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Accademia di Belle Arti di Roma A.A. 2006/07 Lorenzo Bruschini ARTE E ANIMALITÀ Cattedra di Tecniche dell’Incisione Corso di Pittura Salvatore Armando Marchese Prof Andrea Volo

ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

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Accademia di Belle Arti di Roma A.A. 2006/07

Lorenzo Bruschini

ARTE E ANIMALITÀ

Cattedra di Tecniche dell’Incisione Corso di Pittura

Salvatore Armando Marchese Prof Andrea Volo

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ARTE E ANIMALITÀ

E, forse, anche la sfera più luminosa delle relazioni col divino dipende, in qualche modo, da quella – più oscura – che ci separa dall`animale.

Giorgio Agamben

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INDICE

Introduzione

1 Oltre i miti di fondazione: arte parietale e animalità

1.1 Considerazioni sull`arte preistorica p.1

1.2 L`arte dell`uomo primordiale p.2

1.3 Il grande animale p.9

2 Occidente e animalità: dalla zoofisiognomica alla zooantropologia

2.1 L`animale specchio dell`uomo p.15

2.2 Storia della fisiognomica animale p.19

2.3 Zooantropologia p.49

3 Animali da pensare

3.1 Gilles Deleuze e il divenire-animale p.54

3.2 L`aperto. L`uomo e l`animale secondo Giorgio Agamben p.58

4 Artisti ed animalità

4.1 Francisco Goya : Los Caprichos p.61

4.2 Il bestiario surrealista p.66

4.2.1 Loplop: Max Ernst e il suo doppio p.68

4.2.2 Victor Brauner p.74

4.2.3 Tori e cavalli in Pablo Picasso p.77

4.2.4 André Masson p.83

4.2.5 Salvador Dalì p.86

4.2.6 Alberto Savinio p.89

4.2.7 Mino Maccari p.93

4.3 L`animalità nell`opera di Francis Bacon p.95

5 L`animale nell`arte contemporanea

5.1 Considerazioni introduttive p.98

5.2 Joseph Beuys p.102

Conclusioni p.118

Indice delle figure p.119

Bibliografia p.121

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Introduzione

Attraverso questa tesi ho cercato di approfondire il tema dell`animalità

nell`arte. Trattandosi di un tema complesso, che chiama in causa la relazione

dell`uomo con gli animali, ho tentato di osservare il fenomeno da diverse angolature,

talvolta completamente indipendenti, altrove complementari o anche in

contraddizione tra loro. Ho fatto riferimento a discipline diverse quali la storia

dell`arte, la filosofia, la psicoanalisi, la zooantropologia e la paleontologia e ho

potuto così verificare le incertezze e le esitazioni dell`uomo di fronte a questo tema.

L`animalità, come si vedrà, è stata e continua ad essere periodicamente

considerata come qualcosa di opposto all`umanità, da respingere. Sovente è stata

usata come un criterio per distinguere l`uomo dall`animale, ed è stata abitualmente

attribuita di preferenza alla bestia. Ma la si può anche ritenere una qualità comune ai

due. Certamente essa viene a seconda dei casi respinta o accettata dall`uomo, ma è

impossibile ignorarla.

Nel Primo Capitolo, scavalcando i miti di fondazione della pittura e della

scultura riportati da Plinio il Vecchio, mostrerò l`importanza decisiva che la

relazione con gli animali ha avuto per la genesi dell`espressione dell`uomo attraverso

il segno e la pittura. Due diverse autorevoli interpretazioni circa le decorazioni

parietali della pittura preistorica, oltre a sfatare l`idea comune, secondo cui nelle

grotte si tratterebbe della rappresentazione di scene di caccia, permettono di superare

una visione antropocentrica e autarchica della nascita dell`arte e di riflettere

sull`impulso originario che l`animalità ha dato all`attività espressiva dell`uomo.

Nuove discipline quali l`etologia umana e la zooantropologia, che studiano l`uomo in

quanto animale e la relazione dell`uomo con gli animali, hanno dimostrato come

vada riconosciuta l`importanza di questa relazione nello sviluppo della cultura

umana, al di là di qualsiasi lettura mitica che l’uomo occidentale ha dato dello

sviluppo culturale, come il mito di Prometeo.

Proporrò dunque l`ipotesi di Emilio Villa circa il senso originario della

presenza animale nelle prime manifestazioni umane, che egli collega al tema del

sacrificio. L`autore mostra anche l`attualità che l`animalità può ancora avere

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nell`espressione artistica. Riferirò poi di un`ipotesi distinta, quella di Benoît

Berthou, che analizza il concetto di animalità nell`arte parietale secondo un`altra

interessante prospettiva, mostrandoci un`umanità preistorica altrettanto incerta di

quella contemporanea riguardo alla definizione di un limite tra uomo e animali,

ricercato attraverso il segno.

Cancellato successivamente dai miti di fondazione delle arti plastiche,

l`animale persiste però nelle teorie e nelle pratiche artistiche. L`animale e per suo

tramite il mostro hanno tradizionalmente rivestito un duplice ruolo nell`arte: un ruolo

simbolico e morale, in quanto specchio dei vizi e delle virtù umane, e un ruolo

metaforico, in quanto emblema di una presa di posizione, di volta in volta metafisica,

politica e/o filosofica. Di fatto, è stato e rimane uno dei temi maggiori dell`intera

storia dell`arte, e nel corso dei secoli si rinvengono numerosissimi ed importanti

esempi, sia di carattere allegorico, come per esempio i bestiari, sia di carattere

realistico, come l`arte animalista, sia di tipo misto, come nel genere della natura

morta, che partecipa di entrambi. Nel Secondo Capitolo analizzerò il modo in cui

l`uomo ha pensato nella nostra cultura la sua relazione con gli animali. La storia

della fisiognomica animale (zoofisiognomica) indicherà l`impatto, gravido di

conseguenze, che il pensiero aristotelico circa la separazione tra l`animale e l`umano

ha avuto nel contesto dell`evoluzione del pensiero occidentale, permeando la nostra

cultura ed influenzando l`intera storia delle vicende sociali, politiche, religiose ed

artistiche fino ai drammi del Novecento e oltre. La relazione tra l`uomo e gli animali

è poi il campo di studio privilegiato di una nuova disciplina, la zooantropologia, di

cui introdurrò brevemente le principali caratteristiche.

Il concetto di animalità è stato dunque ed è tuttora oggetto di riflessione da

parte di importanti filosofi: per quanto attiene al presente, darò conto nel Terzo

Capitolo delle osservazioni di due importanti pensatori al riguardo, Gilles Deleuze e

Giorgio Agamben. Prendendo spunto dalla celebre affermazione di Claude Lévi-

Strauss, secondo cui l’animale nella storia dell’uomo non è buono solo da mangiare,

ma è anche buono da pensare, vedremo come il francese Gilles Deleuze abbia

concepito il concetto del divenire-animale rivolgendolo in particolare all`opera di

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Francis Bacon e per altri versi all`arte astratta. Per il filosofo italiano Giorgio

Agamben la riflessione sull`uomo e sull`animale, travalicando i confini dell`arte, si

pone come un`urgenza improrogabile.

Nel Quarto Capitolo, dopo un approfondimento introduttivo sull`opera

grafica di Francisco Goya, qui considerato per l`uso del simbolismo animale che

caratterizza i Capricci, l`attenzione viene posta sul concetto di animalità, così come

si è incarnato in alcune espressioni artistiche del Novecento e nell`arte

contemporanea. Senza avere l`obiettivo di effettuare l`inventario delle innumerevoli

circostanze in cui gli artisti nel Novecento e in questo inizio di XXI secolo si siano

rivolti agli animali o all`animalità nel contesto della loro espressione, lo studio sarà

piuttosto riferito ad alcuni esempi circoscritti, che ben esprimono alcune interessanti

modalità di espressione artistica tramite il ricorso all`animalità.

Nel Surrealismo il ricorso al simbolismo animale e alle molteplici ibridazioni

che ne scaturiscono si collega strettamente alla nascita della psicoanalisi con i suoi

simboli. Saranno analizzate nello specifico le caratteristiche del “bestiario

surrealista” per quanto concerne l`opera di Max Ernst, Victor Brauner, Pablo

Picasso, Salvador Dalì, ed André Masson. Per l`Italia saranno analizzate alcune

opere di Alberto Savinio e di Mino Maccari.

Il concetto di animalità subisce diverse declinazioni: si vedrà in quale modo

esso si sia incarnato nell`opera di Francis Bacon. Farò nuovamente riferimento in

questo caso alle osservazioni di Gilles Deleuze.

Nel Quinto Capitolo tratterò dell`animalità nell`arte contemporanea. Oggi

pratiche artistiche quali la performance e l`azione, con l`animale “partner”, o

l`installazione, con l`animale “oggetto”, si associano al cambiamento della

rappresentazione classica degli animali e del loro simbolismo e veicolano sovente un

obiettivo etico e/o politico. Inoltre è attualmente giocoforza rivedere la posizione

dell`uomo contemporaneo rispetto agli animali stessi, così come rispetto all`intero

regno vivente, e sembra necessario abbandonare la definizione ormai classica

dell`uomo come “altro” dall`animale.

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Nello specifico, attraverso l`analisi del pensiero e del lavoro di Joseph Beuys,

prenderò in esame l`utilizzo, tipico dell`arte contemporanea, dell`animale sia vivo

che morto all`interno dell`opera, con le implicazioni che tali pratiche fanno nascere.

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CAPITOLO PRIMO

Oltre i miti di fondazione: arte parietale e animalità

1.1 Considerazioni sull`arte preistorica

Nell`arte preistorica, e in modo più specifico nell`arte parietale, l`arte delle

caverne, la figura animale è onnipresente. Peraltro solo l`animale è raffigurato nelle

grotte, e questo a svantaggio degli altri soggetti: il contesto naturale è assente; non vi

si trova alcun vegetale; l`uomo è soltanto abbozzato, e la sua rappresentazione non

raggiunge mai la chiarezza delle figure animali.

Di fronte a questa egemonìa della figura animale, alcuni paleontologi e

pensatori hanno fatto delle ipotesi sui rapporti tra animalità ed umanità nell`arte

parietale.

L`abate Breuil parlò così per primo di “magia della caccia”, mettendo

l`accento sull`empatia esistente tra l`uomo e l`animale. Questa interpretazione va

però incontro a numerosi ostacoli: gli animali che comportano dei “segni” che

possano evocare delle frecce o delle ferite sono rari; gli animali più rappresentati

sono i grandi erbivori come il cavallo, il bisonte o il toro, non gli animali più

consumati, ovvero le capre e gli stambecchi.

Riporto nei seguenti paragrafi due visioni dell`arte paleolitica, due

interpretazioni distinte circa il significato che la raffigurazione di animali nelle grotte

può avere avuto per l`uomo preistorico. Ritengo le due diverse interpretazioni

estremamente attuali per la definizione di una ricerca artistica in riferimento

all`animalità, per la luce che gettano l`una sulle pulsioni primarie del gesto artistico,

l`altra sul bisogno più che mai attuale di riflettere sull`esistenza o meno di un limite

tra uomo e animale.

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1.2 L`arte dell`uomo primordiale

Secondo il poeta e critico d`arte Emilio Villa (Milano 1914 – Roma 2003) la

zoomorfia e la teriomorfia paleolitiche, nel loro complesso e nelle loro ragioni,

costituiscono la presentazione di esecuzioni sacrificali di natura simbolica, ovvero,

per il pensiero dell`uomo paleolitico, di una natura non solo analoga ma interamente

identica al sacrificio rituale concreto (Villa, 2005). Per esempio, riferendosi alle

grandi opere ideografiche della grotta palermitana dell`Addaura (fig. 1), Villa vi

scorge la rappresentazione di un sacrificio umano, forse per autostrangolamento, con

allestimenti rituali di carattere acrobatico-funerario: in essa le due figure umane,

soggetto e oggetto del sacrificio, si presentano forse come ittiomorfiche, inducendo

Villa a pensare che ciò possa avere un rapporto con la pesca preistorica del tonno.

1.

Ma non si tratta di una scena magica, quanto piuttosto della dimostrazione

che il mondo della pesca è parte integrante della concezione del sacrificio: e perciò si

avrà un uomo-pesce. L`uomo-uccello appare invece in uno scomparto tra i più

suggestivi delle grotte di Lascaux, in una scena che per Villa figura un sacrificio di

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intenzione funeraria (fig. 2). L`animale colpito, da cui colano fiotti di sangue, e

l`uomo, un cadavere al di sotto dell`animale, formano un unico contesto. Il bisonte

ha la testa fortemente incassata e contorta, ripiegata sul petto. Sotto il ventre ha forse

una fuoriuscita di materia viscerale, o forse una massa scrotale espressa

enfaticamente. Il pelo è irto al di sotto della testa, mentre i segni sul collo e sulla

groppa potrebbero essere dei “tagli” simbolici inerenti al sacrificio. L`uomo appare

con la testa di uccello e mani da palmipede (ha solo quattro dita), è spettrale e vuoto.

L`ideogramma è intensificato dalla raffigurazione di un uccello, appostato più in

basso al suo fianco, da cui forse cola un rivolo di sangue.

2.

La differenza stilistica tra il grande bisonte e l`uomo è di natura espressiva, e

va attribuita al fatto che l`animale è rappresentato ancora come “vitale” e

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vitalizzante, mentre l`uomo è “cadavere”, privo di vita, per Villa è il morto che

attende dal sangue della vittima il nutrimento rigeneratore. Anche l`uccello è di

natura simbolica: deve essere stato sacrificato per symbolum, come sembra

dimostrare il segno di una freccia uncinata volto in direzione del piccolo animale.

Anche l`uomo è visto parzialmente sotto forma di uccello, e ciò lo inserisce nella

sfera della immaginazione funeraria.

Sempre in riferimento alle pitture delle grotte di Lascaux, Villa osserva come

le celebri “scacchiere” policrome, impropriamente definite “blasoni” di Lascaux,

rappresentino tombe multiple. Le tombe giustapposte a scacchiera, o la tomba

singola, sopra le quali scende simbolicamente il sangue della vittima per trasferire la

vita al morto (o al malato) si inseriscono nel contesto del sacrificio funerario o

terapeutico. Esse sarebbero strutture simboliche sepolcrali, che si riferiscono a fosse

per sepolture “rannicchiate” o per sepolture “verticali”.

L`autore specifica che il sacrificio preistorico non può essere inteso come

“religioso”, né come magico, o mitico o animistico. Il sacrificio presitorico è

“nutritorio” e “uccisorio”: le sue finalità sono esclusivamente inerenti alla propria

natura di espressione e di simbolo. Non vi è rapporto col divino o con lo spirito. E`

un dinamismo “nutritorio” ad animare il sacrificio preistorico: per Villa si può

supporre un rapporto “distruzione-creazione”, “uccisione-rigenerazione”.

L`iniziativa dell`uomo primordiale è del tutto offensiva: il coltello di silice, il

bastone da scavo, il cuneo grondante sangue o che incide la pietra, sono tutti

strumenti per aggredire ed uccidere, non per difendersi. Uccidere è l`esperienza

assoluta del primo vivente, come ferire, entrare, penetrare, estrarre, sviscerare,

espellere. L`atto di uccidere appare legato agli impulsi primari della fecondità e

come ogni atto umano primario, una volta ripetuto intensivamente finisce per

istituirsi in rito e di conseguenza in culto. L`intero pantheon figurale dell`uomo

paleolitico sembrerebbe inteso alla espletazione di quel rito, il culto sacrificale, il

sacrificium. L`arte paleolitica nella sua complessità ideografico-simbolica trae potere

dall`uccidere sacrificale. Il sacrificio è fonte espressiva, emissione violenta di

energia. Il sacrificare è ristabilire equilibri di energia minacciati dal loro stesso

dinamismo.

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“Con l`azione concreta del sacrificio, uccisione dell`animale o dell`uomo da

parte dell`uomo, l`uomo mette in moto l`essenza stessa del reale, ricostituisce,

rigenera il mondo”. Nella caverna l`uomo paleolitico non effettua mai il sacrificio

autentico (sembra che nessuna belva sia mai entrata viva in una caverna), bensì

quello simbolico. Ma per lui non c`è differenza di sostanza tra l`animale in carne ed

ossa e la figura dell`animale, cioè il suo simbolo. Essi sono la manifestazione di

un`unica e medesima sostanza che è il divino, il mondo. Dunque l`uomo disteso sotto

al bisonte può essere letto come un rito sacrificale, celebrato simbolicamente sulla

parete per un morto (forse il morto era stato portato nella grotta, o vi era sepolto). I

morti devono essere nutriti dalla carne e dal sangue di una divinità. La bestia, oggetto

e soggetto dell`atto sacrificale, è il “Nutrimento Assoluto”, è perciò bestia-dio. Per

“divino” l`uomo primordiale intende Nutrimento Perenne, per “Dio” intende il

Nutriente-Nutritivo Assoluto. E allora l`uomo primordiale, “consumatore” del

divino, mimando interiormente e simbolicamente con il gesto grafico la solennità

dell`uccisione, del massacro, rigenera continuamente l`omogeneità uomo-dio, ha in

mano l`azione definitiva “divinizzante”. Per l`uomo di allora mangiare l`uomo è il

Nutrimento, così come mangiare la bestia equivale ad accrescere, ampliare,

risospingere la vita. Non doveva neanche esistere secondo Villa la “paura di esser

mangiati”, tanto questo doveva coincidere con urgenze vitalistiche del tutto naturali.

Se dunque di arte si può parlare in riferimento alle manifestazioni dell`uomo

paleolitico, si dovrà farlo per l`autore nel senso di un`arte che ferisce il mondo, il

divino; un`arte come strumento sacrificale. E il “segno” costituisce la

manifestazione primitiva, l`antecedente del simbolo. Il “segno” come un taglio o una

incisione, una ferita o una lacerazione, determina una fuoriuscita di sostanza dal

corpo ferito: si pone quindi come simbolo dell`iniziativa dell`uccidere nel

compimento simbolico del rito sacrificale. Per Villa gli animali e gli esseri viventi

che l`arte paleolitica ci ha lasciato portano quasi tutti i segni della violenza

sacrificale. Ma secondo l`autore non si tratta in nessun caso della narrazione di

episodi di caccia, ma sempre e in ogni caso di celebrazione del rito sacrificale. Il

segno in quanto segmento puro e gruppi di segmenti trae sempre la sua origine dalla

violenza originaria, dall`uccidere come azione unica e pura. Il taglio segue gli

impulsi della violenza, configura l`intensità di un`azione, quella del lacerare, che in

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origine ebbe per strumento anche l`unghia. Lo strumento dell`incisione (di pietra, di

osso, di avorio o di legno) agisce sulla carne nel rito concreto; nel rito simbolico

agisce invece sulla pietra, che è il corpo del mondo (la pietra è divinità, così come

porzioni di divinità sono le parti degli animali come l`osso e l`avorio). L`uomo

allora scarnifica la pietra incidendovi dei segni (così come scarnificava l`animale e

seppelliva la salma scarnificata, secondo un usanza giunta fino ai tempi “storici” – e

la carne doveva essere servita al banchetto funebre) fino a quando la potenza

dell`azione simbolica si perfezionerà e il segno inciso lascerà il posto a quello

dipinto. Affievolendosi così l`analogia realistica (nel senso del gesto), il simbolo si

accresce di intensità. Se la lacerazione dell`animale scolpito con taglio profondo

porta ancora il ricordo della violenza attiva sul corpo dell`animale vero, la traccia

dipinta è un simbolo puro del segno originario, la violenza è contenuta, affinata, ma è

anche più mentale. Più l`uomo attiva mentalmente la forza del simbolo, più il segno

si inaridisce e si affievolisce, e viceversa, fino al punto in cui la pittura, che

riproduce il mondo a due dimensioni, sostituisce la ritualità sacrificale con un

simbolo di superiore efficacia sacramentale, come il sacramento dell`eucarestia nel

culto cattolico sostituisce con un sacramento-simbolo l`azione sacrificale di tipo

cannibalistico. È stato il segno stesso per Villa a creare il modo di liberarsi per fare

una conquista: dilatandosi fino a divenire contorno. Il segno traccia e così definisce

sulla stessa pietra divina (corpo del mondo) il dominio del divino percepito e

finalmente raffigurato: la forma animale e la forma umana. Facendosi contorno, il

segno conserva una propria ferocia: ogni porzione identificata della figura è al

contempo atto e vita. “Le corna sono vita, le gambe sono vita, i visceri sono vita.”

Una testimonianza dell`identità tra segno e contorno Villa la indica in molti

documenti paleolitici, tra cui l`animale del ciottolo proveniente da La Colombière

(Alta Savoia), mammut o renna, equide o bovide, che si esalta dentro l`intricatissimo

contesto del segno sacrificale puro (fig. 3).

Lo stesso segno sacrificale fortemente iterato si può tramutare in una

suggestione figurativa: dal segno iterato emergerà la figurazione del pelame o delle

ciniere. Da un certo punto in poi il pelo degli animali entrerà nella figurazione,

spesso i segni sono tracce di lacerazioni sacrificali e pelo, criniera. I segni della

lacerazione sacrificale sembrano seguire l`intenzione di sezionamento anatomico sul

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ventre e sul collo sulla renna di Les Combarelles, in modo che azione e simbolo si

manifestano come una medesima realtà. Dunque, concependo la violenza come

elemento interno di un meccanismo naturale di passaggi da uno stato energetico

all`altro, il sacrificio diviene un atto “nutritivo” che permette di ristabilire

l`equilibrio. Di sostituzione in sostituzione si giunge alla decisione di dare la forma,

che comporta il trasferimento della “veemenza” in quello che sarà il “campo

estetico”.

3.

Per Villa il simbolo primordiale era soprattutto espansione e iterazione di un

segno, della cui immediatezza e concretezza partecipava: un segno che non mirava a

descrivere né a comunicare, ma che costituiva la celebrazione di un atto violento, che

è quello dell`uccidere, del sacrificio mediante il quale l`uomo non spiegava né

imitava la realtà esterna, ma affermava la propria partecipazione a un Tutto divino,

affermando al tempo stesso la propria capacità di generare forme non rispondenti ad

un uso meramente pratico, come avviene anche nel caso dell`amigdala. Tale

manufatto, espressione e testimonianza degli uomini di quelle ere lontane

(quaternaria, pleistocenica e olocenica), indica per l`autore una intenzionalità

complessa: concepita per uccidere e procurarsi nutrimento per il sostentamento, essa

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è anche e senza contraddizione strumento di “chirurgia sacrificale”, ovvero oggetto

liturgico, forse anche merce di scambio e certamente opera artistica. Tale artefatto

va infatti inteso come una grande dichiarazione da parte dell`uomo, che produce uno

strumento come amplificazione della sua struttura anatomica. Di più, l`uomo offre

una manifestazione unica: inscrive sullo strumento primordiale i segni della sua

mente che organizza. Se era necessario che lo strumento avesse una punta o una

lama, non si può dire lo stesso dei segni che reca incisi, quelle scheggiature che

mostrano esplicitamente una facoltà di concepire, individuare e intensificare la

natura ritmica dello spazio.

Considerazioni sull`arte attuale

Tutta l`opera di Emilio Villa suggerisce il recupero quasi alchemico di una

cosmogonìa del non visibile come metafora dell`esistenza, che trova nel percorso di

A. Burri e degli artisti di Origine un referente esemplare. Il gruppo artistico Origine,

costituitosi nel 1949 tra Milano e Roma e formato da M. Ballocco, A.Burri ed E.

Colla sosteneva, nel quadro del dibattito italiano del secondo dopoguerra tra

formalisti e realisti, il ritorno a una sintassi primaria di forme e colori lontano da

compiacimenti decorativi. Nello specifico, tramite le riflessioni sull`arte parietale

l`autore intende restituire al simbolo decaduto, ovvero all`arte del nostro tempo,

l`energia e l`incanto dei quali era espressione l`arte primordiale. Il simbolo attuale

per Villa, che scrive intorno alla metà degli anni Sessanta, è impoverito e minacciato

dall`avanzata del concetto e del nostro modo di intendere la Storia. Egli aspira invece

ad un`arte che non smarrisca per strada la propria primigenia “veemenza”.

La relazione tra arte parietale e attuale si fa molto sottile. Qualcosa accomuna l`uomo

di quelle epoche lontane con l`uomo contemporaneo. L`autocreazione dell`uomo

avviene a partire da una incorporazione fisico-alimentare dell`animale: “ […] l`uomo

eseguisce se medesimo traendo fuori di sé l`animale, dopo averlo inghiottito.

L`uomo ha dentro l`animale; se ne libera, per sacrificarlo e restituirlo alla vita,

uccidendolo, con il segno”. Il fatto determinante è quello del digerire: “[…] per

l`uomo paleolitico si deve dire ‘l`uomo ha digerito l`animale’ ”. L`animale ucciso

“con il segno” e così sostituito, sembra sempre con il segno (ovvero al di là

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dell`uccisione simbolica) potere, in alternativa, risorgere intatto. La restituzione sta

nell`uso restitutivo del linguaggio simbolico, ovvero nell`uso poetico della parola.

L`animale da restituire in vita costituisce per Villa un compito artistico attuale e

collegato alle ragioni dell`inconscio. Equivalenza tra operosità artistica e vissuto

erotico, sublimazione della violenza, pratica individuale della sovranità da parte di

un creatore che riassume narcisisticamente in sé il valore della sua opera.

1.3 Il grande animale

Secondo un`altra prospettiva, lo studioso francese Benoît Berthou fa notare

come le figure animali dell`arte parietale appaiano concatenate nel contesto di

sovrapposizioni, combinazioni e associazioni: un`animalità mostrata in modo

confuso e labirintico (Berthou, 2001). Per questo autore si è lontani dalla sainteté di

cui parlava George Bataille o dall`idea di sacrificio che risuona in Villa. Nel mezzo

di questa matassa, le rappresentazioni dell`uomo hanno una posizione discreta e

originale: i segnali, i simboli, le tracce sarebbero i segni di una umanità smarrita

nell`estrema confusione dell`animalità.

In effetti certe parti delle grotte sono occupate da figure maestosamente

inserite, presentate in una fissità che per l`autore si deve senza dubbio ad una

sainteté. Ma altrove la figura animale è presa in un disordine che rimette in questione

la sua leggibilità: essa diviene l`oggetto di una vera e propria interferenza o disturbo.

È in particolare il caso delle sovrapposizioni intensive di figure: nella grotta di

Gargas si trova su una zona murale piana un insieme di più di trenta figure incise e

sovrapposte. La rappresentazione di un grande toro copre quasi tutta la superficie e

delle altre figure vengono ad inscriversi al di sopra e dentro questa figura. Non

temendo affatto la confusione dell`insieme, l`uomo paleolitico ha inoltre tracciato

delle linee di striature e di tratti paralleli, che sovraccaricano ulteriormente la

composizione e la rendono quasi illeggibile.

Esmpi di questo tipo non sono rari nell`arte parietale: il “Grand Plafond” di

Rouffignac, la “Conque aux cerfs” di Peche-Merle… Più estesamente, la figura

animale è l`oggetto di ogni sorta di incrocio: combinazioni, quella tra cavallo e

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bisonte la più frequente; spezzettamento, come nel treno posteriore di cavallo a

Font-de-Gaume e nella testa di leonessa alle Combarelles; e poi ibridazione, quando

due “parti” di animali formano una creatura ibrida. L`animalità non esiste senza

intersezione; è trattata secondo la modalità della matassa, della confusione. Per

riprendere i termini di Jean-Louis Schefer, “il mondo animale è un labirinto di forme,

tutte le specie confuse, è una massa orientata di movimenti, è un grande animale,

gonfio di tutte le specie” (Schefer, 1999). Ed è proprio questo “grande animale” che

rappresenta per Berthou uno degli aspetti più enigmatici di questa arte preistorica,

che accenna ad un altro rapporto con l`animalità. In altre epoche, ed in altre forme

artistiche, l`animale è apparso come una creatura generatrice di senso e di ordine per

l`uomo: è presentato secondo una gerarchia, e la figura di un animale dato

cristallizza certe pratiche. Nell`arte parietale la figura animale è all`inverso legata

alla forma del labirinto, che rende, per definizione, qualunque orientamento

problematico. Essa ammette l`erranza piuttosto che la spazializzazione, mette

l`accento sul cammino più che sulla localizzazione. In questo labirinto grafico

occorre leggere l`immagine, seguire una linea che disegna la colonna vertebrale di un

toro, ma, se lo sguardo cambia direzione, si scopre il collo di un cavallo. L`animale

appare nel garbuglio; la sua forma stessa non è che una configurazione di intrecci.

4.

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Non occorre pertanto secondo l`autore confondere labirinto e disordine.

Questo intrico di figure richiede una sicura padronanza del disegno e una paziente

osservazione della natura. Si tratta di tracciare l`animale in tre o quattro tratti, di

suggerire la bestia tracciando una colonna vertebrale: occorre una certa maestria per

restituire nel chiuso della caverna la silhouette di un erbivoro. Il disordine di queste

composizioni è d`altronde soltanto apparente. Per esempio, nel “Grand Plafond” di

Rouffignac cinquanta figure sono disposte tra due archi di cerchio formati da figure

di cavalli e di stambecchi (fig. 4). Le figure centrali sono ora illeggibili ma per

Berthou si può supporre che la rappresentazione a grandezza naturale di un cavallo

“accogliesse” delle altre figure, come lascerebbe intendere la presenza di un

mammouth, appena abbozzato, e delle corna di bisonte. La forma della matassa non

è dunque vana, ma rivela un progetto. Nella grotta, l`animalità non è mai presentata

come qualcosa di organizzato: non si trova nessun gregge, nessun branco. La fila di

cavalli di Lascaux non conta che tre individui e non costituisce un`immagine fedele

del loro comportamento sociale. L`animale appare “de-territorializzato” e

rappresentato al di fuori di qualunque quadro naturale e sociale, ed è qualche volta

posizionato con la testa in basso, come se non fosse legato alla terra dalla forza di

gravità. Al contrario, l`animalità intera viene presentata tramite una “propagazione”,

come se si trattasse di pensare delle connessioni grafiche tra specie animali, di

pensare la loro confusione piuttosto che le loro distinzioni. Ciò che si tratta di

rappresentare è proprio questo grande animale, forte dell’incontro di tutta una fauna,

pieno di tutte le forme delle bestie, ma ugualmente di tutti i movimenti.

