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1 Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
Viale Pasubio 5, Milano | www.fondazionefeltrinelli.it
Approfondimenti | kit didattico Cos’è l’Europa Materiale: Anthropometric. Come misurare la parola uomo (Scheda PDF)
I kit didattici sulla cittadinanza europea riflettono l’idea che l’Europa, così come l’esercizio della cittadinanza sul suo territorio, non siano qualcosa di “dato” bensì un terreno in continua evoluzione che va costruito – esattamente come i suoi confini – attraverso le pratiche e la partecipazione dal basso delle persone, cittadini consapevoli, critici e attivi.
In questo senso Fondazione Giangiacomo Feltrinelli ha promosso un percorso di formazione teatrale di un gruppo di giovani cittadini europei – Rom e non – che insieme all’associazione UPRE Roma, il regista Alberto Cavalleri e l’assistente Azzurra Spirito, in collaborazione con l’associazione Il Razzismo è una brutta storia, si sono incontrati per oltre un anno e hanno lavorato alla creazione di una visione dal basso del significato delle parole diritti umani, dignità ed Europa. Ne è uscito lo spettacolo teatrale Anthropometric. Come misurare la parola uomo, che è andato in scena all’Auditorium San Fedele a Milano il 10 dicembre 2015 in occasione della Giornata Mondiale dei Diritti Umani, e costituisce un interessante materiale d’approfondimento ai fini didattici. Inoltre lo spettacolo può essere ospitato su richiesta dalle scuole.
Settimana dopo settimana Mohamed Kamal Ahmed, Rebecca Covaciu, Toni Deragna, Andrea Djordjevic, Martina Djordjevic, Daniel Iancu, Caterina Scalfi, Silvester Selimovic, Darius Stoican e Fedra Tabbò si sono trovati al Teatro Trebbo di Milano. Attraverso attività laboratoriali e tramite il training teatrale hanno elaborato il racconto delle loro esperienze e competenze di cittadini europei: il viaggio, le origini e le identità multiple, i diritti di cittadinanza e la disuguaglianza, la vita nelle grandi città e il bisogno di essere riconosciuti, la necessità dell’arte e della trasformazione per la sopravvivenza.
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Le prove raccontate dal regista Alberto Cavalleri
“Capita sempre più spesso. Alzi gli occhi e qualcuno è lì che osserva il lavoro. Non sai neanche come sia
arrivato, cosa l'abbia spinto a salire le scale e a entrare nella sala prove. Ma dalla sua concentrazione
capisci che è lì già da un po'. Un perfetto sconosciuto, o qualcuno che già conosce i ragazzi. Molti
sanno che stiamo provando Anthropometric, e chiedono di poter assistere alle prove. La reazione
quasi sempre è identica. Eclatante quella del gruppo di attori down con cui stiamo avviando una
collaborazione. Quando abbiamo mostrano loro una prova aperta l'entusiasmo era grande, e a un
tratto il più spudorato tra i performer ha esclamato:"Siete belli!" La sua voce era piena di stupore:
nessuno gli aveva mai detto che i Rom potessero essere belli, e scoprirlo così lo sconvolgeva. A volte
mi sorprendo anch'io a osservare Martina, Andrea, Rebecca, Darius, Toni, Tyzon, Daniel uno dopo
l'altro, cercando in uno sguardo unico di scoprire cosa li accomuna. La prima volta che sono arrivata in
sala ho chiesto a Toni di raccontarmi cosa distinguesse un rom da un gagé (n.d.r. persona non
appartenente alla cultura romanes). Con non poco imbarazzo lui ha cercato le parole, poi finalmente
ha detto: "Vedi, se un gagè si trova in un bosco non sopravvive. Un rom sì. I rom hanno il wandertrieb
(n.d.r. il gene del nomadismo che per i nazisti distingueva gli zingari dagli altri ariani)."
Eppure molti di loro sono nati in Italia, e i viaggi più lunghi che hanno fatto sono stati quelli da un
campo a un altro. Stare accanto a loro è come camminare in un bosco, di notte. Sai che quello che
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conoscevi potrà assumere una forma diversa: la tua città, le tue abitudini, il tuo modo di ricevere il
mondo. I primi incontri sono stati molto faticosi. Era difficile capire se semplicemente non si fidassero,
o se ritenessero che le loro storie non avevano importanza per altri. Scoprire assieme cosa si poteva
fare in sala che fuori non era concesso, e come fare perché potesse accadere. Molti avevano in mente
il cinema, e la lentezza dei processi teatrali li infastidiva. Avevamo scelto dei temi da esplorare
assieme: abitare la città, essere rom, viaggiare, ereditare tradizioni.
Il percorso si è arricchito anche dalla ricerca sulla cittadinanza europea portata avanti dalla Fondazione
Giangiacomo Feltrinelli con l'associazione Il Razzismo è una brutta storia orientata a fare sì che le
esperienze di questo gruppo teatrale diventino l’occasione per una riflessione condivisa e partecipata
sul senso di cittadinanza europea.
