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e su ilgiornaledellarchitettura.com tutte le notizie e gli approfondimenti giorno per giorno Oggi potete leggere la vostra copia di «Il Giornale dell’Architettura» su allemandi.ezpress.it Versione disponibile per Pc, Mac, iPad, Android IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA UMBERTO ALLEMANDI & C. TORINO~LONDRA~VENEZIA~NEW YORK MENSILE DI INFORMAZIONE E CULTURA ANNO 11 N. 106 GIUGNO 2012 EURO 5 www.ilgiornaledellarchitettura.com IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA Nel Magazine 5 interventi di architetti e Ong italiani nei Paesi in via di sviluppo Ri_visitati: Cbf a Ouagadougou, Burkina Faso IL GIORNALE DELL’ ARCHITETTURA Interviste Hans Ibelings Città Le ultime dall’Aquila, Bologna pedonale, Sky Tree a Tokyo, reportage da Cuba e Venezuela Concorsi Architetture di servizio per Expo 2015 Musei Toulouse-Lautrec ad Albi, memorie della Resistenza Restauro Palazzo Branciforte a Palermo Fiere Il rilancio del Saie Libri Le teorie di 4 maestri, il tramonto dell’archistar Design Bilancio dei Saloni 2012 a Milano, Cité de la mode et du Design a Parigi SPEDIZIONE IN A.P. - 45% D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N° 46) ART. 1, COMMA 1, DCB TORINO MENSILE N. 106 GIUGNO 2012 Inchiesta Su progetto di Richard Meier, è stato inaugurato il 16 aprile i.lab, il nuovo centro ricerche del gruppo bergamasco all’interno del parco scientifico tecnologico Kilometro rosso: una realizzazione ottimistica in un paesaggio industriale depresso Articolo a pag.3 Meier di lusso per Italcementi L’AGGROVIGLIATO CONCORSO PER YENIKAPI Come cambierà Istanbul Drammatica complessità per ridisegnare una parte nevralgica come la casa che s’arrampica su un piano sfruttando un’ine- sistente parcella fondiaria su quella che dovrà diventare la piazza Aksaray, a defini- re il paesaggio ur- Il sito Un luogo quasi dimenticato, coltivato a orti da sempre, cir- condato da edifici con storie singolari di abusivismo, ai mar- gini dell’highway che fian- cheggia le mura della città bizantina, in- serito in un tes- suto tanto complesso quanto privo di disegno urbano, in cui è un’architettura quoti- diana ai limiti del paradosso,- CONTINUA A PAG. 11 Francesca De Filippi CONTINUA A PAG. 16 «Architetto-cooperante» è un neologismo professionale usato sempre più spesso negli ultimi tempi: un’espressione sfortunata per certi aspetti, che accosta una professionalità tecnica per la società a una modalità etica di condivisione di conoscenze e capacità. Il binomio architettura e cooperazione evoca progetti, edifici, spazi ma anche persone, comunità, luoghi. Quasi un’endiadi, come «sviluppo sostenibile», espressione ormai di uso comune: è possibile fare architettura senza «cooperare» osservando e ascoltando, per poi tradurre in luoghi e spazi le esigenze, le attese dei destinatari dei nostri interventi? Quanto progettare sia un gesto politico e di condivisione lo dimostrano i progetti illustrati in queste pagine e nel «Magazine» allegato. Un fatto tuttavia non sempre scontato, neppure alle nostre latitudini. Il 3 maggio il Mibac ha reso no- to, con un succinto comunica- to, il nome del tanto atteso cu- ratore del Padiglione Italia alla XIII edizione della Biennale, che si apre il 29 agosto. Si trat- ta di Luca Zevi, architetto e ur- banista, presidente della sezio- ne laziale dell’In/Arch. Impe- gnato nel recupero dei centri storici, ha operato nella pianifi- cazione dei nuclei di Beneven- to, Cosenza, Galatone (Lecce), Venafro (Isernia). Tra le sue realizzazioni, il museo della Memoria e dell’accoglienza a Nardò (Lecce) e il memoriale dei Caduti del bombardamento di San Lorenzo a Roma. È pro- gettista del Museo nazionale della Shoah a Roma e ha diret- to