L’animale è così correntemente raffigurato in una varietà di attitudini, come

lo mostra particolarmente un rilievo della grotta di Lascaux effettuato dall’Abate

Glory, che egli ha intitolato “cinematica” del cavallo. L`animale è raffigurato al

trotto, al galoppo, al passo… I preistorici hanno voluto cogliere i movimenti più

correnti degli animali, rappresentare una creatura che dispieghi un`attività nel suo

ambiente: il cavallo effettua un gorgheggio, gratta il suolo prima di lanciarsi.

Questa “cinematica” si inscrive così in un lavoro intellettuale tipico dei “pensieri

primitivi”, caratterizzato da ciò che Lévy-Strauss presenta ne “Il pensiero selvaggio”

come una vera e propria “scienza del concreto”, ovvero un appetito di conoscenza

obiettiva e un`attenzione sostenuta verso le proprietà del reale. Ma ciò non impedisce

Page 19: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

12

che, se vi è uno sforzo naturalista nell`arte parietale, esso è enigmatico: c`è un

naturalismo senza natura e senza gravità, che intreccia e mette in sospensione delle

fedeli riproduzioni di animali. Il grande animale della grotta è impregnato di questo

insieme di posizioni e attitudini di fronte al mondo: spiare, cacciare, combattere,

avanzare… Per l`autore, quel che si osserva qui è un modo di essere nello spazio, un

modo di prendere la misura del proprio ambiente, una facoltà di gestire e di

condividere degli spazi vitali. E forse il volto di questa animalità paleolitica si può

intravedere nella testa del bisonte che fa la guardia all`ingresso della grotta di

Bernifal, nelle cerve che si fiutano su una parete di Font-de-Gaume, o nel cavallo

che nitrisce a Lascaux… L`animalità sarebbe allora rappresentata sotto l`aspetto

della confusione e della varietà, della profusione e dell`animazione, e non come un

insieme di creature immobili, dai limiti e dalle specie chiaramente definiti. Si pone

dunque altrimenti il problema per questo artista primitivo: non si tratta di far apparire

l`animale nell`evidenza di una mimesis, nella maestà di una rappresentazione.

Per Georges Bataille, è precisamente questa capacità di figurarsi le cose ed il

mondo che distingue l`uomo dall`animale. Non vi sarebbe alcun paesaggio in un

mondo in cui gli occhi che si aprono ad esso non apprendano quello che vedono. Lo

sguardo dell`animale non vede nulla, poiché solo l`uomo, la coscienza, può secondo

Bataille vedere veramente, ed è questo ciò che lo distingue dalla bestia. Ora, l`uomo

di Lascaux non è preoccupato del paesaggio: talvolta una traccia naturale tra i

blocchi rocciosi è utilizzata come una linea di terra per presentare una fila di animali,

ma non si trova nessun procedimento che denoti la volontà di abbracciare una

qualunque estensione, di situarsi di fronte ad un`entità così massiccia come un

“mondo”. È innegabile che la figura esiste, e raggiunge una magnificenza ben

illustrata dalle pitture della “sala dei tori” di Lascaux, ma tutto avviene come se non

fosse quello il problema per i paleolitici. Tutto avviene, secondo Berthou, come se

l`arte parietale non costituisse un`impresa di figurazione del reale e del mondo

animale, non si attaccasse a questa “adesione” indelebile della coscienza alle cose.

C`è qualche paradosso nel sostenere che la figura sia un mezzo, uno strumento di

interpretazione, ma questo paradosso invita l`autore a ripensare l`umanità e

l`animalità in termini diversi rispetto a Georges Bataille.

Page 20: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

13

Il posto della forma della figura umana si inscrive in questo stesso paradosso:

essa è notevolmente assente. Le figure umane sono in numero minimo rispetto alle

figure animali, e rompono con il naturalismo di queste ultime: si riducono talvolta

ad un cerchio, due quadrati e una curva, come nel caso del “fantasma” di Marsoulas.

Altrove, l`uomo è rappresentato come una creatura ibrida: personaggio cornuto nella

grotta di Trois-Frères, uomo col becco a Lascaux… Per contro, l`uomo ha dei

rappresentanti nella grotta: mani, in positivo e in negativo, tracce digitali, incisioni

parallele, numerosi segni dalle forme molto diverse – aviformi, claviformi, tettiformi

- che accompagnano spesso le figure animali (fig. 5). L`uomo non è presente in

questo corpus animale se non per “metonimìa” – gli uomini sono dei peni, le

femmine delle vulve e delle curve – o per una sorta di stratagemma formale. Mai

raffigurato, l`uomo è rappresentato da tutto un sistema grafico.

5.

Così, nella grande composizione di Gargas, si trovano molteplici serie di

striature, di linee di tratti parallele. Nella confusione dell`affresco, l`uomo fa dei

bastoni, dispone degli elementi ritmici. Si scoprono simili serie di tratti altrove nella

grotta, così come un gran numero di mani in positivo dalle forme variegate: in un

caso, si vedono tre dita; altrove manca una falange. L`uomo si contenta di interventi

Page 21: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

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enigmatici e discreti, che contrastano con l`onnipresenza delle figure animali.

L`abate Breuil aveva suggerito che certi dei segni disposti nella grotta di Niaux

potessero costituire una sorta di segnaletica di avvertimenti per segnalare i pericoli

della grotta. Per quanto contestabile, questa interpretazione suggerisce che questi

simboli avessero una funzione originale, un ruolo di faro, di indicatore,

nell`immensità della grotta. I “segni” dell`uomo avrebbero allora un ruolo discreto di

segnale, servirebbero all`orientamento.

La questione è allora: perché la rappresentazione dell`uomo prende la forma

di una segnaletica? Perché l`uomo ha dei rappresentanti senza essere mai

rappresentato? In effetti, tutto avviene come se, in seno al grande animale, l`uomo,

così come si fa in un disegno, lasciasse una zona chiara per bilanciare un insieme

sovraccarico. Tale zona di “riserva” si staglia sul fondo di un materiale abbondante e

onnipresente, ma si tratta di svincolarsi dalla rappresentazione di questo materiale

più che di imporsi ad esso, di segnalarsi più che di mettersi in evidenza. La zona di

“riserva”, questo spazio bianco, mostra un`assenza, indica la presenza di colui che

non vuole o non può apparire. Per questi tempi primitivi secondo Berthou,

l`animalità non è un problema di figurazione o di espiazione, si tratta in misura

maggiore di un “continente”, di una estensione biologica che necessita di segnali e di

riferimenti, che occorre mappare per poterla misurare. L`animalità non è mostrata

come “altro” dall`uomo: essa è presentata evocando una comunanza tra le specie e

gli interventi umani. E questo grande animale sarebbe la figura di un`animalità

abbondante e onnipresente di cui occorre prendere la misura, in seno alla quale

l`uomo deve pensare se stesso.

Page 22: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

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CAPITOLO SECONDO

Occidente e animalità: dalla zoofisiognomica alla zooantropologia

2.1 L`animale specchio dell`uomo

Nella cultura l`animale esiste sempre attraverso l`uomo, sia che si tratti di

animale domestico che selvatico. L`uomo definisce tutte le categorie degli animali in

base a ciò che le distingue dal genere umano, e tutto nel nostro linguaggio esprime

un rapporto gerarchico stabilito e sempre riaffermato nei secoli. Come vedremo più

avanti, solo il tramonto dell`antropocentrismo e la nascita di nuove prospettive di

analisi della relazione tra uomo e animali ha portato a una nuova visione di questa

gerarchia.

L`umanità, sempre incerta su se stessa fino all`arroganza, non ha potuto

fondare la definizione di se stessa se non su ciò che essa rifiuta: la propria animalità.

È interessante chiedersi come gli artisti si siano figurati la coppia ancestrale uomo-

animale, ovvero come attraverso le rappresentazioni visive essi abbiano stabilito dei

legami tra queste due categorie di esseri viventi. Gli artisti guardano spesso l`uomo

come un animale e reciprocamente l`animale come un uomo, ristabilendo la

circolarità, la continuità e la complementarietà fra le specie.

Ma anche gli artisti, come tutti gli uomini, non possono escludersi da questa

relazione. L`arte, attività umana per eccellenza, sovente rimanda a comportamenti

animali e l`artista stesso si compiace a immaginarsi sotto forma di bestie

emblematiche del suo potere o della sua impotenza.

D`altronde, qualunque sia il carattere di queste immagini, esse rimandano sempre chi

le osserva a se stesso.

Ma è certamente nella figura dell`Altro che si scoprirà l`animalità, nei tratti

del proprio vicino. Questo è il senso della fisiognomica animale, interpretazione dei

tratti del viso in base alla loro similitudine con quelli degli animali. L`animale

diviene in questo senso l`intermediario tra l`individuo e l`Altro.

Page 23: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

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L`animale è stato spesso percepito come un lontano antenato, che fa di lui

ugualmente un essere superiore tramite il suo collegamento ancestrale con le

mitologie e con i miti di fondazione delle civiltà. È il passato dell`uomo, tanto è vero

che ciascuno di noi lotta contro la sua bestialità istintiva, contro la sua animalità

primordiale, temendo che essa possa riemergere più frequentemente di quanto già

non avvenga nelle varie vicende di cronaca nera o di guerra. I “crimini contro

l`umanità” commessi da “bestie selvagge” o “mostri” che vivono tra noi, fanno

rinascere ogni volta la paura di vedere la nostra animalità prendere il sopravvento, il

timore di un ritorno alla bestia, non privo di un certo fascino per l`orrore. Tale

rapimento che nasce di fronte allo spettacolo della bestialità, sia di origine umana che

animale, è un sentimento che fa vacillare la nostra umanità. L`enigma che la sfinge

pose a Edipo, la cui vita era alla mercé del mostro ibrido, era quello di identificare

qual è l`animale che cammina a quattro zampe, poi a due, infine a tre: la sfinge

domandava all`uomo di identificarsi, al rischio della sua vita. È ancora al prezzo

della loro vita che i giovani sacrificati si addentravano nel labirinto di Minosse, dove

li attendeva il Minotauro, altro mostro ibrido. Questo prodotto di un`unione bestiale

rappresenta per Michel Foucault lo “specchio della morte e della nascita, luogo

profondo e inaccessibile di tutte le metamorfosi”.

I racconti leggendari di fondazione risuonano di questa essenza animale

tramite la figura della metamorfosi. I miti, quando stabiliscono l`identità delle civiltà,

sovente rinviano l`uomo ad un`origine fantasmatica e “bestiale”. Si è creduto di

riconoscere delle rappresentazioni di tali ibridazioni sulle pareti delle grotte decorate

di animali selvaggi. Tutte le mitologie comunque vi si riferiscono. I Greci

accoppiano gli uomini e gli dei, spesso trasformati in animali per mascherare il loro

statuto divino, non umano. Tra gli exploits amorosi di Zeus, il cigno di Leda, l`aquila

di Ganimede o il toro di Europa sono le incarnazioni mitologiche di questi rapimenti

che elevano gli uomini a se stessi, al punto che essi si prestano a queste unioni

“contro natura”. Da queste talvolta nascono gli eroi, uomini che beneficiano di poteri

divini. Essi hanno permesso all`umanità di sopravvivere alle calamità o di acquisire

dei vantaggi indispensabili all`esistenza.

Page 24: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

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Altre civiltà

In numerose civiltà il confronto con l`animale è un rito di passaggio, che si

tratti di sacrificarlo, combatterlo o per accoppiarvisi. La cerimonia tradizionale della

circoncisione presso i Masai in Africa associa questa mutilazione rituale al sacrificio

di un bue o di una pecora, la cui pelle servirà a raccogliere il sangue dell`adolescente.

Così la caratteristica distintiva che integra l`individuo al gruppo è associata al

sacrificio di un animale. Questo atto sembra dover separare il giovane adulto dal suo

passato affinché divenga un membro della comunità.

Sono ancora gli animali che, il giorno dei funerali presso i Leshei dell`Assam

in India, vengono sacrificati affinché la loro anima possa guidare quella del defunto,

aiutandolo a ritrovarsi sulla via delle reincarnazioni. Maschere e costumi rituali

operano talvolta la metamorfosi degli attori di tali cerimonie, conferendo loro una

natura divina.

Il “pensiero selvaggio” delle religioni cosiddette primitive identifica

volentieri l`uomo a degli animali che gli conferiscono una parte dei loro poteri. È da

questa ibridazione e da questa unione che nascono la conoscenza e il potere magico

degli sciamani. Attraverso il riferimento ad alcune specie con le quali si identificano,

le tribù potenziano i propri tratti identitari. Nella Grecia antica, Clistene caratterizza

le tribù doriche grazie a dei riferimenti animali, definendoli asini e maiali. Ma al di là

di questi dati precisi, le identificazioni animali delle etnìe passano senza dubbio

attraverso altri fattori rivelatori della dimensione inconscia. L`istinto sessuale è

spesso il più evidente elemento dell`animalità dell`uomo. Le unioni “bestiali”, che

uniscono esseri umani e animali, non sono esclusivi della mitologia greca. I Gilyak,

popolazione dell`isola Sakhalin al largo tra Russia e Giappone, credevano che un

uomo colpevole di “bestialità” venisse mutato in bestia, stabilendo così fermamente

il loro limite di umanità. Altre culture fanno di queste unioni un mito fondatore della

loro identità o di quella di un altro gruppo. Gli Eschimesi dell`Isola di Victoria

ritengono che gli uomini bianchi siano nati da una donna fecondata da cani. Si vede

qui come l`esistenza di un`altra razza o di un altro popolo caratterizzato da una

fisionomia differente venga spiegato tramite un`ibridazione (Baridon, Guedron,

2004).

Page 25: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

18

Mitologia ed animali

Che si tratti di rendere conto della nascita o della morte, della formazione

delle società o dei pericoli che la minacciano, i miti esplorano nelle relazioni con

l`animale i lineamenti dell`umanità. Se i miti hanno una tale persistenza nella storia

delle civiltà, è proprio perché essi ne impregnano in modo durevole l`immaginario.

Non è all`intelligenza che essi si rivolgono: conferendo un`immagine a racconti

incredibili di favole, di genealogie di divinità, delle loro rivalità e dei loro amori, i

miti finiscono per fecondare le culture e le civiltà.

Tali immagini acquisiscono tanta più forza quanto più esse sono ripetute,

reinterpretate dalla letteratura o rappresentate dalle arti visive. Il progetto delle

Metamorfosi di Ovidio, inesauribile repertorio iconografico dell`arte occidentale, fu

di riscrivere in una lingua poetica la mitologia greco-romana e il momento in cui gli

uomini e gli dei cambiano di forma. Ciascuno di questi momenti è il pretesto per la

narrazione di una storia. È ancora la potenza evocatrice delle immagini che qui si

manifesta. Nulla di sorprendente allora se le descrizioni di queste metamorfosi

abbiano fornito altrettanti soggetti agli artisti. Essi utilizzarono in questo tipo di

produzione, ma anche nel ritratto e in altri generi, questo immaginario del mito.

Inoltre si appoggiarono su una lunga tradizione che aveva teorizzato le analogie tra le

apparenze umane e animali. Queste partecipavano, come ogni scienza divinatoria,

della volontà di interpretare la forma umana tramite il riferimento alle caratteristiche

degli animali. I comportamenti distintivi di ciascuna specie, assunti a criteri

psicologici, si ritroveranno nell`indizio formale della loro presenza nell`uomo. Il

raggiungimento della forma umana perfetta, come l`Apollo del Belvedere, è appunto

quella che non rinvia ad alcun riferimento animale. Lo studio degli zoomorfismi

umani fu dunque il mezzo privilegiato per apprezzare il grado di compimento delle

qualità dell`umanità in rapporto a quelle dell`animalità.

Page 26: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

19

2.2 Storia della fisiognomica animale

L`idea che l`osservazione del mondo animale potesse fornire delle chiavi per

la comprensione dell`uomo era già acquisita a partire dall`Antichità. Nei suoi scritti

consacrati alle scienze naturali, Aristotele testimonia del posto preponderante che

occupava allora il sapere analogico, in quanto strumento utile per conoscere la parte

invisibile dell`essere. Se dissezionare un corpo umano era vietato, non era lo stesso

nei confronti dei cadaveri di maiali, scimmie o cani. Si poteva ben giudicare delle

parti interne dell`uomo attraverso le somiglianze che esse presentavano con quelle di

altri animali. Per lo meno per le parti situate al livello del ventre e del basso ventre,

considerate le più “animali”, nella misura in cui assicuravano le funzioni di

sussistenza e di riproduzione. C`è un fatto che colpisce, come attestano i primi scritti

che hanno per oggetto la conoscenza del carattere e delle inclinazioni degli uomini

tramite l'osservazione del loro aspetto e del loro comportamento: l`analisi del

funzionamento dell`anima umana fu ugualmente caratterizzato da questa

focalizzazione sull`animale, ben presente nella Storia degli animali di Aristotele.

“Esistono in effetti, presso la maggior parte degli animali, delle tracce di questi stati

dell`anima che, nell`uomo, si manifestano in un modo più differenziato. Poiché

docilità o ferocia, dolcezza o fermezza, coraggio o vigliaccheria, paura o sicurezza,

intrepidità o furbizia, e, sul piano intellettuale, una certa sagacia, sono queste delle

somiglianze che si ritrovano presso un gran numero di animali, e che ricordano le

somiglianze organiche di cui abbiamo trattato” (cit. in Baridon, Guedron, 2004).

I fondatori della fisiognomica animale hanno così affermato che le

somiglianze morfologiche esistenti tra alcuni tipi umani e certe specie animali

rivelino nei primi delle caratteristiche psicologiche o morali, collegate agli animali

ai quali essi sono imparentati.

Un trattato a lungo attribuito ad Aristotele considera che delle narici molto

larghe e schiacciate, come quelle dei buoi, annuncino la pigrizia; un naso grande

come quello dei maiali, la stupidità; dei nasi appuntiti, come quelli dei cani, l`umore

collerico; il naso camuso, come i leoni, la magnanimità; il naso aquilino, come le

aquile, l`audacia. Appare così un principio fondamentale e costantemente

riaffermato lungo la storia: l`opposizione manichea tra il bene e il male, il forte e il

Page 27: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

20

debole, il coraggioso e il pauroso, il virile e l`effeminato… L`efficacia di queste

categorie sarà rafforzata dalla complementarietà dei due sistemi di rappresentazione,

l`uno fondato sull`immagine, l`altro sul testo.

A partire dal Medio Evo, mentre la fisiognomica penetrava in Occidente con

le prime traduzioni dei trattati antichi e arabi, la tradizione scolastica imponeva a

poco a poco dei paralleli tra i temperamenti, i peccati e gli animali, mortali e viziati

per natura. Considerati come altrettanti abbozzi imperfetti dell`uomo, gli animali

furono a poco a poco integrati in una sorta di bestiario moralizzato, che attraverso

differenti proiezioni antropomorfe, rimandava l`immagine di passioni o di difetti

tipicamente umani. Allo stesso tempo, delle figure zoomorfe e degli esempi di

espressioni del volto cominciarono ad apparire nei trattati d`arte medievali e nelle

raccolte di modelli utilizzati dagli artisti. Jurgis Baltrusajtis (1903-1988), storico

dell`arte francese di origine lituana, ha analizzato le modalità con cui queste forme

siano proliferate e si siano diversificate nelle decorazioni scolpite o nei margini dei

manoscritti. Senza dubbio le molteplici analogie e i confronti tra elementi umani e

animali propri dell`arte medievale non interessano unicamente il capriccio

ornamentale. Il principio secondo cui la prossimità morfologica di certe categorie di

esseri umani con alcuni animali permette di valutare il loro valore e il loro

comportamento, poteva effettivamente essere rivisto all`interno di un programma

didattico e morale. I Padri della Chiesa non avevano affermato che con la Caduta

l`uomo aveva perduto la sua perfezione originale per cadere nell`imperfezione degli

animali? Nel diritto ebraico l`adulterio, la sodomìa e la pederastìa erano già

assimilati alla bestialità. Messi sullo stesso piano dell`omicidio volontario, questi

“crimini” si vedevano sanzionati con la pena di morte. Sembra logico che, nella sua

impresa di fortificazione della famiglia e di consacrazione del matrimonio, il

Cristianesimo abbia vigilato a mantenere questa “tradizione dell`anatema”.

Ovviamente non era necessario che un pittore o uno scultore fossero impregnati di

teorie fisiognomiche perché dotassero i loro avversari di fede diversa di teste di bruti

bestiali. Nelle arti figurative, queste analogie non avevano sovente che un valore

generico. Ma appunto, le molteplici combinazioni di elementi antropomorfi e

zoomorfi nella rappresentazione del male procedevano da un simbolismo morale che

rinviava alla vulnerabilità del nostro essere spirituale, minacciato dal peccato. Non è

Page 28: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

21

un caso certamente il fatto che San Tommaso d`Aquino abbia voluto liberare i corpi

dei risorti da qualunque funzione animale (Agamben, 2002). Ciò nondimeno va

ricordato che un suo contemporaneo, il poeta Reinmar von Zweter, ha descritto

l`immagine dell`uomo perfetto prestandogli degli occhi di struzzo e un collo di gru,

due orecchie di maiale e un cuore di leone, mani come artigli d`aquila e di grifone,

piedi come zampe d`orso. Gli occhi di struzzo, spiega, guardano amabilmente, i

maiali hanno l`udito piu` fine di tutti gli animali, il leone è la più nobile delle bestie,

l`orso la più furiosa, gli artigli del grifone mantengono stretto tutto ciò che

prendono, le zampe d’aquila sono generose e giuste, e il collo della gru è il segno

della riflessione (Baridon, L., Guedron, M., 2004).

L`ambivalenza che ogni rappresentazione che confronti l`uomo all`animalità

sembra generare vale per il testo come per l`immagine. Quando gli artisti medievali

dovevano mostrare i peccati capitali, potevano evocare il leone per la Collera, il

rospo per l`Avarizia, il cane per l`Invidia, il pavone per l`Orgoglio, il caprone per la

Lussuria, l`asino per la Pigrizia, il falco per la Gola. Ma l`associazione dell`uomo

all`animale non era univoca e rimandava talvolta a un contenuto perfettamente

positivo attraverso il simbolismo delle Virtù Cardinali e delle figure allegoriche della

Prudenza, della Castità o della Saggezza, per non parlare di questa o quella

rappresentazione di un San Cristoforo cinocefalo o di evangelisti animalizzati

ispirati alle visioni di Ezechiele. D`altro canto, poiché il volto non aveva se non

eccezionalmente la funzione di fissare un carattere individuale, questa associazione

si faceva generalmente in modo emblematico o allegorico. Certe fisionomie

caratterizzate circolavano comunque tramite le monete e le medaglie. Esse fornivano

delle informazioni sui tratti del volto di imperatori o di altre figure rese celebri dagli

storici e presentavano spesso dei caratteri zoomorfi.

Svetonio, nelle Vite dei dodici Cesari, aveva accompagnato ciascuna

biografia di imperatore con la descrizione del suo aspetto fisico. Nella misura in cui

il lettore vi trovava dei numerosi paralleli con il carattere, le azioni e i tratti dei

personaggi, egli poteva essere tentato di leggere questa opera e le altre concepite

secondo lo stesso principio come altrettante gallerie fisiognomiche. Poco a poco,

Caligola finì per divenire il tipo della crudeltà, Vitellio della voracità, Claudio

dell`imbecillità e via di seguito. Inoltre, quando vennero rappresentati sopra delle

Page 29: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

22

monete, alcuni Cesari si videro associati a degli animali simbolici incaricati di

corrispondere all`interpretazione delle fonti testuali.

Con il Rinascimento i principi della fisiognomica comparata hanno

conosciuto un’estensione senza precedenti in Europa e hanno influito direttamente su

alcuni aspetti della produzione artistica. Come mostrato dalla caratterizzazione

molto forzata delle fisionomie nei grandi cicli narrativi e dalla nascita del ritratto

come genere autonomo, la società medievale di tipo comunitario ha allora

progressivamente ceduto il passo alla società moderna, piuttosto individualista, in cui

l`uomo si è posto come soggetto di studio e riflessione. Si può senza dubbio

affermare che il modo di utilizzare le analogie zoologiche nelle arti visive sia

sensibilmente evoluto nel corso del periodo. A partire dal Quattrocento appaiono

effettivamente alcuni esempi di composizioni dipinte in cui si rivelano assimilazioni

visive tra le figure di santi e gli animali che servivano loro da attributo. È comunque

nel campo del ritratto individuale che il principio dell`analogia animale ha allora

conosciuto le sue applicazioni più originali. Essendo la nascita del ritratto ormai

legata ad un`analisi più diretta della realtà oggettiva delle fisionomie, si potrebbe

pensare che le analogie zoologiche non dovessero più prendervi parte. Ma così

facendo si dimenticherebbe che le nuove immagini concepite dai pittori e dagli

scultori dovevano non soltanto fissare i tratti degli individui, ma anche evocare la

loro anima, ovvero elevare i modelli fino ad una tipologia la cui commemorazione

era ritenuta altamente legittima. Per alcuni teorici umanisti poi, le arti visive

dovevano sforzarsi di rimandare a dati talmente impalpabili come il temperamento o

gli slanci dell`anima degli esseri umani, per poter così pretendere di superare il

proprio statuto di arti meccaniche. Alla fine, impegnandosi a ricostruire il carattere

del loro modello tramite il ricordo che ne avevano, i ritrattisti optarono spesso per

delle soluzioni di compromesso. Si è spesso osservato che a differenza dei loro

colleghi fiamminghi, i ritrattisti italiani hanno instaurato un rapporto diretto tra

l`osservatore e il personaggio ritratto solo a partire dalla seconda metà del XV sec.,

privilegiando fin là una presentazione di profilo che restava molto vicina alle formule

del gotico internazionale. Ma è così sorprendente che, dovendo celebrare gli

individui che rappresentavano, ovvero evocare le loro qualità morali, questi artisti

abbiano scelto di sfruttare le soluzioni formali offerte dalla glittica (l`arte di incidere

Page 30: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

23

pietre preziose) e dalla numismatica? L`interesse che alcuni di loro hanno

manifestato per il principio secondo cui la somiglianza dell`uomo con qualche

animale condizioni il suo carattere e gli conferisca delle inclinazioni vicine a a

quelle della specie di cui è il riflesso, ha portato ad esiti incontestabili. Ispirati alla

celebrazione dei grandi uomini cara all`Antichità classica, il Gattamelata di

Donatello e, in maniera ancora più evidente, il Colleoni di Verrocchio sono tra gli

esempi piu gloriosi in questo senso. In queste due statue equestri, che presentano

entrambe un condottiero ucciso nel momento in cui l`artista veniva incaricato della

committenza, il volto dell`eroe mercenario corrisponde al tipo leonino: lo sguardo

cupo, il naso regolare, le labbra sottili a sottolineare una bocca energica e larga, gli

conferiscono una grande espressione di forza e di inflessibilità.

6. 7.

È noto che, da Pisanello a Leonardo, il topos che associa il combattente

feroce al leone coraggioso ha conosciuto molto successo. Ciò è evidente ancora di

più nel busto di Cosimo I che Cellini ha realizzato verso il 1545-47. Animato da una

Page 31: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

24

vita interiore molto intensa, questo ritratto esplicitamente “leonino” mostra che la

tendenza all`approfondimento dell`osservazione e della rappresentazione psicologica

non ha per nulla impedito ad alcuni artisti di proseguire sulla via delle analogie

zoologiche. Schematizzando, si può affermare che si vennero ormai a definire due

tendenze o approcci suscettibili a volte di incrociarsi: un primo approccio, collegato

alla funzione sociale del personaggio rappresentato, che privilegiava il tipo ideale a

costo di una spersonalizzazione del modello; un secondo approccio, più psicologico,

che aveva piuttosto per obiettivo di svelarne la specificità.

Interferenze e distorsioni

Nel 1528 Dürer aveva assegnato una funzione originale alla teoria delle

proporzioni umane: essa doveva non tanto fornire un canone di bellezza universale,

ma permettergli di produrre, partendo dalla variazione delle misure, ogni sorta di

figure possibili, tra cui i volti “leonini” e “canini”. Temeva però che una

applicazione eccessiva di tali analogie potesse condurre a un sistema irrazionale:

affemare che qualcuno abbia l`aria di un leone o di un orso, non equivale a giudicarlo

a partire da un`espressione piuttosto che da una sicura parentela fisica? Gli scritti di

Dürer indicano che la riflessione teorica sulle arti visive era sul punto di integrare

esplicitamente la questione della fisiognomica. Se, nei Quaderni, Leonardo aveva già

evocato la possibilità di elaborare una sorta di segnaletica del volto, è nel 1504, al

momento in cui questi lavorava alla Battaglia di Anghiari, che apparve il De

sculptura di Pomponius Gauricus, prima opera di teoria dell`arte che consacrasse un

capitolo intero al soggetto.

Tornando alle comparazioni zoomorfe care alla tradizione aristotelica,

Gauricus pretende che grazie a questa scienza gli artisti potranno ridare un volto ai

grandi uomini del passato i cui tratti del volto non ci sono pervenuti. Sarà sufficiente

ai pittori, scultori ed incisori di invertire il processo abituale dei fisiognomici,

ricostruendo il ritratto fisico a partire da quello morale che i vari testi o testimonianze

scritte hanno lasciato di un personaggio celebre. La sua opera segna

incontestabilmente una data impotante nella storia dei rapporti tra fisiognomca e arti

Page 32: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

25

visive. Ma è nel 1586, con la pubblicazione del De umana physiognomia di

Giambattista Della Porta che la possibilità di dedurre il carattere di un personaggio a

partire dal confronto morfologico venne per la prima volta affermato con il sostegno

delle immagini. Questo trattato, che doveva conoscere numerose edizioni e

traduzioni, riprendeva la teoria già sviluppata nelle fisiognomiche antiche. Deve in

gran parte il suo successo alle numerose illustrazioni che l`accompagnano (fig. 8 - 9).

8.

