiva Comunitaria n. 98/71 in tema di“Disegni e Modelli” il vecchio Brevetto perModello Ornamentale è stato sostituito dalla“Registrazione di Disegno o Modello”, per ilquale, peraltro, è stata prevista una maggioretutela non più relegata ai 5 anni decorrenti daldeposito, ma rinnovabile per altre quattro voltesino ad un massimo di 25 anni. Nel caso di specieun imprenditore, produttore di “contenitori per

candele a uso votivo e religioso”, dopo aver depo-sitato domanda di brevetto per modello orna-mentale in data 6 agosto 1996, conveniva in giu-dizio, nel 2002, un altro imprenditore, con l’accu-sa di commerciare gli stessi beni contraffatti perimitazione servile dando luogo a concorrenzasleale e al conseguente danno economico perdanno emergente e lucro cesante. Il convenuto,costituitosi, eccepiva l’assenza di qualsivoglianovità ed originalità dell’invenzione ornamentalee avanzava domanda riconvenzionale al fine disentir dichiarare la nullità del brevetto, nel frat-tempo concesso. Con sentenza del 2009 il G.I.decideva la sola domanda di risarcimento deldanno, per concorrenza sleale, avendo il collegiodisposto la separazione della causa avente adoggetto la domanda riconvenzionale di nullità delbrevetto, onde consentire al P.M di intervenirenella lite. Tale decisione ha portato, nel 2010, aduna nuova sentenza, quella in esame, la quale, nelgiudicare in merito alla questione anzidetta, sipronuncia rigettando la domanda. La decisione sifonda sul particolare aspetto del difetto di legitti-mazione ad agire della parte, da intendersi comecondizione all’azione. Nel caso de qua, infatti ilrichiedente la nullità del brevetto non ha un dirit-to potestativo all’azione in quanto non ha tenutoconto della previone dell’art. 59 legge marchi, cosìcome modificato dal D.Lgs. 8 ottobre 1999 n.447, secondo il quale sono legittimati a far valerein giudizio la nullità dei marchi registrati, perdifetto di novità, i soli titolari di diritti anterioriviolati e non ogni interessato. La ratio della dispo-sizione vuole tutelare, così, i detentori di brevetti;solo chi ha preventivamente depositato un altrobrevetto, vedendosi leso nel proprio diritto all’e-sclusività del proprio elaborato, ha, difatti, dirittoa chiedere la nullità di un brevetto successivo;diversamente chiunque, anche solo per strategied’impresa o per turbare l’uso di una invenzionenuova, che ricordiamo deve avere il requisito della“industrialità”, potrebbe agire a danno altrui.Nella sentenza in esame nessun accenno sembraessere fatto ad un precente brevetto e difatti ilrelatore così dichiara “in nessuno degli scrittidifensivi” si deduce “la preesistenza in suo pos-sesso di modello ornamentale uguale a quellotutelato dalla privativa industriale oggetto di con-testazione, né l’eventuale preuso dello stesso”.Posto che la legitimatio ad causam era ostativa perl’accoglimento della domanda, il Tribunale haulteriormente rilevato la mancata comunicazio-ne, da parte del richidente, all’Ufficio ItalianoBrevetti e Marchi, prevista ai sensi dell’art. 80R.D. 1124/1939 (L. Inv.) il quale espressamenteprevede che “una copia dell’atto introduttivo diogni giudizio civile in materia di brevetti per

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la redazioneH

Illegittimità costituzionale dellenorme che consentivano ai praticantiabilitati di assumere la difesad’ufficio nei procedimenti pendentiavanti al giudice di pace edal Tribunale in composizionemonocratica per i reati previstidall’art. 550 c.p.p.

Sentenza n. 106/2010 Corte Costituzionale,Praticanti Avvocati e Difese D’ufficio, PresidenteAmirante, Redattore Mazzella, Camera diConsiglio del 10/02/2010, decisione del10/03/2010, deposito del 17/03/2010, pubblica-zione in G.U.

Norme impugnate: art. 8, c. 2°, secondo periodo,del Regio Decreto Legge 27/11/1933, n. 1578,convertito con modificazioni in Legge22/01/1934, n. 36, come modificato dall’art. 1della Legge 24/07/1985, n. 406, dall’art. 10 dellaLegge 27/06/1988, n. 242, e dall’art. 246 delDecreto Legislativo 19/02/1998, n. 51.Atti decisi: ord. 259/2009.

Repubblica Italianain nome del Popolo Italiano

la Corte Costituzionalecomposta dai signori: Presidente: FrancescoAmirante; Giudici: Ugo De Siervo, PaoloMaddalena, Alfio Finocchiaro, Alfonso Quaranta,Franco Gallo, Luigi Mazzella, Gaetano Silvestri,Sabino Cassese, Maria Rita Saulle, GiuseppeTesauro, Paolo Maria Napolitano, GiuseppeFrigo, Alessandro Criscuolo, Paolo Grossi, hapronunciato la seguente

sentenzanel giudizio di legittimità costituzionale dell’art.8, secondo comma, secondo periodo, del RegioDecreto Legge 27 novembre 1933, n. 1578(Ordinamento delle professioni di avvocato e pro-curatore), convertito, con modificazioni, dallaLegge 22 gennaio 1934, n. 36, e successivamentemodificato dall’art. 1 della Legge 24 luglio 1985,n. 406 (Modifiche alla disciplina del patrociniodavanti al pretore), dall’art. 10 della Legge 27 giu-gno 1988, n. 242 (Modifiche alla disciplina degliesami di procuratore legale) e dall’art. 246 delDecreto Legislativo 19 febbraio1998, n. 51(Norme in materia di istituzione del giudiceunico di primo grado), promosso dal Tribunale diSanta Maria Capua Vetere nel procedimento ver-

tente tra R.G. e il Consiglio dell’Ordine degliAvvocati di Santa Maria Capua Vetere con ordi-nanza del 24 marzo 2009, iscritta al n. 259 delregistro ordinanze 2009 e pubblicata nellaGazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, primaserie speciale, dell’anno 2009.Visto l’atto di intervento del Presidente delConsiglio dei Ministri;udito nella Camera di Consiglio del 10 febbraio2010 il Giudice relatore Luigi Mazzella.

ritenuto in fatto1. Con ordinanza n. 259 del 24 marzo 2009, emes-sa nel corso del giudizio promosso da R.G., prati-cante avvocato, nei confronti del Consigliodell’Ordine degli Avvocati di Santa Maria CapuaVetere, al fine di ottenere la disapplicazione delprovvedimento di reiezione della sua domanda diiscrizione nell’elenco dei difensori d’ufficio, illocale Tribunale ha sollevato questione di legitti-mità costituzionale - in relazione agli artt. 3, 24,secondo e terzo comma, nonché 97 Cost. - del-l’art. 8, secondo comma, ultimo periodo delRegio Decreto Legge 27 novembre 1933, n. 1578(Ordinamento delle professioni di avvocato e pro-curatore), convertito, con modificazioni, dallaLegge 22 gennaio 1934, n. 36, e come modificatodall’art. 1 della Legge 24 luglio 1985, n. 406(Modifiche alla disciplina del patrocinio davantial pretore), dall’art. 10 della Legge 27 giugno1988, n. 242 (Modifiche alla disciplina degliesami di procuratore legale) e dall’art. 246 delD.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 (Norme in materiadi istituzione del giudice unico di primo grado) -nella parte in cui stabilisce che, dopo un annodalla iscrizione al registro speciale tenuto dalConsiglio dell’Ordine degli avvocati e dei procu-ratori presso il tribunale nel cui circondariohanno la residenza, i praticanti procuratori «…sono ammessi, per un periodo non superiore a seianni, ad esercitare il patrocinio davanti ai tribu-nali del distretto nel quale è compreso l’ordinecircondariale che ha la tenuta del registro suddet-to, limitatamente ai procedimenti che, in base allenorme vigenti anteriormente alla data di efficaciadel Decreto Legislativo di attuazione della Legge16 luglio 1997, n. 254 (Delega al Governo per l’i-stituzione del giudice unico di primo grado), rien-travano nelle competenze del pretore». «Davantiai medesimi tribunali e negli stessi limiti, in sedepenale, essi [i praticanti avvocati] possono esserenominati difensori d’ufficio, esercitare le funzio-ni di pubblico ministero e proporre dichiarazionedi impugnazione sia come difensori sia come rap-presentanti del pubblico ministero».Ad avviso del rimettente, quest’ultima previsione,viola l’art. 24, secondo comma, Cost. poiché

impone al soggetto indagato, o imputato, di sub-ire la nomina di un difensore dotato di una pro-fessionalità inferiore rispetto a quella di cui godo-no coloro che hanno completato l’iter di abilita-zione all’esercizio della professione forense.La norma impugnata contrasterebbe inoltre conil combinato disposto degli artt. 3 e 24, terzocomma, Cost., poiché la parte assistita da un pra-ticante avvocato nominato difensore d’ufficionon può godere del patrocinio a spese dello Stato,in quanto gli artt. 80 e 81 del D.P.R. 30 maggio2001, n. 115 (Testo Unico delle disposizioni legis-lative e regolamentari in materia di spese di giu-stizia) condizionano tale beneficio alla iscrizionedegli avvocati negli elenchi speciali ivi previsti.Secondo il giudice a quo, risulterebbe altresì viola-to l’art. 97 Cost., in quanto le limitazioni impostedalla legge al patrocinio da parte dei praticantiimpediscono una razionale organizzazione egestione dell’ufficio centralizzato competente inordine alle richieste di nomina di difensori d’uffi-cio provenienti dalle autorità giudiziarie e di poli-zia.2. È intervenuto in giudizio il Presidente delConsiglio dei Ministri, rappresentato e difesodall’Avvocatura generale dello Stato, il quale haeccepito l’inammissibilità o l’infondatezza dellequestioni, rilevando che la difesa d’ufficio, affida-ta ai praticanti avvocati in sede penale, è rigorosa-mente limitata ai reati minori, quelli, cioè che, inbase alle norme previgenti alla data di efficaciadel Decreto Legislativo di attuazione della Legge16 luglio 1997, n. 254, rientravano nella compe-tenza del Pretore. A giudizio dell’interventore laquestione è altresì infondata poiché la scelta limi-tativa così operata rientra nella discrezionalitàlegislativa e, in quanto collegata alla differenza distatus del praticante, si basa su una valutazionenon irragionevole, né arbitraria (ordinanza n. 163del 2002). Altrettanto infondata - secondo la dife-sa dello Stato - è la presunta violazione dell’art. 97Cost., atteso che la disposizione sulla difesa d’uf-ficio da parte dei praticanti avvocati non è normadi organizzazione dei pubblici uffici.

considerato in diritto1. La questione di legittimità costituzionale solle-vata dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetereinveste la norma che consente ai praticanti avvo-cati, dopo un anno dalla iscrizione nell’appositoregistro speciale tenuto dal Consiglio dell’Ordinedegli Avvocati, di essere nominati - in sede penale- difensori d’ufficio, nonché di svolgere le funzio-ni di pubblico ministero e di proporre dichiara-zione di impugnazione sia come difensori, siacome rappresentanti del pubblico ministero,davanti ai tribunali del distretto nel quale è com-

preso l’Ordine circondariale che ha la tenuta delpredetto registro e limitatamente ai procedimen-ti che, in base alle norme vigenti sino alla data dientrata in vigore del Decreto Legislativo 19 feb-braio 1998, n. 51, di attuazione della Legge 16luglio 1997, n. 254 (Delega al Governo per l’isti-tuzione del giudice unico di primo grado), rien-travano nelle competenze del pretore.Questa disciplina è dettata dall’art. 8, secondocomma, del Regio Decreto Legge 27 novembre,1933, n. 1578 (Ordinamento delle professioni diavvocato e procuratore), convertito, con modifi-cazioni, dalla Legge 22 gennaio 1934, n. 36, e ulte-riormente modificato dall’art. 1 della Legge 24luglio 1985, n. 406 (Modifiche alla disciplina delpatrocinio davanti al pretore), dall’art. 10 dellaLegge 27 giugno 1988, n. 242 (Modifiche alladisciplina degli esami di procuratore legale), edall’art. 246 del Decreto Legislativo 19 febbraio1998, n. 51 (Norme in materia di istituzione delgiudice unico di primo grado), ai sensi del quale ipraticanti procuratori, dopo un anno dalla iscri-zione nel registro speciale [...], sono ammessi, perun periodo non superiore a sei anni, ad esercitareil patrocinio davanti ai tribunali del distretto nelquale è compreso l’Ordine circondariale che ha latenuta del registro suddetto, limitatamente aiprocedimenti che, in base alle norme vigenti ante-riormente alla data di efficacia del DecretoLegislativo di attuazione della Legge 16 luglio1997, n. 254, rientravano nelle competenze delpretore. L’ultimo periodo della impugnata normaprecisa che «Davanti ai medesimi tribunali e neglistessi limiti, in sede penale, essi [i praticanti avvo-cati] possono essere nominati difensori d’ufficio,esercitare le funzioni di pubblico ministero e pro-porre dichiarazione di impugnazione sia comedifensori sia come rappresentanti del pubblicoministero». Ad avviso del rimettente, quest’ulti-ma disposizione viola anzitutto l’art. 24, secondocomma, Cost., poiché impone al soggetto indaga-to, o imputato, di subire la nomina di un difenso-re d’ufficio dotato di una professionalità nonancora compiuta rispetto a quella di cui godonogli avvocati, dopo aver percorso l’intero iter di abi-litazione all’esercizio della professione. La normaimpugnata contrasterebbe inoltre con il combi-nato disposto degli artt. 3 e 24, terzo comma,Cost., poiché la parte assistita da un praticantenon può di fatto usufruire del patrocinio a spesedello Stato - al quale sia stato preventivamenteammesso - in quanto gli artt. 80 e 81 del D.P.R. 30maggio 2001, n. 115 (Testo Unico delle disposi-zioni legislative e regolamentari in materia dispese di giustizia), sostituiti dagli artt. 1 e 2 dellaLegge 24 febbraio 2005, n. 25 (Modifiche al TestoUnico delle disposizioni legislative e regolamen-

giurisprudenza giugno 2010 giurisprudenza giugno 2010

tari in materia di spese di giustizia, di cui al D.P.R.30 maggio 2002, n. 115), limitano espressamenteil beneficio esclusivamente agli avvocati iscrittinell’albo da almeno due anni e nell’elenco specia-le previsto da queste ultime norme. Secondo ilrimettente risulterebbe altresì violato l’art. 97Cost., in quanto le limitazioni imposte dalla leggeal patrocinio da parte dei praticanti impedisconouna razionale organizzazione e gestione dell’uffi-cio centralizzato competente in ordine alle richie-ste di nomina di difensori d’ufficio provenientidalle autorità giudiziarie e di polizia.2. La questione, sollevata in riferimento all’art.24, secondo comma, Cost., è fondata.Va premesso che essa non può dirsi risolta dallasentenza n. 5 del 1999. Con tale pronuncia questaCorte ha dichiarato non fondata la questione dilegittimità costituzionale della prima parte delsecondo comma dell’art. 8, ritenendo che la liberafacoltà di affidare al praticante il patrocinio, nel-l’ambito delle materie di sua competenza, si fondisulla consapevolezza, da parte del mandante,della qualifica di praticante del suo patrocinatore.L’accettazione della stessa esclude la violazionedell’art. 24, secondo comma, Cost. Nell’occasione, la Corte ha escluso anche il con-trasto con l’art. 33, quinto comma, Cost., ritenen-do che la mera attività di patrocinio consentita alpraticante, soggetta al controllo dell’ordine pro-fessionale, non elude la regola dell’esame di Stato,requisito necessario per l’abilitazione all’eserciziodell’attività professionale pleno iure. Diversa è lafattispecie contemplata nell’ultimo periodo delsecondo comma dell’art. 8, il quale fa riferimentoalla possibilità di nomina del praticante comedifensore d’ufficio. In questa circostanza all’inda-gato o all’imputato potrebbe essere assegnato,senza il concorso della sua volontà, un difensoreche non ha percorso l’intero iter abilitativo allaprofessione. Inoltre, nel caso di nomina a favoredell’irreperibile, sarebbe esclusa ogni possibilitàdi porre rimedio all’inconveniente denunciato,mediante la sostituzione con un difensore difiducia. In questi termini, la questione attiene allagaranzia dell’effettività della difesa d’ufficio.Deve ancora rilevarsi che la differenza tra il prati-cante e l’avvocato iscritto all’albo si apprezza nonsolo sotto il profilo - prospettato dal giudicerimettente - della capacità professionale (che, nelcaso del praticante, è in corso di maturazione, ilche giustifica la provvisorietà dell’abilitazione alpatrocinio), ma anche sotto l’aspetto della capaci-tà processuale, intesa come legittimazione adesercitare, in tutto o in parte, i diritti e le facoltàproprie della funzione defensionale.In primo luogo, il praticante iscritto nel registro,pur essendo abilitato a proporre dichiarazione di

impugnazione, non può partecipare all’eventualegiudizio di gravame. Il praticante si trova, inoltre,nell’impossibilità di esercitare attività difensivadavanti al tribunale in composizione collegiale,competente in caso di richiesta di riesame nei giu-dizi cautelari. Né potrebbe costituire argomentocontrario la possibilità, per il praticante avvocato,di essere nominato difensore di fiducia: un contoè che tali limiti di competenza professionale e dicapacità processuale siano liberamente accettatidall’imputato, altro è che essi siano imposti insede di nomina del difensore d’ufficio.3. Va, dunque, dichiarata l’illegittimità costituzio-nale dell’art. 8, secondo comma, ultimo periodo,del Regio Decreto Legge 27 novembre, 1933, n.1578 (Ordinamento delle professioni di avvocatoe procuratore) - convertito, con modificazioni,dalla Legge 22 gennaio 1934, n. 36, come modifi-cato dall’art. 1 della Legge 24 luglio 1985, n. 406(Modifiche alla disciplina del patrocinio davantial pretore), dall’art. 10 della Legge 27 giugno1988, n. 242 (Modifiche alla disciplina degliesami di procuratore legale), e dall’art. 246 delD.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 (Norme in materiadi istituzione del giudice unico di primo grado) -nella parte in cui prevede che i praticanti avvocatipossono essere nominati difensori d’ufficio.Le questioni sollevate in riferimento agli artt. 3,24, terzo comma, e 97 Cost., restano assorbite.

