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Consiglio dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori di Roma e Provincia (in carica per il quadriennio 2009-2013) Direttore Lucio Carbonara Vice Direttore Massimo Locci Direttore Responsabile Amedeo Schiattarella Hanno collaborato a questo numero Mariateresa Aprile, Luisa Chiumenti, Loredana Di Lucchio, Claudia Mattogno, Giorgio Peguiron, Tonino Paris, Alessandro Pergoli Campanelli, Giuseppe Piras, Carlo Platone, Luca Scalvedi, Monica Sgandurra Segreteria di redazione e consulenza editoriale Franca Aprosio Edizione Ordine degli Architetti di Roma e Provincia Servizio grafico editoriale: Prospettive Edizioni Direttore: Claudio Presta www.edpr.it [email protected] Direzione e redazione Acquario Romano Piazza Manfredo Fanti, 47 - 00185 Roma Tel. 06 97604560 Fax 06 97604561 http://www.rm.archiworld.it [email protected] [email protected] Progetto grafico e impaginazione Artefatto/Manuela Sodani, Mauro Fanti Tel. 06 61699191 Fax 06 61697247 Stampa AGB 1881 srl Via Antonio Bosio 22 00161 Roma Distribuzione agli Architetti iscritti all’Albo di Roma e Provincia, ai Consigli degli Ordini provinciali degli Architetti e degli Ingegneri d’Italia, ai Consigli Nazionali degli Ingegneri e degli Architetti, agli Enti e Amministrazioni interessati. Gli articoli e le note firmate esprimono solo l’opinione dell’autore e non impegnano l’Ordine né la Redazione del periodico. Pubblicità Agicom srl Tel. 06 9078285 Fax 06 9079256 Spediz. in abb. postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1.DCB - Roma - Aut. Trib. Civ. Roma n. 11592 del 26 maggio 1967 In copertina: Restauro solare della Sala Nervi in Vaticano Tiratura: 16.000 copie Chiuso in tipografia il 28/10/2009 ISSN 0392-2014 Presidente Amedeo Schiattarella Segretario Fabrizio Pistolesi Tesoriere Alessandro Ridolfi Consiglieri Loretta Allegrini Andrea Bruschi Orazio Campo Patrizia Colletta Enza Evangelista Alfonso Giancotti Luisa Mutti Aldo Olivo Francesco Orofino Christian Rocchi Virginia Rossini Livio Sacchi ANNO XLIV SETTEMBRE-OTTOBRE 2009 85/09 BIMESTRALE DELL’ORDINE DEGLI ARCHITETTI DI ROMA E PROVINCIA segue EDITORIALE Ordini: è tempo di riforme radicali 11 Amedeo Schiattarella ARCHITETTURA a cura di Massimo Locci - PROGETTI Restauro solare della Sala Nervi 15 Francesca Sartogo Trenta case in Nuova Zelanda 19 Tony van Raat Stile o invenzione: “Thirty houses in New Zealand” 22 Alberto Gatti L’evoluzione del colore tra astrazione e natura 24 Massimo Locci a cura di Carlo Platone - IMPIANTI Lyfe Cicle Analysis, per una progettazione sostenibile 28 Giuseppe Piras, Adriana Sferra a cura di Giovanni Carbonara e Alessandro Pergoli Campanelli - RESTAURO Il restauro dei vasi greci 32 Alessandro Pergoli Campanelli a cura di Lucio Carbonara e Monica Sgandurra - PAESAGGIO Roberto Burle Marx 36 a cura di Annalisa Metta

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Consiglio dell’Ordine degli Architetti,Pianificatori, Paesaggisti e

Conservatori di Roma e Provincia(in carica per il quadriennio 2009-2013)

DirettoreLucio Carbonara

Vice DirettoreMassimo Locci

Direttore ResponsabileAmedeo Schiattarella

Hanno collaborato a questo numeroMariateresa Aprile, Luisa Chiumenti,

Loredana Di Lucchio, Claudia Mattogno,Giorgio Peguiron, Tonino Paris,Alessandro Pergoli Campanelli,Giuseppe Piras, Carlo Platone,

Luca Scalvedi, Monica Sgandurra

Segreteria di redazione e consulenza editoriale

Franca Aprosio

EdizioneOrdine degli Architetti di Roma e Provincia

Servizio grafico editoriale:Prospettive Edizioni

Direttore: Claudio Prestawww.edpr.it

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Direzione e redazioneAcquario Romano

Piazza Manfredo Fanti, 47 - 00185 RomaTel. 06 97604560 Fax 06 97604561

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Progetto grafico e impaginazioneArtefatto/Manuela Sodani, Mauro Fanti

Tel. 06 61699191 Fax 06 61697247

StampaAGB 1881 srl

Via Antonio Bosio 22 00161 Roma

Distribuzione agli Architetti iscritti all’Albodi Roma e Provincia, ai Consigli degli

Ordini provinciali degli Architetti e degliIngegneri d’Italia, ai Consigli Nazionali

degli Ingegneri e degli Architetti, agli Enti e Amministrazioni interessati.

Gli articoli e le note firmate esprimono solo l’opinione dell’autore e non impegnano

l’Ordine né la Redazione del periodico.

Pubblicità Agicom srl

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Spediz. in abb. postale D.L. 353/2003(conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1comma 1.DCB - Roma - Aut. Trib. Civ.Roma n. 11592 del 26 maggio 1967

In copertina: Restauro solare

della Sala Nervi in VaticanoTiratura: 16.000 copie

Chiuso in tipografia il 28/10/2009

ISSN 0392-2014

PresidenteAmedeo Schiattarella

SegretarioFabrizio Pistolesi

TesoriereAlessandro Ridolfi

ConsiglieriLoretta AllegriniAndrea BruschiOrazio CampoPatrizia Colletta

Enza EvangelistaAlfonso Giancotti

Luisa MuttiAldo Olivo

Francesco OrofinoChristian RocchiVirginia Rossini

Livio Sacchi

ANNO XLIVSETTEMBRE-OTTOBRE 2009

85/09BIMESTRALE DELL’ORDINE DEGLI ARCHITETTI DI ROMA E PROVINCIA

segue

EDITORIALEOrdini: è tempo di riforme radicali 11

Amedeo Schiattarella

A R C H I T E T T U R A

a cura di Massimo Locci - PROGETTI

Restauro solare della Sala Nervi 15Francesca Sartogo

Trenta case in Nuova Zelanda 19Tony van Raat

Stile o invenzione: “Thirty houses in New Zealand” 22Alberto Gatti

L’evoluzione del colore tra astrazione e natura 24Massimo Locci

a cura di Carlo Platone - IMPIANTI

Lyfe Cicle Analysis, per una progettazione sostenibile 28Giuseppe Piras, Adriana Sferra

a cura di Giovanni Carbonara e Alessandro Pergoli Campanelli - R E S T A U R OIl restauro dei vasi greci 32

Alessandro Pergoli Campanelli

a cura di Lucio Carbonara e Monica Sgandurra - P A E S A G G I O

Roberto Burle Marx 36a cura di Annalisa Metta

U R B A N I S T I C A - a cura di Claudia Mattogno

42 Due tipi di qualitàAntonio Pietro Latini

S P A Z I D E L L ’ A B I T A R E - a cura di Claudia Mattogno e Mariateresa Aprile

46 Non c’è solo il nero a Tor Bella MonacaRoberto Marcelli

R U B R I C H E

50 ARCHINFO - a cura di Luisa Chiumenti

EVENTIIl “Roma”: un sogno ritrovato, di Oreste AlbaranoTerra Futura: riflessioni sulla sostenibilità ambientale e urbana, di Elio TrusianiAlessandro Mendini all’Ara Pacis, di Luisa ChiumentiMEDIARCH: il nuovo canale multimediale dell’Ordine

56 I CORSI DELL’ORDINE

57 INDICI PER AUTORI E ARGOMENTI 2008

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ORDINI: È TEMPO DI RIFORMERADICALI

Come avevo già anticipato nel mio precedenteeditoriale pubblicato su AR 83/09, ritengoche sia oramai giunto il momento, non piùrinviabile, di una più evidente accelerazione

delle politiche del nostro Ordine.Se, fino a qualche tempo fa, il nostro problemaprincipale era quello di riaccreditare e ridefinire ilruolo di una istituzione che con il trascorrere deglianni mostra sempre più in modo evidente i segni diuna incapacità di essere al passo con la societàcontemporanea, oggi, anche sulla base di unconfortante segnale di sostegno da parte dei nostriiscritti durante l’ultima tornata elettorale, dobbiamopassare ad una fase più incisiva e più concreta dellanostra strategia.Credo che tutti noi architetti italiani abbiamo laconsapevolezza, maturata nella esperienzaquotidiana, che la nostra professione non abbia maiversato in uno stato di crisi così profondo come quelloin cui ci troviamo oggi e che questa situazione non siail frutto esclusivo di una contingenza economicasfavorevole, ma che abbia piuttosto a che fare con unamutazione strutturale del nostro mercato professionalee che quindi siamo di fronte ad una crisi che sembradestinata a durare nel tempo. Le criticità sono cosìnumerose ed i livelli di complessità così alti che il solotentare di rimettere ordine nella materia e di costruireun quadro organico della situazione rappresenta diper sé una impresa ardua; ciononostante, ritengo, chesia giunto il momento in cui il sistema ordinisticoitaliano debba farsi carico di questa responsabilità edichiaro sin d’ora che l’Ordine di Roma svolgerà unaintensa attività di promotore di azioni politiche,coinvolgendo in una azione corale il più vasto numeropossibile di Ordini provinciali degli architetti.Sul piano del metodo politico però non è più possibile

inseguire i problemi cercando di tamponare in modocontingente le tante criticità che si aprono incontinuazione all’interno di un quadro normativo cheha, di fatto, marginalizzato il nostro ruolo economico esociale. È ora di definire una strategia ed un progettopar dare un futuro alla nostra professione e certamentenon è sufficiente l’annunciato ennesimo tentativo dirilanciare una riforma delle professioni (leggi sistemaordinistico) perché, per quanto ci riguarda, se non simette mano in modo radicale alle attuali istituzioniordinistiche esaltandone il ruolo di tutela dell’interessegenerale, modificandone i modi di operare econsentendo una reale possibilità di esercizio dellademocrazia all’interno dei sistemi di rappresentanza,se cioè non diamo un ruolo utile ed un senso realeall’esistenza degli Ordini, siamo per la loroabrogazione. Noi (in questo caso mi riferisco ai tanti Ordiniprovinciali italiani degli architetti che sono riusciti aritagliarsi nel loro territorio ampi spazi di credibilitàsociale) abbiamo operato in questi ultimi anni perdimostrare che l’Ordine non solo è una istituzione utile,ma che, forse, è addirittura necessaria, ma larisoluzione dei problemi non può passare per effetto diiniziative di carattere localistico. È oramai il momentoin cui, a partire dalla nostra situazione, deve nascere laconsapevolezza che l’interesse generale del paesepassa per una profonda e organica revisione delquadro normativo italiano nel settore professionale, mache poi, all’interno del quadro generale delleprofessioni, esiste una vera e propria emergenza nelnostro specifico settore di attività che richiede unastrategia mirata.Ritengo necessario, infatti, che questo nostro paese (opiuttosto il mondo della politica) si interroghi sel’architettura rappresenti ancora un valore della nostra

Editorialedi Amedeo Schiattarella

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comunità e se il progetto (la pianificazione,…) siaancora un fattore di regolazione nel governo delletrasformazioni territoriali che può aiutare adapportare miglioramenti nelle condizioni di vita degliuomini e nella difesa dei valori della storia edell’ambiente naturale o se, invece, sono solo gliinteressi economici e le logiche di mercato adeterminare (rendendo sovrastrutturale il ruolo delprogetto) il futuro assetto dell’Italia.In caso di risposta affermativa (che ritengoinevitabile) non chiediamo un discorso come quellopronunciato dal Presidente Sarkozy all’atto del suoinsediamento, ma un più concreto e profondoriordino delle leggi che governano il settore degliappalti pubblici facendo in modo che il concorso diprogettazione diventi (come in tutti gli altri paesieuropei) l’unica procedura per affidare incarichi, chenasca un progetto organico per il riordino ed ilsostegno alla attività formativa, che si attivinopolitiche di incentivazione e di sostegno allariorganizzazione del sistema professionale, che sifavorisca la creazione di canali che consentanol’accesso degli architetti italiani ai mercatiinternazionali (dando anche una speranza di unfuturo credibile alle nuove generazioni), che sisostenga il valore della nostra professionalitàdovunque sia esercitata perché è posta al serviziodegli interessi generali del Paese. Credo, infine, che sia giunto il momento di affrontaree risolvere una volta per tutte una questione (che citrasciniamo da oltre ottanta anni e che rappresentaun fattore di rallentamento di tutto il nostro settore diattività) costituita dalla pletora di figure professionaliche si sovrappongono in un groviglio indistinguibile

di competenze che non ha precedenti in nessun altropaese del mondo.Se vogliamo veramente misurarci con il mercatoglobale (di cui fa parte anche quello interno italiano)con qualche speranza di avere spazio per i nostriprofessionisti è necessario che arrivino a definizione,una volta per tutte, gli ambiti di competenza di ogniprofessione tecnica in modo da consentire lacomplementarietà delle conoscenze e favorire lanascita di organizzazioni interprofessionali in grado dicompetere in modo paritetico con la concorrenzainternazionale che fa della multidisciplinarietà unfattore di rafforzamento della offerta professionale.Siamo consapevoli, tuttavia, che per intraprendereun’azione incisiva su tutte queste questioni è necessariauna vera mobilitazione nazionale. Un’azione chesappia far pesare la forza di 140.000 professionistiche chiedono strumenti per garantire maggiore qualitàal nostro territorio. Ma per far questo occorre rifondare organismi dirappresentanza nazionale che siano in grado prima ditutto di suscitare negli architetti italiani laconsapevolezza di tale forza e diventino capaci didotarsi di strumenti efficaci per incidere realmente nelquadro politico, economico e culturale di questopaese.Sappiamo che lungo tutto il percorso da noi indicatoincontreremo mille resistenze, ma il ritardo accumulatoè tale che o si affronta in modo coraggioso unastagione di riforme vere o, altrimenti, il nostro paese èdestinato nell’ambito del settore della architettura aduna marginalizzazione culturale che, in controtendenzacon la nostra grande tradizione, cancellerà il residuocredito di cui godiamo all’estero.

Editoriale

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RESTAURO SOLARE DELLA SALA NERVI

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Aa cura di Massimo Locci

L a città e la sua edilizia storica e mo-numentale, consolidate attraversolunghi secoli della loro storia, sonostate concepite in stretto contatto

con il sole. Lo studio e la ricerca della rein-terpretazione delle componenti ecologi-che e bioclimatiche della struttura degliedifici e della città antica possono essere,oggi più di prima, date le critiche condi-zioni ambientali e climatiche, la chiave diuna corretta disciplina del restauro storico emonumentale. In tale disciplina, la strate-gia dell’uso di energie rinnovabili e delletecnologie solari s’inserisce nel rispettodella sua conservazione, contribuendo allasua manutenzione, evitando i danni pro-dotti dal tempo, dall’inquinamento e dal-la non appropriata gestione termica del pa-trimonio culturale antico ereditato.Il 7 giugno 2000 a Roma è stato siglato un“Protocollo di accordo” per l’Italia tra ilMinistero dei Beni Culturali ed il Mini-stero dell’Ambiente. Esso apre la discus-sione, tra le tante altre cose, della salva-

guardia delle opere d’arte e dei monu-menti in accordo con le misure ambienta-li sulla riduzione della produzione delleemissioni di gas serra a quote sostenibili,quindi all’introduzione dell’energia solaree delle energie rinnovabili anche nei cen-tri storici e nei monumenti.Il restauro opera i suoi interventi nel ri-spetto e nella conservazione di ciò che tro-va, purché coerente con l’opera d’arte, nerisarcisce i danni del tempo e dell’inqui-namento del nostro secolo, con le stesseanaloghe tecniche, tecnologie e materialiintrinseci dell’opera stessa. Praticamentericostruisce il palinsesto ereditato, il piùvicino possibile alla primitiva espressioneartistica storica.La strategia per la ristrutturazione ed il re-stauro degli edifici storici e della città an-tica dovrà seguire le regole della disciplinadel restauro come sancito dai vari indiriz-zi di principio e carte internazionali. La strategia dell’integrazione dell’uso del-le energie rinnovabili si inserisce in questa

Assegnato il “PremioSolare Europeo” dellaAssociazione Eurosolaral progetto per la“integrazione delletecnologie solarifotovoltaiche nell’aulaPaolo VI in Vaticano”realizzato nella suainterezza nelnovembre 2008.

Francesca Sartogo

disciplina diventando una delle leve fon-damentali di una nuova strategia più glo-bale e olistica che cerca di conservare edestrapolare dall’organizzazione delle no-stre città storiche quelle caratteristicheecologiche e bioclimatiche, proprie del-l’edilizia storica e del disegno urbanisticoantico, che possano essere da modello peruna continuità di comportamento meto-dologico e strutturale della riconquistadella città nella propria chiave ambientaleed analogica.

Il “Premio Solare Europeo”dell’Associazione EurosolarL’Associazione Eurosolar ha istituito il“Premio Solare Europeo” nel 1994, conl’obiettivo da una parte di dimostrarel’ampiezza della sfida solare da affrontareoggi e dall’altra di diffondere i risultatidelle ricerche dei progetti e dei progettistinel vasto settore delle energie rinnovabili.Le energie rinnovabili, per le loro caratte-ristiche di autonomia energetica, sono lo-cali, regionali, e decentralizzate e si fonda-no su una diversa struttura e cultura, cherichiede enormi sforzi scientifici politicied economici. Il premio serve a promuo-vere e a sostenere questa campagna “filo-sofica e culturale”. Eurosolar riconosce eapprezza il lavoro innovativo di questi

“pionieri dell’era solare” fin dalla loro na-scita, li sostiene e li sprona con decisioneverso lo sviluppo del loro futuro processoevolutivo, trasformandoli in esempi pilo-ta validi e ripetibili in tutto il mondo.L’istituzione del Premio Solare Italiano èda anni il veicolo più importante dell’atti-vità di comunicazione della Associazione.Esso dimostra che gli impegni ambientaliconcordati con la Comunità Europea, an-che da noi, possono essere mantenuti, chele energie rinnovabili oggi, sono le matri-ci fondamentali del nostro “sviluppo soste-nibile” e che ci sono professionisti, indu-strie, amministrazioni e attori economiciilluminati che, con coraggio, hanno giàiniziato il processo di quella rivoluzioneenergetica che oggi sta coinvolgendo ilmondo intero. Considera la attuale pro-posizione della Comunità Europea, ri-guardo gli obiettivi del 20% di risparmioenergetico, del 20% dell’uso delle energierinnovabili e del 20% della riduzione diCO2 uno dei suoi impegni prioritari e daapplicare al più presto nel nostro Paese.Il Premio viene bandito annualmente dal-le Associazioni Eurosolar dei vari paesieuropei; i risultati dei premi nazionali so-no inviati ad una “Giuria internazionale”per la selezione finale europea. Esso è de-dicato alle amministrazioni comunali, al-

le imprese, alle industrie, ai privati, ai tec-nici, ingegneri, architetti ecc. che abbianopromosso progetti innovativi per l’uso e laproduzione di energie rinnovabili, divisiin 11 diverse categorie.Il progetto per la “integrazione delle tec-nologie solari fotovoltaiche nell’aula Pao-lo VI in Vaticano” viene presentato, giànel maggio 2007, ma le due Giurie, quel-la nazionale e quella internazionale, an-che se avevano giudicato il progetto digrande interesse, deliberano di rimandarela definitiva selezione al momento dellasua realizzazione. La notizia che l’operasarebbe stata conclusa entro l’anno 2008ha fatto scattare la assegnazione definiti-va, nella cerimonia del 3 dicembre a Ber-lino e in quella del 26 novembre, in Vati-cano, al momento della inaugurazionedell’opera completa. La Giuria del Premio Solare Nazionale edInternazionale seleziona il progetto di “re-stauro solare” della “sala Nervi” definendo-lo “uno straordinario esempio di appropria-ta ristrutturazione delle strutture bioclima-tiche storicamente esistenti, riuscendo ad in-tegrare le nuove tecnologie innovative purmantenendo intatta la originaria qualitàmonumentale della sua architettura”.Esso è assegnato per la coerenza ed il rigo-re filologico del progetto architettonico,

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STATO DI FATTO IPOTESI SUPERFICIE RAME (BRONZATO) IPOTESI SUPERFICIE RAME TRATTATO IPOTESI SUPERFICIE RIFLETTENTE IPOTESI SUPERFICIE DIFFONDENTE

per la forte volontà politica della Città delVaticano nella sfida ambientale e per l’or-ganizzazione ed efficienza della realizza-zione conclusiva. Per tale ragione il proget-to è stato valutato per il suo valore interna-zionale come il risultato di un progetto vati-cano-italo-tedesco; coordinato dal Gover-natorato dello Stato della Città del Vaticano;da una attenta fase di ricerca e di progetta-zione del prof. Livio de Santoli e dai proff.Claudio Cianfrini e Massimo Corcione, Ste-fano Rossetti, Fabio Fraticelli, Stefano Mari-no dell’Università La Sapienza di Roma; edinfine dalla realizzazione chiavi in manodell’industria fotovoltaica SolarWorld AGdi Bonn e della ditta Tecno Spot di Brunico.Il progetto ha un valore molto significati-vo, prima di tutto, perché rientra nella im-portante categoria dell’”Architettura So-lare”, poi perché coinvolge la delicata di-sciplina del restauro monumentale rigida-mente regolata e condivisa dalla “CartaMondiale del Restauro dei Monumenti edei Siti”. Ha avuto il coraggio di tracciareun importante processo metodologico perconvalidare un’operazione appropriata,coerente, filologica e tecnologica di tra-sformazione analogica di questo emble-matico edificio monumentale, situato ac-canto all’opera più significativa della Cittàdi Roma che è la Basilica di San Pietro nel-la Città del Vaticano. Si basa sulla ricercaaccurata e sistemica che mette in risalto lecaratteristiche bioclimatiche già esistentinel progetto premonitore e avveniristicodi Pier Luigi Nervi: la struttura solare pas-siva di ombreggiamento, così importanteper il nostro clima mediterraneo. Tale so-vrastruttura in calcestruzzo deteriorata ne-gli anni, necessitava di una importante ri-

strutturazione e il progetto opera una rigi-da integrazione tecnologica con materialiinnovativi analoghi, pur mantenendo lastruttura esistente, le dimensioni, la quali-tà estetica e un cromatismo più possibil-mente vicino all’opera stessa.Il progetto, proposto nell’anno 2007 e rea-lizzato nella sua interezza nel novembre2008 dimostra anche che si possono tra-sformare in tempi relativamente brevi, didue mesi circa, 5.000 mq di copertura incemento armato in una struttura perfetta-mente analoga ed “esteticamente pregevo-le”. Il valore estetico non è il solo risultatoottenuto, ad esso va inglobato il notevole“plus valore ambientale aggiunto” di unavasta produzione di energia rinnovabile econseguente riduzione di CO2, che fa di-ventare l’edificio monumentale un perfet-to “esempio pilota” di restauro solare e diautonomia energetica per i centri storicieuropei e del mondo intero.

