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Asc,0:S Scritti ascetici (Asc) Classe V Opuscoli e scritti teologico-ascetici e mistici Asc,2267a:S Modo di resistere alle tentazioni e vincere i rispetti umani Di mano Lanteri AOMV, S. 2,9,1:267 a Asc,2267a:T1 Modo di resistere alle tentazioni e vincere i rispetti umani Asc,2267a:T1 Nemo potest duobus… Nemo potest duobus dominis servire, dice il Signore. Due sono i padroni che ci sono proposti a servire: Iddio e il Demonio. Se noi viviamo secondo la ragione, conforme alla volontà di Dio, freniamo le passioni, osserviamo i comandamenti, serviamo Dio. Se noi secondiamo le passioni, viviamo secondo la concupiscenza, non ci curiamo della ragione, violiamo i comandamenti, serviamo il Demonio. O l'uno o l'altro conviene servire. A tutti e due assieme non si può, mentre si serve l'uno, si disgusta l'altro, ciò che propone l'uno dispiace all'altro, ciò che suggerisce questo, ripugna a quello, non possono unirsi Cristo e Belial. Dunque all'uno o all'altro dovete rinunziare quest'oggi: Nemo potest duobus dominis servire, aut enim unum odio habebit et alterum diliget. Lo assicura Cristo, colui che ha da giudicarci, colui a cui sta l'accettare per buono o no il nostro servizio. Dunque risoluzione quest'oggi: o rinunziare all'uno o rinunziare all'altro. Usquequo claudicatis in duas partes? Si Deus est Dominus, sequimini eum, si Deus est Belial sequimini Baal (3 Reg. 18) diceva Elia al popolo Ebreo. Asc,2267a:T2 Pensate a quale dei due volete rinunziare e dichiaratevi. Pensate che Cristo è tutta bontà, che non cerca che il vostro bene, che non cerca se non che viviate secondo la ragione, il suo giogo è giogo soave e dolce, che Egli è attento a soccorrervi, aiutarvi, è facilissimo ad accontentarvi, accetta fino la buona volontà quando non si può mettere l'opera. Egli poi promette, rimunera da Dio. I suoi seguaci poi sono coloro che vivono da uomini ragionevoli, sono sollevati in uno stato grandioso di amici, figli di Dio, eredi del paradiso, che se fanno fino i divertimenti presi per piacere a Dio, sono annoverati a merito eterno, partecipano di tutto il bene altrui, si godono una gran pace e tranquillità, principio poi di quella pace e tranquillità eterna che godrano in morte. Asc,2267a:T3 Pensate all'opposto che il Demonio è uno spirito maligno intento a farsi servire per perdervi, il suo comando pare facile, pare dolce, ma in verità egli è duro, se la metà solo si soffrisse di quel che si soffre talvolta per servire il Demonio, si soffrisse per Dio, sarebbe un gran santo; ed ancora difficilmente si contenta; pare anche che prometta molto, ma in verità è poco, e cose basse, vili piaceri e piaceri momentanei; e ancora più volte inganna, e suo carattere è mentire. I suoi seguaci poi sono coloro che s'assomigliano ai bruti col secondare che fanno bruttamente le passioni; il pascere che fanno le loro passioni, secondare i loro capricci, sono le loro grandi occupazioni. Il loro fine è il sudare per divenire miseri in questa vita e nell'altra: rimorsi di coscienza, l'inferno sono la loro certa eredità. Scegliete dunque e dichiaratevi eligite cui potissimum debeatis. Ma io punto non dubito che già vi siate dichiarati, vi siate arruolati sotto lo stendardo di Cristo, ed abbiate rinnovata la rinunzia fatta al

Asc,2267a:S Modo di resistere alle tentazioni e vincere i ... · Asc,0:S . Scritti ascetici (Asc) Classe V . Opuscoli e scritti teologico-ascetici e mistici . Asc,2267a:S . Modo di

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Scritti ascetici (Asc) Classe V Opuscoli e scritti teologico-ascetici e mistici

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Modo di resistere alle tentazioni e vincere i rispetti umani Di mano Lanteri AOMV, S. 2,9,1:267 a

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Modo di resistere alle tentazioni e vincere i rispetti umani

Asc,2267a:T1

Nemo potest duobus… Nemo potest duobus dominis servire, dice il Signore. Due sono i padroni che ci sono proposti a servire: Iddio e il Demonio. Se noi viviamo secondo la ragione, conforme alla volontà di Dio, freniamo le passioni, osserviamo i comandamenti, serviamo Dio. Se noi secondiamo le passioni, viviamo secondo la concupiscenza, non ci curiamo della ragione, violiamo i comandamenti, serviamo il Demonio. O l'uno o l'altro conviene servire. A tutti e due assieme non si può, mentre si serve l'uno, si disgusta l'altro, ciò che propone l'uno dispiace all'altro, ciò che suggerisce questo, ripugna a quello, non possono unirsi Cristo e Belial. Dunque all'uno o all'altro dovete rinunziare quest'oggi: Nemo potest duobus dominis servire, aut enim unum odio habebit et alterum diliget. Lo assicura Cristo, colui che ha da giudicarci, colui a cui sta l'accettare per buono o no il nostro servizio. Dunque risoluzione quest'oggi: o rinunziare all'uno o rinunziare all'altro. Usquequo claudicatis in duas partes? Si Deus est Dominus, sequimini eum, si Deus est Belial sequimini Baal (3 Reg. 18) diceva Elia al popolo Ebreo.

Asc,2267a:T2 Pensate a quale dei due volete rinunziare e dichiaratevi. Pensate che Cristo è tutta bontà, che non cerca che il vostro bene, che non cerca se non che viviate secondo la ragione, il suo giogo è giogo soave e dolce, che Egli è attento a soccorrervi, aiutarvi, è facilissimo ad accontentarvi, accetta fino la buona volontà quando non si può mettere l'opera. Egli poi promette, rimunera da Dio. I suoi seguaci poi sono coloro che vivono da uomini ragionevoli, sono sollevati in uno stato grandioso di amici, figli di Dio, eredi del paradiso, che se fanno fino i divertimenti presi per piacere a Dio, sono annoverati a merito eterno, partecipano di tutto il bene altrui, si godono una gran pace e tranquillità, principio poi di quella pace e tranquillità eterna che godrano in morte.

Asc,2267a:T3 Pensate all'opposto che il Demonio è uno spirito maligno intento a farsi servire per perdervi, il suo comando pare facile, pare dolce, ma in verità egli è duro, se la metà solo si soffrisse di quel che si soffre talvolta per servire il Demonio, si soffrisse per Dio, sarebbe un gran santo; ed ancora difficilmente si contenta; pare anche che prometta molto, ma in verità è poco, e cose basse, vili piaceri e piaceri momentanei; e ancora più volte inganna, e suo carattere è mentire. I suoi seguaci poi sono coloro che s'assomigliano ai bruti col secondare che fanno bruttamente le passioni; il pascere che fanno le loro passioni, secondare i loro capricci, sono le loro grandi occupazioni. Il loro fine è il sudare per divenire miseri in questa vita e nell'altra: rimorsi di coscienza, l'inferno sono la loro certa eredità. Scegliete dunque e dichiaratevi eligite cui potissimum debeatis. Ma io punto non dubito che già vi siate dichiarati, vi siate arruolati sotto lo stendardo di Cristo, ed abbiate rinnovata la rinunzia fatta al

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Battesimo e dichiarato guerra contro il Demonio, v'entra qui troppo il vostro interesse; rimane solo che io vi spieghi il modo di riportare la vittoria di questo infernale nemico. Il modo si è di odiarlo, odiare poi uno vuol dire disprezzarlo e cercare di danneggiarlo.

Asc,2267a:T4 Conviene dunque in primo luogo disprezzarlo, pertanto non trattenersi secolui quando tenta come fece Eva col serpente, ma voltargli subito le spalle dispettosamente e dirgli francamente, non voglio, vade retro Satana, anzi per maggior dispetto fare l'opposto. Vi tenta egli pertanto di peccato di gola o di libidine, voi appunto per questo comandatevi l'astinenza o fate voto di castità per quell'ora e così delle altre tentazioni. Conviene in secondo luogo cercare di nuocerlo, e lo nuocerete se v'impegnate a distruggere il suo regno, cioè procurando anzi d'impedire che altri offendino Dio, d'animarli al bene con buoni discorsi, di trarli seco voi alla Chiesa, alla dottrina, alla Messa. Ecco ciò che è odiare il Demonio, ecco l'officio di chi milita sotto lo stendardo di Gesù Cristo. Coraggio diletti, che quindi ne risulterà gran vantaggio, servirà a vostra pace e gloria. Servirà a vostra pace, perché il Demonio così sovente disprezzato, siccome è lo spirito superbo, cesserà di tentarvi trovando d'essere sempre vinto, anzi vedendo che nient'altro sa guadagnare se non che di servirvi da svegliarino per farvi esercitare la virtù opposta.

Asc,2267a:T5 In secondo luogo servirà a gloria vostra, imperocché se è glorioso scacciare i demoni dai corpi ossessi, sarà tanto più glorioso scacciarli dalle anime, impedire loro che non vi entrino, rubare loro delle anime per darle a Dio (ad imitazione di Davide con tutta facilità), e questo con quella generosità d'animo con cui Davide prostrò il Gigante Golia, scacciarli con frutto della Chiesa militante, come ad esempio S. Michele che scacciò i demoni dal cielo. Questa è la gloria che ci verrà dal disprezzare e cercare di nuocere al Demonio, gloria che tanto desideravano i Santi, che riportò il primo Cristo. Coraggio dunque diletti, conviene vendicarci del Demonio; il Demonio vi disprezzò, vi danneggiò; con altrettanto disprezzo e danno suo vendicatevi del disprezzo e danno che recò a voi stesso. Rinunziate ora come faceste nel Battesimo, rinunziategli nuovamente e ditegli: “Testimonio il Cielo e la terra: Maledetto Demonio.” Ma qui un grande ostacolo conviene che si scopra, perché suole trattenere tanti dal dichiararsi apertamente di fare guerra al Demonio, questo si è il maledetto rispetto umano. Vi dichiarerò pertanto cosa è il rispetto umano, i motivi e la maniera per vincerlo.

Asc,2267a:T6

Il rispetto umano… Il rispetto umano è una soverchia e sregolata dipendenza, quanto all'operare da vani giudizi, gusti e detti degli uomini, sicché per riguardo ad essi, ovvero tralasciamo di fare ciò che dovremmo: correggere chi pecca, abbassare gli occhi all'incontro d'oggetti pericolosi, mostrare pazienza e mansuetudine verso chi v'ingiuria, praticare in pubblico qualunque altra virtù, ovvero facciamo ciò che non dovremmo fare, lasciandoci trarre dai compagni, p.e. dalla Chiesa, proseguendo cattivi discorsi, approvando gli storti altrui sentimenti. Questo è che veggiamo accadere tutto dì anche contro il proprio volere, e quasi forzatamente per puro timore che comportandosi altrimenti, non vengano disprezzati e derisi come persone scrupolose, malinconiche, spiriti deboli. Questa è quella pietra d'inciampo per cui tanti precipitano all'inferno, conviene togliersela dai piedi, perciò ve ne proporrò i motivi per indurvi a farlo.

Asc,2267a:T6,1 1. Agnosce homo dignitatem tuam. Voi siete nati liberi e padroni di voi stessi, eccettuata la sommissione dovuta ai superiori, nelle cose però secondo Dio e la ragione. Ora è troppo gran viltà d'animo che chi nacque libero e padrone di se stesso, senza nessun bisogno e guadagno si sottometta come schiavo spontaneamente ad arbitri di persone uguali, o anche inferiori, lasciandosi tirare da costoro come schiavo a fare contro sua voglia, con dispiacere e per forza, ciò che crede di loro gusto, con suo proprio pregiudizio, senza aver cuore di contraddirli. Diletti, questa è bassezza

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d'animo troppo vergognosa e indegna di spirito nobile. E chi è colui che dobbiate vivere a suo beneplacito, e non piuttosto egli al vostro? Voi avere soggezione di lui, e non piuttosto lui di voi? Chi vi costringe a farvi servo senza nessun vostro emolumento, anzi con discapito notabilissimo? Eh! Mantenetevi nella vostra padronanza, di cui non v'ha di più onorevole all'uomo; si dica checché vogliono, fate voi liberamente ciò che giudicate meglio. Dipendano gli altri piuttosto dai vostri giudizi, non dipendete voi da essi.

Asc,2267a:T6,2 2. Chi sono costoro per cui vi ritraete dal fare del bene o vi muovete al male per timore dei loro detti o giudizi? Sono a giustamente stimarli una vile ciurmaglia di persone stolte e senza giudizio. Non sono già uomini savi e prudenti che vi scherniscano a cagione del vivere voi rettamente e fare il vostro dovere; che sciocchezza è dunque la vostra, portare loro tanto rispetto, e di tenere in sì gran conto quel che pensano o dicano di voi. Lasciatevi pure deridere da costoro. Vi faranno plauso gli Angeli e tutti anche gli uomini savi di questa terra; che se farete all'opposto vi applaudirà bene quella gente sciocca, ma vi disprezzerà Dio e la corte celeste, e diverrete esoso agli occhi di tutti i Santi: scegliete quel che più vi piace. Il condiscendere ad essi e muovervi alle loro dicerie sarebbe lo stesso che vedendo alcuni ubriachi in pubblica piazza totalmente ignudi, e sentendovi da essi burlare perché andate vestiti, per evitare le loro vanissime dicerie, vi denudaste ancora voi senza intanto curare il giustissimo scherno che vi meritereste presso tutti gli altri uomini savi e sani di mente.

Asc,2267a:T6,3 Il 3o motivo si è che tutti i loro giudizi, le loro dicerie che vi possono fare? Non hanno forza di torcervi neppure un capello, o recarvi un minimo danno, dove che se per essi offendete Dio, non potete a meno d'incorrere nella pena della sua disgrazia e del castigo d'un fuoco eterno. Anzi quand'anche per fare vostro dovere vi sopraffacesse qualche gran male dallo sdegno altrui, che sarebbe questo a paragone del fuoco eterno? Non sarebbe egli come chi per timore d'un cagnolino che gli abbaia, fuggisse a ricoverarsi dentro la caverna di un drago? Eh nolite timere eos qui occidunt corpus, animam autem non possunt occidere; sed potius timete eum qui potest et animam et corpus perdere in Gehennam (Matth. 10). Badate che mentre temete di dispiacere ai compagni, vi tirate addosso l'ira d'un Dio onnipotente; avete paura d'inimicarvi un uomo, v'inimicate un Dio; avete paura della morte del corpo, incorrete la morte dell'anima; ma che dico, morte del corpo, mentre si riduce poi tutto ad un motto, ad un viso torto, ad un gesto da scherno?

Asc,2267a:T7,1

I mezzi Ecco i motivi pressanti per spingervi a vincere arditamente con santa sfacciataggine i rispetti umani. Ve ne indicherò ora i mezzi. 1. È spacciarvi a fronte scoperta per vero cristiano, per giovane di buona coscienza, per fedele servo di Dio, parlare liberamente di Dio e dell'animo quando l'occasione si presenta, né ciò timidamente e a mezza bocca, ma con autorità, possesso e franchezza, come cosa che non può parere strana a cristiani, più che parere possa strano fra soldati parlare di prodezze, di vittorie. E questo vi bisogna massimamente nelle prime volte che incominciate trattare qualcuno. Sicché quegli prevenuto in tale guisa, non abbia poi ardire di opporsi al vostro virtuoso operare, che anzi invece di ritirarvi voi dal fare bene, egli piuttosto per vostro rispetto e per sua vergogna si trattenga dal fare male. Avviso di grande importanza. Poiché se i malvagi vi guadagnano la mano traendovi a seguire qualche volta il loro esempio, sempre più vi parrà difficile il resistere loro. Laddove portandovi così generosamente fin dalle prime volte, avrete per sempre vinti i loro vani gudizi, e vi lasceranno stare. Più ancora, diletti, non conviene contentarvi di difendervi così, ma conviene essere più arditi ed assalirli, non solamente non tralasciando di fare quel bene che volete fare, ma invitandoli ancora con possesso e da amico, anzi sforzandoli quasi a fare lo stesso. Talché se alcuno p.e. tentasse di ritirarvi d'andare alla Chiesa, voi lo prendiate francamente per mano in atto di volerlo tirare con voi stesso. Ora mio caro, sia questa mia dabbenaggine, o come volete chiamarla voi, avete questa sera a venire ancora

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voi, se mi siete amico. Vi conviene ad ogni modo avere pazienza, se volete essermi compagno, conviene adattarvi al mio gusto.

Asc,2267a:T7,2 Il 2o mezzo si è che se uno avesse provato più volte d'aver ceduto ai loro vani timori, e costoro abbiano acquistato predominio su di lui, e perciò sia difficile oltremodo il vincerli in altre occasioni, allora conviene fuggirli, abbandonarli, lasciarli. Sebbene sarebbe migliore rimedio per chi si sentisse abbastanza di coraggio, se si armasse d'una generosità cristiana e cercasse a bella posta conversare con essi, mentre così dopo due o tre vittorie, sperimentando quanto sia dolce la libertà, uscireste da quella servile schiavitù e riacquistereste la perduta autorità di operare a modo vostro.

Asc,2267a:T8 Questa è, diletti, la maniera di vincere i rispetti umani, ostacolo sì grande per la perseveranza nel servizio di Dio. Sicché, giàcché vi siete dichiarati di militare sotto il suo stendardo, conviene, non basta conviene, levarlo in alto, farsene gloria, dichiararsene apertamente, cercare anzi le occasioni per farsi conoscere e così sarà tanto più certa e sicura la vittoria contro il Demonio, e temerete nel dì del giudizio il terribile rimprovero di Cristo: Qui me erubuerit, erubescam et ego eum coram Patre meo.

Asc,2267a:T9 Coraggio dunque, diletti, alziamo oggi la bandiera di Cristo e dichiariamoci apertamente in faccia a tutto il mondo e innanzi a tutta la corte celeste. Testimonio ne sia il Cielo e la terra. Rinunziamo al Demonio come abbiamo fatto al Battesimo, rinunziamogli un'altra volta: Maledetto Demonio, ditegli, nemico giurato di Dio e degli uomini, calpesto la tua bandiera, mi dichiaro e mi dichiarerò sempre alla presenza di chiunque tuo perpetuo nemico di pubblica professione, e fermamente stabilisco e propongo di sempre ed in ogni cosa contrariarti, mai più in eterno dirò, farò, permetterò che si faccia, per quanto starà da me, cosa alcuna di tuo beneplacito. Abbimi pure dunque, finché vivrò, per tuo nemico perpetuo in ogni mia azione, e principalmente nell'ora di mia morte. Vade retro Satana, Dominum Deum meum adorabo et illi soli serviam. Così vi aiuti Dio e la Santissima Vergine. E badate quando dite nel Pater, et ne nos inducas in tentationem, di chiedere a Dio di resistere subito fin da principio e fortemente alle tentazioni, e dire con santa alterigia, Vade retro Satana. Nolo.

Asc,2267b:S

Regolamento della giornata, ossia distribuzione delle ore e delle azioni Di mano Lanteri AOMV, S. 2,9,1:267 b

Asc,2267b:T

Regolamento della giornata, ossia distribuzione delle ore e delle azioni 1. Vedere il bene dell'ordine, sia per provvedere alle occupazioni, per farne di più e farne meglio, sia per provvedere ai meriti, non intraprendendosi le azioni per impeto, e facendosi con metodo. 2. Vedere quante ore si possono assegnare al corpo, quante all'anima, quante restano alle occupazioni, e n.b. fissare l'ora del riposo e della levata. 3. Passare alle occupazioni in particolare. 1) Levarsi subito, e le orazioni vocali come si deve. 2) Meditazione con metodo. 3) S. Messa. 4) Studio o altre occupazioni di dovere (si tratta o di tesorizzarci l'ira di Dio, o travagliare al vento, o meritare in tutto) e per riuscirle pensare che sono tante commissioni del Padrone, consultare dunque la volontà di Dio, riferirle a Dio in principio e nel mezzo (verbo, rettitudine d'intenzione), evitare l'ozio. 5) Lettura spirituale. 6) Visita al Santissimo Sacramento (Liguori, Sposa). 7) Esame di coscienza.

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Asc,2267c:S

Metodo di vita cristiana ossia diario delle azioni Di mano Lanteri AOMV, S. 2,9,1:267 c

Asc,2267c:T1

Metodo di vita cristiana ossia diario delle azioni Fino i gentili dicevano che la perfezione dell'uomo consisteva nell'essere questi esatto a prevedere la mattina le sue azioni giornaliere, e cercare il modo di farle bene. Diogene era solito dire che prima d'uscire di casa si doveva riflettere a ciò che si doveva dire e fare, e come doveva dirsi e farsi, ritornato poi a casa esaminare come si sia passata la cosa. Pitagora diceva che due tempi si dovevano osservare la mattina per prevedere le azioni, la sera per esaminarle. Fin qui giunsero i gentili col lume della ragione, né era cosa difficile l'arrivarvi, perché se rimiriamo il cielo, tutto vi vediamo ordinato, se rimiriamo la terra, tutte pure le cose vi sono ordinate, era dunque ragione che anche nell'uomo tutto pure si ordinasse. Ed è per questo, diletti, che stamane voglio tesservi un catalogo delle azioni da farsi da voi. Ma m'avanzerò io ancora di più, e v'insegnerò (ciò che non seppero ritrovare i gentili) a far divenire di gran prezzo le vostre azioni. Si sudò tanto per cercare la pietra filosofale, e invano, ma l'ho ben trovata io, ed ho piacere di comunicarvela. Incomincio dunque dal primo svegliarsi d'un Giovane, vi additerò tutte le azioni da farsi fino alla sera ed il modo di farle divenire tutte oro. Attenti dunque, diletti.

Asc,2267c:T2,1

La mattina subito svegliati, alzatevi dal letto e alzatevi risolutamente, prestamente e religiosamente, prontamente. Non state a litigare col letto o mendicando scuse, pretesti, hora surgendi ne te trices, non fartela da pigro che sta rivoltandosi nel suo letto, come si rivolta l'uscio nel suo cardine, sicut vertitur ostium in cardine suo, ita piger in lectulo suo. Diletti, questa è cosa vile, restarsene così sonnacchiosi e come di piombo nel letto, d'ordinario neppure gli animali lo sogliono fare, perché fa freddo, perché si è dormito a sonni interrotti, perché il capo gli pesa. Diletti, il corpo è servo pigro che volentieri mentisce, non conviene lasciarsi prendere la mano, si è la vostra ragione che deve comandare. Quousque obdormis piger nisi consurgas e somno tuo veniet tibi quasi cursor egestas mentis et mendicitas spiritus quasi vir armatus. Se non v'alzate da letto prontamente, proverete funesti effetti: si perderanno per voi le mezz'ore, le ore intere, che tempo più perduto di questo, quando non v'ha niente di più prezioso del tempo; quindi mancherà il tempo per le vostre orazioni e obbligazioni, e avrete a renderne conto. Indebolendovi il corpo e offuscandovi l'intelletto, vi renderà tiepido tutto il giorno, quindi difficilmente adempirete i vostri obblighi o ne perderete il merito, o almeno lo diminuirete di certo, e più ancora vi sottrarrete tanti lumi, tante grazie che avreste sentite e ricevute, senza parlare poi del pericolo in cui più volte vi trovate d'offendere Dio per cagione di questa vostra pigrizia.

Asc,2267c:T2,2 Se poi siete solleciti ad alzarvi di letto, veniet tibi ut fons messis virtutum et egestas animæ longe fugiet a te. Si quæ cor tuum tradideris ad vigilandum diluculo ad Dominum, et in conspectu Altissimi aperueris os tuum in oratione, ipse spiritu intelligentiæ replebit te et diriget consilium tuum. Vigilanza dunque, diletti, la prima vittoria è principio di più altre, in questo che influisce in tutto il giorno mantenetevi padroni di voi stessi, alzatevi come se quelle piume si cangiassero in quei carboni ove giaceva S. Lorenzo. Subito svegliati sorgete, abbandonate prontamente il letto, come abbandoneranno il loro sepolcro i morti nel dì del giudizio, fingete che l'Angelo custode v'abbia svegliato e vi dica: Surge velociter, morieris tu et non vives, reddasque rationes villicationis tuæ, e

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principiate il vostro giorno ferventemente come se fosse il primo, cautamente come se fosse l'ultimo; se fosse il primo quanto sarebbe fervido, se l'ultimo quanto sareste cauti. Sorgete poi religiosamente mandando di quando in quando devoti sospiri dal cuore, come sogliono fare gli uccelletti quando cantano. I vostri primi pensieri ed affetti siano di Dio. Dio vuole primizie per sé, voi dovete dargliele. Fattovi il segno di croce, ditegli dunque di cuore: Mio Dio eccomi desto, eccomi ai vostri cenni, eccomi a fare la vostra volontà; Deus, Deus meus ad te de luce vigilo. Nel nome del Padre che mi creò, del Figliuolo che mi redense, dello Spirito Santo che mi santificò, sorgo ed incomincio questo giorno in onore ed ossequio della Ss. Trinità o di etc.

Asc,2267c:T2,3 Allorché vi vestite, ricordatevi che Dio vi vede, e portate rispetto al vostro S. Angelo custode e dite: “Vestitemi o Signore della veste nuziale della vostra S. grazia, acciò l'anima mia si presenti a voi in veste d'oro con la varietà delle virtù per ornamento”. Quando vi lavate dite: Amplius lava me, amplius munda me ut tibi placeam. Mentre vi mirate nello specchio, dite a voi stessi: Quid superbis terra et cinis, omnia vanitas præter amare Deum et illi soli servire. Pettinandovi, polverizzandovi: Memento homo quia pulvis es et in pulverem reverteris; memento pulvis quia homo es et in hominem reverteris.

Asc,2267c:T2,4 Vestito poi che siate, portatevi in un luogo fuori di disturbo, avanti una sacra immagine, e quivi invocate il Signore, venerate la Vergine santa, l'Angelo vostro custode, i vostri Santi protettori dicendo al vostro solito, il “Vi adoro”, l'orazione insegnataci da nostro Signore che è il “Pater”, la “Salutazione Angelica”, il “Credo”, la “Salve”, l'“Angele Dei”, raccomandatevi indi agli altri Santi: Omnes Sancti et Sanctæ Dei intercedite pro me, e farete bene se aggiungeste un atto di fede, speranza e carità per frequentarli e assuefarli a farli bene. Soprattutto poi ricordatevi d'indirizzare a gloria di Dio in unione del nostro spirito tutte le vostre azioni della giornata, quanto sarete per pensare di fare e soffrire, per non faticare invano con un breve sospiro: “Tutto si fa, ad te Domine dirigantur omnes vires et actiones meæ”. Indi alzatevi, prendete in mano il crocifisso, se l'avete, e ditegli: “Mio Dio, piuttosto morire che offendervi, neppure venialmente, deliberatamente, e m'asterrò massime dal N. Gesù, siatemi Gesù” e baciatelo.

Asc,2267c:T2,5 Ma perché la preghiera vi giovi, conviene che vi insegni la maniera di pregare. Udite che è facile, e vi può servire sempre che preghiate quietamente, adagio e con enfasi. Pregate quietamente, cioè in luogo ed in tempo che niente vi disturbi. Con gravità nell'esteriore, cioè con l'esteriore composto. L'affare è grave, è un parlare, un discorrere, un conversare con Dio alla presenza degli Angeli, dunque va trattato gravemente. Gravitas in exteriori. Ardor in verbis. Affectus in mente. S. Narciso si componeva tutto il corpo quando aveva da pregare, fino gli occhi ed il volto. Principium cum elevatione mentis. Medium cum pausis et enphasi. Finis cum mentis affectu. Con ardore nelle parole, cioè con piccole pause, ruminando per poco ciò che si dice di quando in quando, e anche di quando in quando pronunziando con enfasi ciò che si dice. Il pesantore del corpo deprime di quando in quando lo spirito, conviene rilevarlo, e giovano a meraviglia, il pronunciare con enfasi esempi etc. Badate di rimirare le vostre orazioni come peso, non fate quel torto a Dio e a voi, che consideriate peso il trattare con Lui. Non v'ha poi industria migliore per trarre frutto dall'orazione che prendere stima dell'orazione. Io v'inculco bene questo punto, perché dalle orazioni della mattina dipende il riuscire bene tutta la giornata, perché se chiedete, vi sarà dato, se non chiedete, non vi sarà dato.

Asc,2267c:T3,1

Segue poi il sentire la Messa e va sentita con riverenza e con attenzione. Con riverenza di corpo: Nil Deo gratius, nil nobis utilius. Le cose sante debbono trattarsi santamente; cosa più santa del Sacrificio della Messa non v'è, perché è lo stesso sacrificio della Croce, e basterebbe una sola Messa a salvare tutto il mondo. Quivi Dio stesso viene a supplire le

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nostre veci, a fare un atto di adorazione degno di Dio, un atto di ringraziamento, di propiziazione, d'impetrazione, vuole solo che noi l'accompagniamo perché partecipiamo del merito di questi atti da noi. Prendete per modello Gesù Cristo, allorché pregando nell'orto si offriva al Padre, dite che atteggiamento d'occhi, di mani, di volto, che atteggiamento umile, composto, affettuoso, devoto. Lo stesso richiede in voi la fede e la professione di vostra fede. Con attenzione di mente. L'azione è grande, non ve n'ha di più grata a Dio, di più utile a noi. Quivi lo stesso Figliuolo di Dio viene etc. come sovra.

Asc,2267c:T3,2 La maniera poi d'assistervi più propria e con maggior frutto, si è di meditare la Passione di Gesù Cristo o da voi, o su qualche libro per tutto il tempo della Messa, riflettendo di quando in quando chi è che così patisce, per chi patisce, e voi che patite per lui, oppure potete trattenervi di meditarla sino alla consacrazione e quivi fare un vivo atto di fede sulla presenza di Gesù Cristo sino al Pater. Giunto al Pater recitarlo col Sacerdote, indi esporgli i vostri e altrui bisogni, chiedergli le grazie necessarie e fare atti di viva speranza. Giunto all'Agnus Dei fare atti di carità, comunicarvi spiritualmente, desiderare che venga dentro di voi. Chiedergli la grazia di mai più separarvi da Lui, protestare di mai più volerlo offendere, indi ringraziarlo, pregare Maria Vergine, l'Angelo Custode, i Santi ad assistervi. Potete ben anche recitare l'ufficio, la corona, ma la più propria e utile è quella che vi ho detto. Se così farete, sarà immenso il bene che ne trarrete, e di grazia non tralasciate d'udirla per non privarvi di tanto bene.

Asc,2267c:T4

Altre preghiere poi lungo la giornata da praticarsi sono le orazioni giaculatorie, frequentemente e ferventemente. Le giaculatorie sono brevi e infuocati sospiri a Dio, sono come saette infuocate che partono dal cuore e si lanciano a Dio. Converrebbe usarne una ogni ora, almeno fissatene da principio sei o otto al giorno. Le occasioni possono essere qualunque cosa vediate potete lodare il Creatore, fatevi, per es., un segno al fazzoletto per ricordarvi o simile. I sentimenti poi non sono difficili a trovarsi, può somministrarvene il Credo, il Pater, l'Ave, le Litanie; il solo verbo “Amo” quante non ve ne somministra, l'indicativo “V'amo”, l'imperativo “Ama anima mia”. Può fissarsi per ciascun giorno il genere di giaculatorie. Deh! V'ami, v'avessi sempre amato, desidero d'amarvi etc. Così faceva S. Ignazio che giunto a questo verbo andava fuori di sé; non sapeva più cessare di declinarlo in questa maniera, ferventemente, cioè con enfasi e con affetto. Sappiate che non v'ha miglior modo di declinare presto dal male, che coniugare le sue azioni col verbo amare. Fate così e presto vi avanzerete nell'amore di Dio, e vi attirerete grandi grazie.

Asc,2267c:T5,1

Un'altra devozione che occorre anche fra il giorno è la visita del Ss.mo Sacramento. Tre sono i troni di Gesù Cristo: di gloria in Cielo, di grazia in terra nel Ss.mo Sacramento, di giustizia nella valle di Giosafat. È nel trono di Grazia che ci aspetta per aprirci i suoi tesori, e diffonderci a misura che ne chiediamo e speriamo d'ottenere. Adeamus dunque secondo l'avviso di S. Paolo: cum fiducia ad Thronum gratiæ ut misericordiam consequamur; expectat enim ut misereatur nostri. Andare anche a visitarlo: ora da figliuolo prodigo, ora come la Maddalena, il pubblicano, il cieco, etc. Andiamo e per primo facciamoGli un atto di adorazione, indi trattiamo con Lui come con amico, con Padre, delle nostre occorrenze; esponiamoGli i nostri bisogni; chiediamoGli i lumi e le grazie; pensiamo che lezione ci darebbe e proponiamo di eseguirla. Altre volte tratteniamoci a farGli un atto di fede, speranza e carità, altre volte porgiamoGli la supplica fatta da Lui stesso che è il Pater, non fosse altro che una sola domanda per ogni giorno della settimana.

Asc,2267c:T5,2

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Mi direte che voglio tutto occuparvi in devozioni, ma aspettate: 1. Dovrebbe esservi cosa ben grata. 2. Le orazioni, la mattina, è cosa più che giusta, la Messa siete soliti sentirla in Chiesa, e i bravi giovani non la lasciano le vacanze, le giaculatorie non occupano tempo, qualunque cosa facciate non v'impedisce un sospiro a Dio, un quarto d'ora di visita al Sacramento non è poi tanto, e se non potete tanto, passando innanzi la chiesa entrate solo a farGli una domanda del Pater, o almeno fatela passando, adoratelo in spirito.

Asc,2267c:T6 Restano ora le altre azioni che occorrono fra la giornata: lo studiare, il mangiare, conversare, divertirvi, poscia il mortificarvi nelle cose necessarie e libere, fare l'esame della sera.

Asc,2267c:T7,1

Studiate e lavorate alle ore debite lietamente, ordinatamente e seriamente. Lietamente con animo volenteroso, come se sentiste una voce dal cielo che vi chiama allo studio. Se non badate che a fare le cose per gli uomini, le farete con pena, perché con rispetto umano. Pensate che servite a Dio in ogni cosa, e qualunque cosa facciate, e per chiunque la facciate, la fate per Dio, ed ogni vostro lavoro sarà giocondo, sarà leggero perché devoto e diretto al piacere di Dio. Io consacro le mie opere al Re, diceva il Profeta, non ad un uomo, ad un principe, ma al Re dei Re, al Signore del Cielo. Dite ancora dunque voi prima d'incominciare: Dico opera mea Regi a quel Re che mi vede, che mi aiuta, che mi ricompensa. Un'immagine sempre davanti, e di quando in quando, lanciarvi dei sospiri. Ordinatamente prima siano i lavori d'obbligo, poi gli altri liberi. Non fare quel che vi piace, ma che conviene e giova di fare. Il tempo non solamente si perde col far male, col far niente, ma anche col far altro da quel che si deve. Dove non v'è ordine, v'è confusione ed orrore (sì vi lodo, nam qui sectatur otium stultissimus est). Vi trovi il Demonio occupato, ma non in cose aliene, inutili o senz'ordine.

Asc,2267c:T7,2 Seriamente, non con languidezza o per modo d'avere l'apparenza di fare. Questo sarebbe offerire a Dio una pecora coperta di scabbia. Qualunque sia il vostro lavoro di mani, di piedi, di testa, fatelo secondo le vostre forze e secondo esige il lavoro, se non volete che cada sopra di voi la sentenza pronunziata nel Vangelo contro il servo pigro: sicché perdi tutto in poco. Cominciate dalle cose d'obbligo e d'ufficio, e queste fatele per eccellenza con tutta la diligenza possibile: se v'avanzerà del tempo farete le altre. V'animi Dio Spettatore, Aiutatore, Remuneratore.

Asc,2267c:T8

Segue il cibarvi. Cibatevi moderatamente, modestamente. La gola è il primo vizio che conviene combattere. Quando vi cibate, in prima chiedere da Dio la benedizione di voi e dei cibi, indi cibarsi moderatamente. 1. Astenetevi dai cibi nocivi: anche il veleno dolce è veleno. 2. Con misura, buona regola è levarsi da tavola con un po' d'appetito. L'appetito sia suddito a voi e non voi a lui. Chi si crede di non aver pranzato bene perché non ha pieno il ventre, non nutrisce se stesso, ma infermità di animo e di corpo. Qui bene ingerit, digerit, egerit, sanus erit. Il cibo è fatto per giovare, non per nuocere. Callistene essendo invitato a bere largamente alla salute d'Alessandro rispose: “Nolo bibere pro Alexandro, sic ut opus habeam Æsculapio.” Il vostro appetito sia sempre suddito a voi, e non padrone.

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Le divine Scritture ci attestano che più coloro che periscono per la gola che per la spada. Entrate nei cimiteri, siate persuasi che la maggior parte vi sono condotti tanto più presto per eccessi di gozzoviglia, e a moltissimi potrebbe servire d'epitaffio quest'iscrizione: “Io qui mi trovo per aver troppo mangiato e bevuto.” Modestamente il bere, oppure assaggiare le cose a sorsi e a centellini è da coppiere e da cuoco, il tracannare è da pecora, l'ingoiare da cane che s'affretta per afferrarsi tosto un altro boccone. È da uomo ben educato affrettarsi lentamente, tenere la strada di mezzo. Per tenerla osservate Gesù come sedeva alle nozze di Cana, imitateLo, imitate i suoi atteggiamenti d'occhi, di mani, di bocca: Sic ille oculos, sic manus, sic ora tenebat, imitare, festina lente, impera tibi, esto Dominus.

Asc,2267c:T9,1

Nella ricreazione poi ricreatevi e divertitevi, ma onestamente, umanamente, allegramente. Onestamente. Lungi da voi quei divertimenti dove c'è pericolo per l'anima. Siate cauto nella scelta e maniera dei divertimenti, del luogo, dei compagni, e nel modo. Quanto alla scelta ed al luogo dei divertimenti, fuggite sempre ogni angolo remoto, e temete l'angelo che vi vede. Quanto ai compagni, non mischiatevi con chi non è onesto e dabbene, vi faranno divenire presto cattivi anche voi. Quanto al modo, prendete il divertimento come cibo e medicina, servitevene, ma parcamente senza soverchia avidità. Non vivete per divertirvi, ma vi divertite per vivere e vivere utilmente. Lungi dunque ogni eccesso. Ne quid nimis, se non è male divertirsi, è male divertirsi troppo: vi distrae dalle cose serie per occuparvi in bagatelle.

Asc,2267c:T9,2 Umanamente. Ogni uomo è debitore di rispetto verso ogni altro. Guardatevi dunque di mancare in questo, o per troppa famigliarità, o per alterigia. La famigliarità allo stesso sesso genera disprezzo, con diverso sesso pericolo. L'acqua e la terra sono cose buone, ma miste producono fango; perciò, allontana il rispetto, discaccia il contegno custodi della virtù, sottentra la libertà, e questa apre la porta alla disonestà. Siate cauti, non lo sarete mai abbastanza, resistete da principio o siete perduti. L'alterigia è un vizio opposto: soverchia gravità a tutti è grave. L'affabilità è virtù dei nobili, se ne siete privi, invano vi vantate di nobiltà. Siete simile a quella pulce che si gloriava di essere nata da sangue d'uomo illustre, ed altri le rispondeva: “Siate pure nobile pulce, ma non tralasciate mai d'essere pulce”, cioè (se non sapete vantare altro che origini di sangue) un animale superfluo, molesto, nato a seccare gli altri animali migliori di te.

Asc,2267c:T9,3 Allegramente. Chi presto si trista, facilmente si offende, presto s'adira, non è degno conversare con gli uomini. Conviene dissimulare ciò che vi dispiace, conviene essere sordo e muto alle offese, e scampare i motti pungenti col riso e metterli in burla, altrimenti sarete come l'orso che anche quando scherza usa le unghie. Gli umili non si mischino in conversazione, coloro cioè che sono molesti a sé e agli altri. Conviene dunque essere allegri: è tempo di piangere, è tempo di ridere, purché non s'ecceda. Vi sono coloro cui non piace altr'allegrezza se non è congiunta con l'offesa di Dio. Fare pompa d'ingegno con motti osceni è loro trastullo, empio trastullo, guai a voi che così ridete, piangerete un giorno, perché non mai si ride impunemente con offesa di Dio. Altri non sanno divertirsi se non offendono il prossimo, sparlano degli assenti, insultano i presenti, ora espongono l'uno alle risate, ora insultano l'altro, giocando trastullo per essi, perché i circostanti fanno plauso. Infame gusto, tempo verrà che coloro che si beffarono degli altri saranno esposti alle beffe dei demoni.

Asc,2267c:T9,4 Altri finalmente contano per ricreazione ciò che è pericolo per l'anima. Non piace leggere loro se non libri d'amore, non è bella una commedia se non è lasciva, non amano il giuoco se non lo passano senza risse, non il convitto se non vi è stravizzo, non il ballo se non è immodesto. O uomini occupati in tesoreggiarsi gli sdegni della divina giustizia. N.B. il modo di conversare, d'aggiungersi.

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Asc,2267c:T10

Mortificatevi frequentemente, con fortezza. Frequentemente, per divenire padroni di voi stessi, conviene esercitarsi a raffrenare i sensi e moderare gli affetti. È lecito concedere ai sensi qualche divertimento, ma oltre alla qualità di tali divertimenti, conviene badare alla quantità, se vi sentite portati con impeto trattenetevi con il ritardo e la moderazione. Il ritardo rompe quell'impetuosità che vi strascina quale giumento, la moderazione vi preserva dall'eccesso. Tra gli affetti vi sono i principali: il desiderio e il timore, adunque non desiderate niente con troppo ardore, né temete niente con troppa ansietà, e così otterrete la pace dell'animo. Difficili precetti mi direte, anzi facili, purché vi scolpiate nel cuore gran verità: che non ci sono beni né mali veramente grandi, fuorché gli eterni. Non lasciate dunque passare giorno senza vittoria di voi stesso, ma fatelo e mezzi per ricordarsene: fissarne il numero; fare un segno nel fazzoletto, etc. Con fortezza, un fanciullo delicato non è capace di cose grandi, il bene che vi acquistate è grande, meritate più con una piccola voglia mortificata che se guadagnaste un mondo. Con fortezza, chi non usa così non farà mai cose grandi, sempre avrà paura che gli sia per nuocere, sempre teme. Questo orrore poi vi farà sembrare sempre più difficile la cosa. S. Teresa diceva che nulla le importava dover morire più presto per cagione dell'astinenza. Imita S. Luigi. Rompete tale timore, mortificatevi spesso e con libertà e generosità d'animo. Siate padroni di voi stessi, e nelle cose avverse, necessarie, e anche nelle libere.

Asc,2267c:T11

Regulæ pro perfectione Hæc documenta suis Ignatius docuit alumnis, Ut methodo parva commoda magna ferent Nulli vel minimo quavis ratione repugnes, Cedere te potius, quam superare juvat. Obsequium studeas præstare per omnia cæcum, Judiciumque lubens subjice cuique tuum. Non vitia inspicias aliena, et visa retundas, Sed propria accuses, atque patere velis. Quidquid agas, dicas, mediteris prospice finem, Proximo an expediat, complaceatque Deo. At sua spiritus libertas semper, et illam Nec persona potens, causa vel ulla gravet. Nec facili jungas tibi consuetudine cunctos, Spiritus, ac ratio quemlibet ante probent. Exerce assidue pia mente, et corpore facta; Sis populo demens, sic sapis ipse Deo. Fac matutino, vespertinoque revolvas Hæc studio: et lectum dum petis adde preces.

Asc,2267c:T12,1

Segue l'esame di coscienza Il sonno (come si suol dire) è il fratello della morte: quanti si sono coricati sani la sera, e la mattina sono trovati morti. Considerate dunque il vostro letto come la vostra tomba, e prima aggiustate i vostri conti con Dio; il che sia come il vostro testamento, fate il vostro esame di coscienza; fate ciò che vorreste aver fatto se doveste morire. Fate l'esame di coscienza ogni giorno e con esattezza. Ogni giorno, perché ogni giorno si pecca. Se non vuoi che la tua casa divenga in breve ingombra di ragnatele, sii attento a disfarne ogni giorno il lavoro, se non fai così contrarrai l'abito di peccare, il quale trarrà seco una coda di mali. Siccome i

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buoni, così gli scellerati non si sono formati d'un tratto, d'ordinario hanno cominciato da piccole cose; chi queste disprezza, facilmente trabocca negli eccessi: qui spernit modica paulatim decidet. Con esattezza, fate così. Mettetevi alla presenza di Dio, adorateLo, dite che v'illumini, indi scorrete la serie delle occupazioni del giorno, d'ora in ora, riflettete come e quale Dio sia stato verso di voi, quale voi avreste dovuto e siete stato verso Dio, quanto egli benefico, voi quanto ingrato. Sarebbe bene indagare anche la radice dei difetti: da che affezioni e disposizioni d'animo provengano. Doletevene vivamente, chiedeteGli perdono, pensate se volete continuare così, niente promettete mai più così corrispondere, e grazia di eseguirlo. Prefiggersi qualche penitenza: baciare la terra, dire qualche Pater o Ave con le braccia aperte, prolungare le orazioni, qualche mortificazione, etc. Recitate quindi come la mattina con gravità d'esteriore, adagio e con affetto, e di quando in quando con enfasi le vostre orazioni, scuotetevi dal sonno, non conversate con Dio sonnacchiosi.

Asc,2267c:T12,2 Prima poi di coricarvi, un sospiro per la benedizione a Dio: Ecce vado ad quietem, ut surgam alacriter ad laborem propter te; segnatevi col segno della S. Croce: Me cum prole pia benedicat virgo Maria et S. Joseph in agonia, Amen. Indi benedite il letto. In letto poi segnatevi tre volte di croce: in fronte, sulle labbra, sul cuore. Dite: Gesù nella mia mente, Gesù nella mia bocca, Gesù nel mio cuore. Addormentatevi colle mani in Croce come se foste sulla bara. Così facendo, avrete una felice notte e vi succederà un buon giorno, quand'anche doveste svegliarvi nell'altro mondo. Se non poteste dormire, pensate ai novissimi, chiedetevi che cosa vorreste aver fatto o fare di grande, se ora vi trovaste con la candela in mano per morire fra poco. Quale sarebbe la vostra speranza o il vostro timore, se foste ora chiamato al giudizio? Io ora me ne giaccio morbidamente e pure non posso dormire; che sarebbe se dovessi continuare così un anno? Che sarebbe se dovessi stare così sui carboni dell'inferno per un'eternità? O inferno, o eternità! Signore i vostri Santi vi lodano, e io me ne giaccio qui da pigro. Ma Signore il mio corpo riposa perché così volete, ma il cor veglierà con Voi, e si unirà coi cantici dei vostri Santi. Diletti, voi così praticando diverrete Santi e gran Santi, e presto gran Santi: che Dio lo voglia.

Asc,2268a:S

Indirizzo per una religiosa Una nota d'archivio indica che la religiosa a cui lo scritto era indirizzato può essere suor Radegonda, delle Canonichesse Regolari di Torino, esclaustrata dopo il 1798, diretta per molti anni da Lanteri e da Guala. AOMV, S. 2,9,2:268a (copia di mano ignota, forse di suor Radegonda)

Asc,2268a:T0,1

A.M.D.G. Indirizzo per una religiosa Il singolare beneficio che il Signore per sua infinita misericordia le ha fatto di eleggerla a servirLo in qualità di sposa, esige da lei una corrispondenza, per cui non basta una semplice risoluzione di salvarsi, ma di più, deve aspirare seriamente e con tutto l'animo a salvarsi con perfezione. Ora questa perfezione, ella è al certo un'opera grande, una torre altissima, ma se noi miriamo di qual cosa sia composta una torre materiale, troveremo non essere ella di una sola pietra, né di alcune molto grandi, ma dall'unione di moltissime che separate sono assai piccole. Così noi non dobbiamo immaginarci che solo con atti eroici di virtù si possa giungere alla perfezione, ma anche con le piccole azioni che secondo il nostro stato andiamo facendo da mattina a sera. Possiamo certamente farne acquisto, se queste piccole azioni siano fatte con virtù; dico con virtù, perché non basta che le azioni per se stesse siano buone, come deve supporsi siano tutte le azioni di una osservante religiosa, ma di più debbono prendere la loro vita queste azioni da un principio di virtù che ne sia come l'anima, talché l'operare esteriore non vada, per quanto si può, scompagnato dall'interiore, o con un motivo generale rinnovato frequentemente di piacere con esse a Dio, di glorificarLo e di adempiere il suo santo volere; o col motivo particolare di esercitare le virtù proprie delle azioni che

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si vanno facendo, e sia certa, che così operando, farà gran progresso nella religiosa perfezione, perché consistendo la perfezione nella carità, quanto più procurerà di accompagnare le sue esteriori azioni con l'interna carità, tanto piaceranno più al Signore e saranno ad essa di maggior merito, al quale corrisponderà il premio che ne riceverà dal liberalissimo Iddio nella gloria.

Asc,2268a:T0,2 In conferma di che, osservi che avendo il Signore rivelata a S. Maria Maddalena de Pazzi la grandezza di gloria a cui aveva innalzato S. Luigi, le fece proferire nello stupore della sua estasi queste parole a nostra istruzione; cioè, Luigi ha tanta gloria, perché operò con l'interno. Chi potrebbe mai narrare il valore e virtù dell'opere interne? Non ci è comparazione alcuna dall'interno all'esterno. Così la Santa. Vedendo dunque quanto importi il dare alle nostre opere un tale pregio, dobbiamo col prevederle, procurare che non manchi cosa che sia nell'interno che nell'esterno impreziosire le possa, talché vengano ad essere come tanti piccoli diamanti atti a formare un ricco gioiello. Ora io per facilitarle questa sì utile pratica, le andrò esponendo le azioni che giornalmente deve fare, con quelle avvertenze (che per quanto io conosco) in esse debbono aversi, acciò siano ben fatte, talché non vi sia momento del suo vivere, da cui non possa trarne guadagno per l'eternità e tenga fissa nella sua mente questa verità, cioè, essere tutta la nostra vita composta di questi brevissimi momenti, ed essendo il numero di questi a tutti prescritto dal sapientissimo Dio, acciò in essi operiamo con la santa sua grazia il grande affare della nostra eternità, ne dobbiamo fare grande stima di ognuno di essi, essendo irrimediabile la loro perdita se si trascurano, e per sempre resteremo prive di quei gradi di gloria corrispondenti a gradi di grazia, che col mal uso del tempo avremo perduti, porrò ancora alcune devote pratiche per trarre dalle nostre opere maggior frutto.

Asc,2268a:T1,1

Cap. 1. Per le prime azioni del giorno

Asc,2268a:T1,1

Per essere le primizie… Per essere le primizie dei nostri pensieri, dei nostri affetti e delle nostre fatiche, tributi dei quali siamo debitori a S.D.M. [Sua Divina Maestà], il demonio fa perciò tutti i suoi sforzi per togliere allo stesso Dio questo primo omaggio, che come a nostro primo principio ed ultimo fine Gli è dovuto; quindi è che il primo suo pensiero allo svegliarsi, sarà di adorare la Ss. Trinità col santo segno della croce, e chiamare subito Gesù nella sua mente, nel suo cuore, e nella sua bocca, dicendo Jesus sit in mente, Jesus sit in corde, Jesus sit in ore. Benedicamus Patrem et Filium cum Sancto Spiritu. Per singulos dies benedico te, et laudo nomen tuum in sæculum et in sæculum sæculi. Dignare Domine die isto sine peccato me custodire. Amantissimo Gesù, questo primo sospiro del giorno presente tratto dall'intimo del mio cuore a Voi indirizzo e mando con tutto il mio spirito, pregandoVi che in questo giorno tutte le azioni mie del corpo e dell'anima vogliate operare con me, per Voi medesimo, e tutte emendate nel dolcissimo vostro cuore, ed unite alle perfettissime vostre opere, Vi degniate offerire in sacrificio di amore, di lode e di ringraziamento al vostro Padre. Se proverà qualche rincrescimento in dover sorgere, questo sia il primo fiore che con generosità presenti al suo Signore, figurandosi che il segno che la chiama sia la stessa sua voce, perciò le risponda con ogni prontezza: Domine, quid me vis facere? Paratum cor meum Deus, paratum cor meum, exurgam diluculo.

Asc,2268a:T1,2 Né sia facile a lasciarsi ingannare dall'amor proprio che le metterà avanti mille sognate necessità, per farle credere di aver bisogno di più lungo riposo; ma deve pensare che molte di quelle che sorgono ne avranno più bisogno di lei, e ciò nonostante l'amore che portano a Dio e lo zelo della regolare osservanza di cui sono pietre sode (che queste fanno che la casa sia casa religiosa, non già le mura) gliele fanno superare, e dicono: Non veni solvere legem, sed adimplere; così lei operando con questo santo fervore, proverà di poter molto più di quello che l'amor proprio le dava a credere; gioverà pure per maggiormente infervorarla, il considerare che sua D.M. le concede ancora questo giorno, acciò in esso possa più glorificarla, fare più penitenza dei suoi peccati, ed avanzarsi nella

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perfezione, e ciò senza fare cose straordinarie e grandi; ma solo con far bene le consuete, amando ed eseguendo fedelmente e amorosamente la Santissima, Dolcissima, Amabilissima volontà di Dio.

Asc,2268a:T1,3

Incominciandosi a vestire… Incominciandosi a vestire, dirà il Vi adoro, che contiene molti belli atti. Nel mettersi il santo abito lo bacerà e dirà: Signore, degnatevi di vestire l'anima mia delle religiose virtù, acciò possa fare frutti degni di penitenza, ed essere avanti a Voi, quale questo santo abito mi fa comparire agli occhi del mondo; oppure, Signore Gesù, che diceste, il mio giogo è soave, ed il mio peso leggero, fatemi degna di portarlo, affinché consegua la vostra grazia. Nel mettersi la cintura dirà: Præcinge me Domine cingulo puritatis, continentiæ et castitatis, ut casto corpore servire, et mundo corde tibi placere valeam. Confige timore tuo carnes meas. Mettendosi la sottogola dirà: Signore, concedetemi grazia che mi porti nell'esterno, secondo che esige la religiosa modestia, e che amante sia sempre della purezza del cuore; ovvero: Accipiam galeam salutis, qua semper protecta valeam, ignita tela exstinguere, per misericordiam dilectissimi sponsi mei Jesu Christi crucifixi. Mettendosi la benda dirà: Signore, circondate in modo la mia mente di buoni e santi pensieri, che non dia mai luogo a cosa che non sia degna di Voi.

Asc,2268a:T1,4 Mettendosi il velo dirà: Signore, concedetemi grazia di vivere mai sempre sconosciuta agli occhi altrui, e solo grata agli occhi vostri; ovvero, Domine, Domine, virtus salutis meæ, obumbrasti caput meum in die belli, non tradas me, Domine, a desiderio meo peccatori. Mettendosi il crocifisso dirà: Bone Jesu, pone te ut signaculum super cor meum, et accipe eum tibi, ut nullum præter te amatorem admittat; mihi absit gloriari nisi in cruce Domini nostri Jesu Christi. Indi si avvierà al coro dicendo: Signore, che diceste, vado a quello che mi ha mandato, fate che sempre Voi rimiri, sicché a Voi mio ultimo fine diriga tutti i moti del mio corpo e dei miei affetti: Dirige Domine gressus meos in viam salutis et pacis. Prendendo l'acqua benedetta dirà: Per l'aspersione di quest'acqua salutare, mondate Signore la mia mente, il mio cuore ed il mio corpo, e contro le insidie del tentatore armatemi; ovvero, Aqua benedicta deleantur mea delicta. Entrando in coro dirà, Introibo in domum tuam, adorabo ad templum sanctum tuum.

Asc,2268a:T1,5 La genuflessione già sa essere un atto di religione, perciò l'accompagni con viva fede di quella gran Maestà, avanti a cui si presenta, adorata e corteggiata da milioni d'Angeli, e dica nel farla: Tutto si prostri avanti di Voi, grandezza infinita, Vi adori ogni spirito, Vi ami ogni cuore, Vi obbedisca ogni volontà. Si confessa indegna di stare alla sua presenza con i sentimenti del Pubblicano, poi inviti le sue potenze ad adorarLo dicendo: Venite adoremus et procedamus ante Deum, ploremus coram Domino qui fecit nos, quia ipse est Dominus Deus noster; Regi sæculorum immortali et invisibili, soli Deo honor et gloria in sæcula sæculorum. Benedicta sit Sancta et individua Trinitas, nunc et semper, et per infinita sæculorum sæcula. Gloria Patri etc.

Asc,2268a:T1,6 Farà pure un atto di particolare adorazione a Gesù sacramentato che tiene presente; di poi prenderà la benedizione della Ss. Vergine, mettendosi sotto la sua protezione con dire il Sub tuum præsidium. Di poi tutta al suo Dio deve di nuovo dedicarsi, e perché il tempo è breve prima del Mattutino, le suggerisco un atto che in poco contiene tutto; essendo che per fare le nostre azioni più meritorie tre cose si ricercano, primo indirizzarle alla gloria di Dio, secondo unirle ai meriti di Gesù Cristo, terzo ampliare i desideri, dirà dunque: Grande Iddio, io oggi come se fosse il primo giorno di mia vita a Voi lo dedico per sempre, Vi offerisco tutti i miei affetti, pensieri, parole ed opere, per glorificarVi e piacere unicamente a Voi, per adempiere in tutto la santissima volontà vostra, e cooperare alla mia eterna salute; unisco quanto farò e patirò a ciò che fece e patì il mio Salvatore Gesù, e vorrei in ciascuna mia opera più amare e più patire, per darVi più gloria e per piacere maggiormente a Voi.

Asc,2268a:T1,7

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Non ometta di recitare… Non ometta di recitare l'Angelus Domini devotamente, rinnovando in tale tempo i Santi voti così dicendo: Angelus Domini, consideri l'ambasciata che fu spedita alla più pura di tutte le Vergini, ed offerisca il voto di castità, dicendo: Ecce ancilla Domini, consideri l'umile e pronta obbedienza della Santissima Vergine, ed offerisca il suo voto d'obbedienza con pienezza di volontà, desiderando che in lei si adempia il divino volere, dicendo: Et Verbum Caro. Consideri l'abbassamento del Divino Verbo che, per così dire, s'impoverisce vestendo la natura umana, e si rinchiude nel seno della Ss.ma Vergine, e le offerisca i voti di povertà e di clausura; nel dire ad ogni Ave il Deo gratias intenda di ringraziare la Divina Maestà per questa grande opera, ed insieme, della grazia a lei fatta col chiamarla allo stato religioso; sia devota di spesso rinnovare i suoi voti compiacendosi d'averli fatti, che le apporterà grandi beni.

Asc,2268a:T1,8 Le orazioni quotidiane, se non può dirle prima del Mattutino, le dica terminata l'orazione mentale, e potrà dirle a questo modo: Vi adoro Iddio mio, Vi amo con tutto il cuore, Vi ringrazio d'avermi creata, redenta, fatta cristiana, chiamata a questa santa religione, e conservata in questa notte. A Voi principio e fine mio, nel quale consiste la mia vera felicità, consacro questo giorno di vita per spenderlo tutto nel vostro amore e servizio. Io Vi consacro in esso tutta me stessa, e come se fosse il primo e l'ultimo di mia vita voglio in esso servirVi e amarVi con la maggior perfezione che mi sia possibile, e però Vi offerisco tutti i miei pensieri, parole e opere, in unione di quella santissima intenzione con la quale Voi sempre operaste, e offeriste Voi medesimo per amor mio sopra la croce e in unione dei vostri meriti. Io intendo che ogni mio respiro sia una continua attestazione della mia fede, speranza e amore che Vi devo, supplicandoVi a non permettere che mi scordi di Voi, e molto meno che Vi offenda in cosa alcuna, ma che sia sempre fedele e ferma in adempire la vostra Divina Volontà con ogni fervore e perfezione, rinunciando ad ogni altro gusto e soddisfazione. Assistetemi Voi con la vostra grazia, senza la quale niente sono e niente posso, e con la quale ogni cosa mi sarà facile e preziosa. Amen.

Asc,2268a:T1,9 Di poi dirà il Pater, l'Ave, il Credo, l'Angele Dei, i Comandamenti di Dio e della Santa Chiesa, indi farà un atto di contrizione per chiedere perdono di tutti i peccati contro di quelli commessi, dicendo prima di farlo il Deus in adjutorium etc. per impetrare grazia di farlo bene; farà in seguito gli atti di fede, speranza e carità, conchiudendo con il versetto Dignare Domine die isto etc. con il rimanente del Te Deum; di poi le orazioni Domine Deus omnipotens etc., Dirigere et sanctificare etc., Dominus nos benedicat etc. il che tutto troverà nell'Officio.

Asc,2268a:T2,1

Cap. 2. Per la recita dell'officio

Asc,2268a:T2,1

Siccome è dovere… Siccome è dovere, secondo l'avviso dello Spirito Santo di preparare l'anima nostra davanti l'orazione, così non trascuri questa preparazione dovendo recitare il Mattutino (ciò che le suggerisco per il medesimo le servirà pure le altre ore), essendo questo uno dei principali doveri della religiosa, procuri di adempirlo nella miglior maniera che le sia possibile. Si consideri come destinata ambasciatrice dalla S. Chiesa porgere alla D.M. quell' omaggio a nome di tutti i fedeli, ed impetrarne quelle grazie che tutto l'universo abbisogna, perciò il farlo male sarebbe defraudare sé e gli altri, onde con questa considerazione di stima dell'opera che deve fare, dirà devotamente l'Aperi Domine etc. in cui oltre l'indirizzare quest'azione, se le ricorda insieme la maniera di farla bene, poiché alla parola Digne se le ricorda la compostezza esteriore della persona, non lasciando particolarmente svagare gli occhi, il che renderebbe colpevoli le distrazioni; in quella Attente, se le rammemora l'attenzione nel pronunciare bene le parole e fare con esattezza le cerimonie prescritte,

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e finalmente nella parola Devote si deve ricordare l'interno affetto con cui la deve accompagnare, poi se avrà tempo, farà anche il seguente indirizzo: Mio Dio, intendo, recitando quest'officio, di soddisfare al mio ministero secondo le intenzioni della Santa Chiesa, con tutti quei fini che si possano avere, e di cominciare quella lode che spero di darVi in tutta l'eternità, intendo di secondare gli affetti espressi nei salmi, inni, ed orazioni uniti alla Santa Chiesa, di pregare dove prega, gemere dove geme, compiacermi dove si compiace, sperare, temere e amare dove spera, teme e ama; se ammira, se loda, se gode, se desidera, se abomina, bramo, e intendo di farne io altrettanto. Amen.

Asc,2268a:T2,2 Procuri almeno ad ogni Gloria Patri di avvivare la fede della Divina presenza, considerandosi in compagnia dei Santi angeli ad ossequiare la Divina Maestà; s'inchini profondamente con tutto lo spirito in protestazione della sua fede, potrebbe anche indirizzare questo atto d'ossequio nella seguente maniera. La domenica, intenda di adorare, glorificare e ringraziare la Ss. Trinità per la manifestazione di questo gran mistero che lei crede e confessa di credere, protestandosi pronta a dare la vita per questa e per tutte le cattoliche verità. Il lunedì intenda di adorare e ringraziare la Ss. Trinità per l'altissimo e amorosissimo fine per cui l'ha creata e fatta nascere nel grembo della Santa Chiesa. Si ricordi aver detto Iddio, In gloria mea creavi eos, perciò desideri e procuri di glorificarLo a tutto suo potere, e insieme desideri di darGli gloria per tutti quelli che non pensano a glorificarLo dimentichi del loro fine. Il martedì, intenda di adorare e ringraziare la Ss. Trinità per averla chiamata allo stato religioso, come pure d'averle dato un angelo per sua custodia, e per il beneficio fatto a quest'angelo col crearlo e preservarlo d'entrare nel partito di Lucifero, pregando particolarmente in questo giorno il suo buon angelo a tenerla sempre sul retto sentiero del cielo.

Asc,2268a:T2,3 Il mercoledì, intenda di lodare e ringraziare la Ss. Trinità per il beneficio della conservazione, non solo del corpo, ma più dell'anima, nella preziosa vita della Divina grazia, con cui può glorificare Iddio, e fare molto acquisto di eterna gloria in cielo, ed insieme di ringraziarla di tutte le grazie fatte ai Santi, e specialmente ai suoi Protettori, ed in particolare a S. Giuseppe. Il giovedì, intenda di lodare e ringraziare la Ss. Trinità per il gran beneficio della instituzione del Divinissimo Sacramento, e per averla messa in stato di parteciparne sì spesso, e di averlo nella propria casa; desideri ed intenda con queste adorazioni accompagnate dal più tenero amore di risarcirLo, se potesse, delle tante irriverenze e freddezze che riceve dalla maggior parte degli uomini. Il venerdì, intenda di lodare e ringraziare la Ss. Trinità per la grand'opera della redenzione, intenda e desideri di contraccambiare (per dir così) il buon Gesù di tutti gli insulti e strapazzi tollerati nella sua Passione, confessandolo con quest'ossequio per suo vero Dio col Padre e con lo Spirito Santo. Il sabato, intenda di lodare e ringraziare la Ss. Trinità di tutti i favori e privilegi concessi alla Ss. Vergine, massime d'averla preservata da ogni peccato, e del beneficio fatto a lei d'avergliela data per Madre, e deve prendere come dette a sé quelle parole che disse nostro Signore dalla Croce: Ecco la tua Madre, e prenda per sua come S. Giovanni questa Divina Madre, e l'ami di vivo cuore.

Asc,2268a:T2,4

Con quest'arte… Con quest'arte verrà a fare grata memoria dei Divini benefici, e senza fare di più, pagherà in parte il gran debito di gratitudine che deve al suo liberalissimo Iddio. Procuri di stare in quest'impiego delle Divine Lodi come se non vi fosse mondo per lei, tenga tutta l'anima occupata da una grande stima dell'azione che fa, da un soave timore della Persona con cui tratta e parla; consideri che le tiene sopra gli occhi e vede il grado d'affetto con cui prega, perciò procuri che il cuore e la lingua parlino di concerto; se intende ciò che recita, le sarà più facile, ma se non l'intende, procuri di tratto in tratto svegliare l'affetto con qualche breve giaculatoria, dicendo per esempio: Mille lingue vorrei avere e mille cuori per lodarVi ed amarVi mio Signore. Vi loderò

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mio Dio quanto posso, ma so che siete maggiore d'ogni lode. Degno siete, o Signore Dio nostro, di ricevere lode, gloria, onore e benedizione nei secoli dei secoli. Siccome di dire in occorrenza di distrazione una delle seguenti: Domine vim patior, responde pro me. Deduc me Domine in viam rectam. Confirma me Deus in hac hora. Audiam quid loquatur in me Dominus Deus.

Asc,2268a:T2,5 Terminata ciascun'ora dell'officio dirà l'orazione Suscipe clementissime Deus etc. che troverà nell'officio, oppure questa Bone Jesu quod minus est in me dignare supplere pro me, offerens Patri Sanguinem tuum pretiosum. Procuri poi di disporre le cose sue in maniera che non abbia ad uscire dal coro dopo il Mattutino, ma se ne stia ad udire la meditazione che si legge, benché ne tenesse già altra apparecchiata, perché potrebbe il Signore in quella che sta udendo, imprimerle qualche buon sentimento, e pagarle nella S. orazione l'abnegazione che esercita con vietare all'amor proprio questa libertà, massime nei gran caldi e nei gran freddi; abbiamo pure da fare con un Dio buono e infinitamente buono!

Asc,2268a:T3,1

Cap. 3. Per l'orazione mentale Circa la S. orazione, la desidero sì premurosa e costante, talché quantunque le paresse impossibile di farvi alcun progresso e che vi perde il tempo, e cent'altri pretesti che il Demonio o la nostra infingardaggine ci potessero suggerire, mai e poi mai si ometta; custodiamo il nostro posto come vigilanti sentinelle, pronte prima a perdere la vita che a gettare le armi, vi stiamo per fare la volontà di Dio senza proprio interesse, vi cerchiamo il Dio delle consolazioni, e non le consolazioni di Dio; lavoriamo come buoni figliuoli (non come giornalieri che vogliono la mercede al fine del giorno), ed il nostro buon Padre oltre il pensiero che avrà di provvederci del bisognevole, ci darà in fine la sua eredità; questa libertà di spirito è sommamente necessaria se si ha da perseverare in questo santo esercizio; vorrei pure che spesso leggesse libri che ne trattano, particolarmente il Padre Rodriguez, per concepirne una grande stima, ed apprendere quello che deve fare dal canto suo, oltre alcune avvertenze che sono per suggerirle.

Asc,2268a:T3,2 Quanto alla preparazione remota, prima si deve procurare la maggior purità di coscienza che sia possibile, poiché dice S. Teresa: l'orazione mentale non è altro, a mio parere, se non trattare d'amicizia con Dio, stando molte volte ragionando da solo a solo con chi sappiamo che ci ama. Ora come i peccati veniali volontari raffreddano questa amicizia, sminuendo il fervore della carità, e mentre conserveremo l'affetto a questi peccati, non potremo gustare il dolce di quest'esercizio, né avanzarci in esso, perciò ponga in questo, grande avvertenza, ma però senza angustia per gli involontari, e molto meno dare in scrupoli, il che pure sarebbe un ostacolo, perché siccome un'acqua che si muove non può rappresentare alcuna figura, così un intelletto agitato da scrupoli, non è disposto a ricevere le impressioni della divina grazia. La seconda avvertenza sia che procuri di astenersi da ogni curiosità, talché non faccia mai passo, non interroghi, non alzi, per quanto può, occhio, per sapere quel che si fa o si dice, e se si avvede che desidera di sapere ciò che non le spetta, si volga subito al suo buon angelo e lo preghi di darle qualche lume sopra l'amabilità del suo Signore, acciò possa più amarLo. Andando poi per la casa, procuri di tenere gli occhi dimessi, con passo alquanto affrettato, affinché non venga trattenuta per cose da nulla, e sia suo studio di sgombrare la sua mente ed il suo cuore dalle inutilità, senza però rendersi ruvida e scortese con le sue sorelle.

Asc,2268a:T3,3 La terza sia che procuri sbandire dal suo cuore ogni timore e desiderio inquieto, fissando immobilmente la sua volontà nella santissima e amabilissima volontà di Dio: questo è un gran punto, perché chi tiene ansiosi desideri o inquieti timori, pone un vero ostacolo all'unione con Dio, né tiene in vista il suo ultimo fine ed il sacrificio che ha fatto al Signore della sua volontà al cospetto del cielo e della terra; fa pure un gran torto alla divina bontà, non fidandosi alle sue amorose disposizioni; sono esse quelle distrazioni che più si attaccano al cuore ed impediscono tutto il frutto della S. orazione occupando questi tutta l'anima, sgombro il cuore di questi desideri e

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timori, le sarà agevole meditare con riposo di spirito, perché le altre distrazioni, come saranno di cose che poco l'interessano, si presenteranno al pensiero, ma non avendo radice nel cuore, sarà facile lo scacciarle, e non le recheranno molto disturbo. Insomma chi vuole ricavare qualche ritratto, deve prendere una tela in cui non vi sia altra cosa già dipinta; e sia certa che con qualunque ragione si vogliano palliare questi disegni propri, non sono certamente che amor proprio, non dico di più, e la rimetto a ciò che dice S. Teresa nel suo libro del cammino di perfezione.

Asc,2268a:T3,4 Per la preparazione prossima, oltre gli atti consueti, insista molto negli atti d'umiltà, persuadendosi che non può avere da sé neppure un pensiero buono; questa umiltà le farà implorare con ardente affetto il divino aiuto, e ricevere con tutto il riconoscimento le misericordie del Signore, la terrà pure rassegnata e perseverante, quando il Signore mostri di non udirla, poiché al parere di S. Teresa, certi lamenti pusillanimi hanno origine dalla poca umiltà; dica dunque al Signore come il grande Abramo: Parlerò al mio Signore, benché polvere e cenere; consideri che la polvere non può sollevarsi da se stessa, e tanto sta in alto, quanto ve la tiene il vento, anzi deve considerarsi come fango, perché la polvere è già disposta ad essere sollevata, ma noi siamo come fango, per l'attacco alle cose terrene ed a noi medesime.

Asc,2268a:T3,5

Atti di preparazione all'orazione Fede Dio d'infinita potenza, sapienza e bontà, io credo con ferma e viva fede, d'essere alla vostra Divina presenza, so che Voi penetrate il più intimo del mio cuore, ed a Voi è noto quale io sia nel vostro cospetto. Adorazione Umilmente prostrata avanti l'incomprensibile maestà vostra, Vi adoro con tutti quelli che Vi adorano in cielo e in terra, V'adoro uno in essenza e trino in Persone, adoro e mi compiaccio dei vostri divini attributi. Contrizione ed umiltà Detesto col più vivo sentimento del mio cuore, tutto ciò che può dispiacere ai vostri purissimi sguardi, perché V'amo e desidero di sempre più amarVi; so che da me a nulla sono valevole, però Vi supplico a soccorrermi con la vostra santa grazia che umilmente Vi chiedo e spero per i meriti della vostra santissima Vita, Passione e Morte. Preghiera ed offerta Santissima Vergine, Vi prego di parteciparmi gli effetti clementissimi di vostra protezione. Angelo mio custode, Santi miei Protettori vi prego d'intercedere per me, affinché io riporti da questa orazione quel frutto che sarà di maggior gloria di Dio e profitto dell'anima mia; intendo di unirla con quella che fece Gesù nell'orto, con quelle della Ss. Vergine e di tutti i Santi del cielo e dei giusti che sono in terra, con tutti quei fini che Dio desidera; rinuncio a tutte le tentazioni e distrazioni che possono venirmi, e protesto col vostro aiuto di non volerle seguire. Amen. Benedicat me, bone Jesu tua Omnipotentia, instruat me tua Sapientia, repleat me tua Dulcedo, trahat et uniat me tibi tua Bonitas in sæcula.

Asc,2268a:T3,6 Nella meditazione procuri principalmente d'accendere la sua volontà di santi affetti che la conducano a risoluzioni opportune e pratiche per emendarsi dei suoi difetti, e disporsi ad operare con virtù, poiché al dire di S. Teresa la meditazione che non produce questi effetti (per quanti belli sentimenti ci paresse d'avere), non si deve credere buona; poiché meditando l'anima le verità della fede, deve in esse come in uno specchio scorgere come a tali verità si conformi il suo vivere, e così illuminato l'intelletto, verrà la volontà a concepire orrore al vizio ed amore alla virtù, al quale fine è indirizzata l'opera dell'intelletto, poiché essendo la volontà una potenza cieca, deve avere per guida l'intelletto, ma questo per ben guidarla, non deve prendere il lume che dalle verità della fede, ed accostarsi a Dio con umiltà per essere illuminato, senza di che non seguirà che le impressioni dei sensi ed i movimenti delle varie passioni da questi eccitate, il che le deve imprimere una grande

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stima della meditazione delle verità della fede; quando poi la volontà abbia concepiti gli opportuni affetti e risoluzioni che sono il fine della meditazione, non si devono questi lasciare per meditare altri punti, il che sarebbe lasciare il fine conseguito per andare in traccia dei mezzi atti a conseguirlo, o lasciare il Signore per tornare a cercarlo.

Asc,2268a:T3,7 Pertanto seguiti quanto può a trattenersi avanti il Signore in santi desideri e preghiere, perché mi pare che dal mancamento di preghiera provenga il poco frutto che si ricava dalla meditazione, ed il non pregare mostra che non conosciamo la nostra miseria e che ci confidiamo in noi stesse, onde affinché resti più persuasa della necessità della preghiera per eseguire i buoni desideri concepiti nella meditazione, voglio ricordarle essere verità di fede che non basta che l'intelletto conosca tutti i doveri della giustizia cristiana per adempirli, se insieme la volontà non è invigorita dalla grazia, di più, che noi siamo indegnissimi di questa grazia unica fonte d'ogni chiarezza, d'ogni forza e d'ogni bene, della quale la preghiera si è come la chiave, tutto sperando dalla potenza e misericordia di Dio per i meriti di Gesù Cristo nostro mediatore. La fede anche aggiunge a questo conoscimento quello del comandamento che Dio ci fa di pregare e di sperare fermamente che Egli eserciterà sopra il nostro cuore questa possanza e questa misericordia, se noi perseveriamo a pregare con umiltà e confidenza.

Asc,2268a:T3,8

Finalmente io vorrei… Finalmente io vorrei che procurasse uscire dall'orazione con tale desiderio di piacere a Dio, con fare in ogni cosa il suo santo amabile volere, atto a farla operare con virtù, ed anche con tale preparazione di cuore per tutto ciò che piacerà al Signore disporre di lei, atta a tenerla sommessa, umile e paziente, perché se desidera sinceramente di piacere al Signore, non troverà miglior mezzo che il fare sempre la sua santa amabile volontà, cioè adempire fedelmente ogni suo dovere in quella miglior maniera che Dio le farà conoscere, ad esempio di Gesù Cristo vero nostro esemplare, di cui è scritto che fece bene ogni cosa; bisogna poi anche volere quel che Dio fa, onde consideri tutti i mali sì di animo che di corpo che le potrebbero avvenire, e poi con una pacifica ed amorosa conformità si offerisca pronta di accettarli; e se così farà, sia certa che si avvezzerà ad operare in vista di eseguire il santo volere di Dio, il che renderà rette le sue intenzioni e la farà attenta ad evitare nelle sue opere ogni difetto conosciuto; con il volere poi quel che Dio fa, si renderà disposta a conservare la preziosa pace del cuore nei sinistri accidenti, e la carità col prossimo nei disgusti che ne potesse ricevere, talché invece di sdegnarsi e mormorare, rifletterà essere questi mezzi di cui Dio si serve per farle acquistare le sante virtù, poiché non basta che noi procuriamo con vari mezzi di farci sante, ma bisogna anche lasciarci fare dal Signore con gradire e profittare dei mezzi che Egli ci porge, senza di che, non mai al certo arriveremo alla perfezione, perché sempre vivrà in noi quel verme maligno della propria volontà che è quello, al dire di S. Teresa, che col rodere ogni nostra opera di virtù, la rende sempre difettosa.

Asc,2268a:T3,9 Si ricordi che la santità è una veste così stretta che non può vestirsi sopra quella dell'amor proprio, e tengo questa sia la cagione principale che di molte persone che attendono alla perfezione sì poche vi giungono, perché non vogliono intendere di spogliarsi delle loro passioni, della propria volontà, dall'attacco al proprio, onore e comodo, che sono i due occhi dell'amor proprio, come dice la santa dei Pazzi; poi vorrebbero vestirsi della perfezione come di una sopravveste, e perdono il tempo e la fatica. Prendiamo dunque questa pratica negli incontri disgustosi di unirci alla adorabile ed amorosa volontà di Dio, e volerli tollerare con quel fine che Egli intende, considerandoLo quale Sapientissimo Medico che conoscendo i veri nostri mali per l'amore che ci porta vi applica gli opportuni rimedi, onde ci importa tutto l'abbandonarci con docilità nelle sue mani e ringraziarLo di cuore, né più permetta al suo spirito di fermarsi a considerare l'oggetto della sua pena, perché questo la rende più sensibile, eccita la passione e la mette in pericolo di commettere molti mancamenti. Si tenga anche in pronto qualche parola che in questi incontri le ricordi il suo Dio

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come sarebbe, Fiat voluntas tua; ovvero: ho ammutolito, né ho aperta la bocca perché voi Signore l'avete fatto; Vi ringrazio Signore dell'occasione che mi date di praticare la tale virtù.

Asc,2268a:T3,10 Obbedirò al mio Padre, darò gusto al mio Sposo, darò gloria al mio Dio, col tale atto di virtù. Voglio ancora mostrarle un'altra utilità dei santi desideri d'operare il bene, e della preparazione del cuore per sostenere i mali; ed è che come ogni cattivo desiderio è peccato e merita castigo, così ogni buon desiderio è atto di virtù, merita premio; oltre di ciò, questo desiderio sincero d'operare con virtù conforme al volere di Dio, ci rende meno colpevoli nei mancamenti che per nostra fragilità e miseria commettiamo, mercè l'antecedente buona volontà; e quel Signore, che come dice il santo Davide, ha esaudito il desiderio del povero, ci darà anche più grazia per emendarci. La preparazione del cuore a sostenere i mali, ci sarà di grande utile ancorché i mali non ci avvengano, perché il nostro buon Dio, oltre all'esaudire il desiderio del povero, al dire dello stesso Davide, ha pure udita la preparazione del suo cuore, onde ci darà anche premio dei mali che non avremo tollerati, ma che già eravamo preparate a tollerare per suo amore. Procuri in fine, uscire dalla santa orazione con una forte risoluzione di vivere ai Piedi di Gesù Cristo, mercé un'umile sommessione nelle sue Divine Mani, con un confidente abbandono nel sacro suo Cuore, con un vero sincero amore.

Asc,2268a:T3,11

Atto da farsi per conclusione della Meditazione Mio Dio, Vi ringrazio della bontà che avete avuta in ascoltarmi, dell'onore che mi avete fatto in parlarmi al cuore, i buoni pensieri che ebbi in mente, gli affetti che concepì il cuore, le risoluzioni che ha prese la volontà, tutto riconosco per vostro dono e desidero darvene eterne lodi. Vi offerisco per le mani della Ss. Vergine queste stesse risoluzioni in unione dei meriti infiniti di Gesù Cristo, acciocché suggellate col suo preziosissimo Sangue, riposte nell'amabilissimo di Lui Cuore, Egli le custodisca e dia grazia di metterle in esecuzione, ma perché conosco il mio demerito, interpongo i meriti della Ss. Vergine e dei Santi miei Protettori. Avanzandomi ancora a raccomandarVi quanto so e posso i miei superiori ed inferiori, i miei parenti e benefattori, i miei amorevoli ed avversi, e singolarmente le sante anime del Purgatorio, con tutte quelle persone sane ed inferme che si raccomandano alle mie povere orazioni. Non nobis, Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam, Pater et Ave etc.

Asc,2268a:T3,12 Per ultimo le raccomando di eseguire con fedeltà quello che il Signore le farà conoscere nella meditazione volere da lei, talché non passi il giorno senza che faccia qualche atto della virtù che ha proposto di praticare, e sia certa che questa fedeltà le sarà una sorgente di lumi e di grazie che la guideranno con sicurezza nel pericoloso cammino di questa misera vita. Nell'uscire dal Coro desideri di restarci col cuore, e supplichi la Ss. Vergine, gli Angeli ed i Santi che dimorino in suo luogo a lodare ed amare Gesù; procuri subito uscita di sfuggire il favellare, ed esamini come si è portata in detto tempo.

Asc,2268a:T4,1

Cap. 4. Per la Santa Messa La Santa Messa procuri di accompagnarla coi più ardenti affetti. Si figuri d'essere presente al gran sacrificio del Calvario, considerando che in Gesù Cristo ha un tesoro con cui soddisfare a tutti i suoi debiti, purché con l'applicazione del cuore se ne sappia prevalere, perciò deve al principio offerirla così: Mio Dio, Vi offerisco questo santo Sacrificio per riconoscere, onorare e glorificare l'infinita vostra grandezza ed il supremo dominio che, come primo principio ed ultimo fine, avete sopra tutte le cose create. Vi rendo quest'omaggio per tutti quelli ancora che non sanno o non vogliono riconoscerVi. In rendimento di grazie per i benefici che io e tutto il mondo abbiamo ricevuti e riceveremo dalla Vostra bontà infinita; in soddisfazione dei peccati miei e di tutto il mondo, per impetrare le grazie che sono necessarie alla mia eterna salute ed a tutto il genere umano, ed in queste offerte potrà poi

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più estendersi. Nel tempo dell'elevazione è poi il tempo più opportuno per chiedere a Dio le grazie per i meriti di Gesù Cristo; e siccome la grazia della finale perseveranza è quella che deve starci più a cuore, ed è certo che non si può meritare, né il Signore si è obbligato a darcela, ma dobbiamo sperare che non sarà negata a chi, con perseverante preghiera, umilmente la chiede; dirà dunque dopo una profonda adorazione: Mio Dio, mio Creatore, Vi supplico a concedermi la grazia della finale perseveranza, so per fede che non la merito, né posso meritarla, ma la merita il Vostro Divino Figliuolo che per me la domanda con tante bocche, con quante ferite Vi dimostra nel suo Santissimo Corpo per mio amore piagato.

Asc,2268a:T4,2 Non ometta di fare la comunione spirituale, essendo essa molto grata a Dio, e di nostro molto profitto, onde avverta che per troppo caricarsi di vocali orazioni, non la faccia in fretta, il che sarebbe cagione di non poterla gustare, né trarne quel vantaggio che se ne trae se si fa con tranquillità ed intera applicazione d'animo; perciò parmi che ad una religiosa, oltre le orazioni di obbligo, potrebbe bastare di recitare ogni giorno cinque Pater ed Ave per dare un tributo di grata memoria ai patimenti di Gesù Cristo, ed anche per conseguire le indulgenze, il che si potrebbe fare nel tempo della benedizione, come si usa, o non essendovi, dopo l'orazione della sera; inoltre, una visita all'altare della Ss. Vergine recitandovi le sue litanie, la terza parte del rosario che può dire travagliando, le tre Ave all'Immacolata purità di Maria, un Pater ed Ave ai suoi Protettori, ed una visita all'altare dell'angelo custode; il che, prescindendo dai giorni festivi, sarà sufficiente.

Asc,2268a:T5,1

Cap. 5. Per il lavoro Nel mettersi al lavoro rinnovi la sua intenzione dicendo: Signore mio Gesù Cristo, in unione di quella Divina intenzione con cui in terra avete operato dando gloria al Padre, così io adesso quest'opera Vi offerisco, ovvero, Domine, hoc opus offero tibi per unicum Filium tuum, in virtute Spiritus Sancti, in laudem æternam. Ma il più bello e giovevole indirizzo, è il non amare, né compiacersi che nel fare la Santissima e Amabilissima Volontà di Dio in ogni sua opera, e per questo è necessario mezzo il procurare di rendersi indifferente circa gli impieghi e lavori, mentre la Santa Volontà di Dio si trova nella ubbidenza, e non nel proprio genio; di più, non si deve restringere la nostra ubbidienza nell'esercitare quell'impiego che dalla superiora ci viene assegnato, ma la stessa ubbidienza dobbiamo farci dovere di prestare a quella che presiede al nostro impiego, né vale il dire che si contraddice alle maggiori, acciò le cose si facciano meglio (sia così), ma questo non prepondera al suo meglio che si è negare se stessa e mantenere la pace che si rompe col volere soprastare. Non voglio dire con ciò che lasci di proporre il suo sentimento, ma si proponga in maniera sì umile che non possa offendere, e con tale indifferenza che se viene rigettato non dia il menomo segno di dispiacere.

Asc,2268a:T5,2 È pure eccellente ubbidienza l'aderire alle uguali e prendere con indifferenza, anzi con spirito d'ubbidienza quei lavori, o fatiche nelle quali esse mostrino genio che lei s'impieghi, e sia certa che se non intende che di fare la Divina Volontà nei suoi impieghi, il suo cuore si libererà da ogni attacco o avversione, né vi sarà esercizio basso che la ributti, perché la Divina Amabile Volontà è sempre nobile, amabile e bella in ogni cosa. Metta poi, per dire così, il cuore nel suo officio, acciò la comunità sia ben servita, con carità, e la Santa povertà vi sia osservata, perché se invece di tenere a cuore il suo officio, vi tiene lavori a suo genio, non baderà che a spedire quelli del suo officio per potervi attendere, onde le sorelle saranno mal servite, e manderà le cose a male contro la Santa povertà.