per questi motivila Corte Costituzionale

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 8,secondo comma, ultimo periodo, del RegioDecreto Legge 27 novembre, 1933, n. 1578(Ordinamento delle professioni di avvocato e pro-curatore) - convertito, con modificazioni, dallaLegge 22 gennaio 1934, n. 36, come modificatodall’art. 1 della Legge 24 luglio 1985, n. 406(Modifiche alla disciplina del patrocinio davantial pretore), dall’art. 10 della Legge 27 giugno1988, n. 242 (Modifiche alla disciplina degliesami di procuratore legale), e dall’art. 246 delD.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 (Norme in materiadi istituzione del giudice unico di primo grado) -nella parte in cui prevede che i praticanti avvocatipossono essere nominati difensori d’ufficio.Così deciso in Roma, nella sede della Corte costi-tuzionale, Palazzo della Consulta, il 10 marzo2010.F.to:Francesco Amirante, PresidenteLuigi Mazzella, RedattoreGiuseppe Di Paola, CancelliereDepositata in Cancelleria il 17 marzo 2010.Il Direttore della CancelleriaF.to: Di Paola

Antonella CiancioH

Velocizzazione dell’azioneamministrativa e strumentiprecauzionali: conferenza di servizipreliminare, V.I.A. e concessionedi lavori pubblici.

Modulo procedimentale caratterizzato dalla con-centrazione in un unico contesto logico e tempo-rale di competenze e posizioni proprie di diverseamministrazioni portatrici di interessi pubblicirilevanti in un dato procedimento amministrati-vo, la conferenza di servizi, irrefutabile strumentodeputato ad aggirare il pericolo di lungaggini eappesantimenti burocratici1, coordina la suaessenza lungo il binario dell’economicità e dell’ef-ficienza dell’attività amministrativa, quali entitàdogmatiche direttamente promananti dal piùampio e generale principio di buon andamentodell’agere pubblicistico scolpito ex art. 97 Cost.Tale istituto, consentendo nell’ambito di ununico momento decisionale una contestuale inte-razione di tutte le amministrazioni che risultanocoinvolte dall’oggetto del procedimento, in virtùdegli interessi pubblici che esse rappresentano,emerge, come un’endiadi, in una duplice valenza.Esso, infatti, si sostanzia in uno strumento che,da un lato realizza una semplificazione e accelera-zione dell’attività amministrativa in quanto elidei tempi tecnici che sarebbero altrimenti necessari,proprio in mancanza di un dialogo contestuale,per l’invio e la ricezione dei documenti contenen-ti manifestazioni di volontà o pareri delle ammi-nistrazioni a cui sia stato richiesto di pronunciar-si; dall’altro, diviene sede di coordinamento ecomparazione degli interessi in gioco attraversol’immediato confronto e interazione tra le ammi-nistrazioni implicate, le quali trovansi a conferireinsieme nel medesimo luogo e tempo.La portata sostanziale di siffatto modulo procedi-mentale che, in un certo senso, tende a discostar-si dallo schema classico del procedimento deli-neato dalla legge madre del procedimento ammi-nistrativo, ovvero la n. 241/90, e che (contraria-mente a quanto sostenuto da alcun in dottrina)non consiste in un organo straordinario della p.a.,va decodificata in termini di “codecisione”, ovve-ro di giustapposizione di molteplici opinioni pro-mananti da soggetti competenti in riferimento adun determinato oggetto di pubblica rilevanza.In principio più scarna, la disciplina dell’istitutoin esame la quale, come ben noto, nella sua origi-naria formulazione contemplava al suo internoesclusivamente la conferenza di servizi di istrut-

toria e decisoria, ha subito, in particolare a segui-to dell’entrata in vigore della legge Bassanini n.127/97, un notevole ampliamento2 che, tra lenumerose novità introdotte, ha dato vita ad unaterza forma di conferenza, ovvero quella prelimi-nare.Siffatto nuovo ed ulteriore modello di eserciziodella funzione amministrativa, incastonato nellasua regolamentazione nel disposto dell’art. 14 bisdella Legge 241/90, risponde più che mai ad un’e-sigenza di economia dell’agere pubblicistico, lad-dove si osservi che è possibile ricorrere al suoimpiego allorché sia necessario effettuare un pro-getto di particolare complessità e questo richieda,prima di una sua concreta realizzazione, uno“studio di fattibilità”, ovvero un esame sull’attua-bilità di una determinata opera pubblica di deli-cata e problematica natura.In sede di conferenza preliminare, dunque, leamministrazioni interpellate sono chiamate adesprimersi e pronunciarsi, in virtù delle propriecompetenze e degli interessi di cui esse sono por-tatrici, sull’eseguibilità del progetto preliminare esulle condizioni necessarie all’ottenimento, sulseguente progetto definitivo (e dunque in ambitodi conferenza decisoria), dei c.d. atti di assenso(nulla osta, intese, pareri, etc.).In buona sostanza, in tale momento dialogico, lepp.aa. coinvolte effettuano una valutazione con-testuale del progetto loro sottoposto, la quale sipone in chiave prodromica rispetto alla successi-va conferenza decisoria, nel cui ambito deve poirealizzarsi il progetto definitivo.A tal riguardo, appare lecito domandarsi se lerisultanze emergenti dalla conferenza prelimina-re spieghino effetti vincolanti sullo stadio succes-sivo. Nonostante il silenzio della legge, la giuri-sprudenza non ha offerto spunti ermeneutici, main dottrina si ritiene che l’unanimità di opinioniraggiunta in sede preventiva vincoli, poi, la susse-guente fase decisoria, salvo un determinantemutamento dell’assetto d’interessi in gioco.Considerata, dunque, la natura, in un certo senso,precauzionale della tipologia di conferenza inquesta sede analizzata, non è possibile sottacerel’espresso richiamo che l’art. 14 bis effettua alcomma 3 in relazione alla V.I.A. (Valutazioned’Impatto Ambientale) e il conseguente collega-mento che necessariamente emerge con le finalitàsottese a tale strumento, nonché con l’art. 14comma 5 della Legge 241/90, dalla cui lettera sistaglia un non trascurabile riferimento al medesi-mo istituto.Occorre, in primo luogo, chiarire che la procedu-ra di V.I.A. si struttura sul principio dell’azionepreventiva, in base al quale la migliore e più effi-ciente politica ambientale è teleologicamente

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Dottrina

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orientata a prevenire gli eventuali effetti negativiche possono scaturire dall’inadeguata realizzazio-ne dei progetti a cui s’intende dar vita.Scopo primario di tale modalità valutativa, dun-que, è quello di fornire tutte le informazioninecessarie ad offrire un quadro nitido delle con-seguenze ambientali generate da una determinataazione, di guisa che venga garantito, a montedella progettazione, un processo decisionale par-tecipato e competente, atto a scongiurare dannigravi all’ambiente.La V.I.A., in altri termini, nasce come strumentodeputato ad individuare, descrivere e valutare glieffetti diretti ed indiretti di un determinato inter-vento sulla salute umana oltre che sul territorioglobalmente inteso ed, in quanto tale, emerge intutta la sua rilevanza, sia in ambito di conferenzapreliminare che decisoria.Non risulta, infatti, arduo comprendere che pro-prio in seno allo studio di fattibilità relativo all’e-secuzione di un’opera pubblica, ad oggetto pae-saggistico-ambientale di notevole complessità, sirenda necessaria l’acquisizione di una V.I.A.,attraverso cui le amministrazioni convocateattorno al tavolo del progetto preliminare, possa-no conoscere, esaminare e valutare gli eventualiriverberi che dalla realizzazione di un tale inter-vento potrebbero scaturire.A tal fine, dunque, il comma 3 dell’art. 14 bis pre-vede una sorta di sospensione della conferenzapreliminare, in quanto pospone, anche se per unlasso temporale massimo di novanta giorni, laprosecuzione e conclusione della conferenza almomento di ricezione, da parte delle autoritàcompetenti, della V.I.A., la cui mancata acquisi-zione, tuttavia, entro il termine suddetto, nonpregiudica la continuazione dei lavori in confe-renza.Già in base a quanto in precedenza anticipato, l’i-stituto in esame può andare ad innestarsi, comesovente accade, anche sulla trama decisoria (edunque non solo preliminare) della conferenza,laddove si verta nella circostanza prevista ex art.14 comma 5, ovvero allorquando, nell’ipotesi diaffidamento di concessione di lavori pubblici,l’indizione della stessa avvenga su iniziativa delconcessionario.Ma, preliminarmente, cosa s’intende per conces-sione di lavori pubblici? E soprattutto quale con-nessione sussiste tra la stessa, il modulo procedi-mentale della conferenza e la procedura di V.I.A.?La concessione di lavori pubblici, meglio cono-sciuta come concessione-contratto o concessione-appalto, può essere definita come uno strumentodi ibrida natura sostanziantesi in un contrattostipulato per la realizzazione di opere pubblichetra una p.a. (concedente) e un’impresa capo-grup-

po, ossia che si trova a capo di un vero e proprioconsorzio (concessionario), il quale, però, accedead una procedura ad evidenza pubblica, ovveroquella di aggiudicazione di una gara d’appalto.In altri termini, la concessione-contratto, praticalargamente invalsa nel modus operandi delle pp.aa.,risponde a quell’esigenza di velocizzazione, oltreche di efficienza, dell’azione amministrativa cuigià in precedenza si è fatto riferimento, in quantola medesima, determinando una sostituzione del-l’amministrazione con un soggetto privato nell’e-secuzione di un manufatto pubblico, si traduce inuna modalità di privatizzazione dell’esercizio delpotere amministrativo.Rientra, infatti, a pieno titolo tra le facoltà diun’autorità amministrativa, quella di delegare, inun’ottica di ottimizzazione dei risultati da perse-guire, la realizzazione di determinati interventipubblici ad imprese private, le quali offrano ido-nea garanzia di serietà, oltre che di qualità, inordine al lavoro da effettuare.La ratio di tale procedura riposa sulla necessariacompetenza tecnica che determinate opere richie-dono per la loro attuazione, della quale soventel’amministrazione risulta sfornita, sia in relazioneai mezzi, che alle conoscenze a sua disposizione.Tuttavia, è d’uopo sottolineare che attraverso lastipula di una concessione-appalto, giammai siverifica una rinuncia da parte della p.a. al poteresotteso all’esecuzione di quella determinata operapubblica, ma solo una delega di esercizio dellostesso all’impresa aggiudicatrice.Il potere pubblico, infatti, è anima irrinunciabilee ontologica dell’azione amministrativa, ragionper cui non sarà mai ipotizzabile un trasferimen-to dello stesso dal soggetto pubblico a quello pri-vato, ma solo del relativo esercizio; trattasi, inbreve, di esercizio privato di una pubblica funzio-ne, il quale, peraltro, impone in capo al conceden-te un obbligo di vigilanza sulle attività svolte dal-l’aggiudicatario.Non risulta, pertanto, possibile negare all’eviden-za, come anche tale modalità alternativa di estrin-secazione del potere pubblicistico vada a inne-starsi sul percorso volto al costante raggiungi-mento dei criteri di efficacia, efficienza ed econo-micità dell’agere della p.a., i quali confluendoinsieme nel DNA dell’azione pubblica, ovvero nelprincipio del buon andamento, cristallizzato dal-l’art. 97 Cost., pervengono al loro momento diestrema sintesi, oltre che di somma soddisfazio-ne, attraverso la realizzazione del noto paradigmadel “massimo profitto sociale con il minimocosto sociale”.Orbene, in virtù di quanto innanzi detto, ex art.14 comma 5, può verificarsi che il concessionariodi lavori pubblici, vincitore della gara di affida-

mento, ravvisi, nel corso dell’attuazione dei lavoriappaltatigli, la necessità di indire una conferenzadi servizi. È ben possibile, infatti, che la realizza-zione dell’opera affidata in concessione, proprioin virtù della sua natura squisitamente pubblici-stica, non consti solo di una mera esecuzionemateriale, ma si traduca in una serie di attivitàche possono andare ad intersecare sfere attinentiad interessi di cui altre amministrazioni sonoportatrici, dalle quali, per siffatte ragioni, è neces-sario ottenere atti di assenso, oppure che richie-dono, per la loro concreta attuazione, preventivistudi di fattibilità.Ed è proprio in tale contesto che si staglia lanecessità per il soggetto concessionario, respon-sabile dell’opera pubblica, di convocare una con-ferenza di servizi al fine di ottenere, nel più brevetempo possibile, la “pronuncia” delle amministra-zioni coinvolte alla luce, appunto, di un dialogocontestuale.Tuttavia, trattandosi quasi sempre di soggettoaggiudicatario di natura privata, che in quantotale non possiede poteri di convocazione, ma disolo impulso, esso potrà procedere all’indizionedella conferenza solo previo consenso dell’ammi-nistrazione concedente, senza, peraltro, possederediritto al voto. Da qui emerge, come poc’anzi spe-cificato, che il potere tipico pubblicistico, intrin-seco nell’agere della p.a., è insuscettibile di trasfe-rimento e, pertanto, irrinunciabile da parte delconcedente, anche nella sua forma di facoltà diconvocare la conferenza e di diritto di votareall’interno della stessa.Può, altresì, accadere che l’effettuazione dell’ope-ra appaltata abbia una ricaduta sull’ambiente ditale impatto da non poter prescindere dal rilasciodi una V.I.A. nell’ambito della stessa conferenza,la quale a ben riflettere, in siffatta ipotesi, divienemomento di estrema velocizzazione oltre che disussunzione di molteplici esigenze di diversanatura. Infatti, essa diviene sede in cui conflui-scono: da un lato, l’interesse dell’impresa aggiudi-catrice ad ottenere una valutazione d’impattoambientale, quale momento prodromico all’otte-nimento di un successivo atto di assenso cherisulti ancillare all’esecuzione dell’opera pubblica;da un altro, la possibilità per le amministrazioni,deputate al rilascio della V.I.A., di pronunciarsi atutela del bene-interesse ambiente in un arco tem-porale piuttosto celere; dall’altro, infine, di con-sentire, attraverso la concentrazione in un mede-simo contesto dialettico, un esame approfonditoda parte delle autorità competenti sull’opportu-nità di realizzazione dell’opera pubblica affidatain concessione, sugli interessi ambientali con cuila stessa andrebbe a collidere, sull’eventuale sussi-stenza di altrettanti interessi, con i primi conflig-