Largamente fondate sulla giustapposizione di teste di uomini e di animali,

esse hanno fissato delle tipologie particolarmente feconde. Gli uomini il cui naso

evochi il becco di un rapace, i cui occhi siano vivi e scintillanti e il mento

all`indietro, accedono alla dignità e all`ardire dell`aquila. Quelli che hanno un volto

piccolo e giallastro come quello delle scimmie sono falsi, cattivi e viziosi. La testa

squadrata e massiccia come quella di un toro indica la forza fisica piuttosto che la

superiorità dello spirito. Le orecchie allungate e la fronte pronunciata come quelle

dell`asino, la stupidaggine. Alcuni tipi, il più sovente anonimi, si vedono associare ad

alcune caratteristiche fisiche delle pulsioni animali. Della Porta evoca così il caso del

suo fattore, la cui bocca era simile a quella dei montoni, segno inconfondibile

secondo lui di golosità e di imbecillità. Le analogie positive riguardano dapprima dei

personaggi celebri. Socrate è comparato a un cervo, la cui fronte spaziosa segnala

una grande sicurezza di giudizio, e Platone a un cane da caccia prudente, che rinvia

Page 33: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

26

alla sagacia del filosofo ateniese. Gli imperatori romani sono esaminati attraverso le

rappresentazioni incise di busti o di medaglie in funzione delle descrizioni di

Svetonio. Della Porta ricorda per esempio il modo in cui il grande storico evoca

Cesare – la bocca sempre umida, le narici dilatate – e vi vede i segni di una

propensione all`impeto, che egli ritrova nella fisionomia del cavallo. Si vede come

l`interferenza delle fonti testuali e visive poteva spingere a rivelare il carattere degli

uomini secondo due punti di vista complementari: la mitizzazione e la denigrazione.

Su quest`ultimo punto, si ricordi che a partire dalla prima metà del XVI sec,

quando si moltiplicavano le rappresentazioni di creature ibride di cui numerosi testi

raccontavano la favolosa scoperta, il processo di zoomorfizzazione degli individui

era divenuto una delle armi essenziali degli incisori satirici e fu particolarmente

usato dai riformatori protestanti in lotta contro il papato. La polivalenza del ricorso

alle analogie zoologiche è in ogni caso sensibile in Della Porta: comparabile al

becco di un`aquila, il naso di Galba annuncia la sua maestà; meno fortunato, Vitellio

si vede rapportato al gufo a causa della grandezza della sua testa, indice della sua

viltà e della sua timidezza (fig. 9).

Senza dubbio non era nelle intenzioni dell`autore di indurre ad

un`interpretazione esclusivamente fisiognomica dei grandi uomini del passato: gli

scritti degli storici restavano indispensabili a chiunque volesse farsi un`idea precisa

della loro personalità. Ma è con quest`opera che, per la prima volta, le comparazioni

zoomorfe furono dimostrate tramite delle immagini di una così grande efficacia.

A partire dal XVII secolo le osservazioni fisiognomiche investirono

definitivamente il campo artistico, mostrando al tempo stesso una forte propensione a

privilegiare lo studio delle passioni, ovvero i sentimenti effimeri, a detrimento dei

caratteri fissi. Ciò detto, la voga delle analogie animali non doveva però affievolirsi,

testimoniando persino di una certa continuità tra il Rinascimento e l`età classica,

anche se si rilevava un`inclinazione verso le rappresentazioni dei tipi comici e

grotteschi.

È vero che, a partire dalla fine del Rinascimento, il principio delle

illustrazioni del De umana physiognomia aveva potuto incoraggiare ogni sorta di

associazione tra uomini e bestie, uomini e piante, e uomini e oggetti inanimati.

Hanno avuto un impatto anche sulla moda delle grottesche manieriste o delle

Page 34: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

27

immagini paradossali, spesso composte di elementi privati del loro senso e aperte a

molteplici interpretazioni. La filiazione tra i disegni di Leonardo da Vinci e le

famose “teste composte” di Arcimboldo è stata ugualmente evocata. In effetti, così

come il gioco formale del bestiario fantastico, costituito da creature composte di

forme umane e animali sapientemente intrecciate, il principio della deformazione del

volto tramite espressioni o tratti animali si era mantenuto nelle botteghe milanesi,

incoraggiando la produzione e la diffusione di immagini di uomini-leoni, di uomini-

anatra o di uomini-asini pronti a sedurre gli amatori di “curiosità” (Baridon,

Guedron, 2004). E anche se questi esercizi formali non possono essere considerati

come delle caricature, il principio delle analogie e delle trasformazioni che essi

mettono in opera venne inevitabilmente sfruttato dagli inventori del genere.

9

Ciò si osserva a partire dagli anni 1594-1600, nel momento in cui, praticando

il ritratto carico, gioco grafico divenuto estremamente popolare in Italia, Annibale e

Agostino Carracci mettono a punto la caricatura nel senso moderno, liberandosi a

ogni sorta di distorsione fisiognomica. Gli esempi di volti animalizzati che gli sono

attribuiti testimoniano ancora una volta circa l`influenza diretta dell`opera di Della

Porta e della conoscenza degli studi leonardeschi. È chiaro che, impiegando questo

Page 35: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

28

procedimento, Annibale e Agostino intendevano rendere più agevolmente

ricostruibili le caratteristiche fisiche dei loro personaggi e così svelarne la loro

natura profonda.

Giustapposizioni e ibridazioni

I teorici dell`età classica hanno particolarmente insistito su ciò che distingue

gli accidenti temporanei, che modellano l`apparenza dei volti, dagli accidenti

abituali che rivelano il carattere permanente. È da questo approccio che procede la

serie di celebri disegni di Charles Le Brun in cui alcune categorie di esseri umani

sono imparentate con delle teste animali (fig. 10).

10.

Questi disegni erano destinati ad illustrare la conferenza pronunciata

all`Accademia Reale di pittura e di scultura il 7 e il 28 marzo 1671. Le rare

testimonianze pervenute di questa conferenza sembrano confermare questo legame

Page 36: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

29

verso l`antica tradizione fisiognomica. Le Brun ha tentato di valutare le qualità

morali degli esseri umani seguendo l`orientamento degli occhi e delle sopracciglia e

a partire da linee geometriche molto semplici. In molti disegni, le linee formano dei

triangoli i cui angoli più o meno aperti servono a misurare i vari gradi dello spirito di

ciascuna specie animale o di un tipo d’individuo che vi è imparentato. Determinante

è l`angolo formato dall`asse degli occhi e delle sopracciglia a seconda che si elevi

verso la fronte per avvicinarsi all`anima o, al contrario, che discenda verso il naso e

la bocca, le parti animali del volto. È dunque a partire dall`osservazione dei differenti

assi della testa che Le Brun ha creduto di poter risalire al carattere e alle attitudini

degli uomini e degli animali.

Si possono effettivamente trovare delle somiglianze tra Le Brun e Della Porta

laddove l`osservazione riprende il principio del rapporto quasi sistematico tra ogni

faccia animalizzata e la caratteristica ad essa associata: l`uomo-leone con l`audacia,

l`uomo-lepre con la timidezza, l`uomo-orso con la pigrizia, etc.

Contemporaneo di Della Porta, Montaigne, che aveva adottato una posizione

di continuità tra l`uomo e l`animale, comparava le azioni degli uomini a quelle degli

animali, eliminando così ogni distinzione radicale tra i due. Come Voltaire due

secoli più tardi, egli aveva sottolineato che a causa di un incorreggibile orgoglio

l`uomo si era persuaso di possedere una natura infinitamente superiore a quella degli

altri appartenenti al regno animale. Per Montaigne, le bestie erano soggette alla forza

dell`immaginazione, erano in grado di comunicare tra loro i propri pensieri così

come gli uomini, e di usare un linguaggio naturale, sapevano distinguere ciò che

poteva guarirle dalle malattie e si mostravano perfino capaci di apprendimento.

Osservando precisamente che le bestie sono sprovviste di un linguaggio che

permetta loro di esprimere un pensiero o delle emozioni, Cartesio doveva introdurre

invece una forte rottura tra animalità e umanità. Ormai ridotti a esseri meccanici

senza anima, gli animali non comunicavano più se non attraverso dei movimenti

naturali, dei segni delle passioni, che potevano facilmente essere imitati da macchine.

E in seguito tutti coloro che si sforzeranno di mantenere la maggior distanza

possibile tra l`uomo e gli animali cercheranno generalmente di ridurre

considerevolmente il registro delle loro espressioni. Detto ciò, i disegni fisiognomici

di Le Brun sembrano derivare meno dalle asserzioni di Cartesio che non dalle

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30

suggestioni di La Rochefoucauld o La Fontaine sulla questione, spesso dibattuta

intorno al 1670, del rapporto tra gli uomini e gli animali. A volte disegnati al tratto

semplice di contorno, a volte modellati con più cura, di una potenza più plastica che

grafica, i suoi uomini-leoni, uomini-capre, uomini-aquile e altri sono fortemente

bestializzati, mentre ogni animale di riferimento mostra un`espressione di

intelligenza che si concentra nella resa degli occhi e delle arcate sopraccigliari. Non

derivando dalla caricatura né dal mostruoso, queste creature ambigue emanano

qualcosa di affascinante, e si può intuire l`interesse che questo soggetto doveva

suscitare in quella epoca: se era possibile vedere nella configurazione esteriore del

corpo degli animali i segni incontestabili dei loro costumi e del loro temperamento –

la robustezza e la nervosità del leone, indici della sua forza; l`agilità e la delicatezza

del leopardo, espressione della sua duplicità; l`aspetto feroce e brutale dell`orso,

segno della sua crudeltà, etc. – non si sarebbe potuto fare lo stesso con l`uomo? Non

diveniva attraente la possibilità di dedurre delle congetture a partire da segni fissi e

permanenti che caratterizzano i differenti aspetti fisici degli uomini? Non era così

inoltre che il pittore trovava uno dei mezzi più efficaci per rispondere alla questione

del ut pictura poesis?

Ai confini della specie umana

Per alcuni studiosi, il secolo dei Lumi sarebbe povero di analogie zoomorfe,

costretto tra un XVII secolo dominato dall`esempio di Le Brun e un XIX secolo

caratterizzato da una “mania” per gli animali. E se è vero che il periodo in questione

manifesta un gusto evidente per gli animali mascherati da uomini, sembra che le

prime opere che partecipano della tendenza fisiognomica del XVIII secolo non

facciano quasi più riferimento ai raffronti che avevano decretato il successo dello

Pseudo-Aristotele e dei suoi emuli. Certe opere invitano comunque ad attenuare il

proposito. È così per il Trattato della figura umana attribuito a Rubens e pubblicato

da Pierre Aveline nel 1773; vi si trovano in effetti alcune tavole incise che giocano

sui raffronti tra alcune teste scolpite ispirate alla statuaria antica e quelle di animali

“nobili” come il leone, il toro o il cavallo. L`autore del testo che accompagna queste

Page 38: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

31

illustrazioni considera che l`uomo è un composto degli elementi dell`universo

comuni a tutti gli animali. Ciascun individuo, assicura, è caratterizzato da una

somiglianza dominante che influisce sul suo carattere. È sufficiente del resto

avventurarsi al di fuori del campo ristretto della letteratura fisiognomica per

accorgersi che la questione dei legami tra umanità e animalità non è probabilmente

mai stata altrettanto dibattuta.

È noto che per Rousseau è tramite l`utilizzo degli utensili e lo sviluppo del

giudizio riflessivo che l`uomo è potuto emergere dall`animalità. Secondo l`autore del

Contratto sociale, tale evoluzione ha allontanato l`uomo dalla propria pienezza

originale e dalla sua natura primaria. Buffon, che Rousseau aveva letto con

attenzione, lo affermava: “Tutto indica nell`uomo, persino nell`aspetto esteriore, la

sua superiorità sugli altri esseri viventi; si mantiene in posizione dritta ed elevata; la

sua attitudine è quella del comando; la sua testa guarda il cielo e presenta un volto

nobile sul quale sono impressi il carattere e la dignità; l`immagine dell`anima vi è

dipinta tramite la fisionomia, l`eccellenza della sua natura filtra attraverso gli organi

materiali e anima i tratti del suo volto; il suo andamento ardito annuncia la sua

nobiltà e il suo rango…” (cit. in Baridon, Guedron, 2004). Secondo il celebre

naturalista, solo l`uomo è capace di emettere un giudizio, di ricordarsi degli

avvenimenti e di proiettarsi nell`avvenire. Tali facoltà, legate alla sua propensione al

perfezionamento e al progresso, lo distinguono nettamente dalle bestie, poiché

queste sono sottomesse al proprio istinto e, conseguentemente, sono incapaci di

modificare il proprio comportamento. Occorre nondimeno sottolineare che Buffon e i

suoi contemporanei hanno anche prestato ogni sorta di carattere tipicamente umano

agli animali che studiavano: “nobiltà” al leone, “coraggio” al bue, “indegnità”

all`asino, etc. In effetti, anche se vedeva una differenza essenziale tra la scimmia e

l`uomo, il suo secolo è stato anche quello nel corso del quale, contro la reificazione

cartesiana dell`animale in macchina animata, autori come Maupertius, Réamur e

Condillac hanno agito per il diritto delle bestie dotate di sensibilità ed intelligenza.

Voltaire così difendeva le posizioni di Locke contro quelle di Cartesio: comparate un

bambino di quattro anni , che non sa fare nulla, con un gatto di sei settimane o con un

cane da caccia di un anno e mezzo, e sarete portati a credere che sia il piccolo

dell`uomo l`automa. La questione di sapere se la natura umana fosse

Page 39: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

32

fondamentalmente diversa da quella dell`animale si poneva con sempre maggiore

intensità. Questa differenza era soltanto quantitativa? Era dovuta a un grado più o

meno elevato di intelligenza?

L`applicazione del dualismo ereditato da Cartesio non era stata senza

conseguenze sulla percezione degli esseri ibridi. Le sirene, i cinocefali, i satiri e altri

prodigi della natura cominciarono in effetti ad essere considerati come dei mostri o

come degli animali male interpretati. Sulla medesima linea, si era giunti fino a

invocare il carattere bestiale di certi popoli per rifiutare loro lo statuto di esseri

umani. Se i Pigmei, di cui parlava già Aristotele, furono a volte guardati come

intermediari tra i primati e l`uomo e se gli Eschimesi o i Lapponi sembravano

rivelare un` “alterità animale” che suscitava al tempo stesso sentimenti di repulsione

e di commiserazione, è nei confronti degli Ottentotti, come si può constatare

nell`articolo che fu loro consacrato da Jaucourt sull`Enciclopedia, che si cristallizzò

ogni repulsione (Baridon, Guedron, 2004). Non sapendo bene dove situare questi

esseri “intermedi”, quelli che li avevano osservati tentavano di farne la descrizione

ricorrendo ai vecchi paragoni con il regno animale: l`Ottentotto aveva le orbite

infossate, le orecchie, il corpo e le membra pelosi, i suoi capelli somigliavano alla

pelliccia di una pecora nera, emanava un odore spregevole, la sua femmina era dotata

di un`escrescenza di pelle dura al livello del pube. Inoltre, non solo gli uomini

dell`Illuminismo dibattevano circa l`umanità dei bifolchi o degli Ottentotti

chiedendosi se alcune scimmie antropomorfe fossero effettivamente delle scimmie –

nel dubbio Rousseau stesso le comparava ai satiri degli antichi e agli uomini silvestri

del Rinascimento – ma alcuni di loro arrivavano a insinuare che forse, oltre il velo

delle convenzioni e della dissimulazione, ogni individuo potesse rivelare un fondo di

animalità suscettibile di riemergere in ogni momento. L`animale, mediatore ideale

tra l`uomo e la natura, permetteva così di mostrare il “selvaggio” nascosto nel

fondo di ciascun essere “civilizzato”. Si può pensare che la moltiplicazione delle

storie dei bambini-lupo, l`apparizione degli uomini-orso, così come il successo delle

esposizioni di bambini selvaggi a partire dagli anni Sessanta del Settecento, riflettano

molto bene questo tipo di questioni. L`esistenza di tali creature non tendeva a

mostrare la labilità delle frontiere tra l`umano e l`animalità? Non testimoniava

dell`instabilità dell`umano? Nel Sogno di D`Alembert Diderot mette in scena un

Page 40: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

33

saggio colpito da una febbre che lo conduce ad esprimere le ipotesi più audaci, tra

cui quella della continuità delle specie. Vi si intravede una natura affascinante,

capace di sperimentare delle combinazioni libere da qualunque piano divino

rigorosamente prestabilito, in un certo modo una natura artista.

È senza dubbio difficile stabilire con certezza quanto questi dibattiti abbiano

potuto influire sulle arti visive del XVIII secolo. Eppure, osservando l`opera di Füssli

per esempio, è difficile aderire al mito dell`artista rinchiuso nel suo studio, tagliato

fuori da ogni contatto con il contesto culturale nel quale viveva. Si potrebbero

evocare anche: il Tiepolo degli Scherzi, in cui i maghi orientali impegnati in qualche

rito inquietante sono a volte provvisti di volti dai tratti animali; le scimmie del

Fragonard anatomista, che sembra essersi impregnato delle fantasmagorie occulte

del suo tempo; oppure l`ossessione della configurazione della bocca e delle labbra in

rapporto alle teste di certi animali nelle teste dello scultore austriaco Xaver

Messerschmidt; o ancora le creature bestiali che popolano le composizioni di Goya.

L`impatto della tassonomia delle specie, dei lunghi dibattiti circa l`origine dei mostri,

della voga della cranioscopia, delle teorie fisiognomiche e del magnetismo animale

non si è certo limitato al campo dell`illustrazione scientifica.

Per quanto concerne la fisiognomica zoologica, il campo d`espressione in cui

essa si è più largamente manifestata è stato quello dell`immagine satirica,

particolarmente nella Francia rivoluzionaria: l`animalizzazione del corpo è divenuta,

attraverso la caricatura, un metodo corrente per denunciare le deficienze politiche e

sociali. Così la tradizione fisiognomica ha conosciuto una voga senza precedenti

negli anni intorno al 1789. La caricatura come mezzo per identificare e denunciare le

malefatte di un personaggio tramite l`accentuazione dei suoi tratti era una pratica

ancora assai poco estesa: si faceva più generalmente ricorso a dei procedimenti in cui

era frequente l`uso di oggetti e di animali. Con la caricatura rivoluzionaria e

controrivoluzionaria i disegnatori esplorano un bestiario iconico assai variegato dove

le scimmie, le volpi, gli asini, i cavalli, i serpenti, i maiali, i cammelli e i tacchini

permettono di investire certi personaggi-tipo di un carico allegorico. Così un

quadrupede dalla testardaggine ostinata serviva a ridicolizzare l`armata

controrivoluzionaria. Le scimmie potevano rappresentare degli uomini di legge, le

volpi inquisitrici dei funzionari della polizia, i maiali dei finanzieri avidi. I

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34

disegnatori di queste caricature pretendevano così di rivelare il vero carattere delle

loro vittime, utilizzando largamente il principio della corrispondenza zoomorfa tra

l`aspetto fisico e il contenuto morale per stigmatizzare i componenti della Famiglia

Reale. A questi furono così conferiti numerosi riferimenti alla tigre, al lupo, al

falcone, alla scimmia, alla pantera o al leopardo. Fu senza dubbio la coppia costituita

da Luigi XVI e Maria Antonietta ad inspirare le associazioni più blasfeme.

All`impotenza del re corrispondeva la voracità e il desiderio della sua insaziabile

sposa, la quale, assimilata al rango degli animali più feroci, svelava così la propria

disumanità. Più ridicolo che pericoloso, Luigi XVI venne retrocesso al livello di

animale castrato da ingrassare prima di essere sgozzato, un volgare maiale da

carnevale, ovvero un tacchino. Il messaggio, continuamente ripetuto nelle caricature

e nelle brochures dell`epoca non può essere più chiaro: la coppia reale non è più in

grado di incarnare l`ordine politico e sociale. A loro volta, i controrivoluzionari si

impadronirono delle figure della bestialità per rivolgerle contro i propri avversari.

Tra gli altri, Robespierre fu associato a un gatto selvatico, Marat ad un uccello

notturno. La lista degli animali politici doveva considerevolmente allungarsi a partire

dal XVIII secolo. Al punto che Napoleone, nelle caricature inglesi, venne

rappresentato come un Corsican spider (ragno della Corsica), che inghiotte delle

mosche assunte a simbolo delle nazioni europee. Il fenomeno ha continuato ad

amplificarsi, senza tuttavia conoscere profondi mutamenti. Dopo il 1830 ha

raggiunto forse il suo apogeo con Daumier o Grandville. Questi artisti tentarono di

screditare un regime che riduceva la libertà di stampa. I parlamentari divennero degli

alienati per Daumier, degli animali da cortile o dei rappresentanti impagliati di specie

curiose per Grandville. Si vede dunque come l`influenza della storia naturale sia

stata forte in un momento chiave della storia francese che ha segnato l`inizio dell`era

moderna.

L`animale, la macchina e l`evoluzione

La rivoluzione industriale ha fatto evolvere rapidamente il complesso delle

relazioni tra l`uomo e gli animali sotto il segno della macchina, la “bestia d`acciaio”,

Page 42: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

35

il totem delle società moderne. In una certa misura, le macchine hanno a poco a poco

liberato gli animali dalla loro funzione di produttori di energia naturale, ma allo

stesso tempo le condizioni di vita dei cavalli e degli animali da bestiame si sono

degradate. Questo complicato fenomeno ha allontanato prima di tutto gli animali

dall`uomo, ma ha permesso anche di dare ad alcuni di loro uno statuto sconosciuto a

un gran numero di esseri umani. Si vide così svilupparsi presso i borghesi europei un

gusto che persiste ancora oggi per gli animali da compagnia, privilegio dei re e degli

aristocratici. Per quanto concerne la città industriale, viene a formarsi una nuova

coppia, il cane con il padrone, con una somiglianza tra i due che i caricaturisti

dell`epoca si compiacevano di esaltare. Allontanatosi dalla natura e da un rapporto

tradizionale di tipo utilitarista con le bestie, il cittadino delle grandi città instaurava

con il suo animale dei legami sentimentali di un nuovo tipo. Furono d`altronde gli

animali domestici ad essere oggetto di protezione da parte di alcune società inglesi,

tedesche e francesi. Battere il proprio cane divenne il segno di uno stato di inciviltà:

occorreva da allora in poi essere “umani” con le bestie. Un grande intellettuale

dell`epoca come Victor Hugo si prodigò per la creazione della “Società francese di

protezione degli animali”.

Quanto agli animali selvaggi degli altri continenti, ci si era abituati a

conoscerli con Buffon, ma gli esploratori e i naturalisti del XIX secolo rilevavano

ogni anno delle nuove specie. Esse popolavano le immaginazioni umane di mostri

ben più reali di quelli riportati nei racconti di antichi viaggiatori come Marco Polo.

Queste nuove specie affascinavano non tanto perché parevano in via di estinzione,

ma poiché incarnavano la potenza selvaggia, così come la fauna e i popoli che le

circondavano. Questi animali arrivarono ben presto in Europa. L`orang-outang Jack

divenne una celebrità. Più affascinanti ancora divennero gli animali feroci, i leoni del

“Giardino delle piante” di Parigi, disegnati da artisti romantici e animalisti, come

Delacroix; ancora di più lo divennero le bestie mostrate alle folle durante le fiere.

Alcune litografie rendono conto di questo immaginario, in cui si integrano perfino

dei mostri ibridi. Esse permisero di familiarizzare con l`incredibile diversità della

fauna mondiale, che trovava agli occhi dei caricaturisti il suo contraltare nella folla

delle grandi città. In questa epoca inoltre vengono aperte al pubblico le collezioni di

storia naturale, conferendo una dimensione artistica alla tassidermia.

Page 43: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

36

Alla bestia selvaggia va aggiunto poi l`animale utile, produttivo. Il cavallo dei

calessi era al centro di un dibattito sollevato da chi protestava contro la sorte penosa

che lo attendeva; allo stesso tempo però si vedeva assegnare l`utile destino di

divenire carne da macello. La nascita dell`industria della carne e la creazione dei

grandi centri per il macello si accompagnarono ad una razionalizzazione incessante

tesa a perfezionare le razze animali. La zootecnia si sviluppò a partire dal 1850 con il

generoso obiettivo di sfamare tutti gli uomini.

È da sottolineare come le nuove condizioni che l`uomo riservava all`animale

non erano che il riflesso dello statuto che l`essere umano assegnava a se stesso. La

macchina effettuava una parte dei lavori spiacevoli, ma essa era ugualmente una

mangiatrice di uomini in quanto alienava il proletariato. Queste nuove situazioni

sociali contribuirono a determinare una rivoluzione scientifica, filosofica ed

epistemologica. Essa ci conduce dalla storia naturale alla sociobiologia implicando

un`evoluzione rapida della concezione del posto dell`uomo nella Natura. Rendendo

evidente il fatto che l`insieme delle forme di vita, almeno nel loro stato attuale, non

mostravano più una creazione divina, i naturalisti fecero dell`uomo il responsabile

del suo dominio sull`insieme del mondo animale. Le tesi darwiniane, in particolare la

selezione naturale, servirono presto non solo a legittimare questo fatto, ma

determinarono ugualmente un modello di sviluppo basato sul colonialismo, lo

sfruttamento o lo sradicamento degli esseri umani giudicati inadatti alla società

tecnica e mercantile che andava costruendosi.

I dibattiti in Europa e in particolare in Francia furono numerosi, stimolando

l’immaginario degli uomini del XIX secolo, che cercavano nella natura il modello di

un`organizzazione considerata come perfetta. Le dottrine successive di filosofia

naturale opposero i partigiani delle concezioni unitarie ai classificatori. Nel primo

caso l`uomo sottolineava la sua appartenenza all`insieme del regno vivente; nel

secondo invece, sulla scia di Linneo, rinforzava la sua originalità e perfino il suo

predominio, conferendosi il ruolo di ordinatore della Creazione. La straordinaria

diffusione delle idee scientifiche nella cultura europea diede vita ad una letteratura

di divulgazione molto diversificata e capace di sedurre ogni categoria di lettori.

Progressivamente, nel corso della seconda metà del XIX secolo, la tesi darwiniana

era entrata nel linguaggio comune sotto forma di formule semplicistiche e

Page 44: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

37

sorprendenti come “l`uomo discende dalla scimmia”, inaudite per l`epoca ma rese

più plausibili dalle coeve scoperte paleontologiche. E nonostante tale parentela gli

apparisse ingombrante, occorreva pure che l`uomo accettasse di non essere più

direttamente imparentato con Dio ma con dei quadrumani. Ben presto, i primi fossili

di ominidi vennero a confortare queste teorie permettendo a ciascuno di ritrovare in

questi uomini primitivi dei caratteri scimmieschi evidenti.

La diffusione di queste idee eccitava ancora di più l`immaginazione in quanto

avveniva spesso con il supporto delle immagini, più o meno serie. L`accesso

all`attualità scientifica era in effetti favorito dall`emergere di nuove tecniche di

edizione che permettevano di riprodurre delle illustrazioni e di collegarle

direttamente al testo, nello stesso volume, ovvero sulla pagina stessa. La litografia e

la xilografia permettevano la proliferazione dei libri illustrati. La fotografia venne

progressivamente a incrementare l`uso considerevole di immagini relative ad ogni

campo, compreso quello del ritratto. A partire dal 1850 ciascuno voleva e poteva

avere il proprio ritratto. Questo però non era sempre vantaggioso per il modello. Gli

artisti, che vedevano evidentemente nella fotografia un concorrente micidiale,

stigmatizzarono il carattere bestiale, poiché non idealizzato, dei ritratti fotografici.

Balzac pretendeva perfino che ciascuno scatto preso di una persona le sottraesse al

contempo una parte di umanità. Cancellando i caratteri individuali e annichilendo, a

causa dei lunghi tempi di posa, il gioco delle espressioni, il ritratto fotografico alle

sue origini trasformava ciascun uomo o donna in un semplice rappresentante della

propria specie. Lo spettro dell`animalità minacciava l`umanità, con una forza

accresciuta dal fatto che la riproducibilità delle immagini ne imponeva l'evidenza ad

un gran numero di sguardi.

Nella seconda metà del XIX secolo la diffusione delle tesi di Charles Darwin,

e più ancora la loro ricezione deformata da successive semplificazioni, fece dunque

accentuare il fenomeno. L`uomo ridivenne, nel bene e nel male, un animale e,

appoggiandosi sulla teoria della selezione naturale, la sociobiologia non tardò a

proporre di reggere le società umane su dei modelli naturali. Da allora in poi, i

comportamenti degli animali furono usati nell`elaborazione di teorie sociali e

politiche che intendevano preparare una società perfettamente efficiente, in quanto

basata su delle verità profondamente radicate negli istinti primordiali.

Page 45: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

38

Charles Darwin nei suoi lavori tesi a comparare le espressioni umane con

quelle animali, metteva in evidenza delle parentele che non erano soltanto originali o

profondamente nascoste nell`anatomia: esse si ritrovavano in ogni inflessione della

forma della bocca, in ciascun movimento dei muscoli del viso. Il padre della teoria

dell`evoluzione distingueva i movimenti abituali acquisiti ereditariamente e le azioni

riflesse. Ma mostrava che questi due tipi di movimenti erano legati e che avevano

l`uno e l`altro un`origine animale. Secondo Darwin, “il fatto che certe espressioni

siano comuni a delle specie distinte ancorché imparentate, come i movimenti degli

stessi muscoli facciali durante il riso nell`uomo e in alcune scimmie, diviene un

poco più comprensibile se crediamo che essi discendono da un antenato comune.” E

perfino se questi propositi mirano a provare l`esistenza di questo antenato generico e

non a caratterizzare dei comportamenti individuali, essi sembrano giustificare la

mania per gli animali inaugurata mezzo secolo prima e tutta la tradizione

fisiognomica.

Il fascino per l`animalità

Sotto una forma più o meno scientifica, la fisiognomica perdurò e conobbe persino

una popolarità senza precedenti. Venata di intuitivo buon senso e di tentazioni

divinatorie, essa si accompagna nei secoli allo sviluppo dello studio anatomico,

giungendo così ai Physiognomische Fragmenten (Frammenti di Fisiognomica) di

Lavater, che ebbero larga diffusione e furono più volte editi lungo tutto il XIX

secolo. Lavater (1741 – 1801) fu teologo, convinto come Della Porta che esistano

delle sottili armonie tra anima e corpo; unisce al sentimento religioso la tendenza

illuministica all`osservazione “scientifica” del mondo naturale. Convinto che la virtù

abbellisca ed il vizio deformi, trovò corrispondenze tra uomini ed animali, tra i tratti

del volto e le passioni dell`anima, tra i membri di una stessa comunità nazionale.