il Nuovissimo manuale del- l’architetto e il Manuale del re- stauro architettonico. Nella premessa del progetto presentato da Zevi si legge: «Non è un anno come gli altri. Il padiglione italiano della biennale deve porsi al centro HA TRE MESI DI TEMPO Alla Biennale un’Italia firmata Zevi Selezionato tra 10 candidature, il progetto di Luca Zevi cerca un dialogo con l’imprenditoria bano. È spesso il caso ad ac- compagnare la storia delle cit- tà. Così è per Yenikapi. La co- struzione di un nodo intermo- dale, che dovrà scam- biare la ferrovia che sottopassa il Bo- sforo con il sistema metropoli- tano, porta a scavare un’area, rimasta per secoli una riserva agricola in ambito urbano. Concept di uno dei tre progetti vincitori (Atelye 70, Cellini, Insula) Gli architetti cooperano? F orse vincerà un’amara risata. George Simenon nel suo primo romanzo, Au pont des Arches, scrive che l’ironia spesso è drammaticamente involontaria. Potrebbero tornare a leggere quel testo quanti stanno gestendo la cultura italiana, in modi che si possono definire solo umoristici. «Il Giornale dell’Architettura» pubblica, in questo numero, i programmi dei dieci studiosi chiamati a partecipare a una singolare competizione: si potrà così confrontarli almeno ex-post. CONTINUA A PAG. 22 Mibac senza democrazia di Carlo Olmo di questa differenza e diventare un’occasio- ne per riflettere sul rapporto tra crisi eco- nomica, architettura e territorio; dev’essere uno spazio in cui im- maginare un pro- getto di crescita del nostro paese. Il “common ground” deve tradursi in un progetto concreto e visionario». La sua proposta è dedicata a un dialo- go auspicato fra le ragioni del- lo sviluppo economico e quel- le dell’architettura, del territo- rio e dell’ambiente, e si artico- la in tre temi. L’oggi propone una narrazione del rapporto tra architettura, crescita, innova- zione e industria partendo dal- l’esperienza di Adriano Olivet- ti, immaginata come elemento chiave dal quale ricominciare a scrivere il futuro: un modo di fare impresa che non può pre- scindere da un atteggiamento etico e responsabile nei con- fronti dei lavoratori e del territorio. Da quell’esperienza parte un percorso di scoperta, conoscen- za e riflessione di una geografia poco nota: quella delle emer- genze architettoni- che e insediative della produzione Made in Italy, presentando le realizzazioni di alcuni marchi che negli ultimi anni hanno scelto di costruire i propri luo- ghi di lavoro secondo un pro- getto di eccellenza. Il futuro è focalizzato sulla sfida dell’Ex- po 2015 «Nutrire il pianeta», considerata un’occasione straordinaria per riflettere sul rapporto tra territorio e am- biente, città e produzione agri- cola e sul senso del progetto nel nord e nel sud del mondo. Nel padiglione vengono narrati i luoghi dell’Expo sviluppando- ne il senso e la progettualità, creando un ambiente fisico e culturale in cui progettisti, im- prenditori e politici possono confrontarsi sulle questioni del vivere e dell’abitare. In questo spazio saranno presentate an- che recenti realizzazioni italia- ne che si muovono nella stessa direzione, con la riqualifica- zione d’insediamenti esistenti attraverso attività produttive di nuova generazione, a basso consumo di suolo ed energia. La sfida consiste nel far diven- tare il Padiglione Italia il pro- totipo di un nuovo modo di abi- tare che coniughi cultura del- l’ambiente e green economy. Un esempio di sperimentazio- ne che simula la costruzione di un ecosistema produttivo in cui i bisogni fondamentali del- l’uomo (riparo, acqua, cibo ed energia) vengono messi in un ciclo chiuso in grado di garan- tire la propria autosufficienza. INTERVISTA A LUCA ZEVI E GLI ALTRI 9 PROGETTI DI CANDIDA- TURA ALLE PAGG. 22-23 Luca Zevi (1949)