Asc,2268a:T5,3 Si guardi poi di mai lamentarsi delle sue compagne d'impiego, ma creda se non la passa con buona armonia che ciò proviene per colpa sua, onde esamini bene come pratichi la carità, l'umiltà, la dolcezza e la condiscendenza, poi procuri ad ogni costo la pace, ma non con voler riformare le altre, ma bensì col riformare se stessa, né perda il tempo in pensare alle virtù che dovrebbero praticare le altre, ma a quelle che nelle presenti circostanze debbono da lei praticarsi, in tale modo che le riesca

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col favore Divino di essere pacifica anche con le persone, che pare, odiano la pace, onde possa dire con verità cum his qui oderunt pacem eram pacificus. E queste parole che dice ogni mattina, le ho messe acciò le servano a ricordarle questa importante massima. Sarà anche ottimo mezzo per convivere con tutte in santa pace, il procurare di portarsi da figlia sommessa e riverente con le maggiori, come sorella civile e condiscendente con le uguali; quale madre compassionevole con le inferiori. Per rendersi ciò facile, si mantenga mai sempre lieta di cuore, serena di volto, aggiustata nelle parole, perché con la letizia nel cuore, avrà la pace in sé, il che è gran disposizione a mantenerla con le altre; con la serenità del volto edificherà e rallegrerà le altre; con l'aggiustatezza delle parole schiverà l'imprudenza, l'inconsiderazione, seme della discordia, e darà lode e gloria a Dio, perché tutto si ha ad operare a questo unico fine con ogni sincerità, senza il menomo raggiro d'umano interesse, e desiderare, pregare e cooperare, per quanto si può, che questa casa emuli il Cielo, in cui tutti lodano Dio con uno stesso cuore, contenti in quel grado di gloria in cui il Signore li ha posti, senza invidia e gelosia della maggior gloria degli altri, compiacendosi unicamente nella Ss.ma Dolcissima e Amabilissima Volontà di Dio.

Asc,2268a:T6

Cap. 6. Per il parlatorio Quando le occorrerà di essere chiamata al parlatorio, si ricordi che va in luogo di pericolo, perciò prima d'entrarvi si armi col segno della Santa Croce, si raccomandi alla Ss.ma Vergine col sub tuum præsidium; ci vada per obbedienza e non per affetto, perciò mai dimostri desiderio di essere più spesso visitata, nemmeno dai più congiunti; non si mostri curiosa di sapere nuove di mondo, né racconti quello che occorre in monastero, sì riguardo alla sua persona, che alle altre, acciò per la sua imprudenza non venga a scemarsi il buon nome del monastero, perciò pure avverta di non andare girando gli occhi per osservare chi entra e chi esce dal parlatorio, insomma si tenga in aria di modesta allegrezza e con tutta la persona ben composta; non preghi chi la visita a trattenersi più lungo tempo, se ode il segno del Coro sia pronta a licenziarsi, che così farà il suo obbligo con edificazione dei secolari che la crederanno monaca contenta, perché non cerca con esso loro il suo contento. Uscita dal parlatorio, non racconti le vanità udite o vedute, anzi procuri di levarsele presto di mente. Sia diligente nell'andare alle ore, per avere tempo di esaminare come le cose sue siano passate nella mattina, se male, per procurare che così non seguitino nel rimanente del giorno, acciò non sia giorno perduto, ne domandi perdono a Dio, con proporre di stare più sopra di sé, ed implori il suo aiuto; se per Divina Misericordia la trovasse bene spesa, gliene dia la dovuta lode, e si animi a terminare santamente il giorno, sicché sia giorno pieno da contarsi negli anni eterni.

Asc,2268a:T7,1

Cap. 7. Per la refezione Nell'andare alla mensa si porti subito nel lavatorio, acciò abbia tempo di lavarsi le mani, e mantenga il buon uso di non uscire più fuori a parlare (come pure di non uscire dopo fatta la benedizione), ma vada al suo luogo, ed ivi offerisca quest'azione alla gloria di Dio, come cosa di sua volontà, avendo messa in questa necessità la nostra natura e di più, per essere a noi in tale tempo prescritta dalla santa regola, sia adunque questo lo spirito con cui la animi, e se vuole servirsi dell'indirizzo insegnato dal Signore a S. Gertrude dica: Signore, io ricevo questo cibo in quell'amore col quale Tu lo santificasti quando nella tua Santissima Umanità te ne servisti, a lode di Dio e salute del genere umano, e ti prego che in unione del tuo divino amore ceda in aumento di salute a tutti i Celesti, terrestri e purganti. Dica con spirito di carità un Ave Maria per i poveri, per supplire all'elemosina che essa non può fare ad essi, e mortificare la fretta che potesse avere di cibarsi.

Asc,2268a:T7,2 Ma se vuole che il suo indirizzo le giovi, deve, nel cibarsi, eseguire costantemente l'ammaestramento del Signore, cioè prendere quello che le viene posto avanti con totale indifferenza, perché se cerca il suo gusto non cerca più il solo volere di Dio, oltre di che, questa costante indifferenza è la più eccellente mortificazione (al parere di S. Francesco di Sales) che si

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possa praticare, con questa esercita la povertà, perché come dice la Santa de Pazzi Maria Maddalena, vediamo, dice, che i poveri prendono quello che viene dato loro, e se ci dicessero che non lo vogliono perché non piace loro, diremo che non sono poveri. Con questa indifferenza neppure sarà molesta alla cuciniera che dovrebbe tenersela sempre in un cantone della memoria per potersi ricordare dei suoi gusti; non sia neanche facile a credere che alcune vivande le siano nocive, perché l'amor proprio ci fa travedere, ma se ama la vita comune, troverà in essa tanto piacere che per non dipartirsi da essa, procurerà di assuefarsi a tutto, e dove trova nociva la qualità, vi rimedierà con la minor quantità, giusta quell'assioma che non è la qualità, ma la quantità che nuoce.

Asc,2268a:T8,1

Cap. 8. Della ricreazione Rese poi devotamente le grazie con cuore riconoscente, e non per uso, farà nel terminarlo il segno della Santa Croce, indi lo stesso santo segno sopra le labbra dicendo: Mettete Signore una guardia alla mia bocca ed una porta alle mie labbra, acciò non vi esca parola che sia di vostra offesa. Se può, non ometta l'atto di carità che fa ora di aiutare a sparecchiare le tavole, indi si porti ad adorare il Santissimo Sacramento, le offerisca la ricreazione come cosa di sua S. volontà, dica: Rallegrate, Signore, l'anima della vostra serva, perché a Voi l'ho innalzata, si rallegri il mio cuore temendo il vostro Santo nome, e ricordandosi che deve rendere conto d'ogni parola. Procuri di non accompagnarsi sempre con la medesima, neanche a titolo di pietà perché questo non edifica parendo amicizia particolare, anzi dovrebbe anche in questo mortificare il suo genio trattenendosi con quelle che al suo naturale sembrano più noiose. Le consiglio ancora, a procurare di non trovarsi con una sola per non dare luogo a discorsi confidenziali nei quali suole correre rischio la carità; nel rimanente si mostri modestamente allegra, e se non può introdurre discorsi di pietà (il che deve prudentemente procurare), non se ne prenda pena purché siano indifferenti.

Asc,2268a:T8,2 Al segno del termine della ricreazione, sia pronta a troncare ogni discorso, e a ritirarsi in cella massime quando segue il silenzio, ed anche quando non vi è, perché il prolungare a ricrearsi non è più fare la Santissima e Amabilissima Volontà di Dio; qui mi sovviene il dirle che sarebbe pure una pratica vantaggiosa l'interrogare spesso se stessa nelle sue opere in tale modo: fo io adesso la volontà di Dio? Quanto al materiale dell'opera, e quanto all'intenzione? Così non farà opera che sia o fuori di tempo, o fuori di luogo, o macchiata da meno retta intenzione che certo, se conoscessimo il male della propria volontà, la temeremo più che il Demonio, e stimeremo il fare la Ss. Volontà di Dio più di quanto le so io esprimere, onde dirò solo quel che dice S. Bernardo, cioè: Cessi la propria volontà e non vi sarà Inferno.

Asc,2268a:T9

Cap. 9. Del trattenersi in cella Si trattenga quanto più può nella sua cella, ed avverta di non uscirne per impulso di natura, ma il solo motivo ne sia l'obbedienza, la carità o la necessità, né tema sia per recarle malinconia il procurarsi un poco di solitudine, perché il Signore, per il cui amore ella mortifica la naturale propensione al dissiparsi, le saprà ben pagare una tale mortificazione, e creda che se si risolve di superare al principio qualche tedio, saprà poi per propria esperienza quanto sia dolce il trattenervisi, e con quanta ragione dicesse quel certo Servo di Dio: Cella quasi Cielo. Ma non deve mai permettere al suo spirito di starvi ozioso, altrimenti non le gioverebbe la solitudine del corpo, ma procuri di starvi col suo Signore col mezzo di devoti pensieri e santi affetti. In omnibus requiem quæsivi, et non inveni illam, nisi in cella cum libello.

Asc,2268a:T10

Cap. 10. Del visitare le inferme La debbo avvertire a guardarsi che l'affetto alla cella non la deve far omettere il caritatevole ufficio di visitare le inferme, essendo questa un'opera di misericordia che molto le raccomando, anzi la

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deve prendere a cuore, perché le viene raccomandata da Gesù Cristo, perciò sarebbe bene il prefiggersi di visitarne una per giorno, talché tutte siano da lei visitate indistintamente, salvo che la stessa carità la deve spingere a visitare più spesso quelle che fossero più lasciate, altrimenti, se ella più sovente si portasse dove vi è più concorso, non sarebbe più atto di carità, ma soddisfare l'amor proprio, un andare cercando di ciarlare, nulla meno che se andasse a trattenersi con un'amica sana, il che pure deve evitarsi, se pure non si trovasse bisognosa di un ragionevole sollievo, ma questo è un rimedio che non bisogna troppo usarlo.

Asc,2268a:T11,1

Cap. 11. Della lezione La lettura che deve fare ogni giorno, vorrei che si facesse con un vivo desiderio di trarne profitto, perciò prima d'incominciarla si metta in ginocchio alla presenza di Dio come ora costuma, dica il versetto Veni Sancte Spiritus, indi l'Ave Maria. Nel leggere, non si affretti, ma procuri di gustare ciò che legge imprimendosi nella memoria per suo buon regolamento ciò che le pare faccia per lei, cioè più al suo bisogno. Sarebbe anche dovere, quando sentisse qualche interna mozione, di fermarsi per dare luogo alla considerazione ed all'affetto. Circa i libri, non sia curiosa di scorrerne molti, né mai si lasci entrare la vanità di voler comparire d'aver letto molto, ma si appigli al consiglio del pio Autore della Imitazione di Cristo, che dice Leggi tali materie, le quali piuttosto ti diano compunzione che occupazione. Anzi per accertare in questa scelta, non legga libro senza che le sia approvato da chi conosce il suo spirito. Con queste cautele, vorrei che si rendesse assidua alla lettura, per quanto glielo permettono le occupazioni dell'obbedienza, talché, tutto il tempo libero, massime nei giorni festivi, fosse impiegato nella Lezione e Meditazione, il che sarà un mezzo efficacissimo per mantenersi nella vita di fede, di cui vive il giusto, primo, perché la lettura è quella che deve ordinariamente somministrare la materia per la Meditazione delle verità della fede, che per questo viene chiamata sorella della Meditazione.

Asc,2268a:T11,2 Secondo, perché potendo occorrere che alle volte il suo spirito non possa fissarsi nella Meditazione, verrà con la Lezione a mettersi, per dire così, sotto gli occhi le verità della fede; ho detto deve essere assidua alla lettura, perché quanto più spesso si metterà sotto gli occhi le massime della fede, il suo spirito ne resterà più penetrato, e santamente occupato tra queste tutto il giorno, onde le cose sensibili non le faranno quella impressione che sogliono fare in uno spirito quale non sa quasi pascersi che degli oggetti sensibili, e si trova in sé come chi si trovasse in una casa affatto sprovveduta, onde è costretto ad uscirne per trovare nei sensi il suo pascolo, dal che ne viene la noia che provano nella solitudine, il vivere in una continua dissipazione tra il giorno, che le accompagna poi, anche nel tempo destinato alla Meditazione, e questa credo che in gran parte sia l'origine del poco avanzamento delle persone religiose, le quali non dovrebbero operare che per i movimenti della Divina Carità, e riferire tutto a Dio, ma perché non danno questo pascolo al loro spirito, viene questo ad offuscarsi e ad aderire troppo ai sensi, onde è che le massime più chiare del Vangelo non fanno in esse la viva impressione che farebbero, tuttoché abbiano la sorte di partecipare, mediante la grazia santificante, del dono dell'intelletto, il di cui proprio officio è di far comprendere e gustare con soavità queste massime, con tutto ciò passano una vita piena d'imperfezioni, senza fortezza nella fede, senza conforto nella speranza e senza ardore nella carità, pieni d'una certa amarezza che toglie loro la bella pace del cuore, e per loro grande sciagura, in pericolo di cadere in peccato, mentre dal non vivere quella vita di fede di cui vive il giusto, cioè dal non regolarsi con le massime della fede, ne segue l'aderire ai sensi, alle passioni ed all'amor proprio, come si scorge dalla stima in cui tengono ciò che dal mondo si apprezza, dal riempirsi di umani desideri, di propri disegni, con tanto impegno ed inquietudine, come se nulla sperassero dalla Divina Provvidenza.

Asc,2268a:T11,3 Così pure nelle avversità non sanno rimirare i flagelli nelle amorose mani di Dio, ma solo rimirano alle cause seconde, rendendosi non solo inutile un mezzo col quale la Divina Provvidenza e Misericordia voleva porgere loro occasione di acquistare molto merito, ma di più se lo rendono con la loro impazienza occasione di molti peccati, e questo perché non si fissano nelle verità della fede,

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ma tengono troppo gli occhi rivolti verso la terra, rattristandosi o rallegrandosi, secondo ciò che riesce o si oppone alla loro propria volontà, e come a questa mirano i loro desideri, così sono tiepidi nei desideri di glorificare il loro Dio e di darGli gusto, ed anche professando di seguitare Gesù Cristo, sfuggono, quanto più possono, di partecipare alla sua Croce. Deplorabile cecità: vivere nell'amoroso seno di Dio senza conoscerLo, essere per la grazia nello stato di Santi e privarsi per aderire ai sensi della comunicazione che la Divina Bontà si compiace di mantenere coi Santi, e che sempre aumenterebbe in loro la fede e l'amore, e toglierebbe ben presto le loro imperfezioni.

Asc,2268a:T12,1

Cap. 12. Dell'osservanza della S. Regola Custodiamo la santa regola, diceva S. Maria Maddalena de Pazzi, affinché ella ci custodisca; ed in vero, a che tendono le sante regole se non a somministrarci i mezzi per osservare con perfezione la Divina legge ed i santi voti, ed essendo i voti come i muri della religione, le regole ne sono l'antemurale, onde, finché questo stava in piedi, non potrà il muro essere abbattuto. Mostra l'esatta osservanza il nostro rispetto al santo volere di Dio, quale possiamo giustamente riconoscere in ogni benché menoma regola, e noi felici se potremo dire con Gesù Cristo: Io fo sempre quel che piace al mio Padre, e questa sommessione e fedeltà ci otterrà molte grazie, mercé le quali ci sarà agevole il resistere alle tentazioni ed il passare la nostra vita nella Divina Grazia, e credo che in questo senso dica la suddetta Santa che la santa regola ci custodisce.

Asc,2268a:T12,2 Si deve anche osservare con spirito d'amore, e procurare che questo sia come l'anima della nostra esatta e perseverante osservanza, il che, quanto piaccia al Signore e sia a noi giovevole, lo dimostrò a S. Teresa facendole vedere un religioso che andò al Cielo subito spirata l'anima, benché non risplendesse agli occhi del mondo per singolare santità, e disse il Signore alla detta Santa che per essere stato quello esatto osservatore della sua regola, gli aveva data grazia di conseguire la plenaria indulgenza concessa in articolo di morte a quelli del suo ordine, e da ciò osservi che le grazie non si concedono a chi porta l'abito religioso, ma a chi ne osserva le regole. Le consiglio di leggere sovente la santa regola, nella quale deve principalmente riscontrare la sua maniera di vivere, e come il mezzo datole da Dio per tendere a quella perfezione alla quale l'obbliga il suo stato, fuori della quale è per lei inutile il cercarla, ma le raccomando di prendere di mira quelle regole, per cui osservare non vi abbisognano forze corporali, e che si possono osservare in ogni circostanza, come primieramente quella che c'impone la continua mortificazione interna ed esterna, e ce la propone come carattere distintivo del nostro istituto, e per darle un'idea di quale dovrebbe essere la nostra mortificazione voglio proporle i sentimenti di un gran servo di Dio che dice: La mortificazione di Gesù Cristo e la sua Croce si abbraccino amorosamente e fedelmente sino alla morte.

Asc,2268a:T12,3 Il primario esercizio della mortificazione sia il fare sempre la Ss.ma Amabilissima Volontà di Dio, rinunciando perciò al genio, al senso, patendo, scapitando, etc. Secondo, la materia della mortificazione sia l'ubbidienza e l'andare in ogni cosa con la comunità. Terzo, il fare bene e con amore le cose ordinarie della sua vocazione, ed in queste tre materie la mortificazione è tutta santa e cara a Dio, ed affatto sicura dagli inganni. Quanto poi alle materie volontarie, la più eleggibile, sopra la quale si possa esercitare la mortificazione, è la Carità, cioè in servire ed aiutare i prossimi, rinunciando per ciò alle comodità, consolazioni, etc. patendo per loro, etc. Secondariamente, è buonissima materia di mortificazione l'umiltà, dove il senso è vivo, e la pugna e vittoria piace assaissimo a Dio. Terzo, è buon esercizio di mortificazione intorno a quelle passioncelle o affetti o propensioni che particolarmente ritardano dall'unione con Dio; e però in queste tre materie di mortificazione si abbia gran premura.

Asc,2268a:T12,4

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Quanto alla mortificazione in altre materie indifferenti, come nella mensa, letto, veste, sensi, etc. si pratichi la maggiore che si può, così per esercizio di penitenza, come per imitare la vita e dottrina del Salvatore; purché si avverta, primo, che l'amor Divino sia quello che ecciti e moderi la mortificazione, ed egli ne sia la causa efficiente e finale. Secondo, che la mortificazione soggiaccia in tutto e per tutto all'ubbidienza. Terzo, che non pregiudichi alla sanità che si ricerca per lo stato ed offici. Quarto, che si eviti totalmente la singolarità, e piuttosto si lasci la mortificazione, che si faccia alcuna singolarità. Dal detto, può scorgere quale sodo fondamento di perfezione getterebbe nel suo cuore, se mettesse in pratica questa regola, e quale regno di pace si stabilirebbe, e come si disporrebbe alla Divina unione che è il termine della perfezione, poiché mortificando le passioni ed i sensi, si tolgono i difetti ed il contrasto alla pratica delle virtù, e particolarmente di quelle che ci ingiunge la regola che dice: Parleranno il meno che sia possibile, e sempre con voce bassa ed umile. Osservi che col silenzio si edifica l'oratorio interno, e col parlare con voce bassa ed umile si praticano le due virtù che Gesù Cristo ci disse volere che da Lui imparassimo, che sono la mansuetudine e l'umiltà, perché chi osserva questa regola non parla con voce sonante e sdegnosa, né con parole arroganti; il che troppo disdice in chi professa d'imitare Gesù Cristo che è tutto dolcezza nel Volto, nelle parole, nelle opere, e insino nel nome, finalmente quella che ingiunge la continua presenza di Dio, la provvede di un'arma potente per combattere i suoi nemici, e le somministra il mezzo più efficace per perfezionare il suo spirito nella santa orazione e unione con Dio. Le ho fatte queste riflessioni sopra la santa regola, affinché faccia di essa la dovuta stima, e comprenda con quanta ragione si canti a gloria del nostro santo Padre: Tu de vita monachorum sanctam scribis regulam, quam qui amant et sequuntur, viam tenent regiam.

Asc,2268a:T12,5 Inoltre, dobbiamo riporre nell'esatta osservanza il maggior lustro e decoro del nostro monastero, e la preziosa eredità che dobbiamo trasmettere a quelle che ci seguiranno, come è stata a noi trasmessa da quelle che ci hanno precedute; e per comprendere quale sia l'importanza di conservare questo deposito, rifletta che una figlia entrando in religione, segue d'ordinario la strada che trova battuta, e più si appiglia a quello che vede praticarsi, che a quello che trova scritto, onde viene ad incominciare il suo viaggio fuori di strada, per colpa di chi ha introdotta la inosservanza, la quale si fa rea di tutte le funeste conseguenze, e questo tanto importa che la stessa S. dei Pazzi dice che dobbiamo essere pronte a mettere la vita e il sangue prima che permettere il minimo allargamento della regola, e che dobbiamo pensare ognuna ad essere sola ad osservare ogni minima cosa della regola, e che da ognuna dipenda il vigore di essa, onde, supposto che lei si trovasse veramente sola ad osservare qualche regola, dovrebbe anche con maggior impegno osservarla.

Asc,2268a:T13,1

Cap. 13. Per l'esame particolare Nell'ora del Vespro, procuri di fare il suo esame particolare sopra l'acquisto di qualche virtù, o l'emendazione di qualche difetto; essendo che la persona spirituale deve sempre avere in vista qualche nuovo acquisto di virtù, per cui deve ordinare il suo esame particolare ed il frutto di sue meditazioni e comunioni. Io molto le raccomando la pratica di questo esame, acciò l'anima sua non divenga simile alla vigna dell'uomo pigro, della quale dice il Savio che passò per essa, e vide che la siepe d'intorno era caduta e che ogni cosa era piena d'ortiche e di spine, onde, affinché l'anima sua non cada in così misero stato, sia molto sollecita di valersi di questo mezzo, né mai desistere, né perdersi d'animo per le difficoltà, e dica col S. Davide: Perseguiterò i miei nemici, e non mi stancherò, né ritornerò addietro, sino a riportare vittoria di essi. Ma se desidero che il suo desiderio della virtù sia ardente e sollecito in farle prendere costantemente i mezzi per acquistarla, è pure necessario che sia paziente, altrimenti ne seguirà il perdersi d'animo, dicendo nel suo cuore: questo mezzo non mi giova, poiché non acquisto la virtù che pure desidero, e credo che il Demonio non lascerà d'adoperarsi per farle perdere ogni cosa con questi pensieri pusillanimi, perciò parmi necessario il premunirla contro quest'astuzia del maligno, ossia della nostra infingardaggine. Però

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rifletta essere la perfezione un lavoro di tutta la vita e che perciò dobbiamo almeno procurare che la morte ci trovi con le armi in mano, cioè sollecite in servirsi di mezzi opportuni per farne acquisto.

Asc,2268a:T13,2 Secondo, si ricordi di quello che dice l'Autore dell'Imitazione di Cristo, cioè se cade quello che propone gagliardamente spesso manca, ché farà quello che raramente e con poca fermezza propone; e di più dice che se ogni anno emendassimo un solo difetto, saremo ben presto perfetti; mi pare che ciò dica per insinuarci questo desiderio paziente, e perché non si emenda al certo un difetto, senza che in conseguenza se ne emendino più altri; né si acquista una virtù, senza che se ne acquistino in conseguenza più altre. Terzo, giudichi se opererebbe con senno chi avesse a fare viaggio in una strada piena di ghiaccio, per cui frequentemente cade, e dopo essersi alzato molte volte dicesse: è inutile che più mi alzi, poiché già prevedo che tornerò a cadere; è certo che così facendo verrebbe a perire, in luogo che se perseverasse ad alzarsi ed a camminare, giungerebbe pure finalmente al bramato termine. Animo dunque a perseverare, e dica che non profitta perché non ha diffidato abbastanza di sé, né confidato unicamente in Dio, e che più si è appoggiata a mezzi, che nel Divino favore, che perciò deve accrescere il suo ricorso a Dio con maggior umiltà; e se tra il giorno farà atti della proposta virtù, ne renda subito a Dio le grazie, almeno col Deo gratias, e cadendo nel difetto, farà un atto di pentimento, proponendo di ricominciare.

Asc,2268a:T14,1

Cap. 14. Dell'esame generale e del riposo

Asc,2268a:T14,1

Alla sera farà… Alla sera farà esattamente l'esame generale prescritto, osservando i cinque punti. Primo, ringrazierà Iddio dei benefici ricevuti, particolarmente in quel giorno. Secondo, domanderà grazia di conoscere i mancamenti commessi, ed un vivo dolore dei suoi peccati e fermo proposito. Terzo, si esaminerà sopra i pensieri, parole, opere ed omissioni, massime delle ispirazioni non corrisposte per l'avanzamento alla perfezione religiosa. L'esame non esigerà gran tempo, se procurerà tra il giorno di stare sopra di sé e prenderà il lodevole costume di esaminarsi, terminate le principali sue azioni. Quarto, procurerà di concepire un vero pentimento delle sue colpe, non solo di quelle del giorno, ma anche di quelle di tutta la vita che non si devono mai in generale perdere di vista. Quinto, farà un fermo proponimento d'emendarsi, nel che si deve usare diligenza per non andare avanti un dì dopo l'altro con gli stessi difetti.

Asc,2268a:T14,2 Indi offerisca i meriti di Gesù Cristo e le sue divine virtù in sconto dei suoi difetti. Prima di uscire dal Coro dirà: Signore, io vorrei poter stare tutta questa notte avanti di Voi per amarVi, lodarVi, ma poiché non posso tanto, supplico tutti gli angeli ed i Santi ad amarVi e lodarVi anche per me, ed a questi rivolta dica: Adorate eum omnes Angeli ejus, laudate eum omnes virtutes ejus. Di poi, prenderà la benedizione dal Signore dicendo, Benedicat nos Deus, Deus noster, benedicat nos Deus e dicendo queste tre volte Deus, si ricordi che fa memoria della Ss. Trinità. Andando alla sua cella, dirà un Agimus per tutto il bene che col divino aiuto ha fatto in quel giorno, ed un De profundis in penitenza dei difetti commessi.

Asc,2268a:T14,3 Giunta in camera, posta ai piedi del Crocifisso, reciti il Te lucis ante terminum, etc. Dignare Domine nocte ista con il rimanente del Te Deum. Indi, asperga il letto coll'acqua benedetta, poi dica l'oremus Visita, quæsumus Domine, etc. Noctem quietam, etc. Custodi me Domine, etc. Salva nos Domine, etc. Di poi bacerà devotamente le Ss.me Piaghe del Crocifisso come se ricevesse l'estrema unzione, dicendo per ciascuna: Mio Gesù, perdonatemi i peccati che ho commesso con il gusto e le parole, e nello stesso modo, con l'udito, con il tatto, baciando quella del Costato dirà: Mio Gesù perdonate al mio cuore le sue ingratitudini, ve l'offerisco contrito e umiliato, desideroso di amarVi

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unicamente; ed avrà intenzione nel fare quest'esercizio di chiedere il perdono dei peccati che con i suoi sentimenti ha commessi, per i meriti dei patimenti che Gesù nei suoi ha sofferti. Farà poi il seguente indirizzo: Mio Gesù, nel vostro amabilissimo Costato io intendo di riposare questa notte. Beatissima Vergine, difendetemi dalle insidie del nemico infernale, e datemi la vostra santa benedizione, Nos cum prole pia benedicat Virgo Maria. Ho intenzione, mio Gesù, che tutti i respiri di questa notte siano tanti atti d'amore di Iddio; tutte le palpitazioni del mio cuore siano tanti atti di contrizione e dolore dei miei peccati; tutti i movimenti del mio corpo, siano tanti atti di desiderio d'unirmi a Voi e di goderVi nel santo Paradiso. Amen.

Asc,2268a:T14,4 Di poi, come riverente figlia bacerà la mano alla Ss.ma Vergine come a sua carissima e buona Madre, dicendo intanto: Monstra, o Maria, te mihi veram esse Matrem, ama me usque in finem, consolare me in extremis, et perduc me ubi cum Filio tuo te contempler et glorificem in sæcula sæculorum. Magna Mater, suscipe filiam cum tota æternitate luctantem. Ad pedes tuos, piissima Domina mea, vivere volo et mori cupio. Indi levandosi il velo dirà: Signore, fate che mai mi scordi della morte, onde pronta sia sempre a lasciare questa misera vita. Levandosi il frontale dirà: Signore, sciogliete i miei pensieri da tutto ciò che m'impedisce l'unirmi a Voi. La sottogola, Signore concedetemi quella purezza di cuore che conviene ad una vostra sposa. La cintura, Signore, Vi supplico a perdonarmi le mancanze commesse nei santi voti. L'abito (che deve sempre baciare), Signore, spogliate l'anima mia da tutto ciò che Vi dispiace. Poi si metterà in ginocchio, ed abbassando il capo sino a terra adorerà la Maestà di Dio presente dicendo: Regi sæculorum immortali et invisibili, soli Deo honor et gloria in sæcula sæculorum.

Asc,2268a:T14,5

Posta in letto… Posta in letto, e preso tra le mani il Crocifisso dirà: O Cor Jesu dulcissimum, tibi commendo hac nocte cor et corpus meum, ut in te dulciter requiescat, et quoniam ego obdormitura Deum laudare nequeo, hoc tuum mi Jesu suavissimum cor pro me supplere dignetur. Amen. Penserà poi come in simile atteggiamento si troverà alla morte, perciò come se avesse a morire, si accosti alle labbra il Crocifisso dicendo: Hora mortis meus flatus intret, Jesu, tuum latus: hinc expirans in te vadat, ne hunc leo trux invadat, sed apud te permaneat. In manus tuas Domine etc., con desiderio di esalare l'ultimo respiro nel Ss. Costato di Gesù, poi dica: In pace in idipsum dormiam et requiescam. Con questi pensieri, prenda riposo nel sacro Cuore di Gesù, e tra le braccia della Divina Misericordia. Svegliandosi tra la notte, volti subito il cuore a Dio, con queste o altre giaculatorie: Anima mea desideravit te in nocte*1. Non dormitavit neque dormiet qui custodit Israel*2. Media nocte clamor factus est: ecce sponsus venit*3. Illuminare his qui in tenebris etc.*4 Jesu esto mihi Jesu et salva me, ne permittas me separari a Te, quem Tu de nihilo creasti, et proprio sanguine redemisti. Stella matutina ora pro me. Ave maris stella. Veni Jesu dulcissime, veni divine amor, et Tu mihi somnia dispone. Fac me Jesu dulcissime, super pectus tuum requiescere. Peto Domine, et desidero ut singulæ respirationes meæ hac nocte laudem, et honorem tibi exhibeant.

Asc,2268a:T15,1

Cap. 15. Alcuni devoti pensieri e santi affetti per ricevere con spirito d'amore tutto ciò che ci succede

Asc,2268a:T15,1

Giacché sei indegna del martirio… Giacché sei indegna del martirio, eleggiti almeno per tuo tiranno l'amor divino, e soggettati amorosamente a tutti gli strazi che vorrà fare di te: se ti vorrà lasciare ignuda, se ti torrà la libertà, se ti priverà di tutte le comodità, se ti torrà l'onore, se ti leverà il senno, se ti martirizzerà il genio, se la

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volontà, se ti torrà la sanità, se la vita, se non ti lascerà né tempo, né ora che sia tua, se ti torrà tutti i mezzi spirituali, se ti negherà una stilla di consolazione, se ti cruccerà con le aridità, desolazioni, tentazioni, tedi, e talvolta con le occupazioni esteriori. Se ti strapazzerà, e ti vorrà sotto i piedi di tutti. Se ti condannerà per schiava perpetua delle sue creature, senza lasciarti un'ora di respiro: sappi vivere in questo nobile martirio e spenderci il cuore e la vita. Ordinariamente i martiri hanno patito per la fede, tu per carità, quelli per difendere la parola di Dio, tu per dare gusto al Cuore divino, e per contentare il suo amore. Fatti cuore, perché il tuo martirio può essere più degno, perché la carità è più degna della fede, ed inoltre il martirio dell'amore è più lungo e senza colpa d'alcuno, viene da mano più nobile, apparisce meno al mondo, e spesso più giova ai prossimi, perché si suole patire per giovarli. Le suggerisco qualche ispirazione da fare tra il giorno.

Asc,2268a:T15,2 Nell'uscire di cella: Vias tuas Domine demonstra mihi et semitas tuas edoce me. Nell'andare: Sequar te Domine quocumque ieris, quia verba vitæ æternæ tu habes. Nell'ascendere le scale: Datemi grazia, Signore, d'ascendere per la scala delle virtù, finché io giunga alla perfezione e finalmente al possesso della gloria. Nel ritornare in cella: Aperite mihi portas justitiæ – justi intrabunt in ea. Mirando il Crocifisso: Ego sum tui plagæ doloris, tuæ culpa occisionis, merui mortem, peto vitam. Al suono delle ore: Offero tibi Pater quidquid dixero, fecero, cogitavero hac hora, utinam eam utiliter transigam ad majorem tui gloriam. Vedendo la pioggia: Irriga, Domine, arentem animam meam, ut fructum bonæ operis reddat temporibus suis. Vedendo la serenità: Dissipa, Domine, a corde meo nebulas terrenorum affectuum, et lucis tuæ radius illustra animam meam. Mirando il Cielo: O magna Domus Dei, quam vilis mihi fuisti; pænitet me Domine, da mihi constantiam in servitio tuo. Cæli Cælorum laudate Deo.

Asc,2268a:T15,3 Mi rimane ancora d'avvertirla che le aspirazioni che le ho suggerite, particolarmente quelle della mattina e della sera, non le ho poste per restringere ad esse il suo spirito, ma solo acciò non resti oziosa, quando non se le presenta con che santamente occuparlo; onde se alla mattina, premessi i primi atti nello svegliarsi, e detto il Vi adoro, se può tenere occupato il suo spirito intorno alla meditazione che deve poi fare, o in altro che il Signore le metta in cuore, lasci liberamente le piccole orazioni che le ho poste per il tempo che si veste. Così la sera, se si occupa in prevedere la meditazione del seguente giorno, credo non possa usare migliore pratica. Vorrei pure che prima di prendere sonno si prefiggesse l'uso che intende di fare dell'impetrazione e soddisfazione delle sue opere per il giorno seguente, poiché deve sapere che ogni opera di pietà, di carità e di penitenza contiene il merito, l'impetrazione e la soddisfazione. Il merito, si è quello che le aumenta la grazia nella presente vita e la gloria nella futura, e questo è proprio della persona che opera. L'impetrazione, può applicarla per ottenere le grazie per sé, o per altri. Così le soddisfazioni, può applicarle per sconto dei suoi peccati, o per gli altrui, e massime per le sante anime del Purgatorio. Ora questo indirizzo è quello che le consiglio di fare la sera, acciò non lo dimentichi nel giorno seguente, oppure lo faccia quando già molte opere saranno trascorse, e le avvenga che dicendo nelle litanie ora pro nobis, se fosse poi interrogata dalla Beata Vergine o dai Santi che cosa desideri che le impetrino non lo sapesse, il che proviene dalla poca cognizione delle nostre miserie, del niente

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che possiamo, e per ciò quanto bisognosi siamo del divino aiuto, e ciò è anche la cagione per cui sì freddi siamo nelle preghiere.

Asc,2268a:T15,4 Benché la serie degli esercizi che in questo regolamento le ho proposti, tendino, se siano fedelmente praticati, a raccogliere lo spirito, nondimeno parmi sarebbe manchevole questo indirizzo, se omettessi d'inculcarle il santo esercizio della presenza di Dio; essendo questo il più importante e senza del quale poco le gioverebbe quanto le ho proposto, non potendo uno spirito dissipato praticare un virtuoso e stabile tenore di vita, ed al contrario, chi avesse questo spirito di raccoglimento, non avrebbe d'uopo d'alcun indirizzo per ben regolare le sue azioni, perciò desidero molto che si prenda a praticare con amore l'esercizio che si propone ogni mattina nel Noviziato, il quale ne rende più facile la pratica con la varietà degli affetti, ed a continuarlo anche quando ne sia uscita, onde glielo metto qui, acciò non le cada di memoria.

Asc,2268a:T15,5

Domenica, i Protettori saranno… Domenica, i Protettori saranno i Santi Angeli. Si faranno atti frequenti di ringraziamento dei benefici tanto generali che particolari alla D.M. [Divina Maestà], e per gratitudine cinque negazioni di volontà, la giaculatoria Agimus. La presenza di Dio come Padre, Mio gran Dio, Vi adoro, Vi onoro, V'amo, mio Padre, Vi ho disonorato con i miei peccati, Vi chiedo pietà.

Asc,2268a:T15,6 Lunedì, i Santi Patriarchi e Profeti. Si penserà spesso alla morte, con aver particolare memoria delle anime del Purgatorio, e per suffragarle mezz'ora di silenzio, e dire spesso il requiem; mortificarsi nel vedere la presenza di Dio come Re, la giaculatoria, Tu es ipse Rex meus, Deus meus et omnia, mio caro Gesù Voi siete il mio Re, disprezzo dunque ogni altra cosa per Voi.

Asc,2268a:T15,7 Martedì, i Santi Apostoli e Discepoli del Signore. Si pregherà specialmente per l'esaltazione della Santa Chiesa con dire spesso: Ut Ecclesiam tuam sanctam, etc. Ut inimicos sanctæ Ecclesiæ, etc. Mortificarsi nell'udito. La presenza di Dio come Maestro, giaculatoria Mio caro Maestro Gesù, insegnatemi a fare la vostra S. Volontà; Domine, doce me orare.

Asc,2268a:T15,8 Mercoledì, i Santi Martiri, chiedendo per i loro meriti un vero dolore dei nostri peccati, massime in punto di morte, con raccomandarsi anche a S. Giuseppe, si pregherà particolarmente per gli agonizzanti, con dire sovente: Te ergo quæsumus, tuis famulis subveni quos prætioso sanguine redemisti. Mortificare il gusto. La presenza di Dio come Pastore, giaculatoria Mio buon Pastore, pascete l'anima mia solo di Voi. Caro Gesù, caro Pastore, Voi siete il mio grato cibo, né d'altro cibo mi diletterò, se non di Voi.

Asc,2268a:T15,9 Giovedì, i Santi Dottori. Si pregherà specialmente per la conversione dei peccatori, dicendo spesso: Illuminare his qui in tenebris etc., ed anche: Gesù mio, misericordia. Sarà questo giorno dedicato ad onore del Ss. Sacramento, perciò ogni volta che andremo in coro, dopo l'adorazione si bacerà la terra con intenzione d'ottenere l'umiltà, ed oggi se ne farà tre atti per apparecchio alla Comunione. La presenza di Dio come Giudice, giaculatoria Delicta juventutis meæ et ignorantias meas ne memineris Domine. Mio sovrano Giudice, perdonate i miei delitti, come perdono a chi mi ha offesa.

Asc,2268a:T15,10 Venerdì, i Santi Confessori. Si pregherà per i tribolati, dicendo: Ne despicias, omnipotens Deus, populum tuum in afflictione clamantem: sed propter gloriam nominis tui, tribulatis succurre placatus per Dominum etc. Sarà dedicato questo giorno alla Passione del Nostro Signore. Si praticherà la mortificazione di tutti i nostri sensi, con atti frequenti di contrizione. Si praticherà l'obbedienza con maggior esattezza, un'ora di silenzio per le parole oziose. La presenza di Dio come nostro Redentore, giaculatoria Gesù salute mia, tutta mi dono a Voi, io da Voi redenta col vostro sangue prezioso, Vi prego a salvarmi, o Signore pietoso. O bone Jesu, quod minus est in me dignare supplere pro me, offerens Patri sanguinem tuum pretiosum.

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Sabato, le Sante Vergini. Sarà specialmente dedicato alla Ss.ma Vergine. Si farà ricorso a Lei con dire spesso, Regina virginum ora pro nobis, Virgo singularis; raccomandandoLe principalmente tutte le persone che professano il nostro stato, supplicandola ad esserci Madre, ed ottenerci da Dio tutte le virtù necessarie alla nostra salute, massime una perfetta confidenza in Dio, ed oggi se ne farà tre atti per apparecchio alla Santa Comunione. La presenza di Dio come Medico, giaculatoria Caro Gesù, sanate l'anima mia. Sana, Domine, animam meam, quia peccavi tibi. Sangue di Gesù, lacrime di Maria, sanate l'anima mia.

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E questi riflessi… E questi riflessi le serviranno come un porto, in cui il suo spirito prenda riposo in mezzo alle distrazioni che seco portano le esterne occupazioni, e vivrà quella vita di fede di cui vive il giusto, che consiste principalmente: primo, in mirare Dio che sempre ci mira, Vide Videntem, ed in che meglio possiamo occupare il nostro intelletto che in questo sguardo di fede; e quale miglior mezzo per evitare i difetti. Procuri perciò di avvivare spesso questa fede della Divina Presenza, né si fermi nel solo intelletto, ma passi ad esercitare qualche atto della volontà, Domine ut videam. Secondo, udire Dio che ci parla, Audi loquentem, cioè renderci fedeli alla grazia con aderire alle ispirazioni e prendere per regola del nostro vivere gli insegnamenti di Gesù Cristo. Terzo, temere Dio che ci giudica, Time damnantem, e sarà questo il mezzo più valevole per operare con pura intenzione e vincere gli umani rispetti.

Asc,2268a:T15,13 Il danno poi che ne proviene dal non applicarsi a questa vita di fede, raccolta ed interiore, si è il vivere a sensi, alle passioni, ed all'amor proprio, onde lo spirito viene sempre più ad offuscarsi, talché le massime più chiare del Vangelo non fanno più impressione, benché si abbia la sorte di partecipare mediante la grazia santificante del dono dell'intelletto, il cui proprio officio è di far comprendere e gustare con soavità queste massime, ma a cagione della dissipazione dello spirito, si vive una vita piena d'imperfezioni, senza fortezza nella fede, senza conforto nella speranza, senza ardore nella carità, senza desiderio di glorificare Dio, né di darGli gusto, e di più, in pericolo di cadere in peccato. Deplorabile cecità vivere nell'amoroso seno di Dio senza conoscerLo, essere per la grazia nello stato di Santi, e privarsi per aderire ai sensi della comunicazione che la Divina Bontà si compiace di mantenere con i Santi, e che sempre aumenterebbe la nostra fede, confidenza ed amore, e toglierebbe ben presto le nostre imperfezioni. Altro non aggiungo per inculcarle questo santo esercizio della presenza di Dio, essendovi molti libri che ne trattano, né io qui intendo istruirla del modo di praticare le virtù ed i santi esercizi, ma solo che si hanno da praticare, e tanto più questo, che è come l'anima di tutti.

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Cap. 16. Dei giorni festivi

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I giorni festivi devono essere… I giorni festivi devono essere consacrati al divin culto da ogni cristiano, come intende la Santa Chiesa nel comandarli, quanto più dunque sarà dovere che noi religiose secondiamo questa sua santa intenzione. Perciò quella che in detti giorni perdesse il tempo in oziosi discorsi, o chiedesse il permesso di fare qualche lavoro per passare il tempo, ben dimostrerebbe di non intendere lo spirito, e di avere poco zelo della sua perfezione, mentre si devono risguardare da noi come giorni di grazia e di benedizioni, in cui volendoci il Signore disoccupate dalle esteriori faccende, ci invita, e pare che goda (per dir così) di vederci ai suoi piedi, e ci esibisca favorevole udienza; onde, se ci sapremo ben prevalere di essi, il nostro spirito prenderà nuove forze per avanzarsi nella perfezione, mediante l'orazione che deve essere il principale esercizio di questi giorni, con assistere a più messe

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potendolo, e dare qualche tempo di più alla meditazione e lezione, con fare la Via Crucis, ed altre devozioni secondo il pio affetto, o le occorrenti festività, né ometta l'uso di recitare il santo rosario nelle feste della Ss.ma Vergine, e nei giorni in cui si fa memoria di alcuno dei misteri del detto rosario, né ometta pure in ogni Domenica, di leggere qualche capo della Dottrina Cristiana, benché le sembri di saperla, e questo se lo tenga a cuore. Vorrei anche, che sovente in questi giorni, facesse un poco di esame sopra i punti seguenti per rimettervi il suo spirito, caso che alquanto ne fosse deviato, il che parmi le potrà molto giovare per mantenersi fedele nel divino servizio.

Asc,2268a:T16,2 Primo, se si prendono le cose spirituali con serietà, cioè con un certo impegno e stima grande, talché ad esse si dia il primo luogo; di più, se si fanno con tutte quelle circostanze che noi conosciamo richiedersi, acciò siano ben fatte, e questo molto importa, perché dalla negligenza nelle cose spirituali nasce la tiepidezza; inoltre, se niente si trascuri dei mezzi che al lume di Dio si sono presi per il nostro profitto, come sono, la fedeltà nei nostri propositi, la frequenza dei sacramenti, la preparazione della mattina, l'esame particolare, e simili.

Asc,2268a:T16,3 Secondo, se con coraggio ed animo grande perché, come dice il Signore, il Regno dei Cieli patisce violenza, e chi si fa violenza lo rapisce. Si persuada perciò, che solo nelle difficoltà si acquista la vera virtù, talché Santa Maria Maddalena de Pazzi diceva: “Non so dare fede a quelle anime che in tutta la loro vita hanno navigato un mare di dolcezza e di tranquillità, e in quello hanno acquistato la loro perfezione, perché io so pure che non è vera virtù quella che non avrà il suo contrario di una vera prova, qual è la tentazione e tribolazione, o da Dio o dalle creature o dallo stesso Demonio, e se non c'è questa prova, le virtù saranno finte, e col tempo non resterà nell'anima effigie di virtù”. Da ciò vede essere impossibile il perseverare ed avanzare senza grand'animo, poiché essendo molte le difficoltà che nella strada della virtù s'incontrano, verremo perciò ad arrestarci ad ogni tratto, ed anche disanimate a ritornare indietro. E che questo così succeda, vuole dimostrarlo il Signore in una misteriosa visione a Santa Caterina da Siena presentandole un albero di altezza e di bellezza superiore di gran lunga alle nostre volgari piante, dai cui rami pendevano copiosi e gradevoli frutti, ma che non meno l'altezza del tronco, che la folta siepe di pruni cresciuti intorno, rendevano alquanto difficile il salirvi sopra. Le pareva che molta gente affamata, colà passando, si accostasse all'albero, ma sbigottiti dal timore di restare punti, si perdevano d'animo rivoltando i passi indietro. Vi arrivavano poi altri più animosi, perché non temendo le punture si accostavano al tronco, ma alzando l'occhio, ed accorgendosi che la smisurata altezza richiedeva molto stento per salirvi, abbandonavano l'impresa. Dietro a costoro altri venivano, dotati di spirito coraggioso e magnanimo, i quali dal tentare la salita fino alle altre cime dell'albero, non ratteneva né il riguardo ai pungenti pruni, né le difficoltà da superarsi nel dovere cotanto in alto salire; onde, benché non senza grave stento, colà giunti, coglievano e gustavano a piacere loro di quei saporiti frutti, frutta di nutrimento cotanto sostanzioso che impingua lo spirito e fa divenire robusto chiunque nauseando ogni altro cibo con quelle sole cerca di sedare l'appetito della sua fame.

Asc,2268a:T16,4 Da questo si vede al vivo, quanto necessario sia il superare l'arduo della virtù, per godere poi anche nella presente vita, le dolcezze ineffabili del divino amore. Coraggio dunque, ed animo grande, e pensi che quelle difficoltà che incontra sono le spine sopra di cui animosa deve porre il piede, e ciò le darà grande animo, e la disporrà a fare gran progresso nella virtù, dicendo S. Teresa che mai conobbe persona coraggiosa che non la vedesse molto presto approfittata. Ma questo coraggio deve essere accompagnato da umile preghiera, perché tutto deve appoggiarsi alla Potenza e Bontà del Signore che può e vuole aiutarci, perciò quale fiducia dovremo avere in fare ricorso a Lui, per domandarGli l'aiuto di cui abbisogniamo, per superare i nostri nemici, e mantenerci a Lui fedeli? Quale preghiera piacerà più al Signore di questa? Perciò se manchiamo di fedeltà, non avremo scusa, perché non ci siamo valse d'un mezzo tanto facile, per cui non v'è né luogo, né tempo in cui non ce ne possiamo servire, un'occhiata amorosa ed umile a quel Dio che sempre è presente e che è

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in noi, un sospiro pieno di fede con cui imploriamo il suo aiuto, e ciò subito che ci sentiamo insorgere qualche motto di passione, subito, subito.

Asc,2268a:T16,5

Terzo, se con sincerità… Terzo, se con sincerità non volendo, per dir così, venire a patti con Dio, dandoGli quello che meno ci costa, e risparmiandoci in quello che più ci duole. Prova di questa sincerità si è la prontezza in corrispondere alle ispirazioni, anche a costo dell'amor proprio, ed una fedele obbedienza a chi tiene verso di lei il luogo di Dio, come pure il non aderire a certe massime che troppo si confanno alla guasta natura, dandoci a credere che anche senza tanta custodia dei sensi, raccoglimento, mortificazione, osservanza, etc. giungeremo alla perfezione. No, sia così sincero il nostro desiderio di glorificare Iddio e di piacerGli, come quello del marinaio di giungere al porto, questo per spingere avanti la sua nave, è disposto a fare gitto delle cose a sé più care; così noi dobbiamo essere pronte a distaccarci da qualunque cosa quando Dio lo voglia, e a dare il colpo contro noi stesse, per arrivare al nostro felice termine.

Asc,2268a:T16,6 Quarto, se con ilarità. Questo spirito di santa allegrezza è così necessario, che senza di esso direi essere impossibile il perseverare, e se pure strascinando andremo adempiendo i nostri obblighi, ci troveremo poi d'aver avanzato poco, perché il nostro operare sarà senza fervore. E come potrà un tale operare piacere a Dio, dicendo S. Paolo che Dio ama il donatore allegro? Non dico però che si debba operare con fervore di spirito, ossia con fervore sensibile, che ciò non è in mano nostra, ma bensì con spirito di fervore, cioè con prontezza di volontà, per una volontaria compiacenza di glorificare e dare gusto al Signore e godere di servirLo e d'adempiere la sua Santissima ed Amabilissima Volontà. Ma per avere questa santa allegrezza non le consiglio quell'allegrezza vana che si diffonde in risa, facezie e continua dissipazione (benché pure desidero che a tempi debiti convenga, e contribuisca con cordiale e vera giovialità alle comuni ricreazioni, che questo deve farsi, e può farsi con merito), ma il modo di mantenersi sempre lieta, e che le sarà di grande aiuto al perseverare, si è quello che consiglia il santo Re Davide dicendo: “Dilettatevi nel Signore, ed Egli adempirà le domande del vostro cuore”; e che altro intende, che il consigliarci il dolce esercizio dell'amore di compiacenza che consiste in rallegrarci del bene di Dio, della gloria di Dio, come bene nostro e gloria nostra, né creda che questo amore solo si possa, o si debba esercitare in tempo di gran fervore sensibile, che anzi con questo deve sollevare il suo spirito nelle afflizioni, dicendo, benché senza gusto: a me basta che il mio Dio è stato, è di presente, e sarà eternamente incomprensibilmente beato, il mio Dio sarà sempre Dio, sia però di me, quel che vuole il mio Dio.

Asc,2268a:T16,7 Inoltre, ciò che suole maggiormente affliggere chi desidera piacere a Dio, si è il conoscere le tenebre della sua mente, la freddezza della sua volontà, ed il poco che fa per un Signore sì grande, e che ha tanto merito d'essere servito, amato e glorificato dalle sue creature, ma questa cognizione, benché debba tenerla sempre umiliata, non deve però farla cadere in pusillanimità, se ne serva dunque per motivo a dire di cuore: mi rallegro che il mio Dio è degnamente conosciuto, amato e glorificato, perché conosce, ama e glorifica se stesso; del rimanente ella deve avvezzarsi a considerare Iddio come un Dio propizio, pietoso e clemente, il quale conosce la creta di cui siamo formati, e la di cui bontà sorpassa infinitamente tutte le nostre miserie, sappia e rifletta spesso che Dio si compiace di essere da lei considerato sotto questo aspetto di bontà e di clemenza infinita, a fine che ella con un fiducioso ricorso, non tema d'invocarLo, in tutte le occorrenze, di aprirGli incessantemente il suo cuore con una certa filiale confidenza, e di trattenersi dolcemente con Lui fra giorno ed in ogni occasione, come con un amantissimo Padre di cui ella conosce la degnazione, l'amore ed il cuore Paterno.

Asc,2268a:T16,8 Questa avvertenza è una delle principali che si debbono avere da chiunque brama la santa allegrezza del cuore, e ben può essere certa un'anima, la quale si sia una volta avvezzata a rimirare Iddio sotto

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questo verissimo aspetto, ed a trattare così con Lui che insensibilmente, ella diventerà superiore ai suoi difetti e miserie per una parte, e per l'altra, a certi vani ma molesti timori ed a certe malinconie scrupolose ed inette che il Demonio talvolta eccita, le quali tutte da quel commercio fiducioso con Dio vengono dileguate, siccome la nebbia viene dileguata da un chiaro sole: così si terrà in santa allegrezza per fare dispetto al Demonio che procura di togliergliela anche con pretesto di virtù, massime di falsa umiltà per poter meglio pescare nel torbido, sapendo bene il maligno quanto giovi ad un'anima lo staccarsi dalle creature ed il vivere raccolta in sé, che però procura di turbarla e riempirla di malinconia, al fine di costringerla a cercare con la dissipazione qualche alleviamento; e questo è ciò che pretende il nemico per tenderle poi maggiori insidie; al contrario, se ella procura tenersi quieta, allegra, potrà in tutto ed in sé rimirare Dio con occhio di fede; con impeto di speranza staccarsi da sé e da tutto ed aspirare a Dio; con violenza di carità nauseando ogni diletto terreno, non compiacersi che in Dio; non pensando, non amando, non volendo che la sola volontà di Dio, la pura gloria di Dio.

Asc,2268a:T16,9 Un altro mezzo ancora le suggerisco valevole a mantenerla nella interna pace ed allegrezza, ed è l'esercizio costante dell'umiltà ed obbedienza, poiché l'umiltà ci tiene nella soggezione che dobbiamo a Dio, rendendoci conformi alla sua santa Volontà, in tutto ciò che di noi dispone o permette che ci avvenga, sicché ci fa volere quello che Egli fa; con l'obbedienza poi, noi veniamo a fare ciò che Egli vuole, eseguendo fedelmente i suoi precetti e consigli, ed aderendo alle sante ispirazioni quando veramente le riconosciamo per tali, senza di che, non si può sperare d'aver pace, essendo scritto “chi mai le resistette, ed ebbe pace?” Di più, l'umiltà ci spoglia d'ogni vana pretensione mercé il basso sentimento che di noi ci inspira, e con questo sentimento della nostra insufficienza, noi dobbiamo abbandonarci senza riserva nella santa obbedienza, diffidando della propria volontà collegata sempre con l'amor proprio, non stimandoci abili che a quanto dalla obbedienza ci viene prescritto, talché l'umiltà ci renda obbedienti, e l'obbedienza tenga da noi lontana la falsa umiltà che ci rende pusillanimi, ed anche con pretesti di virtù ci porta a fare la volontà propria.

Asc,2268a:T17,1

Cap. 17. Della confessione Una delle maggiori felicità che gode una religiosa si è il poter spesso frequentare i santi Sacramenti, deve però porre ogni diligenza per rendersi fruttuosa questa frequenza; io per altro non imprendo ad istruirla sopra la maniera di ben disporsi, essendovi molti libri che di ciò trattano; ma mi restringo solo a suggerirle alcune avvertenze che secondo il nostro stato parmi ci possano giovare. La prima sia di non trattenersi a discorrere mentre attende per confessarsi, perché oltre il disturbo che si reca alle altre, ciò potrebbe indicare poca stima dell'azione che sta per fare, parlando in tempo in cui dovrebbe con pensieri di fede eccitare il suo cuore alla più intensa compunzione, mentre, benché si trovi a sufficienza preparata, ben sa che a misura che cresce la sua contrizione, crescerà il merito della sua confessione, e la diminuzione delle pene temporali dovute ai suoi peccati.

Asc,2268a:T17,2 La seconda sia di tenere un ordine stabile di confessarsi due volte, o almeno una volta la settimana, né mai omettere questa pratica se non per obbedienza o carità, ma non variare, o per parerle che ne cava poco frutto, o perché il confessore non le va troppo a genio; no, si tenga stabile, tanto con i confessori ordinari che straordinari. Per evitare poi queste incostanze, le gioverà l'avvezzarsi a camminare con fede, confidando l'anima sua non al governo degli uomini, ma di Dio, e portarsi ai piedi dei suoi Ministri come si porterebbe ai piedi dello stesso Gesù Cristo, mirandoli come interpreti dei suoi voleri, così non si attacherà di soverchio ad essi, con stare poi molto tempo turbata quando si hanno da cangiare, ma penserà che il Signore non vuole più indicare i suoi voleri per mezzo di quella persona, e con uguale confidenza procederà con ognuno, né darà luogo a certe avversioni nocive. Non s'induca, senza qualche motivo legittimo, a voler confessore particolare con discostarsi senza cagione dalla S. regola che dice: Si confesseranno ogni otto giorni dal Padre

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Confessore ordinario. Sia certa di godere d'una speciale provvidenza del Signore per il regolamento di sua coscienza, mentre lei per obbedirlo, a quelli che vengono da Lui destinati la confida.

Asc,2268a:T17,3 Non badi alle loro qualità naturali, ma se con buone maniere la consolano, pensi che Dio è quello che con tale mezzo la vuole consolare, se le sembra che la ributtino, non se ne offenda, né si turbi, ma porti con pace la sua pena, pensando che il Signore vuole lasciarla un poco patire; a Lui con fiducia ricorra, e sia certa che, non dando sfogo a questi dispiaceri con lamenti, il Signore la renderà consolata. Seguiti poi a procedere col confessore con la stessa confidenza e sommessione, né ciò le sarà troppo difficile, se come dissi cammina in fede ed apporta alla confessione un sincero dolore delle sue colpe, questo toglierà dalla sua mente tanti riflessi inutili che diminuiscono la confidenza col confessore. Consideri la Maddalena ai piedi di Gesù Cristo in circostanze che secondo gli umani riflessi l'avrebbero dovuta trattenere, ma la sua mente penetrata dalla grandezza del suo male, non dà luogo ad altri pensieri, che a cercarne il rimedio; così lei eviterà molti intoppi che il Demonio e l'amor proprio si sforzeranno di metterle per diminuire almeno, il merito ed il profitto delle sue confessioni, se procurerà che sempre siano accompagnate da un vivissimo dolore.

Asc,2268a:T17,4 Si ricordi poi essere questo un tribunale di misericordia sì, ma anche di giustizia, che perciò, se il Signore le fa sentire qualche peso in fare quest'azione, questo deve essere contenta di portare in spirito di penitenza; e procuri di non essere troppo tenera sopra se stessa, ma con animo generoso ed umile, cerchi il suo rimedio, non il suo contento; insomma proceda nella direzione di sua coscienza come chi si ciba solo per vivere, che si contenta d'un cibo sostanzioso, senza molto curarsi d'intingoli. Di più, professi al suo confessore un'esatta obbedienza, essendo questa la strada più sicura lasciataci dalla Divina Bontà per sicurezza e pace della nostra coscienza, e per opporre qualche scudo alle turbazioni che il nemico procura ognora di suscitare nel nostro interno, e particolarmente nel tempo della morte. Obbedisca con fede, come allo stesso Dio, avendo detto il nostro divin Salvatore: Chi ascolta voi, ascolta me. Sia segretissima di quanto le dice il confessore non comunicandolo alle sorelle, che da questo ne possono nascere molti inconvenienti, ne parli sempre con stima, e si faccia coscienza di non essere cagione che alcuna, per sua imprudenza, ne venisse a diminuire la confidenza (e questa cautela deve anche aversi riguardo ai superiori).

Asc,2268a:T17,5 Non si lasci poi mai entrare in cuore una certa gelosia che il confessore si trattenga più con altre che con lei, ma con spirito franco vada, quando ne tiene bisogno, senza pretendere d'essere ricercata, dica quanto le occorre senza aspettare d'essere interrogata, né badi alle altre; se molto si fermano ne avranno necessità, ma quanto a lei, si attenga alla S. regola che ingiunge la schiettezza e brevità. Tale è pure il sentimento di S. Caterina da Siena che vedeva le cose in verità. Ella scrivendo ad una sua nipote monaca le dice così: Al confessore dì il tuo bisogno e fuggi. Tenga stabile questa massima che è di somma importanza; sia con lui civile, di poche parole, non gli dia mai il minimo dispiacere, parli solo di sé, né mai gli faccia alcun rapporto, perché anche in confessionale, talvolta santamente si mormora.

Asc,2268a:T18,1

Cap. 18. Della S. Comunione Circa la S. Comunione quel che mi preme d'inculcarle si è che procuri di vivere in maniera di non trovarsi nella dura necessità di lasciarne alcuna, sia di regola o di consuetudine, e di superare quelle difficoltà che gliene possono intiepidire il desiderio, una delle quali sarebbe lo scorgere in sé il poco profitto che ne ricava; e certamente, è dovere di chi frequenta la S. Comunione il procurare una seria emendazione dei suoi difetti, e che risplenda in tale persona lo spirito di Gesù Cristo, spirito di carità, di mansuetudine e di umiltà; ma il lasciare la santa Comunione è forse un mezzo per acquistare questo spirito? No certo, dunque a quest'effetto deve accostarsi per ottenere dalla divina misericordia la forza di vincere le sue passioni, e porre dal canto suo tutti i mezzi necessari per sottometterle, e se procurerà per mezzo d'una viva fede di accendere nel suo cuore un ardente

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desiderio di ricevere il suo Signore, questo desiderio le sarà un forte stimolo a vincere se stessa, e la renderà pronta a sacrificare ogni cosa, piuttosto che privarsi di un tanto bene.

Asc,2268a:T18,2 Siccome già fecero molti dei sudditi di Enrico VIII re d'Inghilterra, ai quali avendo questo re divenuto eretico proibita la santa Comunione con pena pecuniaria a chi vi si accostasse, questi udito un tale ordine, vendettero i loro stabili, ed apparecchiarono la somma da pagare per ogni comunione, senza volere per questo diminuirne la frequenza; onde se questa fede stimolò secolari a sacrificare le sostanze, e indi la vita, quanto più dovrà essere di stimolo ad una religiosa a cui corre obbligo di tendere alla perfezione. Ma molte volte avviene che questo poco profitto sia un timore che mette il Demonio, non essendo sì facile lo scorgere il proprio avanzamento; perciò abbia sincera volontà di mai commettere alcun peccato neanche veniale volontariamente, e riconosca come frutto della frequente comunione, il vivere stabilmente in grazia di Dio, ed il desiderio di servirLo e piacerGli in tutto.

Asc,2268a:T18,3 Un altro motivo la potrebbe indurre a lasciare molte volte la S. comunione, ed è il patire di sonno nel tempo della preparazione, ma neppure vorrei che per questo si lasciasse (supposto che non vi sia una volontaria negligenza), ma vorrei che nell'orazione della sera antecedente facesse la sua preparazione, e che questo fosse l'ultimo suo pensiero nel prendere sonno ed il primo nello svegliarsi, impiegando tutto il tempo antecedente al mattutino in atti di fede, di umiltà, di amore, di desiderio, e poi ancorché nel tempo dell'apparecchio il suo spirito resti alquanto assopito, non per ciò la lasciasse, perché, o questo sonno è cagionato dal Demonio, e lasciandola quello ne avrebbe il suo intento e lei ne sarebbe sempre più molestata, o procede da necessità, ed io credo che la violenza che si fa per intervenire stabilmente al mattutino piacerà al Signore e le servirà di preparazione.

Asc,2268a:T18,4 Ma come molte sono le astuzie con cui procura il Demonio di allontanare le anime da un tanto bene, le dico per tutte, che le sarà agevole l'evitarle se cammina con fervore, perché in tale caso esporrà a chi deve i suoi dubbi e timori, e poi si lascerà con intera semplicità regolare dalla obbedienza; all'opposto se vi entra la tiepidezza, entreranno anche i pretesti, o di lasciarla a suo talento o di produrre ragioni mendicate per farsi dare risposte a suo modo; né si creda d'incorrere in minor male in lasciarla quando si sente distratta, svogliata e tiepida, anzi le dico che ne incorre in molto maggiore, perché se in luogo di scuotere la tiepidezza, avvivando la fede del gran bene che dall'accostarsi al Signore gliene proviene, ed avendo dispiacere di non essere più fervente, a Lui si accosta con umiltà e desiderio di servirLo meglio, se invece dico di così fare da Lui si allontana, non solo si rimarrà ognora più tiepida, ma corre rischio di rimanere del tutto fredda. No, non fugga la faccia del suo Signore alla vista delle sue colpe, come Caino, ma si getti in seno della sua misericordia che certamente, se procede con verità, troverà rimedio per ogni cosa. Si figuri quando le viene questa tentazione di lasciare di comunicarsi, che il Signore le dica da quella finestrella per cui in quel giorno si dà alle altre, quelle parole che disse entrando in Gerusalemme: Se tu conoscessi il gran bene che in questo giorno io ti esibisco per la tua pace, ancora tu correresti ad accogliermi. Procuri poi quando vi si accosta quella maggior disposizione che le sia possibile, sì per la riverenza dovuta al Signore, sì per ricevere quel maggior aumento di grazia proporzionato alle sue disposizioni.

Asc,2268a:T18,5 Perciò il giorno antecedente pratichi maggior mortificazione, con esercitarsi in molti atti interni di virtù, massime di desiderio e di amore, faccia qualche particolare preghiera alla Ss. Vergine ed a S. Giuseppe, acciò si degnino parteciparle un poco del loro amore e riverenza con cui trattarono per tanti anni con Gesù Cristo. Offerisca a Gesù il cuore umile, puro e ardente di Maria Ss. con varie offerte della Passione di Gesù Cristo. Questa pratica fu comandata da nostro Signore a S. Maria Maddalena de Pazzi dicendole: “Dalle ventidue ore sino a che hai a ricevermi, starai in continua offerta della mia Passione, di te stessa, e delle creature mie al mio Eterno Padre, e questo ti sarà in preparazione a ricevermi”.

Asc,2268a:T18,6

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Offerisca ancora le virtù dei Santi di cui si celebra in quel giorno la memoria, avendo il Signore mostrato di gradire questa offerta con far vedere a Santa Gertrude una delle sue monache adorna nell'atto di comunicarsi delle virtù di S. Benedetto di cui correva la festa, perché gliele aveva offerte. Vi si accosti per quei nobilissimi fini che ebbe Gesù nell'instituire questo Augustissimo Sacramento, e desideri, se fosse possibile, di riceverlo con quell'amore con cui Egli a noi ne viene. Sia poi santamente avara del tempo che tiene Gesù in sé, Lo stringa al seno come il Santo Simeone, e l'offerisca al Divin Padre per glorificarLo, ringraziarLo, e chiederGli per suo mezzo le grazie che abbisognano. Si getti ai suoi piedi come la Maddalena, chiedendoGli perdono delle sue colpe; insomma, procuri trattenersi con Lui quanto le sia possibile, con amore ed umiltà; né si contenti di un affettuoso rendimento di grazie, ma procuri ancora di ringraziarLo con le opere, cioè di serbare tra il giorno una più esatta custodia del suo cuore e dei suoi sensi, una maggior esattezza nelle cose spirituali, una inalterabile dolcezza nel trattare col prossimo, perché chi si accosta, anzi si unisce a Gesù Cristo, deve ricopiarne lo spirito. Proponga in particolare, la pratica di quella virtù, o l'emendazione di quel difetto che fa il soggetto del suo esame particolare.

Asc,2268a:T18,7 Ma se la desidero ansiosa di ricevere spesso il suo Signore, la desidero ancora altrettanto umile per non appontarsi col confessore se le venga negato, che questo sarebbe una grande presunzione, preghi ed esponga il suo desiderio con umiltà, e poi si quieti, benché ne senta pena, faccia un buon uso di questa mortificazione, e creda che il Signore abbia disposto che le venisse negata per avvertirla a prepararsi meglio. Se poi il confessore permette delle comunioni straordinarie, non mai vi si opponga, come pure se permette a qualche particolare una maggior frequenza, ne abbia una santa invidia, ma non biasimi la condotta, né di chi la permette, né di chi vi si accosta; finalmente, chi mangia non rimproveri chi digiuna e chi digiuna, non rimproveri chi mangia.

Asc,2268a:T19,1

Cap. 19. Del ritiro del mese

Asc,2268a:T19,1

Un altro mezzo le propongo… Un altro mezzo le propongo per tenersi stabile nella strada della perfezione, ed è il fare ogni mese un giorno di ritiro, e vorrei che lo facesse con tutto l'impegno, come fa ora nel noviziato. Si guardi di lasciarsi entrare in capo quell'inganno che per trovarsi in un officio, in cui non può avere un giorno tutto libero per potervi attendere, sia meglio non lo fare; questo è un consiglio della tiepidezza che induce con vani pretesti a non fare nulla, perché non si può fare tutto. Ma come si vede chiaro che male la discorrerebbe chi, per non poter fare un pranzo di mezz'ora, lasciasse di farlo di un quarto, e si rimanesse tutto il giorno digiuno, così può facilmente scorgersi l'insussistenza di questa scusa; onde non la pensi così, ma lo faccia al meglio che può, e sempre lo faccia, benché non avesse tempo che di fare una sola meditazione ed un esame sopra lo scorso mese.

Asc,2268a:T19,2 Mantenga l'uso di fare alla prima occasione la confessione dei mancamenti commessi in quel mese (se però il confessore giudica che le sia utile), e non perda di vista l'anima sua per quante occupazioni possa avere, perché è incredibile con quanta facilità vi entri la negligenza, la dissipazione e la tiepidezza, talché poi quando si rientra in sé, vi si scorgono tanti difetti che fanno dare in pusillanimità, ed invece di porvi pronto rimedio, si volge altrove lo sguardo, e si tira avanti per attendere, sì dice d'avere tempo per fare un ritiro compito; ma se vuole procedere con vera prudenza, non si contenti mai di risoluzioni che non si adattano alla presente sua situazione, per quanto buone le sembrino, perché queste sono il giuoco del Demonio che con queste tiene a bada il nostro spirito, facendoci perdere il tempo presente, e di poi altre macchine preparerà per sturbarci l'esecuzione di esse, giunto che sia il tempo di eseguirle; tanto più che questo avvenire è così incerto che il disporre di esso è disporre di ciò che non è in nostro potere.

Asc,2268a:T19,3

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Se poi possa dare a questo santo ritiro un giorno intero, faccia in esso quattro meditazioni e due letture di mezz'ora, e due esami di un quarto, con la preparazione alla morte. Circa tutte queste cose potrà servirsi del libro del P. Pinamonti intitolato “La religiosa in solitudine”. Vorrei pure che desse qualche pensiero al come vorrebbe in morte essersi diportata verso Dio, verso il prossimo, e verso se stessa, e spero riporterà molto utile da un tal riflesso. Gli esami saranno uno sopra lo scorso mese, e l'altro sopra la virtù che fa il soggetto del suo esame particolare, e quest'esame troverà nel libro che le ho additato. Io voglio solo metterle sotto l'occhio i caratteri di due virtù che direi siano come i due poli della vita spirituale, cioè la carità e l'umiltà. Queste vanno unite come le due coppe della bilancia, talché se una deve innalzarsi, deve necessariamente abbassarsi l'altra.

Asc,2268a:T19,4 Con queste cammineremo sicure nel burrascoso mare della presente vita, mentre la carità, riempiendoci di santa fiducia, ci animerà al corso, e l'umiltà con salutare timore ci farà avvertire i pericoli che si possono incorrere; perciò si avvezzi a considerare spesso la divina bontà e la sua miseria, queste siano come due compagne che si tenga sempre a lato, ammiri la divina bontà che l'ama nonostante le offese da lei ricevute, la sopporta nelle presenti sue imperfezioni, e di più, continuamente la benefica. A questi riflessi il suo cuore si accenderà di santo amore, di gratitudine e di desiderio di corrisponderli, ma come meglio può mostrarGli la sua corrispondenza che con amare, sopportare e beneficare il suo prossimo, essendosi il nostro Amantissimo Redentore dichiarato che avrebbe ricevuto, come fatto a Lui stesso, ciò che noi avessimo fatto al nostro prossimo. E questo è il principale carattere a cui possiamo conoscere, se veramente amiamo il nostro Dio, e senza di questo, per quanti esercizi di devozione noi facessimo, invano ci lunsighiamo di amarLo, e neanche di fare alcun progresso nella perfezione, ed al contrario la carità come regina introduce tutte le virtù nell'anima e le nutrisce; il che parmi ben dichiari un fatto che si legge nella vita del Beato Simeone di Roxas, il quale essendosi portato una mattina nella cucina del suo convento per mettere al fuoco una pentola che doveva servire per il pranzo di molti poveri, il cuoco troppo di malumore non vuole mai che ve la mettesse, dicendo non esservi luogo. Il Beato cedette (benché guardiano) e la portò nel cortile dove, con alcuni pochi stecchi da lui raccolti, tosto si mise a bollire. All'incontro, per quanto si adoperasse il cuoco per far cuocere le vivande dei religiosi, mai non gli fu possibile neanche che si riscaldassero, onde avvedutosi del suo errore andò a chiedere perdono al suo guardiano, e lo pregò a permettergli mettesse al comune fuocolaio la sua pentola che cuoceva nel cortile, e ben si appose, perché appena l'ebbe messa che tutte le altre incominciarono a bollire, e così poté apprestare il suo pranzo.

Asc,2268a:T19,5 Dunque quando non sente più quell'ardore nel divino servizio, e si trova arida, svogliata, tiepida, e come arenata nella strada della virtù, esamini come si trova circa la carità, e procuri d'infervorarsi nell'amore di Dio, e questo amore la spingerà all'amore del prossimo, sicché la sua carità sia santa nel suo motivo, perciò universale, e che sia di cuore, di lingua, di opere. Inoltre chi desidera avanzarsi nell'amore di Dio procura con ogni studio serio, ma non inquieto: primo una gran mondezza di cuore dai peccati veniali deliberati; secondo un vero distacco dalle creature e da se stessa, amando di negare la propria volontà per appagare quella di Dio; terzo un continuo esercizio di mortificazione interna ed esterna; quarto la presenza di Dio, con atti interni di fede, di speranza, e massime di amore, di offerte, di ringraziamenti; quinto una gran prontezza ed affetto alle divine lodi in coro, con pari devozione e riverenza a tutto ciò che spetta al divin culto; sesto un ritiramento in cella, spontaneo, gradevole, per trattare più liberamente con Dio; settimo un gran desiderio della Ss. comunione, e premura di starsene più che può, ai piedi di Gesù sacramentato, trattenendosi in mille atti amorosi; ottavo un gran sentimento delle offese che riceve dalle sue creature, con desiderio d'impedirle e risarcirle, quanto le sia possibile, con preghiere ed ossequi;

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finalmente, una sollecita vigilanza sopra i suoi affetti, acciò non si allaccino in umane amicizie, il che può facilmente succedere massime in chi vive in comunità.

Asc,2268a:T19,6

Onde affinché… Onde affinché ella non possa prendere scambio, e la sua carità non vada degenerando con grandissimo suo pregiudizio, le pongo qui gli indizi che propone S. Bonaventura, nei quali, come in uno specchio, potrà discernere le macchie dei suoi affetti. Primo, l'amore santo si diletta di discorsi spirituali, utili ed edificativi, e l'umano in ragionamenti vani, leggeri ed affettuosi. Secondo, lo spirituale procede sempre con la modestia negli occhi e la decenza nel tratto; l'altro è libero negli sguardi, scomposto negli atteggiamenti. Terzo, il buono poco pensa alla persona che ama quando è lontana, e se vi pensa è solo per raccomandarla a Dio; il meno buono vi pensa sempre anche nel tempo dell'orazione, quando dovrebbe stare sola con Dio, né può cancellarla dalla mente. Quarto, l'amore santo come è universale, è disappassionato, desidera che il bene che egli vuole alla tale persona, glielo vogliano gli altri ancora; l'umano è pieno di torbide gelosie, si rattrista che altre amino la sua amica, che trattino con lei, che le entrino in grazia, temendo essa di decaderne. Quinto, l'amore virtuoso sopporta qualche sgarbo dalla persona che ama, né se ne offende; l'amore imperfetto non lo può tollerare, dà in rimproveri dei benefici fatti, in contese, sebbene poi tutta la guerra va a finire in una lega più stretta. Sesto, l'amore spirituale non è amico dei donativi; al contrario l'altro è amicissimo di conciliarsi l'altrui affetto coi doni. Settimo, l'amore santo inclina a scoprire a chi ama i suoi difetti, perché come li odia in sé, così li aborrisce nella persona che ama; all'opposto, l'amore vano li ricopre, li scusa, li difende, adula l'amica, perché tutta la sua premura non consiste in volere il suo vero bene, ma in non perdere il suo affetto. Si tengano dunque sotto gli occhi questi contrassegni, e sia certa che il Demonio non la potrà far travedere, e sgombro così il suo cuore dagli umani affetti, darà luogo al Santo Divino amore che è la vita delle nostre anime, e tutto il suo vivere sarà carità.

Asc,2268a:T19,7 Quanto all'umiltà, essa è tanto necessaria, quanto è necessaria la Divina grazia al nostro ben operare, perché questa grazia si nega ai superbi e solo si concede agli umili. Di più è necessaria per conservare il bene operato, e chi senza di essa aduna quanto si voglia di bene, non fa che adunare paglie al vento; e tutte le più funeste cadute, dal mancamento di umiltà, riconoscono la loro origine, essendo queste permesse da Dio per umiliare i cuori superbi da lui tanto odiati; perciò non ometta di chiedere instantemente al Signore questa virtù, e di prendere spesso per soggetto delle sue meditazioni quelle che pone il P. Pinamonti nel suo libricino dello Specchio che non inganna, con le quali potrà fondarsi bene nella propria cognizione, la quale viene chiamata da S. Teresa, pane che deve mangiarsi con ogni vivanda, per significare che in qualunque stato in cui la persona si trovi, non la deve perdere di vista; troverà pure nel detto libro, la pratica dell'umiltà verso Dio, col prossimo e con se stessa; perciò mi ristringo solo a farle osservare alcuni caratteri di questa virtù.

Asc,2268a:T19,8 Primo: il vero umile di cuore, mai non parla con poca estimazione d'alcuno. Secondo: non dice parola che possa ridondare in sua lode. Terzo: se viene ripreso o tace senza scusarsi, o essendovi giusta causa di palesare il vero, lo fa con termini ristretti, precisi, con pace, senza punto di empito, a puro fine che la verità sia manifestata. Quarto: se viene lodato meritevolmente tace, e mirando la cosa ben fatta come dono di Dio, ad esso dirizza le lodi, ed in se medesimo vie più si abbassa; se poi la lode presupponga ciò che non è, dice semplicemente senza fiocchi non essere vero. Quinto: se viene ripreso, accetta di buon cuore la correzione, la quale reputa sempre minore del suo demerito.

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Sesto: il suo portamento è niente affettato, arioso o altiero, ma riverente, dolce, arrendevole, senza mai, per quanto può, sturbare o incomodare alcuno, e molto meno contraddire, ove la necessità non lo richieda, e se deve contraddire per difesa o dell'osservanza, o dell'innocenza altrui, lo fa senza ira, senza ostentazione, e fino a quel grado che non oltrepassi i confini. Settimo: si contenta del comune ed anche del peggiore, senza mai lamentarsi del trattamento, fuggendo a tutta possa ogni distinzione. Ottavo: non si risente dei suoi dispregi ed irrisioni, né che non sia fatto conto alcuno della sua persona e delle cose sue. Finalmente assolve ognuna (per dir così) dal dovergli amore, sopporto, aiuto; e procura dal canto suo di amare, sopportare ed aiutare ognuna; pronta, se per umana debolezza offende alcuna, a dargli soddisfazione nella migliore maniera, essendo questa virtù inseparabile dalla vera carità, ed aiutandosi esse scambievolmente. Procuri dunque sopra questa idea, andare formando il suo spirito in sincera umiltà, che oltre al portarle nel cuore una dolce pace, la renderà sempre più disposta a godere gli effetti della divina liberalità poiché osservò in se stessa S. Teresa che mai il Signore le fece qualche insigne favore che non le desse prima sentimenti di profonda umiltà.

Asc,2268a:T20,1

Cap. 20. In tempo di malattia Potendo succedere che nelle infermità, invece di secondare gli amorosi fini per cui la Divina Provvidenza ce le invia, il nostro spirito cada in rilassamento, perciò parmi necessario di premunirla acciò non venga a perdere il gran tesoro di meriti che può accumulare ed il suo spirito non ne riporti alcun discapito. Dunque il primo avvertimento sia di sovvenirsi, che l'infermità non la disobbliga di tendere alla perfezione religiosa, ma soltanto ne cangia i mezzi, ed il Demonio collegato coll'amor proprio, nemico del patire per farci perdere questi, ci fa porre il pensiero nel bene che faremo, essendo sane.

Asc,2268a:T20,2 Frattanto, pascendoci di questi desideri che non possono effettuarsi, perdiamo il bene della rassegnazione, e trascuriamo quello che col divino aiuto sta in nostra mano, ed è portarci con virtù nello stato presente, il che dovremo sempre avere in vista in qualunque circostanza, o stato che ci trovassimo, che così facendo, non ne sarebbe alcuno che non fosse per noi un mezzo di salute. Le gioverà anche molto questa avvertenza di mirare sempre al bene che può fare nello stato in cui la pone il Signore, e di esso solo occuparsi, e le sarà di grande aiuto quando Egli la chiami a sé, perché allora non potrà fare cosa più grata al Signore e di maggior suo utile, quanto il rassegnarsi con la più umile sommessione al suo santo volere. Ma il nemico le metterà in capo delle belle idee di fare una vita molto più santa, se le fosse prolungata, e che non avrebbe poi da stare tanto nel Purgatorio; e con questi pretesti di virtù, le toglierebbe il maggior bene, anzi l'unico che possa fare, che è pensare a morire con virtù, ed è pure quello per cui il Signore le esibisce la grazia per poterlo fare, se ella vuole corrisponderGli.

Asc,2268a:T20,3 Onde per non cadere in questa illusione, deve bensì dolersi di non aver approfittato del tempo per glorificare il suo Dio con una santa vita, e desiderare se le fosse prolungata di farlo; ma supposto che non le sia concesso, ella sacrifica di buon cuore tutti questi desideri al solo dominante desiderio di fare la volontà santissima di Dio, confessando umilmente che merita le siano troncati quei giorni di cui sì poco si è approfittata, e di pagare nel Purgatorio quei debiti a cui spontaneamente non ha soddisfatto, (e questo sia detto per incidenza), e prosieguo a dimostrarle come possa rendersi mezzi di salute per l'anima le corporali infermità. Conviene dunque esercitare la fede, credendo che viene da Dio che Egli l'ha disposta ab æterno per sua gloria e nostro bene, e ce l'ha inviata in quel tempo e in quella maniera che era più convenevole ai suoi disegni, la qual cosa è molto da notarsi, ed è una sorgente di dolcissima pace. Appresso conviene esercitare la speranza, attendendo con tranquillità l'aiuto divino sì per sopportare il male, che per esserne liberati, non mettendo la sua confidenza nei medici, il che deve renderci indifferenti circa i rimedi.

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Asc,2268a:T20,4 Conviene pure esercitare la carità, baciando amorosamente quella Mano che ci flagella, godendo di disfarci per darle gusto. Si deve ancora esercitare l'umiltà, considerando che Iddio spedisce a noi il male, per supplemento di quell'austerità che dovremo esercitare con noi se ci volessimo bene vero, ma siamo tutti tenerezza verso il nostro corpo, se lo palpiamo invece di medicarlo, onde il Signore per emendare un trattamento sì ingiusto, vi sovrappone la sua mano, e ristora in noi la mancanza di questo rigore, contro chi ci dovrebbe essere servo e ci è nemico: così rivelò il Signore ad un'anima santa.

Asc,2268a:T20,5 L'esercizio poi di questa virtù, ci disporrà a sopportare con pazienza sì il male, che i mancamenti di chi ci assiste, come pure ad obbedirli, ed anche obbedire ai medici. Basteranno questi atti, e l'andarvi di tratto in tratto esaminando, sì per evitare i difetti, sì per non poter reggere ad un più lungo esame di tutto il giorno, basteranno, dico, per portarci con virtù nelle malattie più gravi, e ricordarci che siamo povere, e come tali ricevere con gratitudine e come per carità tutti i servigi che ci si prestano, né pretendere che si facciano per noi più spese in consulti ed in rimedi, chiedendo però come povere con umiltà quei sollievi che ci abbisognano, ma proibendoci i lamenti per quello che può mancarci. Con queste avvertenze, non diverremo più inferme nello spirito, di quello possiamo esserlo nel corpo, e daremo buona edificazione a chi ci assiste ed a chi ci visita, particolarmente ai medici che molto si edificano in vedere una religiosa inferma lieta e tranquilla in volto, rassegnata e indifferente a prendere quanto le viene ordinato, il che denota una grande abnegazione ed un vero distacco. Ma il maggior pericolo di scapitare e intiepidirsi, si è nel tempo della convalescenza, con dare luogo ad una soverchia delicatezza condiscendendo troppo alla natura, la quale servendosi del pretesto di ristorare giustamente le forze, non solo allenta, come è dovere, l'arco della mortificazione, ma lo scioglie affatto, dandosi all'ozio ed alle ciarle, come fu mostrato ad una santa religiosa che vide l'infermeria ripiena di demoni che istigavano le inferme ai lamenti, alle mormorazioni, alla curiosità di sapere tutto quello che occorreva.

