13
1 “Sono convinto che il crescente impoverimento di simboli ha un significato; che questa evoluzione ha una sua intima coerenza. Tutto ciò di cui non ci si dava pensiero, e che perciò è rimasto privo di un nesso coerente con la coscienza nel suo processo evolutivo, è andato perduto. Quando abbiamo cercato di coprire la nostra nudità con sfarzosi abiti orientali, come fanno i teosofi, siamo stati infedeli alla nostra storia; non ci si riduce prima alla mendicità per poi posare da re indù da teatro. Sarebbe cosa molto migliore, mi sembra, riconoscere decisamente la nostra povertà spirituale, conseguente alla mancanza di simboli, anziché arrogarsi una illusoria ricchezza della quale assolutamente non siamo eredi legittimi. È ben vero che siamo gli eredi legittimi del simbolismo cristiano, ma abbiamo in certo qual modo sperperato questa eredità. Abbiamo lasciato crollare la casa che i nostri padri hanno costruito e ora cerchiamo di fare irruzione in palazzi orientali che essi non hanno mai conosciuto” Jung, 1934 1 Nella storia dell’umanità la geografia celeste ha sempre avuto un ruolo cruciale, per i miti e le leggende che vi sono legati sin dall’antichità, ma soprattutto per i tentativi di interpretazione che ne sono derivati in diverse civiltà. Sia nelle culture orientali che quelle occidentali vi è un continuo rimando all’ipotesi della città terrena come una sorta di traduzione o proiezione della città celeste. In molte di queste civiltà la stessa struttura urbana delle città e la disposizione dei principali edifici sono un continuo riferimento allo studio dei rapporti astrali e delle leggi cosmogoniche. Lo studio filosofico degli archetipi, afferendoci ai testi di Carl Gustav Jung, ci dimostra come nella storia dell’uomo il cielo sia stato rappresentato sovente come un luogo ideale per accogliere le proiezioni umane. In senso psicologico, la volta celeste si configura come un’origine archetipica comune a tutte le civiltà che si sono succedute sul nostro pianeta. Mentre nel mondo occidente è possibile osservare che il passare del tempo ha progressivamente relegato questi esempi di architettura celeste, spogliandoli del loro significato più profondo e trasformandoli in monumenti di un’epoca passata, in Oriente (ad esempio in India e Cambogia) essi trasmettono ancora un’aura di antica grandezza, non tanto per lo stato di conservazione, peraltro spesso pessimo, degli edifici sacri, testimoni di questo secolare studio del cosmo, quanto per l’importanza che tuttora rivestono per la popolazione che continua a viverli come luoghi di incontro spirituale. Architetture mandaliche: modulo e proporzioni nell’architettura templare induista Mattia Da Riol 280492 Andrea Guardigli 280006 Caterina Rigo 280415 Università Iuav di Venezia | DCP Corso di Disegno | prof. G. D’Acunto 1 Carl Gustav Jung, Gli archetipi dell’inconscio collettivo, 1934-54

Architetture mandaliche: modulo e proporzioni nell’architettura templare induista

Embed Size (px)

DESCRIPTION

di Caterina Rigo, Mattia Da Riol, Andrea Guardigli. Università Iuav di Venezia, Dipartimento di Culture del Progetto, Corso di Disegno, prof. Giuseppe D’Acunto

Citation preview

Page 1: Architetture mandaliche: modulo e proporzioni nell’architettura templare induista

1

“Sono convinto che il crescente impoverimento di simboli ha un significato; che questa evoluzione ha una sua intima coerenza. Tutto ciò di cui non ci si dava pensiero, e che perciò è rimasto privo di un nesso coerente con la coscienza nel suo processo evolutivo, è andato perduto. Quando abbiamo cercato di coprire la nostra nudità con sfarzosi abiti orientali, come fanno i teosofi, siamo stati infedeli alla nostra storia; non ci si riduce prima alla mendicità per poi posare da re indù da teatro. Sarebbe cosa molto migliore, mi sembra, riconoscere decisamente la nostra povertà spirituale, conseguente alla mancanza di simboli, anziché arrogarsi una illusoria ricchezza della quale assolutamente non siamo eredi legittimi. È ben vero che siamo gli eredi legittimi del simbolismo cristiano, ma abbiamo in certo qual modo sperperato questa eredità. Abbiamo lasciato crollare la casa che i nostri padri hanno costruito e ora cerchiamo di fare irruzione in palazzi orientali che essi non hanno mai conosciuto”