L’intervento proposto, spiega il prof. Liviode Santoli, parte da un particolare stato difatto: sulla copertura realizzata da P.L.Nervi sono presenti 10 tipologie di frangi-sole composti dai seguenti elementi: 1)quattro “tegolini” posizionati secondo ledue esposizioni nord e sud; 2) due suppor-ti metallici, ognuno dei quali ha due astemetalliche a sezione triangolare, due profi-lati a sbalzo collegati ad un piatto a formatrapezoidale; 3) due basi cilindriche.Una stima approssimata quantifica in cir-ca 8 tep l’energia primaria risparmiata conquesto sistema. L’impegno progettuale è basato sul rispettoper l’impianto strutturale della copertura(su cui integrare l’impianto fotovoltaico)

dal minimo dettaglio alle modalità di as-semblaggio degli elementi in campo e sulrispetto per la componente estetica e cro-matica sedimentata nel tempo e vero veico-lo dell’immagine, trattandosi di una coper-tura visibile nello skyline paesaggistico.L’attività di progettazione ha tenuto inconsiderazione tutti gli aspetti che defini-scono la copertura nel suo insieme: 1) nel-la sua morfologia ad andamento curvili-neo; 2) nelle sue caratteristiche funziona-li, mantenute ed implementate; 3)nelrapporto con l’ambiente esterno di cuiraccoglie la dinamicità, la copertura dastatica (frangisole) diventa dinamica (mo-duli fotovoltaici); 4) nei suoi aspetti strut-turali (distribuzione dei pesi); 5) nei suoiaspetti cromatici.

La disposizione e l’inclinazione dei pan-nelli fotovoltaici prendono il posto dei“tegolini” ammalorati in c.a. L’inclinazio-ne dei pannelli e la disposizione è rimastainalterata. Questo esempio è coraggioso e unico nelsuo genere. È stato definito un intervento direstauro solare. In esso si riconosce l’essenzaformale dell’opera d’arte, ma si postula che

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Stato di fatto:prospetto tipodegli “ombrellini –frangisole”

Proposta adottata

il materiale possa essere sostituito. Si proce-de alla rimozione del materiale originale, losi sostituisce con un intervento di upgra-ding tecnologico, a patto che la sua imma-gine rimanga la stessa. La domanda tipicadel dibattito del restauro del moderno: ilmateriale va conservato o sostituito? ha quiuna risposta precisa: si sceglie di sostituirlo,ma facendo ricorso alla esaltazione dellasua funzione primaria, e in una visione diricaduta formale dell’Aula nel paesaggio,rimasta inalterata. Non era semplice maproprio il carattere di innovazione ha aiu-tato ad effettuare questa scelta.

L’idea originaria di Nervi della forma del-la copertura e della sua funzione ha carat-terizzato il percorso seguito per questo re-stauro solare. È bastato seguire l’onda del-la copertura. Il pannello FV che sostitui-

sce il “tegolino di calcestruzzo” non solocontinua ad assolvere alla precedente fun-zione di schermatura della radiazione so-lare, ma ora oltre ad assorbire quella quan-tità ne trasforma parte in energia utile. In-fatti, sui “tegolini “esposti a sud sono statiinstallati i moduli FV, mentre sui “tegoli-ni” esposti a nord sono stati installate su-perfici diffondenti con lo scopo di aumen-tare l’efficienza di captazione dei moduliFV prospicienti.Il progetto per la sostituzione della coper-tura dell’aula Paolo VI in Vaticano è mol-to delicato perche si inserisce in una operadi uno dei più rilevanti protagonisti dellamoderna architettura italiana. “Integrareesteticamente un impianto fotovoltaico mo-derno e conservare allo stesso momentol´unità architettonica della Città del Vati-cano, è stato un compito speciale che richie-

deva soluzioni speciali”, spiega Olaf Jacob,responsabile tecnico di SolarWorld. Oltrealla conservazione dello skyline della cittàantica si affiancava la sfida tecnica di co-prire il tetto trapezoidale a volta con mo-duli fotovoltaici particolarmente centinati edimensionati . Infatti, ogni singolo modu-lo è stato prodotto individualmente neglistabilimenti di Freiberg in Sassonia. La potenza di prestazione dei 2.394 mo-duli varia tra 57,2 a 114,4 kW. Anche ilnumero dei moduli connessi in stringhevaria di conseguenza. Il primo impiantofotovoltaico dello Stato della Città del Va-ticano conta un totale di 221,59 kW di po-tenza nominale, esso è capace di generareannualmente sui 315.000 kWh di energiapulita, evitando 200 tonnellate di emissio-ni di CO2 e risparmiando circa 70 tepton-nellate equivalenti di petrolio.

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Una tensione percorre l’opera og-getto di questa mostra e più ingenerale il lavoro degli architettiin Nuova Zelanda. È la tensione

generata dalla questione se ci sia, o debbaesserci, uno stile di architettura neozelan-dese.Molti architetti sono restii a usare il ter-mine stile e preferiscono invece descrivereil loro lavoro come generato dalla rispostaa luogo e programma. Per lo più questaspiegazione non convince, dal momento

che in ciascun caso luogo e programmaavrebbero potuto essere affrontati in millemodi diversi. Tutte queste opere, però,hanno qualcosa da dire riguardo allo stile,o – per dirla diversamente – fanno uso dideterminati linguaggi architettonici. Lamostra Trenta Case ci dà un’opportunitàper raccogliere un buon numero di cam-pioni rappresentativi dei linguaggi cor-rentemente in uso in Nuova Zelanda e pervedere se ciò che i progetti hanno da dircirappresenti un’ enunciazione coerente ri-

guardo all’architettura della casa contem-poranea in Nuova Zelanda; se esista cioèuno stile neozelandese.Questo interrogativo ebbe particolare im-portanza per la generazione degli architet-ti del dopoguerra che lavoravano a cercardi evadere dai vincoli che legavano la so-cietà della Nuova Zelanda al Regno Uni-to. Per loro la ricerca di un’identità nazio-nale in architettura – un’anticipazione diciò che Kenneth Frampton avrebbe de-scritto più tardi come “Regionalismo Cri-

TRENTA CASE IN NUOVA ZELANDAUna mostra che raccoglie un buonnumero di campioni rappresentativi dei linguaggi architettonici in uso nelPaese, per verificare l’esistenza di uno “stile” neozelandese.

“Le idee si attardano nell’immaginazione,aspettando una scusa per essere usate,cercando dove poter andare a posto”David Mitchell, The Elegant Shed

Tony van Raat*

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tico” – fu di grande importanza. Ma que-sta preoccupazione di cercar di capire do-ve potesse collocarsi l’architettura locale –un atteggiamento che fu dominante, mamai universale nel nostro paese – cedette ilposto negli anni ‘70 e ‘80 a un progettopiù modesto e in qualche misura più in-troverso: la ricerca di un’ architettura che,se non sempre autobiografica (come fudefinita dall’accademico locale John Di-xon), fosse almeno biografica, interessatacioè alle particolarità della situazione spe-cifica, senza il bisogno di rientrare nel-l’ambito di un comprensivo paradigmateoretico. Questa personalizzazione delprogetto architettonico è poi proseguitaed è oggi innegabile che coesistano moltimodi personali, tra loro discordanti, di fa-re architettura, senza che alcuno di essi siadivenuto dominante. Così il lavoro ogget-to di questa mostra non rivela alcuna gran-diosa narrativa, né in realtà è necessarioleggere questo intero corpo d’opera comese dovesse rivelare narrativa alcuna. I ‘lin-guaggi’ di questi progetti sono individuali– dato che ciascuno di essi esprime il parti-colare – e per questo spesso non sono reci-procamente intelligibili. Non c’è un’unicachiave di lettura che consenta di interpre-tare tutti questi progetti.Ma questo non è poi un male: le parole so-no meno interessanti dei fatti, i manifestimeno delle azioni e le spiegazioni dell’ar-chitettura meno dei progetti stessi. La vitadell’architettura è nell’esperienza, non

nella descrizione e l’obbiettivo di questamostra è di offrire a chi non sia mai statoin Nuova Zelanda un’opportunità di ve-dere che genere di architettura domesticasi fa lì. Questo catalogo di lavori, per usarla frase di Lytton Strachey, getta il secchionell’oceano (Sud Pacifico) dell’architettu-ra contemporanea neozelandese e portaalla superficie un piccolo campione perl’indagine. Il campione è sì piccolo, ma èvario. Ogni progetto rimane aperto a unagamma di possibili interpretazioni da par-te dell’osservatore, così come il processodi tradurre in forme le richieste originalidei clienti era aperto a infinite soluzioninelle mani dell’architetto. C’è però forseuna narrativa comune che lega questi la-vori, altrimenti assai diversi. Tutti insiemeessi ci dicono che in Nuova Zelanda – re-lativamente liberi dalle restrizioni impo-ste da storia, precedenti e densità di popo-lazione – è possibile trovare il modo, nelfare architettura, di muoversi nei dominidell’individualità e dell’immaginazione.Ogni casa rappresenta inevitabilmenteuna sintesi di dati immediati e concreti: ilcliente, il luogo, il budget, i vincoli urba-nistici e, non ultimo, il punto che ciascunautore ha raggiunto nella sua esperienzad’architettura. Ci sono molti modelli divita domestica, comunque, quel che lamostra invita a considerare è l’ulterioremotivazione, quella insita nell’architetto.Ogni lavoro contiene una serie di allusio-ni che danno ai progetti individualità e vi-

ta. Sono loro gli istigatori ultimi del farearchitettura e formano un ‘contesto’ piùsignificativo di ogni altro, perché i conte-sti possono essere interni oltre che esternie ad essi ci si può contrapporre, o se nepuò prendere atto.Individualità e sorpresa sono quindi tra-me che legano tutta quest’opera: la co-stante interruzione del processo logico eapparentemente razionale del costruire daparte della singolarità e dell’idiosincrasiarisultanti dal desiderio degli architetti –spesso infuso di quello dei clienti – di af-frontare il progetto in maniera specifica.Come scrive Peter Zumthor, “In larga mi-sura, progettare si basa sulla comprensio-ne e sullo stabilire un sistema di ordine.Tuttavia io credo che la sostanza essenzia-le dell’architettura che cerchiamo derivida sentimento e intuito”.1

Una piena comprensione di uno qualun-que di questi progetti, o dell’ architetturaneozelandese in generale, non è possibile.Il tempo in cui si poteva argomentare checi fosse una struttura coerente e unificatadi teoria o motivazione a informare la pra-tica dell’architettura in Nuova Zelanda èda molto passato. Ciò che ci resta è unascena che consiste in larga misura in unaserie di vignette. Ciascuna forse è in sé ir-resistibile, ma sono tutte incorniciate se-paratamente. E queste differenze esistononon solo tra i lavori dei vari studi, ma an-che tra i diversi lavori di ciascun studio,perché gli architetti che riescono a opera-

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COROMANDEL BEACH HOUSE

re fuori dai limiti di schemi precostituitisono in grado di ascoltare più voci nellaloro immaginazione.Da questo sommario dei lavori oggettodella mostra non emerge alcuna coerenzastilistica; quel che esso rivela è un ampiospettro di progetti marcatamente diversi.In ciascun caso i rapporti tra i progetti e illoro contesto esterno sono mediati da i va-lori, le idee e le immagini che legano la cul-tura architettonica alla società in NuovaZelanda. Come tipo di produzione, l’ar-chitettura è legata a sistemi e relazionicomplesse; ma è anche una forma di arte ein questa veste gode di un buon margine diautonomia. Questa mostra mette il carat-tere – sia personale che artistico – al centrodell’evento architettonico e suggerisce cheai rapporti che legano la professione d’ar-chitettura nel suo insieme alla società vadaad affiancarsi un altro insieme di riferi-menti, quelli dettati dal particolare, indi-viduale rapporto tra l’architetto e il suomondo. Sono questi a reintrodurre unacerta libertà d’azione e a permetterel’espressione individuale delle idee in ar-chitettura. Essi ci ricordano che non c’è li-mite a quel che si può fare, se proprio lo sivuole fare e se si riesce a spuntarla.La mostra invita anche ad altre letturecorrelate: esplora le istanze discordanti dicontingenza e determinismo che, oltre adar forma a tutta la narrazione storica, in-flettono tra loro ogni progetto di architet-tura. Precedenti culturali e storici, clima,

orografia e materiali si combinano a costi-tuire un insieme variabile di condizioni lecui influenze, filtrate attraverso la co-scienza e l’esperienza individuale, portanoa risultati imprevedibili. È grazie all’indi-vidualità di questo filtro che è possibilesostituire alla mercificazione dell’oggettodi architettura i piaceri dell’idiosincrasia,del piacere e della sorpresa. E ancora, mol-ti dei progetti scelti per la mostra sonomodesti di scala ma certo non modesti perla qualità della fruizione: essi si oppongo-no alla proposizione consumistica che piùè meglio – una concezione che riflettemancanza di immaginazione e deliberata-mente ignora i fatti presenti nella nostraesperienza emotiva di ogni giorno.La Nuova Zelanda è stata l’ultima dellemasse di terra ad essere colonizzata, primadai polinesiani, attorno al 1300 (non c’èaccordo sulla data più probabile) e più tar-di dagli europei, agli inizi del diciannove-simo secolo. Ha quindi un breve passatodi occupazione umana rispetto ad altriposti. Nel lungo periodo del suo isola-mento e in assenza di predatori, la terra fuoccupata da strani abitatori: aquile gigan-ti, grandi uccelli incapaci di volo, lucerto-le primitive. Anche le morfologie del ter-reno erano varie e diverse: dalle sabbie do-rate del nord subtropicale, alla densa fore-sta pluviale e ai profondi fiordi delle costea sud. Nel mezzo, vulcani, laghi caldi,montagne coperte di neve e foreste a per-dita d’occhio. Con una simile varietà, non

c’è una sola immagine della fauna o delpaesaggio neozelandesi che possa dirsi ti-pica del paese. Allo stesso modo, l’archi-tettura neozelandese non si presta a unasemplice categorizzazione.La costruzione domestica dei Maori hacontribuito assai poco all’architetturacorrente in Nuova Zelanda e ben pochi ri-ferimenti, anche indiretti, sono riscontra-bili nell’opera oggetto della mostra. Vice-versa gli schemi abitativi europei e nordamericani hanno entrambi lasciato nel-l’architettura neozelandese un’eredità benvisibile. Queste influenze, comunque, ap-paiono sempre e unicamente giustappostea due contesti predominanti: il sobborgoresidenziale e il paesaggio naturale. Il sob-borgo residenziale costituisce la realtà so-stanziale della maggioranza delle cittàneozelandesi, con le case disseminate sulterreno. I sobborghi tradizionali hannopoca massa e sono a volte anche sciatti, mai cortili e i giardini che circondano le sin-gole abitazioni costituiscono un elementodi separazione che crea spazio, sia concre-to che concettuale, per l’individualizza-zione. Ogni abitazione diventa il teatro diun esperimento di vita privato e c’è unaconsiderevole tolleranza per le digressionida qualunque norma di forma e stato diconservazione. Questa struttura eteroge-nea e frammentata, sebbene costituisse lanorma, ha sempre avuto eccezioni. L’edi-lizia residenziale sovvenzionata costruitain quantità in Nuova Zelanda a partire dai

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HAMMERHEAD HOUSE

tardi anni ’30 è stata sempre caratterizzatada una piatta uniformità. Le vaste nuoveespansioni residenziali di iniziativa priva-ta, diventate il loro più recente sostituto,non sono meglio. Entrambe sono soluzio-ni generiche al problema dell’housing e ri-flettono un’ indifferenza ai bisogni indivi-duali, per cui sembra che ogni compo-nente sia stato ordinato frettolosamente,all’ingrosso e senza guardar troppo per ilsottile. Il lavoro degli architetti è in diret-ta opposizione a questa normalizzazione ei progetti in mostra stanno a dimostrarlo.Se si guarda invece alle relazioni tra case epaesaggio naturale, la questione è diversa.La natura in Nuova Zelanda è stata trasfi-gurata in un’entità mitica dall’enorme po-tere. Fin dall’inizio della colonizzazioneeuropea, il paesaggio è stato presentatocome selvaggio e incontaminato, ma an-che e allo stesso tempo addomesticato: inentrambi i casi, potenzialmente e di fatto,un giardino maturo pronto per la trasfor-mazione e l’insediamento. L’occupazionedella terra per insediamenti residenziali fuuna componente primaria della soggioga-zione della Nuova Zelanda alle necessitàcoloniali e c’è ancora una certa ambiva-lenza nel modo in cui l’abitiamo; unacontraddizione tra il bisogno di imporreuna sorta di occupazione a un ambienteormai domato e il desiderio di integrarsi

con la natura. Nella migliore delle ipotesiquesto atteggiamento si traduce in unsenso di conciliante accettazione nel mo-do in cui una casa occupa il terreno: tal-volta in atteggiamento di sfida, ma nellamaggioranza dei casi andando a prendereil proprio posto in un’inquadratura chepreesiste alla fotografia.Per poter ben progettare, un architetto habisogno di una prospettiva ideologica chein qualche modo interpreti e illumini larealtà dell’esperienza umana. In NuovaZelanda questo spesso comporta l’idea diinstaurare tra uomo e natura un rapportoche esisteva, o possiamo immaginare esi-stesse, in una società più semplice. Perchéquesto processo abbia buona riuscita, nonsi deve dar spazio alla mercificazione cheaccompagna le realtà più complesse diuna società contemporanea materialisti-ca. Rivolgere l’attenzione all’architetturae interrogarsi su ciò che essa ci rivela, spes-so pone più domande di quanto dia rispo-ste. Alla fine sta ai visitatori della mostravalutare quale sia il significato di questetrenta case neozelandesi.

2 Zumthor, P., Architecture and Urbanism, February1998, p.18.

*Curatore della mostra - Preside della School of Archi-tecture and Landscape Architecture at Unitec Instituteof Technology - Segretario del NZ Architectural Publi-cations Trust

L a domanda che ho incontrato nel-l’introdurmi alle trenta case, cioèse vi sia uno “stile” di architetturaneozelandese, debbo dire, per

quanto essa possa apparire ad alcunimolto pregnante, tuttavia, non suscitain me particolare inquietudine.Ciò perchè nel fare, e nel fare architettu-ra in particolare, è comunque presente ilrischio e non vi è spazio a garanzie; tantomeno se rappresentate dallo stile; anziproprio la sua adozione può invalidare ilrisultato della progettazione, a causa del-la riduzione, fino all’annullamento, dellaspontaneità e della invenzione, che inve-ce caratterizzano quasi ciascuna di questecase, come ogni progettazione di qualità.Infatti lo stile presuppone una codifica-zione di morfologie e quindi un precon-fezionamento di elementi da applicare,per cui i prodotti, che da esso derivano,sono convalidati nell’identificarsi delleparti con i modelli e sono riportati a nor-ma, nella rinuncia a ogni possibile diver-siva avventura progettuale.Questa, cioè un’avventura progettuale,potrebbe essere invece, essa stessa, occa-sione a raggiungere validità e significati,in quanto produttiva di autonome defi-nizioni di forme qualificate, qualora sia-no sensibili al contesto naturale e cultura-le, ed anche aperte alle sollecitazioni che

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STILE O INVENZIONE:“THIRTY HOUSES IN NEWZEALAND”Il fattore comune che distingue letrenta case è il racconto e larappresentazione dello scorreredella vita dell’uomo sulterritorio, e dei valori che su diesso sarà capace di imprimere.