Asc,2268a:T20,6 Onde per evitare questi difetti, dovrà la mattina, dette le sue orazioni, leggere o farsi leggere qualche punto di meditazione, e se non è in stato di farla, stabilisca almeno sopra di essa il suo proposito, e porti spesso sopra la medesima i suoi pensieri tra il giorno; non deve pure lasciare passare occasione di partecipare ai Ss. Sacramenti, non lasciandosi sedurre da quella apparente ragione di attendere alcuni giorni per essere in stato di riceverli con maggior riverenza, ed intanto, sopraggiungono molte volte nuovi incomodi, e le converrà poi restarne priva molto tempo; lasci pertanto giudicare di questo a chi si deve, e lei non pensi che a valersi della opportunità. Quando le venga permesso di dire l'officio, procuri dirlo alle ore che si dice in coro per unire le sue lodi a quelle delle sue sorelle, e quando non può ancora dirlo, preghi in detto tempo il suo buon angelo di fare le sue veci, e procuri in questo tempo, se comodamente lo può, di starsene sola per trattenersi col suo Dio. Procuri ancora di trovarsi col desiderio a tutte le osservanze con le sue sorelle, ad esse si unisca, desideri di fare tutte le comunioni, i digiuni, e tutti gli esercizi e fatiche che esse fanno, (senza però mai inquietarsi per non poterli fare) che ne acquisterà tutto il merito. Fugga l'oziosità occupandosi in lavori secondo le proprie forze; e con questi mezzi fedelmente praticati, uscirà dalle sue malattie senza scapito per il suo spirito, ma come l'oro dal fuoco, cioè più infervorata e pura. Fine*5

Asc,2268a:T21

Cap. 21. Desiderium pauperum Non credo vi sia cosa più atta a farvi avanzare nel cammino della religiosa perfezione, quanto il procurare di piantarvi in cuore un desiderio vivo ma quieto, insaziabile ma rassegnato, di piacere a Dio; ed a fine di meglio esprimervi il mio pensiero, vi metto in considerazione quel che mi pare faccia una persona che desideri piacere ad un'altra. Ma in ogni occasione la loda, ed approva tutto quello che fa; procura di acquistare tutte le sue maniere a genio della persona amata; se può farle

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qualche servizio, darle qualche regalo, non perde l'opportunità. Ora così dovete fare voi per piacere al vostro grande e amabilissimo Iddio, dovete il più che potete tenere a Lui rivolti ed innalzati i vostri pensieri, e gli affetti tutti del vostro cuore, e da tutto prendere motivo di lodarLo e benedirLo, approvando con tutta la sommessione della vostra volontà tutte le santissime e giustissime sue disposizioni. Procurate in tutte le vostre opere farle in quella maniera che Egli vi fa conoscere dover essere fatte, acciò le siano grate; finalmente quando vi occorre dovervi fare qualche violenza maggiore, o patire qualche cosa, rimirate queste come preziose gioie che vi viene fatto di trovare per farne dono a chi tanto dovete; ed è ben giusto che voi facciate per il vostro Dio, ciò che tanti fanno con sua grande offesa per misere ed indegne creature, e poiché non potete renderGli quell'amore e servitù che Gli è dovuta, che almeno veda in voi questo desiderio, che credo sia quel desiderio del povero che Egli dice per Davide che esaudisce, è quella preparazione del suo cuore che dice di ascoltare, poiché un cuore così disposto sarà sempre pronto a secondare le sante ispirazioni, accompagnerà il suo operare e patire con una volontaria compiacenza ed ardente amore, e lo renderà con questo molto più meritorio, renderà sempre più pura dall'amor proprio la sua intenzione, se da altro desiderio non lascia occupare il suo cuore, talché potrà dire con la Sposa dei Sacri Cantici: “Tutti i pomi del mio orto, io li serbai per il mio diletto”. ChiedeteGli pure talvolta con santa confidenza se Gli piace la vostra servitù, protestatevi che se voi sapeste come servirLo meglio, di tutto cuore lo fareste, e pregateLo sempre di assistervi con la sua santa grazia, acciò Gli siate fedele; e ricordatevi che non dovete avere in vista e cercare se non Dio solo, Dio solo, Dio solo: Da Domine, quod jubes et jube quod vis.

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Cap. 22. Avvertimento Voi sapete che il soffrire con virtù, è il vero carattere dell'amore che portiamo al nostro amabilissimo Iddio. Ora io considero che la nostra sensibilità, figlia della superbia e dell'amor proprio, è quella che ci toglie il merito nelle occasioni di qualche sofferenza; né saprei come meglio si possa vincere questa sensibilità, se non che, con un generoso dispregio di noi stesse, perché mentre noi ci rivolgiamo a rimproverarci di sentire tanto certe piccole cose (che tali sono appunto quelle che da noi tanto si sentono), veniamo a rivolgere tutti i nostri pensieri e la nostra indignazione contro di noi, il che ci distoglie del tutto dall'oggetto del nostro risentimento; ed oltre che più presto ci troveremo quiete, soffriamo ancora con maggiore umiltà, perché chi nel soffrire si prende ai motivi di pazienza, resta nel fondo del cuore con un certo sentimento d'aver fatto qualche cosa in dissimulare qualche parola o altro; ma chi sprezzandosi si crede che la sua sensibilità non proviene che dalla sua poca virtù, che se avesse umiltà gioirebbe di ciò di cui si affligge, e con questo sentimento si deve porre gli occhi in quello che patì Gesù Cristo e tanti Santi suoi veri imitatori, e finiranno di parerci un gran che, le nostre piccole sofferenze e poi al come hanno essi patito, e scacceremo ogni vento di vanità che potrebbe nascere dalla nostra stessa minima sofferenza. Non credete mai d'aver fatto un gran progresso nella virtù finché non potrete sopportare una correzione senza scusa, una confusione senza turbarvi, una mortificazione senza lamentarvi, una calunnia senza risentimento, un comando, senza repliche.

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Cap. 23. Apparecchio per il Ss. Natale Amemus Puerum de Bethlem, Amemus Puerum. L'invito che ci fa la S. Chiesa a prepararci alla venuta del nostro Salvatore, è dovere che sia da noi corrisposto col più tenero affetto, massime considerando che tanti dei suoi figliuoli si rendono sordi alle voci di sì buona Madre, e chiudono i loro cuori a Gesù che è venuto al mondo per amore, ed è stato mandato dal Divino Padre per amore, come lo dichiarò Gesù stesso dicendo a Nicodemo: Così Iddio amò il mondo che gli diede l'unigenito suo Divino Figliuolo, affinché chiunque in Lui crede non perisca, ma abbia la vita eterna. Perciò dobbiamo accenderci di desiderio d'accoglierLo, se

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fosse possibile, coll'amore con cui si dona, ed incominciare dal S. Avvento a disporci, al che ci servono di continuo stimolo le suddette parole: “Così Iddio amò il mondo, ecc.” Queste procuriamo che spesso risuonino nel nostro interno, e siano in questo tempo il nostro trattenimento tra il giorno, e ne trarremo un grande eccitamento sì a corrispondere a tanto amore, come a porgerGli frequenti suppliche per quelli che non curano di disporsi. Tra tutte le devote pratiche che si propongono per ben preparsi, appigliamoci principalmente a quella che insegna il devoto Autore dell'Imitazione di Cristo che dice: “Nelle solennità principali dobbiamo rinnovare i buoni esercizi e più ferventemente domandare i suffragi dei Santi; da una festa all'altra dobbiamo prepararci come se avessimo a partire allora da questo mondo, e pervenire all'eterna festa, e però nei tempi di devozione dobbiamo sollecitamente apparecchiarci e conversare più devotamente e più strettamente guardare tutta l'osservanza, come se in breve fossimo per ricevere il premio della nostra fatica da Dio”.

Asc,2268a:T23,0,2 Questo sia come il fondo su cui si ha da fare il ricamo con i seguenti esercizi. In ogni domenica dell'Avvento si tirerà a sorte un biglietto in cui avremo la nostra pratica di virtù per tutta la settimana. Oltre le 40 Ave Maria che si dicono in comune diremo con particolare sentimento l'Angelus Domini, baciando a riverenza del gran Mistero umilmente la terra al Verbum Caro. Nell'inchinarci al Gloria dell'officio, intendiamo tenerGli compagnia in questo suo stato di patimento. Nella novena abbiamo ad avere questi tre risguardi, cioè che nasce Gesù, primo per essere conosciuto, secondo per essere amato, terzo per essere imitato. Primieramente, per conoscerLo prenderemo qualche tempo per meditare attentamente e farne il nostro interno trattenimento tra il giorno, uno dei seguenti contrapposti: 1. Nato ed eterno, 2. Piccolo e grande, 3. Paziente e beato, 4. Tremante ed infuocato, 5. Umiliato ed adorato, 6. Innocente e penitente, 7. Ristretto ed immenso, 8. Povero e padrone di tutto, 9. Dio ed uomo; oppure le seguenti considerazioni:

Asc,2268a:T23,1

Primo giorno 1o Gesù essendo Signore dell'universo poteva nascere in un Palazzo Reale, con tutto il più festoso corteggio. Tutto ricusò per insegnare a noi il disprezzo dell'onore. Voi per un tale idolo del mondo che sentimento nutrite, quanto vi siete avanzata nel disprezzo di tutto ciò che si ama, stima ed applauso dalle creature. 2o Considerate come il Santo Bambino, non solamente disprezzò l'equipaggio da Re, ma ancora il titolo, non volendo altro nome che quello di Salvatore, che quello di verme e rifiuto della terra. Intendete questa importante verità! Che appresso Dio non si fa conto di altro titolo che quello che vi può dare la vera e cristiana virtù. 3o Il Santo Bambino si contentò di essere adorato e riconosciuto da poveri pastori. Voi come soffrite di vivere sconosciuta e dimenticata, qualora le vostre azioni non sono o rimirate, o approvate, o ricompensate, ne giubila la virtù, oppure si risente la passione.

Asc,2268a:T23,2

Secondo Giorno 1o Considerate come il Santo Bambino, benché fosse l'innocenza medesima, pure volle prendere l'apparenza di peccatore, volle trattarsi da tale con la penitenza; a tale vista che dice la delicatezza di chi non sa dare un disgusto al proprio corpo, tuttoché non abbia l'innocenza di Gesù Cristo. 2o Considerate come il Santo Bambino subito nato versò molte lacrime sovra i peccati del mondo. Voi che zelo avete per la conversione dei peccatori; quale disgusto per le offese che si fanno a Dio dai seguaci del mondo; quale gratitudine dimostrate a Dio per avervi tratta fuori da tanti pericoli di offenderLo? La devozione pratica di questo giorno sarà di offerire a Dio qualche penitenza corporale in soddisfazione dei peccati che si commetteranno purtroppo da molti in questi santi

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giorni, e di più recitare il Veni Creator allo Spirito Santo per la conversione dei peccatori. La giaculatoria sia questa: Buon Gesù, che mai Vi avessi offeso.

Asc,2268a:T23,3

Terzo Giorno 1o Considerate gli esempi di pazienza che ci diede Gesù prima di nascere, soffrendo di essere rigettato da cittadini e parenti di Betlemme, e imparate a non querelarvi, qualora sarete sfuggita o posposta. 2o Considerate la pazienza di Gesù nel nascere scegliendo le circostanze più adattate a patire, e poi riflettete, se un tale esempio non dia motivo di confusione a chi in tutte le cose cerca la morbidezza ed il proprio comodo. 3o Considerate la pazienza che esercitò dopo che fu nato, soffrendo le punture del fieno, la rigidezza dei venti e la mancanza dei panicelli. Che dice a questo confronto chi non sa tollerare neppure la puntura di una parola, che si risente al dover provare qualche effetto della domestica povertà? Recitate oggi il salmo, Domine Dominus noster ecc., pregando il Santo Bambino che distrugga in voi inimicum, ed ultorem, cioè l'amor proprio, e privatevi di qualche ristoro dal freddo. La giaculatoria sia quella di Santa Teresa: “o patire, o morire”.

Asc,2268a:T23,4

Quarto giorno 1o Considerate l'obbedienza di Gesù quanto fu generosa nella sua estensione, mentre si sottomette a quanto mai volle da Lui l'Eterno suo Padre, senza una menoma eccezione. Non è certamente simile a questa l'obbedienza di chi si sottomette che nelle cose di proprio genio e conforme al suo giudizio. 2o Considerate quanto fu pronta la sua obbedienza senza discorrervi sopra, senza esaminare i motivi, senza consultarsi con le naturali ripugnanze. Mirate se sia di questa tempra la vostra. 3o Considerate quanto fu umile la di Lui obbedienza, sottoponendosi non solo all'Eterno Padre, ma a S. Giuseppe ed a Maria Ss.ma. Così fa chi nella creatura destinata per superiore, o di tutta la casa, o dell'officina, riconosce la persona di Dio. In questo giorno recitate tre volte il Pater noster, e dopo ciascuno di essi aggiungete il versetto Christus factus est pro nobis obœdiens usque ad mortem, mortem autem crucis. Usate particolare prontezza ad ogni voce e segno dell'obbedienza, e la giaculatoria sia: O bone Jesu da mihi cor docile, fatemi arrendevole ad ogni vostra voce, ed a quella di chi tiene il vostro luogo, o mio caro e buon Gesù.

Asc,2268a:T23,5

Quinto giorno 1o Considerate la semplicità di Gesù nell'assumere tutti i tratti da vero fanciullo, e ricordatevi che fatto già adulto, ricordò a tutti i suoi seguaci che se non si vestiranno delle proprietà fanciullesche, impicciolendosi innanzi a tutti, Nisi efficiamini sicut parvuli, non intrabitis, non avranno parte nel Cielo. 2o Considerate la sua semplicità nel succhiare il latte della Madre, e da un tale esempio non vi rincresca il prendere il latte della pietà dai Direttori Spirituali, né vi rincresca di dipendere in tutto e per tutto da essi. 3o Considerate la sua semplicità nel trattare con ingenuità e candore con tutti, e prendete ferma risoluzione di allontanare per sempre da voi ogni spirito di doppiezza, di pura apparenza e di mondana politica. Per pratica di questo giorno reciterete le litanie della Beata Vergine con particolare riflesso a quei versetti nei quali ella è invocata nel titolo di Madre, pregandoLa ad ottenervi dal Divino suo Figliuolo la virtù della semplicità religiosa, risolvete di usarla tutta con le Superiori, con il Direttore Spirituale. La giaculatoria sarà: Mio Gesù, Voi solo io conosco, fate che Voi solo io cerchi con cuor sincero, e semplice.

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Asc,2268a:T23,6

Sesto giorno 1o Considerate la mansuetudine del Santo Bambino. Primo, fermatevi a considerare il titolo d'agnello che prese, onde, anche per questo, volle nascere in una stalla, ed essere visitato da Pastori. RingraziateLo di questo bel nome, e prendete quindi motivo di rincuorare le vostre diffidenze. 2o Considerate la mansuetudine della lingua, non adoperata da Lui ad altro che a teneri vagiti, i quali allettavano tutti ad amarLo e compatirLo, per altro non gli mancava né argomento di valersene a riprensioni, né facondia per esprimerli. Voi come siete mansueta di lingua alle occasioni. 3o Considerate la mansuetudine di Gesù nell'operare, come tutti accoglieva con fronte serena, con lieto ciglio, con dolce sorriso. Qui pure fate confronto, e vi troverete forse di che umiliarvi nel vedervi sì dissomigliante da Lui. La devozione di questo giorno sarà recitare in tre ore diverse l'Ave maris stella; fermandovi singolarmente in quel versetto Virgo Singularis, e pregherete di cuore Maria Vergine ad ottenervi la virtù della mansuetudine. In questo giorno vi guarderete da ogni atto contrario a questa virtù, e farete qualche mortificazione in sconto dei mancamenti contrari ad essa. La giaculatoria sarà questa: O bone Jesu utinam discam a Te quia humilis es, et mitis corde. “Caro Gesù quando sarà che impari da Voi ad essere umile e mansueto?”

Asc,2268a:T23,7

Settimo giorno 1o Considerate quanto piacesse al Santo Bambino la ritiratezza, in quanto si oppone agli strepiti del gran mondo, e con questa occasione riconoscete il gran beneficio che vi ha fatto Dio, con trarvi fuori da tumulti e pericoli del secolo. 2o Considerate il suo raccoglimento interiore, con cui oltre la solitudine della capanna, un'altra se ne formò dentro il suo Cuore, riserbata al solo commercio con l'Eterno suo Padre, o qui sicché ha grande motivo di confondersi la vostra dissipazione di spirito, per cui entrano ad ogni momento ad occuparvi la mente ed il cuore, pensieri ed affetti così alieni dal vostro stato. 3o Considerate il suo amore al silenzio, perciò volle scegliere l'ora più mutola, qual è quella della mezzanotte, e vergognatevi di avere sì poco genio a questa virtù, senza la quale difficilmente si custodisce lo spirito di vera devozione. Per devozione pratica di questo giorno, recitate cinque Pater in memoria delle cinque lettere che compongono il santo nome di Gesù; tre volte in questo giorno, portatevi avanti il S. Bambino, ed offeriteGli la vostra lingua, e chiedeteGli perdono dei trascorsi commessi con il male uso di essa. La giaculatoria sarà: Pone, Domine, custodiam ori meo, “Signore custodite la mia lingua”.

Asc,2268a:T23,8

Ottavo giorno 1o Mirate il Santo Bambino che sospira, trema e lacrima, e considerate quale sia l'oggetto dei suoi sospiri; non era un alloggiamento più comodo, né un corteggio più proporzionato, né altra cosa terrena; i suoi sospiri erano desideri di patimenti, di croci, di villanie; ed i vostri a quale oggetto sono indirizzati? 2o Considerate quale fosse la cagione del suo tremore, non era il freddo della stagione, era il freddo del nostro amore, tremava per noi al vederci cotanto beneficati e cotanto ingrati; tremate anche voi alla vista dei benefici che Dio vi ha fatti. 3o Considerate il motivo delle sue lacrime, non erano per sfogo di passione, erano lacrime di devozione, erano sugo di amore per noi. I vostri occhi per chi ne hanno sparse in maggior copia sopra le disgrazie dell'anima, o sopra temporali, furono sfoghi di pietà oppure di passione disordinata? In questo giorno recitate tre volte la Salve Regina fermandovi alquanto su quelle parole: Ad te suspiramus gementes et flentes in hac lacrimarum valle. Chiedete a Maria per le lacrime che Ella mescolò a quelle del Santo Bambino di fare in avvenire migliore uso delle vostre. Rinnovate più del solito, e con più calore, la contrizione delle vostre colpe. La giaculatoria sia: Fac me vere tecum flere, donec ego vixero.

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Asc,2268a:T23,9

Nono giorno 1o Entrate nel Cuore di Gesù Bambino, e rimirate l'amore che vi porta. Considerate quanto fu costante nell'amarvi mentre vi amò con amore di misericordia anche quando fuggiste da Lui; voi tutto all'opposto ad un tempo siete tutta fervore, ad un altro tutta gelo. 2o Considerate quanto il suo amore fu disinteressato, mentre venne in terra non per suo utile ma unicamente per il nostro. Voi lo amate quando vi prospera, o quando vi fa sentire qualche buon trattamento spirituale, ma se viene a visitarvi con una tribolazione temporale, o vi lascia cadere in aridità di spirito, date subito a vedere che lo amate per interesse. 3o Considerate quanto fu forte e generoso, mentre lo ridusse a sottoporsi a tanti patimenti. Voi vorreste amare Gesù, ma nulla vorreste patire per Lui; un amore così debole non è degno di essere chiamato amore. La pratica di questo giorno sia di fare un atto di amore a Dio tutte le volte che sentirete a battere le ore, di più privatevi per amore di Dio di qualche cosa a voi più cara, e finalmente per amore suo, qualche mortificazione più contraria all'amore proprio. La giaculatoria sarà: Mille volte, Gesù, Vi adoro ed amo.

Asc,2268a:T23,10,1 Per amarLo protestiamoGli ogni mattina, che ad ogni alzata d'occhio al Cielo, e metterci la mano al petto, e rimirando la sua immagine, intendiamo d'amarLo quanto Lo amano tutti gli angeli e Santi, e preghiamo ogni giorno un coro d'angeli: 1o gli angeli, 2o gli arcangeli, 3o i Troni, 4o le Dominazioni, 5o le Virtù, 6o Principati, 7o Potestà, 8o Cherubini, 9o Serafini ad ossequiarLo ed amarLo per noi, ed esercitandoci ogni giorno in frequenti atti d'amore, avvertendo che tutti i nostri affetti siano a Gesù e per Gesù, procurando di mantenere nelle nostre occupazioni un particolare raccoglimento, con una vigilante custodia dei nostri sensi. Si terrà ogni giorno un'ora di silenzio, cioè una mezz'ora alla mattina, e l'altra al dopo pranzo. Per imitarLo nello stato dei patimenti, d'umiliazione, in cui si è messo per carità, prendiamo volentieri tutte le occasioni che ci si presenteranno di patire, con tre atti di volontaria mortificazione, tre di umiltà, tre di carità verso il prossimo, né omettiamo di porgere frequenti suppliche alla Divina Madre, affinché ci ottenga grazia di disporre il nostro cuore in maniera grata a Gesù. Inoltre, faremo ogni giorno un breve esame per vedere come sia disposto il nostro spirito a portarsi a Betlemme per adorare e servire a Gesù.

Asc,2268a:T23,10,2 1o giorno, chi si mette in viaggio, si allontana da parenti e dagli amici. Ora noi esaminiamo quale sia il nostro distacco, non solo da congiunti, ma ancora dalle amicizie particolari, nel Monastero, risolvendo di dare tutto intero il nostro cuore a Gesù. 2o Si lascia condurre da persone esperte per la strada che esse giudicano la più sicura, benché malagevole. Ora noi osserviamo quale docilità professiamo, e quale obbedienza a Confessori e Superiori. 3o Si scarica di tutto il superfluo per non aggravarsi. Esaminiamo il nostro amore per la Santa Povertà, se ci contentiamo del necessario, sacrificando anche qualche cosa a Gesù. 4o Non si ferma ad ogni tratto per levarsi ogni curiosità. Osserviamo quale sia la nostra mortificazione dei sensi tanto necessaria alle religiose. 5o Si alza per tempo al fine di giungere presto al bramato termine; e noi esaminiamo i nostri desideri di perfezionarci nelle virtù, se siano efficaci, il che sarà quando eseguiremo con fedeltà i buoni propositi. 6o Non può godere i comodi della propria casa. Esaminiamo il nostro distacco dai propri comodi, se ci preme di essere bene adagiati, e quale sia il nostro amore alla penitenza. 7o Cammina senza pompa e corteggio, e tiene nascoste le cose preziose. Esaminiamo il nostro amore alla santa umiltà, alla vita nascosta, e se operiamo il bene a riguardo di Dio solo. 8o Non si attacca alle città e case dove alberga. Esaminiamo se viviamo come pellegrini, sempre disposte a passare dal tempo all'eternità.

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9o Prende seco un piccolo fardello delle cose più necessarie. Esaminiamo se andiamo provvedute d'alcuna massima evangelica più atta ad animarci alla mortificazione delle proprie passioni, ed all'acquisto delle virtù, e se non si è fatto questo è il tempo opportuno.

Asc,2268a:T24,1

Cap. 24. Novena di S. Francesco di Sales Niente contro Dio. Primo, presentarsi tre volte il giorno avanti a Gesù, a Maria, come si presentò da giovanetto il Santo, e fare a loro di se stesso un'intero dono. Secondo, pregare Gesù e Maria, per la grazia di poter morire interamente a noi medesime, e vivere totalmente a Dio ed al prossimo; verso Dio col negare sempre in qualsivoglia riscontro la propria volontà, per fare puramente quella di Dio, e col prendere sempre con perfetta rassegnazione quella croce che lo stesso Dio ci manda, sia interna o esterna, e col seguirLo con costanza sino alla morte, crocifiggendo il nostro amor proprio. Verso il prossimo col sempre trattarlo con dolcezza, con risguardare il suo difetto con occhio di carità e semplicità, e con amarlo di modo che si vegga dal cuore, dalle parole e operazioni che rimiriamo il prossimo nel Cuore adorabile di Gesù, come faceva lo stesso Santo. Terzo, si reciterà ogni volta che ci presenteremo, un Pater ed Ave, e Gloria, al fine venga da Dio gradito il nostro dono, ed imitato il Santo nelle anzidette virtù, a gloria di Dio ed in santificazione propria e del prossimo.

Asc,2268a:T24,2

Per la santa comunione Accostarsi col desiderio del Santo, che era sempre di unirsi a Dio, ed in se stesso in cui potesse bramare di subito morire ed apparire avanti a Dio.

Asc,2268a:T25

Cap. 25. Apparecchio alla festa della Purificazione di nostra Signora Se per avviso di S. Agostino le solennità della Chiesa furono istituite, non tanto per glorificazione di Dio e dei suoi Santi, quanto per nostro eccitamento ad imitare le loro virtù, ut imitari non pigeat quod celebrare delectat. Non potremo non incontrare il totale gradimento della gran Vergine nel prepararci alla festa della sua Purificazione, se anche noi attenderemo in questi giorni con qualche particolare diligenza a purificare il nostro cuore; a questo fine in ciascuno di questi nove giorni ci fisseremo sopra di esso per farne anatomia al fine di purgarlo dalle male qualità che lo infettano, e fornirlo delle buone che hanno a perfezionarlo.

Asc,2268a:T25,1

1o giorno. Cuore retto Osservate se il vostro cuore sia retto, Dirige cor tuum in viam rectam; se retto nelle intenzioni, negli affetti, nelle parole, nelle opere. Intenzioni che mirano al proprio onore, al proprio interesse, al proprio genio, sono tutte storte, per conseguenza guastano tutta l'opera, ancorché per le altre sue circostanze lodevoli non sono gradite a Dio, e nulla contano per l'Eternità; affetti che vi impegnano per le creature e vi distaccano da Dio, che vi riempiono d'inquietudine, e vi distaccano dalla devozione, sono torciture del cuore. Un parlare che non concordi con la veracità e con la sincerità, che sia intessuto a doppiezze e simulazioni e adulazioni è proprio d'una lingua che serve ad un cuore pieno d'obliquità. Opere che non sono conformi alla regola dell'onesto, che deviano da dettami della retta ragione, opere di buona apparenza, ma di cattiva sostanza che soddisfano agli occhi degli uomini, ma non a quelli di Dio, declinano tutte dall'evangelica dottrina. In questo giorno pertanto spenderete almeno un quarto d'ora a dare una rivista allo stato abituale dell'anima vostra. Le vostre giaculatorie saranno queste: Illumina Domine oculos meos, ne unquam obdormiam in morte. “Deh mio Dio apritemi gli occhi prima che venga la morte.” Vide si via iniquitatis in me est, et deduc me in semitam rectam. “Se io devio dalla via retta, deh rimettetemi in quella.” Visiterete

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tre volte il Ss.mo Sacramento, recitando ciascuna volta tre Pater ed Ave, ed al fine d'ognuna aggiungerete questa breve preghiera: Spiritum rectum innova in visceribus meis.

Asc,2268a:T25,2

2o giorno. Cuore puro Considerate che per rendere il vostro cuore somigliante a quello di Maria, vi fa d'uopo d'averlo puro e mondo. Se Dio si contentasse delle pure apparenze coll'astenersi dalle opere e discorsi contrari alla purità, avreste adempito ogni vostro dovere, ma Egli mira il cuore: Deus autem intuetur cor, e se vede che questo dà ricetto a pensieri, a compiacenze, a desideri contro questa virtù, tosto abomina assai più che non farebbero le creature della terra, se compariste loro davanti con una cancrena verminosa sul volto, essendo nel cospetto di Dio assai più grave il fetore d'un cuore immondo, che un cadavere del tutto fracido, che una carogna che ammorbi l'aria. Mirate pertanto in questo giorno, come vi portate in occasione di tentazione contro questa virtù. Se date loro veruna cagione con la libertà dei vostri sensi, col troppo morbido trattamento del vostro corpo, col passare il tempo in ozio; se siete pronta per ribattere i primi assalti; se ricorrete senza indugio a chiedere aiuto dal Signore; se nel confessarvene palesate la vostra colpa con quella sincerità che vi viene dettata dalla vostra coscienza. Le giaculatorie di questo giorno saranno: Cor mundum crea in me Deus. Mio Dio, Voi che creaste questo mio cuore, mondatelo da ogni lordura. Vitam presta puram. Vergine Ss.ma che foste specchio tersissimo d'umiltà, di purità, perfezionatemi in queste virtù. Portatevi in questo giorno tre volte avanti l'immagine di Maria, recitando ciascuna volta l'Ave maris, ecc.

Asc,2268a:T25,3

3o giorno. Cuore semplice Considerate che Iddio si compiace del cuore semplice, con questo tratta volentieri, Cum simplicibus sermocinatio ejus, da questo si lascia trovare. In simplicitate cordis quærite illum, e perciò incaricò i suoi Discepoli d'affezionarsi a questa colombina virtù: Estote simplices, sicut columba, e la ragione si è perché nessuna al pari di questa ci rende più simile a Lui, essendo Egli di un essere semplicissimo, ma non si conforma già a dettami di chi si studia di parere migliore di quel che infatti è. Chi in vista delle creature si porta meglio, che quando non è osservato che da Dio! Chi non procede con schiettezza e candore dell'anima, ma chi scorretto invece d'umiliarsi, pensa tosto a scuse e giustificazioni. Chi procede con ragioni suggerite da mondana politica. Esaminatevi in questo giorno sui punti accennati al principio d'ogni nuova azione. Dite a Dio col Santo Re Davide: In simplicitate cordis Jesu obtuli universa. Le giaculatorie siano queste: Cor pravum et os bilingue detestor, “abomino e detesto ogni malizia e doppiezza”; Non declines cor meum in verba et in opera malitiæ, “lungi da me ogni linguaggio ed ogni operare mascherato e finto”. Ricorrete a Maria perché vi ottenga d'imitarLa in questa virtù, con recitare a tale fine le litanie.

Asc,2268a:T25,4

4o giorno. Cuore pronto Il Santo profeta Davide per invitare il Signore a prendere possesso del suo cuore, diceva d'averlo pronto e preparato a riceverLo: Paratum cor meum, Deus, paratum cor meum. Considerate in questo giorno quale sia la prontezza del vostro ad abbracciare le occasioni di vincervi, ed esercitarvi in opere di devozione, ed arrendervi alla voce di chi tiene sovra di voi le veci di Dio. Sareste mai una di quelle anime pigre che prima d'arrendersi alle sante ispirazioni si perdono in lunghi combattimenti, che trovano ogni festuca pesante, che operano abitualmente con svogliatezza, che strascinano la Croce di Gesù invece di portarla con allegra disinvoltura? Vi sovvenga essere questa sorta d'anime, addimandate da Dio di cuore pesante: Filii hominum usquequo gravi corde, e perciò essere in grande pericolo d'essere portate dal loro peso al centro della terra nel rompersi quel filo di vita che le sostiene. Ponete pertanto oggi il vostro cuore sulle bilance del santuario per vedere se mai esorbitasse nel peso. Esaminatevi sulla prontezza nel seguire le divine ispirazioni, a valervi

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delle buone occasioni, a vincervi con prontezza e per avvezzarvi a riconoscere in ogni segno dell'obbedienza la voce del Signore. Cominciate da questo giorno ad usare ogni volta che sarete chiamata a qualche osservanza la giaculatoria: Paratum cor meum Deus, paratum cor meum. Ecce ancilla Domini, fiat mihi secundum verbum tuum. “Sono pronta, o mio Dio, ad ubbidirVi. Ecco la vostra ancella disposta a seguirVi, ad ubbidirVi.” Visitate tre volte l'altare, o l'immagine di Maria recitando ciascuna volta il Magnificat, in onore della prontezza da Lei usata agli inviti celesti, e La pregherete ad ottenervi grazia di rendervi sua vera imitatrice.

Asc,2268a:T25,5

5o giorno. Cuore generoso Sarebbe poco pregevole la prontezza, quando fosse limitata a quei soliti esercizi di virtù che sono di poco costo all'amor proprio, e non si estendesse altresì a maggiori cimenti. Converrà pertanto che abbiate un cuore non solamente pronto, ma generoso, ma tale fu appunto quello di Maria Ss.ma a cui la S. Chiesa adatta quelle parole dell'Evangelio: Maria optimam partem elegit sibi, quasi volesse dire che nelle elezioni mirava sempre al più arduo e grandioso, che nell'operare e nel patire non ammetteva limitazioni; che dove si trattava di dare gusto a Dio allargava con profusione la mano, che non si arrestava sulle cose di puro obbligo, ma passava a quelle di supererogazione, ed in tutte ne procurava la più esatta perfezione; onde la sua vita poté dirsi, giusta il sentimento di S. Ambrogio, un modello perfettissimo di tutte le virtù: Talis fuit Maria, ut ejus vita omnium sit disciplina virgo intra domum, comes ad Ministerium, Mater ad templum. Fate ora il confronto tra il vostro cuore e quello di Maria. Che ve ne pare? Qual è la vostra magnanimità nelle occasioni di qualche maggiore difficoltà? Quale e quanta la vostra liberalità con Dio? Sapete pure che l'attenersi al puro obbligo, è lo stesso che esporsi a declinare dall'obbligo, declinantes in obligationes adducet Dominus cum operantibus iniquitatem. Sapete che nella via delle virtù chi non prende le mire alte non batterà giammai nel segno, e che il Reale Profeta riconobbe di non aver osservata la Santa Legge, che quando concepì un cuore grande: Viam mandatorum tuorum cucurri, cum dilatasti cor meum. Esaminatevi oggi sulle dimensioni del vostro cuore. Le giaculatorie di questo giorno siano queste: Spiritu principali confirma me. Infondetemi, o mio Dio, un cuore sovrano, cui minoratur corde cogitat Maria. Misera me, se non fo un cuore grande, sarò sempre pigmea nella virtù. Portatevi avanti all'altare, o l'immagine di Maria, pregateLa a voler fare un cambio dei cuori, con prometterLe di renderLe il suo, dopo che avrà rifatto il vostro riducendolo a più ampia misura, recitando a tale fine tre volte la Salve.

Asc,2268a:T25,6,1

6o giorno. Cuore costante Cuore pronto, cuore generoso sono entrambi d'ottima tempra, ma di poco giovamento all'eterna salute, se insieme non prendono la qualità di fermi e costanti; di questa verità, ne possono fare testimonianza perfino i dannati, i quali odono le strida di coloro che cœperunt ædificare et non potuerunt, o per dire meglio, noluerunt consumare, incominciarono bene e finirono male. Tra i cristiani sono rari coloro che mai abbiano posto il piede nella via della virtù; la massima parte o in un'età, o nell'altra ha gustato quam suavis sit Dominus. Ha assaporato il dolce della virtù e pietà, ma che pro, se la maggior parte si perde per difetto della perseveranza, è vero che questo non può essere frutto del nostro libero arbitrio, essendo uno specialissimo dono di Dio che anche ai giusti si conferisce graziosamente, e non per giustizia, tuttavia in mano dell'arbitrio aiutato dalla grazia sta l'allontanarsi da quegli scogli che possono causare naufragio. L'usare quei mezzi che molto concorrono alla perseveranza, ed in particolare all'orazione in cui si domanda a Dio un tale dono.

Asc,2268a:T25,6,2 Principalissima Avvocata ad otternerlo è la Madre di Dio, la quale lo possiede in grado perfettissimo, mentre fu confermata in grazia: In Sion firmata sum. Quel Dio che entrò ad impadronirsi del di lei Cuore vi piantò un immobile padiglione per mai più dipartirsene, requievit in

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tabernaculo meo, e fin sotto la Croce diede eroiche prove d'invitta costanza: Stabat juxta Crucem Maria Mater ejus. Spendete oggi qualche spazio di tempo per osservare se i vostri portamenti siano di cuore costante, oppure vacillante. Rivedete le carte dei vostri propositi, ed esse vi diranno se abbiate fermezza di virtù. Le giaculatorie più frequenti siano: Confirma hoc Deus quod operaris in nobis. Mio Dio, date fermezza a quei buoni sentimenti che Vi degnate d'infondermi. Confige timore tuo carnes meas. Deh, inchiodate una volta con la punta del vostro timore la mia instabilità. Ricorrete a Maria tre volte in questo giorno con cinque Ave per ogni volta, ed aggiungendo questa breve domanda: In electis tuis mitte radices, fate che ogni virtù getti in me profonde radici.

Asc,2268a:T25,7,1

7o giorno. Cuore umile La base di tutte le prerogative lodevoli di un cuore ha da essere l'umiltà. Così l'intese Maria a cui premeva di appagare i disegni dell'Altissimo, e di assicurarsi il suo aggradimento, e per pratica del di Lui genio si diede all'acquisto ed all'esercizio della più fina umiltà, ed infatti questa fu la calamita che trasse nell'anima di Lei tanta copia di doni e favori celesti, questo il fondamento di quel magnifico edificio di santità che essa innalzò: quia respexit umilitatem ancillæ suæ, fecit mihi magna qui potens est. È verissimo che la sorgente delle celesti grazie altra non è che la Divina Bontà, ma è altresì certo che non le tramanda che nelle valli simboleggiate delle anime umili: Emittis fontes in convallibus, sicché, se vogliamo che il nostro cuore sia innaffiato da divini favori, e divenga fecondo di virtù, facciamolo assomigliare ad una valle, cadano a terra le alture del fasto, dell'ambizione, della stima propria, sottentri invece il conoscimento della propria bassezza, la noncuranza delle lodi e degli onori mondani, e la sofferenza delle proprie umiliazioni, che allora ci abiliteremo a ricevere benefici dal Signore.

Asc,2268a:T25,7,2 Oh Dio, che strana cosa è mai ella, che avendo d'intorno a noi tanti motivi di abbassarci, pure come se a noi non appartenessero, proviamo tanto proclività all'insuperbirci, e non vogliamo intendere che senza umiltà non si entra in Cielo. Rientrate oggi in voi ad esaminarvi su questa rilevantissima virtù. Mirate nel vostro intelletto se vi siano sentimenti d'umiltà, e se nel vostro cuore annidino affetti contrari a questa virtù. Come siete umile nel parlare, umile nell'operare, umile nell'ubbidire; se tenace nel vostro parere, se intollerante di contraddizioni, se vi contentate delle cose e degli impieghi più abietti, se accadendo qualche cosa di vostra umiliazione la ricevete con giubilo, o almeno con pazienza, se sfuggite le umane lodi, se riconoscete da Dio il bene che avete ed il felice successo delle vostre azioni. Le giaculatorie di questo giorno siano: Mihi absit gloriari nisi in Cruce Domini nostri, “lungi da me il gloriarmi fuorché nella Croce del mio Gesù”. Domino Deo nostro justitia, mihi autem confusio faciei meæ, “a Voi, mio Dio, è dovuta giustizia e gloria, a me non altro che confusione”. Portatevi due volte in diversi tempi avanti l'immagine di Gesù Crocifisso, il quale si è umiliato per noi usque ad mortem, mortem autem crucis, e con recitare cinque Pater ed Ave, in memoria delle cinque Piaghe sue santissime, pregateLo a farvi umile.

Asc,2268a:T25,8,1

8o giorno. Cuore compunto Non è difficile di acquistare un cuore umile a chi procura d'averlo compunto, onde il Reale Profeta con saggia avvedutezza al cuore contrito accoppiava il cuore umile: Cor contritum et umiliatum Deus non despicies. Non vi manca anche in ciò l'esempio di Maria Vergine, la quale se non aveva propri peccati da piangere, non lasciava perciò di piangere sopra i peccati altrui, e di piangerli con sì doloroso sentimento, che l'amarezza del suo rammarico viene paragonata a quella dell'acqua del mare: Magna est velut mare contritio tua. Oh, se intendessimo la grande disgrazia che è di un anima perdere la grazia e l'amicizia di Dio, divenire l'oggetto della sua indignazione, contrarre una mostruosa deformità che mette orrore perfino agli angeli, e farsi schiavo del Demonio, non sarebbe già vero che mirassimo i nostri peccati con indifferenza, che li confessiamo con sì fiacco dolore, che avessimo sì poca premura di farne penitenza, e che potessimo divagarci in vane allegrie, diremo

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ancora noi col penitente Davide: “Io non trovo pace alla vista dei miei peccati”, non est pax ossibus meis, a facie peccatorum meorum. Non sapremo distogliere la memoria dalla considerazione dei nostri peccati: peccatum meum contra me est semper, e non contenti d'averli pianti altre volte, proseguiremo a piangerli, né finiremo mai d'esclamare: amplius lava me ab iniquitate mea.

Asc,2268a:T25,8,2 Sia dunque esercizio proprio di questa giornata, l'esaminare la compunzione del vostro cuore, se portate alla confessione un dolore intimo e non superficiale; fervoroso e non freddo, sincero e non apparente, universale e non ad alcuni peccati di più orrida qualità. Mirate altresì quale sia la vostra penitenza, e sia premura di soddisfare alla Divina Giustizia, se vi esercitate stabilmente in alcune opere penali col consenso del Direttore, se in occasione d'infermità, od altra tribolazione vi ricordate subito che i vostri peccati meritano di peggio. Le giaculatorie più frequenti siano queste: Scelera mea et delicta mea ostende mihi. Fatemi, Signore, conoscere il numero e peso delle mie colpe. Pater peccavi in Cælum, et coram te, jam non sum dignus vocari filius tuus. Ah, che purtroppo Vi offesi, o mio buon Padre, se pure mi lice chiamarVi Padre a chi tanto Vi strapazzò. Iniquitatem meam annuntiabo, et cogitabo pro peccato meo. Conserverò, Signore, l'amara rimembranza di averVi offeso, e vivrò in continuo pensiero di soddisfarVi. Invocate la protezione di Maria come rifugio dei peccatori, acciò vi ottenga una stabile e vera compunzione di cuore, ed a questo fine visiterete tre volte il suo altare recitando in ogni volta la Salve con aggiungere quel versetto: Fac me vere tecum flere, crucifixo condolere donec ego vixero.

Asc,2268a:T25,9,1

9o giorno. Offerta del cuore intera e perpetua Fornito che avrete il vostro cuore di tutte le sopraddette qualità, potrete disporvi a farne l'offerta all'Altissimo per mano di Maria Santissima, avvertendo che se ha da incontrare il totale gradimento della Divina Maestà è necessario che l'offerta abbia due condizioni: la prima sia che offeriate con integrità, la seconda che abbiate animo d'offerirlo per sempre. Se pensate di farne una oblazione dimezzata con rilasciare una parte del vostro cuore a cose terrene, cioè a dire con ritenere qualche attacco smoderato verso alcuna creatura, voi la sbagliate all'ingrosso, perché sta scritto: Dilige Dominum Deum tuum ex toto corde tuo, ex tota anima tua. “Amerai il tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta l'anima tua”, e di chi pensa di fare divisione, ne sta di già registrata la sentenza: Divisum est cor eorum nunc interibunt. Vi sovvenga che il cuore umano è fatto solo per Dio, e solo in Lui come a suo centro può trovare pace. Infatti se rintracciate attentamente l'origine delle vostre tribolazioni ed affanni, troverete che non d'altronde provengono, che dall'aver voluto far parte del vostro cuore a cose caduche; lo stesso dite di chi alla sua oblazione lascia mancare la seconda condizione, che è di dare il cuore a Dio, non per qualche tempo ma per sempre. Quel professare devozione, raccoglimento e fervore per il corso di una novena, o nella settimana e poi ritornare alla dissipazione, alla freddezza, alle condiscendenze coll'amor proprio, è lo stesso che dichiararsi annoiato della pietà e mal contento di Dio.

Asc,2268a:T25,9,2 Chi cammina a passo seguito, s'avvanza verso il suo termine, ma chi va facendo ritornelli e fermatelle, va a rischio di stancarsi senza profitto: sic currite ut comprehendatis, correte in guisa di giungere a riportare il pallio, ci avvisa l'Apostolo Paolo. Mirate se le offerte che finora avete fatte siano state accompagnate da queste due condizioni, e trovando che alcuna, o entrambi siano loro mancate, chiedete perdono a Dio, interponendo l'intercessione di Maria per ottenerlo; indi consegnate in mano di Lei il vostro cuore, con protesta di volere che sia tutto di Dio, pregateLa a custodirvelo, perché non entri mai alcun terreno affetto a dividerlo o a ritoglierlo da quell'altare. Domani lo sacrificherete recitando a tale fine tre volte l'inno O Gloriosa Virginum. Le giaculatorie più frequenti siano: Deus cordis mei et pars mea Deus in æternum. Il padrone del mio cuore ha da essere il mio Dio, né altri ha da averne parte fuori di Lui. Dilectus meus mihi et ego illi, l'amato mio Dio mi basta per tutto, né amerò altra cosa fuori di Lui. Quis me separabit a caritate Christi? Non speri più veruna cosa creata di staccarmi dal mio caro Gesù.

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Cap. 26. Apparecchio per la venuta dello Spirito Santo Non facendo lo Spirito Santo la sua dimora, se non nella pace, siccome sta scritto, factus est in pace locus ejus, perciò la prima disposizione, sia di preparare al Divin Ospite delle nostre anime un cuore pacifico, che fermo in Dio si tenga nei vari accidenti di questa misera vita, senza mai permettergli alcuna turbazione, neanche per i propri difetti, perché siccome non si potrebbe dipingere una tela che da sé volesse muoversi, così non è disposta un'anima che si turbi a ricevere le divine operazioni. Dobbiamo anche guardarci di turbare il prossimo, rompendo la santa carità, ma imitare i Santi Apostoli e Discepoli, che si dice che erano unanimi. La seconda sarà di fare un'aspra guerra alla propria volontà, non ammettendo alcun disegno e desiderio proprio, ma facendoli tutti morire nella Ss.ma Amabilissima e Dolcissima Volontà di Dio, mettendo il nostro gusto in questa morte, perché come non si può dipingere una tela già dipinta, se prima non si cancella l'antica pittura, così non è disposta un'anima a ricevere le impressioni del Divino Spirito, se non si spoglia della propria volontà. La terza sia di vegliare sui propri affetti, né permettere che si volgano verso le creature, ma tutti ridurli a quell'uno che solo li merita, e a cui si devono, e quante volte si risveglieranno questi affetti, dobbiamo fare subito un atto d'amore non amando noi stessi, né il prossimo, se non in Dio e per Dio. Ma come queste virtù non si fabbricano che sopra il fondamento della santa umiltà, perciò diffidando delle nostre forze, conviene ricorrere con più ardore al divino aiuto, ed implorare fra il giorno con più frequenti aspirazioni d'amore, d'offerta, di conformità, di desiderio, la venuta del Divino Ospite recitando tre volte al giorno il Veni Creator, cioè la mattina, dopo pranzo, ed alla sera, con interporre l'intercessione della Ss.ma Vergine, facendo a tale fine una visita al suo altare recitando la seguente orazione:

Asc,2268a:T26,0,2 Adoro e venero in Voi, Maria Santissima, il gran mistero operato dallo Spirito Santo nell'Incarnazione del Divin Verbo, e compiacendomi della dignità a cui Vi sublimò di Madre di Dio, Vi supplico a muovere con la vostra intercessione lo Spirito Santo ad operare in me, secondo la sua Ss.ma Volontà. Angelus. Ave. In unione di quell'umile rassegnazione con la quale Vi offeriste alle operazioni che lo Spirito Santo voleva fare in Voi, Maria Santissima, io pure mi offro a tutto ciò che dispone fare in me, pregateLo Voi, mia cara Madre, e presentateGli il mio cuore come soggetto capace delle sue divine operazioni, ed io intendo di acconsentire ai suoi santi voleri dicendo con Voi: Ecce ancilla. Ave. Altissimo Iddio, ammiro l'estrema vostra degnazione nel prendere l'umana carne, e soggettarVi a tanti patimenti per comunicarVi a noi misere creature. Vi offro gli stessi vostri meriti e quelli di Maria Ss.ma con quel profondo atto di umilissima adorazione che Ella fece, ricevendoVi nelle sue viscere, e Vi prego a farmi partecipe dei doni dello Spirito Santo che mi meritaste, ed a levare da me e da tutti gli ostacoli alle sue divine operazioni. Et Verbum. Ave.

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Oremus Deus, qui Beatam Mariam Virginem Spiritus Sancti habitaculum effecisti, præsta, quæsumus, ut ejus intercessione Spiritum Sanctum accipere mereamur. Per Dominum nostrum Jesum, etc. Ma siccome il Signore non comunica d'ordinario la sua grazia, se non si tolgono da noi gli impedimenti di quella, e noi per la nostra cecità molte volte non li conosciamo, perciò porrò qui un esame da farsi ogni giorno della Novena in questo modo. Poste alla presenza di Dio, e recitato il Veni Creator, con l'orazione Deus cui omne cor patet etc., consideriamo gli impedimenti che possiamo mettere alla grazia, con animo risoluto di toglierli col divino aiuto. Sarà anche utile per questo la che troverà posta avanti ciascun esame.

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1o giorno: meditazione Veni Sancte Spiritus etc. 1o punto. Quanto gran male è restarsene in tenebre, senza il raggio delle divine inspirazioni. 2o Quante finora ne ho ricevute a cui ho mal corrisposto. 3o Quanto debbo temere che mi sia finalmente sottratto un sì bel raggio, se non ne fo maggior conto. Pratica State sopra di voi per non fare azione che non sia regolata dal volere di Dio, con vari atti di desiderio che questo in voi si adempia. Esame Il primo impedimento è l'amor di noi stesse, per il quale con storta intenzione in ogni nostra opera, cerchiamo o la nostra utilità, o il nostro onore, o il nostro comodo, o preferiamo il nostro bene particolare alla gloria di Dio, e questa ricerca del nostro interesse non si fa solamente nelle azioni ordinarie e naturali, ma anche nel desiderio delle virtù e dei doni di Dio, desiderando tutto questo più per piacere a noi stesse, che per piacere a Dio e fare la sua Santa Volontà, dal che ne viene di cadere poi in molti errori e peccati. Per rimediare a questo disordine dobbiamo implorare prima il divino aiuto, e poi vegliare con diligenza sopra i nostri desideri, parole ed opere per esaminare le nostre intenzioni, se in esse noi cerchiamo altro che la gloria di Dio, e lasciare le creature e noi stesse nel tempo e nell'eternità, e non dire, né fare che ciò che crederemo essere di gusto di Dio.

Asc,2268a:T26,2

2o giorno: meditazione Veni Pater pauperum, etc. 1o Che mi gioveranno tutti gli onori ed i comodi, se perdo l'anima? 2o Chi può darmi un vero onore e felicità, se non la grazia di Dio? 3o Quale stima faccio di questo gran tesoro nelle occasioni di aumentarlo? Pratica Procurate d'aumentarlo con la frequenza degli atti interni di virtù, massime delle virtù che si dicono Teologali. Esame Il secondo impedimento è l'amore disordinato delle creature. Questo amore inquieta il cuore sopra il successo di molte cose, di modo che l'occhio dell'anima turbato confusamente dalle passioni d'amore, d'odio, di vana allegrezza, di tristezza, di timore, non può più discernere, né Dio, né se stessa, né il dovere. Per rimediarvi dobbiamo conservare il nostro spirito libero dall'amore delle creature, rimettendo alla condotta della divina Provvidenza tutto ciò che ci può accadere, da qualunque parte che ci venga, a Lei lasciando un'intera cura di noi, a Lui rimettendo ogni nostra sollecitudine, vegliando acciò non entri nel nostro cuore, né l'occupi che Dio solo. Dobbiamo dare la terra per il Cielo, il mondo per possedere il regno di Dio, tutte le cose di quaggiù sono da disprezzarsi come indegne del nostro amore. Lasciamo il mondo per quelli che sono del mondo, per il quale Gesù non si è degnato di pregare. Se desideriamo sapere ciò che noi amiamo, esaminiamo sopra quali oggetti si portino i nostri pensieri, perché come dice: “dove è il nostro tesoro, là è il nostro cuore, il nostro spirito”.

Asc,2268a:T26,3

3o giorno: meditazione Consolator optime etc. 1o Quante amarezze porta seco il peccato, e in vita e in morte. 2o Quando mai ho provata una soda consolazione, se non quando fui più fervente? 3o Perché dunque non mi risolvo di essere santa, perché troppo aderisco ai miei sensi? Pratica Procurate di tenere i sensi nella maggior mortificazione che vi sia possible, che vi toglierete un grande ostacolo alle virtù. Esame

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Il terzo impedimento è il difetto di mortificazione, quale fa che ci portiamo a secondare le naturali inclinazioni per contentare i nostri sensi, a prendere i nostri comodi oltre i termini della necessità, e di una discrezione ragionevole; ciò si può osservare nel cibarsi, nel cercare trattenimenti di vani discorsi, in curiosità, in occupazioni di genio che fanno perdere e impediscono la pace interna e la consolazione dello Spirito e la grazia, e come queste persone seminano nella carne, tale deve essere la loro raccolta. Dobbiamo dunque vegliare sopra i nostri sensi, e negare loro con coraggio ciò che non è necessario, sintantoché lo Spirito ne sia padrone, sottomettendoli con facilità.

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4o giorno: meditazione In labore requies etc. 1o Il giogo delle passioni, dell'amor proprio è pesante, perché sono incontentabili. 2o Il giogo di Cristo è soave, mercé l'aiuto della grazia. 3o Dunque vorrò piuttosto portare un pesantissimo giogo per dannarmi, che un dolcissimo per salvarmi. Pratica Armatevi di un odio santo contro voi stessa per contraddire alle vostre passioni, né date ascolto a verun patto, perché a tutto vi faranno arrendere. Esame Il quarto impedimento è la superbia, la vanagloria, la propria stima, la compiacenza e l'allegrezza che si concepisce dal favore, dalle lodi, e dalla stima degli uomini. Molti sono abbandonati da Dio a cagione di questo vizio, perché credendo essi di godere di una perfetta salute, né cercano, né ricevono alcun rimedio, onde per non cadere in sì misero stato, dobbiamo procurare di acquistare la vera umiltà che è la strada sicura ed unica per andare a Dio, domandarla incessantemente, e persuaderci che siamo del pari orgogliosi e vili. Teniamo sempre avanti gli occhi dello Spirito da un lato, l'infinita Maestà, Sapienza e Bontà di Dio, dall'altro, l'abisso del nostro nulla, giudicando che siamo i più grandi peccatori del mondo a cagione della nostra ingratitudine e malizia, indegni dei benefici di Dio e delle creature; degni di tutte le pene immaginabili. Con questi sentimenti sottomettiamoci a tutti gli uomini, cerchiamo l'ultimo luogo, gridiamo come miserabili: Oh Dio, siate misericordioso a questo peccatore; ed in questi sentimenti desideriamo di essere disprezzati e calpestati da tutti. Questa umiltà piace grandemente a Dio, e rese l'uomo capace di ricevere ogni grazia. Ohimé, chi è quello che possa attribuirsi santità, essendo sì difficile sapere se abbiamo vinta la sensualità o la volontà propria, e che bene spesso prendono i movimenti della natura per argomento di una santità.

Asc,2268a:T26,5

5o giorno: meditazione O lux beatissima etc. 1o Spirito Santo e propria volontà non possono assolutamente stare insieme. 2o Quale dei due sta nell'intimo del mio cuore, quello che dà il motivo al mio operare? 3o Il Divino Spirito m'invita all'abnegazione, il mio alla libertà, quale dei due la vince? Pratica Osservate ciò che vi rallegra o affligge, e vedrete quale spirito è in voi. Esame Il quinto impedimento è l'amarezza del cuore, per la quale siamo portati all'impazienza, al disprezzo del prossimo, a certa rudezza di tratto, a sinistri giudizi, mirando tutto col medesimo veleno che rende infermi i nostri occhi, rendendoci odiosi a Dio ed agli uomini. Si rimedia a questo, con procurare di amare in Gesù tutti gli uomini, onorando in ciascuno di essi la sua immagine, non lasciando andare nel nostro cuore alcuna amarezza, presentandosi a tutti con faccia serena nella dolcezza della carità e benignità, con essere disposte a sopportare gli altrui difetti, a perdonare le offese, le quali, dopo averle offerte a Dio e deposto ai suoi piedi ogni risentimento, non solo non dobbiamo più raccontare a persona, ma infine vietarci di rammentarle a noi stesse. Dobbiamo pure prendere ogni cosa in buona parte, non giudicando, né affligendo alcuna, anzi procurare d'assistere

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indifferentemente a chi abbisognasse il nostro aiuto, in una parola essere disposto a spargere sopra tutti la nostra compiacenza e il nostro amore.

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6o giorno: meditazione Sine tuo Numine etc. 1o Quali sono stati finora i miei costumi, quali le pratiche di virtù? Oh, che motivo di confondermi! 2o Quanto peggiorerò sempre, se presto non mi emendo. Oh, che motivo di non tardare! 3o Se mentre differisco, il Signore mi abbandona a cagione di mia infedeltà, oh, che motivo di temere! Pratica Rivedete i propositi fatti e metteteli in esecuzione. Esame Il sesto impedimento è la propria volontà, il proprio sentimento. Vi sono taluni che talmente in questa si fissano, che pare non si fidano di Dio, né degli uomini. Questa proprietà ostinata è in essi come la base di tutti i loro disegni ed opere, anche nelle cose spirituali; sempre inquieti perché vogliono servire a Dio secondo le loro idee, in luogo di cercare a seguire la sua santa volontà, onde queste persone, benché facciano molte opere che agli occhi delle creature paiono buone, sono nondimeno a quelli di Dio macchiate dall'amor proprio che a quelle dà il moto, in luogo che non dovrebbero averlo che dal divino amore, perciò avranno a purificarsi queste opere, in apparenza buone, nel Purgatorio, sinché siano nette da questa zizzania della propria volontà. Si rimedia a questo vizio mettendo uno stabile fondamento di abbandono pieno e perfetto di sé, mediante il quale si spogli d'ogni proprietà con un'intera rassegnazione nel divino volere, senza che il cuore niente si riservi, abbracciando con tutta l'anima la Santa Volontà di Dio, con interna compiacenza nella sua esecuzione, con intimo aborrimento alla volontà propria, credendo che chi distrugge questa proprietà, vedrà cadere in se le mura di Gerico, cioè la maggior parte delle sue imperfezioni. Con questo principio si sottometterà agli uomini, obbedendo con sicurezza e confidenza della speciale Provvidenza che tiene Dio di un'anima che riconosce con fede la stessa sua voce nella santa obbedienza, ed in quella si riposa.

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7o giorno: meditazione Lava quod est sordidum etc. 1o Una sordidezza nella veste la porterei tanto tempo, quanto porto le imperfezioni nell'anima? 2o Per rendere fruttifera una vigna, userei sì poca cura come uso nella coltura del mio spirito? 3o Per guarire da una piaga, tratterei così superficialmente dei rimedi? Segno che più stimo il corpo, la terra, una veste che l'anima mia. Pratica Procurate di cavare frutto da Santi Sacramenti, Meditazioni, e letture. Esame Il settimo impedimento è l'incostanza nei devoti esercizi, gettandosi con leggerezza a fare prova di vari esercizi di virtù, lasciandoli poi per tedio, pigliandone indi altri diversi senza mantenere stabilità nel bene che intraprende, non ponendo in effetto i buoni propositi che dalla Divina Grazia nelle comunioni, meditazioni, prediche, ritiri, o in altre maniere le vengono suggerite. Questa infedeltà è uno dei grandi ostacoli che si mettono alla nostra perfezione, essendo un abuso della grazia, per cui meritiamo che il Signore ci lasci privi di lume nell'intelletto, e freddi nella volontà. Castigo terribile! Rimedio a questo male si è il mantenere le sante pratiche, che in tempo che più risplendeva sopra di noi il divino lume si sono intraprese (massime se si è fatto con consiglio) mantenendoli stabilmente sino alla morte senza rallentare o intiepidirsi, né per tentazioni, né per dicerie, ma facendo a tutto faccia con animo intrepido e costante, e se hanno a omettersi, non sia che per cose migliori e con consiglio, e farsi un dovere di andare mettendo in esecuzione i buoni propositi, né credere un piccolo male l'infedeltà.

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8o giorno: meditazione Flecte quod est rigidum etc. 1o Con quante inspirazioni mi ha il Signore stimolata al fervore, ed io sempre tiepida? 2o Mi ha date le regole come ottima strada, ed io con trasgredirle ho traviato. 3o Con quanti avvisi sono stata esortata, a quali mi sono resa sorda? Pratica Obbedite alla voce di Dio, alla santa regola, e ai Superiori. Esame L'ottavo impedimento è la libertà di pensieri che ci porta ad una continua dissipazione, a ragionamenti vani, a curiosità, il che riempie l'anima nostra di tanta caligine, che ci rende inabili a sentire le divine inspirazioni, e come terra piena di sterpi e di spine. Se avviene che in qualche occasione di raccoglimento le nasca qualche buon desiderio nel cuore, presto resta da questi fantasmi, che sempre l'occupano, soffocato senza che produca alcun frutto. Il rimedio a questo male si è di togliersi mediante una custodia vigilante dei sentimenti ogni occasione di distrarsi e cacciare con la mortificazione delle potenze interne le antiche immagini che la libertà concessa ai vostri vizi ve l'ha adunate, così l'intelletto si purificherà da questa immagine, ed il cuore si vuoterà dalle creature, ed unendo tutte le vostre potenze dentro di voi in silenzio, vi sarà facile d'elevarvi in Dio. Procurate che qualunque azione voi facciate, sempre vi sembra di udire battersi al vostro interno udito, queste parole: “Mia figlia, ritornate al vostro cuore, fate conto non esservi al mondo che Dio e voi, ed aspirate alla divina unione, con uguale fervore ed umiltà”.

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9o giorno: meditazione Da tuis fidelibus etc. 1o Quale stima ho fatto sinora dei doni dello Spirito Santo, se sono stati languidi i miei desideri? 2o Quali sono state le mie preghiere, e gli esercizi di virtù per dispormi a riceverli, se in essi non ho perseverato? 3o Quale è stata la mia sollecitudine a vegliare sopra i miei affetti sregolati per togliere gli impedimenti alla Divina Grazia, se sono sempre dissipata? Pratica Atti d'umiltà per supplire con essi a ciò che non si è fatto. Esame Il nono impedimento si è la tiepidezza, per cui si lascia ozioso il capitale della grazia, poco operando col nostro interno per un cattivo abito di non badare a dare pregio alle nostre opere con l'attuale carità e purità d'intenzione, perdendo perciò molto merito nelle nostre opere, e facendo molto poco profitto nella perfezione. Rimedio a questo sarà procurare con ogni sollecitudine di destare nella nostra anima un desiderio veemente ed insaziabile di piacere a Dio e di glorificarLo, prendere questa regola come compendio di tutta la perfezione, di tenere il nostro cuore in una tendenza amorosa, elevato in Dio con un gran desiderio di amarLo sempre più, a questo aspirando con brevi ed infuocati affetti, come sarebbe… Oh mio Dio, oh vita dell'anima mia, oh tutto il mio desiderio e contento, quando potrò amarVi ardentemente e sprezzare me stessa ed il mondo per Voi. Oh mio Dio, fate che io Vi ami; e con simili movimenti aspirate al vostro Dio, amateLo, desiderate amarLo di più, rendeteGli grazie ed offeritevi alla sua gloria, compiacetevi nelle occasioni che vi somministra d'esercitare la virtù. Questo esercizio è nobile e di molto utile. Voi potete domandare infiniti beni a quello che è Infinito, ed avendo Egli promesso di esaudire le nostre suppliche, non permetterà che il minimo dei nostri sospiri verso di Lui resti defraudato. Guardatevi molto bene di perdere per noia o tiepidezza tanti beni che ad ogni momento potete ricevere, non cessate di chiedere, non abbandonatevi dalla faccia del Signore, e benché distratta e tediata, e senza forze, fate sempre a Lui ricorso, che troppo gran torto le fareste a rimanervi nella vostra miseria, avendo nella preghiera un tanto tesoro.

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Per la festa: meditazione Da virtutis meritum etc. 1o Quale ha da essere l'esito di questa mia breve vita, o eterna gloria o eterna pena? 2o Da quale cosa dipende l'una o l'altra di queste due sorti, dalle mie opere? 3o Se mi perdo non potrò lagnarmi di Dio che tanto ha fatto per salvarmi, neanche del Demonio che non ha potere di perdermi; solo dunque di mia volontà. Pratica Concepire un gran odio alla propria volontà e timore di secondarla. Per quanto utili possono essere gli esercizi esposti, credetemi che poco vantaggio ne trarrete, se non ponete ogni studio di prendere (come dice la Scrittura) le piccole volpi che distruggono la vigna, cioè il mortificare le passioni e gli sregolati affetti dell'anima nostra; sono essi volpi per l'astuzia con cui le copre il nostro amor proprio, sempre con esse d'accordo, sono piccole e facilmente sfuggono dallo sguardo di chi non veglia con diligenza sopra gli andamenti del suo cuore; e prima si vede il guasto della vigna che si conosca d'onde è provenuto. Questo deve impegnarvi a reprimere nel loro nascere i piccoli sdegni, avversioni, sospetti, gelosie, vanità, amicizie, curiosità, volontà propria, doppiezze, sinistri giudizi, etc., ed armarvi di coraggio per non risparmiarle, e credetemi che molto v'ingannereste se in questa Novena solo attendeste ad accrescere le devote pratiche, ed intanto trascuraste purificare il vostro cuore da sregolati affetti dell'amor proprio. Questo sarebbe allontanare quel Divino Spirito che non cessate d'invitare con le preghiere, e sempre ve ne resterete fredda per non mai togliere dal vostro cuore gli ostacoli al suo divino amore, ostacoli piccoli in apparenza, ma oh quanto grandi e dannosi in sostanza. Dunque attendiamo a spogliarci, e confidiamo che lo Spirito Santo ci rivestirà dei suoi preziosi doni. Amen.

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Cap. 27. Novena dell'Assunta Maria Virgo Cælos ascendit, gaudete. Siamo invitati a celebrare con straordinaria allegrezza i Trionfi della nostra Regina e Madre, ma la nostra allegrezza, se ha da essere grata, deve assomigliare a quella degli angeli, i quali gaudent, laudantes benedicunt Dominum, con pienezza di gaudio danno lodi e benedizioni al Creatore. Pertanto impariamo che per celebrare con modo angelico la presente solennità, dobbiamo in suo ossequio benedire Iddio con lodi pratiche e cordiali, perché queste formano armonia gioconda alle orecchie della Regina del Cielo. Attendiamo dunque più esattamente del consueto al divino servizio, al raccoglimento, nella recita dell'ufficio e nell'orazione, con impiegare le tre potenze in onore dell'Altissimo, così la trionfatrice Regina giubilerà nel vedere da noi perfettamente servito Iddio, e ci accompagneremo con gli angeli, mentre con il loro gaudio si accompagnerà la nostra potenza d'animo in tutti i nostri esercizi ed osservanze, con le loro lodi il nostro fervore, e con le loro benedizioni il nostro cuore sincero ed intenzione pura. Questa solennità comprende poi sotto un solo nome il transito, l'ascensione, la coronazione della Santissima Vergine.

Asc,2268a:T27,2 In onore del transito ci presenteremo una volta di più avanti il suo altare, pregandoLa di poter sempre vivere da vere seguaci del Crocifisso, supplicandoLa della sua speciale assistenza nella nostra morte ed Essa, essendo morta di puro amore, ci ottenga di morire nell'amore, per ciò procureremo ottenere di morire alla nostra volontà, sottraendoli in questi giorni e sempre ogni pascolo. In onore della sua gloriosa ascensione, procureremo di staccare il cuore da ogni cosa che non sia Dio, per sollevarlo al Cielo, dando frequenti occhiate a quel sublime Trono dove sta la nostra cara Madre, compiacendoci della sua gloria, ed aspirando alla sua Beata Compagnia. In onore della sua incoronazione, dobbiamo spesso salutarLa, massime passando avanti la sua immagine con l'Ave Regina cælorum, e tesserle una corona di dodici atti di carità, cioè tre di amor di Dio, tre di carità con il prossimo, tre di umiltà, e tre di mortificazione, e per carità un'Ave Maria per chi ha scritto.

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Cap. 28. Ricordi che diede S. Caterina da Genova alla V.M. Gioanna Batta Vernazza quando entrò nel Monastero di Santa Maria delle Grazie. Beata voi, mia cara Tommasina, che Dio vi rimira con occhio di tanta bontà, vi elegge sua diletta. O celle religiose! O gabinetti sacrosanti! O solitudine beata, dove il mio amore parla cuore a cuore alle anime sue elette. Egli vi chiama con infinito amore, ma voi udite con tutto il cuore le sue chiamate: Audi, filia, et inclina auram tuam. Non ascoltate le parole del mondo, né dei parenti, né dell'amor proprio, ma scordatevi anche del padre, madre, patria e paese, e ricordatevi solo di Dio tutto beltà ed amore; e vi assicuro che sarete molto ben contraccambiata, poiché disamando voi le creature, vi amerà, anzi Si innamorerà di voi, il Creatore. O cambio ammirabile! O pazzia dei mortali! E perché non amano tutti Dio che tanto li ama? O infelice cecità! O cieca perversità! E voi tanto più avventurosa a cui Dio fa risplendere la luce di questa santa vocazione, acciocché uscendo dalle tenebre del mondo, entriate nell'ammirabile regno dei suoi splendori. Paradiso è il chiostro, ma meglio fornace d'amore. Oh che cosa proverete quando esperimenterete il dono di Dio! Si scires donum Dei. Andate dunque, andate, anzi volate, ma con immutabile risoluzione di essere religiosa, non solo di luogo e d'abito, ma di osservanza delle regole, e zelo della santa perfezione, perché né il luogo, né l'abito fa santa, ma il buon cuore infervorato ed osservante: questo vuole Iddio in sacrificio, non il corpo; e questo donateGli voi interamente; imperocché nella stessa donazione consiste la perfezione vera. Se a Dio ne farete dono, Egli ne avrà il pensiero di santificarlo, e sarà segno d'averglielo interamente donato, se vorrete servire a Dio, non al vostro modo, ma a quello di Dio.

Asc,2268a:T28,2 Come pure se prenderete di giorno in giorno, anzi di punto in punto ogni cosa come procedente dalla Divina Volontà, senza contristarsi; e se indifferente sarete ad ogni avvenimento, godrete nel vostro spirito una pace di Paradiso, quantunque nel vostro corpo e nell'interno provaste non un Purgatorio, ma un Inferno; e questa indifferenza sarà segno che nelle mani di Dio avete posto il vostro cuore. Figlia, Gesù nel cuore, Eternità nelle mente, mondo sotto i piedi, Volontà di Dio in ogni cosa, e sopra tutto amore, amore a Dio che è tutto amore. Laus Deo.

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Cap. 29. Primo grado delle virtù L'ufficio della prudenza è di regolare tutte le azioni, tutti i desideri e tutti i pensieri con la sola ragione; ed ella non deve giammai permettere che la volontà si porti, se non a quello, che è uniforme alla virtù. L'ufficio della fortezza consiste nel rendere l'anima superiore a tutti i pericoli, e non permette che ella possa essere presa da altro timore, che dal timore del peccato, essa deve con grande egualità di spirito far ricevere tutti gli accidenti con cui la divina Provvidenza suole esercitare gli uomini, cioè a dire le avversità senza abbattersi, e le prosperità senza insuperbirsi. L'ufficio della temperanza è di non lasciar prendere all'uomo alcun piacere di cui poi se ne possa pentire, e di ritenere sempre i desideri dell'appetito inferiore sotto l'impero della ragione. L'ufficio della giustizia è di conservare in tutto una grande egualità, è di rendere a ciascuno ciò che gli è dovuto. S. Tommaso insegna che non si deve mai fare alcuna cosa di cui non se ne possa rendere la ragione, per vivere secondo la virtù.

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Cap. 30. Vera felicità dello stato religioso Quando si parla della felicità dello stato religioso, parmi che se ne dia qualche volta un'idea molto umana. Confesso che non sento volentieri i Predicatori rappresentarci la vita religiosa come una vita molto dolce, esente da ogni pena e sollecitudine. Si direbbe, a sentirli, che le religiose non hanno niente a soffrire, che niente manca loro, che tutto loro arride, che tutto loro succede secondo il loro

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desiderio, e perché dunque farsi religiose? Parmi strano che si cerchi fuori del mondo quello che si è preteso di fuggire lasciando il mondo, vale a dire, delle felicità puramente temporali e delle dolcezze tutte naturali. Il grande vantaggio della professione religiosa è l'abnegazione cristiana, è la mortificazione dei sensi, è la Croce; e questo è l'aspetto per il quale va mirata; tutto ciò che si allontana da questa vista, si allontana dalla verità, e per conseguenza non è che illusione. Io voglio dunque che non si dissimuli niente a una figlia che si sente chiamata alla casa di Dio, anzi che se ne mostri le spine di cui è seminata la strada ove ella entra, perché qual'è in effetto la vita religiosa, se non l'evangelio ridotto e messo in pratica, e nella pratica più perfetta? E cos'è l'evangelio in pratica, se non una legge di rinunciamento a se stesso, di morte a se stesso, e di guerra perpetua contro se stesso? Ma mi si dirà che questa idea è capace di fare perdere il coraggio ad un'anima e ributtarla, ed io rispondo che anzi da quest'idea ella può, e deve trarne i più forti motivi per risolversi, e rendersi stabile.

Asc,2268a:T30,2 Come? Perché da questo ella impara a stimare lo stato religioso da ciò che lo rende precisamente e sovranamente stimabile, come stato di santificazione, di perfezione e di salute, come stato ove l'anima può adunare ogni giorno nuovi meriti per l'eternità, ed accumulare corone sopra corone: punto essenziale a cui deve unicamente mirare, e nel quale deve far consistere la sua felicità sopra la terra; se a questo non si mira, io non dubiterei di dire dello stato religioso, ciò che S. Paolo diceva del Cristianesimo, se la speranza che noi abbiamo si restringe a questa vita, di tutti gli uomini noi siamo i più infelici. Ecco ciò che io direi senza temere che alcuno che abbia esperienza della vita religiosa mi dimentisse; ma quando mi si parlerà della vocazione religiosa come di un pegno di predestinazione, che mi si farà riconoscere una predilezione di Dio, una provvidenza speciale per rapporto alla mia salute, allora io esclamerò con il medesimo Santo: sono ripiena di consolazione (in mezzo alle mie tribolazioni, e nelle prove più dure del mio stato) e colma di gioia, ed aggiungerei ancora come il Profeta: un giorno nella vostra Casa, o Signore, più vale per me, che mille anni in mezzo dei peccatori del secolo. Che io vi sia umiliata in questa casa del mio Dio, che vi occupi l'ultimo luogo, che vi provi tutti gli incomodi d'una stretta povertà, che porti il peso d'una rigorosa ubbidienza, che la natura con tutti i suoi desideri vi sia combattuta, domata, sacrificata, mi basta che sia in casa di salute per rendermela non solo sopportabile, ma dolce e agreabile e amabile. Prendere in questa maniera la felicità della religiosa, è prendere quel che vi è di sodo, di reale, altrimenti si dirà molte belle parole che non convinceranno.

Asc,2268a:T30,3 Né mi si risponda che tutti i Padri della Chiesa fondati nella parola di Gesù Cristo, promettono al religioso, non solamente il centuplo nell'altra vita, ma ancora in questa, e che tale centuplo altro non può essere che il riposo che essi godono, e tutte le dolcezze che l'accompagnano. È vero che il Salvatore ha parlato di doppio centuplo, uno nella vita futura, l'altro della presente, perché Egli l'ha detto in termini formali, ed è vero che questo centuplo della vita presente non può essere altro, per un'anima religiosa, che la pace che ella gusta nel suo stato, e che sola vale cento volte più che tutte le ricchezze da lei rinunciate, ed è così che gli interpreti verificano il passo di S. Marco, e che intendono la promessa di Gesù Cristo. Ma cos'è questa pace? Ed ecco l'articolo essenziale, sopra il quale una giovane può essere in errore, ed è bene disingannarla in luogo di tenerla con discorsi melati e vane esagerazioni.

Asc,2268a:T30,4 Quando Gesù Cristo ha dato la pace ai suoi Discepoli, li avvertì che la sua pace non era una pace quale la crede e la desidera il mondo: vi do la mia pace, disse Gesù Cristo, e la mia, non quella del mondo, quella pace falsa, riprovata, oziosa, fondata sopra una vita agiata e comoda, e soprattutto ciò che piace alla natura o all'amor proprio, ma la pace di una religiosa è stabilita sopra principi tutti opposti, cioè sopra l'odio di sé, sopra un sacrificio perpetuo dei suoi desideri, inclinazioni, passioni e della sua volontà, talmente che la religiosa non può essere contenta nel suo ritiro che tanto quanto ella sa umiliarsi, crocifiggersi, vincersi, rendersi obbediente, povera, paziente, assidua al lavoro, esatta nei suoi doveri, non risparmiandosi in niente, né volendo essere risparmiata, tutto questo le deve costare, ma per una specie di miracolo, meno ella si risparmia, più sente l'abbondanza della

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pace diffondersi nel suo cuore. Così non vediamo noi che nelle comunità più austere, e dove regna una più grande allegrezza, è dove si trova il giogo di Cristo più leggero? Tutto contribuisce a rendere contenta un'anima religiosa, l'indifferenza nella quale si trova riguardo alle cose umane, il suo distaccamento da tutti gli interessi che cagionano ai mondani tanta inquietudine, l'intero abbandono della sua persona nelle mani dei Superiori per lasciarsi condurre a grado loro, la dolce calma della coscienza, l'aspettazione dell'eterna beatitudine ove ella unicamente aspira, e verso la quale fa ogni giorno nuovi progressi, l'unzione interna della grazia che la riempie, mentre Dio che è fedele alla sua parola, per mille vie segrete se le comunica e la colma delle più pure delizie.

Asc,2268a:T30,5 A giudicarne dall'esterno, non si vede altro che di disgustosa clausura, dipendenza, silenzio, regola genante, sommessione cieca, osservanze incomode, esercizi umilianti, ma sotto queste apparenze, quante consolazioni vi sono! Incognite a chi non conosce i misteri di Dio, riservate a quelle che Lo amano, e servono in spirito e verità; da questo viene con una meraviglia che l'uomo terrestre non conosce, che queste vergini sagge dicono con S. Paolo, gloriandosi delle loro catene: Queste catene che voi vedete, miei fratelli, è per la speranza d'Israele, che io ne sono stretta, la sua clausura, e clausura perpetua pare che abbia dell'affronto, ed una figlia nata libera, onde può dire con S. Paolo che ella è incatenata, imprigionata, ma ella è ugualmente consolata e intenerita quando riflette che ella è prigioniera per Gesù Cristo; che ella è incatenata con volontarie catene per la speranza d'Israele: speranza che ella conserva preziosamente nel suo seno. Quam dulcis es Jesu, quam suave est jugum tuum, et onus leve.

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Discours sur la vie cachée en Dieu

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Vous êtes morts… Vous êtes morts et votre vie est cachée en Dieu avec Jésus-Christ. Quand Jésus-Christ qui est votre vie apparaîtra, alors vous apparaîtrez en gloire avec Lui (Aux Col.). Vous êtes morts; à quoi? Au péché. Vous y êtes morts par le baptême, par la pénitence, par la profession de la vie chrétienne, de la vie religieuse vous êtes morts au péché; et comment pourriez-vous donc maintenant y vivre? Mourez-y donc à jamais, et sans retour; mais pour mourir parfaitement au péché, il faudrait mourir à toutes nos mauvaises inclinations, à toute la flatterie des sens et de l'orgueil: car tout cela dans l'Écriture s'appelle péché, parce qu'il ne nous permet pas d'être entièrement sans péché.

Asc,2268a:T31,2 Quand est-ce donc que s'accomplira cette parole de S. Paul: Vous êtes morts? Dans quel bienheureux endroit de notre vie? Quand serons-nous sans péché? Jamais dans le cours de cette vie puisque nous avons toujours besoin de dire: pardonnez-nous nos péchés. À qui donc parle S. Paul, quand il dit: Vous êtes morts: est-ce aux esprits bienheureux? Sont-ils morts, et ne sont-ils pas au contraire dans la terre des vivants? Sans doute; ce n'est point à eux à qui S. Paul dit: Vous êtes morts. C'est à nous, parce qu'encore qu'il y ait en nous quelque reste de péché, le péché a reçu le coup mortel. La convoitise du mal reste en nous, et nous avons à la combattre toute notre vie. Mais la tenons-nous atterrée, abattue, et anéantie? Nous le devrions, nous le pouvons avec la grâce de Dieu; et alors elle reçoit le coup mortel. Et si pendant le combat, elle nous donnait quelque atteinte, nous ne cesserions de gémir, de nous humilier, de dire avec S. Paul: qui me délivrera de ce corps de mort? Vous en êtes donc délivrées, âmes chrétiennes! Vous en êtes délivrées en espérance, et en vœu: vous êtes morts. Il ne vous faut plus qu'un drap mortuaire, un voile sur votre tête, un sac sur votre corps, d'où soient bannies à jamais toutes les marques du siècle, toutes les enseignes de la vanité. Il ne vous faut qu'une impénétrable retraite pour vous servir de tombeau. Cela est fait: vous êtes morts, et votre vie est cachée; ce n'est donc pas une mort entière; c'est ce que disait S. Paul: Si Jésus-Christ est en vous, votre corps est mort à cause du péché qui y a régné, et dont les restes y sont encore; mais votre esprit est vivant à cause de la justice qui a été répandue dans vos cœurs avec

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la charité. C'est à raison de cette vie de la justice que S. Paul nous dit aujourd'hui: et votre vie est cachée en Dieu.

Asc,2268a:T31,3 Qu'on est heureux! Qu'on est tranquille! Affranchi des jugements humains, on ne compte plus pour véritable que ce que Dieu voit en nous, ce qu'il en sait, ce qu'il en juge. Dieu ne juge pas comme l'homme; l'homme ne voit que le visage, que l'extérieur; Dieu pénètre le fond des cœurs; Dieu ne change pas comme l'homme; son jugement n'a point d'inconstance; c'est le seul sur lequel il faut s'appuyer. Qu'on est heureux alors! Qu'on est tranquille! On n'est plus ébloui des apparences, on a secoué le joug des opinions; on est uni à la vérité, et on ne dépend que d'elle. On me loue, on me blâme; on me tient pour indifférent, on me méprise; on ne me connaît pas, ou l'on m'oublie: tout cela ne me touche pas, je n'en suis pas moins ce que je suis, l'homme se veut mêler d'être Créateur; il me veut donner un être dans son opinion, ou dans celle des autres: mais cet être qu'il me veut donner (et qui néanmoins n'est pas en moi) est un néant: car qu'est ce qu'un être qu'on me veut donner, sinon une illusion, une ombre, une apparence; c'est-à-dire dans le fond un néant. Qu'est-ce que mon ombre qui me suit toujours, tantôt derrière, tantôt à côté? Est-ce mon être? Rien de tout cela. Mais cette ombre semble marcher et se remuer avec moi? Ce n'est pas plus mon être.

Asc,2268a:T31,4 Ainsi en est-il du jugement des hommes qui veut me suivre partout, me peindre, me figurer, me faire mouvoir à sa fantaisie; et il croit par là me donner une sorte d'être, mais au fond, je le sens bien, ce n'est qu'une ombre, une lumière changeante, qui me perd tantôt d'un côté, tantôt d'un autre, allonge, apetisse, augmente, diminue cette ombre qui me suit, la fait paraître en diverses sortes en ma présence, et la fait aussi disparaître en se retirant tout à fait, sans que je perde rien du mien. Et qu'est-ce que cette image de moi-même que je vois encore plus expresse, et en apparence plus vive dans cette eau courante? Elle se brouille et souvent elle s'efface elle-même, elle disparaît quand cette eau est trouble! Qu'ai-je perdu? Rien du tout qu'un amusement inutile. Ainsi en est-il des opinions, des bruits, des jugements fixes si vous voulez, ou les hommes avaient voulu me donner un être à leur mode. Cependant non seulement je m'y amusais comme à un jeu, mais encore je m'y arrêtais comme à une chose sérieuse et véritable: et cette ombre et cette image fragile me troublaient et m'inquiétaient en se changeant; et je crois perdre quelque chose. Désabusé maintenant d'une erreur dont je ne devais jamais me laisser surprendre, et encore moins m'entêter, je me contente d'une vie cachée, et je consens que le monde me laisse tel que je suis. Qu'on est tranquille alors! Encore un coup, qu'on est heureux!

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Ô homme qui me louez… Ô homme qui me louez, que voulez-vous faire de moi? Je ne parle pas de vous, homme malin, qui me louez artificieusement par un côté pour montrer mon faible de l'autre; ou qui me donnez froidement de faibles et de fades louanges qui sont pires que les blâmes; ou qui me louez fortement, peut-être pour m'attirer de l'envie, ou pour me mener où vous voulez par la flatterie; ou pour faire dire que j'aime à être loué, et ajouter ce ridicule (le plus grand de tous) aux autres que j'ai déjà: ce n'est pas de vous que je parle, louangeur faible ou malin: je parle à vous qui me louez de bonne foi, et c'est à vous à qui je demande, que voulez-vous faire de moi? Me cacher mes défauts? M'empêcher de me corriger? Me rendre fou de moi-même? M'enfler de mon mérite prétendu? De là me le faire perdre et m'attirer trois ou quatre fois de la bouche du Sauveur cette terrible sentence: en vérité, en vérité je vous le dis, ils ont reçu leur récompense? Taisez-vous, amis dangereux. Montrez-moi plutôt mes faiblesses, ou cessez du moins de m'empêcher d'y être attentif en m'étourdissant du bruit de vos louanges. Hélas! Que j'ai peu de besoin d'être averti de ces vertus telles que vous les vantez. Je ne m'en parle que trop à moi-même, je ne m'entretiens d'autre chose; mais à présent je veux changer: ma vie est cachée, et s'il y a quelque bien en moi, Dieu l'y a mis, il l'y conserve, il le connaît, c'est assez pour moi, je ne veux être connu d'autres que de lui, je veux me cacher à moi-même.

Asc,2268a:T31,6

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Malheureux l'homme qui se fie à l'homme, et attend sa gloire de lui: par conséquent malheureux l'homme qui se fie ou qui se plaît à lui-même; parce que lui-même n'est qu'un homme, et un homme à son égard plus trompé, et plus trompeur que tous les autres. Taisez-vous donc, trompeur, qui me faites si grand à mes yeux. Ma vie est cachée; et si je vis véritablement de cette vie chrétienne, dont S. Paul me parle, je ne le sais pas, je l'espère, je le présume de la bonté de Dieu, mais je ne le puis savoir avec certitude. On me blâme, on me méprise, on m'oublie. Lequel est le plus rude à la nature, ou plutôt à l'amour-propre? Je ne sais. Qu'importe au monde qui vous soyez, où vous soyez, ou même que vous soyez? Cela lui est indifférent; on n'y songe seulement pas. Peut-être aimerait-on mieux être tenu pour quelque chose, paraître blâmé, que d'être ce pur néant qu'on laisse là. Vous n'êtes pas fait, vous dit-on, pour cet oubli du monde, pour cette obscurité où vous passez votre vie, pour cette nullité de votre personne (s'il est permis de parler ainsi); vous étiez né pour tout autre chose, ou vous méritiez tout autre chose, que n'occupez-vous quelque place comme celui-ci, comme celle-là, qui n'ont rien dans leur personne au-dessus de vous? Mais pour qui voulez-vous que je l'occupe? Pour moi ou pour les autres? Si c'est seulement pour les autres, je n'en ai donc pas besoin pour moi; je n'en voudrais pas, si on me comparait avec les autres.

Asc,2268a:T31,7 Mais n'est-il pas bien plus véritable de me regarder moi-même, par rapport à moi-même, que de m'attacher bassement à l'opinion d'autrui et en faire dépendre mon bonheur. Allez, laissez-moi jouir de ma vie cachée. Que suis-je, si je ne suis rien que par rapport aux autres hommes aussi indignes que moi? Si pour être heureux chacun a besoin de l'estime et du suffrage d'autrui, tout le genre humain, qu'est-ce autre chose, qu'une troupe de pauvres et de misérables qui croient pouvoir s'enrichir les uns les autres, quoique chacun y sente qu'il n'a rien pour soi, et que tout y soit à l'emprunt. Vous voulez que je fasse du bruit dans le monde, que je sois dans une place regardée, en un mot qu'on parle de moi. Quoi donc? Afin que je dise comme faisait ce conquérant parmi les travaux immenses que lui causaient ses conquêtes: que de maux! Pour faire parler les Athéniens, pour faire parler des hommes que je méprise en détail, et que je commence à estimer quand ils s'assemblent pour faire du bruit de ce que je fais! Hélas! Encore une fois, ce que je fais est peu de chose, s'il y faut ce tumultueux concours des hommes, cet assemblage de bizarres jugements pour y donner du prix.