Abbiamo iniziato a scrivere le loro storie, partendo dalle suggestioni che ci offrivano nella strada dal
portone alla metropolitana, ma le sentivano troppo vicine. Bruciavano. L'unico che sentiva urgenza di
raccontare la propria storia era Kamal, un ragazzo egiziano che a diciotto anni ha deciso di esplorare il
mondo: l'Italia era la prima tappa che i soldi messi da parte, facendo il contadino, gli permettevano. Si
ritrova così a essere straniero tra gli stranieri, ma l'amicizia con Andrea e Martina assomiglia troppo a
una casa per non continuare a venire alle prove. Ogni mercoledì, usciti dalla sala racconta del suo
viaggio in mare, della fatica dell'arrivo, di come sia difficile trovare lavoro. Nel frattempo le storie
vengono condivise, i compagni si fanno carico del racconto. Ogni storia viene interpretata come da un
coro greco: il testo non è diviso in frasi affidate ai singoli, ognuno può entrare quando sente che è
giusto. Non è più ciò che è accaduto a uno di loro: è la storia di tutti.
L'arrivo delle luci sul palco è accolto come una vera magia. Tutto all'improvviso ha un sapore diverso.
Le storie che ci raccontano cambiano sempre un po', procedono per disvelamento. Come un enigma
proviamo a comporle in modo sempre diverso: ogni storia, accostata a un'altra, la illumina in modo
nuovo. Ci accorgiamo, nel compiere questo gioco, che tutte raccontano la stessa cosa: la vicinanza, la
distanza, la separazione. Una distanza misurabile che parla di noi parlando dell'altro, un cogliersi
attraverso una nuova geografia emotiva fatta di misure, una metrica della distanza dell'altro che coglie
i vuoti facendone poesia. Poi un giorno arriva Loris (n.d.r Panzeri, coordinatore del progetto teatrale
assieme a Dijana Pavlovic) con una nota sulle misure antropometriche. Nasce così il titolo,
Anthropometric. Gioco su quelle misure che vorrebbero catturare l'anima e che invece riducono tutto
a numeri buoni solo per la retorica, favorevole o contraria. Invece Rom vuol dire solo uomo, senza
altre definizioni. E come misurare la parola uomo?”
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LE SCENE
Freddo
con Rebecca e Darius
REBECCA: Rua Campos Sales, Camino de las Torres, Passage Cost, Forststraße, Via del Sole, Via
Paolo Reti, Via Fontanelle, Via Abbondanza, Via dei Gerani. In quanti luoghi ho
abitato la mia carta d’identità non sa dirlo. Parla solo di Arad, in Romania dove sono
nata. Quando è arrivato per me il momento di andare a scuola sono partita. Per
imparare, la vita ha scelto per me aule più grandi. Eppure quando lasci una città, un
paese, un continente c’è sempre un motivo. Mio padre mi ha chiamata Rebecca.
Nella bibbia è la madre di due gemelli, che si combattono già nel ventre della
madre. Saranno i capostipite della cultura ebraica e di quella romana: due culture
gemelle, e un conflitto. La mia identità attuale non è nel nome che mio padre ha
scelto per me, né nelle carte che gli uomini vorranno darmi, è disegnata dal mio
respiro, e da tutto il dolore e la gioia, lotta e bellezza che i miei occhi sapranno
contenere.
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Questo documento è Rebecca Covaciu, 25/01/1996, Arad, Romania, Milano, studentessa, altezza
1.59, occhi castani, capelli castani.
DARIUS: Scusi signorina, non può portare quel violino qua dentro. Lo dia a me. Glielo ridò
quando se ne va.
REBECCA: Quando ero bambina gli inverni non erano così freddi. Ricordo varie cose: i fiori, le
voci della gente, il passaggio dei carretti. Ora tutto sa di vento, che soffia sulle
guance di mia sorella e gliele arrossa. Il vento non ha parole. Come le mani
screpolate di mia madre, che però raccontano lo stesso qualcosa. Sarebbe bello
ritornare a quei giorni. Ma i giorni vanno via, come le persone. Ti salutano e se ne
vanno. I colori dei quadri invece restano e mi tengono caldo. Mi fanno sentire a
casa. Vengo spesso qui, ad osservarli, anche per uscire dalla carrozza ferroviaria
dove stiamo. Queste forme, questi colori avvolgenti… Potessi li porterei sempre con
me, anzi, li porterei in quel vagone, fermo sulla ferrovia davanti alla stazione, senza
porte, dove abitiamo da novembre, accalcati uno all’altro come i conigli per farci
caldo. Fa troppo freddo lì dentro. Al mattino non vediamo l’ora di alzarci e di
scappare fuori, per sentire i raggi di un sole pallidissimo che non ci scalda mai. Ci
sono delle cose che nella vita sono consolazioni. Questo quadro e alcuni altri sono la
mia coperta, con cui resistere all’inverno. Potessi, mi farei scorrere questi colori
nelle vene. E non avrei più freddo. L’uomo sembra fatto solo per rubare, senza
capire i motivi. Bisognerebbe dimostrare che è ancora capace di sognare, se per una
volta non ruba il calore dalla rete elettrica ma lo prende dalla bellezza, per tenerlo
con sé. Per liberarsi dal freddo che ha dentro.
