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Antonio Pizzolante 1 Lo sguardo di Alberto Alberto Giacometti & friends sulle strade di Montparnasse La poetica di Alberto Giacometti come scrive Charles Juliet, si può sintetizzare in una “Coesistenza dei contrari” che l’artista svizzero si era proposto di esprimere attraverso l’angoscia , la solitudine, la morte minacciosa, ma, al tempo stesso, la forza della bellezza, i dubbi e il mistero della nostra esistenza in altre parole “la totalità della vita”. Profondo, indagatore, acuto, attento a esplorare la realtà , lo sguardo di Alberto aveva da sempre questa naturale predisposizione verso il mondo che lo circondava. Peraltro la sua formazione non avviene in una famiglia qualunque il padre Giovanni è un artista di dignitosa bravura che abbraccia prima le teorie pittoriche dei fauves francesi poi la filamentosa pittura di Segantini, tra simbolismo e romanticismo. Nel cenacolo bregagliotto si aggiunge il secondo cugino Augusto, anch’egli pittore, uno dei pionieri dell’arte astratta, che negli ultimi anni della sua vita collaborerà con Marc Chagall. Alberto respira un’aria creativa fin dalla sua nascita datata 10 ottobre 1901 a Borgonovo in Val Bregaglia nella Svizzera del Canton Grigioni. 1 E’ docente di Disegno e storia dell’arte al Ferraris. 1

Antonio Pizzolante Lo sguardo di Alberto

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Page 1: Antonio Pizzolante Lo sguardo di Alberto

Antonio Pizzolante1

Lo sguardo di AlbertoAlberto Giacometti & friends sulle strade di Montparnasse

La poetica di Alberto Giacometti come scrive Charles Juliet, si può sintetizzare in una

“Coesistenza dei contrari” che l’artista svizzero si era proposto di esprimere attraverso

l’angoscia , la solitudine, la morte minacciosa, ma, al tempo stesso, la forza della bellezza, i

dubbi e il mistero della nostra esistenza in altre parole “la totalità della vita”.

Profondo, indagatore, acuto, attento a esplorare la realtà , lo sguardo di Alberto aveva da

sempre questa naturale predisposizione verso il mondo che lo circondava. Peraltro la sua

formazione non avviene in una famiglia qualunque il padre Giovanni è un artista di

dignitosa bravura che abbraccia prima le teorie pittoriche dei fauves francesi poi la

filamentosa pittura di Segantini, tra simbolismo e romanticismo. Nel cenacolo bregagliotto

si aggiunge il secondo cugino Augusto, anch’egli pittore, uno dei pionieri dell’arte astratta,

che negli ultimi anni della sua vita collaborerà con Marc Chagall.

Alberto respira un’aria creativa fin dalla sua nascita datata 10 ottobre 1901 a Borgonovo

in Val Bregaglia nella Svizzera del Canton Grigioni.

1 E’ docente di Disegno e storia dell’arte al Ferraris.

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Page 2: Antonio Pizzolante Lo sguardo di Alberto

Nel periodo adolescenziale gli insegnamenti paterni cementano gli orientamenti del

giovanissimo Giacometti che a dodici anni dipinge la sua prima opera e di quel periodo

ricorda nei suo scritti: “ Non posso immaginarmi un’infanzia e un’adolescenza più felice di

quelle che ho trascorso con mio padre e tutta la mia famiglia mia madre , mia sorella i miei

fratelli”. Primogenito di quatto figli ( Diego nato nel 1902, Ottilia 1904, e Bruno 1907)

Nel 1915 entra al collegio di Schiers dove resterà per quattro anni, studente modello si

interessa alle scienze naturali alla letteratura romantica tedesca, ma soprattutto al disegno

quello di Durer, Rembrandt, Van Eyck .“Da quando ho visto le riproduzioni di opere d’arte

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Giacometti un una foto di Cartier Bresson

Page 3: Antonio Pizzolante Lo sguardo di Alberto

[…] ho sentito immediatamente il desiderio di copiare tutte quelle che mi attiravano di

più”.