ARCHITETTURA IL GIORNALE DELL’ - ar-co.org Inchiesta... · Francesca De Filippi CONTINUA A PAG. 16 ... tesi del soddisfacimento di SEGUE DA PAG. 1 ... Due progetti di Fabrizio Caròla

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UMBERTO ALLEMANDI & C. TORINO~LONDRA~VENEZIA~NEW YORK MENSILE DI INFORMAZIONE E CULTURA ANNO 11 N. 106 GIUGNO 2012 EURO 5www.ilgiornaledellarchitettura.com

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Nel Magazine � 5 interventi di architetti e Ong italiani nei Paesi in viadi sviluppo� Ri_visitati: Cbf aOuagadougou, Burkina Faso

IL GIORNALE DELL’

ARCHITETTURAInterviste Hans Ibelings Città Le ultime dall’Aquila, Bologna pedonale,Sky Tree a Tokyo, reportage da Cuba e Venezuela Concorsi Architetturedi servizio per Expo 2015 Musei Toulouse-Lautrec ad Albi, memorie dellaResistenza Restauro Palazzo Branciforte a Palermo Fiere Il rilancio delSaie Libri Le teorie di 4 maestri, il tramonto dell’archistar Design Bilanciodei Saloni 2012 a Milano, Cité de la mode et du Design a Parigi

SPEDIZIONE IN A.P. - 45%D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N° 46)

ART. 1, COMMA 1, DCB TORINOMENSILE N. 106 GIUGNO 2012

Inchiesta

Su progetto di Richard Meier, è stato inaugurato il 16 aprile i.lab,il nuovo centro ricerche del gruppo bergamasco all’interno delparco scientifico tecnologico Kilometro rosso: una realizzazioneottimistica in un paesaggio industriale depresso Articolo a pag.3

Meier di lusso per Italcementi L’AGGROVIGLIATO CONCORSO PER YENIKAPI

Come cambierà Istanbul Drammatica complessità per ridisegnare una parte nevralgica

come la casa che s’arrampicasu un piano sfruttando un’ine-sistente parcella fondiaria suquella che dovrà diventare lapiazza Aksaray, a defini-re il paesaggio ur-

Il sitoUn luogo quasi dimenticato,coltivato a orti da sempre, cir-condato da edifici con storiesingolari di abusivismo, ai mar-gini dell’highway che fian-cheggia le mura dellacittà bizantina, in-serito in un tes-suto tanto complesso quanto privo didisegno urbano, incui è un’architettura quoti-diana ai limiti del paradosso,- CONTINUA A PAG. 11

� Francesca De Filippi CONTINUA A PAG. 16

«Architetto-cooperante» èun neologismo professionaleusato sempre più spessonegli ultimi tempi:un’espressione sfortunataper certi aspetti, che accostauna professionalità tecnicaper la società a unamodalità etica dicondivisione di conoscenze ecapacità. Il binomio architettura ecooperazione evoca progetti,edifici, spazi ma anchepersone, comunità, luoghi.Quasi un’endiadi, come«sviluppo sostenibile»,espressione ormai di usocomune: è possibile farearchitettura senza«cooperare» osservando eascoltando, per poi tradurrein luoghi e spazi le esigenze,le attese dei destinatari deinostri interventi? Quanto progettare sia ungesto politico e dicondivisione lo dimostrano iprogetti illustrati in questepagine e nel «Magazine»allegato. Un fatto tuttavianon sempre scontato, neppurealle nostre latitudini.