Asc,2268a:T31,8 Il ne faut point vous ensevelir avec ce mérite, et ces autres distinctions de votre personne. Faites paraître vos talents; car pourquoi les enterrer et les enfouir? De quels talents me parlez-vous, et à qui voulez-vous que je les fasse paraître? Aux hommes? Est-ce là un digne objet de mes vœux? Que devient donc cette sentence de S. Paul: “Si je plaisais encore aux hommes, je ne serais pas serviteur de Jésus-Christ”? Mais encore, à quels hommes voulez-vous que je paraisse? Aux hommes vains et pleins d'eux-mêmes ou aux hommes vertueux et pleins de Dieu? Les premiers méritent-ils qu'on cherche à leur plaire? Si les derniers méritent qu'on leur plaise, ils méritent encore plus qu'on les imite. Éteignons donc avec eux tout désir de plaire à d'autres qu'à Dieu. Vous voulez que je montre mes talents. Quels talents? Est-ce la véritable et solide vertu qui n'est autre que la piété? Irai-je donc avec l'hypocrite, sonner de la trompette devant moi? Prierai-je dans les carrefours, dans les coins des rues, afin qu'on me voie? Défigurerai-je mon visage, et ferai-je paraître mon jeûne par une triste pâleur? Oublierai-je en un mot cette sentence de Jésus-Christ: “prenez garde”? À quoi mon Sauveur? À ne point faire de péché? À ne scandaliser point votre prochain? Ce n'est pas ce qu'il veut dire en ce lieu: prenez garde à un plus grand mal que le péché même, prenez garde de ne pas faire votre justice devant les hommes pour en être vu, autrement vous n'aurez point de récompense de votre Père Céleste.

Asc,2268a:T31,9

Ces vertus qu'on veut montrer…

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Ces vertus qu'on veut montrer, sont de vaines et fausses vertus; on aime à cacher les véritables; car on y cherche son propre devoir, et non pas l'approbation d'autrui, la vérité et non l'apparence, la satisfaction de la conscience, et non des applaudissements; à être parfait et heureux, et non pas à le paraître aux autres. Celui à qui il ne suffit pas d'être parfait et heureux, ne sait ce que c'est que perfection et félicité; ces vertus, ces rares talents que vous voulez que je montre, sont donc ceux que le monde prise, l'esprit, l'agrément, le savoir, l'éloquence si vous le voulez, la sagesse du gouvernement, l'adresse de manier les esprits, c'est-à-dire le plus souvent, l'adresse de tromper les hommes, de les mener par leurs passions, par leurs intérêts, de les amuser par des espérances. Hélas! Est-ce pour cela que je suis fait? Que je suis donc peu de chose! Que ces talents sont vils, et de peu de poids! Est-ce la peine de me charger du soin des autres, de mendier leur estime, d'écouter leurs importuns discours? De flatter leurs passions? De les satisfaire quelquefois? De les tromper le plus souvent? Car c'est là ce qu'on appelle gouverner les hommes, c'est ce qu'on appelle la supériorité du génie: puissance, autorité, crédit, et pour cela, je me chargerais devant les hommes des soins infinis, de mille chagrins envers moi-même, et devant Dieu d'un compte terrible. Qui le voudrait faire, s'il n'était trompé par les opinions humaines? Ou qui voudrait étaler ces vains talents, s'il considérait qu'ils ne sont rien que l'appas de la vanité, la nourriture de l'amour-propre, la matière des feux éternels? Ah que ma vie soit cachée pour n'être point sujette à ces illusions!

Asc,2268a:T31,10 Dites ce que vous voudrez, il est beau de savoir forcer l'estime des hommes, de se faire une place, où l'on se fasse remarquer, ou si l'on y est par son mérite, par sa naissance, par son adresse, en quelque sorte que ce soit, y étaler toutes les richesses d'un beau naturel, d'un grand esprit, d'un génie heureux, et vaincre enfin l'envie, ou la faire taire; c'est une fumée, disait quelqu'un; mais elle est douce: c'est le parfum, c'est l'encens des dieux de la terre. Est-ce aussi celui du Dieu du Ciel? S'en croit-il plus grand, plus heureux pour être loué et adoré? A-t-il besoin de cet encens? Et l'exige-t-il des hommes et des Anges par autre raison que parce qu'il leur est bon de le lui offrir? Et que dit-il à ceux qui se font des dieux par leur vanité? Sinon qu'il brisera leur fragile image dans la cité sainte, et la réduira au néant, afin que nulle chair ne se glorifie devant lui, et que toutes créatures confessent qu'il n'y a que lui qui soit.

Asc,2268a:T31,11 Et pour ceux qu'il a fait des dieux véritables en quelque façon, en imprimant sur leur front un caractère de sa puissance, les princes, les magistrats, les grands de la terre, que leur dit-il du haut de son trône, et dans le sein de son éternelle vérité? J'ai dit vous êtes des dieux, et vous êtes tous les enfants du Très Haut, mais vous mourrez comme les hommes et comme ont fait tous les autres grands, car personne n'en est échappé; terre et poudre, pourquoi vous enorgueillissez-vous? Laissez-moi donc être terre et cendre à mes yeux, terre et cendre dans le corps, quelque beau, quelque sain qu'il soit: encore plus terre et cendre au-dedans de l'âme, c'est-à-dire un pur néant plein d'ignorance, d'imprudence, de légèreté, de témérité, de présomption, de corruption, de faiblesse, de vanité, d'orgueil, de jalousie, de lâcheté, de mensonge, d'infidélité, de toutes sortes de misère; car si je n'ai pas tout cela à l'extrémité, j'en ai les principes et les semences, j'en ressens dans les occasions les effets funestes. Je résiste dans les faibles et petites tentations, par orgueil plutôt que par vertu, et je voudrais bien me pouvoir dire à moi-même que je suis quelque chose, un grand homme, une grande âme, un homme de cœur et de courage; mais qui m'a dit si je me tiendrais, si j'étais plus haut?

Asc,2268a:T31,12 Est-ce qu'à cause que je serai vain à me produire et téméraire à m'élever, Dieu se croira obligé à me donner des secours extraordinaires? Voilà donc les talents que vous voulez que j'étale, mes faiblesses, mes lâchetés, mes imprudences; non, non, ma vie est cachée. Laissez-moi décroître aux yeux du monde, comme aux miens; que je connaisse le peu que je suis, puisque je n'ai que ce seul moyen de me corriger de mes vices; les yeux ouverts sur moi-même, sur mes péchés et sur mes défauts, en un mot sur mon indignité, je jouirai sous les yeux de Dieu de la justice que me fait le monde, de me blâmer, de me décrier, de me déchirer s'il veut, de me mépriser, de m'oublier, s'il l'aime mieux de la sorte, de me tenir pour indifférent, pour un rien à son égard; et plût à Dieu, car je pourrais espérer par là de devenir quelque chose devant Dieu.

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Asc,2268a:T31,13

Cachée en Dieu; quel mystère… Et ma vie est cachée en Dieu: cachée en Dieu; quel mystère? Cachée dans le sein de la lumière, dans le principe de voir. Oui, cette haute et inaccessible lumière me cache le monde, me cache au monde et à moi-même. Je ne vois que Dieu. Je ne suis vu que de Dieu. Je m'enfonce si intimement dans son sein, que les yeux mortels ne m'y peuvent suivre. De mon côté, je ne puis me détourner d'un si digne, d'un si doux objet; attaché à la vérité même, je n'ai plus d'yeux pour la vanité; c'est ainsi que je devrais être, s'il y a en moi quelque chose de chrétien, c'est ainsi que je veux être. Ô Dieu, mes yeux s'affaiblissent, se confondent à force de regarder en haut; mes yeux défaillent, ô Seigneur, pendant que j'espère en vous. Ô Seigneur, soutenez ces yeux défaillants, arrêtez mes regards en vous, et détournez-les des vanités, des illusions, des biens trompeurs et de tout l'éclat de la terre, afin que je ne le voie seulement pas et qu'un tel néant ne tire pas seulement de moi un coup d'œil. Averte oculos meos ne videant vanitatem. Ajoutez ce qui suit: in via tua vivifica me, donnez-moi la vie en m'attachant à vos voies, que je ne voie pas les vanités, que j'en retire tout jusqu'à mes yeux; c'est par là que, m'attachant à vos voies, vous me donnerez la vie et ma vie sera cachée en vous.

Asc,2268a:T31,14 Celui qui aime Dieu, disait S. Paul, en est connu. Maintenant que vous connaissez Dieu, ou plutôt que vous en êtes connus, comment pouvez-vous retourner à ces faibles et stériles observances, ou vous voulez vous assujettir de nouveau? C'est ce que disait S. Paul, en parlant des observances de la loi, et on le peut dire de même de tous les stériles attachements de la terre, et de toute la gloire du monde; maintenant que vous avez connu Dieu, ou plutôt que vous êtes connu de Lui, que votre vie est cachée en Lui, que vous ne voyez que Lui, et qu'il est, pour ainsi parler, attentif à vous regarder, comme s'il n'avait que vous à voir. Comment pouvez-vous voir autre chose? Comment pouvez-vous souffrir d'autres yeux que les siens? Et votre vie est cachée en Dieu. Je vous vois donc Seigneur et vous me voyez et plût à Dieu que vous me vissiez de cette tendre et bienheureuse manière dont vous privez justement ceux à qui vous dites: “je ne vous connais pas”: plût à Dieu que vous me vissiez de cette manière dont vous voyiez votre serviteur Moïse, en lui disant: “Je te connais par ton nom, et tu as trouvé grâce devant moi”; et un peu après: “Je ferai ce que tu demandes, parce que tu plais à mes yeux, et je te connais par ton nom”, c'est-à-dire: “Je t'aime, je t'approuve”; mon Dieu, si Vous me connaissiez de cette sorte, si Vous m'honoriez de tels regards, qu'ai-je à désirer davantage?

Asc,2268a:T31,15 Si Vous m'aimez, si Vous m'approuvez, qui serait assez insensé pour ne se pas contenter de votre approbation, de vos yeux, de votre faveur? Je ne veux donc autre chose; content de vous voir, ou plutôt d'être vu de Vous, je Vous dis avec le même Moïse: “Montrez-moi votre gloire, montrez-Vous Vous-même”. Et si Vous me répondez comme à lui: “Je te montrerai tout le bien, tout le bien qui est en moi, et toute ma perfection, tout mon être, et je prononcerai mon nom devant ta face, et tu sauras que je suis le Seigneur, qui ai pitié de qui je veux, et qui fais miséricorde à qui il me plaît”. Que me faut-il de plus pour être heureux autant qu'on le peut être sur la terre? Et quand Vous me direz comme à Moïse: “Tu ne verras pas maintenant ma face: tu la verras un jour; mais ce n'est pas ici le temps: car nul mortel ne la peut voir; mais je te mettrai sur la pierre; je t'établirai sur la foi, comme sur un immuable fondement. Et je te laisserai une petite ouverture, par laquelle tu pourras voir mon incompréhensible lumière: et je mettrai ma main devant toi. Moi-même je me couvrirai des ouvrages de ma puissance: et je passerai devant toi, et je retirerai ma main en un moment, et je ferai outrepasser tout ce que j'ai fait et tu me verras par derrière: obscurément, imparfaitement, par mes grâces, par une réflexion, et un rejaillissement de ma lumière comme le soleil qui se retire, qui se couche, est vu par quelques rayons qui restent sur les montagnes à l'opposite”. N'est-ce pas de quoi me contenter, en attendant que je voie la beauté de votre face désirable que Vous me faites espérer?

Asc,2268a:T31,16

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Qu'ai-je besoin d'autres yeux? N'est-ce pas assez de vos regards et du témoignage secret que Vous me rendez quelquefois dans ma conscience que Vous voulez bien Vous plaire en moi, et que j'ai trouvé grâce devant Vous? Et si cette approbation, si ce témoignage me manque, que mettrai-je à la place, et à quoi me servira le bruit que le monde fera autour de moi? Cette illusion me consolera-t-elle de la vérité? Ou faudra-t-il que je me laisse étourdir moi-même par ce tumulte, pour oublier une telle perte, et faire taire ma conscience qui ne cesse de me la reprocher? Non, non, quand Vous cesserez de me regarder, il ne me restera autre chose que de m'aller cacher dans les enfers. Car qu'est-ce en effet que l'enfer, sinon d'être privé de votre faveur? Qu'aurai-je donc à faire, que d'en pleurer la perte nuit et jour? Et où trouverai-je un lieu assez sombre, assez caché, assez seul, pour m'abandonner à ma douleur, et rechercher votre face, pour cacher de nouveau ma vie en vous, ainsi que dit l'Apôtre?

Asc,2268a:T31,17

Cachée en Dieu avec Jésus… Et ma vie est cachée en Dieu avec Jésus, c'est ici qu'il faut épancher son cœur en silence et en paix dans la considération de la vie cachée de Jésus-Christ. Le Dieu de gloire se cache sous le voile d'une nature mortelle: tous les trésors de la sagesse et de la science de Dieu sont en lui; mais ils y sont cachés: c'est le premier pas, c'est le second, il se cache dans le sein d'une vierge, la merveille de sa conception virginale demeure cachée sous le voile du mariage; se fait-il sentir à Jean Baptiste, et perce-t-il le sein maternel où était ce S. Enfant? C'est à la voix de Marie que cette merveille est opérée: “À votre voix, dit Élisabeth, l'enfant a tressailli dans mes entrailles”. Peut-être du moins qu'en venant au monde il se manifestera. Oui, à des bergers, mais au reste, il n'a jamais été plus véritable qu'alors; et dans le temps de sa naissance, qu'il est venu dans le monde et que le monde avait été fait par Lui et que le monde ne le connaissait pas. Tout l'univers l'ignore, son enfance n'a rien de célèbre, on parle du moins des études des autres enfants, mais on dit de celui-ci: “Où a-t-il pris ce qu'il sait puisqu'il n'a jamais rien étudié et n'a pas été vu dans les écoles?”

Asc,2268a:T31,18 Il paraît une seule fois à l'âge de douze ans, mais encore ne dit-on pas qu'il enseignât. Il écoutait les docteurs et les interrogeait, doctement à la vérité; mais il ne paraît pas qu'il décidât, quoique ce fût en partie pour cela qu'il fût venu. Il faut pourtant avouer que tout le monde et les docteurs, comme les autres étaient étonnés de sa prudence et de ses réponses. Mais il avait commencé par entendre et par demander: et tout cela ne sortait pas de la forme de l'instruction enfantine et quoi qu'il en soit, après avoir éclaté un moment, comme un soleil qui fend une nuée épaisse, il y rentre et se replonge bientôt dans son obscurité volontaire. Et lorsqu'il répondit à ses parents qui le cherchaient: “Ne savez-vous pas qu'il faut que je sois occupé des affaires de mon Père?”, ils n'entendirent pas ce qu'il leur disait. Ce qu'il ne faut point hésiter à entendre de Marie même, puisque c'est à elle précisément qu'il fait cette réponse pour montrer qu'elle ne savait pas encore elle-même ce que c'était que cette affaire de son Père.

Asc,2268a:T31,19 Et encore qu'elle n'ignorât ni sa naissance virginale qu'elle sentait en elle-même, ni sa naissance divine, que l'ange lui avait annoncée, ni son règne, dont le même ange lui avait appris la grandeur et l'éternité, c'est comme si elle ne l'eût pas su; puisqu'elle n'en dit mot et qu'elle ne fait qu'écouter ce qu'on dit de son fils en paraissant étonnée comme les autres, comme si elle n'en eût point été instruite; ainsi que dit S. Luc: “Son père et sa mère étaient en admiration de tout ce qu'on disait de Lui”, car c'était le temps de cacher ce dépôt qui leur avait été confié et c'est pourquoi on ne sait rien de Lui durant trente ans, sinon qu'il était fils d'un charpentier, charpentier Lui-même et travaillant à la boutique de celui qu'on croyait son père, obéissant à ses parents et les servant dans leur ménage et dans cet art mécanique, comme les enfants des autres artisans. Quel était donc alors son état, sinon qu'il était caché en Dieu ou plutôt que Dieu était caché en Lui? Et nous participerons à la perfection et au bonheur de ce Dieu caché, si notre vie est cachée en Dieu avec Lui.

Asc,2268a:T31,20

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Ils sort de cette sainte et divine obscurité et il paraît comme la lumière du monde, mais en même temps ce monde ennemi de la lumière que Lui découvrait ces mauvaises œuvres, a envoyé de tous côtés comme des noires vapeurs des calomnies pour l'obscurcir. Il n'y a sorte de faussetés dont on [n'] ait tâché de couvrir la vérité que Jésus apportait au monde et la gloire que Lui donnaient ses miracles et sa doctrine. On ne sait que croire de Lui: c'est un prophète, c'est un trompeur; c'est le Christ, ce ne l'est pas; c'est un homme qui aime les plaisirs, la bonne chair et le bon vin, c'est un samaritain, un hérétique, un impie, un ennemi du temple et du peuple saint, il délivre les possédés au nom de Béelzebut, c'est un possédé Lui-même: le malin esprit agit en Lui, peut-il venir quelque chose de bon de Galilée? Nous ne savons d'où il vient mais certainement il ne vient pas de Dieu puisqu'il n'observe pas le sabbat, qu'il guérit les hommes, qu'il fait des miracles en ce saint jour. Qui est cet homme qui entre aujourd'hui avec tant d'éclat dans Jérusalem et dans le temple? Nous ne le connaissons pas et il y avait parmi le peuple une grande dissension sur son sujet. Qui vous connaissait, ô Jésus? Vraiment Vous êtes un Dieu caché, le Dieu et le Sauveur d'Israël.

Asc,2268a:T31,21 Mais quand l'heure fut arrivée de sauver le monde, jamais il ne fut plus caché: c'était le dernier des hommes, ce n'était pas un homme mais un ver, il n'avait ni beauté ni figure d'homme. On ne le connaissait pas, il semble s'être oublié Lui-même. Mon Dieu, mon Dieu! Ce n'est plus son Père: pourquoi m'avez-Vous délaissé? Quoi donc, n'est-ce plus ce Fils bien-aimé qui disait autrefois: Je ne suis pas seul, mais nous sommes toujours ensemble, moi et mon Père qui m'a envoyé et celui qui m'a envoyé est avec moi et il ne me laisse pas seul. Et maintenant il dit: pourquoi me délaissez-Vous? Couvert de nos péchés et comme devenu pécheur à notre place, il semble s'être oublié soi-même et c'est pourquoi le psalmiste ajoute en son nom: mes péchés (les péchés du monde que je me suis appropriés) ne me laissent point espérer que Vous me sauviez des maux que j'endure. Je suis chargé de la dette, comme caution volontaire du genre humain; il faut que je la paie tout entière. Il expire, il descend dans le tombeau et jusque dans les ombres de la mort. Tôt après il en sort et Madeleine ne le trouve plus; elle a perdu jusqu'au cadavre de son Maître. Après la résurrection il paraît et il disparaît huit ou dix fois; il se montre pour la dernière fois et un nuage l'enlève à nos yeux, nous ne le verrons jamais.

Asc,2268a:T31,22

Sa gloire est annoncée… Sa gloire est annoncée par tout l'univers, mais s'il est la vertu de Dieu pour les croyants, il est scandale aux Juifs et folie aux gentils. Le monde ne le connaît pas et ne le veut pas connaître. Toute la terre est couverte de ses ennemis et de ses blasphémateurs; il s'élève des hérésies du sein même de son Église qui défigurent ses mystères et sa doctrine. L'erreur prévaut dans le monde et jusqu'à ses disciples, tout le méconnaît. Nul ne le connaît, dit-il Lui-même, que celui qui garde ses commandements. Et qui sont ceux qui les gardent? Les impies sont multipliés au-dessus de tout nombre et on ne les peut plus compter. Mais vos vrais disciples, ô mon Sauveur! Combien sont-ils rares, combien clairsemés sur la terre et dans votre Église même? Les scandales augmentent, la charité se refroidit. Il semble que nous soyons dans le temps où vous avez dit: pensez-vous que le Fils de l'homme trouvera de la foi sur la terre? Cependant vous ne tonnez pas, vous ne faites point sentir votre puissance. Le genre humain blasphème impunément contre vous et à n'en juger que par le jugement des hommes, il n'y a rien de plus équivoque ni de plus douteux que votre gloire. Elle ne subsiste qu'en Dieu où vous êtes caché, et moi aussi.

Asc,2268a:T31,23 Je veux donc être caché en Dieu avec Vous. En cet endroit, mon Sauveur, où m'élevez-vous? Quelle nouvelle lumière me faites-Vous paraître, je vois l'accomplissement de ce qu'a dit ce Saint Vieillard. Celui-ci est établi pour être en ruine et en résurrection à plusieurs, et comme un signe de contradiction à toute la terre. Mais, ô mon Sauveur, que vois-je dans ces paroles? Un caractère du Christ qui devait venir, un caractère de grandeur, de divinité. C'est une espèce de grandeur à Dieu d'être reconnaissable par tant d'endroits et d'être si peu connu: d'éclater de toutes parts dans ses œuvres et d'être ignoré de ses créatures, car il était de sa bonté de se communiquer aux hommes et

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de ne se pas laisser sans témoignage, mais il est de sa justice et de sa grandeur de se cacher aux superbes qui ne daignent, pour ainsi dire, ouvrir les yeux pour le voir. Qu'a-t-il à faire de leur connaissance? Ce n'est pas une grâce qu'on Lui fait, c'est une grâce qu'il fait aux hommes, et on est assez puni de ne le pas voir.

Asc,2268a:T31,24 La gloire essentielle est toute en Lui-même et celle qu'il reçoit des hommes est un bien pour eux et non pas pour Lui. C'est donc aussi un mal pour eux; et le plus grand de tous les maux de ne le pas glorifier; ils le glorifient malgré eux en refusant de le glorifier mais d'une autre sorte, parce qu'ils se rendent malheureux en le méconnaissant. Qu'importe au soleil qu'on le voie? Malheur aux aveugles à qui la lumière est cachée. Malheur aux yeux faibles qui ne la peuvent soutenir. Il arrivera à cet aveugle d'être exposé à un soleil brûlant et il demandera: qu'est-ce qui me brûle? On lui dira: c'est le soleil. Quoi! Ce soleil que je vous entends tant louer, tant admirer tous les jours, c'est lui qui me tourmente? Maudit soit-il. Il détestera ce bel astre parce qu'il ne le voit pas; et ne le pas voir sera sa punition, car s'il le voyait lui-même, il lui montrerait avec sa lumière bénigne où il pourrait se mettre à couvert contre ses ardeurs. Tout le malheur est donc de ne le pas voir.

Asc,2268a:T31,25 Mais pourquoi parler de ce soleil, qui après tout n'est qu'un grand corps insensible que nous ne voyons que par deux petites ouvertures qu'on nous a faites à la tête; parlons d'une autre lumière toujours prête par elle-même à luire au fond de notre âme, et à la rendre toute lumineuse. Qu'arrive-t-il à l'aveugle volontaire qui l' empêche de luire pour lui, sinon de s'enfoncer dans les ténèbres et de se rendre malheureux? Et Vous éternelle lumière, Vous demeurez dans votre gloire et dans votre éclat: et Vous manifestez votre grandeur en ce que nul [ne] Vous perd que pour son malheur. Vous donc, Père des lumières! Vous avez donné à votre Christ un caractère semblable afin de manifester qu'il était Dieu comme Vous, l'éclat de votre gloire et le rejaillissement de votre lumière, le caractère de votre substance. Et il est en ruine aux uns et en résurrection aux autres et par son éclat immense, il est en butte aux contradictions; car quiconque n'a pas la force ni le courage de le voir, il faut nécessairement qu'il le blasphème.

Asc,2268a:T31,26

Ce qui a paru dans le chef… Ô mon Dieu! Ce qui a paru dans le chef et dans le Maître, paraît aussi sur les membres et sur les disciples. Ce monde superbe n'est pas digne de voir les disciples et les imitateurs de Jésus-Christ, ni de les connaître; et il faut qu'il les méprise et les contredise et qu'il les mette au rang des insensés, des gens outrés, des gens qu'ont un travers et un secret dérèglement dans l'esprit, qui font un beau semblant et au-dedans se nourrissent de gloire ou de vanités comme les autres. Et que n'a pas inventé ce monde contre vos humbles serviteur? Et vous voulez par là leur donner part au caractère de votre Fils et au vôtre. Je veux donc être caché en vous avec Jésus-Christ jusqu'à ce que la vérité paraisse en triomphe, quand Jésus-Christ votre gloire apparaîtra, alors vous apparaîtrez en gloire avec Lui. Je ne veux point paraître quand mon Sauveur ne paraîtra pas. Je ne veux de gloire qu'avec Lui; tant qu'il sera caché, je le veux être; car si j'ai quelque gloire pendant que la sienne est encore cachée en Dieu, elle est fausse et je n'en veux point, puisque mon Sauveur la méprise et ne la veut pas pour Lui-même.

Asc,2268a:T31,27 Quand Jésus-Christ paraîtra, je veux paraître parce que Jésus-Christ paraîtra en moi. Quand vous verrez arriver ces choses et que la gloire de Jésus-Christ sera proche, regardez et levez la tête: car alors votre rédemption, votre délivrance approche; la gloire que nous aurons alors sera véritable parce que ce sera réellement de la gloire de Jésus-Christ. Jusqu'à ce temps bienheureux je veux être cachée, mais en Dieu avec Jésus-Christ dans sa crèche, dans ses plaies, dans son tombeau, dans le ciel avec Lui à la droite de son Père, sans vouloir paraître sur la terre. Je ne veux plus de louanges, qu'on les rende à Dieu, si je fais bien; si je fais mal, si je m'endors dans mon péché, dans la complaisance du monde enchanté ou de ses honneurs et de son éclat, ou de ses plaisirs ou de ses

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joies, qu'on me blâme, qu'on me condamne, qu'on me réveille par toutes sortes d'opprobres, de peur que je ne m'endorme dans la mort.

Asc,2268a:T31,28 Que me profitent ces louanges qu'on me donne? Elle achèvent de m'enivrer, de me séduire. Si le monde me loue le bien, tant mieux pour lui: “Mes frères, disait un grand saint, ce serait vous porter envie de ne vouloir pas que vous louassiez les discours où je vous annonce la vérité. Louez-les donc, car il faut bien que vous les estimiez et les louiez afin qu'ils vous profitent. Je veux donc bien vos louanges parce que sans elles je ne puis vous être utile. Mais pour moi qu'en ai-je à faire? Ma vie et ma conscience me suffisent. L'approbation que vous me donnez vous est utile à vous, mais pour moi elle m'est dangereuse. Je la crains, je vous la renvoie, je ne la veux que pour vous; et pour moi, ma vie est cachée en Dieu avec Jésus-Christ; c'est là ma sûreté, c'est là mon repos”.

Asc,2268a:T31,29 Pour moi, disait saint Paul, je me mets fort peu en peine d'être jugé par les hommes, ou par le jugement humain. Les hommes me veulent juger et il m'ajournent, pour ainsi dire, devant leur tribunal pour subir leur jugement, mais je ne reconnais pas ce tribunal, et le jour qu'ils ont marqué, comme on fait dans les jugements, pour prononcer leur sentence, ne m'est rien. Qu'on me mette devant ou après celui-ci, ou celui-là, au-dessus, ou au-dessous: qu'on me mette en pièces, qu'on m'anéantisse comme par un jugement dernier: je me laisse juger sans m'émouvoir, ou si je m'en émeus, je plains ma faiblesse, car ce n'est pas aux hommes à me juger: je ne me juge même pas moi-même. Le premier des jugements humains, dont je suis désabusé, c'est le mien propre, car encore que ma conscience ne me reproche rien, je ne me tiens pas justifié pour cela. C'est le Seigneur seul qui me juge.

Asc,2268a:T31,30 Soyez donc cachés aux hommes sous les yeux de Dieu, comme inconnus, disait le même S. Paul, et toutefois bien connus, puisque nous le sommes de Dieu; comme morts à l'égard du monde, où nous ne sommes plus rien et toutefois nous vivons et notre vie est cachée en Dieu; la balayure du monde, mais précieux devant Dieu, pourvu que nous soyons humbles et que nous sachions tirer avantage du mépris qu'on fait de nous; tranquilles, indifférents à tout ce que le monde dit et fait de nous; soit qu'il nous mette à droite ou à gauche, du bon ou du mauvais côté, dans la gloire ou dans l'ignominie, dans la bonne ou dans la mauvaise réputation, nous allons toujours le même train, comme tristes par la gravité et le sérieux de notre vie, par la tristesse apparente de notre retraite et de nos humiliations et néanmoins toujours dans la joie par une douce espérance qui se nourrit dans le fond de notre cœur, comme pauvre et enrichissant le monde par notre exemple, si nous avons le courage de lui montrer qu'on se peut passer de lui, comme n'ayant rien et possédant tout et parce que moins nous avons des biens que le monde donne, plus nous possédons Dieu qui est tout. Fuyons, fuyons le monde et tout ce qui est dans le monde car ce n'est que corruption: vanité des vanités, dit l'Ecclésiaste, vanité des vanités et tout est vanité. Crains Dieu et garde ses commandements car c'est là tout l'homme, ou comme d'autres traduisent: c'est le tout de l'homme.

Asc,2268a:T31,31

Et vous qui que vous soyez… Allez ma fille, aussitôt que vous aurez achevé de lire cet humble et petit écrit, et vous qui que vous soyez, à qui la Providence Divine le fera tomber entre les mains, grands ou petits, pauvres ou riches, savants ou ignorants, ecclésiastiques ou laïques, religieux ou religieuses ou vivant dans la vie commune, allez à l'instant au pied de l'autel. Contemplez-y en silence Jésus-Christ dans ce sacrement où il se cache. Demeurez-y, ne lui dites rien. Regardez-le et attendez qu'il vous parle et jusqu'à ce qu'il vous dise dans le fond du cœur: tu le vois, je suis mort ici et ma vie est cachée en Dieu, jusqu'à ce que je paraisse en ma gloire pour juger le monde. Cache-toi donc en Dieu avec moi et ne songe point à paraître que je ne paraisse. Si tu es seul, je serai ta compagnie; si tu es faible, je serai ta force; si tu es pauvre, je serai ton trésor; si tu as faim, je serai ta nourriture; si tu es affligé, je serai ta consolation et ta joie; si tu es dans l'ennui, je serai ton goût; si tu es dans la défaillance, je serai ton soutien.

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Asc,2268a:T31,32 Je suis à la porte et je frappe: celui qui entend ma voix, et m'ouvre la porte, j'entrerai chez lui et j'y ferai ma demeure avec mon Père et je souperai avec lui et lui avec moi. Mais je ne veux point de tiers, ni autre que lui et moi, moi et lui, et je lui donnerai à manger du fruit de l'arbre de la vie, qui est dans le Paradis de mon Dieu avec la manne cachée dont nul ne connaît le goût, sinon celui qui la reçoit. Que celui qui est altéré vienne à moi et que celui qui voudra, reçoive de moi gratuitement l'eau qui donne la vie. Ainsi soit-il, ô Seigneur, qui vivez et régnez avec le Père et le Saint-Esprit aux siècles des siècles. Amen. Fin

Asc,2268a:T32

Indice dei Capi Introduzione, Pag. 1 Cap. 1. Per le prime azioni della giornata pag. 3 Cap. 2. Per la recita dell'Officio pag. 8 Cap. 3. Per l'orazione mentale pag. 13 Cap. 4. Per la Santa Messa pag. 22 Cap. 5. Per il lavoro pag. 24 Cap. 6. Per il parlatorio pag. 26 Cap. 7. Per la refezione pag. 28 Cap. 8. Per la ricreazione pag. 29 Cap. 9. Del trattenersi in cella pag. 30 Cap. 10. Del visitare le inferme pag. 31 Cap. 11. Della lezione pag. 32 Cap. 12. Dell'osservanza della santa regola pag. 35 Cap. 13. Per l'esame particolare pag. 39 Cap. 14. Dell'esame generale, e del riposo pag. 41 Cap. 15. Alcuni devoti pensieri e santi affetti, per ricevere con spirito d'amore tutto ciò che ci succede pag. 45 Cap. 16. Dei giorni festivi pag. 53 Cap. 17. Della confessione pag. 62 Cap. 18. Della Santa Comunione pag. 66 Cap. 19. Del ritiro del mese pag. 71 Cap. 20. In tempo di malattia pag. 80 Cap. 21. Desiderium pauperum pag. 86 Cap. 22. Avvertimento pag. 88 Cap. 23. Apparecchio per il Santo Natale pag. 90 Cap. 24. Novena di San Francesco di Sales pag. 98 Cap. 25. Apparecchio alla festa della Purificazione pag. 98 Cap. 26. Apparecchio alla venuta dello Spirito Santo pag. 107 Cap. 27. Novena dell'Assunta pag. 117 Cap. 28. Ricordi di S. Caterina da Genova pag. 118 Cap. 29. Primo grado delle Virtù pag. 119 Cap. 30. Vera felicità dello stato religioso pag. 119 Discours sur la vie cachée en Dieu pag. 123 Fine Asc,2268a:*1 Is. 26, 9. Asc,2268a:*2 Sal. 120, 4. Asc,2268a:*3 Matt. 25, 6.

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Asc,2268a:*4 Luc. 1, 79. Asc,2268a:*5 A questo punto finisce anche la copia AOMV, S. 2,9,2:268c.

Asc,2268b:S

Indirizzo per una religiosa Il documento AOMV, S. 2,9,2:268b è un'altra copia del precedente con varianti. Non contiene i capitoli 21, 22, 29, 30 e il Discours sur la vie cachée en Dieu. Inserisce dopo il capitolo 27 una Novena del Crocifisso. Riproduciamo qui solo questa parte.

Asc,2268b:T

Novena del Crocifisso Ben volentieri vorrei condurvi ad assistere all'agonia del vostro Padre Crocifisso e ricevere la sua benedizione, ed a raccogliere l'eredità che vi lascia, che non è altra che la sua Croce ed il suo amore. In questi giorni non vi lamentate di nessuna e di niente per onorare la sua mansuetudine ed il suo silenzio. Date ogni giorno tre occhiate al Crocifisso con un atto di contrizione, di speranza e di amore. Gesù non si è scelta la Croce, ma ha portata quella che gli è stata offerta; non quella che volete, ma prendete e portate quella che Iddio vi manda, la più ripugnante alla natura è la migliore. Rinnovate ogni giorno i voti, che sono i tre chiodi che vi hanno a conficcare alla Croce di Cristo. Pensate che Gesù viene per le Comunioni nel vostro cuore, per condurvi seco al Calvario, per menarvi al Cielo. Vivete con Gesù, morrete con Gesù. Così sia. Mihi vivere Christus est et mori lucrum.

Asc,2268b:T1

Neuvaine À l'honneur du Sacré Cœur de Jésus pour neuf vendredis, ou neuf jours consécutifs.

Asc,2268b:T1

Premier office La Médiatrice demandera au Père éternel de faire connaître le Sacré Cœur de Jésus, au Saint-Esprit de le faire aimer, à la S. Vierge d'employer son crédit afin qu'elle fasse sentir son pouvoir à tous ceux qui s'y adresseront. Depuis midi jusqu'à 3 heures, elle se retirera dans le Cœur Divin, s'y unissant selon son attrait et s'associera au chœur des Trônes pour l'honorer avec eux; fera une visite au S. Sacrement pour la communauté, demandant par les mérites de ce Divin Cœur, qu'il règne sur tout l'ordre de la Visitation (qu'il s'est choisi) et sur chaque religieuse selon ses desseins. Elle récitera les litanies du Sacré Cœur de Jésus ou l'Ave Cor. Sa vertu sera de s'accommoder à l'humeur du prochain en esprit de paix et de douceur; se souvenant de la clémence du Cœur de Jésus, elle en fera cinq actes. Bienheureuse sera celle à qui cet office plaira; car Notre Seigneur a dit qu'il sera lui-même son médiateur. Sr. M. Alacoque. Aspirations Cœur le plus grand des cœurs Cœur le plus élevé! Sans vous mon faible cœur Ne peut être sauvé. Par votre Sacré Cœur transpercé, blessez les nôtres, ô très aimable Jésus, des flèches de votre pur amour tellement, qu'ils ne puissent plus s'attacher à rien de terrestre ni d'humain, mais qu'ils soient tous perdus et abîmés dans l'immensité du vôtre, pour l'éternité. Prière de sainte Gertrude, qui lui a obtenu de très grandes grâces.

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Asc,2268b:T2

Deuxième office La Réparatrice est particulièrement chargée de demander très humblement pardon à Dieu de toutes les injures qui Lui sont faites au Très Saint Sacrement. Depuis 3 heures d'après-midi jusqu'à 6, elle se renfermera dans le Sacré Cœur de Jésus, comme dans une prison d'amour. Et se trouvant insolvable pour payer de si grandes dettes, elle l'offrira Lui-même pour satisfaire à la Divinité outragée. Elle priera le chœur des Puissances de lui aider à dédommager Jésus-Christ pour les Messes mal célébrées et les communions faites en état de tiédeur par les âmes qui lui sont spécialement consacrées et aussi pour les fautes commises dans la Communauté, qui ont plus sensiblement déplu à son Cœur Divin. Dans ces vues elle fera une visite au S. Sacrement et fera amende honorable. Mais les vendredis, et surtout le premier de chaque mois, elle signalera son amour par un redoublement de ferveur à honorer ce Cœur Divin; lui rendant encore de plus particuliers hommages selon le mouvement de sa piété. Sa vertu sera l'exacte pratique des règles de son état. Cinq actes. Qu'heureuse sera la Réparatrice puisque son office est si agréable à Notre Seigneur qu'elle peut se confier humblement (selon sa promesse) qu'elle obtiendra grâce et pardon pour elle. S. M. Alacoque. Aspirations Cœur divin de Jésus, souverain en puissance Forcez, des cœurs ingrats, l'injuste résistance. Votre Cœur, ô mon Jésus, est un trésor dont notre confiance est la clef: faites-nous-en sentir le prix.

Asc,2268b:T3

Troisième office L'Adoratrice suppléera à l'oubli de Dieu presque universel dans le monde, par de fréquentes adorations intérieures envers la Très Sainte Trinité, en union des louanges que lui donne le Cœur de Jésus. Depuis 6 heures du soir jusqu'à 9 elle se complaira dans ces cantiques éternels que chantent les Esprits bienheureux: Saint, Saint, Saint est le Dieu Très-haut, et le répétera avec les chœurs des Dominations; offrant par eux, à l'auguste Cœur de Jésus, le bien qui se fait dans toute l'étendue de la terre, pour le consacrer à sa plus grande gloire. Visitera le Saint-Sacrement au nom de la Communauté, lui demandant pour chacune en particulier et pour tous les prêtres et religieux, l'esprit de ferveur et de zèle à bien réciter le saint Office. Elle dira trois fois: O vere adorator etc., avec le Gloria in Excelsis, ou l'Ave Cor. Sa vertu sera un respect profond dans l'Église pour Jésus-Christ présent, s'y comportant avec modestie et recueillement. Cinq actes. Maxime On ne glorifie véritablement, qu'autant qu'on imite ce qu'on adore. Aspirations Cœur, digne adorateur du Souverain des Cieux Ah! Que rien, hors de vous, ne me soit précieux. Ô Dieu, adorateur d'un Dieu, je m'unis de tout mon cœur aux hommages que Vous rendez continuellement à votre Père Céleste dans le secret de votre Cœur Divin; et je voudrais pouvoir recueillir dans ma foi et dans mon amour tout ce que votre Esprit inspire à l'auguste Marie et à Vos Saints, pour Vous honorer et glorifier à jamais.

Asc,2268b:T4

Quatrième office L'Amante du Sacré Cœur le dédommagera de l'indifférence et froideur de tant de cœurs qui lui sont consacrés. Depuis 9 heures du soir jusqu'à 6 du matin, elle s'associera au chœur des Séraphins pour qu'ils tiennent sa place devant le Saint Sacrement pendant les heures de son sommeil. Pour cet effet, avant

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de se coucher, elle le visitera et renfermera son cœur dans le Saint Tabernacle, prendra son repos, disant: je dors, mais mon cœur veille dans celui de mon bien-aimé. S'éveillant durant la nuit, elle s'unira de cœur et d'esprit aux célestes cœurs qui font son Office. Le matin, à l'oraison, elle les remerciera et renouvellera sa protestation d'amour envers ce Sacré Cœur, lui demandant de ranimer dans nombre de cœurs tièdes et lâches, le feu de sa charité, qui y est presque éteint, afin que nous soyons tous embrasés et un jour consumés de ses vives flammes. Elle dira trois fois: O Cor amabilissimum etc. Sa vertu sera la fidélité de l'Épouse qui ravit le cœur de son Époux par un de ses cheveux: exactitude aux petites choses, en vue de l'amour, et pour l'amour. Cinq pratiques. Ô Cœur de Jésus, divin brasier d'amour, que dans vous les nôtres soient tous consumés! Je suis venu apporter le feu sur la terre; que désiré-je, sinon qu'il brûle? Jésus-Christ. Maxime On n'arrive au séjour éternel du divin amour qu'autant que dans le chemin on est accompagné de l'amour. Aspirations Cœur qui m'avez blessé d'une langueur mortelle, Rendez, aimable Cœur, ma blessure éternelle. Je vous conjure et vous supplie, Anges de la Céleste Cour, De dire à l'Auteur de ma vie Que je languis pour Lui d'amour.

Asc,2268b:T5

Cinquième office La Disciple du Cœur de Jésus se rendra fort attentive à L'écouter dans l'oraison, à l'approche des Sacrements, elle désirera que tout ce qu'Il a soin d'enseigner profite, et elle ne lui résistera jamais. Depuis 6 heures du matin jusqu'à 9, elle entrera dans ce Sacré Cœur, comme dans une divine école, où l'on apprend la science du pur amour, qui fait oublier toutes les sciences mondaines; elle s'appliquera à repasser dans son esprit les leçons qu'elle en a reçues pour sa perfection; et s'associant au chœur des Chérubins, pour avoir avec eux accès dans les splendeurs et lumières qui rejaillissent du Cœur de Jésus, elle lui demandera de les répandre sur tant de disciples de l'erreur, pour qu'ils reviennent dans la vérité. À ce dessein elle visitera le Saint Sacrement, y récitant la petite Couronne du Sacré Cœur, ou le Veni Creator. Sa vertu sera le recueillement et le silence. Cinq actes. Maxime Plus elle sera silencieuse, mieux elle sera enseignée, et retiendra la grande leçon de son Adorable Maître, la douceur et l'humilité. Sr. M. Alacoque. Aspirations Cœur Sacré de Jésus, Cœur Saint, Cœur adorable, Apprenez à mon cœur que vous seul êtes aimable. Ah! Divin Cœur! Où vous êtes le Maître, on est bientôt instruit: instruisez-moi donc, auguste Cœur, qui daignez m'accepter pour disciple; ouvrez les oreilles du mien, rendez-le docile à vos divines leçons, et convertissez tous ceux qui sont rebelles à la vérité.

Asc,2268b:T6

Sixième office La Victime doit entrer dans l'esprit de sacrifice, pour apaiser la colère de Dieu contre les pécheurs. Depuis 9 heures du matin jusqu'à midi, elle s'offrira au Cœur de Jésus, pour participer à son état de victime au Saint Sacrement, et se conformant aux mouvements de son ardente charité, elle dira: Amen. C'est dans cette disposition qu'elle viendra le visiter sur son Autel où l'amour le sacrifie et, prosternée, adorera la Justice divine, avec le cœur des Vertus, en s'immolant au bon plaisir de ce

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Cœur lui-même immolé. L'offrant au Père Éternel, surtout dans le moment de la Sainte Communion, pour attirer plus efficacement sur les pécheurs sa miséricorde. Elle se renouvellera dans l'esprit de sacrifice particulièrement tous les vendredis; et rendra chaque jour hommage au Cœur de Jésus, par l'acte de Consécration. Sa vertu sera la mortification sur la curiosité de l'esprit, les affections du cœur et les satisfactions des sens. Cinq actes. Maxime Quand c'est l'amour divin qui sacrifie la victime, ses coups les plus rudes lui semblent doux. Aspirations Sans cesse en m'immolant, je voudrais, Divin Cœur, Désarmer le Très-Haut, réparer votre honneur. Ô Sacré Cœur, victime d'amour, qui résidez sur nos Autels, que désirez-vous? que demandez-vous? sinon des victimes pour continuer en elles votre sacrifice; me voici, Seigneur: prenez possession de moi, afin d'être une Hostie immolée et consumée dans les flammes de votre amour, à la gloire de votre Divin Père, et pour le salut des pécheurs: Père Céleste, qui m'avez choisie pour victime, recevez-moi par le Sacré Cœur de votre Fils unique.

Asc,2268b:T7

Septième office L'Esclave du Divin Cœur de Jésus mettra sa gloire à porter les chaînes du tendre et généreux amour, qui le retient captif volontaire dans le Tabernacle. À chaque heure du jour elle renouvellera par ces paroles: Ecce ancilla Domini, la servitude qu'elle a vouée au Cœur Divin, comme à son Seigneur et Maître, préférant en toutes choses sa sainte volonté à la sienne. Connaissant que le plus ardent désir de Jésus-Christ dans l'Eucharistie, est de se communiquer à nos âmes par la Communion, elle le priera, le visitera sur son Autel, d'agréer l'offrande de toutes ses bonnes œuvres, pour obtenir que cet adorable Sacrement soit plus souvent, et plus dignement fréquenté, qu'il produise dans tous les cœurs les fruits de grâce et de salut dont il est source. Elle intéressera le chœur des Archanges dans ce service tout d'amour, afin qu'ils appellent les conviés au Festin, et les revêtent de la robe nuptiale. Elle récitera le Pange Lingua. Sa vertu sera la fidélité aux inspirations. Cinq actes. Maxime Servir le Cœur de Jésus, c'est régner; vivre en Lui, c'est le vrai bonheur; y mourir, est le désir de l'âme fidèle. Aspirations Jésus, que votre chaîne a de charme pour moi! Liée à votre Cœur, je veux vivre sa Loi. Ô Tout-Puissant amour de mon Dieu, qui avez rompu les liens qui me captivaient loin de vous! Que ne puis-je attirer après moi tous ceux qui Vous ont fui comme moi, et leur faire goûter, comme je goûte à l'ombre de vos Autels, les charmes d'un nouvel esclavage qui fait de tous ses captifs autant d'heureux! Ô mystérieuse dépendance de Jésus, dans l'Hostie! Je me dévoue à Vous honorer, et désire Vous unir tous les cœurs.

Asc,2268b:T8

Huitième office La Suppliante du Cœur de Jésus, pénétrée d'une foi vive et d'une entière confiance dans les mérites de ce Cœur Divin, ne cessera de les offrir au Père Éternel pour en obtenir l'abondance de ses grâces, tant pour elle que pour ceux qui sont en péril de corps et d'âme; elle priera particulièrement pour les agonisants et les âmes du Purgatoire. Pour cet effet, à chaque heure du jour et de la nuit (si elle s'éveille) elle s'unira au Cœur tendre et compatissant de Jésus-Christ. Animée de son esprit et excitée par quelques traits de sa charité, elle suppliera principalement, dans ses Communions et Oraisons, l'Être suprême d'exaucer ses humbles

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prières en vue de ce Cœur adorable, l'unique objet de ses complaisances. Elle invitera le chœur des Anges, nommément les Anges Gardiens, à s'unir avec elle, et à l'accompagner en sa visite au Saint Sacrement, où elle récitera le Pater, et offrira toutes ses bonnes œuvres, ayant soin d'y faire participer les âmes du Purgatoire. Sa vertu sera la charité du prochain et l'humilité. Cinq actes. Maxime Toute grâce nous vient par Jésus-Christ et découle de son Cœur Sacré, comme d'une source dont rien n'épuise la fécondité. Ce Cœur adorable est ouvert à tous; entrons-y avec confiance, comme dans un sanctuaire où réside la Divinité; offrons-y d'humbles prières unies à celles de Jésus-Christ, elles ne peuvent manquer d'être reçues favorablement. Aspirations Écoutez, Divin Cœur, la voix des opprimés, Et soyez le secours de ces infortunés. Ô Cœur Miséricordieux de Jésus, vous n'aimez qu'à pardonner et à faire des heureux.

Asc,2268b:T9

Neuvième office La Zélatrice aura singulièrement en recommandation la gloire du Cœur de Jésus. Elle invoquera les neuf chœurs des Anges, particulièrement celui des Principautés, pour obtenir par leur intercession que le Cœur de Jésus soit connu par toute la terre, et qu'il attire à son amour tant d'idolâtres et d'infidèles, qui ne le connaissent pas, et une infinité de chrétiens qui lui refusent leurs justes adorations; ce sera l'objet de sa visite au Saint Sacrement et de son ardent désir pour la sainte Communion. À chaque heure du jour elle glorifiera cet adorable Cœur par une élévation du sien vers lui, dans la vue de donner à son amour un dédommagement pour les défauts de celles qui se sont rendues négligentes à bien s'acquitter de ses différents offices. La saint zèle et la prudence la guideront dans toutes les occasions où il est possible d'accroître le culte et le nombre des Adorateurs du Cœur Divin, insinuant cette dévotion autant par ses vertus, que par ses paroles. Elle récitera la Prose du Divin Cœur, ou le Te Deum. Sa vertu sera l'obéissance simple et prompte aux volontés de ses supérieures. Cinq actes. Notre Seigneur réserve à la zélatrice des trésors de grâce incompréhensibles; et son nom sera écrit dans son Cœur Divin, pour n'en être jamais effacé. Sr. M. Alacoque. Maxime Le Cœur de Jésus n'a respiré que zèle pour la gloire de son Père Céleste; il veut être imité. Qui manque de zèle, dit S. Augustin, manque d'amour. Aspirations Que n'ai-je, ô Divin Cœur, une voix de tonnerre Pour porter votre amour jusqu'au bout de la terre! Ô Cœur de Jésus très aimable et très aimant, quand serez-vous très aimé?

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Acte d'Hommage envers le Divin Cœur Acte d'Hommage envers le Divin Cœur pour faire tous les jours de la Neuvaine, si l'on veut, à la place des prières prescrites à la fin de chaque Exercice. Cœur adorable de Jésus, ma paix et ma réconciliation auprès du Père Céleste, appliquez à nos âmes le prix du Sang qui nous a rachetés; je Vous abandonne, mon Divin Maître et Médiateur, tous mes intérêts; je me livre entièrement à ceux de votre gloire. Pénétrée de douleur en voyant votre amour méprisé, je veux, selon mon pouvoir, réparer un si grand outrage; je n'ai qu'un cœur à Vous offrir: lui-même a été ingrat mais il ne veut plus l'être. Contrit, humilié, je vous l'offre en sacrifice; Vous avez promis de ne le pas rejeter; c'est lui qui Vous fait amende honorable pour tant d'impies, de lâches chrétiens, de faux dévots qui vous offensent si grièvement dans ce Mystère le plus étonnant de votre amour; que n'ai-je en ma disposition tous les cœurs des hommes pour Vous en faire avec

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moi une digne réparation par un amour tendre, généreux, fidèle et reconnaissant. Je m'unis à tant d'âmes saintes qui Vous adorent, et qui dans la suite des années vous adoreront en vérité sur nos Autels. Par leur esprit, et par leur cœur, je prétends perpétuer et éterniser en quelque sorte, mes hommages et mon amour, et vous dire sans cesse avec elles: Nous vous louons, ô Cœur très saint et très pur, Cœur admirable dans vos vertus et dans vos perfections infinies. Ô Cœur de Jésus, tout brûlant d'amour, nous Vous adorons, louons, glorifions et rendons grâces; nous vous aimons de tout notre cœur, de toute notre âme, de toutes nos forces; nous Vous offrons notre cœur, nous Vous le donnons, le consacrons, l'immolons; daignez-le recevoir et le posséder tout entier; purifiez-le, éclairez-le, et sanctifiez-le, afin que Vous y viviez et régniez maintenant et toujours et dans tous les siècles des siècles: O vere Adorator et immense Dei amator, miserere nobis.

Asc,2269a:S

Tesoro del crocifisso o vantaggi da ricavarsi da Gesù Cristo crocifisso Manoscritto di mano ignota. AOMV, S. 2,9,3:269a Pubblicato in Lanterianum, novembre 1998, pag. 11-17.

Asc,2269a:T0,1

Tesoro del crocifisso o vantaggi da ricavarsi da Gesù Cristo crocifisso Gesù Cristo è tutto per noi. Nulla vi ha di più certo di questa verità. I Profeti ce ne assicurano. Parvulus natus est nobis, et Filius datus est nobis (Is. 9, 6). È nato per noi un pargoletto, e ci è stato dato un Figlio. Gli Angioli lo pubblicano espressamente nella sua nascita: Natus est vobis hodie Salvator (Luc. 2, 11). Oggi è nato il Salvatore. Egli è nato per voi. I Vangelisti protestano che Iddio l'ha dato a noi. Sic Deus dilexit mundum, ut Filium suum unigenitum daret (S. Giov. 3, 16). Iddio ha talmente amato il mondo, che gli ha dato il suo unigenito Figliuolo. S. Paolo l'ha predicato per tutta la terra. Qui tradidit semetipsum pro nobis (Ad Tim. 2, 6). Egli ha dato se stesso per noi.

Asc,2269a:T0,2 La Chiesa lo canta solennemente: Nobis datus, nobis natus. Egli ci è stato dato ed è nato per noi. Chi mai dunque potrebbe dubitare di questa verità dopo tante e sì autentiche testimonianze? Gesù Cristo è tutto per noi. Suo Padre lo ha dato a noi. Egli medesimo si è dato a noi. Non vi ha miglior acquisto di questo dono. Egli è dunque mio. Si, egli è mio ed appartiene a me. O amore! O bontà! Che cosa dunque è necessaria dal canto mio per profittare di questo dono, maggiore d'ogni dono, e che contiene in sé tutti gli altri doni? Tre cose sono necessarie: Fede, Confidenza, ed Offerta. 1. Unirsi a Lui, ed appropriarlo a se stesso per mezzo della Fede. 2. Collocare in Lui tutta la nostra confidenza. 3. Offrirlo all'Eterno suo Padre in soddisfazione dei nostri peccati.

Asc,2269a:T1,1

1. Fede in Gesù Cristo Crocifisso Gesù Cristo medesimo ci ha insegnato questo vantaggio, che dobbiamo ricavare dalla sua morte per la salute dell'anima nostra, quando disse in S. Giov. cap. 3, v. 14-15: Sicut Moyses exaltavit

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serpentem in deserto, ita exaltari oportet Filium hominis, ut omnis, qui credit in ipsum, non pereat, sed habeat vitam æternam. Siccome Mosè innalzò nel deserto il Serpente di bronzo, così fa d'uopo che il Figliuolo dell'uomo sia innalzato, affinché chiunque crede in Lui, non perisca, ma abbia la vita eterna. Gesù Cristo con queste parole ci volle indicare il genere della sua morte, che era di essere crocifisso, ed il vantaggio che noi dobbiamo ritrarre dalla sua morte per la salute dell'anima nostra, come se avesse detto: Mosè per guarire nel deserto il popolo Ebreo dal morso dei serpenti, innalzò sopra di un patibolo, ossia sopra una specie di croce un Serpente di bronzo, che aveva la figura di serpente senza averne il veleno. Nella stessa guisa per guarire gli uomini dal morso pestifero del Serpente infernale; vale a dire, per guarirli dal peccato, mio Padre vuole che io, che ho preso la somiglianza del peccato senza averne la verità, sia innalzato sopra la croce. E siccome gli Ebrei morsi dai serpenti, nel riguardare quel Serpente di bronzo restavano guariti, così i peccatori penitenti che mi riguarderanno coll'occhio della Fede sulla Croce, ivi troveranno il rimedio dal veleno del Serpente infernale.

Asc,2269a:T1,2 Né rechi meraviglia quello che vi dico, che mio Padre mi ha condannato a morire sopra la croce per la vostra salute. Sic enim Deus dilexit mundum. Perché Iddio ha amato talmente il mondo, che gli ha dato il suo unigenito Figliuolo, affinché chiunque crede in Lui, non perisca ma abbia la vita eterna. Ecco la consolante verità, che Gesù Cristo medesimo ci ha voluto fare apprendere. Suo Padre ce l'ha dato, affinché restassimo guariti dai nostri peccati mediante la Fede che in esso avremo avuta. Che cosa dunque vi conviene fare per ricuperare la perfetta guarigione dell'anima vostra? Accettate il dono che vi viene fatto e servitevene giusta il fine, per cui vi è fatto. Ut omnis, qui credit in ipsum etc.

Asc,2269a:T1,3

Pratica Sì mio Dio, accetto questo dono dei doni, questo dono del vostro amore immenso, infinito, ineffabile, Gesù Cristo vostro unico Figliuolo, l'oggetto delle vostre tenere compiacenze, e l'accetto per servirmene secondo le vostre intenzioni. Affinché chiunque crede in Lui, non perisca, ma abbia la vita eterna. Credo in Lui, spero in Lui, e crederò e spererò fino all'ultimo respiro del viver mio. Io dunque non perirò, mio Dio? Dunque goderò della vita eterna? Ma tu sei un peccatore… Sì, egli è vero, o Signore, e questo è appunto quello che forma il mio tormento: detesto con tutto il cuore le mie colpe, ve ne domando perdono e propongo fermamente di emendarmene col vostro santo aiuto. Questo perdono lo spero tanto più fermamente dalla vostra misericordia, perché ve lo chiedo pei meriti del Salvatore, che mi avete dato, adempiendo la condizione colla quale mi faceste un tanto dono.

Asc,2269a:T1,4 Credo, o mio Dio, si credo che Gesù Cristo sulla Croce è la verità del mistero, di cui il Serpente di bronzo era la figura. Con questo spirito lo riguardo mediante la Fede, credo in Lui, mi unisco a Lui per essere guarito da tutti i morsi del Serpente infernale. Considerate adunque Gesù Cristo sulla croce, come Vita, e sorgente della Vita. Considerate la fede, come un canale, per cui la vita della grazia scaturisce dal cuore di Gesù Cristo in quello dei fedeli. Quindi per mezzo di questo canale unitevi al cuore di Gesù Cristo. State uniti a questo Sacratissimo cuore, sorgente di vita, onde attirare nel vostro cuore la vita, ed il vivere della vita di Gesù Cristo.

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O Vita! O sorgente di Vita! Datemi la vita, comunicate, diffondete, e fate discendere la vostra Vita nell'anima mia.

Asc,2269a:T2,1

2. Confidenza in Gesù Cristo Crocifisso Il Discepolo prediletto di Gesù Cristo, S. Giovanni, ci ha insegnato questo secondo vantaggio, che dobbiamo ricavare dalla morte del Divino Maestro, quando nella sua prima lettera (cap. 2, v. 2) ci disse con tanta tenerezza ed amore: “Figliuolini miei, vi scrivo queste cose affinché non pecchiate; che se nonostante alcuno verrà a peccare, si rammenti che abbiamo per avvocato appresso del Padre, Gesù Cristo suo unico Figliuolo, e questo è quegli che è vittima di propiziazione per i nostri peccati, e non solo per i nostri, ma ancora per quelli di tutto il mondo”. In queste consolanti parole osservate tre cose: 1. Gesù Cristo, come nostro Avvocato, perorò sulla croce la nostra causa, e continua tuttora a perorarla in Cielo. 2. Gesù Cristo, come nostra Vittima di propiziazione, ha sparso il suo sangue sulla croce per la nostra salute, e l'offre continuamente in Cielo all'Eterno suo Padre. 3. Il merito di questo Avvocato, e di questa Vittima è infinito, capace di espiare non solo i nostri peccati, ma tutti i peccati del mondo, e quelli ancora di infiniti altri mondi, se pure esistessero. Che cosa esige da noi? Una confidenza ferma e sincera nel Sangue d'un prezzo infinito, e capace di santificare un'infinità di mondi macchiati di ogni sorta di delitti.

Asc,2269a:T2,2 Per quanti dunque innumerevoli ed enormi possano essere i vostri peccati, purché li detestiate sinceramente, e proponiate di fuggirli, ricorrete con confidenza a quello che è la Vittima di propiziazione per i vostri peccati, e ne ottenerete il perdono. Non temete, no, di esaurirne i meriti. Ipse enim est propitiatio pro peccatis nostris et non pro nostris tantum, sed etiam pro totius mundi (1 Joan. 2, 2). Che se la vostra coscienza vi rimprovera, e vi obbliga a questa confessione: “Ma tu hai mille volte meritato la morte”, rispondete pure con fiducia: “Sì egli è vero, lo so, lo confesso con dispiacere, ma Gesù Cristo, unico Figliuolo di Dio, è morto per me, in mia vece, e per liberarmi dalla morte”. “Ma i tuoi peccati sono enormissimi, ed in grandissimo numero”. “Egli è vero, lo confesso ancor'io: ma il merito della morte di Gesù Cristo uomo-Dio è infinito; ed in conseguenza sorpassa infinitamente il numero e l'enormità dei miei peccati; ed appunto per questo ripongo nei meriti del sacrificio dell'Agnello di Dio tutta la mia confidenza”. Agnus Dei qui tollis peccata mundi, miserere nobis.

Asc,2269a:T2,3 Qui aprite il vostro cuore. Il cuore di Gesù Cristo per voi non è chiuso; non vogliate dunque chiudere il vostro a Lui. Dilatamini et vos (2 Cor. 6, 13). I meriti di Gesù Cristo sono come un oceano immenso ed infinito: aprite e dilatate il vostro cuore con confidenza, onde poter partecipare di questi suoi meriti con maggior abbondanza. Quanto più grande sarà la vosta confidenza, tanto più sarete a parte dei meriti infiniti di questa Vittima.

Asc,2269a:T3,1

3. Offerta di Gesù Cristo Crocifisso Il Padre Eterno vi ha dato il suo Figliuolo, affinché voi glielo offriate con un cuore penetrato da dolore in soddisfazione dei vostri peccati: Pater: accipe unigenitum meum, et da pro te; così si può ripetere con S. Anselmo. A questo fine Gesù Cristo crocifisso per i vostri peccati si è dato a voi, acciocché col medesimo sentimento di dispiacere e di dolore l'offriate per voi al suo Divin Padre: et ipse Filius: tolle me, et redde pro te (S. Anselm. lib. Cur Deus homo, cap. 19). Non si può mai abbastanza ripetere.

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Corrispondendo adunque a questa misericordia infinita di Dio verso di voi, profittate dei meriti di Gesù Cristo secondo l'intenzione di Dio, e di Gesù Cristo medesimo. Detestando con tutto il cuore i vostri peccati, offrite a Dio Gesù Cristo morto per la vostra salute; offritegli la santità della sua vita per la remissione di tutta la vostra malizia; la sua umiltà per la vostra superbia; la sua obbedienza per la vostra disobbedienza; la sua purità per le vostre immodestie; la sua povertà per i vostri eccessi: la sua vita adorabile per la vostra abominevole; i meriti della sua morte per [i*1

Penetrate bene il valore di ciò che voi offrite, e confidando unicamente nel valore della vostra offerta, consolatevi e sperate di avere per mezzo dell'offerta di Gesù Cristo soddisfatto alla Giustizia di Dio per i vostri peccati.

] demeriti della vostra vita peccaminosa.

Asc,2269a:T3,2 Sì, mio Dio, lo credo, e lo spero; ed oso ancora dirvi che vi offro infinitamente più di quello che non vi ho tolto; poiché vi offro un Dio per un uomo; tutte le virtù del vostro prediletto figliuolo per le offese del vostro schiavo. Non ho io dunque luogo da credere e sperare che soddisfo alla vostra Giustizia? Ma tu nulla mi dai del tuo. Come, o mio Dio? Questo prediletto del vostro cuore appartiene a me; voi me ne avete fatto un dono. Sic Deus dilexit mundum etc. Egli medesimo si consegnò per me: tradidit semetipsum pro nobis (Ephes. 5, 2). Ecco la vostra parola, la vostra Scrittura. Ora nulla vi è che dia un più giusto diritto sopra una cosa, quanto l'averla acquistata per mezzo di donazione: dunque avendomi voi donato il vostro figlio, questi appartiene a me, ed avendolo io accettato, ve l'offro e ve lo dono per me: in lui e per lui dò una piena soddisfazione alla vostra Giustizia.

Asc,2269a:T3,3 Se egli non è infinitamente migliore di quello, che io non sono malvagio; se la sua vita non è infinitamente più santa di questo, che la mia non è peccaminosa, voglio essere eternamente l'oggetto dei rigori della vostra Giustizia. Ma se voi infinitamente più vi compiacete della Santità del vostro Figliuolo di quello, che non avete orrore alla malizia del vostro schiavo, non ho io pienamente soddisfatto alla vostra Giustizia? Non debbo io sperare di essere l'oggetto del vostro amore? Non posso io essere certo di aver a cantare eternamente le vostre misericordie? Sì, mio Dio, lo credo e lo spero in virtù dei meriti infiniti di Gesù Cristo vostro Figliuolo e mio Salvatore, e propongo col vostro santo aiuto di non più offendervi, di adempiere la vostra santa volontà, di amare voi solo, e mai più separarmi da voi né in vita, né in punto di morte. Aiutatemi, Gesù mio, a mantenermi fedele a queste promesse.

Asc,2269a:T4

Conclusione Horrendum est incidere in manus Dei viventis (Hebr. 10, 31). Ella è cosa orribile il cadere nelle mani di un Dio vivente, dice S. Paolo. Sì, il cadervi spogliato di tutto, senza virtù, e col peccato mortale sull'anima; ma è cosa soave il cadervi con Gesù Cristo, unito di cuore a Gesù Cristo, stando nei sentimenti di Gesù Cristo, detestando il peccato, come Gesù Cristo l'ha detestato, unendo il proprio cuore contrito al Cuore contrito di Gesù Cristo, e la piccola moneta della nostra penitenza al tesoro infinito della morte di Gesù Cristo. Una piccola moneta unita all'erario di un gran Re diventa una gran somma. La vostra penitenza unita alla penitenza, alla Passione, ed alla morte di Gesù Cristo forma un tesoro infinito di soddisfazione alla Giustizia divina, che vi farà trovare un giorno misericordia. Dolcissimo Gesù Cristo, voi siete il mio Salvatore, la mia salute, la mia redenzione, la mia giustizia, la mia soddisfazione; in voi solo ripongo tutta la mia speranza, e confidando unicamente nei vostri meriti voglio entrare nel sonno della morte, e spero di venire con voi nel riposo eterno. In pace in idipsum dormiam et requiescam (Ps. 4, 9). Non timebo mala, quoniam tu mecum es (Ps. 22, 4).

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In te, Domine, speravi etc. (Ps. 30, 2). Asc,2269a:*1 Nel testo la “i” viene cancellata.

Asc,2269b:S

Brevi istruzioni divote Opuscolo a stampa con copia di mano ignota. AOMV, S. 2,9,3:269b Pubblicato in Lanterianum, novembre 1998, pag. 17-19.

Asc,2269b:T

Brevi istruzioni divote

Asc,2269b:T1,1

Mezzo per sempre pregare Accendersi 1. d'un vero e vivo desiderio della beata vita e d'una voglia ardente del Paradiso, e di salir al Cielo dove si vede Dio, e si fruisce del sommo Bene. 2. D'un affetto volenteroso di scampare dai lacci, pericoli, difficoltà che si trovano in questo deserto del mondo, che sogliono impedire i cuori malaccorti di giungere al lucidissimo cospetto della faccia formosa, e gloriosa di Dio. 3. Sapendo di certo di non avere forze bastanti a quest'impresa altissima, desiderare con tutta l'anima d'essere aiutato da Dio, poiché nella sola mano del suo aiuto è posta la nostra beata sorte, lo scampo da tutti i mali, e l'acquisto di tutti i beni. E considerando che questo è il nostro ultimo fine, e che in questo mondo non si deve cercare altro, e cercandosi altro, ogni cosa si perde, stendere il cuore e dilatarlo a desiderare il divino aiuto per essere liberato dagli occorrenti impedimenti, ed ottenere i desiderati beni, il che deve parere dolce all'anima che è creata per essere beata.

Asc,2269b:T1,2 Questa sorta d'orazione fatta per forza di desideri per cui si mendicano in terra i beni del Cielo è sicuramente sempre esaudita da Dio, questi desideri diventano gridi piacevoli alle orecchie di Dio, e ottengono tutto, poiché Dio nessuna cosa fa più volentieri, che d'aiutare chi desidera d'arrivare al fine per cui siamo ordinati. Questo desiderio poi deve sempre conservarsi in cuore sia che mangiamo o ci affatichiamo, o riposiamo, o qualunque altra cosa facciamo, così sempre si ora, e il sonno stesso non vaca dall'orazione, quantunque non stiamo sempre in atto di desiderare e pregare per essere molte volte impediti ad altro, come un prigioniero che ha i ferri non altro desidera che la libertà da chi gliela può dare, sebbene non sempre attualmente la desideri e domandi.

Asc,2269b:T2

Mezzo per ottenere sicuramente quanto si domanda Quando si domanda dobbiamo sempre spendere il nome di Gesù; e servirci dei suoi meriti, perché Dio non è cosa che non faccia per amore del suo Figliuolo. Fortificati dunque e animati dalle parole di Cristo che non mente, dire per es. così: Padre eterno, il vostro Figliuolo tanto a voi caro, nel quale io spero, mi manda a voi, e vi prega che mi facciate questa grazia, mi rimettiate i miei peccati, e mi ha detto che vi dica per parte sua che per l'avvenire, per amor suo, mi diate forze per non più offendervi. Signore, se riguardassi solo me stesso, non ardirei alzare gli occhi, né potrei aspettarmi che castighi, ma alzo con confidenza le mani al Cielo in nome del vostro diletto Figliuolo, e vi porto una polizza sottoscritta col suo nome, e con lettere del suo Sangue, vedetela, leggetela, dove troverete che mi fa una donazione di tutti i suoi meriti, che sono infiniti, e io li ho accettati, talché mi siate debitore per giustizia di darmi quanto vi domando, perché non sono più suoi, ma miei, avendoli rifusi a me; onde domando mi sia dato quel che esso mi ha meritato, e so che nessuna cosa potete negare a chi tanto amate, e a tanto obbligato siete, perché così buono e giusto.

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In questo modo l'uomo non più tanto trema al presentarsi alla Maestà Divina. Dio eterno Re del Cielo ripercosso dalla coscienza dei propri peccati e dalla propria indegnità, ma si sente rinvigorito, e col cuore allegro non dubita d'ottenere quanto chiede.

Asc,2269b:T3

Modo d'eccitarsi ad amare Dio solo L'anima che ama il suo bene deve (qual Colomba che volando sull'acqua non ha dove posarsi, si ritira dalla terra) gettarsi in Dio, dove si trovano tutti i beni con infinita perfezione, e sono eterni, e saziano il cuore, e fanno l'anima beata, e si acquistano amando. Oppure come il Cervo che ha sete, mette la bocca al fonte, così l'anima s'alzi a Dio, e getti se stessa in quel pelago di bontà, e gusti quanto è soave il suo Signore, e dia licenza al suo cuore, che col peso di suo amore si lasci a piombo cadere in Dio, e sebbene non si senta accesa, ma fredda nei suoi affetti, non lasci di sforzare dei desideri e parole infuocate per dimostrarsi innamorata di Dio, perché se persevera in quelle dimostrazioni, parole, e segni d'amore, e trattare con Dio come amatore fervente, troverà col tempo che veramente l'ama; come accade a chi ha bisogno di dormire, ma non ha sonno, eppure vorrebbe dormire, per provocare il sonno si mette a giacere, chiude gli occhi, lascia ogni pensiero, finge di dormire, alfine di nascosto s'insinua il sonno, e dorme davvero. Così in quest'esercizio si abbia pazienza se non subito si accende il fuoco, perché il cuore nostro pieno d'amore del mondo e di se stesso è come un legno verde che con tutti i carboni accesi di sotto, e sebbene si soffi, non subito s'accende; prima fa fumo solamente, poi fa fumo e fiamma, alfine fa fiamma senza fumo. Così accade a chi pregia la bellezza mortale che con usare parole studiate, forzate d'amore, lodando, cantando, fingendosi innamorato, infine s'accende d'amore, e tutto si consuma per l'oggetto amato. Quanto più s'accenderà all'amore di Dio chi dopo aver contemplata la divina Bellezza adopererà affetti, parole, gesti che usano i veri amanti dell'eterna Bellezza di Dio appunto per giungere ad amare Dio con tutte le forze, con tutta la volontà, come ci è comandato.

Asc,2271:S

Expositio Cantici Canticorum Note con graffe, di mano Lanteri. AOMV, S. 2,9,5:271 Pubblicate in Lanterianum, novembre 2000, pag. 12-17 (traduzione italiana a cura di T. Testone pag. 18-22).

Asc,2271:T0,1

Tres sunt Salomonis libri canonici… Tres sunt Salomonis libri canonici, quia Sapientia Divina ad triplicem statum nos ordinat. 1o Informat ad passiones regulandas et ad civilem vitam componendam sub debita morum honestate: en Proverbia. 2o Informat ad passiones funditus eradicandas et vitam istam totaliter contenendam per humilem considerationem vanitatis et miseriæ hujus vitæ: Ecclesiastes. 3o Docet ascendere ad sapientiam amorosam et extaticum Dei amorem cujus initiatio est in hac vita et consumatio transit ad alteram vitam: Cantica Canticorum. Cantici Canticorum finis et sensus est de extatico connubio Dei et animæ per ejus amorem inflammantem et in contemplationis excessum sublimandæ et sublimatæ.

Asc,2271:T0,2 Tres ejus partes: De Amore Nuptiali 1o Prout est desponsationem inchoans. 2o Prout est ad regalem gloriam sublevans: En lectulum Salomonis (c. 3, 7). 3o Prout est spiritualis prolis procreationi et gubernationi condescendens: Descendi in hortum meum (c. 6, 10). In prima parte ostendit quomodo trahitur ad sponsi amplexum per conatum proprium ferventium desideriorum et virtualium pugnarum – Recti diligunt te (cap. 1, 4), ibi sponsa sponsi petit osculum ostendens sui desiderium, motivum et allectivum; sentiens se sua virtute non posse ad hoc

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pertingere petit sui tractum, promittens post hunc celare cursum – Trahe me post te (ib. c. 1, 3), ostendit qualiter post hæc est introducta ad sponsi osculum, promittens ex hoc assiduum divinæ laudis jubilum – Introduxit me (ib. c. 1, 4). Et per sponsi illapsum – Vox dilecti mei (cap. 2, 8). Et per sponsi abscessum altivolum et sui absconditum – Revertere, similis esto (c. 2, 17). N.B. Licet primo oporteat sponsam trahi ad sponsum quam pertingat ad osculum ejus, tamen prius præcedit desiderium osculi, quia finis prior est in desiderio, quam via et auxilium ad illam.

Asc,2271:T0,3

In Cantica Canticorum Duo prima capita Cantici Canticorum sunt velut compendium reliquorum 6 capitum.

Asc,2271:T1

Cap. 1 Primis sex versibus petit omnia salutis et perfectionis suæ primordia, media et summa. Vers. 7 ad 11 instruit ad viam perfectionis h.e. præcipuarum virtutum studia; a vers. 11 ad finem mutuis laudibus se excitant ad ardentiorem amorem.

Asc,2271:T1,1 Vers. 1 Osculetur me osculo oris sui: hoc est suæ sapientiæ quæ ex ore altissimi prodivit, significat conjunctionem, unionem et contactum spiritualem Dei et animæ. Osculum multiplex: 1o incarnationis quo Filius Dei hypostatice unitus est naturæ nostræ. 2o sanctificationis quo Spiritus Sanctus unitur nostris singulorum animabus. 3o reconciliationis cum Deo per baptismum et pænitentiam. 4o instructionis per S. Scripturam, per illuminationes internas, per revelationes et per monita et exempla aliorum. 5o familiaritatis et recreationis per internam conversationem per epulum Eucharistiæ, et per alias delicias. 6o incrementi amoris, amicitiæ, et gratiæ per auxilia excitantia, adjuvantia, attollentia in Deum. 7o beatitudinis æternæ qua essentia divina perfectissime unitur animæ et perpetuo possidebitur.

Asc,2271:T1,2 Vers. 2 Oleum effusum nomen tuum: hoc est, tu ipse per beneficia creationis, conservationis, cooperationis, justificationis et beatificationis; per teipsum et tuam essentiam quia ubique præsens, effusus et in immensum diffusus. Per oleum, ratione unionis hypostaticæ, perfectissimarum gratiarum in omni genere; effusum in omnes homines a mundi origine usque in æternitatem per gratiam et gloriam quam singulis promeruit omnium redemptor et princeps.

Asc,2271:T1,3 Vers. 3 Trahe me: hoc est Tu, non mundus et caro, tu solus tua gratia, hoc est mentem illumina et affectum inflamma. Trahe me in vinculis caritatis, et si non sufficit, adde flagella et compelle intrare. Nec mihi sufficit gratia communis ad talem qualem amorem tui vel ad ordinaria exercitia virtutum. Sed posco auxilia maxima et potentissima quibus exciter et juver ad actus heroicos, et quidem non obiter et perfunctorie, sed continuo et permanenter exercendos; non semel iterumque; per diem, sed perpetuo et constanter sequar te; nec modo otiosa et languida, sed omni studio, diligentia et zelo alios lucrandi. Post te et simul curremus: ferventissime et celerrime, post te sequendo tua vestigia, præcepta, consilia et exempla heroica. In odorem unguentorum tuorum: hoc est allectæ cælestibus illustrationibus et piis affectibus et consolationibus quæ sunt quasi signa divinæ tuæ præsentiæ et invitationis et quasi illecebræ quibus animas trahis.

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Asc,2271:T2,1

Cap. 2 Vers. 9 En ipse stat post parietem: hoc est Verbum divinum se manifestat per carnem assumptam, S. Eucharestiam, et cælos et alias creaturas. Unde est Deus absconditus, sed non quin adverti possit, nam respicit per fenestras, et fenestrarum cancellos quæ sunt creaturæ omnes, S. Scripturæ, imagines rerum spiritualium.

Asc,2271:T2,2 Vers. 10 En dilectus loquitur mihi: hoc est pressius me cubantem et dormientem excitans. Surge: ab omni affectu terreno quo es dissimilis mihi attollere ad præexcelsa et magnifica ad quæ te voco. Propera: ne nectas morar, dilatio nocet, ne cesset donec fias mihi prorsus similis et mecum unum quid. Veni: ad me, ducam te ad summum perfectionis gradum.

Asc,2271:T2,3 Vers. 14 Surge amica mea ad foramina petræ, ad cavernam maceriæ. Designantur vulnera manuum, pedum et lateris Christi, perfectiones divinæ per quas ad divinam Majestatem prorepimus, angelorum presidia quibus vineæ cinguntur, S. Scripturæ et quævis creaturæ, per quas ad divina contendimus. Ibi pro placito te abscondes, mecum conquiescas et vacabis a periculis, insidiis et strepitu; libere vacabis optatæ contemplationi. Ostende mihi faciem tuam: semper ad me conversa, intuere me tibi continuo præsentem et complectentem te et tua.

Asc,2271:T2,4 Vers. 16 Dilectus meus mihi: hoc est unicus sponsus et dilectus mihi est omnia creator, magister, Dominus, pastor, pater, sponsus, via, veritas, vita; redemptio, santificatio, justitia, sapientia; spes, salus, gaudium, beatitudo. Solus mihi sufficit quia in illo omnia possideo. Solus ipsi sufficio qui præter me nil aliud requirit a me. Ipse mihi, ego illi: mutuo contenti sumus.

Asc,2271:T3,1

Cap. 3 Vers. 1 Quæsivi quem diligit anima mea: utpote summum bonum et ultimum finem meum, qua quæsitione nil sublimius, utilius et jucundius. Quæsivi per noctes afflictionis, desolationis et ariditatis. In lectulo meo hoc est pigre, desidiose nimirum mihi indulgens, et meæ unius studens quieti, tranquillitati, delectationi etiam in oratione, in meditatione, in studio virtutum. Quæsivi illum et non inveni: nam occupabat solus mei ipsius amor proprius, nam amor divinus quærendus est a loco quietis, lectulo florido strenuis virtutum actibus, sanctis et puris intentionibus, inflammatis desideriis. Surgam et circuibo: hoc est neglecto orationis studio, totam me immergam occupationibus non profanis sed honestis, religionis, in bonum proximi mei sed meque inveni, quia illæ immoderatius assumptæ et plures quam par est animum abstrahunt, dilacerant, terræ et amori proprio affigunt. Invenerunt me vigiles: angeli custodes, confessores, consiliarii, hi docuerunt me incumbere orationi pro virili, non causa meæ quietis et oblectationis, sed ut divinæ voluntati per omnia obsecundem; externis occupationibus me dare cum magna discretione, et me altius non emergere quam exigat vel

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propria utilitas, vel proximi necessitas; patienter præstolari me arbitrando indignam minimo munuscolo et dignissimam maximis pœnis. Paululum pertransivi: hos vigiles, hoc est divina sponsi vocatione me altius attollente (nam singulare Dei donum est, nec sola instructione vel hominum, vel angelorum; nec proprio solo conatu obtineri potest). Inveni quem diligebam, et in eo veram pacem, solidam tranquillitatem, plenum gaudium.

Asc,2271:T3,2 Vers. 4 Tenui eum nec dimittam: Tenui crebra cogitatione, continuo amore, morum imitatione, his velut osculis et amplexibus illum mihi teneo adstrictum, et intime unitum, unum cum illo me efficio. Tenui sic dilectum meum, nec scivi me divelli ab ejus amplexibus imo firmiter statui non dimittere illum. Donec introducam in domum matris meæ hoc est meam, nempe in cor meum, et mentem meam quæ est pars superior et nobilior animæ ubi resident virtutes theologicæ, et dona Spiritus Sancti etc., et ibi fovere intimam cum Deo familiaritatem et illo perpetuo frui.

Asc,2275:S

Pratiche di pietà durante l'anno liturgico Testo di mano Lanteri, disposto in schemi con graffe. AOMV, S. 2,9,9:275

Asc,2275:T

Pratiche di pietà durante l'anno liturgico: del modo di santificare i mesi di ottobre, novembre, e dicembre, ossia: degli angeli custodi, delle 8 beatitudini, e del S. Avvento.

Asc,2275:T1

Avvento Castità: 1) Mortificazione esterna dei sensi; 2) Mortificazione interna dell'immaginazione, intelletto, e volontà. Umiltà: 1) Interna, d'intelletto e di volontà; 2) Esterna, circa le azioni.

Asc,2275:T2

Natale fino alla Purificazione 1) Povertà nel disprezzo dei beni della terra opposto o contro la stima che se ne ha; nel distacco del cuore contro l'amore che si ha alle ricchezze: Natività. 2) Obbedienza alla legge di Dio ed ai disegni della Provvidenza: Circoncisione. 3) Divozione pronta, coraggiosa, affettuosa, operativa: Adorazione dei Magi. 4) Prudenza a fuggire le occasioni del peccato: Fuga in Egitto. 5) Zelo come tollerare i peccatori e vivere in mezzo ai cattivi: Dimora in Egitto. 6) Religione, rendere a Dio l'onore che si deve, alla Chiesa la sottomissione a quel che comanda: Purificazione.

Asc,2275:T3

Purificazione fino alla Quaresima 1) Rispetto e sommissione ai superiori, agli uguali, agli inferiori. 2) Obbedienza alla volontà e alla legge di Dio con fedeltà, attenzione, e sommissione di giudizio e di volontà. 3) Vita nascosta. 4) Studio d'avanzarsi nella virtù.

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Asc,2275:T4

Quaresima: penitenza quanto: 1) All'odio ed orrore del peccato come offesa di Dio. 2) Alla tristezza di averne commessi tanti, e dei tristi effetti che ne risente. 3) Al proposito di non più commetterlo. 4) Alla soddisfazione e modo di praticarla. 5) Al modo di distruggerne la radice col combattere il desiderio dei beni che Gesù disprezzò, e col combattere il timore dei mali che Gesù cercò. 6) Alla mortificazione: dei sensi, ad esempio del Crocifisso, e del cuore.

Asc,2275:T5

Pasqua fino all'Ascensione 1) Allegria: esercitandola con Gesù risorto, con Maria Vergine, con gli Angioli, con la Maddalena, con S. Pietro, con i discepoli d'Emmaus, con gli Apostoli. 2) Fede. 3) Speranza per i beni e mali spirituali e corporali. 4) Speranza del perdono dei peccati. 5) Speranza degli aiuti per combattere. 6) Speranza della vita eterna.

Asc,2275:T6

Dall'Ascensione a Pentecoste Preparazione per ricevere lo Spirito Santo.

Asc,2275:T7

Da Pentecoste a S. Giovanni Carità: 1) Amor di scelta, di stima, di preferenza; 2) Amor d'unione. Eucarestia come 1) Sacrificio; 2) Sacramento.

Asc,2275:T8

Da S. Giovanni fino all'Assunzione 1) Amor a Gesù tenero negli affetti e veemente negli ardori. 2) Amor a Gesù forte e trionfante. 3) Amor a Gesù effettivo. 4) Amor per Gesù verso il prossimo in genere. 5) Amor per Gesù verso gli afflitti. 6) Amor per Gesù verso i peccatori.

Asc,2275:T9

Dalla Natività di Maria Vergine fino all'ottobre 1) Temperanza. 2) Fortezza. 3) Timor di Dio, filiale e servile.

Asc,2275:T10

Ottobre: Divozione agli Angioli 1) Custodi nostri. 2) Custodi degli altri. 3) Della seconda gerarchia. 4) Della terza gerarchia.

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Asc,2275:T11

Novembre 1) Studio d'attendere alla santità con distaccarsi dal male ed attaccarsi a Dio. Mezzi alla santità: 2) povertà di spirito. 3) Dolcezza. 4) Divenir pacifico. 5) Pronto a soffrire ogni persecuzione.

Asc,2275:T12

Festa di: S. Giuseppe Della Concezione Della Natività Dell'Annunciazione Della Purificazione Dell'Assunzione

Asc,2275:T13

Per il mese di ottobre Gli Angioli Custodi si meritano bene il vostro onore e la vostra riconoscenza per le sollecitudini che si prendono di voi, perciò questo mese s'impiegherà ad onorarli come di dovere.

Asc,2275:T13,1,1

1a Settimana Fisserò i miei pensieri al mio Angelo Custode per attestargli le mie più tenere affezioni. Poiché la divina Provvidenza con tanta bontà dal primo momento della nascita vi diede uno dei suoi Spiriti beati per custodirvi e difendervi, voi che siete cotanto inferiori a queste pure intelligenze, quale rispetto non esige la sua presenza! Quale riconoscenza non richiedono i suoi soccorsi! Quale sommissione non domanda la sua condotta! Quanta confidenza non dà la sua protezione, e quanta consolazione non dà la sua compagnia! Leggete S. Bernardo sul Salmo: Qui habitat.

Asc,2275:T13,1,2 La pratica sarà: 1) Alla mattina dopo averlo ringraziato delle sollecitudini che ebbe per voi tutta la notte (poiché egli veglia quando voi dormite), gettarvi nelle sue braccia, confidarvi alla sua condotta, domandargli consiglio nei dubbi, soccorso nelle tentazioni, consolazione nelle afflizioni, e trattenervi con lui nella solitudine del vostro cuore come fareste con un amico con confidenza, con un principe della terra con rispetto, con un padrone con sommissione, con un benefattore con riconoscenza dei beni procurativi dal primo momento della vostra vita. 2) Alla fine del giorno: ringraziarlo della buona guida, chiedergli perdono di non aver corrisposto alle sue sollecitudini; pregarlo di non ributtarvi per le nostre infedeltà e di continuare a vegliare sopra di noi; concludere con l'Angele Dei. Mittam Angelum meum qui te custodiat, observa eum.