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Televendita
con Fedra e Caterina
- Solo per oggi, a 9 euro e 90, una campina! Che cos’è una campina? Ma è una roulotte!
Solo per oggi! Coi topi? Sì! E con una gonna sotto cui nascondi il bimbo ariano!
- Ma perché non telefonate? Signora? La campina! Vuole perdere questa occasione?
- Ma come si fa a pagare il mutuo trentennale? Mutuo quarantennale? Mutuo eterno!!
Per un po’ di cemento! Per un po’ di cemento in più!
- Una campina al chiaro di luna! Una campina col fuoco! Una campina che va a fuoco! Una
campina che va a fuoco!
- Mai!-
- Telefonate al 9-3-4-7-8-3-2-5-7-8. “Non perdete questa occasione!”-
- Tre topolini! Uno bianco, uno grigio, uno nero… E poi ci mettiamo anche…ci mettiamo
anche, ma sì, un violino tzigano! Che bello! Che bello! Romantico, romantico! La campina,
il violino tzigano, una fisarmonica, tre topolini e…una gonna portafigli! Per nascondere un
bambino ariano!
- Al posto di…al posto di...un mutuo!
- Dovete per forza telefonare! Te-le-fo-na-re!
7 Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
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- Pronto? /Si? / Sto chiamando per una campina / … / Una fisarmonica / Sì / Tre topolini /
Sì! / Non un mutuo vero? / No! / Allora la compero!
- Signora! Certe cose non si possono comprare! Non si possono comprare! Ma ne possiamo
parlare!!!
- Ma quelli là, che fanno tutto il giorno, quando potrebbero avere una campina, una
campina, tutta bruciata! Con tre topini, abbrustoliti gnam-gnam a 99 centesimi!
- Forse siete impegnati, col mutuo, trentennale, del vostro muro!
- Pronto? Sì, telefono per la campina. Sì, la campina coi bimbi malati! Sì, l’ho vista sul vostro
catalogo! Sì. Ah, non ci sono i bimbi malati? Ah capisco…che peccato: mi piacevano tanto i
bimbi malati, così teneri! Come? Vi è rimasta solo quella con un anziano malato? Caro: gli
è rimasta solo quella con l’anziano malato? La prendo lo stesso? Caro?
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Numeri con Tony, Andrea e Darius
UNO: 150
DUE: 75
TRE: 3
UNO: 150
DUE: 75
TRE: 3
UNO: Sono 150 metri quelli che ci separano dalla ferrovia. 150 metri fino ai binari.
DUE: 75 lamiere prese ovunque
TRE: 3 cancelli di metallo
9 Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
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UNO: Sono 154 le persone che abitano a 150 metri, quelli che ci separano dalla ferrovia. 150
metri fino ai binari
DUE: 75 lamiere prese ovunque, nel giro di 3 mesi e pochi giorni
TRE: 3 cancelli di metallo si chiudono spinti a mano da 3 persone. Ma sono sempre aperti
UNO: Sono 7 gli interventi della polizia per controllare le 154 persone che abitano a 150 metri,
quelli che ci separano dalla ferrovia. 150 metri fino ai binari
DUE: 8 famiglie si sono date da fare per recuperare 75 lamiere prese ovunque, nel giro di 3 mesi
e pochi giorni
TRE: Pesano 250 kg l’uno i 3 cancelli di metallo che si chiudono spinti a mano da 3 persone. Ma
sono sempre aperti
UNO: 32 volanti della polizia si sono fermate fuori dal campo nei 7 interventi della polizia per
controllare le 154 persone che abitano a 150 metri, quelli che ci separano dalla ferrovia,
150 metri fino ai binari
DUE: 9 le nazioni di provenienza delle 8 famiglie che si sono date da fare per recuperare 75
lamiere prese ovunque, nel giro di 3 mesi e pochi giorni.
TRE: 2 le ditte della città hanno lavorato per montare i 3 cancelli di metallo che pesano 250 kg
che si chiudono spinti a mano da 3 persone. Ma sono sempre aperti.
QUATTRO: 18 case di lamiera illuminate dalla luce
UNO: Sono state dedicate 1437 ore di lavoro dalle 32 volanti della polizia che si sono fermate
fuori dal campo nei 7 interventi della polizia per controllare le 154 persone che abitano a
150 metri, quelli che ci separano dalla ferrovia, 150 metri fino ai binari
DUE: Serbia, Croazia, Slovenia, Montenegro, Kosovo, Bosnia, Romania, Italia le 8 nazioni di
provenienza delle 8 famiglie che si sono date da fare per recuperare 75 lamiere prese
ovunque, nel giro di 3 mesi e pochi giorni
TRE: 14 gli italiani onesti delle 2 ditte che hanno lavorato per montare i 3 cancelli di metallo che
pesano 250 kg che si chiudono spinti a mano da 3 persone. Ma sono sempre aperti.