genti, costituzionalmente protetti e, dunque, dinon minore rilevanza (come ad esempio l’occupa-zione) e sulla possibilità di pervenire ad una com-posizione e ad un superamento del potenzialecontrasto tra siffatte opposte istanze.Si supponga, invero, a contrario che il soggetto vin-citore della gara si trovi costretto ad arrestare ilavori o a non essere in condizione di iniziarli poi-ché l’esecuzione dell’opera risulta subordinataall’acquisizione di un atto di assenso da parte diuna determinata amministrazione, il quale, però,presupponga a sua volta il rilascio di una V.I.A. eche il medesimo non abbia la possibilità di indireuna conferenza di servizi per attuare in modocontestuale e con notevole risparmio di tempo leoperazioni suddette. In tal caso, l’interessatodovrebbe necessariamente dar luogo alla lunga etortuosa catena di singole istanze rivolte alle sin-gole amministrazioni che, quali ineludibili anellidella stessa, si pongono l’una come il presuppo-sto dell’altra, determinando, in tal modo, unnotevole aggravio ai tempi di espletamento dell’a-zione amministrativa, a tutto danno dei criteri ditempestività, efficienza, nonché di economicità.Tuttavia, proprio al fine di scongiurare una simi-le ingessatura al sereno fluire dell’agere pubblici-stico, l’art. 14 comma 5, come, allo stesso modo,l’art. 14 ter comma 4 della Legge 241/90, ma, piùin generale, l’intera disciplina sulla conferenza diservizi, si erge al rango di innegabile strumento divelocizzazione del modus operandi dell’apparatoamministrativo, in quanto provvede ora ad offri-re, a seguito dei numerosi chirurgici e meticolosiinterventi modificativi che nel corso del tempo nehanno sapientemente perfezionato l’ampiezza e icontenuti, concreta dignità di realizzazione aquello che risulta essere uno dei principi-cardinesu cui si erge la complessa e imponente architet-tura del potere pubblicistico, ovvero quello delbuon andamento, indelebilmente stigmatizzatonell’assunto dell’art. 97 della Costituzione............................................1 Garofoli-Ferrari in Manuale di diritto amministrativo, Nel diritto edi-

tore, Roma, 2009.2 Introduzione artt. da 14 bis a 14 quater.

Virgilio D’AntonioH

La riforma sulle intercettazionied il “diritto di fare informazione”.

In Italia, gli ultimi mesi del dibattito politicosono stati caratterizzati dalla difficile ricerca diun percorso di riforma della disciplina delle inter-cettazioni. Il tema è complesso e le problematichesottese disparate: un conto è discorrere dei limitiall’utilizzo, da parte della magistratura, di questo

dottrina giugno 2010 dottrina giugno 2010

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fondamentale strumento d’indagine, differenteprofilo è invece quello della illegittima pubblica-zione dei contenuti delle intercettazioni tramite imass media. Si tratta di problematiche distinte, che richiedo-no approcci e tecniche di normazione indubbia-mente differenziati. Nel tralasciare volutamente ilprimo aspetto della tematica, pare opportunosoffermarsi sulla seconda dimensione del proble-ma, provando ad adottare un angolo prospetticopiù ampio rispetto a quello dell’analisi delle sin-gole (possibili) norme “in divenire”. L’adozione diuna visuale grandangolare si dimostra indispen-sabile, vista la profonda incertezza che, almomento in cui si scrive, circonda il testo defini-tivo che sarà licenziato dai lavori parlamentari. Afronte della dura contesa intellettuale che si èaperta nel nostro Paese in materia di intercetta-zioni, con editori e noti giuristi apertamenteschierati contro le linee essenziali della futuralegge, infatti, non v’è certezza circa i tempi di pub-blicazione delle intercettazioni, circa i contenutidella futura legge: non è dato prevedere quale saràl’entità delle sanzioni che colpiranno chi violerà ilnovellato art. 114 c.p.p., né ancora può dirsi consicurezza quale sarà l’ammontare delle pene pecu-niarie per gli editori delle testate che ospiterannodivulgazioni contra legem.Certo è che lo spirito che muove il legislatorerispetto al rapporto tra media ed intercettazioni èquello, per un verso, di una marcata estensionedell’area del segreto istruttorio e, per un altro, diun inasprimento delle sanzioni a carico degli ope-ratori dell’informazione che dovessero violare lalegge. Ed allora, visto che da più parti si è indica-ta questa riforma come potenziale “legge-bava-glio”, come una palese violazione del “diritto difare informazione”, consideriamo qui sintetica-mente l’attuale quadro di principi che regolanotale posizione giuridica, così da valutare se effetti-vamente non esistono già, nel nostro ordinamen-to, strumenti e principi tali da arginare il fenome-no della illegittima divulgazione dei verbali diintercettazioni e se, dunque, un intervento rifor-matore, quale quello in discussione, è veramenteindispensabile.

***Il diritto di informare i cittadini rappresenta unaparticolare epifania della libertà di manifestazio-ne del pensiero - garantita, in Italia, dall’art. 21Cost., così come dall’art. 10 della ConvenzioneEuropea dei Diritti dell’Uomo - e presuppone (ed,al contempo, esprime) tanto la libertà d’opinione,quanto la libertà di ricevere o di comunicare idee,informazioni, critiche su temi d’interesse pubbli-co. In particolare, ciò che caratterizza il diritto difare informazione, inteso in una accezione estre-

mamente lata, rispetto alle altre forme di manife-stazione del pensiero di cui all’art. 21 Cost., è lacaratterizzazione teleologica, data dalla finalità dioffrire a terzi la rappresentazione di un particola-re profilo della realtà odierna1.Il diritto ad informare, che sussume in sé e riducead unità il diritto di cronaca e quello di critica, sitraduce, dunque, nella libertà di diffondere attra-verso la stampa e gli altri mezzi di comunicazionenotizie e commenti, anche lesivi della reputazionealtrui, sancito in linea di principio dalla normacostituzionale richiamata e regolato, principal-mente, dalle Leggi 8 febbraio 1948, n. 47 (la cd.“legge sulla stampa”) e 3 febbraio 1963, n. 692.La libertà di esprimere la propria visione dellarealtà, la propria rappresentazione di un determi-nato fatto storico, anche quando questa contrasticon quella dominante o possa pregiudicare lasfera altrui, è di certo uno dei caratteri che rendo-no tali le moderne democrazie.G. Orwell scriveva che “if liberty means anything atall, it means the right to tell people what they do not wantto hear”3: in effetti, “il diritto di dire alla gente ciò chenon vuol sentire”, inteso quale “verità problemati-ca” per i suoi contenuti o per i suoi effetti sull’esi-stenza degli individui, rappresenta ancora il“cuore” del diritto di fare informazione.È questo il momento essenziale di verifica dell’ef-fettività di tale diritto: fintantoché ci si limita initinerari ideologici consolidati o a riportare fatti“neutri” nella loro incidenza sulla sfera personalealtrui, non v’è dubbio che non si frapporrannoostacoli alla piena possibilità di esercitare talediritto. Il discorso si complica, come detto, allor-ché si sceglie di riportare eventi controversi o chepossano confliggere con la dignità altrui (e qui,accanto ad una serie di consolidate prerogativefondamentali dell’individuo, quali la dignità, l’i-dentità personale, l’integrità morale e sociale, nonè raro imbattersi nell’abusato argine della privacy,spesso invocato anche nel dibattito odierno sulleintercettazioni).Il tema della libertà di divulgare, tramite i massmedia, i testi delle intercettazioni si inquadra inquesto ambito di principi: si tratta di contenutiinformativi la cui pubblicazione può comportareindubbiamente un grave pregiudizio per la sferaaltrui (specificamente, degli intercettati), marispetto ai quali può esistere un forte interessedell’opinione pubblica alla conoscenza.In effetti, sin da quando la libertà di manifesta-zione del pensiero venne consacrata nelle formu-le del First Amendment o della Déclaration des Droitsde l’Homme et du Citoyen, si è parallelamente impo-sto il dibattito intorno ai limiti, ai confini dellastessa: dove finisce il diritto di chi fa informazio-ne di divulgare fatti, notizie che arrecano un

danno all’immagine ed alla reputazione altrui? Edove comincia, dunque, il diritto di un individuoa non sentir parlare di determinati accadimenti(che lo riguardino direttamente oppure no)?In altre parole, quale è il punto di equilibrio trainteresse (pubblico) alla conoscenza e diritto diinformare, su un fronte, e prerogative (private)dei singoli individui, su un altro?È la costante ridefinizione di questo confinemobile che segna, da sempre, i differenti spazi chele società e, con esse, gli ordinamenti giuridiciassegnano rispettivamente all’attività informativaed alla libertà dei media, da un lato, ed ai dirittifondamentali dei cittadini, dall’altro.L’equilibrio tra queste due fondamentali dimen-sioni della democrazia è - e non potrebbe esserealtrimenti - ontologicamente instabile, ove, nel-l’alternarsi delle stagioni storiche (e politiche),l’unica costante è rappresentata dal continuo rag-giungimento di nuovi e differenti punti di stabili-tà contingenti.Il tema della pubblicabilità delle intercettazionied, in genere, degli atti dei procedimenti penalirappresenta, non soltanto in Italia, certamenteuno di quei nodi problematici ove tale equilibriostenta a consolidarsi e dove si verifica, in concre-to, la misura della attuazione reale del dettatocostituzionale.

***Ora, la pubblicazione di un verbale di intercetta-zioni, attualmente, per essere lecita non deve con-formarsi soltanto alle regole di cui agli artt. 329 e114 c.p.p., regole di natura ambivalente, proces-suale ratione loci, ma sostanziale ratione materiae.Tali disposizioni, come noto, definiscono unsistema bipolare, ove si distingue tra atti secretati(ex art. 329 c.p.p.), per i quali opera un divietoassoluto di pubblicazione, che ricomprende sia laloro diffusione totale che quella in forma parzia-le o riassuntiva, ed atti procedimentali conoscibi-li da parte del soggetto sottoposto alle indagini,rispetto ai quali vige, invece, un divieto parziale dipubblicazione, in virtù del quale è consentita ladivulgazione del solo contenuto dell’atto. Accanto a tale “meccanismo processuale”, che giàrappresenta un primo irrinunciabile argine digaranzia per i diritti dell’individuo rispetto all’in-teresse pubblico alla conoscenza, esiste un profiloulteriore, non trascurabile, di carattere tuttosostanziale. Il diritto di fare informazione, infatti,può considerarsi legittimamente esercitato,anche rispetto ad atti di natura processuale comei verbali delle intercettazioni, allorché ricorrano leseguenti condizioni, che non sono previste dallalegge, ma si sono progressivamente consolidatenella giurisprudenza (civile e penale)4: a) verità (oggettiva o anche solo putativa, purché

frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) deifatti esposti, che non è rispettata quando, puressendo veri i singoli fatti riferiti, siano dolosa-mente o anche solo colposamente, taciuti altrifatti, tanto strettamente collegati ai primi damutarne completamente il significato (e qui vienealla mente soprattutto il tema della arbitrariaselezione degli stralci di verbali di intercettazionida pubblicare); b) utilità sociale dell’informazione, consistentenell’esistenza di un interesse pubblico alla cono-scenza dei fatti riferiti, anche in relazione alla loroattualità;c) forma civile dell’esposizione, cioè non ecceden-te rispetto allo scopo informativo da perseguire,improntata a serena obiettività, almeno nel sensodi escludere il preconcetto intento denigratorio e,comunque, in ogni caso rispettosa di quel mini-mo di dignità cui tutti hanno diritto (si discorrein tal senso di “continenza espressiva”)5.Accanto a questo “triangolo” di elementi, nonpuò trascurarsi il più recente limite che vienegeneralmente imposto all’attività informativa:quello della essenzialità della notizia. In tal senso,gli artt. 136 ss. D.Lgs. n. 196/03 (il cd. “Codicedella privacy”) dettano una serie di disposizioni inordine al trattamento di dati personali nell’eserci-zio della professione di giornalista e, tra talinorme, spicca il comma terzo dell’art. 137 che, nelribadire i limiti al diritto di cronaca, fa esplicitoriferimento a “quello dell’essenzialità dell’infor-mazione riguardo a fatti di interesse pubblico”.Queste disposizioni, a loro volta, rinviano alCodice deontologico dei giornalisti6, il cui art. 6 èspecificamente dedicato alla “essenzialità dell’in-formazione” e sancisce che la divulgazione di“notizie di rilevante interesse pubblico o socialenon contrasta con il rispetto della sfera privata,quando l’informazione, anche dettagliata, siaindispensabile in ragione del fatto o della relativadescrizione dei modi particolari in cui è avvenuto,nonché della qualificazione dei protagonisti”7.Il principio in esame, che ha trovato la sua origi-naria “codificazione” in materia di tutela dellariservatezza8, in realtà già da tempo viene utilizza-to dalle corti, soprattutto in tema di lesione del-l’onore e di abuso dell’immagine altrui. Come hasottolineato il Garante9, il principio della essen-zialità dell’informazione costituisce il presuppo-sto irrinunciabile per la pubblicazione di contri-buti giornalistici che, come le intercettazioni,contengano dati riservati, quei dati, cioè, che nonsiano di immediato interesse pubblico o che,comunque, l’interessato non abbia reso notidirettamente o tramite comportamenti pubblici(i cd. acta concludentia).Questo sistema di “pesi e contrappesi”, che regola

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l’attività informativa svolta vuoi in forma indivi-duale dal singolo cittadino, vuoi in forma orga-nizzata dalle imprese editoriali, è chiaramenteassistito da un articolato apparato sanzionatorio,che tocca trasversalmente profili di caratterepenale (è sufficiente pensare alla fattispecie delladiffamazione), civile (numerosissime sono leistanze risarcitorie in materia) e deontologico. Nederiva che la violazione di questa sorta di “qua-drilatero”, circoscritto dai canoni della verità,della utilità sociale, della continenza e della essen-zialità della notizia, che definisce i confini dellecito esercizio del diritto di fare informazione, èaccompagnato da un apparato deterrente compo-sito che dovrebbe garantire, in teoria, a tali prin-cipi una costante applicazione.Dunque, alla luce dell’attuale complesso di dispo-sizioni e principi che regolano la pubblicabilitàdegli atti di un procedimento penale, è fuor didubbio che la pubblicazione del contenuto delleintercettazioni, in molte occasioni, debba qualifi-carsi come condotta manifestamente contra legem.