Asc,2275:T13,2,1

2a Settimana di ottobre Considererò gli Angeli Custodi impiegati alla condotta degli altri, i quali vegliano sui diversi stati; sono commessi alla conservazione degli Ordini religiosi e presiedono nei luoghi santi, cioè nelle chiese. Presterò loro i miei rispetti e la mia riconoscenza: li considererò come perfetti modelli di carità, di pazienza, di preghiera per noi, e di vita che debbo tenere con gli altri. I motivi sono:

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gli avvantaggi della loro natura; l'eccellenza della grazia e della gloria cui sono innalzati; la dipendenza ed i bisogni che abbiamo del loro favore; i beni innumerevoli che riceviamo dalla loro bontà che ci prestano con tanto amore e sollecitudini costanti ed inviolabili. Quanto sono potenti questi motivi per indurci, ove non siamo insensibili, a rendere loro i nostri doveri!

Asc,2275:T13,2,2 La pratica: 1) Nella Società indirizzerò il primo atto di rispetto agli Angioli custodi come a personaggi più onorevoli: li pregherò di vegliare che Dio non sia offeso, di aiutarmi a procurare la gloria di Dio e di Maria; mi guarderò di non scandalizzare ed offendere alcuno, massime i piccoli, i poveri, gli afflitti, per non contristare i loro Angioli. 2) Quanto ai beni che mi vengono, io li riceverò come effetti delle loro sollecitudini e preghiere e mi guarderò di abusarne contro il servizio di Dio per non affliggerli. 3) Entrando nelle chiese io saluterò gli Angioli che vi presiedono e procurerò di rendermi imitatore delle adorazioni e delle lodi che rendono a Dio. 4) Queste pratiche io le continuerò tutta la vita, poiché continuano sempre i benefici che riceviamo dagli Angioli. In conspectu Angelorum psallam tibi.

Asc,2275:T13,2,3 La 1a gerarchia assiste al Trono di Dio e contiene: – I Serafini che sono accesissimi ed ardono d'eccessivo amor di Dio, e lo trasfondono negli altri. – I Cherubini che sono tutta luce, e pieni d'intelligenza di Dio, forniti di una mirabile e profonda cognizione di Dio, e la comunicano agli altri. – I Troni formano specialmente la Sede di Dio, godono una gran pace e sicurezza, la quale sogliono partecipare agli altri. La 2a gerarchia è impiegata intorno agli altri Angioli e contiene: – Le Dominazioni hanno un gran potere sopra ogni cosa creata e particolarmente a loro si riferiscono come a principi i ministeri degli altri Angioli. – Le Potestà hanno tutta l'autorità sopra i Demoni e ad ogni suo cenno proibiscono loro di nuocere o permettono d'esercitare la loro malizia. – I Principati rappresentano la Maestà e la Dignità dell'Altissimo e impongono e commettono alle Virtù l'esecuzione degli ordini di Dio. La 3a gerarchia si occupa degli uomini e del rimanente creato, e contiene: – Le Virtù sono costanti a ricevere ed eseguire le ordinazioni di Dio, ed operano particolarmente miracoli e cose prodigiose. – Gli Arcangeli sono particolarmente consapevoli, e Ambasciatori di sublimi arcani di Dio. – Gli Angioli sono gli Ambasciatori ordinari dei voleri di Dio.

Asc,2275:T13,3,1

3a Settimana d'ottobre Ascenderò alla seconda gerarchia che riguarda la gloria di Dio nella condotta degli Stati e dei Regni. Si comprendono: le Dominazioni che significano agli ordini inferiori la volontà di Dio, di Gesù loro capo e di Maria che riconoscono per Regina; i Principati che vegliano sulla condotta dei regni e delle provincie; le Potestà occupate a resistere alle forze dell'Inferno e a rompere gli sforzi dei Demoni che cospirano a corrompere il mondo e a turbare l'ordine del Creatore.

Asc,2275:T13,3,2 Pratica: 1) Ammirare la Provvidenza nel bell'ordine stabilito da Dio per la condotta dell'universo. 2) Ringraziare Dio con sentimenti di gioia d'aver sommesso gli spiriti beati a Gesù e a Maria. 3) Ricevere i beni temporali come effetti della loro bontà, offrirli a loro in riconoscenza. 4) Ricorrere ad essi nelle necessità pubbliche e particolari. 5) Mettersi sotto la loro protezione quando la tentazione vi premerà d'avvantaggio.

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6) Adorare con sommissione perfetta i giudizi di Dio nei disordini che arrivano nel mondo, imitando in questo la conformità della volontà degli Angioli a quella di Dio. Qui facis Angelos tuos spiritus;… benedic anima mea Domino.

Asc,2275:T13,4,1

4a Settimana d'ottobre Ascenderò alla prima gerarchia per riconoscere la gloria che rendono a Dio, cui s'attaccano unicamente ed imitarli in questi doveri così gloriosi. I Serafini tutti ardenti alla vista delle sue incomparabili perfezioni non respirano che il suo amore, l'amano di tutto cuore e gridano incessantemente agli uomini e ai beati che non conviene altro amare che Lui. I Cherubini pieni di luce che si spande dalla faccia di Dio e dal suo trono, occupati dalla contemplazione delle sue grandezze, non hanno altro desiderio che di conoscerlo e farlo conoscere da tutti. Così onorano la sua Sapienza. I Troni illuminati dalla luce che si spande dai Cherubini e riempiti del fuoco di cui abbruciano i Serafini, contenti di conoscere ed amare Dio, sono in un riposo profondo come per ricevere un Dio, per servirgli di trono, e far trionfare da per tutto la sua Maestà.

Asc,2275:T13,4,2 La pratica che segue da queste sublimi cognizioni si è: 1) Ringraziare Dio della gloria cui li ha elevati. 2) Rallegrarsi con essi della loro felicità. 3) Farli conoscere ed onorare da tutti per quanto si può. 4) Domandare loro di ottenerci la grazia di conoscerlo ed amarlo come essi, e di vivere in ispirito d'unione e pace per servire di dimora a un Dio venuto a portare la pace. Ma siccome l'imitazione è ciò che più piace ai Santi, cercherò d'imitare le virtù degli Angioli per partecipare alla loro felicità; onde passerò i due primi giorni nel desiderio di conoscere e far conoscere Dio, con frequenti giaculatorie ad imitazione di David; i due giorni seguenti nell'amor di Dio per imitare i Serafini ed essere tutto amore per un Dio che è tutto bontà; i due ultimi giorni nel formare la mia quiete e soddisfazione in questa cognizione ed amor di Dio, per possedere Dio, dirò sovente: “Conosco, mio Dio”; “Io l'amo”; “Cosa posso desiderare di più sulla terra?”. Finalmente tutti i giorni mi unirò agli Angioli per dire cento volte “Sanctus, Sanctus”. Erunt sicut Angeli Dei.

Asc,2275:T14,1,1

Per il mese di novembre

Asc,2275:T14,1,1

1a Settimana Poiché la Chiesa al principio di questo mese ci apre il Cielo e ci scopre la gloria che i Santi vi possiedono, eleviamo i nostri affetti e pensieri verso questo felice soggiorno, ed alla vista di quei beni eterni e dell'esempio dei Santi concepiamo una risoluzione degna di figliuoli dei Santi che è di farsi Santo, e siccome la santità consiste nel distaccarsi dal male ed attaccarsi unicamente a Dio, questa ferma volontà ed inviolabile sia l'impiego di questa settimana e di tutta la vita.

Asc,2275:T14,1,2 I motivi: 1) La volontà di Dio che ci ha messi al mondo per questo ed ha attaccata la nostra salute e predestinazione alla santità. 2) Le pene immense che Gesù Cristo ha sofferto per prepararci i mezzi che ci aiutino e procurarci gli esempi che vi ci conducano, e tutto questo dovrà essere perduto? 3) I Santi che gridano dal Cielo che le ricompense e la gloria che coronano le loro fatiche sono infinitamente superiori ai loro meriti, e tutto il resto fuor della santità è tutto follia e vanità.

Asc,2275:T14,1,3

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La pratica sarà: Concepire una forte risoluzione ai piedi dell'altare, alla presenza di Gesù e di Maria, di travagliare seriamente alla Santità. Rinnovare ogni mattina simile risoluzione. Osservare esattamente le regole che sono i mezzi datici da Dio per giungervi, massime quelle che riguardano più immediatamente il servizio di Dio. Cercare la compagnia di quelli con i quali potete trattare la pratica della santità. Conversare con i Santi in Cielo, imparare da essi che tutto il resto non è che vanità. Rimirare il Cielo sospirando come il luogo della nostra felicità ed il termine dei nostri travagli. Sancti estote.

Asc,2275:T14,2,1

2a Settimana di novembre Propostaci la gloria dei Santi e la santità come il termine dei nostri desideri, sono da considerarsi i mezzi di acquistarla compresi nelle lezioni lasciateci da Gesù, dette Beatitudini, perché ci aprono la strada alla vita beata. Se ne propongono 4 perché delle altre si è parlato nei capi antecedenti. Il mondo si opponga finché vuole; Gesù l'ha detto, e sarà sempre vero che i ricchi sono degli infelici ed i poveri di spirito sono beati: questa è la prima lezione lasciataci che conviene praticare. La povertà di spirito consiste ad abbandonare effettivamente i suoi beni, ovvero se Dio ci ha messi in questo stato di amarlo perché ci rende più simili a Gesù. Consiste nel non attaccare il nostro cuore e il nostro affetto a questi beni, se ci troviamo fra i comodi di questa vita, ed essere così poveri di spirito e di cuore se non lo siamo in effetto.

Asc,2275:T14,2,2 Il motivo non sarà altro che quello propostoci da Gesù Cristo, cioè il possesso del Regno dei Cieli che non s'acquista che con la povertà di spirito. Si aggiunga l'esempio degli Apostoli e di tanti Confessori i quali, per aver abbandonato tutto ed amato la povertà, possiedono il Cielo. Procuriamo d'entrare nei loro sentimenti.

Asc,2275:T14,2,3 Per la pratica non si chiede che abbandoniate effettivamente i vostri beni, riteneteli, ma usateli cristianamente. Persuadetevi di questa verità: che un cuore attaccato alla terra non può pretendere al Regno dei Cieli, che non v'è che Dio ed il Cielo che meritano la nostra stima ed il nostro affetto. Risoluzione di perdere tutto piuttosto che perdere Dio, di morire che perdere la vita dell'anima con un peccato, quand'anche si trattasse di acquistare un mondo. Trattenetevi in questi sentimenti di disprezzo dei beni della terra e di desiderio dei beni eterni. Dite sovente: Là, o anima mia, si trovano quei gran beni e quelle grandi corone che Dio ci ha preparato. Beati pauperes spiritu.

Asc,2275:T14,3,1

3a Settimana di novembre La seconda beatitudine e lezione si è la mansuetudine. La mansuetudine è una virtù che, moderando i moti della collera e il fuoco del naturale violento, ad un tempo tiene l'anima in pace e spande la dolcezza nei pensieri e nelle azioni.

Asc,2275:T14,3,2 Motivi: Questa virtù quanto è amabile e potente per regnare sui cuori, per trattenere la pace e la carità, procurare nell'anima un'immagine del Cielo sulla terra. In Gesù non v'è niente che non vi ci porti, quanto alla persona, al nome, alle parole, alle azioni, basta il considerare la persona, pronunciare il nome, ascoltare le parole, studiare le azioni per imparare questa lezione. La sua dolcezza è stata sì grande che né la crudeltà né i tormenti non hanno potuto inasprire il suo cuore; si trova tra i carnefici come un agnello che non apre neppure bocca per lagnarsi.

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In Maria non v'è stato che dolcezza. Essa è una casta colomba che non ha né fiele né amarezza, né nel cuore, né sulla lingua, né nelle azioni. Dunque per essere riconosciuti da Gesù e da Maria, conviene prendere la risoluzione di imitare la loro dolcezza.

Asc,2275:T14,3,3 La pratica non è difficile; conviene vegliare su se stesso per non far niente con precipitazione, impazienza e violenza. No, non dirò una parola sgraziosa, non farò un'azione scompiacente e un moto violento, invece mi studierò ad addolcire le mie parole, a spandere la dolcezza sul mio volto. E per riuscirvi più facilmente considererò le azioni di Gesù Cristo, ascolterò le sue parole piene di dolcezza e se mi sarò lasciato trasportare, non mi scoraggerò e non mi irriterò per essermi impazientito, ma mi riprenderò con dolcezza. Beati mites.

Asc,2275:T14,4,1

4a Settimana di novembre Non basta per contentare il Cuore di Gesù, di tenere il suo cuore in pace con la dolcezza, conviene, per portare il glorioso titolo di figliuolo di Dio, da per tutto portare la pace e far regnare Dio che non regna che per via della pace. Questo è l'esercizio di questa settimana proprio dei figli di Maria, che l'unione dei cuori deve far regnare nella pace e nella carità.

Asc,2275:T14,4,2 Motivi: La promessa che Dio loro fece di riconoscerli per suoi figli, è ben capace di portarli a questa felice ed amabile pace, la quale è così apprezzata da Dio che non ha inviato il suo divin Figliuolo che per portarla. Infatti Gesù nascendo l'ha fatta annunciare, vivendo l'ha predicata, morendo l'ha confermata, dopo la risurrezione l'ha portata dappertutto. Comanda ancora ai discepoli di conservarla tra di loro come carattere del suo amore e di portarla da per tutto dove andranno. È dunque l'officio di Gesù il portare dappertutto la pace. Non vi è dunque impiego più degno di questo per i suoi figli.

Asc,2275:T14,4,3 La pratica si è di: 1) Guardarsi con somma diligenza dal non mai gettare la discordia e la divisione negli spiriti con i consigli, discorsi, rapporti, l'esempio. Temere questo peccato come uno di quelli che è più detestato dal nostro Padre celeste, il quale non può soffrire questi spiriti di divisione che seminano le querele e portano la discordia da per tutto. 2) Impedire le querele e calmarle. Travagliare con tutta l'industria che può suggerire la carità per raddolcire gli spiriti e riunire i cuori. Impiegare gli uomini e gli Angioli per mezzani di questa pace. Domandarla a Dio per i meriti del gran Pacificatore e l'intercessione della Regina della pace. Beati pacifici.

Asc,2275:T14,5,1

5a Settimana di novembre Gesù l'ha detto, e il suo Apostolo ci avverte che tutti coloro che vogliono vivere con Gesù Cristo ed essere Santi saranno odiati dal mondo e perseguitati dai mondani. Ma non sono per questo disgraziati perché il Salvatore, la di cui stima fa la felicità degli uomini, li giudica beati. Coraggio, dunque, conviene risolversi ad essere maltrattato dal mondo e dagli empi, ed essere nonostante costante nel servizio di Gesù e di Maria. Questo esercizio finirà e coronerà gloriosamente l'anno.

Asc,2275:T14,5,2 Motivi:

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Per rassodare il vostro coraggio non vi propongo né l'estensione del Regno dei Cieli che Gesù ci apre nella settima Beatitudine, né la grandezza delle ricompense promesse nell'ottava. Basta dire che Gesù è passato per questa strada, che le persecuzioni e le croci, i disprezzi e gli oltraggi sono le gloriose livree dei suoi servi, perché sono state la porzione del loro buon Maestro, il quale malgrado queste difficoltà non ha mai abbandonato l'opera della nostra salute. Basta il dire che non vi ha niente di più accetto a Dio che un'anima costante e fedele nel suo servizio in mezzo a tutte le persecuzioni del mondo.

Asc,2275:T14,5,3 La pratica sarà una risoluzione inviolabile di restare costante nel servizio di Dio. Quantunque diventiate talvolta soggetto delle risa degli spiriti libertini che vorreste guadagnare a Dio, siate fermi, ricevete tutto con pazienza e piacere. Rallegratevi di ciò che Dio vi giudica degni d'essere trattato come il suo Figlio. Guardatevi di non rattristarvi e di non rendere male per male, e soprattutto di non cangiare, ma di superare tutte queste difficoltà per l'amor di colui che ci ha amati fino negli orrori della morte. Beati qui persecutionem patiuntur.

Asc,2275:T15

Per il tempo dell'Avvento L'Avvento ci apporta l'amabile nuova della venuta del Salvatore e ci serve d'un dolce e salutare avviso di prepararsi a ricevere lo spirito che è venuto a spandere e comunicare agli uomini. La preparazione dei figli sarà quella della Madre, placuit virginitate, concepit humilitate. La virtù della castità prepara il corpo per ricevere il Figlio d'una Vergine, l'umiltà dispone l'anima a ricevere un Dio umiliato fino all'annientamento. La castità è una virtù che modera tutte le affezioni sregolate ai piaceri del senso conforme alla legge divina ed alla ragione. I motivi d'attendere all'acquisto di questa virtù che è il carattere dei figli della Vergine si prendono dall'esempio di quelli che riconosciamo per nostri Patroni. Questi sono: 1) Gli Angioli Custodi che ci circondano, sono puri spiriti, hanno orrore per le anime attaccate alla carne e al sangue. 2) S. Giuseppe che per la sua castità meritò d'essere sposo d'una Vergine, non soffrirà mai nel numero dei suoi servi gli spiriti carnali. 3) Maria che non volle essere Madre di Dio se cessava di essere Vergine, non vuole dei figli che non siano casti. 4) Inoltre le ardenti propensioni del Cuore di Gesù per quest'amabile virtù, poiché conviene che sia una vergine per riceverlo in terra ed essere sua Madre, [e che sia] casta per essere sua sposa, tenergli compagnia, approssimarsi all'altare e ricevere il suo corpo verginale. Si è un fare oltraggio a Gesù ed allo Spirito Santo obbligarlo a dimorare in un corpo così macchiato, e non vi dimorerà mai.

Asc,2275:T15,1,1

1a Settimana dell'Avvento Siccome l'impurità entra nel cuore per i sensi che sono le porte più aperte alla tentazione, così non v'ha mezzo più sicuro che la mortificazione dei sensi; epperò questa settimana sarà occupata in una vigilanza ben esatta per non lasciarli sfuggire.

Asc,2275:T15,1,2 Il motivo: 1) Il pericolo evidente di perdere questa bella virtù, come consta dalle spaventevoli cadute, anche d'anime grandi, ora per uno sguardo curioso, ora per un'azione libera. Servirà pure di motivo il mistero corrente. 2) Il Salvatore: nelle caste viscere della Vergine vi è in un'intiera mortificazione dei suoi sensi; nell'Eucarestia questa mortificazione dei sensi è così particolare e grande che se ne interdice perfino l'uso, ha occhi e non vede, ha orecchie e non ascolta, etc. 3) La Ss. Vergine volle né vedere, né trattare coll'Angiolo perché aveva preso corpo umano, finché non fu assicurata che la sua purità non ne sarebbe stata interessata.

Asc,2275:T15,1,3

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La pratica sarà: 1) Un'attenzione sopra se stesso per tenere i sensi in dovere; per evitare tutte le sorprese; per impedire tutte le piccole libertà che danno i primi attacchi alla purità. 2) Non dare ai sensi altra libertà che quella che permette la ragione regolata dalle massime del Vangelo. 3) Consacrarli al Verbo incarnato ai piedi dell'altare in vista della sua mortificazione così intera nel seno di Maria e nel tabernacolo. Sarebbe bene destinare un giorno della settimana alla mortificazione di un senso particolare. Pepigi fœdus cum oculis meis.

Asc,2275:T15,2,1

2a Settimana dell'Avvento Per conservare la purità, oltre di custodire l'esterno, conviene pure regolare l'interno con un'attenzione, la più costante e la più fedele, cioè: l'immaginazione, con vegliare sulle sue scappate per tenere lontane tutte le cattive immagini; l'intelletto, soffocando nel loro nascere i cattivi pensieri; la volontà, con l'impedire che né le immaginazioni, né i cattivi pensieri non facciano la menoma impressione sui nostri cuori che conviene conservare in una purità inviolabile, come richiedono da noi Dio e Maria.

Asc,2275:T15,2,2 Il motivo sarà questo: 1) Il vostro intelletto e volontà sono il tempio di Dio sulla terra per farvi la sua più grata dimora. Egli vuole riempire l'intelletto dei suoi lumi e accendere la volontà dei suoi ardori per prepararci alla somma verità e bontà, soli propri oggetti dei vostri pensieri ed affetti. Guardatevi che egli trovi lo spirito nell'imbarazzo di mille pensieri che lo faticano e lo corrompono, ed il cuore occupato d'una moltitudine di affetti che lo dividono e macchiano, perché il suo spirito non vi dimorerà, egli esige la pace e la purità per farvi la sua dimora. 2) L'esempio della Vergine che nel colloquio con l'Angiolo si porta con una riserva mirabile, che dovete fare voi? 3) Riflettere come si può comparire avanti a Gesù, Maria, Giuseppe e agli Angioli Custodi con uno spirito turbato da cattive immaginazioni e con una volontà attaccata alla carne e al sangue, mentre essi non sono che purità.

Asc,2275:T15,2,3 La Pratica sarà: 1) Evitare le compagnie, le conversazioni, i giuochi e i divertimenti, i quali dissipano lo spirito ed accendono le passioni, e così impediscono la condotta interiore dello spirito di Dio. 2) Vivere alla presenza continua, ma rispettosa ed affettuosa di Gesù, di Maria e degli Angeli Custodi, i quali hanno sempre gli occhi fissi su voi per osservare i vostri pensieri, parole ed affetti, e soffrono di vedere prostituire quel cuore e quello spirito che è unicamente destinato a Dio. Beati mundo corde, quoniam ipsi Deum videbunt.

Asc,2275:T15,3,1

3a Settimana dell'Avvento L'umiltà è una virtù per cui l'anima alla vista delle grandezze di Dio e delle proprie bassezze si abbassa e si confonde innanzi a Dio, stimandosi indegna di onore e gloria perché dovuta alla sua sola grandezza, e degna all'opposto d'ogni sorta di disprezzo e di umiliazione dovuta alla bassezza, all'infermità, alla malizia ed ai propri peccati. Quanto ella deve essere profonda, dovendo essere proporzionata a grandezze così elevate e a bassezze così prodigiose.

Asc,2275:T15,3,2 I motivi debbono prendersi: 1) Dalla grandezza di Dio, e bassezza della creatura. 2) Dalle umiliazioni del Verbo fino all'annientamento.

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3) Dagli abbassamenti di Maria che non vuole che il titolo di serva, mentre l'Angiolo le presenta l'augusto titolo di Madre di Dio. Ma siccome l'umiltà è interna ed esterna, l'interna sarà l'impiego di questa settimana. L'umiltà interna consiste negli atti di intelletto e volontà, richiedendosi in quello un basso sentimento di se stesso ed un'intera convinzione della propria debolezza; in questa una confusione ed abbassamento affettuoso innanzi a Dio; un amore e desiderio dei disprezzi ed umiliazioni come di una cosa dovuta; un orrore ed apprensione alla gloria che non appartiene che a Dio e che non si può pretendere senza ingiustizia. I motivi si prendono da quanto si è detto, ma particolarmente: 1) Dalle umiliazioni profonde ed annientamenti interiori che praticava Gesù nel seno della Vergine, ed alla vista delle grandezze di Dio. 2) Dai sentimenti della Vergine considerando il suo Figlio ed il suo Dio, così abbassato e così umiliato nel suo seno. Converrebbe essere stranamente avidi della gloria e dell'onore per non umiliarsi alla presenza delle vere grandezze così abbassate.

Asc,2275:T15,3,3 La pratica: 1) Camminare alla presenza di Dio come oppresso dal peso della sua Maestà. 2) Comparire innanzi a Dio sempre in una profonda confusione quando si tratta con Lui, quando si esamina la coscienza e quando si va massimamente all'altare, ove un Dio ha trovato nuovi abissi per umiliarsi innanzi a suo Padre. 3) Esercitarsi in essa con giaculatorie frequenti. Non nobis, Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam.

Asc,2275:T15,4,1

4a Settimana d'Avvento Studiarsi di praticare l'umiltà esterna che appartiene alle facoltà esteriori, regolandone le azioni secondo i sentimenti dell'intelletto e gli affetti della volontà. Essa consiste: 1) A non cercare mai né coi pensieri, né con le azioni la gloria, la stima, l'approvazione degli uomini. 2) A moderare il fasto e l'orgoglio che potrebbe comparire nei gesti, nelle parole, negli abiti e nel portamento di tutto il corpo. 3) A cercare sempre il posto più basso; di più a cedere a tutti; a impiegarsi in azioni basse e dispregevoli; a conversare con i poveri.

Asc,2275:T15,4,2 Il motivo sarà l'esempio del Verbo incarnato che si umilia sensibilmente a segno di farsi uomo, il più piccolo degli uomini; di prendere i contrassegni di peccatore; di passare tutta la vita negli esercizi più umili. Facciamo pure quanto possiamo, ma le nostre umiliazioni saranno sempre ben lontane da quelle di Gesù. Le umiliazione nostre non saranno che superficiali, accidentali, passeggiere, quelle del Verbo incarnato sono e saranno sempre sostanziali, permanenti, eterne.

Asc,2275:T15,4,3 La pratica sarà secondo il bisogno, così, dopo un serio esame della mia vita, se conosco che ricerco la vanità nelle mie parole, azioni, abiti, io regolerò questi secondo le regole e le massime del gran Maestro dell'umiltà; se conosco che cerco la preferenza e cerco d'importarla sugli altri, io cederò a tutti, in tutto; se conosco che ho orrore delle azioni basse, mi impiegherò quanto la prudenza e la carità mi permetteranno, ricordandomi che non vi è stato più convenevole ad una creatura innanzi a Dio che di essere umiliata ed abbassata, e non vi è cosa che glorifichi maggiormente Dio quanto l'umiliazione e l'abbassamento affettuoso della sua creatura. Vilior fiam plus quam factus sum.

Asc,2275:T16,1

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Capo 3. Da Natale alla Purificazione Andiamo alla stalla, o anima mia. Gli Angioli vi ci invitano, Maria e Giuseppe vi ci ricevono, e ci condurranno al Trono di questo Bambino Dio per rendergli i nostri rispetti e le nostre adorazioni. Ma dopo averlo fatto, fermiamoci per imparare la bella lezione che ci dà la Maestà d'un Dio alloggiato in una stalla e coricato sulla paglia, la quale non è che la povertà. Questa consiste in due punti: 1) In un disprezzo generoso dei beni della terra, opposto alla stima che gli uomini ne fanno. 2) In un distacco perfetto del nostro cuore e volontà opposto all'amore ardente che si ha per le ricchezze.

Asc,2275:T16,2 Motivi. Non basta forse per infiammarci alla pratica di così bella lezione, primo, il sapere che è la prima che ci ha dato il nostro buon Maestro, e secondo, considerare, in vedendo quanto soffre sulla paglia, quanto gli costa per facilitarcene l'esercizio? Del resto non temiamo: – Egli è la sapienza di un Dio che non può ingannarsi, che ha fatto questa scelta; vi è cosa più potente per convincerci del disprezzo che dobbiamo fare delle ricchezze e della stima che dobbiamo avere della povertà? – Egli è il Figliuolo d'un Dio che aveva nelle mani tutti i tesori del suo Padre e che li ha abbandonati; vi è cosa più forte per distogliere le nostre volontà e distaccare i nostri cuori dall'amore dei beni di questa terra ed attaccarli alla stalla del Salvatore, affinché non stimino che ciò che ha stimato e non amino che ciò che Egli ha amato?

Asc,2275:T16,3 La pratica sarà d'andare tutti i giorni alla stalla per imparare questa lezione, ma non conviene entrarci che con sentimenti di confusione di vedersi nell'abbondanza dei comodi, mentre il nostro Dio è in un'intera povertà. Bisogna: – Studiarla con la considerazione di tutte le circostanze che la rendono amabile ed imitabile. – Consultare Maria e Giuseppe sui sentimenti che ne hanno, e pregarli di farcene parte. Dirò, ritornando da questa amabile dimora ed entrando in casa: “Dio non aveva per casa che una stalla, ed ancora comune alle bestie”; dirò vestendomi: “Il mio Dio, il mio Maestro è tutto nudo, ed io suo misero servo cerco la pompa e la vanità negli abiti”; dirò coricandosi: “O Dio, voi siete sulla paglia esposto ai rigori dell'aria, ed io non voglio soffrire niente”. Conviene conservare tutto il giorno tali sentimenti, paragonando la magnificenza delle case dove abitiamo con la stalla; il comodo degli alloggi con la mangiatoia; la pompa degli abiti con le lane che coprono il Salvatore. Filius hominis non habet ubi caput reclinet.

Asc,2276a:S

Del dovere dello studio per gli ecclesiastici Note di mano Lanteri. AOMV, S. 2,9,10:276a Pubblicate in Lanterianum, maggio 1998, pag. 17-20.

Asc,2276a:T1 Præcedit scientia virtutis cultum (Gris.). La volontà, potenza cieca, si lascia in tutto guidare dall'intelletto, che è l'occhio della volontà con cui essa discerne il male dal bene; prevede i pericoli di inciampare nel male; conosce l'opportunità d'operare il bene; comprende la bellezza, i pregi, i premi della virtù perché l'abbracci; comprende la deformità, la gravezza, i castighi dei vizi perché li abomini; comprende gli obblighi particolari dello stato perché li adempia. Insomma, comprende il sublime, il grande, l'importantissimo fine dell'eterna salute cui indirizzare si debbono tutte le azioni. Nemo potest fideliter appetere quod ignorat, et malum nisi cognitum non timetur.

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Finem autem opportet esse præcognitum hominibus, qui suas intentiones et actiones debent ordinare in finem (S. Th. 1 p. q. 1). Scientia litterarum quod primum est in homine mores purgat (S. Cass. l. 3 ep.).

Asc,2276a:T2 Lo studio mezzo unico per acquistare la cognizione che si deve avere da un ecclesiastico di Dio e di Gesù Cristo. Ignorantia inter generales causas peccati numeratur (S. Th. 2, 2, q. 53, a. 2 ad 2). Ignoranza: fonte principale di tutti i falli che sogliono commettersi negli esercizi del ministero ecclesiastico, non senza detrimento singolare del divin culto, avvilimento di quei degnissimi Ministri, e danno gravissimo delle anime. Ignoranza: madre di tutti i vizi: Ignorantia mater cunctorum errorum, maxime in sacerdotibus vitanda (c. ignor. d. 38); capital nemica d'ogni sorta di bene: Ubi non est scientia non est bonum (Prov. 19, 2). Ubi non adest suipsius notitia eorumque quæ ad salutem, vitæque statum cognitu sunt necessaria, ibi nullum adest solidum et constans bonum, sed temeritas, imprudentia, error et lapsus quandoquidem homo necessaria scientia destitutus omnia facit præpropere et absque consideratione; sequitur enim animi sui impetus, affectuumque impulsus, adeoque non potest crebro impingere. Adeo annexa est scientia legis, ut simul cum injunctione officii intelligatur etiam et scientiæ legis injunctio (S. Th. 2, 2, q. 16, a. 2 ad 4).

Asc,2276a:T3 Può trovarsi un ecclesiastico ignorante che sia ad un tempo timorato ed esemplare, ma questi sarà un buon cristiano perché osservante della legge e perché sa quæ tenetur scire communiter quæ sunt fidei, et humilia juris præcepta; ma non un buon ecclesiastico qui tenetur scire quæ ad statum et officium spectant. Sarà dunque buon cristiano ed insieme mal sacerdote e confessore. Perché imperitia in ciò che uno è tenuto a sapere, culpæ adnumeratur (L. Imp. de Reg. Juris). Dottrina necessaria ad un ecclesiastico per la sicurezza della salute propria ed altrui. Attende tibi, et doctrinæ, insta in illis, hoc enim faciens et teipsum salvabis, et eos qui te audiunt (1 Tim. 4). Né giova il dire che non è ignoranza sempre voluta, perché è voluta saltem indirecte, et per accidens puta cum aliquis non vult laborare in studio, ex quo sequitur eum esse ignorantem (S. Th. 1, 2, q. 76, a. 2). Quindi è colpa propter negligentiam: ignorantia eorum quæ aliquis scire tenetur est peccatum (ibi art. 4). Che se l'ignoranza nei secolari è dannosa solo ad essi, essa è dannosissima poi ancora agli altri negli ecclesiastici, ed è qual pestilenza crudelissima. Elaborandum itaque est sacerdotibus ut ignorantiam a se quasi pestem quandam abjiciant (Dist. 37, c. ideo, paragr. ut itaque).

Asc,2276a:T4 Quod Christi sumus propter nos, quod presbyteri propter alios (S. Aug.). 1) Il fine per cui Gesù Cristo istituì l'ordine si fu per renderti della sua milizia soldato intrepido, dei suoi Altari ministro vigilantissimo, della sua Chiesa operaio indefesso. 2) Il Sacerdozio è dunque un ufficio pubblico indirizzato al bene e alla salute pubblica. Perciò il Sacerdote viene chiamato: Luogotenente di Dio, Ambasciatore di Cristo, Mediatore tra Dio e gli uomini, Guida, Maestro, Lucerna, Sale di popoli. Ogni ecclesiastico si ordina per faticare per gli altri che deve illuminare, istruire, pascere, salvare. Suo modo Deo in hoc assimilatus quasi Deo cooperans (S. Th. Sup. 3 p. q. 34 a. 1).

Asc,2276a:T5 Est periculum in mora. Negligentia universæ doctrinæ et disciplinæ noverca (Boezio). Esempio di S. Carlo; [vedi] Vita (Giussano) l. 8 c. 29. Vedi rivelazione di S. Brigida; vedi Bilancia del Chiericato (p. 190). Miserum est eum Magistrum fieri qui numquam discipulus fuit. Periculum est ne ordo omnium sanctissimus fiat omnium maxime ridiculus (Dist. 61 c. Miserum est).

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Cum enim nec Medici, nec Pictoris nomen quisque obtineat, ni prius aut morborum naturas consideraverit, aut multos colores miscuerit, invenitur contra Pastor, Sacerdos, Levita non elaboratus, sed recens quantum ad dignitatem simul satus et editus, quemadmodum Poetæ Gigantes fabulantur (Naz. Or. 20). Doceri omnes oportet qui Domini Sacerdotio funguntur, ut et cæteros instruant et sibi proficiant (S. Anacl. Ep. omnibus fidelibus). Multo tempore disce quæ postmodum doceas (Hier. ep. 4).

Asc,2276b:S

Circa l'amministrare i sacramenti Note di mano Lanteri. AOMV, S. 2,9,10:276b Pubblicate in Lanterianum, maggio 1998, pag. 20-21.

Asc,2276b:T1

De obligatione sacerdotis administrandi sacramenta

Asc,2276b:T1

Pænitentiæ Habeantur idonei confessarii et erit reformatio cristianorum. Confessarii debent pollere scientia et bonitate; debet esse in caritate dives, in mansuetudine mellifluus, in prudentia gravis. Ideo Christus posuit Ordinem in Ecclesia ut quidam aliis sacramenta traderent (S. Th. sup. q. 34 a. 1). Ideo sacerdotes appellantur lux mundi, sal terræ, cooperatores Dei. Qui renuunt saluti animarum incumbere titulo imbecillitatis falsam humilitatem habent (S. Fr. Sales). Ista est falsa humilitas, et inventus amoris proprii qui sub hoc specioso prætextu quærit tegere socordiam. Cum Deus aliquod nobis talentum donat, juste petit ut illud exerceamus, unde qui eo utitur et paret magis humilem se ostendit. Superbi. Superbi vere excusam habent ut nullum suscipiant onus quia tales in se ipsis fidunt. Humiles contra magnanimi sunt quia non perpendunt proprias vires, sed in Deo confidunt cui placet in nostra infirmitate suam omnipotentiam extollere (S. Fr. Sales).

Asc,2276b:T2 Sacerdotes constituuntur ut saluti animarum incumbant. “Sicut misit me Pater et ego mitto vos” (Joan. 20, 21); nempe Christus mittit sacerdotes ut in suum officium succederent, et pro eo legationem fungerentur (1 Cor. 3). Ideo quoad promovendos ad Sacerdotium (Trid. Sess. 23 c. 14), requirit ut comprobentur idonei ad ministranda sacramenta. Ideo ipsis confertur potestas duplex sacrificandi et absolvendi, imo specialiter ad hoc munus absolvendi Christus Spiritum Sanctum infudit: insufflavit et dixit: “accipite Spiritum Sanctum, quorum remiseritis etc.” Ergo si Christus misit præcipue sacerdotes ad salvandas animas eas absolvendo a peccatis, sequitur hoc munus proprium sacerdotum et eos ad hoc se habiles reddere debere ne in vacuum dicantur gratiam recipere. Ergo qui ob desideria et metum peccandi dotibus, hoc est Sacerdotio et ingenio et doctrina, sibi datis non utuntur ab his Christus rationem exposcet in die judicii. Nec dicat hoc opus esse caritatis tantum, nam licet sit vere exercitium caritatis, tum non oritur ex simplici motivo caritatis, sed ex proprio officio Sacerdotis cui ex Christi institutione hæc obligatio est annexa (B. Lig. l. 6 n. 625, Praxis Conf. n. 50).

Asc,2276b:T3 Multam malitiam docuit otiositas (Eccli. 33, 29).

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Nil agendo discunt homines male facere. L'acqua che stagna presto imputridisce. L'aria che non si muove facilmente appesta. Cavendum ne ad nos etiam sententia illa terribilis dirigatur quam servus ille audire meruit, qui acceptum talentum noluit duplicare: “serve male et piger, quare non dedisti pecuniam meam nummulariis ad mensam, et ego veniens cum usuris exigissem illam” (Matth. 25, 26, S. Cæs. Arel. hom. 22 t. 7 Bibl. Patrum). Inutilem servum projicite in tenebras exteriores ibi erit fletus, et stridor dentium (Matth. 25, 30). Ad mala quæ propria habemus alienas quoque mortes addimus, quia tot occidimus quot ad mortem ire quotidie tepidi, et tacentes videmus (S. Greg. hom. super Ezech. et Past. p. 2, 6). Noli negligere gratiam quæ in te est, quæ data est tibi cum impositione manuum presbiterii (1 Tim. 4, 14). Il tempo preziosissimo conceduto non per altro che per impiegarlo a trafficare con esso per te e per gli altri il grande acquisto del Paradiso. Particula boni diei non te prætereat (Eccli. 14, 14). Dum tempus habemus operemur bonum (Gal. 6, 10).

Asc,2276c:S

Della mortificazione dei sensi, e della mortificazione interna Appunti di mano Lanteri. AOMV, S. 2,9,10:276c Testo preparato per gli Oblati. Le frasi tra parentesi sono appunti del P. Lanteri scritti in margine al foglio.

Asc,2276c:T1,1

Cap. 1. Della mortificazione dei sensi

Asc,2276c:T1,1

Le sensazioni… (Le sensazioni: i sensi servono a istruire l'animo di ciò che deve cercare, o fuggire per la conservazione del corpo unito. Quest'istruzione sarebbe imperfetta e nulla se non ci aggiungiamo la ragione. Oltre i bisogni i sensi aiutano ancora a conoscere tutta la natura: per mezzo dei sensi l'anima tiene a tutto). I sensi sono come certe vie per le quali l'anima esce come fuori di sé e va a cercare dei piaceri nelle cose aliene dalla sua sostanza (dice S. Gregorio), poiché per mezzo di essi come da altrettante finestre rimira gli oggetti esterni infinitamente a sé inferiori, e rimirandole le desidera, e in questo modo entra in casa la morte dell'anima. Resta dunque sommamente necessario chiudere con somma diligenza questi passaggi affinché la concupiscenza della carne non entri per i sensi; non altrimenti come fa una donna savia che si mette alla finestra solo quando fa d'uopo, ed apre quanto basta per vedere chi si presenta, e né lascia entrare alcuno prima d'averlo esaminato, e non come una donna stordita che si mette alla finestra in ogni tempo per vedere ed essere veduta, s'amusa con chiunque passa, ed apre la porta a chi si sia. L'anima virtuosa se ne sta rinchiusa nel suo cuore come in casa sua dove ha sempre il suo tesoro, veglia sui pensieri e sui sentimenti per non dare l'ingresso che ad oggetti buoni ed onesti, e difendersi prudentemente dai cattivi. (Servirà di motivo l'esempio di Gesù Cristo nelle caste viscere di Maria Vergine ove pratica un'intera mortificazione dei sensi. Così nell'Eucarestia se ne interdice fin l'uso, ha gli occhi, le orecchie, ed è come se non vedesse, non ascoltasse). Gli Oblati dunque etc. [vedi sotto]

Asc,2276c:T1,2

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(Servirsene solo per le cose necessarie, fuggire le nocive, negare loro le cose superflue per quanto si può, trattenerli da molte cose lecite per amor di Dio). I sensi più pericolosi sono gli occhi, le orecchie, la lingua. Quanto agli occhi sarà sempre più pericoloso inciampare con essi che coi piedi, a segno che il Salvatore ci dica: si oculus tuus scandalizat te, erue eum, et proice abs te, volendo con questo prescriverci di togliere efficacemente ogni strumento, occasione di caduta; per essi le creature tirano le loro saette d'amore che vanno al cuore, e fa cadere nei suoi lacci l'anima anche più forte, per uno sguardo curioso, un'azione libera: è dunque necessario, dice S. Bernardo (de mod. ben. viv. c. 23), fare un patto con gli occhi di non vedere ciò che non deve vedersi. Non si debbono mai fissare gli occhi nel volto altrui. Lungi pure il cercare cose odorifere che effeminano. Fra tutti deve custodirsi con tutta diligenza il tatto, onde e neppure per ischerzo sia lecito toccare un altro. Finalmente aver attenzione di servirsi dei sensi per le cose necessarie soltanto, e negare loro le cose superflue per quanto si può. (Attenzione a tenere i sensi in dovere: fuggire le cose nocive, evitare le sorprese; impedire le piccole libertà; non dare a loro altra libertà che quella che permette la ragione diretta dalla fede).

Asc,2276c:T1,3 Venit Jesus cum fores essent clausæ. Rulf. t. 3, disc. 11, pag. 244. Le colpe dei sensi quanto hanno costato a Gesù. Cum fortis armatus custodit atrium suum in pace sunt eaque possidet. Sepi aures tuas spinis. Linguam nequam noli audire. Verbis tuis facito statera et frenos ori tuo rectos, attende. Attende ne forte labaris in lingua. Pone, Domine, custodiam ori meo. Averte oculos meos ne videant vanitatem. Frutti della custodia dei sensi: un sentimento interiore della presenza di Dio (factus in pace locus ejus, beati mundo corde); un giusto sentimento interiore delle cose di spirito (sciolti questi lacci, l'anima vola a Dio, spazia per la regione dello spirito, riacquista i sensi interiori); una grazia particolare d'affezionare gli altri alla virtù (pregio della modestia).

Asc,2276c:T1,4 Gli Oblati dunque avendo innanzi agli occhi l'esempio del Verbo incarnato che nelle sacre viscere di Maria Vergine pratica un'intera mortificazione dei sensi, e nell'Eucarestia ancora vi sta come se neppure si avesse avuto alcun senso, fanno attenzione a tenere i loro sensi in dovere e ben custoditi. Evitano le sorprese ed impediscono le piccole libertà; non danno loro altra libertà che quella che permette la ragione diretta dalla fede. Pertanto fuggono le soddisfazioni nocive, circa le inutili e superflue ne fanno opportunamente un sacrificio a Dio. Se ne servono solo per le cose necessarie, oneste ed utili, ed anche nelle oneste e lecite talvolta si mortificano per amor di Dio. Circa gli altri sollievi necessari e ragionevoli si guardano da ogni etc. In specie poi, sono inesorabili in praticare la temperanza nel cibarsi e nel bere in tavola, né mai fuor di tempo prendono cosa alcuna senza vero motivo. Circa il sonno non oltrepassano senza licenza o senza consegnarlo al Superiore il tempo prescritto. Circa la vista, gli occhi, memori della sentenza del Salvatore si oculus tuus scandalizat te, erue eum et projice abs te, fanno un patto con gli occhi di non vedere mai ciò che non deve vedersi, e particolarmente si prefiggono di non mai fissarli in volto di alcuno. Dicono sovente averte oculos, ne videant vanitatem. Chiudono le orecchie a curiosi racconti. Non dicono tutto ciò che viene in mente solo per parlare. Quanto alla lingua, sanno che è tempo di parlare, tempo di tacere. Usano discrezione circa le persone con cui parlano. Circa il tatto, non si permettono, neppure per scherzo, di mettere le mani addosso. Si guardano dalla vita molle anche per vivere di più e vivere sano, cristianamente. Sanno che la stessa sofferenza produce la robustezza, all'opposto snerva il corpo l'evitare ogni sofferenza. Sono tolleranti delle molestie, massimamente che non si possono evitare tutte.

Asc,2276c:T1,5

Rogacci… Rogacci parte 3a cap. 17, 22, 23.

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Né deve usarsi troppa indulgenza ma allenarlo alla fatica, ma avvezzare il corpo a faticare, patire per servizio di Dio ad astenersi da gusti non necessari, a guidarsi coi dettami della ragione, non con gli istinti. Chi fa altrimenti serve più al corpo che a Dio: est modus in rebus. Il corpo né deve trattarsi con tanta piacevolezza che diventi insolente e capriccioso, né con tanta austerità che resti inabile a servire Dio e l'anima. Si pasca quasi giumento, ma con esigerne insieme che porti la soma. Cibaria et virga, et onus asino, panes, et disciplina et opus servo (Eccli. 33, [25]). L'uso deve regolarsi col fine, perciò: – chi gli nega il trattamento necessario a tal fine l'ama meno del dovere; – chi l'accarezza oltre quanto richiede tal fine l'ama più del dovere; – chi lo governa quanto si conviene a tal fine l'ama secondo il dovere, e così governandolo piuttosto che servire al suo corpo, serve a Dio nel suo corpo. E questo si ottiene col consiglio di S. Paolo: sive manducatis, sive bibitis, sive aliud quod facitis omnia in gloriam Dei facite (1 Cor. 10). Si prenda dunque quanto si crede necessario d'alimento, di riposo, di sonno, di altri sollievi, ma tutto col fine di rendersi più atto a operare in servizio di Dio. Fortitudinem meam ad te custodiam: stando solo attenti che l'amore naturale non spinga a prenderlo più per suo contentamento che per Dio. S. Teresa: finché non si risolse a non far caso del corpo né della salute, “sempre mi vidi legata a non far nulla di buono… Iddio volle farmi conoscere questo stratagemma del demonio… dappoiché non mi ho tanta cura, né m'accarezzo tanto, ho assai più salute” (Vita, cap. 13).

Asc,2276c:T1,6 1) In dubbio quello si elegga a cui meno la natura e l'appetito ci porta; ita salubrius est laborando potius excedere quam deficere, edendo potius deficere quam excedere, laboribus enim minus capimur quam voluptatibus. 2) Guardarsi dall'affetto soverchio ai sollievi anche necessari, cioè: l'avidità nell'aspettarli e prenderli; la sollecitudine che non manchino; la tristezza se mancano. Dunque vi vuole puro motivo di servizio di Dio, quiete e libertà di spirito, cioè mai con impegno, a suo tempo, coi mezzi ragionevoli, né smoderatamente ne goda. Così facendo, quanto da lui si richiede, si contenta d'averlo vigoroso o fiacco, sano o cagionevole come piacerà al Signore, perché allora Domino suo stat aut cadit. Questa protesta di retta intenzione deve farsi sovente, ne cum spiritu cœperint, carne consumentur. Così si nobilitano queste azioni con fine non meno nobile che nel comunicarsi, dire Messa, etc. Perché sebbene materialmente differenti, secondo la forma ugualmente appartengono alla carità. E così il suo cibarsi, stare a letto, riscaldarsi, prendere aria, il suo lavarsi, pettinarsi, tosarsi è amare Dio.

Asc,2276c:T2,1

Cap. 2. Della mortificazione interna

Asc,2276c:T2,1

Le passioni nello stato… Le passioni nello stato dell'originale innocenza si contentavano d'avvisare la volontà dei bisogni rispettivi, e per la conservazione e per non averne pregiudizio, indi erano perfettamente sommesse alla parte superiore e mirabilmente la servivano nel preferire il bene spirituale al temporale, ed il Creatore alla creatura. (Così Gesù Cristo si servì del timore, della tristezza e della fame). (Nelle passioni si deve osservare l'oggetto e il modo). Dopo il peccato sono divenute così ribelli alla parte superiore, e ripugnanti a quanto v'ha di ragionevole ed onesto, che sebbene mortificata e repressa non cessano di ripugnare e di resistere, quando poi si secondano, tanto più diventano ardite.

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E quel che è peggio, la volontà che dovrebbe signoreggiarle è divenuta inferma, inconstante per il bene, pigra, irresoluta, inclinata ancora al male, egoista, piena d'attacchi disordinati, e di desideri vani e cattivi, nemica di ogni legge umana e divina. L'intelletto che deve dirigere la volontà è ingombrato dall'ignoranza e dall'errore, è soggetto all'inconsiderazione e precipitazione nei suoi giudizi, dalla pertinacia e dalla temerità, e dominato dalla prudenza della carne.

Asc,2276c:T2,2 La memoria è ripiena di idee vane, inutili ed indecenti che l'immaginazione va ravvivando con fingerne ancora delle nuove, e sollecita ora l'intelletto a rimirarle, ora la volontà ad amarle. La ragione intanto che scorge tanto disordine ne geme, e sovente invano, ed ancora corre pericolo d'accecarsi e di pervertirsi, e di fedele consultrice divenire adulatrice, ciò che sarebbe il colmo dei mali. Quanto dunque è importante l'obbligo che Dio ci fa di attendere alla mortificazione interna, massime se si riflette all'utilità così grande che ne risulta poiché le passioni, soggette che siano, divengono sommamente utili e conducenti all'acquisto delle virtù, elevabunt vos, dice S. Agostino si fuerint infra vos. Così l'ambizione ci eleverà a maggior grandezza di quella del mondo; l'avarizia ci porterà ad accumulare tesori celesti; l'invidia ad emulare virtù più perfette, la collera a zelare l'onore di Dio, e simili. Pertanto si fanno un impegno d'assoggettare le proprie passioni colla vigilanza, colla preghiera, colla riflessione, colla destrezza, colla forza, poco meno in certo modo come si fa coi bruti; perciò si sono proposte le seguenti avvertenze sulle quali si esamineranno sovente.

Asc,2276c:T2,3

E primariamente… E primariamente quanto alle facoltà dell'anima sanno che in queste consiste l'immagine di Dio e che sono capacità immense che si chiamano porte eternali, perché fatte per aprirsi solo agli oggetti eterni dei quali si riempiono, partecipano della loro qualità tanto da diventare simili ad esse. Se riempite di cose temporali s'impiccioliscono e diventano simili ad esse. Se riempite di oggetti eterni s'ingrandiscono e diventano simili a Dio. Bramano però di vuotarlo di ogni creato, e riempirlo di Dio, e perciò ricorrono soventi alle Tre divine Persone, ad esse le consacrano, le consegnano.

Asc,2276c:T2,4 Consegnano dunque la memoria all'Eterno Padre, fonte di tutti i lumi e doni, affinché la richiami dagli oggetti creati, e la dilati e l'ingrandisca, la riconduca ed unisca a sé, la riempia di santi pensieri, e così ripiena la custodisca e la conforti ad operare, intanto non lasciano con la divina grazia di cooperare con tutto l'impegno per disprezzare e dimenticare con opportune diversioni le cattive immaginazioni impresse, e a non ammetterne delle nuove, essendo indegno che nel tempio di Dio vi rimangano immagini indecenti. Consegnano pure l'intelletto al Divin Verbo, affinché lo richiami dallo strepito e dalle troppe sollecitudini delle cose temporali, lo preservi dall'ignoranza e dall'errore, lo illumini e lo pascoli col pane della sua divina parola. Intanto essi attenti ad applicarsi all'orazione ed allo studio, a guardarsi da ogni precipitazione ed ostinazione di giudizio, ad evitare ogni spirito di curiosità, a rendersi docili e fermi nelle verità della fede, non volendo altra guida che la ragione, né la ragione sola così facile ad errare, ma la ragione guidata, assicurata e perfezionata dalla fede, non volendo riconoscere altra prudenza che la prudenza dei figliuoli della luce. Così consegnano allo Spirito Santo la volontà affinché la visiti, la fortifichi a vincere ogni attacco alle creature e la renda superiore ad ogni umana attrattiva, la porti a disprezzare ed odiare se stessa, la infiammi e la riempia del suo divino amore, e la conforti affinché mai sia sovvertita, né mai soccomba. Intanto essi sono attenti a corrispondervi con guardarsi da ogni affetto sregolato verso la creatura che sempre macchia l'anima. Omne desiderium averte a me (Eccli. 23, 5). Sono pronti a mortificarsi

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dovunque riscontrano la propria volontà, e a farle guerra con atti contrari, sia nell'esterno come nell'interno, per fare niente, puramente per fare la propria volontà, nel temporale come anche nello spirituale, nelle cose non solo cattive ma anche nelle indifferenti, detestando ogni attacco ed ogni sentimento di propria volontà, non volendo altra volontà che quella comune a Dio ed al prossimo: qua fit ut bona tua tibi bona non sint… a voluntate tua avertere (Eccli. 18).

Asc,2276c:T2,5 Chiudono per questo la porta del cuore ad ogni vano ed inutile desiderio, ricorrendo al Signore per ottenere tale grazia dicendogli sovente: Domine Pater et Deus vitæ meæ omne desiderium averte a me (Eccli. 23), poiché non voglio lasciarvi regnare altri che il desiderio delle cose spirituali ed eterne. (La pace annunziataci da Dio si trova solo nel Vangelo e nella Chiesa, e per averla fa d'uopo avere le facoltà dell'anima attaccate a queste fonti, e che vivano con buona intelligenza, così l'intelletto illuminato conosce l'errore ed i pericoli; la memoria sede della speranza e del timore si fortifica, la volontà s'affeziona e si riempie dell'eterno, disprezza il temporale. La pace viene stabilita e consiste nella perfetta mortificazione delle passioni, e totale sommissione dell'anima a Dio). Si guardano ancora da ogni turbazione interna o tristezza, che è sempre un principio o effetto di qualche passione, tenendosi alla regola di S. Teresa: “niente ti turbi”, non volendo dare, neppure per poco, luogo alla passione ed al demonio, onde massimamente travagliano ad acquistare la pace interna così raccomandata da S. Francesco di Sales che suggerisce di vedere Combat spirituel, 15, 16, 17: Non in commotione Deus.

Asc,2276c:T2,6 Quanto alla memoria sono attenti a disprezzare e dimenticare con diversioni le cattive immaginazioni state impresse, e a non ammetterne delle nuove procurando anzi di riempirla di sante idee. Quanto all'intelletto procurano di renderlo applicato nell'orazione e nello studio, evitando ogni spirito di curiosità e d'impegno, si guardano da ogni precipitazione ed ostinazione di giudizio, ad imitazione di Maria Vergine la quale cogitabat qualis esset ista salutatio, indi rispose: ecce ancilla Domini. Vogliono che la ragione, la fede e la prudenza cristiana serva d'unica regola. Quanto alla volontà, prima di tutto cercano di purgarla dall'amor proprio disordinato, sapendo che chi ama se stesso e non Dio ed il prossimo, non è vero che ami se stesso, ed all'opposto, chi ama Dio ed il prossimo e non se stesso, questi ama veramente se stesso.

Asc,2276c:T2,7 Gli appetiti ossia le passioni per loro natura ed istituzione non sono cattivi, difatti nello stato dell'originale innocenza si contentavano di avvisare la volontà dei loro bisogni senza ripugnare in alcun modo, ma ora dopo il peccato sono divenuti ribelli ed insolenti, quali fiere indomite, e quanto più sono secondati tanto più diventano arditi, intanto la volontà che deve pur signoreggiarli è inferma, incostante, anzi inclinata al male; l'intelletto che deve dirigerla è ingombrato da ignoranza ed errore; la memoria tiene impressi gli oggetti frivoli e cattivi; l'immaginazione li ravviva, ne finge dei nuovi; l'intelligenza stessa concorre a raffinare i piaceri offerti, ne suggerisce i modi e i mezzi di ottenerli, trasformando anche il bene in male. La ragione intanto geme invano e reclama, seppure non finisce anch'essa di accecarsi e pervertirsi, e di fedele consigliatrice divenire adulatrice, ciò che sarebbe il colmo dei mali, per cui diventa infinitamente superiore a tutto l'universo creato rimirato nel solo ordine della natura. Conviene pure ponderare per altra parte la natura del suo corpo cui va unita, quale non è che un piccolissimo strumento che punto non conta in confronto di tutto l'universo cui essa è già infinitamente superiore nell'ordine della grazia, strumento ancora composto di fango, e ben sovente.

Asc,2276c:T3,1

Sulle passioni, e massime sulla collera

Asc,2276c:T3,1

In genere di passioni…

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In genere di passioni sarà sempre più facile resistere ai loro primi moti, che reprimerle quando uno ha già consentito a lasciarle entrare nel cuore. Più facilmente si respinge il nemico alle barriere, che quando si è già lasciato penetrare nel campo. Tanto più che d'ordinario a misura che si cede, la passione cresce. Facilius est ea non admittere, quam admissa moderari, nam cum se in possessione posuerunt potentiora rectore sunt. La ragione non conserva il suo impero sulla passione che a misura che non ci consente, ed è attenta a reprimerla nel loro nascere, e rigettare le idee sempre false che presentano allo spirito per sedurla, a soffocare i sentimenti che imprimono nel cuore per trascinarlo nel loro partito, a misura cioè che è attenta ad escluderla dal suo consiglio e a ricusare nell'esecuzione il soccorso pericoloso che offre, anche sotto pretesto d'animare la nostra virtù. Dal momento che l'anima comincia a deliberare col nemico tutto il suo impero datole dalla natura sulle azioni, s'indebolisce. Ratio tamdiu potens est quamdiu deducta est ab affectibus, ubi se illis immiscuit non poterit continere quos submovere potuisset. Sic, comme un homme qui s'est jeté par les fenêtres ne peut se soutenir en l'air contre l'effort de sa pesanteur, ita animus si in iram se projecit reprimere impetum non permittitur. Continent se quomodo? Cum jam ira evanescit, vel cum affectus repercussit affectum non rationis beneficio, sed aliorum affectuum infida et mala pace. Il ne faut donc pas prendre la passion, par exemple la colère, pour conseil, mais pas même pour exécuteur de ses ordres, étant un exécuteur qui passe toujours sa commission.

Asc,2276c:T3,2 N.B. La prima emozione per es. della collera viene dalla natura, ma il consenso viene solo dalla volontà. Essa ci è data per renderci attenti al male, di cui ci attesta la presenza o il prossimo arrivo; è una guardia avanzata, che tira il colpo in aria per avvertire che il nemico non è lungi; questa è la sua funzione naturale, conviene obbligarla a fermarsi lì. Tocca alla ragione, e alla ragione sola prescrivere il resto, cioè 1) il deliberare tra sé senza consultare un'emozione così cieca, 2) il determinarsi senza lasciarsi trasportare dal primo moto, come un cavaliere mal pratico del suo cavallo, e finalmente 3) l'eseguire senza turbarsi ciò che avrà determinato secondo la ragione, la virtù, la religione (P. André t. 3, pag. 185, Discours sur l'usage de la colère).

Asc,2276c:T3,3 Le passioni sono nemiche della pace, dove esse regnano non vi regna la pace, né con Dio – prima pace da aversi – perché s'oppongono alle sue verità, né col prossimo, né con Dio: quis restitit Deo, et pacem habuit? Né con Dio, né con sé, in conseguenza neppure col prossimo. Pace di spirito nella sommissione di esso alla fede, pace del cuore nella sommissione della volontà ad eseguire ciò che la fede prescrive. Passioni: per sradicarle dare addosso alla dominante: Vanalesti t. 3, pag. 90 Calino t. 3, pag. 368 etc. etc. Coppa, Bordoni, Rulfo Granelli, Trento Vince teipsum Tornielli

Asc,2276c:T3,4 Si aggiungano i seduttori invisibili artefici di mille frodi e malizie che sempre ci stanno d'attorno, d'accordo con gli appetiti disordinati per farci cadere. Chi non dirà che fra tanti nemici seduttori interni ed esterni, fra tanti assalti d'ogni parte non sia necessario eccitare la vigilanza, procacciare i soccorsi, prevenire gl'inganni, rintuzzare gli attacchi per assoggettare le nostre passioni colla destrezza e colla forza, appunto come si usa coi bruti? Alla necessità si aggiunga l'utilità che ne risulta. Poiché soggetti che siano, diventano utili e buoni, e conducenti alla virtù, elevabunt vos si fuerint infra vos.

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Così l'ambizione, per es., ci eleverà a maggior grandezza di quella del mondo, l'avarizia ci porterà ad accumulare tesori celesti, l'invidia ad emulare virtù più perfette, l'ira a zelare solo la gloria di Dio e simili. E come fare questo senza pratiche? Conviene dunque mortificare la memoria.

Asc,2276c:T3,5 Sono risoluti a fare la guerra alla volontà propria, giusta l'avviso dello Spirito Santo a voluntate tua avertere (Eccli. 18), e ci fanno la guerra non in qualche cosa soltanto, ma in tutto, nell'esterno e nell'interno, nel temporale e nello spirituale, ovunque vi è la volontà propria, non comune cioè con Dio e con il prossimo, a segno di voler far niente puramente per fare la nostra volontà, e soddisfare questa inclinazione, e questo non solo nelle cose cattive, ma anche nelle indifferenti, talvolta anche nelle buone, quando si vogliono troppo, e allora lasciano di farlo, o fanno il contrario, quando si può, senza inconvenienti, e accostumarci a rompere quest'umore di proprietà. Così nelle compagnie praticano la condiscendenza e si acquietano alla volontà degli altri, sempre che si può secondo Dio, disprezzano i propri sentimenti per abbracciare quelli degli altri. Chiudono perciò la porta del cuore ad ogni vano ed inutile desiderio della terra, non del Cielo, o alle cose eterne; delle virtù desiderano poco, e quel poco con molta moderazione, dicendo sovente: Domine Pater et Deus vitæ meæ, omne desiderium averte a me (Eccli. 23, 5), massime essendo questa la sorgente della pace, perché dove non ci sono desideri, non ci sono pene. (Guardarsi da ogni turbazione interna che è sempre o principio o effetto di qualche passione. Pregio della pace interna).

Asc,2276c:T3,6

Non si tratta d'annientare… Non si tratta d'annientare le passioni, ma di moderarle secondo la ragione. Vi si deve osservare l'oggetto ed il modo. Gli attacchi sono i fomenti delle passioni, il silenzio, beati pacifici. Siccome tutte le passioni partono o dal concupiscibile, o dall'irascibile, si possono ridurre a due, cioè: al desiderio o al timore; al desiderio d'un bene presente o al timore d'un male. Gli oggetti sopra i quali si raggirano sono i beni o i mali, sia dello spirito che del corpo. Ora proponendone non dei veri, ma falsi e apparenti, ora esagerandoli più di quel che sono. Si debbono dunque trattenere affinché non si portino sopra simili oggetti proibiti. Il modo con cui cercano di abbracciare o rigettare alcuni simili oggetti, si è senza moderazione (desiderano o aborriscono, operano, si è di esagerare la turbazione ed il difetto di moderazione). Fa dunque sempre d'uopo primieramente moderazione in tutto, in secondo luogo considerazione tranquilla secondo la ragione conforme. Procurano prima di tutto di mai lasciarsi turbare per niente, né operare con impeto e precipitazione, ma sempre con quiete, dare luogo a considerare tranquillamente secondo la ragione conforme alle verità rivelate l'oggetto proposto dalla fede. Quanto alle passioni, siccome si riducono tutte al desiderio o al timore di qualche bene o male di spirito o di corpo soltanto apparente e falso, o seppur vero ma esagerato, o al modo di agire con impeto, con precipizio, senza moderazione, così (avanti che le passioni insorgano, fuggire le occasioni di peccato per non dar luogo alla tentazione: nolite locum dare diabolo. Insorta poi)…

Asc,2276c:T3,7 1) Sono attenti prima di tutto a non mai lasciarsi turbare, non mai operare con impeto o precipitazione. 2) A non voler desiderare o temere se non ciò che è eterno, esaminando quindi sulla bilancia dell'eternità l'oggetto ed il modo proposto dalla passione. 3) A praticare risolutamente il vince teipsum, operando il contrario da quel che detta la passione. Con tre semplici massime, pratiche rimediano alle loro passioni: 1) præcipe moram, quiesce per dare luogo all'orazione ed alla riflessione tranquilla, non si lasciano mai turbare e si guardano d'operare con impeto e precipizio;

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2) muta objectum, nil time, nil cupe nisi quod æternum est affinché l'oggetto proposto dalla passione, esaminato l'oggetto con la bilancia dell'eternità, rivestiscano l'oggetto proposto, i beni eterni, la gloria eterna, il gaudio eterno, rivesta l'oggetto temporale, e mutano il temporale nell'eterno; 3) age contrarium, vince teipsum risolvendosi ad operare tutto il contrario, anche con atti eroici, se fa d'uopo, massime sapendo che il cominciare con un atto eroico può farci santi.

Asc,2276c:T3,8

La modestia… La modestia in gesti consiste in ciò che ciascun membro faccia il suo ufficio per cui è creato, e lo faccia né più né meno. Un buon palazzo deve conoscersi dall'istesso vestibolo. Chi serve ai sovrani in corte sempre che debbono comparire loro d'innanzi, si studiano d'essere puliti in faccia, nelle vesti, si guardano da ogni atto, o gesto o parola indecente e non composta, ed è conveniente di tenere lontano da sé tutto ciò che è difforme e sordido, quando si vuole piacere ad alcuno. Così deve fare chi milita all'eterno Re, chi deve gustare dell'angelica conversazione deve procurare che il suo servizio, anche esteriore, sia grato. Oculi tui, oculi Christi sunt: non è lecito volgerli alle vanità. Os tuum, os Christi est: non debbono servire a discorsi vani, oziosi, dovendo servire alle lodi di Dio. Esempio di Maria Vergine, di Gesù: formetur Christus in vobis. Il corpo si compone nello stesso modo in cui l'anima è composta. L'anima non è sana dove c'è un tetro colore di modestia. Giova a promuovere l'edificazione del prossimo, perché attira all'imitazione, spectaculum facti sumus, e siamo specchio. Giova a promuovere la maggior gloria di Dio, l'indicò Gesù Cristo: sic luceat etc. E giova a promuovere la fama propria, perché la faccia è lo specchio della mente.

Asc,2276c:T3,9 Essendo tempio di Dio, glorificate et portate Deum in corpore vestro. Se noi non amiamo la casa immonda, neppure Dio vuole la sua casa macchiata. (Nell'orologio l'indice denota le ore, si richiede l'ordine interno delle ruote da cui l'indice esterno procede; il peso giusto causa il moto ordinato alle ruote, così i motivi causano la modestia). Media: la presenza di Dio basta per eccitare la modestia, e l'esame particolare. Consiste nell'ilarità e serenità della fronte e della faccia, onde guardarsi dai due estremi: 1) da troppa gravità e severità di volto, che si scopre dalle rughe della fronte e dal naso, le quali indicano tristezza, o altro inordinato modo; 2) dal ridere smoderato ed immodesto che snerva l'anima, nuoce al corpo, fœde ad cachinnos moveris, fœdius moves (S. Bernardo). Nella mondezza delle vesti e dei membri che compaiono che giova alla sanità, all'edificazione, che sappia di povertà, mai d'immondezza, e di negligenza. Nel gesto e nel moto dei membri quale è riprensibile se è: – molle che significa lascivia, – dissoluto che significa negligenza, – celere ed impetuoso che significa inconstante, – tardo che significa pigrizia. Nel discorso ottemperato deve ricordarsi la modestia e l'edificazione, sia nelle parole che nel modo di parlare, né troppo alto o basso. Caput sicut aurum, gravità nel muoverlo. Oculi sicut columbæ simplices. Genæ sicut areolæ aromatum ob hilaritatem in facie. Labia distillantia myrrham, ob accuratam custodiam, manus tornatiles ob decentiam. Crura ut columnæ marmoreæ ob incessus tarditatem et gravitatem. Venter eburneus ob honestatem et munditiam vestitus. Ex abundantia cordis os loquitur, qualis domus talis Dominus.

Asc,2276c:T3,10

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Saint-Jure, Connaissance et amour de J.C., t. 2, l. 3, p. 881 Qui absconditus est cordis homo in incorruptibilitate quieti et modesti spiritus (Petri [1a] ep. 3, 4). Les ornements de l'homme intérieur sont la constance et l'incorruption d'un esprit tranquille et modeste fondé sur la mémoire continuelle de la présence de Dieu dans un profond abaissement d'esprit et un extrême respect du corps; sur la mortification des passions pour qu'ils ne fassent plus d'impressions sur le corps qui ne soient bien réglées; sur l'étude de l'oraison qui retient avec une douceur efficace tous les sens extérieurs et intérieurs et faisant goûter Dieu lui ôte l'envie de se répandre au-dehors. Alors cette modestie est durable en tout temps et tout lieu avec quiconque et étant seul. Finis modestiæ timor Domini (ut causa) divitiæ et gloriæ et vitæ (ut effectus) – Prov. 22, 4. Dives est modestia quia portio Dei est: omnia fecit in numero, pondere et mensura. È accetta a Dio, agli angioli, agli uomini. Giova alla purità di cuore, per il raccoglimento, per l'acquisto della virtù. È un gran mezzo di salute perché tutto passa per i sensi, quali disordinati introducono ogni vizio, ordinati portano alla virtù. È un gran principio di perfezione essere cieco, sordo, muto a tutto il creato. Aggiungerai che la simpatia dell'anima col corpo e con l'esteriore, è sì grande che le qualità di quella si comunicano sì facilmente a questo. Infatti siccome subito si conosce se si sta bene, o male di sanità corporale, così pure facilmente si conosce se uno sta molto bene o no con Dio.

Asc,2276c:T3,11 Lessius l. 4, c. 4, d. 12 Modestia dicitur a modo motibus imponendo. Est virtus externos corporis motus et gestos ex prescripto rectæ rationis temperans, et decorum in externis motibus et gestibus servans. Materia est motus corporis et gestus exterior sensibus obvius ut incessus, statio, sessio, motus capitis, contractio, explanatio vultus, membrorum jactactio, vox, visus, aspectus. Quia motus externi sunt liberi, ergo rationi subduntur, ergo sunt materia virtutis et vitii. Forma est congruentia ad personam spectatam tum absolute, tum in ordine ad eos coram et cum quibus agitur; et congruentia ad locum, tempus, negotia de quibus agitur. Decorum est quod congruit naturæ rationali cui inest. Debet etiam congruenter fieri ad alios pro diversitate personarum et circumstantiæ temporis et loci. Officium est moderatio gressus, cap. 18; vocis, cap. 19; orationis, cap. 22, l. 1 offic. D. Ambr. Potest imperari a diversis virtutibus, unde si hoc facias ut te foris exhibeas qualem intus te esse putas, pertinebit ad virtutem veritatis, secus est hypocrisis aliud foris simulas; ut te aliis commodum, suavem in conversatione exhibeas, erit officium amicitiæ et affabilitatis; ut reverentiam rebus sacris habeas, erit officium Religionis. Peccatur per excessum, si externi motus et gestus communem modum excedent, est petulantia et insolentia; si alium modum tibi ne congruenter assumes, ut si Religiosus utatur moribus occlusis quod pertinet mollities in voce, in gressu, in gestibus; si ficto animo modum aliquem assumas est hypocrisis. Non est mortale ni ratione pravi finis vel scandali etc. Peccatur per defectum morum ruditate et rusticitate, non est mortale ni per accidens propter scandalum et offensionem cum alii putant se sic contemni.

Asc,2276c:T3,12 S. Th. 2, 2, q. 160; Lessius ut supra d. 6 Modestus est qui intra modum et limites sui status, ingenii, fortunæ se continet suo modulo contentus. Modestia est affinis temperantiæ. Moderatis enim: delectationibus carnis per temperantiam, impetum iræ per mansuetudinem. Superest moderari motus animi ad excelsa et hos coercet humilitas; desiderium cognitionis præsertim curiosæ, hos refrenat studiositas; motus et gestus externi corporis, hos componit modestia morum; externus cultus et apparatus in vestibus, conviviis, suppellectilibus quod moderatur modestia et cultus. Amictus corporis, risus dentium, et ingressus hominis enuntiant de illo (Eccli. 19, 27). Modestia vestra nota sit etc. (Philip. 4, 5).

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Asc,2278:S

Pensieri di pace e consolazione cristiana Vari testi di mano Lanteri, citati in parte da Gastaldi, 160-164. AOMV, S. 2,9,12:278

Asc,2278:T1,1

Pensieri di pace e consolazione cristiana

Asc,2278:T1,1

S. Michele e Lucifero… S. Michele e Lucifero erano stati costituiti come capi degli altri Angeli, ed ad essi affidatane la direzione, siccome pur lo sono di presente quando sorse tra di essi una gran questione (prœlium magnum factum est in cælo) di cui vincitore fu S. Michele, il quale in segno di vittoria gridò: Ignosce Domine (Michael angelus tuba cecinit ignosce Domine, o come legge l'Ebreo, Ignosce Agne), dal che si vede ove si raggirasse la questione, e se S. Michele pubblicò con gran festa la riportata vittoria concepita in tali termini, conviene che Lucifero sostenesse l'opposta sentenza, e per conseguenza non avesse che sentimenti di rigore, di qui si cava qual sia il caratteristico dei Demoni (Apoc. 12). Unde agnus occisus est ab origine mundi (13). Perbelle Bernard. ex serm. 17 in Cant. n. 5 Ex Vespr. S. Michaelis. Ira viri justitiam Dei non operatur (Jacob. 1 v. 20). Se in linea naturale Dio è ter Optimus Maximus cosa dovrà dirsi in linea soprannaturale.

Asc,2278:T1,2 (a) Item S. Bernardus Serm. 11 in Ps. 90, n. 7, 9., Serm. 5 Assumpt. n. 14. Gaudent Angeli ad pænitentiam peccatorum, quod si deliciæ Angelorum lacrimæ meæ quid deliciæ (Serm. 68 Cant.). Lacrimæ pænitentium vinum Angelorum (30 Cant.). Illas veras lacrimas mutari in vinum dixerim quæ fraternæ compassionis affectu in fervore prodeunt caritatis (Serm. 3 in Epifania). D. Bernardi Theologia Speculativa, Auctore R.D. Laurentio Bertrando, Astæ 1678.

Asc,2278:T1,3 S. Bernardo spiega in quei luoghi che gli Angeli caddero in peccato per non voler che la seconda persona s'incarnasse gridando: ut quid perditio hæc? Essendosigli manifestato il mistero dell'Incarnazione, Lucifero non lo volle approvare, non approvando che il Figliuolo di Dio tanto s'abbassasse per noi miserabili creature per cotanto sollevare la nostra misera umanità, unendola alla sua divinità, esaltandola sopra la natura angelica; che se ciò faceva s'abbassava troppo, e perciò pretendeva essere superiore a Gesù Cristo, acciò il peccato d'immisericordia e superbia propri degli immisericordi che temono troppo d'umiliarsi e fare altrimenti. Quindi è che [secondo] IgnazioDovendosi contentare in Dio la misericordia e la giustizia, si assegnò a questa tutta l'eternità, a quella tutto il tempo, onde pendente questa vita regna la misericordia, nell'altra la giustizia, la quale non ha più ragione di lagnarsi di non aver luogo nel tempo, avendo per sé tutta l'eternità, altrimenti sarebbe offesa la misericordia.

*1

O homo factus es mensura Dei (S. Prosp.). Vide ergo qua mensura etc. eadem enim. La Retorica è per persuadere: ora chi mai persuaderà rendendo la nostra religione difficile, ed i mezzi per giungere all'eterna salute? La nostra religione si fa gloria di cambiare il male in bene, e perché Voi, o Sacerdoti etc.

Asc,2278:T1,4 Se la miseria più è grande, più è atta a muovere di modo che quando è giunta ad un certo grado ha forza di muovere anche i cuori più duri, cosa dovrà dirsi di cuori tanto misericordiosi? Ora la miseria dell'uomo cagionata dal peccato era eccessiva, e trovandosi per altra parte eccessiva in Dio la misericordia, trovò questa di che abbondamente pascolarsi, e questo cagione fu che la misericordia diede in eccessi simili per sollevare la nostra miseria, né certo altro motivo si poteva

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trovare in noi che potesse indurre un Dio a tali cose. Onde, o peccatore quanto più sei grande tanto più spera, perché tanto più sei sicuro di muovere la divina misericordia quale non ha altro pascolo di questo. I peccatori più grandi sono quelli su cui Iddio maggiormente diffonde le sue grazie, qualora volontariamente non resistono; così avvenne a S. Maria Maddalena, a S. Agostino etc.

Asc,2278:T1,5 L'ultimo mezzo che si può tentare per guadagnare alcuno si è pregarlo che lasci e che permetta che si abbia ancora l'onore di pregare il Signore per lui. Per Dio anche economizzare quando fa d'uopo. Tutto sta nella maniera con cui si rimira il sacramento della penitenza, se si rimira come un rigoroso sindacato non si può durare, né si ricaverà gran frutto; all'opposto se si rimira come industria ritrovata da Dio per guadagnare anime, per facilitare loro la conversione, e si prenda la cosa humano modo, non si può a meno di ricavarne gran frutto. S. Ambrogio si metteva talmente a piangere per i peccati dei suoi penitenti che li sforzava a convertirsi. Quando fa d'uopo differire l'assoluzione, allora bisogna rappresentare la cosa in maniera che sia lo stesso penitente che ne domandi la dilazione.

Asc,2278:T1,6

Gli anni passati… Gli anni passati ricordarsene con compunzione consolante, gli anni avvenire passarli come se non fossimo mai esistiti, ed ad ogni istante nascessimo di nuovo. Siccome un medico deve guardarsi dal proporre nelle cose oscure ed incerte, rimedi incerti, così un teologo nelle cose questionabili e oscure. Sia che si abbia da confessare, sia che si abbia da predicare, riguardare il prossimo con rispetto reverenziale, noi stessi con timore di non amministrare bene la parola di Dio, e con gran diffidenza di noi, e questo in modo che lo stesso prossimo lo senta. Maria Vergine fu assunta in cielo senza né lasciarci, né mandarci niente di sua memoria, è vero, ma se ne andò per ricevere la sua dote, che sono i peccatori, e acciò il Padre Eterno avesse una persona umana e prediletta a rimirare, per cui si muovesse a compassione delle anime peccatrici. Siccome ci rallegriamo di più con una persona che l'ha scampata da qualche malattia che se fosse sempre stata sana, così è il gaudio sulla conversione d'un peccatore in cielo (Luc. 15 v. 7).

Asc,2278:T1,7 O bisogna togliere la moda di peccare, o mettere gli uomini nell'occasione prossima di fare del bene, la quale non può consistere in altro che in agevolare la nostra religione, e far comparire nel suo più bello aspetto la dolcezza ed amabilità dei suoi precetti, e dimostrare facile il pentimento e Dio essere galantuomo. Siccome inetto sarebbe quel Capitano che comandasse la battaglia senza provvedere d'armi i suoi soldati, così ingiuria sarebbe a Dio il dire che non ci dia forza da resistere alle tentazioni, forze od aiuti sovrabbondanti per salvarci. Se si stimasse fortunato chi potesse rendere a Gesù in persona qualche servigio in ricompensa dell'eccessivo amore che ci portò, non si stimerà ugualmente fortunato chi può soccorrerlo nella persona del prossimo? Chi soccorre temporalmente o spiritualmente il prossimo, immagine vera di Dio, e sapendo di fede che ciò che facciamo al prossimo lo facciamo a Gesù, ed Egli come tale lo accetta e lo rimunera il centuplo. E se si stimasse ingrato chi ricuserebbe un qualche servigio a Gesù in ricompensa dei suoi, non sarà ugualmente ingrato chi ricuserà di prestarglielo nella persona del prossimo, essendo fatto al prossimo ugualmente che alla persona di Gesù, come egli si protesta e tanto più che egli tanto lo desidera e ce lo raccomanda? La moda del pensare d'oggidì consiste nel sostituire l'immaginazione alla ragione in materia di verità sia naturali, sia soprannaturali, e le passioni all'intimo senso, in materia di massime morali e di costumi. Posti i principi, l'arte di pensare e l'arte di parlare, si trova la scienza, altrimenti c'è l'insipienza.

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Asc,2278:T1,8 Gli uomini non sono che miseria, Iddio non è che misericordia, il mezzo di unire la miseria alla misericordia è la confidenza. Deus qui omnipotentiam tuam parcendo maxime ostendis, Deus cujus natura bonitas, cujus opus misericordia. Dolcezza della Chiesa, di Gesù, dei suoi servi. Sales, Amor di Dio l. 8, c. 4 e 12; l. 9, c. 4, 5, 6, 7, 8. Sentite de Deo in bonitate. Nemo bonus nisi solus Deus (Matth. 19). Deus de suo bonus, de nostro justus. Docebit mites vias suas (Ps. 14). Hic est fratrum amator (2 Macchab. 15 num. 14). Spes quæ differtur affligit animam (Prov. c. 13, v. 12). Aut obliviscetur misereri Deus? Aut continebit in ira sua misericordias suas (Ps. 76 v. 15). Qui habet doctrinam miserationis docet et erudit tamquam Pastor gregem suum; qui non habet doctrinam miserationis docet et erudit tamquam lupus gregem suum; qui suscipit doctrinam miserationis docetur et eruditur tamquam agnus; qui non suscipit doctrinam miserationis docetur et eruditur tamquam hircus. Et miseretur Deus excipientis doctrinam miserationis. Et non miseretur Deus non excipientis doctrinam miserationis. (Eccli. 18, 13; 2 Cor. 6). Demoniorum doctrina (1 Timoth. 4; Matth. 23). Misericordia est virtus inclinans voluntatem ad alienæ miseriæ sublevationem. Misericordiam volo non sacrificium. Spes vita æterna, galea nostra. Villicus iniquitatis (Luc. 16). Si trovano al mondo uomini che sono buoni perché pieni di bontà, ma nessuno uguaglierà mai la bontà di Dio, il quale è bontà per excellentiam. Le verità senza carità, sono carità senza verità.

Asc,2278:T1,9 Il cristiano si fa un piacere dei doveri, il mondano si fa un dovere dei piaceri. Di uno non si può dire altro se non che chi sia, cosa abbia fatto e cosa abbia patito (per definire cosa sia una cosa bisogna vederne il soggetto e le forze). Il fine o è dell'operante o dell'operato, di questo è l'effetto, di quello è che l'oggetto riceva l'azione. Vi è un altro motivo che si chiama impellente e si dice cujus gratia: ora amare Dio per il piacere, il vantaggio che ne viene, se è per motivo finale non si può, se per motivo movente, impellente, cujus gratia si può, poiché anche Gesù Cristo proposito sibi gaudio etc. Se ci conosciamo dobbiamo stupirci se l'uomo non pecca piuttosto che all'opposto (Sales 48, l. 5). Della carità mirabilmente parla S. Francesco in più capi dell'XI libro, dell'Amor di Dio. Voi ci comandate di amare i nemici perché siamo perfetti come il Padre celeste, dunque tanto lo farete voi perfettissimo. Se io non so, né potrei senza crudeltà esigere molto da chi può poco, conviene che Iddio, che pur anche ci proibisce di farlo, non usi altrimenti verso dell'uomo, poiché allora sarei io più sapiente e più prudente di lui. Nominato l'uomo, viene nominata la fragilità e la miseria.

Asc,2278:T1,10

Giansenio dice… Giansenio dice che l'intelletto è guasto, e non sa che errare, siccome diceva Lutero della volontà, che non sapeva che peccare. Uno si può ben abusare della bontà di Dio, ma giammai della sua misericordia, poiché questa suppone la cognizione della propria miseria. Un predicatore, o confessore deve sempre attribuire a se stesso, se l'uditore, o il penitente non ricava alcun frutto: così facevano i Santi. Ad un operaio per ricavare frutto conviene che abbia una grande idea dell'abisso della bontà di Dio, dell'abisso della propria miseria, ed una riverenziale compassione ed affetto del prossimo, carattere di tutti i Santi.

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Asc,2278:T1,11 Un predicatore conviene che predichi con gran devozione, timor di se stesso, e rispetto ed affetto degli uditori, guardandosi d'avanzare proposizioni che la Chiesa che pur poteva e sapeva, non ha avanzate, e ricordandosi che l'intelligenza delle Scritture, è appo la Chiesa, e non appo qualunque spirito privato. Agli uomini, siccome non sono se non miserabili, loro non si deve proporre altro che misericordia, ciò che non è misericordia non si deve proporre. Numquid resina non amplius est in Galaad? Dunque se ve n'è ancora, siccome ve né sarà sempre, perché non produce il suo effetto? Perché la resina per operare conviene che sia oleosa, ed ora l'hanno resa essicata avendo tolto l'olio della compassione e misericordia. Quanto sta registrato nelle sacre carte di Dio tutto appartiene o alla sua Maestà, o alla sua bontà, e misericordia (S. Bernardo). Se vi occorre di commettere qualche mancamento, non vi perdete d'animo, anzi rimettetevi subito, né più né meno, come se non foste caduta (Sales let. 27 l. 4). Le nostre imperfezioni non ci hanno a piacere, ma non ci debbono neanche spaventare, né far perdere d'animo, ne dobbiamo bensì avere sommessione, umiltà e diffidenza di noi stessi, ma non l'avvilimento, né l'afflizione di cuore (Sales let. 65 l. 3). Per quanto siamo miserabili, non lo siamo però tanto quanto Dio è misericordioso (Sales let. 28 l. 4).

Asc,2278:T1,12 Ha la divina bontà maggior piacere di darci le sue grazie, che noi di riceverle (Sales, Trattato Amor di Dio t. 2, l. 1, c. 14). Quanto la nostra miseria sarà maggiore, tanto più grande bisogna che abbiamo la confidenza in Dio (Sales, Trattato 1, n. 1). A misura che vi troverete circondati da imperfezioni e miserie, sollevate il vostro coraggio a bene sperare (Sales let. 60 l. 4). Quomodo miseretur pater filiorum, miseritus est Dominus timentibus se, quoniam ipse cognovit figmentum nostrum (Ps. 102, 13). Scit Deus quia homo positus in terræ regione sine peccato esse non potest (Ambrosius). Non pensiamo già sinché saremo in questa vita di poter vivere senza imperfezioni (Sales let. 15 l. 7). Quid opus est misericordia ubi nulla est miseria? (Aug., Contra Julianum l. 1, n. 39). La misericordia di Dio è infinitamente maggiore per perdonare, che tutti i peccati del mondo per dannare (Let. 70 l. 7, cap. 1).

Asc,2278:T2

S. Michel protecteur contre l'amour-propre C'est une marque certaine de cet amour-propre quand, Notre Seigneur ayant donné à une âme quelques grâces particulières et qu'il les lui retire ensuite, cette âme en ressent beaucoup de chagrin et d'affliction. Cet amour-propre spirituel est comme planté et enraciné dans un fonds de sainteté qui est beaucoup plus feint que solide. Il mène l'âme par un chemin fort étroit qui fait paraître à ceux qui pratiquent cette âme, que la voie de Dieu est bien plus étroite et plus difficile qu'elle ne l'est véritablement. Il engendre en elle et dans ceux qui la hantent et qui l'écoutent, une espèce de sainteté qui n'est pas plus véritable que celle de son fonds. Il y produit même des choses qui paraissent grandes et merveilleuses, et qui donnent à tous des mouvements d'étonnement et d'admiration, mais accompagnés d'inquiétude d'esprit; car, comme l'on voit ensuite qu'on ne saurait arriver à cette haute perfection et à cette sainteté prétendue qu'on admire en autrui, l'on en ressent un découragement et une confusion qui ne laissent point de repos à l'âme; marque évidente que telle sainteté est un effet de l'amour-propre.