Alberto Gatti

THIRTY HOUSES IN NEW ZEALANDMostra di architetturaresidenziale contemporaneaneozelandese. Progetti di 15 studi professionali di Auckland

JENKINS HOUSE

ne possono scaturire, come accade nellafattispecie.Ciò si coglie in queste opere, che si pon-gono a confronto e a contrasto con la real-tà della natura, destinata a contenerle e afarle vivere nello spazio grande e vuoto,nel vento che sa di mare, laddove tuttopuò accadere, tutto si può sperimentare.Insomma ampia ha da essere la ricerca etotale la libertà del comporre, che puòpervenire perfino alla invenzione integra-le dell’oggetto in sé, come vediamo nellaBrick Bay Guest House, che, per la suaparticolarità formale, non so neppure sepossa essere denominata con la parola “ca-sa”, infatti è un oggetto unico, una “in-venzione”.Indagando sulla genesi delle trenta archi-tetture, il primo segno che si potrebbe leg-gere sul territorio, ove sono destinate a ra-dicarsi, è il “rettangolo”, come rappresen-tazione planimetrica dello spazio antropi-co elementare nei suoi distinti riparti e neisuoi distinti momenti.Esso, il rettangolo, si apre, si duplica, si di-mezza, si sventaglia, si spezza, si insegue, esi spalanca, come, per esempio, attorno alquadrato centrale, di Wairarapa House, eaddirittura esplode, come nella pianta diStringer House.Altro rettangolo, quello che compare va-riamente nelle sue collocazioni parietali,

racchiude assieme il pieno e il vuoto e rag-giunge la finitura in modo intenso, mesco-lando il reale e il virtuale; la geometria simaterializza dunque nel linguaggio dellamigliore architettura moderna, anche me-diante un impiego di elementi costruttivimolto diversi, che tra loro possono con-fliggere, suscitando una vitale dinamica.Essi tutti sono di alta qualità formale etecnologica, di perfetta struttura e finitu-ra, sono impiegati come fossero dei semi-lavorati, prodotti in vari materiali, legno,metallo, vetro, plastica.Sono formati di parti piane o curve, lisce origate, riunite a schermare diversamentela luce, in pennellature fisse, scorrevoli oruotanti, composte secondo vari modelli,che sembrano, o forse sono, acquistati alsupermercato e montati in opera daglistessi utenti, con facilità e semplicità, e ciòè prova di un alto e diffuso livello indu-striale di questo Paese.In conclusione, se vogliamo individuare ilfattor comune, che distingue le trenta ca-se e quindi anche, in certa misura, l’archi-tettura del New Zealand, non è una sceltadi stile da ricercare e da porre all’evidenza,bensì, attraverso l’insostituibilità del con-trollo estetico, è il racconto e la rappresen-tazione dello scorrere della vita dell’uomosul territorio, e dei valori che su di esso sa-rà capace di imprimere.

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BRICK BAY GUEST HOUSE WAIRARAPA HOUSE PLAN

STRINGER HOUSE PLAN

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Massimo Locci

La Facoltà di Architettura “Valle Giulia” celebra l’Evoluzionismo darwiniano.

L’EVOLUZIONE DEL COLORETRA ASTRAZIONE E NATURA

Il progetto, nato dalla collaborazione trala Facoltà di Architettura “Valle Giu-lia”, il Comune di Roma, l’Assessoratoall’Ambiente, l’Associazione Sesam

2009 e la Fondazione Bioparco di Romaha avuto come obiettivo principale la rea-lizzazione e lo sviluppo di un nuovo rap-porto tra Città, Università e Impresa.L’occasione è stata la celebrazione del bi-centenario della nascita di Charles Darwin.Le cinque installazioni di base in forma di“U” progettate dagli architetti MassimoZammerini e Renata Cristina Mazzantini,docenti della Facoltà di Architettura “ValleGiulia”, hanno ospitato al loro interno al-trettanti allestimenti temporanei dedicatial tema dell’evoluzione, interamente realiz-zati con materiali di riciclo e ideati da gio-vani studenti di architettura e ingegneriaprovenienti da tutto il mondo, selezionatiattraverso un concorso. Un concorso checome ogni anno vede coinvolti un gran nu-mero di giovani, che progettano e costrui-scono direttamente sul luogo della manife-stazione i loro allestimenti nell’arco tempo-rale di una settimana.Quest’anno a Roma l’iniziativa culturalesi è concretizzata grazie al coinvolgimentoe alla sponsorizzazione di Oikos, ditta lea-der nel settore delle finiture per l’architet-tura e per gli interni, e proprio dal rappor-to tra interno ed esterno e dal ruolo fon-damentale del colore in architettura nascel’idea del progetto.Teatro della manifestazione uno dei luo-

ghi più suggestivi di Roma, ilvasto sistema formato daigiardini di Villa Borghese edalla Valle delle Accademie.Le cinque microarchitettureeffimere, caratterizzate tuttedella stessa forma scultorea dilinea essenziale, presentanofiniture e colori diversi, tuttirealizzati con tecniche cheuniscono la tradizione delpassato con le esigenze e iprincipi dell’ecosostenibilità. Un solido elementare forma-to da una base a pianta qua-drata di lato m 4,80 x 4,80sulla quale sono fissate duepareti parallele di uguale mi-sura. Ne risulta una forma ad“U” rivolta verso l’alto, cheistituisce con il suo posiziona-mento nei singoli contesti unelemento di forte impatto percettivo dalcontenuto simbolico.I cinque “palcoscenici”, con strutturasmontabile in acciaio e tamponature me-talliche verniciate inquadrano brani dipaesaggio naturale o porzioni di architet-ture. Le singole installazioni voglionorendere esplicito un particolare rapportotra Architettura e Natura che nella Valledelle Accademie, il luogo dell’evento, ècontraddistinto da un carattere di spicca-ta monumentalità. Le “U” segnano dei punti focali precisi, e

in relazione al lato dal quale vengono os-servate rendono esplicito sia il caratteremonumentale di alcune delle architetturepreesistenti che vengono inquadrate, sia ildisegno dei giardini storici. Se la funzione dell’arte è anche quella di farriflettere l’uomo sulla realtà che lo circon-da, il compito di queste opere è catturareper qualche istante l’attenzione del cittadi-no e dirigere il suo sguardo verso una mi-nima porzione del tutto attraverso le “U”.Contro i colori del cielo che cambia di orain ora, i “solidi puri sotto la luce”, come

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In queste due pagine:• Installazione Oro alla

Scalea Bruno Zevi

direbbe Le Corbusier, dipinti nei toni delbianco, dell’oro, del metallo, della ruggi-ne e dell’ardesia, mutano di aspetto edevocano nel trattamento del fondo i mate-riali più nobili della tradizione architetto-nica, con un’attenzione ad un gusto tuttocontemporaneo.Sulla Scalea Bruno Zevi è l’ingresso allaGalleria d’Arte Moderna progettata daCesare Bazzani il punto di fuga dell’instal-lazione, a sottolineare come il gemellag-gio tra Arte e Architettura sia il protagoni-sta assoluto dell’evento. Dalla prima in-stallazione, trattata nella finitura lucentedella foglia d’oro, parte il nostro viaggioverso le altre postazioni.Valle Giulia, la storica Facoltà di Architet-tura. Davanti alla scala che dava accessoall’ingresso originale dell’edificio proget-tato dall’architetto Del Debbio, l’installa-zione sottolinea l’impostazione simmetri-ca della costruzione e il trattamento dellafinitura in travertino si accorda alla pree-sistenza. Dando le spalle alla Facoltà sipuò notare la disposizione degli alberi,piant ati a formare una sorta di galleria na-turale.Nella Valle dei Platani, caratterizzata dallapresenza degli alberi secolari, la ”U” im-

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CELEBRAZIONE DEL BICENTENARIODARWINIANO – 1 APRILE/1 LUGLIO 2009Installazioni EV_ULuogoRoma, Valle delle Accademie, Villa BorgheseEnte promotoreSesam 2009, Facoltà di Architettura “Valle Giulia”, Ente BioparcoProgettoArch. Massimo Zammerini, Arch. Renata Cristina MazzantiniSponsorOikos – Migliorare la vita con il coloreClaudio Balestri, Roberto Lugaresi.RealizzazioneFrames – Ezio Prato, Andrea Colini, Lorenzo Prato, Alessandra Del Bianco

pone rispetto al paesaggio naturale la mi-sura dell’astrazione geometrica. La regoladell’architettura si afferma per differenzarispetto alle leggi organiche della Natura,rivendicando il principio della razionali-tà. Una differenza resa esplicita dalla for-ma architettonica e dalla finitura matericae cromatica in acciaio.All’ingresso di Villa Borghese a Porta Pin-ciana la “U” è collocata sull’asse che lega ilportale storico di accesso al viale alberato.Il visitatore è costretto a girarci intorno,per poi riprendere il cammino lungo ilpercorso rettilineo.Nel “portale rovesciato” la superficie ètrattata con la finitura corten, che ben in-terpreta il principio di emulazione ed evo-luzione che connota questa installazione.Il percorso termina al Bioparco, dove siera prevista un’ubicazione della strutturaeffimera centrata sull’ingresso magistral-mente disegnato da Brasini e Barluzzi, poiallocata in posizione laterale. Il materialedell’ardesia naturale evocato nella finituradelle superfici è un omaggio alla bellezza eall’unicità della materia grezza che unita-mente al carattere astratto della forma ar-chitettonica della “U” rivela il rapportotra Astrazione e Natura.

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Pagina a fianco:• Installazione Travertino davanti alla

facoltà di Architettura Valle Giulia

In questa pagina, dall’alto:• Installazione Acciaio nella Valle dei

Platani a Villa Borghese• Installazione Corten all’ingresso di

Villa Borghese su Via Pinciana

La componente ambientale dello Svi-luppo Sostenibile suggerisce la ne-cessità di strumenti in grado di gui-dare le scelte progettuali e realizzati-

ve quantificando gli inevitabili impattiambientali causati dalle attività umane, alfine di ridurli. In tale ambito, il riferimento più avanzatoè l’approccio Life-Cycle Thinking (LCT),che oltre a fornire uno strumento operati-vo per la valutazione degli impatti am-bientali quale è l’Analisi del Ciclo di Vitao Life Cycle Analysis (LCA), costituisceun supporto concettuale fondamentale edevoluto.L’elaborazione di una LCA segue le indi-cazioni delle norme ISO che a partire dal-la 14040 del 1998, offre riferimenti per lacorretta applicazione dell’analisi del ciclodi vita. La procedura si articola in quattrofasi: • definizione degli obiettivi dello studio;• inventario delle sostanze consumate ed

emesse dal sistema analizzato;• valutazione degli impatti;• analisi dei risultati e valutazione dei mi-

glioramenti.La definizione degli obiettivi é la fase preli-minare di pianificazione iniziale che gui-derà le procedure di raccolta ed elabora-zione dati durante la fase dell’inventario.Entrambe si concludono con la valutazio-ne degli impatti, un processo tecnico-quantitativo che analizza gli effetti causatiall’ambiente dalle sostanze consumate edemesse identificate nell’inventario. Infine, la fase di analisi dei risultati e valu-tazione dei miglioramenti interpreta i ri-sultati in relazione agli obiettivi dello stu-

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LIFE CYCLE ANALYSISPER UNA PROGETTAZIONESOSTENIBILEGiuseppe Piras, Adriana Sferra

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Aa cura di Carlo PlatoneI M P I A N T I

L’analisi del Ciclo di Vita applicata alsistema edificio-impianto indirizza ilprocesso edilizio verso soluzioni eco-compatibili.

dio, attraverso l’identificazione dei fattorisignificativi e le raccomandazioni per lariduzione degli impatti.Durante la fase di valutazione degli impat-ti, si misurano gli effetti sull’ecosistema esulla salute dell’uomo, indotti dal sistemaanalizzato nel corso del suo ciclo di vita.Su questa base si scelgono gli specifici va-lori caratterizzanti le varie categorie d’im-patto quali, malattie respiratorie causateda sostanze organiche e/o inorganiche,estrazione di risorse, uso del territorio, ef-fetto serra, impoverimento dell’ozonostratosferico, radiazioni, acidificazione edeutrofizzazione. La fase dell’inventario costituisce il cuoredi una LCA. In questa vengono identifica-te e quantificate tutte le sostanze in entrata(materie prime ed energia) ed in uscita(emissioni inquinanti) durante il processoanalizzato. Le quantità misurate di ogni so-stanza devono essere sempre riferite ad ununico parametro denominato unità fun-zionale, in modo tale da garantire la corri-spondenza reale con il sistema analizzato. La struttura concettuale della valutazionedegli impatti fa riferimento alla ISO 14042che la definisce e standardizza nelle fasi di:• Classificazione, inserimento di ogni so-

stanza nei/nel comparto di appartenen-za: materia prima, emissioni in aria, ac-qua e suolo.

• Caratterizzazione, quantificazione del-l’impatto generato dalle sostanze previa-mente classificate.

• Normalizzazione, determinazione del-l’impatto ambientale rispetto ad un fatto-re di normalizzazione variabile in funzio-ne del metodo di valutazione utilizzato.

• Valutazione pesata, moltiplicazione degliimpatti normalizzati per i fattori pesoscelti in funzione dell’importanza si ri-tiene abbiano i tre paradigmi principaliecologia, salute umana e risorse. Il risul-tato della valutazione, espresso in Punti(Pt), rende possibile la lettura aggregatadel comportamento del processo rispet-to alle categorie di danno.

L’unità di misura degli impatti ambientaliI metodi di valutazione, messi a punto alivello internazionale per misurare il dan-no ambientale, hanno elaborato appositeunità di misura per ognuno dei paradigmio effetti ambientali principali definiti dal-le norme ISO. Il metodo degli Eco-indi-catori olandese, p.e., esprime ogni catego-ria di danno, attraverso le seguenti unitàdi misura: la Salute Umana in Disability-Adjusted Life Years (DALY), la Qualità del-l’Ecosistema in Potentially DissappearedFraction (PDF*m2yr), ed infine il Consu-mo delle Risorse in MJ surplus:

- DALY, quantifica il danno arrecato allasalute umana utilizzando una scala capacedi misurare la salute della popolazione.Essa comprende il numero d’individui in-teressati dal problema, il tempo sottratto aciascun individuo da infermità o morteprematura e la gravità della malattia. - PDFm2yr, misura la frazione percentua-le di specie a rischio di estinzione ogni an-no nell’area considerata. - MJ surplus, misura il decremento dellaqualità di una risorsa ed il corrispettivo in-cremento dello sforzo e dell’energia neces-saria per la sua estrazione. Nella primaparte della valutazione è modellato il de-cremento della concentrazione della ri-sorsa a causa dell’estrazione di materialegrezzo, nella seconda, le concentrazionidecrescenti vengono collegate al concettodi “surplus” d’energia.Questi valori successivamente normaliz-zati e pesati possono essere espressi attra-verso un unico indicatore ambientale mi-surato in punti (Pt). Meno punti si hanno

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CATEGORIE DI DANNO CATEGORIE DI IMPATTO UNITÀ DI MISURA VALUTAZIONE PESATA–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––salute umana sostanze cancerogene DALY

––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––malattie respiratorie da sostanze organiche DALY––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––malattie respiratorie da sostanze inorganiche DALY––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––cambiamenti climatici DALY––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––radiazioni ionizzanti DALY––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––assottigliamento dello strato dell’ozono DALY

––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––qualità ecotossicità PDF m2yrdell’ecosistema ––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

acidificazione/eutrofizzazione PDF m2yr––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––uso del suolo PDF m2yr

––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––risorse minerali MJ surplus

––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––combustibili fossili MJ surplus

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

unità di misura in Punti (Pt)

Pagina a fianco:• Impianto fotovoltaico integrato in

pensilina continua

In questa pagina, dall’alto:• Impianto fotovoltaico integrato in

pensilina discontinua di parcheggio• Tab.1 - Categorie di danno, categorie

d’impatto, unità di misura utilizzate nelmetodo degli Eco-indicatori

e migliore è il comportamento del proces-so analizzato nei confronti dell’ambiente.

La metodologia LCA applicata alla valutazione del sistema edificio-impiantoNella progettazione di uno spazio confi-nato è necessario considerare tutti i para-metri che possono influenzare le condi-zioni di comfort termoigrometrico. Imezzi a disposizione per garantire il be-nessere e la sicurezza al variare dei para-metri climatici esterni sono riconducibilia due grandi categorie: l’involucro edili-zio, sistema passivo, e gli impianti, siste-ma attivo. La giusta distribuzione deicompiti tra gli uni e gli altri rappresentauna garanzia per il controllo ed il benesse-re microclimatico interno, l’efficienzaenergetica ed economica. Al sistema edifi-cio impianto inoltre, viene oggi richiestoun comportamento ambientalmentecompatibile. L’applicazione della meto-dologia LCA indirizza l’intero processoedilizio verso soluzioni eco-efficienti. Nell’elaborazione di uno strumento ingrado di valutare l’impatto ambientale, econseguentemente l’indice di prestazioneambientale di un edificio, i dati di parten-za sono:• la tipologia edilizia;• l’ubicazione/orientamento;• le dimensioni dell’edificio;• la durata (prevista) della vita dell’edificio.Inoltre, lo strumento di analisi dovrebbeessere calibrato per ognuna delle destina-zioni d’uso. La valutazione deve conside-rare l’intero ciclo di vita dell’edificio e tut-te le fasi del processo. Di seguito si descri-ve e analizza il settore edilizio con le suepeculiarità, i suoi impatti e le possibilità divalutazione utilizzando la LCA.

La fase di Produzione si riferisce a tutti iprocessi necessari per ottenere ogni mate-riale edilizio e componente impiantistico,utilizzato nell’edificio, identificato dallesue caratteristiche tecniche, alla cui unitàfunzionale sarà riferita l’analisi. Per eseguire la valutazione ambientale re-lativa alla fase di produzione è necessarioconoscere il danno ambientale unitario,espresso in punti (Pt), riferito all’unitàfunzionale dei processi produttivi di ognisingolo materiale/componente utilizzato.Il risultato della valutazione è la somma-toria di ognuno dei punteggi unitari deldanno moltiplicati per le rispettive quan-tità utilizzate. La fase di Posa in Opera include tutti i pro-cessi che vanno dal prodotto finito fino al-la fase d’uso: l’assemblaggio, il trasporto,le attività di cantiere e le modalità d’in-stallazione. Ai fini della valutazione am-bientale associata al trasporto dei materia-li è necessario includere sempre i dati am-bientali relativi alle distanze percorse ed altipo di mezzo utilizzato.Nella Fase d’Uso gli effetti sull’ambiente esulla salute dell’uomo, si riferiscono allaquantificazione:- dei consumi energetici annui (e relativeemissioni inquinanti);- degli impatti ambientali causati dagli in-terventi di manutenzione;- delle emissioni indoor di composti orga-nici volatili (VOC).La Fase di Fine Vita fornisce uno scenario,basato sulla normativa di riferimento, divalutazione del danno ambientale dellediverse operazioni di smaltimento dei ri-fiuti derivati dalle attività di demolizioneparziale o totale (necessarie anche nel casodi interventi di manutenzione o riqualifi-

cazione), in funzione del tipo di rifiuti:inerti, pericolosi, non pericolosi e del pos-sibile riciclo, riuso, recupero o definitivoconferimento in discarica degli stessi.

La struttura dello strumento di valutazio-ne parte da quattro assunti:a) I consumi energetici durante la fased’uso dell’edificio, se soddisfatti attraver-so l’utilizzo di fonti energetiche non rin-novabili, sono la principale causa degliimpatti sull’ambiente. Da studi LCA rea-lizzati in Italia su diverse tipologie edilizieemerge che gli impatti associati al ciclo divita dell’edificio risultano essere dell’80%durante la fase d’uso (nella quale sono in-clusi i consumi di energia termica, i con-sumi elettrici per l’illuminazione, ed iconsumi di energia necessari per gli inter-venti di manutenzione), e del 20% duran-te la fase di produzione dei materiali ne-cessari per la realizzazione dell’edificio. b) La direttiva CE 89/106 sui prodotti dacostruzione consente l’immissione nelmercato di materiali solo se idonei all’im-piego previsto, quindi solo se soddisfano iseguenti requisiti essenziali:• resistenza meccanica e stabilità;• sicurezza in caso di incendio;• igiene, salute e ambiente;• sicurezza nell’uso;• protezione contro il rumore;• risparmio energetico e ritenzione di ca-

lore.Per adeguarsi alle nuove esigenze i produt-tori hanno cominciato a certificare i pro-pri prodotti e processi produttivi utiliz-zando le diverse etichettature elaborate inquesto ultimo decennio. A questo propo-sito esistono certificazioni quali l’Ecolabeleuropeo, l’internazionale Dichiarazione

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In questa pagina:• Canalizzazioni a vista in acciaio zincato per

impianto di condizionamento

Pagina a fianco, da sinistra:• Diffusori lineari installati a vista sul contro-soffitto

in legno• Impianto fotovoltaico integrato nell’edificio con

doppia funzione di chiusura orizzontale everticale

• Valutazione LCA degli impatti ambientaliassociati ad ognuna delle fasi del processoedilizio

Ambientale di Prodotto (DAP) ed l’olan-dese Milieu Relevante Product Informa-tie (MRPI).c) I trasporti risultano essere responsabili diuna significativa quota degli impatti sul-l’ambiente. Le variabili che influenzanoquesto comportamento sono la distanzapercorsa, il peso dei materiali trasportati edil tipo di trasporto e mezzo utilizzato. La di-stanza percorsa inoltre, se mantenuta entroun raggio di 100 km garantisce l’utilizzo dimateriali locali, (parametro già recepito inalcuni appalti pubblici). Questa condizio-ne favorisce la riduzione dell’ inquinamen-to e promuove le economie locali.d) La normativa, in tema di efficienza e ri-sparmio energetico in edilizia, imponeche: “nel caso di edifici pubblici e privati,è obbligatorio l’utilizzo di fonti rinnova-bili per la produzione di energia termicaed elettrica. In particolare, nel caso di edi-fici di nuova costruzione o in occasione dinuova installazione di impianti termici odi ristrutturazione degli impianti termiciesistenti l’impianto di produzione dienergia termica deve essere progettato erealizzato in modo da coprire almeno il50% del fabbisogno annuo di energia pri-maria richiesta per la produzione di acquacalda sanitaria con l’utilizzo delle predettefonti di energia”. Sarebbe opportuno, aifini di una completa valutazione degli im-patti ambientali, elaborare la LCA del-l’impianto di produzione di energia ter-mica utilizzato.