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QUATTRO: 348 i metri di cavi elettrici abusivi che collegano la centralina alle 18 case di lamiera
illuminate dalla luce.
Siamo nel 2015. L’anno dell’Expo di Milano.
Notte
con Darius e Caterina
DARIUS: La notte è infrangibile: puoi posarle sopra tutti i pesi che vuoi e lei non si rompe. È
come un vetro di cristallo, trasparente: c’è, ti guarda, ma non la vedi. Le parli e lei ti
ascolta. Sopporta i tuoi pensieri. “Come va, Notte? Vuoi che ti racconti qualcosa per
addormentarti?”. Non so se vuole dormire. Neanche io. Le strade sono vuote, le luci
dei lampioni disegnano sull’asfalto sagome imprevedibili. Un uomo in ritardo sul
mondo torna a casa, da solo, sul marciapiede. Un’auto passa ma non la vedo, è nella
strada vicina. “Notte, che facciamo? Siamo ancora qui io e te, come ci fossimo ritrovati
per caso a bere qualcosa insieme”. Ci guardiamo negli occhi, forse siamo due
innamorati; o siamo due persone che si sono incontrate per caso alla stazione dei treni,
e si guardano per un istante da lontano. Si conosceranno mai? Lui avrà il coraggio di
alzarsi e di andare da lei? E lei? Lei distoglierà lo sguardo? Se ne andrà per paura?
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Notte, aprirai la tua borsa per frugarci dentro e togliere qualcosa di saggio, di prezioso?
O anche stanotte te ne andrai via coi i tuoi segreti? Notte… Le ore passano. Resta
ancora un po’ con me. Ho sempre pensato che, vivendoti, avrei guadagnato ore sul
mondo: un po’ è come se la mia vita raddoppiasse. Sto strappando secondi e minuti
all’esistenza. Come se mi attaccassi al tuo vestito scuro, lo accarezzassi, gli strappassi
un bottone, uno alla volta. Mi restano tra le mani. (la Notte esce) Al mattino, quando il
sole riemerge, mi ritrovo tra le mani qualche bottone e lo fisso, come mi dovesse
parlare di me.
Previsioni con Andrea e Toni
Buongiorno e benvenuti alle Diverse Previsioni del Tempo! Oggi temporali diffusi su tutta la
popolazione rom. Sarà che stanno sempre all’aperto… Molti annuvolamenti su di loro nella
nostra città. Come potete notare dalla cartina, le nuvole basse copriranno i loro visi,
soprattutto nei più alti di loro; le nuvole, però, copriranno anche i loro vestiti di taglia
sbagliata, il violino a tracolla e alcune macchie di terra sulle mani. La pioggia non permetterà
alle loro lacrime di essere visibili agli incroci delle strade, né di quelle giuste né di quelle
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sbagliate. E non mi riferisco alle strade. State attenti alle frenate rapide, comunque, se li
vedete bagnati ad un incrocio.
I gesti del chiedere oggi saranno sospesi, causa maltempo e allagamenti, e sostituiti con i gesti
del trovare un riparo. Potrete trovare rom sotto: tendoni, portoni, androni, protezioni, teloni,
e forse anche sotto alcuni lampioni. Il vento spirerà da ovest verso est, però, portando alcune
migliaia di rom volanti dai Balcani verso la nostra penisola, con grande rischio per i voli delle
linee aeree. Attenzione ai rom volanti ad alte quote sulle città, tra i duemila e i tremila metri
d’altezza, rom che potranno essere scambiati per stormi di anatre colorate. Per il vento, la
pioggia andrà di traverso, come le cose vanno di solito.
Ora le temperature: su tutta la città-rom caldo tra i cinque e i venti gradi soprattutto nelle
roulottes, sulle grate d’aria calda della metropolitana, nei vagoni della stessa metropolitana
dove suonano, nei centri commerciali, negli ingressi delle Chiese e nelle strette di mano. Aria
più fredda, invece, in tutti i posti dove qualcuno li eviterà, non gli rivolgerà la parola, li
insulterà pesantemente o farà finta di non capire ciò che dicono. Lì temperature tra i meno
due e i meno dieci. Prossimo aggiornamento del Diverso Meteo che considera la presenza dei
rom, stasera alle 20. Arrivederci e grazie.
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Sola
con Martina, Fedra e Caterina
CORO: Non si vede ma…cosa la sta uccidendo dentro?
Avanza verso di noi…ma non vediamo i suoi passi.
I pensieri ha pesanti come un cappuccio
Calcato sugli occhi sulla fronte sui capelli
Preoccupata di non so che, spezza le foglie passando
Si sente nell’aria uno spostamento
Ma ciò che si sposta non è un corpo in movimento
È un sorriso che si preoccupa del tempo.
Un due tre, un due tre quattro
Balza su come un gatto, sul parabrezza, in altezza
Due occhietti scuri e profondi, nascosti nella nebbia
D’inverno nella nebbia, in ogni stagione nell’indifferenza
Lei avanza ancora, dispiaciuta come un segreto
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Nelle tasche alcune monetine, due forcine e un ricordo
Ma ciò che più la interessa non è voltarsi al passato
È ciò che la attende sulla strada, a pochi metri da lei.
