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Annuario CAI n. 2 Primavera 2015. Semestrale. Poste Italiane Spa. Spedizione in A.P. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1. comma 1, DR PD annuario cai padova duemila quattordici

Annuario CAI n. 2 Primavera 2015. Semestrale. (conv. in L ... · COMITATO DI REDAZIONE: Giuliano Bressan, Francesco Cappellari, Lucio De Franceschi, Fiorenza Miot- ... Marcolin, quest’anno

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Annuario CAI n. 2 Primavera 2015. Semestrale. Poste Italiane Spa. Spedizione in A.P. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1. comma 1, DR PD

annu

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cai

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i

annuariocai padova

duemilaquattordici

indice

• 1 •

SEMESTRALESEGRETERIA REDAZIONALE c/o Sezione CAI - 35131 Padova - via Gradenigo, 10 - Tel. 049.8750842 www.caipadova.it - [email protected] Italiane Spa - Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1. comma 1, DR PDAutorizzazione del Tribunale di Padova n. 401 del 5/5/06DIRETTORE RESPONSABILE: Giovanni PivaCOMITATO DI REDAZIONE: Giuliano Bressan, Francesco Cappellari, Lucio De Franceschi, Fiorenza Miot-to, Luigina SartoratiIMPAGINAZIONE GRAFICA E STAMPA: Officina Creativa s.a.s.IN COPERTINA: il Cho Oyu (foto Alberto Pacellini)

sede • Relazione del Presidente 2

cronache• Il Coro festeggia 70 anni 6• Montagna Insieme, Gruppo Montagna

Terapia del CAI di Padova 6• Commissione Sentieri e Cartografia 7• Addio Bivacco Cosi… 8• … o forse solo arrivederci 9• Tenno 2014: “La Cordata” 10• Sicurezza in montagna in collaborazione

con l’Università di Geoscienze 12

dialoghi• Father Gabriele 14• Vittorio Alocco 17

diario alpino• Cho Oyu (8201 m), una bella rivincita 24• Mountain Wilderness Whaki Project 2014 36• Hawaii Viaggio nelle isole del surf, delle cascate e dei vulcani 40• Il deserto dei Sultani Diario di viaggio 46• Basta un aereo e... si trova il sole! 50• Un cinghiale in terra Corsa 54• Nepal, Natale speciale con gli yak 56• Translagorai 62• Una gita in Umbria 68• Francigena 2014 Il rapporto umano è

l’obiettivo raggiunto 70• Iran o Persia? L’importanza del nome 74• Los Compadres 82• La Via degli Dei con gli amici del DAV di Friburgo 84• Sudare per gli Dei 85

Vivere il vento 87

itinerari alpini• Falesia di Campore. Un’arrampicata gentile… Cerna di Sant’Anna di Alfaedo 88

alpinismo giovanile• L’AG di Padova a scuola 91

escursionismo• Salita alla cima della Presanella 92

trekking• Costiera Amalfitana 94• Alpi del mare La Liguria che non ti aspetti 100• Fra i monti di Albania, Kosovo e Montenegro Un trekking che rimane nel cuore 105• Isole Eolie 109

scuola di alpinismo• 24° Corso AL1 114• 12° Corso cascate di ghiaccio e un po’ di Fisica applicata… 116

soccorso alpino• Cambio al vertice nel Soccorso Alpino di Padova 120

veterani• Una veterana sui Cadini 122

commissione culturale• Un anno di serate 124

ricordiamo• Walter Cesarato 126• Giorgio Tosi 127• Tonino Tognon 129• Gabriella Santoro 129• Vasco Trento, 10 anni fa 130• Annamaria Ercolino De Luca 131• Vincenzo Dal Bianco 133

sede • Premio Marcolin 134• Tesseramento 135

ASSEMBLEA SOCIALE 27 marzo 2015

RELAZIONE DELLA PRESIDENZA

Sembra passato molto tempo ma è solo da un anno che stiamo utilizzando appieno la nuova sede ed è da un anno che stiamo utilizzando il nuovo sistema di tesseramento telematico. All’inizio ave-vamo qualche preoccupazione pensando che que-ste novità potessero creare qualche problema nel rapporto con i soci e con il tesseramento.Come si può vedere dai grafici allegati alla rela-zione, non è stato così: gli iscritti complessivi sono aumentati di una settantina di unità. Ciò è dovuto sia all’aumento dei nuovi iscritti 446 contro 413 del 2013, sia a una perdita di iscritti più bassa, 383 contro i 434 del 2013.Rimane però il fatto che il 12% dei soci non rin-nova la tessera e il 40% di questi si erano iscritti per la prima volta nel 2013. Sono dati in miglio-ramento rispetto agli anni precedenti ma rimane comunque elemento di riflessione.

Relazione del Presidente

sede

Durante quest’anno il Consiglio Direttivo si è riu-nito 11 volte, lavorando in modo propositivo ed in sostanziale accordo.I Delegati hanno presenziato all’assemblea an-nuale veneta ad Auronzo, quella nazionale a Gra-do e quella biveneta a Cortina.

Le attività sezionali collettive hanno avuto un buon successo e partecipazione. Si sono svolti:• l’incontro sui Colli in occasione dell’inizio ufficia-le delle attività sezionali con la partecipazione di quasi tutte le commissioni; • la festa sezionale al rifugio Padova con la pre-sentazione della mostra fotografica e della mono-grafia dedicata a Vittorio Alocco e con la presenza dei nipoti e pronipoti, • la consegna delle aquile d’oro e del premio Marcolin, quest’anno assegnato Mirko Gasparet-to, storico dell’alpinismo e vicecapo redattore di Alpi Venete, si è tenuta durante una bella serata in sede con la partecipazione del coro della sezione e del gruppo di musica popolare latinoamericana “orabuena”; • agli inizi di dicembre da tutte le commissioni è stata organizzata una grande e riuscita serata pubblica dove è stato presentato unitariamente il programma sezionale per il 2014.• sono continuati i tradizionali rapporti con la DAV di Friburgo, con la partecipazione in comune a due iniziative: il trekking della Via degli Dei, e una serie di escursioni sulla Costiera Amalfitana.

Molto impegnativo anche il lavoro svolto dai vari gruppi e commissioni.

Impegnativo il lavoro della commissione rifugi dopo le abbondanti nevicate invernali che hanno danneggiato le nostre strutture richiedendo inter-venti di risistemazione piuttosto rilevanti soprat-tutto per il rifugio Berti. Il 12 novembre inoltre una grossa frana ha spaz-zato via il Bivacco Cosi che era in corso di ristrut-turazione.

Intensa come sempre l’attività della scuola alpi-nismo e scialpinismo. Ha svolto con successo cinque corsi: scialpinismo base (SA1), Corso di Arrampicata libera base (AL1), Corso di alpinismo (A1), Corso di alpinismo su roccia (AR1), Corso di Ghiaccio (AG1). Sono stati formati complessiva-mente 130 allievi.Inoltre il gruppo di alpinismo della scuola si è atti-vato nella realizzazione del corso di introduzione alla frequentazione della montagna organizzato dai dipartimenti dell’Università di Padova di Geo-scienze, scienze forestali e ingegneria ambientale, e nelle collaborazione in uscite con l’Alpinismo Giovanile e con la Commessione Escursionismo.

La Commissione per l’Escursionismo e la Scuo-la di Escursionismo “Vasco Trento” si sono im-pegnate su vari fronti.Sono stati organizzati corsi di sci di discesa e fon-do in collaborazione con lo Sci Club Monte Fato che hanno visto la partecipazione di circa 100 per-sone. Sono state organizzate 36 escursioni di cui quattro in ambiente innevato (una sperimentale con un gruppo misto di Ciaspolatori e scialpini-sti), due trekking da più giorni, una escursione in grotta con la collaborazione del gruppo speleolo-gico e una alpinistica con la salita della Presanella in collaborazione con la scuola di alpinismo. Le iniziative si sono caratterizzate per varietà di diffi-

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ORDINARI  

FAMILIARI  

GIOVANI  FINO  A  18  ANNI  

AGGREGATI  

VITALIZI  

2083  

708  

259  

20  

1  

Iscri&  alla  sezione  CAI  di  Padova  2014  Totali  3071  

MASCHI  67%  

FEMMINE  33%  

 

 

 

 

NUOVI  ISCRITTI  

ISCRITTI  DA  2  A  5  ANNI  

ISCRITTI  DA  6  A  25  ANNI  

ISCRITTI  DA  26  A  50  ANNI  

ISCRITTI  DA  PIU  DI  50  ANNI  

0   200   400   600   800   1000  1200  1400  

445  

653  

1304  

585  

64  

Distribuzione  per  anni  di  iscrizione  (escusi  gli  aggregaI)  

0   200   400   600   800   1000   1200   1400  

GIOVANI  (FINO  A  18  ANNI)  

GIOVANI  (DAI  19  AI  25  ANNI)  

ISCRITTI  DAI  26  AI  40  ANNI  

ISCRITTI  DAI  41  A  60  ANNI  

ISCRITTI  CON  PIU'  DI  61  ANNI  

259  

170  

600  

1248  

774  

Distribuzione  per  fasce  di  età  (esclusi  gli  aggregaI)  

 2840   2860   2880   2900   2920   2940   2960   2980   3000   3020   3040   3060  

ISCRITTI  2011  

ISCRITTI  2012  

ISCRITTI  2013  

ISCRITTI  2014  

2920  

3009  

2988  

3051  

Iscri&  totali  (esclusi  aggregaI)  

 

 

 

 

 

ORDINARI  

FAMILIARI  

GIOVANI  FINO  A  18  ANNI  

AGGREGATI  

VITALIZI  

2083  

708  

259  

20  

1  

Iscri&  alla  sezione  CAI  di  Padova  2014  Totali  3071  

MASCHI  67%  

FEMMINE  33%  

NUOVI ISCRITTI

ISCRITTI DA 2 A 5 ANNI

ISCRITTI DA 6 A 25 ANNI

ISCRITTI DA 26 A 50 ANNI

ISCRITTI DA PIU DI 50 ANNI

0 200 400 600 800 1000 1200 1400

445

653

1304

585

64

Distribuzione per anni di iscrizione(esclusi gli aggregati)

di Angelo Soravia

coltà e ambienti visitati, coinvolgendo più di 900 partecipantiLa scuola di escursionismo ha organizzato, oltre a vari momenti di aggiornamento per gli accom-pagnatori della nostra sezione, il 2° corso di for-mazione e verifica per Accompagnatori sezio-nali di Escursionismo aperto a tutte le sezioni del Veneto, con 25 iscritti di diverse sezioni del Vene-to oltre a 10 iscritti del gruppo veterani sezionale. Per i nostri soci sono stati organizzati il corso di escursionismo in ambiente innevato, quello di escursionismo base e il primo corso di perfe-zionamento Ferrate e sentieri attrezzati, con una partecipazione complessiva di una novantina di allievi.La commissione è stata inoltre particolarmente attiva nell’attività promozionale con una massic-cia produzione e diffusione di materiale e parte-cipando con continuità alla manifestazione Corri per Padova.

Anche quest’anno la commissione per l’Alpi-nismo Giovanile è stata molto attiva, sia con le iniziative per i ragazzi, sia nella formazione dei propri accompagnatori. Sono state organizzate attività per le varie fasce d’età con una buona partecipazione: 28 ragazzi tra gli 8 e gli 11 anni, 42 tra i 12 e i 18 anni e 12 ragazzi dai 18 ai 23 anni.L’attività del gruppo si è rivolta anche all’esterno dell’associazione con il progetto “MontagnAmo” destinato all’associazione Down DADI di Padova e con l’attività svolta presso una scuola elementa-re di Albignasego.Sempre buona la collaborazione con le altre com-missioni sezionali e molto partecipata da ragazzi e genitori il pranzo finale con la consegna dei di-plomi.

Il Gruppo Veterani ha avuto un costante aumen-to di nuove adesioni e i partecipanti alle gite, tanto

da dover sempre più frequentemente organizzare 2 pullman.Sono state organizzate 47 uscite di cui 5 con tra-sferimento in auto con la partecipazione di 2370 cioè 53 partecipanti in media per ogni gita.Una decina di Veterani stanno frequentando il corso di accompagnatori sezionali colmando così una storica lacuna.

Durante l’anno sono continuate le attività di esplorazione del Gruppo Speleologico Padova-no sia in grotta naturale, Piani Eterni e Altopiano di Asiago, che nelle cavità sotto il sistema murario di Padova in collaborazione con il Comitato Mura e con l’Amministrazione Comunale. Alcuni soci hanno inoltre partecipato a spedizioni all’estero: Chiapas e ghiacciaio Gorner in Svizzera.Si sono inoltre regolarmente svolte le attività ri-guardanti il corso di introduzione alla speleologia e le iniziative culturali “Appuntamenti al Buio” sono state inserite con notevole successo nelle serate “ I Martedì del Cai” e in quelle culturali.

Importanti cambiamenti nel gruppo del Soccorso Alpino: Antonio Feltrin, dopo quasi vent’anni di onorato servizio, lascia il posto al nuovo capo-stazione Maurizio Scollo. Vice capo sarà per il prossimo mandato Daniele Tonin. Il 2014 è stato inoltre un anno di importante crescita del gruppo sia nell’organico che nelle specializzazioni.

Nel corso del 2014 il nostro bibliotecario Flavio ha proseguita la catalogazione dei volumi che si erano accumulati negli ultimi anni e la biblioteca è stata trasportata nella nuova sede.

Nel 2014 il coro ha compiuto 70 anni! La ricor-renza è stata festeggiata con un appassionante concerto tenuto al Conservatorio Pollini assieme al coro Lavaredo che compiva 50 anni.Molto gratificante anche la partecipazione al me-

gaconcerto con altri 50 cori tenutosi all’Arena di Verona in occasione del Raduno Triveneto degli Alpini.Complessivamente il coro ha tenuto 21 concerti molti dei quali nelle ricorrenze sezionali. Anno difficile per la Commissione Culturale: la scomparsa di Tonino Tognon ha lasciato un vuo-to difficilmente colmabile. I successi delle serate pubbliche al San Gaetano ci hanno però convinto a non mollare. Si è formato quindi un unico grup-po di lavoro con gli aderenti al Gruppo Natura-listico Culturale che organizzano “I martedì del Cai” e alcuni soci già operativi nella Commissione Culturale.È stato elaborato così un programma che ha otte-nuto un insperato successo: sei appuntamenti al San Gaetano molto partecipati, e ben 25 serate organizzate in sede, quasi tutte hanno ottenuto un buon successo. Considerando i risultati nel 2015 insisteremo con questa formula.

Il Gruppo Naturalistico Culturale si sta consoli-dando sempre di più come gruppo trasversale e diventando punto di riferimento per tutte le attivi-tà culturali della sezione.Oltre alla normale programmazione di visite cul-turali ed escursioni naturalistiche sempre molto frequentate, ha organizzato un corso di introdu-zione alla micologia, e iniziative congiunte con al-tre commissioni e organizzazioni culturali esterno al Cai.

Il gruppo Trekking ha potenziato l’attività propo-nendo e organizzando sei iniziative tra cui la visita all’Iran con tentativo di salita al Damavand, un bel trekking tra i confini di Albania, Montenegro e Kossovo e continuando l’esplorazione agli arcipe-laghi italiani con una partecipatissima settimana sulle isole Eolie.

Le nuove forme di comunicazione: Notiziario, Sito internet e rapporti con i media, che abbia-mo sperimentato hanno funzionato bene. L’an-nuario è stato apprezzato e le visite al sito si sono stabilizzate intorno alle 9000 visite mensili. Sono state realizzate due monografie, una dedicata a Sergio Billoro e una a Vittorio Alocco.

Negli ultimi mesi dell’anno si sono anche formati nuovi gruppi di lavoro: uno che riguarda la ma-nutenzione della palestra di Rocca Pendice, uno che si occuperà della sistemazione dei sen-tieri dei Colli e un gruppo di Montagna Terapia. I gruppi sono già stati formalizzati e stanno prepa-rando l’attività per il 2015.

Possiamo quindi dare un giudizio positivo sul la-voro della sezione anche per il 2014. La nuova sede, le nuove opportunità offerte ai soci dalle varie commissioni e gruppi. l’impegno messo da alcuni nella attività di promozione stanno dando buoni frutti che si vedono sia con l’aumento del numero di iscritti, ma soprattutto con il bel clima che si è creato, con l’aumento della disponibilità di nuovi soci e con le molte collaborazioni tra i vari gruppi di lavoro. Positivo anche il rinnova-mento complessivo dei gruppi dirigenti e del quadro attivo che nulla ha tolto a quanti si sono impegnati in passato e che vogliono continuare nel loro impegno.Per tutto ciò devo ringraziare tutti quelli che han-no condiviso e dato il loro contributo, appassiona-to e volontario, alla realizzazione dei progetti che via via ci siamo posti.

La relazione completa letta in Assemblea è con-sultabile sul sito www.caipadova.it

• 4 • • 5 •

Sala gremita all’auditorium del Conservatorio per l’appuntamento che ha celebrato la ricorrenza

della costituzione del Coro della nostra Sezione nel 1944.

Il Coro festeggia 70 annicon un concerto al Pollini

Commissione Sentieri e Cartografia

cronache cronache

Alla fine del 2014 è ufficialmente nata la Commis-sione Sentieri e Cartografia della Sezione di Pado-va del Club Alpino Italiano.Da tempo si sentiva la necessità per la Sezione di Padova di dotarsi di un gruppo di persone forma-te nella sentieristica e nella cartografia, nell’inten-to di incaricarsi della tracciatura, normalizzazione e manutenzione della fitta rete di sentieri esistenti nell’area di competenza.Oltre 20 persone sono già operative e effettuano rilevamenti lungo i sentieri del parco Colli.

LA MISSIONE DELLA COMMISSIONE SENTIERI E CARTOGRAFIA è:a) Provvedere all’individuazione e pianificazione della Rete Escursionistica Sentieristica della zona di operatività, agendo anche in collaborazione con altre Associazioni e sezioni CAI operanti nel medesimo territorio.b) Provvedere alla manutenzione ordinaria dei sentieri e al posizionamento della segnaletica.c) Provvedere all’aggiornamento dei dati signifi-cativi dei sentieri, con le eventuali modifiche dei percorsi escursionistici, segnalandoli agli Enti e as-sociazioni interessate, alla Commissione Sentieri Regionale e alla CCE Sentieristica Cartografiad) Provvedere alla formazione ed aggiornamento dei componenti della Commissione Sentieri sulla sentieristica e cartografia e relativi strumenti infor-matici, affinché diffondano la conoscenza tecnica a livello sezionale.e) Provvedere alla redazione e aggiornamento della cartografia escursionistica della zona operati-

va in accordo con le linee guida per la cartografia del CAI.f) Elaborare proposte progettuali ed eventi pro-mozionali su sentieristica e cartografia.g) Offrire supporto tecnico al Consiglio Direttivo Sezionale sul tema della normativa sulla sentieri-stica e viabilità minore.h) Elaborare una relazione sullo stato della sentie-ristica in carico almeno una volta all’anno.

Un programma ambizioso che ha bisogno di un cospicuo numero di persone che, animate dalla voglia di fare possano, nel tempo libero, dedicarsi alla sua realizzazione contribuendo con la propria esperienza e con… pennello, pala, piccone e, perché no, Gps e Pc.Chiunque sia interessato a partecipare alle attività della commissione è benvenuto.Per diventare operativi è necessario un periodo di istruzione e la partecipazione alle riunioni periodi-che della Commissione.Per informazioni rivolgersi in segreteria CAI la-sciando un recapito telefonico o un indirizzo di posta elettronica. Sarete ricontattati.Vi aspettiamo.

Il coordinatore del Consiglio Direttivo

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Montagna Insieme Gruppo Montagna Terapia del CAI di Padova Nello mese di dicembre 2014 è stato costituito dal Consiglio Direttivo il Gruppo Montagna Tera-pia ‘’G.M.T.‘’ denominato Montagna Insieme, con lo scopo principale di diffondere e promuo-vere la frequentazione della montagna nei suoi aspetti naturalistico-ambientali e storico-cultura-li come dimensione di accrescimento e trasformazione personale psicofisici per la prevenzione, la cura e la riabilitazione di differenti problematiche, patologie e disabilità. Il Coordinatore del Gruppo e il Consiglio Direttivo, rimarranno in carica per i prossimi tre anni.Il programma prevede una serie di incontri, peraltro già iniziati a livello informale, con i respon-sabili di Enti e Associazioni del territorio, operanti nei settori specifici della prevenzione, cura e riabilitazione delle diverse problematiche e patologie psicofisiche delle persone disabili.Questi primi contatti avranno lo scopo di illustrare le nostre possibilità di collaborazione nel supportare l’organizzazione e l’effettuazione di attività da svolgersi congiuntamente sulle nostre montagne.

Se si trattasse di un vecchio amico, o di uno sti-mato conoscente, verrebbe da dire, con gran ram-marico e anche con rispetto, “ci ha lasciati senza clamore, se n’è andato in silenzio”. Ed è questo, in realtà, proprio ciò che ha fatto il bivacco fisso “Piero Cosi”, da 58 anni vanto del Cai Padova sul-la più fiera vetta del Cadore, l’Antelao, lasciandoci come un amico improvvisamente scomparso. Un puntino rosso, a vederlo da lontano, dalle cime “gemelle” del grande sperone dolomitico. Un ap-poggio modesto ma fidato per eventuali momen-ti difficili in quota, con la solitudine, la fatica, le condizioni ambientali a volte ostili, d’estate come d’inverno, su una cima che non offre agevoli alter-native a coloro che si avventurano sulla sua nor-male o lungo i suoi diedri infiniti e le sue creste verticali. Era stato messo lì per quello, il bivacco Piero Cosi. E a mettercelo, lassù a 3110 metri di quota, incastrato tra le rocce, non era stata un’im-presa da poco, nel lontano 1956. Fin dalla scelta della collocazione, resa ardua dalla inconsueta struttura inclinata della cima, con le sue celebri laste, poderosi strati di roccia grigia parzialmente sovrapposti come scaglie d’un tetto d’altri tempi: ricettacolo di furiosi temporali, scivolo ideale per spessi manti nevosi.

Individuato un punto adatto, appena discosto dal tracciato della via normale e appartato tra speroni rocciosi, il bivacco, capace di dare riposo e allog-gio a nove persone su altrettante brande disposte intorno a un tavolo, era stato portato su a spalle in pezzi e montato sul posto dai soci del Cai Padova con l’aiuto degli Alpini. Era dedicato alla memoria di un giovane che nella grande epoca dell’alpi-nismo padovano aveva solleticato immaginazioni e grandi prospettive alpinistiche. Speranze stron-cate. Ma Piero Cosi non era morto in montagna, e la sezione così aveva pensato di onorarlo, con una struttura innovativa per il tempo e che avreb-be aperto un’epoca importante per i fruitori della montagna, quella dei bivacchi “tipo Berti”.Prima di portarlo su il bivacco era stato benedet-to con una cerimonia religiosa officiata ai piedi di Rocca Pendice, la nostra palestra naturale sui Colli Euganei. Poi si era organizzata l’imponente trasferta, culminata dopo un duro lavoro con un brindisi in quota e le immancabili cante.Ultimamente la struttura, quasi alla soglia dei sessant’anni, aveva chiesto un po’ d’attenzione in più, perché i materiali con cui era fatto, legno e lamiera, esposti al clima severo avevano bisogno di restauro. E così a Padova da tre anni ci si stava organizzando per rimetterlo al meglio, ostacola-ti però da stagioni avare: troppa neve residua o troppa pioggia nei momenti più adatti al lavoro in quota. Dopo un primo intervento effettuato dai nostri soci per smuovere un lastrone non più molto sicuro che lo minacciava, si era tentato la scorsa estate di portarlo a valle per risistemarlo

Addio Bivacco Cosi…

… o forse solo arrivederci

cronachepiù agevolmente. Ma anche l’ultima estate, sem-pre instabile, era scivolata via senza che i lavori potessero avere buon esito. E sulle laste sono ar-rivate le prime nevicate, mentre i colori autunnali del bosco, molto più in basso, erano come una cartolina di “arrivederci” alla stagione migliore, dopo la primavera. Una grande frana, in una sera di metà novembre, aveva rumoreggiato nella valle già in ombra. Ma senza troppo dare nell’occhio, inizialmente.Quando, alcuni giorni dopo, c’è stato chi ha volu-to controllare quanto successo sulla cima dell’An-telao, la scoperta è stata probabilmente come un pugno a sorpresa nello stomaco: il puntino rosso non c’era più, e non perché ricoperto dalla neve ma perché trascinato via con una fetta di monta-gna, sgretolatasi e disseminata a blocchi lungo le pendici dell’Antelao.Addio bivacco Cosi, vecchio amico, riparo dal ven-to e dalla nebbia, complice ammiccante di albe e tramonti.

La situazione al bivacco era difficile. I controlli effettuati negli ultimi tre anni avevano portato a stabilire tempi e metodi per il suo rifacimento. Ma in montagna, si sa, non è l’uomo che comanda. Come quando si vuole raggiungere un’alta vetta ci devono essere preparazione umana accomu-nata ai voleri della natura. Con Roberto Giaco-metti, alias Bigné, si erano trovati i fondi, stabiliti i tempi, organizzata l’officina. Nulla è valso a causa delle avverse condizioni.Ora il bivacco, forse stanco di tanto aspettare, se n’è andato. Forse aveva preso una tale barca di freddo negli anni che ha voluto scendere a valle, in zona più tiepida. Secondo me è ancora integro sotto quella coltre

di massi, finalmente riparato dalle nevicate. Basta scavare un po’ ed entrarci, stendersi nelle brande, dispiegare le coperte e mettersi a dormire.Lassù in montagna, nel cuor delle Alpi, un bivacco ci vuole. Il Cosi ha salvato molte vite, ha riparato tanti alpi-nisti presi fuori dalla tormenta o dal ritardo. Per-ché l’Antelao non è farina da fare ostie.Ora però non possiamo sapere cosa ne sarà delle laste, se avranno ancora il loro punto d’appoggio. Si dovrà attendere la prossima estate, quando la montagna sarà sgombra dalla neve, e capire se sarà possibile riposizionarlo.Magari, questa volta, più protetto dalle copiose nevicate, per non fargli prendere troppo freddo.

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di Giovanni Piva

di Francesco Cappellari

Cari Amici convenuti a Tenno per scambiare idee sul tema della cordata lasciatemi ringraziare Flo-rian, Franz, Heinz e tutti coloro che hanno ideato e reso possibile questo simpatico convegno, per aver dato al Monodito di Ferrara, che già in altre occasioni ha risposto con entusiasmo ai loro inviti, la possibilità di partecipare anche a questo incon-tro e al sottoscritto di condividere le proprie idee su un tema tanto affascinante.

Non essendo un professionista della montagna e non essendo il mio nome di alcun rilievo nel pa-norama alpinistico, evito accuratamente di parlare della cordata sia da un punto di vista evocativo (perché la mia attività alpinistica è quella di chi da sempre pratica la montagna nel solo tempo libero per un entusiasmo trasmesso in famiglia fin dalla giovane età) sia da un punto di vista tecnico (perché è evidente che non ho nulla da insegnare ad alcuno).Inoltre poiché questa sera ho dovuto presentarmi “in solitaria” e non amando parlare al posto di al-tri, ho cercato una strada del tutto personale per parlare della cordata che così è diventata un’otti-ma scusa per rivedere situazioni e fatti che hanno contribuito alla mia crescita: di ragazzo adolescen-te e figlio dapprima, successivamente di giovane entusiasta che mentre scopre la libertà del proprio agire, si misura nel gestire le responsabilità che la frequentazione della montagna impone prepa-randosi ad affrontare quelle derivanti dall’ingresso nel mondo degli adulti e del lavoro, ed infine di uomo maturo, non solo amico cosciente e rico-

noscente, ma anche padre che accompagna la crescita dei figli.L’approccio con la montagna e la sua frequen-tazione attraverso l’arrampicata, come per molti altri, e aggiungo per mia fortuna, risale alla mia gioventù, si è consolidato nel tempo ed oggi per-dura seppure con tempi e modi commisurati alla mia età e alle responsabilità che ho nei confronti della mia famiglia e della gente, nella certezza tuttavia che la montagna rimane un meraviglioso fattore di equilibrio.E rivedendo quindi la mia attività attraverso lo strumento che in questi anni l’ha conservata alla mia memoria, intendo quel poco che è il mio dia-rio alpinistico, che continuo però ad aggiornare anche con fatti che non appartengono all’alpini-smo, ma che nel loro divenire a quello si sono intrecciati, riconosco che il significato più imme-diato e pregnante che posso dare della parola cordata è senza alcun dubbio quello di metafora della vita e che ciò che ha caratterizzato l’una di volta in volta ha avuto ripercussioni sull’altra in modo vicendevole.

Dunque ripensare alla cordata è capire che per me non è stato il semplice legarsi al capo di una corda, ma è stato crescere e vivere.Riguardando le prime esperienze che risalgo-no al periodo dell’adolescenza rivedo come fondamentale l’avere avuto il privilegio, perché personalmente tale lo ritengo, di essermi legato all’altro capo della corda di mio padre, in un con-tinuo educativo che ha trovato, in una maniera

sicuramente intensa di frequentare la montagna, un modo assai concreto di mettere in pratica gli insegnamenti quotidiani che ogni genitore in ogni occasione sa trasmettere ai propri figli nel rispetto della loro identità, ma nella certezza che al loro compito non vi è deroga. Esattamente come quando si va in montagna e si arrampica. Le regole vanno conosciute progressivamente nei tempi e nei modi più efficaci senza forzature, ma in modo che non conosce equivoci e con le ne-cessarie verifiche. Ecco perché quelle prime salite, inizialmente da secondo e poi da primo, ma sem-pre in compagnia di mio padre, sono quelle che mi pare di poter chiamare le salite della cordata della buona educazione e dell’apprendimento. Il raggiungimento di un’età più adulta, coscien-te dell’esistenza di regole del gioco, ma ancora povera delle vere responsabilità della vita, quan-do tutto era ancora da fare, nell’essere libero di scoprire e, nella scoperta, di cogliere le ragioni di una grande gioia, coincide con il periodo che mi piace chiamare della cordata della scoperta e della libertà. I vent’anni indicavano un passato che seppure non remoto era già inevitabilmente tale, ma del futuro non vi era alcun dubbio. Il tempo della vita quotidianamente speso nell’ultima fase dell’ap-prendere formale, quello impegnativo degli studi universitari seri, duri, ma decisivi per la realtà fu-tura, pulsava al ritmo di salite di maggior impegno e nella solidale compagnia di amici con i quali già nelle ultime lunghezze di un’ascensione, facendo i conti sulla scadenza del prossimo esame e di quel che girava per le tasche, si fantasticava della successiva e la si sperava già lì.Passano gli anni, ma non si esaurisce la passione.Paradossalmente, nel momento in cui affronto in successione le vere sfide della vita, l’inserimen-to nel mondo del lavoro, l’assumersi in modo sempre più autonomo le responsabilità a questo

legato, il costruire una famiglia guardando negli occhi i figli, quello che per molti è solo un gio-co e per altri un rischio vuoto ed egoisticamente gratuito, mi lego ancora al capo di una corda che mi accompagna ancora, e, sorprendentemente, la passione in modo naturale e leggero si rinnova. La cordata non è cancellata, non è stata buttata via. Assolutamente no. Anzi mi aspetta, perché sembra conoscere i miei tempi: è questa la cordata della maturità, della se-renità, della consapevolezza, della pienezza.Ora arrampicare significa escludere la fretta, l’af-fanno, la corsa, il confronto. La corda trasmette sentimenti e mi lega al compagno che con un sor-riso mi conferma che nulla è per caso. Incredibilmente mi ritrovo addirittura a bivaccare, per godere ancor di più e più a lungo del bello della montagna, come neanche a vent’anni ave-vo mai fatto, su pareti e lungo vie che da sempre erano state sogni. E, sogno nel sogno, capita anche che nel giorno di un irripetibile compleanno, laggiù, sul ghiaione, Margherita e Caterina siano venute a gridare: “Au-guri babbo!”, in attesa del loro turno. Sì perché anche per me è venuto, in modo natu-rale e sereno, il momento di sapere che al capo della corda ci potranno essere e anzi già si sono legate le mie figlie. È il segno allora che un nuovo ciclo, reso forte da una corda, è già iniziato.È per questo allora che sento forte la necessità di esprimere a tutti i miei compagni un forte senti-mento di riconoscenza perché senza di loro non ci sarebbe stata per me una grande esperienza: quella chiamata cordata.

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Tenno 2014: “La Cordata”

cronache

di Paolo Gorini

Si è conclusa domenica 6 aprile un’interessante iniziativa promossa dall’Università di Padova, fa-coltà di Geoscienze, in collaborazione col Club Alpino Italiano - sezione di Padova.Le due realtà hanno collaborato per la prima volta insieme nell’ottica di fornire agli studenti del di-

partimento di geologia, scienze forestali ed inge-gneria ambientale, una maggiore consapevolezza relativamente ai pericoli della montagna e all’ap-proccio corretto verso la stessa, sia esso legato a motivazioni personali oppure legato a necessità di studio. È noto che geologi e forestali devono

muoversi in ambiente montano per svolgere le loro indagini e sopralluoghi, pertanto il diparti-mento di Geoscienze, precisamente nella figura della Biblioteca, ha promosso un’iniziativa mirata a fornire le basi della frequentazione consapevole della montagna. L’iniziativa si è articolata in due seminari teorici, aperti a tutti, indetti dall’Università stessa e tenuti da docenti di geologia e da membri del Club Alpi-no e due escursioni in ambiente, ristrette ai soci del Club Alpino Italiano.I temi trattati nei due seminari sono stati rispet-tivamente: 25 marzo: pericoli della montagna in generale, soggettivi, oggettivi, ambientali, pianificazione di un sopralluogo per rilievi geologici e pericoli connessi alle aree in frana, dinamica delle colate veloci e dei crolli in roccia, modalità di rilevamen-to geomeccanico e tecnologie rilevamento e pre-visione moderni. 2 aprile: seminario tenuto dai Membri del Centro Studi Materiali e Tecniche di Padova, illustrazione della dinamica del volo e dei test sui materiali re-alizzati al Doderò.Il 29 marzo, per 11 soci iscritti al Cai, studenti di geologia e ingegneria ambientale, è stata svolta una lezione teorica ed una esercitazione pratica di topografia nel parco cittadino della Stanga, al fine di poter orientarsi con bussola e carta topografi-ca anche al di fuori dei sentieri battuti, situazione ricorrente nel corso dell’attività di un geologo. Al pomeriggio, invece, ci si è trasferiti a Rocca Pen-dice per una dimostrazione delle manovre alpini-

Sicurezza in montagnain collaborazione con l’Università di Geoscienze

cronache

stiche di base funzionali al superamento in sicu-rezza di un passaggio esposto in montagna, quale ad esempio una nicchia di frana o una cengia esposta da rilevare (dimostrazione della corretta esecuzione di un allestimento e discesa in corda doppia e tecnica base di progressione in cordata con utilizzo di nodo mezzo barcaiolo).Domenica 6 aprile l’iniziativa si è conclusa con un’escursione in ambiente sulle creste di San Giorgio (Crespano del Grappa), in modo da ac-quisire maggiore familiarità con terreni sconnessi e singoli passaggi alpinistici.

Da più di 150 anni il Cai promuove la frequenta-zione in sicurezza della montagna, tali iniziative sono totalmente comprese nelle linee guida del suo statuto e sono mirate a fornire una maggiore consapevolezza sui pericoli stessi della montagna e sulle misure da adottare per evitarli o affrontarli,

anche attraverso l’utilizzo di tecniche alpinistiche base; è il primo anno che il Cai svolge una campa-gna informativa mirata all’interno dell’Università, destinata a coloro i quali, un indomani, dovranno muoversi per lavoro all’interno di terreni scoscesi in ambiente alpino, nell’ottica di prevenire rischi e problematiche future. Il Cai si auspica che tale ini-ziativa possa consolidarsi e indurre i partecipanti ad approfondire i temi e le tecniche introdotte durante i seminari e le uscite svolte.

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di Angelo Soravia

4 Maggio 2014, Domenica.Sullo spiazzo dove inizia il sentiero che porta alle pareti di Rocca Pendice, il C.A.I. di Padova, per voce dell’attuale presidente Angelo Soravia, dà il “via” ufficiale alle attività dell’anno e in particolare a quelle estive.Secondo una lunga tradizione, meteo permetten-do, viene celebrata una Messa al campo. Rare son state le volte che non si è potuta tenere all’ombra delle pareti che tanto amiamo e fortunatamente ancora una volta il meteo permette…Quest’anno c’è una nuova figura di celebrante, un ancora giovane sacerdote, diocesano, che prende il posto dell’anziano Padre Ciman, il gesuita che per tanti anni ha officiato e benedetto le nostre corde sulla tomba di Toni Bettella.Al fare compassato del canuto compagno di studi del compianto Cardinale Carlo Maria Martini, su-bentra il modo gioviale e coinvolgente di questo prete, alpinista e, da poco, ex missionario. Pur non avendo ancora cinquant’anni, ne ha trascorsi una ventina in Africa nell’ambito delle missioni pado-vane in Kenya dove, nella cittadina di Nyahururu, ha dato il via al Saint Martin Catholic Social Apo-stolate, un progetto che ha come motto: ONLY THROUGH COMMUNITY.Questo si traduce in un’illuminata idea di come affrontare le problematiche esistenziali della gente di quelle lande: non con aiuti occasionali e “a piog-gia”, così è molto più facile operare, ma attraverso il coinvolgimento della comunità locale per gestire e risolvere al meglio le difficoltà, quelle vere, che spesso si incontrano nel vivere quotidiano.