***È chiaro, allora, che attualmente, anche in assen-za di qualsivoglia intervento riformatore, esistegià un sistema di checks and balances, frutto dellacombinazione di norme di carattere sostanziale eprocessuale e di principi di matrice giurispruden-ziale, assistiti da meccanismi di deterrenza teori-camente efficienti.Il nodo problematico della indiscriminata ed ille-gittima pubblicazione di atti d’indagine copertida segreto, dunque, non sembra tanto da ricerca-re nel sistema normativo che accompagna lo stru-mento delle intercettazioni, quanto nella ineffet-tività dell’apparato deterrente ad esso connesso.In particolare, qui non si discorre di inefficacia,nel senso di inadeguatezza dell’entità della san-zione rispetto all’illecito, tant’è che si è visto comeuna medesima condotta antigiuridica possa inteoria far scattare tre ordini di conseguenze: civi-li, penali e deontologiche. Al contrario, nel riferir-si al concetto di ineffettività si intende l’evidenteincapacità di applicare, in concreto, il quadro san-zionatorio pure teoricamente previsto. Questaincapacità è propria sia della magistratura, siadegli stessi ordini professionali, che raramenteperseguono effettivamente condotte illecite colle-gate alla illegittima pubblicazione di verbali diintercettazione10.In altre parole, probabilmente, la “tara” delmodello italiano delle intercettazioni non è nellenorme, nelle leggi vigenti, ma nel sistema dei con-trolli che tale sistema dovrebbe accompagnare erendere effettivo.Quindi, nel rapporto tra intercettazioni e prati-che giornalistiche, un intervento riformatore in

materia non pare, allo stato, assolutamente indi-spensabile, visto che una disciplina in materia esi-ste già e, sebbene raramente applicata, è ampia-mente garantista per i cittadini; né, al contempo,sembra utile, tanto per ragioni di ordine tecnico -ha senso attribuire alle intercettazioni uno statusparticolare tra gli atti di un procedimento penale?-, tanto per il clima politico-culturale in cui stamaturando.Intervenire, oggi, sull’art. 114 c.p.p. significhereb-be rivedere, in maniera sostanziale, l’equilibrio trainformazione e diritti dei singoli, attribuendo -secondo quanto è dato apprendere dai lavori par-lamentari - una decisa preminenza ai secondi adiscapito della prima. La finalità è teoricamentelodevole, perché le prerogative (costituzionali)degli individui rappresentano la pietra angolaresu cui poggia ogni ordinamento democratico,eppure non è detto che siano corretti i tempi diuna riforma in tal senso. Come detto, discorria-mo di un equilibrio mutevole nel tempo e nontutte le stagioni, storiche e politiche, di un paeseconsentono di comprimere eccessivamente il“diritto di fare informazione”.In conclusione, provando a parafrasare uno deipiù celebri insegnamenti jheringhiani, se la leggedeve essere reductio ad unitatem del sentire de repu-blica di quanti comprendono e vedono lontano edi quanti vedono soltanto ciò che hanno vicino11,cosa accade quando il legislatore sembra esserel’interlocutore con minore capacità prospettica?...........................................

1 Nell’ambito di una ampia bibliografia in tema, si vedano Rodotà,Tecnopolitica. La democrazia e le nuove tecnologie dell’informazione, Bari-Roma, 2004, pp. 15 ss.; Zeno-Zenocivch, La libertà d’espressione.Media, mercato, potere nella società dell’informazione, Bologna, 2004, pp.8 ss.; Sica-Zeno-Zencovich (a cura di), Manuale di diritto dell’informa-zione e della comunicazione, Padova, 2009, pp. 1 ss.; Sica-D’Antonio,La responsabilità civile del giornalista, in Sica-Stanzione (a cura di),Professioni e responsabilità civile, Bologna, 2006, pp. 811 ss.

2 Vedi Cass. Civ., sez. III, 22 marzo 2007, n. 6973, in Red. Giuffré, 2007.3 Dalla prefazione ad Animal Farm (1946).4 Riferimento essenziale è Cass. Civ., sez. I, 18 ottobre 1984, n. 5259,

in Foro it., 1984, CVII, c. 2712 ss., ed in Dir. inf., 1985, 143 ss.Nell’ambito di una giurisprudenza particolarmente copiosa, vedianche Cass. Civ., sez. III, 24 maggio 2002, n. 7628, in Studium juris,2002, pp. 1260 ss.; Cass. Pen., sez. V, 22 marzo 1999, n. 2842, in Dir.inf., 2000, pp. 384 ss.; Cass. Pen., sez. V, 9 novembre 2004, n. 48095,in Guida dir., 2005, 2, pp. 97 ss.; Cass. Civ., sez. III, 19 gennaio 2007,n. 1205, in Guida al diritto, 2007, pp. 69 ss., nonché Cass. Civ., sez. III,8 febbraio 2007, n. 2751, in Giust. civ. mass., 2007, p. pp ss.

5 In tal senso, Cass. Pen., sez. V, 9 ottobre 2007, n. 42067, inDiritto&Giustizia, 2007, pp. 98 ss.

6 Approvato dal Garante per la protezione dei dati personali, d’intesacon il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, con provve-dimento datato 29 luglio 1998. Non è questo il luogo per soffer-marsi compiutamente sulle caratteristiche di tale documento, delquale tuttavia è incontroversa la natura “normativa”, testimoniatainnanzitutto dal fatto che la prima stesura del testo, elaboratodall’Ordine dei Giornalisti, venne respinta dal Garante, perché sindall’intitolazione (“Norme deontologiche”) tradiva un intento eduna vocazione categoriali, laddove, invece, l’allora art. 25 Legge n.675/96 (oggi art. 139 D.Lgs. 196/03) chiamava la categoria a parte-

cipare ad un vero e proprio processo legislativo, ovvero di creazionedi regole destinate ad integrare l’ordinamento statale in subjectamateria.

7 In giurisprudenza, Trib. Palermo, 21 febbraio 2007, in Dir. inf., 2007,pp. 311 ss.

8 In tema di tutela della riservatezza, cfr., per tutti, Sica-Stanzione(commentario diretto da), La nuova disciplina della privacy. D.Lgs. 30giugno 2003, n. 196, Torino, 2004 e Cardarelli-Sica-Zeno-Zencovich,Il codice dei dati personali. Temi e problemi, Milano, 2004.

9 Si veda Vademecum datato 11 giugno 2004 e pubblicato anche sulsito del Garante.

10 Su tale profilo incide, indubbiamente, anche la public opinion che,spesso invocando in maniera abusata il vessillo del diritto alla infor-mazione in dispregio di qualunque garanzia individuale, tende aprivare di qualsivoglia profilo di riprovazione, sociale prima ancorache giuridica, l’illegittima pubblicazione di atti di indagine copertida segreto.

11 Il riferimento è tratto da Zweck im Recht, opera scritta da Rudolf vonJhering nel 1872 (trad. it. a cura di M. Losano, Lo scopo del diritto,Torino, 1972).

Francesca Del Grosso e Maria IuzzolinoH

La redazione nello scusarsi con l’interessata e con i letto-ri comunica che l’articolo “La P.A. ed il settore giustiziatra informatizzazione e digitalizzazione” pubblicato nelprecedente numero della rivista è a firma anche delladottoressa Maria Iuzzolino.

Le sponsorizzazioni nella pubblicaamministrazione.

Il contratto di sponsorizzazione è un accordo concui un soggetto (sponsee) assume, normalmenteattraverso un corrispettivo, l’obbligo di associarealle proprie attività il nome di un altro soggetto(sponsor), accrescendone la notorietà. La dottrina lo inquadra nella categoria dei con-tratti modali; in particolare un contratto modaleatipico oneroso se prevista la dazione del corri-spettivo, un contratto modale atipico gratuito senon prevista.Le sponsorizzazioni sono disciplinate dalla Legge449/97, che all’art. 43 recita: “al fine di favorirel’innovazione dell’organizzazione amministrativae di realizzare maggiori economie, nonché unamigliore qualità dei servizi prestati, le pubblicheamministrazioni possono stipulare contratti disponsorizzazione ed accordi di collaborazionecon soggetti privati ed associazioni, senza fini dilucro, costituiti con atto notarile. Le iniziative dicui al comma 1 devono essere dirette al persegui-mento di interessi pubblici, devono escludereforme di conflitto d’interesse tra l’attività pubbli-ca e quella privata e devono comportare risparmidi spesa rispetto agli stanziamenti disposti”. Successivamente l’art. 119 del D.Lgs. n. 267/00 hastabilito per gli enti locali, la possibilità di stipu-lare tali contratti e accordi al fine di “favorire unamigliore qualità dei servizi prestati”.Tuttavia l’utilizzo di tale schema contrattuale

stenta ad affermarsi a causa dello scetticismo deisoggetti addetti ed al preconcetto che l’azionepubblica in quanto imparziale, difficilmentepossa associare la relativa attività a un marchioaziendale.Al contrario la nostra realtà, soprattutto nel con-testo attuale caratterizzato dalla scarsità dellerisorse, necessiterebbe di amministrazioni cheintraprendano percorsi innovativi utilizzandoefficacemente aiuti esterni.La “Guida operativa alle sponsorizzazioni nelleamministrazioni pubbliche” promossa dalDipartimento della Funzione Pubblica Ufficioper l’Innovazione ne delinea il percorso:- individuazione del progetto;- analisi delle sue caratteristiche valoriali e comu-nicazionali;- analisi del fabbisogno;- predisposizione della proposta di sponsorizza-zione, analisi delle opportunità, ricerca dellosponsor, gestione della sponsorizzazione.Un’azienda attraverso la sponsorizzazione realiz-za un ruolo sociale in quanto entra in contattocon la propria utenza. Anche l’ARAN ne sollecita l’utilizzo sottolinean-do come il ricorso alle sponsorizzazioni possaconsentire, secondo i limiti delineati dalla449/97, risparmi di spesa o nuove entrate a van-taggio dell’ente medesimo addirittura con possi-bilità di destinare parte delle risorse all’incentiva-zione del personale e dei dirigenti.Sul punto è intervenuta anche l’Autorità Garanteper la protezione dei dati personali sotto il profi-lo della compatibilità di tali iniziative da partedelle pubbliche amministrazioni con la normati-va a tutela della privacy.Le situazioni prese in considerazioni sono quat-tro:a) inserimento del marchio dello sponsor incomunicazioni inviate agli utenti;b) riserva di spazi pubblicitari all’interno deidocumenti inviati agli utenti o ai propri dipen-denti;c) inserzione di materiale pubblicitario dellosponsor all’interno delle buste contenenti comu-nicazioni; d) utilizzo dei dati personali in possesso delle p.a.per differenziare il messaggio pubblicitariosecondo le tipologie dei destinatari.Ebbene, con delibera del 20 settembre 2006, ilGarante ai sensi dell’art. 154, comma 1, lettera c,del Codice della privacy, ha prescritto ai soggettipubblici titolari di trattamenti di dati personali diconformarsi alle seguenti indicazioni:- il dovere di astenersi dal comunicare a sponsordati personali dei destinatari delle informazioni ocomunicazioni istituzionali dell’ente;

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fonti di reddito in grado di soddisfare in modoadeguato le fondamentali esigenze di vita.Laddove emerga una vera e propria carenza dimezzi idonei al sostentamento sorge l’obbligazio-ne ex lege alimentare e la contestuale obbligazionedi regresso. Diversamente la prestazione alimen-tare ex lege non ha titolo. Sulla base di tali argomentazioni se l’alimentan-do non versa in stato di bisogno è inesistente l’ob-bligazione alimentare a carico di un familiare econseguentemente l’obbligazione di regressodegli altri familiari. Si è ritenuto anche che nonpuò essere riconosciuta ed è priva di fondamentogiuridico la richiesta di versamento di unasomma da parte dei coobbligati per avere presta-to la necessaria assistenza alimentare, in assenzadi una obbligazione convenuta a titolo negozialeaquiliano, in forza del vincolo e dei sentimenti didovere familiare, in quanto trattasi di prestazionirese a titolo di obbligazione naturale ex art. 2034c.c. (Tribunale di Rho, sent. n. 119/2010, del16.04.2010). Nella prestazione alimentare rientra-no le sole prestazioni di assistenza materiale, nonpotendo coincidere con il concetto di “presenza”,“custodia” generica: si che eventuali limitazioni o“sacrifici” della libertà di vita sono conseguenzadi autonoma scelta nell’adempimento di un dove-re; scelta alla quale non può per ciò inerire uncompenso in senso tecnico (Appello Milano01.02.2002).Tuttavia secondo una diversa interpretazione, nelconcetto di alimenti rientra anche l’attività diassistenza e qualora la persona in stato di bisognonon percepisca l’indennità di accompagnamentoe non è in grado di accudire se stessa, e uno deidue coobbligati effettui, anche contro la volontàdell’alimentando, delle spese e delle attività afavore di quest’ultimo, ha nei confronti dei coob-bligati l’azione conseguente alla gestione di affarialtrui (Tribunale di Vallo della Lucania08.07.1991). È interessante il caso di una signoraconvivente more uxorio che avendo accudito lamadre del convivente per diversi anni agisca inregresso nei confronti dei figli coobbligati alpagamento degli alimenti e per la corresponsionedi una somma da valutarsi in via equitativa dalgiudice per l’assistenza prestata. La domanda diregresso è stata rigettata in quanto la conviventemore uxorio è estranea a qualunque obbligazionealimentare e alla conseguente azione di regresso,come è stata rigettata la richiesta di versamentodi una somma da valutarsi in via equitativa perl’assistenza prestata in quanto connessa a presta-zioni dell’attrice rese a titolo di obbligazionenaturale ex art. 2034 c.c. in esecuzione di doverimorali o sociali (Tribunale di Rho, sent. n.119/2010, del 16.04.2010).

A ben vedere la richiesta di pagamento di unasomma da valutarsi in via equitativa potrebbe benrientrare nella previsione dell’art. 2028 c.c., dun-que della negotiorum gestio caratterizzata dallaspontaneità dell’intervento del gestore e quindidalla mancanza di un qualsivoglia rapporto giuri-dico in forza del quale il gestore sia tenuto adintervenire nella sfera giuridica altrui.Inquadrando così la fattispecie appare legittimo ilriconoscimento, previa verifica della presenza ditutti gli altri elementi tipici della negotiorum gestio,alla convivente more uxorio che abbia accudito unfamiliare del convivente, di una somma di denarovalutabile in via equitativa in relazione all’attivitàdi assistenza prestata. Più specificamente colui ilquale abbia adempiuto ad un obbligo alimentarein luogo di un altro è legittimato ad avanzare pre-tese di carattere restitutorio solo nel caso in cuinon abbia agito per spirito di pura liberalità(Cass. Civ., sez. I, 27.07.1969, n. 2636).

Antonia MarchinoH

In tema di conciliazione nellecontroversie civili e commerciali.

Via libera al Decreto Legislativo n. 28 del 4 marzo2010, (pubblicato nella G.U. n. 53 del 5 marzo2010), sulla mediazione in materia civile e com-merciale che regola il procedimento di composi-zione stragiudiziale delle controversie vertenti sudiritti disponibili ad opera delle parti. Viene in talmodo esercitata la delega conferita al Governodall’art. 60 della Legge n. 69 del 2009 e vieneanche attuata la direttiva dell’Unione Europea n.52 del 2008. La ratio dell’introduzione del“nuovo” istituto processuale è di facile intuizione:ancora una volta, si vogliono rendere operativimeccanismi deflativi del contenzioso civile, chepossano indirettamente incidere in modo positi-vo sui tempi di soluzione delle liti, liberando i giu-dici dall’eccessivo carico di lavoro e consentendoloro di dedicarsi ad un più esiguo numero dicause da istruire e decidere più celermente. In par-ticolare, qui il tentativo di riduzione dei tempinecessari ad ottenere una soluzione della contro-versia non avviene all’interno dell’iter processuale,ma opera ancor prima che venga varcata la sogliadell’ufficio giudiziario, ponendo davanti ad essail banco di prova della ricerca di una composizio-ne in via stragiudiziale. Lo spirito della nuovalegge imporrebbe una rivoluzione di prospettivedei rapporti tra giudizio e mediazione tali da ren-dere il processo giurisdizionale come l’estremaratio nella risoluzione delle conflittualità.Il Decreto Legislativo distingue tre tipi di media-zione: la mediazione obbligatoria, quella volonta-

- la facoltà in conformità delle disposizioni vigen-ti anche in materia di protezione dei dati perso-nali di inserire un nome ditta o logo o marchiodello sponsor all’interno di documenti recanticomunicazioni istituzionali;- il dovere di astenersi dall’inserire messaggi pub-blicitari all’interno di documenti recanti comuni-cazioni istituzionali e, in particolare, dall’utilizza-re dati personali per differenziare i messaggi pub-blicitari in relazione a caratteristiche dei destina-tari delle comunicazioni istituzionali.Con tale documento il Garante ha, altresì, rileva-to che la sponsorizzazione non può essere equi-parata ad una “attività pubblicitaria”; difatti, ledue tipologie soggiacciono a disposizioni regola-mentari differenti ed alla p.a. è preclusa la realiz-zazione di iniziative diverse dalle sponsorizzazio-ni. Dunque l’amministrazione pubblica, dalcanto suo, può stipulare contratti di sponsorizza-zione solo in quanto finalizzati a perseguire uninteresse pubblico e ad ottenere un risparmio di spesa.È chiaro che scopo del legislatore è quello di recu-perare risorse da investire nell’innovazione orga-nizzativa e nel miglioramento dei servizi senzal’utilizzo di nuove imposte ma attraverso l’appli-cazione al settore pubblico di norme che la tradi-zione vuole appartenere al settore privato. La giurisprudenza amministrativa ritiene legitti-ma la stipulazione dei contratti di sponsorizza-zione a condizione che non venga lesa l’immaginedi imparzialità dell’ente.Nell’ambito del settore della giustizia nonostantenon sia stato ancora approvato un regolamentospecifico sta cominciando a farsi strada la possi-bilità d’impiego dei contratti di sponsorizzazionisia pure dando massima attenzione alla naturadel contraente e all’immagine dell’ufficio.

