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lez. N.° 32 Figura 1 Insieme agli altri gas presenti nell’aria dobbiamo considerare la presenza dell’acqua (come sappiamo può essere presente in natura in varie forme – solida, liquida, gassosa). L’immagine cosa vuole spiegare? Se vi è una fase liquida di acqua, alcune molecole (nere) tendono ad andare a saturare l’ambiente aereo (nel caso in cui vi siano poche molecole d’acqua e l’aria si dice secca); esiste quindi un gradiente di concentrazione che spinge le molecole d’acqua dalla sua condizione liquida verso l’ambiente “aria”. Fintanto che esisterà questo gradiente l’acqua continuerà a passare dalla superficie liquida allo stato gassoso; quando però la concentrazione delle molecole di vapor acqueo nell’aria è arrivata a saturazione ci sarà un ugual flusso di molecole d’acqua che tendono a passare dallo stato liquido allo stato gassoso un ugual numero che tenderà a ritornare dallo stato gassoso allo stato liquido. Si assiste quindi ad una condizione di equilibrio tra lo stato gassoso e quello liquido. È questa la condizione in cui si ha la saturazione del vapor acqueo nell’aria. All’equilibrio la concentrazione del gas (in questo caso la concentrazione dell’acqua) sarà uguale al prodotto del coefficiente di solubilità del gas e delle pressione che il gas raggiunge in questo ambiente nelle condizione di equilibrio. Questa legge prende il nome di legge di Henry. Vale sia per le molecole d’acqua che raggiungono l’equilibrio con le altre molecole di gas nell’aria sia per le molecole di un gas che si trovano ad essere disciolte in un liquido (per esempio: quando parleremo di O2 CO2 e N presenti anche nei fluidi ritroveremo questa equazione di Henry). La pressione del gas a sua volta è correlata alla pressione totale grazie alle frazioni (immagine lezione precedente). Dall’immagine possiamo osservare un’altra importante relazione: in funzione della temperatura dell’aria si ottiene una pressione di saturazione del vapor acqueo diversa (per esempio: a 37 °C al 100 % di umidità relativa la pressione parziale del vapor acqueo è circa 47 mm Hg). Perché andiamo a considerare 37 C° anziché 21 °C? Poiché la temperatura corporea è di 37 °C; quando l’aria entra nelle vie aeree è presente sottoforma di aria satura di vapor acqueo. È questo un elemento molto importante; perché? Perché se l’aria fosse “non satura” determinerebbe l’evaporazione dell’acqua delle superfici corporee di scambio. Ciò condurrebbe ad una disidratazione delle superfici con conseguente perdita delle funzioni. Quindi, tutte le volte che parliamo di gas nelle vie aeree dobbiamo ricordare che non basta parlare di O2 CO2 N, ma dobbiamo aggiungere anche l’acqua. Quindi la pressione parziale di un gas nelle vie aeree sarà data dalla frazione del gas per la pressione barometrica corretta per la pressione parziale dell’acqua a saturazione. Poiché abbiamo detto che i gas presenti nelle vie aeree sono principalmente tre (O2, CO2 e N), e tenendo in considerazione che la pressione parziale di un gas è dipendente dalla pressione barometrica, dalla pressione del vapor acqueo a saturazione e dalla frazione del gas stesso, andiamo a vedere quali sono le frazioni dei gas e le pressioni parziali dei gas in tutti gli ambienti che ci interessano per ragionare in termini di sistema respiratorio. 1

Apparato Respiratorio e Spirometria

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Figura 1

Insieme agli altri gas presenti nell’aria dobbiamo considerare la presenza dell’acqua (come sappiamo può essere presente in natura in varie forme – solida, liquida, gassosa). L’immagine cosa vuole spiegare? Se vi è una fase liquida di acqua, alcune molecole (nere) tendono ad andare a saturare l’ambiente aereo (nel caso in cui vi siano poche molecole d’acqua e l’aria si dice secca); esiste quindi un gradiente di concentrazione che spinge le molecole d’acqua dalla sua condizione liquida verso l’ambiente “aria”. Fintanto che esisterà questo gradiente l’acqua continuerà a passare dalla superficie liquida allo stato gassoso; quando però la concentrazione delle molecole di vapor acqueo nell’aria è arrivata a saturazione ci sarà un ugual flusso di molecole d’acqua che tendono a passare dallo stato liquido allo stato gassoso un ugual numero che tenderà a ritornare dallo stato gassoso allo stato liquido. Si assiste quindi ad una condizione di equilibrio tra lo stato gassoso e quello liquido. È questa la condizione in cui si ha la saturazione del vapor acqueo nell’aria. All’equilibrio la concentrazione del gas (in questo caso la concentrazione dell’acqua) sarà uguale al prodotto del coefficiente di solubilità del gas e delle pressione che il gas raggiunge in questo ambiente nelle condizione di equilibrio. Questa legge prende il nome di legge di Henry.