Jung, 1934 1

Nella storia dell’umanità la geografia celeste ha sempre avuto un ruolo cruciale, per i miti e le leggende che vi sono legati sin dall’antichità, ma soprattutto per i tentativi di interpretazione che ne sono derivati in diverse civiltà. Sia nelle culture orientali che quelle occidentali vi è un continuo rimando all’ipotesi della città terrena come una sorta di traduzione o proiezione della città celeste. In molte di queste civiltà la stessa struttura urbana delle città e la disposizione dei principali edifici sono un continuo riferimento allo studio dei rapporti astrali e delle leggi cosmogoniche. Lo studio filosofico degli archetipi, afferendoci ai testi di Carl Gustav Jung, ci dimostra come nella storia dell’uomo il cielo sia stato rappresentato sovente come un luogo ideale per accogliere le proiezioni umane. In senso psicologico, la volta celeste si configura come un’origine archetipica comune a tutte le civiltà che si sono succedute sul nostro pianeta.

Mentre nel mondo occidente è possibile osservare che il passare del tempo ha progressivamente relegato questi esempi di architettura celeste, spogliandoli del loro significato più profondo e trasformandoli in monumenti di un’epoca passata, in Oriente (ad esempio in India e Cambogia) essi trasmettono ancora un’aura di antica grandezza, non tanto per lo stato di conservazione, peraltro spesso pessimo, degli edifici sacri, testimoni di questo secolare studio del cosmo, quanto per l’importanza che tuttora rivestono per la popolazione che continua a viverli come luoghi di incontro spirituale.

Architetture mandaliche: modulo e proporzioni nell’architettura templare induista Mattia Da Riol 280492 Andrea Guardigli 280006 Caterina Rigo 280415

Università Iuav di Venezia | DCP Corso di Disegno | prof. G. D’Acunto

1 Carl Gustav Jung, Gli archetipi dell’inconscio collettivo, 1934-54

Page 2: Architetture mandaliche: modulo e proporzioni nell’architettura templare induista

2

Il mandala come matrice dell’architettura templare induista

“Dovunque sorga il tempio indù, qualunque sia l’epoca testimone della sua crescita, qualunque sia la sua dimensione, in quando corpo e sostanza in cui deve abitare Dio, esso è costruito in linea di principio sulla stessa pianta, il Vastupurusamandala, una sorta di mandala a scala territoriale, il quale, benché non sia né la pianta né l’alzato del tempio, le regola entrambe”

Kramrisch, 1976 2 I templi indù presentano molte analogie tra loro, riscontrabili

nella struttura e nella distribuzione degli ambienti. In particolare, nell’architettura e nella disposizione planimetrica del tempio indù vi è un continuo rimando alla pratica dei mandala, a cui essa si ispira. Con il termine mandala si intende una composizione dal significato simbolico, che è sostanzialmente l’applicazione nello spazio dello yantra, vocabolo con cui si identifica invece un disegno geometrico utilizzato per i riti e per la meditazione (figg.1-2). Questa analogia si estende anche alla terza dimensione del tempio indù, perché il disegno dello yantra guida il progetto sia nella pianta che nell’alzato, di modo che il tempio si può definire come una sorta di mandala a scala territoriale. Il mandala è quindi la matrice costruttiva originaria su cui si basano le elaborazioni tridimensionali del progetto templare.

Vastupurusamandala è il termine con cui viene indicato un mandala propriamente architettonico, utilizzato per la progettazione del tempio, dettando una serie di fasi specifiche. La parola stessa proviene dal Sanscrito e nella sua etimologia è formata dai principali componenti del progetto: vastu indica infatti l’azione di isolare, di definire un confine entro cui erigere il tempio, ed è il primo atto compiuto dal progettista; purusa, nella sua traduzione significa l’uomo cosmico, e indica la pianta del tempio che è sempre costruita a partire da proporzioni antropomorfe.