Maria Grazie IannielloH

Obbligo degli alimenti e dirittoal regresso.

Il diritto agli alimenti si configura quale dirittodella persona, essendo finalizzato ad assicurare imezzi necessari alla esistenza della persona. Hatuttavia carattere patrimoniale ma è indisponibi-le e incedibile, come espressamente previstoall’art. 447 c.c. Ne consegue che, proprio perchédiretto al sostentamento della persona, il dirittoagli alimenti realizza finalità di pubblico interes-se sicché non può formare oggetto di rinunzia nédi transazione, ed è imprescrittibile.Obbligati alla prestazione alimentare sono le per-sone legate da vincolo di parentela o adozione, oaffinità con l’alimentando secondo un ordine sta-

bilito a seconda dell’intensità del vincolo: taleordine è stabilito dall’art. 433 c.c. Se più persone sono obbligate nello stesso gradoalla prestazione degli alimenti, tutte devono con-correre alla prestazione stessa, ciascuna in pro-porzione delle proprie condizioni economiche.Se le persone chiamate in grado anteriore alla pre-stazione non sono in condizioni di sopportarel’onere in tutto o in parte, l’obbligazione stessa èposta in tutto o in parte a carico delle personechiamate in grado posteriore.In giurisprudenza il diritto agli alimenti è legatoper espressa previsione dell’art. 438 c.c. (oltre chealla prova dell’impossibilità dell’alimentando diprovvedere in tutto o in parte al proprio sostenta-mento) alla prova dello stato di bisogno (Cass.Civ., Sez. I, 14.02.2007, n. 3334 - Tribunale diNovara 14.04.2009 - Tribunale di Milano05.03.09). Stato di bisogno che è individuatonella situazione di chi è privo di ogni risorsa o dis-pone di mezzi insufficienti al soddisfacimentodelle proprie necessità primarie, ivi compresa l’as-sistenza per lo svolgimento degli atti della vitaquotidiana (Tribunale di Monza 8.01.2007) senon della totale assenza di mezzi di sostentamen-to (Tribunale di Bari 02.08.2006) benché debbatenersi conto del contesto socio economico dell’a-limentando (Cass. Civ., Sez. I, 15.05.2004, n.9185). È vero anche che il diritto agli alimenti nonviene meno per il fatto che l’alimentando sia pro-prietario di beni immobili, ma solo ove gli immo-bili non risultino idonei a procurare un redditosufficiente, ovvero non siano suscettibili di par-ziali alienazioni (Cass. Civ., Sez. I, 06.01.1981, n.51) ovvero laddove specifiche circostanze faccia-no ritenere con ragionevolezza che l’alienazionedi tutti o anche di parte di tali beni per provvede-re al proprio sostentamento rappresenti per losteso proprietario un espediente pregiudizievole erovinoso, atto a soddisfare solo temporalmente ibisogni dell’esistenza (Cass. Civ., Sez II,17.05.1968, n. 1557). Detto principio è condiviso dalla dottrina che,individua il fondamento dell’obbligo alimentarenella solidarietà familiare, intesa come risposta adesigenze di aiuto e di soccorso tra i componenti lafamiglia, per la quantificazione del quale si devetener conto di quanto la persona bisognosa abbiapotuto direttamente percepire sia a titolo di assi-stenza sanitaria sia a titolo di sicurezza sociale edi pubblica e privata assistenza da parte degli entipreposti.Al fine di ritenere e dichiarare sussistente l’obbli-gazione alimentare e di qui quella di regresso dichi agisca in giudizio nei confronti degli altriobbligati ex art. 443 c.c., è dunque preliminarel’accertamento se l’alimentando sia sprovvisto di

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ria e quella demandata dal giudice. La mediazio-ne, rispetto ad alcune materie elencate nell’art. 5del D.Lgs. n. 28 del 2010, si pone come condizio-ne di procedibilità per l’avvio del processo (tutta-via occorre sottolineare che l’improcedibilità deveessere eccepita dal convenuto, a pena di decaden-za, o rilevata d’ufficio dal giudice non oltre laprima udienza). Si tratta dei casi in cui il rappor-to tra le parti è destinato, per le più diverse ragio-ni, a prolungarsi nel tempo, anche oltre la defini-zione della singola controversia, ovvero dei casi dirapporti particolarmente conflittuali, rispetto aiquali, anche per la natura della lite, è quindi par-ticolarmente più fertile il terreno della composi-zione stragiudiziale. Al momento attuale, però,non esistono le adeguate strutture per l’assolvi-mento dell’obbligo imposto dal legislatore del2010; infatti si procrastina de facto l’esperibilitàdel procedimento in questione alla data (12 mesidall’entrata in vigore dello stesso) in cui sarà giàstato presuntivamente istituito l’apposito regi-stro cui dovranno iscriversi gli organismi (pubbli-ci e privati) che abbiano predisposto regolamentiprocedurali, albi di mediatori e, non ultimi, loca-li, necessari a consentire l’esercizio della funzioneconciliativa. Il procedimento di mediazione non èsoggetto ad alcuna formalità ed è protetto danorme che assicurano alle parti del procedimentol’assoluta riservatezza rispetto alle dichiarazioni ealle informazioni emerse. Tali informazioni nonsaranno utilizzabili in sede processuale, salvoesplicito consenso delle parti, e il mediatore saràtenuto al segreto professionale su di esse.Quando il mediatore svolge sessioni separate conle singole parti, non potrà rivelare alcuna infor-mazione, acquisita durante tali sessioni, all’altraparte. La finalità della previsione, propria di tuttele esperienze comparate a livello internazionale, èfinalizzata a consentire alle parti di svelare ognidato utile al compromesso, senza timore che poipossa essere oggetto di un uso contro la partemedesima. I soggetti coinvolti si sentiranno cosìliberi di manifestare i loro reali interessi davanti aun soggetto dotato di professionalità per com-porli. Ciò che più ci interessa rilevare è l’obbligo,sancito dall’art. 4 comma 3, in capo agli avvocatidi informare chiaramente e per iscritto, all’atto diconferimento dell’incarico, della possibilità diavvalersi del procedimento di mediazione e delleagevolazioni fiscali di cui può beneficiare avva-lendosene. L’obbligo viene concretamente adem-piuto in due momenti: in primis, specificando, nelmandato conferito al difensore, che la parte èstata resa edotta della possibilità-doverosità (aseconda dei casi) di fare ricorso alla mediazione(analogamente a quanto accade per l’autorizza-zione all’utilizzo dei dati personali); in secondo

luogo, allegando, nel fascicolo di parte che dovràdepositarsi in cancelleria al momento della costi-tuzione, una dichiarazione di scienza provenientedalla parte sostanziale e da essa sottoscritta, circagli obblighi di legge in tema di mediazione (ivicompresa l’esistenza di incentivi fiscali), dichiara-zione autenticata dal relativo procuratore(modelli esemplificativi di mandato e dichiarazio-ne di scienza sono stati già elaborati dal ConsiglioNazionale Forense e divulgati ai singoli C.O.A.).La violazione del dovere informativo gravante sul-l’avvocato in favore del proprio cliente comportanon soltanto la possibilità che il giudice informi“la parte della facoltà di chiedere la mediazione”,ma anche l’annullabilità del contratto tra l’avvo-cato e l’assistito. L’intenzione del legislatore dele-gato sembra essere quella di utilizzare gli avvoca-ti come promotori dello strumento della media-zione, anche se, da più parti, non da ultimo l’or-gano istituzionale rappresentante l’avvocatura, sisente la normativa sull’obbligo di cui si sta dis-correndo, come un ulteriore adempimento mera-mente formale incombente sugli avvocati.L’obbligo di informativa sembra trovare applica-zione solo in relazione a quelle ipotesi in cui effet-tivamente il procedimento di mediazione possa,quantomeno potenzialmente, essere attuato;nonostante l’ampia portata dell’art. 4, comma 3,si deve escludere il ricorso allo strumento dellamediazione oltre che per le controversie elencatenel comma 4 dell’art. 5 del Decreto Legislativoanche in tutti i casi relativi a diritti indisponibili ecome tali non suscettibili di essere conciliate e pergli incarichi di consulenza nella negoziazione.

Costantino ScudieroH

Il concorso doloso nel delitto colposoe il concorso colposo nel delittodoloso: una panoramica generalesull’atteggiamento psicologicodel concorrente nel reato tra“simbiosi” e “sinergia criminale”e spunti di riflessione sulla tenutadel principio di affidamentoall’interno della c.d. “causalitàdella colpa”.

Premessa.La complessità delle problematiche evocate daltema in esame impone di prendere le mosse dauna premessa solida e ampiamente condivisa dadottrina e giurisprudenza. Com’è noto, la disci-plina del concorso di persone nel reato si basa su

una tecnica di incriminazione caratterizzata daun modello di c.d. tipicità sintetica: in altri termi-ni, dalla combinazione delle norme sul concorsocon la norma incriminatrice di parte speciale,nasce una fattispecie nuova, autonoma e diversarispetto alla fattispecie base delineata nella formamonosoggettiva, cosicché sarebbero incriminabi-li, per estensione, anche condotte non stretta-mente riconducibili ai requisiti di tipicità delinea-ti per il reato ove fosse commesso da un solo sog-getto. A fronte di tale prospettiva sistematica, l’o-rizzonte accolto dal nostro assetto codicisticonegli artt. 110 e seguenti, poggiandosi sul datoobiettivo del contributo causale (materiale omorale) di ciascun correo alla realizzazione dellafattispecie criminosa concorsuale, segue un prin-cipio di pari responsabilità dei concorrenti nelreato con la possibilità, però, che il giudice operiuna concreta graduazione della risposta sanzio-natoria attraverso specifiche circostanze aggra-vanti e attenuanti, ovvero per la via tracciata dal-l’art. 133, c.p. Se queste sono le direttive generaliche reggono il sistema, descritte nella loro purez-za, le cose si complicano nel momento in cui ildato obiettivo e atipico del concorrere nel mede-simo reato viene a confrontarsi con il dato sog-gettivo della partecipazione psicologica di cia-scun correo alla fattispecie criminosa plurisogget-tiva eventuale. La soluzione del rebus che ne deri-va non può non passare per la scelta tra dueapprocci ermeneutici diametralmente opposti: daun lato, un approccio di stretta legalità formale,volto a ricostruire il medesimo reato in termini dimedesima fattispecie penale nei suoi connotatiobiettivi e psicologici così come tipizzati dal legis-latore penale, con conseguente e necessaria unici-tà del titolo di responsabilità per tutti i concor-renti1; dall’altro, una scelta attenta al dato sostan-ziale, la quale estenda il campo semantico dell’art.110 attraverso il principio di offensività, leggendonel medesimo reato l’espressione “medesima offe-sa” e aprendo così la porta ad una differenziazio-ne del titolo di responsabilità quantomeno inragione dell’elemento psicologico di ciascun cor-reo.

La struttura e l’oggetto dell’elemento psicolo-gico nel concorso di persone. La differenza tra le due tesi appena descritte è per-cepibile focalizzando l’attenzione sulla strutturae l’oggetto dell’elemento psicologico2.Per quanto concerne il dolo di concorso, entram-be le posizioni partono dal dato comune dellanecessaria coscienza e volontà degli elementi dellacondotta materialmente posta in essere dal singo-lo correo per poi seguire soluzioni diverse in ordi-ne alla consapevolezza dell’altrui concorso nella

propria condotta ovvero di concorrere nella con-dotta altrui. La c.d. concezione monistica, parten-do dal rilievo che il dolo deve investire tutti gli ele-menti del fatto tipico, sostiene che il concorrentedebba anche avere coscienza e volontà di contri-buire con la propria condotta, assieme alle altre,alla realizzazione del reato. Alla luce della tesi inesame, l’art. 116, c.p., dovrebbe intendersi comenorma che eccezionalmente pone un diverso tito-lo di responsabilità dei concorrenti (alcuni perdolo, altri a titolo di responsabilità oggettiva oanomala) nel caso in cui venga commesso unreato diverso da quello voluto da taluno di essi,mentre l’art. 117, c.p., confermerebbe la regolagenerale dell’unificazione del titolo di responsa-bilità imputando anche all’extraneus il reato pro-prio ascrivibile al concorrente intraneus.Diversamente, la c.d. concezione pluralistica, nel-l’intento di scardinare il dogma dell’unicità deltitolo di reato, ritiene sufficiente che la coscienzae volontà della propria condotta sia accompagna-ta dalla semplice consapevolezza unilaterale dicontribuire all’altrui partecipazione con la conse-guente differenziazione dell’imputazione sogget-tiva a seconda che il grado di adesione psicologi-ca del soggetto al concorso si spinga o meno finoalle forme del dolo. In quest’ottica, le argomenta-zioni monistiche basate sugli artt. 116 e 117, c.p.,appaiono completamente capovolte: l’art. 116confermerebbe la regola generale dell’imputabili-tà dei singoli concorrenti anche a diversi titolisoggettivi di responsabilità, mentre l’art. 117costituirebbe norma eccezionale in quanto con-sentirebbe l’unificazione del titolo di responsabi-lità solo quando questo muti in ragione di condi-zioni o qualità personali di uno dei concorrenti(intraneus) non conosciute dagli altri (extranei).A suffragio di questa seconda impostazione, ven-gono spesso richiamate anche altre disposizioni.Da un lato, si usa fare riferimento agli artt. 111 e112, c.p., i quali prevedono la configurabilità delconcorso di persone o comunque di circostanzeaggravanti anche quando uno solo dei correi siapunibile o imputabile. D’altro lato, nel mal riusci-to tentativo di allontanarsi dalla ricorrente figuradell’autoria mediata, si fa riferimento anche all’art.48, c.p., considerato come ipotesi particolare diconcorso nel reato con diverso titolo di responsa-bilità (se l’errore del deceptus è dovuto a colpa, exart. 47, comma 1) o, addirittura, come ipotesi diconcorso in reati diversi (se l’errore del deceptusnon esclude la punibilità per un reato diverso, exart. 47, comma 2). Com’è evidente, nel complessopanorama che si sta descrivendo le forme princi-pali di imputazione soggettiva dei reati delineatedagli artt. 42 e 43, c.p., appaiono in parte defor-mate e lo stesso fenomeno si verifica ove si ponga

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Cartolina d’epoca.

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l’attenzione alla cooperazione nel delitto colposodi cui all’art. 113, c.p. Al centro di questo secondoambito di disciplina si pone il problema delladistinzione del concorso di persone nel delittocolposo dalla particolare ipotesi del concorso dicause fra loro indipendenti ma comunque tutteeziologicamente efficienti nel verificarsi del reatosecondo la lettera dell’art. 41, c.p. In particolare,nonostante parte della dottrina d’ispirazione plu-ralista, prospettando una concorrenza tra colpapropria e colpa cosciente, abbia individuato iltratto distintivo della cooperazione colposa nellaconsapevolezza che l’altrui condotta, sulla qualesi innesta la propria partecipazione, costituiscaviolazione di una norma cautelare, alcuni autorihanno avuto modo di sottolineare il deficit dirazionalità, oltre che di tassatività, dell’art. 113,c.p., a fronte della concezione normativa dellacolpa la quale, nella sua dimensione trascendente(dal piano oggettivo a quello soggettivo), richiedeche l’imputazione penale a titolo di colpa trovifondamento nella violazione di un obiettivo dove-re di diligenza da parte dello stesso soggetto chepone in essere la condotta3. Se queste sono le pre-messe, è certo che non ci si può aspettare unasoluzione pacifica in ordine al problema dellaconfigurabilità del concorso colposo nel delittodoloso.