Il 3 maggio il Mibac ha reso no-to, con un succinto comunica-to, il nome del tanto atteso cu-ratore del Padiglione Italia allaXIII edizione della Biennale,che si apre il 29 agosto. Si trat-ta di Luca Zevi, architetto e ur-banista, presidente della sezio-ne laziale dell’In/Arch. Impe-gnato nel recupero dei centristorici, ha operato nella pianifi-cazione dei nuclei di Beneven-to, Cosenza, Galatone (Lecce),Venafro (Isernia). Tra le suerealizzazioni, il museo dellaMemoria e dell’accoglienza aNardò (Lecce) e il memorialedei Caduti del bombardamentodi San Lorenzo a Roma. È pro-gettista del Museo nazionaledella Shoah a Roma e ha diret-to il Nuovissimo manuale del-l’architetto e il Manuale del re-stauro architettonico.Nella premessa del progettopresentato da Zevi si legge:«Non è un anno come gli altri.Il padiglione italiano dellabiennale deve porsi al centro

HA TRE MESI DI TEMPO

Alla Biennale un’Italia firmata ZeviSelezionato tra 10 candidature, il progetto di Luca Zevi cerca un dialogo con l’imprenditoria

bano. È spesso il caso ad ac-compagnare la storia delle cit-tà. Così è per Yenikapi. La co-struzione di un nodo intermo-

dale, che dovrà scam-biare la ferrovia che

sottopassa il Bo-sforo con il

sistemametropoli-

tano, porta ascavare un’area, rimasta per

secoli una riserva agricola inambito urbano.Concept di uno dei tre progetti

vincitori (Atelye 70, Cellini, Insula)

Gli architetticooperano?

Forse vinceràun’amara risata.George Simenon nel

suo primo romanzo, Aupont des Arches, scrive chel’ironia spesso èdrammaticamenteinvolontaria. Potrebberotornare a leggere quel testoquanti stanno gestendo lacultura italiana, in modiche si possono definire soloumoristici. «Il Giornaledell’Architettura»pubblica, in questonumero, i programmi deidieci studiosi chiamati apartecipare a unasingolare competizione: sipotrà così confrontarlialmeno ex-post. CONTINUA A PAG. 22

Mibac senzademocrazia di Carlo Olmo

di questa differenza ediventare un’occasio-ne per riflettere sulrapporto tra crisi eco-nomica, architettura eterritorio; dev’essereuno spazio in cui im-maginare un pro-getto di crescita delnostro paese. Il“common ground”deve tradursi in un progettoconcreto e visionario». La suaproposta è dedicata a un dialo-go auspicato fra le ragioni del-lo sviluppo economico e quel-le dell’architettura, del territo-rio e dell’ambiente, e si artico-la in tre temi. L’oggi proponeuna narrazione del rapporto traarchitettura, crescita, innova-zione e industria partendo dal-l’esperienza di Adriano Olivet-ti, immaginata come elementochiave dal quale ricominciarea scrivere il futuro: un modo difare impresa che non può pre-scindere da un atteggiamentoetico e responsabile nei con-

fronti dei lavoratori edel territorio. Daquel l ’esper ienzaparte un percorso discoperta, conoscen-za e riflessione di unageografia poco nota:quella delle emer-genze architettoni-che e insediativedella produzione

Made in Italy, presentando lerealizzazioni di alcuni marchiche negli ultimi anni hannoscelto di costruire i propri luo-ghi di lavoro secondo un pro-getto di eccellenza. Il futuro èfocalizzato sulla sfida dell’Ex-po 2015 «Nutrire il pianeta»,considerata un’occasionestraordinaria per riflettere sulrapporto tra territorio e am-biente, città e produzione agri-cola e sul senso del progetto nelnord e nel sud del mondo. Nelpadiglione vengono narrati iluoghi dell’Expo sviluppando-ne il senso e la progettualità,creando un ambiente fisico e

culturale in cui progettisti, im-prenditori e politici possonoconfrontarsi sulle questioni delvivere e dell’abitare. In questospazio saranno presentate an-che recenti realizzazioni italia-ne che si muovono nella stessadirezione, con la riqualifica-zione d’insediamenti esistentiattraverso attività produttive dinuova generazione, a bassoconsumo di suolo ed energia.La sfida consiste nel far diven-tare il Padiglione Italia il pro-totipo di un nuovo modo di abi-tare che coniughi cultura del-l’ambiente e green economy.Un esempio di sperimentazio-ne che simula la costruzione diun ecosistema produttivo in cuii bisogni fondamentali del-l’uomo (riparo, acqua, cibo edenergia) vengono messi in unciclo chiuso in grado di garan-tire la propria autosufficienza.