La metodologia LCA applicata alla valu-tazione degli impiantiNel caso specifico dei sistemi impiantisti-ci di produzione di energia per gli edifici,è lecito porsi la domanda di quanta ener-

gia e materia prima hanno richiesto peressere prodotti, istallati e dismessi e quan-ta energia sono stati in grado di produrreo semplicemente erogare durante il lorociclo di vita. Cosi nel caso dei sistemi fotovoltaici, delsolare termico, dell’eolico, del geotermi-co, occorrerà valutare gli impatti causatidalla produzione dell’impianto e con-frontarla con gli impatti risparmiati al-l’ambiente derivati dall’utilizzo di fontirinnovabili. Nel caso invece di sistemi cheutilizzano combustibili fossili, anche se adalta efficienza, la LCA è in grado di valu-tare la convenienza, soltanto dal punto divista degli impatti ambientali, dell’utiliz-zo di un sistema piuttosto che un altro.

I sistemi fotovoltaici (FV), p.e., che utiliz-zano fonti rinnovabili per produrre ener-gia, se installati su tetti o pareti già esisten-ti, causano un danno ambientale, valutatocon la LCA durante la fase d’uso, presso-ché nullo. I sistemi FV non integrati inve-ce, causano un danno all’ambiente in ter-mini di uso del suolo inoltre, a questi siste-mi non integrati si aggiunge la componen-te di alterazione visiva del paesaggio cheuno studio LCA non è ancora in grado diquantificare. Infine, in entrambe le tipolo-gie occorrerebbe valutare il danno associa-to agli interventi di manutenzione. Perqueste ragioni i sistemi FV appaiono, inprima analisi, una soluzione impiantisticacompatibile con l’ambiente.Se valutiamo invece il sistema, utilizzandola LCA durante tutto il suo ciclo di vita enon soltanto durante la fase d’uso, dovrem-mo includere gli impatti ambientali causatidurante la produzione dei moduli del siste-ma FV, fase nella quale i consumi di mate-

ria prima e soprattutto di energia utilizzatasono molto rilevanti. Le attività necessarieper trasformare le materie prime in modu-li pronti per essere installati includono laproduzione del silicio metallurgico (Si-MG), la purificazione del Si-MG in siliciodi grado elettronico (Si-EG), la cristallizza-zione ed il drogaggio, la produzione deiwafer e delle celle, l’assemblaggio dei mo-duli ed infine l’installazione dei pannelli. L’analisi dovrà inoltre includere gli impat-ti associati alla dismissione del pannello,fase per la quale ancora non esistono datiattendibili. E così, del totale di energia richiesta du-rante le lavorazioni precedenti necessarieper produrre p.e., 1 kWh di energia elet-trica da sistema FV in silicio policristalli-no installato in copertura a Roma, il 4% èstato consumato durante la produzionedel Si-MG, il 32% durante la purificazio-ne per ottenere il Si-EG, il 52% per la cri-stallizzazione ed il drogaggio, il 7% per laproduzione dei wafer e delle celle ed il 3%per l’assemblaggio dei moduli. I risultati preliminari di una analisi LCAtutt’ora in corso sono sorprendenti ed evi-denziano come, aldilà delle considerazio-ni economiche, siano necessari tempi diritorno dell’energia consumata per pro-durre l’impianto rispetto l’energia pro-dotta dall’impianto stesso (energy pay-back time) da 8 fino a 14 anni.Inoltre, dal momento che ai consumienergetici sono associate emissioni inqui-nanti, la compatibilità ambientale del si-stema deve anche confrontarsi con il dan-no causato da queste emissioni. Soltantodopo aver eseguito una analisi di ciclo divita avremo la “misura” di questa compa-tibilità ambientale.

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È opinione comune che la disciplinadel restauro, così come la intendia-mo oggi, abbia origini recenti1. Inparticolare il restauro architettoni-

co e, più in generale, gli interventi sui mo-numenti (intesi nell’accezione moderna piùestesa del termine) sono sempre stati conside-rati dalla maggior parte degli studiosi unacreazione moderna, legata a un diverso mo-do di confrontarsi con l’eredità del passato.Renato Bonelli, ad esempio, consideraval’attuale approccio al restauro architettonicouna “concezione tipicamente moderna, chemuove da un modo nuovo e diverso di consi-derare i monumenti del passato e di interve-nire su di essi, modificandone la forma visi-bile e l’organismo statico e strutturale2”. Egliriteneva che in precedenza mancasse la“consapevolezza storica della distinzione frapassato e presente” la quale, invece, oggi cipermette “di definire l’antico riportandolonella sua reale e storica dimensione3”. Nonmancano tuttavia opinioni dissonanti, co-me quella autorevole di Guglielmo De An-gelis d’Ossat che rifiutò di considerare “il re-stauro come un prodotto, anzi un sottopro-dotto culturale tipico della civiltà moder-na”. Il fenomeno riteneva invece dovesse “es-sere ricondotto nell’ambito continuo degli

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IL RESTAURO DEI VASI GRECIAlessandro Pergoli Campanelli

Intervista a Gianpaolo Nadalini, autoredi numerosi studi sulle antiche tecnichedi restauro nonché da molti annirestauratore per conto di importantimusei e istituzioni internazionali.

a cura di Giovanni Carbonara e Alessandro Pergoli CampanelliR

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interventi architettonici su edifici esistentiche si sono realizzati in ogni età4”. Una po-sizione intermedia fu quella assunta da Ce-sare Brandi, il quale riteneva che il restauro,considerato come un’attività “comunquesvolta per prolungare la vita dell’opera”,rappresentasse “un aspetto fondamentaledella cultura” che “è sempre esistito, sul pia-no delle esperienze empiriche”. Egli rilevavatuttavia come “nei tempi moderni, con losviluppo della critica e della tecnica, il re-stauro” avesse “acquistato un’assai più defini-ta consapevolezza dei propri scopi e mezzi5”.Appare evidente come Brandi, pur rimar-cando le diversità rispetto all’approccio mo-derno, riconosca comunque antiche originialla prassi del restauro, cosa del resto provatadall’evidenza di tanti interventi del passato.Tuttavia è assai difficoltoso rilevare anticheoperazioni di restauro e, soprattutto, capirnele intime motivazioni quando ci si trovi aesaminare opere d’architettura che, per la lo-ro stessa natura, sono state riparate e trasfor-mate numerose volte nel corso dei secoli.È invece relativamente più semplice studiareriparazioni, adattamenti o restauri eseguitinell’antichità su oggetti d’arte o di uso comu-ne. In questo particolare settore la comunitàscientifica internazionale si è interessata ne-

gli ultimi anni allo stu-dio delle antiche tecnichedi restauro. Si tratta d’in-terventi che in passato ilpiù delle volte venivanogenericamente catalogati(e spesso anche rimossi)da chi si occupava di rein-tegrare o presentare almeglio i reperti.Le indagini condotte su

molti oggetti antichi da alcuni restauratoriprofessionisti che operano in importantimusei internazionali come Renske Dooijes6,Olivier Nieuwenhuyse e Angelica Schone-Denkinger7, dimostrerebbero, infatti, l’esi-stenza della pratica della riparazione di og-getti ceramici sin dalle epoche preistoriche.Speciale attenzione merita l’opera di Gian-paolo Nadalini, autore di numerosi studisulle antiche tecniche di restauro nonché damolti anni restauratore per conto di impor-tanti musei e istituzioni internazionali. So-no suoi gli interventi di restauro effettuatinegli ultimi vent’anni sui vasi più importan-ti esposti nelle sale del Dipartimento delleantichità greche, etrusche e romane del mu-seo del Louvre, come anche quelli sulle colle-zioni greche dei musei d’Avignone, Tolosa,Rouen e Montauban; egli ha inoltre portatoa termine di recente una serie di restauri si-gnificativi al museo civico archeologico diBologna. Conservatore-restauratore presso ilcentro nazionale francese di ricerca e di re-stauro, membro della missione archeologicafrancese in Libia, attualmente svolge incari-chi internazionali per conto dell’IstitutoNazionale del Patrimonio di Parigi. È inol-tre uno dei maggiori esperti della storia dellacollezione archeologica del marchese Giam-

pietro Campana, confluita in Francia nel1861.In particolare alcuni suoi scritti8 dimostre-rebbero, in numerosi antichi interventi di ri-parazione (o restauro?) eseguiti su ceramichegreche in ambiente etrusco, l’utilizzo preva-lente di tecniche particolarmente raffinate eattente a non danneggiare le parti figurate;cosa particolarmente interessante perchéquesta circostanza si sarebbe verificata conmaggior frequenza su opere alle quali era at-tribuito, già nell’antichità, un particolarevalore artistico più che economico. Per com-prendere meglio i possibili collegamenti conl’attuale prassi del restauro ne abbiamo par-lato direttamente con Gianpaolo Nadalini.

D. Ritiene possibile che i recenti studisulle antiche tecniche di riparazione pos-sano aprire nuove prospettive all’internodel dibattito sulle origini del restauro esoprattutto del problema di pervenire auna loro datazione certa?R.Indubbiamente le opere di architettu-ra, con le quali mi si invita al parallelo,possono presentare complesse stratifica-zioni legate alle trasformazioni e agli adat-tamenti subiti nel corso della loro “vita”. Èil caso anche delle opere d’arte che ci pro-vengono dall’antichità senza essere transi-tate attraverso la fase archeologica come,per esempio, la statua equestre di MarcoAurelio. Tutti gli altri manufatti archeolo-gici hanno subito, con il sotterramento,un arresto brutale di tutte le stratificazio-ni volontarie. Per gli oggetti archeologicile riparazioni antiche fanno, senza dub-bio, parte di queste stratificazioni, chetuttavia non permettono, da sé, di esseredatate. Sono ancora il contesto e le carat-

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Pagina a fianco, in basso:• Gianpaolo Nadalini durante il restauro di uno

stamnos antico a figure rosse (Bologna, MuseoCivico Archeologico, rif. 28557)

In alto:• I segni di antiche suture, probabilmente

metalliche, (ora rimosse) in un cratere attico afigure rosse, attribuito a Eufronios, (510-500a.C.), Louvre, collezione Campana, rif. G 33(foto Michael Greenhalgh)

teristiche del manufatto che ci consento-no di datare la loro riparazione.D. In un suo recente articolo9 Lei parla di“quello che appare come il più antico ripri-stino” che “ risalirebbe all’età del bronzoantico (2200-1450 a. C.)”. Ritiene chequesti antichissimi interventi servissero arestituire funzionalità a oggetti altrimentiinutilizzabili – e quindi fossero legati amotivi d’uso o economici – o che invecegià in tempi remoti vi fossero ricomposi-zioni eseguite per altre finalità come adesempio la conservazione per fini devozio-nali, rituali, artistici o anche per il solo ap-prezzamento dell’antichità del manufatto?R.Nell’articolo al quale si riferisce ho sìaccennato a quest’antichissimo ripristinorisalente all’età del bronzo antico, tuttaviatale riferimento deve essere circoscritto alcontesto della mia ricerca effettuata nelsolo ambito dei musei siciliani. È quindipossibile che esistano altrove riparazionipiù antiche. Recentemente in una vetrinadel museo archeologico10 di Tirana, in Al-bania, ho individuato una ciotola, prove-niente dal sito di Maliq, riparata in antico,ugualmente databile all’età del bronzo.Come ho già avuto l’occasione di osserva-re, queste riparazioni non si riscontranosolamente su oggetti in ceramica che a noipossono sembrare di gran qualità. In real-tà, e non di rado, vasi che presentano unpo’ tutte le forme e talvolta completamen-te sprovvisti di decorazione si presentanoricuciti con suture metalliche. Che cosapossiamo immaginare sulla funzionalitàdi questi contenitori così riparati? È certoche quelli, anche di grandi dimensioni,primariamente destinati a conservare deiliquidi potevano pur sempre contenere,

dopo l’intervento di riparazione, derratesolide come le granaglie. Non bisognatuttavia perdere di vista l’ipotesi, al mo-mento non ancora sostenuta da mirateanalisi di laboratorio, che l’impermeabili-tà perduta al momento della riparazionepotesse essere recuperata mediante un’im-peciatura, attestata per certi tipi d’anforeda trasporto integre. Nulla vietava poi ditrasferire la tecnica d’impermeabilizzazio-ne degli scafi ai vasi riparati. Resta la ne-cessità di verificarlo materialmente.È poi probabile che, a fianco di queste ri-parazioni funzionali, legate a motivid’uso, ne esistano anche altre con finalitàpiù rituali o storico-artistiche. Mettereisenza esitare fra le prime quelle che si ri-scontrano sul materiale proveniente daisantuari o altri luoghi di culto. Alle secon-de attribuirei quelle riscontrabili sui cor-redi funerari. È il caso dei vasi prodotti dalceramista e ceramografo Euphronios, ri-trovati nelle necropoli etrusche.D. Lei da molti anni si occupa, per contodel museo del Louvre e di altre prestigio-se istituzioni internazionali, del restauroe dello studio di antichi oggetti e opered’arte: fra i tanti esempi attinenti, inqualche modo, al campo dei ‘restauri’antichi che ha avuto modo di conoscereha trovato sempre ricomposizioni di par-ti tenute insieme da leganti o da struttu-re di rinforzo di vario tipo (collanti, me-talli ecc.) o vi erano alle volte anche trac-ce di antiche reintegrazioni materiche,cromatiche o addirittura delle parti figu-rate? E ancora, ammesso che vi fosseroparti reintegrate, il loro aspetto cercavadi porsi in analogia con le parti residue -interventi che nella teoria del restauro

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chiameremmo di ‘ripristino’ - o vi sonocasi nei quali la distinguibilità delle ag-giunte era tollerata?R. Non conosco interventi antichi con in-tegrazioni materiche e cromatiche. La ri-parazione antica si limita a tenere o a ri-mettere insieme parti appartenenti gene-ralmente allo stesso oggetto. Dico gene-ralmente perché si sono conosciuti alcunirari esempi nei quali un vaso è stato com-pletato e ricucito in antico con l’ausiliod’un frammento estraneo. Il completa-mento mediante l’inserimento di fram-menti estranei diventerà poi una tecnicaalquanto banale con la riscoperta dell’an-tichità e durante tutto l’Ottocento.Riprendendo il filo della domanda, nonpenso che le parti integrate cercassero diporsi in analogia con le parti residue. Seproprio la vogliamo trovare, un’analogia ouna sintonia sarebbe più da ricercare nel-l’estetica espressa dalle civiltà presso lequali questi prodotti, d’origine greca, era-no approdati. Mi è parso, infatti, di rico-noscere un’estetica particolare negli inter-venti etruschi, nella circostanza che inmolti di essi si fossero praticati dei puntidi sutura in modo tale da non deturpare ladecorazione figurata.Due coppe11 attribuite al ceramista Sota-dès, quindi fabbricate ad Atene attorno al450 a.C., rinvenute nel 1879 a KleinAspergel12 in Germania, ci permettonod’identificare un approccio al restauro an-cora differente, espressione probabile del-l’estetica dei Celti. Sembra, in effetti, chesu queste due piccole coppe, delle qualiuna solamente si presenta decorata all’in-terno della vasca, l’intervento antico ab-bia voluto essere più che una riparazione.

• Reintegrazione antica con l’inserimento diparti estranee (il collo proveniente daun’anfora simile ma di circa vent’anniposteriore) in un’anfora in terracotta conl’apoteosi di Ercole attribuita al pittore diBareiss (Atene 530 –520 a.C. circa), Malibù,J. Paul Getty Museum

Pagina a fianco:• Coppe del vasaio Sotadès rinvenute a Klein

Aspergel, con antiche suture in oro decoratesecondo lo stile dell’epoca(Württembergisches Landesmuseum, Stuttgart)

Infatti, le suture “classiche” sono state ri-vestite13 di lamine d’oro con forme e deco-razione che non sono greche e che sem-brano conferire alle due coppe un sensoparticolare di preziosità.D. Gli interventi etruschi sui vasi d’auto-re dimostrano intenzionalità storico-cri-tiche o, almeno, legate all’apprezzamentodel valore artistico? Mi sembra di capireche vi fosse un certo rispetto reverenzialedelle parti figurate eseguite da famosi eapprezzati artisti quali Euphronios e altri.Dal numero e tipo d’interventi che hastudiato e da quelli più comunemente co-nosciuti in ambito scientifico internazio-nale, pensa che si possa parlare, nell’anti-chità, di botteghe specializzate in ‘ripara-zioni’ o addirittura dell’esistenza di scuo-le di restauratori o invece, più semplice-mente, crede che gli autori delle ripara-zioni fossero artigiani comuni?R. È impossibile identificare mani diffe-renti che avrebbero realizzato le singole ri-parazioni in antico visto che le tecniche dibase non variano e che, come abbiamo ap-pena accennato, non si effettuavano inte-grazioni. L’eventuale differenziazione sipotrebbe rilevare sulla scelta dei puntid’intervento e sulla loro invasività. Il che èmolto poco.D. Ha riscontrato analogie nelle tecni-che o nei metodi fra le riparazioni ese-guite sulle ceramiche e quelle presenti susculture in marmo o pietra o su oggetti inbronzo?R. Mi è difficile immaginare, per l’anti-chità, botteghe specializzate nelle ripara-zioni dei manufatti in ceramica. Le tecni-che messe in opera erano quelle disponi-bili presso gli artigiani del metallo (calde-

raio) e della pietra, questi infatti dispone-vano degli strumenti per forare e fonderemetalli. Ci sono quindi analogie...Senza voler suggerire paralleli azzardati,non bisogna dimenticare che in un passa-to, anche molto recente, le stoviglie eranoriparate da artigiani assolutamente nonspecializzati e spesso ambulanti.D. In conclusione, quindi, qual è la suaopinione nei confronti di questi antichiinterventi: pensa che siano accostabili alnostro modo attuale d’intendere il re-stauro?R. Il restauro come lo concepiamo oggi èsicuramente un concetto d’origine recente.Esso, infatti, non si accontenta più di pro-lungare la vita di un oggetto (archeologiconel nostro caso) ma costituisce, parafrasan-do Cesare Brandi, il momento metodolo-gico del riconoscimento dello stesso ogget-to (archeologico), nella sua consistenza fisi-ca e nel suo doppio potenziale, informativoed evocatore, in previsione della sua tra-smissione alle generazioni future.

Grazie dottor Nadalini per la sua disponibi-lità. In definitiva, dagli antichi esempi di ri-composizioni eseguite su opere di rilevantevalore artistico, si evince un’attenzione a ri-creare l’unità dell’opera e, in molti casi, anchea rispettarne l’autenticità. Nulla possiamo an-cora sapere sulle intenzionalità di chi realizzòquesti antichi interventi di riparazione ma,indubbiamente, si può rilevare come nelmondo antico coesistessero sensibilità artisti-che e capacità tecniche assai diverse: alcunefra queste appaiono – seppur ancora distanti– pertinenti alla moderna teoria del restauroe meritevoli di essere indagate, in futuro, consempre maggior attenzione.

1 “Le mot et la chose sont modernes”: VIOLLET LE

DUC, EUGÈNE EMMANUEL, voce Restauration in:Dictionnaire Raisonné de l’Architecture Française duXIe au XVIe siècle, Tomo VIII, Paris, A. Morel & C,s.d. (ma 1865); “Il restauro è atto che presupponenon solo interesse per l’oggetto da restaurare, ma unraggiunto grado di maturità storico-critica”: PERO-GALLI, CARLO, Pregiudiziale a una storia del restauroarchitettonico in Architettura e restauro: esempi di re-stauro eseguiti nel dopoguerra, Milano, Görlich, s.d.[1954?], p 7.2 Voce Restauro (Il restauro architettonico), in Enci-clopedia Universale dell’Arte, vol. XI, Venezia-Roma1963, col. 344.3 Ibidem.4 “Restauro: architettura sulle preesistenze diversa-mente valutate nel tempo”, in Palladio, III s.,XXVII, 1978, 2, p. 54.5 Voce Restauro (Concetto del restauro; problemi gene-rali), in Enciclopedia Universale dell’Arte, vol. XI,Venezia-Roma 1963, col. 344.6 Renske Dooijes, restauratrice di ceramiche e vetripresso il Rijksmuseum van Oudheden di Leiden co-ordina per conto dell’ICOM un gruppo di ricercasui restauri antichi (History of ConservationGroup).7 SCHONE-DENKINGER, ANGELICA, Reparaturen,antik oder nicht antik? Beobachtungen an rotfigurigenKrateren der Berliner Antikensammlung und Anmer-kungen zur Verwendung geflickter Gefäße in der Anti-ke, in BENTZ, MARTIN e KÄSTNER, URSULA, a curadi, Konservieren oder Restaurieren. Die Restaurierunggriechischer Vasen von der Antike bis Heute, (Corpusvasorum antiquorum, 3) München, Verlag C.H.Beck, pp. 21-28.8 NADALINI, GIANPAOLO, Considerazioni e confrontisui restauri antichi presenti nelle ceramiche scoperte aGela, in Ta Attika – attic figured vases from Gela, acura di PANINI, ROSALBA e GIUDICE, FILIPPO, Ro-ma, L’Erma di Bretschneider, 2004, pp. 197-205 eID., Restauri antichi su ceramiche greche – Differen-ziazione dei metodi, in MARTIN BENTZ, URSULA

KÄSTNER, op. cit., pp. 29-34.9 NADALINI, GIANPAOLO, op. cit, 2007, pp. 29-34. 10 Museo del Centro di Studi d’Albanologia (Quen-dra e Studimeve Albanologjika).11 Ringrazio Marie Berducou, professoressa all’Uni-versità di Parigi I, per aver attirato l’attenzione suquesti oggetti nell’ambito del suo seminario di lau-rea in conservazione preventiva. Le due coppe si tro-vano al Württembergisches Landesmuseum, Stutt-gart.12 AA. V.V., Trésors des princes celtes, a cura di Jean-Pierre MOHEN, Paris, R.M.N., 1987, pp. 259-260.13 La scheda del catalogo parla in realtà d’incollaggisenza tuttavia precisarne la natura.