Disabili in primis.Che disabili, nel senso stretto del termine, non sono. È decisamente più corretto chiamarli: diver-samente abili.Ed eccoli allora essere parte attiva in svariate cose, anche e soprattutto umili, come tenere pulito un cortile, oppure aiutare a mangiare chi dei loro compagni non riesce a reggere il cucchiaio con le mani, rari casi questi, in verità, perché nella re-altà del Saint Martin, chi è impedito con gli arti superiori, opportunamente istruito, ci riesce con i piedi, oppure ancora, attivi in piccoli laboratori di artigianato, dove ho visto lavorare anche un cerebro leso con molto impegno. Nei limiti del possibile, praticamente nessuno ozia. Prima che Don Gabriele si tirasse sù le maniche all’Equatore per dar vita al S. Martin, i portatori di handicap di quei luoghi erano emarginati, se non addirittura segregati, poiché ritenuti una maledi-zione pendente sulla casa in cui erano venuti al mondo. Sappiamo bene che non può essere colpa di una maledizione. Si è visto, infatti, che la maggioranza di questi casi di infermità è imputabile al momen-to del parto, dato che avviene nelle abitazioni del-le partorienti, raramente assistite da levatrici capa-ci. Questa situazione, fortunatamente, sta molto migliorando grazie all’entrata in scena di donne formate per svolgere tale importante compito e al contributo governativo, ma soprattutto grazie ai corsi di formazione organizzati dai missionari. Un altro passo avanti è rappresentato dal fatto che ora, nelle scuole primarie governative di molti vil-

dialoghilaggi, sono state attivate delle sezioni speciali per bambini disabili, dove il diversamente abile si reca ogni mattina o viene accolto per tutto il trimestre e trascorre la giornata assieme agli altri ragazzi. Da sottolineare che il sito è rigorosamente realizzato e sostenuto dalla comunità del posto. In queste particolari sezioni, i volontari del S. Mar-tin collaborano con gli insegnanti statali affinchè tutti possano ricevere una normale istruzione. Con l’aiuto di queste generose persone, le gior-nate trascorrono imparando a gestire la propria diversità così da rendersi poi utili e dare un senso alla propria esistenza, studiando, lavorando, gio-cando, sostenendosi a vicenda.Per coloro che sono orfani, il S. Martin cerca di trovare una famiglia affidataria nel villaggio. Non è sempre facile, ma è ciò che dà pienezza al suo motto “Solo Attraverso la Comunità”, vale a dire la solidarietà applicata realmente e costantemen-te. Un metodo e un’esperienza così positivi che si stanno facendo conoscere nel mondo e Father Gabriele, con il suo ottimo inglese, è stato invita-to a tenere conferenze nei vari continenti. Anche con l’appoggio del Vescovo Pajaro don Luigi, uno dei pionieri delle missioni padovane, in Kenya dal 1964, il nostro coraggioso conterraneo, nel 1998, con uno sparuto gruppetto di locali di buona vo-lontà, ha messo le basi per un apostolato che, ad oggi, conta più di mille volontari operanti in un territorio vasto come il Trentino. Volontari formati da corsi specifici organizzati dal S. Martin che cura anche il loro aggiornamento nel tempo, dato il non facile compito che li attende.Il Saint Martin C.S.A. ha allargato nel tempo il suo raggio d’azione con altre attività, come il micro credito, con cui, grazie al sostegno di una banca padovana, riesce per esempio a finanziare piccoli progetti per dare la possibilità, alle persone più intraprendenti, di iniziare un’attività, dimostrando poi nel tempo di essere in grado di farla soprav-vivere ed eventualmente ampliare, oppure con

altre strutture, come il Thalita Kum, nato grazie all’aiuto della popolazione locale, che si occupa di bambini orfani di genitori morti per l’AIDS. Pic-coli bambini, quasi tutti sieropositivi, che in que-sto modo trovano un posto per sentirsi uniti, per giocare, per essere bambini senza pensare alla malattia e alla solitudine. Il S. Martin si occupa anche di recupero di ragazzi e ragazze di strada, spesso vittime di abusi sessua-li o vittime di violenza domestica, in una società in cui spesso il maschio è padre-padrone. Questa dura realtà viene contrastata da persone istruite e preparate allo scopo che prendono il posto dei nostri assistenti sociali, forse con una corazza un po’ più forte…Il S. Martin è anche George, una persona che ha avuto seri problemi di alcool in passato e che ora è diventato il leader dei volontari impegnati nel recupero di chi si abbrutisce con l’alcool e con la droga. Ma attenzione! Qui si drogano, o meglio si stordiscono, annusando vapori di benzina, respi-rando le essenze dai sacchetti di colla da falegna-me o i vapori dai barattoli di vernici e di solventi … Le droghe dell’Occidente qui non circolano perché costano. L’ultima iniziativa che ha preso corpo, dopo il S. Martin e il Thalita Kum, è stato l’Arche Kenya che segue gli “ultimi degli ultimi”: i disabili mentali. Quest’Opera è un anello della lunga catena di questo tipo presente in tutto il mondo e attivata da un seguace di Madre Teresa di Calcutta: il ca-nadese Jean Vanier.Ora il Saint Martin e l’Arche sono gestiti da ma-nagers kenyani, certo anche con il sostegno eco-nomico del Centro Missionario di Padova ([email protected]) e da benefattori delle più varie estrazioni sociali. Una volta ho portato quanto consegnatomi da una parrucchiera che raccoglie-va, in un apposito contenitore, gli spiccioli di resto dall’incasso del conto pagato da clienti sensibili a queste iniziative: 100 euro. “Sono una goccia

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Father Gabrieledi Giancarlo Zella

rispetto alle vostre necessità”, mi azzardai a dire a don Gabriele. Al che lui, senza esitare, mi rispose: “anche il mare è fatto di gocce!”.Ora l’impegnativo compito di seguire i progetti di don Gabriele spetta anche ad un giovane e ca-pace prete vicentino, don Mariano Dal Ponte, ma starà in seconda linea, perché in prima ci saranno valenti persone del posto nate dal S. Martin e con il S. Martin.Tutta questa meritoria opera sociale è stata di re-cente condensata in un cortometraggio dal titolo “ME WE”, curato da operatori padovani, che ha riscosso notevole successo in tutti gli ambienti dove è stato presentato ed è acquistabile presso la Fondazione Fontana di Padova con modica cifra.Don Gabriele ha riportato a Padova il suo stile missionario nel celebrare Messa, insieme alla sua passione per la montagna e oggi, conclusa la parte spirituale di questo mattino di primavera, prima di pranzo, ha calzato le scarpette e si è le-gato in cordata con un istruttore della Scuola per una veloce salita dello spigolo Barbiero, giusto per andare a tavola con più appetito.E di pareti ne ha salite parecchie don Gabriele,

una per tutte: lo spigolo nord dell’Agner, in cor-data con Albano Giacomini, istruttore della no-stra Scuola che da anni non c’è più ed è “anda-to avanti”. Gabriele non ha certo disdegnato le grandi normali dei “4.000” delle Alpi. È stato in Himalaya e il “Cervino dell’Africa”, vale a dire il Monte Kenya, l’ha salito parecchie volte, facilitato dal fatto che la sua Missione distava solo quattro ore di jeep dalla Meteo Station, dove termina la sterrata a quota 3.000 m nella Teleki Valley.Tra i tanti personaggi che hanno conosciuto Fa-ther Gabriele, nel suo mondo africano, prima che tornasse in Italia,in un recente passato, due gli sono rimasti molto legati. Legati nel vero senso della parola perché di alpinisti si tratta: Giuliano Bressan e Sergio Martini. Quest’ultimo poi, forse stanco di ripetere i 14 ottomila della terra (pare che sia arrivato a 23), è ritornato a frequentare assiduamente le pareti di casa e dolomitiche e gli capita di farlo con, al seguito, il nostro socio C.A.I. che così continua a coltivare la sua grande passio-ne per la montagna, ovviamente quando riesce a liberarsi dai tanti impegni in diocesi.

Arrampicate, escursioni, passeggiate… la monta-gna è una grande passione. La frequentazione della montagna per passione e per piacere è una conquista relativamente re-cente: su queste montagne è iniziata poco più di un secolo fa.Ma fin dagli inizi è subito apparso evidente che oltre che bella e invitante la montagna può ri-velarsi ardua e pericolosa. I cambiamenti repen-tini del tempo, la temperatura che scende di 20 gradi, improvvisi temporali con pioggia gelata e scrosciante, neve a bassa quota, folate di vento, tenebre che calano in un attimo, calo di visibilità e quant’altro.

Per rendere possibile l’esperienza della montagna con rischi minimi e calcolati a grandi numeri di appassionati il CAI ha compiuto un enorme lavo-ro in Italia: le zone alpine e dolomitiche sono state popolate di Rifugi e Bivacchi interconnessi da sen-tieri ben mantenuti. Chi vuole andare in monta-gna dispone ora di una struttura di supporto che gli permette di informarsi, essere accompagnato, guidato e, nella bisogna, soccorso. Questa realtà si fonda sul lavoro volontario di schiere di appassionati per decenni. Oggi quello che troviamo in montagna ci sembra naturale che ci sia e diamo per scontato che ci sia sempre sta-to: ma non è assolutamente vero. Una volta chi ci andava lo faceva a suo rischio e si trovava di fronte una splendida landa deserta e sconosciuta dove poteva capitare facilmente di trovarsi in se-rie difficoltà. Come in tutte le cose umane siamo arrivati alla situazione attuale con lavoro, fatica, impegno. Permettetemi di attirare la vostra attenzione su un personaggio ormai quasi dimenticato perché ci ha lasciato da oltre mezzo secolo. Eppure con mo-destia e dedizione è stato uno di quegli uomini che ha disseminato di pietre miliari di servizio e conforto le nostre montagne.

Vittorio Alocco nacque a Verona il 28/05/1872. Si laureò in ingegneria elettrotecnica a Milano nel 1894. Trovò come primo impiego un posto di alta responsabilità nella linea ferroviaria del tre-nino Caprino-Garda-Verona (linea inaugurata nel 1889). Apparteneva alla buona borghesia forse

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dialoghi

Vittorio Alocco (Verona 28 maggio 1872 - Padova 18 febbraio 1953)

Vittorio Alocco, 6 luglio 1952

di Maurizio Filippi, Antonio Di Chiara, Angelo SoraviaFoto: per gentile concessione della biblioteca di Caprino Veronese

con qualche stilla di nobiltà. Ma ha sempre lavo-rato, prevalentemente nelle ferrovie del Veneto. A questa terra fu sempre legato affettivamente e durante la sua vita spesso ritornò a Caprino Vero-nese (dove tuttora riposa) a trascorrere qualche periodo di soggiorno nella proprietà di famiglia a Ceredello. Sovente saliva sul Monte Baldo il monte di cui era innamorato e dove ebbe inizio la sua passione per la montagna. A Caprino Ve-ronese conobbe la sua futura sposa, Laura Maria Beccherle (16/09/1877-21/11/1936) che sposò il 18/04/1898 e dal loro matrimonio nacquero quat-tro figli Gianna, Sandro, Elena, Giulia (tutti ben presto “contagiati” dalla passione per la montagna dei genitori!).

Tra i figli ricordiamo Giulia laureatasi in fisica a Pa-dova nel 1931 che divenne una celebre scienziata, insieme al marito Angelo Drigo, considerato il pa-dre della fisica padovana, (assistente del grande Bruno Rossi scopritore dei raggi cosmici e prede-cessore del famoso Antonio Rostagni estensore

tra l’altro del noto manuale di Fisica, tormento di generazioni di studenti). Assieme condussero ricerche famose nel campo della medicina nu-cleare, della biofisica, dei raggi cosmici e misero

a punto la “bomba al cobalto”. Una loro figlia la dottoressa Maria Luisa Drigo, insieme agli altri fa-miliari, ha offerto alcuni anni fa alla Biblioteca-mu-seo del Comune di Caprino Veronese la raccolta di fotografie (circa 3000 fotografie) del nonno Vittorio raccolte durante la sua lunga vita alpini-stica. Questa raccolta costituisce un grandissimo regalo alla comunità, agli amanti della montagna che hanno modo di vedere tanti luoghi e diversi e importanti eventi storici di cui non si avevano immagini. A questa raccolta attinge la mostra che viene oggi presentata.

Stabilitosi a Padova per assecondare la sua carrie-ra di lavoro si iscrisse subito alla sezione del CAI e la sua passione per la montagna lo portò ben pre-sto ad offrirsi come grande organizzatore e guida di numerose escursioni per i soci della sezione. Si rivelò anche ottimo alpinista e fonte di innu-merevoli iniziative per la sua sezione. A Padova la sua passione per la montagna ebbe così la sua massima espressione (ricordiamo che la sezione nata dal 1908 aveva solo pochi anni di vita!).

La vita di Vittorio Alocco si intreccia con la realizza-zione, la cura, la ricostruzione del Rifugio Padova creato nel 1910 nell’alta Val Talagona sui Prà di Toro (1330 m, nel comune di Domegge in Centro Cadore). A quell’epoca le cinque preesistenti Sezioni Vene-te del C.A.I. avevano già raggiunto un notevole sviluppo ed avevano già aperto agli alpinisti alcuni rifugi in località opportunamente scelte in pieno ambiente alpinistico. La Sezione consorella di Venezia, fin dal 1892, aveva costruito il Rifugio Venezia al Pelmo (1947 m) a cui era seguito nel 1895 il Rifugio San Marco all’Antelao.

Il primo Presidente della giovanissima Sezione, Antonio Cattaneo, si pose subito all’opera. Fra le

molte designate e patrocinate la scelta della loca-lità cadde in una delle più belle, ampie e ridenti conche di cui non è facile trovare riscontro nelle Valli del Cadore. Una conca tutta verde, ricchis-sima d’acqua, contornata da abetaie secolari cui fanno da sfondo una catena tutta frastagliata nella sua struttura prettamente dolomitica. Il torrente Talagona raccoglie le acqua gocciolanti dal mas-siccio del Cridola, dalle ghiaie delle numerose forcelle degli Spalti di Tori e dai Monfalconi di Val Montanaia, di Cimoliana, di Forni. Quel rifugio permise a molti di trascorrere vacanze e periodi di riposo e serenità, trasmettendo la pas-sione per la montagna. Il Rifugio Padova divenne per la sezione il posto della “casa delle vacanze estive” dei soci e delle loro famiglie. Dopo essere stato fortemente voluto e desiderato da tutti i soci, il rifugio venne inaugurato proprio il 14 agosto di quell’anno (con discorso di apertura del Presiden-te Cattaneo e di chiusura di Antonio Berti). Nel 1910 in occasione dell’inaugurazione del rifugio

Padova veniva stampata la famosa guida “Le Do-lomiti della Val Talagona e il rifugio Padova in Prà di Toro” del socio Antonio Berti, vice presidente della sezione. Ai due maggiori artefici dell’opera e valorizzatori di quelle montagne attorno al rifugio Padova verranno dedicate due cime “Cima Catta-neo” e “Torre Berti”.Durante la Guerra il Rifugio venne utilizzato per scopi militari e subì gravi danni. Nell’ottobre del 1918 il rifugio venne riconsegnato alla sezione. I danni vennero riparati (gli interni erano stati tutti asportati) e il rifugio ritornò presto in efficienza.

Tra il 1920 e il 1921 il rifugio Padova venne riaper-to e si inaugurò la lapide a ricordo dei soci caduti in guerra (questa lapide verra’ travolta e distrut-ta da una slavina insieme al rifugio nel 1931 ma verra’ ricercata e trovata e ricomposta e trovera’ nuova sistemazione nel nuovo rifugio Padova). Vittorio Alocco inizia ad allestire un giardino al-pino su modello di un orto botanico d’alta quo-

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1932, Campeggio in Pra di Toro

1920: il Rifugio Padova poco prima dell’inaugurazione della lapide

ta nelle vicinanze del rifugio Padova. Il 7 agosto 1921 ci fu l’inaugurazione del “Giardino Alpino”, il primo giardino alpino d’Italia (1500 mq), curato da alcune signore (le infaticabili socie sorelle pro-fessoresse Zenari) e ragazze e da Vittorio Alocco

(un mese prima si erano fatte alcune ricognizioni sui monti sopra il rifugio per raccogliere insieme al custode alcune piante alpine per il giardino!). Un giardino quasi leggendario come quello delle rose di Re Laurino e del quale i maestri floricul-tori dell’Olanda chiedono ancor oggi notizie alla sezione. Questo straordinario orto botanico servì non solo per raccogliere e salvare specie bota-niche, ma anche per lo svolgimento di ricerche scientifiche “per migliorare specie di piante desti-nate all’alimentazione umana in terre disagiate o di montagna”. Questa attività venne sviluppata in collaborazione con l’Università di Padova e lo sto-rico Orto Botanico di Padova (se ne occuparono come consulenti i professori docenti dell’orto bo-tanico Augusto Beguinot, Giuseppe Gola, Sergio Tonzig). Il giardino botanico voluto e creato da Vit-torio Alocco fu cosi’ seguito da una commissione di docenti universitari ed intorno agli anni trenta raggiunse fama internazionale. A scopo di studio venne poi coltivato un orto sperimentale per le indagini sull’acclimatazione delle piante forestali, da frutta, da foraggio e medicinali.

Altra attività importante di Vittorio Alocco fu la fondazione del Rifugio Popera, poi “Olivo Sala”, sostituiti nel 1962 dal nuovo rifugio Antonio Berti. Riportiamo le sue parole:<< Percorrendo le poco note montagne del Co-melico un gruppo di nostri soci segnalò l’oppor-tunità di far sorgere in località Popera un altro rifugio, approfittando di una costruzione militare che richiedeva lavori di adattamento di non ec-cessiva entità. Fu così che la sezione ebbe il suo secondo rifugio, il “Popera” inaugurato il 5 agosto 1924. ... I soci della sezione sottoscrissero in pro-prio buona parte dei fondi per l’adattamento. A quota 2110, vero nido d’aquila, appollaiato sulla roccia, ha davanti un largo panorama veramente incantevole>>. (dalle memorie dell’ Ing. Vittorio Alocco).

Il giorno 8 luglio del 1925 la Sezione di Padova ricevette dalla Commissione Centrale il Rifugio Petrarca (2885 m) sotto la Cima Altissima (Alpi Venoste) vicino al Passo Gelato, già “Stettiner-Hut-te” (oggi di nuovo spazzato via da una valanga nel febbraio 2014 e in corso di ricostruzione). Alocco se ne occupò direttamente assieme ad altri soci.Si occuperà inoltre anche della distribuzione di doni (abiti e giocattoli) che la sezione organizzava per i bambini indigenti delle vallate vicine in oc-casione della “Befana Alpina” (dal 1925 al 1935).

Il 1931 iniziò con una catastrofe: a fine febbraio (un giorno imprecisato tra il 28 febbraio e l’11 marzo) una valanga caduta dal Monte Both (forse causata da esercitazioni militari) distruggeva il ri-fugio Padova (e il suo “Giardino Alpino”) ma solo alcune settimane fu possibile rendersene conto. Vittorio Alocco si impegnò in prima persona con l’ingegner Manzoli (presidente del CAI di Padova) per la ricostruzione del rifugio in posizione più sicura. “Un minuzioso esame della località fece cadere la

scelta sul punto dove si trova oggi il rifugio, cioè al limitare inferiore del prato, con che si ottenne il vantaggio di portare in rifugio l’acqua potabile e la luce elettrica, approfittando dei resti dell’impianto di distillazione del pino mugo che una società vi aveva costruito nel 1922, sfruttando per forza mo-trice ed illuminazione l’acqua abbondante del tor-rente Toro” (da gli appunti “Cenni sulla storia del-la Sezione di Padova del CAI” di Vittorio Alocco).

Seguiamo un po’ la cronaca di quegli anni: il 12 luglio si effettuava una gita sociale al Rifugio Pa-dova in fase di ricostruzione. Anche l’altro rifugio della sezione, il “Petrarca”, era stato semidistrutto da una valanga nello stesso anno. I soci dormiva-no in capanne di legno vicine al rifugio Padova (ricostruito un po’ più in basso rispetto alla pre-cedente costruzione). Era il giorno 30 agosto, una delle giornate più importanti dell’anno: la Gita

Sociale per l’inaugurazione del Nuovo Rifugio Padova (progettato dall’ingegnere Franco Manzo-li) ricostruito nella conca in una posizione poco distante dal vecchio rifugio. La montagna aveva già ricoperto le rovine del vecchio rifugio su cui gia’ cominciavano a crescere i fiori. La sezione con grandissimo sforzo dei soci e degli amici (era stata aperta una sottoscrizione) aveva ricostruito il nuovo rifugio in circa sei mesi (ma non veniva più ricostruito il “Giardino Alpino”!). Anche quell’esta-te del 1931 poteva così continuare la tradizione delle vacanze al “Nuovo” rifugio Padova. All’i-naugurazione partecipavano circa 500 persone, veniva celebrata la SS. Messa al campo da Don Piero Zangrande, ex-cappellano degli Alpini. Veni-va ricercata, ritrovata e ricomposta la lapide messa nel 1920 dalla sezione a ricordo dei suoi caduti e che la valanga aveva travolto con tutto il rifugio (la lapide veniva murata sulla facciata del nuovo

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1932, Campeggio in Pra di Toro

30 agosto 1931, inaugurazione del Rifugio Padova

rifugio). Il 31 luglio del 1932, un anno dopo la ricostruzione del nuovo rifugio Padova avviene la cerimonia di inaugurazione del campeggio mon-tano “Tito Paresi” in Prà di Toro.

La sezione di Padova organizzava, verso la fine del 1932, in occasione del suo XXV anniversario di fondazione, un’altra delle cerimonie più impor-tanti della sua storia: l’inau-gurazione del bellissimo sen-tiero attrezzato “Strada degli Alpini”. L’idea di creare questo sentiero nasceva da un’idea del 1928 di Antonio Berti e del Capitano Giovanni Sala, l’eroe della conquista del Passo della Sentinella. Nel 1930 i dirigen-ti della Sezione: Sagramora, Manzoli e Alocco iniziavano la progettazione del tracciato con l’ausilio tecnico della medaglia d’oro Giovanni Forker (era stato con Sepp Innerkofler sul

Monte Paterno). Molti volontari avevano lavorato tutta l’estate per ripristinare quell’antico percorso miltare di guerra che sarebbe divenuto poi uno dei più bei sentieri delle Dolomiti. La sezione ave-va voluto che fosse proprio il Capitano Giovanni Sala a inaugurare il nuovo sentiero dove non tanti anni primi correvano i suoi alpini per raggiungere le loro postazioni! Ecco il ricordo di quelle giornate: 17-18 settembre 1932 Gita Sociale. Inaugurazione del nuovo sen-tiero turistico che congiunge il rifugio Olivo Sala al Popera con il Rifugio Mussolini (poi diventato Co-mici-Zsigmondy). Sono presenti tra gli altri anche Giovanni Forker, medaglia d’oro e realizzatore (con i suoi operai) di questo nuovo sentiero da lui riattato con chiodi e funi e scalette e Giuseppe Innerkofler, figlio di Sepp, altra medaglia d’oro. Il CAI di Padova in occasione del 25° anniversario della sua fondazione riapre il sentiero della “Stra-da degli Alpini” e pubblica un bellissimo libro: “Guerra per Crode” scritto da Antonio Berti e dal comandante Giovanni Sala che ha avuto un gran-dissimo successo.

Nel 1940 avvenne la prima cerimonia (dalla nasci-ta della Sezione nel 1908) di consegna del distinti-

vo dei soci Venticinquennali alla presenza del Pre-sidente Generale del CAI Manaresi. Al ristorante “Nuovo Vapore” venne consegnato il distintivo a 22 soci (tra cui Vittorio Alocco, Antonio Berti, Gior-gio Dal Piaz, Francesco Giusti, Paolo Malacarne). Poi la guerra sospese di fatto la simpatica usanza che fu ripresa nel 1946.Vittorio Alocco morì a Padova il 18 febbraio 1953. Solo pochi mesi prima, il 5 luglio 1952, firmò per la centesima volta il libro dei visitatori del rifugio Padova.Il 9 agosto del 1953 veniva inaugurata la Cappel-lina vicino al rifugio Padova voluta dall’ingegnere

Vittorio Alocco (da poco scompar-so) e dedicata dalla sezione del CAI di Padova come segno di ricono-scenza al suo Presidente Onorario.

Oltre all’impegno diretto nella rea-lizzazione e gestione di vari proget-ti della sezione, Vittorio Alocco ha lasciato un’importante documenta-zione della storia dei primi 45 anni di vita della sezione. Agli appunti si è ora aggiunta anche una ricchissi-

ma documentazione fotografica che il Museo di Caprino Veronese ci ha permesso di utilizzare per questa iniziativa.

Vittorio Alocco compì nella sua vita 100 salite al rifugio Padova, l’ultima il 5 luglio 1952, pochi mesi prima della morte (la centesima firma nel libro dei visitatori). Vittorio Alocco fu custode del Rifugio Padova dal 1922 al 1932, dal 1939 al 1944, e dal 1947 al 1948.Il 31 gennaio 1953 Vittorio Alocco ricevette dalla sua sezione del CAI di Padova la medaglia d’oro a riconoscimento dei suoi meriti. Vittorio Alocco era iscritto anche alle sezioni consorelle di Verona e Ferrara.

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Inaugurazione del Rif. O. Sala

Inaugurazione della Strada degli Alpini

Prime escursioni sulla Strada degli Alpini

L’ultima salita al Rifugio Padova

3 ottobre 2013 - ore 6quota 7454 m, campo 4 - Manaslu (8163 m)Siamo chiusi in tenda dentro ai nostri sacchi a pelo irrigiditi dal freddo con le orecchie tese; fuori da 6 ore nevica, vento forte, visibilità nulla.Abbiamo rimandato di ora in ora la partenza per la cima, prevista per le 2, ma ormai è chia-ro che il tempo non migliorerà.È in arrivo una grossa perturbazione di alcuni giorni, la montagna sotto di noi diventerà peri-colosa, non ha senso restare quassù ad aspet-tare, dobbiamo scendere.La nostra spedizione è finita.

Non è stato facile smaltire la delusione, eravamo così vicini e ci sentivamo così bene, la cima sem-brava ormai a portata di mano, sarebbero bastate ancora poche ore di bel tempo…Ho rivissuto a lungo quei momenti, passando dal-la forte delusione alla rabbia, alla rassegnazione.Una sera di primavera, al termine della ennesima proiezione del mio film e la conseguente enne-sima scarica di delusione, mia figlia Bianca mi chiede:hai pianto papà?…sìtanto?…no… perché ci riproviamo.

Il 31 agosto 2014 mi trovo in volo verso Kathman-du e mi sembra di non essere mai andato via da là, i mesi di preparazione a casa sono volati; il nuovo obiettivo è il Cho Oyu, 8201 m, la sesta montagna al mondo per altezza.La squadra è la stessa: piccola, unita e motivata. Con Alberto e Alice, amici di Cuneo e forti compa-gni di salita, l’intesa è perfetta.Michela, mia moglie, ci aiuterà da casa fornendoci le preziose indicazioni sul meteo.I primi giorni sono dedicati a qualche spesa, po-che cose che ci serviranno sulla montagna e qual-che regalino per chi è rimasto a casa.Ma soprattutto dobbiamo riambientarci, ritrovarci e recuperare un po’ di energie, di sonno, di tran-quillità.L’ultimo periodo a casa è stato decisamente fre-netico, mesi di corse (in tutti i sensi), telefonate, ragionamenti, preparativi; ora è il momento di ri-pulire i pensieri, inquadrare l’obiettivo e dare un senso a tutto ciò.

Avevo detto: l’anno prossimo ci torno.E ora sono tornato.

Cho Oyu (8201 m), una bella rivincitadi Nicola Bonaiti

diario alpino

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Il 28 settembre 2014 il nostro socio Nicola Bonaiti raggiungeva la cima del Cho Oyu di 8201 m, la sesta montagna più alta del mondo. L’impresa segue quella di 11 anni fa quando Piero Mioni, Francesco Cappellari e Leri Zilio, conquistarono il Gasherbrum II, compiendo così la prima salita padovana a una cima di 8000 metri.Ora Bonaiti ha alzato l’asticella e quindi il Cai Padova e la sua redazione si felicitano per la grande impresa compiuta.

Quando arriviamo al campo 2 del Cho Oyu è già pomeriggio, avremo poco tempo per riposare

prima del nostro tentativo per la cima

Giovedì 4 SettembreKathmandu - Zangmu (2200 m)Le formalità burocratiche sono finite. Nei giorni passati abbiamo preparato i bagagli dividendo quello che ci servirà in questi primi giorni di av-vicinamento da quello che andrà invece diretta-mente al campo base.È ora di lasciare Kathmandu e iniziare la nostra avventura. La partenza in autobus è alle 4 del mattino, dobbiamo arrivare al villaggio di frontiera di Kadari prima che chiudano gli uffici. Ma dopo un quarto d’ora siamo già fermi… Un rapido in-tervento dell’esperto conducente e l’eliminazione di qualche pezzo di motore (credevo ci fossero solo pezzi essenziali…) rimettono a nuovo il bus, siamo pronti a ripartire!Il viaggio è lungo e la strada interrotta a causa di un’enorme frana che circa un mese fa ha distrutto parte di un villaggio facendo più di 150 vittime. Superandolo a piedi capiamo le dimensioni della frana e le sue disastrose conseguenze.Il passaggio alla frontiera a Kadari (720 m) è piut-tosto complicato, i controlli lunghi e molto restrit-tivi: non sono permessi radio, telefoni satellitari e alcuni generi alimentari, tutte cose presenti nei nostri bagagli! Supereremo l’ostacolo affidando i nostri preziosi satellitari a dei ragazzi locali che, dietro lauta ricompensa, si occuperanno di portar-li in territorio cinese senza passare per i controlli. Attraversiamo un ponte controllato dai militari che mi sembra portarci in un’epoca lontana.Questi primi approcci con un mondo e una cultu-ra fondati sul sospetto e sulla coercizione mi met-tono a disagio e mi provocano rabbia e ribellione.Arriviamo in serata a Zangmu, brutta città incredi-bilmente arroccata sui ripidi pendii della valle che stiamo risalendo.

Venerdì 5 SettembreZangmu (2200 m) - Nyalam (3750 m)Solo un paio d’ore di bus ci separano da Nyalam,

altra brutta cittadina dove le vecchie case tibetane sono affiancate, o meglio sovrastate, dalle grandi e brutte costruzioni cinesi. Le strade sono sporche e le condizioni di vita piuttosto misere. Se non si vede con i propri occhi è difficile farsi un’idea delle condizioni in cui vivono queste persone; è sempre difficile abituarsi ma terribilmente utile a ritarare il nostro metro di giudizio. Qui ci fermiamo due giorni per i primi approcci con la quota e ne approfittiamo per qualche salita nei paraggi.

Domenica 7 SettembreNyalam (3750 m) - Tingri (4450 m)Il trasferimento in bus a Tingri transita attraverso il Nyalam tong-la, un passo a 5.138 m da cui ammi-riamo una splendida vista sull’altipiano tibetano e sullo Shisha Pangma. Meno entusiasmanti invece i frequenti posti di blocco per fastidiosi e inutili controlli da parte dei militari cinesi che ti ricorda-no di continuo che questa, ora, è terra loro; contro ogni logica ed evidenza.Tingri è un caratteristico villaggio tibetano, povero ma dignitoso, immerso in una enorme piana da cui si riesce già a vedere il Cho Oyu.Il cibo è piuttosto monotono, il riso impaccato, Alice fatica a trovare pietanze non piccanti e io a evitare la carne; inoltre sento un po’ la mancanza delle mie ragazze con le quali non riesco a comu-nicare (sospettiamo qualche controllo satellitare di tipo militare), ma l’umore è buono e Alberto e Alice sono la mia famiglia tibetana.Lunedì 8 è una giornata dedicata all’acclimata-mento, saliamo un monte di 4.800m vicino al villaggio. Stiamo tutti bene.

Martedì 9 SettembreTingri (4450 m) - Campo Base cinese (4915 m)Ci trasferiamo al Campo Base cinese con due ore di bus su strada sassosa e accidentata nella vasta piana a sud di Tingri.

Il CB cinese è una specie di accampamento roma-no: da un lato un corso d’acqua tranquillo dall’al-tro, sopra un rilievo, l’immancabile opprimente presenza militare; non si può salire, non si può fotografare, tutto così in contrasto con la vastità e il senso di libertà di ciò che ci circonda. Comincia la scomoda e affascinante vita di tenda e finalmente ci affidiamo ai nostri cuochi che ci vi-ziano facendoci velocemente ritornare l’appetito.I due giorni di sosta, programmati per abituarci alla quota, ci pesano un po’ ma non dobbiamo essere impazienti: il Campo Base del Cho Oyu è molto alto, con i suoi quasi 5700 metri è il più alto tra i quattordici ottomila ed è importante arrivarci gradualmente; il tempo che ci sembra di perdere qui sarà guadagnato in termini di ac-climatamento quando arriveremo ai piedi della nostra montagna.

Giovedì 11 SettembreCampo Base cinese (4915 m) - Campo Base in-termedio (5370 m)Finalmente si inizia a camminare, in ambiente sassoso ci portiamo in circa 4 ore fino al Campo Base intermedio da dove possiamo godere di una superba vista sul Cho Oyu. Il tempo, come i gior-ni passati, è molto instabile: abbastanza sereno al mattino, coperto con pioggia o nevischio per il resto della giornata.Le tende procurate dall’agenzia ci danno qualche pensiero perchè non sembrano perfettamente impermeabili…

Venerdì 12 SettembreCampo Base intermedio (5370 m) - Campo Base avanzato (5685 m)Dopo un’alba meravigliosa si alterna sole a nevi-schio e iniziano i lunghi preparativi per caricare tutti i bagagli sugli yak. La suddivisione dei carichi in base al loro peso e dimensione richiede diverse ore ed è un rito colorato e rumoroso.

I nostri bagagli, preparati con tanta cura e atten-zione, vengono sbattuti a destra e a sinistra senza troppi complimenti!Si sale per una larga strada sterrata, non molto affascinante per la verità, aperta in mezzo alla mo-rena. La traccia dell’avanzata dei bulldozer cinesi ha tolto un po’ di magia all’avvicinamento.Poco prima di arrivare al Campo Base si apre la vista sul Nangpa-La, il passaggio naturale tra Tibet e Nepal che veniva usato nel passato dalle caro-vane. Ora è strettamente controllato dai militari.Dopo circa 4 ore arriviamo al Campo Base (5685 m), la vista sulla nostra montagna è magnifica.

Sabato 13, domenica 14 SettembreCampo Base (5685 m)Due giorni di sosta per riposare, acclimatarci e or-ganizzare la salita dei prossimi giorni.Il campo si estende su terreno sassoso lungo i margini del ghiacciaio che scende dal Cho Oyu; le varie spedizioni si sono distribuite abbastanza distanti le une dalle altre, non c’è quindi quella sensazione di sovraffollamento che temevo.Gli Sherpa hanno lavorato instancabilmente e hanno piazzato due tende mensa, due tende ba-gno e una tenda doccia.

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Il Nangpa-La

Nonostante il tempo molto instabile il morale è buono, mangiamo bene e attendiamo con ansia il momento di muoverci verso l’alto.

Lunedì 15 SettembreCampo Base (5685 m)Prima camminata di acclimatamento: risaliamo il ghiacciaio per 200 m su una pietraia quasi pianeg-giante, ma piuttosto faticosa; le gambe protestano io arranco, certezze che vacillano, umore non dei migliori. Rientriamo appena in tempo prima che cominci a nevicare. Nel pomeriggio prepariamo il materiale per la salita di domani, il programma sarebbe di passare due notti al C1 e una notte al C2 prima di tornare al Base.

Martedì 16 SettembreCampo Base (5685 m) - Campo 1 (6430 m)Oggi inizia la vera salita. In tre ore risaliamo il ghiacciaio per poi imboccare la ripida pietraia che porta al C1, la fatica di ieri si ripete. Considerando il lavoro che ci aspetterà dal C1 in su, per questo primo tratto ci siamo fatti aiutare dando ai portatori locali un po’ di materiale. Alice è più veloce di me e Alberto e ci fa trovare la tenda quasi montata! Per-diamo un po’ di tempo a sistemare tutto il nostro materiale prima di riuscire ad allestire una cenetta.

Mercoledì 17 SettembreCampo 1 (6430 m) - 6.800 m - Campo 1 (6430 m)Notte difficile, Alberto non è al meglio e alla mat-tina siamo incerti sul da farsi.Alla fine decidiamo di salire per portare un po’ di materiale fino al Campo 2, Alberto ci seguirà sca-rico per essere libero di scendere quando vorrà.La salita è su terreno facile ma con rampe faticose.La bellissima vista della montagna, sempre davan-ti a noi, ci stimola a non mollare, ma anche incute timore: sembra tutto così grande e la cima così lontana!Superiamo il primo seracco con un tratto quasi verticale di circa 50 metri, quando ne usciamo

siamo a quota 6800 m e il tempo è rapidamente peggiorato, comincia a nevicare. Siamo incerti: vorremmo continuare ma il tempo, l’ora, le condi-zioni di Alberto ci consigliano di scendere. Allora scaviamo un buco e depositiamo la nostra tenda, gas e cibo. Poi, io a piedi, i due amici con gli sci, rientriamo al C1.Purtroppo l’avventura sciistica di Alice e Alberto si ferma qui: a causa di una brutta caduta Alberto ha perso uno sci che si è fermato più in basso, sopra un crepaccio, in un posto difficile da raggiungere. Volendo trovare un risvolto positivo all’incidente d’ora in avanti ci muoveremo tutti e tre insieme!