Vale sia per le molecole d’acqua che raggiungono l’equilibrio con le altre molecole di gas nell’aria sia per le molecole di un gas che si trovano ad essere disciolte in un liquido (per esempio: quando parleremo di O2 CO2 e N presenti anche nei fluidi ritroveremo questa equazione di Henry).La pressione del gas a sua volta è correlata alla pressione totale grazie alle frazioni (immagine lezione precedente).Dall’immagine possiamo osservare un’altra importante relazione:in funzione della temperatura dell’aria si ottiene una pressione di saturazione del vapor acqueo diversa (per esempio: a 37 °C al 100 % di umidità relativa la pressione parziale del vapor acqueo è circa 47 mm Hg). Perché andiamo a considerare 37 C° anziché 21 °C? Poiché la temperatura corporea è di 37 °C; quando l’aria entra nelle vie aeree è presente sottoforma di aria satura di vapor acqueo. È questo un elemento molto importante; perché? Perché se l’aria fosse “non satura” determinerebbe l’evaporazione dell’acqua delle superfici corporee di scambio. Ciò condurrebbe ad una disidratazione delle superfici con conseguente perdita delle funzioni. Quindi, tutte le volte che parliamo di gas nelle vie aeree dobbiamo ricordare che non basta parlare di O2 CO2 N, ma dobbiamo aggiungere anche l’acqua.Quindi la pressione parziale di un gas nelle vie aeree sarà data dalla frazione del gas per la pressione barometrica corretta per la pressione parziale dell’acqua a saturazione.Poiché abbiamo detto che i gas presenti nelle vie aeree sono principalmente tre (O2, CO2 e N), e tenendo in considerazione che la pressione parziale di un gas è dipendente dalla pressione barometrica, dalla pressione del vapor acqueo a saturazione e dalla frazione del gas stesso, andiamo a vedere quali sono le frazioni dei gas e le pressioni parziali dei gas in tutti gli ambienti che ci interessano per ragionare in termini di sistema respiratorio.

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Incominciamo con l’ambiente:ci basta sapere quali sono le frazione parziali dei gas nell’ambiente e poi moltiplicare la frazione per la pressione barometrica (che correggeremo o no a seconda che nell’ambiente vi sia vapor d’acqua oppure no).Esempio: consideriamo per semplicità l’ambiente secco: il 79 % è N, 20.93 % O2, la CO2 è circa 0. Quale sarà la pressione parziale dei gas nell’ambiente? Siccome la pressione parziale dell’acqua nell’ambiente è considerata 0, per avere la pressione parziale del gas nell’ambiente dovrò moltiplicare la pressione barometrica (760 mm Hg) per la sua frazione; 0.79 X 760mm Hg = 601 mm Hg (pressione parziale dell’N).Considerazione:che differenza c’è fra l’aria dell’ambiente e quella che si inspira? in termini di frazione non vi è alcuna differenza, ma se notiamo la tabella in figura osserviamo che mentre la frazione rimane uguale cambia la pressione parziale. Perché? Poiché l’aria inspirata, appena introdotta nelle vie aeree, si umidifica e si riscalda immediatamente; essendo umidificata dobbiamo tener conto che oltre alle varie frazioni contiene anche vapor acqueo a saturazione. Quindi la pressione totale per la quale dovremmo moltiplicare la frazione per avere la pressione effettiva non è 760 mm Hg, ma è 760 mm Hg – 47. Notiamo quindi che la pressione parziale dei gas è diversa pur essendo uguale la frazione.Ciò che a noi ora interessa è vedere quanta è l’aria alveolare. La lezione precedente abbiamo visto quest’immagine:

L’aria che entra in un volume che prende il nome di “volume corrente” scende lungo le vie di conduzione fino all’alveolo. Una parte dell’aria che è entrata si ferma nelle vie di conduzione (dilatandole) e si mescola con l’aria che è già presente (le vie respiratorie contengono sempre aria). Quindi l’aria che entra non va tutta e direttamente nell’alveolo, ma si rimescola con l’aria gia contenuta nello spazio morto. L’aria contenuta nello spazio morto, a sua volta, risulta essere una specie di miscuglio tra l’aria che entra e quella che dopo essere passata dall’alveolo viene espulsa. Cosa succede? Via via che si passa dalle vie superiori verso l’alveolo il rimescolamento dell’aria fa si che transitando nelle vie aeree superiori diminuisca progressivamente la concentrazione (la frazione) dell’ossigeno, mentre tende ad aumentare progressivamente la concentrazione (la frazione) dell’anidride carbonica; nell’alveolo cosa succede? L’alveolo è la sede dell’assorbimento dell’ossigeno da parte del sangue, arrivato a livello dei capillari alveolari, ed è il punto dove viene immessa la CO2 nell’alveolo; tornando alla tabella analizzata precedentemente notiamo che nell’alveolo si ha la minor concentrazione, e quindi frazione, dell’ossigeno perché è proprio lì che l’ossigeno viene estratto dall’aria contenuta nell’alveolo e invece la maggior concentrazione, e quindi frazione di C02; tutta l’anidride carbonica che troviamo nell’aria contenuta nelle vie aeree viene solo ed esclusivamente dall’alveolo. Ciò sarà utile quando dovremo cercare di misurare in maniera precisa il volume dello spazio morto e il volume dell’aria alveolare.

Nell’aria alveolare le frazioni sono cambiate; incominciamo con l’ossigeno: abbiamo già detto che l’ossigeno viene assorbito a livello alveolare; è questo

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il punto in cui è minima la frazione dell’ossigeno (0.14); la concentrazione dell’ossigeno e circa del 14 % in condizioni normali ovviamente. La CO2 ha una concentrazione alveolare di circa il 6 % e quindi una frazione di 0.06; quindi diminuisce la frazione dell’ossigeno rispetto all’aria inspirata. Aumenta la frazione di CO2 rispetto all’aria inspirata. L’azoto cambia ma di molto poco (parleremo dell’azoto in seguito). Tutti e tre i gas giungono in corrispondenza dell’alveolo, e tutti e tre passano nel sangue. Anche l’azoto passa nel sangue: perché non se ne parla mai dell’azoto nel sangue? Perché l’azoto è un gas inerte: esso infatti non ha alcun utilizzo dal punto di vista metabolico. È importante però sapere che esiste l’azoto sia nelle vie aeree che nel sangue perché esistono alcune condizioni (immersione, per esempio) in cui ricopre notevole importanza.Una volta effettuati gli scambi l’area alveolare ha perso una parte dell’ossigeno che conteneva e si è caricata di CO2. a questo punto l’aria deve essere espirata. Tutto ciò nei mammiferi è fondamentale per il giusto funzionamento della respirazione. È il sistema che permette di risciacquare l’alveolo; risciacquare l’alveolo significa garantire che ad ogni atto respiratorio l’aria alveolare (salvo piccole modificazioni che vedremo poi) rimanga con un contenuto di O2/CO2 che permetta di garantire gli scambi. Se la CO2 aumentasse troppo (15-20 %), indurrebbe una diminuzione dell’espulsione di anidride carbonica con conseguente aumento dell’anidride carbonica nel sangue (ipercapnia); tutto ciò rappresenta la stimolo più importante in assoluto per la modulazione dell’attività respiratoria.Quindi la modulazione della respirazione è fatta in modo tale da garantire che le pressioni parziali di ossigeno e anidride carbonica rimangano costanti a livello alveolare. Tutto questo perché queste sono le pressioni che garantiscono il miglior scambio dei gas. L’aria viene quindi espirata; che contenuto di O2 e CO2 avrà l’aria espirata? L’aria espirata passa dall’alveolo, risale nello spazio morto per poi essere buttata fuori. Nello spazio morto l’aria che arriva dagli alveoli si mescola con l’aria già presente nello spazio morto. Quest’ultima è più ricca di ossigeno e più povera di anidride carbonica rispetto all’aria che c’è nell’alveolo. Quindi, risalendo nelle vie aeree di conduzione, mescolandosi con l’aria contenuta nello spazio morto, l’aria si arricchisce di ossigeno e diminuisce la frazione di CO2. Questo non succede perché nella trachea o nelle vie aeree di conduzione venga “secreto ossigeno”. ASSOLUTAMENTE! È semplicemente un fenomeno di rimescolamento. La CO2 che viene espulsa è sempre quella che viene prodotta a livello alveolare. Cambiano le frazioni di O2 e CO2 nell’aria espirata rispetto a quella alveolare perché l’aria viene rimescolata con l’aria