MARTINA: La città pensa solo a se stessa. Non vuole capire i tuoi problemi, i tuoi pensieri. Ma
una città non può essere egoista. In città c'è la gente straniera e la gente non
straniera. Ci sono i rapper, gli spacciatori, i drogati. Ci sono i politici, gli attori, i
giornalisti. Ci sono i bambini che non vanno a scuola anche se vorrebbero. Ci sono
quelli che hanno un tetto e quelli che non lo hanno. L'abitazione è importante per la
tua vita. A volte diventa un viaggio: valige, ombrelli, cuscini in mano e poi un'altra
casa. Più piccola. Cinque letti, una sola camera. Senza bagno. La cucina é fuori, e
anche il bagno. Armadi di ferro. Senza le porte. Il campo invece è diverso. E' come
una città di Rom. Ci sono le case, o le baracche. C'è molta gente. Quando piove
crescono le piscine. Quando devi andare a comprare qualcosa inizia l'avventura: devi
passare il bosco, con i serpenti. E poi devi saltare un cancello rosso, con la catena
verde, che serve a far capire a chi entra che non siamo più in Italia: questa è la città
dei rom.
Una città in cui le donne devono stare zitte, di un silenzio strano. Un silenzio che alla
fine urla. Alla mattina ci si metteva in cerchio, e quella più grande fra noi iniziava a
intrecciare i capelli alle altre. Tenevo sul palmo una farfalla e speravo davvero la pelle
ne inghiottisse le piccole ali. Fu allora che mi incamminai per la città, perché una città
non può essere egoista. C'è tanta gente: straniera e non straniera. Ci sono i rapper, gli
spacciatori, i drogati. Ci sono i politici, gli attori, i giornalisti. Ci sono i bambini che non
vanno a scuola, anche se vorrebbero. Ci sono gli studenti con gli zaini pesanti. Ci sono
quelli che hanno un tetto e quelli che non lo hanno.
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Sig. Zingaro Rom
DARIUS: Per i primi sette anni della mia vita ho avuto una sola identità: ero semplicemente un bambino. Poi, quando sono andato a vivere a Craiova, in Romania, sono diventato uno zingaro. E zingaro sono rimasto per molto tempo. Ma mi sono dato da fare e sono stato promosso a zingaro onesto, signor zingaro, signor zingaro rom, e qualche tempo fa ho ricevuto il titolo di romeno perfino da un canale tv: ormai è ufficiale. Per la verità, il titolo è puramente onorifico e potrò utilizzarlo fino a che non darò fastidio a qualche romeno purosangue.
È magnifico essere zingari. Niente può sostituire il privilegio di far parte di una minoranza avvantaggiata: in parte umana, in parte animale e in parte in possesso di poteri magici. Noi zingari siamo come le sfingi, i centauri o i fauni. Tutte le maggioranze, che ci sono superiori, per secoli sono state incredibilmente generose nei nostri confronti, ci hanno aiutato e hanno cercato di addomesticarci.
È stato un processo lungo: inizialmente abbiamo avuto l’onore di ottenere, per qualche secolo, accesso illimitato al lavoro. La cosa ci è piaciuta così tanto che abbiamo deciso di lavorare volontariamente, anche in catene. Siamo stati schiavi dal 1385 fino al 20 febbraio 1856.
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Poi abbiamo goduto della facoltà di viaggiare a spese dello stato verso destinazioni esotiche come i campi di concentramento della Transnistria, Auschwitz e Buchenwald. Gran parte di quelli che hanno generosamente contribuito a domarci.
In quanto zingari, abbiamo il vantaggio di avere tutti quanti le stesse caratteristiche. Per semplificare la vita ai nostri ammiratori, la nostra razza non ha tratti individuali. Per non indurli in confusione abbiamo inserito nel nostro dna tutte le qualità che loro stessi ci attribuiscono: pigrizia, stupidità, propensione alla truffa, spirito criminale, gusti discutibili, millanteria, incompetenza.
La prima volta che mi sono sentito rom è stato negli Stati Uniti. Ho detto a chi lavorava con me, in modo un po’ umile, che ero uno zingaro. La reazione è stata inaspettata. I miei colleghi americani hanno pensato che fosse interessante: ero un bohemien, un romantico, un musicista di talento, esotico e bravo a letto. Ho usato gli stereotipi a mio vantaggio e ho avuto una fidanzata che altrimenti non mi sarei mai sognato.
In India mi sono sentito di nuovo rom quando, in un treno strapieno, la gente del posto mi ha ceduto il posto per farmi sedere: rispetto a loro sembravo bianco e vestito bene. Sono rimasto in piedi.
In Romania, ormai da anni, il più delle volte sono considerato romeno. Rom romeno, perché è così che voglio. Ogni tanto sono ancora trattato da zingaro, è vero, ma sempre più di rado.