INTERVISTA A LUCA ZEVI E GLIALTRI 9 PROGETTI DI CANDIDA-TURA ALLE PAGG. 22-23

Luca Zevi (1949)

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Inchiesta: architettura e cooperazione16

La sfida dei pae

L’ingrediente principale delmio lavoro è la libertà.Per progettare ho bisogno ditre tipi di libertà: quella chemi concede il cliente, quellache mi concede l’autorità equella che io concedo a mestesso. La prima è proporzio-nale al grado di fiducia che ilcliente nutre nei miei riguar-di. La seconda è inversamen-te proporzionale alla quantitàdi norme e regolamenti checondizionano l’edificio. Laterza dipende dalla mia capa-cità di staccarmi dalle imma-gini preconfezionate dellamia cultura. Lavorando inAfrica ho potuto beneficiaredelle tre libertà ed essere pie-namente responsabile (nel be-ne e nel male) delle mie ope-re.Un’altra componente indi-spensabile è il rispetto: ri-spetto per coloro che usufrui-ranno della mia architettura.Il rispetto m’impedisce diabusare della libertà.Per me l’architettura è la sin-tesi del soddisfacimento di

SEGUE DA PAG. 1Nel 1973 Victor Papanek descriveva in Design for the realworld, utilizzando l’immagine della piramide, lasproporzione tra lo spazio di azione dei progettisti (lasommità) e il mondo reale (la base), dove si collocano levere necessità della maggior parte delle persone delpianeta. Un’immagine quanto mai efficace se si pensa aitre quarti della popolazione mondiale in condizioni diestrema povertà.Progettare per comunità lontane e disagiate ha senzadubbio un valore anche per chi progetta. Un interesse checresce, anche in relazione alla crisi (economica ed etica)dell’Occidente globale, che spinge molti progettisti allaricerca di nuovi valori e opportunità. Lo scenario della«cooperazione» che si apre loro innanzi è tuttavia pocopreparato a offrire all’architettura un ruolo centrale; iprogrammi di finanziamento comunitari o promossi daagenzie internazionali, da cui dipende di fatto anchel’operatività degli organismi non governativi, la lascianocome un’azione sullo sfondo. Gli obiettivi del millennio delle Nazioni Unite, ad esempio,non fanno esplicitamente cenno al valore della progettazionearchitettonica, sebbene la sua applicabilità sia trasversaleagli otto target e d’immediato riscontro nel settimo,«assicurare uno sviluppo sostenibile». Eppure la suafunzione di potenziale strumento di sviluppo è ben chiaraagli addetti ai lavori: migliorare un sistema educativosignifica intervenire anche sulla tipologia delle scuole, nonsolo sul numero o sulla scelta dei materiali con cui costruire.Anche per ciò che riguarda l’abitare, sebbene si riconoscano

ottime enunciazioni diprincipio (come nel casodell’Oms che lo cita tra ifattori sociali determinantilo stato di salute di unapopolazione e la suaqualità di vita) è moltodifficile trovare riscontronelle prassi. È dunque evidente laconseguenza di questofenomeno sulle opportunitàd’incontro tra committentee professionista:l’abboccamento è quantomai difficile e, nel caso incui si arrivi a formalizzareun incarico, laconsapevolezza, lacondivisione della prassioperativa non è sempre unfatto scontato, se maipiuttosto dibattuto. Spessogli obiettivi si rivelanoquasi inconciliabili: ilprogettista chiede modalitàe tempi di esecuzionecoerenti con le necessità e ivincoli individuati; il donorsi aspetta ilsoddisfacimento delleattese nei tempi e nei costistabiliti, spesso individuatiin base a presupposti molto