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LA PERMANENZADELL’INSTABILITÀ E L’INVENZIONEDEL PAESAGGIOMODERNO

a cura di Annalisa Metta

A 100 anni dalla nascita delmaestro brasiliano i contributi diCarlo Bruschi, Fabio Di Carlo,Giulio Gino Rizzo, Piero OstilioRossi e Franco Zagari.

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a cura di Lucio Carbonara e Monica Sgandurra

ROBERTOBURLE MARX

L a permanenza dell’instabilità è il tito-lo della mostra che, prima a Rio deJaneiro, poi a Sâo Paulo, celebra Ro-berto Burle Marx a 100 anni dalla

sua nascita e 15 dalla sua scomparsa. Untitolo che coglie il dualismo virtuoso tradue componenti centrali nella sua opera:la forte pervasività della visione estetica el’unisono con i tempi e i modi del mutar-si degli elementi naturali. B.M. realizzal’idea moderna dell’opera d’arte totale,dove tutto, finanche il luogo, finanche ilpaesaggio e i suoi elementi concorrono alcompimento di un’ossessione figurativa,come insieme di forme, colori, texture dacomporre, trasporre, tatuare. Si rileva spesso, a ragione, l’importanzanella sua formazione degli studi d’arte:l’Accademia di Rio e la scoperta, duranteil soggiorno in Europa del 1928-29, diVan Gogh, di cui visitò la prima persona-le a Berlino, Arp, Leger, Ozenfant, Matis-se; dell’educazione musicale al ritmo, al-l’armonia, alla dissonanza, ricevuta dallamadre; della passione scientifica ed esteti-ca per la flora tropicale, rivelatasi fortuita-mente nelle serre dell’orto botanico diDahlem, a Berlino. Pari importanza rive-stono i suoi studi al Corso di Architetturadell’EBA di Rio (che precedono quelli inArti visuali), sotto la guida di Lucio Co-sta: B.M. incarna e inaugura il ruolo del-l’architetto del paesaggio contemporaneo,creatore e modellatore di spazi intesi co-me luoghi dell’abitare. Il suo connubio con Niemeyer, Reidy, Le-vi, Le Corbusier produce un risultato uni-co, per molti versi opposto a quanto av-viene in Europa: il Movimento Modernoin Brasile non può rinunciare al giardino.

Mentre la Carta di Atene teorizza ed enun-cia il principio del piano verde uniforme,indifferenziato e continuo come supportoneutrale e bidimensionale per gli edifici1,B.M. offre un’interpretazione inedita delprogetto degli spazi aperti - con l’approc-cio simultaneo del botanico, dell’ecologo,del pittore e dell’architetto - lontana dalnaturalismo pittoresco con cui il Moder-no ha spesso proposto la presenza della ve-getazione nelle città2. Lo dimostrano glioltre 500 progetti realizzati – giardini pri-vati, spazi e parchi pubblici, giardini mi-nisteriali, sistemazioni urbane – per lo piùassimilabili a macrografie pantografate alsuolo di dipinti astratti, con figure bio-morfe, dominate dall’accostamento di co-lori, materiali, geometrie consonanti o incontrasto. L’uniformità delle campituredei dipinti, piatte e piene, nel giardino siarricchisce per la varietà delle piante tro-picali, per la gamma delle loro tessiture,per il loro modo di riverberare la luce; vi simanifesta una libera integrazione tra for-me organiche di matrice purista e le possi-bilità espressive della flora, dell’acqua,

della pietra. A quanti sostenevano che neisuoi giardini le piante erano come i pan-toni e il suolo come la tela, Burle Marx ri-spondeva che in realtà un giardino è fattodi materiali suoi propri diversi: la luce, ilmovimento, lo svilupparsi nel tempo el’estendersi nello spazio. Così, ripercorren-do la sua opera, si passa dalle prime realiz-zazioni prevalentemente minerali – PraçaSalgado Filho, Ministero della Salute e del-l’Educazione (Rio de Janeiro, 1938) – aigiardini degli anni Cinquanta, in cui l’in-tenzione estetica si coniuga con una sensi-bilità ecologica giunta a piena maturità econ l’assoluta padronanza nella disposizio-ne delle piante, consapevole del loro inces-sante mutare – giardino per Odette Mon-teiro (Corrêas, Petrópolis, 1948), giardinoper Olivo Gomes (Sâo José da Campos,Sâo Paulo, 1950).Altro contributo cruciale alla cultura ar-chitettonica modernista è la riabilitazionedella presenza del pubblico, anticipazionedei temi dell’architettura dei comporta-menti che ci proiettano già nel contempo-raneo3. Emblematica in tal senso è la pas-

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Pagina a fianco, dall’alto:• Roberto Burle Marx• Calçada (tipico pavimento portoghese) del

condominio São Luiz – Promon, São Paulo (© Serlunar)

In questa pagina:• Giardino per Francisco Inácio Peixoto,

Cataguases (© Ana Rosa de Oliveira, Ed. Dantes)

seggiata di Copacabana, che ha per Rio lostesso ruolo che per New York riveste ilCentral Park: al di là – o forse a causa –della straordinaria invenzione figurativa(mosaici con motivi astratti in pietra nera,bianca e marrone, si distendono ininter-rotti per i sei chilometri di lunghezza del-la spiaggia, visibili come un’unica immen-sa tela dalle finestre degli hotel del lungo-mare), il valore di questo luogo è nel suoessere uno spazio aperto di servizio per icittadini che lo interpretano liberamente,un grande palco dove gli attori più diversi– per età, etnia, estrazione sociale – agi-scono la scena costruendola con i proprimovimenti, con i propri suoni, con i pro-pri colori. È una lezione da far tremare ipolsi: la più ampia libertà d’usi e compor-tamenti sposa di una delle più forti con-notazioni figurative e spaziali del paesag-gismo contemporaneo.Oltre alla mostra di Rio e Sâo Paulo, ilcentenario è stato ricordato da un impor-tante colloquio internazionale tenutosinello scorso maggio allo IUAV, in collabo-razione con le università di Genova e Reg-

gio Calabria. Sorprende invece l’under-statement del 46° Consiglio MondialeIFLA che quest’anno si è svolta proprio aRio de Janeiro (20-24 ottobre). Nel frat-tempo numerosissimi sono gli studi e lericerche condotti negli ultimi anni sulmaestro brasiliano alcuni in corso di pub-blicazione. Tra questi, Paisagens privadas.Roberto Burle Marx (tra le illustrazioni diqueste pagine, in anteprima alcune foto-grafie tratte dal libro, edizioni Dantes) incui l’autrice, Ana Rosa de Oliveira, racco-glie autorevoli saggi critici su alcuni deigiardini residenziali progettati da B.M. alfianco di importanti architetti brasilianinegli anni 1940-70, in aree rurali o semi-rurali, con una preziosa documentazionegrafica di ogni progetto. Come omaggio al maestro brasiliano, pre-sentiamo le parole inedite di alcuni tra iprincipali esponenti romani della culturadel progetto di paesaggio (che ringraziamoper aver accettato l’invito), cui abbiamochiesto di racchiudere in pochissime righeun ricordo, una testimonianza, un pensie-ro sul maestro brasiliano e sulla sua eredità.

CARLO BRUSCHI Chi era questo Burle Marx?Mi guarda da una vecchia foto in bianco enero, sorridendo dietro gli occhiali con lamontatura scura e i baffi brizzolati, e mo-strando con aria ironica, in maglietta e cal-zoncini sullo sfondo della lussureggiante ve-getazione brasiliana, il frutto di una delletante piante esotiche di cui amava circon-darsi. Dopo aver studiato tutte le altre - cer-cando tra i suoi progetti e le sue realizzazio-ni un’idea, uno spunto o, meglio, una lezio-ne - è su questa immagine delle prime pagi-ne del libro che amo sempre tornare.Delle persone importanti, dei personaggi, miintrigano sempre le vicende umane: chi eraquesto Burle Marx dall’aspetto di un mare-sciallo in pensione perennemente in vacan-za? Non lo saprò mai, purtroppo. Pittore,scultore, orefice, architetto, scenografo, ricer-catore e botanico militante (ha dato il suonome a diverse nuove specie vegetali) ha scel-to infine di esprimersi attraverso la paesaggi-stica, che queste arti e discipline armonizza eintegra. Sebbene la definizione della sua ar-te sia ancora sfuggente, le sue opere, ricche divene poetiche e di impulsi ribelli, ne hannofatto un innovatore e un caposcuola.

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In questa pagina, da sinistra:• Largo da Carioca, Rio de Janeiro (© W.

Dazzle)• Giardino all’ultimo piano del Ministero degli

Esteri (Palácio do Itamaraty), Brasilia (©Marco Burrascano)

Pagina a fianco, in basso:• Passeggiata di Copacabana, Rio de Janeiro

(© Ricardo de Vicq)

FABIO DI CARLO Tre buoni motivi per studiare Roberto Burle MarxChe dire di nuovo su un autore amato e in-dagato come Roberto Burle Marx? Poco onulla. Vorrei solo sottolineare tre tra i nume-rosi buoni motivi per continuare a studiarea lungo la sua opera. Anzitutto Burle Marxcomincia a lavorare negli anni 30 ed è il pri-mo paesaggista del Moderno a tutto tondo.Ridisegna i tratti propri della figura profes-sionale e lavora al rapporto tra architetturae paesaggio ampliando il lavoro a nuove di-mensioni e luoghi: dal giardino al territorio,inventa lo spazio pubblico e la centralità delrapporto con il fruitore. E proietta così unavisione sul paesaggio fino alla contempora-neità.Poi penso alla radicalità del suo approccio alprogetto, di natura concettuale, materiale etecnica, etica e estetica. Se ci soffermiamo astoricizzare ed attualizzare alla contempo-raneità la sua opera, ci appare come sin dal-le prime opere egli attui un livello di speri-mentazione al cui confronto strumenti eforme attuali di diffusione e globalizzazionedel paesaggio (Burle Marx universale, mamai globale) perdano buona parte del lorosmalto.Infine l’idea di l’Arte e di Arte dei Giardini,come chiavi di congiunzione e strumenti diformalizzazione e crescita dei mutamentidella società. Come mezzo per attuare unasorta di sincretismo che coniughi modernitàe identità o che ci aiuti a valorizzare la mi-steriosa dialettica tra osservazione e fisicitàdel paesaggio, tra senso e forma propri deiluoghi dell’abitare e delle sue continue tra-sformazioni.

GIULIO GINO RIZZORoberto Burle Marx: il Maestro del NovecentoCon circa 2500 progetti, Roberto Burle Marxè stato uno dei maggiori progettisti del Nove-cento. Un lavoro enorme, svolto in oltre ses-sant’anni, senza alti e bassi, senza alcuna ri-petizione, privo di quella sorta di manierismodi se stesso. La qualità dei suoi progetti è statacostantemente alta, costellata da significativi acu-ti, che hanno significato altrettante innovazioninel campo della progettazione paesaggistica.Una vita trascorsa in mezzo alla natura, unasingolare propensione alla ricerca e alla sco-

perta, un’originale attitudine – che ha rasen-tato il maniacale – alla raccolta e alla con-servazione, un’inusitata capacità percettiva especulativa, un’inconsueta abilità segnica,una desueta consuetudine artigianale, unarara apertura verso la sperimentazione e ilnuovo, un’insolita e contemporaneamenteantica curiosità sovra-disciplinare, una for-tissima attenzione verso la collettività e i suoisogni e bisogni, una rara tensione affettiva –quasi uno stato di necessità – verso gli amici,una sensibilità paterna verso i collaboratori ei suoi dipendenti, in sintesi gli ingredienti delfare paesaggio di Roberto Burle Marx.

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PIERO OSTILIO ROSSI L’estetica della mobilità, della fluidità e del movimentoRicordo il momento in cui ho cominciato acomprendere l’importanza e la specificità dellavoro di Burle Marx. Nel 1976 disegnavopiccoli giardini e nel numero di aprile deL’Architettura Bruno Zevi dedicò ampiospazio ai suoi progetti; l’articolo si apriva conuna scenografica sequenza del grande arabe-sco urbano dell’Avenida Atlantica che costeg-gia la spiaggia di Copacabana a Rio de Ja-neiro. I disegni erano stampati in magenta in

modo da rendere ancor più pittorico un segnocorposo che si dilatava in campi estesi per poisfrangiarsi e farsi sinuoso sino ad annodarsi eavvolgersi in onde o in recinti mistilinei incui le linee curve prevalevano decisamentesulle spezzate diffondendosi liberamente sul-le superfici. Mi incuriosì di quei progetti lacapacità di affrontare il tema del paesaggioalle più diverse scale e la maestria del giocoduale tra forme geometriche e linee curve incui ritrovavo il Corbu a cui mi sentivo piùvicino, quello di Amhedabad, di Ronchamp,di Chandigarh, fino al piano di Berlino.

Solo più tardi avrei riconosciuto temi che og-gi mi interessano di più: lo spazio aperto co-me elemento unificante della scena urbana,l’intersezione tra la qualità astratta dellaforma e l’opulenza tridimensionale della ve-getazione, la natura sottilmente magica del-le figurazioni, l’uso competente delle piantecome materiale da costruzione, l’idea dicampo cromatico come base della composi-zione. Oggi mi affascina l’estetica della mobilità,della fluidità e del movimento che promanadall’Aterro do Flamenco di Rio.

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1 “Il giardino pubblico diviene verdeurbano e territoriale: conquista unapresenza propagata, ma perde soventela sua riconoscibilità formale, trasfor-mandosi in materia diffusa e intersti-ziale, incerta nel suo contenuto com-positivo” Franco Purini, Per i piaceridel popolo, Zanichelli, Bologna, 1993,p. 3012 Pensiamo al modello della foresta sel-vaggia, mutuato dal parco parigino di

Monceau, proposto da Le Corbusierper la Ville Verte: “(…) sotto l’aspettoestetico l’incontro degli elementi geo-metrici degli edifici con gli elementipittoreschi della vegetazione costitui-sce una combinazione necessaria e suf-ficiente al paesaggio urbano” Le Cor-busier, Urbanistica, Il Saggiatore, Mi-lano, 1967, p. 2283 “È possibile, al giorno d’oggi, passeg-giare nei boschi di Versailles o nella fo-

resta di Saint Germain-en-Laye e senti-re solo una profonda malinconia. Mase immaginiamo questi luoghi popola-ti da cacciatori splendidamente vestiti,con spettatori ricoperti di piume e gio-ielli, rilucenti di sete e satin, la malin-conia svanisce e i viali e i piazzali ritro-vano nella nostra mente il loro sensooriginario. (…) i giardini furono ideatiaffinché le persone camminassero econversassero al loro interno, diven-

tando parte integrante del progetto. Èstato il secolo XIX a escludere la figuraumana dal progetto dei giardini dise-gnati, non solo introducendo oggettifissi da ammirare, ma anche determi-nando punti di vista da dove poterli ap-prezzare; questa tendenza ancora ogginon è del tutto scomparsa” RobertoBurle Marx, “Il giardino come formad’arte”, 1962 ora in Boifava, D’Am-bros, 2009.

• Giardini acquatici per il Ministero degli Esteri (Palácio do Itamaraty), Brasilia (© Marco Burrascano)

FRANCO ZAGARI Ricordando RBMGentile, iperattivo, ironico, faceto, mentre ciparlava dipingeva e cantava, il suo studio a leAranjeiras era un carro di Tespi, una folla diclienti per lo più donne, grande allegria, fiumidi caffè, fra tessuti, sculture e disegni; a Gua-ratiba si visitava l’ampia tenuta, lui claudi-cante sembrava che danzasse, qui il suo cantoera una specie di rap e aveva imparato a scam-biarsi battute con le rane dello stagno, si man-giava bene e beveva meglio, si assopì a tavolacome pare avesse fatto quando presiedeva lagiuria de la Villette nel momento cruciale fraTschumi e Koolhaas, interrogato sui suoi allie-vi, se lasciasse una scuola, cambiò argomento.La sua forza è stata nell’avere inventato il pae-saggio brasiliano la cui grandezza fu di esem-pio al mondo, antesignano di una battagliaambientalista, intellettuale impegnato, esplo-ratore e botanico appassionato, un paesaggioper ricchi e uno per poveri, privato e pubblico,con invenzioni come il tetto giardino puristanel ministero della Salute, che credo a Le Cor-busier non debba essere per niente piaciuto, lesedute sinuose senza fine, la grafia pop delleonde di Copacabana che altro non sono che unmotivo ingrandito delle pavimentazioni bi-crome della colonizzazione portoghese e poil’eterno (sgradevole) confronto con Niemeyer.Roberto Burle Marx, grande maestro dallagrande ombra, prese tutto con voracità e tut-to con generosità restituì: foresta madre,giardino inglese, arte primitiva, arte baroc-ca, arte purista, Arp, Brancusi, influenza –forte – giapponese, e le forme delle piantestesse, dal Certão alla Caatinga. Curiosa-mente della cultura popolare prese poco, evi-tò qualsiasi esoterismo, la sua scrittura non èquella di Amado, dal contenuto simbolicodel giardino e dal suo mistero sembra essersiritratto pudico, l’ultimo dei bandeirantes el’ultimo dei moderni, forse perché in fondoparente meno lontano di quel che non si cre-da del grande Carlo suo omonimo…

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BIBLIOGRAFIA

ADAMS, William Howard, RobertoBurle Marx: The Unnatural Art of theGarden, Museum of Modern art,New York, 1991Il catalogo della perso-nale dedicatagli dal MoMa, con unapreziosa raccolta di disegniBARDI, Pietro Maria, Il giardini tropi-cali di Burle Marx, G.G. Gorlich, Mi-lano, 1964La prima monografia sull’opera di B. M.comprende la sua produzione tra il 1930e il 1960BERRIZBEITIA, Anita, Roberto Bur-le Marx in Caracas: Parque del Este,1956-1961, Penn Studies in Landsca-pe Architecture, University of Pennsyl-vania Press, 2005Racconta il rapporto tra il progetto perCaracas e il contesto culturale del “ri-nascimento latino-americano”BOIFAVA, Barbara; D’AMBROSMatteo, a cura di, Roberto BurleMarx: un progetto per il paesaggio, Ve-nezia IUAV, 2009La traduzione integrale e inedita in Ita-lia di tre conferenze di B. M., illustratadai disegni dell’autore. Ricca bibliogra-fia DOURADO, Guilherme Mazza,Modernidade verde: Jardins de BurleMarx, Senac São Paulo e Edusp, 2009Lo studio, appena pubblicato, si concen-tra sulle decadi dal 1930 al 1960, evi-denziando le relazioni dell’opera diB.M con il contesto storico-culturalebrasiliano e internazionaleFLEMING, Laurence, Roberto BurleMarx - um retrato, Editora Index, Rio deJaneiro, 1996; Art Books International,London, 1996 Un’esaustiva biografia e una retrospet-tiva critica. Fotografie di H. OnoHAMERMAN, Conrad, “RobertoBurle Marx: the last interview”, in:The Journal of Decorative and Propa-ganda Arts, 1995, 21, pp. 76-85LEENHARDT, Jacques, a cura di,Dans les jardin de Roberto Burle Marx,Actes Sud, Arles, 1994 Attraverso le opere, un’indagine sulle ra-dici geografiche e artistiche del pensierodi B.M. Saggi di J. Sgard, G. Clément,A. Maurières, J. P. Le Dantec e M. Ra-cineLORENZI, Harri; MELLO FILHO,Luiz Emygdio, The Tropical Plants ofRoberto Burle Marx. São Paulo: Insti-tuto Plantarum de Estudos da Flora,2001MONTERO, Marta Iris, Burle Marx:The Lyrical Landscape, Thames &Hudson, London, 2001 Manuale che raccoglie ventisei tra i piùnoti giardini di B. M, suddivisi in pub-blici e privati, con planimetrie, pur-troppo di rado autografe. Introduzionedi M. SchwartzMOTTA, Flávio L., Roberto BurleMarx e a nova visão da paisagem, No-bel, São Paulo, 1984Manuale sull’opera di B.M. che descri-ve e contestualizza la sua produzionetra il 1930 e il 1980OLIVEIRA, Ana Rosa, Tantas vezespaisagem. Entrevistas. Digital Grafi-ca/FAPERJ, Rio de Janeiro, 2007 Importante fonte di prima mano sulmetodo e il pensiero di B. M. a partiredalle interviste dell’autrice con il mae-stro e altri autori vicini tra cui Fernan-

do Tabora, Lucio Costa, Antonio Be-zerra BaltarOLIVEIRA, Ana Rosa, Hacia la ex-travasaria. La naturaleza y el jardín enRoberto Burle Marx, tesi di dottorato,Valladolid, 1998 A partire dalla lettura delle opere diB.M. degli anni 1930-1960, lo studiorintraccia gli elementi ricorrenti nelmetodo del maestro e i diversi elementiche concorsero alla sua definizione OLIVEIRA, Ana Rosa, “A conserva-ção de obras modernas. Estudo de ca-so de jardins restaurados de RobertoBurle Marx” in CORREIA, MariaRosa, (a cura di), Oficina de Estudosda Preservação, IPHAN, Rio de Janei-ro, 2008, pp. 203-214 Il saggio propone linea guida per la do-cumentazione e la conservazionedell’opera di B.M., prendendo avviodallo studio dei restauri condotti su al-cuni giardini del maestroRIZZO, Giulio G., Roberto BurleMarx: il giardino del novecento, Can-tini editore, Firenze 1992Il catalogo dell’omonima mostra orga-nizzata e diretta da G. Rizzo, tenutasia Firenze nell’inverno 1991-92, è tra ipiù completi manuali sull’opera diB.M.RIZZO, Giulio G., “L’opera di Rober-to Burle Marx”, in Comune di Roma,Temi di paesaggio, p. 36-45, Roma,1993RIZZO, Giulio G., “Il progetto deigrandi parchi urbani di Roberto Bur-le Marx”, in Paesaggio Urbano, vol. 4-5,1995, p. 82-89RIZZO, Giulio G., “Roberto BurleMarx: Una poetica naturale”, in Ar-chitettura del Paesaggio, vol. 13, 2005,p. 68-70RIZZO, Giulio G., “Roberto BurleMarx. Echi da una lunga lezione diprogettazione paesaggistica”, in Con-testi. Città, territori, progetti. Rivistadel Dipartimento di Urbanistica e Pia-nificazione del Territorio, n 3, Firenze,2008SIQUEIRA, Vera Beatriz, BurleMarx, Cosac e Naify, São Paulo,2001 Manuale storico sui caratteri ricorrentinell’opera di B. M. con particolare at-tenzione ai progetti per BrasiliaTABACOW, José, Arte e Paisagem -Roberto Burle Marx, Livros StudioNobel, São Paulo, 2004 Una raccolta di conferenze di B. M.: unracconto eccezionale del pensiero, delmetodo, della sensibilità dell’autore.Splendide fotografie d’epocaTÁBORA, Fernando, Dos Parques.Un equipo, Odebrecht/Embajada deBrasil, Venezuela, 2007Il racconto in presa diretta di uno deimomenti più fecondi dell’opera di B. M.tra il 1957 e il 1964 in cui si costituiscela Roberto Burle Marx y ArquitectosAsociados, che disegnò, tra gli altri, i pro-getti del Parque do Flamengo a Rio e delParque del Este a CaracasVACCARINO, Rossana, a cura di,Roberto Burle Marx: Landscapes Re-flected, Princeton Architectural Press,New York, 2000Saggi a firma di A. de Berrizbeitia, R.Vaccarino, L. Coelho Frota e S. SoaresMacedo sul tema del rapporto tra B. M.e la cultura artistica e architettonicadella modernità.