contenuta nello spazio morto. Quindi possiamo notare che la frazione di O2

che era di 0.14 nell’alveolo risale (0.16) nell’aria espirata, mentre la frazione di CO2 che era 0.06 diminuisce mescolandosi con l’aria dello spazio morto (0.04).

SPIROMETRIAParliamo ora della spirometria e di tutti i concetti ad essa correlati. La spirometria rappresenta la misura dei volumi polmonari statici; spieghiamo meglio: il volume di aria contenuto nel polmone può essere compartimentalizzato, perché il polmone inserito nella gabbia toracica è come un palloncino (struttura elastica) contenuto in un’altra struttura elastica (gabbia toracica). Anche se il tipo di risposta meccanica del polmone e delle gabbia toracica è molto diverso, abbiamo due strutture elastiche contenute l’una nell’altra. Ciò fa si che una parte dell’aria contenuta nel polmone non possa essere completamente espulsa quando il sistema respiratorio è intatto (aspetto molto importante della meccanica respiratoria). Abbiamo quindi dell’aria che può essere introdotta, andare ad espandere le vie aeree per poi essere espulsa. Un altro volume di aria che non può essere espulso pur rimanendo nelle vie aeree. È questa una situazione complessa che ha dei risvolti sia dal punto di vista fisiologico che dal punto di vista patologico. È quindi importante andare a misurare questi volumi. La variazione di questi volumi polmonari statici è indice di patologia (sindrome ostruttiva delle vie aeree – asma – fibrosi tessuto polmonare).Lo strumento che si utilizza per andare a misurare i volumi polmonari statici è lo spirometro (vedi immagine).

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Lo spirometro è costituito da un cilindro, caratterizzato da un’intercapedine (il rosa più scuro rappresenta l’acqua); sopra a questo cilindro viene posizionata una campana (cilindro rovesciato), metallico, sostenuto da un filo metallico legato ad un contrappeso. Il contrappeso evita che il cilindro cada. Sotto è presente aria. Il paziente tapperà il naso affinché le manovre utilizzate per determinare i volumi polmonari statici non risentano della perdita di aria. Il paziente soffierà all’interno di un boccaglio, collegandosi in questo modo al gruppo valvolare. Il gruppo valvolare è una struttura di plastica trasparente in cui c’è una cameretta centrale, che prende il nome di spazio morto aggiunto, alla quale arrivano due tubi; i due tubi sono collegati a due tubi corrugati. Torniamo al gruppo valvolare: dal gruppo valvolare si dipartono due tubi: uno è il tubo inspiratorio che proviene da sotto la campana (il disegno non è del tutto esatto); quando il soggetto inspira pesca l’aria dallo spirometro. Il tubo, in corrispondenza del gruppo valvolare è dotato di una membrana valvolare, affinché il soggetto inspirando crei nel gruppo valvolare una pressione negativa; la pressione negativa fa aprire la valvola, e l’aria passa dallo spirometro nel gruppo valvolare e quindi nel soggetto. Contemporaneamente all’imbocco del secondo tubo, il tubo espiratorio, vi è un’altra valvola unidirezionale che si apre solo nel senso del tubo espiratorio. Quando il soggetto inspira si apre la valvola inspiratoria e si chiude la valvola espiratoria.Il soggetto quindi inspira. Cosa succede? Il volume dell’aria contenuta all’interno della campana diminuisce; se il volume diminuisce la campana scende un pochino, il pennino si muoverà di conseguenza. A seconda del fatto che il soggetto stia inspirando o espirando il pennino descriverà un tracciato (tracciato spirometrico o spirogramma) che scorre su di un chimografo.Quando il soggetto espira si provoca un aumento di volume ed un aumento della pressione nel gruppo valvolare, si apre la valvola espiratoria, mentre si chiude quella inspiratoria e l’aria viene convogliata al tubo per tornare allo spirometro. Attenzione: l’aria che il soggetto ha buttato fuori non è uguale a quella che il soggetto ha tirato dentro in precedenza. Prima ha inspirato ossigeno e azoto, ora espira ossigeno non assorbito, azoto non assorbito proveniente dall’azoto inspirato o dallo spazio morto e l’anidride carbonica. Se il soggetto continua ad espirare e a buttare l’aria espirata nella campana, cosa succede? Siccome lo spirometro è a circuito chiuso (non dispone di nessuna apertura – non c’è nessuno scambio di aria con l’esterno) il soggetto continua ad espirare aria contenente CO2; durante il secondo atto respiratorio quindi il soggetto rischierà di inspirare non solo ossigeno e