distanti dalla realtà contingente. La partnership traarchitetti e mondo della cooperazione soffre dunquedell’assenza di prassi consolidate: un progetto «socialmenteutile» implica spesso una prestazione professionale probono (o di cui si riconosce un rimborso spese), quasi sitratti di un lusso che non ci si può permettere o di un «dipiù», extra budget, che si regala. Eppure il «bello» è undiritto che anche le persone che non hanno futuroreclamano; credere che sia costoso è una devianza delmercato occidentale che lo identifica con il lusso. Molti dei progetti presentati nel «Magazine» de «IlGiornale dell’Architettura» sono frutto di collaborazionitra architetti e Ong attente, in qualche caso da loro stessifondate, convinte della forza che anche un solo edificio«bello» può avere per una comunità, se realizzato supresupposti condivisi e collegato a programmi di naturasociale che lo rendano suscettibile di verifica e non un attopericolosamente solipsistico. Molta strada tuttavia deve ancora essere fatta perchèl’idea di architettura sia associata a quella di diritto,affrancando i progettisti dal pericoloso (anche in termini dideprezzamento del lavoro intellettuale) ruolo di«volontari», dando loro il giusto spazio e le opportuneresponsabilità. Se architetturavuol dire organizzare unospazio massimizzando ibenefici per una comunitàalla luce di un equilibrio conle condizioni locali,progettare nellacooperazione può essereuna delle sfide più alteper un progettista. E glierrori sono difficili danascondere. � Francesca De FilippiDirettrice del Centro di ricerca edocumentazione in Tecnologia,architettura e città nei Paesi invia di sviluppo, Politecnicodi Torino

Architetti missionari? No

Moltastrada deveancora esserefatta perchèl’idea diarchitettura sia associata aquella di diritto,affrancando i progettisti dal pericolosoruolo di«volontari»,dando loro il giusto spazio e le opportuneresponsabilità”

L’Africa mi concede le tre libertà necessarie per progetta

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Due progetti di Fabrizio Caròla. Dal basso in senso orario, il mercatoper erboristi a Bamako (Mali, 1994),una veduta d’insieme e un corridoiointerno dell’ospedale regionale di Kaedi(Mauritania, 1984)

Le donne, i bambini e gli uomini che hanno collaborato con Emilio e Matteo Caravatti alla costruzione della Scuola comunitaria del villaggio di Fansirà Corò

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tolo» venga assunto o conferi-to anche ai non architetti, comenel caso del premio Aga Khan.Non tanto perché il loro lavoronon sia meritevole, quanto per-ché richiama indirettamente al-la mente la mancanza d’impe-gno della stragrande maggio-ranza dei nostri colleghi. In unmodo o nell’altro, tutti gli ar-chitetti sono potenzialmentescalzi, almeno per una partedelle loro attività.Qual è dunque la via da segui-re? Può essere solo quella diampliare le fila di chi ha a cuo-re l’altro lato della luna, di chiè pronto a guardarlo. Ogni azio-ne impegnata conta. Ogni indi-viduo e ogni organizzazionedediti allo scopo lasciano un se-gno. � Vassilis Sgoutas è stato presidente dell’Unione interna-zionale degli architetti

IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N. 106, GIUGNO 2012 Inchiesta 17

La partnership tra architetti e mondo della cooperazionesoffre dell’assenza di prassi consolidate: implica spessouna prestazione professionale pro bono quasi si tratti di un lusso. Ma il «bello» è un diritto di tuttipaesi poveri