Il progettista, nella costruzione del mandala che sarà la matrice del tempio, segue delle fasi compositive molto precise. La prima azione che egli compie è la definizione del recinto, ovvero il confine entro cui si svilupperà il complesso sacro, di cui viene individuato un centro attorno al quale si articoleranno poi tutti gli spazi della costruzione.

2 Stella Kramrisch, Il tempio indù, Milano 1976

Page 3: Architetture mandaliche: modulo e proporzioni nell’architettura templare induista

3

Lo sthapaki

L’atto di creazione del mandala è considerato sacro, per questo è affidato allo sthapaki, una persona che ricopre insieme una carica di architetto-progettista e sacerdote. Egli deve avere una preparazione spirituale molto elevata, oltre che una profonda conoscenza delle scienze sacre tradizionali, tra le quali sono annoverate la matematica, l’astronomia e la scienza dei ritmi, perché il tempio è una macchina complessa, che per essere studiata in ogni suo dettaglio necessita di competenze multidisciplinari.

L’architetto non è solo un tecnico, poiché svolge anche una funzione di tipo sacerdotale: è una sorta di tramite tra la divinità e gli uomini. Egli trasferisce nel luogo di edificazione del tempio il centro ideale dell’universo, creando un punto di comunicazione tra il piano materiale-terreno e il mondo trascendentale (fig.5). L’architetto è tanto investito di questo dialogo con le potenze divine, da utilizzare il suo pollice come unità di misura per stabilire le proporzioni degli elementi architettonici del tempio, che diviene quindi sostanzialmente una trasposizione architettonica del suo corpo.

Costruzione e geometria del mandala

“Le concezioni metafisiche dell'India, trovano nella matematica il loro linguaggio d'espressione più preciso e, allo stesso tempo, di immediata comprensione per un intelletto capace d'astrazione”

Filippi 2014 3 Il mandala è composto dalla combinazione di tre figure

elementari, il triangolo, il quadrato e il cerchio, che vengono intersecate per comporre lo schema geometrico basilare (fig.3). Ognuna di queste forme riveste un significato simbolico per la cultura indù.

Il triangolo, principio seminale dello spazio a due dimensioni, è considerato una metafora del divino e simboleggia l’armonia. Il numero tre, creando un terzo punto nella geometria, permette l'ideazione dello spazio a due dimensioni. Tre punti rappresentano sempre i vertici di un triangolo (trikona), ovvero la figura poligonale primordiale, che nel massimo perimetro contiene il minimo di area. La figura del triangolo equilatero è fondamentale per la visione indiana dello spazio, che si basa principalmente sulla forma triangolare, a differenza delle concezioni ortogonali dell'Occidente, vitruviane prima e cartesiane poi. Il grafico tipico della cosmografia indiana è infatti

3 Gian Giuseppe Filippi, Dal mandala allo yantra: la via verso il vuoto, in A. De Rosa (a cura di), ‘Rappresentazioni alle soglie del vuoto. Estetiche della sparizione’, Padova 2014, pp. 183-213.

Page 4: Architetture mandaliche: modulo e proporzioni nell’architettura templare induista

4

composto da triangoli, così come l'immagine astratta dell'essere umano (fig. 4). Un'ulteriore differenziazione della forma triangolare riporta al principio maschile e a quello femminile. Se si considera una polarizzazione della figura, si ottengono due triangoli tra loro rovesciati, correlati nella formazione della molteplicità cosmica, in cui il vertice rivolto verso l’alto rappresenta il principio maschile e quello rivolto verso il basso il principio femminile. Il triangolo con il vertice in alto e quello con il vertice in basso interagiscono tra loro in diverse modalità, dando origine a una molteplicità indefinita di configurazioni geometriche del mandala (fig. 6).