Il concorso doloso nel delitto colposo.A tal punto, nel tentativo di seguire uno schemaconcettuale il più chiaro possibile, non si può farea meno di tracciare una netta linea di demarca-zione tra concorso doloso nel delitto colposo econcorso colposo nel delitto doloso. In lineagenerale, la prima ipotesi (concorso doloso neldelitto colposo) si appoggia su un dato naturali-stico affine a quello considerato dall’art. 48, c.p.,cioè a dire le ipotesi di c.d. simbiosi criminale incui un soggetto in dolo si serve dell’errore di altrosoggetto per commettere un determinato reato.In verità, il dato letterale della norma in esame èmolto ristretto, limitandone il campo di applica-zione alle sole ipotesi criminali poste in essere daun deceptus e da un decipiens, ovvero da un sogget-to indotto in errore da chi dolosamente avevaintenzione di servirsi di lui per la commissione diun reato. Alcuni autori4 tendono ad escludere talifattispecie dal paradigma concorsuale e fannoricorso alla figura dell’autoria mediata quale cano-ne di imputazione del decipiens per il reato com-messo dal deceptus “come se” fosse stato realizza-to, in forma monosoggettiva, dal primo e non dalsecondo. In particolare, la dottrina in parola,ponendo il fulcro della fattispecie nel solo fattoche la condotta dolosa del terzo si inserisca nelprocesso causativo dell’evento ed escludendo, per

tal via, la necessità di una vera e propria induzio-ne in errore, estende l’ambito di applicazione del-l’art. 48, c.p., anche alle ipotesi in cui il soggetto indolo abbia semplicemente sfruttato l’altrui errorepreesistente: è evidente il tentativo di ricondurretutte le possibili ipotesi di concorso doloso neldelitto colposo sotto la disciplina degli artt. 47 e48, c.p. Altri autori5, seguendo un approccio dic.d. legalità sostanziale, attento al dato naturali-stico della dinamica criminosa, da un lato hannoevidenziato in senso critico l’estensione analogicain malam partem dell’art. 48, c.p., e, dall’altro,hanno rivalutato il paradigma concorsuale ilquale, nelle ipotesi in esame, non avrebbe funzio-ne di incriminazione6 ma una funzione di disciplina,soprattutto con riguardo al regime di comunica-bilità delle circostanze o all’effetto estensivo dellaquerela di cui all’art. 123, c.p.

Il concorso colposo nel delitto doloso.Per quanto concerne il tema che ci si è proposti dianalizzare con il presente lavoro (il concorso col-poso nel delitto doloso), non si può fare a menodi evidenziarne i pericolosi parallelismi con l’ipo-tesi del concorso omissivo nel reato commissivo,data l’ineliminabile componente omissiva insitanella colpa. Tuttavia, prima di affrontare tale pro-filo, è opportuno dare conto delle posizioni dot-trinali e giurisprudenziali che si sono sviluppateattorno a tali fattispecie. Secondo una tesi nega-trice7, per certi versi vicina alla concezione moni-stica sopra descritta, l’ipotesi di concorso colposonel delitto doloso non sarebbe configurabile giàsul piano causale, in quanto l’eccezionalità delcontributo doloso del terzo interromperebbe lasequenza causale ex 41, c.p.: infatti, l’azione dolo-sa del terzo, in quanto prodotto di una decisionelibera e consapevole, si porrebbe al di fuori dellasinergia criminale tipica del concorso, dandoimpulso ad una serie causale nuova e indipenden-te, che escluderebbe in radice la rilevanza delnesso condizionalistico tra l’azione colposa prece-dente e il risultato lesivo. D’altro lato, sotto il pro-filo sistematico, la tesi in parola trova importantiargomentazioni a proprio favore. Innanzitutto, ènota l’affermazione per cui l’art. 113, nello scolpi-re la cooperazione nel delitto colposo ma non lacooperazione colposa nel delitto consentirebbe diargomentare a contrario per la inconfigurabilitàdel concorso colposo nel delitto doloso. In secon-do luogo, si è sostenuto che la punibilità a titolodi colpa, anche nel contesto del concorso di per-sone, richiederebbe espressa previsione normativaex art. 42, comma 2. Questa seconda affermazio-ne, a sua volta, ha portato con sé due ordini diriflessioni: in primo luogo, si è messo in rilievoche nei casi in cui il legislatore ha voluto rendere

punibili condotte di agevolazione colposa nell’al-trui delitto doloso lo ha fatto espressamente e tas-sativamente (si vedano ad esempio gli artt. 254,259, 350, ecc. ...); in secondo luogo, si è osservatoche gli artt. 57 e 57 bis, nel disciplinare la respon-sabilità “a titolo di colpa” dell’editore per i reaticommessi a mezzo stampa a seguito dell’omessocontrollo sulle pubblicazioni della propria rivistasi pongono espressamente “al di fuori dei casi diconcorso” confermando, per tal via, la necessariaunicità del titolo di responsabilità all’internodelle fattispecie plurisoggettive eventuali.Secondo una diversa impostazione, in una pro-spettiva pluralistica, il concorso colposo nel delit-to doloso sarebbe configurabile quantomeno inalcune ipotesi marginali, riconducibili a quelleattività rischiose, ma consentite, che vanno sem-pre più diffondendosi anche attraverso modalitàc.d. procedimentalizzate (come avviene, ad esem-pio, nel contesto della produzione industriale ditipo imprenditoriale). La caratteristica peculiaredi tali ipotesi, sta nel fatto che gli obblighi digaranzia posti in capo ai soggetti coinvolti sono,per così dire, rafforzati in quanto garantiscono ilrispetto di un determinato procedimento causaleche consente di tenere sotto controllo il rischioconsentito8. In questi termini si è fatto appuntoriferimento alla c.d. causalità della colpa, cioèall’incidenza causale delle violazioni delle regolecautelari sul verificarsi di eventi criminosi.Naturalmente, nell’economia dell’analisi qui incorso, è opportuno focalizzare l’attenzione sulleipotesi in cui la regola cautelare violata dal sog-getto in colpa sia specificamente formulata alloscopo di prevenire il fatto doloso d’un terzo (c.d.obblighi cautelari di natura secondaria).In tal caso, peraltro, è necessario che il soggetto incolpa, oltre ad avere la consapevolezza di concor-rere col terzo, sia convinto che questi non versi indolo, altrimenti non si avrebbe concorso colposoma addirittura concorso doloso. Com’è evidente,a fronte della soluzione appena descritta, è oppor-tuno tracciare i limiti di rilevanza di tali ipotesi diconcorso alla luce del principio dell’affidamentoin virtù del quale la diligenza richiesta al correo inrelazione all’altrui comportamento costituiscecomunque eccezione alla regola. In tal senso, leipotesi possibili di concorso colposo nel delittodoloso sarebbero individuabili in quei casi in cui

il correo ha una specifica posizione di garanziafinalizzata alla difesa di un bene anche da aggres-sioni dolose provenienti da terzi (ad esempio,agenti di pubblica sicurezza) ovvero casi in cui l’a-gente può riconoscere, in base a indizi concreti,l’oggettivo rischio che un membro della comuni-tà possa commettere un illecito (ad esempio,Tizio dà la propria pistola a Caio pur sapendo chequesti versa in stato di violenta agitazione).A tal fine, pare opportuno richiamare una recen-te pronuncia della Corte di Cassazione in cuiviene affrontata una ipotesi di concorso colposodei medici tenuti all’accertamento dell’idoneitàpsico-fisica ai fini del rilascio del porto d’arminell’omicidio doloso compiuto dal soggetto cheper tal via ha potuto ottenere l’arma del delitto9. Èinfatti interessante notare come il filo argomen-tativo seguito dalla Suprema Corte prenda lemosse dalla constatazione che, all’interno diorganizzazioni complesse o in particolari settoridella pubblica amministrazione, molto spessol’attività istituzionale (più o meno “rischiosa”) sisvolge attraverso atti complessi cui prendonoparte persone diverse e in tempi diversi.In tali casi, sostiene la Corte, il limite all’operati-vità del principio dell’affidamento va individuatoalla stregua di un giudizio di prevedibilità ex antesu basi oggettivamente percepibili dall’agente,allo scopo di specificare il contenuto dell’obbligodi diligenza violato in considerazione del ruolo dalui occupato (ejusdem condicionis et professionis)all’interno della procedura di gestione del rischio............................................

1 Verrebbe da dire: “o tutti in colpa - 113, c.p. - o tutti in dolo - 110,c.p. - anche a costo di ipotesi di responsabilità anomala (art. 116)ovvero oggettiva (art. 117)”.

2 Per una più approfondita analisi delle principali chiavi ricostruttivedel concorso di persone nel reato si rinvia a F. Mantovani, Manualedi Diritto Penale, Parte Generale, ed. 2009, pp. 504 e ss.

3 Fiandaca-Musco, Manuale di Diritto Penale, Parte Generale, ed. 2005.4 Fiore, Diritto Penale, II, ed. 1995, pp. 92 e ss.5 Siniscalco, Autore mediato, in Enc. Dir., IV, p. 443.6 In quanto la condotta dei correi sarebbe comunque sussumibile

sotto diverse fattispecie incriminatrici di parte speciale, senza chesia necessario ricorrere alla tecnica sintetica di cui all’art. 110, comenel caso in cui l’errore del correo non escluda la punibilità per unaltro reato.

7 F. Mantovani, Manuale di Diritto Penale, Parte Generale, ed. 2009, p.531: l’autore, in particolare, ritiene configurabile solo il concorsocolposo nella contravvenzione dolosa.

8 F. Mantovani, in Riv. It. Dir. e Proc. Pen., 2008, pp. 536 e ss.9 Cass. Pen., Sez. IV, n. 407/09, in Cassazione Penale n. 1, 2010, pp. 180

e ss.

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fumato con abbondante acqua di fiori d’arancio.Le sue origini sono molte incerte. Secondo unaversione leggendaria la sirena Partenope, affasci-nata dalla bellezza del golfo di Napoli, aveva fis-sato la sua dimora tra Posilippo ed il Vesuvio.All’inizio della primavera la sirena era solita emer-gere dalle acque per deliziare i napoletani con ilsuo canto. Durante una di queste esibizioni inapoletani rimasero così affascinati che deciserodi fare un regalo alla sirena. Sette belle fanciullefurono incaricate di portare i doni alla sirena ecioè: la farina; la ricotta; le uova; il gran tenerobollito nel latte; l’acqua dei fiori d’arancio; le spe-zie; lo zucchero. La sirena, raccolti i doni, si ina-bissò ed andò a depositarli ai piedi degli dei.Questi, inebriati a loro volta dal canto, mescola-rono tutti quegli ingredienti, sfornando la primapastiera. Per alcuni bisogna risalire invece allefeste pagane per celebrare l’arrivo della primaverae l’inizio dei lavori nei campi, durante le quali lesacerdotesse di Cerere portavano in processionel’uovo, simbolo della vita nascente. Il grano inve-ce richiamerebbe alla memoria la “confarratio”, lenozze romane, durante le quali venivano offertipani di farro. Secondo altri la pastiera sarebbe da

contributi dai colleghi giugno 2010

Spigolando.di Rino Carpinelli

A.S. (ovvero: ante scriptum): desidero innanzi tuttoringraziare i colleghi che, incontrandomi nei cor-ridoi del manicomio - pardon ! - “giudiziari”, mihanno manifestato apprezzamento per quei mieiarticoli, da loro definiti pungenti e divertenti (maio direi strambi), chiedendomi nel contempocome mai non ne comparivano più sulle paginedel nostro giornale. Effettivamente era un po’ ditempo che avevo perso la mano, anche se ognitanto mi frullavano per la testa idee e spunti vari,che poi accantonavo in qualche cassetto dellamente a decantare, ed anche perché credevo che aicolleghi interessassero più gli articoli di carattereprofessionale. Durante la pausa estiva però hofatto un po’ di pulizia in quel cassetto, per cui orasono in grado di proporvi alcune stramberie, chespero possano incontrare il vostro gradimento.

I dolci napoletani.(Il brano, che segue, non ha proprio niente a chefare con la nostra attività. Tuttavia lo stesso deveessere visto nell’ottica delle nostre tradizioni, conla speranza che la sua lettura possa addolcire unpoco la nostra professione, oggi diventata cosìamara).Alzi la mano chi la domenica, ad ora di pranzo,non si ritira a casa con il “cartoccio” di paste dagustare a fine pasto alla faccia del colesterolo.Giunto il momento, apriamo l’involucro e allun-ghiamo le mani per afferrare una squisita preliba-tezza, che, senza pensare ad altro, divoriamo in unbattibaleno. Ma ci siamo mai chiesti dove e comesono nate queste leccornie? I dolci della pasticce-ria napoletana sono quasi tutti nati nei conventifemminili grazie alle abili mani di monacelle, che,tra le altre cose, si dedicavano anche alla prepara-zione di delizie da offrire ai loro superiori ed aifamiliari durante le feste liturgiche. Dolce tipicodella tradizione napoletana è senza dubbio la sfo-gliatella riccia, che, secondo la versione più accre-ditata, sembra che sia nata nel Settecento nel con-vento della Croce di Lucca, dove oggi sorge ilPoliclinico della Seconda Università. Si raccontache una suora cuciniera, accortasi che era avanza-ta un po’ di semola cotta nel latte e, poiché le dis-piaceva buttarla, la genialità - tutta napoletana -le suggerì di aggiungervi frutta secca, zucchero eliquore al limone. Ma quello poteva essere solo unripieno, pensò la monaca. Cosa metterci sopra esotto? Ci voleva un involucro per contenerla. Lasuora allora preparò due sfoglie di pasta construtto e vino bianco e vi mise in mezzo il ripieno.

Poi sollevò la sfoglia superiore, dandole - ovvia-mente - la forma di un cappuccio di monaco, e lainfornò. Era nata (l’antenata del) la sfogliatellariccia. Le monache invece del convento di SantaRosa, oggi famoso albergo della costiera amalfita-na tra Furore e Conca dei Marini, introdusserouna variante: nacque così la sfogliatella santarosa,che è più grande rispetto a quella normale e pre-senta, come chiusura, un bordo di crema pastic-ciera e di confettura di amarene. Anche i dolcettinatalizi di pasta reale sembra che siano nati in unconvento. Essi venivano preparati per rispettare ladieta di magro delle feste di Natale, in quanto tragli ingredienti era escluso qualsiasi tipo di grassoanimale. Ma perché questo nome di pasta reale?Narra un aneddoto che il re Ferdinando IV si recòun pomeriggio a visitare il convento di via SanGregorio Armeno. Dopo la visita, il sovrano fuaccompagnato nel refettorio, dove era stato pre-parato un buffet con aragoste, pesci arrostiti,polli, fagiani e frutta. Re Ferdinando, che, comun-que era una buona forchetta, si scusò per nonpoter gustare i vari piatti, in quanto aveva da pocofinito di pranzare. Le monache però, tra sorrisi edammiccamenti vari, insistettero, per cui il re fucostretto ad accettare. Grande fu la sorpresa delre, quando si accorse che tutti quei cibi eranodolci fatti con pasta di mandorle e dipinti amano. La zuppa inglese, a differenza degli altridolci, pare che sia nata presso la corte borbonica,in occasione di una visita dell’ambasciatore ingle-se. Il capo pasticciere aveva preparato per la circo-stanza una torta con pan di Spagna, crema e con-fettura. Ma il valletto, nel portare la torta in salada pranzo, la fece cadere, mandandola in pezzi. Iltempo era poco per preparare un’altra torta. Ilpasticciere allora, ricorrendo sempre a quellafamosa genialità napoletana, fece una cupola coni vari pezzi della torta, legandoli assieme concrema pasticciera e marmellata, poi bagnò il tuttocon sciroppo di zucchero e liquore, ricoprì lacupola con bianco d’uovo montato a neve con lozucchero e mise in forno fino a quando in super-ficie si formò una crosticina dorata. Il dolce ebbegrande successo e, in onore dell’ambasciatoreinglese, prese appunto il nome di zuppa inglese. Ilbabà, invece, è un dolce prestato alla pasticcerianapoletana, in quanto sembra sia stato inventatoda Stanislao Leczinski, re di Polonia e suocero diLuigi XV di Francia, ed importato dai francesiverso i primi dell’Ottocento. Ma la regina indi-scussa della pasticceria napoletana è senza temadi smentita la pastiera, altrimenti detta pizza digrano, croce e delizia del mio stomaco. Essa è unamorbida torta di pasta frolla ripiena di un delica-to impasto di grano bollito unito a ricotta fresca,latte, uova e pezzetti di cedro candito, il tutto pro-

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Contributidai Colleghi

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Se le donne possano onon possano essere ammesseall’esercizio dell’avvocheria.

di Gianluca Granato

Il caso giudiziario di Lydia Poët, prima donnaAvvocato nel Regno d’Italia; la requisitoria delnocerino Vincenzo Calenda di Tavani, nel1883 procuratore generale presso la Corte diCassazione di Torino.