Giovedì 18 SettembreCampo 1 (6430 m)Dormiamo bene. Decidiamo per una giornata di sosta per recuperare energie.Il riposo è però un’utopia, il sole è caldissimo e sfianca nell’anima, la giornata passa lenta e non riusciamo a decidere cosa faremo l’indomani.Io vorrei salire e passare una notte al Campo 2

a circa 7000 m per completare l’acclimatamento; d’altra parte temiamo di stancarci troppo, Alberto ha patito un po’ la quota e tutto sommato le due notti al C1 con una puntata a 6.800 potrebbero essere sufficienti. Rispecchiano più o meno l’accli-matamento fatto l’anno scorso sul Manaslu.Come vorrei il consiglio di qualcuno da ascoltare.

Venerdì 19 Settembre - Sabato 20 SettembreCampo 1 (6430 m) - Campo 2 (7150 m) - Cam-po Base (5685 m)

Una notte in alta quotaDopo una notte di pensieri prendiamo la decisio-ne migliore per tutti: Alberto scende, Alice con lui, io salgo.Mi carico il minimo indispensabile per mangiare e dormire una notte.Salgo bene fino al deposito a quota 6800 m dove recupero la tenda e una bombola di gas. Lo zai-no ora non peserà più di 15 kg eppure mi sem-bra un macigno, rallento e mi stupisco della mia “sensibilità”. Ora si attraversa un vasto pianoro

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Dall’alto le tende del campo 1 sembrano arroccate su tanti nidi

Verso il primo seracco tra il campo 1 e il campo 2. Salendo verso l’alto la cima è sempre a vista: incute timore ma, allo stesso tempo, ti incita a non mollare

Il campo 1

prima di attaccare un pendio ripido che porta al grande crepaccio del secondo seracco. Una volta superato, la salita si addolcisce gradualmente fino ad aggirare il seracco sopra il quale è situato il Campo 2.Quando arrivo sono veramente molto stanco, ma devo ancora prepararmi la piazzola e montare la tenda; lavoro 2 ore prima di potermi sdraiare e…iniziare a pensare alla cena, sono le 17:30 ora ne-palese.Fortunatamente la tenda di fianco alla mia è occu-pata da Mingma (capo degli Sherpa della nostra agenzia) e i suoi due fratelli. Gentilissimi mi of-frono una minestra calda, pane, formaggio e una piacevole serata in compagnia.In tenda ci sono 8 gradi sotto zero, riesco a man-dare un messaggio a casa e provo a riposare. La notte passa lentamente tra strani brevi sogni e lunghe veglie. Ho la netta impressione che ci sia qualcuno con me che prepara le sue cose, per due volte chiedo: “c’è qualcuno in tenda?”.I pensieri più semplici (come quello di dare un sorso dalla borraccia) impiegano ore prima di diventare azioni; sono le 2 quando finalmente la stanchezza prende il sopravvento. Riapro gli occhi alle 6 e posso prepararmi per scendere.Perdo un po’ di tempo per rinforzare gli ancoraggi

della tenda che dovrà aspettarci qui per qualche giorno; sono rimasto solo, fa freddo e insieme alle nuvole si alza un vento fastidioso; la montagna è immensa e mi incute un certo timore. Sono le 9 quando raccolgo le mie cose e inizio a scendere.Ore 14:30: campo base, gli amici, un panino, l’acqua calda, la mia tenda…come il poco può essere il paradiso.

Domenica 21, Giovedì 25 SettembreCampo Base (5685 m)Giorni di riposo al Campo Base. Si avvicina la data della salita e parallelamente si alzano tensione e concentrazione. Dopo lunghi ragionamenti e considerata la fatica di acclimatamento per Al-berto nei giorni scorsi, prendiamo la decisione di saltare il Campo 3. Molti i vantaggi: salita più leggera, una notte in meno in quota, possibilità di sfruttare una finestra di bel tempo più corta. Con l’instabilità che continua ad accompagnarci non è cosa da poco... Un solo rischio: non reggere la tirata unica dei 1050 metri che separano il Campo 2 dalla vetta. Io sono molto teso, preoccupato: ho paura di fallire, ho paura del freddo, del vento, della quota, della fatica… di fatto mi isolo un po’ ma forse ne ho bisogno, forse devo passare attra-verso tutto questo per trovare concentrazione e

serenità. Inoltre le previsioni meteo che riceviamo da Michela non ci lasciano tranquilli, non è previ-sta una finestra di tempo stabile: quando il tempo migliora si alza il vento, quando il vento cala arriva una nuova perturbazione. Ciò nonostante i giorni migliori per un tentativo sembrano essere il 27 e il 28. Optiamo per il 28.Ormai ci siamo, aspettiamo con un po’ di appren-sione l’ora della partenza quando finalmente affi-deremo alle nostre gambe la soluzione di tutti gli ultimi dubbi.

Venerdì 26 SettembreCampo Base (5685 m) - Campo 1 (6430 m)Partenza verso l’alto. Gli amici sono già andati, io mi trattengo ancora un po’: qualche ripresa e un attimo di riflessione prima di incamminarmi.La sassaiola mi mette come sempre alla prova, arrivo al C1 un’ora dopo i due amici che stanno

lavorando per rendere abitabile la tenda. I giorni di sole e gelo hanno deformato il fondo ed è dif-ficile sdraiarsi.Fuori c’è molto vento, dovrebbe calare in serata, ma ci aspettiamo per questa notte una copiosa nevicata.Non sono molto ottimista e ho un’enorme nostal-gia di casa.

Sabato 27 SettembreCampo 1 (6430 m) - Campo 2 (7150 m)La notte passa tra tanti pensieri, il tempo instabile non aiuta. La decisione presa di saltare il C3 mi preoccupa un po’. Dovremmo arrivare al C2 mol-to presto per avere il tempo di riposare e invece, al mattino, quando lasciamo il C1 sono già le 8:30 (ora Nepalese).Impiego 7 ore per superare 700 metri di dislivello e arrivo molto stanco, Alberto ci mette ancora di

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La cima vista dal C2 sembra così vicina eppure così lontana! “Temo di non reggere la tirata unica dei 1050 m che separano il C2 dalla vetta”

6800 metri, il primo grande seracco

più (per loro è la prima salita a C2), Alice come sempre fortissima.Un messaggio da Michela ci conferma tempo sta-bile per questa notte ed è un’importante iniezione di fiducia. Un paio d’ore dedicate a sciogliere neve e a cuci-nare prima di coricarci; riposeremo poco, sono le 18:30 e la partenza è fissata per le 22.Spero di farcela.

Domenica 28 SettembreCampo 2 (7150 m) - vetta (8201 m) - Campo 2 (7150 m)Dal mio diario:...La “sveglia” è fissata alle 21, siamo già pronti dentro al sacco a pelo, thermos già pieni. Partia-mo alle 22, per primi. Forza!La rampa verso il Campo 3 (7550 m) è di quelle taglia-gambe. Ma quando si attraversa? È tutto buio, davanti ai miei occhi solo le impronte illu-minate dalla frontale e le righe catarifrangenti degli scarponi di Alberto. Mi addormento. Delle luci dietro, ci superano… Sono le 2:30, siamo alle tende del C3, un gruppo che parte, chiedia-mo e ci rifugiamo dentro alla loro tenda. Ci dob-biamo riscaldare, riposare. I piedi freddi, le dita insensibili; massaggio a lungo, mi assopisco…

Alle 3:30 ripartiamo, fa molto freddo, -30° o an-che meno.Davanti a noi è ripidissimo, le luci lontane un’ora sono molto alte: è la parte rocciosa. Un tratto mi taglia il fiato, non ce la farò mai (?).... Quando superiamo la parete ripida inizia la luce del mattino e dopo un’eternità ci troviamo sul vasto pendio nevoso sommitale. La parte alta di-venta una lunga forma di resistenza fisica e men-tale: la cima sembra a portata di mano, ma la vastità dell’ambiente inganna e le distanze sono enormi. Quanto ci metteremo ad arrivare lassù?Quando mi fermo mi addormento, camminando anche.

Davanti sempre Ali e Albi, sempre fermi, come me, sempre alla stessa distanza, eppure saliamo.Gli ultimi 100/150 metri sembrano non finire mai, è come una dolce passeggiata quasi pianeggian-te… a 8000 metri!

Smetto di guardare l’altimetro, perché quando mi aspetto di essere salito di 100 metri mi dice che ne ho fatti 20. Impossibile! Incrociamo prima due poi altri due poi ancora

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Zona 8000, i vasti altipiani tibetani sono lontani in basso

Le prime luci del mattino, siamo quasi fuori dalla fascia rocciosa Ore 8:40 (ora nepalese) il primo raggio di sole

Le prime luci del mattino, siamo ormai molto alti

quattro tra alpinisti e Sherpa di ritorno dalla vet-ta, usano quasi tutti l’ossigeno.... Il primo raggio di sole in faccia ci riscalda un po’, sono le 8:40.Ci siamo Ali, non mollare! Alice procede con la lentezza di un bradipo, eppure è la prima, allora anch’io sono così lento.Dov’è la cima? Ali fermati, dimmi che è finita.Ormai ci siamo, lo dice la fisica, non c’è più salita, dov’è sta stramaledetta cima? Che sia quel rilievo là a destra?Ali si ferma, alza le braccia, non ci credo. Ci sono delle bandierine, possiamo fermarci.Anche se siamo in cima da un pezzo solo ora “possiamo” fermarci.Arrivo, ci abbracciamo, mi inginocchio, piango: ragazze ce l’ho fatta.Sono stordito. Siamo in cima tutti e tre, insieme, stiamo bene. Siamo soli, un regalo in più.

Sono le 12:20.Emozioni? Boh?La cima piatta non è una cima, sembra di essere al polo, ma è comoda e rassicurante, non pensi di essere in cielo dove volano gli aerei e passano le nuvole.Qualche nuvola verso est (appunto) ci impedisce di vedere l’Everest, così vicino; un paio di volte ne intravediamo la punta, alta in cielo, sospesa.Alle 13 cominciamo a scendere, abbastanza in-differenti.Ricordo la frase sul Denali: sono troppo stanco per essere contento.Nella parte alta le tracce di salita spesso non si ve-dono, confuse nella dura crosta ventata; il terreno è tutto uniforme e in due occasioni consulto il GPS per essere sicuro di seguire la direzione esatta.Arriviamo al C3 alle 15:30, ripartiamo alle 15:45 dopo qualche parola con gli amici che saliran-

no domani. Rientriamo al C2 alle 16:45: stanchi, stanchissimi, spenti. Vengo investito dai “soliti” brividi di febbre: è il corpo che dice basta.Una minestra, un thè caldo e il sacco a pelo, ognuno nei suoi pochi pensieri…”

Lunedì 29 SettembreCampo 2 (7150 m) - Campo Base (5685 m)La discesa è ancora lunga e faticosa, la tenda da smontare e gli zaini pesanti.Al C1 dobbiamo smontare il campo e raccogliere tutto il nostro materiale.Arrivano i portatori che avevamo “prenotato” per questa mattina, il loro aiuto è prezioso e lungo la discesa, più leggera, tornano le forze e l’allegria.La sassaiola, gli incontri con chi ancora sale, la sera che incalza, gli yak, il campo base, le congra-tulazioni, la doccia. La gioia? Non ancora.Fame, sonno, la mia tenda, la notte.

Mercoledì 1 OttobreTingri, le scale

Ce ne stiamo seduti a chiacchierare al sole.Ci spogliamo, in tutti i sensi; musica, messaggi.… Ma ti ricordi…? e quella foto? … ma sai che mi addormentavo? … e il cru-cugno sulla destra? … quando ho visto le bandierine! … e ave-vi freddo? … io ho mandato un messaggio a Michela: “siamo in cima al Cho Oyu e sto piangen-do!” … io ho chiamato la mam-ma! Davvero? Ma sì con il tuo telefono!… Ah già … e la di-scesa? … è stato bello arrivare insieme, come sul Muztagh Ata … facciamoci una foto su que-ste scale! … mi dai della crema? … attento al collo … anche tu

hai il nodino sul cordino rosso della puja? … a che ora mangiamo?Sì, è finita, abbiamo salito il nostro primo ottomila, anche Michela me lo scrive con orgoglio, siamo felici.Il caro nonno di Aligiò (Alice) ci ha spinto e ha aspettato che arrivassimo in cima prima di andar-sene, con orgoglio.

I giorni seguenti saliremo al campo base dello Shisha Pangma.Il nostro sogno “segreto” era infatti quello di salire entrambe le montagne.Ma non ci sono le condizioni e un grave incidente ha convinto tutte le spedizioni a rientrare a casa.Passeremo due giorni di solitudine e di riflessione ai piedi della grande montagna.È come una camera di decompressione, una terra di nessuno e un tempo sospeso.

Ci siamo, è giunto il momento di tornare. E magari restituire qualcosa di quello che ho tolto, grazie alla loro infinita pazienza, alle mie 4 donne (5 compreso il cane peloso).

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Con Alice e Alberto: la nostra piccola grande squadra, la mia famiglia tibetana

A casa il primo pensiero!

Il 7 giugno 2014 si è conclusa la seconda e ulti-ma parte dell’Advanced course of environmental friendly mountaneering organizzato da Mountain Wilderness Iternational e Aga Khan Foundation e iniziato la scorsa estate presso il villaggio di Passu, nel Pakistan settentrionale. Un corso per acquisire le competenze necessarie per offrirsi ai turisti e agli escursionisti stranieri come istruttori di tecni-che alpinistiche, portatori d’alta quota specializ-zati, guide di trekking. Un corso che, oltre all’up-grade tecnico, mira a mettere i partecipanti nella condizione di poter trasmettere queste conoscen-ze ad altri e promuovere un nuovo tipo di turi-

smo della montagna gestito dalle comunità locali, basato su principi di tutela e rispetto ambientale, concettualmente diverso da quello di altre e ben più note mete himalayane. Molti dei tredici ragaz-zi diventati istruttori al termine della prima parte del corso, lo scorso settembre, lavorano da tempo con agenzie turistiche, ma continuano a investire e impegnarsi nella propria formazione per trovare il modo di svilupparsi in maniera indipendente e autonoma.Il corso è guidato da Carlo Alberto Pinelli, presi-dente di Mountain Wilderness Italia, Carlo Bar-bolini e Francesco Cappellari membri del CAAI,

Mountain Wilderness Whaki Project 2014

diario alpino

Istruttori Nazionali che hanno diretto e seguito i tredici allievi Pakistani nelle esercitazioni su roccia e ghiaccio. Il corso è stato realizzato con la colla-borazione di Mountain Wilderness Pakistan (Afzel Sheraze) e del Club Alpino Pakistano.

L’esperienza di Mountain Wilderness in questo settore nelle zone di Himalaya, Karakoram e Hindu Kush è ormai assodata. In Afghanistan nel 2005, buona parte degli allievi era rappresentata da ex mujahidin, in cerca di riscatto professionale.

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Sosta durante la marcia di avvicinamento al Passu Glacier Haziza e Hafiza

Passu Glacier e Passu Peak

di Anna SustersicFoto di Francesco Cappellari

Un successo, la cui eco si è propagata in India, dove espressamente richiesta è stata l’organiz-zazione dei corsi che già nel 1995 sono appro-dati per la prima volta in Pakistan. In un primo momento, spiega Carlo Alberto Pinelli, l’obiettivo era la formazione degli ufficiali di collegamento, incaricati di controllare le spedizioni alpinistiche internazionali. Oggi l’obiettivo è di trasmettere ai giovani locali le conoscenze alpinistiche tecniche

sulla base delle quali poter costruire una nuova economia, gestire autonomamente e consapevol-mente i flussi turistici, secondo i canoni di rispetto umano e naturale propri dell’autentica filosofia alpinistica.

Il corso si è svolto in parte nel villaggio di Passu, in parte in quota, dove il campo è stato attrezzato ai margini del Passu Glacier ai piedi dello Shishpar (7611) e del Passu Peak (7478). Si tratta di una regione estremamente attraente dal punto di vista alpinistico, dove le cime superiori ai 6000 metri sono più di 700, oltre 150 quelle superiori ai 7000 e 5 gli 8000. Una zona dominata da ghiaccio e pietra, attraversata dagli immensi ghiacciai del Baltoro e del Batura, che ha conservato un fascino incorrotto e un carattere di autentica wilderness.

Scopo del corso di Mountain Wilderness era proprio quello di trasmettere il desiderio e gli strumenti per preservare queste caratteristiche di integrità ambientale, per promuovere una fruizio-ne del territorio libera da tensioni agonistiche e competitive e piuttosto votata alla contemplazio-ne rispettosa e curiosa, di uno degli ambienti più straordinari del pianeta.

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Caduta fortuita di un allievo in un crepaccio e prontamente trattenuto

“Noi pakistani siamo solo i custodi di questa incredibile natura. Questo mare inimmagina-bile di montagne è un regalo che il cielo ha destinato a tutta l’umanità”.

Manzoor HussainPresidente del Club Alpino Pakistano

Mountain WildernessAdvanced Course of Environment Friendly Mountaineering

Mountain Wilderness nasce nel 1988 per la conservazione e la tutela dell’ambiente montano dal punto di vista naturale ed etico. Dal 1995 l’associazione segue, fra le molte azioni rivolte alla tutela della montagna, progetti di formazione cultu-rale e tecnica di giovani alpinisti dell’area dell’Hindu Kush, Karakorum e Himalaya, per la promozione di un turismo alpinistico gestito dalle comunità locali in linea con principi dell’alpinismo classico e della tutela ambientale. Direttore del progetto Carlo Alberto Pinelli, presidente di Mountain Wilderness Italia e membro del CAAI. Gli istruttori che hanno partecipato all’edizione 2013/2014 del progetto: Carlo Barbolini e Francesco Cappellari del CAAI, Tommaso Castorina istruttore, Massimo Faletti (AGAI), Daniele Moretti Istruttore Nazionale. Michele Branca Finantial Advisor, Afzel Sheraze presidente di Mountain Wilderness Pakistan.

Posizionate nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico le Hawaii, che nel 1959 divengono il 50° stato degli USA, sono formate da un arcipelago di ben otto isole di varia grandezza di cui però solo sei sono accessibili al turismo.Nell’immaginario collettivo queste isole sono sempre state sinonimo di spiagge bianche di sab-bia finissima, di evoluzioni con il surf e windsurf e di totale relax all’ombra di palme con le fronde appena increspate da una dolce brezza marina.Sfogliando delle guide specializzate e dopo aver visto alcuni servizi televisivi dedicati a un turismo alternativo in questo arcipelago, ha fatto breccia

nella mia mente l’idea di andare a toccare con mano questa realtà per certi aspetti molto simi-le ad altre esperienze vissute in altri angoli del mondo.E così guida alla mano e con Elena comincio a progettare il viaggio. Pur avendo a disposizione un mese, ci rendiamo subito conto che sarà im-possibile visitare tutte le sei isole; cioè non im-possibile, ma se vogliamo scoprire a fondo quello che ci viene offerto in ogni isola e non vogliamo fare del turismo “toccata e fuga” dobbiamo con-centrarci su meno obiettivi. Decidiamo perciò di fare visita a quattro isole e anche qui la scelta si

HawaiiViaggio nelle isole del surf, delle cascate e dei vulcani

diario alpino

fa difficile però poi alla fine concordiamo (in base anche alle caratteristiche morfologiche dei luoghi) di andare a toccare con mano quello che offrono O’Ahu, Kaua’I, Big Island e Maui.

O’AhuQuest’isola nella quale è concentrato quasi il 75% della popolazione dello stato, è forse la meno hawaiiana delle isole, in quanto lo sviluppo ur-bano volto alla modernizzazione post-guerra ha in parte stravolto l’aspetto originario soprattutto nella parte meridionale dell’isola.Quando si arriva ad Honolulu la capitale, l’impres-sione è quella di essere capitati in una qualsiasi altra metropoli degli USA, una selva di grattacieli, strade a otto corsie, centri commerciali e super-mercati aperti 24 ore su 24 e una frenetica atti-vità. Ormai Honolulu è un tutt’uno con Waikiki, la spiaggia più famosa e frequentata dell’isola e così percorrendo in auto la strada costiera si ha l’opportunità di osservare quanto l’intraprenden-za urbanistica degli americani abbia inciso sull’e-conomia di questa parte degli USA. La decisione di passare qualche giorno a O’Ahu sta nel fatto che eravamo curiosi di andare a vede-

re Pearl Harbor, il luogo dove iniziò la Guerra del Pacifico nel 1942. Scelta giusta in quanto sul posto è stato allestito un museo all’aperto organizzato molto bene che rende l’idea di quanto accaduto.Seguendo delle indicazioni locali ci inoltriamo quindi all’interno dell’isola che fortunatamente risente in misura minore dell’espansione urba-nistica e concede ancora molti tratti di foresta pluviale ancora parzialmente intatta. Le colline subito sopra Honolulu presentano una notevole rete sentieristica e qui scopriamo la passione de-gli hawaiiani per le cascate. Ogni rivolo d’acqua dal più piccolo al più grande, dal più alto al più basso è pubblicizzato e segnalato in loco (ca-ratteristica questa comune anche alle altre isole da noi visitate) e quindi visitiamo le Manoa Falls lungo un sentiero tra una vegetazione ecceziona-le che in parte ricorda le colline nepalesi (questa camminata sembra si anche una delle preferite del Presidente americano Obama che ricordiamo essere originario di Honolulu). Un’altra escursio-ne molto apprezzata dagli isolani è la salita alla sommità vulcanica del Koko Crater lungo un ripi-do e vecchio tracciato di un trenino a cremagliera ora dismesso. Dalla sommità di c. 400 m si gode

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Il Koko Crater

L’Haleakala Crater

di Lucio De Franceschi

un ottimo panorama su Honolulu e su parte della costa Est dell’isola.

Kaua’iA parte le onnipresenti spiagge piene di surfisti quest’isola presenta una particolarità che la con-traddistingue dalle altre e cioè la presenza di un profondo ed esteso canyon che sembra quasi volere spaccare in due l’isola stessa. Il 30% del territorio è sotto la protezione statale come par-co, riserva forestale o riserva naturale e quindi le possibilità di effettuare escursioni, trekking e cam-minate sono molto varie.Cominciamo con l’andare a nord verso il Na Pali Coast State Park dove effettuiamo la prima parte del Hanakapi’ai Trail, un bel sentiero che con di-versi saliscendi a picco sull’oceano ci porta a una spiaggia deserta dominata da pareti rocciose. E ritornando sui nostri passi ci infiliamo in una val-letta straripante di vegetazione che con una salita costante ci porta alla consueta cascata immersa nel verde. Caldo umido soffocante e una leggera pioggerellina ci accompagnano in questa escur-

sione che come finale ci serve un eccellente ba-gno ristoratore nelle cristalline acque dell’oceano.E veniamo al Waimea Canyon; questa profonda e grandiosa incisione lunga 16 km e profonda 750 m offre delle spettacolari vedute e presenta una nutrita rete di sentieri alcuni dei quali scendono fino al fiume che scorre sul suo fondo. Tutti i per-corsi sono perfettamente segnalati sia alla parten-za che lungo il loro sviluppo e consentono anche di effettuare dei percorsi circolari compiendo mo-desti dislivelli. Noi abbiamo concatenato un paio di percorsi, collegando le parti più panoramiche di ambedue i sentieri e cioè il Black Pipe Trail e il Pihea Trail e questo ci ha permesso di ammirare le particolarità soprattutto cromatiche di questo canyon che in misura notevolmente più ridotta ricorda il Gran Canyon del Colorado.

Big Island (Hawai’i)È l’isola più grande dell’arcipelago; da sola è grande più del doppio delle altre isole hawaiiane messe insieme e presenta una varietà di paesaggi

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Tree climbing Picco verdeggiante a Honolulu

unica nel suo genere; da vulcani alti più di 4000 metri, a spiagge bianchissime, da campi stermina-ti di lava a lussureggianti foreste.Il nostro spirito alpinistico ci ha portato natural-mente a salire i due vulcani più alti dell’isola e cioè il Mauna Loa 4138 m e il Mauna Kea 4168 m posti proprio uno di fronte all’altro, ma questo non ci ha impedito di fare delle altre escursioni interessanti come la visita alla caldera del Vulcano Kilauea in perenne anche se altalenante attività.Salita al Mauna Loa 4138 mÈ questa un’escursione di soddisfazione che si svolge in un ambiente particolare fatto di colate laviche che si contorcono le une addosso alle altre creando curiose formazioni dagli aspetti e dalle tonalità cromatiche più diverse. Il luogo È assolu-tamente poco frequentato il che rende piuttosto wilderness questa esperienza.

Seguendo la moderna e veloce Saddle Road, da Kona o da Hilo si raggiunge la sella tra i due vul-cani dove si prende la diramazione che porta al Mauna Loa Observatory. Questa stradina lunga

28 km si snoda in modo incredibile lungo degli sconfinati campi di lava, dove le molteplici tonalità di colore fanno capire le diverse età delle eruzioni.Dall’osservatorio inizia il Mauna Loa Observatory Trail, un sentiero che si sviluppa interamente su campi lavici e dopo aver superato un dislivello di poco più di 600 m porta alla Summit Trail, proprio sul bordo dell’enorme caldera dove si incontrano anche altri sentieri provenienti dai diversi versan-ti. Data la posizione isolata della cima, la zona è molto spesso invasa da nebbie che rendono dif-ficoltoso il reperimento del sentiero, visto che è segnalato solo da ometti fatti di frammenti di lava, in mezzo a un mare di lava. Per fortuna iniziamo la discesa verso le 10 cosicchè raggiungiamo nuo-vamente l’osservatorio al sopraggiungere delle prime nebbie.

Salita al Mauna Kea 4168 mCome si legge sulla guida, questo vulcano oltre ad essere la cima più alta dell’arcipelago hawaiia-no si può considerare anche la cima più alta del mondo, in quanto se si misurasse dalla base posta

Purtroppo poco sotto la cima, ci si innesta sulla strada asfaltata che sale agli osservatori ed è gio-coforza seguirla per ca. 1 km fino a raggiungere le installazioni. La vetta vera e propria è un po’ ap-partata e per volere dei nativi è stata risparmiata dalle costruzioni cosicchè superata l’ultima ripida crestina rocciosa si giunge sulla sommità vera e propria.Scendendo come da copione incontriamo dappri-ma le nebbie e poi la pioggia che ci accompa-gnerà fino al Centro Visitatori e quindi ringrazia-mo di avere avuto l’idea di partire ancora con il buio poco prima dell’alba in modo da aver limita-to l’inzuppamento finale.

MauiÈ forse l’isola più turistica dell’arcipelago in quan-to offre condizioni ottimali per ogni sorta di sport e nello stesso tempo può regalare dei momenti di relax veramente indimenticabili.Immancabile la visita alla ‘Iao Valley dove una bre-ve escursione porta verso la base del ‘Iao Needle un vellutato pinnacolo roccioso ricoperto di vege-

tazione che si erge per 685 m e che costituisce il simbolo di Maui.Ma la parte più interessante dal punto di vista escursionistico è senz’altro la visita al Haleakal? National Park; uno stupefacente paesaggio vul-canico così somigliante alla superficie lunare che gli astronauti americani vennero qui ad esercitar-si prima di conquistare la luna. Dalla sommità a 3055 m (raggiungibile in auto o con bus navetta) è possibile effettuare una serie di escursioni ben segnalate verso tutti i molteplici coni vulcanici e anche concatenare diversi tracciati ottenendo così dei percorsi circolari.Certo le isole Hawaii sono bel lontane dai nostri standard di escursionismo/alpinismo delle Alpi o delle Dolomiti ma possono certamente rappre-sentare un’ alternativa che permette di coniugare mare e monti, di alternare sport acquatici a ripide camminate e gratificanti escursioni in mezzo alla foresta e di poter assaporare una natura selvaggia e ancora in parte incontaminata.

sul fondo dell’oceano la sua altezza raggiunge-rebbe i 9656 m. Aneddoto a parte, l’ascensione a questa vetta costituisce una bellissima salita di c. 1400 m di dislivello lungo campi di lava, coni vulcanici multicolori e tratti di cenere vulcanica.Nei pressi della vetta visto l’assenza quasi totale di inquinanti, sono stati installati parecchi osservatori astronomici di diverse nazionalità che con il loro biancore scintillante rendono l’arrivo sulla sommi-tà come un qualcosa di spaziale.

Le nuvole cariche di umidità provenienti dall’oceano creano una situazione par-ticolare e cioè scorrono lambendo i lati della montagna a un’altezza compresa tra i 2000 e 3500 m innescando fenomeni nebbiosi e spesso piovosi cosicchè men-tre a queste quote si è immersi nelle nu-vole in cima splende sempre il sole (veri-ficato con le numerose webcam presenti in loco).L’inizio del percorso il “Humu’ula - Mauna Kea Summit Trail” prende inizio dal par-cheggio del Onizuka Visitor Information

Station a una quota di c. 2700 m. Il tracciato ini-zialmente percorre una strada per poi proseguire lungo un sentiero sempre ben indicato e tracciato che alterna tratti ripidi a falsipiani offrendo così una progressione non troppo faticosa. Poco prima di raggiungere la sommità vale la pena di fare una piccola deviazione per andare a vedere il Wai’au Lake un piccolo lago alpino (sacro ai nativi) che posto a 3900 m di quota è il terzo per altitudine di tutti gli Stati Uniti.

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Salita lunare sul Mauna LoaUltimi passi sotto la cima del Mauna Kea

In vetta al Mauna Kea

Il deserto ha un fascino incredibile! L’ho imma-ginato molto, ma scoprirlo chilometro dopo chi-lometro, nelle sue sfaccettature più incredibili, è stata veramente un’esperienza unica.Il nostro trekking si è svolto nell’Oman, paese quasi sconosciuto a molti: si tratta in effetti di un sultanato all’angolo estremo della penisola arabi-

ca, affacciato all’oceano Indiano e confinante con Yemen, Arabia Saudita ed Emirati Arabi. È scono-sciuto a molti anche perché è un paese estrema-mente tranquillo, per la maggior parte disabitato, escluso qualche insediamento di nomadi e piccoli villaggi e la capitale Muscat, moderna ed efficien-tissima, dove vive la maggior parte degli omaniti.

Il deserto dei Sultani Diario di viaggio

diario alpinoLa seconda città è Salalah, capitale dell’incenso, all’estremo sud, importante soprattutto per que-sta resina raccolta dalle piante di Boswellia Sacra e il cui profumo è sempre molto apprezzato.Ed è da qui che parte il nostro incontro con il de-serto!Siamo in 11 partecipanti al viaggio, tutti soci del CAI, ma di diverse sezioni: Marostica, Montecchio Maggiore, Sandrigo, Bologna, Udine e Padova e le nostre tre guide Giovanni, Stefano ed Andrea della “Kailas Viaggi e Trekking”.Dopo un viaggio un po’ pesante con partenza da Venezia, sosta di 4 ore ad Istanbul, scalo nel Barein, arrivo a Muscat, successivo trasferimen-to con volo interno fino a Salalah ed una sana

doccia, cerchiamo di entrare nell’ambiente caldo, ma accogliente di questi personaggi (uomini na-turalmente, le donne praticamente non si vedo-no) vestiti sempre con la dishasha, tunica bianca candida e turbanti o papalina ricamata in testa, sempre molto curati ed eleganti. Girovaghiamo nei dintorni, visitiamo un antico porto romano dell’incenso a Khor Rori e dopo un bagno in Oceano ceniamo in un tipico ristorante omanita.La mattina successiva partiamo! Inizia ufficialmen-te il nostro viaggio nel deserto. Attraversiamo una catena di montagne, entriamo in un territorio di altopiani desertici e wadi (letti asciutti di fiumi) e pareti rocciose erose dall’acqua

di Paola Cavallin

rimento un po’ lunga e noiosa, circa 500 km per arrivare sulla costa, ma la interrompiamo con un pranzo tipico omanita ad Haima dove facciamo anche rifornimento di acqua e viveri. Arriviamo che è quasi buio a Ras Madrakan. Noi piantiamo le tende e Giovanni procura, contrat-tando con i pescatori al rientro, un tonnetto che cuciniamo sulle braci che nel frattempo Alberto e Stefano hanno ricavato dal falò. Non manca nulla! Ognuno fa la sua parte!In breve: tavola preparata, verdure pronte, tonno cucinato, l’allegria non manca! Sì, manca qualcosa: il vino! Purtroppo sappiamo bene che nei paesi mussulmani non si trovano alcoolici, ma dall’Italia, non si sa come, sono ar-rivate tre bottiglie, ma centellinate una per sera, sono finite, quindi tonno e… acqua!Alle prime luci dell’alba ci accorgiamo di essere in un posto magnifico! È una baia sull’oceano (qual-cuno approfitta per fare un bagno) circondata da rocce nere di origine vulcanica, è un complesso ofiolitico di 8 milioni di anni fa che è stato eletto patrimonio dell’UNESCO.

Giornata dedicata all’oceano! Piccola incursione in una salina abitata da fenicotteri e poi spiagge immense bianche piene di uccelli e granchi che entrano ed escono dai loro buchi nella sabbia.Scorrazziamo su questi spiaggioni deserti spa-ventando gli uccelli fino a raggiungere un posto magico: dune di sabbia bianca a ridosso del mare, sabbia che ci accorgiamo composta per la mag-gior parte da conchigliette microscopiche rosa, un paradiso con l’unico rumore del mare! Mare calmo, caldo, fantastico per fare il bagno!La mattina camminiamo fino quasi all’inizio del deserto denominato Wahaibah Sand, caratterizza-to da lunghi cordoni di dune color giallo arancio e ricco di cespugli. Incontriamo insediamenti di nomadi dediti alla pastorizia e scavalcando linee di dune con le auto ci avviciniamo alle imponenti montagne dell’Oman. Incontriamo piccoli villaggi abbandonati, come la città di Tanuff, con tipiche abitazioni di fango e paglia, fino a raggiungere la verde oasi di Al Hamra. Ceniamo con costicine di montone alle braci, ma bagnati da una pioggerel-lina montana.

e dal vento, allestiamo il primo campo montando le tende in un canyon.Il mattino ci incamminiamo in direzione Ubar, cit-tà risalente al 5000 a.C. e, raggiunti dalla nostre guide Giovanni, Stefano e Andrea che guidano i fuoristrada, arriviamo ad Al Mashash per entrare nel deserto di sabbia con le dune più alte: il Rub al Kali.Siamo quasi al confine con l’Arabia Saudita. Ogni tanto, oltre una duna, troviamo un posto di con-trollo passaporti con militari molto gentili che ci

offrono anche il caffè o il tè, felici di vede-re qualcuno spuntare dal nulla. Natural-mente non sempre si procede senza diffi-coltà fra le dune, ma i nostri autisti sanno anche liberarsi dalla sabbia in velocità. Navighiamo per tre giorni in un oceano di sabbia, circondati dal silenzio. Incontria-mo gazzelle e dromedari; in una piana di gesso circondata da dune troviamo una quantità sterminata di geodi di quarzo. Non lontano dal terzo campo scopriamo una zona dove sono affiorate dalla sabbia

le rose del deserto da lasciarci a bocca aperta. L’ultimo campo nel Rub al Kali lo piantiamo nel-le vicinanze del “site 16” N-Ramlat Al Hashman, dove c’è un pozzo di acqua sulfurea calda e ne approfittiamo per farci una specie di doccia dopo tre giorni di salviette umide.La temperatura è sempre alta, ma è molto secco ed è sempre ventilato quindi non si sente tanto il caldo e l’ambiente è talmente affascinante che non ci si accorge di alcuni disagi inevitabili.Il giorno successivo ci aspetta una tappa di trasfe-

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Ricordate il maltempo che ha caratterizzato il pe-riodo dal 26 di aprile al primo di maggio dello scorso anno? Erano giorni di ponte e molti italiani se li erano riservati come pausa lavorativa per go-dersi un po’ di riposo, magari in qualche località del nostro belpaese. Ebbene, sono stati necessari gli ombrelli, le felpe e le scarpe chiuse per difen-dersi...Niente di tutto questo per alcuni amici, che al seguito del noto e affidabilissimo tour operator Giuliano, sono volati fino a Valencia, per poi rag-giungere la Costa Blanca, nei pressi di Alicante.Di quattro escaladores era formata la squadra: Giuliano, Kiki, Andrea e Stefano, con le signore Anna e Ornella, assistenti, fans e sostenitrici dei relativi compagni.L’alloggiamento era in Benidorm, località marina dalla urbanizzazione selvaggia, costellata di torri di cemento, contenitori di altrettanti alberghi, non certo in equilibrio con il placido Mediterraneo. Segni evidenti di un benessere passato che nella notte mostra-vano il loro disincanto: tutte belle vuote viste le poche luci che le illu-minavano. Forse sarà stata anche la bassa stagione, fatto sta che, in accordo con il nome, si dormiva proprio tranquilli, tranquilli.Ma la nostra “Torre Dorada”, ave-va un aspetto completamente di-verso: l’albergo era vivo, pieno di famiglie e anziani in vacanza, in cerca di sole e mare. Tra i clienti,

abbiamo riconosciuto pochi altri climbers: solo quattro inglesi cresciuti e invecchiati a pane e roccia.L’accoglienza dell’albergo era perfetta. Personale caliente e cibo divino, preparato benissimo e pre-sentato in modo vario e abbondante. Lo stile “a buffet” non ha fatto altro che allenarci a ripetute partenze dal nostro tavolo verso quello con le vi-vande e a relativi ritorni.

Il clima era estivo e la crema solare si è resa asso-lutamente necessaria. Solo il Cassutti è sembrato non comprendere e ascoltare i vari moniti dei compagni (non è una novità), per difendersi da un’abbronzatura selvaggia e fastidiosa e tipica-mente da alpinista: vacanza finita con una poco invidiabile fascia rossa al polpaccio e mezzamani-ca violacea alle braccia.