Nella geometria simbolica dell'India, il punto è simbolo dell’origine, le rette riassumono una situazione di movimento lineare privo di ostacoli, mentre le curve rappresentano un impulso dinamico. Il quadrato è infatti una figura antidinamica, perché ancorato ai quattro lati, ed è sintesi del mondo terreno, della stabilizzazione. Esso rappresenta la completa antitesi del trascendente, del mondo celeste. Il cerchio invece simboleggia lo scorrere del tempo del Cielo, suggerendo un moto ciclico che è ritenuto dalla cultura indù un moto perfetto e immutabile, perché riporta tutto al suo punto di partenza. Da queste figure basilari si sviluppano altre geometrie essenziali nella creazione del mandala, come la croce che unisce il divino e mondano, oppure la svastica e la ruota che simboleggiano lo scorrere del tempio e la ciclicità degli eventi.

Il mandala si può intendere come un tentativo di stabilire un ordine cosmico compiuto dalla cultura induista. Parallelamente, nella storia delle civiltà europee vi è un largo utilizzo del cerchio come simbolo generatore di armonie geometriche. Il disegno del cosmogramma orientale, che cerca di rappresentare la perfezione cosmica, può essere in un certo senso ricondotto al concetto di concinnitas, tipico delle iconografie europee. Parallelamente, in Europa si assiste a diversi ragionamenti attorno al tema della città ideale, da Vitruvio al Labirinto di Filarete (XV secolo). I progetti delle città ideali del XVIII secolo sono caratterizzati da piante ad anelli concentrici e quadrati di strade che si intersecano con altre vie radiali convergenti al centro. In questi tentativi di portare la città rinascimentale all’ordine primordiale classico, ritroviamo interessanti analogie con i motivi del cerchio e del mandala indiano. La scelta di figure mandaliche come ispirazione per il progetto delle città non è dovuta solamente a ragioni di tipo funzionale o sociale, ma richiama in maniera simbolica

“il desiderio di aderire ad un’ideale struttura simbolica che fornisse alla città il senso di un cosmo ordinato, sacralizzato da un punto centrale, e da un axis mundi, quale simbolo del legame tra Cielo e Terra” 4

4 Giuseppe D’Acunto, Il disegno del cosmo. L’architettura mandalica di Angkor Wat, Padova 2004

Page 5: Architetture mandaliche: modulo e proporzioni nell’architettura templare induista

5

L’architettura del tempio indù

Il tempio, per la cultura hindu, è concepito come una traduzione architettonica del baricentro del mondo, e per questo motivo rappresenta una sorta di microcosmo a sé stante. Diversamente dalla cultura cristiana, in cui l’edificio di culto è la casa di Dio ed è la meta verso cui si rivolge il fedele, il tempio hindu ha di per sé un carattere transitorio ed è esso stesso luogo di pellegrinaggio che si compie all’interno delle sue labirintiche stanze. Gli spazi dell’architettura induista sono pensati per evitare gli affollamenti, perché l’incontro con la divinità avviene in una forma individuale, non comunitaria. La progettazione templare parte dai percorsi, non si focalizza sugli ambienti di adunanza collettiva che caratterizzano invece le architetture sacre di altri culti.

Uno dei concetti chiave della religione induista è proprio il passaggio, inteso come un transito sia fisico che ascetico, da una condizione spirituale a un'altra di livello superiore. La traduzione più evidente di questa metafora è la presenza nella composizone dell’acqua, elemento a cui diverse culture allegano una simbologia simile, attribuendovi un significato di purificazione e mutamento della situazione di un individuo. La purezza è un altro cardine che caratterizza il culto indù, ed è per questo motivo che il terreno su cui si intende erigere il tempio deve essere puro, ovvero purificato dai demoni che lo abitano, per poter essere fecondo alla crescita spirituale dei fedeli.

Poiché il culto della religione induista impone questo tipo di circolazione rituale, il cammino e la preghiera si attuano in un percorso fisico, che il fedele compie negli spazi dedicati alla deambulazione attorno al santuario centrale, dove si trova la divinità a cui il tempio è dedicato. Questo percorso si sviluppa nella pianta e sale a più livelli, a simboleggiare l’ascesi che compie il devoto nel suo avvicinamento a Dio. L’orientamento del tempio è fissato rispetto ai punti cardinali, al movimento degli astri e del Sole, e le stanze adibite al passaggio dei fedeli seguono una disposizione legata ad analoghi allineamenti astrali, in una sorta di riproduzione di un universo a scala ridotta.