In questa pagina, dall’alto:• Passeggiata di Copacabana, Rio de Janeiro,

medium tra la città e l’oceano• Parete di maioliche nel giardino per Walther

Moreira Salles, Rio de Janeiro (© Ana Rosa deOliveira, Ed. Dantes)

Basta poco per accorgersi di quantosuccesso abbia raccolto negli ulti-mi anni il termine “qualità”, spe-cialmente tra quanti si interessano

a vario titolo di architettura.È probabile che questo sia dovuto a dueordini di motivi. Il primo ha a che fare conla diffusa insoddisfazione nei confrontidelle pratiche di trasformazione del terri-torio, alle diverse scale, che hanno sensi-bilmente peggiorato lo stato del nostropaesaggio rurale e urbano. Forse in nessu-na epoca precedente alla nostra il “nuovo”è stato così diffusamente valutato, e persi-no atteso, inevitabilmente peggiore del“vecchio”. Il perdurare dello stato di in-competenza e noncuranza che hanno de-terminato questa situazione ha generato,accanto allo scoraggiamento, al disimpe-gno ed al consueto “rassegnato” adeguarsialla prassi dell’arrangiarsi, un crescentenumero di richiami ad una virtuosa ricer-ca di qualità.Questa dinamica ha stimolato un insieme

variegato di reclami, la maggior parte deiquali carichi di buone intenzioni, forteognuno della possibilità di attribuire altermine “qualità” una propria interpreta-zione. Anche per questo la parola è così as-siduamente frequentata: fintanto resta ri-ferimento generico, ognuno può riferirlaad un proprio insieme di valori e financhead una, più o meno definita o vaga, ideadel mondo.Nel magmatico insieme che ne è derivato,tuttavia, ci sono stati almeno due gruppidi atteggiamenti con una significativa ri-correnza.

Il concorso di architetturaIl primo riguarda l’urgenza di processi ditrasformazione più trasparenti e più esper-ti. Fino a poco tempo fa – difficile direquando – gli incarichi non venivano gene-ralmente affidati in base alla competenzaprofessionale, ovvero alla capacità di esita-re un prodotto migliore: piuttosto percontiguità politiche o, con fortuna cre-

scente, per l’abilità nel coprire, con la pro-iezione della propria notorietà sul piano“sovrastrutturale”, alcune convenienzepredeterminate sul piano “strutturale”. Larivendicazione da parte della parte più il-luminata della classe professionale, del-l’intelligencija disciplinare, dei progettistipiù giovani e di una parte consistente de-gli altri esclusi da quei processi, reiterataper decenni, con crescente clamore e fortedi un non trascurabile retroterra etico, haindicato nel concorso di architettura, nel-le sue varie declinazioni, uno strumentocui affidare il consolidarsi di un atteggia-mento virtuoso. Il modello citato conmaggiore assiduità è stato il sistema fran-cese: il più avanzato in questo senso.Anche se molta parte dei fautori del con-corso ritengono che la strada da fare siaancora preponderante rispetto a quellafatta, sembra di poter dire che i riconosci-menti ottenuti sono, in ogni caso, larga-mente gratificanti in termini sia di “buo-na stampa” sia di sensibilizzazione degli

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Antonio Pietro Latini

Il concorso che risponde all’esigenzadi favorire la qualità nel momentodella sua costruzione e la tutela delterritorio rivolta a conservarlaladdove esiste. La risposta può essereuna progettazione a definizioneprogressiva e partecipata.

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Aa cura di Claudia Mattogno

DUE TIPI DI QUALITÀ

interlocutori, particolarmente dei politi-ci, nazionali e locali, sia di istituzionaliz-zazione dello strumento, che ha trovatospazio nella normativa di settore (Codicedei contratti pubblici) e nelle intenzionilegislative, tanto da indurre lo stesso nuo-vo gabinetto a rimettere in discussioneuna “Legge quadro sulla qualità dell’ar-chitettura”, che del concorso fa uno stru-mento centrale, fin dai primi mesi dellalegislatura.

Limiti del concorsoVa detto, tuttavia, che l’idea di una pro-gressiva affermazione e diffusione dellostrumento del concorso, nelle sue declina-zioni più frequenti, non lascia affattotranquilli. E per più di una ragione. In-nanzitutto perché, spesso anche a dettadei suoi più convinti fautori, i risultatidella recente stagione di questa prassi nonsono convincenti. È solo una questione dimessa a punto dello strumento o, piutto-sto, di tenuta logica della promessa corri-

spondenza tra processo e obiettivo? Per-ché un processo affidato a pochi (spessosolo due) momenti di applicazione di “ge-nio creativo” e “giudizio esperto” e alle vir-tù della competizione dovrebbe garantirenon solo equità ma anche qualità?In secondo luogo, il concorso è un eserci-zio che richiede anticipazione di lavoro erisorse che sono quasi sempre destinate arestare a fondo perduto. Chi remunereràquesti sforzi? I pochi sfortunati clienti“paganti” delle altre attività professionali?Con quali effetti sulle voci del consolida-to dei bilanci della categoria?È verosimile che molti progettisti, in unaprospettiva dagli esiti incerti, non sianodisposti, e comprensibilmente, a dedicaretempo ed energie a quelle attività di intel-ligence necessarie per un progetto virtuosoe consapevole e che, anche per questo, ten-dano a ricorrere all’adozione di soluzionipronte, non necessariamente pertinenti.Infine, il processo concorsuale porta, co-me a lungo auspicato, un profondo som-

movimento nei criteri di attribuzione de-gli incarichi ma non necessariamente unariduzione della dimensione dei fenomenidi esclusione a priori. Proprio perché si so-stiene su una base di lavoro gratuito, es-senziale e di valore complessivo ingente, èrivolto, in una chiave di prassi consuetu-dinaria, a strutture professionali con ca-pacità economico-promozionali straordi-narie o capaci di contare su una manodo-pera professionale a costo irrisorio o nul-lo. È aperto ai giovani tecnici (e ai menogiovani) in attesa di poter occupare le pro-prie disponibilità di tempo con lavoro re-tribuito ma solo se essi dispongono difonti di sostentamento alternative. A regi-me, non è accessibile per quei giovani chesono costretti, da circostanze meno privi-legiate, ad un lavoro remunerato, qualeche sia il tipo e la retribuzione.La circostanza che l’occasione del concor-so non sia l’unica in cui le amministrazio-ni pubbliche richiedono, di fatto, un’anti-cipazione gratuita di prestazioni, con pro-spettive incerte, non alleggerisce i profilidi questa prassi: semmai, li aggrava. In ogni caso, pur auspicando che nel pros-simo futuro la frequentazione dello stru-mento porti ad una messa a punto del si-stema concorsuale e nella speranza chepossano ridursi in modo accettabile i fe-nomeni distorsivi indotti, non sembrache questo, da solo, possa offrire alcunagaranzia di “qualità”.

La tutela del territorioSe il concorso risponde all’esigenza di fa-vorire la qualità nel momento della suacostruzione, la tutela è rivolta a conserva-re la qualità laddove, presumibilmente,

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• Coop Himmelb(l)au, Vienna, tetto in Falkestrasse

c’è già. La crescente consapevolezza delpessimo valore così diffuso nelle realizza-zioni più recenti e la constatazione dell’al-to grado di aggressività con cui le dinami-che edilizie si sono proiettate sul territoriohanno autorizzato il diffondersi di un at-teggiamento di convinto e strenuo sup-porto culturale e politico al rigoroso con-tenimento delle trasformazioni. L’oggettodell’attenzione di questi sforzi difensivi siè rapidamente spostato dalle aree storichee, più in generale, dal costruito al com-plesso delle aree inedificate. Senza nullatogliere all’insostituibile apporto “verde”nella direzione di una progressiva sensibi-lizzazione di policy makers, opinion leaderse del grande pubblico in questo senso, variconosciuto che tutte le culture del pano-rama politico ed ideologico del Paese han-no contribuito, almeno nella declaratoria,al consolidarsi di una posizione di cre-scente rigore. A giudicare dai provvedi-menti sulla casa – legati, come di consue-to, al rilancio dell’occupazione – in via didefinizione, anche l’attuale maggioranzadi governo nazionale, dovendo individua-re un ambito di proiezione della progres-siva “liberalizzazione” dell’attività edifica-toria, preferisce concentrare gli investi-menti privati, di rapida utilizzazione, sudensificazione e riqualificazione dei lottigià edificati, anche nelle aree urbane giàsature, piuttosto che contaminare suolo“vergine” o trasformare gli interstizi. D’al-tronde, sembra che gran parte dell’opi-nione pubblica, anche se pronta a tampo-nare legittimamente balconi e verande eda sopraelevare quanto possibile, sia ormaiabbastanza sensibile ai temi della salva-guardia delle nostre campagne da indi-

gnarsi, ad esempio, a proposito dei “vil-laggi agricoli”, anch’essi oggetto di crona-ca (giudiziaria) recentissima.La determinazione, dunque, con la quale latutela del territorio, intesa principalmentecome limitazione alla nuova occupazionedi suolo, viene propugnata da ogni parte dàla misura di quanto essa sia interpretata co-me irrinunciabile elemento centrale per ungoverno etico del territorio.

Importanti proiezioni di questo atteggia-mento di convinto rigore sono, ad esem-pio, i capillari dispositivi messi a punto dapiani territoriali, spesso frutto di moltianni di azione amministrativa e di compe-tente e diligente studio, così meticolosiche potrebbero ben essere base di un gran-de piano particolareggiato piuttosto chedi un piano di assetto generale.

Le aporie della tutelaNonostante le buone intenzioni, tuttavia,anche la determinata azione di scrupolosocontrollo e accurato ostacolo all’edifica-zione e, più in generale, il progressivo af-fermarsi, a tutti i livelli, di questo atteg-giamento di riduzione al minimo dellearee di trasformazione possibile non lasciadel tutto tranquilli. Per due serie di moti-vi concorrenti.Innanzitutto, banalmente, per i risultatiraggiunti e per le dinamiche verificatesi fi-nora. Lo sforzo crescente nella direzionedella tutela ha limitato l’edificazione deipiccoli operatori e dei singoli “in proprio”meno disinvolti ed intraprendenti. Pro-mette di contenere ulteriormente questotipo di attività di trasformazione che, inverità, per come si sono attuate finora,prive di qualsiasi strumento di riferimen-to di indirizzo positivo, hanno comprova-to l’incompetenza e la noncuranza del ce-to politico e professionale locale (spesso lostesso che oggi, passando da un estremoall’altro, fa contorsionismi di dirigismoambientalista). Né la cresciuta sensibilitàné lo stringente rigore delle azioni ammi-nistrative hanno limitato – o riuscirannoa limitare o indirizzare in futuro, in assen-za di una strategia più complessa – l’azio-

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In questa pagina:• Stefan Eberstadt,

Rucksack House (Leipzig)

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ne dei grandi operatori ed in particolare,ad esempio, la varia collocazione degli“asteroidi” che costellano, ormai, il deser-to della improbabile campagna romana.In secondo luogo e soprattutto, la retoricadella tutela poggia su argomentazioni va-ghe, dalla logica incerta e, apparentemen-te, frutto di qualche pur largamente condi-viso, “bipartisan”, preconcetto ideologico.Si possono elencare cinque tipi di logiche,largamente e variamente battute, che fan-no riferimento ad altrettante istanze: latutela del paesaggio, la sostenibilità am-bientale, il risparmio di suolo, l’equilibriofunzionale, la strategia immobiliare. Tuttiquesti temi rappresentano questioni cen-trali per il governo del territorio che, tut-tavia, il dibattito disciplinare – con qual-che meritoria eccezione – sembra avere li-quidato, sia pure depositandole su di unpiedistallo, in modo sbrigativo e superfi-ciale. Per fare solo alcuni accenni alla in-determinatezza di alcuni assunti: ai finidella tutela del paesaggio, in quanti casiuna edificazione concentrata in grandivolumi è meno invasiva di una edificazio-ne diffusa e minuta? A quali scale e rispet-to a quali tipi insediativi la concentrazio-ne migliora l’impronta ecologica? Il con-sumo di suolo si calcola in termini di indi-ci di copertura o di densità territoriale; odi riduzione del suolo agricolo anchequando questo si trasforma – mettiamo –in area boscata? Insomma: quali sono lesoglie rispetto alle quali un suolo è consu-mato o meno, quali i tipi di antropizza-zione? Ai fini dei migliori equilibri dellefunzioni nel territorio, è più opportunauna moratoria assoluta dell’incrementodelle superfici edificate, una generica po-

litica di concentrazione, una altrettantogenerica politica di decentramento o unavariegata redistribuzione dei carichi inse-diativi con lo sguardo al sistema delle retidi mobilità? A quei fini, è più opportunodensificare ulteriormente le aree centraligià densamente edificate, colmare gli in-terstizi tra quelle aree centrali o riqualifi-care, rifunzionalizzare e completare quel-le a bassa densità? Quanto, infine, la con-

centrazione dei diritti edificatori su relati-vamente poche aree favorisce la valorizza-zione e quanto, invece, comprimendo econcentrando l’offerta di quei diritti inpoche mani alimenta – ha alimentato – larendita parassitaria?

Una progettazione a definizione progressivaDare soluzioni a queste, come ad altrequestioni analoghe, in termini generalisembra proprio presuntuoso. Porsi le do-mande, invece, aiuta a riconquistare unsano clima riflessivo, più disponibile eaperto, che le pratiche del governo del ter-ritorio sembrano, negli ultimi tempi, averperso di vista.Avere a cuore la trasparenza dei processi,l’equità e l’efficienza delle trasformazioniterritoriali, ovvero, per quanto questopossa suonare retorico e vagamente dema-gogico, mettere al centro la “qualità” dellavita di tutti, non vuol dire necessariamen-te rassegnarsi ad un territorio che si tra-sforma per grandi operazioni concentra-te, anche se progettate da un architettograndi-firme, vincitore di concorso.Un atteggiamento raccomandabile sem-bra, piuttosto, un’azione di progettazionecontinua, consapevole, strutturata, noncompetitiva ma collaborativa, non fruttodi colpi di genio ma a coinvolgimentoampio e definizione progressiva e, possi-bilmente, partecipata, come d’altra parteè consuetudine in altre parti d’Europa.Soprattutto aperta, non tarata da precon-cetti ideologici e da dirigistiche certezze,lontana tanto dall’acquiescenza nei con-fronti del laissez-faire quanto dall’ingenuofervore del proibizionismo delle buoneintenzioni.

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Da sinistra e dall’alto:• Pierre d'Avoine, Londra Piper Rooftop Houses• Atelier Van Lieshout, Amsterdam Clip On• Roma in - Roma out

I riferimenti sono tratti da:Irace, Fulvio, “Il sopralzo, che bellezza!”, Il Sole 24 Ore, 22 marzo 2009, “Domenica”, p. 29

In una preziosa inchiesta sulle periferieromane condotta da P. Notargiacomo(2006), leggiamo: “Roma: la vergogna,ma anche l’orgoglio. Così si riassume e

si stratifica il mistero dell’abitare. Si puòmettere in scena l’ultima opera di PeterBrook in un quartiere di Roma che ha ilpiù basso tasso di alfabetizzazione, la piùelevata percentuale di disoccupazione eneanche una sala cinematografica. Succe-de, per fortuna, ed è il caso di dirlo, a TorBella Monaca, periferia est di Roma, alquattordicesimo chilometro della Casili-na. Qui dall’8 dicembre del 2005 è attivoil teatro di Tor Bella Monaca: a sei mesidall’apertura aveva già fatto registrare21mila spettatori, la metà dei quali, è que-sto il dato significativo, residenti sul terri-torio. Il grande regista anglosassone l’hascelto, appunto, per presentare la sua ulti-ma opera nell’anteprima italiana”.Un quartiere, quello di Tor Bella Monaca(TBM), dunque, in cui negli anni molto ècambiato, e sta cambiando, come mettein evidenza l’inchiesta, ma molte sono an-cora le problematiche di marginalità estigmatizzazione che lo connotano. Nel quartiere vivono oggi circa 81.000persone, la sua storia e la sua stratificazio-ne sociale sono la sommatoria di processidi urbanizzazione illegale e di edilizia resi-

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NON C’È SOLO IL NERO A TOR BELLA MONACAUn quartiere in cui negli anni molto è cambiato, e sta cambiando,ma molte sono ancora le problematiche di marginalità estigmatizzazione che lo connotano. U

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a cura di Claudia Mattogno e Mariateresa AprileS P A Z I D E L L ’ A B I T A R E

Negli ultimi anni la condi-zione abitativa e la questio-ne della casa sono tornate asuscitare una rinnovata at-tenzione non solo da partedella ricerca e della pubbli-

cistica di settore, ma anchedei media e della politica.Le mutate condizioni sociali,l’innovazione tecnologicaassieme alle istanze di co-munità e sostenibilità (am-

bientale, tecnologica e so-ciale), l’emergere di nuovedomande abitative e di nuo-vi soggetti, la casa quale og-getto di inchieste e strumentodi denuncia sociale, pongo-

no questioni di grande rilie-vo che sollecitano approccie sguardi interdisciplinari.Obiettivo della Rubrica “Spa-zi dell’Abitare” è quello di ri-lanciare il tema dell’abitazio-

ne affrontato non solo nei ter-mini progettuali (dall’impian-to urbano alla ricerca di nuo-vi materiali, dalla vivibilità de-gli spazi collettivi alla flessibi-lità tipologica) e concettuali,

Roberto Marcelli

denziale pubblica. “Un quartiere modellocol nome che sa d’antico”, così i giornalidel tempo raccontavano la nascita diTBM nuova (ovvero il Piano di zona n.22): alloggi pubblici per un insediamentoprevisto di circa 30.000 abitanti in un’areacomposta da diversi insediamenti illegalidi 10-20.000 abitanti.Siamo nell’VIII Municipio, uno dei piùestesi della capitale, in assoluto il più po-poloso con quasi 210.000 abitanti. Se-condo una ricerca effettuata dal Censisper conto della Regione Lazio, il Munici-pio con il più alto indice di disagio socio-economico. Tutte rappresentate le princi-pali tipologie di disagio: dispersione sco-lastica, elevato numero di portatori dihandicap e di minori in stato di indigen-za, tassi elevati di disoccupazione giovani-le e femminile e di lavoro nero. La vicendadi TBM, a questo proposito, è paradig-matica delle difficoltà e dei problemi del-l’intera circoscrizione.

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ma anche in termini sociolo-gici e politici, riportando l’at-tenzione degli architetti e deicommittenti alle tematiche so-ciali, architettoniche e urba-ne, alla casa come risorsa.

Aperta alla collaborazione,la rubrica propone brevi arti-coli di riflessione e approfon-dimento, in cui far emergerequestioni e problemi assiemead inchieste e verifiche.

Specifiche del testo:La lunghezza dei testi saràpreferibilmente contenutadai 7000 agli 8000 carat-teri (spazi compresi), massi-mo 10 mila caratteri.

Specifiche delle immaginiOgni articolo dovrà essereillustrato con 6-10 immagi-ni. Foto, diapositive, schizzie disegni, immagini digitaliad alta risoluzione (minimo

300 dpi calcolati nella di-mensione reale dell’immagi-ne) dovranno essere corre-dati da opportune didasca-lie e numerati progressiva-mente.

Pagina a fianco:• Il Piano di zona n.22 “Tor Bella Monaca”

(1980, 1° Peep - D.M.LL.PP. n. 3266/64)Soggetti attuatori: Comune - IACP - AltrioperatoriProgettisti: F.Canali, P.Visentini, A.M. LeoneAbitanti previsti: 28.000;Densità territoriale: 150 ab/ha;Superficie totale: 188 ha;Superficie fondiaria: 70,58 ha;Attrezzature pubbliche previste: Servizi: 28,55 ha;Verde: 51,57 ha;Viabilità e parcheggi: 35,08 ha

In questa pagina, dall’alto:• Asse viario principale che taglia il quartiere.