Asc,2278:T3

Placeat tibi Deus: stude ut placeas Deo Esclamazione sopra il Sacro Cuore di Gesù così poco conosciuto e perciò così poco riamato, anzi ingratamente vilipeso.

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Per ciò dimostrare, verrà in acconcio la parabola del Buon Pastore (Matt. cap. 18), di cui in primo luogo si considererà la buona volontà, cioè l'eccessivo amore che ci porta, come necessitato e dalla sua natura, e dalle nostre miserie, come si può raccorre dalla Scrittura, dai Padri, ragioni, esempi e similitudini, massime cavate dalla stessa Sacra Scrittura. 2o [Si considererà] come questa volontà non è semplice velleità, ma volontà efficace congiunta con un massimo interessamento del nostro vantaggio, siccome la Scrittura e l'esperienza ce lo dimostra. Ps. 94 Venite exultemus etc., Ps. 99 Jubilate Deo etc. 3o Considerare la corrispondenza della pecorella: come non rese amor ad amore, come se ne dimenticò, come fece la sorda, nuovamente chiamata non volendo far attenzione, come rese male per bene.

Asc,2278:T4,1

Quid enim est peccatum… Quid enim est peccatum ad misericordiam Dei? Tela aranea quæ vento flante nusquam comparet (Grisost. in proœmio Ps.). Dio esercitando la sua giustizia non ci guadagna niente, appena ci cava la conservazione della sua gloria. Un Re non diventa più grande, più amabile per far giustiziare qualcuno, appena ci cava la conservazione della pace del pubblico. All'opposto esercitando la misericordia diventa più grande, più amabile, accresce la sua gloria estrinseca, come si vede anche in humanis, dunque conviene dire che Dio abbia più a caro esercitare la misericordia che la giustizia. Tua malitia mensuram habet Dei vero pietas et clementia mensuram non habet, ipsa igitur tuam malitiam superat (Grisost. orat. 3 tom. 5). In terra bisogna combattere tra la speranza ed il timore con patto però, che la speranza sia sempre più forte, considerando l'onnipotenza di colui che ci soccorre (Sales let. 79 l. 4). Che impegno in Dio perché speriamo, e speriamo in ciò che ci è utile e vantaggioso, arriva fino a comandarcelo e porlo in articoli di fede. Che miseria è la nostra in ostinarsi a non sperare e non credere, crediamo e speriamo piuttosto le cose temporali, ma niente è più difficile che muovere a credere e sperare le cose spirituali e celesti. Ecco la mancanza di cognizione e speranza, ecco la necessità di veri operari. Far servire i nostri mancamenti in meglio, come si fanno servire d'ornamento le piccole rotture delle tele fini, con lavorargli sopra qualche bel fiore, onde non mai rammaricarsene, ma consolatamente compungersi. Più l'uomo si fa cattivo, più si deve sperare in bene, perché più facilmente può arrivare a conoscere il suo male, e sempre più crescono gli sforzi di Dio per farglielo conoscere e convertirlo, e questo è il carattere della longanimità.

Asc,2278:T4,2 Se Dio pensasse di non poter sollevare uno solo di noi, questo pensiero lo affliggerebbe più che lo consolano le consolazioni del paradiso. Vid. Manuale pauperum, Christus frater, peccata nostra. Gesù Cristo è nostro vero fratello, perché riguardo all'anima non è Dio, ha la medesima origine di Dio, ed ha nulla essenzialmente più di noi, anzi egli è di fede che è nostro fratello, dunque anch'egli sta soggetto al comando dell'Apostolo di amare i nostri fratelli, e far del bene a chi fa del male, e di mettersi nei panni e nelle miserie altrui per sollevarli, ed è tenuto sotto pena di peccato mortale. E siccome Gesù non vuole, né può commettere peccato alcuno, neppure imperfezione, pensate quale sarà il suo amore verso noi fratelli? E se vi furono uomini, che pur sono cattivi, che fecero a questo proposito atti eroici, pensate cosa non farà poi Gesù, le cui virtù sono portate all'ultimo eccesso?

Asc,2278:T4,3 Chi può parlare dell'inferno ad occhi asciutti, massime quando si tratta di parlare, di dimostrare che certe persone vi si mettono in pericolo di precipitarvi? Certo questi non ha buona retorica, quale deve imitare i veri moti dell'animo commosso: semplicità, libertà, dolcezza, mortificazione, volontà di Dio, soffrire il prossimo.

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Ha egli un protettore cui ha confidato tutti i suoi meriti, e non gli può negare niente, e questi è la confidenza in lui, quale dobbiamo procurarci quanto è dal canto nostro, e quando non possiamo dire col cuore diciamo almeno colla bocca “anch'io fossi nell'inferno, spererei in voi”. La speranza è la sola propria degli uomini. Abbiamo di comune coi dannati la fede, colla differenza ch'essi credono e tremano, e noi crediamo e speriamo. Abbiamo di comune coi beati la carità, colla differenza che essi amano ciò che posseggono, noi amiamo ciò che speriamo di possedere. La sola speranza è bandita dal paradiso e dall'inferno, ed abita solo sulla terra, ed è propria tutta di noi, e perciò forma il nostro caratteristico, l'essenziale della vita spirituale, perché ci differenzia dai beati e dai dannati. Questa è il motore della fede e della carità, così c'induciamo a credere ed amare ciò che ci appartiene e speriamo d'ottenere, onde questa dobbiamo piantare e rassodare negli uomini, senza cui non si otterrà mai niente; granché l'uomo è portato a credere ed amare ciò che spera gli sia più utile e vantaggioso, eppure crede ed ama sì poco Dio, certo non proviene da altro che da mancanza di convinzione e di speranza. S. Gertrude: la vita e le opere stupende per muovere la confidenza. In Dio non è che bontà, ed in noi non altro che miseria. Fissiamo bene il nostro sguardo in Dio e troveremo la bontà di Dio sempre propizia alla nostra miseria; la nostra miseria sempre oggetto della divina bontà.

Asc,2278:T4,4

Dice S. Gregorio… Dice S. Gregorio: La vera giustizia agli infermi, cioè ai peccatori è aver compassione. Ma la falsa giustizia ha indignazione, ed è segno di coscienza amaricata e inquinata. Dice S. Crisostomo: Quello il quale va perscrutando curiosamente gli altrui detti e fatti, e duramente li condanna, non meriterà mai da Dio la remissione dei suoi peccati. Ancora se da questo vizio non si emenderà in tal modo che gli venga poi in consuetudine appena c'è speranza della sua emendazione. (Specchio di Perfezione del P. Van Herp*2

Gesù mentre lo tormentavano era così pacifico, paziente, longanime etc. Cosa dovrà essere il confessore mentre se li vede ai suoi piedi?

min. osserv., 1546, cap. 7).

Io che sono cattivo non avrei cuore stare a godermela, mentre vedessi delle miserie. Cosa dovrò dire di Dio che è buonissimo? Nel meditare la vita di Gesù considerare l'istoria (compassione), il modo (amore), il fine (corrispondenza). Ignoti nulla cupido perché dunque pretendere che i popoli sappiano o pratichino quanto sta scritto in grossi volumi di morale?

Asc,2278:T4,5 Dio di potenza ordinaria non può diffondere le sue grazie, nei liberi arbitri che gli resistono; pure pel gran piacere che egli ha di comunicargliele, tenta tutti i mezzi per ingannarli, alcuni li copre sotto l'aspetto di cause seconde ma li lascia alquanto conoscere. Altri si gode non lasciarli conoscere e così ingannarci, e siccome pare non possa essere beato senza di noi; siccome chi sta a godere non ha cuore di vedere di miserie (siccome arriva in noi cattivi), così tenta Dio ogni strada per gabbare in bene il nostro libero arbitrio tanto renitente, e perciò usa i stratagemmi più fini della sua onnipotenza, che sono gli sforzi che fa per dimostrarci il suo amore e così essere riamato [da noi]. Eppure noi, o Dio, quanto a nostro danno stiamo attenti per non lasciarci gabbare? Ah! Lasciamoci ingannare da Dio, che è più premuroso del nostro bene, di quel che lo siamo noi stessi, siamogli docili, confidiamo in lui, ed andrà bene per voi, e non confidate in noi che non siamo che suoi ministri, ed ancora ministri quando predichiamo e possediamo i frutti dello Spirito Santo, poiché altrimenti non possiamo chiamarci ministri di Dio mentre predichiamo e facciamo l'opposto. È pur compassionevole la storia della natività del Signore Gesù, pure è allegra, pacifica, benigna, longanime, perché ha speranza con questo di serbarci e guadagnarci a sé.

Asc,2278:T4,6

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Miseria e misericordia Il Salvatore per fare il suo ingresso solenne in Gerusalemme spedisce due discepoli ad un Castello, dice loro che avrebbero trovato un puledro d'una giumenta, ordina loro che lo sciolgano e lo conducano a lui, e (soggiunge) se alcuno vi domanda che fate, rispondete franco che ne abbisogno: quia Domino necessarius est (Marc. 11, 3). N.B. che nel giumento sono figurati i peccatori, nei discepoli, i Ministri di Dio. N.B. l'incombenza che lascia ai Ministri di Dio: D'ora innanzi, trovando difficoltà nella conversione dei peccatori dirò: “Signore Voi ne avete bisogno, pensate a promuovere il vostro onore e nome” e certamente nel nome del Signore cesseranno gli impedimenti. N.B. come pensa 1) alla libertà dei peccatori, 2) all'onore suo, perché avendo risoluto di fare un magnifico ingresso in Cielo, ha gran bisogno dei peccatori per mettere in tutto il suo lume la misericordia, e come la miseria è necessaria per far spiccare la misericordia, e come cercando di sollevare la miseria cerca il suo nome di Misericordioso. Quindi S. Paciano: Nemo de vilitate animæ suæ ita desperet ut se jam Deo non necessarium credat. N.B. la storia dell'adultera: relicti sunt Duo Miseria et Misericordia.

Asc,2278:T4,7

Siccome le verità naturali… Siccome le verità naturali prima senza la rivelazione non erano conosciute che da pochi, dopo lunghe meditazioni, e miste ancora di moltissimi errori, così le verità soprannaturali, senza l'interprete della Chiesa, non si trarrebbero dalle sacre Scritture, se non da pochi, dopo profonde meditazioni e con grandissimi errori, come si vede accadere riguardo agli eretici. Maniera di procurare il bene, la salute del prossimo (Sales lib. 11 c. 15). Tutta la morale consiste nel mitis et humilis corde, massime in chi deve dirigere gli altri. Il religioso è lo specchio, il libro dei laici. Intanto non si riconosce in Dio la misericordia, perché non si vuole riconoscere, per cagione della superbia, la propria miseria, essendo la misericordia una cordialità della miseria altrui, etc. Un bel quadro di un penitente, atto a muovere a penitenza qualunque peccatore si è il quadro della vita di S. Maria Maddalena.

Asc,2278:T4,8 La soddisfazione dovuta del nostro peccato che era infinita, se l'addossò Gesù Cristo, né altro più ci resta che fare che pentircene, o quanto facilmente provvide Gesù alla nostra infermità. I rispetti umani se non si vogliono vincere mai o una volta, se una volta perché non adesso? Le tentazioni sono ispirazioni ed occasioni che Iddio ci propone di battaglia, né senza di noi ci potranno mai nuocere. Qualunque volta ci sentiamo abbattuti, o crediamo d'essere in peccato, o no, se no, non v'è occasione d'essere triste; se in peccato perché abbattersi, se non abbiamo che a fare un atto di contrizione per mettersi in grazia, quale possiamo fare subito, e non sta che da noi. Se non lo facciamo, anzi non facendolo, priviamo d'un gaudio Iddio, gli Angeli, i Beati. S. Bernardus ex Serm. de Maria Magdalena n. 4, n. 8, 9. Ex sermone 10 in Cant. n. 5, 7. Ex sermone 12 in Cant. n. 1 maxime. Ex sermone 11 in Cant. n. 1. Cap. 7 lib. 1 De consideratione (50 diversorum). Sermone de triplici bonorum genere. Epist. 8 ad Episcop. Coloniensem. Serm. 4 De jejunio quadragesimæ. Serm. 5 Quadragesimæ de triplici modo orandi n. 4. Serm. 2 De annuntiatione n. 2. Serm. Dominicæ primæ post Epiphaniam. Serm. Dominicæ infra octavam Epiphaniæ.

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Asc,2278:T4,9 A tre capi si riduce tutta la perfezione del Cristiano, cioè ad una compunzione consolante, quale però patisce acrimonia, ad una dolce speranza e confidenza in Dio, quale patisce siccità, ad un amoroso rispetto verso il prossimo e cordiale compassione verso i peccatori, quale non patisce alterazione veruna. S. Bernardo: bonum enim unguentum contritionis ex recordatione peccatorum, et mittitur in pedes, quia cor contritum et humiliatum Deus non despiciet. Longe melius unguentum devotionis et confidentiæ ex recordatione beneficiorum Dei, et capiti idoneum reputabatur, quia sacrificium laudis honorificabile a Deo appellatur. Utrumque vincit unctio pietatis, quæ de respectu miserorum fit, et per totum Christi corpus diffunditur, non quod crucifixum fuit, sed quod illius acquisitum est Passione (Serm. 12 in Cant. in medio); optimum unguentum in cujus comparatione cætera non respicit, qui ait misericordiam volo non sacrificium. Hoc est super omnia aromata morbis omnibus, et periculis salutare, nec ulli umquam pesti invenitur inefficax, de ipso legitur Maria Magdalenæ et Maria Jacobi emerunt aromata, ut venientes ungerent Jesum (serm. de Magd. n. 9). Hoc expendi noluit in corpore suo mortuo, ut servaret vivo etc. (serm. 12 in Cant.).

Asc,2278:T4,10

Per ottenere la tranquillità… Per ottenere la tranquillità in ogni evento sì prospero che avverso, conviene fissare due punti: quello dell'intelletto e quello del cuore. Una volta S. Francesco di Sales essendo ai piedi del Crocifisso, poco mancando che venisse meno, proruppe in queste parole: “O Gesù, non v'è più al mondo chi ami le povere anime, se non che io e voi”. La misericordia è la massima delle virtù. Lo Spirito Santo è dono, anzi la stessa donabilità. Onde è più facile che Dio dia lo Spirito Santo che un Re un quattrino. Iddio è infinitamente e sovranamente buono, onde come tale detesta necessariamente l'iniquità, il peccato come il supremo male; perciò adopera ogni mezzo per impedirlo, se non v'è, e toglierlo se v'è di già nelle sue creature, onde finché queste sono capaci (e sono capaci finché muoiono), non tralascia di mettere in esecuzione tutti i mezzi per liberarle da tanto male, ma quando le sue creature ostinate resistono, e nella sua ostinazione se ne muoiono deformi pel peccato, non può a meno di sommamente castigarle, atteso il sommo odio che porta a tanto male, che è necessitato di portare per essere il sommo buono.

Asc,2278:T4,11 Justitia Dei est bonitas Dei Sapientiæ, legibus attemperata (Leibniz, Sfondrati pag. 233). Petre amas me? Pasce oves meas, amas me etc. La natura diede all'uomo non le passioni, ma le semipassioni. I fanciulli non sono portati naturalmente che a fare del bene agli altri. Cum iratus fueris misericordiæ recordaberis (Hebr. 3). Qui credit in Domino misericordiam diligit [Prov. c. 14, 21]. Qui patiens est multa gubernatur sapientia: qui autem impatiens est exaltat stultitiam suam (Prov. c. 14, 29). Responsio mollis frangit iram, sermo durus suscitat furorem (c. 15 Prov.). Chi non propone altro che motivi d'attrizione, e non assolve se non v'è la contrizione, mette l'uomo in impossibilità di salvarsi.

Asc,2278:T4,12 Se Iddio comanda a noi e suggerisce di giungere al segno di bontà da non lasciarci vincere dal male, di perdonare i nostri nemici, cosa dovremo aspettarci da chi è già la stessa infinita bontà? Non dubitiamo ch'egli saprà farlo molto meglio di noi, anzi stiamone sicuri. Gesù Cristo attese continuamente a rendersi amabile con tutti, anche coi peccatori, e sopportare i nostri difetti. Imitiamolo anche noi verso il nostro prossimo.

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Conveniva alla bontà divina, che ci ha ordinato di vincere il male per il bene, di non lasciarsi vincere dal peccato (Sales, Amor di Dio l. 2, c. 5, c. 8, c. 9, c. 10, 11, 12, etc. etc.). Justitia est decentia divinæ bonitatis (S. Anselmo – Sfondrati p. 235). O Gesù, Gesù si vuole rendere il vostro nome odioso, non consolante, non sanno che oleum effusum est nomen tuum.

Asc,2278:T4,13 Iddio è facilissimo a perdonare, più che la stoppa a bruciarsi, ed esige poco dagli uomini, perché essendo sapientissimo ed avendo fatta una religione per gli uomini, non può e non esige da questi che siano Angeli, ma dovette farla humano modo, ed adattata facilmente alla capacità degli uomini. È proprio della Carità facilitare il più che si può, dunque Dio Caritas non esset se non avesse fatta una religione facile. Le opere di Dio sono in ragione composta di Dio e delle creature, cioè a Sua Maggior Gloria, e in pro degli uomini; ora non può dirsi in pro degli uomini una religione difficile, onerosa, dunque dev'essere divina, umana, cioè adatta agli uomini e facile. Anche posto che vi fosse del gravoso nella nostra religione, non dovrebbe dirsi, perché generalmente ciascuno procura di dimenticare ed esimersi dalle cose difficili, e non sono intraprese se non da pochissimi, perché siamo tutti uomini, né potrebbe darsi, per proposizione generale che la religione nostra fosse per gli uomini.

Asc,2278:T4,14 Quid ostendis potentiam tuam contra folium quod vento rapitur etc. Deus qui miserendo et parcendo potentiam tuam ostendis. An ignoras thesauros bonitatis Dei, nescis quoniam (non quod) benignitas (non bonitas) Dei te adducit ad pænitentiam (Rom. 2). Avete difficoltà di farlo? Dunque non siete i suoi veri ministri, se ributtate i peccatori, ricordatevi che siete i ministri della misericordia e non quei della giustizia, che sono i demoni. Venite ad me omnes qui laboratis et onerati estis, et ego reficiam vos, ed in che modo? Tollite jugum meum super vos, et invenietis requiem animabus vestris, e che giogo, sentite, discite a me quia mitis sum et humilis corde, jugum enim meum suave est et onus meum leve. La religione cristiana è consolante, dunque la sbaglia chiunque con le sue massime, la rende gravosa, odiosa. Gesù Cristo non permise ai suoi discepoli che andassero a predicare prima di condurseli seco sul monte degli Ulivi, e quivi non fossero inzuppati ben bene dell'olio della dolcezza (S. Brunone d'Asti).

Asc,2278:T4,15

Il cuore dell'uomo… Il cuore dell'uomo è fatto per amare, e ama ciò che più lo muove, e gli fa impressione, scopriamogli la bontà di Dio come si deve e ne sarà rapito, e si volgerà ad amare questa. S. Maria Maddalena amava il mondo, e faceva gran cose per il mondo, amò Gesù Cristo, e fece per lui gran cose. Ama et fac quod vis. Arbor bona bonos fructus facit, i frutti quali dovranno essere, se non sono quelli dello Spirito Santo, caritas, gaudium, pax etc. Tutti i frutti assieme sono degli aggettivi a ciascun frutto. Trovino, se possono, qual altro fu il caratteristico di Gesù Cristo se non lo fu la misericordia. Fu un giorno condotta nel tempio innanzi a Gesù Cristo una peccatrice, acciò egli la condannasse. Gesù Cristo si volta ad essi, e dice loro, che chi si sentisse senza peccato desse egli il primo di mano ad una pietra e la lapidasse. Ciò sentendo, se ne uscirono tutti dal tempio, e lasciarono soli*3

Asc,2278:T4,16

, onde restarono essi due soli. Interroga qui S. Agostino chi erano quei due soli, e risponde essere la miseria e la misericordia.

Tanto era pubblica la misericordia e la compassione che Gesù Cristo aveva verso i peccatori, che vollero tentarlo per vedere sino a che segno giungeva questa, e se potevano in qualche maniera vincerlo in tale virtù. Sapevano questa essere la sua passione predominante, e il suo caratteristico.

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Conoscevano anche la sua perfetta osservanza della legge, e per vedere cos'avrebbe saputo fare la sua compassione in confronto della legge, e se una volta potevano vincerlo in tale virtù cotanto odiata dai farisei, gli condussero avanti l'adultera, ma il buon Gesù come seppe conciliare tutto, e far sovrabbondare la misericordia! In Gesù Cristo non solo v'è la pazienza, ma la virtù della longanimità etc. Il caratteristico di Gesù è la misericordia e compassione: quel degli uomini deve essere la speranza, promoviamole ambedue. S. Francesco di Sales (nel Trattato dell'Amor di Dio tom. 1, lib. 1, cap. 15) parlando del secondo rapporto tra Dio e l'uomo, cioè l'incontro dell'indigenza con l'abbondanza, del povero con il ricco, avendo massimamente deciso Gesù Cristo stesso che è meglio dare che il ricevere, etc. e nel tom. 2 lib. 10 cap. 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, dello zelo. Manuale pauperum per tutto consolantissimo. Esempio del Vescovo Carpo rapportato da S. Dionigi e da S. Francesco di Sales, Amor di Dio, l.c.

Asc,2278:T5

Della risurrezione

Asc,2278:T5

1. Risorse Cristo 2. Risorgeremo noi. Frutto, ilarità d'animo. 1o Preludio: il Sepolcro vuoto, e gli Angioli. 2o Preludio: Hæc dies quam fecit Dominus. Exultemus!

Asc,2278:T5,1 1. Cristo risorse è certa fede. 1) Cristo risorse: Quanto diciamo in una parola etc. 2) Veramente Cristo risorse, è fede certa per i vaticini e per i testimoni, per vaticini etc., per testimoni di vita, in numero e autorità tali che non potevano ingannare né essere ingannati; 500 lo videro, fu visto ora dagli uni ora dagli altri, senza l'uno sapesse dell'altro: fu visto 15 volte in vari luoghi, tempi, in mezzo giorno, gli parlarono, l'udirono, mangiarono assieme, lo toccarono, dunque non poterono ingannarsi, né ingannare. Difatti a che pro spargere una tale favola d'un uomo morto, anzi con tanto loro male, con quanta pertinacia lo sostennero, come avrebbero potuto persuadere cosa sì incredibile a tanta gente, uomini di nessuna autorità, sapienza e potenza, se non per quella che Dio loro comunicava per miracoli? Certo che Dio sarebbe stato fautore dell'inganno. Da questo come dovetti comportarmi, meditando la Passione di Gesù, e nelle mie tribolazioni, un occhio fissarlo nel Redentore moribondo, e l'altro riservarlo per rimirarlo risorto, così mi sarei persuaso la pazienza ed il gaudio. Così gli Apostoli non predicavano della Passione senza fare memoria della Risurrezione. Utile osservazione e adattata alla nostra infermità, perché si compatimur et conglorificabimur, non possiamo più onestamente vivere, più gloriosamente morire, perché così visse, così morì, e risuscitò ancora Cristo.

Asc,2278:T5,2 2. Noi risorgeremo, allegra fede. Omnes resurgemus, sed non omnes immutabimur. O gioconda nuova per gli uni, triste per gli altri, etc. Veramente risorgeremo. Non possiamo dubitare della potenza di Dio, perché chi poté creare il tutto dal niente, a cui è possibile omne verbum, può anche rifarci dalla polvere, né della volontà, perché basta leggere i profeti e il Vangelo che si trova passo passo menzione del Giudizio, e della risurrezione alla pena, e premio seguente, ibunt in ignem æternum, justi autem in vitam æternam. S. Martiri: quanto siete contenti? Gesù non mai parlò della sua Passione che non parlasse anche della Risurrezione. Generosità nei buoni propositi contro qualunque molestia. Il terzo dì risusciteremo: il primo è di Passione; il secondo è di gloria; non puoi attendere fino al terzo dì. Comandati la pazienza fino al terzo dì. Asc,2278:*1 L'ultima riga non è leggibile a causa della lacerazione del foglio. Asc,2278:*2

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Enrico di Herp, scrittore mistico, nato circa il 1405, morto a Malines nel 1477. Il suo capolavoro, Spieghel der Volcomenheit, fu composto in fiammingo tra il 1455 e il 1460. Asc,2278:*3 Precedentemente aveva scritto “e gli lasciarono la peccatrice”. Parole cancellate in seguito.

Asc,2285:S

De perfectionibus Dei relativis L'opuscolo ms. in cm. 20 x 30 si presenta anonimo, ma è certamente di paternità Lanteri, come si può provare con argomenti esterni ed interni. a) Argomenti esterni: la paternità Lanteri si rileva anzitutto dall'esistenza in AOMV (S. 2,10,1:285) della copia autografa dello stesso opuscolo, e dalla copia di mano estranea conservata nella Biblioteca Diocesana di Ivrea, dove in testata si legge: Opusculum R.di P. Lanteri, scritto da colui che aveva copiato il testo dall'originale. b) Argomenti interni: gli argomenti interni, pensiamo noi, sono ancora più determinanti, e risultano dall'esame del contenuto e dello stile: lo stile è prettamente lanteriano e il contenuto appare indirizzato a uno scopo principalmente pastorale e parenetico, per quanto basato su un rigidissimo schema scientifico. Il Lanteri espone su una base strettamente teologica alcuni temi degli Esercizi Spirituali di S. Ignazio. Nella trascrizione, per comodità di lettura e per maggiore scorrevolezza del testo, sono state eliminate le frequenti graffe usate dall'Autore. Questo opuscolo è tuttora inedito (Calliari). Secondo il P. Calliari, si tratta di due opuscoli distinti, il secondo cominciando con il titolo De modo unionis hypostaticæ. Però la tavola delle materie scritta dal P. Lanteri all'inizio del suo testo non conferma una tale divisione.

Asc,2285:T

De perfectionibus Dei relativis nimirum de ejus 1. benignitate, ubi de proprietatibus divini amoris considerandis in amore Dei; 2. misericordia, ubi de lapsu et redemptione hominis, de incarnatione Verbi Dei, de modo unionis hypostaticæ, de magnitudine beneficii Incarnationis, de beneficio doctrinæ Christi, de beneficio exemplorum omnis virtutis, de beneficio liberationis a peccato, de beneficio adoptionis, de beneficio thesauri meritorum Christi. Les perfections relatives de Dieu marquent le rapport qu'il a aux créatures, montrent ses traces, ses vestiges, mais il ne le découvrent pas; j'en connais les effets, et non pas la cause, parce qu'il en peut produire de plus grands et de plus merveilleux.

Asc,2285:T1

De benignitate Dei Perfectio Dei triplex alia ratione naturæ et dicitur bonitas naturali; ratione moris et dicitur sanctitas; ratione beneficentiæ et dicitur benignitas. Benignitas oritur ex perfectione naturæ, ex eo enim quod res sit perfecta in sua entitate, propendet ad se communicandum sicut vas perfecte plenum propendet ad sui liquoris effusionem. Duplex autem est sui communio naturalis et omnia plena; libera et diminuta per quam communicatur natura et constituitur æquale; solum aliquod naturæ imitationem, adumbratum vestigium. Nam cum divina essentia sit infinitæ perfectionis, et excellentiæ, propendet naturaliter et intime ad communicationem sui infinitam, sicut res inferiores propendent ad procurationem sui similis et æqualis. Verum quum id quod infinitum est, multiplicari non potest, idcirco divina essentia non se communicat productione essentiæ similis numero distinctæ sicut res creatæ, sed largitione sui ipsius et veluti replicatione, ita ut eadem numero simplicissima natura sit in tribus distinctis hypostasibus. Hæc tum communicatio quum sit naturalis propensio ad hanc dicitur fecunditas, non benignitas. Ipsa vero communio non est beneficentia, sed naturalis productio personæ et communicatio naturæ. Benignitas vero proprie respicit communicationem liberam ad inferiora descendentem. Oritur quidem ex infinita Dei bonitate et super plenissima Dei perfectione sicut et fecunditas, et est Deo naturalis; actus tum ipsius sunt liberi. Benignitas ergo Dei est naturalis propensio ad se communicandum inferioribus, seu creaturis pro captu cujusque. Ex hac provenit primo et immediate amor erga creaturas quo vult illis suorum

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bonorum communicationem, sed maxime erga creaturam naturalem, quæ sola divinitatis per intellectum et voluntatem est capax. Idcirco enim naturam angelicam et humanam condidit et gratiæ suæ donis cumulavit. Cætera autem omnia ob naturam humanam quæ infinitis adminiculis egebat, fabricata est.

Asc,2285:T2

Effectus amoris divini et modus operandi Ex amore divino omne bonum creatum profluxit, et vi ejusdem omnia in Deum reducuntur. Sicuti enim amor ex bonitate divina procedens, descendit et exundat ad creaturas, ita rursus easdem ad divinam bonitatem convertit, ut æternum quiescant unde profluxerunt. S. Dionysius, de divinis nominibus c. 4, dicit amorem divinum esse 1o. vim motricem sursum in Deum trahentem, qui solus est ipsum pulchrum et bonum; item 2o. manifestationem Dei per se ipsum, per 5 egressus; 3o. benignum processum eximie illis unionis per se mobilem, innatam; 4o. amatoriam motionem simplicem præexistentem in bono, ex bono in ea quæ sunt exuberantem, rursum in bonum revertentem.

Asc,2285:T2,1 Nota dicit: 1o. esse vim motricem, quia Deum movet ut descendat ad creaturas, creaturis sua bona communicet; ipsas res creatas sursum trahit in Deum, efficiens extasim quia amantem transfert a se ipso in amatum, nempe Deum in creaturam et creaturam in Deum. Verum etsi Deum moveat ad creaturas, non tamen ipsum sinit in rebus creatis quiescere, sed ab illis retrahit eum una cum creatis in se ipsum. Nam totum bonum quod confert rebus creatis statim reflectit, refert ad se ipsum, qui est ipsum per se bonum et pulchrum, quod omnia ad se allicit, trahit potentissime.

Asc,2285:T2,2 2o. Dicit esse manifestationem Dei per seipsum, quia quum Deus lucem habitet inaccessibilem, ita ut nulli creaturæ per se esse possit manifestus, per amorem egreditur extra se, et sic manifestatur creaturis. Amor enim movet Deum ad 5 modos egressus: 1. ad egressum per creationem qua non solum rebus creatis imprimit illustre vestigium suæ potentiæ, sapientiæ, bonitatis, sed etiam naturæ rationali angelicæ et humanæ vultus sui imaginem inserit; absque hoc egressu Deus maneret prorsus ignotus creaturis, nulla creatura posset existere; 2. ad egressum per gubernationem qua omnia Deus conservat, movet, perficit, ad fines suos dirigit ex hac mundi gubernatione clare ejus præsentia cognoscitur; 3. ad egressum per mysterium Incarnationis qua Deus factus est verus homo, corporata est visibilis Divinitas. Hic egressus fuit maxime admirabilis, et maxime nobis patefecit Deus suam potentiam, sapientiam, sanctitatem, misericordiam, justitiam; 4. ad egressum per doctrinam, illuminationem, justificationem juxta illud exit qui seminat seminare semen suum; 5. ad egressum per infusionem, seu communicationem luminis gloriæ, per renovationem totius universi, per glorificationem qua se aperte manifestabit omnibus sanctis et omnia ad se convertet. Ex his patet quomodo amor sit manifestatio Divinitatis. Porro quum amor Dei quo seipsum et creaturas amat, Deus sit, quando amor Deum manifestat. Deus seipsum per seipsum manifestat, hoc est seipsum ut summum bonum et pulchrum, per seipsum ut per amorem summi boni et pulchri.

Asc,2285:T2,3 3o. Dicit esse processum benignum eximiæ illius unionis, quia amor Dei est processus quidam veluti germen amoris Dei quo amat seipsum, sicut amor mediorum est quædam extensio, veluti surculus amoris ipsius finis; sicut cognitio effectuum est quidam processus cognitionis principiorum. Per eximiam illam unionem intelligitur amor ille quo Deus seipsum ut summum bonum et pulchrum amat. Hic enim est unio quædam Dei ad seipsum.

Asc,2285:T2,4 4o. Dicit esse motionem amatoriam quia amor est motio quædam vitalis per seipsam faciens amare, et amantem transire a seipso in dilectum. Simplicem quia amor Dei in se unicus et simplicissimus est, etsi infinita sint ea ad quæ procedit.

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Per se mobilem quia amor proposito bono et pulchro per se excitatur; per se innatam quia amor divinus non est ab alio productus in Deo, neque aliunde excitatus, sed ex ipsa Dei benignitate sponte exortus. Præexistit hæc motio in bono quia ante omnem creaturam hic amor est in Deo, et prius (nostro modo concipiendi) est in divina essentia, uti in causa objectiva quam sit in Deo, seu divina voluntate formaliter, præsertim cum amor creaturarum sit libere susceptus. Ex bono in ea quæ sunt exundat, et rursus in bonum revertitur. Hic comparatur amor circulo et motui circulari, qui principio et fine caret. Unde pergit S. Dionysius: qua in re fine et principio se carere divinus amor excellenter ostendit, tamquam sempiternus circulus propter bonum, ex bono, in bono, ad bonum, indeclinabili conversione circumiens in eodem, secundum idem, semper procedens, manens, remeans. Dicitur circulus perpetuus quia amor Dei assidue in creaturas tendit, creaturas in Deum convertit, quod indicat ipsa creatio et gubernatio, nec ab ullo potest impediri. Dicitur ex bono, ad bonum, quia amor divinus oritur ex divina bonitate et immediate in divinam bonitatem tendit; propter bonum, in bono, quia propter divinam bonitatem descendit in creaturas, ita tamen ut semper in Deo maneat, nempe demittit se ad illas non ut ibi sistat, sed ut eas in fontem boni, unde exortæ sunt, reducat. Semper ergo amor Dei procedit a Deo in creata, manet in Deo, in Deum remeat, idque secundum idem sui et propter idem sui.

Asc,2285:T3,1

De proprietatibus divini amoris quæ sunt octo, ex dictis enim colligitur. 1o. Amor divinus eminenter et originaliter præexistit in pulchro et bono, id est in pulchritudine et bonitate divina tamquam in ratione objectiva, veluti causa, radice, fundamento.

Asc,2285:T3,2 2o. Ex pulchro et bono tamquam fonte oritur, ut existat jam formaliter in Deo. Hoc enim ipso quo Deus suam pulchritudinem et excellentiam infinitam intuetur, exoritur in ipso infinitum amoris incendium, quo tantum illam amat, quantum amari digna est, nempe infinities infinite. Nam pulchrum et bonum cognitum statim amorem accendit, unde infinitum pulchrum et bonum infinite cognitum infinitum amorem ciebit, infinitum in quam ardore et æstimatione, hoc est intensive et appretiative.

Asc,2285:T3,3 3o. Immediate in pulchrum et bonum se reflectit, unde hic est sempiternus quidam circulus. Nam pulchrum et bonum menti divinæ propositum accendit amorem in voluntate, qui proxime et essentialiter reflectitur in pulchrum et bonum trahens in illud voluntatem, eamque totam circa illud occupans. Amor enim est occupatio amantis circa amatum, ipsius amati causa.

Asc,2285:T3,4 4o. Propter pulchrum et bonum ad creaturas se extendit et descendit nimirum ut illud creaturis communicet vel totum, vel aliquot radios et adumbrationes, pro cujusque captu et meritis, quod enim summe amamus, cupimus ejus præstantiam et pulchritudinem omnibus innotescere, ejus dulcedinem ab omnibus percipi ut ab omnibus laudetur. Idem facit amor in Deo.

Asc,2285:T3,5 5o. Creaturas sursum rapit, et ad pulchrum et bonum convertit. Hoc maxime locum habet in Angelis et hominibus. Nam cætera divinam pulchritudinem et bonitatem non capiunt, sed in homine trahuntur quodam modo in Deum cætera, quia omnes naturæ gradus in ipso et cætera omnia propter ipsum; unde ipso peccante cætera omnia quoque fuere afflicta et subjecta servituti corruptionis et mutabilitatis, et ipso ad gloriam evecto cætera quoque pro captu extollentur. Denique eo ipso quo singula appetunt pulchritudinem et perfectionem suæ speciei congruentem cernitur in illis vestigium quoddam hujus amoris, et tendunt suo modo in pulchrum et bonum. Ex amore namque divino impressam habent hanc inclinationem, eamque Deus per bonum et pulchrum particulare, in quod proxime tendit, dirigit in bonum et pulchrum universale, omnis boni et pulchri exemplar, prototypum.

Asc,2285:T3,6

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6o. Divinus amor est extaticus, quia amantem extra se trahit in amatum. Amor enim 1. Deum suæ celsitudinis quodammodo facit oblivisci, ad humilitatem nostram inclinat, totum in salutis nostro negotio occupat, cujus signum Incarnatio, prædicatio, miracula, Passio, mors, sacramenta, item missio Spiritus Sancti, gubernatio Ecclesiæ assidua et mirabilis, singulorum cura et directio. 2. Hominem extra se ponit efficiens, ut non cogitet de se aut suis commodis, sed de Deo et de Dei bonis. Unde magnus Dei amator seipsum abnegat, suis cupiditatibus renuntiat, suas utilitates negligit, sui obliviscitur, totus in iis est quæ ad Deum pertinent; est enim cogitatione et affectu, totus extra se et translatus in Deum, unde exclamat cum S. Ignatio: “Amor meus crucifixus est”; et cum S. Paulo: “Mihi vivere Christus est, et mori lucrum. Vivo ego, jam non ego, vivit vero in me Christus”.

Asc,2285:T3,7 7o. Amor divinus est vis unitiva, ideo enim facit extasim et excessum amantis a se ipso, ut illam in amatum transferat, illi arctissime uniat, unum cum illo efficiat. Sic amor univit Deum homini non solum affectu et cura, sed etiam effectu et substantia unione nimirum hypostatica; unit hominem Deo, it aut prorsus ab ipso deficiens, in Deum transeat, veluti colliquescat, nil amplius cogitans, intelligens, sentiens præter Deum, nil aliud appetens aut desiderans, nulla alia re gaudens, quam de bonis Dei. Qui sic Deo adhæret unus spiritus efficitur, quia seipsum exuit et Deum induit, ac perinde ac si in divinam naturam transformatus esset, totus cogitatione et affectu est in Deo. Sic omnes Sancti unum erunt cum Deo, quia omnes agnoscent suum nihil quod ex se sunt, et se nil æstimabunt nisi quatenus sunt Dei vel propter Deum; et hoc modo penitus a se deficient, cur enim hæreant in nihilo? Deinde intellectu et voluntate potentissime rapientur in illum, et toti in ipso erunt et in ipsum veluti liquescent, transformabuntur, nil aliud sentientes, gustantes, æstimantes, quam Deum, bonum ipsius, perinde ac si ipsi in Deum essent transmutati.

Asc,2285:T3,8 8o. Motus amoris est orbicularis, idque dupliciter. 1. Circa proprium objectum, quod est ipsum pulchrum et bonum, ut in 3a proprietate. Sic ponitur circulus a Dionisio in visione beatifica; nam ab essentia divina, quod est ipsum pulchrum et bonum descendit in mentem angelicam lumen gloriæ; ex mente et lumine gloriæ statim oritur visio beata, quæ immediate reflectitur in pulchrum et bonum, tamquam in suum objectum et principium. 2. Est circulus in amore divino, ut se extendit ad creaturas, nam ex bono et pulchro descendit ad res creatas, easque suo attactu accendens, convertit et reducit secum in idem pulchrum et bonum. Est exemplum in sole: sol in rebus corporeis est pulchrum et bonum, sicut in intelligibilibus Deus; ex sole descendit calor ad res inferiores, descendit autem per lucem, prius enim res illustrantur quam calorem concipiant; calore concepto, fiunt spirituales et leves, sursum in cælum vehuntur. Ita sol symbolum est Dei, lux symbolum sapientiæ, calor symbolum amoris, res symbolum animarum et spirituum. A Deo descendit amor per sapientiam, prius enim mens illustratur cognitione pulchritudinis et bonitatis divinæ. Deinde per cognitionem concipit amorem, amor conceptus efficit animam spiritualem et cælestem, eamque mox sursum trahit et Deo conjungit illique soli æterno similem, veluti quemdam parelium (qui solis est expressa imago) effecit.

Asc,2285:T4

Quinque consideranda in amore Dei erga hominem nempe: 1o. majestas amantis, 2o. qualitas eorum quos amat, 3o. bona quæ illis partim confert et offert, 4o. modus quo amat, 5o. finis propter quem amat.

Asc,2285:T4,1 1o. Quis nos amat, non est princeps terrenus aut Angelus, sed Deus ipse infinitus, immensus, æternus, infinitæ potentiæ, sapientiæ, sanctitatis, gloriæ, beatitudinis; nullius est sibi sufficientissimus, et hic amor non est recens, sed ab æterno præconceptus. “In caritate perpetua dilexi te, ideo attraxi te miserans” (Jer. 31). Ipse prior dilexit nos. “Numquid oblivisci potest mater

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infantem suum, ut non misereatur filio uteri sui? Et si illa oblita fuerit, ego tum non obliviscar tui. Ecce in manibus meis descripsi te; muri tui coram oculis meis semper” (Is. 49). At quanta res est amari a tanta majestate? In aulis principum plerique laborant, omnem operam ponunt, ut favorem principis assequantur, quo obtento gloriantur et beatos se putant, et vix se capiunt, idque quia talis favor et benevolentia magnam illis adfert dignitatem et æstimationem apud homines, et quia illis inde proveniunt honores, præfecturæ opes. Porro si favor terreni et mortalis principis nobis similis et nostris miseriis subjecti tanti æstimatur, quanti censeri debet favor divinus? Certe infinite pluris cum majestas Dei sit infinite major, et dignitas et opulentia quam confert infinitis partibus melior et optabilior nimirum quantum præstant cælestia terrenis, divina humanis, sempiterna caducis et momentaneis.

Asc,2285:T4,2 2o. Spectanda conditio eorum quos Deus amat. “Sic Deus tantus dilexit nos tantillos tales” (S. Bernardus). “Nusquam enim Angelos apprehendit, sed semen Abrahæ apprehendit” (Rom. 5). “Commendat caritatem suam Deus in nobis, quoniam cum adhuc peccatores essemus, secundum tempus Christus pro nobis mortuus est” (Rom. 5). “Quid est homo quod memores ejus, aut filius hominis quoniam visitas eum, aut apponis erga eum cor tuum?” (Ps. 8). Hi sunt si spectes creaturam: infimi inter creaturas rationales (sicut enim materia prima est infima inter res corporeas, ita anima inter res spirituales); si spectes qualitatem: inimici, superbi, ingrati, carnales, item cælestium incurii, terrenis affixi, inepti ad omne bonum, proni ad omne malum. Res plane mirabilis tam vilem et ingratam creaturam, tantopere a suo Creatore, atque adeo etiam præ Angelis dilectam! Sicut si potentissimus monarca æthiopica aliquot mancipia infimis solum obsequitur idonea, sæpius triremes et mortem commerita, vellet amare præ patria nobilitate, adoptare in filios, omni studio niti evehere ad communionem regni sui, et tamen in iis esset naturæ paritas, solius fortunæ discrimen. Supra naturam humanam tot sunt Angelorum ordines omnes sublimes, spirituales, illustres, omnes sapientia et caritate repleti, omnes in Deum semper intenti, ab omni contagione alieni, cæli cives naturales, et tamen his omnibus prætulit naturam humanam rationalis naturæ terminum, terræ civem, brutorum sociam, adde peccatis inquinatam, ignorantiæ tenebris circumfusam, a rebus divinis longissime dissitam. Nimirum hoc est benignitatis divinæ ingenium demittere se ad infima, curare infirma, colligere abjecta, attollere humilia, et ubi est major inopia, ibi magis suas opes erogare et suam opem ferre.

Asc,2285:T4,3 3o. Spectanda bona quæ Deus nobis partim præparavit, partim dedit, quorum primus est: 1. communicatio æternæ beatitudinis et Regni sui; ut hanc nobis daret, cetera omnia præparavit. Hoc bonum est æstimationis infinitæ; 2. anima rationalis, immortalis, capax tanti boni; 3. gratia cælestis qua possimus gloriam illam promereri; 4. corpus idoneum animæ instrumentum, quinque sensibus instructum; 5. tota mundi machina cum omnibus opibus et bonis quæ illo continentur; hæc enim omnia condita sunt propter hominem, ut in mundo vivat et juvetur rebus omnibus ad Dei cultum et ad divinitatem promerendam; 6. angelica custodia: fecit enim Angelos velut nostros pedagogos, custodes, directores ad salutem. Et hæc omnia ante peccatum; post peccatum vero, quum meremur his omnibus privari, addidit multo majora. Quantæ vero æstimationis sint hæc singula bona ex eo patet quod nemo integritate sensuum vel membrorum quæ tamen sunt ex minimis, vel aureis montibus commutare vellet. Confer cum his quæ mundus dare potest, videbis quam ea sint parvi momenti, quam tenuia, quam fluxa, quam fallacia et tamen a plerisque plus amantur quam Deus, plus studii et obsequii defertur illis quam Deo.

Asc,2285:T4,4 4o. Modus hujus dilectionis: 1. diligit enim nos Deus non solum ut princeps subditos vel Dominus servos, sed ut Pater filios, unde se Patrem a nobis vocari jubet, vult enim nos facere Regni sui hæredes et participes bonorum omnium suorum. 2. Diligit nos non vulgari modo ut alii patres solent diligere filios adoptivos, sed prorsus inaudito et inæstimabili, ita ut Filium suum unigenitum, æternam sapientiam, nostram naturam assumere et in ea voluerit nos instruere verbo et exemplo, pro

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nostris delictis satisfacere, pro nobis mortem perpeti. Sic tam ardenter et tanta æstimatione tanti nos fecit. “Sic Deus dilexit mundum ut Filium suum unigenitum daret” (Joan. 3, 16). Videtur sane iste amor summus non solum intentione, ardore, sed etiam æstimatione et prætio, non enim Deus in creaturam videtur plus dilectionis potuisse impendere, quam homini reipsa impendit.

Asc,2285:T4,5 5o. Finis hujus dilectionis: non enim sui commodi causa nos dilexit, sicut solent principes diligere suos populos et famulos, sed commodi nostri, nimirum ut nos Regni sui participes faceret, et inexhaustum suæ lucis et bonitatis fontem in nos derivaret. Nec obstat quod hoc totum referatur ad gloriam suam, hoc enim ipsa rerum natura postulat; omnis enim creatura est quid Dei, et ordinatur ad ipsius gloriam, sicut enim finis, et ita dicam, felicitas vasi figlini, vel alterius artefacti, est servire usibus humanis, et si statum suum intelligeret, tunc se maxime felicem judicaret quando huic usui maxime commodaret. Sic finis hominis et naturæ rationalis est servire Deo ipsum cognoscendo, amando, laudando, colendo. Itaque quod Deus totum bonum creaturæ ad gloriam suam referat, nullo modo impedit, quin amor ipsius in nos sit sincerissima benevolentia et amor amicitiæ, velitque nostrum bonum, ut nobis bene, optime sit absque intuitu sui commodi. Confirmatur 1. quia etiam nos totam nostram beatitudinem intrinsecam referemus ad Dei gloriam, eamque pluris faciemus, plus amabimus et de ea gaudebimus, ut est bonum quoddam Dei gloriam ejus illustrans et laudem ejus celebrans quam ut est bonum nostrum, maximis commodis et gaudiis nos afficiens. Id enim rectus ordo postulat cum creatura nulla sit sibi ultimus finis, sed solus Deus. Itaque non in se ultimo, sed in Deo quiescere debet ejus appetitus. 2. Deinde quia nos magis felices et beatos censebimus bonis Dei, quam bonis nostris intrinsecis; amor enim uniet nos Deo, et unum cum eo spiritum efficiet, unde nil magnopere æstimabimus et amabimus, nisi quatenus est bonum Dei et in ejus cedit gloriam, quasi alia ratione non magnopere ad nos pertineat.

Asc,2285:T5

Sic per amorem ad nos Deus descendit… Sic per amorem ad nos Deus descendit, ut in nobis amoris ardorem accenderet, et per illum sursum corda nostra raperet et in se converteret; sicut ignis vi ardoris sui omnia in se convertit, sic facit Deus, ignis enim consumens est. Nec ullus erat ad hoc modus efficacior quam amor; ipse enim est virtus extatica et unitiva, faciens ut a nobis excedamus et in ipsum transferamus. Non poteramus mutari per naturam, hoc præstitit Deus per amorem; hinc mille modis illum in nobis accendit, ut ejus ardore in ipsum colliquescamus et absorbeamur, sicut aquæ gutta in vini dolium immissa in vinum convertitur, si colorem et saporem spectes, salva manente aquæ substantia; amor enim facit amantem affectu et sensu a se deficere, et in dilectum mutari, ut nullum inter se et dilectum percipiat discrimen. Sic per amorem processimus inesse nostrum creatum, sicut forma domus ab artifice prodit in opus et in materia, vel imago ex mente pictoris in tabulam, ita rursum per amorem reducimur, reducti unimur, transformamur ad ideam nostram seu ad exemplar nostrum primitivum, in quo ab æterno in Deo extitimus, viximus, luximus, cum in nobis nil adhuc essemus, sicut si imago e tabula posset se in mentem pictoris penetrare, et ibidem suo exemplari intime se conjungere. Illo ergo igne amoris tui corda nostra accende et in te converte ut nil præter te et tua cogitemus, nil sapiamus, sentiamus, loquamur, optemus. Ille nos faciat excedere a nobis, nostri quasi non simus oblivisci, in te migrare, in te commorari, vivere, delectari. Ille vitam nostam gloriæ tuæ impendere et pro illa nulla pericula formidare, nullo detrectare labores. Ille omnia mundana nobis vertat in amaritudine, aspera pro te suscepta vertat in dulcedinem, ut putemus contumeliam gloriam, inopiam divitias, persecutiones prosperitates, item infamiam honorem, morbos solacia, mortem vitam. Omnia enim mala hujus vitæ amore tui tolerata, meliora sunt omnibus hujus sæculi bonis. Si enim compatimur, et conglorificabimur. Per illum ergo tu nobis sis vita et refectio, domicilium et possessio, divitiæ et gloria, fortitudo et refugium, item quies et solacium, protectio et securitas, gaudium et beatitas. Amen.

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Asc,2285:T6,1

De Misericordia Dei Misericordia est virtus incitans voluntatem ad opitulandum alienæ, miseriæ, eamque depellandam. Misericordia exerceri potest vel ex affectu benevolentiæ, hoc est quando alteri malum tollit et bonum vult, ut illi bene et optime sit, et est actus proprius caritatis; vel ex odio et displicentia miseriæ tamquam inordinationis in natura rationali, et tunc est actus proprius virtutis misericordiæ. Misericordia quocumque modo consideretur perfectissime est in Deo; cum enim ipse omnis boni et perfectionis, commodi et felicitatis sit fons, auctor, largitor, ipse quoque omnis miseriæ (utpote quæ non tollitur, ni collatione boni) est peremptor et exterminator. Sed quia Deus in tollendo malo potissimum spectat, ut creaturæ bene sit, misericordiæ opera potius sunt caritatis, quam alterius virtutis; ita misericordia ejus est ipsa caritas inadequate considerata. Multiplex misericordiæ Dei opus. Nimirum 1o. res omnes præsertim ratione præditæ ex nihilo in quo æternum sepultæ erant, in suas naturas produxit. Deus enim in tanto defectu (nempe infinito) illas videns, misericordia quadam commotus, statuit imperfectionem illam infinitam tollere, easque ex nihili sui tenebris in lucem essentiæ et vitæ educere, inde naturam formare, speciem distinguere, suis instruere facultatibus et ornamentis; sed hæc misericordiæ beneficia magna et inæstimabilia quidem sunt, sed nonnisi initia et rudimenta majorum. Unde 2o. ex statu naturæ in statum gratiæ et filiorum Dei, naturam angelicam et humanam evexit. Qui status omni possibili naturæ statu quantumvis perfecto et sublimi, est longe præstantior utpote qui nulli substantiæ creatæ naturalis, nulli naturali dignitati debitus esse possit; nulla enim creatura per naturam suam potest esse filius Dei, hæres Regni, possessor Spiritus Sancti. Hoc in gradu facti sumus secretorum Dei participes, Deo adhærentes supernaturali fide, spe et caritate, omnibus creatis infinite superiores. Hinc homo ipsis angelicis spiritibus est venerandus, qui nisi ad similem dignitatem evecti essent, merito possent illi tantum honoris fastigium invidere. Hinc apud Deum pluris æstimatur unus justus, quam innumeri impii donis naturalibus repleti. 3o. Hunc statum gratiæ et filiationis inchoatæ ad statum gloriæ et filiationis completæ, adhuc evexit. Dona enim gloriæ infinite excellentiora sunt donis gratiæ. Hic est supremus bonorum gradus, in quo omnis miseria et imperfectio plane depellitur, ibi in consortio bonorum et divitiarum Dei, in consummata gloria et gaudio constituimur.

Asc,2285:T6,2 Verum quum ad hunc gradum nobis esset nitendum omnibusque præsidiis essemus instructi, ut cum summa facilitate et jucunditate possemus ad illum conscendere. Heu vecordia parentis nostri (in cujus arbitrio omnia nostra erant constituta) ab ipso statu gratiæ cecidimus et a Deo aversi in exitium sempiternum præcipitati sumus. Nil supererat opis et subsidii ab ulla natura creata, quia a nullo justitiæ Dei condigna satisfactio pro tali crimine præstari poterat. Actum proinde erat de salute nostra, cum ecce Deus misertus nostri rursus succurrit, sed consilio plane admirando et inaudito omnibusque sæculis obstupescendo, nimirum ut Filius Dei Patri consubstantialis et coæternus nostram naturam assumeret, et homo passibilis, similis nobis effectus, divinæ justitiæ nostro nomine suis cruciatibus et sua morte satisfaceret, per quod nobis præstitit copiosam redemptionem, remissionem peccatorum, justificationem et omne bonum. Et sic maxime nobis manifestavit Deus viscera misericordiæ suæ. Beneficia enim superius memorata ad benignitatem potius pertinent quam ad misericordiam, nimirum quatenus illa beneficia sunt productiones ex nihilo in suas naturas et species cum perfectionibus naturalibus; quum enim creatura penitus non est, non est proprie misera vel ulli malo subjecta, unde bona quæ ipsi proveniunt ex Dei benignitate potius oriuntur, quæ est fons omnis boni creati. Malum autem est privatio boni quod deberet inesse, unde supponit subjectum existens, cui illud bonum deest, et miserum redditur, et hanc miseriam depellere proprie ad misericordiam pertinet. Si tamen malum et miseriam non ita stricte accipiamus, sed generalius pro quovis privativo et negativo a quo natura abhorret, sic non esse, non est parvum malum nec modica miseria, est enim

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summa imperfectio et summus defectus totum bonum exhauriens, a quo omnis natura rerum vehementissime abhorret, sic animantia et homines mala gravissima perpeti malunt, quam subire interitum quasi hoc sit pejus et miserabilius. Sed de operibus misericordiæ Dei strictim sumptis prolixius dicendum, maxime enim bonitatem Dei depredicant.

Asc,2285:T7,1

De lapsu hominis et ejus redemptione præ Angelis Prolapsa natura generis nostri in primo parente fraude Diaboli a statu supranaturali et amissa justitia originali et ceteris virtutibus, præter fidem et spem, subtracta etiam singulari Dei protectione et directione, obœdientia partis inferioris, dono immortalitatis, incidit in miserrimum statum; neque aliud restabat quam ut sibi relicta suo pondere et impetu de peccato in peccatum recens per varios anfractus errorum et dolorum, in pelagus exitii sempiterni devolveretur. Talis enim erat ad malum pronitas et impetus, ut nil fere nisi peccare posset, et a nemine nisi a Deo posset sisti et inhiberi. Ipsum vero malum tam atrox et penitus inolitum ut a nullo præterquam a Deo posset exscindi. Deus igitur cujus misericordiæ non est numerus et bonitatis infinitus est thesaurus, intimis misericordiæ visceribus commotus, statuit nos ab ista multiplici miseria eripere. Verum id nec ita convenienter, nec satis fructuose fieri poterat, nisi et pro peccato justitiæ divinæ equivalens satisfactio exhiberetur, et fons quidam perennis et inexhaustus quo peccata quotiescumque homines in ea inciderent, deleri possent, constitueretur; parum enim fuisset in pristinum gradum justitiæ restitui, nisi etiam futuris lapsibus in tanta infirmitate et mali proclivitate consultum fuisset. At neutrum illorum a pura creatura præstari poterat: nulla enim poterat pretium offerre equivalens pro homine liberando, nec fontem perpetuæ remissionis et justificationis construere. Tanta enim est vel unius peccati mortiferi malignitas, in majestatem Dei injuria, ut omnibus Sanctorum, Angelorum et hominum præstitis obsequiis, precibus, humiliationibus, pænitentiis, afflictionibus vel ultionibus ad æqualitatem nequeat compensari. Cum igitur nullum remedium nec in cælo nec in terra nostris malis medendis et bonis amissis recuperandis appareret, nec ullus Angelus, nec ulla mens creata quidquam congrui auxilii posset invenire, misericordia divina inauditum, mirabile, ineffabile, item incomprehensibile et obstupescendum omnibus Angelis, hominibus et sæculis consilium excogitavit. Nempe ut Filius Dei, Sapientia genita, per quam facta sunt omnia, naturam nostram sibi copularet, et per eam totum genus humanum repararet. Nisi enim Reparator noster esset Deus, non posset exhibere pro offensione et injuria a nobis in Divinitatem commissam quidquam æquivalens, nec posset constituere perennem et indefectibilem reconciliationis thesaurum; nisi esset homo, cessaret meritum, satisfactio, exemplum et illa suavis, naturæ congruentissima providentia, qua res per ea quæ sunt sui generis gubernentur.

Asc,2285:T7,2 Sed cur Deus naturam humanam præ angelica reparare voluit? An non unus Angelus, si naturam spectes infinitis hominibus æquipollet? Cujus signum est quod infiniti homines et infinito temporis tractu non possent sibi tantam comparare sapientiam, quanta est vel in uno angelico spiritu, imo nec centesimam quidem illius partem. Item omnes totius mundi exercitus et tota generis humani multitudo omnibus suis armis instructa non posset, vel uni Angelo resistere, aut ejus vim continere. Adde etiam comparationem quoad ceteras perfectiones et numerum etiam cujuslibet chori. Cur ergo naturæ tam eximiæ non est habita ratio? Nempe misericordiæ indoles est inclinare ubi major est miseria, abjectio, vilitas. Deposuit enim potentes de sede et exaltavit humiles. Atque hoc est (post lapsum) primum et maximum misericordiæ Dei in nos beneficium, utpote infinitum et aliorum multorum origo et fundamentum quo maxime Deus in nos infinitum suum amorem declaravit. Merito ergo considerandum et exclamandum cum Joan. 3: “Sic Deus dilexit mundum ut Filium suum unigenitus daret, ut omnis qui credit in illum, non pereat, sed habeat vitam æternam.” Sic dilexit, hoc est tam intense, effuse, ardenter, tanta æstimatione, tanti illum fecit, appretiavit, et me in specie;

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Deus, hoc est illa infinita Majestas nullius egens, sibi sufficientissima, ille qui verbo creavit omnia, cui tot milliones Angelorum serviunt, qui momento infinitos alios servos et cultores sibi ex nihilo condere poterat; Mundum, hoc est genus humanum infimum naturæ rationalis terminum, brutis affine, terrenis addictum, cælestium inane, item immundum, ingratum, inimicum, rebelle, in quo nil dignum amore, plura digna odio et supplicio; angelicis spiritibus tam sublimi ingenio et natura præditis in sua damnatione relictis; Filium suum unigenitum, non cherubim, aut seraphim, aut filium aliquem adoptivum, sed Filium suum unigenitum, naturalem consubstantialem ejusdam majestatis, potestatis, sapientiæ, excellentiæ; Filium quem infinito amore dilexit, et cui totam suam substantiam una cum omnibus suis perfectionibus et thesauris bonorum ab æterno profudit; Daret in rectorem, doctorem, exemplum vitæ, redemptorem, in pretium et satisfactionem peccatis, in thesaurum perpetuum justitiæ et reconciliationis, in juge sacrificium, in sacerdotem æternum, in panem vitæ æternæ, alimentum immortalitatis, pignus futuræ gloriæ, Regem et Judicem, Remuneratorem vivorum et mortuorum, cælestis patriæ triumphum et gloriam; Daret ad unionem nostræ naturæ, ad alapas et sputa, ad flagella et spinarum punctiones, ad omne genus probrorum et dolorum, ad crucem et mortem, nuditatem et paupertatem, labores et incommoda, contumelias et persecutiones, ut peccata nostra portaret, eaque quasi auctor et reus lueret; Daret ut omnis qui credit in ipsum etc. hoc est, totum hoc fecit ut nos ab exitio sempiterno eriperet et nos æterna vita donaret, nec a nobis aliud requirit quam ut credamus in Filium et Filio obœdiamus.

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De incarnationis Verbi beneficio Poterat Deus absolute loquendo nos liberare, vel per auctoritatem suam absolutam et infinitam nos liberando, vel gratis omnia condonando et in statum pristinum restituendo, vel tenui aliqua hominis satisfactione acquiescendo, vel angelicas preces in ea re admittendo. Tamen incarnationem Verbi prætulit tamquam medium necessarium, ut salus nostra modo optimo, et Dei justitiæ, misericordiæ, hominis saluti congruentissimo perficeretur.

Asc,2285:T8,1 1o. Justitiæ Dei convenientissimum erat triplici ratione: 1) ratione solutionis debiti, quia cum non esset conveniens ut justitia divina maneret semper violata et læsa per peccatum, nulla facta reparatione idonea, per Verbum incarnatum exhibita est plena et æquipollens satisfactio, quæ a nulla creatura præstari poterat; 2) ratione manifestationi Justitiæ, quia sic ostensum est duo: nempe 1. summus rigor et severitas Justitiæ divinæ exigendo pro peccato pretium infinitum et satisfactionem infinitam; 2. quanta sit peccati malitia, quum solo sanguine Filii Dei deleri poterat; 3) ratione modi spoliandi Diabolum, dum non potentiæ virtute, sed justitiæ ratione suo dominatu exuitur, victus non ab alia natura quam vinxerat, et amittens omnium servitutem, dum nil sibi debentis persequitur libertatem.

Asc,2285:T8,2 2o. Misericordiæ convenientissimum: longe enim præstantior est hæc salvandi ratio, quam alia gratuita et absque satisfactione. Uti si rex, deposito diademate, suscipiat statum servi, ut ipsum a morte liberet, longe majorem illi caritatem et misericordiam exhibet, quam si sola auctoritate nil pendens justitiæ morti eximat. Justitia divina instar severi judicis hominem tenebat captivum et vinculis peccatorum obstrictum, ut eum morte æterna plecteret. Misericordia accessit et oblato divini sanguinis pretio justitiæ abunde satisfecit et hominem redemit. Denique hac ratione constitutus est homini perpetuus fons salvationis, semper patens ad ablationem peccatorum, qui alia ratione constitui non poterat.

Asc,2285:T8,3 3o. Sapientiæ et Potentiæ Dei declarandæ accommodatissimum: tale enim consilium nonnisi ab infinita Sapientia excogitari et ab infinita Potentia executioni mundari poterat. Nil enim difficilius

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aut admirabilius quam Deum hominem et hominem Deum fieri, et eidem personæ inesse et tribui omnia quæ sunt divinitatis et humanitatis. Item sic ostensum est Deum non solum aliquas sui participationes vel umbraticas imitationes posse creaturis communicare, sed etiam totam suæ divinitatis plenitudinem illis infudere et substantialiter unire ac proinde tres esse gradus et ordines generales rerum nempe naturæ, gratiæ, unionis hypostaticæ.

Asc,2285:T8,4 4o. Saluti hominum convenientissimum: 1. Ad confirmandum in fide. Quis enim non firmissime credat quod Deus ipse nobiscum visibiliter versatus, docuit et confirmavit? Ut homo fidentius ambularet ad veritatem, ipsa Veritas, Dei Filius homine assunto constituit et fundavit fidem (S. Aug. l. 11 de Civit. c. 2); 2. Ad erigendam spem salutis. Nil enim tam necessarium ad erigendam spem nostram quam ut demonstraretur nobis quantum diligeret nos Deus, ait S. Augustinus (l. 13 de Trinitate, c. 10). Si cum adhuc inimici essemus, reconciliati sumus Deo per mortem Filii ejus, multo magis reconciliati, salvi erimus in vita ipsius (Rom. 5); non enim rursus carnem sumere, pati debet, ut nos salvet nec dubitandum quin benignissime de me cogitet et me etiam salvet qui tanta pro me adhuc inimico fecit et passus est, si ipse pro modulo meo Deo respondero; cur enim vellet pretium sanguinis sui in me esse inane, aut labores suos pro me irritos et cassos? 3. Ad excitandam caritatem. Quomodo enim tam inusitata et ineffabilis dilectio, qua dilexit nos, carnem nostram assumens et sanguine suo nos redimens ad redamandum nos excitet, vel si modicum perpendatur? Nullum sane esse poterat amoris majus incentivum et potentius illicium? 4. Ad incitandum studium omnium virtutum. Exemplo enim nos provocat ad paupertatem, castitatem, obœdientiam; ad contemptum honorum et sæculi, humilitatem, zelum animarum; ad labores pro illis suscipiendos, ad patientiam, ad studium orationis, ad vigilias, ad jejunium, ad omne opus bonum. Quis tantum Ducem non libenter sequatur? Quis Deum ipsum exemplo præeuntem, hortantem, incitari recuset? 5. Ad hominem sanctificandum, ad hominem Deo conjungendum. Hoc enim modo Deus unum hominem sibi substantialiter unicus, sanctum efficiens, ita ut simul sit fons sanctitatis et vitæ, per illum sanctificat ceteros omnes qui illi adhærent, et spiritum qui in ipso est ad alios extendit. Sic omnes illi adhærentes reconciliantur Deo, sanctitatem adquirunt et rediguntur ad unum corpus, ut vivificentur ab illius spiritu, veluti una mystica persona, una hypostasis, uno capite, corpore et spiritu, sed multis membris constans, ut ait Apostolus: “Omnes unum sumus in Christo, sicut omnia membra sunt unum corpus in homine.” 6. Ad perfectionem universi, tum quia homine assumpto, totum universum quodammodo est Divinitati assumptum et connexum; quia universum accepit caput et rectorem sibi congruentem, nempe homogeneum et ejusdem naturæ, sive corporeæ sive incorporeæ; quia sic universo additus est supremus gradus communionis divinæ, hoc est unionis hypostaticæ, omnium excellentissimus. Ad perfectionem gloriæ Sanctorum quæ sic tantopere aucta est, nam primarium post Divinitatem beatitudinis objectum est humanitas Christi, ex qua plus gaudii percipiunt beati, quam ex tota Sanctorum societate et Angelorum innumerabili frequentia.

Asc,2285:T9,1

De modo Unionis Hypostaticæ Humanam naturam assumpsit Verbum non ut volebant: Nestoriani qui personas multiplicantes, dicebant Hominem assumptum esse quasi Divinitatis templum, vel instrumentum, vel ut amicum; si enim Deus conjungi solet plurimis Sanctis, insuper sic Homo assumptus non esset etiam Filius naturalis et æternus, et Deus ipse, nempe sic duæ essent Personæ; Eutychiani qui diversitatem personarum tollere volentes unam tantum admittebant naturam, fingebant enim Divinitatem conversam esse in carnem quasi Verbum divinam naturam exuisset vel amisisset, et humanam induisset et ipsi successisset, et sic Divinitatem mutatam fuisse. Sed fide certissima tenendum est in Domino nostro esse duas naturas absolutas, integras cum omnibus suis proprietatibus et conditionibus humanis et divinis; ipsas coaluisse in unam personam

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ita ut unus idemque Deus sit verus Deus et verus homo; personam divinam habere omnia quæ sunt Divinitatis et humanitatis et omnia quæ conveniunt Filio Dei, vero Deo conveniant, et homini assumpto, huic homini tribuantur quoque Filio Dei. Hoc modo in Christo Jesu est idiomatum communicatio perfecta utriusque naturæ; Christi persona etsi unica et simplicissima, tamen in duabus naturis complete subsistit, habet vim duarum, ita perfecte operans per utramlibet, quasi illam solam haberet. Excellentissimus hic unionis modus explicari potest exemplo, 1. insitionis, ut ramus prunæ insertus in trunco piri unum ramum naturalem habent; 2. ignitionis, ut in ferro candenti carbone ignito; 3. animationis, ut anima rationalis et caro unus est homo.

Asc,2285:T9,2 1. Insitionis ratione utraque natura manet salva et integra, et ita unitur, ut fiat quodammodo una arbor ratione unius trunci in quo subsistunt. Truncus ipse est ramo alteri naturalis, alteri extraneus, sicut hypostasis Verbi est naturalis Divinitati, accessoria humanitati. Fusionis ratione unio ipsa est quodammodo substantialis, est enim continuatio et connexio quædam venarum, fibrarum trunci cum venis et fibris rami insiti, ita ut succum ex illis attrahat. Ratione istius unionis dicere possumus pirum et prunum producere pruna et pira, et si ramus pruni exarescat, pirum exaruisse quodammodo. Fructus pruni excellentiam quamdam contrahunt a succo trunci sicut opera humanitatis a Verbo. 2. Ignitionis ratione: sicut enim ignis totum ferrum penetrat et occupat, et ad suam puritatem et nitorem attrahit, sibique penitus adstringit et unit, ita est Divinitas erga naturam humanam. Sicut unio ignis cum ferro est ita intima, ut invicem non amplius distinguantur, manente tamen naturæ, proprietatem distinctione, ita natura humana est Divinitate imbuta, et refulgens perseverante rationali discrimine, et integritate. Sicut durante illa unione ferrum est incapax ferruginis, vel nigroris, vel frigoris, ita humanitas peccati. Sicut operatio ignis tribuitur ferro candenti, et contra: ita hoc mysterio quæ sunt Divinitatis tribuuntur homini, quæ sunt humanitatis Deo, quin tamen imperfectiones humanitatis Divinitatem lædant. 3. Animationis ratione: anima et caro infinite distant, tamen anima vi sua, suo contactu carnem extollit, ad se trahit, sibi substantialiter unit, et unus ex utroque homo constat. Per hanc unionem caro fit spiritualis et pulchra, et viva, et nobilis, et bonorum animæ particeps, ita ut omnis honor qui animæ defertur simul etiam deferatur carni. Caro non gestat animam, sed anima carnem, et ipsa in anima velut in sustentante recumbit, non viceversa. Præterea iste homo, e.g. Petrus, est anima et caro, seu spiritualis et carnalis, et immortali, ratione præditus, et mortalis, ratione carens. Denique quidquid operatur vel patitur anima, id etiam operatur et patitur homo carnalis. Simili modo, sed infinito adhuc discrimine, intervenit in humanam et divinam naturam.

Asc,2285:T9,3 Proveniunt hæc mirabilia ex infinitate Verbi, quod sicut in aliis, ita in ratione hypostasis vim infinitam habet, qua substantiarum existentias per modum hypostasis possit terminare, naturas ipsas actuales per se formaliter hypostaticas sustentando, idem se ad quamlibet naturam terminandam et sustentandam absque ulla sui mutatione, vel habitudinis intrinsecæ accessione extendere et proferre. Unde quamvis omnis substantia sibi relicta per se existat, nulli alteri insita aut inhærens, sibi ipsi sufficiens hypostasis: tamen omnipotentia Dei potest dare illi modum quemdam in existendi quo formaliter existat in alio, præsertim in Persona Divina. Adde alia mirabilia illis consectaria: 1. Corpus Christi in instante formatum; 2. Quod omnipotens virtus Spiritus Sancti vicem virtutis seminalis suppleverit; 3. Anima Christi beatissima in primo instanti creationis et infusionis sui lumine gloriæ, et omnibus cælestibus virtutibus, et bonis eminentissime fuerit repleta adeo ut per tempus spatia nulla ei fieri potuerit accessio; 4. A Virgine conceptus; 5. A Virgine natus absque virginalis claustri apertione uti lumen per vitrum effusum; 6. Gloria animæ in corpus non redundavit, sicut gloria Divinitatis in animam, sed corpus manserit passibile; 7. Gaudium beatificum mæstitiam animæ, dolorum acerbitatem non excluserit.

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De Magnitudine beneficii Incarnationis Magnitudo hujus Beneficii patet ex magnitudine rei ipsius quæ datur, ex modo quo datur, ex fructu qui inde provenit. 1. Res, quæ datur immensa est, nempe Filius Dei. Multum fuisset si vel unus ex supremis Angelis misisset qui visibiliter nobiscum versaretur nosque doceret, dirigeret, revocaret ad salutem, sicut enim rex terrenus unum ex principibus suis mittit ad solandos vel liberandos captivos. Omni enim hujusmodi beneficio eramus indigni. Sed quod Deus Filium suum miserit, eumque in totum nostrum bonum donaverit, id omnem superat æstimationem. 2. Modus est cum tanto incommodo, humiliatione, exinanitione ipsius Divinitatis. Quum enim in formam Dei esset exinanivit semetipsum formam servi accipiens, in similitudinem hominum factus, et habitu inventus ut homo. Si Monarcha terrenus ad liberandum mancipium a morte suam Majestatem ad statum servilem demitteret et servus servi fieret, quanti æstimaretur hoc beneficium, hæc misericordia et caritas? Longe et incomparabiliter pluris ille modus quam commodum et vita servi quæ inde resultat. Pari ratione, quod infinita illa Majestas nostræ salutis causa se tantopere demiserit, nostram mortalitatem assumpserit, longe pluris æstimandum est quam tota salus nobis collata. Minima enim Divinitatis humiliatio infinite pluris est, quam universum bonum creaturæ, quia hoc totum est instar nihili ad illam celsitudinis infinitatem. Quod igitur illa sublimitas nostram humilitatem subierit, non salutis nostræ dignitas promeruit, vel justa bonorum nostrorum æstimatio postulavit, sed misericordiæ et caritatis divinæ abyssus præstitit, cui complacuit tantis impendiis creaturæ suæ misellæ et perditæ subvenire. 3. Effectus denique est infinitus, complura enim beneficia infinitæ æstimationis inde nobis manarunt, de quibus infra.

Asc,2285:T11,1

De beneficio Doctrinæ per Verbum Incarnatum nobis collato Ante Adventum Domini mundus quantis tenebris et erroribus implicitus erat. Ignorabant homines Deum creatorem ejusque providentiam et gubernationem; ignorabant Deum esse nostrum ultimum finem, ac proinde vitam et mortem æternam, animæ immortalitatem, peccatorum malitiam, regulam bene vivendi: cæci currebant ad mortem secundam, ad mortem æternam; idolatria replebat omnem terram; Diabolus princeps tenebrarum omnes tenebat sub suo imperio et disciplina. Dominus misericordia motus in mundum venit, sua doctrina tenebras dispulit, errores detexit, Diaboli fraudes et tyrannidem aperuit. Item mundum illuminavit Deum Creatorem, ejusque perfectiones ostendit; denique totam salutis viam, omnibus clarissime demonstravit et facillimam reddidit, æterna præmia et supplicia proposuit. Fecit autem hoc non per Angelum vel Prophetam, sed per se ipsum aliquot annorum tractu, ingenti labore, in fame, siti, æstu, frigore, in variiis locis, oppidis, viculis, civitatibus, in deserto, in montibus, in campestris, in terra, in mari, et privatim et publice; per domos, synagogas, in templo, in plateis, nunc multis nunc paucis auditoribus. Neminem designabat, nemini doctrinam cælestem subtrahebat, omnibus eam offerens, et passim ingerens occasionem captans ubi opportunum judicabat. Neque ob hominum duritiem aut phariseorum calumnias, atroces in ipsum blasphemias, neque ob tormentorum et mortis metum umquam destitit. Jam vero quam benigne ad discipulorum et auditorum captum se demisit; apte eorum ruditati sublimem suam doctrinam accomodavit, adhibitis exemplis, parabolis, similibus ex rebus humanis et usitatis, utensque sermone vulgari, absque verborum fuco vel vanis orationis lenociniis.

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Quam patienter eorum inconsiderationem, ingenii tarditatem et crassitudinem sustinuit; sæpius eadem explicans, ad rudes eorum interrogationes benigne respondens, distortas apprehensiones corrigens, mentes terrenis assuetas ad cælestia capienda familiariter instruens. Mirabile spectaculum videre Sapientiam æternam cum hominibus rudibus et infimæ sortis, cum piscatoribus et meccanicis assidue versantem, ambulantem, sedentem, comedentem, loquentem; in illis erudiendis et docendis assidue occupatam, et eorum captui suaviter se accomodantem. Quis jam non libentissime se in rudibus erudiendis se occupet, cum videat id tanto studio ab ipsa Sapientia Incarnata præstitum?

Asc,2285:T11,2 Si Doctrina ipsa spectetur, tota gravis, seria, ab omni curiositate aliena ipsa est, et nil nisi saluti utile continet. Item plana, rudibus etiam accommodata, ut omnes ejus participes esse possint. Item quam sublimis, ut nullum ingenium sit tantum, quin semper in ea possit proficere, pura, et omni parte perfecta totum illustrans intellectum, reformans affectum, omnem excludens iniquitatem, dirigens operationem, componens vitam. Item omnia hominis interiora et exteriora conformans divinæ voluntati et æternæ legi. Universa S. Scriptura est admirabilis et divina, sed multum enim et Evangelicus sermo: est enim planior, et sublimior, ad affectum potentior, ad intellectum illustrior, ad gustum internum dulcior, ad conversionem efficacior, ad perfectionem assequendam convenientior. Utebantur enim antea Spiritus Sanctus scriptorum ingeniis velut instrumentis, eorumque conditioni se plurimum attemperabat quoad elocutionem et modum apprehendendi; neque enim consuetum illorum modum eloquendi et concipiendi immutabat, sed iis utebatur prout invenerat; quo fit ut magna sit varietas pro varietate scriptorum. At instrumentum evangelici sermonis est humanitas ipsa Christi, sapientia et eloquentia prædita, nil scabri, distorti, obscuri, aut alicujus imperfectionis humanæ habens, quare poterat orationem optime ad captum et utilitatem nostram temperare. Unde hac doctrina nil vel elocutione, conceptibus et sententiarum vi excellentius; nil hoc convenientius et salutarius excogitari poterat, ex eaque facile perspicitur auctorem longe majorem hominem fuisse: quo fit, ut qui illam attente legit et perpendit mire afficiatur, et summa tanta Sapientiæ admiratione capiatur.

Asc,2285:T11,3 Considerandum hic quam miris modis, et ad quantam perfectionem nos excitet hæc mirabilis Doctrina, nempe: – ad terrenorum abdicationem: Beati pauperes spiritu, quoniam ipsorum est Regnum cælorum. Nisi quis renuntiaverit omnibus quæ possidet, non potest esse meus discipulus. Si vis perfectus esse, vade, et vende omnia quæ habes, et da pauperibus, et habebis thesaurum in cælo (Matth. 19). Amen dico vobis quod vos qui reliquistis omnia, et secuti estis me, centum accipietis, et vitam æternam possidebitis (ibid.). Amen dico vobis: nemo est qui reliquerit domum, aut fratres aut patrem, aut agros propter me et Evangelium qui non accipiat centies tantum nunc in hoc tempore, et in sæculo futuro vitam æternam (Marc. 10, Luc. 18); – ad castitatem: Sunt eunuchi qui se ipsos castraverut propter Regnum cælorum, qui potest capere, capiat (Matth. 19); – ad integram sui mortificationem: Si quis vult venire post me, abneget semetipsum, et tollat crucem suam, et sequatur me. Si quis venit ad me, et non odit patrem suum, et matrem suam, et filios, et fratres, et sorores, adhuc autem et animam suam, non potest esse meus discipulus (Luc. 14). Qui amat animam suam perdet eam, et qui odit animam suam in hoc mundo in vitam æternam custodit eam (Joan. 12); hoc sæpius; – ad dilectionem inimicorum: Ego autem dico vobis: “Diligite inimicos vestros, benefacite his qui vos oderunt vos, et orate pro persequentibus et calumniantibus vos, ut sitis filii Patris vestri, qui in Cælis est; qui solem suum oriri facit super justos et injustos. Et si peccaverit in te frater tuus (dimittes ei) non septies, sed septuagies septies”. Quis ante Domini doctrinam hæc scivit, tam clare et enucleate tradidit, ad hæc homines tam efficaciter concitavit?

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Asc,2285:T11,4 – ad studium orationis: Parabola judicis iniqui docet oportere semper orare, numquam deficere (Luc. 18). Parabola amici petentis ab amico tres panes (Luc. 11), idipsum ostendit, inde concludens: Et ego dico vobis, petite, et dabitur vobis, quærite, et invenietis, pulsate, et aperietur vobis; omnis enim qui petit accipit, et qui quærit invenit, et pulsanti aperietur. Quis ex vobis petit patri panem, numquid lapidem dabit illi? Aut si petierit ovum, numquid scorpionem porriget ei? Si ergo vos cum sitis mali nostis bona data dare filiis vestris, quanto magis Pater vester de cælo dabit spiritum bonum petentibus se. Sæpe repetit omnia nos impetraturos, quæ in nomine ipsius petierimus. Tandem mirabilis est illa oratio, quam discipulos docuit ipse Jesus. Omitto alias parabolas sapientiæ plenas quibus nos mirabiliter instruit ad fiduciam divinæ providentiæ, mortis contemptum, patientiam, mansuetudinem, humilitatem, temperantiam cæterasque virtutes; et ad doctrinam stupendam, carni paradoxam, beatitudinum cujus nec umbra quidem apud Prophetas. Quis neget hoc beneficium doctrinæ esse infiniti pretii? Est enim fundamentum salutis, radix immortalitatis et vitæ æternæ. Sine ipsa omnis ars, scientia, prudentia, eloquentia, industria vana est magis noxia, quam utilis. Ad hanc humana sapientia nox est, et tenebræ. Denique si beneficii magnitudo pensetur ex modo et labore quo collatum est, etiam ex hoc capite infinite æstimandum quod tanto labore et sudore, studio et incommodo Filii Dei nobis est præstitum.

Asc,2285:T12,1

De Beneficio exemplorum omnis virtutis Non satis fuit Domino nostro nos verbo docere, et nobis commendare omnis boni disciplinam, sed et voluit nos exemplo suo confirmare et incitare, et ad omne virtutis officium præire. Multi enim dixissent, facile esse perfectam virtutem docere, sed nimis difficile factis exhibere, hanc difficultatem Dominum nostrum non esse expertam gravia nobis onera imposuisse, quæ digito suo non tetigisset: sic difficultate deterrit salutarem doctrinam vel non fuissent complexi, vel semel susceptam abjecissent. Mens enim humana, cum sit inter naturas rationales infima, ac proinde carni mortali inserta et sensibus addicta, nil præter sensibilia et temporalia, ut honores, divitias, voluptates, perfecte apprehendit; spiritualia vero uti pulchritudinem virtutum, bona vitæ futuræ, nonnisi obscure et confuse. Hinc fit ut a spiritualibus moveatur parum et languide, a sensibilibus multum et valide; motiones enim affectuum cognitionis apprehensionem sequuntur; quare objecti difficultatibus carni molestis homo facile retrocedit, molestias enim illas utpote sensibiles et naturales valide apprehendit; cumque oriantur ex rebus obscuris et non satis experientia comprobatis, fingit eas centuplo graviores quam sunt, et ita facile ab iis vincitur; bonum enim imperfecte apprehensum uti est bonum virtutis et gloriæ æternæ non tantum attrahit, quantum deterret ingens molestiarum imaginatio. In bonis autem sensibilibus persequendis etsi magnæ difficultates sese offerant, tamen mens humana perstat, magis tum bonorum speratorum vehemens apprehensio allicit, quorum ardens amor facit, etiam ipsas molestias longe quam reipsa sunt minores videri. Hæc est tota ratio et prima origo cur via virtutis alioquin facilis et jucunda, videatur difficilis et amara; contra via sæculi, aspera et molestissima, videatur facilis et jucunda. Plus enim allicit fortis apprehensio bonorum sensibilium, quam deterreat imaginatio malorum annexorum, et plus deterret valida imaginatio molestiarum in virtutis exercitio, quam apprehensio bonorum spiritualium, quæ in nobis valde tenuis et obscura alliciat. Dominus igitur noster infirmitatis conscius ut fortius apprehenderemus bonorum spiritualium excellentiam, et minoris æstimaremus difficultates annexas, exemplo suo in omnibus præire voluit, ad quod assidue intuentes vitam nostram conformemus.

Asc,2285:T12,2 En autem exempla præclarissima quæ nobis dare dignatus fuit, nempe:

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Paupertatis et humilitatis: sibi parentes pauperes diligit, in stabulo nascitur, præsepio cunarum loco utitur; Contemptus sæculi dum nullam possidet domum, suppellectilem, locum ubi caput reclinet, mendici instar eleemosynis piorum vivit, pauperes sibi sociat discipulos; Castitatis, quia ipse de Virgine castissima nasci voluit, perfectissime servavit virginitatem, omnes tantæ rei capaces ad ejus excellentiam est hortatus; Obœdientiæ, subdens se parentibus, subjiciens principibus, legi veteri, obœdiens Patri usque ad mortem, mortem autem Crucis; Orationis, crebro rogans Patrem, semotus turbis, pernoctans in oratione Dei, præterquam quod mens ejus in omni loco, tempore per contemplationem, amorem, laudem, gratiarum actionem, divinitati conjuncta est; Zeli honoris Dei et salutis animarum, dum facto flagello ejicit e templo ementes et vendentes, circumit totos dies vicos et oppida prædicans regnum Dei, nulli parcens labori, nullis cedens injuriis, in fame et siti, in vento et pluvia, in æstu et frigore, per aspera et lutosa, et nudo capite, nudis pedibus; item fatigatus laboribus, afflictus doloribus, affectus contumeliis, appetitus lapidibus; multis malis pro beneficiis exceptus; sponte se in mortem et omne genus tormentorum tradit pro gloria Dei et salute hominum; Patientiæ et Mansuetudinis, tum in tota vita, maxime in Passione, qui cum malediceretur non maledicebat, cum pateretur non comminabatur, tradebat autem judicanti se injuste. Qui peccata nostra pertulit in corpore suo super lignum. Qui etiam pro iis qui eum tot contumeliis et tormentis afficiebant in mediis tormentis Patrem rogavit. Simili modo dedit nobis exempla modestiæ, et gravitatis; maturitatis et sobrietatis; castigationis corporis, et vigilantiæ. Item circumspectionis in dictis et factis, benignitatis et affabilitatis, compassionis et misericordiæ, et aliarum virtutum, ita ut tota ipsius vita exacte respondet ipsius doctrinæ. Et hæc exempla adeo eximia et perfecta sunt, ut præstantiora animo concipi nequeant.