Condusse studi sul volto, sul capo e sulle mani, passando anche in rassegna le

fisionomie dei grandi uomini del passato e proponendosi come fine ultimo quello di

migliorare moralmente l`umanità.

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39

Tra il Settecento e l`Ottocento Gall inventa la frenologia, la quale si basa

sulla convinzione che tutte le facoltà mentali, le tendenze, gli istinti e i sentimenti

hanno la loro rappresentazione sulla superficie del cervello. Si propone di

riconoscere le molteplici disposizioni intellettuali e morali dell`uomo e degli animali

dalla configurazione del loro cranio. Ricerca le “bozze” che, in punti diversi del

cranio, esprimono il prevalere dell`una o dell`altra facoltà. Hegel la critica poiché

avverte come il discorso sul cranio o sulla fisionomia potrebbe portare a marchiare

un individuo e un`intera razza. La craniologia e la frenologia di Gall e di Spurzheim,

che si dicevano fondate sulla conoscenza anatomica del cervello umano, ne

deducevano dunque dei dati relativi al carattere. Queste nuove pratiche riscoprirono

in parte la tradizione fisiognomica e, ancora più importante, ritrovarono delle

analogie con l`animale. Non occorreva altro perché la diffusione di queste “scienze”

innescasse una straordinaria proliferazione di caricature che rivestivano con abiti

umani le bestie alla moda, o al contrario, mettevano a nudo la bestialità di personaggi

celebri dell`epoca. Al di là della satira sociale, questo rinnovamento della

fisiognomica permetteva di vendere grandi tirature di guide e di manuali per la scelta

dello sposo e della sposa o di riconoscere il volto di un ladro o di un ciarlatano, etc.

Alcuni dei loro autori pretendevano sinceramente una reale scientificità. Gli

innumerevoli manuali di divulgazione consacrati alla fisiognomica hanno così

assicurato una larga diffusione di questi criteri zoomorfi.

Il tedesco Sophus Schack, sulla scia di Lavater, intitolò la sua opera

Physiognomische Studien e ne consacrò la metà alla zoofisiognomica. Immagini alla

mano, comparava Talleyrand ad una volpe, un vecchio disertore ad un orso,

l`alienato idiota ad un topo pauroso e furtivo, il “domestico muto” a un merluzzo.

(Baridon, Guedron, 2004)

Nel contesto particolare della Francia dove il criminale era prima di tutto

considerato come un essere privo di ragione al momento del suo atto delittuoso, nelle

prigioni e negli asili i frenologi si adoperavano a riconoscere i tratti di una bestialità

ancora più facile da diagnosticare in quanto segnalata da un verdetto. Nella

convinzione che la mostruosità morale fosse la conseguenza di quella fisica, un

esperto dell`epoca, H. Bruyeres, riportava nella sua opera una serie di ritratti di

Page 47: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

40

uomini, ancora più inquietanti in quanto i loro volti portavano già i segni della

prigionia.

In una certa misura ciò era il segnale di una inquietudine sociale più

profonda. In un`epoca in cui i movimenti rivoluzionari mettevano in pericolo la

crescita economica della grande borghesia e gli attentati anarchici colpivano a caso,

sulle città si affacciava lo spettro della degenerazione. La città stessa ne sarebbe

stata la causa, offrendo nella più grande promiscuità il lusso e la miseria, la bellezza

e l`orrore. Era precisamente a causa del fatto che l`uomo aveva abbandonato il

proprio ambiente naturale che la sua parte animale, senza più regole, minacciava ad

ogni istante di risorgere e di mutarlo in mostro. Cesare Lombroso e Max Nordau,

intorno al 1900, ne vedevano i segnali negli alienati e nei delinquenti, ma anche nella

vita artistica. Cesare Lombroso (1835 – 1909) è stato il fondatore dell`antropologia

criminale, ed ha elaborato una teoria della delinquenza come espressione di una

particolare conformazione strutturale. Fedele ad un concetto naturalistico dell`uomo

in quanto organismo vincolato da legami genealogici a tutta la restante serie degli

esseri viventi, egli considerava l`azione dell`ereditarietà unitamente a quella

dell`ambiente. In seguito alle sue ricerche ha creato la teoria dell`atavismo, secondo

la quale nel delinquente sarebbero presenti caratteri ancestrali, o meglio il

delinquente sarebbe un soggetto il cui sviluppo si è arrestato a stadi evolutivi

passati: dunque il delinquente per Lombroso è un anormale, nel quale si trovano

caratteri abnormi anatomici, biologici e psicologici, molti dei quali di carattere

atavico. Perciò, poiché questi caratteri si ritrovano associati negli animali, nei

primitivi e nei selvaggi ad azioni criminose, il crimine è una disposizione naturale.

Seguace di Lombroso, Max Nordau (1849 – 1923) immaginò di aver trovato i

segni di questo atavismo in molti poeti, pittori e figure letterarie dei suoi giorni,

principalmente tra gli appartenenti al simbolismo e all`impressionismo. Egli propose

la sua teoria al pubblico nel libro del 1892 Entartung (Degenerazione). Le teorie di

Lombroso non sono molto considerate al giorno d'oggi, e senza di esse la teoria di

Nordau crolla. Comunque, secondo Max Nordau l`artista, per i suoi costumi o per gli

atteggiamenti eccentrici che lo distinguevano, incarnava queste irregolarità della

salute, della morale e dell`intelligenza, che ben spiegavano la relazione tra genio e

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41

follia. Ma nel dire questo in fondo non faceva che seguire gli artisti stessi, i quali

rivendicavano sempre di più una certa brutalità animale.

Durante il Rinascimento, e in particolare nel XVI secolo, certi artisti,

soprattutto italiani, utilizzarono l`animale come emblema personale seguendo in ciò

Pomponius Gauricus. Tale identificazione comportava spesso un atteggiamento

eccentrico e una sessualità condannata dalla Chiesa. Il Sodoma ( ?1477 – 1549)

scioccava non soltanto per la sua rivendicazione omosessuale, ma anche per il suo

modo di abbigliarsi e per il suo comportamento stravagante, con cui rivaleggiava con

gli animali. Lo scultore bronzista Leone Leoni (1509 – 1590) trovava nel proprio

nome un`identificazione naturale che giustificava il suo carattere. I pittori in generale

furono identificati con la scimmia, secondo il topos peggiorativo della pittura simia

naturae (scimmia della natura). A partire dal XVIII secolo gli artisti si

rappresentarono con il proprio animale domestico, come Hogarth con il suo cane

Trump. L`apogeo del fenomeno si situa probabilmente all`inizio del XX secolo

quando, rivendicando la degenerazione di cui venivano accusati, gli artisti divennero

i catalizzatori dello stato selvaggio dell`uomo e del suo primitivismo, appellandosi

alla brutalità dei “Fauves”. Oggi ancora, periodicamente, l`artista si mette in scena

come animale, a volte in modo ostentato, tanto sembra acquisito nel pubblico che si

tratta di una prova del suo genio, allo stesso modo di una sessualità esasperata, un

aspetto non curato, un linguaggio osceno, etc.

I lavori di Freud hanno giocato un ruolo fondamentale in questa rivalutazione

della parte animale dell`uomo. Se la fisiognomica e la frenologia, che si possono

considerare come pratiche che in parte preannunciavano la psicologia moderna,

conducevano a svalutarla, la psicanalisi ne rivelò il carattere consustanziale. Il fatto

che la natura profonda dell`individuo risiedesse in parte in un inconscio che si

mostrava solo nei sogni e che poteva talvolta condurre alla follia o agli atti più

insensati, avallò l`identificazione dell`artista con un essere che avesse salvaguardato

la propria animalità. Il surrealismo, scegliendo deliberatamente il versante

dell`immaginario, diede vita ad un vero e proprio bestiario e creò dei nuovi mostri

ibridi. Utilizzò, come testimonia soprattutto l`opera di Max Ernst, delle tecniche

allucinatorie, in cui il fortuito e il premeditato si associano per sollecitare i poteri

dell`immaginazione e generare degli ammirevoli ibridi. Esso riscoprì gli artisti

Page 49: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

42

interessati agli animali del XIX secolo e in particolare Grandville. Gli artisti del

gruppo Cobra cercarono di recuperare nell`animale una forza istintiva capace di

liberare l`immaginazione. Karel Appel davanti alla sua tela si comparava ad una

tigre, e dichiarò di aver sognato tutta la vita di “dipingere l`uomo nella dimensione

dell`animale e l`animale nella dimensione dell`uomo, con sullo sfondo l`idea di una

confusa realtà mitologica, paradisiaca […]”, con “il ricordo di qualche dimensione

armoniosa, dimenticata, nascosta nella memoria o velata”. Asger Jorn stimava che

“gli animali, come dei maghi o degli artisti, parevano vedere tutto in termini di segni

sensoriali o sensazioni piene di significato” (cit. in Baridon, Guedron, 2004). Francis

Bacon muta l`uomo in bestia e lo mette in gabbia. In generale quindi, la psicanalisi

ha autorizzato gli artisti a rivendicare per se stessi e a fare accettare agli altri

questa parte di animalità che era stata fino ad allora negata. Rodin, all`inizio del

XX secolo, pretendeva che l`artista, nel guardare i suoi modelli umani, vi scrutasse

“lo spirito ripiegato dell`animale”. Sfortunatamente, tale presa di coscienza non

impedì le peggiori atrocità come se la bestialità ne fosse uscita legittimata. George

Bataille presentiva nel 1929 che la metamorfosi dell`uomo in animale contenesse un

violento istinto di morte il quale, facendo sorgere la bestia dall`essere, lo avrebbe

ridotto alla sua sola apparenza umana.

Il bestiario dell`odio

Nonostante l`animalità fosse stata riabilitata, essa continuava ad alimentare

una rete di analogie il più delle volte dispregiative. La fisiognomica continuò ad

interessare un vasto pubblico sotto delle forme editoriali commerciali che giocavano

e giocano tuttora con la credulità dei lettori. I manuali di psicologia popolari

amalgamano volentieri i simboli cristiani, l`astrologia e i dati fisiognomici. Questa

tradizione sembra dover essere continuamente riattivata. Gerard Encausse, detto

Papus (1865 – 1916), considerava che gli individui si ripartissero in quattro categorie

corrispondenti ai quattro evangelisti e ai loro “geroglifici” animali. Il mago Scemani

invitava i suoi lettori a disegnare grossolanamente i volti che incontravano per

scovarvi la somiglianza animale, da studiare a partire dall`angolo facciale e dalla

Page 50: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

43

frenologia. La morfopsicologia, che studia la personalità attraverso i tratti del volto,

pur fondandosi su criteri scientifici più solidi, ricorse talvolta a delle comparazioni

con gli animali.

Eppure, anche avendo riabilitato l`animalità dell`uomo, il XX secolo sembra

caratterizzarsi per la preoccupazione di evidenziarne la sua bestialità. La Prima

Guerra Mondiale mostrò ai combattenti e in particolare agli artisti il valore derisorio

che si attribuiva ormai alla vita umana. Tra le due guerre erano certo numerosi, sia

tra gli artisti che tra i politici, coloro che aspiravano a costruire un “uomo nuovo”,

ma erano probabilmente gli indizi di una perdita di umanità che essi sentivano.

Secondo un`altra ipotesi, la prossimità della morte poteva sembrare a questa

generazione come l`ultimo momento di confronto con la sostanza dell`uomo, come

se la paura della morte fosse il solo momento in cui vedere sorgere la quintessenza

della natura umana, tra lo stadio della vita animale e quello del cadavere. Questa

visione sembra veicolare una concezione pessimista dell`umanità, la quale si

rivelerebbe soltanto nell`istante in cui si confronta con se stessa, in un processo di

autodistruzione in cui ben poche specie animali si avventurano.

Uno scrittore che ha vissuto la medesima esperienza della guerra considerava

ugualmente che l`essere umano avesse solo un valore animale. Inoltre non intendeva

riconoscere ad alcuni se non la qualità di parassiti, larve o vermi. Louis-Ferdinand

Céline (1894 – 1961) illustra il suo antisemitismo con metafore animali che

assimilano gli ebrei a dei “parassiti”, dei “mostri”, degli “ibridi falliti” che sarebbero

le vittime soltanto delle proprie degenerazioni. Nell’ ”allevamento umano” Céline

attribuisce la qualità di agnelli agli ariani che sarebbero le vittime! Questa visione

assurda non partecipa soltanto di una concezione assai pessimistica dell`essere

umano, che viene assimilato in generale alla larva. Essa reclama lo sradicamento

degli ebrei che erano da tempo abbassati al rango di animali impuri. Ma mai prima

di allora, in questo gioco al massacro delle identificazioni zoomorfe, non ci si era

così ostinati ad assimilarli ai vermi e ad assegnare loro un`esistenza senza volto e

senza sguardo. Non erano quasi neanche più degli animali.

In questo Céline non faceva che seguire una fin troppo lunga tradizione

recuperata da Adolf Hitler, che nel Mein Kampf ricorreva al medesimo “bestiario” e,

più in generale, a una concezione della storia fondata su rapporti di forza. In effetti,

Page 51: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

44

secondo lui, le grandi civiltà si erano costituite non grazie ad un migliore padronanza

della tecnica, ma sottomettendo le popolazioni sconfitte per ridurle al rango di bestie

da soma. Questo programma, come si sa, venne applicato e le sue conseguenze

naturali furono l`assimilazione di quelli che erano considerati come degli inferiori a

degli animali da usare per il lavoro, da sterminare con gas insetticidi ed inceneriti

come degli organismi impuri. Qualche mese di internamento era sufficiente infatti a

trasformare questi esseri umani, al punto che alcuni di loro si vedevano come insetti.

Nello stesso tempo, il III Reich fu il primo stato a promulgare delle leggi per

proteggere gli animali domestici in modo estremamente efficace. In questo campo,

come nella gestione del capitale umano, il nazismo voleva scegliere quelli che

meritavano di essere preservati, migliorati geneticamente e riprodotti. Walter Darré,

Führer dei contadini del Reich, pensava che saper riconoscere le razze umane fosse

un dono innato del tutto comparabile a quello di certi allevatori di bestiame

particolarmente “connaisseurs”. Quanto agli animali selvatici, precisamente poiché

l`uomo non ha potuto addomesticarli, beneficiano da parte di questo regime della

stessa benevolenza, soprattutto se possono servire da emblemi. L`aquila tedesca ne è

un esempio. Hitler stesso amava identificarsi con il lupo, scegliendo quasi sempre

per quartier generale dei luoghi il cui nome evocasse l`animale selvatico. La sua

solitudine contribuiva a disegnare l`immagine di colui che si era dato la missione, in

quanto artista supremo, di sacrificarsi per compiere l`opera perfetta modellando il

popolo tedesco.

L`epoca era dunque cupa e piena di mostri malauguratamente reali, accaniti

contro l`umanità, la cultura e la civiltà. I sopravvissuti dai campi di concentramento,

come Primo Levi, hanno testimoniato dell`incredibile “bestialità” e del sadismo

sfrenato dei loro carnefici, della animalizzazione delle vittime, tosate e

immatricolate prima di essere abbattute o appese a ganci da macelleria. Per

denunciare questi mostri troppo umani, in un vano tentativo di destabilizzazione e di

resistenza, gli artisti hanno spesso scelto la formula più incisiva agli occhi della

maggioranza degli uomini: quella dell`analogia allegorica tra l`Uomo e la Bestia.

Così alle sottili ibridazioni freudiane praticate in tempo di pace sono state

preferite le combinazioni tradizionali, divenute popolari da secoli o inscritte nella

nota araldica nazionale: quella dell`uomo con testa di maiale come simbolo della più

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45

bassa animalità, o a testa di aquila, immediatamente identificata con il demone

nazista. Nel 1936 John Heartfield comparava il Führer ad un avvoltoio. Nella grande

allegoria della notte germanica de “I sette peccati capitali” (1933, Karlsruhe,

Stadtliche Kunsthalle) di Otto Dix, si vede sorgere, dietro il piccolo Hitler a cavallo

di una vecchia strega, un Minotauro diabolico che brandisce una spada, con la bava

alla bocca (fig. 11).

11.

A partire dal 1935 tutta l`opera di Ernst è tesa alla denuncia della barbarie

dilagante attraverso la distorsione dei grandi miti germanici. Le nere foreste

romantiche si trasformano in orde di chimere, le città si pietrificano in una visione

premonitrice (“La città pietrificata”, 1935). Ugualmente la grande allegoria

denominata ironicamente “L`angelo del focolare” del 1937 vede rappresentato il

Reich sotto forma di aquile ed avvoltoi.

Page 53: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

46

Meno tradizionale, la tecnica del collage ha allora mostrato la sua efficacia.

Servendosi di testi e di immagini naziste per una contro-propaganda che si serviva

della caricatura politica, John Heartfield ha colpito nell`immaginario, conferendo

teste di maiale o di iene ai dignitari nazisti ed ai grandi capitalisti. Con le sue

fotografie, accostando immagini ritagliate a messaggi contraddittori, e facendo

esplodere in smorfie i volti, l`ex foto-montatore ha ugualmente testimoniato

dell`oscillazione irreversibile della civiltà verso la barbarie. E il fotomontaggio, fin là

accantonato nelle delicate ricerche oniriche e poetiche, è divenuto l`arma più

temibile, poiché la più diffusa, contro la menzogna totalitaria.

12.

Persistenza della zoofisiognomica

Nonostante queste testimonianze drammatiche, al giorno d`oggi gli

illustratori, i pubblicitari e i caricaturisti ci fanno ancora ridere quando assimilano

l`essere umano ad un (altro) animale. Questa straordinaria permanenza del principio

della fisiognomica si spiega senza dubbio con la dilagante tendenza alla

antropomorfizzazione. Certo l`antichità abbonda di esempi che testimoniano

l`anzianità del fenomeno; eppure mai l`animale è stato così strettamente assimilato

all`uomo quanto nell`epoca contemporanea. Gli animali da compagnia,

Page 54: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

47

estremamente numerosi nelle società occidentali, hanno i loro canali televisivi, i loro

centri di benessere, i loro psichiatri, etc. L`animale domestico è divenuto l`immagine

fantasmatica del suo padrone, raro ed elegante nei quartieri chic, pitbull terrificante

nelle periferie degradate. L`insieme del processo di domesticazione mira infatti a

modellare l`animale affinché risponda ai desideri del suo proprietario. Se alcuni tra

loro vogliono mostrare la propria potenza dominando un cane cattivo, la maggior

parte cerca al contrario un individuo di cui prendersi cura come di un figlio, da cui

dipende l`elaborazione di razze di animali di taglia piccola da appartamento.

L`uomo-animale

Dal dopoguerra ad oggi, nonostante il pullulare di animali nella

documentaristica, nell’iconografia, nell’immaginario, è stata sancita la

desertificazione della presenza animale nella “cittadella” dell’uomo. L’icona animale

si è diffusa a macchia d’olio nella cultura proprio per compensare la scomparsa

dell’animale in carne e ossa dall’ecosistema umano, ma in realtà incentivando la

sostituzione.

Se la zootecnia ha sfruttato le mutazioni spontanee del patrimonio genetico di

una specie, la genetica è oggi capace di modificarlo volontariamente. L`allevamento

degli animali da macello è direttamente chiamato in causa, ma la medicina

ugualmente poiché è già possibile rendere compatibili gli organi di certi animali con

il sistema immunitario umano. Queste bestie transgeniche forniranno il materiale per

scongiurare la penuria di organi. Esse salveranno delle vite umane, che non saranno

così più completamente umane. L`uomo di domani vincerà forse una parte del suo

destino di animale mortale sradicando le malattie e allungando la durata della sua

vita. Per far ciò, paradossalmente, gli sarà necessario ricevere in lui una parte di

animale. Questa ibridazione gli permetterà di raggiungere questo stato che sembra

averlo sempre ossessionato: essere un uomo-animale.

Page 55: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

48

Considerazioni conclusive sulla zoofisiognomica

La breve storia, riportata nei paragrafi precedenti, dei momenti chiave della

rappresentazione e della raffigurazione dell`uomo-animale, ha mostrato che questo

fenomeno è costitutivo della percezione dell`Altro e dell`identità umana in generale.

Determina al tempo stesso il nostro rapporto con la natura tramite la scienza e tramite

l`arte e le nostre relazioni sociali o affettive in seno al gruppo cui apparteniamo.

Nessuno potrebbe mai sfuggire a questo fenomeno, come vittima o come

osservatore, nessuna epoca l`ha ignorato e sotto forme differenti lo si ritrova in tutte

le culture, che si fondino su religioni sciamaniche, animiste o monoteiste. La sua

persistenza nella storia della cultura occidentale non esclude una certa diversità che

conduce a porsi la questione delle forme e delle rappresentazioni che esso ha potuto

prendere. I testi antichi di fondazione ci sono pervenuti senza immagini che li

illustrino, il che non esclude che essi potessero averne. Ma toccò al Rinascimento,

con l`apparizione della stampa e dell`incisione, non soltanto di rifarli vivere ma

anche di illustrarli. Ed è evidentemente sotto questa forma che queste idee hanno

conosciuto il più grande sviluppo ed hanno potuto plasmare le nostre mentalità per

condizionare il nostro sguardo. Sembra dunque che la fisiognomica animale passi per

la modalità visiva e, prima ancora che i testi che la codificavano rinviassero a delle

immagini, la potenza evocativa che essi celavano le faceva nascere nello spirito del

lettore. La letteratura ha d`altronde sempre fatto ricorso con successo a queste

analogie espresse dalla metafora.

Esprimendosi tramite la metafora o l`analogia, la fisiognomica animale si

oppone alla razionalità, che di diritto ci si attenderebbe dall`essere umano. Essa

sembra corrispondere ad un vuoto dello spirito, un cedimento della ragione che fa

nascere la somiglianza animale nello sguardo sull`Altro. Gli artisti, utilizzando il

potere di far nascere o rinascere delle immagini di questo tipo, hanno il più delle

volte reso un cattivo servizio all`essere umano ed usato strumentalmente l'animale.

Tali immagini hanno permesso all`uomo di proiettare sui suoi simili dei

determinismi animali che veicolavano delle classificazioni implicite e

discriminatorie, sia rispetto agli uomini che agli animali. Lungi dal riabilitare

l`animale, hanno più spesso abbassato l`uomo al rango della bestia. D`altronde gli

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49

artisti che si sono specializzati nei temi animalistici, quelli cioè che mostrano

l`animale il più indipendente possibile dall`uomo, hanno solo raramente messo

all`opera questa fisiognomica. Tale tipo di pratica artistica assoggetta di certo

l`animale all`uomo, ma preserva il secondo dal giudizio che si conferisce al primo.

Una prova dell`uso eminentemente sociale delle immagini zoofisiognomiche

risiede senza dubbio nel loro modo di diffusione. A partire dal Rinascimento, la

stampa venne usata per illustrare il trattato di Della Porta. I disegni di Le Brun

furono riprodotti e largamente diffusi, i Physiognomische Fragmenten di Lavater

sarebbero stati molto meno letti senza le loro illustrazioni sempre più numerose

nelle successive edizioni. La litografia nel XVIII secolo, i multipli tecnici

dell`illustrazione nel XIX secolo e presto la fotografia e il fotomontaggio hanno

contribuito a rafforzare lo sviluppo di questo fenomeno. Infine il morphing nato dalle

pratiche video incoraggia oggi ogni sorta di distorsione dell`immagine umana,

riaffermando senza tregua la sua parentela animale per proiettarla sugli schermi

catodici del mondo intero, nel caleidoscopio allucinatorio della pubblicità. In essa,

come anche nell`arte, l'animale e in senso concettuale l'animalità risultano

particolarmente efficaci nel catalizzare l'attenzione per la loro caratteristica, messa in

luce da recenti studi, di essere un ipersegno all`interno del campo visuale. (Eibl-

Eibesfeldt, 2001)

2.3 Zooantropologia

La zooantropologia è una nuova disciplina nata alla fine degli anni Ottanta,

che ha come obiettivo di ricerca lo studio del rapporto uomo-animale e la valutazione

dei contributi apportati all’uomo da questa relazione.

Prima di delineare le principali caratteristiche di questa scienza, sarà

interessante osservare la lettura mitica che l’uomo occidentale ha dato dello sviluppo

culturale, cioè la visione fondante della nostra civiltà, in modo da notare come nel

mito vengano enfatizzati quei tratti che disgiungono la nostra specie dall’alterità

animale.

Page 57: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

50

Il mito di Prometeo

Gli antichi inventarono numerose leggende rispetto all’origine della stirpe

umana. In particolare, a partire dal V secolo a.C. si diffuse la leggenda secondo cui i

primi uomini fossero stati formati da qualche Divinità con la terra. Più tardi tale

Divinità venne identificata in Prometeo, il quale avrebbe formato uomini e bestie con

il limo e con l’acqua, mentre Atena avrebbe spirato in essi il soffio vitale, l’anima.

Come intorno all’origine, numerose erano anche le opinioni intorno alle

condizioni dei primi uomini: secondo alcune leggende essi avevano vissuto in uno

stato di felicità e conoscevano gli dei; secondo altre essi erano al principio degli

esseri rozzi e senza agi, condizione da cui si sarebbero liberati progredendo a poco a

poco con l’aiuto degli dei. (Ramorino, 1988)

Tra le leggende relative agli inizi della cultura umana vi è dunque quella di

Prometeo. Prometeo è un titano, figlio di Giàpeto e padre di Deucalione; egli rubò

dal cielo il fuoco e ne fece dono agli uomini insegnandone loro l’uso. A lui si deve

la cultura umana, poiché non solo rese possibili alcuni agi della vita ma anche lo

sviluppo delle arti e dell’industria. Perciò Prometeo, accanto ad Efesto ed Atena, era

considerato tra gli dei promotori del progresso umano. Per questo furto che

profanava gli dei, Zeus lo punì facendolo incatenare su una rupe nei monti della

Scizia e ordinando che ogni giorno un’aquila gli rodesse il fegato (sede di ogni

cattiva cupidigia), che però di notte guariva perché venisse sottoposto al supplizio il

giorno seguente. Fu liberato alla fine da Eracle, l’uomo che con lotte e fatiche di ogni

genere aveva vinto la vita terrestre e si era avvicinato all’Olimpo. Questi infatti

uccise l’aquila e spezzò le catene. Prometeo si riconciliò poi con Zeus grazie al

sacrificio volontario del centauro Chirone, che accettò di morire in luogo di

Prometeo stesso.

Prometeo è la personificazione dell’ingegno umano, che troppo fiducioso in

se stesso si ribella agli dei e usurpa quello che spetterebbe loro, pur beneficiando così

la società umana.

Il mito prometeico è il punto di partenza della visione autarchica dello sviluppo

culturale. Nel mito infatti l’animale è dotato di virtù biologiche che non gli rendono

necessaria la cultura o il progresso tecnico, mentre l’uomo è incompleto e va dunque

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51

sostenuto o emendato dalla tecnica. Il processo che ha dato vita allo sviluppo

culturale si sarebbe realizzato allora in piena autonomia, senza contributi esterni

all’uomo (e alla divinità). Invece occorre riconoscere il contributo della relazione con

gli animali nello sviluppo culturale dell’uomo. In questa visione autarchica infatti

l’animale fa da sfondo permettendo l’enfatizzazione dell’uomo. Ma come arriva

l’uomo a percepire la propria inefficienza tecnica? Come misura tale inefficienza?

Da dove originano i suoi sogni e le sue ambizioni? Dalla relazione con gli animali,

dall’assimilazione degli animali nella kosmopolis umana. L’uomo deve aver

introiettato caratteristiche della natura o della forma animale, deve aver attribuito

loro un significato e fatto proprie alcune caratteristiche. Intendendo per teriomorfo

ciò che ha forma animale in quanto categoria polivalente e polisemica, la

zooantropologia intende verificare come tale categoria si presti a questa opera di

costruzione identitaria dell’uomo: per essa dunque il teriomorfo è un operatore

antropopoietico.

Zooantropologia: quadro teorico

Fondamento della ricerca zooantropologica è il ritenere che non sia possibile

comprendere l’uomo nelle sue caratteristiche ontogenetiche e culturali prescindendo

dal contributo referenziale offerto dall’alterità animale (Marchesini, 2005). È

necessario allora comprendere le caratteristiche dell’uomo attraverso la relazione con

gli animali. La zooantropologia ritiene l’eterospecifico (ovvero l'appartenente ad

un`altra specie) come soggetto, ossia un’entità in grado di dialogare con l’uomo, e

come diverso, ossia come un essere capace di contaminare l’uomo. Si intende per

“referenza animale” il valore-contributo apportato dall’alterità animale in questo

dialogo. La referenza animale è pertanto il presupposto più importante e l’obiettivo

centrale della ricerca zooantropologica. Per tale motivo possiamo dire che la

zooantropologia è lo studio della referenza animale. Per la zooantropologia pertanto

è necessario salvaguardare il carattere di alterità proprio dell`eterospecifico

rispettando i suoi caratteri di soggettività (non reificare ovvero trasformare

l’eterospecifico in oggetto) e di diversità dall’uomo (non antropomorfizzare

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52

l’eterospecifico). Solo il titolo di alterità dà voce all’animale ovvero gli riconosce

quella specificità che sta alla base del suo potenziale di referenza. Maggiore è il

riconoscimento dell`alterità animale e maggiori saranno le possibilità di referenza.

La nascita della zooantropologia rappresenta un evento significativo nel panorama

di analisi del rapporto uomo-animale, inserendosi a pieno titolo in quella marcia di

avvicinamento alla conoscenza degli animali inaugurata dall’evoluzionismo

darwiniano e proseguita dalla ricerca delle scienze comportamentali e cognitive.

Con la zooantropologia si iniziano infatti a studiare i fattori che guidano il

rapporto dell’uomo con le altre specie, e in particolare: le direttrici orientative e

affiliative verso l’alterità animale; i piani e i significati della relazione interspecifica;

le dimensioni di interscambio e transazione che si vengono ad attivare in tale

rapporto; le conseguenze antropopoietiche (ovvero di costruzione dell’identità

umana) dell’incontro-confronto con l’eterospecifico. Conoscere l’ampia gamma di

rapporti e di rimandi che ci legano all’alterità animale è molto importante, perché

offre un piano articolato di interpretazione circa il nostro bisogno di riferirci

all’animale per realizzare in pieno le nostre qualità. Studiare il piano relazionale di

rapporto con l'eterospecifico significa individuare un nuovo orizzonte di spiegazione

e di applicazione che vada oltre il consueto “utilizzo dell’animale oggetto” –

dall’eclatante uso strumentale-performativo fino alle forme meno esplicite di uso

simbolico – o il più insidioso “utilizzo surrogatorio” dell’animale sostituto di un

essere umano assente, dove accanto all’antropomorfizzazione vi è la negazione della

specificità dell’animale e del bisogno dell’uomo proprio della diversità animale.