Siamo in montagna! Arriviamo a circa 1600 m. e percorriamo un sentiero panoramico del Wadi Ghul (definito il Gran Canyon dell’Oman) fino a raggiungere il villaggio Sap Bani Khamis, abban-donato solo negli anni ’70, a strapiombo sulla valle.Il giorno successivo cambiamo valle, passiamo per alcune oasi di montagna sorte lungo il Wadi e facciamo un’altra escursione da un villaggio ad un altro, un po’ più impegnativa fra roccette, anche

esposte, con un dislivello di 8oo m circa, fino a raggiungere un’oasi molto ben irri-gata e con coltivazioni di frumento, cipol-le, melograni e palme da datteri.Rientriamo nella civiltà! Arriviamo verso sera a Muscat, la capitale. Il nostro resort è un Diving Center con bungalow con bagno praticamente all’aperto, fantastico! Soprattutto per la doccia che ci mancava dopo nove giorni senza acqua corrente! Ma la civiltà ci ha tolto il meraviglioso si-lenzio e il nulla intorno a noi, propri del

deserto, peccato! È finita un’avventura meravi-gliosa, un’esperienza unica, ma tutte le cose belle finiscono prima o poi.Nell’ultimo giorno visitiamo Muscat, il suk, le mo-schee, il palazzo del Sultano e la grande città, tut-te cose interessanti, ma la natura incontaminata dell’Oman è la ricchezza maggiore di questa terra.

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Il Puig Campana

Basta un aereo e... si trova il sole!

diario alpino

di Stefano Piccolo

biente e la varietà dell’arrampicata. La nota do-lente è stata la qualità della roccia che, data la vicinanza al mare e la quantità delle ripetizioni, è risultata essere muy lavada e certi passaggi “saponati”. Abbiamo cercato di percorrere la via classica, ma la bellezza dei passaggi delle altre vie e l’ingombro della vegetazione su quella ori-ginale, ci hanno portato a percorre un mix tra la “Valencianos” e “Polvos Magicos”, con acrobatici passaggi di 6b+. Per guadagnare la cima, abbia-mo chiesto il permesso a qualche gabbiano in cova. Qualche naturalista potrebbe farci notare che non abbiamo rispettato la loro tranquillità... A questi rispondiamo che erano loro fuori confine, visto che annualmente, dal 1° aprile al 30 giugno, viene riservata loro l’intera parete nord. Animali ingordi ed egoisti!

Il terzo giorno le no-stre intenzioni erano quelle di arrampicare in falesia. E l’avevamo scelta bene: sul mare e con vista mozzafiato sul Penon de Ifach. Purtroppo, le poco chiare indicazioni del-la guida e le intricate stradine del villaggio di Maryvilla non ce

l’hanno fatta raggiungere. Quale altro buon motivo per decidere di prenderci un po’ di riposo e mangia-re pesce con pochi euro nel porto di Calp?

Arrivati al quarto giorno, quando già si sentiva l’odore della partenza per l’Italia, abbiamo voluto lasciare un po’ di suola delle nostre scarpette sul più elevato rilievo di fronte a

Benidorm: il Puig Campana. In questa splendi-da cattedrale, dalla roccia a volte tagliente come lama, ci siamo cimentati sull’“Epelon Central”. Qui l’esperienza di arrampicata è talmente divertente, anche nei punti più difficili, che quando finisce è quasi più grande il dispiacere che non il piacere di avere concluso la via.

Che bella attività l’arrampicata! Si fa movimento, anche se avanti con l’età, si sta in compagnia, si vedono, sfuggendo al brutto tempo, posti nuovi, che poi, quando li lasci, ti strappano sempre la promessa di ritornarci!

Per ogni indicazione:C. Craggs, A. James - “Costablanca” - Ed. Rockfaxacquistabile on-line su www.rockfax.com

Dopo aver superato i problemi tipici di un viaggio aereo con Ryanair e cioè un over weight di ben un chilo e mezzo (!) nel bagaglio di stiva risolto con faccia supplichevole rivolta alla teutonica addetta al check-in bagaglio e insistenti proposte com-merciali in cabina (mancavano solo le tece), ci siamo lanciati per le strade spagnole sulla nostra nuovissima Ford C-Max- Avis... Lanciati?... Piano, il nostro pilota Cassuttino ha stentato un po’ a prendere confidenza con il mezzo. Diciamo che siamo andati bene dal giorno dopo...

Nel nostro primo giorno, abbiamo deciso di svol-gere il programma maggiormente impegnativo dal punto di vista stradale. Abbiamo raggiunto, dopo circa 160 chilometri verso sud, la parete di

Levya, nei pressi di Murcia. Bel sito roccioso, iso-lato e protetto in un territorio trasformato in Par-co Naturale, con una parete abbastanza grande rivolta a sud-ovest, da non essere considerata una falesia e dolcemente degradante dal versante op-posto. Il lungo viaggio viene ripagato dalla qualità della roccia e dalla tranquillità del luogo coperto da conifere. Qui percorriamo la via “Carillo-Can-tabella: cinque tiri su calcare grigio generosissimo e ben protetto, con passi non superiori al 5+. Un vero plaisir!È qui che siamo entrati in contatto con i primi climbers spagnoli: un concentrato di simpatia, benevolenza e disponibilità. Riconoscendo imme-diatamente i propri limiti, ci hanno subito ceduto il passo. Proprio la stessa esperienza di ognuno di noi sulle rocce italiane e francesi quando si incon-

trano cordate mitteleuropee!Rientriamo nella nostra Torre Dorada con calma, sazi del primo giro di cer-veza, avvolti dal tepore della assolata Costa Blanca, mentre in Italia... piove.

Il secondo giorno ci siamo diretti in una delle mete più caratteristiche del-la Costa Blanca e, nello stesso tempo, un sito molto suggestivo per dialoga-re con la roccia calcarea: il Penon de Ifach. Esso si erge dal mare davanti al paese di Calp, a una ventina di chilo-metri da Benidorm. È un promonto-rio di calcare di 332 metri che quasi emerge isolato dal Mediterraneo. È la caratteristica di questa cittadina e naturalmente il soggetto più utilizzato sulle cartoline ricordo. Vi sono due pareti arrampicabili, la nord-ovest e la sud e quest’ultima è quella su cui si snoda la “Valencianos” che abbiamo percorso con qualche variante. La via è stata spettacolare, per l’am-

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In queste pagine: sulla via Valencianos

“Ragazzi questa vacanza sarà una legnata!”. Con questa frase comincia l’avventura mentre cerco l’aderenza giusta e stringo una puntina di gra-nito al Col di Bavella. È pomeriggio inoltrato e siamo arrivati direttamente dal porto di Livorno; così abbiamo scelto un tiro in tutta fretta senza nemmeno consultare la guida. È una bella linea

e pare anche semplice. Gli errori di valutazione sono due: primo, la linea è sì bella, ma sicuramen-te (per noi) non semplice e secondo, la settimana sarà indimenticabile!Per chi non conoscesse la Corsica, “tafone” signifi-ca buco e qui è caratteristica peculiare e magnifica della roccia. Gli agenti atmosferici sono riusciti, nel tempo, a lavorare persino il granito creando incredibili giochi di rotondità, buchi, lame, fron-zoli, più semplicemente: “tafoni”. La regione di Bavella è una intricata ed apparentemente inter-minabile sequenza di pareti di granito dalla grana molto grossa che come forma e dimensioni spa-zia dalla Punta u Corbu, resa famosa dalla via Le dos d’éléphant, alla slanciata Punta Lunarda, nota ai più per Nirvana, fino ai più piccoli e variegati torrioni semi sommersi nel bosco di pino laricio. Meno frequentata è la zona del Tafunato di i Paliri, probabilmente per l’etica di chiodatura che rifug-ge tutt’ora lo spit.La nostra voglia di esplorazione ci porta proprio in quest’area. Percorrendo col binocolo la catena rocciosa che volge verso Sud, individuiamo una cima bifida che presenta due pareti decisamente interessanti. Una sembra facilmente percorribile lungo lo spigolo molto lavorato che la delimita sulla sinistra, l’altra, dopo un tratto iniziale tafo-nato, forma un pilastro compatto tagliato esatta-mente al centro da un profondo camino. La prima soluzione sembra la più semplice, così decidiamo di soddisfare il nostro bisogno di libertà puntando allo spigolo. Dopo un fuori programma nel pun-gente sottobosco corso (russe a go go) riusciamo

Un cinghiale in terra Corsa

diario alpino

a raggiungere la base della parete e... sorpresa! un bel chiodo colorato di blu segna l’attacco di una via. La situazione era prevedibile visto la visi-bilità e la logicità della linea, ci dirigiamo così su-bito verso la seconda e più ambiziosa soluzione.Salgo al centro del pilastro una placca compatta che con due risalti porta ad una cengetta. Di lì un’altra placconata conduce alla zona tafonata che avevamo individuato col binocolo. Si tratta di una quarantina di metri di tafoni in tutto, ma non ci era mai capitato di fare interi tiri su granito proteggendo quasi esclusivamente con cordini nelle clessidre. Ne escono due lunghezze memo-rabili. Abbiamo ora davanti il pilastro vero e pro-prio dove una placca liscia e compatta preclude l’accesso al camino. Lerri (Andrea Terrin), passato

in testa, estrae il coniglio dal cilindro e con un paio di traversi delicati riesce a proteggere il tratto che conduce al camino. La sosta è incastrata, scomo-dissima, ma un breve tiro gli permette di raggiungere una cengia dove può cedere il comando della cordata. Tocca a Cinghiale (Andrea Ruzza) che, carico come un artificialista d’annata, proce-de mirando a un diedro che da sotto si riesce solo ad intuire. Lo sale sen-za dire niente e ai nostri “come va?” risponde sbuffando e ragliando. Il tiro è magnifico e Cinghiale ci ha persino pulito le fessure dall’erba! Don’t you want Cinghiale to love? You’d better find Cinghiale to love!In poco tempo siamo tutti in cima. L’e-mozione è grande, così come la sod-disfazione. Siamo riusciti a salire una linea diretta con arrampicata molto divertente e la roccia è stata così gene-rosa che non abbiamo dovuto piantare nemmeno un chiodo e infine Ghjian

Paulu conferma che la linea è nuova. Abbiamo la-sciato due cordini in parete: se qualcuno andasse lì per tirare una riga di spit, che almeno si senta in colpa!

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Sopra: la catena di cime granitiche che dal Tafuna-tu di i Paliri volge verso SudSotto: Lerri estrae il coniglio dal cilindro

Sopra: Lerri sale il bellissimo diedro fessuratoSotto: foto di vetta: l’emozione è grande

di Francesco Marra

Che strano Natale, quello che abbiamo vissuto quest’anno. La magia di quella notte che ogni anno torna e che magari anche solo per un attimo ci lascia sospesi a riflettere, isolandoci dalla confu-sione dei preparativi, dagli auguri che si intreccia-no freneticamente, dai riti irrinunciabili della festa, dalle tavole imbandite, quella magia, questa volta, ci è scesa addosso nel silenzio delle grandi valli, nel buio rischiarato appena dalle sagome inneva-te delle grandi cime, nell’aria tersa e fredda di una notte himalayana.E come è vero che la montagna tenta di insegnar-ci la semplicità, l’attenzione all’essenziale, così è stato nel nostro festeggiare semplicissimo ma feli-

ce. Un boccone di panettone, nascosto per giorni nello zaino e sbucato a sorpresa dopo la cena del tutto uguale a quella delle sere precedenti, un boccale di thè, un po’ di canzoni ed abbracci, poi tutti a riposare pensando alla camminata del giorno dopo.

Questo Natale infatti lo abbiamo trascorso in trekking, dieci giorni nel parco del Sagarmatha, lungo le valli che portano alla base del Cho Oyo, e dell’Everest. Abbiamo conosciuto montagne che ci hanno affascinato prima ancora di imparare i loro nomi (Thamserku, Kangtega, Cholatse, Ama Dablam) e che ci hanno accompagnato nel viag-gio come fiaccole immacolate lungo un itinerario misterioso, affascinanti dee minori che con soave dignità fanno da vallette ai “signori” della valle, gli Ottomila. Dieci giorni con zaino in spalla e l’aiuto di alcuni portatori, senza obiettivi impegnativi e con il solo piacere di assaporare la conoscenza di questo luogo sognato e desiderato tanto a lungo. Parten-za da Lukla, depositati sulla sua incredibile pista d’atterraggio da un vibrante e rumoroso bimotore preso a Kathmandu, tappe moderate, da cinque a sette ore di cammino, alloggiando nei lodge a Phakding, Namche Bazar, Phortse Thanga, Ma-chherma, Gokyo, Dhole, Pangboche, Tengboche e nuovamente Namche Bazar, la “Cortina” del parco. Ma a questi nomi se ne sarebbero potuti sostituire altri, perchè gli itinerari, di grande af-flusso soprattutto nella stagione post-monsonica, sono assai frequentati, e gli alloggi, tutti molto semplici ma decorosi, pullulano lungo il cammi-no. Solo alcuni punti, strategici più di altri, sono forse irrinunciabili. Come lo è la visita al mona-stero di Tengboche, uno dei più importanti del Nepal. Alla fine circa settemila metri di dislivello, e complessivamente come gruppo almeno quat-tromila fotografie. Nel conto va messo anche un

Nepal, Natale speciale con gli yak

diario alpino

po’ di disagio per la quota, alcuni malesseri che si sono risolti dopo un giorno o due e il rischio di re-stare “intrappolati” dal maltempo in arrivo dopo una settimana veramente meravigliosa, ossia di dover rinviare il volo di rientro a Kathmandu.Nella sacca dei ricordi, nel lasciare il Nepal, ognu-no ha messo un suo bagaglio personale che a giudicare dagli occhi di tutti, più ancora che dai commenti, ci ha arricchiti e resi felici in questo viaggio.Penso alle luci radiose di una mattina, lasciandoci alle spalle il paese di Gokyo e l’obbiettivo che non volevamo fallire, il Gokyo Ri, una facile cima di 5.360 metri ma grandioso balcone panoramico sulla catena principale, dal Cho Oyu al Makalu. Penso al mio procedere lento sulla neve che scric-chiola, al soffio del vento che mi separa dagli ami-ci distanti solo pochi passi, e immagino che anche loro stiano incidendo nel loro cuore le sensazioni raccolte giorno dopo giorno.

E infatti, dal suo diario, dopo il rientro in Italia, Francesco ci legge le sue impressioni della salita finale:- Il passo si fa più lento, mano a mano che salia-mo. Al di là della valle, oltre le linee tormentate del ghiacciaio, la vista comincia ad aprirsi sul mare di cime che ci circonda. Sotto di noi lo specchio ghiacciato del lago riflette la luce limpida del sole pomeridiano; l’aria è tersa, anche oggi non è apparsa una nuvola in cielo. Gli ultimi passi, i più faticosi, e raggiungo la cima. Per pochi istanti sono solo quassù. Davanti a me una vista scon-finata sui giganti di roccia e ghiaccio, sui profili nitidi delle vette più alte del mondo. Qui lo spazio sembra avere un’altra dimensione, che non avevo mai vissuto fino ad ora. Respiro a fondo, allargo e braccia cercando di raggiungere tutte le cime che mi circondano. Chiudo gli occhi, catturo questa immagine e la imprimo in un ricordo indelebile... e penso già a quando farò ritorno tra queste valli, a queste montagne ancora tutte da scoprire.

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di Giovanni Piva con brani dai diari di Francesco Facco e Silvia Loreggian

L’Everest e il Lothse da Kunde sopra Namche Bazar

E dal suo, Silvia, ci rammenta altri frammenti della bella avventura:- Il tragitto di oggi è bellissimo. Con una breve salita saliamo la valle in cui abbiamo trascorso la notte e da qui il sentiero corre alto sui pendii scu-ri e dietro, distanti ma chiarissime, le montagne giganti, sormontate da crestone di neve e bloc-chi di ghiaccio che Dio solo sa come facciano a stare su. La compagnia procede serena, ognuno col suo passo. Ci fermiamo in un paesino deserto in questa stagione e mi ricorda scene da film, di villaggi devastati dagli Unni in cui sono rimaste solo le bandierine delle preghiere, svolazzanti. C’è però una scuola, frequentata dai ragazzi del luogo nel periodo estivo. Più avanti, due bimbi si son costruiti gli sci con dei tubi di plastica legati ai piedi con fil di ferro e si divertono, e sono felici di attrarre la nostra attenzione.

- Non capita di camminare ore senza vedere anima viva, incrociamo altri trekkers e abitanti del luogo. Camminano con dei carichi impensa-bili sulle spalle o con zaini strapieni: ognuno di loro, sicuramente, trascorrerà fuori la notte, forse

anche più di una, lontano dalla sua casetta e dai familiari. Ma non sembrano nè a disagio nè iso-lati, perché hanno i cellulari e la luce elettrica, ma l’unico mezzo di trasporto che hanno sono i loro piedi e le uniche strade sono i sentieri pietrosi, fangosi e a nord anche ben ghiacciati, o meglio, un unico grande sentiero che congiunge un posto ad un altro, dall’inizio alla fine della vallata.

- Siamo in Himalaya ed è veramente incredibile quello che ci circonda. Ci sono dei colossi pazze-schi, le cui cime son sferzate dal vento, un vento freddissimo: ne è arrivata una folata in selletta e quasi ci buttava per terra. Davanti a noi, salito il passo, sbuca gigante il Cho Oyu. Non saprei che altre parole usare per descriverlo. È un colosso che domina la vallata, sta lì in fondo che sembra vicino e invece ha un paretone di almeno 2000 metri da salire quando gli arrivi sotto. È questo che impressiona e le rende così grandi ai nostri occhi: questa grandi cime si staccano isolate dal resto dei monti, non è che ci arrivi un po’ alla vol-ta, pensi, devi andarci proprio sotto e sudartela, dall’inizio alla fine, tutta d’un pezzo.

- La notte c’è una stellata incredibile. La luna sorri-de a spicchio tra due vette sulla destra, ma un po’ alla volta scompare, lasciando spazio libero alle stelle. Tantissime, luminosissime. E queste mon-tagne anche col buio dominano la vallata, con le loro cime bianchissime. Esco un attimo prima di andare a nanna, per ossigenarmi il cervello prima di chiudermi nel sacco a pelo, ma non so se sia stata una buona idea, perché lo spettacolo che vedo, per la seconda volta, mi lascia a bocca aper-ta e poi, sdraiata nella mia brandina non riesco a prender sonno, eccitata dal posto in cui mi trovo o dalla meta che ci aspetta domani. Sorrido tra me e me ricordando una sera prima di partire che, da un giardino in città, cercavo di vedere qualche stella tra i palazzi e le luci della stazione!

Cala il sipario… e mi stupisco a ripercorrere le sensazioni e le riflessioni che questo viaggio mi ha suscitato, molte e tavolta persino contrastanti, in un percorso evolutivo positivo, dallo shock inizia-le alla merviglia crescente delle montagne. Dalla presa di coscienza di contraddizioni e tristezze di questo paese, fino ad arrivare a intuire che alcune cose potrebbero essere al posto giusto, anche se non sembrerebbe. Ho l’impressione di aver appe-na cominciato a cogliere alcuni significati, a capire un po’ di questa cultura e di questa situazione. Si è formata in me l’idea che la povertà del Nepal possa non essere a senso unico, verso un desti-no-declino segnato, ma che sia un paese travolto dall’epoca moderna che si è fatto sorprendere da

essa, senza essere capace di reagire a tecnologia, denaro, potere. Intuisco che potrebbe essere la realtà di un paese in transizione, sospeso tra il rischio di un collasso eppure dotato delle ener-gie necessarie per tirarsi fuori dalla fossa, grazie a persone ricche di speranza e creatività. Parto con il ricordo di un paese visibilmente amato da chi lo ha incontrato e vissuto e che può godere dei frutti di tante amicizie, tangibili nelle tante ONG, asso-ciazioni, fondazioni, che affiancano iniziative locali per sostenerne lo sviluppo. Spero sinceramente di poter un giorno tornare, e constatare che i nepale-si ce l’avranno fatta, da protagonisti, a fare “luce” su Kathmandu.

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Considerazioni finali sul Nepaldi Francesco Loreggian

Il gruppo con le guide nepalesi

L’Ama Dablam

Nuovamente in Nepal; ci torno dopo esserci stato nel 1980 con la spedizione Italo-Nepalese all’Everest. Da quella esperienza ha preso forma la mia attività alpinistico-conoscitiva in giro per le montagne al di fuori dell’Europa, ma il Nepal è sempre rimasto per me il paese dove poter fare del trekking o salire delle cime respirando un’aria da “storia dell’alpinismo”, dove seguire le tracce dei primi alpinisti europei che 50-60 anni fa sca-valcavano faticosamente gli innumerevoli crinali boscosi lungo tracce incerte e scomodi sentieri per giungere alla base delle magnifiche montagne ben visibili dalle lontane pianure.In Nepal di seguito ci sono ritornato diverse volte e ogni volta ho notato dei cambiamenti sia nella capitale Kathmandu sia nelle vallate. E’ cresciuta l’urbanizzazione e di conseguenza il traffico e il caos cittadino; è cresciuta in modo esponenziale l’offerta turistica sia come strutture alberghiere-ri-creative che come proposte per tutti i tipi di sport,

grazie anche al miglioramento della rete sentieri-stica e si sono sviluppati numerosi collegamenti aerei per località una volta raggiungibili solo con giorni di cammino.Quest’anno mi è venuta voglia di tornare e di percorrere la vallata di Gokyo, parallela e altret-tanto bella di quella più famosa del Khumbu che porta alla base dell’Everest. In quest’occasione, ho avuto il piacere di accompagnare dei ragazzi che per la prima volta visitavano questo paese e os-servandoli sia durante il trekking che nel visitare la vallata di Kathmandu ho capito che i nostri occhi percepivano cose diverse: quello che io davo per scontato per loro era una scoperta elettrizzante. E infatti la sera lavoravano alacremente ai loro diari (che io ormai non faccio più) nei quali è bello ritrovare l’entusiasmo della “prima volta” e ricor-dare quando anch’io con gli occhi del neofita non vedevo l’ora ad ogni svolta del sentiero di scoprire cosa c’era dopo.

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Appendice: perché ancora quidi Lucio De Franceschi

PremessaDopo aver frequentato i Lagorai in lungo e in lar-go, a piedi, con gli sci o con la bici, la logica con-seguenza era quella di unire in un’unica soluzione la loro traversata.Niente di nuovo, per carità e certo non si tratta di un’ impresa epica; la “Translagorai” rimane co-munque un bel viaggio, non solo geografico, ma anche nella storia.Le innumerevoli testimonianze lasciateci dal pri-mo conflitto mondiale, fatte di trincee, fortificazio-ni ecc. lungo tutta la traversata, sono uno spunto di profonda riflessione su quanto possa essere stata dura e terribile la vita dei soldati impegnati in una lunga ed estenuante guerra di posizione.I Lagorai, quasi a ridosso delle ben più rinomate e antropizzate sorelle maggiori, le Dolomiti, conser-vano ancora un ambiente integro e quasi selvag-gio. La presenza umana è segnata solamente da rare malghe e alpeggi vocati al pascolo.

Quindi non mancano gli ingredienti per una pic-cola avventura quasi alle porte di casa e la nostra piccola scommessa è stata quella di compiere la traversata completa in quattro giorni, causa il tempo a disposizione sempre tiranno, anziché nei previsti 6/7 giorni. Il breve diario giornaliero che segue, redatto da Pierangelo, è il sunto di quattro giorni vissuti inten-samente tra terra e cielo e soprattutto in amicizia.Maurizio, Pierangelo, Nazzareno, Tommaso

6-7-8-9 ottobre 2014Inizio ufficiale il giorno 04/10 quando Maurizio, armato di bicicletta, deposita la sua auto a Passo Rolle per il ritorno dalla Translagorai e scendere fino a Feltre per proseguire con il treno.Lunedì 06/10, ore 5.30 partenza per Panarotta con autista che torna subito verso casa.È chiaro che senza problemi non si può iniziare, ecco quindi che non c’è una pinza per sbloccare i bastoncini di Mauri. Dopo affannose e ben pro-nunciate litanie, viene bloccata la punta del ba-stoncino, sotto la staffa di un tavolo da pic nic, con l’uso della chiave per cambiare la ruota della macchina. Sembravamo dei ladri di tavoli.Alle 8.15 partenza quasi serena verso l’infinito ed oltre. Solo che l’infinito si preannuncia carico di nuvole.Direzione malga Cagnon di sopra.Arrivati in cima al Fravort, unica vera cima del per-corso, piccola sosta. Noi, sudati per il peso degli zaini, vediamo arrivare una giovin signora che ha fatto la nostra stessa fatica senza sudare...

Translagorai

diario alpino

Sminuiti nel nostro orgoglio facciamo i fighi par-lando della nostra meta lontana ancora 75 km.Lei, autoctona, conosce il giro, quasi tentata, vor-rebbe seguirci, ma prosegue per la sua strada.Rimaniamo nelle sue tracce per un bel po’. Lei con il suo passo leggero e veloce, noi con i nostri carichi. Non la raggiungiamo e, per fortuna, devia-mo a destra sotto il Gronlait e lei tira dritto. La marcia si rilassa. La incrociamo nuovamente, ha fatto un giro circo-lare rispetto a noi. Ma ormai, la minaccia di piog-gia, unica e vera preoccupazione di Mauri, ci fa proseguire verso l’infinito e oltre!Tra una nuvola, uno sprazzo di sole, un po’ di se-reno, su e giù tra colli e forcelle, passiamo per il rifugio Sette Selle, dove ci meritiamo una pausa per il ripristino fisico.Ma è chiaro che le nuvole non stanno a guardare! E, tra una nuvola, una nuvola e una nuvola, arri-viamo alla malga Cagnon di sopra alle ore 17.30, bagnati da una mezz’ora di pioggia.Sorpresa delle sorprese, la cara signora Agnese, malgara solitaria di 75 anni, forse un po’ impieto-sita dalle nostre condizioni, alla richiesta di piazza-re la tenda sotto il portico, ci offre ospitalità, con-

cedendoci l’uso di casa, camera, cucina, pentole, pomodori, letti, due gabinetti, compagnia, burro fresco da mangiare con lo zucchero e... vino!!!E, offesa dalla nostra autonomia, ci lava pure le pentole! Cara la signora Agnese, peccato che i formaggi li ha già mandati a valle.Comunque, cena con tortellini in brodo e frittata di uova fresche, il tutto cucinato dallo chef Maurì.Pensare che abbiamo in-sistito per dormire sotto il portico!E... latte fresco per la cola-zione del mattino con scorta di uova per il viaggio.Intanto la pioggia smette, esce la luna e al mattino tro-viamo la brina.Martedì 07/10, ore 9.15, cor-risposto un riconoscimento per tanta ospitalità,partenza! Unico rammarico, una for-ma di formaggio rovinata che nessuno ha pensato di chiedere.

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Panarotta

La cima del Gronlait

Agnese

di Pierangelo Rampazzo

io. Il solito su e giù tra colli e forcelle fino a passare per il bivacco Teatin, una grotta ben chiusa da una parete di legno, con due posti secchi su due pan-nelli da calcestruzzo buttati per terra.Si prosegue, dopo 8-9 ore si respira aria di meta...No! C’è stata la slavi-na sotto il Cauriol che ha portato giù tutti gli abeti sul sentiero... Difficoltà nello scaval-care... rami e tronchi, fango e... litanie. Il paradiso si allontana. Il bivacco diventa un sogno.

Imbrunisce, la traccia richiede fiuto. Il buio, le frontali, la nebbia delle nuvole basse!Si consiglia la confessione. Il morale non c’è più.Per fortuna con l’aiuto di moderni sup-porti (GPS) procediamo, seppur con notevole difficoltà. Segnavia dopo segnavia, vediamo in uno sprazzo di notte, la luce del bivacco...Ore 21.00 Arrivati!Stufa accesa, coppia di escursionisti con-dividono lo spazio con noi...Buon compleanno Tommaso!!Ha portato il vino e il dolce nascosti nel-lo zaino!Bravo! Solo che è steso a terra, con Maurizio che gli solleva le gambe, pieno di nausea. Un tè caldo e si ritira a letto. Buon compleanno...Minestrone finale con sei buste, dose prevista per 18 persone e tutti a letto.Giovedì 09/10, quarto e ultimo giorno, ore 9.00 si riparte. Alba piena di colori che si riflettono

sulle nuvole, morale ammalato, rialzato, ripreso e sfamato.Laghetti, sentieri, colori, sole (poco), stradine mili-tari,trincee, fortificazioni. Montagna selvaggia.

Direzione lago delle Stellune per nottata in tenda.Contenti della brina e accompagnati da una mat-tinata piena di colori tempera, si preannuncia una giornata serena.Si cammina tranquilli, si “gode” del sole… che se ne va, si è “felici” delle nuvole… che si accu-mulano, si passa per il bivacco ai Mangheneti con sosta e si arriva al passo Manghen con un fred-do bestiale. Unico punto civilizzato del percorso, d’obbligo caffè e strudel, piacevolmente riscaldati dalla stufa.Le comodità garantite ci fanno un baffo! Abbiamo la tenda! Via verso l’obiettivo.Un bellissimo sentiero bellico ci porta per quasi tut-to il percorso all’interno di valli selvagge, dove solo i soldati hanno potuto costruire fortificazioni folli delle quali restano innumerevoli testimonianze.Paesaggi e colori, l’infinito e il selvaggio abban-dono dell’uomo fanno di questa zona una me-raviglia della natura. Tant’è che la natura ci vuole lavare quando arriviamo al lago delle Stellune... Meglio cercare riparo più consono.

In discesa, col pensiero della risalita del giorno dopo, andiamo verso il baito segnalato sulle mappe.Tristezza... stalla con abbondanza di ... anche den-tro la diroccata casetta del malgaro.Si scende ancora verso malga Cazzorga, altri 150 metri da risalire il giorno dopo.Sorpresa! Una malga con un bivacco con tavolo, stufa, acqua, piano superiore per dormire (troppo impolverato). Inizia a piovere... Albergo quattro stelle superiore e vai con la cena. Uova sode, spa-ghetti di soia e gli ultimi tortellini in brodo.Continua a piovere, sembra neve sottile.Mercoledì 08/10, ore 9.00, sotto un cielo plum-beo, si riparte per la tappa più lunga del giro... Meta: forcella Coldosè con il suo bivacco nuovo.Si alterna qualche sprazzo di sereno alla costante presenza di nuvole. Appena si scorge un paesag-gio piacevole, ecco chiudersi il sipario grigio.Ma il morale è ancora alto, non ci sono alternative.Piove per un bel po’, ma il morale è sempre alto!Il percorso si snoda tra cenge esposte e orridi bur-roni a volte attrezzati con brevi tratti di cavi d’accia-

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Forcella di Val Sorda

Dopo Forcella Busa della Neve

Il bivacco Teatin

Morale alto. Dopo il passaggio per il bivacco Paolo e Nicola a forcella Valmaggiore, si sale verso Cima Cece punto più alto della catena dei Lagorai.Pietroni, massi, pietroni, massi, nuvole... Ma non finiscono mai questi pietroni!Almeno non piove! No! Qualche gocciolina non manca. Si intravede il Colbricon…, tra sette ore, ed è mezzogiorno. Avanti! Sprazzi di sereno tra le nuvole ci mostrano la meta. Dopo l’ennesima sosta al bivacco Aldo Moro, si comincia finalmente a percepire la fine di questa lunga traversata.Il buio incipiente all’improvviso si riaccende di colori, il cielo si riflette sui laghetti di Colbricon… Ci siamo, ultimo sforzo su per la pista da sci, tra gli scheletri degli impianti chiusi, Passo Rolle. In un’atmosfera surreale al buio e avvolta dalla nebbia, la macchina, un miraggio, no, la realtà.È FINITAAA!

Che gioia immediata, ma che tristezza pensare al ritorno in pianura. È la vita, quattro giorni di fuga, mente vuota, impegno costante e, tutti gli altri giorni...Va ben! Alla mia età ce l’ho fatta. Non è poca sod-disfazione.Grazie Maurizio del giro che hai costruito, gra-zie Tommaso del fiuto a cercare le tracce, grazie Nazzareno per aver sopportato quello scarpone doloroso che avrebbe fatto mollare tutto a tutti.Si torna a casa.Grado di soddisfazione “alto”.

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Verso malga Moregna Piccolo Colbricon

Note tecnicheLa catena dei Lagorai si estende da Panarotta a Passo Rolle con andamento sudovest - nordest per circa un’ottantina di chilometri.La Translagorai segue quasi fedelmente la linea di cresta e in poche occasioni scende sotto i 2000 m.Il percorso non presenta particolari difficoltà tecniche, ma richiede comunque buon allenamento e in caso di scarsa visibilità, buon senso d’orientamento.I punti d’appoggio gestiti scarseggiano, ma malghe e bivacchi permettono comunque buoni punti di sosta, e l’acqua lungo il percorso non manca.Nel programmare l’itinerario, anche in base ai giorni a disposizione, è bene partire pen-sando alla completa autonomia logistica.A inizio estate non è raro incontrare ancora abbondanza di neve, in quanto il tracciato si sviluppa quasi interamente nei versanti nord e alcuni tratti potrebbero creare difficoltà insormontabili se non si è ben attrezzati.Nel nostro caso, in quattro giorni abbiamo percorso 84 km, con un dislivello in salita di 6750m. e in discesa di 6570m. Il terzo giorno da Passo Sadole abbiamo optato di non scendere al rifugio Cauriol, ma seguire un nuovo sentiero passante sulle pendici sud del Cauriol, che porta direttamente al nuovo e accogliente bivacco Coldosè, situato presso l’omonima forcella.

In coordinazione con l’associazione Giovane Montagna di Padova e il Cral Araba Fenice, il Gruppo Naturalistico (GNC) di Padova ha orga-nizzato un’escursione molto gradita ed interes-sante dal 25 al 27 aprile 2014. L’organizzazione impeccabile ha permesso di godere di rari gioielli paesaggistici, architettonici, pittorici ed archeolo-gici che l’Umbria riserva ai suoi estimatori.Prima tappa importante dell’itinerario è stata l’Oasi Naturalistica La Valle a San Savino sul lago Trasimeno nella zona dell’emissario, con manu-fatti idraulico-fluviali risalenti all’età romana. Dal lungo e panoramico pontile è stato così possibile ammirare l’avifauna stanziale e migratoria con le

famigliole di folaghe, aironi in volo ed alcuni ra-paci diurni. Affascinante e didattico è stato poi il rito dell’inanellamento degli uccelli ad opera del personale della Cooperativa dell’Alzavola. Con un traghetto quindi è stato possibile effettuare la visita all’isola di Polvese (antico luogo di pe-

sca medioevale e di insediamenti frateschi), con il castello del XIV secolo ed i resti dell’antico Con-vento di San Secondo. Dalla zona del Belvedere era possibile abbracciare con lo sguardo tutta l’e-stensione del lago Trasimeno con l’Isola Maggiore e l’Isola Minore.Sabato 26 una lunga e gradevole gita da Poreta a Trevi, anche lungo tratti della via Francigena di San Francesco, attraverso splendidi uliveti, permetteva a noi escursionisti di fare lunghe chiacchierate in amicizia e di conoscere varie tipologie di fiori grazie ad alcuni soci esperti. Si incontrava così il Castello di Campello Alto per giungere nel primo pomeriggio alla magica atmosfera del Tempietto del Clitunno. Questa struttura del IV-V secolo è una piccola chiesa paleocristiana nel comune di Campello sul Clitunno e con altre zone di risor-give (1 km circa più a monte) fa parte del sito seriale “Longobardi in Italia: Luoghi del potere”. Vi si respira un’atmosfera di calma, di serenità sta-remmo per dire quasi di piacevole trascendenza, ma non certo superiore tuttavia a quella che ci ha colto nel pomeriggio a Trevi davanti alle ope-re del Perugino e dello Spagna nella Chiesa della Madonna delle Lacrime. Di fronte a questi capo-lavori si resta abbacinati (indipendentemente dal credo personale di ogni viandante escursionista) dal messaggio di bellezza ed arte che questi gran-di uomini del passato italico ancora oggi sono in grado di trasmettere.Al rientro a Todi, in serata, abbiamo avuto la for-tuna di calarci in una diversa dimensione di arte: il teatro. A Montecastello di Vibio ci viene fatto il

Una gita in Umbria

diario alpino

regalo di assistere, nel più piccolo teatro d’Italia (o forse del mondo), alla commedia Pigmalione di George Bernard Shaw. Possiamo così con l’o-pera del drammaturgo meditare sull’ipocrisia ed i problemi della società di allora ed indirettamen-te di oggi (la condizione della donna che vuole emanciparsi).L’ultimo giorno è caratterizzato dalla visita allo splendido borgo medioevale della città di Narni, visibile ed “invisibile”, preceduta nella mattinata da un’escursione nella zona paleontologica della Foresta Fossile di Dunarobba. È stata un’esperien-za non comune. Abbiamo ammirato così, sotto una debole pioggerellina, i resti fossilizzati delle grandi conifere risalenti al periodo tra la fine del Pliocene medio e superiore (circa 3-2 milioni di anni or sono). Siamo stati fortunati a vedere tale zona, venuta alla luce verso gli anni ’70 all’interno di una cava di argilla e a visitarla con l’accompa-gnamento e le spiegazioni esaurienti di una gio-vanissima guida. Quei resti fossilizzati di circa 50 gigantesche conifere hanno destato in noi gran-dissimo interesse facendoci capire i mutamenti geomorfologici che in quegli antichi tempi inte-ressavano la nostra penisola.Ultima tappa è stata infine la cittadella di Narni (luogo natale fra l’altro del nostro Bartolomeo

Colleoni detto il Gattamelata) con la sua splen-dida architettura di superficie e con i suoi custo-diti segreti del sottosuolo. Appaiono così chiese splendide, osterie antiche, straducole infiorate, fontane gorgoglianti e corti rallegrate da gonfa-loni al vento: un quadro architettonico estasian-te, che scorriamo piacevolmente passeggiando per giungere al complesso monumentale di San Domenico, porta (scoperta solo nel 1979) di in-gresso della città sotterranea. Si ricade così nel cupo mondo dell’Inquisizione con i suoi discuti-bili metodi operativi. Prima di emergere, abbia-mo la fortuna di ammirare un antico strumento (perfettamente funzionante) usato dai Romani per tracciare le strade diritte e per abboccare per-fettamente le gallerie di scavo (per lo più percorsi di acquedotti). E quindi “uscimmo a riveder le stelle...” passando a visitare prima la cripta del XII secolo e poi l’abside dell’antica chiesa di Santa Maria Maggiore che fu la prima Cattedrale di Nar-ni, con mosaici bizantini del VI secolo d.C.È stata, per concludere, un’esperienza molto bel-la, anche a parere di altri partecipanti; speriamo quindi che l’evento possa ripetersi con altre mete di arte e di cultura.