azoto, ma anche anidride carbonica. È questa un’evenienza che dobbiamo evitare.Dobbiamo quindi provvedere a togliere questo eccesso di Co2, come? Mettendo sulla vie espiratoria un tubo che contiene “granellini blu” di calce sodata (inizialmente bianchi, ma quando si saturano di anidride carbonica diventano blu); vedi immagine “assorbitore di CO2”. In questo modo che ripassa allo spirometro contiene nuovamente ossigeno e azoto. Via via che il soggetto continua a respirare in questo tipo di circuito chiuso ovviamente continua ad assorbire ossigeno, quindi il volume complessivo della campana tenderà a diminuire. L’acqua presente in figura ha tre scopi: primo, il fatto di galleggiare sull’acqua consente alla campana di muoversi molto facilmente per seguire le variazioni di volume del sistema respiratorio; secondo, smorza gli attriti; terzo, consente alla campana di contenere al suo interno i gas. Se non vi fosse l’acqua e il cilindro appoggiasse sul pavimento dell’involucro, come faremmo a farla alzare in base al movimento dei gas? Sarebbe impossibile. L’acqua facilita e permette tutto ciò.Abbiamo detto prima che via via che l’ossigeno viene assorbito il volume della campana diminuisce.Nell’immagine seguente possiamo osservare un tracciato spirometrico:

Il volume che notiamo in figura è il volume di fine espirazione (valore minore assunto dal grafico ad ogni atto respiratorio), mentre ogni picco

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rappresenta il volume di fine inspirazione. Sono questi due parametri che possono variare in molte condizioni. Il volume corrente (di cui abbiamo gia trattato) è dato dalla differenza fra il volume di fine espirazione e il volume di inspirazione. In questo tracciato il volume corrente è rappresentato dall’altezza del triangolo. Il grafico in mezzo non è altro che un ciclo respiratorio. Abbiamo eliminato lo slivellamento (di cui fra poco tratteremo). La differenza tra il volume di fine espirazione e il volume di fine inspirazione e il volume corrente (Vt). τ è il periodo, cioè il tempo intercorso tra l’inizio di un ciclo respiratorio e la fine. La frequenza è il reciproco del periodo.Come in altre occasioni possiamo notare che il tracciato non è del tutto simmetrico. La fase inspiratoria è sempre più breve di quella espiratoria. Questo perché la fase inspiratoria coinvolge sempre i muscoli inspiratori in maniera attiva; non esiste inspirazione passiva (esiste solo un caso, il caso in cui un paziente risulta ventilato meccanicamente con un ventilatore). La fase espiratoria, che impiega un tempo TE, è una fase più lenta, è sempre passiva nella respirazione normale, può essere anche attiva nella espirazione forzata. La somma di TI + TE è il periodo; TI è circa 1/3 di TE (è variabile!).Torniamo allo spirogramma per parlare del significato dello livellamento: via via che il soggetto continua a respirare, continua ad aspirare ossigeno, in parte lo assorbe, in parte lo ributterà nello spirometro. Ciò che succede è che il soggetto inspira un volume di aria che contiene ossigeno e azoto, espira aria che contiene meno ossigeno, la stessa quantità di azoto e CO2;

definiamo prima il quoziente respiratorio: rappresenta il rapporto tra il volume (o flusso) di CO2 prodotto e il volume (o flusso) di ossigeno consumato. Dalla biochimica ricordiamo che i substrati che consumiamo possono essere differenti: protidi, glucidi o lipidi. Per esempio:consideriamo una molecola di glucosio (1 mol = 180 gr)