A volte mi chiedo se chi vivenelle società privilegiate e svi-luppate del mondo non trovipiù comodo continuare con lesue solite attività e ignorarequanto accade altrove.La mia rivoluzione persona-le l’ho fatta all’inizio del «De-cennio delle Nazioni Unite perlo sradicamento della povertà»1997-2007, quando sono an-dato a visitare i ghetti dei pae-si meno sviluppati e mi sonoritrovato faccia a faccia conle disuguaglianze e le ingiu-stizie. Sono rimasto così im-pietrito che ho cominciato acercare una strada diversa. Conl’Unione internazionale degliarchitetti (Uia) abbiamo or-ganizzato sei conferenze sul-la povertà, due concorsi perarchitetti e studenti, una cro-ciata sugli «Alloggi per i po-veri», lezioni e articoli. Ep-pure non ho fatto il grandesalto, lavorare nella realtà.Anche se alcune cose sono sta-te realizzate e se gli appelli a unrisveglio sono stati lanciati,questa lacuna continua ad as-sillarmi. Nel 2007 l’Uia ha lanciato iltriennale «Premio VassilisSgoutas», riservato agli archi-tetti che contribuiscono a mi-gliorare l’habitat e l’ambientedelle zone che si trovano al disotto della soglia di povertà. Ilprossimo congresso mondia-le Uia, che si terrà nel 2014 aDurban, ospiterà la terza edi-zione del premio. Finora la ri-sposta e la qualità dei progettipresentati sono state incorag-gianti e hanno confermato unodegli obiettivi: «scovare» gliarchitetti che lavorano senzatroppo clamore lontano dalleluci della ribalta. Ce ne sonotanti. L’anno scorso le proposteche ci sono pervenute riguar-davano per lo più paesi comel’Africa, ma anche l’AmericaCentrale e l’America Latina,l’Asia e addirittura la Russia.L’aspetto interessante è chegli autori dei progetti prove-nivano, in molti casi, dai pae-si sviluppati, soprattutto eu-ropei. È un dato su cui lavora-re, perché non ci sono ancorasegnali sufficienti dagli archi-tetti che vivono nei paesi in

IL PREMIO VASSILIS SGOUTAS

Gli «architetti scalzi» vanno premiati

Per Vassilis Sgoutas andrebbe incentivato lo sforzo collettivo dei professionisti che con pochi mezzi

costruiscono nelle zone più povere del mondo

cui la povertà dilaga. Se nonfossi sicuro che esistono sareb-be un problema gravissimo.Ci tengo in particolar modo aricordare il vincitore del 2008,l’australiano Paul Pholeros, equelli dell’anno scorso, l’italia-no Fabrizio Caròla e lo studiomessicano Espacio MáximoCosto Mínimo. Pur non poten-do in alcun modo affermare chequesti architetti sono stati «sco-vati», meritavano senza dub-bio una maggiore visibilitàpoiché il loro lavoro rappre-senta molto di più di un sin-golo progetto. L’encomio concui è stato premiato Caròla èeloquente: «per il suo costanteimpegno a migliorare le condi-zioni di vita in una serie di pae-si dell’Africa attraverso l’usodi materiali da costruzione lo-cali in una gamma di struttureche rispettano le culture del po-sto».Gli architetti che lavoranonelle zone svantaggiate sonospesso definiti «architettiscalzi», espressione che per meracchiude lo sforzo collettivo ditutti i professionisti del settoreche con pochi mezzi a disposi-zione, ma armati della voca-zione a servire, stanno cam-biando la concezione di rifugioe di spazio nelle zone più po-vere del mondo. Si potrebbe ri-assumere nella frase «con lagente, per la gente». Eppurenon mi sento del tutto a mioagio con il fatto che questo «ti-

La selezione dei progetti di «Architettura e cooperazione» che presentiamo nel «Magazinedell’Achitettura» del Giornale di questo mese nasce da un fortunato ciclo di confe-renze dal titolo «Architetture nei Paesi in via di sviluppo. Bellezza e parsi-monia» tenutosi quest’anno al Politecnico di Torino, organizzato dal Centrodi ricerca e documentazione in Tecnologia, architettura e città nei Paesi invia di sviluppo (Crd-Pds) con Architettura senza frontiere Piemonte e il patro-cinio dell’Ordine degli Architetti pianificatori, paesaggisti e conservatori della Provincia diTorino. Una serie d’incontri con i protagonisti di questo numero che ha sorprendentemen-te animato le aule universitarie, dove si è discusso di progetti ma anche di processi, di pre-supposti sociali, tecnici e intellettuali, di decrescita tecnologica, dell’importanza del puntodi vista nell’approccio al contesto. Il Crd-Pvs si è costituito nel 2003 all’interno del