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di Giuseppe Cristoferi

Francigena 2014Il rapporto umano è l’obiettivo raggiunto

diario alpinol’interno di una chiesa, il giardino di una abbazia, un colle panoramico. All’inizio non è stato faci-le creare “il clima”. Il camminatore animato da chiacchere e racconti, distratto dai frutti che pen-devano dagli alberi lungo il percorso non era cer-tamente nella condizione ottimale per ascoltare e meditare. Eppure il gruppo ha accolto e recepito questo stimolo dimostrando interesse e desiderio di ascoltare le parole dei poeti, “poeti che per un breve tratto hanno camminato con noi” “parole che i poeti hanno donato al mondo e che ora sono anche nostre…” (Alessandro Cecchinato).

L’itinerarioCinque le tappe di percorso:1. Pont St. Martin-Verrès: dall’elegante e leggero ponte romano di St.Martin si arriva all’imponente fortezza militare di Bard attraverso piccoli paesini medioevali con case in pietra dai tetti in lastre di gneiss. Degno di menzione il paese di Arnad fa-moso per il lardo DOP.2. Verrès-Chatillon: si attraversano vallate con orti e giardini intervallati da grosse formazioni roccio-se color ruggine e si ammira il Castello di Arlaz.3. Chatillon-Aosta: attraverso “Le Chemin des Vi-gnobles” si possono ammirare numerosi vigneti e famose cantine fino a raggiungere il capoluogo Aosta (Augusta Praetoria) con una sosta interes-sante a Fénis ove sorge l’omonimo Castello, uno dei più rappresentativi manieri medioevali in Italia. 4. Aosta-Etroubles: il percorso costeggia il ru Neuf canale che preleva l’acqua del torrente Artana-vaz per trasportarla ad Aosta e attraverso un fitto bosco arriva a Etroubles, uno dei Borghi più belli d’Europa, fiorito e ordinato. 5. Etroubles-Colle del Gran San Bernardo: il pae-saggio cambia: dai prati fioriti, dai biancospini dal-le bacche rosse, dai pioppi e pini raggiungiamo i larici che annunciano il passaggio a quote più elevate. E si arriva al Colle, dominato dall’Ospi-zio costruito nel 1050. Se si dovessero citare tutti

i personaggi che hanno segnato con i loro passi questo storico colle, se ne incontrerebbero nel corso di ogni secolo, da Carlo Magno, di rientro dalla sua incoronazione a Milano nell’800 ai papi che utilizzarono questo passo per recarsi al di là delle Alpi. Il transito più spettacolare rimane quel-lo di Napoleone che il 20 maggio del 1800 con la sua armata, composta da 40.000 uomini, 5.000 cavalli, 50 cannoni e 8 obici, oltrepassò il colle per affrontare gli Austriaci a Marengo nella valle del Po. Il transito presentò molte difficoltà e occorsero otto giorni perché l’intera armata passasse. Anche noi siamo passati di qui e anche noi ci siamo ar-rivati a piedi.

Gli AccompagnatoriRiccardo, Roberto, Lorenzo, Helga, Lucia, Andrea. Questi i nostri Angeli custodi che con severità e dolcezza ci hanno tenuto d’occhio, ci hanno nutri-to, hanno cercato la strada quando la perdevamo e non se la ricordavano, hanno gestito con prati-cità e buon senso le innumerevoli problematiche che normalmente si presentano nel corso di una esperienza come questa. Poche parole le spendo per l’organizzazione che ha dimostrato esserci e funzionare. Sicuramente ci sono delle critiche, pur costruttive, al viaggio che non espongo in tale

Questi i dati che condensano un’esperienza di cammino di 30 persone incuriosite a percorrere insieme una delle più antiche vie romane. Per-sone diverse per età, provenienza geografica, esperienza di cammino, occupazione lavora-tiva…, partite insieme, ma ciascuna con una motivazione che la porta a provare e misurare la propria forza fisica e determinazione. Forse è stata proprio la forte motivazione personale, pur diversa per ognuno, a fare da collante a un grup-po che giorno dopo giorno si è unito sempre più con solidarietà, ironia e rispetto. Un’esperienza di rapporti umani espressi in un gruppo in trasfor-mazione. I chilometri, il dislivello e le temperature elevate hanno richiesto fatica ed energia permet-tendo così a ciascuno di spogliarsi dei propri ruoli quotidiani e delle proprie difese e vivere in piena libertà l’esperienza del cammino. Non tutti sono

disposti a mettersi in gioco a questo livello. Per questo ritengo che il nostro sia stato un gruppo “speciale e coraggioso”.

Il trekkingL’intento è stato quello di offrire l’occasione di un cammino che, al di là della performance fisica e della conoscenza di un territorio, agevolasse l’in-trospezione ed il silenzio personale complici la natura ed il fascino della antica Via Romana delle Gallie (costruita nel 12 a.C. sotto l’imperatore Au-gusto) per congiungere Canterbury a Roma.Nessuna competizione, nessun orario estremo, ampia flessibilità senza però fuoriuscire da uno schema di base fatto di regole e sicurezza.Alessandro aveva raccolto delle citazioni e po-esie che proponeva in lettura in un momento della giornata in un luogo raccolto e intimo quali

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Da Pont St. Martin al Passo del Gran San Bernardo120 Km di Valle D’Aosta percorsi3.400 mt di dislivello totale30 ore di cammino5.400 passi all’ora162.000 passi totali230 mila battiti del cuore complessivi18/20.000 calorie totali bruciate20 litri di acqua10kg di cibo55/60.000 inspirazioni ed espirazioni effettuate

di Cristina Luxardo

sede. Quando però le cose funzionano ci si abitua subito velocemente, lo si dà per scontato e ci si dimentica di ringraziare.Grazie “Francigena Team”, grazie per aver osa-to. Osato attuare l’idea e l’ispirazione iniziale del trekking fuori da schemi ormai consueti (e qui mi rivolgo a Riccardo), grazie a tutti voi ac-compagnatori per aver voluto far parte del Team di questo progetto, aver recepito l’idea e voluto “scommettere” sul buon esito dell’esperienza e sulla risposta all’impegno che ci avete messo. La vostra motivazione e il tempo che avete dedicato a questo progetto ha coinvolto noi, questo mera-viglioso Gruppo Francigeni, di cui sono felice di far parte. “… c’è un po’ di malinconia, non solo per il viaggio compiuto, ma perché ho fatto parte di un gruppo. Nuovi amici. E forse, al di là della Via Francigena, la vera vittoria è proprio il rappor-to umano” (Stefano Boaretto Ironman).

Il GruppoAh… parlare dei componenti del gruppo richie-derebbe giorni e giorni. Ma dove li abbiamo tro-vati tutti questi soggetti… Tre veterani goliardici, tre toscani bio che carburavano clorofilla, due tenere coppie di fratelli, cinque bancari, una cop-pia di promessi sposi, un aviatore mancato caba-rettista, il trio vegano/vegetariano e anti lattosio, Francesca silenziosa e tosta, Alessandro con la borsa a tracolla, Alessandro piccolo grande alpini-sta, Alessandro il poeta, Dario a cui nemmeno la Francigena ha scalfito il suo english style, Chiara la moglie del poeta, Stefano Ironman, Mattia il Principe, Antonio lo zingaro, Sabrina Miss Risata, Rosanna Zaino gigante con la margherita rosa…, ho dimenticato qualcuno? Sì accidenti… Radio Francigena! Ce la siamo inventata, magistralmen-te gestita dallo speaker Alessandro che trovava sempre un microfono o un citofono funzionante

per diffondere le sue freddure…! Eravamo tanti, curiosi di conoscere l’altro, pronti ad aiutarci, a scambiare il panino, come bambini con la meren-da, perché quello del compagno era più buono, pronti a ridere e cantare alla luna, mai stanchi di bere vino, nettare provvidenziale per i nostri sonni…, silenziosi ad ascoltare i Poeti proposti da Alessandro, attenti a rubare le mele o i fichi più maturi dagli alberi, ora a sbuffare per la fatica della salita ora a crollare dal sonno nelle nostre brandine spartane… ora a russare oltre ogni limi-te; insieme chiacchieroni e un po’ solitari in rifles-sione, sempre affamati, non solo di panini (…), ma di emozioni e di vita.E se la tabella iniziale mi dice che in questa setti-mana ognuno ha battuto il proprio cuore per 230 mila volte, mi piace immaginare quale meraviglio-sa frequenza abbia generato questo piccolo grup-po: in una settimana… quasi 7 milioni di battiti…

“L’unico vero viaggio verso la scoperta non consi-ste nella ricerca di nuovi paesaggi, ma nell’avere nuovi occhi”.(Marcel Proust proposto da Alessandro Cecchi-nato)

Aggiungo la mia e chiudo.“Credo che i viaggiatori viaggino per incontrare altri viaggiatori in cui specchiarsi per incontrare se stessi”.(“Viaggiare e non partire” di A. Bocconi)

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Dopo il successo dei trekking del 2013, soprattutto quello in Marocco con la salita del Tubkal, pensai di proporre la salita di un’altra cima che mi aveva incuriosito leggendo un vecchio Notiziario sezio-nale, che raccontava la salita di 13 padovani (ben tre donne, Liliana Fassetta, Sandra Rampazzo e Anna Bazzolo) del Monte Damavand (5771 m). La salita non è tecnicamente difficile, ma sufficien-

temente alta da allettare chi non aveva ancora sa-lito un 5000 e alla fatica alpinistica poteva seguire la visita di un paese con una grande cultura e sto-ria: l’IRAN … o la PERSIA?Dalle suo origini al 1935 il paese era conosciuto come Persia, poi IRAN (Paese degli Arii), ma nel 1939 lo Scià stabilì che si potesse usare indiffe-

rentemente i due nomi, ora si usa correntemente IRAN per lo Stato e Persiano per la popolazione.Però per me il nome non è indifferente. Persia mi ricorda la storia antica, le guerre con i Greci, Sala-mina e le Termopili, Ciro, Dario e Serse, insomma una cultura e una storia importante. Poi, meno importanti, ma comunque ricordi non sgradevoli, le cronache rosa dominanti negli anni 60, con So-raya e Farah Diba, ma anche quelle più sgradevoli legate alle ingerenze straniere (soprattutto ame-ricane e inglesi) contro il governo di Mossadeq, che intendeva restituire ai persiani le ricchezze petrolifere gestite dalle “sette sorelle”. Comunque un paese vivo e interessante.

Iran mi ricorda invece uno stato confessionale (re-pubblica islamica), gli Ayatollah, un giovane ami-

Iran o Persia? L’importanza del nome

diario alpinoco studente in esilio in Italia sotto lo Scià, ritornato di corsa in patria alla sua caduta per finire nelle carceri Komeiniste e lì morire dopo anni di stenti; mi ricorda la raccolta di firme per non fare appli-care la dura legge coranica nei confronti di don-ne, un primo ministro tutto meno che simpatico, dal nome quasi impronunciabile (Ahmadinejad), donne obbligate a portare il velo, ecc..Un paese che mi suscita sentimenti contrastan-ti, insomma, al di là degli interessi alpinistici, un paese da andare a vedere, per cercare di capire meglio.Propongo il progetto, l’osservazione più comune è: “Sei matto? Non è un paese pericoloso?”. No, non è un paese pericoloso, la Farnesina scrive: Le condizioni generali di sicurezza per i viaggia-tori che intendano visitare l’Iran sono buone, sia per effetto di un controllo capillare degli apparati statali che di un atteggiamento tradizionalmente accogliente nei confronti dei turisti occidentali. Controllo altre fonti e tutte mi confermano le indicazioni della Farnesina. Unico avvertimento, non portare alcolici, meglio non dare la mano alle donne per non rischiare un rifiuto, le donne devo-no avere il capo coperto e un abbigliamento con-sono; ma a Teheran abbiamo visto alcune bellis-sime ragazze con il capo coperto, si fa per dire, e con abito nero lungo ma talmente trasparente… In genere nelle città le giovani sono molto carine e curate e fingono di coprirsi il capo con civetteria. Se possono attaccare bottone per esercitarsi con l’inglese o con l’italiano, lo fanno molto volentieri. Malgrado le assicurazioni o per altri motivi, po-chi aderiscono all’iniziativa. Alla fine partiremo in otto: Rosalba Sterzi, Nicola Guarino, Albert Knorr, Gianni Pavan, Giovanni Carli, Gianfranco Venturi-ni, Lorenzo Marchi e il sottoscritto.Un nostro socio persiano, Amin, ci mette in con-tatto con un suo parente che parla bene l’inglese, Ehsan, che si offre di curare la base logistica. Chie-diamo di organizzare il viaggio in tre parti: alcuni

giorni in montagna sui monti dell’Elburz per vive-re nei villaggi, allenarsi e acclimatarsi, poi 4 giorni per salire il Damavand ed infine una settimana per scorrazzare da nord a sud del paese.Partiamo il 9 maggio per Teheran, ritorneremo il 24 maggio da Shiraz.A Teheran, alle 6 del mattino, ci accoglie Ehsan con la guida alpina e fotografo Babak che, senza perdere tempo, con un pullmino e un fuoristrada ci portano in un pesino in mezzo ai monti Elburz, Daliry, a circa 2000 m. Alloggeremo in due case e mangeremo assieme ai nostri ospiti per tre giorni e faremo due belle escursioni, una a 2900 metri e una a 3600, in ambiente innevato.Le case che ci ospitano sono semplici, gli abitan-ti mangiano e dormono sui tappetti per terra e quindi non hanno praticamente mobili, tranne quelli della cucina. Condividiamo il bagno e la doccia con tutti gli ospiti.In casa si entra rigorosamente senza scarpe, an-che per problemi igienici. Le stradine sono per-

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di Angelo SoraviaFoto di Angelo Soravia e Babak

Notiziario sezionale 1975

Incoronazione di Farah Diba

corse da un gran numero di animali e malgrado le donne ogni mattina, dopo la partenza dei mariti e dei bovini per i pascoli le puliscano meticolosa-mente, dopo mezzora anatre, galline e capre le riportano nella condizione precedente.Io e Albert, più fortunati, veniamo ospitati in una casa vicina, abbiamo una nostra stanza, sempre senza mobili, e condividiamo bagno e doccia solo con i padroni, una gentile signora, un bambino che non vediamo quasi mai e il marito che parte al mattino presto e torna a sera tardi. Inevitabil-mente ci invita a bere thé e a mangiare ciò che la moglie gli ha preparato. Per fortuna, avendo già mangiato abbiamo la scusa per rifiutare: il suo cibo non promette bene e l’ultima sera anche lui si sente male e dobbiamo imbottirlo di antidiar-roici.Il cibo che invece ci prepara la moglie di Romin (una specie di capovillaggio che ci accompagna nelle escursioni con il suo fido cavallo) è sempli-ce, ma gustoso e sicuro.Durante le escursioni, Romin ad ogni sosta ci pre-para il thé e canta una canzone che tradotta fa circa così:In estate i fiori sono molti e belliMa il primo fiore di primavera è unico.È bello il cielo con migliaia di stelle

Ma lo spicchio di luna è unico.Ci sono molte belle donneMa per me sei la più bella perché sei unica!

Il suo cavallo sarà fondamentale per guadare un torrente, anche se la cavalcata di qualcuno è al-quanto approssimativa.Le guide parlano un buon inglese e riusciamo a comunicare. Babak (la guida fotografo) continua a fotografare e ci spiega che sta preparando un servizio per gli americani: due/tremila all’anno vengono già in Iran a fare alpinismo e trekking e la sua agenzia vuole aumentare il numero e quindi sta preparando materiale pubblicitario. Ma l’embargo americano? Boh!Dopo l’esperienza tra i montanari, salutiamo Eh-san, riprendiamo i mezzi, ci spostiamo verso il Damavand e ci fermiamo a Reyneh, ospiti nell’o-stello dell’Iran Mountaineering Federation dove ci raggiunge la seconda guida Amin Moein. Il giorno seguente, selezionato il materiale da portarci in quota, partiamo per il rifugio Bargah Scelter (4200 m) e, prima in fuoristrada, poi con una passeggia-ta di 1200 m di dislivello, lo raggiungiamo sotto una abbondante nevicata.Il rifugio è un’ ampia struttura nuova, ma non molto confortevole, almeno d’inverno: è molto

freddo, senza possibilità di riscaldarsi e il gabinet-to è esterno e pericoloso.La bufera di neve continua anche il giorno se-guente e ci dobbiamo accontentare di qualche gi-retto nei pressi del rifugio, con salitine di 250/300 m per aumentare l’acclimatamento. La mattina seguente, il tempo non è male e de-cidiamo di tentare la salita. Partenza alle 6. Albert non si sente bene e per non rischiare di intralciare il gruppo rimane in rifugio. La presenza di neve fresca e la variabilità del tempo rende la salita fati-cosa. Rosalba e Nicola si attardano accompagnati da Babak, poi sapremo che raggiunto il M. Bianco (cioè a 4880 m) si sentono appagati e decido-no di rientrare, portandosi però dietro la guida, precludendo così un ulteriore frazionamento del gruppo che sta salendo.A 5000 m infatti Gianni si sente stanco e perde un po’ di lucidità; la guida ci avvisa: siete sotto la mia responsabilità quindi o tutti in cima o tutti giù.

Convinciamo Gianni a resistere e arriviamo fino a 5400 m, dove finisce la salita ripida ed inizia un lungo falsopiano, che richiede almeno altre due ore di cammino. Viste le condizioni di Gianni, la guida decide che è più sicuro rientrare. Cerchia-mo di opporci, proponendo ad Amin di scendere con Gianni; i quattro rimasti sono esperti e in gra-do di continuare e rientrare da soli. Ma la guida non vuol sentire ragione, anche perché il tempo è peggiorato e c’è pochissima visibilità. Delusi, rien-triamo al rifugio e andiamo a scaldarci nei sacchi a pelo.Il giorno seguente rientriamo nel villaggio ai pie-di del vulcano, dove riprendiamo le nostre cose, facciamo finalmente una doccia calda e andiamo a mangiare cibo persiano in un ottimo ristorante. Al rientro all’ostello una sorpresa: qualcuno si è ricordato che è il 17 maggio, giorno del mio com-pleanno: mi hanno preparato un buon dolce, bir-re analcoliche e… una bella bottiglia di vodka.

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Si mangia a terra, cibo semplice ma gustoso Elegante balzo dal cavallo

Si decide di partire

Gli italiani la gradiscono molto, ma sono un po’ imbarazzato ad offrirla ai persiani, che però con molta naturalezza se la versano nel bicchiere e la bevono. Un atto di cortesia, penso. Dopo aver mangiato il dolce, lasciamo lì una mezza bottiglia di vodka e andiamo fare un bagno termale in un paesetto vicino. Dopo un paio d’ore ritorniamo e io passo a prendere la bottiglia di vodka che mi avevano regalato: la trovo praticamente finita, ma non dagli italiani!

La mattina seguente, in pullmino ci dirigiamo verso Teheran. Prima di lasciare definitivamente il Damavand riusciamo finalmente a fotografarlo soleggiato e senza nuvole e andiamo a visitare il centro dell’Iran Mountaineering Federation, dove in una moderna palestra di arrampicata assistiamo alle esercitazioni del Soccorso Alpino (?) Iraniano.Arrivati a Teheran incontriamo Parto, una gentile, ma determinata signora, che ci farà da guida tu-ristica fino al rientro in Italia. Ci porta con passo veloce e sicuro nel centro caotico della capitale a visitare il Palazzo Imperiale e il Museo Nazio-nale dell’Iran, dove abbiamo il primo approccio con le ricche testimonianze storiche della Persia pre-mussulmana. A pranzo, in un elegantissimo ristorante, salutiamo le guide che ci hanno por-tato sui monti e ripartiamo con Parto. Non pri-

ma però di aver accontentato Lorenzo che, da ex Bancario, vuole visitare l’enorme caveau della Banca Centrale, dove viene custodito il pazzesco museo dei gioielli dei vari imperatori persiani. Alla sera raggiungiamo finalmente Kashan, dove ci ri-focilliamo e dormiamo in una caratteristica casa con patio (una sorta di B&B), ricca di atmosfera persiana.Dopo una bella dormita, iniziamo la parte turistica del nostro viaggio e, liberi dal pensiero delle fati-

cose salite, la affrontiamo molto più rilassati. Per una settimana alterneremo lunghi trasferimenti in pullmino a visite a case d’epoca con meravigliosi giardini, splendide moschee, luoghi sacri di vari culti religiosi. La guida Parto ha scelto situazioni logistiche molto varie, per darci la possibilità di farci un’idea delle

varie realtà del paese. Un hotel di buon standard europeo con colazione in camera, un caravanser-raglio elegantemente ristrutturato in stile orientale (la mia camera aveva al centro una piccola piscina con fontanella) molto fresco e romantico, ma alle due di notte ho perso mezzora per cercare l’in-terruttore della pompa della fontanella, per poter apprezzare il silenzio della notte persiana e final-mente dormire). Alcune notti le abbiamo passate nelle abitazioni adibite a B&B, con cibi locali preparati dalle pa-drone di casa. Buonissimi i formaggi di capra e di pecora di vario tipo e i prodotti vegetali, alcuni dei quali a noi assolutamente sconosciuti. Ricordo una serata in particolare nei pressi di Pe-sagrade, raggiunta dopo aver visitato la tomba di Ciro il Grande, con la sistemazione più naif del viaggio: piccole stanzette costruite con il fango, che si affacciavano su un patio interno con l’im-mancabile fontanella, due servizi e una doccia con porte vedo-non vedo e dei tappeti distesi sotto una tettoia, in pratica la sala da pranzo. La cena è fatta di vari assaggi, tutti molto saporiti e gradevoli. A fine cena gli ospiti ci hanno organiz-zato una serata di musica tradizionale: tamburi e una specie di tromba che suona di continuo, sia in espirazione che in aspirazione. Dopo un po’ il patio si è riempito di donne e uo-mini del villaggio di varie età, che ci hanno invi-tato a ballare, agitando dei fazzolettini di carta in mancanza di quelli di seta colorata. La serata si è conclusa con un dialogo di tamburi tra il padrone di casa e il nostro Giovanni, che non se la cava per niente male.Il tempo vola: visitiamo i bei palazzi di Kashan, le antiche case e viuzze di Abyaneh. Ci fermiamo una giornata intera a Esfahan: solo la piazza Mey-dan Naqsh e Jahan (“Modello del Mondo”) e i palazzi che la circondano meritano un viaggio. Ma nelle città ci sono anche la cattedrale di Vank, cuore della comunità cattolica armena dell’Iran, il

lungo ponte sul fiume Zayandeh, il mercato tradi-zionale e altro ancora.

Durante il lungo viaggio per Yazd ci fermiamo a Chak Chak, un tempietto abbarbicato su una pa-rete montagnosa, che racchiude una grotta con un rivolo d’acqua, sacro ai zoroastriani ancora presenti in Iran.Alla sera arriviamo a Yazd, importante città ai limiti del deserto. È il maggior centro dove viene ancora venerato Zoroastro. Andiamo a visitare il tempio del fuoco sacro zoroastriano, che arde ininterrot-tamente dal 470 dc, e, poco distante dalla città, le

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Finalmente il Damavand senza nuvole e soleggiato

La piazza di Isfahan

Le torri del silenzio

Incontri al bazar

torri del silenzio. Antiche strutture, sempre zoroa-striane, utilizzate per i riti funebri fino agli anni ’60. La vicinanza con il deserto ha anche fatto svilup-pare elementi architettonici particolari: oltre agli immancabili giardini con corsi d’acqua, bellissime moschee e palazzi, si vedono anche molte “torri del vento”, costruzioni particolari che garantisco-no una continua e fresca aereazione. Se all’inter-no si libera un pezzo di carta, questo sale verso l’alto trasci-nato da correnti d’aria.Siamo alle ultime tappe, i luo-ghi degli antichi persiani, che tanto ci hanno perseguitato e affascinato ai tempi della scuola: Pasargade, la città fondata da Ciro il Grande, di cui però rimane evidente e in-tegra solo la tomba di Ciro, e l’imponente e impressionante Persepolis, la città di Dario e una della capitali dell’impero persiano, distrutta da Alessan-dro Magno.

L’ultimo giorno lo dedichiamo alla visita di Shiraz, una bella città elegante e moderna. È la patria dei maggiori poeti persiani e quindi, tra le altre cose, andiamo a visitare la tomba di uno di essi, il mi-stico Hafez.Personalmente sono un po’ perplesso, ma Parto insiste. Alla fine rimango sorpreso dalla quantità di persone di ogni tipo ed età, ma soprattutto gio-

vani, che si recano in pellegrinaggio sulla tomba di un poeta: impensabile in Italia!Durante i lunghi trasferimenti siamo riusciti a cre-are un ottimo rapporto con la guida, la signora Parto, e l’autista Mohammad. Abbiamo parlato molto e fatto molte domande sul loro rapporto con gli stranieri o il fazzoletto, che deve coprire il capo delle donne. Su questo argomento Parto dice che ci sono dei movimenti femminili che si stanno consolidando, ma che sono minoritari e quindi non si espongono ancora.Ci racconta anche che si trova molto bene con gli italiani, che sono i suoi clienti preferiti: sono molto caciaroni, scappano da tutte le parti a fare fotogra-fie, ma sono allegri ed espansivi, proprio come i persiani!! Questa affermazione l’ho già sentita molte volte. Un mesetto fa me l’ha detta, facen-domi quasi andare di traverso i noodles piccanti che stavo mangiando, anche una graziosa guida cinese, che avevo invitato a pranzo dopo la visita all’esercito di terracotta di Xi-an. Il dubbio è che lo dicano a tutti i turisti, l’illusione è che sia vero.Le chiedo anche della difficoltà della donne di stringere la mano, spiegandole che per noi è un

segno di amicizia; lei risponde che lo sa e per questo stringe la mano solo agli amici, con cui ha molta confidenza. Alla fine del viaggio ci accom-pagna all’aeroporto di Shiraz. Ci salutiamo e Parto con dolcezza e con imbarazzo ci porge la mano! Avrei voluto abbracciarla e darle un bacio sulla guancia, ma forse sarebbe stato un po’ troppo!Insomma, vivendo tra la gente e con la gente, si ha l’impressione che ci sia molta Persia e solo un po’ di Iran e che gli Stati Canaglia siano altri, ma-gari lì nei dintorni.

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La tomba di Ciro il Grande La tomba del poeta Hafez

La guida Parto e la nostra Rosanna

Ingresso a Persepoli

Immergersi nella wilderness.Nuotare nella pietra.Quale posto migliore per farlo se non in un’isola dove si può anche nuotare… nell’acqua che la circonda?Come (ormai) ogni anno si parte per la Sardegna per accarezzare quella meraviglia che è il calcare dei vari siti che offre.Quest’anno senza i compari Diego e Giacomo, raggiungo con Daniele, Enrico e Michele il cam-peggio di Cala Gonone; dopo esserci ripresi dalla nottata in traghetto con una discreta merenda a base di salsiccia, provola, pane carasau e Ichnusa, mettiamo le mani sulla roccia delle placche dei Flinstones.

È una falesia poco frequentata per le sue difficol-tà contenute (max 6c) ma con lunghezze fino a 35 metri, ottimamente attrezzata e in ombra nel pomeriggio, ove passiamo alcune ore, prima di tuffarci in un piatto di culurgiones ogliastrini al pomodoro e pecorino, accompagnato da vino al-

toatesino, giusto per non perdere il contatto con il continente. Aggiungo anche che non è mai man-cato del fresco prosecco per reidratare gli organi-smi dei liquidi e sali dispersi nelle ore di attività…Nei giorni successivi, dopo aver salito a Marghed-die un paio di vie vista mare dai nomi esemplifi-cativi – “Ocio che borlo” e “Coppini brasati” 100 m, max VI – abbiamo ripetuto la salita classica del I pilastro nord al Dolòverre di Surtana “Paradiso ritrovato”, breve e facile (max IV) ma in stile rigo-roso, senza lasciare alcuna traccia della salita, così come richiesto dagli apritori.Sempre a Surtana – stupenda vallata calcarea delimitata a nord e a sud da numerosi pilastri di eccellente qualità – abbiamo salito “Alpinisti effi-cienti”, per lo sperone tra il VI e il VII pilastro (130 m, max V+).Ma la nostra attenzione era perloppiù rivolta a quella meraviglia che è la Gola de Su Gorropu, uno dei fenomeni naturali più suggestivi dell’isola. La gola, ove confluiscono i corsi d’acqua Flumi-neddu, Orbisi e Titione, si estende per circa un chilometro, con pareti verticali fino a 500 metri di altezza, con tratti in cui l’ampiezza del passaggio è limitata a pochi metri.E come quando si abbina una buona bottiglia di vino a una adeguata pietanza, abbiamo pensato bene di entrare nella gola, raggiungere il fondo del canyon per poi salire una via di roccia, “Los Compadres”, tracciata da Corrado Pìbiri, di Ca-gliari, che contattato al telefono si è reso subito partecipe delle nostre intenzioni con indicazioni e buoni consigli.

Los Compadres

diario alpinoAll’alba raggiungiamo in auto il selvaggio territo-rio di Urzulei, fino all’ovile di Sedda Ar Baccas da dove, dopo aver ammirato un gigantesco tasso (taxus baccata) – già patrimonio dell’Unesco – incastonato in un lecceto secolare, raggiungiamo dall’alto Sa Giuntura, la confluenza dei 3 fiumi.Scendendo nell’alveo verso la Gola di Su Gorropu superiamo, sulla destra orografica con una calata di circa 20 metri, un primo laghetto.Sempre sul greto, poco prima di arrivare al se-condo laghetto (il laghetto sifone), saliamo ripida-mente sulla sinistra fino ad individuare, dopo circa 100 metri sulla destra, un varco nella parete. Da lì, con l’aiuto di una corda fissa, arriviamo comoda-mente a una sella. Siamo ora sul fianco della pietraia (Sa Forada) lungo la quale, in discesa, arriviamo rapidamen-te al fondo della gola di Su Gorropu e quindi di nuovo in salita per un centinaio di metri all’attacco della via. La linea, aperta nel giugno 2013, si svi-luppa per 335 metri ripartiti in 7 tiri di corda con protezione a fix (mediamente S3) e difficoltà co-stanti di quinto e sesto grado, su placche di ottimo calcare grigio esposto a sud.Alle 15:30 usciamo dalla via stanchi ma contenti di quanto fino a quel momento fatto e, soprattutto, individuato!!! Il territorio è evidentemente molto selvaggio e la sua interpretazione richiede intui-to, resistenza e molta disponibilità… alla ricerca. Non è stato per niente facile trovare l’attacco della via, raggiunto dopo una discesa per circa 70 metri in una forra con passaggi di II grado, una successi-va in un ghiaione, un paio di laghetti da superare e uno spigolo da passare. Concluso l’ultimo tiro all’uscita dalla via, dopo la foto di rito, abbiamo raggiunto slegati la cresta sommitale seguendola sino alla testa della gola, e poi giù di corsa al fondo dell’Orbisi e di nuovo in salita nella valle principale, raggiungendo l’auto al calare del sole, esausti ma abbondantemente soddisfatti della nostra avventura.

Un amico, alcuni anni fa, mi disse che in questa terra aveva passato probabilmente la sua vacanza più bella, arrampicando su quel magnifico calca-re: da nove anni non è più con noi e da allora

ritorno su queste pareti ogni anno, forse per voler sentire ancora quelle parole mentre accarezzo quella “pietra”, che regala energia a ogni metro salito, fino a sconfinare nel blu del cielo. È quel blu selvaggio che ti dice che adesso è arrivato il momento di scendere e appoggiare i piedi per terra, solo dopo aver abbracciato i compagni della scalata, appunto “Los Compadres”.Ciao Andrea.

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di Gianluca Bonotto

Anche quest’anno abbiamo avuto il piacere di camminare con gli amici di Friburgo; abbiamo organizzato noi del CAI di Padova una settimana sull’Appennino tosco-emiliano ed esattamente il tratto da Bologna a Firenze denominato ”La via degli dei”.Accolti gli amici la domenica sera in sede con una cenetta e una piccola presentazione del trekking, la mattina successiva siamo partiti in treno e, rag-giunta Bologna, abbiamo incontrato due amici bolognesi che ci hanno fatto da guida per la città e nel pomeriggio, con un’altra mezz’ora di treno, abbiamo raggiunto Sasso Marconi, da dove abbia-mo ufficialmente cominciato a camminare.Cominciamo a ricordarci i nomi dei ”tedeschi” perché esclusi i due o tre soliti camminatori, Sibil-la, Joop e Petra, la maggior parte ogni anno cam-bia e come al solito ci vogliono qualche giorno e un po’ di chilometri per fare amicizia .Ma il buon cibo e qualche bicchiere di vino rosso producono ottimi effetti.Infatti, già alla prima serata, passata al bed & bre-akfast” le Arbore” nei pressi di Bàdolo, il clima si è riscaldato.La mattina successiva alle 7,30 siamo già in cam-mino per salire al Monte Adone ed arrivare a Brento fra sterrato ed asfalto, quindi a Monzuno e al Monte Venere, con sosta all’ombra perché il caldo ci ha sorpresi!Abbiamo sbagliato strada, abbiamo fatto molto più asfalto che sterrato, fino alla decisione di con-sultare guida e carta topografica (il nostro capogi-ta si era un po’ impallato!).

Raggiunto Le Croci e oltrepassato il Monte Gallet-to, siamo arrivati a Madonna dei Fornelli avendo fatto circa 20 km e 1000 mt di dislivello. La stan-chezza era tanta, il caldo anche! Doccia, cena e nanna!Ci hanno raggiunto Angelo e Sandro con il cam-per, per poi percorrere insieme la terza tappa che, incrociando spesso tratti di strada romana di Caio Flaminio e passando per il Passo della Futa (visita al Cimitero tedesco), arriva a Monte di Fo. Tappa non molto faticosa, ma il caldo stronca tutti!Quarto giorno: con vari saliscendi si raggiunge il passo dell’Osteria Bruciata per poi scendere fino a Sant’Agata e poi a San Piero a SieveQuinto giorno: giornata più impegnativa, dislivello di circa 1000 m, perchè si sale al Castello di Treb-bio per poi scendere a Badia del Buonsollazzo e risalire al Santuario di Monte Senario e ridiscen-dere ancora fino quasi a Fiesole, precisamente a Olmo. Ultima serata insieme ai tedeschi, ultima mangiata ben innaffiata da un buon chianti di cui i nostri amici d’oltralpe vanno matti. Fortunatamente durante la serata c’è stato un bel temporale che ha rinfrescato l’aria e si è dormito bene.Ma la stanchezza si era accumulata e così il gior-no successivo la compagnia si è un po’ divisa. Un gruppo ha preso l’autobus ed è andato diretta-mente a Firenze, alcuni hanno camminato fino a Fiesole e poi in autobus fino a Firenze e solo in 3 (stoici), Albino, Luigina ed io, abbiamo comple-tato il percorso a piedi fino alla Stazione di Santa Maria Novella, passando per il centro storico di

Si sa che lo spirito aleggia dove vuole. Talvolta però esso appare essere un po’ più presente, questa volta per la vicinanza con Roma e perché iniziammo il nostro cammino proprio la domeni-ca di Pentecoste.Gli amici padovani, in primis Pino Dall’Omo, ci avevano fatto pervenire un invito e noi, con JuppSartorius in testa, ben volentieri lo abbiamo ac-cettato.Il traguardo: La Via degli Dei nell’Appennino, cui potemmo collegare una breve visita alla Sede delCAl di Padova e la visita di alcune città: Padova, Bologna, Firenze.Che lo spirito fosse con noi lo potemmo con-statare anche dal fatto che superammo il nostro tragitto, altrimenti noto per le sue pozzanghere e

il fondo fangoso, a piedi asciutti. In compenso in-contrammo un caldo afoso e sudammo per gli dei Adone, Giunone e Venere. Il sudore ci scorreva giù a fiumi da fronte, orecchie, occhi, collo...Gli Appennini sono una catena montuosa che attraversa tutta l’Italia. In primavera è tutta una fioritura.Soprattutto la ginestra profumava d’incenso e pra-ti fioriti delimitavano il nostro sentiero. Potemmo osservare molte farfalle. Negli abitati si odorava il profumo dei castagni in fiore. Già gli antichi roma-ni sapevano quanto bella fosse questa regione e vi costruirono una grande strada, la Via Flaminia, di cui potemmo ammirare alcuni antichi tratti an-cor oggi visibili: essa era la via di collegamento della pianura padana con Roma.

La Via degli Dei con gli amici del DAV di Friburgo

Sudare per gli DeiFriburghesi e Padovani sulla Via degli Dei: un’escursione in Italia

diario alpinoFirenze come degli zombi, sporchi e sudati, ma soddisfatti di aver completato il percorso.Briefing alla stazione! Ci siamo tutti, perso nessu-no, rientriamo a Padova per poi salutare gli amici di Friburgo e darci appuntamento al prossimo anno.L’appuntamento è per fine agosto per un’ escur-sione in Svizzera, giro impegnativo organizzato da Friburgo.Alla prossima!