C6H12O6 + 6O2 6H2O + 6CO2 + energiaCosa ci dice l’equazione? Se disponiamo di una bomba calorimetrica (dispositivo che analizzeremo più avanti), notiamo che per ridurre ad acqua una mole di glucosio abbiamo bisogno di 6 moli di ossigeno producendo 6 moli di anidride carbonica. Il caso che si osserva nella glicolisi anaerobia (citoplasmatica) denota che il quoziente respiratorio (riferendoci ai volumi) sarà: volume di CO2 prodotto / volume di ossigeno utilizzato dalla combustione; il volume di CO2 equivale a 6 moli, il volume di O2 a 6 moli, quindi il quoziente respiratorio è uguale a 1. la combustione nella bomba calorimetrica non è altro che la respirazione interna (in termini biologici); i substrati vengono utilizzati dalle cellule (citoplasma o mitocondrio); quindi la bomba calorimetrica organica è la cellula. L’ossigeno che la cellula utilizza e

la CO2 che la cellula produce vengono scambiati a livello respiratorio. L’ossigeno totale consumato è l’ossigeno che inspiriamo dalla campana dello spirometro, la CO2 dal tessuto andrà nel plasma, giungerà a livello alveolare e poi nel tubo respiratorio dello spirometro. Il quoziente respiratorio (passiamo ai flussi) è: (essendo il flusso volume / tempo (divido per i tempi)) V CO2 / V O2. è uguale a 1 nel caso in cui ossigeno consumato e anidride carbonica prodotta siano serviti nel metabolismo anaerobico lattacido. Vuol dire che stiamo utilizzando dei glucidi. Ma non sempre utilizziamo dei glucidi. La maggioranza del metabolismo si basa, soprattutto a riposo, sul metabolismo aerobico. In parte esso utilizza qualche substrato proveniente dal ciclo degli acidi tricarbossilici, ma la maggior parte si basa sul metabolismo di derivazione lipidica. Se applichiamo lo stesso procedimento visto prima ad un acido grasso (per esempio), troveremo che il bilancio tra ossigeno consumato e anidride carbonica prodotta è inferiore a 1 (combustione biologica dei lipidi QR = 0.7). Il flusso di anidride carbonica sarà inferiore (0.7 volte V O2). Nel caso in cui un soggetto stesse mantenendo il proprio metabolismo utilizzando i lipidi, l’anidride carbonica prodotta sarà inferiore rispetto all’ossigeno consumato. Anche i protidi possono far parte del metabolismo però non rappresentano una base energetica, essi vengono consumati come “mattonelle” di ricambio.Generalmente il QR varia tra 0.7 e 1, questo perché, a seconda di quello che stiamo facendo e del lavoro che stiamo compiendo, può darsi che interessi un metabolismo che esprime un maggior apporto energetico (glucidi) oppure che esprima un apporto energetico a minor potenza ma che si può mantenere più a lungo.Il QR viene definito quoziente respiratorio non metabolico (2-3) nel caso in cui il soggetto che sta compiendo un’attività fisica intensa (utilizza via gli colitica anaerobica lattacida – acido lattico in circolo, ma Ph sangue deve rimanere sempre intorno a 7.4, per questo esistono sistemi tampone che vedremo in seguito) si trovi in una condizione di acidosi metabolica tamponata da un aumento della ventilazione. L’aumento della ventilazione va ben al di là dal consumo di ossigeno. L’aumento della ventilazione serve sia a garantire l’apporto di ossigeno richiesto, sia per eliminare la CO2

prodotta a livello alveolare. Viene eliminata molta più anidride carbonica di quella prevista sulla base del metabolismo cellulare. Essa viene eliminata sia perché è stata prodotta dal metabolismo, sia perché viene eliminata dall’alveolo al fine di mantenere più stabile possibile il Ph. Visto che viene eliminata una quota maggiore di anidride carbonica, il rapporto fra la CO2