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Carta d’identità
TONI: Io, Toni Deragna, sono italiano. Non perché ho ottenuto la cittadinanza: sono italiano,
e basta. Toni Deragna, nato a Milano. Mio nonno era partigiano, con le rovine della
seconda guerra mondiale ha ricostruito Milano, assieme a tanti altri rom.
Residente in via Chiesa Rossa. Non c’è una chiesa, ma ci sono quattro sale
polifunzionali. Il campo dove abito è il più bello di Europa: i Tedeschi vengono a farci i
picnic dentro, e noi non li scacciamo. Lasciamo che mangino il loro panino seduti sulle
panche davanti alla campina, e li salutiamo. Abbiamo accolto anche un italiano,
poveretto, che è stato sei mesi da noi: l'abbiamo sfamato e scaldato.
Deragna. Questo cognome nasconde una maledizione, ma io non credo di potervene
parlare. Dovrei chiedere al più anziano il permesso: ci tramandano la storia di padre a
figlio ma non la raccontiamo pubblicamente. Mia madre tenne il cognome e ce l'ha
tuttora, ma quello vero dovrebbe essere Karadjordjevic. Grazie all'avidità ci
ritroviamo ad essere personaggi con poco o niente, quando avremmo potuto
regnare.
L'avidità porta male. Ma la storia è controversa. All'epoca il mio bis nonno era il
cugino del principe ereditario al trono. Ha provato a prendere il potere ma è stato
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scoperto, e quindi gli è stata negata l'appartenenza alla famiglia regale. Ha
abbandonato tutto, anzi è stato cacciato. Sposò una rom e venne in Italia. Ma questo
non c'è scritto da nessuna parte.
Ho anche la cittadinanza slovena. Perché alcuni parenti sono rimasti lì, dopo la
guerra. Vado spesso in quel paese, perché amo tutta la ex Jugoslavia: Slovenia,
Croazia, Bosnia, Serbia, Macedonia, Kosovo e Montenegro. La carta d'identità slovena
non è come quella italiana, è come una carta di credito. C'è una mia foto con su
scritte in due lingue: inglese e sloveno. Dati di nascita e scadenza: 31. 08. 2021. Poi lo
stemma della Slovenia, un monte con tre cime e su ogni cima una stella: il monte
Triglav e il tricorno sormontato da un uomo a cavallo, la residenza in Slovenia e un
sacco di codici.
TYZON: Documenti. Carta d’identità n° AV 7347401 di Silvester Selimòvic. È così che si scrive il
mio nome, ma si pronuncia Tyzon Laciho, il mio nome d’arte. Sono state così tante le
persone a sbagliare a pronunciarlo, le stesse a dimostrartelo con la esse, mentre
nasco il 14 dicembre del 1991 a Cernusco sul Naviglio, cittadinanza italiano, l’Italia ha
un altro figlio, residente a Milano in via Vaiano Valle 41, stato civile vuoto, come la
mia professione Lavoratore in proprio. La mia statura quasi 1.80, capelli neri e occhi
castani, segni particolari tatuaggi, ma sulla carta d’identità non c’è scritto, forse
perché non voglio essere riconosciuto, da persone come te che mi odiano per un
passato che non è mio e che non ho commesso.
ANDREA: Sono un ragazzo straniero
Che ha vissuto sui binari del treno
Sono arrivato fino a qua
Senza mamma senza papà
Nell’orecchio ho sempre il suono
Cresciuto con la bisnonna e il nonno
Mi manda sempre a fare le sue commissioni
Io ne ho già pieni i coglioni
Sempre a me sempre a me
E io dico: e gli altri tre?
Non ho mai fatto passi avanti
Né indietro
Sono rimasto sempre in mezzo
Per questo mi sento male
Voglio salire le scale
19 Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
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A volte penso come sarebbe
Bello tornare indietro nel tempo
Vorrei viaggiare col il vento
Però è solo una illusione
Devo restare in questa situazione
Ma non è un gioco
Io ho il cuore di ghiaccio
Ma si scioglie davanti al fuoco
Sono sempre io
Se oggi sono questo
Grazie a me, non a Dio
Non gli credo
Non è perché non lo vedo
Ma se oggi questo
È perché lo volevo
Mi sono trasferito da Torino a Milano
Sono uno straniero, un essere umano
Quanti di voi mi hanno criticato
20 Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
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Tutto quello l’ho dimenticato
In un paese in cui non sono mai stato
Mi separa da un paese in cui sono nato
E nasco a Torino il 28/04/1996
E quando giro con i fratelli miei
Per loro sono Andry il sincero
Ma per tanti resto Andry lo straniero
Mi ricordo quando portavo al mio bisnonno
I fiori al cimitero
Sentivo troppo la sua mancanza
Stavo settimane chiuso in stanza
La sofferenza che sento me la racconta il mio documento
Nel mondo si nasce col cuore
Ma si può perderlo in poche ore
Curriculum Vitae
con Martina
MARTINA: Mia madre è nata in Polonia
Là è andata alle elementari e alle medie.