Tracciare un profilo del ruolo ricoperto dagli animali in ogni momento della vita

dell'individuo, significa come prima cosa ammettere che l'animale abbia un posto

preciso nell'ontologia umana. Presupposto della zooantropologia è considerare la

relazione uomo-animale e la referenza che ne consegue un contributo non

sostituibile. Tale assunzione implica di conseguenza l'adoperarsi per capire le

caratteristiche di questa funzione e le possibili applicazioni. Per la zooantropologia

perdere la relazione con l’alterità animale significa gettare un’ipoteca sull’antropo-

poiesi. D’altro canto con la zooantropologia non solo si diminuisce la distanza che

separa la nostra specie dalle altre ma si afferma il carattere insostituibile della

presenza animale nella vita dell’uomo o, meglio, nella definizione dell’essere umano.

Page 60: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

53

Prende corpo cioè l’idea che la referenza animale sia indispensabile per la

realizzazione della persona nelle sue diverse componenti espressive, formative e

assistenziali. Se pertanto la biologia evoluzionista ha rivendicato un legame

filogenetico tra uomo e animale, la zooantropologia sottolinea un nesso altrettanto

forte, ma questa volta di tipo ontogenetico, posto nel cuore stesso del nostro essere

umani: nel divenire uomo. Nello specifico di questa tesi, il contributo interessante

di questa disciplina rispetto al tema dei rapporti tra arte e animalità risiede in primo

luogo nel fatto che essa riconosce il debito dell`arte umana verso l'estetica animale,

seppure esso si eserciti spesso a livello subliminale: infatti i significanti del mondo

animale plasmano molti aspetti della creatività umana, a prescindere dalle

iconografie zoomorfe facilmente individuabili. Si hanno infatti cromie ispirate a

livree animali, archetipi morfologici ispirati alle qualità visive e tattili dei tessuti

animali, modelli espressivi come la deinomorfia, metafore come quella del volo e vai

dicendo. In secondo luogo, la zooantropologia riconosce il contributo fondante che la

relazione con gli animali ha avuto per lo sviluppo culturale: in particolare i primi

soggetti dell`arte umana sono animali. Per quanto il concetto di arte risulti secondo

alcuni studiosi prematuro se riferito all`epoca paleolitica, è comunque innegabile che

l'alterità animale abbia influenzato l'espressione attraverso il gesto ed il segno negli

uomini preistorici, come descritto nel primo capitolo. In terzo luogo, la

zooantropologia e l'etologia umana mostrano che l`animale è un ipersegno; secondo

diversi studi infatti (Eibl-Eibesfeldt, 2001) l'uomo tende ad identificare con facilità

le forme animali nascoste in contesti molto intricati e a interpretare sagome senza

forma precisa in termini di morfologie animali: si dimostra così biologicamente che

l`animale possiede una valenza eccezionale e prioritaria all`interno di un contesto

visivo. Tale meccanismo è peraltro sfruttato dalla pubblicità. Infine, la

zooantropologia conferisce una base “scientifica” alla realizzazione di opere

artistiche in cui l'animale venga considerato un partner attivo, superando per esempio

le critiche di sciamanesimo mosse a Joseph Beuys (confr. quinto capitolo).

Page 61: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

54

CAPITOLO TERZO

Animali da pensare

3.1 Gilles Deleuze e il divenire-animale

Il pensiero del filosofo francese Gilles Deleuze (Parigi 1925-1995) può essere

considerato come la riproposizione di alcuni momenti tradizionali della storia della

filosofia (il materialismo di Lucrezio, il panteismo di Spinoza, l`empirismo di Hume,

il vitalismo di Bergson) al fine di suffragare la critica nietzscheana del platonismo, e

del cristianesimo come platonismo volgarizzato.

Alla impostazione platonica che afferma uno spiccato dualismo tra materia e spirito,

Deleuze contrappone anzitutto un superamento del dualismo in una visione che

concepisce il reale come una molteplicità di piani rispetto a cui non si può far valere

la distinzione tra materia e spirito. Coerentemente con l`impostazione di Nietzsche

che vede la filosofia non come critica bensì come creazione di valori nuovi, Deleuze

ne deriva una visione della filosofia come creazione di concetti, e una omologia di

procedure tra arte e filosofia.

Oltre il divenire-animale

Come riferisce Alain Cournot, riportando numerosi estratti da opere del

filosofo francese qui citati (Cournot, 2001), Gilles Deleuze ama le bestie

“ripugnanti” come le zecche, i pidocchi, i ragni. I gatti, i cani non lo interessano: in

quanto animali domestici, familiari e confidenziali, essi rappresentano un rapporto

troppo umano dell`uomo con l`animale, da cui non nasce nulla (a parte

l`istupidimento). L`uomo invece deve entrare in un rapporto animale con l`animale.

Le zecche e i pidocchi sono affascinanti secondo Deleuze poiché creano un territorio.

Gli animali non domestici hanno un loro proprio mondo. Per marcare il suo

territorio, per la sua conservazione o la sua estensione, l`animale si limita a tre cose:

Page 62: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

55

le linee, i colori ed i canti, quel che Deleuze chiama le “tre determinazioni dell`arte”

o “l`arte allo stato puro”.

L`artista deve territorializzarsi. Dentro e fuori dal suo territorio, “de-

territorializzandosi”, egli è in questo stato animale, in un “divenire animale”. Il

linguaggio è per Deleuze un terreno privilegiato di sperimentazione: un autore come

Kafka per esempio è preso in concatenazioni da uomo ad animale, straniero nella

sua stessa lingua. Lo scrittore porta la scrittura al limite che separa il linguaggio e

l`animalità, l`uomo e l`animale. Scrivere è essere alle frontiere dell`animalità.

L`immaginazione vi si trova confrontata con i suoi stessi limiti, si fa violenza per

tentare di raggiungere una disumanità propria del corpo e dello spirito umano, ma

che non poteva emergere senza questa esperienza dell`animalità.

I passaggi dall`uomo all`animale sono pensati in termini di divenire. Delle

forze fanno traballare l`identità, delle metamorfosi si moltiplicano permettendo la

deviazione da una territorialità troppo ordinata.

Il divenire-animale forza questi passaggi da uno stato all`altro, senza

fissazione né corrispondenza, in una coesistenza che permette di valicare le soglie

della percezione, della creazione. Umanità, animalità si decompongono, si

mescolano, si modificano. Esse fanno emergere una linea di fuga, fuga da tutto ciò

che era troppo umano, per scappare come l`animale da ciò che era troppo familiare.

Deleuze riviene spesso su questo processo, che non appare né come

l`appropriazione dell`animale da parte dell`uomo né l`inverso. Non sono “dei

fenomeni di imitazione, né di assimilazione, ma di doppia cattura, di evoluzione non

parallela, di nozze tra due regni”. Uomo e animale si destinano reciprocamente,

facendo sparire i contorni dell`uno come dell`altro, forzandoli a confondersi in

metamorfosi che non rappresentano più né l`uno né l`altro. Delle linee nascono da

questi movimenti. Le forme spariscono. Il fondo si mescola alla miscela, rendendo

caotici i contorni di queste materie in divenire.

Nella pittura di Bacon per esempio, il divenire-animale fa entrare in

variazione due o più termini. Traccia in uno stesso tempo più forme che coesistono

fino al difforme, al mostruoso: delle forze tirano ciò che può esservi di umano in un

volto verso ciò che può esserci di bestiale o di animale, mantenendo allo stesso

tempo qualche carattere proprio di un volto o della corporeità umana. Tutti questi

Page 63: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

56

“stiramenti” rendono la tela qualcosa che disturba per l`impossibilità di decidere, di

delimitare ciò che è dell`uno e dell`altro. Così i quadri di Bacon costituiscono una

“zona di indiscernibilità, di indecidibilità tra l`uomo e l`animale”. Il divenire fa

entrare in un “mondo affascinante dove l`identità dell`io è perduta, non a beneficio

dell`identità dell`Uno o dell`identità del Tutto, ma a vantaggio di una molteplicità

intensa e di un potere di metamorfosi, dove giocano gli uni negli altri dei rapporti di

potenza”.

Ogni riferimento scompare per una mobilità che permette la confusione delle

forme, senza comparazione possibile, o allora in una tale molteplicità che esse non

possono che essere equivocate. Se l`animalità promana dall`opera, non è certo per

una somiglianza, raffigurata attraverso delle forme. Essa è sentita attraverso le

deformazioni, le tensioni delle forze tra i colori, le forme e i fondi. Qualcosa passa

dall`uno all`altro, senza che ci sia trasformazione, e questo qualcosa non può essere

precisato altrimenti che come sensazione. La sensazione porta il divenire-animale,

essa si immerge nella realtà di queste deformazioni, che non sono più solamente

riprodotte, ma tramutate in divenire dalla forza delle sensazioni. I corpi svaniscono

per lasciar trasparire delle forze brute, che ciò sia per la violenza delle deformazioni,

delle malformazioni, o per il sorgere degli sfondi che invadono i corpi.

La sensazione forza dei passaggi che non si possono dominare verso ciò che è

senza nome né significato, in un vivere intenso. Fare il movimento, tracciare le linee

di fuga in tutta la sua positività. Divenire animale è “varcare una soglia, raggiungere

un continuum di intensità che non hanno più valore se non in se stesse, trovare un

mondo di intensità pure, dove tutte le forme si disfanno, tutte le significazioni anche,

significanti e significati, a vantaggio di una materia non formata, di flussi de-

territorializzati, di segni significanti”. Tutto è disfatto, non si sa più cosa è, chi è chi,

chi è cosa, dell`uomo e dell`animale, e non è d`altronde importante fare queste

demarcazioni. Al contrario, nessun antropomorfismo né zoomorfismo nel divenire-

animale di Deleuze: meno siamo in una riconoscibilità possibile bensì nella

sensazione, più il passaggio al limite può essere intenso e destabilizzante. Solo la

sperimentazione conta, e si cerca di prolungare tramite connessioni e proliferazioni

questo movimento di trasformazione. Non è questione di rivenire a sé, restare

Page 64: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

57

identico, ma di decomporsi, di deviare dai due modelli, uomo e animale, fino

all`indeterminazione.

Questo processo non può essere considerato come passato: non si è mai

diventati animali, ma si è presi in un divenire-animale. Ora, la messa in variazione o

la ripetizione di questo processo non può prolungarsi, secondo Deleuze,

indefinitamente. La linea di fuga nel divenire-animale finisce sempre con un farsi ri-

territorializzare, come se il pericolo della figura, della comparazione, della metafora

in luogo della metamorfosi rivenisse a bloccare il movimento. Il divenire-animale

apparirebbe dunque come una “via senza uscita”.

Ma per Deleuze l`uscita esiste e consiste nello spingere il divenire-animale

verso il divenire-impercettibile, “un assoluto che è un tutt`uno con il divenire stesso

o con il processo”. Il divenire-impercettibile inasprisce ogni sorta di divenire non

umano dell`uomo, e il corpo è trattato e malmenato al punto da togliere quel che la

carne può avere di corporeo. “La carne è solo il rivelatore che scompare in ciò che

rivela: il composto delle sensazioni”. L`animalità sarebbe così superata,

scomparirebbe ed un`altra linea di fuga sarebbe creata: l`arte tenderebbe a

rappresentare solo delle forze, senza che alcun elemento possa derivare dall`uomo o

dall`animale. E la pittura astratta, “sensazione, nient`altro che sensazione”, sarebbe

per Deleuze una possibilità di sostituire al divenire-animale una disposizione più

complessa, verso una rappresentazione dove l`indiscernibile sarebbe ancora più

intenso.

Page 65: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

58

3.2 L`aperto. L`uomo e l`animale secondo Giorgio Agamben

Giorgio Agamben (Roma, 1942), filosofo italiano, ha rivolto la sua attenzione

soprattutto a temi estetici e politici, risentendo dell`influenza di pensatori tedeschi

(Heidegger, Benjamin) e francesi (Foucault, Deleuze, Nancy). Centro della sua

riflessione può essere considerato lo statuto dell`umano, nella sua dimensione

linguistica e temporale, naturale e culturale, biologica e politica.

Per Agamben il conflitto politico determinante, che ne influenza ogni altro

nella nostra cultura, è quello fra l`animalità e l`umanità dell`uomo.

Egli intende domandarsi in quale modo nella nostra cultura l`uomo sia stato

separato dal non-uomo e l`animale dall`umano. In effetti, da quando la metafisica

aristotelica ha definito il principio del vivente, questo tema è stato sempre dibattutto,

eppure oggi secondo Agamben, proprio in quanto è necessario prendere atto del

tramonto dell`antropocentrismo, che per secoli ha definito nella tradizione

occidentale la distinzione tra il corpo e l`anima, tra la vita animale e il logos, tra il

naturale e il soprannaturale, occorre interrogarsi in modo nuovo su quale sia la soglia

critica oltre la quale si ha l`umano, quella soglia che distingue e al tempo stesso

avvicina umanità e animalità dell`uomo.

Nel testo L`aperto. L`uomo e l`animale Agamben si interroga sul futuro

dell`uomo. Prende spunto da una miniatura di una Bibbia Ebraica del XIII secolo

conservata nella Biblioteca Ambrosiana di Milano, che raffigura la visione di

Ezechiele e il banchetto messianico dei giusti nell`ultimo giorno: in particolare, il

miniaturista ha rappresentato i giusti non con sembianze umane, bensì con teste

animali. Perché, si chiede Agamben, i rappresentanti dell`umanità compiuta sono

raffigurati con teste animali? Secondo la tradizione rabbinica, essi sono i giusti

ancora in vita al momento della venuta del Messia, il che non giustifica la

rappresentazione con volti animaleschi. Allora la raffigurazione teromorfica rimanda

piuttosto alla tenebrosa parentela fra macrocosmo animale e microcosmo umano,

secondo la tradizione manichea. Seguendo questa interpretazione, Agamben ipotizza

che l`artista del manoscritto dell`Ambrosiana abbia voluto intendere che,

nell`ultimo giorno, i rapporti fra gli animali e gli uomini si comporranno in una

nuova forma e che l'uomo stesso si riconcilierà con la sua natura animale.

Page 66: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

59

Dopo aver mostrato i limiti e le ragioni del tramonto della visione antropocentrica ed

aristotelica dell`uomo, Agamben suggerisce che non occorre tentare di tracciare i

contorni di una nuova creatura, che rischierebbe di essere alrettanto mitologica

quanto l`altra.

Come sarà allora l`uomo alla fine della storia? Per Agamben, sulla scia di

Heidegger, sono possibili due scenari. In un caso l'uomo poststorico cerca di

governare la propria animalità e prenderla in carico attraverso la tecnica. Nell`altro

caso, l'uomo si appropria della sua stessa animalità, che non resta nascosta né fatta

oggetto di dominio, ma è pensata come tale, come puro abbandono. In questo senso,

Agamben si richiama a Benjamin, il quale ha tentato di delineare il rapporto

dell`uomo moderno con la natura rispetto a quello dell`uomo antico col cosmo, che

aveva il suo luogo nell`ebbrezza. Il luogo proprio di questo rapporto è invece, per

l'uomo moderno, la tecnica, ma non secondo l'idea comune del dominio dell`uomo

sulla natura. Piuttosto per Benjamin né l'uomo deve dominare la natura, né la natura

l'uomo. Inoltre, egli evoca l'immagine di questa vita che si è emancipata dalla sua

relazione colla natura solo a patto di perdere il proprio mistero: ed è l'appagamento

sessuale che recide, senza scioglierlo, il legame segreto che unisce l'uomo alla vita.

“L'appagamento sessuale sgrava l'uomo dal suo mistero, che non sta nella sessualità,

ma che nell`appagamento di questa, e forse soltanto in esso, viene non sciolto: reciso.

È paragonabile al vincolo che unisce l'uomo alla vita. La donna lo recide, l'uomo

diventa libero per la morte, perché la sua vita ha perduto il mistero. Con ciò egli

perviene alla rinascita e come l'amata lo affranca dall`incantesimo della madre, così,

più letteralmente, la donna lo stacca dalla madre terra, è la levatrice cui tocca

recidere quel cordone ombelicale che il mistero della natura ha intrecciato” (cit. in

Agamben, 2002).

L'Autore si riferisce poi ad un`opera tarda di Tiziano, Ninfa e pastore, in cui i

due protagonisti, pur nella situazione di otium, sono eroticamente legati, in una

relazione che suggerisce che essi abbiano mangiato dall`albero della conoscenza. La

ninfa è distesa sopra una pelle di pantera, simbolo di libidine, ed ha i fianchi nudi. Il

pastore le sta accanto, il flauto staccato dalle labbra. Poco oltre nel quadro si vede

sullo sfondo un albero fulminato, per metà secco e per metà verde: un animale

Page 67: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

60

sollevatosi sulle zampe posteriori, capra o cerbiatto, ne sta brucando le foglie.

Voluttà e amore, come testimoniato dall`albero per metà rifiorito, non

prefigurerebbero allora soltanto la morte e il peccato. Se anche nell`appagamento

sessuale i due amanti hanno conosciuto qualcosa che non avrebbero dovuto sapere,

perdendo così il loro mistero, essi sono ancora impenetrabili, ma accedono a una

nuova vita più beata, né animale né umana. “Non la natura viene raggiunta

nell`appagamento – ma come è simboleggiato dall`animale che s`impenna accanto

all`albero della vita e della conoscenza, uno stadio superiore, al di là tranto della

natura che della conoscenza, del velamento che dello svelamento.” (ibid.)

Nel rendere inoperosa la macchina antropologica, che per secoli ha articolato

nella nostra cultura qualunque produzione di concetti, Agamben non vuole dunque

proporre nuove e più pregnanti articolazioni, quanto piuttosto mostrare il vuoto

centrale, “lo iato che separa – nell`uomo – l`uomo e l`animale, rischiarsi in questo

vuoto.” L'uomo alla fine della storia sarà allora una figura della “grande ignoranza”,

che accede ad uno stato superiore, al di là tanto della natura che della conoscenza.

Page 68: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

61

CAPITOLO QUARTO

Artisti ed animalità

4.1 Francisco Goya: Los Caprichos

Si è visto che sovente l`animale è stato utilizzato, secondo una visione

antropocentrica, come termine di paragone negativo al quale assimilare un nemico,

mostrando al tempo stesso il valore implicito che la cultura conferiva all`animale

stesso. Si è creduto di ravvisare negli animali vizi e virtù simili a quelli dell`uomo.

Nel 1799, anno in cui ottiene la nomina a primo pittore di corte, Francisco

Goya y Lucientes (1746 – 1828) pubblica I Capricci, una serie di ottanta stampe che

lo farà conoscere in Francia ed in Gran Bretagna. In esse Goya convoglia ed esprime

con fantasia di volta in volta drammatica o beffarda la rivolta contro ogni genere di

superstizione, di malvagità, di oppressione.

La genesi di questo lavoro fu senza dubbio lenta e molti autori ritengono che

occorra collegarla alle crisi dovute alla malattia del 1792 che, determinando la sua

sordità, finì per isolare l`artista dalla società del tempo. È in effetti poco dopo questa

crisi che Goya decise di rifugiarsi in se stesso e di dare libero corso al “capriccio e

all`invenzione”. Verosimilmente incoraggiato dalla cerchia degli ilustrados che

frequentava allora, volle eseguire una serie di incisioni satiriche in cui esprimerà i

suoi sogni, le sue fantasie, ed il suo punto di vista critico sulla società del tempo.

L`episodio del suo soggiorno a San Lucar de Barrameda con la duchessa d`Alba, nel

maggio 1796, ha senza dubbio ugualmente influito sulla serie. Una grande parte delle

incisioni doveva essere già preparata nel 1797, poiché un prospetto che annunciava

la pubblicazione di settantadue stampe vide la luce quell`anno. Ma la forma sotto cui

noi conosciamo oggi la serie fu resa nota il 6 febbraio 1799, nel Diario de Madrid,

come una “ collezione di incisioni dai soggetti capricciosi, inventati ed incisi ad

acquaforte da Don Francisco Goya”.

Le tavole dei Capricci testimoniano non soltanto di una grande padronanza

della tecnica dell`acquaforte, un procedimento col quale Goya ha lavorato le sue

figure ripassandole talvolta col bulino o con la puntasecca, ma anche di quella

Page 69: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

62

dell`acquatinta, in particolare per gli sfondi. Questa tecnica gli ha permesso di

giocare con i contrasti tra il disegno semplificato e dinamico dell`acquaforte e la

monotonia impalpabile dell`acquatinta, ottenendo così degli intensi effetti di

chiaroscuro, allorché delle forme di pura luce emergono dalle zone di ombra.

13.

La tematica generale mescola, senza ordine apparente, delle scene di magia e

di stregoneria con delle satire in cui le preoccupazioni morali e sociali sono evidenti.

Nei due casi, la parte animale dell`essere umano svolge sovente un ruolo essenziale,

permettendo di rivelare il sottosuolo della sua anima così come i comportamenti

sociali più vili. Nel Capriccio n. 19 l`evocazione dell`universo della prostituzione è

l`occasione per mostrare differenti specie di “uccelli spregevoli” – dei militari, dei

civili, e dei monaci – attratti da una mezzana e spennati da giovani donne come delle

volgari pernici (fig.13).

Ma la sorte della creatura alata che appare nel Capriccio n. 21 (fig. 14) non è

certo più invidiabile poiché essa si ritrova circondata da tre individui dalla testa e

dalle zampe di belva, che rappresentano l`amministrazione della giustizia, i

Page 70: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

63

cancellieri e i segretari della curia. Il gruppo più numeroso all`interno della serie è

quello degli asini, un animale che permette a Goya di attaccare delle personalità

influenti della società – aristocratici, professori, medici, artisti servili, dirigenti

politici e sfruttatori del popolo – dei quali denuncia l`ignoranza, la stupidità e la

vanità.

14. 15.

Le tavole di Goya mostrano tutte un intento di satira sociale e confortano

l`artista nel suo ruolo di moralista. È prima di tutto l`insegnamento tradizionale ad

essere fortemente criticato riconducendolo ad un`attività da somari (Capriccio n.37 –

fig.15): se il maestro è un asino, può insegnare a ragliare…

Alla scimmia che strimpella la chitarra (fig. 16), evocazione dei cattivi

musicisti accompagnati dalla loro claque, risponde nel Capriccio n. 38 un asino

seduto in modo confortevole, l`orecchio teso, simbolo dei falsi connaisseurs

totalmente ignoranti. Persino gli asini applaudono la brutta musica per seguire la

moda, quando vedono degli altri che dicono “brabisimo”!

Page 71: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

64

Il Capriccio n. 39 è una notevole acquatinta in cui, attraverso un asino vestito

da gentiluomo che mostra orgogliosamente allo spettatore la sua linea di

discendenza, Goya ridicolizza l`ossessione per l'araldica e per la genealogia dei

“nuovi ricchi” della sua epoca (fig. 17). La tavola successiva (Capriccio n. 40) ha

evidentemente una risonanza privata: infatti Goya se la prende ferocemente con i

medici, che qualifica di ignoranza e pedanteria rappresentandoli come degli asini,

poiché egli aveva personalmente avuto a che fare con loro (fig. 18).

16. 17.

Essi si erano mostrati incapaci di diagnosticare correttamente la malattia di

cui Goya ebbe a sopportare le conseguenze fino alla fine della sua vita. Infine,

quando l`artista spagnolo schernisce i suoi colleghi pittori, è accusandoli di giocare

alle scimmie-cortigiane, nel tentativo di adulare i committenti che, per conto loro, si

comportano come asini vanitosi (Capriccio n. 41 – fig. 19).

Page 72: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

65

Questo breve esame di alcune tavole dei Capricci ha mostrato l`uso che Goya

ha fatto della forma animale, caricandola di significati negativi allo scopo di colpire

sarcasticamente alcuni aspetti della società del suo tempo.

18. 19.

Page 73: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

66

4.2 Il bestiario surrealista

Il surrealismo: cenni storici

Nel campo delle arti visive è al 1924 che si fa risalire la nascita ufficiale del

surrealismo. Centrale fu la figura del pittore André Masson il quale, giunto a Parigi

due anni prima, aveva iniziato dal 1923 (anno in cui incontrò André Breton) ad

eseguire i primi disegni automatici. Espose nel 1924 alla Galérie Simon e allo stesso

anno risalgono la pubblicazione del Manifesto del surrealismo di Breton e l`uscita

del primo numero della rivista La Révolution Surréaliste con illustrazioni di Max

Ernst (i cui collage già dal 1920 anticipavano il surrealismo negli aspetti più

visionari), dello stesso Masson, di Man Ray e Pablo Picasso. Per quest`ultimo si può

parlare di un`inclinazione verso il surrealismo più che di una vera e lunga adesione.

Nel Manifesto, il surrealismo viene così definito: “Automatismo psichico

puro col quale ci si propone di esprimere, sia verbalmente, sia per iscritto, sia in

qualsiasi altro modo, il funzionamento reale del pensiero. Dettato dal pensiero, in

assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni

preoccupazione estetica o morale […]. Il surrealismo si fonda sull`idea di un grado di

realtà superiore connesso a certe forme d`associazione finora trascurate,

sull`onnipotenza del sogno, sul gioco disinteressato del pensiero. Tende a liquidare

definitivamente tutti gli altri meccanismi psichici e a sostituirsi ad essi nella

risoluzione dei principali problemi della vita”.

Si è visto come fino alla nascita della psicoanalisi e allo sfruttamento

dell`inconscio in termini artistici da parte dei surrealisti, il tema delle analogie tra

uomo e animale sia stato analizzato dalle ricerche sulla fisiognomica, secondo uno

zoomorfismo che trasformava alternativamente gli uomini in bestie e le bestie in

uomini.

Prima del surrealismo e della psicoanalisi, Charles Baudelaire (1821 – 1867),

grande ammiratore dei volti animaleschi di Daumier, è stato il primo ad intuire quale

vantaggio “gli interpreti della vita moderna” potessero trarre dalla fusione tra uomo e

animale: si poteva rappresentare l`uomo in tutta la sua brutalità fisica e morale e,

Page 74: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

67

tramite la maschera del mostro, porre la questione dell`altro. Un`alterità che il poeta

percepiva come costitutiva del dramma dell`artista, del suo essere al mondo, poiché

l`artista è tale a condizione di essere doppio e di non ignorare alcun fenomeno della

sua doppia natura.

Mezzo secolo dopo la morte del poeta francese, le pitture di Dalì all`epoca del

Jeu Lugubre (1929) e i film di Luis Buñuel abbondano dei medesimi animali presenti

nei Fleurs du Mal – formiche, uccelli – scelti per la repulsione che possono generare.

Insetti o carogne in decomposizione comportano un fascino per uno stato diverso e

sono forse l`esempio per eccellenza nell`arte moderna di un momento in cui

l`animale è pensato secondo una visione che supera la semplice allegoria e si

presenta abitato da morte e sessualità.

Con il surrealismo emerge l'idea dell`animale come archetipo radicato

nell`inconscio, le cui manifestazioni nella dimensione onirica sono tanto fantastiche

quanto imprevedibili. Visualizzare questi fenomeni significa abbandonarsi a

modalità di “automatismo psichico”.

L`immaginario surrealista venne inoltre alimentato dall`uso del collage, il

quale favoriva tramite la manipolazione delle immagini il tema dell`ibridazione.

Senza stilare la lista del bestiario surrealista, si consideri che il minotauro di Picasso

apparve dapprima, nel 1928, appunto sotto forma di collage e che la figura di Loplop,

“il superiore tra gli uccelli” di Max Ernst fu prodotto tramite i suoi primi collages

dada.

I pittori surrealisti cercavano ovunque il meraviglioso e le sue metamorfosi.

Cacciatori di emozioni, erano affascinati dagli animali: infatti per la loro unione di

istinto e nudità, gli animali spaventavano (e spaventano) la ragione pensante. Nel

nutrito catalogo di immagini che i surrealisti fecero sorgere dalle tenebre, ancora si

intende l`assordante silenzio degli asini morti gettati da Luis Buñuel e Salvador Dalì

sulla tastiera muta di Un chien andalous. Altrettanto premonitore, il furore del Lupo-

tavolo di Victor Brauner, creato alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, mostra

“che c`è del selvaggio nell`aria” (André Breton): impossessatisi ormai persino del

più banale dei mobili, i lupi sono ormai ovunque intorno a noi.

Roger Caillois (1913 – 1978), poliedrico intellettuale ed entomologo che ha

operato nel contesto delle correnti surrealiste, ha esplorato la creatività del mondo

Page 75: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

68

degli insetti, attribuendo alle loro livree fantasiose il valore di arte a tutti gli effetti.

Per questo studioso la natura pictrix non è inferiore alla creatività umana, soltanto la

prima si distingue per il fatto di sviluppare il suo estro con diverse modalità: mentre

l'artista umano agisce individualmente e deliberatamente, l'arte degli insetti consiste

in una sorta di “energia autoplastica” che modella il genoma di una specie in tempi

dilatatissimi: “…l'ipotesi porta a immaginare che esista, tra gli esseri viventi in

generale, una ‘tendenza’ a produrre dei disegni colorati e che questa tendenza

produca in particolare, alle due estremità della scala evolutiva, le ali della farfalla e i

quadri dei pittori” (Caillois, 1998).

Saranno considerati di seguito alcuni artisti particolarmente significativi della

cerchia surrealista o in qualche misura influenzati da essa. Tra di essi: Ernst,

Brauner, Picasso, Dalì, Masson, Savinio. Si tratta di artisti che si sono liberati degli

stereotipi dell`incubo e del fantastico per creare i loro propri mostri dalla figura

ibrida, all`incrocio tra fantasmi personali e mitologie universali. Si tratta in alcuni

casi di mostri che portano “la morte negli occhi”, riflesso dello spavento che

accompagna il passaggio dall`infanzia all`età adulta, dalla vita alla morte, dalla

civiltà alla barbarie. Per l'Italia sarà analizzata in questo senso anche l'opera di Mino

Maccari e di Salvatore Marchese.