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di Paola Cavallin

di Anna Witte-Rotter

Di tappa in tappa camminammo con i nostri zaini in spalla, superammo 1000 metri di dislivello, ci riposammo presso delle fonti e informazioni ci fu-rono fornite dai nostri compagni di viaggio esperti di storia e di geologia, e ovviamente dai padovani conoscitori della zona. A Bologna, amici del CAI ci fecero da guida e in altre città molto potemmo apprendere dalla nostra compagna architetto.Il nostro nuovo presidente e il nostro geologo si sentirono in dovere di raccogliere ogni tipo di rifiuti lungo Il sentiero, guadagnandosi non solo molte lodi ma anche il soprannome di “eroi dei rifiuti”.Il nostro primo pernottamento fu un vero paradi-so: una piccola pensione con un giardino da so-gno e tanto di piscina: ci sentimmo veramente a nostro agio. Al Passo della Futa visitammo il Cimi-tero di Guerra Tedesco. In esso riposano 30.000 soldati tedeschi caduti nella seconda Guerra Mon-diale. Un mare di croci che ci ha fatto ammutoli-re. Anche i successivi pernottamenti in pensioni, hotel e camping furono meravigliosi.Dopo ogni dura camminata abbiamo avuto la possibilità di fare la doccia e di gustare deliziose cene.

L’allegria aumentava con ogni sorso di vino ser-vito in abbondanza, incluso nel prezzo. Italia e Germania hanno rinnovato la loro amicizia! Lo spirito della Pentecoste ci si è rivelato nella sua vera forma.Quando in lontananza ci sembrava scorgere Fi-renze, arrivarono nubi temporalesche cariche di pioggia, ma intanto ce l’avevamo quasi fatta. In albergo fummo al riparo dalla pioggia battente.Quando al mattino seguente il sole ci ha sorriso, superammo l’ultima montagna, il Poggio Pratone, e potemmo vedere in lontananza Firenze. Nell’an-dare, udimmo perfino cantare gli usignoli. II no-stro cammino verso gli dei fu un continuo sali e scendere, ogni dea, ogni dio vollero di nuovo es-sere conquistati. Un’immagine della vita, cammi-nare è appunto vita intensa, un’esperienza di vita, specie quando ci si trova in un’allegra compagnia come quella dei friburghesi e dei padovani.Sani e salvi e pienamente soddisfatti abbiamo fatto ritorno a Friburgo in macchina guidata dal nostro nuovo presidente Christoph Paradeis.

Traduzione Luciano Broseghini

Vento che sfiora le ali,profumo di maggio,e ti porta più in alto, su verdi vallatee cime imbiancate.in un tempo che mai vorresti finire;vento che soffiae respira e riempiela vela che hai in mano e ti porta veloce sull’ondadel mare lucente,sapore di salso,tra spruzzi di acqua e di sole;vento che vortica alternonel bianco ghiacciaio, e ti preme con forza,e ti sferza gelido il visocon grani di neveed alza nel sole nuvole bianche;vento e bufera in parete, fra i monti, con scrosci di pioggia,e fragore di pietredi tuoni e rimbombi;vento che arriva,nel grande deserto, qual nuvola grigia,e ti avvolge,e ti copredi soffice polvere gialla;vento che urla di notte,e ti segue nel sonno, tra sogni e ricordidel tempo passato. Sergio Sattin 2013

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Vivere il vento

Girovagando tra le falesie del veronese ho sco-perto una piccola e preziosa gemma, adatta a chi non cerca solo il grado, ma anche un ambiente appartato, avvolto da una dolce natura tra le col-line del parco regionale della Lessinia. In questo territorio tutto è costellato dalla pietra della Lessi-nia, un calcare nodulare rossastro o giallastro che viene utilizzato negli edifici e nelle opere stradali; in particolare, colpiscono la vista le lastre utilizzate sui tetti e sulle facciate dei piccoli borghi rurali di Cerna e Crobiol, che regalano scorci di passato anche a noi viandanti moderni.Lungo la falesia, invece, si è attratti da un calcare varicolore che sfuma dal bianco al nero passando

per il grigio, con tratti addirittura rossastri; l’incli-nazione della parete verticale offre un’arrampica-ta non atletica e nemmeno aggressiva, è richiesto solo un buon uso dei piedi e del corpo, ovvero il saper cercare la via più facile… in sintesi offre

una scalata tecnica e di movimento…un’arrampi-cata gentile direi!Una volta giunti alla falesia, i climbers vengono accolti dalla grotta di Campore, relativamente fa-mosa per la sua fauna chirotterologica, legata alla presenza di pipistrelli… ma, sinceramente, non mi son addentrata per far la loro conoscenza.Ciò che sicuramente cattura lo sguardo è lo splendido panorama sulla Val Sorda, che collega i comuni di Marano di Valpollicella e Sant’Anna di Alfaedo con un bel ponte tibetano a una cam-pata di 52 metri, sospeso a 40 m sul sottostante rio Mondrago. Per chi desidera svolgere qualche passeggiata, il sentiero che porta al ponte si trova sulla sinistra guardando la falesia ed è piuttosto ripido (dal ponte ai Sengi di Campore ci vogliono circa 20 minuti in salita).La falesia si trova a circa 617 m di altitudine con un’esposizione rivolta a pieno sud, quindi decisa-mente molto calda: l’autunno, l’inverno e la pri-mavera sono le stagioni migliori. Io l’ho scoperta a gennaio, durante una meravigliosa giornata di sole, scalando dal mattino fino alle 16.30 con un abbigliamento decisamente leggero per la sta-gione. D’estate alcuni climbers locali mi hanno raccontato di aver avuto spiacevoli incontri con qualche vipera.In termini di itinerari, si tratta di una piccola falesia con, ad oggi, 25 tiri dal 5c al 7a, con prevalenza di gradi dal 6a al 6c e lunghezza variabile dai 25 ai 30 m. La chiodatura è particolarmente buona (direi ottima!) in quasi tutte le vie. A causa di una frequentazione non eccessiva, la parete presen-

itinerari alpini

ta alcuni tratti un po’ polverosi, in particolare le placche grigie ed alcuni muri gialli/bianchi devo-no venir scalati con attenzione, perché qualche tacca è di dubbia stabilità. Il parterre è comodo nella prima parte, mentre diventa un sentierino scosceso nel tratto più avanzato. Vista la base della falesia, è consigliabile la frequentazione da parte di climbers con a seguito bambini un po’ responsabili…in ogni caso nel grottone c’è una bella area di gioco piuttosto circoscritta. Accesso: ‘Chi cerca trova...’Questo vecchio detto calza a pennello per chi desidera raggiungere questa falesia. L’accesso, infatti, è abbastanza “la-birintico” e forse questo l’ha preservata da una frequentazione più massiva. Provenendo da Pa-dova si raggiunge il paese di Stallavena e si sale la collina puntando verso Cerna e Sant’Anna di Alfaedo. Prima di giungere alla piazza di Cerna si svolta sulla destra con indicazione Boal (Carcega, Lavanto e Crobiol) tenendo la strada alta sulla de-stra. Al bivio successivo si prende la strada sulla

sinistra (si segue l’indicazione Boal; a destra si raggiunge il piccolo centro rurale di Crobiol ca-ratterizzato dalle case rurali in pietra), poi al suc-cessivo bivio si procede dritti ( non seguire Boal) con a destra un capannone con un allevamento di polli. Ad un successivo tornante sulla sinistra si diparte una stradina sterrata che costeggia un’an-tica abetaia su una piccola collina. Si raggiunge un altro bivio vicino ad una fattoria. Qui è consigliato parcheggiare (a sinistra almeno 4 posti auto). Si segue la stradina a destra dell’edificio finché non si raggiunge la sommità a picco sulla falesia ( la stradina da sterrata diviene via via sempre più erbosa fino a diventare un sentiero ). Per raggiun-gere la base della falesia c’è un sentierino sulla sinistra a margine della recinzione di un campo privato a circa 20/30 metri dalla sommità della falesia. Dopo un centinaio di metri in discesa si arriva alla falesia. Dal parcheggio consigliato circa 15’ a piedi.In ogni caso, ritengo che tale falesia sia rimasta

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Falesia di Campore. Un’arrampicata gentile…Cerna di Sant’Anna di Alfaedodi Monica VoltanFoto di Marco Simionato

pressoché intatta e nascosta, in quanto nessuna guida di arrampicata la propone… le uniche in-formazioni esistenti sono riportate sul sito della “LAAC” Libera Associazione Alpinisti Chiodatori, che vi consiglio di consultare se siete in cerca di qualche via alpinistica che non sia in montagna o in Valle del Sarca.Sino a gennaio 2015 le vie presenti sono le se-guenti: da destra verso sinistra: Mirian, Capo Nu-tria, Descantabauchi, Acinaticus, Primo Figlio 6b, Andre 6a+ (boulder doloroso nel tettino), Heinz 5c/6°, Vecchia Volpe 6b+ (boulder nei primi metri nel muro grigio, poi facile di movimento, bella), Culi e Catene 7a (parte nel pilastro centrale poi incrocia Cernabil), Cernabil 6c (parte nel pilastro di sx e s’incrocia con culi con chiodatura a piccoli resinati, molto bella, eccetto la prima parte), Sotto

Vuoto Spinto 6b+ (bella per me 6b), Lodvick 6c+, Nonolok 6c+, L’ora del Vampiro 6c, Domenica delle Palme 6 a+/6b, Sborobiso 6b (facile), Luisa 6a+ (6b per me), Sole nascente 6a+, Trapanspit 6a+ (molto bella), Mister Day 6a (molto bella), Ocibei 6a (molto bella…5c), ...new 6c?, new… 6b+?, Titti 6a (bella) e Motopiko (carina) 5c. Mi son permessa di scrivere un commento personale su quelle da me salite.Ulteriori informazioni relativamente alla sentieri-stica di quest’area dei Lessini sono visibili nel sito del comune di Marano di Valpollicella.Buon divertimento, sia per il corpo, sia per lo spirito.

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Tutto iniziò… o tutto ebbe inizio…Un sabato, facendo i compiti con mia figlia, vidi che doveva studiare bussola, orientamento…Mi venne l’idea di collaborare con le classi per fare un’uscita pratica.Ne parlai prima con le rappresentanti di classe e successivamente con le insegnanti.Accolsero “al volo “ la mia proposta e così orga-nizzai la lezione teorica e l’uscita pratica.Era una vera prova d’esame sia per me che per l’Alpinismo Giovanile.Per me, perché era la prima volta che facevo le-zione a scuola, con le maestre e Renato (colui che mi ha insegnato ad andare in montagna) come supervisori. Esame superato!!!E per l’Alpinismo Giovanile, perché era la prima volta che ci proponevamo alle scuole primarie. Anni addietro abbiamo fatto uscite di orien-tamento, ma con scuole secon-darie e superiori. Passato anche questo esame… Grande l’A.G. di Padova.Il 22 maggio io, Renato e Silvia abbiamo fatto lezione teorica (2 quarte di 44 alunni) nella scuola Primaria G. Rodari di Albigna-sego, spiegando bussola, gradi, Azimut e poi tracciato alcuni punti sulla carta per la prova pra-tica.Il 1° Giugno, nel Parco di Villa Draghi di Montegrotto Terme, si

è svolta la prova pratica. Io, Elena, Davide, Valeria, Michele e Flavia, con circa 30 ragazzi, abbiamo fatto un rapido ripasso e, segnati i punti rimanenti su carta, siamo partiti scaglionati alla ricerca delle “lanterne”, sempre sorvegliati dalle maestre…Dopo circa due ore tutti i gruppi avevano termi-nato la prova. I ragazzi sono stati molto contenti e le maestre pure. Abbiamo ricevuto i complimenti dai genitori.Esame per l’A.G. superato a pieni voti…; da in-serire in calendario per l’anno prossimo un’altra uscita… Ringrazio tutti i componenti dell’Alpinismo Giova-nile C:A.I. Padova, le maestre Valeria e Antonella e le rappresentanti di classi Caterina e Silvia.

alpinismo giovanile

L’AG di Padova a scuoladi Nicola Franchin

Uno degli obiettivi che mi sono posto, come presidente della Commissione Escursionismo, è quello di collaborare con le altre realtà della se-zione a 360°.In questo senso ho trovato terreno fertile con la Scuola di Alpinismo “F. Piovan” grazie alla di-sponibilità e collaborazione del “mitico” direttore Giuliano Bressan.Il nostro intento, mio e di Giuliano, è quello di organizzare almeno un’uscita annuale di stampo alpinistico in modo da permettere ai “nostri” soci di cimentarsi nella conquista di qualche vetta do-lomitica e non.Nel 2013 abbiamo salito con una ventina di soci

la regina delle Dolomiti (Punta Penia 3349 m) at-traverso il ghiacciaio della Marmolada e nel 2014 cosa facciamo?Questa la domanda che i soci partecipanti già ci avevano rivolto al termine della salita.Dopo alcuni “consulti”, Giuliano mi dice: “perché

non saliamo la cima della Presanella?” È la vetta più alta del Trentino ed inoltre quest’anno ricorre il 150° anniversario della prima salita.L’idea di ripercorrere le stesse orme che William Freshfield lasciò nel 1864 mi piace ed allora mi attivo subito per l’organizzazione di quella che si rileverà una meravigliosa “escursione alpinistica”. Ecco la cronaca:sabato 19 luglio 2014Partenza da Padova con molta calma...ore 8 circa.Dopo sosta colazione a Trento ci siamo radunati a Pinzolo con tutta la comitiva.Abbiamo poi risalito la Val Nambrone fino all’o-monimo rifugio dove abbiamo lasciato le auto (ore 12 circa) e abbiamo percorso il sentiero dell’acqua con alcune cascate davvero belle.Alle 13.oo pausa pranzo e alle 13.45 siamo ripartiti per risalire (in macchina) fino a circa 2.000 metri dove si trova il parcheggio. Grazie all’amicizia di Giuliano (Bressan) con il gestore del rifugio ab-biamo caricato gli zaini sulla teleferica e ci siamo incamminati leggeri, leggeri per il sentiero che ci ha condotto dopo circa 300 metri di dislivello al rifugio.Sistemazione nelle camere e cena verso le 18.30. Quattro ciacoe e poi tutti a nanna...la sveglia suo-na alle 4.Domenica 20 luglio 2014Alle 4.15 siamo già tutti in sala a fare colazione e alle 4.50 siamo già in partenza per la Cima.Dopo un’ora di facili roccette, iniziamo a pestare neve per un traverso che ci porta all’attacco della nuova ferrata che consente di evitare il vecchio

escursionismo

tracciato diventato troppo pericoloso per le conti-nue scariche di sassi. Superato il tratto attrezzato, altro nevaio che ci conduce ad un salto roccioso che dobbiamo attrezzare con corda fissa per far passare tutti in sicurezza. Saliamo poi per pendio innevato di 35/40 gradi che dovremo attrezzare per il ritorno. Arriviamo ad un altro tratto attrezza-to e pericoloso perché ghiacciato e per sicurezza “tiriamo” un’altra corda in modo da consentire agli “escursionisti” di passare in completa sicurez-za. Arriviamo al bivacco Orobica e da lì vediamo la Cima. Ultimo sforzo, percorriamo una cresta innevata (tiriamo fuori le “picche” per maggiore sicurezza) e alle 10 siamo su Cima Presanella 3558 metri. Il tempo purtroppo non è dalla no-stra e volge al brutto. Per non rischiare, calziamo i ramponi e dopo le foto di rito ci incamminiamo per il ritorno. Con i ramponi ai piedi percorriamo tutto il percorso (ci siamo sicuramente allenati sul misto...!) e alle 14.30 i primi sono già al rifugio. Ore 16.30 siamo tutti alle macchine pronti per ripartire.Che dire :esperienza fantastica, ma soprattutto

grossa soddisfazione ad aver portato 25 persone su 27 in cima.Bravi tutti i partecipanti che hanno stretto i denti per poter fare i 1400 metri in salita e 1700 in disce-sa nei tempi stabiliti.Un grosso grazie ai miei compagni di viaggio che hanno saputo gestire benissimo le cordate di cui erano responsabili...questo vuol dire essere accompagnatori e saper mettere in pratica tutto quello che impariamo.Per cui devo dire un grossissimo grazie agli istrut-tori della Scuola di Alpinismo “F. Piovan”: Giulia-no, Massimo, Simone, Enrico ed Alberto per il loro aiuto, la loro esperienza, ma soprattutto per la simpatia e amicizia dimostrate.E devo dire un grossissimissimo grazie con ab-braccio agli amici della commissione: Mauro, Marco, Riccardo e Vilma che mi hanno aiutato nell’organizzazione dimostrando tutta la loro competenza.Alla prossima... (un 4000? nel 2015?). Vedremo...

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Salita alla cima della Presanella 3558 m19-20 luglio 2014di Michele Marrone

19 Aprile mattina: partenza in 12 da Padova, 9 dei quali già alla magnifica escursione a Pantel-leria dell’anno scorso, per cui si è creato subito affiatamento. Vi erano 4 coppie: Pino e Nives, Gianni e Luisa, Andrea e Cinzia, Federico e Liliana più i fratelli Alberto e Maria ed i single Franco e Maurizio. A Napoli si sono uniti a noi Josef e la moglie Khadija di Malta, provenienti da Bari. Sia-mo arrivati intorno alle 18 a Bomerano (630 m), frazione del comune di Agerola sull’omonimo al-topiano, con una nebbia fittissima. L’albergo Gen-tile non ha fatto una buona impressione anche per il pessimo tempo ed il freddo, ma provviden-zialmente è stato acceso il riscaldamento. La cena

ha decisamente migliorato l’atmosfera grazie ad una cucina casalinga, abbondante e genuina ed un titolare veramente ospitale.

Il giorno dopo (Pasqua): un pullmino ci ha portati ad Amalfi. Vi era ancora nebbia, che poi, durante la discesa, ha lasciato il posto al sole per tutto il resto della giornata. Ad Amalfi, piena di turisti, abbiamo avuto più di un’ora a disposizio-ne per una visita autonoma. Risalita poi la valle dei Mulini, tutta tappezzata dalle coltivazioni dei grandi e bellissimi limoni, chiamati sfusati, abbia-mo proseguito nel bosco lungo il turgido torrente Canneto, passando vicino a suggestivi ruderi di cartiere e di ferriere. Giunti al recinto metallico della riserva naturale delle Ferriere, il cancello di accesso ci è stato aperto da operai apposita-mente messi a disposizione dall’Amministrazione competente. All’interno vi è una serie di cascate di cui una ampia con un salto di un centinaio di metri. Dopo una curiosa ispezione negli anfratti della valle, siamo usciti dalla riserva per dirigerci a Pogerola per il pranzo pasquale, con qualche dif-ficoltà sui sentieri non sempre corrispondenti alle segnalazioni CAI. Bella fioritura dei ciclamini lun-go il percorso e meravigliosa vista su Ravello con il giardino di villa Cimbrone e relativo belvedere dalla parte opposta della valle. Amalfi, invece, 300 m sotto di noi, una volta arrivati a Pogerola.Dopo il pranzo conviviale, con un ottimo filetto di tonno e relativa meditazione, la discesa è av-venuta lungo scalinate fino al parco pubblico di Amalfi dove, percorso il molo,abbiamo visitato il museo dell’Arsenale. Al ritorno all’albergo, come previsto, abbiamo trovato ad attenderci Sibylle, Agnes e Klara, socie del DAV di Friburgo, mentre il loro Vice-presidente, Joseph Sartorius, ci avrebbe

trekking

raggiunto la mattina successiva. La cena pasquale è stata all’altezza con specialità locali. Pasquetta: siamo partiti a piedi dall’albergo per l’escursione più impe- gnativa di tutto il trekking con la conquista della cima più alta dei Monti Lat-tari a 1444 m: il Monte S. Michele, alias monte Molare, come prevalen- temente chiamato per il caratteristico aspetto.Per raggiungere passo Crocella abbiamo dovuto attraversare una libera boscaglia, per fortuna non troppo fitta, visto che la scorciatoia da noi scelta finiva nel nulla. Da lì, abbiamo goduto della vista della parte opposta della penisola, con il Vesuvio e la popolosa costa sul Golfo di Napoli. Prose-guendo per il monte Molare, siamo passati accan-to alla sorgente Acqua Santa, una specie di abside nella roccia con vegetazione da microsistema. Dalla cima, meravigliosa vista a 360 gradi. Unica recriminazione un po’ di foschia. Ripresa la marcia dopo la pausa pranzo, siamo in breve giunti vici-no al bordo occidentale dei Monti Lattari che pre-cipitano a valle con pareti ripide e brulle, con in fondo Capri ed a destra Ischia. Dovendo raggiun-gere la caserma Forestale a 760 m, altro snodo tra i vari sentieri, la discesa ha messo a dura prova le

ginocchia con balzelloni lungo una interminabile staccionata esposta al vento. Finalmente la pattu-glia si è raggruppata a Caserma Forestale, dove per la Pasquetta decine di locali facevano grigliate e picnic. Solo allora ci si è resi conto, guardando in dettaglio la mappa, che la salita che ancora ci attendeva era particolarmente impegnativa do-vendosi raggiungere una quota di oltre 1100 m con rilevanti saliscendi. Questo tratto di percorso è stato piuttosto selettivo poiché una parte consta di micidiali gradoni (non gradini). Essendo arriva-to per primo alla tappa intermedia di Capo Muro, ho visto arrivare il gruppo sgranato e qualcuno non aveva un’espressione particolarmente beata. Tuttavia tutti hanno subito recuperato le energie. Capo Muro è un altopiano molto frequentato. Dei giovani, che facevano merenda, ci hanno subito offerto torta margherita, vino ed altro, facendo conversazione. Ma questa generosità è una ca-ratteristica che abbiamo sperimentato spesso. Abbiamo incontrato anche famiglie che per lo più erano arrivate da Bomerano, dove noi eravamo diretti. Seguendo Pino, siamo giunti poco dopo sulla cima del monte a 1122 m e, quando la parte impegnativa sembrava ormai alle spalle, la vista

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Costiera Amalfitana 19-26 aprile 2014

Amalfi con Pogerola a picco

Ravello e Pontone

di Franco Brandolini

di un segnale di sentiero in mezzo a una ripida pietraia ha galvanizzato i più impavidi a lanciarsi a valle. Piccole storte non hanno frenato l’entu-siasmo che è stato premiato dall’incrocio con il sentiero principale.Il gruppo, ritornando sostanzialmente indenne alla base, ha dimostrato di poter affrontare fati-che e difficoltà prima impensabili. Nonostante la scorciatoia iniziale, abbiamo fatto un percorso di circa 20 km ed una salita cumulativa di ben più di 1300 metri.Martedì 22: giustamente, era stata programmata una uscita più leggera. Sempre a piedi, ci siamo avviati con uno splendido sole (che mi ha bru-ciato la faccia) per il fatidico sentiero degli Dei, sempre a una altezza tra 600 e 400 m. Pino ci ha lasciati liberi, fissando l’appuntamento per tutti al molo di Positano nel pomeriggio. Non è il caso di ribadire la magnificenza del panorama, ma piut-

tosto l’incontro, fuori dal tempo, con un mulo ed il suo padrone. Arrivati a Nocelle (circa 400 m) un anziano del luogo ci ha intrattenuti in cordia-le conversazione, soprattutto ha poi consegnato a Pino un telefonino, che uno del nostro gruppo aveva perso . Una interminabile scalinata ci ha poi portati sulla costiera, un chilometro prima di Positano. Qui, dato il periodo festivo, si poteva camminare a stento per le viuzze. Qualcuno ha preso un po’ di sole sulla spiaggia, ma non faceva caldo. Altri si sono fermati in qualche bar od altro. Tutto som-mato i montanari si sentivano a disagio ed hanno deciso di anticipare la partenza in autobus per S. Agata e l’albergo di Termini. L’albergo espone orgogliosamente 4 stelle, che sono ampiamente immeritate. Non sono mancati i disguidi e anche i pasti hanno avuto alti e bassi.Il paesetto di Termini (320 m), nonostante la su-

perba visione di Capri dalla piazzetta del paese, ha un’aria dimessa, di tanti anni fa, con case poco curate. Nelle successive passeggiatine ho notato una quantità di rosari e di santini sui parabrezza e, curioso, sulla terrazza panoramica di un grande ristorante un frate di media statura fra i clienti. Era una statua di Padre Pio!Poiché conosco un po’ il tedesco, Pino mi ha piaz-zato a tavola con i 4 amici di Friburgo. Tutto som-mato pensavo peggio, anche se spesso mi usciva una parola inglese. Mercoledì 23: con cielo coperto e pioggia inter-mittente niente escursione ma visita di Sorrento, con bus di linea; anche in questo caso libertà di movimento e di rientro in albergo. L’atmosfera è ben diversa da quella di Termini: decine di alber-ghi di lusso, turisti da ogni provenienza, spiagge esclusive a ridosso di spettacolari falesie, una sen-sazione di diffuso benessere, panorami sul golfo

di Napoli che, con tempo clemente, sarebbero stati mozzafiato: è particolare quello dal Belve-dere del museo Correale. Ma tutti pensavano già al giorno dopo, quando avrebbero finalmente esplorato la mitica Capri.Giovedì 24: in traghetto da Sorrento a Capri, poi l’ebbrezza della funicolare fino a “quota 140 m”. Imboccato il sentiero Passatiello per il monte Solaro (596 m), dopo una partenza dolce e una salita piuttosto impervia, si raggiunge una panora-mica e rigogliosa forcella, degna di una pausa. Da qui un’altra salita di un centinaio di metri porta al rifugio del monte Solaro, pieno di turisti giunti in seggiovia. Il monte precipita a mare verso sud con un grande effetto scenico. Da un lato Capri con i Faraglioni e dall’altro Anacapri. Consuma-to il frugale pasto, ma molti pixel della macchina fotografica, e ripresa la marcia lungo il crinale del monte dal lato di Anacapri, con viste precipiti, ab-

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Capri da TerminiLa penisola e Capri dal monte Solaro

biamo raggiunto un belvedere con vista sul faro in una mitologica pineta ideale per una sosta contemplativa. Un parco, denominato filosofico, mostra vialetti lungo i quali sono riportate frasi celebri di vari filosofi. Ripresa la marcia lungo un bel sentiero, da cui si domina dall’alto Anacapri, siamo giunti ad una stazione dell’autobus con cui la maggior parte di noi è tornata a Capri per salire a Villa Jovis, ciò che rimane del palazzo di Tiberio a 340 m sul ciglio del verticale dirupo a mare detto Salto di Tiberio. I resti sono veramente imponenti e dalla cappella, si vede vicina la pe-nisola Sorrentina, in prima fila punta Campanella e dietro il paese di Termini. Al ritorno in albergo, abbiamo trovato un nutrito gruppo di pellegrini polacchi venuti col bus in Italia in occasione della santificazione di Wojtila, con qualche problema di coesistenza a cena.Venerdì 25: alla mattina, sorpresa: accesso alla sala da pranzo interdetto fino alla fine della Messa dei polacchi nella sala di soggiorno; impressio-nante la sincronia di vecchi e giovani nell’inginoc-chiarsi e rialzarsi.Il giorno è stato dedicato ai dintorni di Termini: punta Campanella, dove si trova un faro in disuso, monte S. Croce (circa 500 m) e la vicina chiesetta di S. Costanzo, attorniata da prati che, per la festa del 25 Aprile, erano pieni di gitanti. Lì abbiamo pranzato, in particolare con formaggi sardi portati da Jupp, che ci aveva raggiunto provenendo da un trekking in Sardegna. Di quella mattina ricor-do un fatto curioso: un bel pastore tedesco con collare ci ha seguito sù e giù per tutto il tem- po partecipando anche al nostro pranzo al sacco. Nel pomeriggio, un gruppo consi stente è sceso alla baia di Jeranto (proprietà del FAI) che si vede an-che da punta Campanella.Sabato 26: il giorno del ritorno è sempre un po’ malinconico, tanto più se piove. La coppia mal-tese era partita presto per prendere il volo di ri-torno, non senza averci invitato a Malta. Ci siamo

congedati invece dai quattro del DAV che avevano il volo all’indomani. Jupp, il giorno prima, aveva perso dei costosi occhiali da vista e si stava incam-minando nella pioggia per rifare il percorso a pie-di nel disperato (e purtroppo inutile) tentativo di trovarli. Data la pioggia, con altri abbiamo prima preso il bus per Sorrento, poi la circumvesuviana fino a Napoli. Poiché a Napoli c’era da aspettare 2 ore, ho fatto un giretto fino a porta Capuana mol-to istruttivo sulla realtà del sud, che non è quella di Sorrento, Positano o Amalfi. Lungo la strada ho trovato affollati banchetti con il gioco dei tre bussoloti con puntata minima 50 euro (credo sia illegale!), marciapiedi dissestati, gente dimessa, apparentemente nullafacente, edifici malandati.Come concludere? Il trekking è stato quasi per-fetto, anche se il periodo pasquale ha costretto il capogruppo a molteplici aggiustamenti. L’eser-cizio fisico e le interessanti esperienze si sono combinati con il risaldarsi di amicizie e lo stabi-lirsi di nuove. Aspetto con impazienza il prossimo trekking.

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Sopra: veduta sul faro dal crinale del monte SolaroPag. precedente: dal crinale del monte Solaro

verso i faraglioni

A distanza di mesi dal trekking ligure, mi viene chiesto di scrivere alcune righe su quei giorni pas-sati in una delle terre, a mio avviso, più belle d’Ita-lia. Lo scrive uno che in Liguria non c’è mai stato prima d’ora e che per descrivere tanta bellezza, altro che un paio di paginette ci vorrebbero: forse non basterebbe l’intero spazio dedicato all’annua-rio del CAI. Un connubio intrigante quello ligure, dettato dalla bellezza delle acque del mare, dalla maestosa imponenza delle Alpi Liguri e delle col-line circostanti che nulla hanno ad invidiare alle Alpi in cui siamo abituati ad addentrarci. Il pen-siero collettivo pone la Liguria come un “posto di mare” dimenticando invece, molto spesso, che il

suo territorio è per il 50% montagna e per il 45% collina: il ponente e la riviera dei fiori, in partico-lare, è dove le Alpi si tuffano nel mare, dove le vette di oltre 2000 metri distano solo 20 km dalle spiagge, dove la macchia mediterranea si fonde

con la flora alpina e dove lupi e camosci osser-vano gli sbuffi di balene e delfini all’orizzonte. In uno stretto lembo di terra si possono incontrare una varietà unica di ecosistemi e paesaggi tanto diversi che lasciano l’escursionista come sospeso tra due mondi. Non è stato facile in soli quattro giorni cogliere l’essenza di questo territorio attra-verso le escursioni che ce lo hanno fatto vivere nei suoi diversi livelli: dalle Alpi Liguri, una delle zone più ricche di biodiversità in Europa, alle Alpi del mare, candidate a diventare presto patrimonio mondiale dell’Unesco, alla riviera, dove i monti e il blu mediterraneo si mescolano, passando per un entro terra ancora autentico e selvaggio, dove le antiche popolazioni hanno plasmato i fianchi delle colline costruendo i caratteristici terrazza-menti coltivati ad ulivi e i borghi di pietra arroccati. La nostra avventura parte da Padova. Organizza-ta inizialmente da Mauro e Davide, quest’ultimo ha dovuto lasciare posto a me per un problema dell’ultimo minuto. Si parte: io, con un po’ di titu-banza per non aver seguito da vicino le varie fasi della programmazione della gita subito svanita perché mi rendo conto di essere in ottimo equili-brio e sintonia con Mauro, l’autista Jimmy, ottimo ed insostituibile elemento che presto entrerà a far parte dello staff tecnico ed il gruppo, molto ben assortito sia per età che per peculiarità di ognuno degli elementi. Il bellissimo feeling che si crea da subito è palpabile. La conduzione della gita, non senza qualche imprevisto, fila liscia ed emoziona. Sembra di essere davvero in un gruppo che si co-nosce e si frequenta da tempo, un gruppo in cui

trekking

ogni membro è libero di esprimersi ed esprimere le proprie poliedriche capacità.Arrivando verso la meta e percorrendo l’autostra-da che da Alessandria porta a Genova e successi-vamente verso Imperia tramite le statali, tutti noi ci accorgiamo da subito di essere stati proiettati in una realtà diversa da quella a cui siamo abituati a vedere e a pensare. Le arterie d’asfalto si snodano e si fanno strada attraverso le Alpi e le colline e come ruscelli scorrono verso il mare. Il panorama e l’orizzonte si aprono sempre più verso il colo-re blu del mare. A destra e a sinistra si stagliano formazioni rocciose dapprima più imponenti, poi, via via, sempre più dolci. Ne vediamo le forme ed i colori di maggio, ottimo mese per visitare que-sta splendida terra, ne ammiriamo la bellezza e ci immaginiamo per un momento come poteva essere vissuta, nel passato, la vita in quella mi-riade di paeselli arroccati qua e là fra le colline. Arrivati in perfetto orario di pranzo, il 30 maggio ad Imperia, prima di sistemarci in albergo, incon-triamo sul lungo mare Luca, che sarà la nostra guida per i prossimi giorni. Facciamo una prima presentazione e poi via, verso il porto ed il centro per una veloce visita. Vista l’ora, il gruppo decide

di sparpagliarsi in giro per la città. La fame inizia a farsi sentire: c’è chi sceglie di stare leggero per il pranzo assaporando un buon gelato, ma anche chi da subito non perde l’occasione di immerge-re il proprio palato nell’ottima cucina ligure. Una veloce puntatina in albergo per la sistemazione nelle camere e poi il gruppo si sposta per il primo trekking urbano nel centro di Imperia. Iniziamo a scaldare le gambe con una bellissima passeggiata tra i “caruggi” (Caroggi, in corretta grafia ligure, è il termine locale con il quale si indicano i caratte-ristici e stretti portici e vincoli ombrosi di molte città e paeselli della riviera ligure) e “crèuze” del Parasio, antico centro storico di Porto Maurizio, molto pittoresco e grazioso, scoprendone gli scorci a ridosso del mare e gli angoli più nasco-sti dell’antico borgo medievale. L’atmosfera si fa sempre più bella e romantica. Il sole inizia il suo corso verso il tramonto, lasciando spazio alla luna. I raggi solari ora colpiscono i borghi con una morbida inclinazione, infiammandone la skyline e risaltandone dolcemente i colori, le forme ed i sa-pori liguri che iniziano a prendere consistenza per le vie del centro. Ora è tempo di rientrare per una doverosa doccia ed una cena semplice: è davvero

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Alpi del mareLa Liguria che non ti aspettidi Roberto Barbieri

tanta la sete di ritornare a vedere quei borghi ed il lungomare illuminati dalle gialle luci dei lampioni. L’itinerario del secondo giorno, così come quello del terzo e del quarto, prevede una alzata matti-niera ed un’ abbondante colazione, poi su, verso le Alpi liguri per un trekking alla portata del grup-po ed un rientro nel primo pomeriggio per poter favorire un tuffo nelle splendide acque del Mar Ligure. In effetti l’idea è ottima, ma tecnicamente non fattibile per via dei lunghi tempi di percor-renza che le strette strade dei colli liguri impon-gono. Partiti di buona lena, arriviamo con l’ausilio del buon Jimmy fino a Colle Melosa (1597 m). Il trekking si snoda su sentieri ben battuti. Salia-mo verso il monte Grai (1950 m). Il tempo è mi-naccioso e coperto, passando dalla temperatura primaverile della costa, di tutto rispetto, fino a pochi gradi sopra lo zero. Attraversiamo il con-fine francese, segnato nel 1947, puntando verso

la cima Pietravecchia (2038 m), trovando ampi prati a tratti ancora ben innevati. In cima pranzo veloce; visti le temperature ed il peggioramento del tempo imbocchiamo il sentiero degli alpini fa-cendo un bellissimo giro ad anello che ci riporterà al nostro caldo pullman. Il rientro è tortuoso con curve e tornanti, mentre il meteo, migliorando, ci dà la possibilità di sognare ad occhi aperti un tuffo in mare che resterà solo un sogno: arriviamo troppo tardi. La delusione verrà poi ricompensata con una gita fuori porta post cena in direzione San Remo, casinò, teatro Ariston, La Pigna (quar-tiere storico di San Remo) e ovviamente l’incontro ravvicinato con il bronzo del mitico Mike che farà scatenare una gag fra me e Mauro che rimarrà impressionata nei chip di molti di noi. Il terzo giorno, ancora esausti per la precedente giornata, il gruppo si divide. C’è chi si avventura in un bellissimo trekking sulla strada della Marenca

e c’è chi si avventura al largo delle coste alla ri-cerca delle balene. Tutto funziona alla perfezione. La macchina organizzativa lavora al meglio per accontentare le esigenze di tutti. La Marenca è l’antica strada commerciale di collegamento tra la Liguria ed il Piemonte ed attraversa le Alpi in uno dei tratti più belli e panoramici, con punti in cui è possibile vedere il mare dalla montagna. Dal paese di San Bernardo di Conio (996 m) saliamo verso il monte Grande (1400 m) attraversando il passo Teglia e incrociando in cresta la Via Marenca che percorriamo per addentrarci nel verdissimo e fittissimo bosco di Rezzo fino a raggiungere la cima del Carmo dei Brocchi (1610 m) dove ammi-riamo una delle terrazze naturali tra le vette più alte delle Alpi Liguri e la costa. Anche per questa giornata sfuma la possibilità di immergersi nelle tiepide acque del mare, ma i ricordi vissuti, la na-tura sconvolgente e potente che mostra varietà

infinite e non facilmente ripetibili di fiori e piante, di luoghi ancora incontaminati, pur a due passi dalla civiltà, compensano in qualche modo la no-stra delusione. Incontreremo i nostri compagni al ritorno e ci racconteranno degli avvistamenti avvenuti al largo della costa Imperense. Racconti di delfini e balene che cavalcano fra le onde e cir-condano la barca…; non capiremo mai se queste creature marine siano state viste per davvero! La serata si conclude con una gustosissima cena di pesce in un locale tipico indicatoci da Luca, ottimo davvero, ed infine una puntatina veloce a Cervo, antico borgo medievale, poco a est di Imperia, borgo tutto in salita che ci dà gratuitamente la possibilità di smaltire in scioltezza il pregiato pe-sce ligure.Il gruppo, ben allenato ed oramai più che affia-tato, si accinge all’ultimo trekking prima del ri-entro a casa. Direzione valle di Prino: dal borgo

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medievale di Dolcedo ci dirigiamo attraverso le mulattiere utilizzate da secoli dalle popolazioni liguri per raggiungere campagne e borghi della valle. Camminando tra gli uliveti arriviamo a Val-loria, paese arroccato che, con le sue 140 porte dipinte, può considerarsi un museo a cielo aperto. Ritorneremo poi a Dolcedo attraversando Prelà e le sue borgate, scoprendo la cultura dell’olivo che ha da sempre caratterizzato questi luoghi. L’ultimo trekking si chiude con una bellissima foto in pisci-na che per dispetto sarà senz’acqua!Che dire: stupenda questa terra. Davvero difficile far comprendere con le parole tanta bellezza, qui nella nostra Italia a pochi chilometri da casa. L’invi-

to è di recarsi in questi luoghi e perdersi in mezzo a queste montagne, borghi medievali, cime, vie antiche, sapori ed odori, fiori ed olivi, possibil-mente in buona compagnia, magari come quella di questo bel gruppo. Ci ricorderemo di questo trekking. Ci ricorderemo delle migliaia di fiori che Rosanna ha fotografato, divenuta la mascotte del gruppo fin dalle 7.30 del giorno di partenza. Ci ricorderemo dell’ottimo supporto dell’astemio Jimmy, sempre disponibile e vorrei dire insostitui-bile e di Luca, preparatissima ed esperta guida del posto, nonché ottimo fotografo, sempre cordiale e di esilarante ironia. Ottimo l’apporto di tutti per la buona compagnia e la semplicità con cui siamo riusciti a trascorrere questi giorni. Includeremo nei nostri ricordi anche il porcellino di gomma vesti-to solo della maglia dell’Italia del calcio ed il suo compagno Emmanuele, con il quale ho condivi-so la camera senza sapere esattamente cosa ne facesse di notte di quel maialino! Non banale la presenza di Angelo e Federica che ha permesso a me ed a Mauro di dare il meglio di noi stessi per il buon risultato del trekking.Ci vediamo in Liguria. A presto.