eliminata e l’O2 consumato aumenta e va sopra a 1. tutto questo non

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avviene perché esistono delle sostanze che hanno un quoziente metabolico superiore a 1.Torniamo al grafico: il soggetto inspira ossigeno e azoto; quando espira elimina anidride carbonica, ossigeno non consumato e azoto. L’anidride carbonica espirata viene trattenuta dall’assorbitore di CO2. In pratica, nella campana rientra l’azoto e l’ossigeno non assorbito. Ciò che manca (in termine di volumi) è l’ossigeno assorbito. Lo slivellamento del volume di fine espirazione è da attribuire all’ossigeno che è stato estratto dalla campana. La pendenza della linea che unisce tutti i volumi di fine espirazione (sarebbe più corretto dire la pendenza media del tracciato) è data dal rapporto tra la variazione di ossigeno e estratto e l’intervallo di tempo considerato. Attraverso il tracciato spirometrico a circuito chiuso uno dei parametri che si possono misurare è il consumo di ossigeno. Importante notare un’altra cosa: possiamo notare che il volume inspirato è maggiore del volume espirato. Vale sempre se il QR è diverso da 1. Vedremo che più volte sarà necessario misurare il volume inspiratorio e il volume espiratorio; il volume espiratorio è semplice da misurare, mentre risulta più difficile misurare in maniera reale il volume inspiratorio. Non possiamo affermare che il volume inspiratorio è uguale al volume espiratorio; non è mai così, tranne in un caso: quando il QR è uguale a 1. Perché? Il volume inspirato è uguale al volume di O2 + il volume di N2. Il volume espirato conterrà uno piccola quota di ossigeno + l’N2 + anidride carbonica. Il volume di azoto inspirato è uguale al volume di azoto espirato; il volume di anidride carbonica espirato, se il quoziente respiratorio è inferiore a 1, è sempre minore al volume di anidride carbonica inspirata. Quindi la somma del volume di ossigeno espirato (non assorbito) + il volume di anidride carbonica espirata sarà inferiore al volume di ossigeno espirato. Quindi il volume inspirato è maggiore di quello espirato. Ciò si verifica sempre tranne che in due casi: se il quoziente respiratorio è uguale a 1 o se il quoziente respiratorio è maggiore di 1 (caso raro ed estremo – il quoziente non può essere considerato quoziente respiratorio metabolico).Lo spirometro può essere utilizzato anche senza assorbitore di CO2 ma ci da informazioni differenti. Lo spirometro a circuito chiuso utilizzato con assorbitore di CO2 ci fornisce parametri riguardanti i volumi polmonari statici (vedi dopo). In alcuni casi può risultare indicativo utilizzare lo spirometro a circuito chiuso senza l’assorbitore di anidride carbonica (solo per periodi molto brevi). Senza assorbitore l’anidride carbonica giunge sotto alla campana.

Descriviamo il tracciato centrale: se il QR è uguale a 1 il volume di ossigeno è uguale al volume di CO2 prodotto. Quindi otteniamo un tracciato orizzontale (pendenza uguale a 0). In un caso normale (QR < 1) il volume di aria inspirato è superiore al volume di aria espirato. La CO2 che espiro è meno dell’ossigeno che ho prelevato. Quindi anche senza assorbitore di CO2 il diagramma livella verso l’alto. Il primo tracciato può trarre in inganno perché dice che: sia che utilizzo l’assorbitore sia che non lo utilizzo, il tracciato livella sempre verso l’alto. È vero, ma attenzione: il significato della pendenza è diverso. Senza assorbitore il volume espirato contiene anche l’anidride carbonica. In questo caso quindi la pendenza non indica il consumo di ossigeno. La pendenza questa volta è inferiore rispetto a prima, perché abbiamo anche una componente di CO2. Siccome l’anidride carbonica prodotta è inferiore all’ossigeno consumato non riusciamo ad ottenere un tracciato orizzontale, ma ci si avvicina.Ultimo caso: QR non metabolico in cui, oltre alla CO2 prodotta per il metabolismo prescelto ne viene eliminata in eccesso, si verifica tamponamento del Ph. Un tracciato del genere si può trovare con uno spirometro a circuito chiuso, vuol dire che vi è un errore nella manovra che il soggetto sta svolgendo (sforzo espiratorio).