4.2.1 Loplop: Max Ernst e il suo doppio

Il pittore e scultore tedesco Max Ernst (Brühl 1891 – Parigi 1976) dopo gli

studi di filosofia, di psichiatria e di storia dell`arte e i primi contatti con il Blaue

Reiter, giunse, grazie alla scoperta di De Chirico e di Freud, ad elaborare una sua

particolare versione del dadaismo a Colonia. Trovò nel collage – e in generale

nell`accostamento di immagini estranee fra loro e di natura assolutamente diversa, la

tecnica più adeguata per formalizzare quell`idea di spaesamento sistematico che

ricercava. Entrato in contatto con Breton, si trasferì a Parigi nel 1921, cominciando

nello stesso anno ad applicare alla pittura il medesimo principio compositivo del

collage. Mise inoltre a punto le tecniche del frottage e della decalcomania, che

assieme al collage e al grattage sono tali per Ernst da determinare la creazione delle

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69

immagini al di là delle inibizioni: “Il frottage non è altro che un mezzo tecnico per

aumentare le facoltà allucinatorie dello spirito, affinché si manifestino

automaticamente delle ‘visioni’, un modo per disfarsi della propria cecità” (cit. in

Marchesini, Andersen, 2003).

I lavori di Max Ernst sono peraltro caratterizzati da una multiformità di

metamorfosi animali e vegetali, vicine ad un`idea di biomorfismo.

Per quanto concerne il tema dell`animalità nell`opera di Max Ernst, che egli

ha declinato in numerose varianti, mi soffermerò in particolare sulla creazione,

tramite il riferimento ad un animale, di un doppio immaginario dell`artista: Loplop.

Loplop

È verso il 1930 che appare nell`opera di Max Ernst una figura dominante,

enigmatica, che prende la forma di un uccello e presenta anche qualche tratto del suo

creatore: l`uccello Loplop.

Loplop è suscettibile di tutte le metamorfosi: passando dal regno animale al

regno degli oggetti, gallo o serpente, si muta spesso in cavalletto da pittura per far

vedere allo spettatore i collages più diversi e inattesi, fino a presentare lui stesso le

proprie trasformazioni, in un vertiginoso sdoppiamento. La nascita e le mutazioni di

Loplop sono viste dallo storico dell`arte Werner Spies come punti di convergenza di

questioni necessarie e ossessive per Ernst, che permettono di definire non solo il

posto del surrealismo nell`arte dell XX sec., ma anche il significato dell`arte stessa

per Ernst (Spies, 1997).

Il neologismo “Loplop”, che designa tutto un ciclo dell`opera e ha suscitato

numerose interpretazioni, risale alla fine degli anni Venti. In generale, per le scelte

dei suoi titoli, Max Ernst si inspirava agli incontri con il linguaggio che l`avevano

sorpreso o divertito. Vi convergono reminiscenze di letture freudiane e pensieri

onirici. Per Loplop si tratta, in un primo senso triviale, del riferimento a Ferdinand

Lop, “poeta pubblico” e oggetto di battute degli studenti parigini: negli anni Trenta,

il grido di “Lop-Lop” non smetteva di echeggiare nel Quartiere Latino. La simmetria

delle due sillabe inoltre ricordava certamente ad Ernst la parola “dada” o l’Ubu di

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70

Jarry. Il nome “Loplop” compare dapprima dodici volte nel romanzo-collage La

Femme 100 têtes, di cui Loplop è al tempo stesso l`attore ed il narratore. Poi, di

colpo, Max Ernst si identifica con “Loplop, il superiore tra gli uccelli”, “fantasma

privato incatenato a Max Ernst, talvolta alleato, ma sempre di sesso maschile” (ibid.).

20.

Anche se occorre attendere la fine degli anni Venti perché la creatura alata

venga battezzata Loplop, Max Ernst aveva già mostrato alcuni anni prima la sua

tendenza ad identificarsi con gli uccelli. L’identificazione con Loplop si inscrive

dunque in una mitologia personale, e i suoi amici surrealisti vi hanno presto

intravisto un alter ego dell`artista.

Se il neologismo appare nel 1929, è all`anno seguente che risalgono i collages

con lo stesso nome. L`interesse principale dei collages Loplop consiste, al di là del

fatto di essere una variazione antropomorfica di una tematica costruttivista e cubista,

nel fatto che riflettono la figura dell`artista e le sue concezioni estetiche.

Per esempio nella serie Loplop sono molto rappresentate le mani (figg. 20 –

21). La predominanza delle mani, sprovviste del corpo e che conducono una vita

indipendente, riveste un significato: essa è strettamente legata alle considerazioni

teoriche che Max Ernst ha elaborato nel suo trattato Comment on force l`inspiration.

Nei suoi collages, Max Ernst solleva costantemente la questione del lavoro fatto a

Page 78: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

71

mano. Durante il periodo dada ricorreva a dei procedimenti per nascondere

all`occhio dello spettatore la tecnica del collage, tanto più che all`epoca essi non

avevano alcun valore di mercato. Come notato da Aragon, il collage rappresentava

infatti una provocazione aggressiva per la clientela tradizionale degli amatori d`arte:

la povertà dei mezzi impiegati ed il carattere riproducibile rischiavano di essere

ripugnanti per i collezionisti, per i quali la pittura era una forma di adulazione. Per

Aragon il collage permetterebbe ai pittori di affrancarsi da questo

“addomesticamento” attraverso i soldi, poiché esso è povero. Anche se per molto

tempo ancora, secondo Aragon, se ne negherà il valore, perché sembra facilmente

riproducibile e ciascuno crede di poter fare altrettanto (ibid.).

Durante gli anni consacrati ai collages Loplop, Max Ernst studia gli scritti di

Leonardo da Vinci. “L`ordinare è opera signorile, l`operare è atto servile”: questa

citazione dal Codice Atlantico ben si applica anche ad Ernst, il quale ha sempre

preferito la parte dell’ordinare. Allora le mani di Loplop sono probabilmente intese a

prendersi gioco dell`artefatto prodotto dalla mano umana.

21.

La compilazione e la combinazione (tecniche indirette) si sostituiscono al

lavoro diretto, e i gesti di Loplop sono gesti di introduzione, di dimostrazione. Forse

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72

per questo Loplop non appare mai nel suo atelier: soltanto nel 1940 vi si lascia

sorprendere, nella tela Le Surréalisme et la Peinture.

22.

Inoltre Loplop présente, titolo ricorrente della serie, si riferisce a un gesto di

oggettivazione: l`artista indica delle immagini all`interno dell`immagine e le rende

materiali. Percepibili in maniera isolata, gli elementi incitano lo spettatore ad

adottare una visione simultanea, e questo effetto è possibile perché i collages Loplop

sono concepiti per la prima volta come dei collages che integrano deliberatamente la

rottura tra livelli di comprensione e diversità dei materiali. La struttura dei Loplop

introduce nel mezzo di espressione del collage una nuova qualità, quella

dell`isolamento. I precedenti collages, le incisioni riprese a pittura e le tavole previste

per La Femme 100 têtes tendevano ad una giustapposizione senza traccia del taglio

tra i differenti elementi ed evitavano gli spazi vuoti, garantendo l`illusione destinata

allo spettatore. Ora nei collages Loplop ogni mezzo espressivo parla di se stesso,

libero dalle costrizioni dell`omogeneità. Lo spettatore deve ormai percepire la

diversità delle fonti impiegate: il mescolamento delle tecniche (disegno, collage,

frottage, grattage, fotografia, in alcuni casi anche bassorilievo) attiva la sua visione.

Dunque Max Ernst sia nei collages che nelle tele antropomorfe della stessa

epoca, cercava di precisare le sue concezioni estetiche in seno al gruppo surrealista

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73

e la struttura schematica del personaggio Loplop, sempre presentato in nuove

varianti, gli permette di passare in rassegna tutto il suo repertorio di tecniche e di

temi. Ad avallare questa interpretazione sta poi il fatto che Max Ernst si è opposto

categoricamente al fatto che si vedessero nelle sue opere i prodotti del suo inconscio

e delle sue rimozioni da analizzare, e se vi è un riferimento a Freud, esso è dovuto

all`intento di conferire al lavoro una maggiore ambiguità (Spies, 1997).

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74

4.2.2 Victor Brauner

Artista d`avanguardia, Victor Brauner (1903 Piatra Neamtz – 1966 Parigi),

dopo l`adolescenza passata a Bucarest e segnata dall`influenza del padre, è spinto a

partire dalla Romania quando il Fascismo si rafforza. Al suo arrivo a Parigi incontra

Yves Tanguy, che lo introduce nella cerchia di André Breton. Le influenze allora si

moltiplicano. A partire dal 1931 la sua ossessione si focalizza su delle figure

premonitrici. Nel 1934 espone alla Galérie Pierre e parteciperà a tutte le esposizioni

surrealiste. Il suo universo è già in preda a dei soggetti tormentati. Dal 1935 al 1938

rientra in Romania e dipinge su piccoli formati facili da trasportare. Nel 1938 in

seguito ad una rissa a Parigi perde l`occhio sinistro.

23.

Durante la Seconda Guerra Mondiale soggiorna nei Pirenei Orientali, a

Marsiglia e poi sulle Alpi. Lavora allora essenzialmente alla scultura e scopre la

pittura all`encausto su legno. A metà strada tra reale e immaginario, la sua mitologia

personale si incarna innanzitutto nel personaggio di Monsieur K, poi creerà la

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Chimera dal duplice profilo, il personaggio del Licantropo e la serie di opere

autobiografiche: le Onomatomanies. Rompe con i surrealisti nel 1948. Negli anni

Cinquanta lavora con Matta e realizza il ciclo dei Rétractés, poi subisce l`influenza

della filosofia di Heidegger nelle sue tele nere dove la morte è onnipresente. Le sue

ultime opere sono dei grandi formati dall`iconografia di ispirazione esoterica.

Brauner e gli animali

La cosmogonia di Brauner è carica di figure ibride alle quali sono prestati

molteplici significati. La gnosi, le mitologie, l`astrologia così come tutte le forme di

pensiero dell`uomo che sfuggono alle scienze razionali sono convocate, incrociando

all`infinito i livelli di significati al punto che non trovano una coerenza propria se

non all`interno della sua opera. Da questo bestiario onirico dove coesistono

improbabili ibridi, come lo spettacolare Tavolo-lupo (fig. 24) o le mostruose

Anatomie del desiderio, si sprigionano numerose figure che accoppiano l`uomo e

l`animale.

24.

Page 83: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

76

Esse non cercano di isolare o stigmatizzare dei tratti del carattere umano, ma

esprimono il dualismo tra il cosciente e l`incosciente, tra l`intelletto ed i desideri

rimossi. La ricongiunzione dei due livelli di percezione conferisce all`essere ibrido

delle potenzialità di apprendimento del mondo illimitate.

Così, la figura totemica ricorrente nell`opera di Brauner, Tot in tot, mostra un essere

dotato di una testa metà umana metà animale, ma i cui due volti condividono il

medesimo occhio (fig. 23). Allo stesso modo, la chimera, presa in prestito dalla

mitologia greco-romana, gli fornisce un`altra manifestazione di questa dualità.

Questo bestiario è regolarmente alimentato dalle visioni sonnamboliche dell`artista,

simboleggiate dalla figura di Strigoï, la Sonnambula, creatura del sonno e della notte

la cui chioma si trasforma in un animale inquietante. La testa del mostro ed il volto

della sacerdotessa, staccato dal suo corpo, costituiscono le due estremità di un

medesimo organismo che evoca anche Ouroboros, il serpente dal volto umano che si

morde la coda, simbolo dell`infinito e della continuità ristabilita tra l`essere nascosto

e l`essere visibile.

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77

4.2.3 Tori e cavalli in Pablo Picasso

Dall`inizio alla fine del suo percorso artistico, tori e toreri abbondano nella

produzione di Pablo Picasso (Malaga 1881 – Mougins 1973), quasi si trattasse di un

centro “nevralgico” della sua poetica. A partire da uno dei suoi primi quadri,

Picador (1890) di Malaga, fino ad arrivare agli ultimi matador di fantasia, i cui

costumi ricordano Goya e che hanno il volto già oscurato e gli occhi rovesciati

dall`agonia: il Torero del 17 novembre 1970 e il Torero del 12 aprile 1971 sono

l`immagine del pittore stesso di fronte alla morte.

Il tema si confonde inoltre con la figura del padre, José Ruiz Blasco, pittore di

piccioni. Nei vari articoli consacrati all`opera di Picasso degli anni `50 e `60, Michel

Leiris ricollega l`identificazione tra pittore e corrida al rito di passaggio iniziatico

che avrebbe inaugurato la carriera dell`artista. Un ricordo d`infanzia mitico,

probabilmente apocrifo e costruito su misura dall`amico etnologo recita: “Figlio di

un pittore, Picasso ama raccontare che quando era ancora molto giovane, suo padre

gli consegnò un giorno, cerimoniosamente, la sua tavolozza e i suoi pennelli, come

un matador più vecchio che affidi la spada al novizio che egli consacra.”

Nessuna identificazione in Picasso con i prestigiosi toreri spagnoli che comunque

ammirava. Egli si inscrive deliberatamente nel solco tracciato dai suoi due maestri,

Goya e Manet, i quali, rifiutando il genere celebrativo tradizionale, preferiscono

rappresentare il torero morto. L`eclatante quadro di Picasso Corrida: la morte del

torero (Boisgeloup, 19 settembre 1933) riportato nella figura 25 riprende l`immagine

del fantoccio disarticolato, umiliato dalla bestia, disegnato da Goya, che aveva visto

“il grande Pepe Hillo gettato a terra, caricato sulle corna come un fantoccio

sventrato”. Riportato in una vertiginosa composizione, il volto ripiegato del torero è

ridotto ad una minuscola macchia rosa, schiacciata tra il muso massiccio, smisurato

del toro ed il collo elastico, disteso del cavallo bianco.

Una replica successiva del motivo del 1955, il dittico con Torero sollevato e

Picador sollevato, riprendendo la radicale scorciatoia panoramica del celebre Torero

morto di Manet, perderà definitivamente, con l`esclusione del cavallo, il carattere di

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78

orrore e di caos, per concentrarsi sulla figura del torero, simbolo della sofferenza

dell`artista.

D`altra parte, contrariamente alla realtà, il toro non muore mai nelle corride di

Picasso. Esso è l`artista stesso, il domatore della sua donna torera, la quale porta i

tratti dell`amante Marie-Thérèse Walter in tutta una serie di messe in scena

apotropaiche. La Corrida: morte della donna torero (Boisgeloup, 6 settembre 1933

– fig. 26), fornisce le chiavi simboliche per la comprensione di questo “triangolo”

molto privato toro-cavallo-torero. Osserviamo le due immagini del Settembre 1933:

nell`una vediamo un toro che incorna il cavallo portando il torero sul dorso; nell`altra

vediamo un toro che, invece di essere sfinito (è trafitto dalle banderillas e la lama

della stoccata finale è conficcata nel collo), si ribella, fa fuggire toreri e matador e

solleva, in uno scenario degno del ratto di Europa, donna e cavallo intrecciati. Il

processo di identificazione diviene così più chiaro.

25.

È l`immagine di sé che Picasso proietta, quella di un uomo al tempo stesso

vittima e carnefice della donna, la quale ha il ruolo stereotipato dell`amante fatale.

Picasso trascrive così il suo eros, legando voluttà sessuale ed istinto di morte, che

viene così esorcizzato.

Page 86: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

79

In effetti, di tutti i tori e i cavalli dipinti da Picasso, soltanto quelli di

Guernica, il grande quadro storico del XX secolo, non incarnano i suoi fantasmi

interiori, bensì la Storia, facendosi portatori di un valore universale. In questo

contesto invece, la figura del cavallo è associata al regno femminile. Essa appare

anche in un`immagine di estrema violenza, nella scena di corrida detta Le vittime

della vecchia collezione Niarchos, che raffigura un cavallo rovesciato, convulso e

grondante sangue, con le grandi zampe aperte sulla sua ferita, in una postura

apertamente erotica.

26.

L`assimilazione donna-cavallo si precisa in un carnet di disegni fatti a Cannes

nel luglio 1927. Soccombendo ad un toro dalle lunghe corna falliche, il cavallo soffre

e gode, il ventre tagliato da una ferita dalla forma di vulva dilatata, e la testa a guisa

di vagina dentata pronta a richiudersi sulla virilità dell`assalitore. Questo modello,

spesso ambiguo, ermafrodito o bisessuale, sfocerà nella serie dei turbanti ritratti

femminili del 1927-29, dominati da una forma molle ed informe, zoomorfa, quasi

una mantide castratrice, come nel Grande nudo con poltrona rossa del 5 maggio

1929 (fig. 27). Frequentemente analizzato come una testimonianza delle tensioni

Page 87: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

80

coniugali di cui soffriva il pittore ed emblema del “continente nero” della sessualità

femminile, questo processo metamorfico deriva altresì dalla decostruzione dello stile

classico, figurativo, di cui il cavallo, come sottolineato da George Bataille nel 1929

in “Documents”, è precisamente l`emblema classico. Per inciso, Bataille era

favorevole ad un`arte dalle forme frenetiche, allucinatorie, trasgressive, che egli

ritrovava nelle metamorfosi di Picasso e di André Masson.

27.

In un disegno, a dire il vero unico, isolato, Toro colpito a morte, cavallo e

donna nuda del 10 luglio 1934, l`amalgama donna-cavallo si fa perfino totale,

trattandosi di una figura bicefala, donna e cavallo insieme.

Questa visione del cavallo come potenza infernale, quasi un`emanazione della

Gorgone, si ritroverà nel 1937 nei primi studi d`insieme su Guernica, in cui dalla

ferita del cavallo morente si vede uscire un piccolo Pegaso alato in linea col mito di

Perseo. Va poi svanendo nelle corride di Boisgeloup le quali, esclusivamente

centrate sulla coppia maledetta, sono di odine strettamente simbolico, prima di

trovare nella figura del Minotauro il suo corrispondente ideale.

Page 88: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

81

Spesso interpretato banalmente come una sorta di alter ego del pittore

smarrito nel labirinto delle sue passioni, di volta in volta esorcizzate indossando la

maschera del vegliardo bestiale che soccombe di fronte alla freschezza della sua

giovane donna (Minotauromachia, 25 marzo 1935) o quella del violentatore preso tra

pulsione sessuale (Minotauro che violenta una donna, 28 giugno 1933 – fig. 28) ed

istinto di morte (Minotauro e cavallo, 6 dicembre 1933 – fig. 29), il Minotauro di

Picasso, come l`asino putrefatto di Dalì, rimanda all`alterità e all`angoscia della

morte.

28. 29.

Michel Leiris, seguendo un approccio più stimolante, interpreta il mostro

come metafora di uno stile in continua metamorfosi, che non si irrigidisce mai. Idea

che si riallaccia all`ipotesi di André Chastel, che considera la simbolica riunione

privata del pittore e della sua modella, mascherati da minotauro e cavallo, come

l`allegoria del suo combattimento contro la realtà, la natura, senza tregua reinventata:

“Per lui la pittura è una corrida”. Lo conferma il fatto che l`apparizione del

Minotauro coincide con una nuova mutazione formale della pittura di Picasso, che

tende verso una sorta di espressionismo patetico, amalgamando deformazioni cubiste

passate e distorsioni simboliche. Ne farà le spese la figura di Dora Maar, anch`ella

peraltro eminente creatrice di mostri. Colei che Picasso aveva percepito, secondo una

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82

confidenza fatta a Françoise Gilot, come “una personalità kafkiana” (al punto che

decorerà con insetti i muri del loro appartamento), fu il bersaglio di un trattamento

sistematico di animalizzazione della figura. Rappresentata a partire dall`inizio della

loro relazione sotto forma di Arpia (Dora Maar in forma di uccello, 28 settembre

1936 – fig. 30), il suo carattere indipendente ed indomabile le costò la

rappresentazione in gatta afgana/camaleonte/orsa. Tramite una serie di ritratti

fortemente emotivi, ingabbiati in uno spazio da cella carceraria, di cui Bacon farà

tesoro, Dora Maar passa attraverso ogni sorta di mutazione ibrida: di volta in volta

donna-cane dal lungo muso, donna insetto e mantide religiosa dal vitino di vespa

strangolato da sadici corsetti. Picasso dà vita ad una figura ambivalente, al tempo

stesso attraente e vorace, malinconica e diabolica, che si ricollega alla sua ossessione

per la castrazione. La confusione, sperimentata anche da Dalì, tra voluttà sessuale e

nutritiva, di cui ha scritto Roger Caillois nel celebre saggio sulla mantide religosa

(Caillois, 1998), l`angoscia davanti al vampirismo amoroso, trovano lo sfogo più

bello nei ritratti di Dora in forma di ragno che tesse la sua tela, acconciata con elitre

enormi e ridicole (Dora Maar seduta su una poltrona di vimini, 29 aprile 1938 – fig.

31). Una doppia ossessione: del tempo e della morte.

30. 31.

Page 90: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

83

4.2.4 André Masson

André Masson (Balagny 1896 – Parigi 1987), stabilitosi a Parigi nel 1922,

dopo un`iniziale periodo cubista entrò a far parte del gruppo dei surrealisti, dal quale

si distaccò nel 1929 in polemica con l`autoritaria gestione di A.Breton. Dal 1924

elaborò una scrittura “automatica” veloce e convulsa, trascrizione immediata degli

impulsi psichici. Metamorfosi, violenza, sofferenza psichica ed erotismo sono

tematiche ricorrenti della sua opera.

32.

Alla fine del 1929 visitò i mattatoi di Vaugirard e di La Villette con il

fotografo Eli Lotar, le cui immagini di zampe di maiale allineate e di frattaglie

saranno pubblicate da Bataille nella sua rivista “Documents”: questi infatti

proponeva l'assimilazione del mattatoio al tempio in quanto luogo del sacrificio

religioso. L`esperienza provocherà una vasta risonanza in Masson, che produrrà una

serie di immagini molto violente, ugualmente nutrite anche dalla lettura di

Lautréamont. Sulla scia dei suoi bestiari totemici degli anni 1925-28 con uomini-

uccello e uomini-pesce, come Lo squartatore del 1928 (Hamburger Kunsthalle),

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dipinge dei “Massacri” in forma di rituali di sacrificio dallo stile spasmodico.

Illustrando nel 1933 il testo “Sacrifices” dello stesso Bataille, pubblicato nel 1936, si

ricollega con i temi a lui cari del Minotauro e del labirinto in una prospettiva nuova,

mescolando culto cristiano e culto mitriaco.

Come attesta la sontuosa e convulsa Pasiphae del 1945 (fig. 32), Eros non è

assente dalle “Mitologie” di Masson, così come l`influsso di Mitra. Nel 1936, in

Spagna, il pittore parla a Michel Leiris delle sue “mitologiche corride spagnole”

come di “visioni solari”. Resta ciononostante più vicino alla leggenda greca dove il

Minotauro è un mostro dall`energia cieca, spinto dalle sue pulsioni irrazionali verso

la morte.

L`impressionante figura totemica del 1938, Labirinto, mostra invece il

Minotauro come labirinto in sé, un`architettura di Dedalo che concentra tutte le forze

del cosmo (fig. 33).

33.

La guerra civile spagnola ha svolto il ruolo di detonatore per il risveglio della

classe intellettuale europea, facendo nascere una grande quantità di immagini

impegnate, di diversa qualità, a volte mediocri, altre volte eccelse. In alcuni disegni

antifascisti di Masson, nell`inevitabile solco de I disastri della guerra e dei

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85

“Capricci” di Goya, e similmente al Picasso di Verità e menzogna di Franco,

Masson elabora immagini dei dittatori a colpi di analogie zoomorfe e di metafore

escatologiche. Ne Los regulares e ¡Nunca saciados! (1937) egli trasforma il suo

Minotauro in un`arma politica. Per “Acéphale”, la rivista creata da Bataille e Pierre

Klossowski, disegna un Minotauro che mette a ferro e a fuoco il mondo: templi

fracassati, corpi pugnalati e sventrati, cieli neri. Il Minotauro non lascia che rovine al

suo passaggio: allegoria della crisi della nostra civiltà che sprofonda nella barbarie,

in un universo dionisiaco “al di là del bene e del male”, che si crea distruggendosi.

Di tale tragica fatalità Masson darà una ulteriore interpretazione nella

scenografia de “La Numancia” di Cervantes, nella messa in scena di Jean-Louis

Barrault del 1937: l`opera fa riferimento alla eroica resistenza dei Numa a Roma, che

ricordava la lotta per la difesa della Spagna repubblicana. Nell`impressionante

fondale disegnato, Masson mostra un arido paesaggio, nel quale in primo piano

emerge un poderoso pugno chiuso, e davanti ad esso, su un piedistallo, la totemica

testa di un toro tra le cui corna sta incastonato un teschio.

Page 93: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

86

4.2.5 Salvador Dalì

Sistematicamente rappresentato nell`atto di urlare di terrore, drizzando la

lingua tra i denti stretti, quasi nel furore del macello, come lo vuole la tradizione

antica, il cavallo, del quale abbiamo indicato i tratti femminili rispetto all`opera di

Picasso, evoca altri cavalli simbolici del bestiario surrealista. Per esempio le “Spose

del vento” 1927 di Max Ernst, immagini di sintesi tra visione apocalittica e gestualità

“automatica”, il cui carattere parossistico coincide con quello delle sue orde di

“Chimere nude” contemporanee, emblematiche secondo Breton del concetto di

“bellezza convulsa”.

34.

Dello stesso ordine è, per Salvador Dalì (Figueras, Gerona, 1904-1989),

l`apparizione di un cavallo bianco, translucido e convulso, nel ciclo autobiografico di

Guglielmo Tell, che rappresenta suo padre. Qui il pittore, intorno agli anni `30,

esorcizza il suo romanzo famigliare. In Guglielmo Tell (1930 – fig. 34) si vede il

cavallo furioso con la criniera al vento, saltare sopra uno strano ostacolo, costituito

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da un piano coperto dalla carogna di un asino in decomposizione e brulicante di

insetti. Dal volto del pianista si vede emergere l`immagine che per Dalì identifica il

desiderio, una testa di leone che ruggisce. Il cavallo appare anche qui come una

figura castratrice, nel contesto di un`immagine che rinvia al complesso edipico, a

quello di castrazione e al senso di colpa.

Ne Il gioco lugubre donna e cavallo si fondono nell`alchimia delle

metamorfosi multiple di Dalì, in un vortice di sessi e di uccelli, di cappelli e di teste

(fig. 35). L`asino di Guglielmo Tell ricorda quello putrido e informe immortalato da

Dalì e Buñuel nel film Un chien andalou del 1929, la cui sequenza dei pianoforti

riempiti di carogne d`asino, con zampe, code, groppe ed escrementi che fuoriescono

dalla cassa armonica, era stata considerata altrettanto insostenibile quanto l`atto

iniziale dell`occhio tagliato.

35.

La presenza dell`asino nel film, che consacra la tempestosa amicizia fra il

pittore ed il cineasta e la fine dell`amicizia intima con il poeta Federico Garcìa

Lorca, infine la sua riapparizione lancinante nell`opera del catalano l`anno seguente,

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88

depongono a favore di un`interpretazione dell`asino in quanto immagine di un

transfert, che resuscita il ricordo tradito del poeta. Era stato infatti con lui che Dalì

nel 1925 aveva costituito nella città universitaria di Madrid un movimento

studentesco derisoriamente chiamato “Putrefactos”, ad indicare nell`ambito letterario

i gruppi più conservatori, i difensori di un`estetica ormai vuota, insomma dei

cadaveri.

Nelle sue memorie intitolate La arboleda perdida, il poeta Rafael Alberti

testimonia di come Dalì si fosse appropriato del concetto di “putrefazione”.

Infilandosi nella pelle dell`asino abietto, Dalì dichiara guerra aperta al simbolo stesso

della “buona” letteratura spagnola, convenzionale e piena di buoni sentimenti:

l`amico del genere umano, l'eroe esemplare del romanzo popolare di Juan Ramòn

Jìménez, Platero y yo. “ Io sono l`anti - Juan Ramòn Jìménez, che è, mi sembra, il

capo supremo della putrefazione poetica, la sua putrefazione è la peggiore di tutte”;

così scrive a Garcìa Lorca in una lettera che preannuncia la loro separazione del 1928

conseguente al violento attacco di Dalì contro lo stile secondo lui altrettanto

“tradizionale” e conformista del suo vecchio condiscepolo.

“Distruggere e discreditare il mondo sensibile ed intellettuale” […]

“Sporcare tutto ciò che somiglia a dei buoni sentimenti, a dei sentimenti umanitari”:

il programma affisso da Dalì all`Ateneo di Barcellona nel 1930 non scalfirà

comunque le convinzioni di Lorca il quale, alla fine della sua vita, proclamava

sempre la sua ammirazione per Juan Ramòn Jìménez, “grande poeta lacerato dalla

realtà”, né la sua fedeltà ai temi puramente spagnoli e andalusi del folclore, ormai

disprezzati da un Dalì definitivamente passato alla causa dell`immaginario freudiano.

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4.2.6 Alberto Savinio

Pitttore, scrittore e musicista, Alberto Savinio (Atene 1891- Roma 1952),

pseudonimo di Andrea de Chirico, svolse un`attività pittorica riferibile al

surrealismo, ma in realtà intesa soprattutto a dar forma ai due principi fondamentali

della poetica metafisica: la “spettralità” e l` “ironia”.

Negli anni Trenta a Parigi Savinio, vicino al Jean Cocteau ellenizzante

dell`Orfeo (1927) e all`universo metafisico del fratello Giorgio De Chirico, creò una

serie di quadri “automitologici”, secondo la definizione di Pia Vivarelli. Prendendo

in prestito dalla mitologia classica il suo bestiario simbolico, egli riprende delle

leggende antiche o cristiane per esorcizzare la sua infanzia e soprattutto la figura

della madre. Nel ciclo edipico dei Fils prodigues, si vedono personaggi dalla testa di

cervidi, muscolosi come statue antiche, ed immagini della madre come struzzo o

pellicano (La sposa fedele, 1930-31, fig. 36). La donna con testa di struzzo,

atteggiata come in una foto della madre dell`artista, ripresa in altri disegni e dipinti

del periodo, si spiega anche con le parole di Waldemar George: “ Se lo spettacolo di

essa fauna non risulta spaventoso, se esso non ha nulla in comune con i bestiari […]

è che Savinio si sforza di salvaguardare il primato morale dell`elemento umano. Le

creature che egli descrive non arieggiano l`aspetto delle bestie se non in ragione di

quella analogia dei generi e delle speci, di cui il pittore ha carpito il principio

interiore. […] Le maschere che portano i suoi personaggi hanno lo scopo di

identificarli” (George, 1933).