Il perno centrale del sistema cosmico, per la cultura indù, è il Monte Meru, centro e asse del mondo, un luogo sacro mitologico che viene immaginato con cinque cime, ripreso nell’architettura di ogni tempio attraverso l’utilizzo del caratteristico schema planimetrico a quinconce. In sanscrito, sumeru significa montagna del mondo, ed esso è riproducibile solo in determinati luoghi del pianeta, che sono considerati come catalizzatori di energie positive; questo lascia intendere che una grande importanza è affidata alla scelta del luogo in cui erigere il tempio, che non è mai casuale ma è frutto di accurate ricerche.

Page 6: Architetture mandaliche: modulo e proporzioni nell’architettura templare induista

6

Modulo, numeri e proporzioni del tempio indù

“Se la misura del Tempio è perfetta sotto ogni aspetto, anche nell’Universo ci sarà perfezione”

antico testo indiano 5 L’elemento centrale ed essenziale di ogni tempio è una torre

che riproduce il Monte Meru, ed è uno spazio sacro destinato ad ospitare una rappresentazione della divinità. La cella interna che custodisce l’immagine divina è denominata Garbhagrha, che in sanscrito significa casa del ventre materno e infatti simboleggia la rinascita del fedele dopo il percorso di purificazione, mentre la struttura esteriore della torre è chiamata Prasada. Il Garbhagrha (fig. 8) è un ambiente a pianta quadrata, uno spazio ridotto e privo di illuminazione, con quattro porte orientate secondo i punti cardinali, ed è circondato da mura molto spesse. Esse lo separano dal resto della città templare e risultano sovradimensionate rispetto al carico a cui sono sottoposte, semplicemente perché la loro funzione non è tanto portante quanto di protezione dalle forze demoniache esterne che potrebbero compromettere la sacralità del Garbhagrha. Un altro elemento fondamentale per comprendere la composizione del tempio è il Sikhara, la sovrastruttura di coronamento che ha un andamento piramidale e segue un rigoroso rapporto gerarchico. Esso richiama un ideale asse verticale che rappresenta l’unione tra i due universi, quello mondano che si trova sulla terra e quello divino situato nei cieli.

L’andamento della copertura della torre si ispira al mitologico Monte Meru, e si esplica in una serie di terrazzamenti sovrapposti e digradanti. La tecnica utilizzata dal costruttore è un tipo di accelerazione prospettica con andatura curvilinea: i piani orizzontali sono impilati l’uno sull’altro e il motivo decorativo ripetuto decresce di dimensioni all’aumentare dell’altezza, ingannando l’occhio dell’osservatore. In epoche più recenti compare un elemento architettonico che completa l’intera struttura, una sorta di zoccolo o plinto, su cui si erge il tempio.

Tutti gli elementi architettonici che compongono il tempio, strutturali e decorativi, seguono un preciso schema di proporzioni che contribuisce a creare quell’armonia necessaria al fedele per raggiungere l’ascesi spirituale. Questa perfezione si raggiunge utilizzando un modulo di base che durante la progettazione determina le misure di tutti gli elementi del tempio. Solitamente, il modulo di base è riconducibile alla larghezza esterna del muro del Prasada, il quale viene suddiviso in quattro od otto parti (l’area della pianta viene frazionata in 16 o 64 parti). L’altezza del Prasada è uguale alla larghezza, in modo che l’ambiente diventa cubico, mentre il Garbhagrha è largo la metà del modulo (fig. 7). L’altezza totale della sovrastruttura di copertura è invece solitamente il doppio del modulo di partenza.

5 Giuseppe D’Acunto, Ichnographie e ortographie mandaliche: numero, modulo e proporzioni nell’architettura templare induista, in A. De Rosa (a cura di), ‘Orienti e Occidenti della Rappresentazione’, Venezia 2005, pp. 229-242.