“La questione sta tutta in vedere se le donne possano onon possano essere ammesse all’esercizio dell’avvocheria(...). Ponderando attentamente la lettera e lo spirito ditutte quelle leggi che possono aver rapporto con la que-stione in esame, ne risulta evidente esser stato sempre nelconcetto del legislatore che l’avvocheria fosse un ufficioesercibile soltanto da maschi e nel quale non dovevanopunto immischiarsi le femmine (...). Vale oggi ugual-mente come allora valeva, imperocché oggi del parisarebbe disdicevole e brutto veder le donne discenderenella forense palestra, agitarsi in mezzo allo strepito deipubblici giudizi, accalorarsi in discussioni che facilmentetrasmodano, e nelle quali anche, loro malgrado, potreb-bero esser tratte oltre ai limiti che al sesso più gentile siconviene di osservare: costrette talvolta a trattare ex pro-fesso argomenti dei quali le buone regole della vita civileinterdicono agli stessi uomini di fare motto alla presenzadi donne oneste. Considerato che dopo il fin qui detto nonoccorre nemmeno di accennare al rischio cui andrebbeincontro la serietà dei giudizi se, per non dir d’altro, sivedessero talvolta la toga o il tocco dell’avvocato sovrap-posti ad abbigliamenti strani e bizzarri, che non di radola moda impone alle donne, e ad acconciature non menobizzarre; come non occorre neppure far cenno del peri-colo gravissimo a cui rimarrebbe esposta la magistraturadi essere fatta più che mai segno agli strali del sospetto edella calunnia ogni qualvolta la bilancia della giustiziapiegasse in favore della parte per la quale ha perorataun’avvocatessa leggiadra (...). Non è questo il momento,né il luogo di impegnarsi in discussioni accademiche, diesaminare se e quanto il progresso dei tempi possa recla-mare che la donna sia in tutto eguagliata all’uomo, sic-ché a lei si dischiuda l’adito a tutte le carriere, a tutti gliuffici che finora sono stati propri soltanto dell’uomo. Diciò potranno occuparsi i legislatori, di ciò potranno occu-parsi le donne, le quali avranno pure a riflettere se sareb-be veramente un progresso e una conquista per loro quel-lo di poter mettersi in concorrenza con gli uomini, diandarsene confuse fra essi, di divenirne le uguali anzichéle compagne, siccome la provvidenza le ha destinate”.(Corte d’Appello di Torino 11.11.1883, in Giur. it.1884, I, c. 9 ss in ordine alla richiesta della dotto-ressa Lydia Poët di essere iscritta all’Albo degli

Avvocati).Lydia Poët nasce nel 1855 a Traverse, una borgatadel Comune di Perrero in Val Germanasca, da unafamiglia borghese. Dopo gli anni della giovinezza,trascorsi nel pinerolese, tra lo stupore e la meravi-glia di tutti, riesce ad iscriversi alla facoltà di leggedell’Università di Torino. Nel luglio 1881 ottennela laurea in giurisprudenza con il massimo deivoti. Un giornale femminile militante dell’epoca,“La Donna”, diede ampio risalto a tale fatto poi-ché esso dimostrava la grande forza “ch’essa diedenel superare tutti quegli ostacoli che ancor sioppongono alla donna, perché ella possa, pari alsuo compagno, darsi, quando la vocazione e l’in-telligenza superiore ve la chiamino, agli studjscientifici, letterarj, a quegli studj in una parolache furono e pur troppo ancora sono riservatiesclusivamente all’essere privilegiato che si chia-ma uomo”.Il 1883 il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati diTorino votò - con 8 voti a favore e 4 voti negativi-una risoluzione con cui la Poët veniva ammessanell’Albo degli Avvocati patrocinanti: fu la primadonna ad essere iscritta ad un Albo di Avvocati(anche se la legge professionale non prevedeva unespresso divieto per le donne); ben presto, tutta-via, cominciarono a diffondersi testi e articolipubblicati da autorevoli commentatori e uominipolitici dell’epoca in cui ci si opponeva a tale deci-sione. A ciò si aggiunse l’opposizione del pubbli-co ministero: sicché la Corte d’Appello di Torino,con le motivazioni sopra, in parte, riportate, neannullò l’iscrizione: esattamente il 18 aprile 1884,infatti, la Corte, accogliendo il ricorso del pubbli-co ministero, oppose che l’uguaglianza giuridica“non toglie le inegualità naturali” e che “giammaipotranno scomparire le difficoltà psicologiche:virilibus officiis fungantur mulieres!”. LaCassazione di Torino (la Corte di Cassazione saràunificata soltanto il 1923), confermava la pro-nuncia d’appello utilizzando l’argomento che laprofessione forense dovesse essere qualificata unufficio pubblico e come tale l’accesso dovesse rite-nersi ovviamente vietato alle donne: “... l’influen-za del sesso sulla capacità e condizione giuridica èdovunque sempre stata tale che i legislatori sisono trovati nella necessità, per ragioni di ordinemorale e sociale, non meno che per l’interessedella famiglia, che è la base della società, di dove-re a riguardo delle donne riconoscere e mantene-re in massima uno stato particolare restrittivo didiritti, o relativamente a certi diritti... le donnehanno sempre avuto una condizione più o menodiseguale da quella degli uomini di fronte ai dirit-ti sociali e civili ed anche riguardo a taluni diritticivili che hanno una qualche relazione colla capa-cità politica, finora negata alle donne, o che sono

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ricollegare alle focacce, che sotto Costantino ilGrande erano offerte ai catecumeni nella notte diPasqua dopo il battesimo. Secondo altri ancora lasolita monaca napoletana, forse del convento diSan Gregorio Armeno, volle inventare un dolceche ricordasse la Resurrezione, per cui mescolòalla bianca ricotta il grano, che, sepolto nellaterra, risorge poi con tutto il suo biondo splendo-re, poi aggiunse le uova, simbolo di nuova vita, ilcedro e le spezie venute dall’Asia. In ogni casoquesto dolce vuole festeggiare il ritorno dellanuova stagione.E adesso veniamo al solito fattariello.Si racconta che Maria Teresa d’Austria, moglie diFerdinando II di Borbone, che i soldati definivano“la regina che non sorride mai”, per accontentareil marito, buontempone e pure lui una buona for-chetta, decise di assaggiare una fetta di pastiera.Come d’incanto un sorriso liberatorio spuntòsulla bocca della regina. Ferdinando II alloraesclamò: “Per far sorridere mia moglie ci voleva lapastiera. Ora però dovrò aspettare la prossimaPasqua per vederla sorridere di nuovo”. Così ordi-nò al pasticciere di corte di preparare la pastierapiù spesso.

Povero Codice di procedura civile.Correva l’anno 1940, quando sul supplementoordinario della G.U. del 28 ottobre veniva pubbli-cato il Regio Decreto n. 1443, a firma di VittorioEmanuele, Mussolini e Grandi, contenente iltesto del Codice di procedura civile.Il richiamato R.D., dato in San Rossore, dispone-va anche che un esemplare del codice, da conside-rarsi come originale, sarebbe stato conservatopresso l’archivio del regno e che la sua pubblica-zione sarebbe avvenuta con la trasmissione adogni comune del regno di una copia, da esporrenella sala comunale per un mese, per sei ore algiorno, affinché se ne potesse prendere visione.Il codice entrò poi in vigore il 21 aprile del 1942.Da allora molte cose sono cambiate e, nel corso dicirca sessantasette anni, grazie agli interventi dellegislatore (cucendo qua e scucendo là, mettendouna pezza qua e togliendola là) l’impianto origi-nario del codice ha subito profonde modifiche sìda sembrare il vestito di Arlecchino. Col passaredel tempo molti istituti processuali sono statiinnovati, anche per essere adeguati alle pronunce(a volte cervellotiche) della Corte di Cassazione odella Corte Costituzionale, e noi poveri avvocatisiamo costretti a correre appresso a queste modi-fiche e a fare i conti con l’articolo o con il rito daapplicare al giudizio da trattare. L’ultima riforma,mirata a snellire la durata del processo, ci è stataregalata dal nostro legislatore con la Legge n.69/09 in vigore dal quattro luglio, che ha intro-

dotto ulteriori modifiche in alcuni casi fortemen-te penalizzanti per noi. Basti infatti pensareall’art. 327, che prevede il passaggio in giudicatodella sentenza dopo sei mesi e non più dopo unanno dalla sua pubblicazione; oppure agli artt.50, 297, 305, 307, 327, 353 e 392, che hanno ridot-to tutti i precedenti termini a tre mesi. Ma la novi-tà più sorprendente è stata introdotta dall’art.257 bis, nuovo di zecca, che prevede - udite! udite!- la testimonianza scritta. In parole povere, graziea questo articolo il teste, senza scomodarsi dacasa, potrà rendere la testimonianza, risponden-do ad un questionario contenente i capi di prova,che gli sarà notificato a cura della parte interessa-ta. Dopo la compilazione il teste dovrà far perve-nire il modulo con plico raccomandato o brevimanu alla cancelleria del giudice, sperando chepoi venga inserito nel fascicolo. In questo modo iltestimone non dovrà più attendere ore per esseresentito, evitando anche il rischio di fare un viag-gio a vuoto perché magari quel giorno la causa èrinviata di ufficio. Sinceramente questa innova-zione mi lascia un poco perplesso, in quanto laprova verrebbe “assunta” senza contraddittorioanche se il legislatore ha previsto che essa è sub-ordinata all’accordo delle parti. E come dicevaquello, a questo punto sorge spontanea unadomanda. Ma secondo voi, chi provvederà a com-pilare il modello di testimonianza? La risposta ètalmente ovvia che preferisco non rispondere.Altra chicca è rappresentata dal calendario diudienza. È inutile che appizzate le orecchie: hodetto calendario di udienza e non calendario diPlayboy. Secondo l’art. 81 bis delle disposizioni diattuazione, anch’esso nuovo di zecca e che nonriesco a capire come potrà coordinarsi con l’art.81, il giudice, dopo la fase introduttiva del giudi-zio, deve indicare le udienze successive e gliincombenti (sic!), che dovranno essere espletati.Ma che cosa succederà del calendario se l’udienzafissata per l’assunzione della prova o per il giura-mento del ctu viene rinviata di ufficio per unosciopero o per indisponibilità del magistrato o seil testimone non viene o se il consulente nonrisulta avvisato? Secondo il mio modestissimoparere è la solita riforma fatta dietro al bancariel-lo e non sul campo, che nessun giovamento por-terà alla celerità del giudizio. Il pianeta giustizianon si salverà né con queste inutili riforme né conil processo telematico né con altre diavolerie delgenere. L’unica ancora di salvezza è rappresentatadall’aumento consistente di personale, di giudicie di risorse finanziarie, così come mi hanno con-fermato molti colleghi, con i quali ho avuto unoscambio di opinioni sulla riforma.P.S.: il seguito alla prossima puntata, quandoavrò finito di riordinare il cassetto.

contributi dai colleghi giugno 201042

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La rubrica curata dalla Commissione Bibliotecadell’Ordine degli Avvocati di Nocera Inferiore recensisceil libro “Studi di diritto della comunicazione. Persone,Società e Tecnologie dell’Informazione”.

Renato DiodatoPresidente della Commissione Biblioteca

Studi di diritto della comunicazione. Persone,Società e Tecnologie dell’Informazione.A cura di Virgilio D’Antonio, SalvatoreVigliar.Cedam, 2009, pp. 298, E 22,50.

Un ausilio didattico e al tempo stesso uno stru-mento tecnico per i professionisti: è il volume“Studi di diritto della comunicazione. Persone,Società e Tecnologie dell’Informazione”, a cura diVirgilio D’Antonio e Salvatore Vigliar, edito daCedam, che indaga sui risvolti più attuali e dina-mici della disciplina giuridica dell’informazione edella comunicazione. L’attenzione prestata alla scelta dei termini già apartire dal titolo evidenzia il proposito dei duecuratori di coinvolgere, nella trattazione, tutti gliattori coinvolti dai repentini cambiamenti, socia-li e tecnologici ancor prima che giuridici - ma chesul diritto hanno eccezionale influenza -, dellaattuale Società dell’informazione. Dieci gli autori che si confrontano con tematicheche spaziano dai confini moderni del fare infor-mazione fino ai profili giuridici delle più evolutepiattaforme di Information and CommunicationTechnologies, come i social network e i siti di aste online. La premessa, a cura di Pasquale Stanzione,ordinario di Istituzioni di Diritto Privato e giàpreside della Facoltà di Giurisprudenzadell’Università degli Studi di Salerno, sottolineala «spiccata dimensione pubblicistica ed unaaltrettanto rilevante anima privatistica» del dirit-to dell’informazione. Ed è proprio questa dupliceportata a costituire lo scheletro del volume, divi-so, secondo questo schema interpretativo condi-viso, in due sezioni. L’una, “Principi e norme”, hal’obiettivo di scandagliare l’evoluzione normativarapidissima del diritto dell’informazione e dellacomunicazione: il diritto di divulgare notizie, ilsuo rapporto con l’ordinamento giuridico euro-peo e con il principio di precauzione, la protezio-ne dei dati personali nei social network comeFacebook e Twitter ed il commercio elettronico,senza tralasciare il regime di responsabilità deisoggetti coinvolti in attività operate on line. La seconda sezione del volume curato daD’Antonio e Vigliar è invece titolata “Casi e que-stioni”: in modo del tutto coerente con l’impian-

to teorico-pratico del testo, il bagaglio di cono-scenze appena acquisito e sedimentato consegnaal lettore, nella seconda metà dell’impiantotestuale, una attenta indagine casistica, che pro-cede lungo una direttrice razionale che va dalledecisioni giurisprudenziali in tema di responsabi-lità di particolari figure di internet service provi-der - nello specifico, quella del sito di aste on lineeBay, nel confronto tra due sentenze di segnoopposto pronunciate negli Stati Uniti d’Americae in Francia in merito alla vendita all’asta di pro-dotti contraffatti - fino alle novità prospettate daldisegno di legge Alfano sul tema socialmente rile-vante delle intercettazioni di comunicazioni econversazioni e del loro bilanciamento con le esi-genze di indagine. Non restano fuori dal campodi ricerca del volume altri fenomeni considerevolicome le web radio e le politiche nate in seno allacomunicazione pubblica come disciplinata dallaLegge 150/2000 e destinate alla promozione dellepari opportunità. “Studi di diritto della comunicazione. Persone,Società e Tecnologie dell’Informazione”, pertan-to, costituisce, nell’alternanza degli stili espositividei dieci autori provenienti da branche diversedella ricerca scientifica, una guida per dipanare lacomplessità dello “sfondo giuridico” del nostrotempo.