Tale asse, dalle caratteristiche autostradali, nonpresenta in nessun punto del suo tracciato alcuntipo di barriera antirumore (né artificiale, nénaturale)

• Sistema di fitodepurazione inserito in un parcopubblico fruibile

• Edificio destinato a terziario e servizi pubblici inevidente stato di degrado

Come per altri interventi di edilizia pub-blica a Roma, anche in questo caso la vici-nanza delle borgate spontanee ha forte-mente condizionato le scelte progettualiche sembrano essere state pensate più perrisolvere le carenze delle urbanizzazioni vi-cine che per realizzare un insediamento do-tato di struttura, forma e qualità urbane.L’evoluzione storica del luogo tratteggiatanel lavoro di Martinelli (1990), ci da con-ferma di come la realizzazione del quartie-re si intrecci con la storia tormentata dellafine degli anni settanta, quando, a seguitodel risanamento delle borgate, il proble-ma della casa si fa drammatico per miglia-ia di ex-baraccati. L’intervento pubblicoin questione è infatti il più importante nelprogramma di interventi urbanistici ededilizi previsto dal Comune di Roma inattuazione della legge n. 25/1980 art. 8per sopperire alle esigenze delle abitazioniper famiglie soggette a sfratto. Ai proble-mi urbanistici dei grandi quartieri pubbli-ci, qui si sommano i conflitti generati dal-

l’inserimento di una comunità di cittadi-ni portatori di un forte disagio sociale: di-sabili, tossicodipendenti, piccoli crimina-li, disoccupati sono, infatti, i destinataridei bandi di selezione. Alcuni fanno risalire i problemi proprioall’assegnazione degli appartamenti: «ilquartiere è stato realizzato senza barrierearchitettoniche, così nei bandi d’assegnazio-ne delle case una delle categorie beneficiate èstata quella dei portatori di handicap. […]il nucleo originario degli assegnatari eracomposto da 120 famiglie con problemi ditossicodipendenza. L’intento di dar loro unacasa era senz’altro lodevole, ma perché met-tere queste persone tutte insieme? Hanno fi-nito per amplificare il problema creando unambiente favorevole allo spaccio di droga».Questo il racconto di Mauro che vive nelquartiere romano da vent’anni e che fa daguida al giornalista Notargiacomo nellasua inchiesta. Dice inoltre: «per capire TorBella Monaca devi girare, devi guardare, so-prattutto devi farti spiegare le cose da un in-

digeno”. Non ha remore ad affrontare ar-gomenti personali e racconta: «mi hannoportato qui nel 1986, io vivevo in affitto aRe di Roma con la mia famiglia. Un giornoil proprietario del palazzo ha deciso di met-tere in vendita la nostra casa. Servivano ot-tanta milioni per comprarla. E come faceva-mo? Mio padre era un artigiano in pensionee mia madre, mio fratello ed io tutti e tre di-sabili. Hanno provato a sfrattarci più diuna volta, siamo finiti anche sui giornali.Poi ci hanno assegnato un appartamentoqui a Tor Bella Monaca, all’M1».M1, R5, R3, R4, R7, sono alcune delle si-gle brevi con le quali si distinguono i varicomprensori: ogni sigla indica un lotto euna datazione diversa, dai primi del 1983ai più recenti del 1992. La qualità edilizia è varia, ma è unificatadalla generalizzata adozione del sistemaindustrializzato a pareti sottili di cementoarmato ottenuto con casseforme mobili.Questo sistema richiede, per la coibenta-zione delle pareti esterne, l’adozione di un

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rivestimento (il cosiddetto “cappotto” inlastre di poliuretano espanso) che al livellodella strada, a contatto con i passanti vieneben presto distrutto (anche bruciato) con-ferendo un aspetto desolante agli edifici.Desolazione a Tor Bella Monaca. Come icolori, ci ammonisce Notargiacomo(2006). Qui il grigio la fa da padrone. Ro-berto, un altro protagonista dell’inchie-sta, ha una sua idea a riguardo: «È già as-surdo essere emarginati a livello locale e cul-turale e poi t’invadono con tutto il grigio diqueste torri. Se fossi miliardario le dipinge-rei tutte, ognuna di un colore diverso».Non solo. Scarsa integrazione con i quar-tieri limitrofi, separazione del quartiere indiversi blocchi edilizi tra loro non comu-nicanti (né morfologicamente né social-mente), presenza all’interno del quartieredi un asse stradale di scorrimento che con-tribuisce a consolidare lo stato di separa-zione in blocchi, scarsa cura generale deglispazi pubblici di uso collettivo, assenza dispazi pubblici multifunzionali (ad esem-

pio una piazza con negozi) in grado di co-stituire dei luoghi d’incontro e socializza-zione. Questi, in estrema sintesi, altri ca-ratteri problematici del quartiere, ovveroquegli elementi urbanistici e architettoni-ci che attualmente ostacolano una diffusaqualità urbana.Allo stesso tempo, tra le potenzialità delquartiere, elementi cioè di cui tener contoper possibili interventi di recupero, si pos-sono annoverare: una buona accessibilità(dal centro e quartieri limitrofi), sia conmezzi su gomma sia con la linea ferrovia-ria, un’ampia dotazione di spazi aperti esuperfici verdi sia all’interno che all’ester-no del quartiere, la presenza di un’ampiaarea agricola esterna al Piano di zona inparte attrezzata come parco fitodepurativocorrelato al fosso di Tor Bella Monaca.Sebbene siano ancora molte le marginalitàche resistono e il quadro dei servizi risulticarente, l’aspetto forse più confortante, ri-spetto al quale si potrebbe cominciare a ri-flettere per la messa a punto di nuove poli-

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tiche urbane, è la presenza di un vivo asso-ciazionismo, sia laico che e cattolico, ope-rante nel sociale (tra le altre associazioni, lacomunità di Sant’Egidio e quella di Capo-darco) e che soprattutto si dedica all’assi-stenza dei disabili: un tema, qui, partico-larmente sentito. Oggi sono almeno 4000le famiglie che convivono con la disabilità,in tutto 8-10.000 persone.In sostanza, riprendendo un’espressionedi Notargiacomo (2006), «non c’è solo ilnero a Tor Bella Monaca». Esiste anche ilgrigio (quello sopportabile). «Sono quellesfumature di grigio» dice Mauro «che titrattengono quando pensi di andare via».

Bibliografia- De Simoni E. (1988), “Tor Bella Monaca 1988”, in“di sguardi di luoghi”, su www.vialetrastevere.org/- Martinelli F. (1990), “Roma nuova, borgate sponta-nee e insediamenti pubblici”, Franco Angeli, Milano- P. Notargiacomo (2006), “Tra antiche torri e mo-derne pellegrine”, in “Un chilometro di periferia” –agenzia di stampa LUMSA, Roma, anno VII, vol. 45,su www.lumsanews.it/LumsaNews/Portals/_Lum-sanews/Settimanale/13%20dicembre%202006.pdf

Pagina a fianco, in alto:• Ampio settore di Agro romano che circonda il

Piano di zona

In basso:• Tipologie edilizie

I nuclei edilizi dell’insediamento sono strutturaticon una serie di edifici in linea, più o menodisposti coerentemente alle preesistenze oppureattraverso grandi corti che si aprono sulpaesaggio della campagna romana. Le tipologieedilizie sono case in linea di cinque o sei piani ecase a torre di tredici - quindici. Le torri sono 24e in ognuna vivono più di ottanta famiglie

E V E N T I

Il “Roma”: unsogno ritrovatoLo sviluppo urbano di OstiaNuova si concentrò inizialmentesul Lungomare e le zonelimitrofe. Nel decennio 1920-1930, l’architettura italiana, edin particolare quella razionalista,consolidò la propria identità inEuropa dove si stavanoaffermando le più moderneconcezioni spaziali in nome delprincipio internazionale delRazionalismo. Ed è proprio intale clima che avvenne losviluppo di Ostia negli anniTrenta, con la concezione diOstia Nuova, fruttodell’esperienza di architetti edingegneri notissimi, che hannofatto la storia dell’architettura delVentesimo secolo: Luigi Moretti,Enrico Del Debbio, GiovanBattista Milani, Mario De Renzi,Attilio ed Ernesto La Padula, soloper citare i più famosi,evidenziano l’interesse con ilquale l’argomento “stabilimentobalneare di Ostia” fu affrontato.Di quanto sopra esempioeclatante è lo stabilimento“Roma” degli anni Venti,progettato dall’architetto G.B.Milani, costruzione estremamenterappresentativa all’interno dellosviluppo della città.“Il grande stabilimento balneareelevato nella nuova borgatamarittima di Ostia […] è operache, nei ricordi dei grandi edificiromani che specialmente fannocapo alla suggestiva località, faassurgere ad importanzaarchitettonica che quasi rivestecarattere monumentale un temache ordinariamente si perdenella goffa banalità dellabaracca di fiera”. G.Giovannoni in Architettura e ArtiDecorative-luglio 1927.Il Roma fu innovativo dal puntodi vista costruttivo, le tecniche e imateriali usati ne fecero il primostabilimento balneare costruito incemento armato a vista, senzaintonaci che si sarebberodeteriorati con la salsedine. Lacopertura della rotonda,

inaugurata il 10 agosto 1924,era realizzata con una strutturain ferro e lastre di rame,internamente l’intelaiatura erarivestita in legno. Il peso dellagrande cupola di rame erasorretto da nervature e pilastri.L’importanza ed il significato diquesta interessante operaarchitettonica stanno nell’avercercato di riportare a direttafunzione di vita gli schemispaziali e la struttura dell’edificiotermale romano: il grandevestibolo sulla spiaggia richiamaalla mente il tepidarium delleterme di Diocleziano o quello

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Dall’alto e da sinistra:• Veduta prospettica con in primopiano la rotonda del "Roma". Fotodello Stato Maggiore dell'AeronauticaMilitare - Fototeca V reparto - 1930-1944. Istituto Centrale Catalogo eDocumentazione - Fototeca Nazionale• Ricostruzione virtuale dellostabilimento Roma: da sinistra vistadall’alto, dalla spiaggia e dallapasserella• Ostia Lido- Stabilimento balneare"Roma". La rotonda vista dallaspiaggia- Istituto Centrale Catalogo eDocumentazione – Fototeca Nazionale

delle terme di Caracalla o labasilica di Massenzio, e gliaffreschi decorativi degliambienti sono di chiaraispirazione antica romana. Il 13 dicembre 1943 è la datache segna lo sfregio più dolorososubito da Ostia moderna e lafine del suo periodo turistico piùesaltante. In quella notte ungrande boato, seguito danumerosi altri scoppi,cancellarono un elementotradizionale e unico delle costeitaliane e inconfondibilmenteostiense: lo stabilimento Roma. Oggi il Roma si trova ad esserenuovamente al centrodell’attenzione grazie ad unprogetto volto a ridare nuovavita all’edificio perduto. Dopo unattento studio delladocumentazione storica esistente(piante, prospetti, sezioni,fotografie, ecc.) si è ricostruito il“funzionamento” di questacomplessa opera architettonica,realizzando un modello virtualetridimensionale che, attraverso lascansione ritmata di sezioni evedute prospettiche e miscelandoimmagini fotorealistiche efotomontaggi, diventa un “film diarchitettura”. Attraverso variefasi ed elaborazioni si è creatoun cantiere virtuale, nel qualesono state evidenziate le fasicostruttive e i materiali,giungendo così a definire unmodello tridimensionaleelaborato nel minimo dettaglio. Ilrisultato di questo lavoro è unmediometraggio di circa trentaminuti che permette di rivivere glispazi e le strutture dello storicostabilimento. Attraverso la ricostruzione,sebbene effimera, diun’architettura scomparsa, si èvoluto, in modo provocatorio,sottolineare la necessità diriprogettare e riqualificare illungomare di Ostia e, più ingenerale, di porre l’attenzionesull’importanza di conservare,tutelare e, nei casi estremi,restaurare l’architettura“moderna” che è già diventata“antica”.

Oreste Albarano

Per approfondimenti:[email protected]

Terra Futura:riflessioni sullasostenibilitàambientale eurbanaL’annuale edizione di TerraFutura, svoltasi a Firenze primadell’estate, ha richiamatonumerosi soggetti e attoripubblici, privati eorganizzazioni non governativea discutere e confrontarsi sulterreno della sostenibilitàambientale. Sono stati tre giornidi eventi, incontri, convegni eseminari che hanno vistoscendere in campo pubblicheamministrazioni virtuose permostrare da vicino iniziative,azioni e progetti, avviati erealizzati, che lentamente stannocambiando l’approccio culturalealla gestione e allaprogettazione della città. Buonepratiche nel campo dellaprogettazione, della gestione,dell’amministrazione nonchédella regolamentazionedell’attività edilizia sul territorio.È il caso del comune di Veneziache propone un regolamentoedilizio per affrontare il temadella sostenibilità energeticanell’ambito del centro storico, ilcaso di Faenza con il quartiereecosostenibile, e di altre buonepratiche premiate consignificativi riconoscimenti, soloper citarne alcune. La Fortezzada Basso si è così trasformata,per tre giorni, in un villaggio incui si sono raccolte, mostrate econfrontate le sperimentazioni inatto a livello teorico e pratico inchiave di sostenibilità ambientalee di equità sociale, dove lequestione specificatamenteurbane e architettoniche hannorappresentato soltanto unadeclinazione della tematica piùgenerale. Un happening dipratiche volte al cambiamento,all’innovazione, allasperimentazione, a un mododifferente di intendere la risorsaambiente e in genere le risorsenaturali a disposizione. Unrispetto per queste ultime

proposto e veicolato attraversorisultati tangibili ed esperienze inatto. Tra i vari eventi che si sonosucceduti, particolare interesseha riscontrato il tema dellapermacultura in relazione allapratica operativa dellaprogettazione urbanistica.L’evento ha chiuso la giornatadei lavori della sezione piùampia dedicata allapresentazione di un sistemaregionale di indicatori comuni disostenibilità locale per laToscana e del progetto Champ -promosso da Ambiente Italia edal Coordinamento delle agende21 locali italiane - inerente unsistema di gestione integrata peril cambiamento climatico; laspecifica trattazione dellapermacultura ha sostanzialmenteintrodotto un singolareapproccio culturale e operativonel panorama dellaprogettazione urbanisticamostrando la possibilità dideclinare localmente eprogettualmente alcuni principiteorici ormai consolidatiunitamente alla componentedella tradizione agricola. Macos’è la permacultura? È unasintesi di ecologia, geografia,antropologia e sociologia comeaffermano le relatrici alconvegno Ellen Bermann e MariaLuisa Bisognin. “È un processointegrato di progettazione tesoalla conservazione consapevoleed etica di ecosistemi produttivi,in cui l’essere umano è una parteimportante integrante, cheabbiano la complessità, ladiversità, la stabilità e laflessibilità degli ecosisteminaturali.Agricoltura permanente per unacultura permanente: questopotrebbe essere lo slogan. Loscopo principale dellapermacultura è quello di ridurre

l’entropia, ovvero la perdita dienergia dei sistemi che cicircondano e massimizzare labio-diversità riproducendomodelli naturali e aumentandol’efficienza dei sistemi esistenti”.La conoscenza tradizionale,l’esperienza, ivi compresa quelladelle pratiche di agricolturasostenibile unitamente alletecniche di gestione eamministrazione del territorio,convalidano e sostanziano ivalori della permacultura.Questa si ispira ai tre principietici fondamentali della curadella terra, delle persone e nellacondivisione equa delle risorse,adottando paradigmi e assuntiprogettuali ispiratiall’integrazione piuttosto che allaseparazione. Principi eparadigmi che potrebberolasciare intendere percorsiutopici e voli pindarici ma chealcuni esempi di applicazionepratica riportano il discorso sullastessa operatività progettuale. Uncaso è quello delle TransitionTowns: nate dall’idea di Hopkinsin Gran Bretagna, essepropongono un modello che“cerca di essere inclusivo ecoinvolgere la necessaria massacritica di persone per produrreun cambiamento significativocon lo scopo di creare società re-localizzate e resilienti ovverocapaci di reagire ad eventualicambiamenti e shock” (Bermann,Bolognin).

Elio Trusiani

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È ben noto come AlessandroMendini sia un maestrodell’architettura e del design,occupando da oltre quarant’anniun posto di rilievo nella culturadel progetto internazionale. Il suo lavoro non è maisemplicemente “scontato”, ma al

contrario, con estrema flessibilitàed elasticità è aperto ad ogniconfronto sia tecnico checulturale, orientandosi sempreverso le esigenze ed i realivalori della contemporaneità.Centinaia i progetti realizzati, ealcune migliaia di idee fermate

su carta, Alessandro Mendini èstato più volte protagonista diepisodi di successo e di ribaltainternazionale, mantenendo pursempre vivacissima la ricercapersonale, cui dedicava tempoprezioso. Critico, teorico,progettista, artista, ma anche

direttore di riviste di architettura,ha collaborato con le piùimportanti aziende e istituzioniitaliane e internazionali.Come sottolinea Beppe Finessi,curatore della mostra allestita inRoma nelle sale del Museodell’Ara Pacis dal titolo

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AlessandroMendiniall’Ara Pacis

“Dall’infinitesimo all’infinito”,l’esposizione rappresentaproprio la capacità di Mendinidi “operare con successo atutte le diverse scale diprogetto, da quella più piccola,quella delle idee ancora informa di pensieri, a quella piùestesa dell’architettura adimensione territoriale”. D’altrocanto, la sezione dal titolo“Progettare Pensieri” presentainvece scritti emblematici,alcune “mappe mentali” ealcuni grafici/organigrammimentre quella dal titolo“Progettare Corpi” presentagioielli e orologi, vestiti eborse, ma anche performancee azioni teatrali. Si giunge cosìal “Progettare Stanze” (oggettie mobili per gli ambienti checonterranno la vita dellepersone) ed al “ProgettareOrizzonti” (con le realizzazionialla scala urbana e delpaesaggio). Tutto ciò in unasorta “di cerchio che si chiudee in un pensiero che sirigenera: appunto dall’infinitoall’infinitesimo”. L’articolato e affascinantepercorso della mostra iniziaall’ingresso della Sala dell’AraPacis con le 7 Colonne inceramica smaltata di Mendiniper Superego, provenienti dallacollezione “12 Colonne”. Ed all’ingresso del Museo adaccogliere i visitatori il“Monumentino da casa” perCassina, una scaletta più sediain legno laminato. Si alternanocosì materiali più semplici o piùricercati, forme più familiari elegate alla quotidianità eoggetti meno consueti e anchepiù legati a un certo target chesi potrebbe definire “di lusso”.Il design infatti si presta spessoad accondiscendere alleesigenze del lusso e a questoproposito ho chiesto al Maestroche cosa pensasse al riguardo.Questa la sua interessanterisposta: “Il lusso, se definitonella sua accezione negativa,si chiama “lussuria”. Se inveceè visto come praticageneralizzabile, vuole direvivere bene, tranquilli esoddisfatti del proprio status.Ma questo status non deve

essere iperbolico e nemmenoeccessivo, deve coincidere conun modo di vita fatto perrispettare gli altri, oltre sestessi. Il design si insinua con isuoi oggetti, con la sua merce ei suoi miraggi dentro a questolabirinto di egoismi e dialtruismo. Ora eccede versol’edonismo, ora cade nellarinuncia. Per un designer,orientare bene i progetti dentroa questo mondo di tensioni nonè cosa facile. Il progettista fa ilsuo goal quando le suecreazioni provocano non solopiacere e desiderio, ma ancheemozione e spiritualità. Glioggetti, comunque, sono sempre un magico rifugio”.E interrogandolo ancora sulsuo rapporto con i materiali,Mendini ha spiegato in talmodo il procedere del suolavoro: ”Ho lavorato nel tempocon tanti materiali poveri oricchi, antichi o nuovissimi. Un mio personale “lusso” diprogettista è quello disperimentare all’infinitomateriali, forme e colori. Sono degli innamoramenti insuccessione che spero ditrasmettere anche a chiguarda oppure usa i mieioggetti. Non so se dire che imiei oggetti “fanno” lusso, forse non miimporta saperlo. In genere illusso provoca nella persona unsenso di soddisfazione delsuperfluo, un subdolo piaceredi superiorità. I miei oggetticontengono sempre una mossa,un segno, un messaggiosubliminale di tipo critico,drammatico ed auto-ironico. E allora il lusso scarica il pesodella sua retorica”.Ricordiamo che la mostra,organizzata da ZétemaProgetto Cultura Srl, si avvaledi un catalogo, edito daCorraini e curato da BeppeFinessi, con Marco Ferreri (perl’allestimento), Italo Lupi (per ilprogetto grafico), Beatrice Felis(Atelier Mendini) per lericerche iconografiche e ilreperimento delle opere,Cristina Miglio per lacollaborazione alla curatela.

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MEDIARCH: il nuovo canalemultimedialedell’OrdineMediarch è il canalemultimediale dell’Ordine degliArchitetti, Paesaggisti,Pianificatori e Conservatori diRoma e Provincia. Offrirà contenuti in formatoaudio e video su argomentistrettamente legati allaprofessione e su temi più ampilegati alla cultura del suono edell’immagine. Sono previstetrasmissioni dedicate all’arte, aldesign, al mondodell’audiovisivo, ad importantieventi culturali, alla tecnologia,al paesaggio, al restauro, alla

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musica, ai viaggi, agli ambientiurbani e domestici, recensionibibliografiche, rassegne stampadi settore e notiziari periodici,aggiornamenti professionali sullenormative e su materiali edispositivi per il progetto e lacostruzione. L’obiettivo è quello di fornire adun pubblico, come quello deiprogettisti che spendono buonaparte della loro attività lavorativadavanti al computer, unostrumento fruibile come unaweb radio capace di fornire,quando desiderato, anchecontenuti video. Mediarch si è finora avvalsadella preziosa collaborazione diSimona Cresci, Dario Curatolo,Andrea Giunti, Guido Laudani,Zaira Magliozzi, Enrico Milone,Andrea Moneta, BrendaMonticone Martini, Mayta

Olivieri, Aldo Olivo, FrancescoOrofino, Valentina Piscitelli, MikiRosco, Federica Russo, TaniaSarli, Stefano Scarfone, ValeriaVenza, Marilia Vesco.Lo strumento è aperto a tutticoloro che vogliano fornirecontributi di qualità.