Page 7: Architetture mandaliche: modulo e proporzioni nell’architettura templare induista

7

1. Sri Yantra, il primo tra tutti gli yantra. È composto dall’intersezione di triangoli con il vertice rivolto verso l’alto, che rappresentano il principio maschile e con il vertice rivolto verso il basso a rappresentare il principio femminile. 2. Mandala Kalacakra (Thangtka, Tibet, XVIII secolo) 3. Forme geometriche di partenza per la creazione del mandala. 4. Meru Danda, rappresentazione della colonna vertebrale come un’interpretazione dell’asse terra-cielo. 5. Meru, l’incontro tra il mondo terreno e quello trascendentale.

Page 8: Architetture mandaliche: modulo e proporzioni nell’architettura templare induista

8

6. Sequenza che mostra il metodo tradizionale per la composizione dello Sri Yantra, secondo il Saundaryalahari (VIII secolo d.C.)

7. Esempi di proporzionamento del Garbhagrha.

8. Il Garbhagrha del tempio di Lakshmana nella penombra, visto dal Mandapa limitrofo.

Le immagini sono tratte da: Giuseppe D’Acunto, Ichnographie e ortographie mandaliche: numero, modulo e proporzioni nell’architettura templare induista, Venezia 2005

Gian Giuseppe Filippi, Dal mandala allo yantra: la via verso il vuoto, Padova 2014

Page 9: Architetture mandaliche: modulo e proporzioni nell’architettura templare induista

9

Il Tempio del Bayon ad Angkor Thom, Cambogia

Il Tempio del Bayon, ad Angkor, è centro geometrico e simbolico dell'ultima capitale del periodo angkoriano, Angkor Thom (grande capitale in lingua khmer) ed è un paradigmatico esempio del senso numinoso dell’architettura orientale.

Fondata tra nono e decimo secolo, la città di Angkor è il risultato di un ingegnoso e ambizioso progetto urbano a vasta scala. La pianta generale è formata da un quadrato con lato di tre chilometri, progettato in un contesto monumentale e idrogeologico già modificato dai predecessori. A est e ovest infatti erano già presenti due laghi artificiali rettangolari e svariati monumenti di epoche diverse.

Anche se centro simbolico e geometrico di Angkor Thom, il Bayon (fig.9) non è il centro dell'intero complesso urbano, dal momento che esistono anche complessi esterni che non hanno legami con gli assi cardinali della capitale. Lo stesso tempio non è perfettamente in posizione centrale, segno che sia il tempio che altri complessi sottostavano ancora all'ordinamento della precedente capitale. Altri complessi precedenti o dello stesso periodo hanno infatti un legame maggiore con la città, come il tempio Angkor Wat. Il posizionamento delle mura di Angkor Thom, e quindi il Bayon, è stato dunque limitato dalle molte vestigia rimanenti dalle capitali precedenti. La presenza di numerosi templi a Nord e a Sud del palazzo reale e degli specchi d'acqua a est e ovest ha determinato la posizione effettiva del tempio.

Angkor Thom è circondata da mura massicce affiancate a un vasto fossato che in alcuni tratti arriva a misurare 100 m di larghezza. Alte 8 metri e lunghe 12 chilometri, le mura racchiudono un'area di 900 ettari, la maggioranza dei quali oggi è densa foresta. Le mura formano un camminamento, con piccoli templi in ogni angolo (i Prasat Chrung). Le fortificazioni sono interrotte ai quattro punti cardinali da porte monumentali con ampie strade rialzate, che convergono nel tempio del Bayon. I templi di Angkor, per le loro caratteristiche morfologiche e per l’ analogia con l’immagine delle cinque vette del Monte Meru, sono definiti templi montagna. Le cime sono rappresentate nella costante presenza di cinque Sikhara, delle torri collocate agli angoli del quadrato che circoscrive il centro del tempio.