21 Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
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Ha iniziato la scuola professionale in Romania
Si è sposata in Serbia
Ha trovata il lavoro in Bosnia
Il suo primo figlio l’ha avuto in Croazia
il secondo in Francia, il terzo in Spagna
io sono nata in Belgio
E’ tornata in Serbia, in Kosovo
Siamo dovuti scappare in Italia per la guerra
Ci hanno cacciato via, hanno bruciato il nostro campo, volevano prenderci le
impronte, anche ai bambini. Avevo paura. Non così tanto tempo fa ci prendevano le
impronte.
Oggi, mia madre ha quarant’anni
Parla romanes, russo, slovacco, rumeno serbo italiano, francese spagnolo, tedesco, e
un po’ inglese.
In famiglia parliamo in una lingua mista. Parliamo la lingua europea. La mia famiglia è
“l’Europa in piccolo”.
Tra “l’Europa in grande” e “l’Europa in piccolo” ci sono tre differenze.
La prima differenza è che “l’Europa in piccolo” è analfabeta mentre “l’Europa in
grande” è molto istruita.
La seconda differenza è che “l’Europa in piccolo” è povera ma unita, mentre
“l’Europa in grande” è ricca ma non tanto unita.
La terza differenza è che “l’Europa in grande” è passata attraverso secoli e secoli di
guerre feroci; “l’Europa in piccolo” non ha e non vuole una terra sua, ha tante
religioni e non ha mai fatto guerra a nessuno.
Secondo me, “l’Europa in grande” dovrebbe diventare un po’ più simile alla mia
“Europa in piccolo”: un po’ meno ricca ma un po’ più unita, un po’ meno istruita ma
un po’ più umile.
Noi siamo diventati nomadi così, scappando. Ma, ora, invece di scappare ancora una
volta, noi vogliamo invertire il nostro destino, ed essere cittadini d’Europa
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Rosso
CORO: Partire è come il rosso, il colore rosso. Forte, improvviso, intenso. Una grande passione ti
prende quando devi partire, quando la tua vita si trasferisce in un’altra città, in un altro
paese. Un giorno tuo padre entra in casa e, a sorpresa, dice a tutti: la prossima settimana
ce ne andiamo. Partiamo e andiamo in Italia. Rosso, il rosso dei visi, paonazzi, il rosso
negli occhi, una scintilla d’emozione. Tutti ci alziamo e cominciamo a ballare! La stanza
diventa coloratissima! Siamo contenti. E poi, si parte: per strada la macchina è piena e
attraversa la campagna color terra scura, i boschi color verde intenso, correndo
sull’asfalto come su un nastro grigio che parte da qui e va là, dove è legato a qualcosa! La
macchina sbuffa: siamo in tanti sopra, e sul tetto sono legati altri pacchi e borse con dello
spago. Il viaggio per me è verde: verde come l’insalata, che nasce sempre fresca, verde
come gli occhi di mia sorella, che guarda fuori dal finestrino il paesaggio che passa
velocemente, poi la chiami, si gira e ha la campagna negli occhi grandi. Il viaggio è stato
lungo, strade, fiumi, confini, lingue nuove. E arriviamo in Italia. L’Italia! L’Italia è come il
blu, come il mare di Napoli. Un mare pescoso, ricco di pesci, generoso con la sua gente,
che vive attorno a lui da secoli. Gli italiani per me sono blu, tutti blu come il mare, perché
sono generosi. Un italiano ti regala sempre un sorriso, te lo deposita tra le mani, come un
pescatore. Però è dura.
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Qui non c’è lavoro abbastanza, mia madre non sta bene, le mie sorelle hanno fame. Non è
facile. E la fame è nera: nere sono tutte le nostre bocche spalancate, in cui non si vede lo
stomaco, ammesso che ci sia ancora. Forse è sparito. Il nero è come sparire. Per la società
non esisti. Per chi comanda non esisti. Non si prendono cura di te. Tu non ti preoccupi se in
casa tua arriva un ospite affamato o che sta male? Il nero è l’unico colore che mangia tutti gli
altri: lui sì che mangia. E allora tuo padre un giorno ritorna a casa, ci trova tutti fuori, seduti
sulle sedie, sconsolati, e ci dice: domani partiamo! Partiamo! Tutti ci alziamo e cominciamo a
ballare! Abbiamo dovuto vendere la macchina, non avevamo più i soldi per la benzina. Anche
la benzina è nera. Io credo alla sincerità dei colori. Inizio a dipingere su un quadernetto:
disegno il viaggio, la nostra vita, do dei colori a tutto. Mi fanno simpatia. Ce ne andiamo via
su un treno bianco. Anche noi siamo pallidi, un po’ stanchi. Ma il bianco è un colore
minaccioso, come un re che può regalarti qualsiasi cosa o restare per sempre bianco, chiuso,
in silenzio a braccia conserte. Ma la nostra metà ora è Barcellona, dove il sole è giallo, giallo
oro, come i limoni che splendono! Forse il giallo ci scalderà e colorerà la pelle delle nostre
facce appena arrivate.