Asc,2285:T12,3 Quantum autem sit hoc beneficium exempli exinde patet quod sine ipso nihil, vel certe parum actum erat in genere humano ad vitæ sanctitatem, ut ostensum, longe enim majorem impressionem faciunt viva exempla quæ oculis videntur et manibus palpantur, quam sublimis doctrina longe a sensibus remota. Hæc exempla tanti steterint Filio Dei, ideo enim tot annis in terris nobiscum versatus est, tot labores subiit, tot calumnias et acerbitates sustinuit, tam gravia et indigna passus est. Neque enim ad solvendum pretium nostræ salutis, tot, et tam diuturnis perpessionibus et laboribus opus erat, una enim precatio vel sanguinis gutta ad abluenda totius mundi peccata sufficientissima erat; sed ad lucentissimum exemplum omnis virtutis et perfectionis exhibendum illa erant potissimum necessaria. Quamvis simul in illis subeundis non solum exemplum et imitationem, sed etiam redemptionem et solutionem nostri debiti spectaverit ut propitiatio et redemptio nostra eo copiosior et redundantior esset; ratio tamen exempli et imitationis videtur esse præcipua, cum modum redemptionis tantopere excesserit. Hinc: Christus passus est pro nobis, vobis relinquens exemplum ut sequamini vestigia ejus (1 Petr. 2). Christo igitur passo in carne, et vos eadem cogitatione armamini (id. cap. 4). Cupientibus regnare cum Christo inter primos respondit Jesus: “Potestis bibere calicem, quem ego bibiturus sum” (Matth. 20). Paulus passim Christum crucifixum ut exemplar omnis sanctitatis imitandum proposuit. Non ergo Christo Domino tantopere cordi fuisset exemplum omnium virtutum nobis præbere nec propter hoc tot labores et dolores pertulisset, si ejus exemplum nobis necessarium non fuisset. Hoc Sancti omnes intuiti sunt, Martyres excitavit, ex hoc omnia Sanctorum exempla veluti ex prototypo sunt deducta. Quare sicut Pictor qui eximiam aliquam formam in tabula vult depingere assidue propositum habet exemplar, quod vult imitari ad illud creberrime intuens, ut illi suam picturam quantum fieri potest

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assimilet. Ita quivis christianus, cujus tota professio Christum induere, imitari Christum, imaginem Christi in se exprimere, ut dicere possit cum Paulo: “Vivo ego jam non ego, vivit vero in me Christus”; debet Christi vitam et conversationem semper præ oculis habere, menti imprimere, imaginationi sibi representare, ita ut hæc cælestis forma ex intellectu transeat penitus in affectum, ex affectu in opus, totamque vitam externam, ut foris et intus simus omnino Christo similes, et christiformes. Est enim summa hominis christiani perfectio similem esse Christo Domino; nam non est discipulus supra magistrum, perfectus autem omnis erit, si sit sicut magister ejus: tales fuere omne sanctitate vitæ eximii.

Asc,2285:T13,1

De beneficio liberationis a peccato, et a morte æterna Liberatio a peccato beneficium est immensum, sive spectes malum quod tollitur, modum et difficultatem qua sublatum est. Quoad malum: sicut Deus est summum bonum, bonum infinitum, ita peccatum quod repugnat divinæ bonitati est summum malum, immensum malum: crescit enim magnitudo offensionis ex magnitudine personæ offensæ, quo ita dignior, eo injuria est gravior. Hinc fit ut nulla creatura possit ex æquo pro peccato mortifero satisfacere longe enim preponderaret peccatum, si in statera appensum fuisse cum tota bonorum operum collectione, quæ umquam ab Angelis vel hominibus facta fuissent. Tota enim illa collectio est finitæ bonitatis, et quasi nihilum ad honorem tantæ Majestatis debitum, at peccatum cum repugnet illi Majestati, infinitam quandam continet malitiam, utpote superioris ordinis in ratione mali, quam sint opera justorum in ratione boni. Unde demonstratur ex Patribus necessitas Incarnationis Verbi ut pro peccatis justa satisfactio et pretium æquale divinæ Justitiæ exhiberetur. Hinc patet peccatum natura sua esse irremissibile ac proinde constituere hominem in termino, et ipso facto illum æternis penis addicere sine ulla spe liberationis. Unde peccatum dicitur mors animæ, sicut enim mors constituit in termino, eo quod vita semel amissa non viribus creaturæ recuperari potest, ita peccatum quum tollat vitam animæ, quæ nullius creaturæ ope restaurari potest, hominem in termino, et in æterna damnatione constituit. Sic Angeli perierunt, quia non habuerunt Deum Redemptorem, qui pro ipsis satisfaceret, et vim peccati ad inferos trahentis suspenderet. Idem nobis accidisset sine Christo Redemptore nostro. Est enim peccatum veluti quoddam pondus creaturam infinito quodam impetu deorsum in infernum trahens, cui non potest obsistere nisi sola Dei Misericordia, et omnipotentia. Ergo peccatum est malum insuperabile, immensum, ac proinde ejus solutio, et deletio infinitum est beneficium.

Asc,2285:T13,2 Liberatio a morte æterna. Hoc beneficium continetur quidem in priore, remissa enim culpa tollitur etiam reatus pœnæ æternæ, tamen hæc mala sunt distincta, et diversi ordinis, quamvis alterum ab altero pendeat. Unde duplex beneficium, nec minores gratiæ agendæ, quam si alterum ab altero non penderet. Etsi enim peccatum originis per se non mereretur pœnam ignis æterni, tamen illo non remisso necesse erat in multa peccata mortifera prolabi, quibus æternus cruciatus debetur. Hæc sane infinita quædam erat miseria, cui omnes miseriæ hujus vitæ, etsi in infinitum multiplicentur, non valent comparari; omnes enim istæ breves et momentaneæ sunt; illa vero (præterquam omnia tormenta, quæ mortalis natura, non dico præferre, sed vel sentire, et capere ad breve tempus potest, acerbitate longe superat), nullum finem habet. Perpende modo quod sit esse in illo teterrimo carcere, in illis horrendis tenebris, semotum ab omni luce, creaturarum amœnitate, omni solatio, in summis omnium sensuum cruciatibus, in acerrimis illis incendiis, ibi torreri et ardere, idque non unum diem vel annum, non centum annos, non mille, non centum annorum millia, sed infinitos annorum milliones quamdiu stabit orbis, quamdiu vivet Deus, absque ulla spe liberationis vel dolorum intermissione.

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Quis non dicat hanc miseriam esse immensam et incomprehensibilem? Ac proinde infinitum beneficium quo illa sublata fuit? Ab infinita enim miseria nos eximere est misericordia infinita, beneficium infinitum. Adde modum quo hoc beneficium nobis tulit. Solvendo nempe pœnas in suo corpore, quæ peccatis nostris debebantur, quæ ob infinitam personæ dignitatem facile compensare poterant nostrarum pœnarum æternitatem.

Asc,2285:T14,1

De Beneficio Adoptionis Adoptio filiorum, et jus vitæ æternæ, beneficium est a prioribus distinctum, non enim cohæret necessario cum remissione peccati, vel pœnæ, si naturam rerum spectemus. Quum enim Princeps condonat alicui quem ex humillimo statu adoptarat crimen commissum remittens injuriam, indulgens pœnam, abstergens infamiam, non eo ipso rursus adoptat in filium, tribuit jus ad regnum, sed satis multum est, si cum tantis malis liberatum patiatur vivere in proprio statu, quem ante adoptionem habebat. Pari modo non erat necesse ut Deus condonato peccato et supplicio debito non rursus in filios adoptaret, sed poterat relinquere in statu naturæ, et pro mercede dare statum angelicum, qualis Angelis est naturale: præclare adhuc nobiscum actum fuisset, quando tantis exempti malis potuissemus ad tam eximium statum nostræ naturæ conditionem tantopere excedentem aspirare, esse nimium Angelis similes immortalitate, impassibilitate, agilitate; item sufficientia sui, qua quis sibi sufficiens æternis præsidiis non indiget; exacta omnium rerum creatarum notitia. Negari non potest quin sit felicitas longe major quam omnes honores, divitiæ, voluptates hujus vitæ adferre possint homini sanissimo et omnibus naturæ præsidiis ornatissimo. Verum his contenta non fuit immensa illa bonitas, sed incomparabiliter majora nobis præparavit; non enim solum condonat injuriam peccati et pœnam æternam, et evehit ad spiritualem naturæ sortem naturalem, sed rursus adoptat in filios, restituit jus regni cælestis et divinæ hereditatis, quæ naturali Angelorum felicitati infinite est præstantior.

Asc,2285:T14,2 In hoc beneficio quattuor sunt consideranda, nempe: 1. Status unde evehit 2. Status ad quem evehit 3. Bonum quod inde expectamus 4. Medium quo id præstitit. 1. Evehit enim nos cum essemus inimici, indigni omni benevolentia vel beneficio vel bono, æternis suppliciis obnoxii et addicti. 2. Evehit autem nos non ad statum aliquem mediocrem, ad felicitatem humanæ vel angelicæ naturæ, sed ad statum supremum, divinum, ut simus filii Dei, hæredes Dei, cohæredes Christi, consortes divinæ gloriæ, participes omnium divinorum bonorum. 3. Ex quo tantum bonum, gaudium et gloriam expectamus, quantam nec oculus vidit, auris audivit, in cor hominis ascendit; quanta distantia inter statum a quo erepti, et ad quem evecti sumus, inter infimum, quo infra omnem creaturam eramus depressi, et inter summum quo supra omnem naturæ creatæ excellentiam attollimur, inter statum inimici Dei, et filii ejus carissimi. Sane negari non potest quum immensum sit horum statuum intervallum, quum plures gradus diversi ordinis (quorum proinde discrimen est incomparabile et immensum) sunt interjecti. Nam inter statum peccati, et statum naturæ nudæ et innocentis, innocentis naturæ humanæ, et Angelicæ, Angelicum et Filiorum Dei, est quoddam intervallum infinitum. Tantum enim inter hos status est discrimen, ut nulla bonorum ejusdem ordinis appositione ab inferiore ad superiorem perveniri vel ascendi possit. Qui enim est in statu peccati mortiferi, etsi absque fine divitiis, honoribus et imperiis cumuletur, miserrimus est, nec umquam ei qui in statu naturæ innocentis vivit comparari poterit; peccati enim mortiferi malignitas nullis bonis opprimi potest quum hominem infelicissimum et vilissimum faciat.

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Qui vero in statu naturæ innocentis numquam poterit ad perfectionem angelicam pertingere etiamsi absque fine bonis humanis, quorum scilicet natura illius vi sua est capax, ut robore, agilitate, pulchritudine, sic sanitate, eloquentia, industria, item experientia, artibus liberalibus, mechanicis; item mathesi, astronomia, cæteris scientiis augeatur: tota enim humanæ naturæ perfectio ad angelicam comparata est veluti nil, et veluti punctum ad cælorum immensitatem. Denique angelica perfectio etiamsi absque fine in suo ordine crescat, numquam statum filiorum et gloriam ipsis præparatam æquabit. Ex quibus constat quam immensum sit intervallum inter statum illum e quo per misericordiam Dei erepti, et illum ad quem evecti sumus, ac proinde quam immensum sit beneficium adoptionis.

Asc,2285:T14,3 4. Medium quo adoptionem nobis contulit est etiam prorsus mirabile. Nam primo unum hominem in filium naturalem assumpsit, tota divinitatis plenitudine in ipsum refusa et substantialiter unita. Per hunc adoptat et filios Dei efficit quotquot illi homini per fidem et Sacramenta, tamquam rami trunco vel palmites viti inseruntur, statim enim ac quis inseritur et adhærescit Christo, a Spiritu Christi, qui est ejus Divinitas veluti animatur et vivificatur, ac proinde efficitur filius Dei: qui enim spiritu Dei aguntur, hi sunt filii Dei, eodem enim spiritu vivunt quo vivit Deus ipse et Christus Filius Dei, etsi diverso modo hic Spiritus ipsis communicetur: qua adhæret Deo uni spiritus est. Nam personis divinis, humanitati Christi, et nobis communicatur per identitatem, idque vel immediatam necessitatem ut Patri, generationem ut Filio, inspiratione ut Spiritui Sancto; per hypostaticam unionem; per quamdam extensionem qua mediatur dono gratiæ justificantis incipit esse noster spiritus et nostra vita; nos inhabitans, ornans, movens, regens, et omnes vitales functiones Deo placentes in nobis excitans et edens. Itaque hoc Spiritu Divinæ Personæ vivunt naturaliter quum illarum sit esse et vita naturalis; Humanitas Christi quasi naturaliter vivit propter substantialem unionem; nos vero omnino spiritualiter vivimus, est enim ut ita dicam nostra vita supervitalis, essentia superessentialis. Cogita Spiritum Christi esse veluti immensa quamdam animam, quæ angustiis hujus humanitatis non coercetur, sed in omnem partem in infinitum quasi exundat; itaque sufficiens est ut non solum illum hominem, sed etiam omnes illos qui ipsi adhærent, vivificet, et consequenter filios Dei efficiat.

Asc,2285:T14,4 In illis qui justificantur sequuntur effectus sequentes: 1. Remissio peccatorum quæ fit per gratiam justificationis, non quatenus præcise est donum creatum, sed quatenus unit nobis Spiritum Sanctum, seu naturam divinam. 2. Constituit filios Dei tamquam naturæ divinæ participes. 3. Ita secum trahit naturam divinam, eaque nobis præsentem et inhabitantem facit ut etiamsi ipsa non esset ubique aut immensa, tamen eam nobis intime præsentem sisteret, quia hæc unio non fit solum per affectum et amorem, sed est unio per naturæ communicationem et inhabitationem Spiritus. Non enim possemus dici filii Dei et participes divinæ naturæ, si divina natura non sit in nobis, sed foret procul a nobis separata. Hinc dicitur in justificatione Spiritus Sanctus nobis dari, ipse Deus ad nos venire et in nobis manere. 4. Tribuit jus ad vitam æternam, eaque nos dignos reddit. 5. Opera nostra bona efficit digna vita æterna, non præcise quia sunt supernaturalia, non enim sunt condignæ passiones hujus temporis ad futuram gloriam, sed quia sunt condigna moralis æstimationis, quam accipiunt a divinitate inhabitante et constituente filios Dei, seu quatenus sunt opera filiorum Dei et Deificatorum.

Asc,2285:T15,1

De Beneficio thesauri perpetui meritorum Christi Filius Dei ita negotium nostrum cum Divina Justitia composuit, ut non tantum semel nobis fieret peccatorum remissio, et restitueretur adoptio et jus vitæ æternæ, sed quotiescumque contigeret nobis relabi et converti: quæ certe misericordia est prorsus inaudita et inæstimabilis.

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Quis umquam Princeps ita clemens et misericors ut paratus sit ignoscere crimina læsæ majestatis vel alia capitalia, quotiescumque quis illa committit et veniam postulat, aut parens in filium ita indulgens ut semper recipiat in gratiam quoties post nova scelera veniam petat. At Deus non semel indulget naturæ legem relaxans et peccatum mortiferum natura sua incondonabile efficiens remissibile, sed etiam paratus est millies id facere; nec solum est paratus remittere, sed etiam thesaurum infinitum meritorum et satisfactionum construxit, unde copia nobis suppeteret exhibendi æquivalens noxæ et omnem injuriam sarciendi. Hic est thesaurus ex quo hauriuntur omnes divitiæ spirituales et æternæ; est omnium bonorum inexhaustus oceanus, sine quo nil actum erat. Etsi enim una remissio et adoptio infinitæ sit æstimationis, parum tamen nobis profuisset si semel vel bis tantum potuisset nobis obtingere, adeo inconstans, infirma et ad malum prona est voluntas nostra. Si Angelis semel peccantibus, vel semel oblata fuisset facultas reconciliationis, infinite id æstimassent et infinito beneficio se putassent affectos. Quanti nobis æstimandum erit, quibus sine fine peccantibus, sine fine et numero et limitatione offertur remissio, constituitur thesaurus, unde satisfaciamus toto debitis, tam immensis et infinitis?

Asc,2285:T15,2 Ratione hujus thesauri Christus: 1. Dicitur interpellare pro nobis et esse noster advocatus apud Patrem, non semel vel bis tantum, sed semper et assidue, tum quia omnia ejus merita et preces quas habuit in hac vita mortali semper manent in conspectu et acceptatione Dei, et totius Trinitatis nobis misericordiam et gratiam flagitando; manet enim Christus apud Patrem in eadem benignissima erga nos mente, quam habuit in hac vita, cupiens nobis sua merita secundum ordinem suæ Providentiæ prodesse; ejus merita non possunt exhauriri nec plene umquam compensari cum sint infinitæ æstimationis. 2. Dicitur quod Christus sit apud Patrem et semper vivens ad interpellandum pro nobis. Duæ circumstantiæ hinc notandæ, quia plus potest qui præsens est Regi, et in summa auctoritate, quam qui absens est, vel minoris auctoritatis; adde quod præsentia sui corporis in quo manent vestigia vulnerum memoriam excitat eorum quæ gessit et passus est, et tacita ipsa specie petit mercedem; major ratio haberi solet vivorum quam mortuorum, et in vivo perseverare potest pristinus amor et benigna affectio juvandi. Perpendenda hic summa facilitas qua thesaurus iste nobis applicatur et communicatur. Potuisset, et merito Divina Bonitas multas et diuturnas asperitates a nobis exigere, quæ sane recusandæ non forent, imo summis votis amplectendæ ad tantum bonum obtinendum, sed noluit præ nimia dulcedinis suæ abundantia, unde sola a nobis peccatorum displicentia, cum proposito emendationis requisita, externas quasdam cæremonias constituit numero paucissimas, usu facillimas, virtute efficacissimas. Item forma decentissimas, significatione sanctissimas, quibus hunc thesaurum, et simul reconciliationem, adoptionem, jus vitæ æternæ inclusit, ut eo ipso quo cærimoniis illis utimur, ista omnia bona consequamur. Habent enim illæ cæremoniæ et externi ritus ex divina ordinatione annexa et inclusa merita Christi, unde eo ipso quo illas usurpamus, illa merita nobis donantur, et quodammodo nostra fiunt, ac si a nobis præstita essent.

Asc,2285:T15,3 His Christi meritis ditati: 1. Satisfacimus condigne pro culpis omnibus mortiferis et pœna æterna omnem injuriam Deo illatam compensantes ex æquo, quidquid enim satisfactionis præstare possumus, si non est conjunctum cum meritis Christi infinite abest ut par esse possit culpæ letali et pœnæ æternæ, et pro ipsis condigne satisfacere, sed applicatione ista meritorum Christi per Sacramenta ex thesauro Christi facta, nil deest quominus divinæ Justitiæ condignam compensationem (utpote ipsius Christi satisfactionem nobis donatam) possimus exhibere. 2. Digni efficimur adoptione divina, qua in filios Dei adoptamur; qua obtenta jam habemus jus vitæ æternæ et regni cælestis.

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Si enim filii, et hæredes (Rom. 8). Nullum verum opus creaturæ etsi supernaturale, si per se spectetur, tanti est pretii, ut hanc tam eximiam sublimationem possit ex dignitate promereri, solum id possunt merita filii Dei, idcirco ea nobis communicare voluit. 3. Meremur divinam protectionem qua nos tamquam filios protegat et dirigat usque in finem. Non enim satis erat peccata condonari, Deo reconciliari, adoptari in filios Dei, sed oportebat adesse alterius protectionem et directionem divinam, per quam in finem usque in statu filiorum adversus omnes tentationes carnis, mundi et Satanæ possemus perseverare. Hæc itaque custodia et gubernatio divina ob idem Christi meritum nobis in Sacramento collatum est debita uti reconciliatio et adoptio. Adde quod ad hæc tam mira bona obtinenda non requiritur ut in veteri lege, tam perfecta animi comparatio, utpote egens multo lumine, multa gratia excitante, multo conatu naturæ. Nam ut via salutis omnibus facilis esset et pateret, et nemo asperitate remedii deterretur, dispositione animi contentus rudi et imperfecta, thesaurum istum externis quibusdam ritibus, quorum usus cuilibet facilis et expeditus sit inclusit, ita ut nemo sit qui non facile quamdiu est in hac vita Deo reconciliari et amissam salutem recuperare possit, nec quidquam excusationis possimus prætendere si a salute exciderimus.

Asc,2285:T15,4 Notandum vero quod etiamsi merita Christi sint infiniti valoris, non tamen semper communicantur. Communicantur enim ad duos potissimum effectus, ad remissionem peccatorum et adoptionem filiorum, seu ad satisfactionem et ad meritum. Porro ad primum effectum communicatur quodammodo infinite et sine mensura, nam ita nobis datur, ut ejus communione efficimur digni remissione omnium peccatorum etiam infinitorum, satisfaciamus enim per illa pro omnibus salutem quoad culpam et pœnam æternam. Verum pro pœna temporali non semper, unde quoad hanc est limitatio in applicatione, sed id provenit ex insufficientia et imperfectione nostræ dispositionis, non ex circumspectione vel defectu virtutis meriti Christi Sacramento annexi. Ad secundum effectum non ita applicantur ut efficiamur infinite grati et digni, infinito quodam adoptionis gradu, sed secundum certum modum divinitus limitatum et prout dispositio major vel minor in nobis fuerit. Itaque meritum Christi ut Satisfactio habet effectum in nobis quodammodo infinitum, quia respondet infinitis peccatis, illa ex æquo compensans et excedens. Meritum bonorum supernaturalium habet effectum magis limitatum: quum enim hæc communicatio meritorum, non physice, sicut in Christo, sed moraliter fiat per imputationem et acceptationem, tota pendet in suis effectibus ex ordinatione Sapientiæ divinæ, sic, vel sic instituentis, et merita Christi diversis modis annectentis. Unde continent quidem omnia Sacramenta meritum Christi infinitum, sed illud applicant ad majorem vel minorem effectum pro ratione dispositionis; quamvis ea quæ perfectiora et digniora sunt, cæteris paribus ad eandem dispositionem majorem gratiæ, effectum conferant.

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Speculum animæ – De Imitatione Christi Pubblicato in Lanterianum, settembre 1996, pag. 13-24 (traduzione italiana a cura di P. Calliari, pag. 24-31). Si tratta di uno scritto del P. Lanteri (AOMV, S. 3,1,4:403) di grande importanza per comprendere la centralità dell'Imitazione di Cristo nella sua spiritualità. Il P. Calliari scrive: “Lo scritto autografo è di pp. 8 in 8o piccolo. È una raccolta rielaborata di pensieri teologico-ascetici sull'Imitazione di Cristo, uno dei temi spesso trattati dal Lanteri anche in altri scritti, desunti da S. Bonaventura, S. Bernardo, il Lessio, il P. Gesuita Vaubert, il Nouet, il Saint-Jure, e altri”. Non si conosce con esattezza l'epoca esatta della composizione di questo scritto, “è accertato e pressoché sicuro non essere anteriore all'anno 1800, o posteriore all'anno 1813. Con ogni probabilità lo scritto risale al periodo della relegazione alla Grangia (1811-1814)”. Dal P. Calliari è ancora messo in risalto che si tratta “di un'opera tutta di getto, cioè senza le aggiunte che di solito si trovano in altri scritti”, lo si deduce “dall'uniformità della calligrafia, dell'inchiostro e della penna”. Da notare ancora che “la diecina di pagine in bianco dello stesso quaderno farebbero pensare che l'argomento sia stato lasciato in sospeso, forse in attesa di ulteriore completamento, che poi non ci fu”.

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Speculum repræsentat adamussim… 1. Speculum repræsentat adamussim imagimem, omnes motus et affectiones ipsas. Angeli sunt specula et lumina perfectionum Dei. Animæ sunt specula et lumina Dei vel demonis, et debent tum ex creatione esse (specula) Dei. Sed Deus qui erat sequendus videri non poterat, homo qui videri poterat non erat sequendus. Ut ergo exhiberetur homini, et qui videretur ab homine et quem sequeretur homo, Deus factus est homo. Fecit nempe de corpore suo speculum animæ meæ. Imago ad eum qui est ad imaginem venit cum quærit quod est ad similitudinem sui, ut iterum signet et conformet. Sed debet esse speculum sine macula, et quidquid creati afficit, inficit. Ubi enim thesaurus est, ibi et cor, et ubi cor, ibi et oculus, hoc est cogitatio. Attendendum ergo: 1. ad cogitationes intrantes et manentes; 2. ad verba exeuntia. “Ex fructibus enim cognoscetis eos”. 2. Spiritus Christi duo corpora vivificat, nimirum corpus ipsius verum et mysticum: hinc vita passibilis Christi. In morte cessavit in propio corpore, cœpit in mystico corpore. Quia cum non amplius posset pati et mereri in propria persona, voluit suas passiones et merita continuare in suis membris mysticis, ut sic Patrem glorificaret per sanctas actiones vitæ patientis usque ad consummationem sæculi. Unde Christiani vita proprie non est, nisi expressio et continuatio vitæ Jesu, quæ quodammodo completa non est, sed quotidie completur in sanctis qui ejus exempla sequuntur, et complebitur in fine mundi. Unde dicit Augustinus: “In capite dixit consummatum est, restant in membris passiones”. Dicit Paulus: “Ipsum dedit caput super omnem Ecclesiam quæ est corpus et plenitudo ejus, qui omnia in omnibus adimpletur”. Quod dicit de passionibus, dicitur etiam de omnibus actionibus virtutis quas fideles agunt in eodem spiritu. Idcirco Christianus qui est membrum Christi et vivit ipsius spiritum, per proprias actiones virtuosas continuat actiones Christi quas ipse fecit in vita sua mortali. Unde quando orat, laborat, conversat in caritate, continuat Jesus orationem, vitam laboriosam, conversationem cum hominibus. Sic Christianus est imago Christi, sicut Christus imago Patris. Ideo Jesus cuique dicit: “Pone me ut signaculum super cor tuum, super brachium tuum”.

Asc,3403:T2 Hoc modo: 1. Placebis Patri, quia Filius est figura substantiæ ejus. Ergo imitando Filium, anima fit imago Patris, vel exemplar et extensio imaginis ipsius, in quo Pater sibi complacet, et perget sibi complacere in vita Christiani, quasi in odore vestimentorum Filii sui. Nec aliter sibi complacebit, quia “quos præscivit hos prædestinavit conformes fieri imagini Filii sui”. “Hic est Filius meus dilectus, ipsum audite”. Ideo omnes salvandi debent habere signum Tau. 2. Placebis Filio quia sicut Ipse est sigillum Patris, ita quando ipsum imitaris, sigillum ipsius super te imprimis et illo uteris sicut optat, quia sigillum factum est ad imprimendam imaginem quam habet. Item, quia nos ardentissime amat nil aliud optat quam strictissime nobiscum uniri sicut ardenter postulavit pridie quam pateretur: “Ut sint consummati in unum”.

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Verum perfecta unio consistit in hoc quod sis unum cum Ipso, sicut Ipse est unum cum Patre, nempe in natura, in virtute, in operatione, cum hoc discrimine quod Ipse est unum per naturam, nos vero unum sumus per participationem, per adoptionem, per gratiam, et per voluntatem. 3. Placebis Spiritui Sancto quia sequimur ductum ejus, qui nil aliud suggerit et optat quam Christum formare in corde nostro, sicut formavit in ventre Mariæ Virginis. 4. Placebis Ss. Trinitati cujus finis est perficere in nobis imaginem suam, et efficere ut vivamus vitam ipsius Dei, quod fit in nobis quando imitamur Christum. Quia Jesus quum esset Deus et homo non poterat nisi vivere vitam divinam, nec facere opera Dei, unde si exercebat ex. gr. opus misericordiæ movebatur secundum cor Dei et conformabatur bonitati Dei, perfecte in omnibus imitando modum agendi Divinitatis ipsius. Nos vero qui Deum non videmus, Jesum habemus visibilem in actionibus suis theandricis, quas possumus imitari, et eas imitando, imitari Deum: quo nil sublimius! Cave ergo imitari, secus faciendo, phariseos qui consilium Dei spreverunt in semetipsis.

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Jesum sequendo… Jesum sequendo non deest: 1. Lumen intellectus: “qui sequitur me non ambulat in tenebris…”. “Sequere me!”. “Accedite ad eum et illuminamini”. “Illuminans tu mirabiliter a montibus æternis…”. “Unigenitus qui est in sinu Patris ipse enarravit vobis…”. “Lucerna pedibus meis verbum tuum”. Lucerna est lumen in testa, lumen in vase est divinitas in humanitate. Lumen divinitas, vita est via, tenebræ sunt ignorantiæ. Præcedit Christus tenens lucernam, sequitur christianus tenens exempli semitam. Proposuit humanitatem lucentem divinitate, extulit lucernam ut videamus in fide, ambulemus in operatione, dirigamur imitatione. Domus totus mundus est. Lucernæ accensio est Verbi Incarnatio. Candelabrum est lignum Crucis. Lucerna in candelabro lucens est Christus in Cruce pendens. Vides tu, videamus et nos; tenebræ sunt, non offendamus. Luceat nobis lucerna, doceat nos Verbum in carne (Augustinus). 2. Consolatio cordis, nam quidquid voluntatem allicere potest invenitur in exemplo vitæ et Passionis Jesu, qui est dulcedo inæstimabilis, per quem omnia dulcorantur. 3. Virtus perficiendi. Jesu enim dat velle et perficere. Le prophète Élisée mit sa main sur celle du roi Joas avant qu'il tirât des flèches contre la Syrie pour le rendre victorieux: de même nous fait Jésus. Sine Jesu nil est in homine, nil est innoxium, sed si Jesus pro nobis, quis contra nos? Quis potest laborare, sequens Jesum cum Ipse dicat: “Venite ad me omnes qui laboratis et onerati estis et Ego reficiam vos”. Sequamur ergo Jesum semper nec desinamus, quod si semper sequamur, numquam deficimus. Dat enim vires sequentibus se. Itaque qui proprior virtuti fueris, eo fortior eris.

Asc,3403:T4 Gesù ci ha scelti per fare i suoi interessi, e dare corso alle sue massime, prendendo la difesa della virtù contro le perniciose massime del mondo. “Spectaculum facti sumus mundo et Angelis et hominibus”. “Quoniam propter te sustinui opprobrium”. “Noli vinci a malo, sed fac in malo bonum”. Il faut paraître à l'exemple de Jésus-Christ comme un Dieu conversant dans une chair mortelle avec l'étonnement de l'univers.

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Quelle gloire d'un chrétien qui vit de telle sorte qu'on peut dire que c'est un autre Jésus-Christ, que ce sont des actions du Verbe Incarné, que c'est la Sagesse éternelle qui parle par sa bouche, à l'exemple de Jésus-Christ qui disait: “Philippe, qui videt me, videt et Patrem meum”. Quia sicut in cera imprimitur sigilli regis figura, ita in humanitate caracter et figura Dei. Comme toute la gloire du Verbe Incarné est d'être l'image du Père, ainsi toute la gloire du chrétien est d'être l'image du Verbe en quoi consiste toute la sainteté de cette vie et la félicité de l'autre. Salvus sum si non confundar de Domino meo. Beatus qui non fuerit scandalizatus in me. Qui me confessus fuerit, confitebor et ego eum. Qui me erubuerit, et sermones meos, hunc Filius hominis erubescet cum venerit in majestate sua. Imus ad æternitatem, et Jesus est via, terminus, lux, veritas, magister, viaticum, socius, vita, adjutor.

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Pratique pour l'imitation a) Induimini ergo Dominum Jesum Christum: une grande résolution d'imiter Jésus-Christ. b) Au commencement de chaque action: 1. Donnez un regard simple et amoureux à Jésus pour regarder comment il faisait ce que vous allez faire, comment il le ferait s'il se trouvait à votre place. 2. Animez cette vue d'un grand désir de lui plaire, de le contenter, de l'honorer. 3. Unissez votre cœur au sein et votre action à la sienne afin d'en tirer forces et vigueur pour la faire dans son esprit, c'est-à-dire dans toutes les vues et dessins, dans toute la perfection qu'il désire que vous la faisiez. 4. Priez qu'il mette sa main sur la vôtre, qu'il travaille avec vous, car sans lui vous ne pouvez faire rien que de défectueux. c) Dans l'examen du soir, confrontez vos actions avec celles de Jésus-Christ. Demandez-lui pardon par ses sacrées plaies. Recevez avec respect le sang qui en découle pour laver vos taches et fautes de l'âme. Prenez une forte résolution de vous rendre plus fidèle à l'exemplaire Jésus. d) Tempore meditationis, Sanctæ Missæ, Visitationis Sanctissimi, souvenez-vous que Jésus-Christ est le cachet du Père dont il marque tous les prédestinés, et que si toute sa gloire est d'être l'image de son Père, le caractère de sa substance, aussi tout notre bonheur est d'en recevoir l'impression, d'en porter les traits et les linéaments. Figurez-vous qu'il vous invite à le graver bien dans votre cœur. Priez-le qu'il le grave lui-même, qu'il l'imprime profondément dans toutes les puissances de votre âme. Priez-le qu'il s'applique à vos yeux pour sanctifier vos regards, à votre bouche pour consacrer toutes vos paroles, à votre entendement pour purifier toutes vos pensées, à votre volonté pour régler toutes vos affections, à votre corps et à votre âme pour y imprimer des marques éclatantes de son humilité, de sa pureté, de son innocence, de toutes ses vertus.

Asc,3403:T6 Paradisus noster Jesus Crucifixus; quique fontes ex eo manant: 1. une source de miséricorde pour effacer nos péchés; 2. de sagesse pour éclairer nos âmes contre la prudence de la chair et contenter notre soif de justice; 3. de dévotion pour arroser les plantes des vertus, et de nous rendre fertiles; 4. de charité pour enflammer notre zèle, embraser notre cœur des flammes d'amour; 5. de vie qui est réservée dans l'éternité. “Propter hos quattuor fontes, quattuor in locis vulneratus est Jesus adhuc vivens in Cruce; propter quintum cum jam tradidisset spiritum, transforatus est in latere” (S. Bernardus). “Semper oculis cordis sui Christum in Cruce tamquam (actu) morientem videat qui devotionem in se vult conservare inextinguibilem” (S. Bonaventura). “Apud te est fons vitæ, ad te levavi animam meam, tamquam vas ad fontem attuli: imple ergo me, quoniam ad te levavi animam meam” (S. Augustinus).

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“Submerge in Sanguine Christi Crucifixi, immerge te Sanguini, satia te Sanguine, inebria te Sanguine, vesti te Sanguine, dole super te in Sanguine, recrea te in Sanguine, cresce et confortare in Sanguine immaculati, vulnerati, atque occisi Agni” (S. Caterina da Siena).

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Modus imitandi Christum in virtutibus cardinalibus Ubi vera prudentia nisi in Christi doctrina? Ubi vera justitia nisi in Christi misericordia? Ubi vera temperantia nisi in Christi vita? Ubi vera fortitudo nisi in Christi Passione? Soli ergo prudentes qui Christi doctrina imbuti sunt; soli justi qui Christi misericordia veniam consecuti sunt; soli temperantes qui Christi vitam imitari student; soli fortes qui Christi patientiæ documenta fortiter in adversis tenent. Incassum ergo laborat qui in adquisitione virtutum aliunde eas sperandas putat quam a Domino virtutum, cujus doctrina est seminarium prudentiæ, cujus misericordia est opus justitiæ, cujus vita est speculum temperantiæ, cujus mors insigne est exemplum fortitudinis. Securus es si te præcedit veritas, sine ipsa frustra laboras. Ad ipsum imus, per ipsum imus, quid timemus? Discite a me quia mitis sum, et humilis corde. Sur l'humilité, lisez Vatier, Exercices spirituels, Réflexions sur la méditation des 2 étendards, la 3e partie de la méditation des degrés de l'humilité, Entretien du 6e jour sur l'humilité, remarque 16. Lessius, De justitia et jure. S. Bonaventure.

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De l'Imitation de Jésus-Christ. “O veritas Deus fac me unum tecum in caritate perpetua.” “Tædet me sæpe multa legere et audire: in te est totum quod volo et desidero”. “Taceant omnes Doctores, sileant omnes creaturæ in conspectu tuo. Tu mihi loquere solus”. L'esprit de Jésus anime deux corps, son corps réel et son corps mystique: ainsi il a deux vies, l'une dans son corps, l'autre dans le corps de l'Église et dans tous les fidèles qui en sont les membres. Il finit à la mort sa vie “passible” dans son corps, mais il l'a commencée dans son corps mystique, il voulut continuer ses souffrances, ses mérites. De sorte que la vie d'un chrétien n'est qu'une expression et une continuation de la vie de Jésus. (Vide etiam Saint-Jure, Retraite sur l'amour de Jésus-Christ, Méditation fondamentale). Jésus-Christ nous a choisis pour porter ses intérêts, pour donner cours à ses maximes en prenant la défense de la vertu contre les pernicieuses coutumes du monde. Jésus-Christ est tout ensemble notre chemin, notre terme, notre lumière, notre viatique, notre guide (Nouet, in 4o, vol. 3, p. 52). La ressemblance est la cause de l'amour, il faut l'imiter si vous voulez qu'il vous aime. Il chérit puis tellement ses amis qu'il ne veut être avec eux qu'une même chose. 1. Pour cela il a institué le sacrement d'amour en forme de viande qui s'incorpore en celui qui la prend afin de s'unir corporellement à nous, et n'être qu'un en quelque façon en unité de substance. 2. Il nous a donné le Saint-Esprit afin de n'être qu'un avec nous en unité d'esprit et de vertu. 3. Mais pour rendre cette union parfaite, il veut qu'elle passe jusqu'aux œuvres par la conformité de nos actions avec les siennes, et de notre vie avec celle qu'il a menée sur la terre. Car l'unité parfaite consiste à n'être qu'un en unité de substance, de puissance, d'opération. C'est la demande qu'il fit la veille de sa Passion: “ut sint consummati in unum”, comme il est un avec son Père (Nouet, p. 55). Unissez votre cœur et votre action à la sienne pour en tirer force et vigueur, et pour la faire dans son esprit, hoc est dans toutes ses vues, ses desseins, sa perfection.

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Priez-le qu'il mette sa main sur la vôtre, qu'il travaille avec vous. Faites qu'il soit, par une douce application à Jésus opérant et conversant, effectivement votre Emmanuel par la présence et par l'influence de son esprit dans le vôtre.

Asc,3403:T9 Pone me ut signaculum super cor tuum, super brachium tuum. Figurez-vous qu'il vous invite à le graver bien avant dans votre cœur, priez-le qu'il le grave lui-même, qu'il s'applique à vos yeux pour sanctifier vos regards, à votre bouche pour consacrer toutes vos paroles, à votre entendement pour purifier toutes vos pensées, à votre volonté pour régler toutes vos affections, à votre corps et à votre âme pour y imprimer des marques éclatantes de son humilité, de sa pureté, de son innocence.

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Humilité de Jésus-Christ Qui l'a porté à nous conférer le bénéfice de son corps et de son sang? Son humilité: “Nisi esset humilis Deus, nec manducaretur, nec biberetur” (S. Augustinus, in Ps. 33, p. 150). Verbum caro factum, Divinitas in luto. L'humilité est fille de la grandeur de Dieu car elle naît de la connaissance de ses perfections infinies. Rien de plus puissant pour anéantir notre orgueil: quis ut Deus? Les effets de la grâce tendent tous à l'humiliation de l'homme et à la gloire de Dieu. La première chose que doit faire la grâce, c'est d'apprendre à l'âme que le premier usage de son entendement, de sa volonté, de ses puissances, c'est de les anéantir devant la majesté suprême du Créateur, comme les victimes qu'on lui offrait étaient détruites pour montrer que la créature devant lui doit se tenir devant lui comme le néant qui ne peut subsister ni agir sans son assistance particulière (n.b. d'autant plus dans l'ordre surnaturel). Emitte Spiritum tuum et creabuntur, et renovabis faciem terræ. D'où vient que l'humilité n'est pas moins nécessaire pour les bonnes œuvres que la grâce de la part de Dieu. Nous aimons tous la grandeur mais l'échelle pour y arriver, c'est l'humilité. Ce fut le mal caduc de Lucifer. Qui sait que Dieu est tout, doit se tenir comme un néant devant lui. S. Ignace jamais n'envoyait quelqu'un travailler avant de lui recommander l'exercice de l'humilité (Nouet, p. 175), car qu'il réussisse ou qu'il ne réussisse pas, il a également besoin de l'humilité. Quæ Christus noluit, rejecit, quæ rejecit, damnavit, quæ damnavit, in pompam diaboli reputavit; non enim damnasset nisi non sua, alterius autem esse non possunt, nisi Diaboli qui Dei non sunt (Tertullianus). Les brigues pour les honneurs sont des brigues du démon, qui est toujours de la partie: omnis honor sæculi diaboli negotium est.

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Considérations pour une retraite de prêtres Dopo 1816 (beatificazione di Alfonso de Liguori) Opera di paternità non sicura: lo stile e il contenuto non sembrano essere di Lanteri. Si noti il paragrafo su Liguori, peu connu dans ces contrées, mais très estimé à Rome, dans toute l'Italie et ailleurs, dove però si riprendono in favore del beato gli stessi motivi utilizzati da Lanteri nelle Idées sur la théologie morale. AOMV, S. 6,3,9:0 (d'altra mano)

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J.M.J. Considérations pour une retraite de prêtres

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Introduction Le but d'une retraite est de méditer, et de graver toujours plus profondément dans son cœur les vérités éternelles que Dieu nous a fait connaître pour sa gloire et notre sanctification. Mais on ne peut ignorer qu'une connaissance stérile de ces vérités ne servirait qu'à nous rendre plus coupables, et qu'elles doivent nécessairement être mises en pratique. Non omnis qui dicit mihi: Domine Domine, intrabit in Regnum Cælorum, sed qui facit voluntatem Patris mei qui in Cælis est; ipse intrabit in Regnum Cælorum… Ille autem servus qui cognovit voluntatem Domini sui, et non fecit secundum voluntatem ejus vapulabit multis. S'occuper de la fin de l'homme, de la malice du péché, des terribles jugements de Dieu, des châtiments qu'on doit craindre, des récompenses qu'on peut espérer, est un devoir indispensable pour tout chrétien, à plus forte raison pour un prêtre, mais il faut absolument descendre dans le détail, comparer notre conduite avec les principes inflexibles, et donner toute notre attention à y conformer toute notre vie. Il est en particulier très nécessaire de faire des sérieuses réflexions sur les devoirs de notre état, qui seront sans doute une des principales matières de notre jugement. Il en est que nous sommes peut-être accoutumés à regarder comme de peu d'importance, et qui n'en sont pas moins graves, quand on les considère au poids du Sanctuaire. Trop de légèreté, les exemples de nos confrères, les louanges que nous recevons des fidèles nous aveuglent souvent sur nos obligations, et nous perdent. On est habitué à dire: c'est un bon prêtre, comme les mondains disent de leurs semblables: c'est un honnête homme, c'est-à-dire qui ne tue ni ne vole, ou du moins qu'on ne voit pas commettre des crimes. Mais hélas le jugement de Dieu est bien différent. Quicumque autem totam legem servaverit, offendat autem in uno factus est omnium reus. Il y a même bien des choses qui sont petites de leur nature, mais qui négligées, ont des grandes conséquences. Nemo repente fit summus, qui spernit modica paulatim decidet, qui in modico infidelis est, et in majori iniquus est. Il importe peu qu'un vaisseau périsse subitement par un ouragan, ou à la longue par l'eau qui s'introduit à travers une légère fente et fini pour le submerger. Le Démon ne commence guère par nous proposer des grands crimes, mais il sait très bien que la multitude des infidélités nous y conduira presque infailliblement.

Asc,6309:T1,2 Nous ferons donc quelques réflexions sur les devoirs de notre état mais il faut savoir auparavant, qu'il ne s'agit pas ici de les examiner tous, encore moins de présenter sur chacun un traité théologique; mais nous proposons seulement de dire quelques mots sur quelques devoirs, auxquels bien des prêtres manquent trop souvent, et chacun ensuite pourra, et même devra selon le besoin chercher dans les bons auteurs ou dans les conseils des Docteurs les explications et distinctions que le temps ne nous permet pas de donner, et qu'on n'est pas embarrassé de trouver; tenons seulement pour certain qu'en général les articles qui nous choquent et que nous combattons sont souvent ceux où nous avons le plus besoin de réforme et sur lesquels nous voulons moins nous réformer.

Asc,6309:T1,3 Beaucoup de ces observations sont extraites de la Théologie de Liguori, Évêque de Sainte-Agathe, peu connu il est vrai dans ces contrées, mais très estimé à Rome, dans toute l'Italie, et ailleurs; il n'a écrit qu'après trente ans de ministère, souvent dans les missions, et a travaillé pendant 15 ans à son ouvrage loué de Benoît XIV. C'est le dernier auteur de théologie, et il s'est servi des lumières de tous ses prédécesseurs. Personne de ceux qui le connaissent ne l'accuseront de rigorisme, tout au contraire il y a quelquefois des principes que certains Docteurs appelleraient laxisme, il ne faut cependant pas se hâter de leur donner cette qualification, car Liguori est béatifié et quoiqu'il ne s'ensuive pas qu'il ait eu le don d'infaillibilité, il est cependant bien certain que l'Église n'a pas trouvé dans sa doctrine non rétractée un seul mot contraire à celle qu'elle enseigne ou permet d'enseigner. On ne se propose donc pas d'engager les prêtres à une perfection impraticable. Si quelqu'un disait qu'une vie si régulière ne convient qu'à des religieux, Liguori lui répondrait (Homo Apostolicus, tract. ult. p. 39) qu'il faut beaucoup plus d'examen pour être prêtre séculier que régulier, car, dit ce saint évêque, sacerdotes sæculares habent eandem, immo majorem obligationem quam religiosi, et contra manent in iisdem sæculi periculis: unde ut quis bonus evadat sacerdos in sæculo (in quo

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raro, ne dicam rarissime boni inveniuntur) oportet ut prius egerit vitam valde exemplarem… deditam orationi. Sed quis est hic et laudabimus eum? Alioquin se ponet in statum quasi certæ damnationis. Cette pensée de Liguori n'est pas nouvelle, elle est très conforme à celle de S. Jean Chrisostome: non temere loquor, sed ut affectus sum et sentio, non arbitror inter sacerdotes multos esse qui salvi fiant, sed multi plures qui pereant. Ainsi parlait ce Saint Docteur, des prêtres des premiers siècles. Sommes-nous meilleurs? Notre conduite ne donne-t-elle pas tout lieu de craindre que ce sentiment ne soit trop vrai? Pensons-y bien.

Asc,6309:T1,4 Quand on citera des Bulles, on ne prétendra pas décider si elles sont reçues ou non dans le lieu où on les cite: seulement il faut faire attention 1. à ne pas décider trop vite qu'elles ne sont pas reçues; 2. qu'il y en a qui sont appuyées sur la loi naturelle, ou divine, ou sur d'autres lois ecclésiastiques, et qui sous ce point de vue obligent partout; 3. que dans ce cas, quoiqu'on n'encoure pas les censures, par défaut de réception de Bulle, on n'en pèche pas moins par la transgression des autres lois, sur lesquelles les Bulles sont fondées; 4. que dans tous les cas les Bulles nous indiquent l'esprit de l'Église et méritent tout notre respect. Dans toutes nos considérations, ayons présente cette pensée: qu'ai-je dû faire? Qu'ai-je fait? À l'article de la mort, que voudrais-je avoir fait, et comment? Au jugement de Dieu, je ne serai justifié que quand il sera prouvé que pas une des âmes qui m'ont été confiées n'a péri par ma faute ou par ma négligence, ou que j'ai réparé cette terrible faute par la pénitence, et quelle pénitence…

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Fréquentation et soin à l'église Avons-nous apprécié la grâce étonnante que Dieu nous accorde d'être les Gardiens nés de son Temple, et même de son adorable Majesté? Notre cœur nous entraîne-t-il sans cesse vers ces aimables et redoutables tabernacles? Éprouvons-nous en y entrant la joie du Roi Prophète: Lætatus sum in his quæ dicta sunt mihi, in domum Domini ibimus? Nous y rendons-nous, du moins souvent, de grand matin pour y entendre les confessions nécessaires ou utiles des pauvres gens qui ne peuvent pas venir pendant la journée, et qui ont un droit continuel à nos soins? Quand nous entrons dans l'église et pendant que nous y demeurons, les fidèles en remarquant notre modestie, notre silence, notre recueillement, notre profond respect, sont-ils forcés de dire: Voilà un prêtre qui croit à la présence réelle de Jésus-Christ, qui pense à la grandeur de Jésus-Christ, qui est pénétré d'Amour pour Jésus-Christ? Avons-nous soin de faire taire avec douceur, mais aussi avec force ceux qui profanent le temple par leurs conversations, qui dérangent les autres, ces enfants serveurs des messes souvent si indécents, ces Rosters [sic] qui montrent quelquefois une familiarité si effrayante avec Dieu et sont à l'église comme sur la Place du Marché? Gardons-nous le silence dans la sacristie, partie quelconque du lieu Saint, uniquement destinée à se préparer aux Ss. Mystères, et à rendre grâces, n'y parlons-nous pas sans nécessité, des futilités, à voix haute, avec nos confrères ou autres, et peut-être assez pour troubler et même scandaliser par notre immodestie les fidèles que nous empêchons de prier dans l'église? (c'est encore plus nuisible l'après-midi, parce qu'on est tenté de l'attribuer aux effets du dîner). Sommes-nous zélés pour introduire ou conserver la décence et la propreté dans le lieu Saint? N'avons-nous pas des ornements déchirés dont une honnête personne ne s'habillerait pas, des linges sales et tout dégoûtants, que nous n'emploierions pas chez nous aux usages les plus bas? Ne nous excusons-nous pas sur la pauvreté ou le défaut de volonté de la fabrique, sans parler qu'en sollicitant quelques bonnes âmes, nous trouverions des ressources sinon pour la splendeur, du moins pour la propreté; sans considérer que dans notre maison il y a de si beaux meubles, du linge si propre, tant de choses inutiles, que le Curé se met dans l'abondance et les délices, tandis qu'il laisse le Seigneur, son Dieu, dans l'état de la dernière misère? Quelle horreur? Savons-nous bien que l'indécence et la saleté des églises contribue beaucoup à diminuer la foi dans les fidèles qui ne peuvent se persuader que le Curé croie présent Jésus-Christ qu'il traite si indignement, et par suite ne le croient peut-être

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pas beaucoup plus? Monseigneur De la Motte demandait à un curé négligent sur ce point: croyez-vous à la présence réelle?

Asc,6309:T2,2 N'oublions-nous pas peut-être ce qu'il y a de plus essentiel dans une église, je veux dire de tenir les vases sacrés dans l'état où ils doivent être, quant à la matière, à la propreté, à la dorure exigée. Mais ce qui est encore bien important, n'abandonnons-nous pas à un Roster, du moins insouciant, la fonction de préparer les hosties pour la consécration, ou plutôt de les jeter, sans les purifier des parcelles, que nous ne purifions pas nous-mêmes, quand elles sont rassemblées dans le ciboire? Je ne le croirais pas, si je ne l'avais vu; mais j'ai trouvé dans certains ciboires assez de parcelles pour en faire plusieurs hosties, j'y ai trouvé, je frémis en le disant, jusqu'à du foin. Grand Dieu!… En donnant la Sainte Communion prenons-nous toutes les précautions qui dépendent de nous pour qu'il ne tombe pas des parcelles à terre, c'est-à-dire pour que Jésus-Christ ne soit pas profané et foulé aux pieds? Fasse le Seigneur que Personne n'ose commettre les fautes que j'ose à peine écrire! Réfléchissons-nous souvent à l'extrême bonté de Jésus-Christ qui reste continuellement par amour pour nous, et avec le désir de nous enrichir, dans nos églises, où il n'a souvent personne qui le visite, surtout à la campagne? Serions-nous assez insensibles pour ne pas aller du moins le soir lui tenir compagnie, et l'adorer quelques moments? Méritons-nous le grand titre de ses amis, si nous n'allons le visiter que par nécessité, ou, pis encore, pour gagner de l'argent? Si un homme qui se dirait notre ami en agissait ainsi avec nous, qu'en penserions-nous? Comment nous acquittons-nous de la récitation du bréviaire, cette prière publique que l'Église nous impose pour parler à Dieu en son nom? Nous y préparons-nous, choisissons-nous les temps les plus propres pour le bien dire, sommes-nous exacts à éviter les distractions, n'aurions-nous pas sujet de craindre qu'il en fût dit de nous: Oratio ejus fiat in peccatum? Comment Dieu nous entendrait-il, quand nous ne nous entendons pas nous-mêmes, et qu'en lui parlant, nous pensons à tout, excepté à lui?

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La Sainte Messe et les Saints Offices Si l'on disait au plus grossier idolâtre qu'un homme sur la terre a reçu le pouvoir d'appeler dans ses mains le Dieu de l'univers, de l'immoler pour son salut et celui de tous les hommes, en supposant que cet Idolâtre le crût, quelle idée aurait-il de la dignité de ce prêtre, de sa Sainteté, de sa reconnaissance pour son Dieu? Réfléchissons-nous profondément sur la sublimité de notre Ministère, nous en acquittons-nous avec les dispositions qu'il exige? Quelle préparation y apportons-nous, ne volons-nous pas d'une occupation toute profane et toute dissipante jusqu'au Saint autel avec plus de légèreté que nous n'irions déjeuner? Outre le mal que nous faisons pour nous-mêmes, quelle idée donnons-nous aux fidèles de notre foi? Comment observons-nous les rubriques, les rites que l'Église nous prescrit, qui donnent aux Ss. Mystères une dignité extérieure, qui signifient souvent les effets produits par les Sacrements; les rites ne deviennent-ils pas pour nous des espèces de jeux de main, des contorsions de corps qui feraient penser que nous sommes sur un méchant théâtre des rues plutôt qu'auprès d'un autel du Dieu vivant? N'oublions pas que si cette négligence va jusqu'au mépris, comme il est souvent très à craindre, il n'est pas un théologien qui ne la taxe de péché mortel. Très peu de prêtres observent bien les rubriques, quelques-uns mêmes les ont oubliées. Votre cœur apprécie-t-il la différence incalculable qui se trouve entre le pain et le vin avant la consécration, et les saintes espèces après les paroles redoutables? N'agitons-nous pas la sainte hostie avec tant de rapidité, qu'on pourrait nous dire comme Bourdoise à un prêtre: pensez donc que vous avez dans les mains un enfant de grande famille?

Asc,6309:T3,2 Employons-nous un temps raisonnable pour célébrer la sainte Messe, c'est-à-dire pour faire la plus grande et la plus importante des actions? Il est en général difficile de dire une Messe quelconque avec quelque décence et piété en moins de 20 minutes, et il est fort à désirer qu'on y mettre à peu près une demi-heure, chose bien étonnante et inconcevable! Presque tous ceux qui disent la Messe si vite, si lestement et si mal, passent ordinairement la moitié du jour et souvent plus, à des

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occupations ou à des conversations du moins très inutiles, et souvent pires. Après la Messe nous occupons-nous sérieusement de remercier et d'adorer le Seigneur? Serions-nous assez malheureux pour nous hâter de jeter les habits sacerdotaux sur la table et aussitôt causer et rire dans la Sacristie, ou bien en présence du peuple nous sauver dans les rues comme si l'église était en feu? Plût à Dieu qu'on renouvelât pour de tels prêtres ce que pratiqua pour l'un deux Bourdoise, en le faisant conduire avec des flambeaux, précédé de la clochette, et couvert du dais, comme un homme dont le corps renfermait le S. Sacrement. N'avons-nous pas encore sujet de réfléchir sur les offices chantés pour les vivants et pour les morts? Ne consistent-ils pas dans un bourdonnement insignifiant, des cris précipités qui peuvent et doivent causer de grands scandales? Célébrer avec un air qui annonce de la foi, contribue beaucoup à exciter la foi dans le cœur des assistants; mais célébrer sans foi, c'est détruire la foi dans les autres. En effet comment les pauvres fidèles, les mondains ignorants, les hommes vicieux, pourraient-ils avoir du respect pour nos mystères et y croire, lorsque notre extérieur ne leur donne que trop lieu de penser que nous-mêmes n'en faisons aucun cas? Il pourrait encore être utile de voir, si par amour du gain, on ne garde pas plus d'intentions des Messes que les règles ne le permettent, et si l'on ne devient pas coupables de retards.

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Tribunal de la Pénitence Noli quærere fieri judex, nisi valeas virtute irrumpere iniquitates. Après la célébration de la sainte Messe, rien de plus grand ni de plus important que le pouvoir donné par Jésus-Christ aux prêtres de remettre et de retenir les péchés, pouvoir que Dieu n'a pas donné aux anges, et dont l'objet n'est rien moins que d'arracher à l'enfer, et de rendre propres au Ciel des âmes rachetées par le précieux sang de Jésus-Christ, et de décider ainsi de leur bonheur ou malheur éternel. Quelles ont été nos pensées et notre conduite sur le confessional, qu'on peut appeler le trône de la miséricorde divine? Éprouvons-nous de la joie en pensant que nous sommes les instruments de l'infinie bonté de Dieu? N'aurions-nous pas eu le malheur d'avoir démontré de l'ennui pour écouter les confessions, de témoigner de l'humeur à ceux qui nous y demandent, de les faire attendre longtemps, surtout quand ils étaient pauvres (car pour les riches on est toujours empressé) et par là de leur aggraver le fardeau de la Confession, et de finir par les en dégoûter? Nous rendons-nous plusieurs fois la semaine, et aux heures les plus convenables au Confessional pour y entendre les Confessions générales qui sont quelquefois d'une nécessité indispensable, d'après tous les principes de morale et de raison, et qu'il est comme impossible de bien faire lorsqu'il y a un certain concours de peuple. N'aurions-nous pas eu quelque chagrin causé par la jalousie, l'orgueil etc. lorsque les personnes les plus riches ou les plus pieuses s'adressent à un autre que nous? N'avons-nous pas cherché à nous attacher certaines pénitentes, tandis que les confesseurs sages et vertueux trouvent qu'il suffit, pour les envoyer à un autre, qu'on remarque en soi ou en elles quelque attachement peu conforme aux règles de la spiritualité? On s'aveugle souvent sur ce point et ordinairement on finit mal.

Asc,6309:T4,2 Avant que d'entrer au Confessional nous sommes-nous recueillis, avons-nous demandé avec ferveur les lumières, et aussi les grâces dont nous avons besoin pour ne pas nous souiller nous-mêmes; qui tetigerit picem inquinabitur? Observons-nous pendant tout le temps que nous y sommes cet esprit de recueillement et de prière sans lequel, au lieu de faire du bien, nous nous exposons à nuire très gravement à nous-mêmes et aux autres? Lorsque la providence nous envoie un pécheur couvert de crimes, mais repentant, ou que nous devons tâcher d'amener au repentir, l'avons-nous reçu avec cet attendrissement de cœur que Jésus-Christ éprouve lui-même et nous indique dans les paraboles de l'enfant prodigue, de la brebis perdue après laquelle il court et qu'il rapporte au bercail? Avons-nous partagé la joie qu'une conversion cause aux anges dans les cieux? N'avons-nous pas préféré à ces pécheurs des filles pieuses, qu'il ne faut pas mépriser, mais dont les besoins ne sont pas à beaucoup près si pressants?

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Si notre cœur est ouvert pour les pécheurs, il enverra facilement sur notre langue les paroles qui leur seront utiles, et nous fournira même le ton de voix qui pourra les toucher; il faut sans doute leurs représenter leurs désordres, leur en montrer l'horreur et les dangers, mais il faut qu'ils sentent que nos avis ne sont pas le fruit de l'humeur ni du despotisme, qu'ils ne nous sont dictés que par une tendre compassion et un désir ardent de les sauver. Oh! Combien de pécheurs cachent leurs crimes en confession, et quelquefois depuis la jeunesse jusqu'à la vieillesse et la mort, parce qu'étant jeunes ils se sont adressés à un confesseur qui leur a parlé avec dureté? Il faut cependant avoir grand soin de ne pas laisser apercevoir aux filles cette tendresse, mais seulement et toujours une gravité paternelle. Avons-nous étudié, et tâché d'éviter autant que possible le rigorisme et le laxisme? Qu'il est rare de se soustraire à ces deux écueils! Ce n'est pas aux hommes de faire la loi, ni d'ajouter ou d'ôter à la loi de Dieu et de l'Église, mais de la connaître, de l'observer et la faire garder aux autres. Si le pénitent n'est pas disposé, l'absolution est sacrilège, et elle l'est aussi pour nous, si nous n'avons pas fait notre devoir pour le préparer; s'il est disposé, il a droit à l'absolution, et l'en priver c'est commettre une plus grande injustice que de voler tous les trésors de l'univers. Le confessional ne serait donc rien moins qu'un tribunal de fantaisie, de caprice et de despotisme.

Asc,6309:T4,3

Avons-nous eu soin… Avons-nous eu soin de nous assurer si les pénitents savent tout ce qui est de nécessité, de moyen et de précepte, ce qui regarde le Sacrements de pénitence, s'ils ont la foi surnaturelle? Les prêtres qui ne veulent pas se faire illusion conviennent que dans beaucoup d'endroits la plupart des soi-disant fidèles sont dans une profonde ignorance de toutes ces vérités; la raison en est toute simple, on les apprend dans l'enfance et comme des enfants, sans les comprendre ou par sa faute, ou par la négligence du curé, on a bien vite fait de les oublier; après la première communion, on se croirait déshonoré de relire le Catéchisme, d'ailleurs on a bien d'autres choses à faire, et l'on s'embarrasse peu du péché, on n'en lit plus rien; lors même qu'on fréquente encore l'église on n'en entend plus rien dans les prônes, ou sermons, et cependant sans ces connaissances et cette foi, on ne peut se sauver.

Asc,6309:T4,4 Écoutons Benoît XIV (Constit. Etsi T. 1 Bul. 110): “curabit Episcopus ut Sacerdos excipiens confessiones fixum illud, immotumque semper animo habeat, invalidam esse absolutionem, quum quis ignoranti res necessarias necessitate medii impertitur… sedulo animadvertat ad aliud tempus rejiciendam esse absolutionem illius qui necessaria necessitate præcepti suo vitio nescit. Eo quandoque casu absolvi posse, si doleat de ignorantia, et serio promittat, impense discere.” D'après cette doctrine, il est donc évident qu'il faut interroger sur ces points, s'assurer qu'on les sache, et si l'on peut quelquefois absoudre celui qui ignore ce qui est de nécessité de précepte sur sa promesse de l'apprendre impense, il faut sans doute avoir l'espoir raisonnable et fondé qu'il tiendra la promesse, espoir dont on peut rarement se contenter, ou plutôt se bercer. Grand Dieu! Combien de prêtres et de fidèles seront accablés au jour du jugement en voyant tant de millions de confessions invalides, et presque toujours sacrilèges de part et d'autre pour ce seul défaut! Prenons donc pour règle invariable d'interroger dès que nous avons un doute raisonnable: si le pénitent le sait nous le verrons en très peu de temps, et tant qu'il se confessera au même prêtre, c'est fini pour toujours, et s'il l'ignore comment oserions-nous l'absoudre? Interrogeons du moins pour notre tranquillité. Si un prince assez riche pour s'en acquitter promettait à chaque prêtre de lui donner autant de louis d'or qu'il pourrait prouver avoir eu au confessional de personnes qui ignorent le nécessaire, oh! combien en interrogerait-il, et surtout combien on trouverait de ces ignorants parmi ceux qu'on n'interroge jamais! Quelle serait en peu de temps l'immense fortune des prêtres! C'est-à-dire qu'on ferait pour un vil métal, ce qu'on ne veut pas faire pour arracher à l'enfer sa pauvre âme et celle des autres! Remarquons bien et n'oublions jamais, que très souvent les plus riches et les plus puissants sont les plus ignorants, et que ce sont ordinairement ceux que le respect humain empêche d'interroger,

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cependant si un seul ignorant riche ou pauvre périt par la faute ou négligence du pasteur, Dieu dit à ce pasteur: “Sanguinem ejus de manu tua requiram”; ou plutôt ce n'est pas son sang, mais son âme perdue pour l'éternité.

Asc,6309:T4,5 Mais comment faire pour instruire tous ces ignorants? Chacun fera comme il voudra, mais le fait est, qu'il faut les instruire. On pourrait faire une partie de cet ouvrage par la prédication, comme je dirai plus bas, mais cela ne suffit pas si l'on veut, j'indiquerai spécialement pour le Confessional un moyen qui presque toujours, et très souvent a réussi à plusieurs prêtres. Il faut d'abord dire qu'il est très difficile de les instruire au Confessional, c'est trop long, d'ailleurs ils y comprennent peu et retiennent encore moins; souvent il est impossible de les faire venir chez soi; si on leur dit d'apprendre leur catéchisme, la longueur les effrayera, ils ne le feront pas; si on les envoie au catéchisme de la paroisse, souvent ils en auront honte; ensuite ils devraient quelquefois le fréquenter un an pour y trouver tout ce qui leur faut; enfin si ce catéchisme est mal fait, comme c'est trop ordinaire, ils n'en tireront aucun fruit. Que faire donc? Réunir sur une ou deux feuilles tout ce qu'il est nécessaire de devoir croire, et pratiquer, ne pas y oublier les dispositions requises par le Sacrement de pénitence, on répand les feuilles, on en donne soi-même à ses pénitents en leur disant qu'il faut absolument qu'ils les lisent, ou se les fassent lire avec grande attention, et alors on a presque toujours la consolation de les voir revenir après peu de jours, et répondre raisonnablement sur tout ce qui est de nécessité. Ils les faisaient apprendre et réciter par les enfants qui fréquentaient le catéchisme pour leur présenter les choses les plus essentielles de la religion dans un plus petit cadre, et pour qu'ils s'en souvinssent mieux.

Asc,6309:T4,6 Il y a quelques péchés qui par leur nature inspirent moins d'horreur que d'autres, et dont on s'occupe peu dans les confessions, par exemple assister sans attention à la sainte Messe les dimanches et fêtes, se permettre des médisances souvent bien dangereuses, quoiqu'on les appelle légères, ne pas faire l'aumône autant qu'on le devrait, se liver à des regards, pensées, familiarités contre la chasteté quand on ne va pas jusqu'au dernier crime; pour les parents et les maîtres, négliger leurs devoirs bien étendus envers leurs enfants et leurs domestiques, lire, garder, et prêter des livres qui ne peuvent que corrompre. On ne peut s'étendre ici sur tous ces points; mais il est certain qu'il y a beaucoup à examiner souvent même en genre de péché mortel, et qu'ils offrent aux confessions un champ bien vaste qui faute de leurs soins ne produit que des ronces et des épines. C'est encore un défaut bien ordinaire aux pénitents de se tourmenter hors de mesure pour leur examen et de penser très peu à la contrition, et à ces conditions sans lesquelles cependant on n'obtient pas le pardon. Quant à l'examen, c'est un devoir pour les Confesseurs d'aider beaucoup par leurs interrogations les ignorants de tout état: Segneri, Liguori, et autres théologiens appellent une erreur intolérable la conduite des Confesseurs qui renvoient ces ignorants pour qu'ils s'examinent; ils ne savent pas le faire, ils se dégoûtent; au contraire quand le confesseur y est accoutumé, ce qui est facile, il y réussit bien plus vite, et bien mieux. Il ne sera peut-être pas inutile d'examiner si jusque dans le confessional on ne se laisse pas aller à la faiblesse pour les riches, n'osant les contrarier, palliant leurs péchés, taisant leurs obligations, par respect humain, pour conserver leur amitié, pour être bienvenu chez eux à leur table, pour en obtenir des présents etc. Que de misère!…

Asc,6309:T4,7

On trouve dans… On trouve dans tous les bons théologiens, et même dans la saine raison les règles sages qu'on doit suivre par rapport aux habitudinaires, ce n'est pas ici le lieu de les détailler, mais c'est bien le temps de chercher comment nous les avons observées; il est certain que le confesseur doit interroger et que le pénitent doit répondre sur la durée et la violence de l'habitude, et qu'il faut lui prescrire les moyens de supprimer, ou dans certains cas du moins de rendre éloigné ce qui lui est occasion prochaine de péché mortel; il y a de grands inconvénients à différer longtemps l'absolution à un

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pécheur qui fait des efforts, et montre des dispositions, mais il n'y en a pas de moindres à absoudre celui qui ne donne pas des signes satisfaisants. Il est également déraisonnable de ne vouloir jamais absoudre à la première confession, et de vouloir toujours le faire. Le Grand et Savant S. Charles Borromée donne une règle qui les renferme à peu près toutes, la voici: absoudre un habitudinaire à la première fois quand on a lieu de croire qu'il veut sincèrement se convertir, et même la seconde fois, lorsque revenant avec des rechutes, il donne cependant des preuves d'une volonté plus déterminée qu'à la première fois (voir dans Liguori), peut-être encore, et tout au plus une troisième fois, mais ensuite exiger l'épreuve, c'est-à-dire ne plus l'absoudre jusqu'à ce que sa conduite prouve le changement de son cœur. Les prêtres ont sans doute le pouvoir de remettre tous les péchés, mais pourvu qu'ils observent les conditions imposées de Dieu même, et que nous connaissons par l'Écriture Sainte ou par les lois de l'Église, ou quelquefois même par les seules lumières de la conscience, et de la raison. C'est particulièrement avec ces pauvres habitudinaires qu'il faut beaucoup de douceur et de patience, et un cœur vraiment paternel afin qu'ils sentent eux-mêmes qu'on ne les diffère que pour leur salut et par nécessité. Il est bien clair que c'est la même chose qu'ils aient promis de changer à nous, ou à d'autres Confesseurs et que ce serait une grande absurdité de dire: c'est la première fois qu'il se confesse à moi, quoiqu'il ait déjà promis et non tenu parole à d'autres. Avec un tel déraisonnement, il suffirait de changer de confesseur à chaque fois pour avoir toujours les dispositions. On ne peut douter que ces habitudinaires n'aient extrêmement besoin de confession générale, lorsque comme c'est l'ordinaire, leurs confessions précédentes ont été mauvaises par défaut de contrition, de propos etc.

Asc,6309:T4,8 Que dirons-nous donc de ces malheureux prêtres qui absolvent toujours et en très peu de temps tout ceux qui viennent à leur Confessional sans les interroger, sans rien examiner sur l'état de leur âme, sans s'embarrasser d'aucune règle? Sans doute si de tels prêtres avaient été présents lorsque Jésus-Christ institua le Sacrement de pénitence, ils lui auraient dit: Seigneur, vous faites quelque chose de très inutile en donnant le pouvoir de lier, je suis décidé à toujours délier et à ne jamais lier: affreux blasphème qui n'est cependant que trop commun dans la pratique. Ne craignons donc pas de dire qu'un prêtre qui est résolu de toujours et en tout cas absoudre à la première fois (et malheureusement il y en a) est en état habituel de péché mortel, et par conséquent s'il ne change, il est damné.

Asc,6309:T4,9 Dieu soit loué si nous n'avons rien à nous reprocher sur la Garde du sceau de la Confession; je ne dis pas qu'on le rompe directement, mais n'arriverait-il pas quelquefois que dans des conversations bien trop gaies, et surtout à la fin des repas, on se permît de conter même devant les laïcs, bien des choses, ne fût-ce que pour les confessions des enfants, qui sont de nature à éloigner les fidèles de la confession et qui produisent trop souvent cet effet, comme l'on en a des exemples, que le temps ne permet pas de citer? N'aurait-on pas perdu de vue les deux Bulles de Benoît XIV, l'une pour défendre de demander en confession le nom du complice, l'autre de sollicitantibus, quoad denuntiationem etc.?

Asc,6309:T4,10 Enfin après avoir réfléchi sur les confessions que nous écoutons, il peut être utile ou nécessaire de penser aux nôtres, et de se voir au flambeau du Sanctuaire, si elles ne sont pas beaucoup trop rares, à cause de l'insouciance dans laquelle nous vivons, si nous ne faisons pas notre examen sans attention ni délicatesse de conscience; ne regardons-nous pas comme des peccadilles ou des scrupules des fautes qui n'approchent que trop du mortel? Ne prenons-nous pas pour confesseur le premier venu pour ne pas avoir la peine d'en chercher un meilleur plus loin, ou plutôt ne choisissons-nous pas exprès un bon vivant pour qu'il ne nous alarme pas, ne faisons-nous pas nos confessions sans dispositions, sans contrition, sans propos, sans amendement et sans fruit?

Asc,6309:T5,1

Prédication

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Væ mihi si non evangelizavero. Voilà encore une des obligations les plus indispensables pour un Pasteur, son nom seul la lui indique; la loi naturelle et divine, et ecclésiastique, la justice même la lui imposent sub gravi, il doit donner suffisamment et même abondamment à son troupeau la nourriture céleste de la parole divine, et répondre sans doute au jugement de tout ce qu'il aura pu et dû faire pour instruire ses ouailles, leur apprendre leur religion, les détourner de tout mal et les porter au bien; fasse le Seigneur que tous s'en acquittent bien. Combien de fois faut-il prêcher pour être en sûreté de conscience, si je le décidais, quelques-uns pourraient croire que je me trompe, mais c'est tout décidé par le saint concile de Trente qui porte très clairement (sess V, c. 11 et sess. XXIV, cap. IV) qu'un curé doit prêcher per se, vel per alium idoneum diebus saltem dominicis et festis solemnibus. L'obligation d'instruire est de tous les jours et de toutes les heures, mais le saint concile l'a fixée pour la publicité aux dimanches et fêtes saltem. Remarquons bien ce saltem qui signifie sans contredit, que quiconque ne prêche pas tous les dimanches et fêtes n'obéit pas au concile. J'avoue que je ne connais pas de coutume qui puisse légitimement prescrire contre toutes ces lois, remarquons aussi que le même saint concile (sess. XXIII cap. I) ne met pas de différence entre le devoir de dire la Messe pour son Peuple et celui de l'instruire par la prédication. Sans vouloir dire plus que le saint concile, et sûrement bien éloigné de dispenser les curés de dire la Messe et le peuple d'y assister, je ne crains cependant pas d'avancer que pour une certaine classe d'ignorants (puisse-t-il ne s'en plus trouver) qui ne savent pas un mot de leur religion, et qui apportent par routine et par mode leur corps dans le lieu où se dit la Messe, sans se douter de ce qui s'y fait, il serait bien plus urgent d'être instruits que d'être présents à la Messe, sans en dire toutes les raisons assez évidentes, l'une est de droit naturel, l'autre n'est que de droit ecclésiastique. Sans doute comme le Pasteur est obligé de prêcher, le peuple l'est aussi de venir l'écouter; cependant il peut y avoir, du moins quelquefois pour les fidèles des empêchements légitimes, leur obligation diminue à proportion qu'ils sont instruits; mais comme il y aura toujours un bon nombre d'ignorants, qu'il faut d'ailleurs entretenir les connaissances, et les perfectionner, les Pasteurs demeurent toujours obligés de prêcher, quelquefois même deux fois par dimanche, s'il y a une première Messe, où s'il est besoin de la faire l'après-midi.

Asc,6309:T5,2

Comment faut-il prêcher? Comment faut-il prêcher? Disons d'abord comment il ne faut pas le faire: il en est qui ont composé, ou trouvé un certain cercle de sermons et qui répètent tous les ans le même à pareil jour; ils s'exposent à dégoûter tous ceux qui les savent déjà par cœur, d'ailleurs il est difficile de placer dans ce cercle inamovible tout ce qui est nécessaire ou utile de dire; d'autres font une lecture, en général on n'en tire pas grand fruit, et chacun pense qu'il pourrait aussi bien la faire chez soi; d'autres plus zélés cherchent des beaux sermonnaires, les apprennent, ou en forment des discours très fleuris, très éloquents, qu'ils débitent ensuite dans la chaire. Dieu me garde de condamner nos grands orateurs chrétiens, il est dans l'ordre qu'il y en ait quelques-uns soit pour honorer le catholicisme, soit pour satisfaire un petit nombre de gens de talent, mais il est peu d'hommes que Dieu fasse naître éloquents. Vouloir les singer quand on n'en a pas l'aptitude, c'est, en voulant faire de l'esprit, montrer aux gens sensés qu'on n'en a pas. D'ailleurs, on emploie bien du temps à cette étude, il faut écrire, apprendre etc., on s'ennuie, on se dégoûte, on prêche mal et rarement. Enfin c'est par une providence spéciale que peu de prêtres naissent éloquents, parce que parmi les auditeurs la plupart sans études, et souvent même les savants peu instruits de leur religion, comprendraient peu ou pas, même dans les villes, ce qu'on leur dirait d'un style trop élevé, et en général on prêcherait pour les murailles. Contentons-nous donc de ce que Dieu nous a donné pour le bien commun.

Asc,6309:T5,3 Mais comment faut-il prêcher? C'est encore le saint concile de Trente qui va nous l'apprendre (sess. X, c. II): plebes sibi commissas pro sua et earum capacitate pascant salutaribus verbis docendo quæ scire omnibus necessarium est ad salutem, annuntiandoque eis cum brevitate et facilitate

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sermonis vitia quæ eos declinare, et virtutes quas sectari oporteat, ut pœnam æternam evadere, et cælestem gloriam consequi valeant. Pesons un moment ces paroles. Plebes sibi commissas: c'est à nous que Dieu confie ces âmes pour que nous soyons les instruments de leur sanctification, il nous en demandera un compte bien rigoureux. Pro sua (parochi) capacitate, c'est-à-dire que chacun fasse valoir autant qu'il peut les talents qu'il a reçus, et qu'il ne cherche pas à s'approprier ceux d'un autre qui ne lui appartiendront jamais, et dont il ne peut faire un usage louable et utile. Et earum capacitate: il faut donc, quand même on aurait de grands talents, se proportionner à ceux des auditeurs, et du commun des auditeurs, des plus grossiers auditeurs, auxquels nous sommes aussi redevables qu'aux autres.

Asc,6309:T5,4 Pascant salutaribus verbis: les âmes ne se nourrissent pas de fumée, de grands mots, de belles phrases, mais salutaribus verbis, de paroles qui les conduisent au salut, à se sauver, en servant Dieu. Docendo ea quæ scire omnibus necessarium est ad salutem, voilà donc le premier et le principal objet de tous les prônes et sermons, celui auquel doivent se rapporter tous les autres, enseigner tout ce qu'il faut que tous sachent pour se sauver, expliquer comme on le trouve dans quelques théologiens tout ce que renferment ces mots: credo, pater, mandans, Ecclesia, septem. Outre ces explications, des curés très vertueux et très savants s'étaient fait une règle invariable de lire tous les dimanches au prône une partie de l'abrégé de ce qu'il faut croire et faire pour être sauvé, et disaient pour raison que si les plus grossiers de leurs paroissiens ne le retenaient pas à la 100e fois, il le retiendraient à la 200e ou la 300e. Des missionnaires très célèbres, en prêchant dans les plus grandes villes, ne manquaient jamais d'en réciter au commencement ou à la fin de tous leurs sermons, et recommandaient beaucoup cette pratique à tous les missionnaires et prédicateurs. Ces bons ouvriers pensaient avec Cornelius a Lapide que la plupart de ceux qui sont damnés le sont faute d'instructions, et les curés y ont presque toujours une grande part en les négligeant. C'est dans ces vues que des Évêques zélés ont manifesté le désir ardent qu'on fît tous les dimanches un catéchisme pour les personnes de tout âge, beaucoup de curés l'ont fait avec grand succès, reste à savoir si tous se sont acquittés de ce devoir avec toute l'attention qu'il mérite.

Asc,6309:T5,5 Le saint concile ajoute: cum brevitate et facilitate sermonis; il faut que ce soit court pour ne pas fatiguer les auditeurs, mais plus il y a de brièveté, plus il doit y avoir de clarté et de force pour laisser des impressions durables; le style doit être simple et à la portée de tout le monde, le Pasteur doit y parler avec tendresse, et faire sentir combien il désire le salut de ses ouailles; il faut qu'il s'abaisse jusqu'aux plus petits et aux plus ignorants, car dit encore le saint concile, parvuli petierunt panem, et non erat qui frangeret eis; parce que tous les auditeurs sont de petits enfants dans la science du salut, si on leur donne un grand pain tout entier, quoiqu'il leur offre de quoi vivre, ils mourront de faim auprès; la croûte est trop dure, ils ne peuvent le couper, encore moins le manger, c'est au Père de famille, au Pasteur, de partager le pain, d'en proportionner les morceaux à leur bouche, à leurs dents; alors ils se nourriront et vivront. Si l'on s'abonnait à cette sainte simplicité, on parlerait plus aisément, plus souvent, on plairait aux riches, aux savants, aux mondains mêmes, pourvu qu'il n'y eût jamais de trivialités; on aurait la consolation d'être utiles à tous en suivant les traces de Jésus-Christ, le Grand Maître des prédicateurs, qui employait des paraboles si simples, et on n'aurait pas la crainte d'entendre au Jugement ce reproche: Non pavisti, occidisti (S. Chrysostome).

Asc,6309:T5,6

Sur quoi faut-il prêcher? Sur quoi faut-il prêcher? Le saint concile le dit aussi: annuntiando eis vitia quæ eos declinare, et virtutes quas sectari oporteat; voilà une phrase qui renferme bien des choses: il faut d'abord apprendre à fuir le vice; si l'on y était parvenu, on serait porté à croire que tout est fini, mais pas du tout, ce ne serait encore qu'une partie des fonctions d'un Pasteur, qui doit aussi absolument exciter à pratiquer la vertu: ce n'est pas ici une pensée purement pieuse; elle est fondée sur l'Évangile qui

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déclare ce serviteur inutile celui qui n'aurait fait ni bien, ni mal, condamné au feu éternel. On ne peut ici entrer dans tous les détails, il est cependant bon d'indiquer quelques points qu'on néglige plus souvent; il faudrait rappeler fréquemment aux hommes leurs fins dernières, les leur faire envisager avec toute l'énergie dont on est capable, en conclure toujours qu'on doit dans tous les états se détacher des choses terrestres, des richesses, des honneurs, des faux plaisirs, ne voir la terre que comme un lieu d'exil, soupirer sans cesse après la Patrie céleste, et sans cesse y tendre par toutes sortes de bonnes œuvres. Il faudrait insister fortement à persuader ses auditeurs de la malice du péché; leur en peindre tous les caractères et les dangers, les suites déplorables et éternelles, graver dans leur cœur que le péché est le seul mal qu'il y ait dans l'univers, et ne pas manquer de les instruire à fond sur le péché véniel. Il faudrait s'élever avec force contre les divertissements trop souvent coupables qui profanent le saint jour du dimanche au lieu de le sanctifier, en particulier contre les cabarets et les maudites danses, écueil funeste où l'innocence d'un si grand nombre a fait et fait encore naufrage tous les jours, et au milieu desquels presque personne ne conserve la pureté. Si l'on comprend bien saint François de Sales, on verra qu'il pense et parle tout comme les autres, et qu'il demeure toujours vrai que les danses, surtout dans nos jours, sont très dangereuses pour tous, occasion de péché mortel pour beaucoup, enfin que si nous pouvions lire dans les cœurs et qu'il s'agît de faire la liste de ceux et celles qui n'y pèchent pas du tout, elle serait terriblement courte. Pourquoi ne parlerait-on pas aussi de cette fureur des parures, qui même quand elles sont décentes, ce qui devient rare, ont très souvent pour but de plaire, ou pour mieux dire de séduire? Voyez tout ce que disent les Ss. Pères sur ces articles.

Asc,6309:T5,7 Il faudrait tonner sans relâche contre les jurements, les basphèmes, les paroles impudiques, crimes si abominables, que maintenant beaucoup regardent à peine comme de petits péchés, qui outre la malice et la noirceur qui leur est propre deviennent encore scandale pour ceux qui les entendent et finissent par les accoutumer à imiter ces pécheurs. Que de soins il faudrait apporter pour inculquer aux parents combien grandes sont leurs obligations pour l'éducation de leurs enfants! Que de parents et d'enfants damnés parce qu'on ne réfléchit pas sur ces devoirs si importants! À quoi devons-nous la décadence des mœurs, l'irreligion, et tous les crimes qui inondent le monde? Sans doute en grande partie à ce qu'on néglige l'éducation des enfants de toutes les classes, et disons-le, à ce que les curés n'en parlent pas assez souvent: plus on tardera d'arrêter ce fléau, plus on s'assurera d'avoir des générations encore pires que les précédentes; il y a sur ce seul article des détails presque infinis à donner qu'on trouvera dans les bons livres, et qui d'ailleurs sortiront facilement du cœur du Pasteur, s' il est un Pasteur selon le cœur de Dieu.

Asc,6309:T5,8

Un autre champ bien vaste… Un autre champ bien vaste pour la prédication et malheureusement peu cultivé c'est l'enseignement énergique et circonstancié du précepte de l'aumône. Hélas! Combien n'en parlent jamais ou en parlent peu et mal! Il ne s'agit cependant, pour un grand nombre, de rien moins que d'être damnés, pour avoir manqué à la loi de la charité et presque tous s'endorment au bord du précipice, ou plutôt ont une espèce de persuasion que l'Aumône est une bonne œuvre de surérogation, de dévotion et que dès que l'on en fait, c'est toujours assez. Voilà comme l'on établit un nouvel Évangile! Il faudrait d'abord faire bien comprendre en quoi consiste la charité que Dieu nous commande envers tous les hommes, ensuite il serait aisé de démontrer que quoique les riches soient les maîtres de leur superflu par rapport aux autres hommes, ils ne le sont pas par rapport à Dieu, qui les oblige de le donner aux pauvres, comme chose qui leur appartient, on se récriera peut-être contre cette proposition, je ne m'en étonne pas, mais j'en conclus seulement qu'on doit mieux étudier cette matière et spécialement lire et méditer ce qu'en dit Antoine, théologien très estimé (t. 1 pag. 291 edit. Taurin. 1789). On verra comment il la prouve par l'Écriture, les textes des Ss. Pères, et la raison. On peut lire aussi bien des passages de S. Chrysostome, spécialement conc. 11 de Lazaro, hom. 11 ad pop. ant., Hom. 62 in Matth. Aussi Grenade et une foule d'autres bons auteurs,

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qu'aujourd'hui l'on regarde presque comme des radoteurs. Combien il y aurait à dire sur la seule parabole du riche damné auquel l'Évangile ne reproche rien d'autre que la bonne chère et l'abandon d'un pauvre. Il faudrait faire retentir le temple des malédictions que l'Évangile lance sur les riches, væ, væ, væ, et des paroles de condamnation qu'il leur annonce pour le jour du jugement, faire bien comprendre que tout ce qu'on donne ou refuse aux pauvres, c'est à Jésus-Christ même qu'on le donne ou le refuse, et qu'au jour du jugement il rendra l'un et l'autre comme fait à lui-même, qu'en conséquence il s'agit peut-être moins de secourir les pauvres, que de nous arracher à l'enfer et d'acheter le Ciel.

Asc,6309:T5,9 On devrait aussi expliquer d'après les théologiens (Antoine, loco cit.) les trois degrés de nécessité et les trois sortes de biens. Mais si l'on s'en tient à ces principes on n'aura encore rien gagné, car les mondains eux-mêmes en conviennent assez et ne manquent que dans l'application, c'est-à-dire qu'ils prétendent toujours n'avoir que très peu ou pas du tout de superflu. Il faut donc fulminer contre tous ces prétextes inventés par l'avarice et l'amour des plaisirs, contre ce luxe qui ne connaît plus de bornes, contre ces tables splendidement couvertes de la chair des pauvres, c'est-à-dire de ce qui devrait les nourrir et si l'on nous dit que l'on se conduit comme ceux de son état, répondre qu'en imitant ceus qui se damnent, on se damnera comme eux; car il n'est peut-être rien sur quoi l'on s'abuse davantage que sur ce prétendu nécessaire de l'état. Enfin il faut apprendre à donner l'aumône pour l'amour de Dieu et en état de grâce, pour n'en pas perdre le mérite céleste. Comme il est bon qu'on ne regarde pas les Pasteurs comme des censeurs incommodes et fâcheux, ils feront très bien de publier que quoiqu'il soit louable pour les riches de chercher les pauvres, on ne leur en impose pas obligation, mais que cette obligation des recherches et des secours est imposée aux Pasteurs par le saint concile de Trente sess. 23 cap. 2 (voyez Antoine, loco cit.) et que s'ils ne la remplissaient pas ils seraient coupables envers les riches en ne les instruisant pas et ne les exhortant pas, et envers les pauvres en ne leur procurant pas d'assistance. Qui pourrait excuser de cruauté un père qui aurait du crédit chez les riches, et laisserait ses enfants souffrir la faim, parce que, ne l'éprouvant pas lui-même, il ne voudrait pas parler pour leur obtenir du secours? Après ces instructions les riches trouveront tout simple que nous ne voulions pas participer à leur luxe, à leurs tables splendides, puisque ce serait coopérer à leurs péchés par nos actions et nos exemples, et même les approuver par notre présence.