Il 1920 per il giovane artista è un anno importante perché soggiorna a Venezia in un

viaggio con il padre commissario alla Biennale. La Scuola Grande di San Rocco lo rapisce

le opere di Tintoretto lo affascinano in una passione esclusiva “l’amavo di un amore

completo e partigiano”. Di ritorno da Venezia, tappa obbligata a Padova, padre e figlio

visitano la cappella degli Scrovegni di Giotto e allora la spettacolarità della visione di

Tintoretto viene scompaginata dagli affreschi dell’artista trecentesco: “Ricevetti un pugno

in pieno petto davanti agli affreschi di Giotto . Ero disorientato e perso […] mi sentivo

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Giacometti nel suo studio di Rue Hippolyte-Maidron

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schiacciato da quelle figure immutabili compatte come il basalto, con i loro gesti precisi ed

esatti, carichi d’espressione e di una tenerezza infinita”.

Negli anni successivi soggiorni a Roma, Firenze, Assisi in un clima fortemente creativo,

di questo periodo i primi importanti ritratti ma anche i primi tentennamenti di fronte al

modello, esprimono l’incapacità di cogliere il dettaglio che diviene sempre più imprendibile

e sfuggente. “Per la prima volta non riuscivo a venire a capo della modellazione. Mi

perdevo tutto si fondeva, la testa del modello davanti a me era come una nuvola, indefinita

e senza limiti”

Era ormai chiaro che lo sguardo di Alberto doveva fare i conti con la sua sensibilità con

la sua espressione emotiva che lo assaliva di fronte al viso della modella e come una coltre

nebbiosa s’imponeva e rendeva tutto evanescente, inafferrabile, imprendibile.

A Capodanno del 1922 Giacometti giunge a Parigi. Nella capitale francese ancora si

respirava quell’atmosfera bohémienne della “Scuola di Parigi” a cui faceva da sfondo il

quartiere di Montparnasse sulla riva sinistra della Senna. Nei fumosi caffè si ritrovavano

Chaim Soutine, Marc Chagall, Picasso, Brancusi, Bonnard, Matisse, e il nostro Amedeo

Modigliani (muore nella capitale francese nel 1920) tutto il mondo dell’arte a Parigi …

Parigi era il mondo.

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Giacometti, Life Magazin

Page 5: Antonio Pizzolante Lo sguardo di Alberto

“La Parigi degli anni Venti è un intermezzo d'oro, nel cuore del mondo. Dopo l'inferno della

Grande Guerra una forza vitale straordinaria coglie la Francia vittoriosa. Sull'onda

dell'euforia generalizzata che si respira negli Stati Uniti d'America. L'immediato primo

dopoguerra è caratterizzato da fervore culturale ed economico: Tra il 1924 e il 1937, questo

sogno diventa realtà in una città: Parigi. In quegli anni la capitale francese è in pieno

fermento: la sua atmosfera cosmopolita, mondana e liberale, l'esplosione del jazz, i teatri, i

caffè e le gallerie d'arte attraggono da ogni angolo d'Europa e d'oltreoceano le più grandi

personalità dell'arte, della cultura, della musica e dello spettacolo, in un clima di rinascita che

fa della città il laboratorio internazionale della creatività. I due quartieri chiave della città

sono: Montmartre, popolare e febbrilmente, anarchico, intellettuale e bohémien Montparnasse.

Sulle loro strade personaggi illustri che hanno fatto brillare quest'epoca, sono Joséphine Baker,

Kiki de Montparnasse, Francis Scott Fitzgerald, Picasso, Coco Chanel [...]. Parigi è

"l’ombelico del mondo", frenetica, brillante e spesso anche decadente” (Fabien Beriat – I

ruggenti anni ‘20).

Il centro di quell’ombellico era nel quartiere di Montparnasse uno locale “sgarrupato”

fatiscente, dove mancava elettricità e riscaldamento poco salubre, al numero 46 di via

Hippòlyte – Maidron e come scrisse l’etnologo Michel Leiris per Giacometti era

“un’appendice, un prolungamento della sua persona e – si può dire, tanto aveva l’aria di

far parte di lui – la sua conchiglia” che gli ricordava una grotta dove da bambino amava

rifugiarsi in solitudine”. Una stanza di trenta metri quadri dove Alberto incontrerà Mirò,

Calder, Prevert, André Masson, Samuel Beckett, Simon de Beauvoir e Jean Paul Sartre che

conoscerà nel 1939. Qualche anno dopo l’artista scriverà: “E’ buffo , quando ho affittato nel

1926 questo posto, mi sembrava piccolo, un buco. Ma più ci rimanevo più diventava

grande. Ho potuto fare di tutto qui, comprese le grandi figure in piedi del 1959”

In quella conchiglia rimarrà a tormentare il suo animo per tutta la vita.