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Direttore responsabileAmedeo SchiattarellaEditoreProspettive edizioni s.r.l./Claudio PrestaDirettoreMassimo LocciCaporedattoreDimitri OliveriStaff tecnicoIvo Nestola, Saverio Pavia

ERRATA CORRIGE

Nell’articolo di FrancescaPerricone pubblicato su AR 83/09, a pagina 25 nellacolonna centrale dalla riga 5 alla24 per una svista in fase distampa è saltata una frase. Ce ne scusiamo con l’autrice econ i lettori.

La versione corretta è la seguente:“Attraverso la ritenzione delleacque meteoriche all’interno delbacino, in alternativa, si possonorealizzare sistemi dibiofitodepurazione che unisconoall’azione meccanica dirimozione quella dellaconversione biologica degliinquinanti, mediante l’utilizzo dispecie vegetali appropriate;questi ultimi possono essereutilizzati anche all’interno di

quartieri residenziali, divenendoregolatori microclimatici e luoghiurbani di aggregazione. Dotati digrandi potenzialità ambientali epaesaggistiche sono anche i varitipi di canali d’infiltrazione, chepermettono, grazie allaconfigurazione lineare esoprattutto in casi di retrofiturbano, di agire in manieracapillare all’interno del tessutoedilizio, mettendo in atto, inassociazione con gli altri sistemicitati, vere e proprie operazionidi rigenerazione ecologica diparti urbane massicciamenteartificializzate; anche i canali,spesso utilizzati in adiacenza asuperfici impermeabili scolanti,possono associare al meccanismodello scorrimento superficiale edell’infiltrazione, la presenza divegetazione e di materassidrenanti in ghiaia o pietrisco”.

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INDI

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INDICIPER AUTORIE ARGOMENTI2008

Legenda dell’IndiceIl primo e il secondo numero traparentesi si riferiscono al fascicolodella rivista e all’anno di uscita, il terzo al numero di pagina.

E L E N C O D E L L E V O C I

ARCHITETTURAEventiImpiantiMonograficiNuove tecnologieProgettiProtagonisti romaniScenografia

ATTIVITÀ DELL’ORDINE

CITTÀ IN CONTROLUCE

CONCORSI

EDITORIALI

INDUSTRIAL DESIGN

INTERVISTE

LETTERE

MANIFESTAZIONI

EventiConvegniIncontriMostre

PAESAGGIO

RECENSIONI DI LIBRI E RIVISTE

RESTAURO

TERRITORIO DIMENTICATO/RITROVATO

URBANISTICA

Aprile Mariateresa – ROMA SPECIALE RESI-DENZA (a cura di, n. 75/08); Le nuove case el’espansione della città (75/08, 9); Scenari del-l’abitazione a Roma (75/08, 12); Un nuovo mo-numento in città (caduti di Nassiriya)(77/08,13); “Off-congress” Torino 2008 (79/08, 21);Torino ovvero il fantasma operaio (79/08, 52);Giuseppe Rebecchini (80/08, 23)

Bevivino Tommaso – Sul Ponte della Musica(80/08, 53)

Bilò Federico – Domotica e architettura (75/08,54)

Biscotto Emanuela – PTPG verso l’approvazio-ne (80/08, 43)

Bombaci Gianfranco – Progettare il sottosuolo(77/08, 19)

Bruschi Andrea – Casa e modelli urbani(75/08,48)

Cafiero Giovanni – Qualità diffusa: tre micro-storie (75/08, 46)

Califano Alessandra – Legno, paglia, fango epietra (architettura e urbanistica a Bukhara)(77/08, 46)

Calzolaretti Marta – Aree 167: occasioni di in-tegrazione (75/08, 27)

Cancellieri Aldo – Vincenzo Del Prato, architet-to del cinema (78/08, 27)

Cappellanti Simone – Progettazione bioclima-tica (79/08, 31)

Carbonara Lucio – Complesso scolastico a Vil-lasimius (80/08, 16); Fort Lauderdale e laSouth Florida Metropolitan Area “... one moretoy” (80/08, 49)

Chiumenti Luisa – Museo dei Fori Imperiali. In-tervista a Lucrezia Ungaro (76/08, 9); Centena-rio dell’Università dei Marmorari (76/08, 55);Capolavori dalla città proibita (76/08, 58); Pre-mio Torsanlorenzo 2008 (77/08, 34); UnescoItalia alla Biblioteca nazionale centrale (77/08,52); Charles Heathcote Tatham: un architetto diabilità (77/08, 52); A Barletta la collezione delPetit Palais di Parigi (77/08, 53); Al museo na-poleonico i tesori della Fondation Napolèon(77/08, 54); Premio Dedalo Minosse (78/08,52); Si apre Expo Zaragoza 2008 (78/08, 53);Il Novecento a palazzo Coelli (78/08,55); Giu-seppe Jappelli e la nuova Padova (78/08, 55);

Jean Prouvé. La poetica dell’oggetto tecnico(78/08, 56); Carlo Scarpa e l’origine delle cose(79/08, 56); A Vicenza Andrea Palladio, dise-gni in mostra (79/08, 58); Vergilius d’Oro2008 (79/08, 59); Nuovo Cinema Aquila(80/08, 19); Il disegno oggi: colloquio con l’ar-chitetto Franco Luccichenti (80/08, 56); Fonda-zione e Museo Manzù (80/08, 57); Lungo la viadell’argento (80/08, 59)

Cumo Fabrizio – Conservazione delle opered’arte (77/08, 23)

De Camillis Carolina – Luce come materiale fi-sico dell’architettura (80/08, 28)

De Leo Emanuela – Last landscape (77/08, 29)

De Stefanis Rolando – Procedure e normativaedilizia per la progettazione di edifici residen-ziali (a cura di, 75/08, 57)

Di Lucchio Loredana – Il design per la spiritua-lità (77/08, 38)

Evangelista Enza – Amate l’Architettura. Ope-re progettate e realizzate in Provincia di Roma(78/08, 12)

Fanfulli Michele – Retail Design (76/08, 38)

Fea Maurizio – Sistemi informativi geografici e“cultural heritage” (79/08, 48)

Finelli Luciana – In Cina con l’archiscultura(79/08, 24)

Gatti Alberto – Il sottovia ricorda il suo autore(76/08, 56)

Gatti Ilaria – Emergenza casa: strategie e stru-menti (75/08, 22)

Gugliermetti Franco – Conservazione delleopere d’arte (77/08, 23)

Iacchia Lorenzo – Case energivore ed efficien-za energetica (75/08,42)

Imbroglini Cristina – Paesaggi costieri (76/08, 34)

Lattaioli Marta – Eco-efficienza nel recuperoedilizio (76/08, 16)

Lelo Keti – Trasformazione di un rione oltre il Te-vere (76/08, 42)

Locci Massimo – Abitare in verticale (75/08,34); Nuovo Museo ai Mercati di Traiano

(76/08, 12); Sovrappasso pedonale a Man-ziana (77/08, 10); Live city a Salerno (77/08,16); Un mile per Reykjavik (78/08, 19); Sustai-nab.Italy (78/08, 31); Congresso mondialeUIA (79/08, 18); Venezia: Biennale Architettu-ra (80/08,11)

Loret Emanuele – Sistemi informativi geografi-ci e “cultural heritage” (79/08, 48)

Lucibello Sabrina – Olympic Sport Design(80/08, 39)

Marini Emiliano – Parco Marturanum resocon-to di uno stage (76/08, 33)

Marrucci Gianfranco – Conversazione con Jo-ao Nunes (76/08, 24)

Masotta Fabio – Territorio dimenticato.“Attac-co” alle Mura Aureliane, Muro Torto febbraio2008 (77/08, 49); Paesaggi della memoria.gli acquerelli di Ettore Roesler Franz dal 1876al 1895 (77/08, 55)

Massa Sandro – Caravaggio: buona la luce. Il-luminazione Museo di Carpineto Romano(78/08, 37)

Mattogno Claudia – Un catalogo di spazi abi-tabili (77/08, 42); Intervista a Elio Piroddi(78/08, 22); Marcello Rebecchini, un architet-to controcorrente (79/08, 13)

Minniti Vincenzo – Grotta Santa (Siracusa)(77/08, 26)

Mordacchini Alfani Francesca – Paesaggio eprogrammi comunitari (76/08, 30)

Orofino Francesco – Lettera aperta a RaffaeleSirica e per conoscenza agli architetti italiani(79/08, 11)

Panepuccia Cesare – La Reggia dei Volsci. Pa-lazzo Aldobrandini a Carpineto Romano(78/08, 41)

Patera Salvatore – La Habana, Cuba (76/08,48)

Pediconi Carlotta – Nuovi materiali per l’isola-mento termico (78/08, 33)

Pellegrino Roberta – La dimensione invisibiledel paesaggio (78/08, 45)

Pergoli Campanelli Alessandro – Territorio di-menticato: Foro Mussolini febbraio 2006

INDI

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(76/08, 52); Il restauro della facciata del Palaz-zo di Spagna (79/08,36); MAEC di Cortona.Capolavori etruschi dall’Ermitage (79/08, 56)

Piras Giuseppe – Edifici: check up con la ter-mografia (76/08, 21); Conservazione delleopere d’arte (77/08, 23); Caravaggio: buonala luce. Illuminazione Museo di Carpineto Ro-mano (78/08, 37)

Quintili Paolo – Uni(di)versità, agire per le cittàe il territorio (79/08, 45)

Reale Luca – L’Italia di Le Corbusier 1907-1965 (76/08, 56)

Ricci Manuela – Territorio ritrovato: La campa-gna in città: Roma, Largo delle Sette Chiese,giugno 2008 (80/08,52)

Rotondo Roberta – Recupero eco-compatibiledell’edilizia residenziale pubblica (79/08, 27)

Rossi Piero Ostilio – Amate l’Architettura. Mi-sura e ascolto (78/08, 10)

Rosso Maria – Caravaggio: buona la luce. Illu-minazione Museo di Carpineto Romano(78/08, 37)

Rosso Teresa – Edifici: check up con la termo-grafia (76/08, 21)

Testana Carlo – Sistemi informativi geografici e“cultural heritage” (79/08, 48)

Sacchi Livio – Amate l’Architettura. Architettu-ra e buon senso (78/08, 11)

Sarti Francesco – Sistemi informativi geografi-ci e “cultural heritage” (79/08, 48)

Scalvedi Luca – ROMA SPECIALE RESIDENZA(a cura di n. 75/08); Le nuove case e l’espan-sione della città (75/08, 9); Identità della casaanonima romana (75/08, 17)

Sgandurra Monica – New York. Via di fuga: ilcielo (78/08, 49); Un parco nell’acqua (79/08,41); Paesaggi sottovetro (80/08, 35)

Tinacci Elena – Trasformazione di un rione oltreil Tevere (76/08, 42)

Tozzi Tiziano – Il verde pensile e le sfide am-bientali urbane (80/08, 31)

Vecchiarelli Marina – L’autorecupero a fini re-sidenziali (75/08, 38)

ARCHITETTURA

Eventi– Live city a Salerno, Massimo Locci (77/08,16)– Sustainab.italy, Massimo Locci (78/08, 31)– Congresso mondiale UIA, Massimo Locci(79/08, 18)– Off congress, Torino 2008, MariateresaAprile (79/08, 21)– In Cina con l’archiscultura, Luciana Finelli(79/08, 24)– Venezia: Biennale Architettura, Massimo Locci(80/08, 11)

Impiantia cura di Carlo Platone– Edifici: check up con la termografia, GiuseppePiras e Teresa Rosso (76/08, 21)– Conservazione delle opere d’arte, FrancoGugliermetti, Fabrizio Cumo, Giuseppe Piras(77/08, 23)– Caravaggio: buona la luce, Giuseppe Piras,Maria Rosso, Sandro Massa (78/08, 37)– Progettazione bioclimatica, Simone Cappel-lanti (79/08, 31)– Luce come materiale fisico dell’architettura,Carolina De Camillis (80/08, 28)

MonograficiROMA: SPECIALE RESIDENZA, a cura di Ma-riateresa Aprile e Luca Scalvedi– Presentazione - Le nuove case e l’espansionedella città, Mariateresa Aprile e Luca Scalvedi(75/08, 9)– Scenari dell’abitazione a Roma, MariateresaAprile (75/08, 12)– Identità della casa anonima romana, LucaScalvedi (75/08, 17)– Emergenza casa. strategie e strumenti, IlariaGatti (75/08, 22)– Aree 167: occasioni di integrazione, MartaCalzolaretti (75/08, 27)– Codice di pratica, risultato della ricerca CITE-RA, (75/08, 32)– Abitare in verticale, Massimo Locci (75/08, 34)– L’autorecupero a fini residenziali, MarinaVecchiarelli (75/08, 38)– Case energivore ed efficienza energetica, Lo-renzo Iacchia (75/08, 42)– Qualità diffusa: tre microstorie, Giovanni Ca-fiero (75/08, 46)– Casa e modelli urbani, Andrea Bruschi(75/08, 48)–Domotica e architettura, Federico Bilò (75/08,54)– Procedure e normativa edilizia per la proget-tazione di edifici residenziali, a cura di Rolan-do De Stefanis (75/08, 57)

Nuove tecnologiea cura di Giorgio Peguiron– Eco-efficienza nel recupero edilizio, MartaLattaioli (76/08, 16)– Progettare il sottosuolo, Gianfranco Bombaci(77/08, 19)– Nuovi materiali per l’isolamento termico,Carlotta Pediconi (78/08, 33)– Recupero eco-compatibile dell’edilizia resi-denziale pubblica, Roberta Rotondo (79/08,27)– Il verde pensile e le sfide ambientali urbane,Tiziano Tozzi (80/08, 31)

Progettia cura di Massimo Locci– Nuovo Museo ai Mercati di Traiano, MassimoLocci (76/08, 12)– Sovrappasso pedonale a Manziana, MassimoLocci (77/08, 10)– Un nuovo monumento in città ai caduti diNassiriya, Mariateresa Aprile (77/08, 13)– Un mile per Reykjavik, Massimo Locci(78/08,19)– Complesso scolastico a Villasimius, LucioCarbonara (80708, 16)– Nuovo Cinema Aquila, Luisa Chiumenti(80/08, 19)

Protagonisti romani– Elio Piroddi, Claudia Mattogno (78/08, 22)– Marcello Rebecchini, un architetto controcor-rente, Claudia Mattogno (79/08, 13)– Giuseppe Rebecchini, Mariateresa Aprile(80/08, 23)

Scenografia– Vincenzo Del Prato, architetto del cinema, Al-do Cancellieri (78/08, 27)

ATTIVITÀ DELL’ORDINE– Dossier iniziativa “Amate l’architettura: 100opere progettate e realizzate in Provincia diRoma” (78/08, pagine 9-18)– Misura e ascolto, Piero Ostilio Rossi (78/08,10)– Architettura e buon senso, Livio Sacchi(78/08, 11)– Opere progettate e realizzate in Provincia,Enza Evangelista (78/08, 12)

CITTÀ IN CONTROLUCEa cura di Claudia Mattogno– La Habana, Cuba, Salvatore Patera (76/08,48)– Legno, paglia, fango e pietra (Bukhara),Alessandro Califano (77/08, 46)– New York. Via di fuga: il cielo, Monica Sgan-durra (78/08,49)

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– Torino ovvero il fantasma operaio, Mariatere-sa Aprile (79/08, 52)– Fort Lauderdale e la South Florida Metropoli-tan Area. “...one more toy”, Lucio Carbonara(80/08, 49)

EDITORIALI– Lettera aperta a Raffaele Sirica, FrancescoOrofino (79/08, 11)

INDICI ANNO 2007– Autori e Argomenti (77/08, 57)

INDUSTRIAL DESIGNa cura di Tonino Paris– Retail design, Michele Fanfulli (76/08, 38)– Il design per la spiritualità, Loredana Di Luc-chio (77/08, 38)– Olympic sport design, Sabrina Lucibello(80/08, 39)

INTERVISTE– Museo dei Fori Imperiali, intervista a LucreziaUngaro, Luisa Chiumenti (76/08, 7)

LETTERE– Sul Ponte della Musica, Tommaso Bevivino(80/08, 53)

MANIFESTAZIONI

Eventi, Convegni, Incontri– Centenario dell’Università dei Marmorari,Luisa Chiumenti (76/08, 55)– Il sottovia ricorda il suo autore, Alberto Gatti(76/08, 56)– Premio Dedalo Minosse, Luisa Chiumenti(78/08, 52)– Si apre Expo Zaragoza 2008, Luisa Chiu-menti (78/08, 53)– Il “disegno” oggi: a colloquio con l’architettoFranco Luccichenti, Luisa Chiumenti (80/08,56)– Fondazione e Museo Manzù, Luisa Chiumen-ti (80/08, 57)– Lungo la “Via dell’argento”, Luisa Chiumenti(80/08, 59)

Mostre– L’Italia di Le Corbusier 1907-1965, LuisaChiumenti (76/08, 56)– Capolavori dalla città proibita, Luisa Chiu-menti (76/08, 58)– Unesco Italia alla Biblioteca Nazionale Cen-trale, Luisa Chiumenti (77/08, 52)– Charles Heathcote Tatham “architetto di abili-tà”, Luisa Chiumenti (77/08, 52)– A Barletta la collezione del Petit Palais di Pa-rigi, Luisa Chiumenti (77/08, 53)

– Al Museo Napoleonico i tesori della Fonda-tion Napoléon, Luisa Chiumenti (77/08, 54)– Paesaggi della memoria: gli acquerelli di Et-tore Roesler Franz dal 1876 al 1895, FabioMasotta (77/08, 55)– Il Novecento a Palazzo Coelli, Luisa Chiu-menti (78/08, 55)– Giuseppe Jappelli e la nuova Padova, LuisaChiumenti (78/08, 55)– Jean Prouvé. La poetica dell’oggetto tecnico,Luisa Chiumenti (78/08,56)– MAEC di Cortona. Capolavori etruschi dal-l’Ermitage, Alessandro Pergoli Campanelli(79/08, 56)– Carlo Scarpa e l’origine delle cose, LuisaChiumenti (79/08, 56)– A Vicenza Andrea Palladio: disegni in mo-stra, Luisa Chiumenti (79/08, 58)– Vergilius d’oro 2008, Luisa Chiumenti(79/08, 59)

PAESAGGIOa cura di Lucio Carbonara e Monica Sgandurra– Conversazione con Joao Nunes, a cura diGianfranco Marrucci (76/08, 24)– Paesaggio e programmi comunitari, France-sca Mordacchini Alfani (76/08, 30)– Parco Marturanum, Università La Sapienza,resoconto di uno stage, Emiliana Marini(76/08, 33)– Paesaggi costieri, Cristina Imbroglini (76/08,34)– Last Landscape, Emanuela De Leo (77/08, 29)– Premio Torsanlorenzo 2008, Luisa Chiumenti(77/08, 34)– La dimensione invisibile del paesaggio, Ro-berta Pellegrino (78/08, 45)– Un parco nell’acqua, Monica Sgandurra(79/08, 41)– Paesaggi sottovetro, Monica Sgandurra(80/08, 35)

RECENSIONI DI LIBRI E RIVISTE– Luca Creti, Tommaso Dore (a cura di), AttilioLapadula. Architetture a Roma, Rosalia Vittori-ni (76/08, 53)– Piero Sartogo, Nathalie Grenon, Architetturadel sublime. La Chiesa del Santo Volto di Gesùa Roma, Dimitri Oliveri (76/08,54)– Lucrezia Ungaro (a cura di), Il Museo dei ForiImperiali nei Mercati di Traiano, Massimo Loc-ci (76/08, 54)– Valter Bordini, Architettura dell’inquietudine,Massimo Locci (77/08, 50)– Oscar Niemeyer, permanence et invention,Massimo Zammerini (77/08, 50)– Riccardo Wallach, Il bisogno di città, stru-menti e metodi per la costruzione della qualitàurbana, Silvia B. D’Astoli (77/08, 51)

– L. Masia, D. Matteoni, P. Mei, Il parco del Fo-ro Italico a Roma, Massimo Locci (80/08, 54)– Guido Ingrao (a cura di), La casa del jazz aRoma, Luisa Chiumenti (80/08, 54)– Giuseppe Culicchia, Torino è casa mia, Ma-riateresa Aprile (80/08, 54)– Stefano Gasparri, Simboli geometrici del-l’Antico Egitto, Luisa Chiumenti (80/08, 55)

RESTAUROa cura di Giovanni Carbonara e AlessandroPergoli Campanelli– Grotta Santa (Siracusa), Vincenzo Minniti(77/08, 26)– La Reggia dei Volsci, Cesare Panepuccia(78/08, 41)– Il restauro della facciata del Palazzo di Spa-gna, Alessandro Pergoli Campanelli (79/08,36)

TERRITORIO DIMENTICATO/RITROVATO– Foro Mussolini, Roma febbraio 2006, Ales-sandro Pergoli Campanelli (76/08, 52)– Muro Torto, Roma febbraio 2008, Fabio Ma-sotta (77/08, 49)– La campagna in città: Roma, Largo delle Set-te Chiese, giugno 2008, Manuela Ricci(80/08,52)

URBANISTICAa cura di Claudia Mattogno– Trasformazione di un Rione oltre il Tevere, Ke-ti Lelo e Elena Tinacci (76/08, 42)– Un catalogo di spazi abitabili, Claudia Mat-togno (77/08, 42)– Uni(di)versità, agire per le città e il territorio,Paolo Quintili (79/08, 45)– Sistemi informativi geografici e “cultural heri-tage”, Carlo Testana, Emanuele Loret, France-sco Sarti, Maurizio Fea (79/08, 48)– PTPG: verso l’approvazione, Emanuela Bi-scotto (80/08, 43)

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