Il mito della genesi del cosmo, di tradizione induista, detto “dell’Oceano Latteo”, racconta di angeli e demoni impegnati a tirare per la testa e la coda il serpente Vasuki, avvolto a spirale attorno al monte Mandera, la vetta centrale delle cinque cime del Monte Meru, unico sperone di terra che emerge dall’oceano di latte che si estende sull’intero globo terrestre. La statuaria

Page 10: Architetture mandaliche: modulo e proporzioni nell’architettura templare induista

10

presente in molti dei templi di Angkor, antica capitale del regno Khmer, ritrae a più riprese i momenti di questo mito. Le quattro porte di Angkor Thom che danno accesso al Tempio del Bayon (fig.10) sono delimitate da un lato dalle statue degli Ashura (demoni) e dall’altro da quelle dei Deva (déi). Il Tempio e la città sono quindi saldamente legati anche nel mito, oltre che nella costruzione geometrica.

Misure e proporzioni del complesso del Bayon

La composizione del Tempio è strettamente legata alla forma del Mandala: l’architettura del tempio è fondata su quell’armonia che regola anche gli equilibri universali di cui il Vastupurusa-mandala è la legge simbolica. L’esperienza meditativa del fedele è rapportata all’attraversamento del Tempio (fig.11).

“La deambulazione dall’esterno verso l’interno avviene seguendo i cinque recinti che concentricamente conducono al Garbhagrha, così come con gli occhi della mente si percorrono le linee del Mandala fino a raggiungerne il centro” 6

L’anello più interno riporta le posizioni del sole agli equinozi, ai solstizi e nei punti intermedi tra questi, in modo che la posizione del sole nei due equinozi coincida con l’incrocio tra il piano dell’equatore e quello dell’eclittica. L’ombra che il Garbhagrha proietta nel giorno del solstizio d’estate, all’alba e al tramonto, va a traguardare due porte di accesso, denominate solstiziali. Il Vuoto del Garbhagrha del Bayon rappresenta un luogo di ascesa verso le armonie dell’universo, delle quali il Tempio è un’immagine in scala ridotta.

Considerandolo dal punto di vista di un’analisi quantitativa, il complesso misura 144 x 228 metri ed è rettangolare. Il grande tempio celebrativo del sovrano si compone di tre livelli principali (rispettivamente alle quote: +2,95m; +4m; +5,48m), ciascuno con un numero di variazioni minori in altezza. Dal suolo alla cima del santuario principale, il tempio è alto 42 metri, altezza distribuita non equamente sui tre livelli. Il santuario centrale, che con la base misura 32 metri di altezza, da solo ne costituisce i tre quarti. Sono stati usati come minimo 112.520 metri quadrati di pietre, arenaria (più solida, la sua lavorazione era una tecnologia relativamente recente all'epoca) e laterite (molto tenera e di facile deperimento).

Il tempio consiste di torri collegate da gallerie, caratteristiche dell'architettura Khmer del dodicesimo secolo. Se escludiamo le gallerie, ci sono 60 strutture, 49 delle quali sono torri con volti. Tutto il monumento è circondato da un primo muro di laterite di cui non rimane molto. La fortificazione, come per quella cittadina,

6 Alessio Bortot, Nicola Sartorato, Tempio del Bayon, in ‘Engramma’ #60, Venezia 2007

Page 11: Architetture mandaliche: modulo e proporzioni nell’architettura templare induista

11

è interrotta dagli ingressi ai quattro punti cardinali: il Bayon ha infatti un orientamento prevalente est-ovest, con l'entrata principale a Est.

Il primo livello costituisce il primo muro di delimitazione, e la corte interna è contigua al secondo livello. Il sistema è formato da una serie di gallerie collegate da quattro padiglioni assiali e quattro angolari: sono due tipologie differenti, essendo i primi di passaggio e ingresso agli ulteriori livelli, i secondi semplici nodi tra gallerie. Queste gallerie sono coperte ininterrottamente da una volta e decorate alle pareti con bassorilievi che mostrano la vita quotidiana Khmer nel XIII secolo. Dietro il padiglione assiale est, verso il secondo livello, c'è l'unica torre con volti del primo livello. Esistono anche due strutture simmetriche nella corte, chiamate biblioteche. In questo livello si possono anche distinguere le fondazioni e le pavimentazioni di strutture ora scomparse, in totale sedici, che permettevano il passaggio tra le gallerie del primo e del secondo livello.