Politecnico di Torino dopo un’esperienza ventennale di ricerca, didattica e sperimentazione nel campo dell’habitat neiPaesi in via di sviluppo, emergenti e di nuova industrializzazione. Svolge attività di ricerca, formazione, pro-gettazione, cooperazione internazionale e divulgazione scientifica attraverso pubblicazioni ed eventi (se-minari, mostre e workshop). Il Centro coordina il Corso di perfezionamento in «Habitat tecnologia e sviluppo» e of-fre un servizio di documentazione sui temi della riqualificazione urbana, della conservazione e valorizzazione del pa-trimonio architettonico e ambientale e dei nuovi interventi edilizi.

Bellezza e parsimonia: dalle parole alla carta

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tutti i dati del problema:il numero e le funzionispecifiche di tutti i lo-cali e loro interrelazio-ni; l’ubicazione e ilbudget disponibile,imposti in partenzadal cliente; le esi-genze legate al si-to, quali le condi-zioni climatiche,la natura del suo-lo, i materiali dis-ponibili e il lorocosto, la qualità eil costo della ma-nodopera. Aquestidati obiettivi si aggiungono leriflessioni soggettive: il ri-spetto del paesaggio, l’ade-sione al contesto economico,sociale e culturale, l’impiegoottimale delle risorse locali.Dalla presa in carico di tutti idati derivano le scelte archi-tettoniche di materiali, strut-ture e forme. Nei paesi del Sahel, dove si èsvolta la maggior parte delmio lavoro, la manodopera èabbondante, economica, ma

poco utilizzata; inve-ce, i materiali mo-derni (cemento eferro) sono impor-tati, costano moltoe comportano una

spesa di mo-neta stra-niera pre-giata, men-tre l’im-piego dellegno con-t r ibuiscealla deser-tificazio-ne. Re-

stano, perciò, soltanto terrae pietra. Per utilizzare il mat-tone o la pietra in copertura,al posto di legno, ferro o ce-mento bisogna ricorrere astrutture che lavorano acompressione: archi, volte ecupole. Sperimentando que-ste strutture, ho rilevato diffe-renti vantaggi: economia, ra-pida e facile esecuzione e mi-glior comportamento del ce-mento armato in condizioniclimatiche difficili.

rogettare. Così qui costruiamo in economiaL’economia proviene soprat-tutto dal fatto di poter risol-vere con un solo materiale euna tecnologia a basso costoil problema sempre spinosodella copertura: infatti, unostesso operaio, con una solaoperazione, realizza l’interacostruzione, dalle fondazionialla fine, senza soluzione dicontinuità tra pareti e coper-tura. Con il compasso guida,si procede senza rischio disbagliare e senza una prepa-razione o competenza parti-colari: bisogna soltanto posi-zionare ogni mattone secondol’indicazione del compasso,senza preoccuparsi di allinea-mento, filo a piombo o squa-dro. Il sistema di pianta puòessere ortogonale (quadrati erettangoli) o polare (una com-binazione di cerchi). La pian-ta polare si è rivelata, prima inteoria e poi nella pratica, piùeconomica, per tempo e quan-tità di materiale, e più ade-guata alle caratteristiche del-la manodopera disponibile.� Fabrizio Caròla

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Formazione di manodopera locale nell’ambito del progetto«Healthabitat» in Nepal coordinato dall’architetto Paul Pholeros,premiato con il Vassilis Sgoutas Prize al convegno Uia 2008

di Fansirà Corò (Mali, 2011). Foto di Emilio Caravatti

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