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trekkingFra i monti di Albania, Kosovo e MontenegroUn trekking che rimane nel cuore

A fine luglio 2014 siamo partiti in quindici per affrontare, a piedi, un percorso di circa 110 chilo-metri, lungo i confini di tre stati: Albania, Kosovo e Montenegro. Sette giorni di cammino tra pae-saggi sempre diversi e molto suggestivi, nonché di incontro con una popolazione sempre ospitale e sorridente.Abbiamo attraversato valli piene di fiori e lunghe distese di ghiaia, valicando passi che sembravano dolomitici e camminando tra i faggi come nelle nostre Prealpi, abbiamo incontrato laghi e cascate arrivando in luoghi come Dober Dol, un alpeggio a quasi 1800 metri d’altitudine, privo di energia elettrica, strade e mezzi di locomozione, nel quale pareva di esser tornati indietro nei tempi, osser-vando i giovani ragazzi a cavallo che radunavano le pecore sparando mortaretti.Ci siamo fermati nei posti di ristoro lungo i sen-tieri, fatti di nulla, ma bellissimi: quattro pali e qualche frasca, talvolta una credenza della non-na per contenere il necessario. Vi trovavamo di tutto, dall’onnipresente caffè alla turca, ma anche fatto con la moka Bialetti, alle bibite, alla torta ca-salinga, serviti con un sorriso e con grandissima dignità da persone che ci porgevano il tè in tazze di ceramica, benché da gustare per terra in mezzo al fango, persone che sembravano contente di in-contrarci e di poter guadagnare qualcosa. Abbiamo camminato attraverso tre stati non ve-dendo confini, tutto sembrava molto libero anche se le due guide kosovare, che ci hanno accompa-gnato per tutto il trekking, ci invitavano continua-mente a non abbandonare il sentiero ricordando-

ci che in queste zone la situazione politica non è ancora del tutto definita. Abbiamo incontrato casermette cadenti e bunker, oltre a tombe che ricordavano e rinviavano continuamente alla re-cente tragica storia di sangue vissuta da queste popolazioni.È stata una esperienza straordinaria, perché oltre a camminare tra montagne sconosciute abbiamo percorso un viaggio dentro noi stessi, confron-tandoci con le nostre emozioni, suscitate da una guerra che è sempre presente, della quale si è parlato continuamente mentre si camminava, cercando di capire, chiedendo alle nostre guide, sbattendoci contro quando siamo arrivati al Pa-

triarcato di Peć e al monastero di Dečani, luoghi di culto serbo-ortodossi in terra kosovara, ancor oggi protetti dai militari dell’ONU. Sono luoghi blindati che senza la protezione ONU non esi-sterebbero forse più. Nel 2004 moltissimi luo-

di Carla Calore

ghi santi sono stati incendiati o “dinamitati” per ritorsione dopo i massacri serbi e ancor oggi i militari scortano la popolazione monastica negli spostamenti. Il monastero di Dečani è stata una visione stupefacente; all’interno una luce azzurra illuminava le pareti completamente decorate, non esisteva centimetro di superficie priva di affreschi.Abbiamo poi incontrato la cultura albanese a Theth, dove si trova la torre del Kanun, luogo nel quale si amministrava una giustizia fai da te, che ha sostituito per secoli lo stato legale, regolando i rapporti tra le persone scongiurando “faide eterne che avrebbero intaccato il fragile tessuto sociale e l’economia di sussistenza delle montagne”; cultu-ra fatta anche di cibo: formaggi freschi in quantità, verdure, yogurt, agnello, capra, zuppe e dolci a base di formaggio; abbiamo mangiato benissimo.Tutto questo è stato per me il trekking PEAKS OF THE BALCANS e non posso esimermi dal ringra-

ziare chi ci ha accompagnati in questa avventura con competenza, ‘classe e stilÈ, il TOP delle nostre guide, Mauro Cantarello, assolutamente originale nel suo abbigliamento tecnico, insuperabile nel-le sue traduzioni dall’inglese; dopo che i monaci avevano spiegato per cinque minuti, lui riassume-va in dieci parole - quando la capacità di sintesi non è solo un concetto astratto - grande Mauro, grazie di cuore.

Il percorso 26 luglio - sabatoPartenza da Tirana per Peć con un pullmino dell’agenzia kosovara. Arrivo in serata alla gue-sthouse nella bellissima val Rugova, dove la pro-prietaria ci accoglie vestita con gli abiti tradizionali.27 luglio - domenica Tappa alla scoperta della Val Rugova, si cammina tra abetaie e pascoli del monte Hajla e dell’alto-

piano di Pepaj. Breve trasferimento con pullmino a Guri i Kuq. Pernottamento.28 luglio - lunedìBella tappa, si incontrano dei laghi di montagna e si prosegue verso il passo di Jelenk; si cammina lungo il confine, ancora conteso, Kosovo - Monte-negro, un crinale molto aereo che permette una visione sui gruppi montuosi. Si scende poi verso la valle di Bivoliak, in mezzo a prati e pecore fino a Babino Polje. Trasferimento poi in pullmino fino a Plav, pernottamento lungo le rive del lago di Plav.29 luglio - martedìL’itinerario da Ropojana si svolge in un ambiente molto bello. Si cammina lungo una valle di antica comunicazionem, che congiunge il Montenegro all’Albania. Si scavalca il passo di Pejes e si scende a Theth. Pernottamento in una guesthouse gestita da albanesi che hanno lavorato a lungo in Italia e sono ritornati in patria con l’intenzione di pro-

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Il sentiero che conduce a Theth La chiesa di Theth

Sopra: in cima al TrekufinjSotto: incontro

muovere il turismo ( il proprietario ha contribuito alla definizione del trekking Peaks of the Balcan).30 luglio - mercoledìGiornata di riposo con visita del villaggio di Theth, in particolare la Torre del Kanun e poi camminata lungo il torrente fino ad arrivare al lago per il pran-zo e la visita delle cascate e dell’orrido.31 luglio - giovedìPartenza da Theth. Con una tappa lunga e spet-tacolare, inizialmente all’interno di una fagge-ta, si arriva a Qafa e Valbones in un paesaggio dolomitico, scendendo poi lungo un sentiero in costa, a Valbona. Arrivo alla miglior guesthouse del trekking, dove si mangia benissimo e il pro-prietario ci accoglie in abiti tradizionali albanesi. È sicuramente la valle dove lo sviluppo turistico è più evidente e ci auguriamo tutti che sia uno sviluppo consapevole e rispettoso dell’ambiente.

1 agosto - venerdì Trasferimento in pullmino da Valbona a Cerem. Tappa sotto la pioggia, molto bella lungo un sentiero che attraversa sia l’Albania che il Mon-tenegro. Arrivo con il sole a Dober Dol, il luogo piu’ suggestivo dell’intero itinerario di trekking. Pernottamento in una baita dei pastori.2 agosto - sabatoDa Dober Dol si sale alla cima Trekufinj, luogo dove si incontrano i confini dei tre stati Albania, Kosovo, Montenegro. Rituale foto di gruppo e poi discesa a valle lungo pascoli e accampamenti di pastori. Visita al Monastero di Dečani. Fine del trekking.

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Discesa a valle dalla cima Trekufinj

trekking

Isole Eolie 27 settembre - 4 ottobre 2014

Arancino: chi era costui? Beh una fragrante esplo-sione di sapori sfiziosi e appetitosi: pomodoro, ragù, mozzarella, caciocavallo, piselli, riso, il tutto raccolto in forma conica, fritto e servito caldo, di-rei un pasto completo leggero, sano e nutriente. Se qualcuno volesse investirci qualche soldo po-trebbe soppiantare molti distributori di junk food (cibo spazzatura) nel mondo sviluppato. Magari completando il tutto con un bicchiere di malvasia, una fetta di cassata siciliana a base di ricotta di pecora o una granita di limone o di gelso … Ecco l’impatto più immediato della Sicilia orientale sui pellegrini del trekking CAI di Padova: 50 dicesi 50, allegri e bendisposti a vedere da cima a fon-do quest’angolo di Italia un po’ fuori mano, ma famoso in tutto il mondo da qualche migliaio di anni (infatti era pieno di turisti tedeschi e francesi che, con tutte le arie che si danno, non hanno neppure un vulcano. I francesi vantano i vulcani d’Alvernia, ma sono spenti da quel dì e più noti per la trippa d’agnello che per le eruzioni…). Ci si arriva con aereo, pullman e aliscafo e ci si trova di fronte un arcipelago di 7 isole principali sparse in uno specchio di mare di 50 km di lato. Al centro un gruppo ravvicinato costituito da Lipa-ri, Vulcano e Salina; a Nord, sgranate a distanza, Panarea e Stromboli col suo perenne pennacchio di fumo; a Ovest le più remote Alicudi e Filicudi. Con ben due vulcani attivi che hanno battezzato i fenomeni vulcanici del mondo intero da sem-pre. E molte altre manifestazioni di effervescenza remota o recente della crosta terrestre. Come gia-cimenti di pomice, ossidiana, caolino, emissioni di

gas, affioramenti anche subacquei di acque calde, sprofondi di vallate tettoniche tra un’isola e l’altra. Una meraviglia a portata di mano. Si arriva a Lipari e ci si trova subito in un bel paesotto con centro storico antico, castello e cattedrale, scavi preisto-rici a dominio del mare, necropoli e sarcofagi ovunque, un museo rilevante e ben tenuto con migliaia di reperti: è questo il bello dell’Italia: un garbuglio inestricabile di bellezze naturali e stori-che tenute insieme da un popolo sorprendente-mente capace di sfruttare al meglio i prodotti del territorio. Nonostante i tempi siano scoraggianti, le persone mantengono una dignità, uno stile e uno spessore che è il frutto di millenni di resisten-za e sopportazione, di industriarsi a presentare il lato migliore, di averle viste tutte. E questa è la civiltà nel suo giorno per giorno: senza illusioni, ma con buona decenza.

Allegri compagni di viaggio

di Maurizio FilippiFoto di A. Soravia, P. Cavallin, G. Franchini

Venendo a noi, l’albergo è in bella e accattivante posizione, con una fresca e ampia piscina e spazi comuni godibili, ma necessita di qualche investi-mento in manutenzione. Il soggiorno e le escur-sioni sono state piacevolissime e varie anche per-ché le isole sono diversissime e tutte interessanti.

Con una piccola motonave le abbiamo raggiunte tutte e abbiamo fatto escursioni più o meno im-pegnative su ciascuna, raggiungendo il cratere dell’isola di Vulcano, la cima della montagna più alta dell’arcipelago a Salina(972 m), la posizione più alta raggiungibile di Stromboli in piena eru-

zione e colata di lava, varie calette con favolosi e ristoratori bagni dalla barca e qualche mezzo po-meriggio di spiaggia. Un moderato scirocco ci ha accompagnato mantenendo tiepide e bellissime giornate per la maggior parte del tempo fino agli ultimi due giorni che sono stati bagnati da qual-che goccia di pioggia.Tenera la reazione degli escursionisti al mani-festarsi del cambio di tempo: in un attimo si sono bardati di cappucci e berretti impermeabi-li, ombrelli, giacche a vento, mantelle, galosce e quant’altro per poi rendersi conto che aveva già smesso secondo l’uso del profondo sud…Molto più inquietante è apparso lo strisciare e gattonare sui sassi per scendere in acqua e risalire di taluni (tra cui in primis il sottoscritto) privi di scarpet-te adatte e visibilmente provati dal contatto con quelle scabrosità. I leoni marini del National Ge-ographic sono molto più agili. Quasi avventurosa

mi è sembrata l’ escursione a Stromboli: la nostra guida locale, il carissimo, gentile e garbato Beppe se l’è presa comoda perché :”…tanto non si può salire in cima causa eruzione in corso e proibizio-ne della Protezione Civile”. Così siamo arrivati solo all’inizio della salita e dovevamo già predisporci al ritorno per l’appuntamento con la motonave e il lungo tratto di mare da percorrere fino a Lipari. A questo punto l’istinto a salire del CAI è prevalso e guidati dal Presidente a passo di carica abbiamo fatto 200 metri di dislivello in 15 minuti in una sorta di timelapse (nome moderno di quello che una volta si chiamava “alla Ridolini”).

Molto accogliente la ristorazione e lo shopping anche perché l’unica struttura ahimè colpita da vippismo è Panarea (una granita 4.00 €) già in tal senso stigmatizzata da Nanni Moretti in “Caro Diario”, anche se va detto che le ville e i giardini

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Blocco di ossidiana

Discesa dal cratere di Vulcano

Giochi di luci e di colori

Cava di pietra pomice

sono di un lusso modesto e assai gradevoli alla vista e non pacchiani.Mi ha piacevolmente colpito invece un caffè all’aperto a Marina Corta di Lipari che, con pochi mezzi e persone di talento, riesce a mettere insie-me uno spettacolo di canzoni popolari gustoso e trascinante mentre il Ristorante Pescatore ha trat-tato chi di noi l’ha provato con professionalità e buon gusto a prezzo abbordabile. Indimenticabile Vulcano con il suo cratere immenso e bordato da emissioni di gas solforoso e Stromboli che man-

tiene il punto di faro del Mediterraneo regalando-ci la vista di grandi nuvole di fumo dalle bocche a mezza costa e di una ragguardevole colata lungo la Sciara di Fuoco ben visibile nella navigazione notturna intorno all’isola.

Tutto molto piacevole dunque sotto la guida fles-sibile ed efficiente di Federica in attesa di altre proposte per l’anno prossimo.

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Il centro di Lipari

Vulcano visto da Lipari Pagina seguente: l’eruzione dello Stromboli

L’ora dei fanghi

“Ciao a tutti,e benvenuti (finalmente!!) al corso di Arrampicata Libera del Cai di Padova...” è così, con la mail di conferma, arrivata dal nostro diret-tore, Claudia, che quest’anno è iniziata la nostra avventura nel 24esimo AL1!

Già dal primo incontro in sede CAI, in cui si parla di materiali, i nostri istruttori si presentano tutti e l’impressione, poi confermata nel corso delle suc-cessive uscite, è che il loro sia anche un gruppo di amici. Da subito ci mettono a nostro agio e nel corso delle lezioni, sia teoriche che pratiche, ci tra-

smettono la loro passione ma anche il senso del gioco, della sfida nell’affrontare e “vincere” salite via via più impegnative.È dapprima all’Intellighenzia che testiamo le no-stre capacità, a suon di goffi tentativi e cadute, provando ad arrampicare con gli occhi bendati oppure salendo con la schiena alla parete, cercan-do via via di applicare le tecniche che ci vengono insegnate dai nostri inflessibili insegnanti! E non dimentichiamo il momento emozionante vissuto alla Torre Materiali, presso il parco Brentelle, dove proviamo sul campo la sensazione di caduta nel vuoto!!!È arrivato il momento di attaccarsi alla roccia, pri-ma alle numerate di Rocca Pendice, dove le corde si incrociano e a fine giornata i muscoli non ten-gono più, ma per fortuna c’è il “terzo tempo” per ritemprare gli spiriti e i corpi!La tappa successiva dovrebbe essere uno splen-dido ponte di 4 giorni per esplorare una falesia tra Abruzzo e Molise, ma il tempo ci tradisce. Ci consoliamo, nelle due giornate di sole, sperimen-tando altre due falesie vicine, Lumignano, sui col-li Berici, con le sue pareti ruvide e atletiche e la Placca del Forte, in Val d’Adige, belle vie e una giornata di sole meravigliosa! La sera siamo ospiti di Giuliano sui colli Euganei... birra a fiumi, griglia-ta spettacolare e storie avvincenti raccontate da “veterani” e non!Il weekend successivo la nostra meta sarà Arco, l’affiatamento che si è via via formato rende an-cora più speciali i momenti in falesia, dove ci si incita a vicenda a tirare fuori il meglio da noi, ma

scuola di alpinismo

anche quelli trascorsi assieme a gironzolare per Arco con gli occhi adoranti verso le numerose scintillanti vetrine piene di tentazioni cui è diffici-le resistere e durante la cena e il dopocena, con sfida acrobatica sull’erba umida del campeggio (anche se, dato il tasso alcolico medio, parlare di acrobazie è un po’ esagerato).Ci aspettano ancora un recupero a Stallavena e un altro alla struttura all’aperto del parco Bren-telle, quest’ultimo occasione di “sfida” tra allievi e anche tra istruttori per aggiudicarsi gli ambiti premi messi in palio dalla giuria!Sembra impossibile eppure siamo già alla fine! Anche la cena finale, con la consegna dei “di-plomi” ci riserva delle sorprese, veniamo infatti “ordinati” cavalieri con uno spadone e in dono un braccialettino fatto con un cordino!Un grazie particolare ai nostri due direttori, a Claudia, che ha saputo dirigerci tutti con polso di ferro unito a simpatia e grande cuore, ad Alessan-dro, che pur con altri impegni è riuscito ad esserci sempre nei momenti importanti.Il nostro grazie va a tutti gli istruttori, che con il

loro entusiasmo, la loro disponibilità e umiltà ci hanno fatto appassionare a questa disciplina, che, siamo sicuri, riuscirà a darci ancora molte altre soddisfazioni e divertimento!

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24° Corso AL1di Silvia Pasquato

Se per fare un albero ci vuole un fiore… per fare un corso di cascate di ghiaccio… ci vuole il fred-do ma, ahimè, dicembre 2014, caratterizzato da temperature anomale che, con i 18°C che abbia-mo trovato all’aggiornamento istruttori a Cence-nighe alle 7.00 del 10 gennaio 2015, difficilmente facevano pensare che il corso potesse essere re-golarmente svolto.Ma il corso ha, come obiettivo intrinseco, la ricer-ca dell’effimero. E dove oggi c’è ghiaccio, domani chi lo sa… e quindi il direttivo del corso mantiene viva la proposta del Corso cascate di ghiaccio 2015 sapendo che ricerca e spirito di adattamento sono prerogative indispensabili in questa disciplina.

Salire cascate di ghiaccio rappresenta proprio il contrario di come siamo solitamente abituati a vivere: sicurezze, stereotipi, omologazioni offer-te dalle nostre solite attività… e forse è proprio questo diverso modo di affrontare le situazioni,

immersi in una natura dai paesaggi e colori altri-menti non raggiungibili e con insoliti movimenti del corpo, che tanto affascina chi si dedica a que-sta strana disciplina.Ma per vedere bisogna andare (come dice il vec-chio adagio di un mio vecchio amico) e quindi, grazie anche a un abbassamento generale delle temperature, si decide che si va a vedere con gli 8 agguerriti partecipanti: Laura, Paola, Betty, Marco 1, Marco 2, Nicola, Mauro e… anche Ivan.Ah no? Quote rosa rilevanti! Ben tre miss sono presenti a questo corso di cascate: miss treccia bionda, miss pendolo rossa e miss ramponi nera. E gli altri? Beh, qualcuno non ha neanche mai vi-sto una colata di acqua gelata… il cono gelato, ecco, quello sì! Ma una cascata… Prima di partire per la demolizione delle colate di ghiaccio impegnamo una mezza giornata alla torre dei materiali di Padova, dove i professionisti della CSMT (Centro Studi Materiali e Tecniche) tengono una vera e propria lezione di fisica par-landoci di decelerazione, forze di arresto, carico a rottura, etc e ci fanno capire, anche con la pratica, che le corde, i moschettoni, le soste – insomma tutto quello che serve – resistono! Il pomeriggio invece lo passiamo a giocare a nascondino usan-do gli ARTVA come strumento di ricerca.A questo punto gli allievi sono adeguatamente (?) formati nelle questioni meccaniche della sicurez-za e quindi possiamo aprire le effimere danze a Sass Dlacia (Armentarola) per cominciare a capire come becca e punte frontali dei ramponi ti con-sentano di salire una colata di ghiaccio, in om-

scuola di alpinismobra. Eh sì, in questa pratica si tempra sia il fisico che la mente perché solo chi ha la pace interiore (Kung fu Panda 2 docet) può rimanere ore e ore nell’ombra della parete a poche decine di metri dalle assolate piste da sci…Ma potevamo stare senza lezioni di fisica all’om-bra della parete? Ovviamente no. I nostri impavidi allievi imparano velocemente la legge gravitazio-nale di Newton: un corpo (ad esempio un pezzo di ghiaccio) libero di andare verso il centro della terra lo fa con un’accelerazione di 9,8 m/s2 ma se lungo il suo tragitto trova un avambraccio… Ahiahaiahai… il colpo è doloroso. Per fortuna Mr. OKI (giustappunto omeopatico) sistema tutto. Dice il saggio: è dall’esperienza (di avere il naso all’insù) che si impara il mestiere.Il giorno seguente ci spostiamo a Colfosco e, sem-pre nell’immancabile perenne ombra, saliamo le classicissime linee di ghiaccio: Spada di Damocle, Onda su onda e Lujanta. E anche oggi il saggio dice: in cascata è meglio arrivare per primi.E fin qui, a parte qualche questione di calcolo, tutto procede bene e in nostri bravi allievi iniziano a comprendere i movimenti, l’uso degli attrezzi, la legge di gravità e l’importanza delle polpette della Stanga.Terza meta per i nostri impavidi: Sappada, dove si è sviluppata in Veneto questa disciplina; -13°C alla partenza (con le bionde trecce ghiacciate ol-tre a tutto il resto) e divisi in gruppi saliamo varie linee: Specchio di Biancaneve, Diagonal, Lacrime ibernate (ecco, appunto!) e Carpe diem. Conside-rato il poco ghiaccio in altre località, troviamo la “reunion” su Specchio… almeno altre 30 perso-ne presenti! Ma noi abbiamo ascoltato il saggio: “sto giro, siamo davanti!”E anche in questa giornata non mancano lezio-ni di fisica con esercitazione pratica, sulle leggi dell’attrito della carrucola e del moschettone – su cavo d’acciaio – con l’attraversamento del torren-te “Piave”.

È in quest’occasione che una miss approfondisce le leggi del pendolo… ma in questo caso l’ap-profondimento, troppo approfondito, porta a 30 giorni di riposo. L’immancabile saggio dice: “An-che questo serve!” Sì, a fare callo… osseo.La quarta uscita è riservata a uno dei più rinoma-ti luoghi del cascatismo italiano. Dedichiamo un fine settimana lungo a Cogne, dove le valli laterali del Gran Paradiso sono ricche di numerose casca-te di ghiaccio, per tutti i gusti.

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12° Corso cascate di ghiaccio e un po’ di Fisica applicata…

Cascata di Patri

Candelone di Patri

di Matteo Mason

Il venerdì un gruppo sale Lillaz, tutta al sole così si impara a conoscere anche il punto di fusione dell’acqua (sempre fisica…) mentre l’altro grup-po si addentra verso “È tutto relativo” (nome che racchiude appieno il senso del cascatismo e che ancora una volta ci porta alla fisica, scomodando l’illustre Albert) dove gli allievi provano l’esperien-za diretta della forza di gravità su una parete di ghiaccio verticale.E se la giornata del venerdì trascorre sotto un cielo terso, il sabato invece si presenta sotto una fine nevicata che ci accompagna per tutto il giorno rendendo ovattato tutto ciò che ci circonda. An-

che in questo caso, in Valnontey, ci dividiamo in due gruppi: uno va sulle classicissime Patri e Can-delone di Patri, l’altro invece si incunea sul fiume ghiacciato di Acheronte.Domenica, ultima uscita del corso, partiamo a pie-di dall’albergo ancor prima dell’alba. Sta ancora nevicando e si deve battere traccia ma arriviamo lo stesso prima degli altri. Anche oggi il gruppo è diviso in due: uno sale Candelabro del Coyote mentre l’altro è su “È tutto relativo”. Che dire… sono ormai tutti ben più consapevoli, rispetto alla prima uscita in Armentarola, di come si sale una cascata di ghiaccio.Tutto questo girovagare, con alzatacce, ore e ore al freddo, dove si rientrava a casa stanchi ma arric-chiti di esperienze, con immagini indelebili, tante “pacche” sulle spalle e bevute di Rum, è stato reso possibile dall’amichevole supporto del neo papà Enrico e dalla disponibilità di tutti gli istruttori che hanno partecipato; Marika, Franco, Gianrino, Fa-brizio, Francesco, Gianni, Fabio e Leonida e degli allievi che si sono lasciati condurre in questa disci-plina con curiosità e interesse.Un pensiero a Laura, “miss pendolo rossa” che non è riuscita a partecipare all’ultima uscita ma senz’altro la sua grinta e la sua caparbietà la por-teranno a cimentarsi ancora sull’effimero.Con l’augurio che questo percorso fatto insieme, di ricerca del freddo, vi abbia stimolato e vi abbia dato quel bagaglio minimo indispensabile per continuare a pensare a quale sarà la prossima ca-scata di ghiaccio da salire (è questo che succede a noi, malati di effimero…).Non mi resta altro da dire se non “buone scalate, nell’ombra”. Dimenticavo, dice il saggio: “parti-te sempre 15 minuti prima rispetto a quella che pensate potrebbe essere la partenza degli altri… tanto il saggio parte comunque 30 minuti prima di voi!”.

Il Direttore del corso

“Allora ragazzi… vi spiego una cosa: al mio corso non si casca!” E fu questa la frase di apertura del nostro 12° Cor-so “Ghiaccio di Cascate”.A quel punto era chiaro che le cose avrebbero preso una certa piega o, meglio, una certa linea di salita. Già in Torre Materiali si è percepito lo spessore della preparazione che il corso richiedeva, con-fermata poi ad Armetarola dove già all’avvicina-mento un’allieva ha rischiato il congelamento delle mani mentre un’altra veniva colpita da un masso di ghiaccio scaricato dall’alto. La mascotte del corso, da parte sua poi, specialista in ghiaccio e granite, anziché risalire la cascata preferiva but-tarla giù a suon di piccozzate. Ma noi sempre avanti, mollare mai, con tenacia e passione… e contare fino a 5!Non ci fanno di certo desistere le sveglie alle 4 del mattino, né il freddo o la fatica, magari ogni tanto guardandoci tra noi ci chiedevamo: “ma chi xe che me o fa fare???”, ma non avremmo mai rinunciato alla compagnia, ai sorrisi e alle brioches calde che ci aspettavano lungo il viaggio.Vorremmo elencare tutte le linee di cascate salite, da Colfosco a Cogne, ma sono innumerevoli e dai nomi strampalati che non stiamo qui ad an-noiarvi. Quello che è certo è che si sono lasciate salire da noi neofiti sempre con nostra grande soddisfazione e fatica, accompagnati dal profumo del ghiaccio, dal rumore dell’acqua che scorre al suo interno e da quel gusto dell’effimero che ci ha stregati.

Ringraziamenti: Doverosi al grande Direttore Mr. Mason e al suo vice Enrico che pur di saltare l’ultima uscitona di Cogne ha fatto nascere la figlia Agata; a tutti

gli Istruttori: Franco, Francesco, Gianrino, Leo-nida, Puffo, Greio, Jack e Fabio che con grande passione, preparazione e pazienza ci hanno ac-compagnati in questa indimenticabile avventura. Alle polpette della Stanga, al dolce al limone e cioccolato bianco, al thè Lipton che ci ha scaldato la pancia, alle barrette energetiche che non basta-vano mai…

I pochi ma buoni allievi del 12° Corso Cascate 2015: Laura, Paola, Elisabetta, Ivan, Mauro, Mar-co, Marco, Nicola

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Corda doppia sul Candelabro del Coyote

Sulla Cascata di Patri

… dalla parte degli allievi

Dopo quasi vent’anni Antonio Feltrin lascia il testi-monio a Maurizio Scollo, eletto a grande maggio-ranza Capo Stazione nel corso della riunione dei Volontari svoltasi il 12 gennaio nella sede di Via Gradenigo.Nella stessa riunione è stato eletto Vice Capo Stazione Daniele Tonin, succedendo a Roberto Prevato. Antonio Feltrin (Toni per gli amici) nasce e si afferma come alpinista a tutto campo tra le file della Giovane Montagna di Padova, in quella bella e accogliente Sede di Via San Pietro dove, appena entrati, sembrava di rivivere la calda at-mosfera di un rifugio di montagna.Verso la fine degli anni sessanta entra a far par-te come Istruttore di Alpinismo e di Scialpinismo nella Scuola “Franco Piovan” di Padova, ma sen-za con questo dimenticare il suo primo amore,la Giovane Montagna appunto.L’amore, quello vero, lo incontrerà in Giulia che diventerà la sua compagna nella vita, seguendolo anche nel suo lungo percorso come Capo Stazio-ne, spesso non facile e non privo di amarezze.Volontaria anch’essa, collabora come segretaria della Squadra assumendosi inoltre l’importante compito di allertare telefonicamente i volontari in caso di intervento. Ritornando un po’ indietro negli anni, Toni Fel-trin entra a far parte della Squadra del Soccorso Alpino di Padova verso la metà degli anni ’80 e nel 1995 assume l’incarico di Capo Squadra su-bentrando a Giancarlo Zella, il quale in seguito e per qualche anno sarà Presidente del Soccorso Alpino Veneto.

In quegli anni la “Squadra” diventa “ Stazione di Soccorso Alpino di Padova”, controllando un territorio molto vasto che si estende dai Colli Eu-ganei sino ai Colli Berici e godendo inoltre, di-versamente da prima, di propria autonomia, non solo economica.Maurizio Scollo, volontario della nostra Stazione, è medico anestesista e rianimatore presso l’ Ospedale San Bortolo di Vicenza.Dal 1994 al 1997 ha collaborato come medico di elisoccorso a Bolzano e nel 2003 entra a far parte del CNSAS di Fiera di Primiero.In questo periodo provvede per diverse edizioni alla formazione sanitaria del soccorso alpino della Guardia di Finanza di Passo Rolle e per due edi-zioni alla formazione delle truppe del FRONTEX sulla gestione del trauma in ambiente ostile.Nel 2006 ottiene la specializzazione in medicina di montagna e nel 2012, per problemi logistici, chiede ed ottiene il trasferimento dalla Stazione di Fiera di Primiero a quella di Padova.Non ci rimane che ringraziare l’amico Toni per il lavoro svolto per molti anni come Capo Sta-zione con passione, competenza e continuità e a Maurizio l’augurio per un proficuo lavoro che sarà sicuramente sostenuto da tutti i volontari del-la Stazione che si sta rinforzando con nuove giovani leve.Avanti sempre dunque ,con passione, determina-zione, preparazione e, perché no, coraggio!

soccorso alpino

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Cambio al vertice nel Soccorso Alpino di Padova

La stazione cresce sia nell’organico sia nelle specializzazioni

di Sergio Carpesio

di Paolo Bassanese

Oltre al cambio ai vertici di inizio 2015, nel corso del 2014 nella squadra sono avvenuti numerosi cambiamenti positivi. Sono entrati tre nuovi aspiranti (Francesco Vol-pe, Giovanni Zaccaria e Leopoldo Morosinotto), mentre due (Giordano Baldin e Andrea Zampieri) hanno superato il corso e sono diventati effettivi operatori del soccorso alpino.Oltre che numericamente, la squadra è cresciuta anche sotto il profilo Tecnico. Graziano Bakos ha completato il corso acquisen-do la qualifica specialistica di Operatore Forra, che lo abilità al soccorso negli ambienti acquatici, qua-li canyon e gole.Altri due componenti la squadra stanno ultiman-do dei livelli superiori di formazione: Alberto Barbirato per ottenere la qualifica di Tecnico del Soccorso Alpino mentre Michele Chinello per di-

ventare Tecnico di Elisoccorso. Quest’ultimo ha raggiunto la qualifica d’istruttore regionale sanita-rio ed è candidato per il nazionale.Infine, a novembre, tre soccorritori (Laura Pegge, Monica Voltan e Paolo Bassanese) hanno parteci-pato al primo corso per Tecnici di Ricerca, figura che va ad operare all’interno dei centri di coor-dinamento, nella pianificazione e organizzazione della ricerca di persone scompare e disperse.Ecco quindi che la Stazione di Padova del Corpo Nazionale del Soccorso Apino, nelle sue diverse componenti e specialità ha raggiunto i 30 volon-tari, numero che permette di garantire una repe-ribilità costante 365 giorni l’anno per assistere gli eventuali infortunati dell’area Euganeo Berica, in collaborazione con il 118 e gli altri Enti preposti al soccorso.

Tre anni fa mi sono ritrovata davanti alla sede del CAI di Padova per iscrivermi al gruppo Veterani, su insistenza di un’amica che già lo frequentava.Il CAI per me non era di certo uno sconosciuto, perché da più di 25 anni ne faccio parte, ma di un’altra sezione. La montagna è la mia “seconda casa”, quel giorno avrei potuto fare anche dietro front, ma avrei perso l’occasione di conoscere un potenziale gruppo di amici che ormai hanno oc-cupato un posto non indifferente nel mio cuore. Diventerebbe troppo lungo descrivere tre anni as-sieme; i racconti sulla montagna e sulle gite che si sono fatte si sprecano e non rendono giustizia al vissuto del momento.Dentro i miei occhi però, rimane indelebile il co-

lore blu del cielo della recente gita sui Cadini di Misurina.Credo che una giornata così non la si vedesse da tempo immemorabile.Finalmente un percorso che, si sapeva, l’avremmo fatto tutto dall’inizio alla fine senza intoppi… cioèsenza ombrelli aperti, senza pantaloni di ricam-bio, senza fango fino alle ascelle, quando scornati e umidi ritornavamo alla fatidica piazza Azzurri d’Italia punto di partenza di ogni nostra escursio-ne del mercoledì.Dunque dicevo, causa il bel tempo, con un sole che spaccava le pietre e una neve stupenda sotto le ciaspole, siamo approdati al rifugio Città di Carpi con un acrocoro di Dolomiti innevate da sfondo.

veteraniChi prima, chi dopo, cinquanta veterani tutti colo-rati, un po’ ansimando e un po’ ridendo e foto-grafando, si sono accalcati sulla veranda del rifu-gio, pronti a dar fondo alle provviste nello zaino. Inutile dire che il tutto è sempre accompagnato da qualche bicchiere di vino.Le nostre escursioni… ogni volta io mi diverto un sacco, solo che ogni tanto il mio passo mi porta un po’ troppo avanti, non si deve sorpassare il

capogita sento dire… dai aspetta, dove corri…, ma io sono fatta così, imbocco il sentiero e piano piano sento la mia mente svuotarsi dai problemi quotidiani, come se entrassi in un altro mondo, dove il passato non esiste e finalmente mi sento svuotata dallo stress che a volte sfinisce la mia vita quotidiana. È questa la sensazione che provo ogni volta che il mio piede poggia su un percorso di montagna.Finalmente posso sorridere con un sorriso vero, diverso da quello di tutti i giorni, sento la pace interiore che si fonde con la quiete esteriore. Dopo un po’ il battito del cuore accelera, non per la fatica della salita, di questo non me ne accorgo. La mia mente lascia spazio solo ai sensi allertati per cogliere i profumi che aleggiano nell’aria, la brezza frizzantina mi riempie i polmoni e l’animo di gioia.E mi vien da gridare: BELLOOOOOOOOOOO!!!Ciao da una veterana

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Una veterana sui Cadini

Gli amici del mercoledì

Ci chiaman gli amici del mercoledì,ma amici noi siamo, invece, ogni dì.È bello, infatti, volerci un po’ benevivendo in un mondo di lupi e di ieneove sembra, purtroppo, che l’uomo non sial’immagin di Dio che egli vorria.Speriamo soltanto che ancora per moltorimanga fra noi un sì bel sentimentoch’è essenza di vita e ti fa più contento.