Il secondo livello è il più complesso dell'intero monumento. È un rettangolo di circa 86 x 75 metri, e il conglomerato di strutture è organizzato in tre terrazzi, collocati tra 1,30 e 4 metri sopra la corte del primo livello. Lungo tutto l'esterno si sviluppa una galleria voltata continua, che attraverso un complesso sistema di snodi perpendicolari, torri, padiglioni e anticamere permette di raggiungere ogni cappella votiva del livello. L'accesso al terzo livello dal secondo è solo ad ovest, opposto all'ingresso principale del tempio: il movimento del fedele è quindi un pellegrinaggio, obbligato a molti cambi di direzione fino a raggiungere la cella principale.

Il terzo livello si estende su una piattaforma cruciforme di circa 50 m di lato. Il braccio est è leggermente allungato rispetto agli altri, e contiene la successione di camere che portano direttamente dall'ingresso alla camera centrale. Il basamento si estende leggermente oltre le murature delle strutture sovrastanti, a formare una terrazza accessibile dai quattro lati. Sono presenti tre padiglioni assiali identici su tutti i lati eccetto l'est, e quattro padiglioni successivi ad altezze diverse a est, che marcano gli ingressi al corpo principale. Questo ha una pianta radiale, consistente in un'alta torre centrale dalla base leggermente ovale e da un alzato dalla pianta cruciforme. Ha una controparte negativa nella forma di un pozzo di fondazione, ed è circondata da otto torri tangenziali: il complesso forma un loto stilizzato in pianta. La cella centrale presenta quattro porte assiali, che permettono l'accesso al resto della torre. Il deambulatorio esterno si interrompe ad est, dove l'ingresso è diretto.

Page 12: Architetture mandaliche: modulo e proporzioni nell’architettura templare induista

12

9. Veduta del Tempio del Bayon

10. Statue all’ingresso della cittadella di Angkor Thom

11. Pianta del Tempio del Bayon con il percorso che segue il fedele per giungere al Garbhagrha, tenendo sempre la destra rispetto al centro

Le immagini sono tratte da: Alessio Bortot, Nicola Sartorato, Tempio del Bayon, in ‘Engramma’ #60, Venezia 2007

Page 13: Architetture mandaliche: modulo e proporzioni nell’architettura templare induista

13

Bibliografia tematica

Introduzione

Carl Gustav Jung, Gli archetipi dell’inconscio collettivo, 1934-54

Il mandala come matrice dell’architettura templare induista

Lo sthapaki

Stella Kramrisch, Il tempio indù, Milano 1976

Giuseppe D’Acunto, Il disegno del cosmo. L’architettura mandalica di Angkor Wat, Padova 2004

Costruzione e geometria del mandala

Gian Giuseppe Filippi, Dal mandala allo yantra: la via verso il vuoto, in A. De Rosa (a cura di), ‘Rappresentazioni alle soglie del vuoto. Estetiche della sparizione’, Padova 2014, pp. 183-213.

Elementi costruttivi del tempio indù

Giuseppe D’Acunto, Ichnographie e Ortographie Mandaliche. Numero, modulo e proporzioni nell’architettura templare induista, in A. De Rosa (a cura di) ‘Orienti e Occidenti della Rappresentazione’, Venezia 2005, pp. 229-242.

Gisueppe D’Acunto, Il Disegno delle città celesti, in AA.VV., ‘Il Disegno della città. Opera aperta nel tempo’, Atti del Convegno Internazionale AED, S. Gimignano 2002, pp. 581-585.

Il Tempio del Bayon ad Angkor Thom, Cambogia

Misure e proporzioni del complesso del Bayon

Joyce Clark, Ang Choulean, Bayon: new perspectives, Bangkok 2007

Alessio Bortot, Nicola Sartorato, Tempio del Bayon, in ‘Engramma’ #60, Venezia 2007 http://www.engramma.it/eOS/index.php?id_articolo=266