Il primo decennio nella capitale francese – 1925-1935 – fu all’insegna delle grandi

avanguardie europee il cubismo di Picasso e Braque il surrealismo di Andrè Breton, Dalì e

Magritte. Intanto l’artista dopo aver copiato tantissimo al Louvre muove i suoi primi passi in

una ricerca più fattiva nell’ambito di un’arte primitiva, archetipa, primaria, vicina all’opera

del suo amico Brancusi dove la testa e il corpo saranno oggetto delle sue indagini. “Donna

Cucchiaio” e “Testa che guarda” rappresentano al meglio questo periodo. Poi la

folgorazione surrealista e le prime esposizioni di gruppo e la sua prima mostra personale

alla galleria di Pierre Colle (1932). In questa prima rassegna Giacometti, attraverso un

raffinato simbolismo formale, affronta i temi dell’aggressione sessuale, della crudeltà e della

morte, argomentazioni care a Breton, Salvador Dalì, Valentine Hugo, Marx Ernst. Di questo

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Page 6: Antonio Pizzolante Lo sguardo di Alberto

periodo sono “Palla sospesa”, “La Gabbia”, “Tavolo surrealista”. “Donna con la gola

tagliata” del 1932 si può considerare l’opera più importante del periodo surrealista, una

donna-insetto violentata e tramortita al suolo che rievoca un sogno ricorrente che

preoccupava non solo Giacometti ma soprattutto gli altri surrealisti intrisi di una gamma di

immagini “in cui la vagina era una trappola dentata, il pene un coltello e l' atto d' amore

un massacro reciproco” e come diceva Georges Bataille, “la copula una parodia del

crimine”.

Nel 1934 Giacometti abbandonò i Surrealisti che decisero di fare terra bruciata intorno a

lui considerandolo un traditore del movimento, per tutta risposta Alberto si rituffò nella più

dissacrante e degradante attività antisurrealistica: la rappresentazione dal vero di una

modella.

Con questa “nuova” modalità espressiva avrà

inizio la lunga stagione esistenzialista ma anche

un lungo periodo di isolamento che porterà

l’artista svizzero a confrontarsi con gli aspetti

cardini della sua ricerca: la figura in rapporto con

lo spazio della rappresentazione. In questo ambito

evidenzierà l’attenzione sull’uomo nella totalità

del suo agire, un uomo capace di “situarsi

all’inizio del mondo”, un uomo “….né dittatore,

né generale, né atleta” senza alcuna

“decorazione e fronzoli che sedurranno gli

scultori del futuro. E’ solo una lunga silhouette

indistinta che cammina all’orizzonte. Ma si può

già vedere che i suoi movimenti non

assomigliano a quelli delle cose: emanano da lui

come principi primi, disegnano nell'aria un

avvenire leggero: bisogna comprenderli partendo

dal loro fine”.

È quanto scrive Jean Paul Sartre nel saggio

“La Ricerca dell’Assoluto” del 1948 alla

presentazione in catalogo della mostra presso la

galleria di Pierre Matisse a New York. In questo

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Testa su stelo, 1947

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saggio il filosofo francese coglie la giusta “verità” dell’opera giacomettiana se per verità si

intende guardare la realtà oltre l’apparenza delle cose, entrare in fondo al modello, cavarne

l’essenza. Il compito dello scultore non è quello di sublimare la materia finalizzata ad una

visione figurativa tradizionale che è solo in grado di scolpire “cadaveri” ma di fare “un

uomo di pietra senza pietrificarlo”.

“E' che, da tremila anni, si scolpiscono solo cadaveri. Talvolta li si chiama giacenti e li

si adagia sulle tombe; altre volte li si fa sedere su una sedia curule, li si abbarbica in

groppa a un cavallo. Ma un morto su un cavallo morto, non conta neanche la metà di un

vivo”.

Alberto pensando e concependo la figura in tal senso arriva a rappresentarla “a distanza”

ponendosi in antitesi con la scultura classica e restituendo all’opera uno spazio immaginario,

metafisico, uno spazio capace di infondere un’immensità universale assoluta.

Rimpicciolisce la figura annega i dettagli focalizzando una precarietà incombente

consapevole della propria pochezza. Più tardi scriverà: “Si, dei meccanismi incoscienti,

come la gente per strada, che va e viene un po’ come formiche, ognuno ha l’aria di andare

per conto suo, tutto solo, in una direzione che gli altri ignorano. Si incrociano, si

sorpassano senza vedersi, senza guardarsi” (Tre uomini che marciano del 1948).