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Il tracciato che si ottiene con lo spirometro a circuito chiuso ci consente di suddividere i volumi contenuti nel sistema respiratorio in alcuni volumi che hanno un significato funzionale importante. Il tracciato che si ottiene durante una serie di manovre respiratorie. Il soggetto risulterà attaccato allo spirometro ed esso inizierà a respirare (con tappanaso); nell’immagine è stato abolito lo slivellamento (per comodità).Dopo aver fatto respirare il soggetto normalmente si chiede di compire una inspirazione / espirazione forzata. Esso dovrà inspirare ed espirare al massimo.

VC = volume corrente;VRI = volume di riserva inspiratoria (volume d’aria a cui si attinge durante l’inspirazione quando si cambia il volume corrente);CVF (CV è meglio) = capacità vitale;VR = volume residuo ( rappresenta il volume di aria imprigionato nelle vie aeree alla fine di una espirazione forzata – circa 1.6 litri);VRE = volume di riserva espiratoria;CI = capacità inspiratoria (indica tutto il volume di aria, compreso il volume di aria, che possiamo inspirare, a partire dal volume di fine espirazione durante la fase espiratoria);

sono le caratteristiche meccaniche del polmone e della gabbia toracica a rivelare quale sia il volume di aria che può essere contenuto nel polmone alla fine di una espirazione normale.

CFR = capacità funzionale residua (volume d’aria contenuto nelle vie aeree alla fine di una espirazione normale);

Possiamo sommare fra loro i volumi, per esempio il VRE + VR = CFR;La capacità vitale (CV) è data dalla somma di tre componenti: VRI + VC + VRE; la capacità vitale + il volume residuo danno la capacità polmonare totale (CPT); il suo volume è di circa 6 litri. La CV e la CPT variano molto da soggetto a soggetto (altezza, età, sesso). Nell’ambito dello stesso soggetto la CV diminuisce progressivamente con l’età. La manovra di capacità vitale forzata ha una pendenza che viene valutata nei tracciati spirometrici; la pendenza è un flusso. Esistono dei casi in cui (patologie) esiste una progressiva sclerizzazione delle vie aeree (perdono elasticità – perdono recoil elastico = capacità del polmone di collassare); la pendenza quindi non risulterà normale (espirano più lentamente) ed inoltre non espirano completamente l’aria (sindrome ostruttiva). È per questo che questo tipo di tracciato può essere usato anche in clinica.

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Un problema molto importante risulta essere la misurazione del VR (non può essere misurato con uno spirometro del tipo visto fino ad ora). Senza volume residuo non possiamo calcolare né la capacità funzionale residua, né la capacità polmonare totale. Si impone la necessità di calcolare il VR. Come? Prendiamo uno spirometro come nelle figure precedenti ma con elio all’interno della campana. L’elio è un gas inerte non tossico. Una quantità nota di elio viene messa nella campana. La quantità è uguale alla concentrazione per il volume. Quindi la concentrazione è quella dell’elio nell’aria sotto alla campana e nei tubi dello spirometro all’istante 0. il volume è quello dello spirometro. Il volume dello spirometro è conosciuto (comunicato dal venditore). Nel soggetto non è contenuto l’elio. Al soggetto si deve chiedere di avere la precauzione di incominciare ad inspirare dal boccaglio quando il volume nelle vie aeree è quello di fine espirazione. V2

corrisponde alla capacità funzionale residua, cioè al volume di fine espirazione del soggetto. Il paziente può incominciare a respirare normalmente; nell’arco di 2-3 minuti l’elio va a riempire anche le vie aeree del soggetto. Ora posso misurare la concentrazione (C2) del gas prelevando un po’ d’aria dallo spirometro. Sappiamo che l’aria è ben diffusa fra lo spirometro e il soggetto, quindi la quantità totale (che è sempre quella) di elio sarà distribuita su di un volume maggiore. Il volume “nuovo” sarà V1 + V2 e la concentrazione “nuova” si può misurare dallo spirometro. Potremo risolvere l’espressione in figura e ottenere V2 (capacità funzionale residua). In questo modo, avendo a disposizione il tracciato spirometrico completo possiamo calcolare il VC.L’elio ha densità minore rispetto all’aria; esso quindi crea modificazioni nelle onde sonore emesse.

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