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considerati di ragion pubblica perché dipendentidal sistema generale delle cose e delle azioni, inquanto viene determinato dall’interesse di tutto ilcorpo politico. Per conseguenza non è ancoraammessa la libera assoluta concorrenza delladonna in ogni genere di officio sociale, anzi èesclusa dalla diretta compartecipazione alla pub-blica attività nelle cariche, funzioni ed offici pub-blici” (Corte di Cassazione di Torino - caso Poët -estensore il Primo Presidente della Cassazionedott. Lorenzo Eula). I punti forti delle teorieavverse alla carriera delle donne in avvocaturafurono essenzialmente due: l’uno di caratteremedico, l’altro di carattere giuridico. Dal punto divista medico cominciò ad affermarsi la supposi-zione secondo cui le donne, causa il ciclomestruale non avrebbero avuto, almeno in circauna settimana al mese, la giusta serenità di giudi-zio nei casi di cui si sarebbero dovute occupare.Paradossalmente l’equilibrio fisico e biologicodella donna veniva ad essere considerato comeuna deficienza psicologica a cui appellarsi perimpedirne l’accesso all’attività forense. Il pensieroriposto, infatti, era che, a causa del ciclo mestrua-le, per una settimana circa ogni mese, le donnesarebbero prive dell’indispensabile serenità pergiudicare nei casi loro presentati. “Un’idea, que-sta, che nel Seicento con grande zelo coltivavaDon Bernardo de Sandoval y Rojas, non placatoInquisitore Generale a Zugarramurdi e Urdax,minuscoli villaggi ai piedi dei Pirenei, e cacciatoredi streghe aduse a riunirsi nelle messe nere e negliaquelarres, i sabba, durante i quali il sangue delmestruo era raccolto per fabbricare unguenti vele-nosi e liquidi mortiferi. In fondo, era l’ovviocorollario di quella concezione della società italia-na che, soprattutto in ambito borghese, ancoraresisteva arroccata nell’idea che il dimorfismo ses-suale fosse l’invalicabile discrimine al riconosci-mento dei diritti delle donne; e, questo, malgradola diffusione del principio di eguaglianza affer-mato dalla Rivoluzione francese” (da Donne InToga di Salvatore Maria Sergio, Colonnese,

Napoli, 2009). La seconda obiezione sollevatacontro la Poët era di carattere giuridico: le donneall’epoca, non godevano della parità di diritti congli uomini. Non potevano essere testi per proces-si dello Stato Civile o testimoni per un testamen-to; erano, inoltre, sottoposte alla volontà delmarito che dovevano seguire in ogni suo minimospostamento e cambiamento di domicilio.Permettere alle donne di svolgere attivitàd’Avvocato, dunque, sarebbe stato lesivo per iclienti perché si sarebbe dato loro “un patronoche non ha tutte le facoltà giuridiche”. Il nocerinoVincenzo Calenda di Tavani (Nocera Inferiore 8febbraio 1830, Nocera Inferiore 4 novembre1910), all’epoca procuratore generale dellaCassazione di Torino, sempre nel caso Poët, con-cluse così: “fino a quando l’organica strutturasarà qual essa fu mai sempre e le idee di pudore edi morale, come finora furono intese, reggerannoil mondo, non ci sarà chi da senno dica che lamilizia togata sia ufficio da donna; o dovrà dirsiche tale sia pur la milizia armata. Auguro all’Italiache non abbia mai a sentir il bisogno né delledonne soldato né delle donne avvocate”.(Vincenzo Calenda fu Ministro di Grazia eGiustizia e Culti del Regno d’Italia nel terzoGoverno Crispi. Figlio di Gregorio e di Artemisiade Vincentiis, sposò Acheropita Bruni Grimaldi,figlia del Senatore Nicola Bruni Grimaldi, dallaquale ebbe un figlio di nome Roberto. FuProcuratore generale presso la Corte diCassazione di Napoli e di Torino. Gli venne rico-nosciuto il titolo di “Nobile” con il predicato “diTavani”. Divenne quindi “Barone di Tavani” invirtù delle regie Patenti. Fu senatore del Regnodal 7 giugno 1886 e Ministro di Grazia e Giustiziadal 15 dicembre 1893 al 10 marzo 1896).Fu la prima guerra mondiale il momento di svol-ta, in quanto aprì nuovi spazi di lavoro femmini-le e, nel 1919, con l’abolizione dell’umiliante isti-tuto dell’autorizzazione maritale, cadde anchel’ostacolo della ammissione all’esercizio della pro-fessione forense: con l’approvazione della Leggen. 1126 del 9.3.1919 la donna fu ammessa “a parititolo degli uomini, a esercitare tutte le professio-ni ed a coprire i pubblici impieghi” (art. 7) adeccezione di quelli che implicavano poteri pubbli-ci giurisdizionali o l’esercizio di diritti e di potestàpolitici o che attenevano alla difesa militare delloStato. La Poët otterrà l’iscrizione all’Albo degliAvvocati nel 1920, dedicando la sua attività lavo-rativa per la tutela morale e giuridica dei minori eper la difesa dei diritti delle donne. Morirà aDiano Marina il 25 febbraio 1949.Ad oggi, sono 604 gli avvocati donna iscritti (su1317 iscritti) presso l’Ordine degli Avvocati delForo di Nocera Inferiore.

44 historia et antiquitates giugno 2010

Lapide commemorativa(per gentile concessione

dell’archeologoGianluca Santangelo).

Sottola Lente

a cura di Renato Diodato

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755 del 7/09/2001, n. 163 del 15/03/2002 e n. 545del 23/11/2007, per cui l’accertata prescrizione,totale o parziale, di contributi rende invalidi irelativi anni di iscrizione, che non potranno,quindi, essere utilizzati a fini previdenziali salvo ilricorso, sussistendone le condizioni, all’istitutodella “rendita vitalizia”;h) la Direzione Generale impartirà tutte le neces-sarie disposizioni operative, anche di carattereorganizzativo, agli uffici, finalizzate all’attuazio-ne della presente delibera e al rispetto, per il futu-ro, dei nuovi termini prescrizionali, per tutti irecuperi contributivi da avviare.

Nuove modalità di attivazionePEC dell’Ordine.

È possibile attivare tramite il link presente sul sitonel menù verticale posto sulla destra del portale,cliccando su “Sevizi informatici” e poi su“Attivazione PEC/Accedi alla tua PEC” la caselladi posta elettronica assegnata dal Consigliodell’Ordine ad ogni iscritto, con nome casella [email protected](esempio: [email protected]). Perattivare la casella l’iscritto deve essere munitodella tessera con chip di prossimità fornitadall’Ordine. In mancanza ci si dovrà rivolgere allasegreteria dell’Ordine per poter ottenere le cre-denziali necessarie alla attivazione della casellaLa PEC rilasciata dall’Ordine è gratuita per il2010 e, per i quattro anno successivi, è rilasciata alcosto di 6 euro. Attivando la PEC ufficialedell’Ordine automaticamente si adempie all’ob-bligo di legge della comunicazione della propriaPEC all’Ordine. Si ricorda che l’iscritto può auto-nomamente dotarsi di una PEC da altro fornito-re, occorre, però, per adempiere all’obbligo dilegge, comunicare tempestivamente alla segrete-ria dell’Ordine il diverso indirizzo.

L’avvocato Gianfranco Trottadi Nocera Inferiore eletto vicepresidente dell’Unione NazionaleCamere Minorili.

Sabato 8 maggio 2010 si è tenuta, a Roma, laprima riunione del direttivo dell’UnioneNazionale Camere Minorili successiva alle elezio-ni per rinnovo dei vertici nazionali, svoltesi loscorso 10 aprile. Nel corso del direttivo di sabato,sono state assegnate le cariche sociali. L’avvocatoGianfranco Trotta, presidente uscente della

Camera Minorile di Nocera Inferiore, è statonominato vice presidente nazionale per il triennio2010-2013. All’avvocato Trotta è stata assegnataanche la presidenza della “CommissioneRapporti con il Parlamento”.“L’investitura ricevuta - ha commentato l’avvoca-to Gianfranco Trotta - rappresenta per me motivodi grande orgoglio, nonché il riconoscimento dellavoro svolto negli ultimi cinque anni, primacome Presidente della Camera Minorile di NoceraInferiore e poi anche come Consigliere dell’Unio-ne Nazionale, dal 2008 ad oggi. Insieme al presi-dente Luca Muglia, al segretario Rita Perchiazzi,agli altri consiglieri Pasquale Cananzi, CarlaLettere, Carla Randi, Paola Lovati ed ElenaMerlini, intendo far sì che l’Unione assurga, nelpanorama nazionale, a quel ruolo che le competenell’ambito delle associazioni maggiormente rap-presentative, vista la produzione scientifica chene ha caratterizzato l’attività nel corso degli anni.Ed è proprio per tale motivo che anche laCommissione da me presieduta dovrà attivarsi dasubito per sensibilizzare la politica sui delicatitemi che riguardano i minori e la famiglia”.Il neo vice presidente ha così concluso: “Penso chesia motivo di estrema soddisfazione che una cari-ca così importante sia rivestita da un cittadinodell’agro nocerino-sarnese che porterà l’esperien-za locale a livello nazionale confrontandosi conrealtà metropolitane importanti quali Roma,Milano, Bologna ed altre. Ora l’importante è lavo-rare bene nell’interesse supremo dei minori, la cuitutela è il motivo ispiratore della nostra attivitàassociativa e professionale”.Nuovo presidente della Camera Minorile diNocera Inferiore è stato nominato l’avvocatoErmenegilda Vitiello, già consigliere dal 2008.Vice presidente è stato eletto l’avvocatoGianfranco Trotta. Il nuovo segretario dellaCamera Minorile di Nocera Inferiore è l’avvocatoTeresa Sammuri, mentre alla carica di tesoriere èstata confermata l’avvocato Veronica Russo.

47 notizie dal consiglio dell’ordine giugno 2010

Scadenziario Cassa Forense.1. Il 31 luglio 2010 scade il termine per il paga-mento della 1° rata dei contributi soggettivi eintegrativi dovuti in autoliquidazione per l’anno2009 (mod. 5/2010). 2. Il 30 settembre 2010 scade il termine per l’inviocartaceo del mod. 5/2010 (modalità residuale). 3. Il 30 novembre 2010 scade il termine per l’inviotelematico del mod. 5/2010 (modalità consiglia-ta). 4. Il 31 dicembre 2010 scade il termine per il paga-mento della 2° rata a saldo dei contributi sogget-tivi e integrativi dovuti in autoliquidazione perl’anno 2009 (mod. 5/2010). Per ogni ulteriore chiarimento è possibile rivol-gersi allo sportello previdenziale presso ilConsiglio dell’Ordine degli avvocati di NoceraInferiore che fornirà l’assistenza tecnica necessa-ria per l’adempimento di cui al punto 3.

Nuove regole per la prescrizione dei contributi.Il Consiglio di Amministrazione della CassaForense, con delibera dell’11/12/2008, ha disci-plinato compiutamente, attraverso una articolatadelibera assunta sulla base di una dettagliata rela-zione della Direzione Generale, l’istituto dellaprescrizione dei crediti contributivi, in tutti i suoiaspetti. La deliberazione è stata assunta tenendopresente i principi enunciati dalla giurisprudenzadella Suprema Corte di Cassazione con particola-re riferimento all’applicabilità anche al nostroEnte dell’art. 3, co. 9 della Legge 335/95 che dettaregole specifiche per la prescrizione dei crediti dinatura previdenziale, con conseguente abrogazio-ne implicita della previgente disciplina (art. 19, 1°co., Legge 576/80). La delibera del Consiglio diAmministrazione, di seguito riportata, rappresen-ta uno snodo fondamentale per inquadrare cor-rettamente l’istituto della prescrizione nel pano-rama previdenziale Forense, alla luce dei nuoviprincipi introdotti dalla Legge 335/95. Se da unlato, infatti, i termini di prescrizione diventanopiù stringenti (5 anni anziché 10) dall’altro vieneaffermato il rigoroso principio per cui l’accertataprescrizione, totale o parziale, di contributi rendeinvalidi, a fini pensionistici, i relativi periodi diiscrizione. Questo significa, nella pratica, cheanche davanti a modeste differenze contributivenon pagate (si pensi ad un banale errore di calco-lo in sede di mod. 5), se venisse accertato il decor-so dei termini prescrizionali, la posizione contri-butiva non potrebbe essere sanata e l’anno diiscrizione non potrebbe in alcun modo esserecomputato ai fini pensionistici.Delibera adottata dal Consiglio di amministra-

zione della Cassa Forense nella seduta dell’11dicembre 2008.

Delibera n. 606Oggetto: prescrizione dei periodi contributivi:relazione della Direzione Generale e provvedi-menti conseguenti.

- OMISSIS -delibera

a) per tutti gli accertamenti contributivi avviatisuccessivamente al 1° gennaio 2009, gli ufficidell’Ente sono tenuti ad applicare il termine pre-scrizionale quinquennale di cui all’art. 3, comma9 della Legge 335/95, in luogo di quello decenna-le previsto dall’art. 19, comma 1 della Legge576/80;b) il “dies a quo” per il computo del termine pre-scrizionale quinquennale, ai sensi del comma 2dell’art. 19 della Legge 576/80, da ritenersi tutt’o-ra in vigore, decorre dalla data di effettiva spedi-zione alla Cassa delle comunicazioni contenentigli esatti dati dichiarati ai fini IRPEF e IVA;c) ogni “atto interruttivo” dei termini prescrizio-nali, ove avvenuto anteriormente al 17/8/1995,interrompe la prescrizione dei contributi dovutialla Cassa e di ogni relativo accessorio, compor-tando il decorso di un nuovo termine prescrizio-nale decennale, come espressamente previsto dal-l’art. 3, comma 9 della Legge 335/95. Nel caso incui non siano stati compiuti atti interruttiviprima del 17/8/1995, il termine di prescrizionequinquennale decorre da quest’ultima data pur-ché, a norma della legislazione precedente (art. 19Legge 576/1980) non residui un termine inferiore;d) alle sanzioni ed agli interessi di cui all’appositoregolamento, da considerarsi accessori rispettoalla contribuzione dovuta, si applicano i medesi-mi termini prescrizionali previsti per le contribu-zioni dovute, salvo le sanzioni di natura ammini-strativa per omesso o ritardato invio del mod. 5(art. 5 del Regolamento per la disciplina delle san-zioni), il cui termine prescrizionale, sempre quin-quennale, decorrerà dal primo giorno successivoal termine previsto per l’invio del modello stesso;e) sono, comunque, fatti salvi tutti gli accerta-menti contributivi disposti sulla base dell’orien-tamento preesistente, se non contestati in viaamministrativa o giudiziaria dall’iscritto, purchéavviati in epoca precedente al 1° gennaio 2009;f) per le situazioni in contenzioso giudiziario e/oamministrativo l’ufficio legale è autorizzato aprocedere a tentativi di conciliazione alla luce deinuovi criteri adottati in materia di prescrizione,fermo restando una valutazione caso per caso del-l’oggetto complessivo della controversia e con sal-vaguardia di quanto dovuto a titolo di contribu-zione e spese compensate;g) restano fermi i principi di cui alle delibere n.

giugno 2010

Notiziedal Consiglio dell’Ordine

la redazione

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48 notizie dal consiglio dell’ordine giugno 2010

STATISTICHE ISCRITTI (IN FORZA)

STATISTICHE ISCRITTI PER SESSO (IN FORZA)

Ordinari Speciali Professori Stranieri Totali

TOTALE 1301 14 6 1 1322

CASSAZIONISTI 143 5 0 0 148

AVVOCATI 1158 9 6 1 1174

PRAT. SEMPLICI 173

PRAT. ABILITATI 399

TOTALE 572

CASSAZ. E AVVOCATI 1322

PRAT. SEMPL. E ABILITATI 572

TOTALE ISCRITTI 1894

OrdinariM • F

SpecialiM • F

ProfessoriM • F

StranieriM • F

TotaliM • F

M • F M • F

CASSAZIONISTI 127 • 16 4 • 1 0 • 0 0 • 0 131 • 17

AVVOCATI 577 • 581 3 • 6 5 • 1 0 • 1 585 • 589

TOTALE 704 • 597 7 • 7 5 • 1 0 • 1 716 • 606

PRAT. SEMPLICI 75 • 98

PRAT. ABILITATI 162 • 237

TOTALE 237 • 335

CASSAZ. E AVVOCATI 716 • 606

PRAT. SEMPL. E ABILITATI 237 • 335

TOTALE ISCRITTI 953 • 941

statistiche aggiornate al 09•06•2010