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Pesciolino
con Kamal, Fedra e Caterina
KAMAL: Gli occhi non sanno che vedere il mare. Mare attorno alla barca, e dentro l'elica del
motore. Mare sotto di noi, che si agita e ci porta. Mare dal cielo. Mare nella gola, nel
naso. Mare dentro agli occhi. Grazie a Dio siamo fortunati. Non siamo troppi
CORO: Non siamo troppi, anche se ho dovuto pagare di più per poter viaggiare all'aperto, e non
schiacciato nella stiva. I soldi che mi sono rimasti sono stretti, come una sigaretta, avvolti
dalla pellicola e nascosti dentro al marsupio. Al sicuro dal mare. Ogni tanto tocco per
controllare che siano sempre lì. E' un modo per ricordarmi che a un certo punto il mare
finirà, e arriveremo a terra. Anche il tempo diventa come il mare: disteso e indefinito.
Nessuno ormai ricorda da quanto siamo in viaggio. Mangiamo quando capita, dormiamo
senza accorgercene. Sembra solo di chiudere gli occhi e di riaprirli davanti ad altro mare.
La terra non la vediamo. Arriva di notte: è una cosa solida che ferma il nostro viaggio. E'
una cosa buia che i piedi spingono a fatica. Nessuno si accorge del nostro arrivo. Solo i
cani che continuano ad abbaiare. Non so dove siamo. Seguo gli altri fino alla stazione dei
treni. Mi dicono di pagare. Perché altrimenti la mafia ci prende e ci picchia. Non faccio
domande, pago.
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KAMAL: Saliamo su un treno, in una delle ultime carrozze. Non abbiamo il biglietto. Il treno è
veloce. Seduto arriva la stanchezza: il corpo sembra caduto dal terzo piano. Una donna in
divisa entra. Chiede qualcosa. Sono le prime parole in italiano che sento. E che non
capisco. Lei ci guarda in silenzio. Cerca di capire la nostra età. Da dove arriviamo. Esce
senza dire nulla. Chissà se ha visto i nostri abiti ancora bagnati, che non si decidono ad
asciugare. Chissà se ha riconosciuto l'odore del mare.
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Ogni giorno una preghiera
TONI: A volte basta un fiore. Un fiore è un mistero, è legato a una persona che hai perso. Ha dei
colori, una forma, un profumo…come le persone. Il fiore è delicato, si sveglia con la luce,
gli piace l’aria libera e aperta, e si addormenta con l’arrivo della notte. Un fiore è una
creatura sensibile. Poi ci sono i fiori notturni: sono quelli che si aprono al tramonto e si
chiudono al mattino, ai primi raggi di sole. Vivono di notte, raccolgono la rugiada, come
ascoltassero delle parole segrete, come parlassero con le ombre che fa la luna sui campi.
Ogni tanto porto un fiore al cimitero. Scelgo attentamente quale fiore portare, in base
alla persona che voglio pregare. Il colore, la forma, l’odore, che sentimento mi porta verso
di lei. Così comincia il mio dialogo coi morti, già da casa, scegliendo il fiore per loro. Lo
compro dal fioraio vicino a me o a volte lo raccolgo nei campi. E percorro il vialetto fino al
cancello nero e alto: mentre riempio l’innaffiatoio di plastica, le voci cominciano a
parlarmi, mentre l’acqua scorre sento le parole aspre di mio nonno, i richiami per il
pranzo di mia nonna, le voci vive di chi non c’è più. Qualcuno sa che parlo con i morti e mi
chiede di fargli domande per conto loro: vogliono sapere del futuro, se risolveranno i loro
problemi o se il morto sta bene. Io a volte gli rispondo, e gli dico: scegliete un fiore per lui
e piantatelo in un vaso. Ogni giorno sarà una preghiera.
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Distanze
DANIEL: Questo è uno spettacolo sulle distanze, sulle vicinanze e sulle lontananze. Quanti metri
vi separano da me? Quanto spazio tra voi e la fila davanti. Quanti centimetri vi
separano dal braccio e dal corpo del vostro vicino? Quanti?
CORO: La parola “Rom” significa Uomo. Come si definisce una cosa che non conosciamo?
Come si ferma un oggetto in movimento? Come si guarda una persona ad occhi chiusi?
Come si parla a coloro a cui non vogliamo parlare? Io non so misurare la parola
“Uomo”. Voi?
Cittadini d’Europa: lasciate che vivano tra noi. Potrebbero aiutarci a ridare vita al
nostro ordine un po’ rigido. Potrebbero insegnarci quanto sono prive di significato le
nostre frontiere. Sono di casa in tutta Europa. Forse ci servono coloro che temiamo
tanto.
Questo spettacolo racconta di me, di qualcuno che conosco. Qualcuno di voi spettatori
si identificherà in qualcosa che vede e penserà ad una persona che conosce, a sua
madre, a suo padre, ad un amico. Per questo motivo qui c’è tanta gente, noi siamo
molte persone, qui c’è un intero continente che respira e cresce e si muove e ride con
voi.
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Anthropometric è un percorso che continua a crescere ed è possibile invitare i protagonisti per
una performance presso l’Istituto scolastico unita alla svolgimento dei laboratori Città-Europa.