L`inserimento di teste animali in composizioni tratte da fotografie

appartenenti all`archivio famigliare del pittore, rivela l`impossibilità di far riaffiorare

alla memoria veri valori; mette piuttosto a nudo la vacuità di un mondo borghese,

colto in momenti emblematici di rappresentazioni di se stesso, quali le foto ufficiali e

i ricevimenti fra amiche (Le due sorelle, 1932).

Montate come dei collages di Ernst, e similmente derivanti da fonti

eterogenee, sia dotte che popolari, queste figure in cui si combinano l`umano e

l`animale, al tempo stesso comiche ed inquietanti per la loro mostruosità, sono calate

dentro interni piccolo-borghesi. In queste messe in scena artificiali l`indagine

dell`inconscio, l`uso dei procedimenti tipicamente surrealisti di spaesamento e di

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90

disordine inatteso, la conciliazione tra reale e fantastico, si uniscono e vengono

sublimate grazie ad un profondo senso di autoderisione, di ironia e di humour.

36.

“Dei ritratti da me dipinti, un critico ha detto che sono altrettanti giudizi. Non

mi si poteva fare lode maggiore. Il ritratto è una ‘rivelazione’. È la rivelazione del

personaggio. È ‘lui’ in condizioni di iperlucidità. È ‘lui’ come egli stesso non riuscirà

mai a vedersi nello specchio, come non riusciranno mai a vederlo i familiari, i

conoscenti, gli amici, coloro che lo incontrano per istrada e non sanno chi egli sia”

(“Nuova Enciclopedia – 20, Ritratto”, in “Domus”, settembre 1942, p.IV). “In quella

serie di mie pitture che figurano uomini con teste di animali, i più frivoli hanno

creduto ravvisare un`intenzione caricaturale, che assolutamente manca. Quelle mie

pitture sono ‘studi di carattere’; meglio ancora: ‘ritratti’. Perché il ritratto – il ‘vero’

ritratto – è la rivelazione dell`uomo nascosto. Il quale ora è un gatto, ora un cervo,

ora un maiale. Più di rado un leone. Ancora più di rado un`aquila […] Questa ‘verità’

tanto profonda, tanto terribile, tanto grave da portare, gli Egizi, temendo di

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91

soccombere sotto il peso, la facevano portare ai loro dei” (“Nuova Enciclopedia”,

1977, p.44).

L`inserimento delle teste animali non altera l`integrità fisica dei corpi umani

in sé; l`accostamento delle due entità, umana e bestiale, è piuttosto un`operazione di

collage, da cui traspare una chiara intenzione ironica, capace di mettere a nudo la

vacuità del mondo borghese ottocentesco.

L`autoritratto del 1936 (fig. 37) sintetizza l`idea centrale della ritrattistica di

Savinio e la funzione che in essa svolge l`inserimento di teste di animali nella figura

umana. Se in altri dipinti con uomini dalle teste bestiali si può precisamente

individuare l`animale cui si riferisce il personaggio, la testa nell`autroritratto del

1936 non è invece così nitida da essere interpretabile in modo univoco.

37.

Da alcuni critici è stata vista come testa di gatto, da altri come testa di gufo o

di civetta e di volta in volta viene letta come allusione a un predominio

dell`intelligenza – della civetta come Pensiero parla lo stesso Savinio – ora come

segno di un Savinio-Gufo “notturno”. Se questo autoritratto si pone quindi in linea

Page 99: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

92

generale sotto il segno della “rivelazione” del proprio carattere nascosto, la verità che

ne emerge riafferma ironicamente un`ambiguità di fondo del personaggio Savinio o

un suo persistente pudore di fronte a un completo svelamento di sé; e ironia,

ambiguità e pudore sono termini e concetti spesso correlati nelle riflessioni

dell`artista.

Savinio si rivolge poi al mondo mitico quale espressione esemplare di una

fase essenzialmente poetica e libera del sapere umano, precedente una razionalità

solo costrittiva della conoscenza e della società. Ed è proprio di questo momento

mitopoietico dell`umanità – e in particolar modo della mitologia greca – creare

divinità a misura d`uomo, espressioni delle forze interne alla stessa natura, come

confermato nella Nascita di Venere del 1950, dalla commistione di umano, di pesce e

di mantello fatto di onde. La fisicità e l`animalità degli dei saviniani non sarebbe di

per sé ironica, quindi; lo è nel consapevole stravolgimento dei modelli figurativi

tradizionali.

Nell`ultima opera dipinta da Savinio, Bal de Tetes, del 1952, che è anche

l`ultima delle metamorfosi di figure femminili con teste di animali, l`allusione, come

anche nei quadri degli anni Trenta e Quaranta, è diretta alla madre dell`artista. Nella

persistenza di una tematica e di una iconografia costante, è il mutamento del

linguaggio pittorico a fare luce sulla visione maturata dall`artista. In questa figura

femminile dalla testa di rapace permangono gli accenti di un`ostentata eleganza

mondana della società borghese, soprattutto riguardo alle vesti e agli ornamenti, ma

viene ad essere profondamente intaccata la saldezza plastica della forma, che si

scioglie in rivoli di colore divisi da profonde zone d`ombra o si aggroviglia, nella

parte centrale, in pesanti segni sovrapposti. Come accade per la realtà naturale (come

Savinio mostra in alcuni dipinti e bozzetti teatrali del 1950 e 1951) anche l`individuo

sembra sul punto di diventare materia magmatica e incontrollabile, in un processo di

decomposizione in cui l`unica nota di persistente vitalità è affidata alla testa

animale, in quest`opera la testa di un rapace. Si può quindi leggere quest`immagine

al di là del contenuto autobiografico, come emblematica di una più generale

condizione di crisi dell`uomo contemporaneo, osservata da un superiore principio di

autorità, alluso dal grande e fisso occhio del rapace.

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93

4.2.7 Mino Maccari

Maccari (Siena 1898 – Roma 1989), pittore, incisore e scrittore, fondò nel

1924 con L. Longanesi “Il Selvaggio”, un periodico satirico di cui fu il principale

illustratore (fig. 38), dando forma a una pungente opposizione interna al regime

fascista. La sua opera, che spesso si configura come critica graffiante delle

consuetudini borghesi, si concreta in un disegno mordente e incisivo, in una

figurazione che si ricollega da una parte a Valori Plastici, dall`altra

all`espressionismo, a J.Ensor e a G.Grosz.

38. 39.

Invitato ad illustrare il libro di racconti Bestie del Novecento di Aldo

Palazzeschi, dà vita, in una serie di litografie dai colori accesi, ad un bestiario

personale in cui le associazioni surrealiste si uniscono ad una peculiare ironia, come

si evidenzia nella figura 39.

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94

Vicino a Mino Maccari, Salvatore Marchese, pittore, incisore e scultore, ha

vissuto l`animalità secondo una modalità diversa: nell`opera di Marchese essa si

configura come bestialità (fig. 40); la si può intendere in senso deleuziano come

quell`energia animale, che scaturisce talvolta dall`uomo e che nella scultura qui

riportata dà forma ad un combattimento, tutto interiore e simbolico, tra l`artista e i

suoi fantasmi.

40.

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95

4.3 L`animalità nell`opera di Francis Bacon

Gilles Deleuze ha affermato: “Bacon è un pittore religioso”. A sostegno di

questa ipotesi, i grandi quadri di macellerie simili a crocifissioni e le crocifissioni che

hanno l`aria di macellerie, ma anche le fonti fotografiche rivendicate dal pittore. Lo

stesso Francis Bacon (Dublino 1909 – Madrid 1992) ha affermato di essere stato

molto toccato dalle immagini dei mattatoi e della carne, che egli vedeva strettamente

legate al tema della crocifissione. Nel quadro Painting del 1946 la scena è una

macelleria: incombente sullo sfondo vi è una carcassa che è anche una crocifissione

senza testa; davanti a questa, sotto un ombrello, una figura che sembra essere quella

di un politico e in primo piano un`esposizione di quarti di carne (fig. 41).

41

Su uno dei suoi ultimi autoritratti, Bacon si rappresenta con una testa di

maiale, sfocata o imprecisa. Tramite un processo di avvicinamento, a partire da

repliche di Velazquez o Picasso, ogni volta sempre più deformate, rinchiuse,

degradate, egli finisce per raggiungere il suo obiettivo: mostrare che l`Uomo è

Animale, così come l`Animale è Uomo.

Page 103: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

96

In Bacon l`uomo è abietto e l`animale è pietoso. Le sue immagini confuse di

un cane solitario, prigioniero di un guinzaglio (Man with dog, 1953) sono delle

testimonianze di pura sofferenza, che generano pietà e compassione. Nel 1944 i

Three studies for Figures at the Base of a Crucifixion della Tate Gallery di Londra,

vera e propria metafora della tortura, sono probabilmente derivati, secondo David

Sylvester, dalle figure biomorfe, alla soglia tra l`umano e l`animale, create da

Picasso negli anni Venti, così come dai suoi studi di crocifissioni del 1932. La

mostruosità delle figure imbavagliate e urlanti del trittico, ispirate alle Furie

dell`Orestiade di Eschilo, vera incarnazione di quel che Deleuze definisce in Bacon

divenire-animale, lo avvicina a una pittura contemporanea di Picasso, la Donna che

si pettina del 1940. I carnet di disegni risalenti all`epoca della guerra mostrano che

l`opera fu preceduta da disegni macabri di pezzi di carne e di ossa, e la donna

esibisce un corpo di prostituta sormontato da un cranio in cui si apre come un taglio

una bocca truccata e oscena.

Richiamandosi all`immaginario religioso del bue scorticato illustrato da

Rembrandt, Soutine e Chagall, Bacon riprende l`idea della confusione tra carne

animale e carne umana. In Painting la figura di scorticato che si ripara sotto un

ombrello è tagliata da parte a parte come la pelle del bue squartato: “Ogni uomo che

soffre è carne”, ha detto Bacon. La sua grande gola aperta è un`allegoria della

sofferenza e della deplorazione, riprese da Bacon dalla Strage degli innocenti di

Poussin e dall`immagine della bambinaia urlante della Corazzata Potëmkin di

Eisenstein, ma anche ricordando le figure di cavalli imploranti di Picasso, dalle

lunghe teste voltate verso il cielo.

Come detto precedentemente, per Deleuze, a proposito delle opere di Bacon,

“le deformazioni cui il corpo è sottoposto non rappresentano altro che i tratti animali

della testa. Non si tratta, tuttavia, di una semplice corrispondenza fra forme animali e

forme del volto (…) Del resto, neppure i lineamenti o i tratti animali rappresentano

semplici forme animali, ma sono piuttosto l`espressione di spiriti che animano le

parti ripulite, che tirano la testa, che individualizzano e qualificano la testa pure priva

del volto. (…) Può accadere che una testa d`uomo sia sostituta da un animale, ma

non si tratta, tuttavia, di un animale in quanto forma, piuttosto dell`animale in quanto

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puro tratto, per esempio il tratto fremente di uccello che si avvita sulla regione del

volto ripulita (…) Può accadere che un animale reale, un cane per esempio, venga

rappresentato come l`ombra del suo padrone o che invece l`ombra umana assuma

un`esistenza animale autonoma e indeterminata. L`ombra fugge dal corpo come un

animale che esso custodiva nel suo intimo. In luogo di corrispondenze formali, la

pittura di Bacon contiene una zona di indiscernibilità, di indecidibilità che si

frappone fra l`essere uomo e animale. L`uomo diviene animale, ma non senza che

l`animale divenga spirito, spirito umano, spirito fisico dell`uomo raffigurato allo

specchio come Eumenide o Destino. Non si tratta mai di una pura combinazione di

forme; è piuttosto il fatto comune: il fatto comune dell`uomo e dell`animale, al punto

che anche la più isolata Figura baconiana costituisce già in sé una Figura accoppiata,

la Figura dell`uomo accoppiato al suo animale in una tauromachia latente.” (Deleuze,

1981)

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98

CAPITOLO QUINTO

L`animale nell`arte contemporanea

5.1 Considerazioni introduttive

Abbiamo visto come gli animali fino alla prima parte del Novecento e a

conclusione di un processo plurimillenario, siano stati interpretati e utilizzati dagli

artisti e dalle diverse culture di volta in volta come veicoli di sentimenti umani, segni

del disordine e del dramma, specchi dello sdoppiamento dell`uomo, volti dell`Altro

che si intende riconoscere o negare, e immagine dell`uomo stesso di fronte alla

verità.

Si è anche visto, tramite l`analisi filosofica di Agamben e di Deleuze e alle

osservazioni di Villa e Berthou, quanto il dibattito sull`uomo, sull`animale e

sull`animalità, sia attuale, di un`importanza tale da travalicare i confini dell`arte

stessa.

Oltre alle considerazioni di natura filosofica, anche gli studi più recenti

avvenuti nel campo dell’etologia e della zooantropologia circa il rapporto tra l’uomo

e gli animali pongono delle questioni essenziali:

“Sono davvero prospettabili nuove cosmologie etologiche agli esordi del

Terzo Millennio? Già dalla fine di quello che ci siamo appena lasciati alle spalle i

rapporti tra noi uomini e (altre) specie animali sembrano profondamente mutati”

(E.Alleva, N. Tiliacos, 2003).

Numerosi studi già a partire dai primi anni novanta hanno mostrato come si

andasse assottigliando sempre più il limite tra umanità e mondo animale. Come si

riverbera tutto questo sul lavoro degli artisti?

Secondo C.G. Jung “l'artista è stato, in ogni tempo, lo strumento rivelatore

dello spirito della propria epoca. (…) Consciamente o inconsciamente, l'artista dà

forma ai caratteri e ai valori tipici del suo tempo, e resta, a sua volta, condizionato e

formato da questi.”

La questione che pongo è: c’è forse una relazione tra l’uso di animali vivi o

morti che si è fatto nell’arte degli ultimi decenni e la mutata coscienza dei rapporti

Page 106: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

99

che intercorrono tra la nostra e le altre specie animali? Che cosa nasconde questa

ossessione per gli animali?

Lo vedremo in particolare rispetto all`opera di Joseph Beuys, un artista che ha

utilizzato gli animali sia vivi che morti nel proprio lavoro, ma in generale nell`arte

degli ultimi quarant`anni l`animalità ha giocato un ruolo estremamente importante:

come Beuys, che nella sua pratica artistica accordava un posto di primo piano alla

relazione con gli animali, numerosi artisti hanno fondato su questo tema la propria

ricerca, stabilendo con gli animali una relazione che di volta in volta si richiama alla

rappresentazione, all`impersonificazione, all`utilizzo delle bestie viventi o morte fino

alla creazione di nuove creature da laboratorio. Tra essi, solo per citarne alcuni: Ana

Mendieta, Annette Messager, Damien Hirst, Jannis Kounellis, Robert Rauchenberg,

Oleg Kulik, Eduardo Kac, Annette Messager. La lista dei soli artisti viventi che

attualmente operano con gli animali sarebbe assai numerosa. Prima di entrare nello

specifico dell`analisi dell`opera di Joseph Beuys, è interessante porre la domanda di

carattere generale: perché così tanti artisti si rivolgono agli animali?

L'animale e la realtà

Da una parte sembra che l`animale possa mettere in discussione l`idea di una

visione progressista dell`arte, liberando gli stessi artisti dalle coercizioni delle mode.

La presenza dell`animale si associa ai mezzi di espressione tradizionali quali il

disegno, l`incisione, la pittura e la scultura. Quasi che la forza vitale di cui l`animale

è testimone e portatore restituisse una nuova giovinezza a procedimenti artistici che

per altri versi stentano a trovare una loro attualità, fornendo agli artisti una possibilità

di inserimento concreto nell`arte contemporanea sfruttando tecniche tradizionali. Ma

l`animale ha da tempo conquistato anche i favori di tecniche innovative, a partire

dalla fotografia, e ha accompagnato l`emancipazione dei più recenti mezzi di

espressione artistica: al punto che lo si incontra nella performance, nelle installazioni

e nella videoarte. Così l`animale vivo, in carne e ossa, viene ad integrarsi nelle forme

artistiche più anticonformiste, generando imbarazzo sia nelle istituzioni preoccupate

di salvaguardare le belle arti quanto in quelle interessate alla tutela degli animali.

Page 107: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

100

Questo trionfo dell`animale, nel nostro mondo senza più illusioni, non è

dovuto solo al fatto che esso sia il veicolo di valori morali, come è avvenuto per

secoli. Si tratta sovente di un indicatore credibile, capace di rendere conto in modo

realistico dell`entità del disastro in corso sul nostro pianeta, di additare le lobby

industriali e agroalimentari o il fenomeno della manipolazione genetica.

Inoltre, l`entità della presenza degli animali nell`espressione artistica del

nostro tempo è tale da generare un confronto naturale con un`altra epoca in cui gli

animali sono stati molto popolari, l`epoca dei bestiari, le opere didascaliche

medievali in cui sono descritte e raffigurate qualità e caratteristiche di animali sia

reali che fantastici (unicorno, sirena, ippogrifo), interpretati spesso come simboli di

verità religiose. Essi costituivano per gli artisti romanici e gotici inesauribili repertori

da cui attingere motivi di animali e mostri per la decorazione scultorea. In

quell`epoca, l`introduzione della stampa permise l`affermazione implacabile della

logica della trasmissione della conoscenza. Oggi, con i potenti media e con Internet,

è il sistema binario a dettare legge, dando forma ad espressioni artistiche che ne sono

l`espressione. Troncando, esso disegna ovunque una medesima linea di

demarcazione tra spirituale e materiale, tra bene e male, tra alto e basso. Sul filo del

rasoio, gli animali eludono qualsiasi rigidità e si fanno rappresentanti della

complessità del mondo sensibile, che con essi reinveste la scena artistica. Così li

ritroviamo vivi o impagliati, delicatamente modellati o fusi nel bronzo, immortalati

dalla fotografia o sapientemente composti di pixel, disegnati o dipinti: in ogni caso

essi mantengono una forza vitale propria ed un enigma che li mantiene impermeabili

alle convenzioni estetiche e alle mode.

Inoltre, in quanto grande dominatore degli schermi, l`animale mette davanti

agli occhi degli uomini la propria indegnità, le sue copule varie e diversificate, la sua

fondamentale immoralità. Si può dire che gli animali raggiungano quel che il

Marchese di Sade esigeva dai repubblicani contro il sopore dello “stato morale”: la

brutalità primitiva e insanabile dell`animale, il suo aspetto fisico, sono una

provocazione permanente, funzionale al raggiungimento dello “stato di insurrezione

necessario” rivendicato dal divino marchese.

Page 108: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

101

Prova insistente di una natura demiurga, come sostiene Jacques Kerchache,

la stessa bellezza degli animali non si soddisfa di alcuna delle convenzioni della

“creazione”, neanche artistica: quando l`animale emerge, persino il più discretamente

possibile nell`opera d`arte più riuscita, di colpo non non c`è più niente da vedere se

non questa sua terribile nudità, quasi fosse il corpo del delitto. L`animale ruba la

piazza al suo potente creatore. Avendolo fatto entrare in scena, è l`artista stesso che

deve cancellarsi, compiacendosi al massimo nella propria negazione. L`osservatore

incidentale dell`opera poi, che la presenza dell`animale eleva temporaneamente a

cacciatore, si trova così costretto a sperimentare non solo il suo sguardo, ma

soprattutto il suo senso di ospitalità. La questione è: come accogliere la radicale

alterità di questo animale, il quale gli è allo stesso tempo così vicino e così lontano?

Se l`arte di oggi somiglia in qualcosa ad un Arca di Noè, è perché vi è un

urgenza. Che ne è oggi del suo rapporto con il reale e con il mistero? E della sua

funzione sociale?

Preso in prestito e piegato alle esigenze dell`antropomorfismo dall`industria

del disegno animato, trasformato in simulacro, presente nelle iconografie più

sdolcinate, manipolato dai tassadermisti più meticolosi, l`animale resta tale per

sempre. Continua a sfuggire ai suoi predatori come ai suoi protettori. Così come

l`arte stessa, l`animale osa ciò che è al di fuori della norma. Una risposta possibile

chiama in causa un`urgenza: in un momento in cui sempre di più l`uomo sta

perdendo il contatto con il reale, in una società che va verso la smaterializzazione,

l`animale sembra poter conservare all`uomo un sicuro ancoraggio con la realtà.

Page 109: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

102

5.2 Joseph Beuys

Avevo un`idea di quel che sarebbe stato il comportamento del coyote. Avrebbe potuto essere diverso.

Joseph Beuys (Krenfeld 1921 – Düsseldorf 1986) è stato tra i più discussi e

insieme stimolanti artisti europei tra gli anni Sessanta e Settanta, operando a tutto

campo, realizzando sculture, disegni, dipinti, installazioni, performances (azioni) e

impegnandosi anche sul terreno della politica e delle battaglie ecologiste con

l`obiettivo di estendere il concetto di arte a ogni aspetto della vita e di consacrare

l`artista, tra predicatore e sciamano, come coscienza critica della società. Per Beuys

ogni individuo libero e creativo è un artista che contribuisce alla realizzazione di una

collettiva “scultura sociale” (Soziale Plastik); desiderava infatti allargare la nozione

di arte alle azioni più quotidiane, estenderla a degli eventi che rivelassero della

politica o del sociale. L`arte concepita come autodeterminazione creativa ed in

quanto processo che genera la creazione permetterebbe così di liberare l`uomo e di

condurlo verso una società alternativa.

La teoria plastica

La teoria plastica è una posizione estetica elaborata dall`artista ed

estrapolabile dalla maggior parte delle sue opere, al punto da costituire il fulcro della

sua produzione. Per plastica Beuys non intende tanto l`oggetto prodotto da

un`attività manuale, fisica, bensì il risultato del processo di sviluppo dall`informe-

caotico-amorfo alla forma-composizione-struttura cristallina. La teoria plastica è

stata applicata da Beuys a tutti i campi dello scibile e dell`esperibile umano fino a

diventare chiave di lettura di fenomeni che normalmente tendiamo a considerare

estranei o lontani alla dimensione estetica. Nella logica di Beuys però, la sfera della

vita e quella dell`arte funzionano in base agli stessi meccanismi. Anche alla sfera

della vita egli ha dunque applicato la teoria plastica in un senso ampio che egli ha

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103

definito “concetto ampliato di arte”. Così facendo ha considerato processo plastico

tutto quanto l`uomo crea, realizza, inventa. Tutto diventa arte, anche la politica:

poiché essa si basa sull`arte oratoria, Beuys si è servito dello strumento verbale,

rilasciando interviste durante le quali ha trattato i suoi pensieri come se fossero delle

sculture da plasmare.

L`influsso di Steiner

Rudolph Steiner (1861 – 1925) è il fondatore dell`antroposofia. Essa è, in

breve, una disciplina che si fonda sulla convinzione che tutto l`esistente sia

analizzabile secondo processi analogici; presuppone l`esistenza di un mondo visibile

e di uno invisibile ma altrettanto reale; pretende inoltre di ricondurre lo spirituale

dell`uomo allo spirituale dell`universo. Richiamandosi in parte all`Idealismo tedesco,

Steiner è convinto che il processo conoscitivo, se adeguatamente impostato, non

conosca confini e che la realtà non sia che un graduale manifestarsi dello spirituale.

Applica metodi di analisi che vogliono essere scientifici.

È questo il contesto culturale cui Beuys ha consapevolmente aderito,

conferendo così un taglio particolare alla sua arte che, conformemente

all`impostazione steineriana, è un campo creato dall`uomo e si trova in una posizione

intermedia tra Idea (macrocosmo) e Realtà percepibile (microcosmo). Questo

giustifica in parte la sancita identificazione tra arte e vita estrapolabile da ogni opera

di Beuys e, di conseguenza, l`importanza attribuita a elementi autobiografici.

Lo strato simbolico esemplificato sugli animali

Mercurio è l`elemento di transizione tra uno stato e un altro, in grado di unire

i contrari, per esempio l`elemento femminile e quello maschile. Se in astrologia ed in

alchimia è mercuriale ciò che è capace di trasformazione, questo status è, nel mondo

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104

artistico di Beuys, tipico della lepre, del cervo, del cigno; tra i materiali, inoltre, è

proprio del grasso, della cera e del miele (Liveriero Lavelli, 1995).

È importante riflettere sul ruolo rivestito da alcune specie animali

nell`immaginario beuysiano, perlomeno per poter capire le intenzioni dell`artista.

Per cominciare, ogni animale rimanda a realtà ben precise e univoche: esso

diviene simbolicamente espressione di significati con i quali il legame è

indissolubile. Tutti i processi “animici” stanno in un rapporto di influenza reciproca

con i processi fisiologici quali, per esempio, la respirazione e la circolazione

sanguigna. Il cuore rappresenta l`organo centrale che riunisce in sé tutti i processi

ritmici ed emozionali. Sono in particolare il cervo e la lepre ad essere collegati alle

forze sanguigne:

“Le corna ramificate dei cervidi, durante la crescita il sangue vi scorre fino

alle estremità. La loro conformazione esterna riprende in modo visibile eventi propri

dell`apparato circolatorio, suggerisce i cicli di sviluppo ormonale, le diramazioni del

sistema nervoso. Il cervo è animale ctonio, accompagnatore di anime nell`aldilà.

Indica poi, con la sua presenza l`incombere di un pericolo. È orgoglioso.” […] “La

lepre svolge un ruolo simile a quello del cervo, ma è molto più specializzata nelle

forze sanguigne: nella lepre la parte emblematica non è come nel cervo, quella

superiore, ma il suo baricentro è spostato in quella inferiore, suggerendo un rapporto

molto stretto con la donna, con il parto, con il ciclo mestruale e in ogni caso con tutte

le trasformazioni chimiche del sangue. Per me la lepre è il simbolo

dell`incarnazione.” (cit in Liveriero Lavelli, 1995)

Animali-organi

Joseph Beuys faceva dunque intervenire gli animali nelle sue azioni. Secondo

l`artista, la malattia della civilizzazione, la “malattia dell`organismo sociale”,

proviene particolarmente dalla perdita della Natura, e una delle soluzioni è di

ritrovare la nostra animalità, sempre presente ma repressa, tramite la mediazione

degli animali che possono ricollegarci nuovamente ad essa. Beuys dialoga con

l'animale in quanto rappresentante della propria specie e anche per andare oltre, per

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105

entrare in contatto con l`anima collettiva di questa specie. La percezione di

quest`anima di gruppo apre la strada alla comprensione globale della realtà. Le

pietre, le piante, gli animali, forme di vita cosiddette inferiori, possono rendere

possibile l`accesso alle forme di vita cosiddette superiori. “Perché lavoro con degli

animali per mettere in evidenza delle energie invisibili? È perché si può dimostrare la

presenza di queste energie penetrando in un regno che l`uomo ha dimenticato e dove

sono all`opera delle potenze incommensurabili. E, quando cerco di conversare con lo

spirito di questa totalità di una specie animale, si pone la questione di sapere se si

potrebbe ugualmente comunicare con delle altre entità più alte… con queste divinità

e questi spiriti elementari…” (cit. in Tisdall, 1988).

In questo dialogo con l'animale c`è anche il problema della libertà. Gli

animali sono soggetti all`anima collettiva della loro specie e non possono agire

indipendentemente da essa. Altamente specializzati in campi determinati, sono

suscettibili di adattamento, certo, ma non possono, come l`uomo, sviluppare delle

nuove specializzazioni o dei nuovi modelli di pensiero. Dipendono da capi, cosa non

indispensabile per l`uomo. La loro situazione nell`evoluzione è fissata. L`uomo, al

contrario, è capace di esistere come individuo libero, perché la sua libertà risiede

nell`esercizio del suo pensiero. “L`essere umano non è, come l`animale, dipendente

dall`anima del gruppo: non può concepirsi se non come individuo libero.” (cit. in

Tisdall, 1988). È arrivato ad un punto dell`evoluzione in cui ha potuto rigettare

qualunque obbedienza verso i capi, le leggi del clan e le gerarchie degli dei. La

conoscenza di questa libertà coincide nel tempo con la crisi storico-critica, dove

l`impoverimento spirituale si accompagna al potere di distruggere il mondo. E il

paradosso di questa possibilità di libertà è che l`uomo, questo individuo libero,

confrontato alla società che ha creato, delega le sue responsabilità ad una minoranza

dirigente, il cui autoritarismo distruttivo e il cui potenziale distruttivo sono senza

eguali nella storia.

È anche il momento storico in cui una collaborazione con altre forme di vita

diviene più che mai necessaria. Solo, in virtù della sua libertà specifica, l'uomo può

stabilire delle interconnessioni tra le specie. “L`essere umano detiene la possibilità di

introdurre il cambiamento. Ha oggi la libertà di agire in funzione del carattere del

lupo o della volpe; domani, chissà? ”

Page 113: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

106

L`animale poi rappresenta la nostra animalità poiché esso è la parte rinnegata,

la parte selvaggia e occultata dell`uomo. Per Beuys l`animale non è una maniera di

raccontare gli uomini, prestando loro le attitudini e le intenzioni dell`animale stesso,

servendosi di lui per mettere in scena un racconto secondo una modalità

antropocentrica. Si tratta al contrario di mostrare che, se il racconto può essere

metaforico, la presenza di un animale nelle opere è da prendere come una realtà e

un`entità a sé stante, intera, nella misura in cui l`uomo riconosce nell`animale non un

essere inferiore ma un anello della sua propria evoluzione, un rappresentante della

propria specie. Nelle quattro grandi tappe che sono per Beuys il mondo minerale, il

mondo vegetale, animale ed umano, l`evoluzione non va semplicemente dal più

semplice al più complesso, ma rimonta in senso inverso, in una involuzione di tipo

creativo tramite cui l`uomo assume ogni forma di vita. Responsabile di queste forme

di vita e di spirito, per quanto infime possano essere, l`artista non ha per missione

quella di ritrovare un qualunque paradiso perduto ma di creare a sua volta il mondo

lui stesso, così come tutte le cose e tutti gli esseri che esso contiene. Al tempo stesso

le azioni di Beuys sono in parte delle applicazioni di nozioni derivate dalle scienze

naturali ma soprattutto delle verbalizzazioni dei nostri rapporti col mondo vivente

di cui facciamo parte. È in questo senso che per Beuys gli animali sono un

frammento di noi stessi e possono essere considerati come i nostri “organi”.