Da queste considerazioni emerge uno stato psicofisico dove l’uomo non ha una meta,

ovattato in un’accorata solitudine che accomuna molti contesti sociali della nostra

modernità. Certamente la materia con cui l’artista si misurava non era il marmo statuario di

Carrara ne l’eterno granito delle Alpi ma “una materia senza peso, la più duttile, la più

caduca, la più spirituale” : il gesso. Materiale d’indiscutibile precarietà, considerato nelle

pratica della scultura classica non un fine ma un mezzo capace di registrare la vibrante

modellazione delle dita e dare movimento all’immobilità della scultura. Un movimento

incessante metaforico aspetto fondante nella scultura di Giacometti capace di mettere in

scena “il dramma dell’incomunicabilità”. Nel testo “Un cieco nella notte, del 1952”

scriverà: “I giorni passano e io m’illudo di afferrare, di fermare ciò che fugge, e corro,

corro senza muovermi dal posto in cui sto senza fermarmi”.

A esprimere nella sua complessità quest’ultimo pensiero la scultura “Homme qui marche”

tra la fine degli anni ’40 e i ’60 diventa il più importante risultato stilistico dell’autore, quasi

una sorta d’identità capace di unire i suoi caratteri fondamentali.

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Page 8: Antonio Pizzolante Lo sguardo di Alberto

Un uomo che cammina scabro, roso dal vuoto che le sta attorno, atemporale, in un

movimento senza fine, tormentato da una realtà inafferrabile, angosciato dalla possibilità di

accedere alla conoscenza, solo in uno spazio fluttuante, con l’incombente minaccia della

morte.

A tal proposito Jean Genet grande amico dalla vita spericolata nel 1958 diceva: “Non

solo le statue arrivano su di voi ,come se fossero lontanissime, dal fondo di un orizzonte

estremamente remoto ma, dovunque vi troviate rispetto ad esse, si dispongono in modo che

voi, guardandole, siete ad un livello inferiore. Esse sono, al fondo di un orizzonte remoto su

di un poggio, e voi ai piedi dell’altura. Arrivano con l’urgenza di raggiungervi, e di

oltrepassarvi”.

I momenti di scoraggiamento non mancano anche quando decide di avere accanto una

donna ventun’ anni più giovane di lui: Annette Arm che sposa nel Luglio del 1949.

Nonostante tutto affoga i suoi ripensamenti in compagnia di donne fatali come Marlene

Dietrich ma anche con le sue modelle preferite come Caroline la ragazza dello Sphinx a lei,

ritraendola e fumando una sigaretta dopo l’altra aveva confidato: “Ho sempre fallito […]

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Homme qui marche, 1961

Page 9: Antonio Pizzolante Lo sguardo di Alberto

sono uno scultore mancato […]. Io faccio pittura e scultura

per mordere nella realtà, per difendermi meglio, per

attaccare, per fare più presa, per nutrire me stesso, […] per

avanzare il più possibile su ogni piano in tutte le direzioni,

per difendermi contro la fame, contro il freddo, contro la

morte, per essere il più libero possibile; il più libero possibile

per tentare - con i mezzi che oggi mi sono propri - di vederci

meglio, di capire meglio ciò che ho intorno, capire meglio

per essere più libero, più forte possibile, per spendere, per

spendermi il più possibile in ciò che faccio, per correre la

mia avventura” (Alberto Giacometti, “Scritti”, Abscondita,

2001).

Il grande successo arriva a partire dalla metà degli anni ’50 il suo lavoro è omaggiato e

favorito da molti e soprattutto dal collezionismo che conta, in questo periodo si avvicendano

importanti mostre: personale alla Kunsthalle di Basilea 1950, Galleria Maeght nel 1951,

fino alla Biennale di Venezia del 1956. Poi i premi, nel 1961 il Carnegie Sculture Prize a

Pittsburgh e il Gran premio per la scultura alla Biennale Veneziana, fino alla consacrazione

nell’importante esposizione alla Kunsthaus di Zurigo del 1962.

Questi successi non scalfiranno minimamente l’artista svizzero che seguirà ogni giorno

nella sua “conchiglia” di Montparnasse a “vedere” dentro ogni testa dentro ogni corpo “la

rassomiglianza assoluta” ma soprattutto sentire gli aspetti interiori dei suoi modelli di

fronte a lui, per interminabili ore, scrutarne a distanza la loro complessità, cavarne l’essenza

della loro personalità, e infine superare attraverso l’arte quell’angoscia esistenziale che lo

attanagliava da sempre.

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Caroline, 1965