Millo PavanelloUn vecchio socio CAI

to, che proprio in montagna ha visto il concreto coinvolgimento e il sacrificio di numerosi sol-dati, alpini ed anche soci del Cai. Ricordiamo alcune delle se-rate dedicate alla Prima Guerra

Mondiale: il 2 maggio “La grande guerra e la cit-

tà di Padova”, il 4 novembre con “La linea gialla: dall’Antelao a Cima Caldiera” Forti, gallerie, trin-cee e strade militari della linea difensiva della IV Armata, mai utilizzata durante la Grande Guerra (Roberto Mezzacasa, Antonio Zanetti). Infine, il 2 dicembre con Antonella Fornari e “La grande guerra sul fronte dolomitico”. La Grande Guerra sul fronte Dolomitico raccon-tata attraverso le storie umanissime ed eroiche degli uomini che ne furono protagonisti. Fram-menti di vita che Antonella Fornari ha strappato al silenzio per consegnarli ai lettori in questo libro.

Nel corso del 2014 la Commissione Culturale è stata allargata al gruppo di soci coinvolti nella orga-nizzazione dei Martedì del CAI, con una program-mazione unica e condivisa delle serate pubbliche del martedì sera, presso la sede e presso il Centro Culturale San Gaetano, con la rassegna “Alpinismo e dintorni”. Commissione culturale rinnovata nella composizione ma inalterata nello spirito ed im-pegno, di cui il compianto Tonino Tognon è stato protagonista e riferimento esemplare.Diffondere la cultura della montagna per dare la possibilità agli appassionati e alla cittadinanza padovana di seguire incontri, conferenze e proie-zioni aperte al pubblico, è rimasto l’obiettivo della Commissione. La divulgazione degli eventi ha trovato spazio sia nelle tradizionali locandine che nel rinnovato e aggiornato sito internet del aiI alla pagina web Serate Pubbliche http://www.caipadova.it/attivita/serate-pubbliche/i-martedi-del-cai.htmlNel corso del 2014 sono stati proposti personaggi

e temi di grande rilevanza con i cinque appuntamen-ti serali del San Gaetano.Tra le serate di Alpinismo e dintorni più originali del 2014, memorabile quella del 22 gennaio con la par-tecipazione dell’astronau-ta Paolo Nespoli che con la Dott.ssa Loredana Bes-sone, dell’Agenzia Spazia-le Europea, e lo speleolo-

go padovano Francesco Sauro, hanno presentato e documentato come l’esplorazione speleologica e l’addestramento estremo nel sottosuolo terre-stre, sia tra i modi più avvincenti per la preparazio-ne degli astronauti alle missioni nello spazio. La spedizione speleologica si trasforma in una simu-lazione di addestramento per creare protocolli per gli astronauti che in un futuro andranno alla ricer-ca di nuove forme di vita in altri pianeti. L’evento ha visto una grande partecipazione di pubblico e riscontro mediatico sui quotidiani locali.

Un anno straordinario anche per i “Martedì del Cai” che ha visto la partecipazione costante di soci e non presso la sede di via Gradenigo, nella sala conferenze. La programmazione, intensa per la varietà dei contenuti, è iniziata il 14 gennaio e si completata a dicembre con un’ospite d’eccezio-ne, la nota alpinista e scrittrice Antonella Fornari. Nel 2014 sono iniziate le Celebrazioni per il Cen-tenario della Grande Guerra. Anche i Martedì del Cai, hanno colto l’occasione per rinnovare e promuovere la memoria del tragico avvenimen-

Un anno di serate

commissione culturale

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Questi tutti gli appuntamenti dei “Martedì del CAI” anno 2014:14/01 Introduzione al GPS: dal virtuale al reale28/01 Iran, Albania, Isole Eolie, … istruzioni per l’uso11/02 Diario dell’ambulatorio Giuliano De Marchi, Kirtipur - Nepal18/02 Superficialità ed errori interpretativi nella valutazione del rischio valanghe 25/02 Per tornare a cantare assieme: 4 cante da fare in gruppo 04/03 Traversata dei Pirenei in mountain bike 11/03 La montagna al femminile: viaggio attraverso la storia dell’alpinismo 25/03 Tentativo al Manaslu (8163 m)01/04 Fra le montagne più alte del mondo, presentaz. del libro “Il settimo senso” di Kurt Diemberger 08/04 Torrentismo in Etiopia: Jinbar Fall 15/04 Kenya 2010: l’Africa che tocca il cuore 29/04 Il mestiere della Guida Alpina alla scoperta dei professionisti dell‘accompagnamento in montagna di ieri e di oggi06/05 Sahara: montagne di sabbia? non solo… 13/05 Le Dolomiti dalle origini ai giorni nostri 20/05 La grande guerra e la città di Padova14/10 Geositi… e non solo (Sandro Silvano, geologo) 21/10 Le costellazioni invernali (dr. Giampiero Malvasi, astronomo) 28/10 Quando la terra trema: i terremoti nel Veneto e non solo (dr. Jacopo Boaga (Diparti mento di Geoscienze, Univ. di Padova) e A.G.G.V. (Ass.ne Giovani Geologi del Veneto) 04/11 La linea gialla: dall’Antelao a Cima Caldiera (Roberto Mezzacasa, Antonio Zanetti) 11/11 Alpinismo nella rete, di Planet Mountain (Vinicio Stevanello) 18/11 Crack climbing e i segreti delle big wall (Alessandro Baù) 25/11 Montagne andine & salita all’Aconcagua (Marco Di Tommaso) 02/12 La grande guerra sul fronte dolomitico (Antonella Fornari)

di Luisella Cordiano

Il venti dicembre dell’anno appena trascorso è improvvisamente man-cato Walter Cesarato.Un malore, un breve ricovero e poi la forte fibra di questo omone saldo e determinato ha improvvi-samente ceduto.Per una serie di sfortunate circo-stanze ho appreso la notizia con forte ritardo, e mi dispiace non averlo accompagnato nel suo ultimo viaggio.Ho passato più di qualche ora in sua compagnia a rivangare un glorioso passato alpinistico, e il suo sguardo franco e un po’ ironico non sarà facile da dimenticare. Con lui mi sono immerso in at-mosfere lontane ed “eroiche”, avviluppato in una dorata ragnatela di passioni “garibaldine” ed en-tusiasmo sfrenato.Per i più giovani Walter è un emerito sconosciu-to, ma negli anni cinquanta era uno dei più forti alpinisti padovani, un “cavallo pazzo” difficile da imbrigliare, e che aveva fatto della Val Stallàta la sua arena da combattimento.Assieme ad altri “forti” del tempo, e tra questi l’in-dimenticato Bruno Sandi, aveva aperto parecchie vie nuove, tanto da meritarsi un intero capitolo nel bellissimo libro di Italo Zandonella Callegher “I signori delle cime”.Il libro tratta due secoli di alpinismo nelle Dolo-miti di Comelico, Sappada, Auronzo, Sesto. La Val Stallàta, nel gruppo del Popera, era il regno dei padovani, e Walter Cesarato vi imperversava bal-danzosamente. Compare in ogni nuova apertura,

spesso con Giorgio Ruffato, altre con Paolo Greselin, altre ancora con il già citato Bruno Sandi. Vie esplorative di terzo e quarto grado, con impegnativi passaggi di quin-to. Stagioni lontane e irripetibili. Pochi chiodi, corda legata in vita, niente casco e tanto entusiasmo. Una grinta restata immutata ne-gli anni perché anche durante le

nostre chiacchierate l’uomo trasmetteva forza e determinazione invidiabili. Un amore per la vita e per l’avventura che lo portò non solo in montagna ma anche per mare. Navigava tutto solo su e giù per l’Adriatico fino alla clamorosa avventura che lo vide rimanere in balìa delle onde per più giorni per un guasto alla sua imbarcazione. Fu salvato in extremis, stanco, affamato, infreddolito.Personaggio incredibile Walter. E artista. La sua casa è piena di quadri tutti dipinti da lui, e i sog-getti preferiti non possono che essere montagne e mare, naturalmente.Ecco, lo ricorderò sempre così. Alto e possente tra i suoi quadri, il tavolo della cucina ricoperto di foto in bianco e nero e il suo ditone enorme a mostrarmi l’itinerario su una parete. Il tutto rac-contandomi aneddoti, gesticolando, prorompen-do in forti risate, gli occhi scintillanti e ridenti di un monnellaccio irrecuperabile.Ciao Walter.

Leri Zilio

ricordiamoSabato sera (21 dic 2014) mentre mi trovavo a Feltre, Giorgio Cesarato mi comunicava l’improv-visa scomparsa del suo papà Walter.Ho sempre avuto un buon rapporto con Walter e la notizia mi ha rattristato moltissimo, non fosse altro perché in quel lontano agosto del ‘74 restò tutto il giorno al campo base dello Spigolo del Velo (leggi bivacco che non c’è più) dandoci voce sino a che con Sergio Billoro e Toni Gianese non concludemmo la scalata del famoso spigolo.È stato Istruttore Emerito della Scuola di Alpini-smo e negli anni ‘80/’90 riprese i contatti con l’arrampicata a Rocca Pendice.

Memorabili i suoi “resting” sul “Pensionato” sotto lo sguardo perplesso di Billoro.Andò nelle cronache quando resistette per giorni disperso in mezzo al mare con l’albero rotto della sua barca a vela sino a che la guardia costiera non lo rintracciò oramai agli sgoccioli.Ciao Walter, mi mancherà e ci mancherà il tuo vocione. Sergio Carpesio

È difficile tracciare un profilo di Giorgio Tosi tan-to complessa era la sua personalità e molteplici i suoi interessi. “Uomo di profonda cultura, intel-lettuale raffinato, scrittore di poesie, romanzi e saggi, alpinista e sciatore, ma anche giovane par-tigiano combattente, militante comunista, giurista e avvocato eccellente” così Flavio Zanonato ricor-da l’amico nell’ultimo addio. Forse si può tutto semplicemente riassumere in un grande amore per la vita, per quanto in essa vi è di bello e nel desiderio di migliorare quanto non rispondesse ai suoi ideali. Amava la natura, i libri, la montagna, i fiori, si de-dicò con gioia profonda ai nipoti ai quali scrisse alcuni libri. Le radici della sua formazione, caratte-rizzata da rigore morale ed intellettuale, venivano da lontano, dagli anni del liceo a Riva del Garda, in particolare dalla figura del suo insegnante prof. Gori, antifascista cattolico, che educava i suoi giovani alunni ad una visione critica della realtà e dalla lotta partigiana in montagna a cui aderì giovanissimo. Prima di questa fondamentale esperienza, Gior-

gio aveva frequentato il gruppo “I figli della montagna” formato da giovani che nell’attività escursionistica trovavano l’occasione di confron-tarsi esprimendo le proprie idee secondo un ide-ale di libertà e democrazia. Questa abitudine al confronto diventerà poi uno dei tratti salienti della sua personalità. Presto il gruppo si trasformò nella unità partigiana “Fiamme Verdi”. In quel periodo Giorgio venne a contatto con esponenti di spicco

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Walter Cesarato

Giorgio Tosi

della resistenza trentina da lui ricordati poi sem-pre con ammirazione. Arrestato e condannato a morte, fu detenuto nelle carceri di Silandro e di Bolzano. Lo salvò la Liberazione, come ricorderà nel suo libro “Zum Tode”. Si iscrisse al PCI di Padova dove si era trasferito a fine guerra per l’ università e lì conobbe Lilia-na Fassetta, futura moglie. Fra i due, pur tanto differenti caratterialmente, si instaurò un legame profondo che li vedrà sempre assieme, al di fuori delle loro diverse professioni, ad affrontare nuove esperienze. Escursioni, percorsi in canoa, arrampicate, scialpi-nismo, tutte attività che li avvicinavano all’ambien-te naturale tanto amato da entrambi. Conseguita una seconda laurea in giurisprudenza, dopo quel-la in filosofia, Giorgio divenne uno degli avvocati di punta del partito comunista salendo anche alla ribalta delle cronache per processi politicamente difficili. Socio del CAI di Padova, diventerà istruttore di roccia, effettuando scalate anche su vie impe-gnative e parteciperà poi all’attività sezionale con gli escursionisti di Vasco Trento.Si adoperò volontariamente, insieme al Presidente Ragana, a sistemare varie questioni legali della Sezione. Nella sua casa in Valle di San Lucano accoglieva i compagni di gite, i giovani scalatori frequentando assiduamente le montagne dell’Agordino, del-lo Zoldano, del Cadore, delle Pale di S. Martino per conoscerne gli angoli più appartati e solitari alla ricerca della bellezza dell’ambiente naturale. Era attratto dai fiori, dalle piante, dai funghi,dagli animali selvatici della montagna e altrettanto dagli uomini che la popolano e che ne hanno tracciato la storia e fissato l’aspetto delle valli. Durante le escursioni, amava parlare delle sue letture, dei processi in cui era stato protagonista, dei suoi interessi che spaziavano nei campi più disparati. Di grande cultura, fine parlatore, nel rap-porto con i compagni metteva in luce la ricchezza

del suo lato umano, mostrandosi sempre attento all’interlocutore, disponibile al confronto e all’a-scolto di idee diverse dalle proprie. Sensibile all’ambiente naturale, lo attraevano tutte le forme di frequentazione della montagna: l’e-scursionismo, lo scialpinismo lo vedevano sem-pre con Liliana e magari con la fedele cagnolina Torba. Con gli amici del CAI e con l’inseparabile Liliana ha partecipato a spedizioni extraeuropee salendo su cime famose quali Kilimanjaro, Kenya, Ruwen-zori, Damavand, Chimborazo o visitando ambien-ti di particolare significato naturalistico e culturale come Galapagos, Tassili, Ladak sempre desidero-so di conoscenza e di esperienze che arricchissero il suo spirito. È così che lo ricordano gli amici del CAI che hanno condiviso con Giorgio tante esperienze in montagna nelle amate valli dolomitiche o su cime lontane: una persona ricca di doti umane ed intellettuali, attento a quanto lo circondava, spinto da un desiderio continuo di conoscenza e da un grande amore per la montagna e la natura nel loro significato più ampio.

Ciao Toni! Personalmente ho molto da condividere con te!Abbiamo sudato, conquistato, gioito, viaggiato e vissuto per tanto tempo insieme.Ci sentivamo e ci sentiamo tutti i giorni, non c’è argomento che all’inizio o alla fine, non parli del tuo lavoro o di montagna.Stiamo bene insieme!Mi attrae l’interesse che Toni ha per il mondo in-tero: la musica, la fotografia, i problemi sociali, i programmi per i nostri viaggi futuri, la Juve!!!Ehhh, quando arrivo da lui per una partita è già posizionato davanti alla tivu. Nella foto della sua carta d’identità è vestito con maglia juventina.Altra cosa importante che ci rende uniti è l’amore per quella terra nepalese, tant’è vero che il nostro impegno di aiuto per i bambini continua, questa cosa ci piace e ci accomuna molto!! Stiamo co-struendo un nuovo orfanatrofio!!!Ma il massimo della nostra amicizia la misuriamo nei nostri viaggi!I preparativi cominciano un anno prima e nell’or-ganizzarci si parla di tutto: aereo, camera o tenda?

Scarponi o scarpe d’avvicinamento? Il tempo e la gente come sarà? E via così… Giri e giretti in montagna per fare un po’ di fiato. Si parte!! OhhChi dorme con Sandro? Chi dorme con Alberto? Noi no!… Siamo una coppia di fatto!!Non ho mai sentito un (no) da Toni!!! Lui aiuta tutti e si mette a disposizione, così nel lavoro, cosiì nella vita!Ciao grande amico mio, prepara ea roba che ‘ndemo via!

Augusto

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Tonino Tognon

L’anno scorso, aprimmo l’annuario 2013 della no-stra sezione ricordando il compleanno centenario di Gabriella Santoro, vedova di Francesco Marco-lin, già presidente della nostra sezione e per molti anni responsabile del “Notiziario”. A Francesco Marcolin è dedicato il riconoscimento con il quale ogni anno la nostra sezione premia chi nel Vene-to si è distinto con produzione letteraria dedicata

alla montagna. Fino a pochi anni fa la signora è sempre stata presente alla cerimonia di consegna.Ora, dopo pochi mesi del compimento dei cento anni, se ne è andata in silenzio come era vissuta nell’ultimo periodo.Continueremo a ricordarla ogni anno alla conse-gna del premio dedicato al marito.

Gabriella Santoro

Tonino Tognon ci ha lasciato il 15 novembre 2014. Aveva 55 anni ed era iscritto alla nostra sezione da più di 20 anni. Era subito entrato nella Commissione Culturale della quale in breve tempo era diventato uno dei più sicuri punti di riferimento. Per molti anni si era impegnato per portare a Padova, nelle ormai famose “Serate Culturali”, i più importanti alpinisti italiani e stranieri a raccontare le loro imprese e il loro modo di vedere il mondo e l’alpi-nismo, dando anche il suo contributo come consigliere nel Direttivo Sezionale.

Dieci anni fa è venuto a mancare, dopo una lunga e dolorosa malattia, il nostro caro amico Vasco, indimenticabile personaggio della sezione CAI di Padova, una delle prime persone che ho avuto il piacere di conoscere da quando ho cominciato a frequentare la sezione e praticare la montagna con continuità. Erano gli anni ’90 e un gruppusco-lo di soci si stava organizzando per effettuare gite settimanali in montagna. Lo scopo era curare la forma fisica scoprendo e gustando ambienti in-

contaminati e suggestivi con percorsi adeguati al gruppo e rientrare a casa alla sera stanchi e soddisfatti e con anco-ra qualche briciola di energia per la settimana successiva. La giornata del mercoledì risultò ideale per questo tipo di attività. Nella persona di Vasco Trento fu una-nimemente individuato il “capo” del gruppo per la sua vasta cono-scenza della montagna, il suo particolare modo di praticarla, per l’espe-rienza maturata in tanti

anni di frequentazione. Formato il gruppo, per le prime uscite fu sufficiente il “camietto” Volkswa-gen di Arrigo Babetto, Babe per gli amici, che trasportava 9 persone. Inizialmente a bordo si ri-trovarono, oltre a Babe, “capo Vasco”, “donna” Jo-landa Mazzonetto, il “violinista folle” Zeffiro Targa e poi, qualche tempo dopo, “Tony” Franceschini e “Ciano” Lazzaro. Buon ultimo il sottoscritto, com-pletando il numero massimo dei passeggeri. Nei mesi a seguire, cominciarono ad aggregarsi altri

amici, aumentando negli anni fino ai giorni nostri. Con Vasco l’escursione era uno spasso, non ci si annoiava mai. Gli itinerari che proponeva, talvolta nuovi ma mai rischiosi, avevano per meta rifugi o malghe di cui spesso conosceva gestori e fa-miliari. Era per lui l’occasione di gustare polenta fumante e latte, la sua passione, o, in mancanza, una spaghettata condita con il saporito burro di malga. Naturalmente coinvolgeva anche noi che, imitandolo, riportavamo poi spesso a casa la cola-zione che avevamo nello zaino. Se poi la giornata era splendida, la malga o il rifugio in posizione incantevole e il panorama delizioso, non si accon-tentava solo del lauto pranzo, ma dava inizio ad un” concerto” di cante, spesso manipolate e liber-tine nel testo, alcune di sua personale composi-zione, cui era difficile non partecipare. Vasco non si limitava alle sole escursioni del mercoledì, ma curava anche un piccolo gruppo, prevalentemen-te di signore, che guidava in brevi e facili escur-sioni domenicali con le quali poteva soddisfare la sua insaziabile dote di buongustaio e godere delle premurose attenzioni delle sue “fanciulle”, come lui le aveva battezzate.Uomo di montagna il nostro Vasco, ma anche di intrattenimento, che non mancava mai agli ap-puntamenti del CAI. Con la sua gioiosa parteci-pazione alle ricorrenze e il suo modo di proporsi, gratificava soprattutto il “gentil sesso” al quale non lesinava l’abituale, garbato, cerimonioso ba-ciamano d’altri tempi.Con Vasco, 10 anni fa, è venuto a mancare un pezzo del CAI, l’eccezionale animatore del merco-ledì, il collante del gruppo e definitivamente… ”Il Signore delle Cime”.

Lino Marescotti

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Vasco Trento, 10 anni fa

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Per te, Annamaria, vorrei che si suonasse “il silen-zio” con la tromba degli Alpini, perché tu sentissi, dal cielo, la nostra voce, il nostro pianto.Eri una persona speciale e sei stata un’amica stra-ordinaria.Terza di quattro fratelli, tutti appassionati di mon-tagna,insegnante all’Istituto femminile Scalcerle, avevi frequentato il Corso di Roccia della nostra Scuola di alpinismo e ti eri subito distinta per la tua simpatia, le capacità, la forza e la determi-nazione, ed eri rimasta tra i fedelissimi, sempre pronta, entusiasta e allegra.Eri stata inclusa presto nel gruppo degli Istruttori di roccia, e con Franco Piovan, Antonio Mastella-ro, Gianni Mazzenga, Franco Tognana e gli altri amici eravamo sempre a programmare vie di roc-cia, gite sci-alpinistiche, soggiorni in montagna, d’estate e d’inverno. Ti avevamo coinvolta a 360°

gradi nelle nostre avventure, che comprendevano corsi e vie di roccia fino al sesto grado nelle Pale di San Martino, tra cui la traversata dei Campanili di Val di Roda e l’avventurosa salita del Velo in veste invernale e con tanto di bivacco per l’im-provvisa nevicata sulla via di ritorno, nelle Dolo-miti di Brenta con la Preuss al Campanil Basso, con il grande Bruno Detassis che paternamente ci “sorvegliava” dal“sentiero delle bocchette”, nel gruppo del Sella con la Vinatzer al Piz Ciavazes e precipitosa discesa sotto la tempesta per la ferrata delle Mesules, nelle Tre Cime di Lavaredo, con lo Spigolo Giallo della Piccola, e nel gruppo dei Monfalconi,con la salita invernale agli strapiombi Nord del Campanile di Val Montanaia, e ancora corsi e salite su vie miste e di ghiaccio dal Zebrù al Bernina, e traversate sci-alpinistiche, fra tutte la traversata da Passo Pordoi a Corvara per la Val de

Annamaria Ercolino De Luca

Sergio, Annamaria e Toni Mastellaro al Passo Pordoi, in partenza per la traversata (foto F. Piovan) 1962

Il giorno 13 agosto 2014 in Padova, a 86 anni, si è spento il Dr. Vincenzo Dal Bianco. La sezione desidera ricordarLo pubblicando la motivazione del premio letterario “Francesco Marcolin” per l’anno 2003.II Dott. Vincenzo Dal Bianco, alpinista e scritto-re, a cui quest’anno viene assegnato il premio “Francesco Marcolin”, può essere considerato il più esperto conoscitore contemporaneo del gruppo del Civetta.Trevigiano di nascita, ma agordino di adozione, è qui che si è formato alpinisticamente, cono-scendo e arrampicando, negli anni ‘40-’60, con personaggi come Tissi, Andrich, Da Roit, Soldà e ripetendo fra i primi quasi tutte le loro vie. Nel contempo, però, si dedicò anche alla ricerca di itinerari di difficoltà minori alternando un puntiglioso lavoro a tavolino con una sistema-tica ricerca, esplorazione e verifica, soprattutto delle zone meno cono-sciute del gruppo. Da questo lavoro nasce, nel 1956, l’eccellente guida “Monte Civetta” cui fa seguito nel 1970 il volume “Civetta-Moiazza” in collaborazione con Giovanni Angelini.Nel 2000 dà alle stampe “Civetta, la soglia dell’impossibile”. È la storia della conquista da parte di Solleder e Lettenbauer della nord-ovest del-la mitica parete, la prima via di se-sto grado nelle Dolomiti. L’accurata ricerca storica con documenti origi-nali e l’intensità del racconto sono valse all’autore nel 2001 il premio Gambrinus “Giuseppe Mazzotti” per la sezione montagna.

Vincenzo Dal Bianco, che vive a Padova ormai da parecchi anni, collabora tuttora con le riviste del C.A.I., Le Alpi Venete e Le Dolomiti Bellunesi, dove ripropone con sensibilità e delicatezza suggestivi racconti di vita vissuta in montagna, come il più recente “Le formichine della Val Pettorina”.

Mesdì, con bivacco al rifugio Boè, a trenta gradi sottozero, nel 1962, da veri pionieri dello sci-alpi-nismo, quando ancora non c’era la funivia. Il contatto con la natura, la bellezza delle pareti di roccia e dei ripidi pendii di neve e di ghiaccio, la gioia di spaziare con lo sguardo dalle cime, il profondo legame che ti univa ai tuoi compagni erano tutte cose che ti commovevano e delle qua-li parlavi sempre volentieri.Non ti sei mai lamentata di nulla, se non, talvolta, del freddo alle mani... Nella compagnia portavi serenità e allegria e smorzavi sul nascere, con un po’ di ironia, ogni discorso polemico, e si sa che gli alpinisti hanno un brutto carattere, sempre pronti a polemizzare su tutto!Poi hai continuato la tua vita e il tuo lavoro di in-segnante a Torino, con Giovanni, che avevi cono-sciuto in val Veny, e le due figlie Silvia e Rosanna, frequentando le montagne della val di Susa e della Val d’Aosta. L’amicizia con i tuoi vecchi amici non è mai venu-ta meno e nelle frequenti lettere non nascondevi

una certa nostalgia e ogni occasione era buona per ritrovarci a Padova o a Torino e raccontarci i fatti della vita, con gioie e dolori, che non sono mancati per nessuno. Ricordo ancora che per par-tecipare al mio matrimonio quale mia testimone, con Giovanni hai attraversato tutto il nord Italia, da Torino al Passo Pordoi, sotto una impietosa tempesta di neve…E poi la malattia, di quelle che non ti danno scam-po e ti fissano il termine… ma ancora scherzavi al telefono, come se si trattasse di un guasto all’au-tomobile...Ora avrai riabbracciato i vecchi amici che ci hanno preceduto … e noi, noi ti porteremo sempre nel cuore, cara Annamaria, ed il tuo meraviglioso sor-riso, con il tuo inguaribile ottimismo, ci accom-pagnerà nei sentieri alpini e durante tutti i giorni della nostra vita.

Sergio Sattin

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Sergio, Annamaria e Franco Piovan all’uscita dallo Spigolo Giallo nel luglio del 1961

Vincenzo Dal Bianco

Premio Marcolin Tesseramento

premio marcolin sede

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Il 5 dicembre 2014 durante la Festa Sociale è stato consegnato il Premio Letterario “ Francesco Marcolin” a Mirco Gasparetto. Socio del CAI di Treviso, è tra i fondatori di “46° Parallelo” l’Annuario della Sezione trevigiana del CAI e dal 1993 scrive per le “Alpi Venete” pubblicando articoli sulla Storia dell’alpinismo.È autore di “Montagne di Marca” pubblicato nel 2002 e del recente “Pioneers alpinisti britannici sulle Dolomiti nell’Ottocento” (2012).Dal 2012 è membro della Commissione Centrale del CAI per le pubblicazioni; è inoltre consigliere del GISM (Gruppo Italiano Scrittori di Montagna).Nel 2013, in occasione dei 150 anni del CAI, ha collaborato con Silvana Rovis e Armando Scandellari alla stesura del corposo volume “Alpinismo Veneto”.Sempre nel 2013, nel numero Autunno-Inverno di “Alpi Venete”, è apparso il suo articolo “Giovanni Mosca guida alpina di confine” una esemplare e approfondita ricerca storica sulla famosa guida di Auronzo.

Per tutta questa multiforme attività culturale la Commissione del Premio Letterario “Francesco Marcol-in” composta da Antonio Tosato, Luigina Sartorati, Oddo Ferro, Antonio Mastellaro, Tonino Tognon, Giorgio Zecchini

all’unanimità

ha deciso di assegnare il premio per il 2013 al socio MIRCO GASPARETTO.

Il premio consiste in una “Stampa geografica del territorio Trevisano” incisione da rame editore Ioan Blaue Amsterdam 1640

DA effeTTuArsI eNTro Il 31 MArzo 2015

• Socio Ordinario € 50,00• Socio Familiare € 28,00• Socio Giovane (da 18 a 25 anni) € 28,00• Socio Giovane (da 18 a 25 anni) € 28,00• Socio Giovane minorenne nato nel 1998 e successivi € 16,00• Socio Giovane minorenne e successivo fratello di socio giovane € 9,00• Abbonamento alle Alpi Venete € 4,00• Nuove iscrizioni Ordinari e Familiari (oltre la quota annuale) € 6,00• Nuove iscrizioni Giovani (oltre la quota annuale) € 4,00• Abbonamento a LA RIVISTA Soci Familiari e Vitalizi € 10,90• Duplicato Tessera € 3,00• Socio Vitalizio € 18,00• Integrazione Assicurazione € 3,40

L’iscrizione è valida fino al 31 marzo 2016.

FORME DI PAGAMENTO - Nuovi soci e rinnoviContanti o bancomat presso la Segreteria in Via Gradenigo 10, Padova - in orario di segreteria.Rinnovi: versamento su c/c postale numero 15880354, intestato a: “Club Alpino Italiano C.A.I. Sezione di Padova”Bonifico Bancario su Banca Prossima Spa IBAN IT42 F033 5901 6001 0000 0069 222

Obbligatoriamente indicare nella causale di versamento il codice fiscaleIl tesseramento alla Sede Centrale avviene esclusivamente per via telematica, pertanto invitiamo i Soci che rinnoveranno la quota con il versamento sul c/c o con bonifico bancario, a far pervenire con email a [email protected]:• Ricevuta del versamento• Lettera di Consenso compilata e firmata (moduli lettere consenso scaricabile dal sito)• Codice Fiscale

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Dolomiti di Brenta vol. 2Versante Sud Est

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116 vie di roccia classiche e moderne

Francesco Cappellari è Accademico del CAI, Istruttore Nazionale di Alpinismo e di Scialpi-nismo, membro della Scuola Centrale di Alpi-nismo. Ha compiuto più di 1000 ascensioni in tutte le Alpi e in ogni disciplina, nonché alcune salite ex-traeuropee che lo hanno portato, nel 2003, alla conquista del Gasherbrum II di 8035 m.Autore di altre opere di successo come Ghiaccio Verticale, le più belle cascate delle Alpi Orientali, Mountain Bike in Val di Fassa e Ferrate a Cortina, sta curando, per Idea Montagna Editoria e Alpini-smo di cui è titolare, la pubblicazione dell’intera opera alpinistica delle Dolomiti di Brenta.

Dopo tre anni di scorribande trentine è giunto il momento di pubblicare quel che sono riuscito a carpire dalle mille informazioni, dalle mille pieghe di queste pareti, ognuna delle quali mi ha raccontato una storia fatta di uomini, paure e sudori.

E chiodi e corde.Non c’è interlocutore migliore della montagna. È lei che mi raccontato tutto.

ISBN 978-88-97299-39-4

9 788897 299394 > € 27,00

Alpstation SchioVia Lazio, 136015- Schio (VI)Tel. +39 0445 030031Fax +39 0445 [email protected]

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Alpstation Sarzanavia Variante Aurelia, 719038 Sarzana (SP)Tel. + 39 0187 624389Fax + 39 0187 [email protected]

Alpstation ClesVia Guglielmo Marconi, 8638023 Cles (TN)Tel. +39 0463 600312Fax +39 0463 [email protected]

Alpstation AostaGrand Chemin, 10611020 Saint Christophe (AO)Tel. +39 0165 267898Fax +39 0165 [email protected]

Alpstation TarvisioVia Roma, 5633018 Tarvisio (Udine)Tel. +39 0428 450040Fax +39 0428 [email protected]

Alpstation Kids ClesVia Guglielmo Marconi, 6638023 Cles (TN)Tel. +39 0463 600265Fax +39 0463 [email protected]

Alpstation BassanoVia Capitelvecchio, 436061 Bassano del Gr. (VI)Tel. +39 0424 525937Fax +39 0424 [email protected]

Alpstation BrianzaVia Provinciale, 1123843 Dolzago (Lecco) Tel. +39 0341 451250Fax +39 0341 [email protected] IseraLoc. Le Fosse, 238060 Isera (TN)Tel. +39 0464 750140Fax +39 0464 [email protected]

Alpstation LavaredoVia Cima Gogna, 232041 Auronzo di Cadore (BL)Tel. +39 0435 9491Fax +39 0435 [email protected]

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Le Dolomiti, questo immenso giardino di pietra e boschi, come è noto, hanno come massima elevazione i 3343 metri della Marmolada, o meglio di Punta Penìa. Oltre ad essa altre numerose vette sono ambite e frequentate.

La maggior parte degli alpinisti perònon conosce l’esatta posizione, la viadi salita più semplice e le diffi coltà delle 86 cime oltre i 3000 metri. Esse sono suddivise in 16 gruppi montuosi che coprono l’intero arco dolomitico.

I tre autori, in questo volume, le hanno censite con puntiglio dando, per ognuna, dettagliate informazioni per raggiungerne la vetta lungo la via normale.

Una guida per gli amanti di un alpinismo di ampio respiro che coniuga, molto spesso, ambienti selvaggi ed aria sottile.€ 28,00

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Il Gruppo del Col Nudo e Cavallo, ai margini meridionali delle Dolomiti, è uno dei più apprezzati per la pratica dello scialpinismo. Facilmente accessibile dalla pianura e dalla Val Belluna, favorito da un’orografia ideale oltre che da un innevamento abbondante, regala escursioni di ogni lunghezza e difficoltà.

Questa guida monografica descrive tutti i percorsi principali, dai più semplici a quelli alpinistici, con numerose varianti di salita e discesa.

GLI AUTORIStefano BurraFotografo, scialpinista e alpinista, è alla sua prima esperienza editoriale. In questo lavoro ha messo a frutto l’approfondita conoscenza del territorio, di cui ha percorso tutte le vallate e raggiunto tutte le cime.

Andrea RizzatoFotografo, escursionista e scialpinista, collabora con alcune case editrici e riviste legate alla mon-tagna. Ha pubblicato: Le Stagioni delle Dolomiti, Panorama 2006; Dolomiti, Cento Itinerari Circolari, Panorama 2007; Dolomiti, Escursioni alle Malghe, Panorama 2009; Dolomiti, 150 Itinerari per Medi e Buoni Scialpinisti, Tamari Montagna Edizioni 2010; Dolomiti da Scoprire, Touring Club Editore 2011. È membro accademico del Gruppo Italiano Scrittori di Montagna.

COLLABORATORITutte le relazioni sono degli Autori, alcune delle qua-li sulla base dei contributi degli alpinisti sotto citati. Tutte le immagini, salvo ove diversamente indicato, sono degli Autori. Hanno collaborato con immagini e informazioni: Ezio Bellotto, Ettore Bona, Luca Dalla Venezia, Gian-carlo Del Zotto, Davide Pacquola, Massimo Taglia-pietra.

Un ringraziamento particolare va a Ugo Baccini che ha messo a disposizione informazioni storiche e in-dicazioni sugli itinerari e a Luciano Sartorello e Da-rio Facchin che hanno fornito il materiale di alcune loro esplorazioni nei territori più impervi del gruppo.Si invitano i lettori a scrivere a [email protected] per richieste di chiarimenti, per segnalare variazioni riscon-trate nei percorsi e per ricevere gli aggiornamenti.

€ 23,50

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ISBN 9788897299479

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L’autore, naturalista e scrittore, invita a percorrere e ammirare “consapevolmente” le più belle montagne del mondo, quale incredibile laboratorio naturale.Propone 11 temi legati alla natura, all’ecologia e all’inter-vento dell’uomo, sviscerandoli con approfondita scientifi -cità e comprensibile divulgazione. L’escursionista può così sperimentare direttamente, durante i 40 itinerari propo-sti, le nozioni acquisite, scoprendo, anzi ri-scoprendo, una regione, quella dolomitica, che non dev’essere solo ter-ritorio di conquista ma, soprattutto, terreno d’azione per una crescita culturale legata alla Natura.

Il volume ha ricevuto il patrocinio della Fondazione UNESCO.

Denis Perilli è nato nel 1973 a Conselve (PD), cittadina in cui ancora risiede. Ha cominciato a frequentare le Dolomiti in età adolescenzia-le scoprendo le potenzialità di questo laboratorio all’a-ria aperta, luogo ideale per soddisfare la propria innata curiosità naturalistica. Si è laureato in Scienze Naturali all’U-niversità degli Studi di Padova con una tesi riguardante le dinamiche di popo-lazione dell’arvicola rossastra nella Fo-resta di Paneveggio, studio promosso dal Parco Naturale Paneveggio Pale di San Martino. I risultati di questi lavori sono stati pubblicati in Acta Biologica e Natura Alpina, riviste dell’allora Museo Tridentino di Scienze Naturali. La sua passione per la montagna l’ha portato a esplorare gran parte del territorio dolo-mitico, con predilezione per vette e sen-tieri meno frequentati, fonti d’ispirazione per osservazioni geologiche, faunistiche, fl oristiche e ambientali. Nel 2012 ha iniziato a collaborare con Idea Montagna Editoria e Alpinismo. Sue sono le introduzioni geografi che e naturalistiche di “Dolomiti d’Oltrepiave”, “Scialpinismo in Val Visdende”, “Dolomiti di Brenta vol. 1 - Val d’Ambiéz”, “Dolomi-ti di Brenta vol. 2 - Versante Sud Est” e “Ferrate dell’Alto Garda”.

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