Piuttosto che vedervi delle similitudini direttamente fisiche – anche se alcune sono

parzialmente corroborate dai trapianti di animali nell`uomo – bisognerebbe

comprendere anche lì metaforicamente una tale prassi, senza escludere il fatto che

essa si appoggia su delle basi fisiologiche, su di una continuità dell`evoluzione delle

specie poiché, per Beuys, l`uomo è prima di tutto un essere della natura e in seguito

della cultura.

Le azioni animaliste di Beuys devono dunque essere sempre comprese sotto

questi due aspetti, al tempo stesso oggettive in rapporto ai dati naturali, e soggettive

– ovvero fortemente soggettivistiche e senza alcun altro fondamento che quello della

parola sciamanica – quando sono sottomesse alla creatività dell`artista. Non si può

negare che noi facciamo parte delle innumerevoli specie animali, e dialogando con

gli animali Beuys ricrea l`animalità contenuta in ogni uomo. Eppure, non si tratta di

Page 114: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

107

una regressione verso quello che i neurobiologi chiamano il “cervello rettile”, sede

delle pulsioni e delle violenze umane, piuttosto di una ricreazione e trasformazione

di questa parte di natura di cui siamo costituiti. Solo l`uomo ricorre alla violenza,

alla crudeltà, alla morbosità, nozioni culturali assenti nell`animale selvaggio che, di

per sé, è precisamente in una relazione naturale col suo ambiente: tutto quello che è e

che fa è naturale. Beninteso, Beuys è cosciente del fatto che il nostro sviluppo

culturale ci ha separato da questa relazione con la natura, e non si tratta di ritornare a

questo stato originario, ma di creare, a partire dalla nostra situazione nel mondo, una

libertà umana che possa essere comparabile con lo stato di natura presso l`animale.

Si tratta per Beuys di una forma di simbolizzazione, una plastica, secondo le sue

parole, dove gli scambi con gli animali sono realizzati in vista di umanizzare

l`uomo.

Certamente l`opera che ha preso corpo negli oggettti, nelle azioni, nelle

parole, è stata anche una sorte di redenzione della sua vita personale, e tramite ciò il

suo compimento: sappiamo che Beuys, che sarebbe divenuto più tardi il medecine

man, il guaritore, aveva dato numerose volte la morte a bordo del suo Stuka (caccia-

bombardiere) in quanto pilota nella Luftwaffe; dunque il suo interesse per ciò che

non era stato ancora infangato dall`uomo può essere ugualmente inteso come la

riconciliazione con la propria infanzia come con l`infanzia dell`umanità, che vedeva

incarnata negli animali. L`ontogenesi raggiungeva così la filogenesi e, dal punto di

vista della mitologia dell`artista, la sua vita e il suo mondo trovandosi in perfetta

coincidenza, la coscienza individuale diveniva la libertà umana (Lageira, 2001).

Anche l`idea del “bestiario illustrato” si applica bene all`opera di Beuys, che ha

ricreato il proprio mondo animale. Dai suoi primi disegni fino alle sue ultime azioni,

l`animale è un tema ricorrente e in effetti illustra materialmente e simbolicamente le

idee dell`artista. Oltre alla lepre, al cavallo e al coyote, si ritrovano anche il cervo, il

cigno, l`elefante, lo sciacallo, l`orso, il rinoceronte, la cicogna, il daino, l`alce, l`ape,

il pesce, la capra, la renna, il montone, gli uccelli e tanti altri. Il famoso episodio

tartaro, avventura o leggenda originaria dell`opera di Beuys, si inscrive già nella

instaurazione di una continuità tra mondo animale e umano, poiché sono delle parti

organiche di animali che contribuirono a salvare Beuys da una morte certa durante

l`inverno 1943, quando il suo aereo, abbattutto dalla DCA russa, si infranse dietro le

Page 115: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

108

linee tedesche in Crimea: il racconto ci dice che Beuys deve la sua sopravvivenza a

un gruppo di nomadi tartari che scoprirono lo Stuka abbattuto e nella neve profonda

il pilota gravemente ferito. Dopo averlo trasportato in una delle loro tende, curarono

con dedizione quest`uomo il quale, per otto giorni, rimase incosciente, e alleviarono

le sue ferite molto gravi con del grasso animale, lo avvolsero con del feltro

(generalmente fabbricato con della pelle di lepre) per riscaldarlo e aiutarlo a

conservare il calore del corpo, e lo nutrirono con latte cagliato e formaggio. Questa

storia è stata molto probabilmente inventata da Beuys: la sua veridicità è stata messa

in discussione a partire dal 1980. Si può dire certamente che si tratti di un racconto

mitologico, la cui veridicità importa poco nella misura in cui serve a corroborare

retrospettivamente i lavori realizzati da Beuys durante gli anni Sessanta, e che faccia

parte ormai della sua opera. Esso andrebbe preso dunque come un fatto plastico

integrato al progetto estetico, un evento immaginario in seno alla finzione artistica.

Si può dire dunque che Beuys abbia estetizzato l`ordine naturale tramite degli

slittamenti continui dalla realtà al mito (Lageira, 2001).

Gli animali e le Azioni

Prima di analizzare nello specifico Coyote, I like America and America likes

me, ricordiamo alcune azioni di Beuys in cui sono comparsi degli animali.

La lepre apparve fisicamente nel 1963 nella prima azione Fluxus di Beuys

intitolata La Sinfonia siberiana, composta materialmente di un pianoforte, di

monticelli di argillla messi su quest`ultimo e nei quali erano stati piantati dei rami di

pino, e di un quadro nero al quale era sospesa una lepre morta. Dopo aver suonato

una delle sue composizioni, e mentre viene diffuso un brano di Satie, Beuys fa

partire un filo di ferro dal piano facendolo passare attraverso i monticelli di terra e lo

collega alla lepre, di cui ascolta poi il cuore, per terminare con qualche iscrizione sul

quadro.

Lo stesso anno a Copenaghen realizza un`altra azione, Il capo (rifatta nel

1964 a Berlino e in occasione della quale farà intendere una registrazione del bramito

del cervo con lo scopo di dimostrare “i suoi poteri sulle anime”), che si svolge dalle

Page 116: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

109

quattro del pomeriggio a mezzanotte. Beuys è disteso nella galleria, avvolto in un

fodero di feltro di 2,25 cm di spessore, alle estremità del quale sono disposte due

lepri morte; due blocchi di margarina di 167 cm di lunghezza sono poste sul suolo e

contro i muri di sinistra e di destra, e a 165 cm dal suolo sono appese una ciocca di

capelli e due unghie, a lato di Beuys si trova il suo bastone avvolto in un altro fodero

di feltro. Mentre sono diffusi dei brani musicali di Andersen e Christiansen, si odono

ugualmente, grazie ad un microfono piazzato all`interno del fodero dove si trova

l`artista, i suoi grugniti, i suoi sibili, i battiti del suo cuore, il respiro, le lettere

dell`alfabeto pronunciate a caso. A mezzanotte, ad azione terminata, Beuys dialoga

col pubblico. In un`altra azione del 1963, Eurasia (l`Eurasia è la patria mitica

dell`artista, un luogo di passaggio delle migrazioni umane ed animali), interveniva

ugualmente una lepre morta le cui zampe erano attaccate a quattro lunghe e sottili

aste di legno, come dei trampoli, ed una quinta gli passava parallelamente lungo la

colonna vertebrale: Beuys la prendeva sul suo dorso, e scriveva delle cose su un

quadro nero.

L`azione di tre ore intitolata Come spiegare la pittura ad una lepre morta,

che si svolse nella galleria Schmela a Düsseldorf nel 1965, era chiusa al pubblico, il

quale poteva vederla soltanto attraverso la finestra o in una diffusione video. Beuys

era seduto su uno sgabello, la testa spalmata di miele e ricoperta di foglie d`oro, e

teneva una lepre morta tra le braccia, come si tiene un bambino. Sotto lo sgabello, il

quale aveva un piede ricoperto di feltro, c`erano due ossa in cui si trovavano dei

microfoni che permettevano di intendere Beuys che spiegava l`arte alla lepre,

passeggiando di quadro in quadro, ma in modo tale che le parole ed i suoni appena

udibili fossero incomprensibili per il pubblico. “La lepre è in rapporto diretto con la

nascita. Per me, la lepre è il simbolo dell`incarnazione […], si interra, si scava una

tana. Quel che fa la lepre, incarnarsi profondamente nella terra, l`uomo può farlo in

modo radicale solo grazie alla sua intelligenza, con l`aiuto della quale egli sfrega,

urta e scava la materia (la terra) al fine di penetrarne le leggi.” (cit. in Lageira, 2001)

L`azione Titus-Iphigenie, del 1969, metteva in scena un cavallo bianco vivo,

in piedi sopra una lastra di ferro. Degli altoparlanti diffondevano una lettura di

estratti del Titus-Andronicus di Shakespeare, e dell`Iphigenie auf Tauris di Goethe.

Di tanto in tanto, Beuys stesso declamava degli estratti dalle pièces e colpiva dei

Page 117: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

110

cimbali; a ciò veniva ad aggiungersi il rumore degli zoccoli del cavallo che

grattavano la tavola di ferro, amplificato grazie ad un microfono.

Coyote, I like America and America likes me

In questa azione, che risale al 1974, Beuys, avvolto interamente nel feltro,

viene trasportato in ambulanza fino all`aereoporto di Düsseldorf da cui parte per

New York; giunto all`aereoporto Kennedy, sempre coperto di feltro e in ambulanza,

è trasportato alla galleria René Blok dove lo attende un coyote selvatico con il quale

resterà chiuso durante una settimana. All`inizio innervosito e sospettoso verso

l`intruso, smembrando il feltro con le sue zanne, il coyote finirà per stabilire dei

legami amichevoli con Beuys il quale, una volta terminata l`azione, ripartirà per

Dusseldorf nelle medesime condizioni del suo arrivo.

La chiave di Coyote è l`idea di trasformazione: trasformazione dell`ideologia

in idea di libertà; trasformazione del linguaggio in un concetto molto più profondo,

quello della più potente forza evolutiva; trasformazione del discorso in un dialogo di

energie ( passaggio dal discorso volontario a delle categorie nuove).

Nell`orchestrazione di Coyote, gli elementi generali erano: il tempo, il ritmo,

il movimento, il colore, la luce e il suono; e gli strumenti utilizzati: il bastone, i

guanti e la torcia elettrica – coperti di un tono scuro caro a Beuys – così come i due

grandi pezzi di feltro grigio, le pile rinnovate del Wall Street Journal, il triangolo e

la registrazione dei motori delle turbine.

Tutti questi strumenti erano già stati usati sotto delle forme e a degli stadi

diversi in altre attività di Beuys. Essi sono i fonemi del suo linguaggio, le parole del

suo vocabolario, forse dei “segni di riconoscimento” impiegati per mantenere una

continuità, al modo delle idee e dei temi che riappaiono sotto forme modulate e in

contesti differenti. Occorre vedervi una dimostrazione della plasticità potenziale del

linguaggio e un metodo relativo all`applicazione del già noto a situazioni nuove, man

mano che si presentano: “ Usa quello che hai già; non pensare che occorra trovare la

formula perfetta.” (cit. in Tisdall, 1988).

Page 118: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

111

Questi elementi, tuttavia, sono ancora di più delle parole di un vocabolario.

Essi sono qui veicolo di esperienze, mezzi di trasmissione e di comunicazione.

Ciascuno di essi è portatore di numerosi strati di significato, sia specifico, sia

universale. Occorre vedervi non dei semplici simboli, ma dei sostituti di energie e

degli strumenti che permettono di rendere quei simboli percepibili e trasparenti. Non

si tratta mai di oggetti esoterici, ma di oggetti famigliari, quotidiani, presentati in

modo insolito e che acquisiscono in tal modo un nuovo insieme di connotazioni,

corrispondenti ad una nuova pratica di Beuys. È nello stesso senso che l`artista,

allorchè utilizza il linguaggio parlato, si sforza di infondere una risonanza ed un

senso nuovi a delle parole essenziali – come fraternità, democrazia, libertà – divenute

vuote astrazioni. Nella riabilitazione di queste parole, egli accorda altrettanta

importanza al modo in cui sono dette e a ciò che esse dicono: “Cantate: Democrazia”

(ibid.).

Il coyote

“Prima di tutto, ho portato sul posto il feltro; in seguito la paglia condotta col

coyote. Immediatamente, noi due facemmo lo scambio di questi due elementi: lui

andò a dormire nel mio territorio, ed io nel suo. Il coyote utilizzò il feltro, ed io la

paglia. Era quello che avevo previsto. Mi ero fatto un`idea di quale sarebbe stato il

comportamento del coyote…avrebbe potuto essere diverso. Ma tutto si è svolto bene.

Ho fatto, sembra, una giusta stima della congiuntura spirituale… ho stabilito

veramente un buon contatto con lui” (ibid.).

I due pezzi di feltro, benchè simili, avevano due funzioni distinte L`uno era la

forma, avvolgente e trasformabile; l`altro, l`equivalente della paglia, il cumulo da cui

emergeva la luce della lampada elettrica. Il feltro, che nelle azioni di Beuys riveste il

doppio ruolo di “isolante” in senso morale ed in senso termico, gioca qui un ruolo

specifico: isolando Beuys dal resto dell`America, e trasmettendo del calore

all`animale. “Il mio proposito era di tenere nelle mani i poteri dell`Occidente e di

apparire come un essere proveniente dall`anima del nostro gruppo. Dovevo

presentare al coyote un potere parallelo, ma anche mostrargli che era un essere

Page 119: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

112

umano a parlargli, collaborando al tempo stesso con la divinità dell`anima del suo

gruppo. Perciò ho adottato dei comportamenti molto diversi: quello di un

personaggio ieratico, di un pastore; quando uscivo fuori dal feltro, quello di un uomo

completamente ordinario; oppure con il mio cappello completamente deformato,

quello di una vera figura da circo.

42.

“Volevo imprimere a tutto ciò un bel bilanciamento ritmato, prima di tutto

per ricordare al coyote ciò che si potrebbe chiamare la genialità specifica della sua

specie, poi per dimostrargli che anche lui detiene delle virtualità di libertà e che, per

la produzione di libertà, la sua collaborazione ci è necessaria ed importante.” (ibid.).

L`ambiguità dell`uso del feltro nelle azioni, sia in quanto isolante che come

generatore di energie, si esprime ugualmente nel bastone eurasiatico.

Perché gli accessori di Coyote erano dipinti di bruno? Perché occorreva che il

feltro fosse grigio? “ Questi colori, bruno e grigio, sono neutri. Sono, in effetti, dei

colori scoloriti. Il feltro, per esempio, non avrebbe potuto essere rosso e bianco. Il

mio intuito mi dice che ogni luminosità deve essere completamente occultata. Il

Page 120: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

113

bruno è un rosso mascherato di un sovraccarico spesso – volontà di forma sculturale.

Il bruno è la terra, il rosso primario condensato, il calore tellurico, il sangue rappreso.

Grazie a questa condensazione e per contrasto, i colori della luce, o colori dello

spettro, risaltano e sono intensificati.” (ibid.).

Tra gli elementi dipinti di bruno vi era la lampada elettrica. “La lampada

elettrica era un`immagine dell`energia. All`inizio, c`era questa riserva di energia

accumulata e , in seguito, il suo indebolimento progressivo nel corso della giornata,

fino a quando non occorreva cambiare le pile. Ma si osservava una corrente contraria

curiosa: la corrente energetica del coyote andava nel senso opposto. Verso sera,

quando la luce della torcia elettrica e quella del giorno stavano declinando. Ciò che

colpiva era il modo in cui gli occhi del coyote si regolavano sulla luce della torcia e

il fatto che, sdraiato sul feltro, dirigeva sempre il suo sguardo nel senso dei raggi

luminosi. Il corpo della lampada era nascosto nel mucchio di feltro: “Non volevo

mostrarla in quanto apparecchio tecnico. Non doveva essere, in questo mucchio

grigio, che una fonte di luce, un astro, il chiarore di un sole declinante o la

luminosità vacillante delle stelle.” (ibid.).

Il bastone eurasiatico gli serviva da conduttore di energia. I differenti modi in

cui veniva tenuto in Coyote indicavano tre direzioni di corrente. “Il bastone divenne

il prolungamento della mia testa, che si inclinava davanti al coyote con una sorte di

venerazione. Non lo lasciavo con lo sguardo e mi giravo secondo la direzione dei

suoi minimi spostamenti. È così che venne alla luce l`idea di un orologio spirituale.

È importane sottolinearlo, perché, in ogni circostanza, senza eccezione, i miei atti si

regolarono in modo assoluto su quelli del coyote. Quando si avvicinava verso di me,

mi inchinavo davanti a lui; quando si accucciava, mi inginocchiavo; quando si

addormentava, cadevo al suolo. E quando si svegliava di soprassalto, mi rialzavo

anch`io di scatto gettando il feltro. È così che si svolgeva il ciclo.” (ibid.).

In quel momento, Beuys batteva bruscamente sul triangolo, “poiché vi era

generalmente un po` troppo nervosismo nell`atmosfera, Questo segnale

reintroduceva il ritmo semplice del ciclo e ristabiliva la regolarità del clima.” (ibid.).

In Coyote, c`erano due tipi di suoni: tre colpi secchi battuti sul triangolo,

seguiti da dieci secondi di silenzio, poi l`esplosione di un frastuono di turbine

durante venti secondi.

Page 121: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

114

Il ruolo del triangolo era di interrompere ed armonizzare. Le turbine

servivano a trasmettere una vitalità caotica.

“Il triangolo era il segnale di un richiamo all`ordine della coscienza del

coyote. Contribuiva a ristabilire l`equilibrio dei suoi movimenti.

“Il fracasso delle turbine avea un rapporto con la nozione di energia

indeterminata. Ci si potrebbe vedere uno stretto parallelo con il mio uso del grasso

nelle mie sculture e nelle mie azioni, nel momento in cui io lo introduco, nella sua

non-consistenza caotica. Il triangolo ha proprio la forma dei contorni della parete

anteriore della Fettecke, o “angolo di grasso”, delle mie sculture: un triangolo

equilatero, nel quale l`indeterminato si integra totalmente ad una forma matematica

determinata.

“L`urlo delle turbine era anche l`eco della tecnologia dominante: l`energia

che resta senza impiego, l`energia che alla fine esercita, di conseguenza, degli effeti

caotici e distruttivi.” (ibid.).

Strumenti di libertà

Al termine di ciascun ciclo, Beuys gettava i suoi guanti dipinti di colore

bruno al coyote, che manifestò per questi “giochi” un affetto particolare.

“I guanti bruni rappresentavano le mie mani, la libertà di movimento di cui

l`uomo dispone grazie alle sue mani. Esse hanno infatti la possibilità di fare una

quantità di cose, di usare un`immensa varietà di strumenti. Esse possono colpire con

un martello, tagliare con un coltello, scrivere, modellare degli oggetti. L`universalità

delle attitudini è la caratteristica significante delle mani umane. Esse non sono

obbligate a specializzarsi, ed il ricco potenziale delle loro capacità deriva dal fanto

che ad una funzione specifica, come gli artigli dell`aquila. Gettando i miei guanti a

Little John, gli significavo che poteva giocare con le mie mani.

“L`universalità umana: il contrasto assoluto con il giornale finanziario, il

Wall Street Journal, il quale incarna senza ambiguità l`ultima rigidità cadaverica che

affligge il pensiero in merito al capitale (nel senso della tirannia esercitata dal denaro

e dal potere). Un sintomo dei nostri tempi… È anche un aspetto degli Stati Uniti. Ma

Page 122: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

115

è ancora di più un`interpretazione del denaro e dell`economia, una fissazione

inorganica che non ha altro fine se non la produzione di beni materiali…

“Così terminava la sequenza; ma, poiché si trattava di una sequenza ciclica, si

poteva dire che fosse al tempo stesso una fine ed un inizio: la congiuntura che

generava il ciclo seguente. È l`istante in cui tutto ridiviene possibile e in cui un

nuovo ciclo si scatena.

“Tali erano gli strumenti di Coyote, e tale era il ciclo. Se lo facessi qui con un

orso, sarebbe differente. È vero… potrei farlo, qui, con un orso… ” (ibid.).

Considerazioni conclusive

I molteplici riferimenti e significati delle azioni di Beuys con gli animali

affondano nell`alchimia, nelle religioni, nei miti, nella filosofia e nelle scienze

naturali. Si possono tuttavia sottolineare alcuni tratti comuni fondamentali.

Innanzitutto la comunicazione con l`animale, sia che si tratti di linguaggio

gestuale o verbale, per la quale Beuys si presenta come il mediatore tra il mondo

animale ed il mondo umano, e tenta di far passare il messaggio spiritualista del

rispetto per ogni forma di vita. Per farlo, dobbiamo ricollegarci al regno animale di

cui facciamo parte, ed è per questa ragione che nelle azioni Beuys metteva dei

grugniti, dei suoni strani, delle grida, dei sibili, per avvicinarsi ad un linguaggio

animale che egli trasponeva e traduceva in linguaggio umano tramite la forma che

prendeva l`azione.

Un`altra parte importante di questo scambio è l`idea della responsabilità di

fronte agli animali e alla natura in generale. Nel 1966, Beuys aveva già fatto un

passo avanti in questo senso fondando il Partito politico degli animali, e nel 1978

venne redatta la Dichiarazione universale dei diritti dell`animale. “Perché lavoro con

degli animali per mettere in evidenza delle energie invisibili? È perché si può

dimostrare la presenza di queste energie penetrando in un regno che l`uomo ha

dimenticato e dove sono all`opera delle potenze incommensurabili, di considerevole

portata. E, allorché cerco di conversare con lo spirito di questa totalità di una specie

animale, si pone la questione di sapere se non si potrebbe ugualmente comunicare

Page 123: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

116

con altre entità più alte… con queste divinità e questi spiriti elementari.” (cit. in

Tisdall, 1988) La comunicazione tra l`animale e l`uomo è resa possibile solo a

partire dal momento in cui quest`ultimo si responsabilizza nei confronti del primo, e

ciò poiché nel pensiero di Beuys l`idea di continuità e di concatenazione è

fondamentale.

La nostra responsabilità verso gli animali non è dunque un fatto di cultura ma

un fatto di natura: noi siamo una parte del mondo animale, gli organi-animali di

questo mondo. Largamente reinterpretati in termini plastici, i dati naturali sono resi

un poco deformati e irriconoscibili: i riferimenti legati all`iconografia artistica o al

simbolismo degli animali di cui si servirà Beuys nelle sue azioni sono certo delle

produzioni della cultura, ma piuttosto che prenderli soltanto come riferimenti e

convenzioni, egli li riattiva conferendogli un potere reale e vivente, nel senso che le

pratiche di Beuys non erano ai suoi occhi dei progetti unicamente formali e plastici,

ma un profondo impegno nella trasformazione della società e dell`uomo attraverso

l`arte.

Il rituale, lo sciamanesimo, la mitologia, l`alchimia, l`antroposofia, il

romanticismo, tutti questi tratti ricorrenti dell`opera di Beuys riappaiono nelle azioni

animaliste sotto la forma del sacro, del vitalismo, dell`energia, dell`istinto,

dell`emblema totemico, etc., per comporre la gigantesca scenografia del dramma

esistenziale.

Beuys ha sempre avuto la preoccupazione di riconciliare l`uomo con la

natura e con la sua natura rendendolo responsabile della sua libertà, nozione da

prendere qui in senso filosofico, e senza dubbio nel senso molto prossimo che gli

dava Heidegger quando parlava dell’essere-per-la-morte. In Beuys, questa idea è

fondata ontologicamente e si trova legata, come in Heidegger, alla verità dell`essere,

e singolarmente alla verità in arte. L`arte è per Beuys un`attività che permette di

respingere la sofferenza e la morte trovando la verità, e la pratica dell`arte in società

e tramite la società è una maniera di educare le persone perché esse possano

comprendere ed assumere questa libertà alla luce della verità dell`essere. In questa

prospettiva, per Beuys l`opera d`arte non può essere che generale o totale poiché

deve assumere tutte le specie e tutte le cose, essa deve assumere e salvare l`essere

stesso del mondo. Lavorando con i minerali, i vegetali, gli animali e gli esseri umani,

Page 124: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

117

Beuys allargava la sua idea di scultura totale, che includeva, in un processo di

vivificazione personale, tutte le forme esistenti, dalla più piccola pietra al gruppo

umano più largo possibile, ovvero l`umanità. Al momento delle azioni con gli

animali, questi ultimi sono non soltanto i simboli di questa lotta dell`uomo con la

propria morte per la conquista della sua libertà, ma ne sono gli attori: la lepre può

simboleggiare il ciclo della vita e della morte, l`attraversamento della materia poi la

rinascita, ed il cavallo può essere compreso anch`esso come il simbolo della morte,

poiché conduce lo sciamano agli inferi.

Page 125: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

118

Conclusioni

A conclusione di questa tesi posso affermare che il legame profondo che ci

unisce agli altri animali traspare fortemente nell`espressione artistica: anche l`arte,

come numerose ulteriori produzioni culturali dell`uomo, se osservata al di là di una

visione antropocentrica, rivela un “debito” nei confronti degli animali.

Il termine animalità in effetti indica un concetto generale, che sta all`animale

così come il concetto di umanità sta all`uomo. Ma poiché anche l'uomo è un animale,

l'uno contiene l'altro e l'uomo stesso (con l'arte) trova posto all`interno di un

discorso sull`animalità.

Ho potuto così comprendere alcune delle più diffuse modalità con cui gli

artisti hanno inteso questa relazione. In primo luogo, sovente essi hanno visto negli

animali delle incarnazioni del sacro.

In alcuni casi gli artisti hanno utilizzato l'immagine animale per esaltare vizi e

virtù dell`umanità, in altri l'attenzione è stata posta sulla misteriosa parentela

anatomica, fisiologica e “caratteriale” tra l'uomo e le bestie.

Per altri versi il riferimento degli artisti all`animale è da intendersi nel senso

della ricerca o di un recupero di una energia di tipo animale.

Inoltre, per molti artisti questa relazione ha permesso la creazione di una

simbologia in grado di far emergere i propri fantasmi interiori fino a configurare una

mitologia di valore universale o archetipico, con riferimento a tematiche profonde,

quali per esempio la morte, la violenza e la sessualità. L'animale si presta infatti a

divenire metafora della vita e della morte, oltre a rimandare alla realtà sensibile.

Il processo è giunto con l'arte contemporanea fino alla possibilità di

considerare l'animale come un partner attivo nella costruzione dell`opera, integrando,

se non addirittura prefigurando, la coscienza scientifica dei rapporti interspecifici.

Ma poiché arte e scienza non collimano, la visione di Beuys, che intende

l'animale in quanto rappresentante della propria specie e tenta di entrare in contatto

con elementi spirituali di questa, sembra di nuovo rinviare a quella ricerca del sacro,

che dall`uomo primordiale in poi contraddistingue la relazione tra arte e animalità.

Page 126: ARTE E ANIMALITÀ Tesi-Lorenzo-Bruschini

119

Indice delle figure

1. Grotte dell`Addaura – 14.000 A.C.

2. Grotte di Lascaux – 18.000-15.000 A.C.

3. Ciottolo proveniente da La Colombière – 15.000 A.C.

4. Rilievo del Grand Plafond di Rouffignac – 13.000 A.C.

5. Grotte di Gargas – 35.000-10.000 A.C.

6. Verrocchio - Bartolomeo Colleoni – 1479-83

7. Benvenuto Cellini – Busto di Cosimo I – 1545-48

8. Giambattista Della Porta – Tavole dal De humana physiognomia – 1586

9. Giambattista Della Porta – Testa di Vitellio comparata con quella del gufo – 1586

10. Charles Le Brun – Rapporto della figura umana con quella dell`aquila – 1660-70

11. Otto Dix – I sette peccati capitali – 1933

12. John Heartfield – War and Corpses: The Last Hope of the Rich – 1932

13. Francisco Goya – Capriccio n. 19 – 1797

14. Francisco Goya – Capriccio n. 21 – 1797

15. Francisco Goya – Capriccio n. 37 – 1797

16. Francisco Goya – Capriccio n.38 – 1797

17. Francisco Goya – Capriccio n. 39 – 1797

18. Francisco Goya – Capriccio n. 40 – 1797

19. Francisco Goya – Capriccio n.41 – 1797

20. Max Ernst – Loplop présente – 1931

21. Max Ernst – Loplop présente – 1931-32

22. Max Ernst – Le Surréalisme et la Peinture – 1942

23. Victor Brauner – Recto: sans titre – 1945

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24. Victor Brauner – Tavolo-lupo – 1939-47

25. Pablo Picasso – Corrida: la morte del torero – 1933

26. Pablo Picasso – La Corrida: morte della donna torero – 1933

27. Pablo Picasso – Grande nudo con poltrona rossa – 1929

28. Pablo Picasso – Minotauro che violenta una donna –1933

29. Pablo Picasso – Minotauro e cavallo – 1933

30. Pablo Picasso – Dora Maar in forma di uccello – 1936

31. Pablo Picasso – Dora Maar seduta su una poltrona di vimini – 1938

32. André Masson – Pasiphae – 1945

33. André Masson – Labirinto – 1938

34. Salvador Dalì – Guglielmo Tell – 1930

35. Salvador Dalì – Il gioco lugubre – 1929

36. Alberto Savinio – La sposa fedele – 1930-31

37. Alberto Savinio – Autoritratto – 1936

38. Mino Maccari – Ilustrazione per Il Selvaggio

39. Mino Maccari – Tavola da Bestie del Novecento di Aldo Palazzeschi – 1951

40. Salvatore Marchese – Lotta di galli - 1980

41. Francis Bacon – Painting – 1941

42. Joseph Beuys – Coyote, I like America and America likes me – 1974

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