Asc,6309:T5,10 Il ne faut pas oublier d'éclairer sur le précepte de l'aumône spirituelle, bien plus facile, mais aussi bien plus précieuse, et plus obligatoire que la temporelle. Tout ceci n'est qu'une ébauche bien imparfaite de ce qu'on doit dire sur l'aumône, ne manquons pas de jeter attentivement les yeux sur nous-mêmes et de voir sans nous éblouir, si nous qui devons servir de modèle aux autres, et imiter plus particulièrement les vertus de Jésus-Christ, si nous n'avons pas trouvé de l'argent pour le luxe des meubles, les délices de la table, enfin pour tous nos plaisirs, si nous n'avons pas eu le malheur de l'entasser, tandis que nous ne nous trouvons presque rien pour les pauvres.

Asc,6309:T5,11

Ne laissons pas ignorer… Ne laissons pas ignorer à nos paroissiens que c'est la loi naturelle qui exige que nous les avertissions, que nous éloignions d'eux tout mal, et leur procurions le plus de bien possible. Quand ils en seront persuadés, ils ne verront plus dans nos réprimandes, que notre zèle pour notre salut et le leur. Parochi (Liguori, Homo Apostolicus, tract. 7, n. 30 et beaucoup d'autres) tenentur etiam cum periculo vitæ corripere subditos in peccato mortali, vel in ejus periculo, proximo existentes, etiam cum gravi eorum necessitate, modo fulgeat emendationis spes. Descendons dans certains détails auxquels presque personne ne pense; par exemple prémunir contre les dangers trop communs pour les jeunes gens qui se disposent au mariage; Liguori dit (ibid. n. 32) impediat ne sponsi domus sponsarum adeant, et (n. 37) nec ipsi, nec parentes absolvantur, quin hanc occasionem removeant (ibid. n. 34); sciat et moneat eos qui præcepto Paschali desunt, quod raro fit

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erga “divites” (ibid. n. 38, 40); leur faire connaître combien l'on pèche en se livrant aux pensées d'impureté, les instruire sur la contrition, ses qualités, sa nécessité; qu'ils sachent que quiconque se présente pour le mariage doit être, avant les bans, examiné sur l'instruction religieuse, dit Benoît XIV Syn. l. 8, c. 14, règle fondée sur la loi naturelle, puisque devant absolument instruire les enfants, il faut qu'il soit lui-même instruit; même loi, et même source pour les parrains, cautions des enfants, et suppléants, au besoin, des parents qui ne s'acquittent pas de leur devoir: recevrait-on pour caution d'une somme celui qui n'aurait rien pour payer? L'un et l'autre sont souvent bien mal observés, quand il s'agit des riches. On trouve dans Antoine (t. 11 pag. 331, 332, edit. Taur. 1789) des explications très intéressantes sur l'examen à faire de ceux qui se présentent pour le mariage; elles sont presque toutes de Benoît XIV qui dit qu'on ne peut les admettre s'ils ignorent ce qu'il est nécessaire de savoir: nec parochus ponit impedimentum novum, sed declarat positum a lege naturali donec instruantur; on voit la même doctrine dans le Rituel Romain, dans S. Charles Borromée, et dans une foule de synodes cités ibid. Benoît XIV dit de ces ignorants: Sunt in peccato mortali, et ita Sacramentum recipiunt sacrilego, nec parochus potest (licet non esset minister) sua præsentia firmare contractum sacrilege initum; le même dit (Syn. l. 8, c. 14): parochus et testes non possunt licite assistere matrimonio publicorum peccatorum ne sacrilegii participes fiant; immo sponsa videtur peccare graviter contrahendo cum peccatore publico.

Asc,6309:T5,12 Il est encore bien essentiel d'avertir les mères de procurer le baptême aux enfants nés longtemps avant le terme quand on n'est pas très sûr qu'ils soient morts; des grands missionnaires ont procuré par cet avis souvent répété la grâce de la régénération à un très grand nombre d'enfants, les Pasteurs ne peuvent manquer sans faute de s'assurer si les sages-femmes savent très bien baptiser. On éviterait bien des crimes en exigeant des parents qu'ils ne laissent pas coucher leurs enfants ensemble. Il y aurait bien des éclaircissements à donner pour extirper même dans les villages, le vice de l'usure qui y fait de grands progrès, plus encore par ignorance que par malice. Beaucoup de médecins ont grand besoin qu'on leur intime le devoir que la charité, la loi naturelle leur imposerait de visiter les pauvres gratuitement, et surtout celui qui a la même source et qui est si fortement recommandé par Pie V, d'avoir soin que tous les malades se confessent au commencement de la maladie, et qu'on les administre à temps.

Asc,6309:T5,13 Qu'il est indispensable que les pasteurs et les prédicateurs dans les endroits où ce vice existe, tonnent avec véhémence contre les indécences que commettent dans leurs vêtements les femmes et les filles, ces démons en chair, qui ne savant plus rougir, et qui étalent aux yeux du public ce que la pudeur ordonne de cacher! Qu'il est aisé de voir qu'en se prévalant des modes, des usages, de leur commodité, elles n'ont et ne peuvent avoir d'autre but que de séduire, et damner les autres en se damnant elles-mêmes, et qu'elles portent l'extravagance jusqu'à sacrifier à cet abominable plaisir leur santé et leur vie, comme on en a tant d'exemples, de l'aveu des médecins les moins religieux! Ces infâmes prostituées croient n'avoir pas fait assez en promenant leur impudicité dans les maisons, dans les rues, dans les places publiques, elles osent bien encore en faire parade jusque dans nos églises, y disputer à Jésus-Christ l'honneur qui n'est dû qu'à lui seul, attirer sur elles tant de regards criminels et prétendre d'être adorées à la place de Dieu lui-même. On a imprimé et répandu dans tout ce pays les Bulles d'Innocent XI et de Pie VII qui expliquent clairement en quoi consistent ces indécences, qui les estiment d'une tout autre manière que les mondains, même appelés pieux, qui en font un cas réservé et défendent d'admettre aux Sacrements celles qui en sont coupables. Je n'examine pas ici si ces Bulles sont reçues, mais il demeure toujours certain que ces malheureuses créatures pèchent mortellement contre la loi naturelle par le scandale et l'occasion de péché mortel qu'elles offrent malicieusement à tous ceus qui les voient et pour lesquels il est si difficile de les éviter. Que penserait-on, que dirait-on, si jamais des prêtres, leurs Pasteurs mêmes se trouvaient sans horreur dans les assemblées, dans les repas où ces monstres affichent leur honteux trafic? Serait-il bien possible qu'on les admît dans cet état aux Sacrements, à la Sainte Communion, au mariage? Nous savons qu'un respectable curé d'une grande ville n'a pas hésité, même dans des

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temps très nébuleux, d'envoyer se couvrir une de ces filles indécentes qui se présentait au mariage, et qui n'était pas sans crédit. Nous avons loué ce Pasteur, mais l'avons-nous tous imité? Si nous ne l'avons pas imité, où est notre conscience?

Asc,6309:T5,14

Il est encore un objet… Il est encore un objet dont beaucoup de prêtres parlent bien rarement, soit en chaire, soit au confessional, soit dans les conversations, et qui doit cependant trouver une place spéciale dans les instructions, c'est la vocation: presque personne n'y pense, chacun prend d'après des raisons purement temporelles et souvent criminelles l'état qui lui promet plus de richesses et de plaisirs, on ne consulte pas Dieu, ni les lumières de la foi, de là tant de désordres dans le monde, dont les hommes sages et vertueux voient une des principales causes dans les vocations manquées. L'Évangile nous apprend que Dieu veille si continuellement sur nous, qu'un cheveu ne tombe pas de notre tête sans sa volonté, et nous ne voulons pas lui donner part dans l'affaire la plus importante de la vie! Dieu veut qu'il y ait un certain nombre d'hommes dans tous les états, mais il appelle plus spécialement à l'un qu'à l'autre et donne pour celui auquel il appelle les dispositions de l'esprit et du corps, des grâces dont on sera privé dans les autres états, et faute desquelles on courra grand risque de ne pas s'y sauver.

Asc,6309:T5,15 Il faut principalement le dire de l'état ecclésiastique, où personne ne doit s'ingérer sans y être véritablement appelé. Combien de jeunes gens ne s'en occupent qu'avec des vues toutes humaines, et le comble du malheur c'est que quand ils vont consulter ceux de qui ils ont droit d'attendre lumière, ceux-ci disent à l'un qu'ayant quelque fortune il fera mieux de prendre tout autre parti, parce que l'état ecclésiastique n'offre plus ni richesses, ni honneurs, ni plaisirs, ils disent à l'autre que n'ayant rien pour vivre ils lui procureront par leurs amis une bourse au Séminaire, et qu'il vaut toujours mieux être prêtre que d'être journalier ou artisan. Voilà les motifs effrayants sur lesquels on fait reposer la décision pour embrasser le plus grand et le plus dangereux de tous les états de l'univers. Combien de choses il y aurait à dire sur cet article? Mais si on les cherche, on les trouvera aisément dans les bons auteurs. Nouvel examen à faire pour ceux que Dieu appelle à l'état religieux. Oh qu'il est donc déplorable de voir l'espèce de négoce que l'on fait des enfants, le despotisme qu'on exerce pour les obliger à prendre l'état où Dieu ne les veut pas, l'abus qu'on fait de leur obéissance pour exiger qu'ils se mettent en opposition avec la volonté de Dieu, et lui désobéissent continuellement? Les parents sont sans doute bien coupables, ils pourraient connaître leurs devoirs à ce sujet par la seule loi naturelle; mais les Pasteurs sont-ils excusables, s'ils ne suppléent pas à leur négligence qui engendre l'ignorance, et si ils ne les instruisent pas?

Asc,6309:T6,1

Catéchisme Le soin des enfants est, au jugement et d'après les exemples de Jésus-Christ, une des principales fonctions d'un Pasteur des âmes. Ce Divin Maître aimait les enfants d'un amour tendre, et de préférence, il voulait que ses disciples les laissassent approcher de lui, il trouvait son plaisir avec eux, et comme il connaissait leur innocence, il déclarait que c'était à ceux qui leur ressemblaient qu'appartenait le Royaume des Cieux. Jésus-Christ a légué à tous les Pasteurs son affection pour les enfants et a chargé ces Pasteurs d'entretenir dans leurs jeunes ouailles la simplicité qui les ravit, ou s'ils ont eu le malheur de perdre momentanément la grâce, de la rappeler dans leurs cœurs, avant qu'ils ne s'endurcissent dans l'habitude du péché. Le catéchisme ou l'instruction des enfants est donc une fonction aussi noble devant Dieu, qu'elle est basse aux yeux des mondains.

Asc,6309:T6,2 Est-ce ainsi que nous avons envisagé le catéchisme? L'avons-nous regardé comme une de nos plus douces et de nos plus précieuses occupations? Avons-nous pensé qu'il y a souvent plus de facilité pour faire du bien aux enfants, qu'aux personnes âgées, que le bien qu'on leur fait se perpétue

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ordinairement jusqu'aux générations futures, dont ils deviennent auteurs, et que les négliger c'est poser la cause non seulement de leurs propres péchés, mais encore de ceux de leurs descendants? Nous sommes-nous préparés avec zèle par la lecture des bons auteurs et surtout par la prière, à exceller dans la grande science de très bien faire le catéchisme? Avons-nous tâché de nous abaisser jusqu'à ces petits pour nous faire comprendre d'eux, et quand leurs dispositions ne répondaient pas à nos désirs, en avons-nous pris occasion d'exercer la douceur et la patience, jusqu'à ce que nous puissions arriver à leur esprit et ensuite à leur cœur? Excitons-nous leurs parents à nous aider par leurs discours, et surtout par leurs exemples à en faire des vrais chrétiens? Un zèle éclairé et obligatoire nous porte-t-il à aller instruire dans les champs et dans les bois ceux qui, faute de temps, ou même par quelque négligence, ne viennent pas au catéchisme? Cette obligation n'en paraîtrait pas une à des Pasteurs indolents, mais Lacroix, que personne ne taxera de rigorisme, dit: “Si essent rudes qui ob custodiam gregum etc. non possent adire Ecclesiam, tenetur parochus eos adire et instruere, quantocumque suo incommodo” (l. 2, qu. 14 et l. 3 pag. 2, n. 469). Liguori, un peu plus doux encore, dit: que si c'était extrêmement difficile, “ob horum rudium multiplicitatem, curet saltem eos instruere tempore præcepti paschalis, aut cum accedunt ad suscipiendum sacramentum confirmationis aut matrimonio” (Homo Apostolicus, tract. VII, n. V). Cette doctrine n'aurait pas paru trop sévère à S. François de Sales qui dans son diocèse s'exposait dans les précipices pour aller visiter les pauvres, je dirais presque les sauvages, et éprouvait du chagrin de ce qu'avant lui un pauvre avait fait le sacrifice de sa vie pour retirer une vache tombée dans les rochers. Et en effet qui pourrait comprendre qu'un père dont l'enfant serait aux champs et ne pourrait venir chercher à manger à la maison, ne lui en portât, ou ne lui en envoyât pas? Mais pour nous, il s'agit de la nourriture de l'Âme!…

Asc,6309:T6,3 Il faut porter cette ardeur à instruire les enfants jusqu'à ceux qui viennent d'atteindre l'usage de la raison. 1o: parce qu'ils doivent déjà s'en servir pour connaître, aimer et servir à Dieu, selon leur capacité; 2o. parce que dès lors ils peuvent pécher, ils le font presque toujours, et quelquefois mortellement, et dans ce cas ils sont tenus à se confesser du moins une fois l'an. C'est ici le lieu de remarquer que les Pasteurs auraient grand tort s'ils entendaient ces confessions légèrement, à la hâte et par manière d'acquit; les premières impressions que les enfants reçoivent restent ordinairement toute leur vie, et d'ailleurs il en est qui, dès ce bas âge, contractent des habitudes de péché mortel, et alors pour eux comme pour tous les autres, c'est un devoir sub gravi pour le Pasteur de les prévenir ou du moins de les déraciner avant qu'elles ne s'invétèrent, et pour y réussir, de les confesser autant de fois l'an que la prudence le requiert, fût-ce toutes les semaines, jusqu'à victoire et persévérance, et après les avoir bien instruits de les absoudre pour leur procurer l'état de grâce, qu'il serait plus que déraisonnable de les faire attendre jusqu'à la première communion; 3o. parce que ces enfants peuvent devenir malades et mourir, et quelle est la douleur d'un Pasteur qui conserve un peu de foi, lorsqu'il voit sans instruction par sa négligence un enfant de 7 à 8 ans qu'il a tout lieu de craindre “avoir péché mortellement”, surpris d'une maladie grave, privé de connaissance, incapable d'instruction, et par conséquent d'absolution, partir pour l'éternité avec ses péchés dont le Pasteur aurait pu et dû le délivrer.

Asc,6309:T6,4 L'époque la plus intéressante pour les enfants est sans doute celle de la première Communion, un Pasteur vigilant sait qu'il ne peut y apporter trop de soin. Dès l'année précédente il veille à ce que les enfants qu'il désire y disposer soient assidus au catéchisme, il en tient liste, il fait l'appel, il marque les absents; pendant cette année il les confesse tous les 3 mois (sauf les habitudinaires comme nous avons dit) mais pour l'année même de la Communion ils les fait aller à confesser chaque mois, les divisant à différents jours de la semaine et exigeant qu'ils en apportent des billets. Il est très louable de leur donner, à part du catéchisme, des instructions sur la prière, la modestie à l'église, la présence de Dieu, le rosaire, les actes de vertu théologales, les motifs de contrition, la manière d'entendre la Messe, de s'examiner, de se confesser, sur la douceur, l'obéissance, les jurements, le péché etc. Il est très convenable de leur donner une petite retraite avant la Communion (voyez vie de Valère), de rendre le jour très solennel. Enfin il faut aviser aux meilleurs moyens de

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leur faire fréquenter le catéchisme après la Communion, et s'efforcer de le rendre intéressant pour y attirer les grandes personnes. Quant à l'âge, quoiqu'on ne puisse le fixer positivement, il est en général vrai de dire que le plus tôt est le mieux. S. Charles Borromée, au 9e synode, a ordonné aux curés de rendre les enfants habiles à communier à dix ans. Quand on diffère beaucoup, il est à craindre qu'on n'ait pour motif la paresse à les instruire et l'espoir que plus tard les parents ou les maîtres d'école les instruiront, ce qui se trouve souvent faux. Il est vrai que les enfants plus âgés ont ou peuvent avoir plus de discernement, mais beaucoup ont contracté des habitudes de péché mortel dont on ne les débarrasse pas facilement, et alors on se voit forcé de différer toujours davantage la Communion, et peut-être de finir par les y admettre avec des dispositions du moins bien douteuses.

Asc,6309:T6,5 Les Pasteurs ont souvent tort en protégeant les pensionnats, qui se multiplient tous les jours, dont les maîtres ne cherchent que l'argent, et ne peuvent inspirer aux enfants la foi, la piété, les mœurs quand ils n'en ont pas eux-mêmes, ou n'en ont que les grimaces, comme on ne le voit que trop. Rien de pis que d'engager les parents à y mettre leurs enfants; ils pèchent en le faisant, car ils n'y gagnent que l'orgueil et la corruption, deviennent les fléaux de leurs familles et souvent de leurs paroisses, ce sont de vrais démons qui ne s'occupent qu'à pervertir tout ce qui les approche.

Asc,6309:T7,1

Du soin des malades Le Pasteur se doit sans doute tous les jours à tous les membres de son troupeau, mais il est des moments où il faut qu'ils leurs montre une tendresse spéciale, et il en est peu de plus intéressant que celui où ils sont malades, et exposés à voir bientôt jugée la grande affaire de leur éternité, qui dépend particulièrement de leurs dispositions à l'instant de la mort. Sommes-nous toujours partis avec joie et promptitude aussitôt que nous avons été appelés pour un malade, à toute heure de jour et de nuit? Avons-nous même demandé instamment et publiquement qu'on vînt toujours nous avertir dès le commencement de l'infirmité? Se conduire autrement serait manquer à la charité et souvent à la justice, ce serait exposer les pauvres âmes à se perdre; ceux qui ont bien vécu ont tout à craindre des tentations du démon qui fait alors ses derniers efforts pour qu'ils succombent, et il ne faut qu'un instant pour en être victime. Ceux qui ont mal vécu peuvent encore se convertir alors, et ont grand besoin de nos secours; il en est qui réservent jusqu'au moment de la mort des accusations de péché mortel, qu'ils n'ont pas eu le courage de faire auparavant. Les habitudinaires exigent aussi une grande sollicitude, et l'on a quelquefois la consolation, après bien des travaux de les voir mourir d'une manière plus ou moins satisfaisante.

Asc,6309:T7,2 Ne se contente-t-on pas d'un trop petit nombre de visites, surtout quand les malades sont pauvres, et qu'on n'en attend rien? Il y en a qui s'y rendent une seule fois pour les confesser vite, et les administrer en même temps, puis ils disent froidement: “il a tout ce qu'il lui faut”, et n'y retournent plus, ou fort peu; conduite indigne d'un Pasteur qui doit préférer de visiter six fois de trop, qu'une fois de moins; encore plus abominable si, ayant un jeune vicaire zélé, le Pasteur le détournait de visiter souvent les malades, malice diabolique dont la cause est que l'on craint de laisser au Vicaire l'estime dont on ne veut pas pour soi-même, et de voir dans ses actions du Vicaire la censure tacite des siennes. Il en est, heureusement très peu, qui ont pris la résolution de ne jamais se lever la nuit quand ils sont appelés pour les infirmes, c'est dire clairement qu'ils aiment mieux que les âmes soient damnées, s'il y a lieu, que d'interrompre leur sommeil, et comment pourrait-on ne pas dire que de tels Pasteurs ou plutôt de tels mercenaires sont en état de péché mortel habituel, par leur seule disposition, quand même le cas ne se présenterait pas? Ceux qui y vont de mauvaise grâce, qui se plaignent, qui montrent du déplaisir à ceux qui les viennent avertir, et les en dégoûtent, ne sont pas beaucoup moins coupables.

Asc,6309:T7,3 Enfin avons-nous employé, pour consoler et secourir les malades, tout ce qu'un bon cœur, et plus encore la grâce suggère à un vrai ministre du Jésus-Christ, leur avons-nous parlé avec foi, avec

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amour, avec zèle, les avons-nous instruits et administrés à temps? Ici il faut remarquer que le catéchisme romain p. 2, c. 6, porte: “gravissime peccant qui illud tempus ægrotos ungendi observare solent, cum omni salutis spe amissa vita et sensibus carere incipiunt”. Avons-nous édifié par notre recueillement les parents et les assistants? Avons-nous profité du spectacle de la maladie, et surtout de l'administration et de la mort, pour leur montrer avec force la caducité et la brièveté des choses terrestres, et les exciter d'une manière tendre et pressante à mettre ordre à leur conscience et ne pas se laisser surprendre?

Asc,6309:T8,1

Devoirs des Vicaires envers leurs curés et vice-versa Le Vicaire d'un bon Pasteur doit considérer ce Pasteur comme son Père, lui porter un profond respect dû à ses vertus, à ses talents, à ses travaux, à sa dignité, lui obéir en tout ce que le Pasteur peut attendre de lui, l'aider et le soulager autant qu'il peut, le faire respecter et aimer des paroissiens, le consulter dans la conduite des Âmes, puisque c'est pour l'apprendre qu'on est mis en sous-ordre, et acquiescer à ses avis; mais remarquons bien 1. qu'il s'agit ici du Vicaire d'un bon Pasteur; 2. qu'on doit croire le Pasteur bon, quand on n'a pas de preuves du contraire. Les curés doivent traiter leurs Vicaires avec charité, leur donner de bons exemples, bien plus puissants que tous les discours. Il serait bien affligeant et bien condamnable qu'un Curé entraînât son Vicaire aux visites, aux pertes de temps, aux repas, qu'il lui donnât des conseils mondains, qu'il le portât au laxisme, et il serait abominable que le Pasteur tournât en ridicule la piété de son Vicaire, qu'il en fît des railleries et l'exposât à succomber au respect humain. Le Pasteur, quoiqu'il ait un Vicaire approuvé de l'Évêque, conserve toujours la responsabilité du Troupeau, car, dit Liguori, Évêque lui-même (Homo Apostolicus, tract. VII, n. 24), malgré l'approbation de l'Évêque, parochus certus debet fieri Vicarium idoneum esse, tam quoad scientiam, quam quoad mores, alias rationem ipse Deo redditurus est de omnibus damnis quæ ob ejus ignorantiam et pravos mores eveniunt. Quand même le Vicaire est capable et bon, il ne faut pas pour cela l'écraser et se décharger de presque tout sur lui, car le Vicaire est un aide, mais si c'était un remplaçant, il faudrait que le curé lui cédât la place et la cure.

Asc,6309:T8,2 Le curé doit concilier l'estime à son Vicaire, et il serait fâcheux et nuisible qu'il le reprît même de ses fautes devant des laïcs quelconques, encore plus qu'on remarquât entre eux quelque mésintelligence, qu'ils se vissent rudement et froidement, ce serait un vrai scandale… Il ne convient pas qu'un curé garde pour lui tous les bons émoluments, l'esprit de l'Église est que chacun reçoive à proportion de son travail. Si dans quelque lieu c'était l'usage que le curé ne confessât et n'administrât que les riches et laissât ex professo les pauvres au Vicaire, il faudrait être bien humble ou bien bas pour continuer cet usage si déshonorant pour un ministre de Jésus-Christ. D'ailleurs les pauvres peuvent avoir des fortes raisons de se confesser au curé, ils n'oseront pas le demander si la pratique est contraire, et le curé manquera facilement en cela à la justice in gravi. C'est encore un usage bien avilissant et bien mauvais que celui de se recommander pour obtenir une cure, c'est montrer qu'on a des idées bien fausses sur la charge d'âmes qu'on ne devrait prendre que par force. C'est convenir qu'on a du moins peu de mérite puisqu'on craint que l'Évêque et son conseil ne puissent l'apercevoir, si on [ne] les en avertit. Ces recommandations sont perfides lorsqu'on y emploie des laïcs puissants de la paroisse qu'on désire; si malheureusement on l'obtient, on se trouve enchaîné et engagé à être leur esclave par fas et nefas pour tout le temps qu'on sera leur Pasteur.

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Hors les fonctions du S. Ministère, visites et repas chez les laïcs Un Pasteur zélé doit faire quelquefois des visites à ses paroissiens, outre la visite générale qu'il est bien de pratiquer deux fois par an, la nécessité ou des convenances qui lui ressemblent obligent d'en faire de temps en temps des particulières. Il est très important d'examiner comment nous nous y comportons, si nous y montrons la gravité, la modestie, le recueillement, qui persuade aux laïcs que

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nous sommes occupés de Dieu, pénétrés de la dignité de notre caractère, pro Christo legatione fungimur, si notre extérieur leur donne une idée de celui de Jésus-Christ sur la terre, sacerdos alter Christus. Voici à ce sujet un passage du S. Concile de Trente que nous devrions lire bien souvent (sess. 22, def. c. 1): Decet clericos… vitam moresque suos omnes componere, ut habitu, gestu, sermone, aliisque omnibus rebus, nil nisi grave, moderatum ac religione plenum præ se ferant; levia etiam delicta, quæ in ipsis maxima essent, effugiant, ut eorum actiones cunctis afferant venerationem. Ensuite le S. Concile renouvelle toutes les lois antérieures des Papes et des conciles de clericorum vita, honestate, cultu… ac simul de luxu, commessationibus, choreis, aleis, lusibus… non obstantibus consuetudinibus quibuscumque etc. Si nous sommes pénétrés de tous ces principes, notre extérieur tout seul sera déjà une prédication très efficace, nous y ajouterons quelques mots de piété et d'édification selon les circonstances et de telles visites porteront de grands fruits.

Asc,6309:T9,2 Si au contraire un prêtre paraît léger, dissipé, trop enjoué il en résulte des inconvénients quelquefois incalculables. Le moindre est qu'on ne le respecte ni ne l'estime, mais ces sentiments sont bientôt et involontairement appliqués à la religion dont il est ministre, et il en résulte nécessairement une grande diminution de foi. De là ce terrible passage de S. Bernard qu'on devrait lire fréquemment quand on est enclin à ce défaut si notable: Nugæ in ore laici, nugæ sunt, in ore sacerdotis blasphemiæ; consecrasti os tuum Evangelio, talibus aperire illicitum, assuescere sacrilegum. Ceci paraîtra exagéré aux mondains, mais après tout, c'est en pensant, parlant et agissant de la sorte que les Saints sont devenus Saints, et nous chercherons en vain un autre chemin pour y parvenir. Il serait du moins très convenable de porter toujours la soutane, c'est l'habit de notre état. Quand nous en sommes revêtus, nous sommes de ce côté plus aptes à exercer au besoin les fonctions du S. Ministère, d'ailleurs nous nous respectons davantage nous-mêmes, et nous inspirons plus de respect aux autres. En supposant que ce saint habit ait quelque petite incommodité, il faudrait être bien peu mortifié pour ne pas savoir la supporter.

Asc,6309:T9,3 Mais remarquons bien quelle sorte de visites nous devons faire, c'est-à-dire celles de nécessité ou d'une telle convenance qu'il serait moins bien de ne pas les faire. Si nous voulons, comme nous le devons, suivre cette règle, n'en aurons-nous pas beaucoup à retrancher? Jetons un coup d'œil sur quelques-unes des suites des visites inutiles. 1. C'est une perte de temps, dont on ne fait peu de cas que parce qu'on ne veut pas réfléchir que chaque instant n'est rien moins que le prix du sang de Jésus-Christ qui nous l'a acheté et payé si cher pour que nous l'employassions à travailler à notre salut, et à celui des autres. 2. C'est toujours une rapine sur les occupations de Ministère ou de piété auxquelles nous sommes obligés. Assurément un prêtre qui veut remplir ses devoirs, ne trouve pas un quart d'heure qu'il puisse perdre dans une année. 3. On s'accoutume à penser et à parler comme les mondains, et sans s'en apercevoir, on devient en peu de temps tout comme eux, ou même pire, tout occupé de richesses, de plaisirs, enfin tout vide de Dieu, tout plein du monde, de ce monde que Jésus-Christ a déclaré réprouvé. 4. Chacun a ses défauts, plus on nous voit, mieux on les connaît, on nous estime peu, on nous respecte moins, on n'a pas de confiance en nous, ou ce n'est qu'une confiance purement humaine, tandis que si nous vivions retirés, on nous attribuerait même des vertus que nous n'aurions pas. 5. On contracte un esprit habituel de dissipation qu'on ne remarque guère, et qui est cependant la vraie cause de toutes les fautes grandes et petites que l'on commet par centaines. Peu de prêtres ont le cœur corrompu, et font le mal pour le plaisir de le faire, mais par un autre principe ils font à peu près le même mal que les hommes pervers; ce principe est la dissipation: desolatione desolata est terra, quia non est qui recogitet corde, et il faudrait s'aveugler terriblement pour imaginer qu'on ne répondît pas devant Dieu de toutes ces fautes dont on a posé la cause radicale par la vie peu ecclésiastique que l'on mène. Enfin la suite nécessaire de tous ces maux, c'est que tout ce qu'il y a de plus sacré dans le S. ministère ne devient plus qu'une espèce de routine à laquelle on se livre sans foi, comme sans attention.

Asc,6309:T9,4 Il est vrai que l'on dit qu'on fait ces visites, et qu'on y tient cette conduite pour rendre la vertu aimable et même pour engager les pécheurs à se convertir; mais on doit sentir dans son cœur, que

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c'est là le plus faux des prétextes, qu'il y a une énorme différence entre l'amabilité de la vertu et la dissipation. L'on sait par expérience que quand un pécheur veut sincèrement se convertir il ne s'adresse jamais à un jovial visitateur, mais toujours à un homme qu'il croit rempli de son état; on n'attire donc tout au plus que des agneaux de Pâques, appuyés sur l'espérance fondée qu'ils auront bon marché de celui qui se divertit habituellement avec eux, et à peu près comme eux.

Asc,6309:T9,5

De quoi s'occupe-t-on… De quoi s'occupe-t-on dans ces visites? Souvent de jeux défendus par les conciles sous peine de censure, et on y boit quelquefois pendant plusieurs heures. Supposons, comme il est ordinairement vrai, qu'on ne blesse pas en cela les règles strictes de la tempérance, il n'en est pas moins évident que c'est une triste occupation pour un ministre de Jésus-Christ de passer tant de demi-journées à jouer, à boire, et à tenir des conversations du moins bien oiseuses et bien séculières. Ajoutons ce qui en est presque inséparable, la crainte de perdre au jeu, le désir d'y gagner, et le danger que ce divertissement messéant ne finisse par devenir une véritable passion. La multiplicité des visites engendre nécessairement la fréquence des repas, et des grands repas, du moins trop grands relativement au prêtre. Ces festins sont encore interdits aux ecclésiastiques par plusieurs conciles, et le concile de Trente, que nous venons de citer, dit qu'il renouvelle leurs ordonnances, non obstantibus consuetudinibus quibuscumque. Nous ne cherchons pas ici si ces conciles ont encore force de loi par rapport aux jeux et aux repas, ni si l'on croit le S. concile de Trente usé tout comme les autres. Contentons-nous de dire que ces conciles ont défendu ces plaisirs parce qu'ils y trouvaient des inconvénients, et qu'ils ont porté des censures parce qu'ils les savaient très dangereux. Il s'agirait donc de démontrer que ces inconvénients et ces dangers n'existent plus de nos jours, je le souhaite, mais en voici quelques-uns qui demeurent, qui sont de tous les temps, et qui suffisent abondamment pour s'en abstenir.

Asc,6309:T9,6 1. On participe, comme il a été dit à l'article de l'Aumône, à une foule de dépenses qui ne peuvent se faire qu'en volant les pauvres, on se nourrit comme les laïcs, de leur chair, on s'abreuve de leur sang, on s'ôte tout droit de parler contre ce péché, puisqu'au contraire on l'autorise avec scandale par sa présence et ses actions. 2. Ici viennent sans contredit toutes les observations déjà faites à l'article de la perte du temps par les visites. 3. Je suppose qu'on ne s'enivre pas, je sais même que c'est très rare, mais il est toujours vrai qu'à la fin de ces repas on est plus ou moins échauffé par les boissons, que toute la soirée on est lourd ou agité, et peu propre à la prière ou à l'étude, que s'il survient en cet état une fonction du S. Ministère, on s'en acquittera d'une singulière manière, quelquefois même le lendemain matin on est encore assez mal disposé. Si ces repas ont lieu deux ou trois fois la semaine, nous voilà la moitié de notre vie dans un état où nous ne sommes à peu près bons à rien ou tout au moins, nous n'avons pas cette facilité de penser, cette parfaite droiture de jugement si indispensable pour les grandes et terribles fonctions d'un Ecclésiastique.

Asc,6309:T9,7 4. N'a-t-on pas vu plusieurs fois des prêtres qui étaient d'abord fort sobres, s'accoutumer en fréquentant ces repas à boire toujours un peu plus, et enfin devenir ivrognes de profession, au grand déshonneur de la religion et au grand détriment des âmes? Quand une fois ce vice est contracté, l'expérience apprend combien il est rare et difficile de s'en corriger. Ou bien sans devenir ivrognes, il en est qui parviennent à être potentes ad bibendum. Il leur faut du vin en quantité, et ensuite des liqueurs plus fortes que le vin, ils en boivent hors des repas, ils mangent à peine, ils se ruinent la santé, et sans être jamais complètement ivres, ils sont continuellement dans un état d'abrutissement qui leur empêche de rien dire ni faire de raisonnable. Quelle assurance avons-nous qu'un semblable malheur ne nous arrivera pas si nous nous y exposons? 5. Ce serait un art jusqu'ici inconnu que celui de concilier la parfaite chasteté avec l'abondance du vin et des liqueurs. Que de tentations! Que de combats avec une chair échauffée et révoltée! Et souvent que de chutes auxquelles on fait peu d'attention et qui en mériteraient beaucoup! 6. Dans ces repas parle-t-on jamais de Dieu et de

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religion si ce n'est quelquefois par manière de nouvelles et de gazette? Peut-être moins qu'à la table du Grand Turc. Combien de plaisanteries et de fadaises! Sous prétexte de politesses, combien de bassesse et de familiarité avec des femmes de toute espèce, dont les vêtements indiquent trop les sentiments, combien de phrases à double sens, que tous comprennent dans un très mauvais sens. Nouvelle et grande misère quand ces repas sont prolongés pendant la nuit et qu'on voit le prêtre sortir avec cette bande de mondains pour se retirer chez lui. Le danger n'est pas moindre, parfois même plus grand avec les femmes adonnées à la piété.

Asc,6309:T9,8 Disons-nous donc sans cesse: qui amat periculum in eo peribit. Celui que tous ces dangers n'effraient pas et ne réveillent pas ne dort pas, il est déjà mort. Ceux qu'on appelle les cèdres du Liban ont tant de peine à se sanctifier dans les exercices de la prière et de la pénitence, et nous espérerions y réussir dans une vie si peu chrétienne, ou plutôt si païenne! Pour comble de malheur il n'est pas rare de trouver des laïcs qui ont enfin perdu la foi pour avoir fréquenté des prêtres, et surtout pour avoir été témoins de leur conduite dans les repas. Enfin, n'en doutons pas, un des principaux fruits que les mondains mêmes attendent de nous après notre retraitre, c'est notre réforme sur les visites, et les repas. Si par sensualité ou par orgueil nous refusons de leur payer cette dette, ils continueront de nous refuser l'estime que nous ne pouvons attendre d'eux; les amitiés apparentes qu'ils nous feront en présence seront compensées par le mépris dont ils nous couvrirent en notre absence, du moins dans leurs cœurs, et souvent par leurs discours. Mais un désordre bien plus effrayant, c'est que nous exposerons par cette vie tout animale notre salut et celui des autres.

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Visites à ses confrères La charité qui doit nous porter à aimer tous les hommes exige que nous soyons liés d'une manière plus étroite avec nos confrères, et que nous les voyions de temps en temps. Nous pouvons et nous devons tirer un grand profit de ces visites, si nous savons les régler, et les diriger à l'utilité. En effet de quoi parlent les hommes quand ils se rencontrent, si ce n'est de leur état, de ce qu'ils connaissent, ou désirent apprendre mieux? Un militaire parle de la guerre, un cultivateur de l'agriculture, etc. Il est donc bien dans l'ordre et il doit être naturel que des prêtres parlent ensemble de Dieu, et de tout ce qui concerne son service, qu'ils s'excitent mutuellement à la ferveur pour procurer sa gloire, qu'ils se communiquent leurs lumières sur la conduite des âmes. Nostra conversatio in cælis est, S. Paul le disait à tous les chrétiens, mais qui l'observera, si ce n'est les prêtres? Il est donc très louable de tâcher de trouver dans ses environs un ou quelques prêtres de ce caractère, de se réunir à eux une fois la semaine quand le Ministère le permet, et même de faire ensemble une petite agape, mais de celles qui sont vraiment telles, et non de celles que l'Apôtre condamne et réprouve.

Asc,6309:T10,2 Il serait sans doute bien fâcheux que les visites entre ecclésiastiques se passassent en conversations de futilités et de bagatelles, qui obligeraient les prêtres vertueux à s'en écarter, et qui nuiraient beaucoup aux jeunes prêtres qui s'y laisseraient entraîner. Il le serait encore davantage qu'on y ajoutât des repas vraiment mondains, où l'on trouverait presque tous les inconvénients des festins laïcs, peut-être même encore plus. Il est très utile d'examiner quel a été notre usage par rapport à ces repas, avec nos amis, surtout aux kermesses et aux obsèques, mais aussi pendant le courant de l'année. Nous ne pouvons oublier que nous devons donner l'exemple aux laïcs, en particulier sur l'Aumône, que sous plusieurs rapports nous sommes encore plus obligés qu'eux à la faire, qu'il est facile de les scandaliser sur ce point, et encore plus aisé de se rendre coupables devant Dieu. Dans certains endroits, combien de profusion sur les tables des prêtres? Ne pourrait-on pas dire quelquefois que des hommes seulement raisonnables devraient se contenter du quart de ce qu'on y sert? Ne trouve t-on pas des prêtres d'ailleurs assez réguliers, qui dépensent 20 et 30 louis par an seulement pour vin, café, liqueurs. D'autres moins réguliers jusqu'à 50 louis et au-dessus, et on ne pense même pas à se le reprocher. Il est juste que les prêtres boivent du vin quand leurs travaux ou leur santé l'exige, mais comme S. Paul le disait à Timothée: modico à cause de ses infirmités

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fréquentes. Quelle différence entre ce modico et les sommes qu'on y emploie? Peut-on penser de sang-froid que tandis qu'on fait si bonne chère, on prive par toutes ces dépenses de leur vrai nécessaire des pauvres qui sont souvent près de la maison comme Lazare et qui périssent presque de faim? On est alors bien éloigné de remplir le précepte d'aimer le prochain comme soi-même.

Asc,6309:T10,3 Quand on est arrivé à ce degré, il a quelquefois encore plus d'inconvénients aux repas des ecclésiastiques, qu'à ceux des laïcs; manger à satiété, et des choses recherchées, boire beaucoup plus qu'il ne faut, discours bouffons ou mêmes pires, dissipation excessive, rien n'y manque pour produire un détestable assemblage, et fasse le Ciel qu'on n'y invite pas de laïcs pour être témoins et trompettes de tous ces désordres, de notre opposition à l'esprit de recueillement et de mortification, et à la pratique de tous ceux qui sont devenus Saints. Puisse-t-on du moins avoir la prudence d'en écarter les jeunes prêtres, comme d'un fléau qui les perdrait, puisque partie par simplicité, partie par respect humain, ils imiteraient dès qu'ils le pourraient ces malheureux bons vivants. Le comble du ridicule serait d'entendre ceux qui trouvent tant d'argent pour l'employer si mal, se plaindre et se lamenter de ce que leurs cures ne leur rapportent que 500 francs. On ne demande pas où ils prennent le reste, mais il est certain qu'ils en ont toujours trop, d'après l'usage qu'ils en font, pour parvenir au Ciel.

Asc,6309:T11,1

Étude Quand nous aurons retranché toutes les visites inutiles, outre les avantages d'une vie recueillie et vraiment sacerdotale, l'estime que nous concilierons à notre Ministère, et le soin avec lequel nous nous en acquitterons, nous trouverons encore beaucoup de temps pour nous livrer à l'étude, sans laquelle toute la piété possible ne formerait pas un ministre de Jésus-Christ: Labia sacerdotis custodiunt scientiam et legem requirent de ore ejus. Quia tu scientiam repulisti, repellam te ne sacerdotio fungaris mihi. La science seule enfle et perd, mais sans la science, du moins nécessaire, on ne peut être qu'un mauvais prêtre et l'on fait par ignorance à peu près les mêmes maux qu'un autre pourrait faire par malice. Enfin l'oisiveté est la source de tout vice; il faut une occupation, et il n'en est pas pour nous de plus légitime ni de plus indispensable que l'étude. Un prêtre a tant de choses à apprendre et à entretenir, l'Écriture Sainte, les Saints Pères, la théologie dogmatique et morale, les livres de piété, l'Histoire ecclésiastique, même le droit canon, quand on le peut, offrent des occupations auxquelles ne suffit pas la vie la plus longue, surtout quand on veut, comme on le doit, ne pas étudier superficiellement, mais approfondir, examiner, comparer, pourporter un jugement sain sur des choses si graves et si importantes.

Asc,6309:T11,2 L'étude est nécessaire en particulier pour des jeunes gens que les circonstances obligent d'élever au sacerdoce avant qu'ils n'aient appris tout ce qu'ils doivent savoir, leurs supérieurs veulent, ou plutôt la loi naturelle exige qu'ils s'appliquent sérieusement à acquérir tout ce qui leur manque, et s'ils s'abandonnent à la dissipation et à la paresse, leur ordination et même leur mission deviendra le sujet de leur condamnation, ils seront même, autant qu'il est en eux, destructeurs de la religion, car chacun de ces ignorants voudra paraître tout savoir, donnera ex cathedra des décisions uniquement fondées sur ses imaginations, c'est-à-dire que chacun d'eux fera une religion à sa mode. Le pis est qu'ils vivent fort tranquilles et contents, tandis que des prêtres fort âgés qui s'intruisent constamment depuis leur jeunesse, disent toujours avec Job: Verebar omnia opera mea. L'étude est encore nécessaire pour ceux qui s'y livrent depuis longtemps, car il est facile d'oublier quand on n'entretient pas ses connaissances, c'est pour cela que les prêtres savants et vertueux ne passent pas un seul jour sans étudier l'Écriture Sainte et la morale et entre autres Monseigneur De la Motte, ce grand Évêque d'Amiens, le pratiquait si exactement que ne pouvant plus lire, le jour de sa mort, il se fit faire par un secrétaire les deux lectures accoutumées.

Asc,6309:T11,3 L'étude est encore plus nécessaire dans ces temps de deuil et de calamité pour se préserver des sophismes et des prestiges que l'incrédulité et l'indifférentisme engendrent tous les jours. Parmi les

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nombreuses chutes que nous avons eu à déplorer depuis quelques années dans les ministres du sanctuaire, quelques-unes, il est vrai, ont été le fruit de la méchanceté, d'autres ont été causées par la peur des mauvais traitements, l'attachement aux richesses et aux honneurs, mais beaucoup ont été directement annoncées par l'ignorance. On perd son temps, on ne lit que les gazettes presque toujours propres à séduire, et quand il se présente une question un peu plus difficile, dépourvu d'armes, on est vaincu et même perdu. Enfin l'étude deviendrait nuisible, si l'on n'y puisait pas une doctrine saine, et pour ne pas se tromper, on peut dire qu'une seule règle les renferme toutes, c'est de s'en tenir à la doctrine prêchée, ou du moins admise par la Sainte Église Romaine mère et maîtresse de toutes les Églises, de fuir ces systèmes modernes inventés en partie par étourderie, mais aussi favorisés de l'enfer, parce qu'ils deviennent des appuis très avantageux pour toutes les hérésies. Il n'est pas nécessaire qu'une nouvelle doctrine soit anathématisée à Rome pour nous inspirer de l'horreur, dès que Rome l'improuve, la déclare en opposition avec la sienne, et par conséquent mauvaise, souscrivons sans hésiter au jugement doctrinal de Rome qui sous tous les rapports l'emporte incomparablement sur les idées même d'une Église particulière, nous aurons la consolation de voir, comme il s'est toujours fait, que la presque totalité des autres Églises accède et se conforme aux jugements du Pape, et cet accord en fait de catholicité, nous donne un autre degré de sûreté que les imaginations de quelques savants d'une Église.

Asc,6309:T12

Avarice On a peine à comprendre comment l'avarice peut s'introduire chez les prêtres, puisque, même humainement parlant, comme ils n'ont ni femmes, ni enfants, quelquefois même se soucient peu de leurs parents, on ne sait pas pourquoi ils entassent, et encore moins pourquoi ils y sont plus portés dans la veillesse, lorsque bientôt il ne leur faudra plus qu'un linceul, et qu'ils n'ont pour toute perspective que de laisser en peu leurs biens à des héritiers qui ne tarderont pas de tout dissiper en divertissements. Ce vice devient encore plus inconvenable quand on considère les centaines de textes de l'Écriture Sainte qui le condamnent, les maux incalculables qu'il a faits, le sort de Judas, les exemples si contraires de Jésus-Christ et des Saints. Quoi qu'il en soit, ce vice n'est malheureusement pas assez rare parmi les prêtres, et le pis est que ceux qui en sont souillés ne veulent ni en convenir ni même l'apercevoir, mais le couvrent du voile d'une prudente économie, d'une sage prévoyance de l'avenir incertain, prétextes bien peu recevables au jugement de Dieu. Prenons du moins pour règle qu'il est bien dangereux pour notre âme de nous exposer à tomber dans l'avarice, et qu'il lui est bien avantageux, par une sainte prodigalité, à éprouver bien des privations.

Asc,6309:T13,1

Cohabitation Une retraite ecclésiastique serait presque incomplète si l'on n'y disait quelques mots des personnes qui habitent avec les prêtres. Je ne sais rien de mieux que d'examiner ce qu'en ont pensé les conciles et les Saints Pères. Le concile de Reims sous Hadrien Ier défendait de prendre dans sa maison les parentes pauvres; le 3e concile de Mayence ne permettait pas d'y avoir sa sœur. Le 3e concile de Constantinople, 6e œcuménique, n'excepte que la mère! Le concile de Tours sous Pélage Ier et auparavant celui d'Agde défendent d'y recevoir des couturières à journée. Il ne faut qu'ouvrir S. Cyprien, S. Jérôme, S. Chrysostome et autres pour savoir ce qu'ils en pensaient; nous lisons tous les ans dans le Bréviaire que S. Augustin ne voulait pas sa sœur, et pourquoi. Les conciles et les Saints Pères ont donc cru qu'on pouvait et qu'on devait s'en passer, et de fait on s'en passait. Maintenant il serait à examiner si ce sont eux qui ont mal vu ou nous, si nous sommes meilleurs et plus vertueux qu'on ne l'était de leur temps, s'il y a pour nous moins de dangers, si ce ne serait pas encore de ces lois, qui quand elles n'auraient pas actuellement force par elles-mêmes, seraient fondées sur d'autres lois ou naturelles ou ecclésiastiques qui obligent tout le monde en tout temps?

Asc,6309:T13,2

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Nous ne pouvons nier qu'une servante ne présente bien des inconvénients; le moindre est qu'elle devienne maîtresse et dispose de tout à son gré, même publiquement et dans la paroisse. Cum muliere frequens esse, et cum muliere non peccare, plus est quam mortuum suscitare. Nous ne sommes pas plus forts que David, ni plus sages que Salomon, les tête-à-tête en hiver, pour ménager le feu, sont perfides, il y a de temps en temps des chutes connues, et il y en a aussi des inconnues. On s'expose du moins à bien des calomnies ou médisances. Prendre une jeune servante n'est pas édifiant; on ne veut pas [une] vieille qui bientôt ne sera plus bonne à rien; celles entre deux âges sont souvent et très souvent plus dangereuses. On trouve quelquefois des curés servis par des hommes, et mieux que par des femmes; ils n'ont pas de si grands repas, mais ces repas sont moins que nécessaires, il leur en coûte un peu plus cher, mais ils le gagnent abondamment par les repas diminués. Que déciderons-nous? Je n'en suis pas chargé.

Asc,6309:T14

Conclusion Les réflexions que nous avons faites sur les Saints devoirs de notre état, sur le grand intérêt que nous avons de nous en bien acquitter, sur les grands maux qui nous menaceraient si nous les négligions, nous feront apprécier combien il est heureux pour nous que Dieu ait chargé nos supérieurs de nous aider dans cette importante entreprise: elles réveillent nos sentiments de respect, d'amour et de reconnaissance pour le vénérable prélat qui gouverne ce diocèse, et pour ceux qu'il s'est associés dans le dessein qu'ils en partageassent avec lui la sollicitude et l'aidassent dans ses pieux travaux. Nous bénirons la providence du zèle qu'elle leur inspire pour notre sanctification, et quand ils nous avertiront des oublis auxquels la fragilité humaine pourrait nous entraîner, loin de les regarder comme des censeurs incommodes, nous nous pénétrerons de la juste pensée qu'il le font pour s'acquitter de leur devoir tamquam rationem pro animabus vestris reddituri, que si par excès de bonté ils toléraient en nous ce qui déplairait à Dieu, ils lui en rendraient un compte terrible au grand jour du Jugement, et seraient coupables de toutes les fautes que leur trop grande indulgence nous aurait laissé commettre, fautes qui en causeraient quelquefois des milliers d'autres dans les âmes qui nous sont confiées, et dont ils porteraient eux-mêmes l'énorme poids au Tribunal Divin. Il est donc vrai de dire que nos supérieurs ne peuvent guère se sauver, s'ils ne font tout ce qui dépend d'eux pour nous sauver nous-mêmes. Soyons touchés de la charité avec laquelle ils acceptent le pesant fardeau qui leur est imposé, tâchons de l'alléger par notre correspondance à leurs bons désirs, et demandons sans cesse pour eux les lumières, la force, le courage, la vigilance, enfin toutes les grâces dont ils ont besoin pour s'en bien acquitter, nous conduire au Ciel et l'obtenir eux-mêmes.

Asc,6311b:S

De l'Acte d'abandon à Dieu Copia (da Suor Radegonda?) in AOMV, S. 6,3,11:0 Del P. Diessbach? Non pare affatto essere del Lanteri.

Asc,6311b:T1

Discours sur l'acte d'abandon à Dieu

Asc,6311b:T1

Mettons-nous aux pieds de Jésus… Mettons-nous par un acte de foi aux pieds de Jésus avec Marie sœur de Marthe en grand silence, pour entendre sa parole. Jésus parle encore tous les jours dans son Évangile; mais il parle d'une manière admirable dans l'intime secret du cœur: car il est la parole même du Père Éternel, où toute vérité est renfermée. Il faut donc lui prêter ces oreilles intérieures dont il est écrit: vous avez, Seigneur, ouvert l'oreille à votre serviteur.

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Heureux à qui Dieu a ouvert l'oreille en cette sorte, ils n'ont qu'à la tenir toujours attentive, leur oraison est faite de leur côté. Jésus leur parlera bientôt, et il n'y a qu'à se tenir en état d'entendre sa voix. Marie était assise aux pieds de Jésus. Assise, tranquille aux pieds de Jésus: humilité, soumission, se soumettre à la parole éternelle, à la vérité, silence! Que tout se taise: il se fit un silence dans le ciel environ une demi-heure. Qui parle durant ce temps? Dieu seul. Environ une demi-heure: ce grand silence de l'âme, où tout cesse, où tout se tait devant Dieu, dans le ciel, et dans la haute partie de notre âme, ne dure guère durant cette vie; mais pour peu qu'il dure, qu'il se dit de choses, et que Dieu y parle! Sois attentive, âme chrétienne, ne te laisse pas détourner dans ces bienheureux moments.

Asc,6311b:T2 Entrez dans le cabinet et fermez la porte sur vous: priez votre Père dans le secret, et votre Père qui vous voit dans le secret, vous le rendra. Que vous rendra-t-il? Parole pour parole: pour la parole par laquelle vous l'aurez prié de vous instruire, la parole par laquelle il vous fera entendre ce qu'il veut de vous, et son éternelle vérité. Entrez donc, et fermez la porte: entrez en vous-même, et ne vous laissez détourner par quoi que ce soit, quand ce serait une Marthe, une âme sainte qui viendrait vous inviter à servir Jésus, demeurez enfermée dans ces saints et bienheureux moments. Jésus ne veut point de vous de ces services extérieurs: tout le service qu'il veut de vous, c'est que vous l'écoutiez seul, et que vous prêtiez l'oreille du cœur à sa parole. Parlez donc, Seigneur, il est temps: votre serviteur écoute. Parlez et que direz-vous? Marthe, Marthe, tu es empressée, et tu te troubles dans le soin de beaucoup de choses, or il n'y a qu'une seule chose qui soit nécessaire. Ne faut-il donc pas s'acquitter de tous ses devoirs, de toutes ses obédiences? Il le faut sans doute: mais il ne faut jamais être empressée, et il y a d'heureux moments où tout autre devoir, tout autre exercice, toute autre obédience cèdent en vous: il n'y a pour vous d'autre obédience que celle d'écouter Jésus, qui vous veut parler.

Asc,6311b:T3 Il n'y a qu'une seule chose qui soit nécessaire, il n'y a qu'un Dieu seul qui soit nécessaire, il est tout: le reste n'est rien; et tout ce qui est disparaît devant sa face, et toutes les nations sont un vide et un néant à ses yeux, il est lui seul nécessaire à l'homme, c'est lui seul qu'il faut désirer, et à qui il faut s'unir. Crains Dieu, et observe ses commandements; car c'est là tout l'homme, tout le reste lui est étranger: cela seul lui appartient, comme une chose qui lui est propre, mais c'est tout le fond de l'homme, toute sa substance, tout son être. Quoi que tu perdes, ô homme, pourvu que tu ne perdes pas Dieu, tu n'as rien perdu du tien, laisse donc écouler le reste; ne te réserve que de craindre et aimer; c'est là tout l'homme. Il n'y a qu'une chose qui soit nécessaire. Comme Dieu est seul, et que l'homme se considère comme seul devant lui, il faut trouver quelque chose en l'homme qui soit parfaitement un; un acte qui renferme tout dans son unité: qui d'un côté renferme tout ce qui est dans l'homme, et de l'autre côté, réponde à tout ce qui est en Dieu.

Asc,6311b:T4

Faites-moi trouver cet acte… Faites-moi trouver cet acte, ô mon Dieu! cet acte si étendu, si simple, qui vous livre tout ce que je suis, qui m'unisse à tout ce que vous êtes. Ô Jésus! Je suis à vos pieds, faites-le-moi trouver, cet unique nécessaire. Tu l'entends déjà, âme chrétienne: Jésus te dit dans le cœur que cet acte est l'acte d'abandon, car cet acte livre tout l'homme à Dieu, son âme, son corps, en général et en particulier toutes ses pensées, tous ses sentiments, tous ses désirs, tous ses membres, toutes ses veines avec tout le sang qu'elles enferment, tous ses nerfs, jusqu'à la moelle, toutes ses entrailles, tout ce qui est au-dedans et au-dehors jusqu'aux moindres linéaments, tous ses os, et jusqu'à l'intérieur. Tout vous est abandonné, ô Seigneur! Faites-en ce que vous voulez, ô mon Dieu! Je vous abandonne ma vie, et non seulement celle que je mène en captivité et en exil sur la terre, mais encore ma vie dans l'éternité; je vous abandonne mon salut, je remets ma volonté entre vos mains, je vous remets l'empire que vous m'avez donné sur mes actions. Faites-moi selon votre cœur; et créez en moi un cœur pur, un cœur docile et obéissant. Tirez-moi, nous courrons après vous et après les douceurs de

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vos parfums. Faites-moi donc droit ô mon Dieu, afin que je vous aime de tout mon cœur, de ce cœur que vous formez en moi par votre grâce; je vous ai tout livré: je n'ai plus rien. C'est là tout l'homme.

Asc,6311b:T5 Que si cet acte répond à tout ce qui est de l'homme, il répond aussi en même temps à tout ce qui est Dieu. Je m'abandonne à vous, ô mon Dieu, à votre unité pour être fait un avec vous, à votre infinité et à votre immensité incompréhensible pour m'y perdre et m'y oublier moi-même; à votre sagesse infinie, pour être gouverné selon vos desseins, et non pas selon mes pensées; à vos décrets éternels, connus et inconnus, pour m'y conformer, parce qu'ils sont tous justes; à votre éternité pour en faire mon bonheur; à votre toute-puissance pour être toujours sous votre main; à votre bonté paternelle, afin que dans le temps que vous m'avez marqué vous receviez mon esprit entre vos bras; à votre justice en tant qu'elle justifie l'impie et le pécheur afin que d'impie et de pécheur vous me fassiez devenir juste et saint. Il n'y a qu'à cette justice qui punit les crimes, que je ne veux pas m'abandonner, car ce serait m'abandonner à la damnation que je mérite. Et néanmoins Seigneur, elle est sainte cette justice comme tous vos autres attributs; elle est sainte, et ne doit pas être privée de son sacrifice, il faut donc aussi m'y abandonner et voici que Jésus-Christ se présente afin que je m'y abandonne, en lui et par lui. Donc ô Dieu saint! ô Dieu vengeur des crimes! j'adore vos saintes et inexorables rigueurs, et je m'y abandonne en Jésus-Christ qui s'y est abandonné pour moi, afin de m'en déliver; car il s'est soumis volontairement à porter tous mes péchés et ceux de tout le monde, et s'est livré pour eux tous aux rigueurs de votre justice, parce qu'il avait un mérite et une sainteté infinie à lui opposer. Je m'y livre donc, en lui et par lui, et je vous offre pour vous apaiser envers moi ses mérites et sa sainteté, dont il m'a couvert et revêtu; ne me regardez pas en moi-même, mais regardez-moi en Jésus-Christ et comme un membre du corps dont il est le chef. Donnez-moi telle part que vous voudrez à la Passion de votre saint Fils Jésus, afin que je sois sanctifié en vérité, en celui qui s'est sanctifié pour moi, comme il dit lui-même.

Asc,6311b:T6 Enfin ô Dieu! unité parfaite, que je ne puis égaler et comprendre par la multiplicité quelle qu'elle soit de mes pensées, et au contraire dont je m'éloigne d'autant plus que je multiplie mes pensées, je vous en demande une, si vous le voulez, ou je ramasse en un autant qu'il est permis à ma faiblesse, toutes vos infinies perfections, ou plutôt cette perfection seule et infinie, qui fait que vous êtes Dieu, le seul qui est, de qui tout est, en qui tout est, qui est heureux par lui-même: ô Dieu soyez heureux éternellement, je m'en réjouis; c'est en cela que je mets tout mon bonheur. En cet esprit mon Dieu, grand dans vos conseils, incompréhensible à penser, qui vous êtes fait un nom et une gloire immortelle, par la magnificence de vos œuvres, je m'abandonne à vous de tout mon cœur, à la vie et à la mort, dans le temps et dans l'éternité. Vous êtes ma joie, mon consolateur, mon refuge, mon appui, qui m'avez donné Jésus-Christ pour être la pierre posée dans le fondement de Sion, la pierre principale, la pierre d'angle, la pierre éprouvée, choisie, affermie, inébranlable, la pierre solide et précieuse, et qui espère en cet appui, qui s'y abandonne, ne sera point confondu dans son espérance.

Asc,6311b:T7

Faisons donc comme ceux… Faisons donc comme ceux qui, accablés de travail et ne pouvant plus se soutenir, aussitôt qu'ils ont trouvé quelque bras ferme et puissant, mais bienfaisant tout ensemble, qui se prête à eux, s'y abandonnent, se laissent porter et se reposent dessus. Ainsi nous qui ne pouvons rien par nous-mêmes que nous tourmenter vainement jusqu'à l'infini, laissons-nous aller avec foi entre les bras secourables de notre Dieu, notre sauveur et notre Père: car c'est alors que nous apprenons véritablement à l'appeler de ce nom; puisque comme de petits enfants innocents et simples, en un certain sens, pour l'avenir, nous rejetons en lui toutes nos inquiétudes, parce qu'il a soin de nous, comme dit saint Pierre, fondé sur cette parole du Sauveur: votre Père sait que vous avez besoin de ces choses. Je te dis donc, âme chrétienne, quelle que tu sois, et de quelques soins que tu sois agitée, je te dis au nom du Sauveur: votre Père sait de quoi vous avez besoin, ne vous laissez donc point agiter; et comme dit le même Sauveur en S. Luc: ne vous laissez point élever en haut et comme tenir en

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suspens, entre le ciel et la terre, incertain de quel côté vous allez tomber; mais laissez-vous doucement tomber entre les bras secourables de votre Père céleste. Avec cet acte mon cher frère, ma chère sœur, chrétien qui que vous soyez, ne soyez en peine de rien, ne soyez point en peine de votre faiblesse; car Dieu sera votre force. Le dirai-je: ne soyez point en peine de vos péchés mêmes; parce que cet acte, s'il est bien fait, les emporte tous; et toutes les fois qu'il n'a pas tout son effet, c'est à cause qu'il n'est pas fait dans toute sa perfection. Tâchez donc seulement de le bien faire, et livrez-vous tout entier à Dieu, afin qu'il le fasse en vous, et que vous le fassiez avec son secours. Tout est fait, et vous n'avez qu'à y demeurer.

Asc,6311b:T8 Cet acte est le plus parfait et le plus simple de tous les actes: car ce n'est pas un effort, comme d'un homme qui veut agir de lui-même; mais c'est se laisser aller pour être mû et poussé par l'esprit de Dieu, comme dit saint Paul, non pas toutefois (à Dieu ne plaise) à la manière des choses inanimées, puisque c'est se laisser aller à cet esprit qui nous meut volontairement, librement, avec une sincère complaisance pour tout ce que Dieu est et par conséquent pour tout ce qu'il veut, puisque sa volonté c'est Dieu lui-même, pour dire avec le Sauveur: oui, mon Père, il est ainsi, parce qu'il a été ainsi déterminé devant vous. Il ne faut donc pas s'imaginer comme quelques-uns, qu'on tombe par cet abandon, dans une non-action, ou dans une espèce d'oisiveté. Car au contraire, s'il est vrai, comme il l'est, que nous soyons d'autant plus agissants que nous sommes plus poussés, plus mus, plus animés par le Saint-Esprit, cet acte par lequel nous nous y livrons, et à l'action qu'il fait en nous, nous met, pour ainsi parler, tout en action pour Dieu: nous allons avec ardeur à tous nos exercices, parce que Dieu à qui nous nous sommes abandonnés le veut ainsi; nous recourons continuellement aux Saints Sacrements comme aux secours que Dieu, à qui nous nous sommes livrés, nous a donnés pour nous soutenir. Ainsi un acte si simple enferme tous nos devoirs, la parfaite connaissance de tous nos besoins, et un efficace désir de tous les remèdes que Dieu donne à notre impuissance.

Asc,6311b:T9 C'est cet acte qui nous fait dire: que votre nom soit sanctifié. Car nous sanctifions, autant que nous le pouvons, tout ce qui est en Dieu, quand nous nous y unissons de tout notre cœur. Ce même acte nous fait dire encore: que votre règne arrive, puisque nous ne nous livrons à Dieu qu'afin qu'il règne en nous et qu'il fasse en nous son royaume. Ainsi que dit le Sauveur: le Royaume de Dieu est au-dedans de vous. Cet acte nous fait dire aussi: votre volonté soit faite dans la terre comme au ciel; parce que nous consentons de tout notre cœur de la faire en tout ce qui dépend de nous, et que Dieu la fasse en tout ce qui n'en dépend pas, en sorte qu'il soit maître en nous, comme il l'est au ciel sur les esprits bienheureux qui n'ont, lorsque Dieu agit, qu'un amen à dire, c'est-à-dire ainsi soit-il, qu'un alleluia à chanter, c'est-à-dire Dieu soit loué, de tout ce qu'il fait, comme il paraît dans l'Apocalypse, et comme dit l'apôtre Saint Paul: abondant en action de grâces, rendant grâces en tous temps et en toutes choses à Dieu le Père, par notre Seigneur Jésus-Christ. Ainsi le partage du chrétien est une continuelle action de grâces rendue à Dieu, de tout ce qu'il fait, parce que tout ce qu'il fait tourne à sa gloire, et cette action de grâces, c'est le fruit de cet abandon par lequel nous nous livrons à lui, par une entière complaisance pour ses volontés.

Asc,6311b:T10

Vous trouverez dans cet acte… Vous trouverez dans cet acte, âme chrétienne, un parfait renouvellement des promesses de votre baptême; vous y trouverez une entière abnégation de tout ce que vous êtes née. Parce que si vous n'étiez née dans l'iniquité, et que vous ne fussiez point par votre naissance, toute remplie de péché et d'ordure, vous n'auriez pas eu besoin de renaître; vous trouveriez un entier abandon à cet esprit de nouveauté, qui ne cesse de vous réformer intérieurement et extérieurement, en remplissant tout votre intérieur de soumission à Dieu, et tout votre extérieur de pudeur, de modestie, de douceur, d'humilité et de paix. Vous trouverez dans le même acte, âme religieuse, le renouvellement de tous vos vœux. Parce que si Dieu seul est votre appui, auquel vous vous livrez tout entier, vous ne voulez donc nul appui dans

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ces biens qu'on nomme richesses, et ainsi vous êtes pauvre; vous en voulez encore moins dans tout ce qui flatte les sens, et ainsi vous êtes chaste; et encore moins en tout ce qui flatte au-dedans votre volonté, et ainsi vous êtes obéissante. Car qu'est-ce que l'amour des richesses, si ce n'est un emprunt qu'on fait des choses extérieures, et par conséquent une marque de la pauvreté du dedans? Et qu'est-ce que l'amour de sa propre volonté, si ce n'est encore un emprunt qu'[elle] va se faire continuellement à elle-même, pour tâcher de se contenter, sans pouvoir jamais en venir à bout, au lieu de se faire riche une bonne fois en s'abandonnant à Dieu et en prenant tout en lui, ou plutôt en le prenant lui-même tout entier.

Asc,6311b:T11 Te voilà donc, âme chrétienne, rappelée à ton origine, c'est-à-dire à ton baptême. Te voilà, âme religieuse, rappelée à ton origine, c'est-à-dire au jour bienheureux de ta profession. Que reste-t-il maintenant, sinon que tu renouvelles ta ferveur, et que ton sacrifice soit agréable, comme les sacrifices des premiers jours, lorsque tout abîmée en Dieu et toute pénétrée du dégoût du monde, tu ressentais la première joie d'une âme nouvellement délivrée de ses liens? Cet abandon est la mort du péché: et premièrement, c'est la mort des péchés passés, parce que lorsqu'il est parfait, il les emporte. Car cet acte, qu'est-ce autre chose qu'un amour parfait et une parfaite conformité de nos volontés avec celles de Dieu, à qui on se fie souverainement? Qu'est-ce encore un coup? Qu'est-ce que cet acte, sinon comme dit Saint Jean, cet amour parfait, cette parfaite charité qui bannit la crainte? Il n'y a donc plus rien à craindre pour ceux qui feront cet acte avec toute la perfection que Dieu y demande: il n'y a plus rien à craindre, ni péchés passés, ni supplice, ni punition. Tout disparaît devant cet acte, qui enferme par conséquent toute la vertu de la contrition et celle du sacrement de pénitence, dont elle emporte le vœu. Mais quels regrets, quelle repentance ne reste-t-il point de cet abandon? Quelle douleur d'avoir abandonné, quand ce ne serait qu'un seul moment, celui à qui on s'est livré, en s'abandonnant tout entier. Ô mon Dieu, je n'aurai jamais assez de larmes pour déplorer un si grand malheur, quand je serais tout changé en pleurs. Mais si jamais j'ai des larmes, si je regrette jamais mes péchés, ce sera pour avoir tant outragé et offensé cette divine bonté à laquelle je m'abandonne.

Asc,6311b:T12 Mais aussi pour faire un tel acte et s'abandonner tout à fait à Dieu, à quoi ne faut-il pas renoncer? À quelles inclinations? À quelles douceurs? Car puis-je me livrer à Dieu avec l'amour, pour peu qu'il soit des biens de la terre, sans craindre cette sentence du Sauveur: Vous ne pouvez pas servir deux maîtres? Il faut renoncer à tout autre maître, c'est-à-dire à tous les désirs qui me maîtrisent et qui me dominent dans le cœur. Il faut renoncer jusqu'au bout, car il serait encore mon maître, ou je ne voudrais pas renoncer tout à fait. Ainsi cet abandon n'est pas seulement la mort des péchés passés, c'est encore celle des péchés à venir. Car quelle âme qui se livre à Dieu pourrait dans ce saint état se livrer à l'iniquité et à l'injustice? Et en même temps, c'est la mort de tous les scrupules; parce que l'âme livrée à Dieu et à sa bonté afin qu'il fasse et excite en elle tout ce qu'il faut pour lui plaire, ne peut rien craindre, ni d'elle-même, ni de son péché, puisqu'elle est toujours unie par son fond au principe qui les guérit et les purifie. Comment donc, une telle âme n'est-elle pas assurée de sa sainteté et de son salut? Comment, si ce n'est pour cette raison qu'il ne lui est jamais donné en cette vie de savoir si elle s'abandonne à Dieu de bonne foi, ni si elle persévérera à s'y abandonner jusqu'à la fin. Ce qui la porte à s'humilier jusqu'aux enfers, et en même temps lui sert d'aiguillon pour s'abandonner à Dieu de nouveau à chaque moment, avec la même ardeur que si elle n'avait jamais rien fait, mettant sa force, son repos et sa confiance, non en elle-même, mais en Dieu dont tout lui vient.

Asc,6311b:T13

Pour revenir à l'Évangile… C'est là enfin, pour revenir à l'Évangile que nous avons lu au commencement, et à Marie que nous y avons vue si attentive au Sauveur, c'est là dis-je, ce qui s'appelle être véritablement assise aux pieds du Sauveur, pour écouter ce qu'il veut, et se laisser gouverner par ce qu'on écoute comme sa loi,

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c'est là cet unique nécessaire que Jésus explique, et que Marie avait déjà choisi. Et il ne faut pas s'étonner si Jésus ajoute: Marie a choisi la meilleure part, qui ne lui sera point ôtée. Elle a choisi d'être assise aux pieds du Sauveur, d'être tranquille, attentive, obéissante à sa parole intérieure et extérieure, à ce qu'il dit au-dedans et au-dehors, d'être unie à sa volonté et abandonnée à ses ordres. Elle a choisi la meilleure part, qui ne lui sera point ôtée. La mort viendra, et en ce jour, toutes les pensées des hommes périront. Mais cette pensée par laquelle l'homme s'est livré à Dieu ne périra pas; au contraire elle recevra sa perfection. Car la charité, dit Saint Paul, ne finira pas lors même que les prophéties s'évanouiront et que la science humaine sera abolie: la charité ne finira pas, et rien ne périra que ce qu'il y a d'imparfait en nous. Viendra le temps de quitter les pieds de Jésus, de rentrer dans les exercices ordinaires. Mais le partage de Marie ne périra pas. La parole qu'elle a écoutée la suivra partout. L'attention secrète qu'elle y aura, lui fera tout faire comme il faut. Elle ne rompra ce silence intime qu'avec peine, et lorsque l'obéissance et la charité le prescriront. Une voix intérieure ne cessera de la rappeler dans son secret. Toujours pressée à y retourner, elle ne laissera pas de prêter son attention à ses emplois; mais elle souhaitera avec une infatigable ardeur sa bienheureuse tranquillité aux pieds du Sauveur, et encore avec plus d'ardeur la vie bienheureuse où la vérité sera manifestée et où Dieu sera tout en tous.

Asc,6311b:T14 Au reste, mes frères, que tout ce qui est véritable, tout ce qui est honnête, tout ce qui est juste, tout ce qui est saint, tout ce qui nous peut rendre aimable (sans vouloir plaire à la créature), tout ce qui est d'édification et de bonne odeur, s'il y a quelque sentiment raisonnable et vertueux, et quelque chose de louable dans le règlement des mœurs, que tout cela soit le sujet de vos méditations et l'unique entretien de vos pensées. Car à quoi pense celui qui est uni à Dieu, sinon aux choses qui lui plaisent? Que si quelqu'un parle, que ce soit comme si Dieu parlait en lui: si quelqu'un sert dans quelques saints exercices, qu'il y serve comme n'agissant que par la vertu que Dieu lui donne, afin qu'en tout ce que vous faites, Dieu soit glorifié par Jésus-Christ et tout ce que vous ferez, faites-le de tout votre cœur: jamais avec nonchalance et par coutume, comme par manière d'acquit. Faites-le, dis-je, de tout votre cœur, comme le faisant pour Dieu et non pour les hommes. Servez Notre Seigneur Jésus-Christ, que ce soit votre seul maître. Amen. Amen. Oui, je viens bientôt. Ainsi soit-il. Venez Seigneur Jésus, venez, la grâce de notre Seigneur Jésus-Christ soit avec vous. Amen. Amen. Finis.

Asc,9006a:S

Tesori di confidenza in Dio Proposti alle anime angustiate dal P. Giuseppe Loggero Sac. Oblato di M.V., ridotti a miglior lezione da Pietro Paolo Gastaldi Sac. della med. Congr., Torino, G.B. Berruti, 1898

Asc,9006a:I1 L'opera è stata pubblicata per la prima volta a Pinerolo nel 1831 con il titolo Tesori di confidenza in Dio ossia Compendio del manuale dei Poveri, coll'aggiunta dello scioglimento delle difficoltà a conforto de' peccatori bramosi di convertirsi e delle anime angustiate da eccessivo timore. Essa venne tradotta in francese ed edita a Parigi nel 1834. Nel 1879 fu stampata in Roma presso la Tipografia Poliglotta della S. Congregazione di Propaganda Fide. Altre edizioni italiane si ebbero nel 1898 e nel 1931. La prima parte del libro, come si dice nel titolo originale, è ricavata dal Manuale Pauperum del Ven. Padre F. Alessandro, carmelitano scalzo. La seconda, pur “essendo opera e lavoro del Loggero, fu però esaminata e riveduta dal venerando P. Lanteri”, come ebbe a notare Padre Gastaldi. Loggero si spinse più in là fino ad affermare che il libro si può dire del Lanteri, in quanto “Egli lo rivide e corresse più volte finché fu ridotto a di lui piacimento” (Loggero, Memorie, pag. 6, cfr. Positio, 632). Dimenticando come la prima parte sia una redazione di un'opera precedente e come Lanteri fosse negli ultimi anni malato e debole, nella prefazione all'edizione del 1931 si arrivò a dire: “Questo volume […] è tutto di ispirazione Brunoniana, può servire a dare un saggio della spiritualità di quest'Uomo, a cui il Piemonte, e non solo il Piemonte, deve gran parte della sua grandezza religiosa”. Riportiamo qui di seguito l'avvertimento di Gastaldi all'edizione del 1898. Da esso si può capire perché vada data una particolare attenzione agli ultimi due capitoli della prima parte e alla seconda parte.

Asc,9006a:I2

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“Al Pio Lettore La presente operetta, appunto come il titolo che porta in fronte, è un vero conforto non solo alle anime dubbiose ed angustiate, sì a quelle tuttavia che investigando le ricchezze della bontà di Dio, bramano crescere in riconoscenza ed amore verso di Lui. La prima delle due parti onde consta, spiega trenta motivi di fiducia che soavemente dilatando il cuore, lo inondano di letizia e di pace. È dessa come si dicesse un compendio del Manuale pauperum composto, sono ormai trecent'anni, dal Venerabile Padre Alessandro di S. Francesco de' Carmelitani Scalzi, maneggiato e ridotto alla presente forma dal Padre Giuseppe Loggero della Congregazione degli Oblati di M.V., al quale compendio stampato la prima volta nel 1831 in Pinerolo dalla Tipografia Vescovile di P. Massara-Novara aggiunse del suo il tesoro XXIX: La nostra predestinazione, ed il XXX: La santa allegrezza. La seconda parte poi nella quale si sciolgono le obiezioni contro la bontà e misericordia di Dio, è di sana pianta lavoro e studio del sullodato Padre Loggero. Vivendo Egli in tempi nei quali parecchie verità, tuttoché registrate nella Sacra Scrittura e nei Padri, erano però commentate oltre i termini del giusto e del conveniente, cercò di mitigarne l'asprezza, e colla scorta de' migliori Interpreti ed Apologisti cangiare quelle spiegazioni troppo austere in principi e fondamenti di soave speranza.

Asc,9006a:I3 Il bene da Lui fatto con quest'opera sua fu grande, e come quelle acque amare che si addolcirono pel legno gettatovi dentro dal profeta Mosè (Exod. 15, 23), così molti cuori angustiati da soverchio timore, leggendo queste pagine cominciarono a respirare più serenamente tranquilli, e quel Dio che di continuo temevano circondato di pura giustizia e vendetta, comparve loro, qual è veramente, Dio di bontà e di amore, Domine qui amas animas (Sap. 2, 27). Perciò molti sacerdoti, direttori di anime e superiori di Religioni bramavano e chiedevano che nuovamente si consegnasse questo lavoro alla stampa. Quantunque la cosa fosse buona in sé ed eccellente, ciò nullameno sembrava che sarebbe stata anche migliore se, riveduto il testo, comparisse non dico in altra forma, sì nella prima sua, ma meno dimessa. Imperocché, o sia che le troppe occupazioni gli togliessero il tempo, o non curando la lingua badasse maggiormente all'intelletto ed al cuore, è verità però che non di rado lo scritto del Loggero lasciava desiderare assai, ed era esercizio di pazienza. Laonde piegatomi al desiderio de' miei superiori procurai questa nuova edizione, cui aggiunsi una biografia del Loggero medesimo. Pietro Paolo Gastaldi S. O. di M.V.” Questa biografia, stampata da Gastaldi col titolo Brevi cenni circa la vita del P. Giuseppe Loggero, pp. IX-XXIV, non viene riprodotta nella presente edizione.

Asc,9006a:T0,1

Parte prima Tesori di confidenza in Dio

Asc,9006a:T0,1

Prefazione Sebbene Iddio, che è infinita bontà per essenza, sia sopra ogni cosa degnissimo di amore, ciò non di meno, tanto ci parrà Egli più amabile quanto lo crediamo tale, cioè buono infinitamente, ed oltre ogni dire propenso a farci del bene. Ma se all'opposto dubitiamo della carità sua immensa, facilmente per tali dubbi ci si raffredda nel cuore ogni affetto per Lui. Così pure il desiderio del Paradiso deve essere tanto vivo e connaturale ad ogni cristiano, quanto a chi si trovi schiavo tra barbari, la brama di ritornare libero alla cara sua patria. Ora, quantunque principale scopo di alcuni autori sia di far conoscere Iddio nella sua amabilità, e procurare, come dice S. Paolo, che tutti i fedeli abbondino di speranza1

Non è quindi meraviglia se molti cuori si fanno vedere pusillanimi e senza spirito nel Divino servizio; simili appunto a quei soldati già mezzo vinti, solo perché temono di esserlo, e volgono codardi le spalle al nemico, perché si credono incapaci di fargli testa.

animandoli all'acquisto del Paradiso; molti altri però coll'ispirare soverchio timore li abbattono; mercecché presentando la Religione sotto rigidissimo aspetto, dipingono Iddio come padrone di difficile contentamento, più propenso al castigo che non al perdono, e così inducono a supporre quasi insuperabili le difficoltà di pur giungere alla beatitudine eterna.

Né minore è il danno che ne incoglie alle anime buone; poiché abbattute da siffatto eccessivo timore, come infermi che talora appetiscono cibi che arrecano più danno che non sollievo, riescono

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a fomentare e nutrire colla lettura di tali libri la tristezza e la diffidenza della propria salute, sino a rendersi quasi incurabili. A porgere dunque sì ai primi che ai secondi un rimedio, parve cosa ben fatta mettere loro sott'occhio talune verità consolanti, le quali essendo pur capaci di illuminarne lo spirito, rianimassero in pari tempo la confidenza in Dio.

Asc,9006a:T0,2 Anche si convengono queste verità alle anime tiepide; perché siccome la debolezza nasce dall'eccessivo timore, così la considerazione delle verità terribili a vece di riaccenderle al bene, accresce le difficoltà del metterle in opera: ed all'incontro per questa delle consolanti ravvivandosi la fiducia in Dio, rinasce pure il coraggio e si aumenta il fervore nel divino servizio2

Dirò di più: è utile un tal conforto a quegli stessi grandi peccatori, i quali vorrebbero convertirsi, ma atterriti dalla moltitudine dei peccati, dalla difficoltà di vincere le cattive abitudini, dall'ostinato resistere alla grazia, stimano quasi impossibile la conversione, e vano ogni sforzo di salvarsi; a costoro, dico, non solo utile, ma è necessario così fatto conforto, affinché, come osserva l'Angelico, spinti da disperazione, non proseguano a battere senza freno la strada dell'iniquità, né lascino di affaticarsi per giungere a salvamento

.

3

A tutti insomma fa bisogno appigliarci all'ancora saldissima della confidenza in Dio, sì per domandare ed avere il perdono delle colpe

.

4, sì per correre la via dei Divini Comandamenti5

Per tutte queste ragioni, parve buona cosa assai dare alla luce il presente compendio, cui è aggiunta una seconda parte, nella quale chiamati ad esame quei versi della Sacra Scrittura, i quali paiono ispirare terrore ed eccessivo spavento, se ne sciolgono le difficoltà; primo, a disinganno di coloro che da tali espressioni prendono occasione di fomentare idee contrarie alla bontà di Dio; secondo, a sollievo delle anime angustiate da soverchio timore; e finalmente a vantaggio dei peccatori, acciocché, liberati dalla diffidenza del perdono o dalla supposta grave difficoltà di salvarsi, non vogliano più oltre annighittire nella colpa.

.

Piaccia al Signore di benedire questa, quantunque tenue fatica, ed alla sua bontà dolce e soave, far sì che torni a maggiore sua gloria, ed a vantaggio delle anime nostre.

Asc,9006a:T1

Tesoro I. I meriti di Gesù Cristo Asc,9006a:T1,1

O Gesù, tesoro di tutti i tesori, Voi contenete la pienezza delle celestiali ricchezze, e da Voi ne deriva tutto che possiamo avere di prezioso e di grande. O Gesù, in Voi veramente ci si fa manifesta l'origine di tutti i meriti, essendo Voi quella miniera divina donde possiamo di continuo accumulare tesori senza che mai abbia a diminuirsene la soprabbondanza: dirò di più, qualunque dovizia di beni possiamo desiderarci, sarà sempre infinitamente al disotto di quanto in Voi possiamo avere e possedere. Discendeste pure nella pienezza dei tempi dal trono reale6, o desideratissimo nostro, e veniste dall'altezza dei Cieli a visitarci, e fummo inondati di letizia7, poiché appena vi ebbe veduto l'eterno divin Padre vestito di nostra carne, subito in grazia vostra ci fece dagli Angeli annunziare la pace8, e liberandoci da ogni miseria, ci destinò al regno suo, e ci colmò d'ogni bene9

Ed ora per maggiormente accenderci nell'amore del caro nostro Gesù, e meglio comprendere di quale inestimabile tesoro ci abbia arricchiti, consideriamo attentamente il valore ed il merito delle sue operazioni, e quante gli siano costato fatiche e dolori.

.

Mettiamo dunque sopra la bilancia da una parte il merito del primo suo pensiero od azione, e dall'altra il cancellamento dei peccati del mondo, e la redenzione di tutto il genere umano: se questo ci pare ancora poco, aggiungiamo il dono della grazia di Dio, e la partecipazione all'eterna gloria: e se la bilancia tuttavia non batte pari, immaginiamo infiniti mondi, pensiamo a doni e grazie quanto si possa dire eccellenti; ora tutti questi doni e queste grazie saranno sempre inferiori paragonate al dono della unione ipostatica del Verbo colla umana nostra natura, od anche solamente col primo pensiero, od azione sua, quantunque minima, perché e quest'azione e questo pensiero sono di valore infinito.

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Asc,9006a:T1,2 Se dunque, o buon Gesù, un solo vostro pensiero, una lacrima sola è di tanto merito e valore, di quale saranno tanti viaggi, stenti, pene, e dispregi da Voi per amore ed utile nostro sofferti? Di quanto prezzo quello schiaffo, quei flagelli, quelle spine e la spietata morte di croce? Oh immenso abisso d'amore, e di meriti! Oh pelago senza fondo e senza misura che eccedi ogni umana ragione! Che se saremmo sommamente consolati qualora nei temporali nostri bisogni avessimo un capitale, che senza affievolirsi, né scemare, ci provvedesse compitamente in tutti gli incontri; oh come dobbiamo chiamarci felici e beati, essendo in Gesù Cristo possessori di un capitale, che oltre non diminuire, ci dona i mezzi per comperare il Cielo, anzi lo stesso Padrone del Cielo! Eppure qual caso ne abbiamo fatto finora? Deh, Cristiani! Partecipi noi, possessori e padroni dei meriti di Gesù Cristo, quantunque poveri ed abietti, accostiamoci a Lui, e vedremo per esperienza quanto sia benigno, e liberale nel distribuire le sue ricchezze. Con esso Lui non fa bisogno d'oro o d'argento10 per aver beni: nessuno è ributtato o mandato via scontento, se pur egli stesso non lo voglia, perché il nostro Gesù per eccesso di carità è venuto in questo mondo a stentare, patire e morire sulla Croce, e così formare il tesoro di tanti meriti a beneficio di noi poveri peccatori11

Onde sebbene, o Signore Iddio e remuneratore nostro, il solo volgere verso di noi il pietoso vostro sguardo sia opera di grande misericordia, perché non lo meritiamo, tuttavia se mirerete la faccia del vostro Cristo

.

12

Asc,9006a:T1,3

, ogni altra ricompensa fuori di Voi sarà certamente assai inferiore a quella, che per Lui è dovuta; perché quei tesori infiniti di beni e grazie, che ci furono acquistati colle azioni, fatiche, digiuni, virtù, patimenti, morte, e meriti tutti del nostro caro Gesù, tutti senza riserva li ha lasciati scritti alla nostra partita, acciocché liberamente li riscuotiamo.

Oh! In qual sommo pregio teneva S. Bernardo questo tesoro, allorché trovandosi gravemente infermo, e già quasi per dare l'ultimo spirito, gli parve essere presentato al tribunale di Dio, ove si fece vedere anche Satana, il quale allegava quanto poteva, e sapeva trovare contro di lui: ma il Santo senza turbarsi, coraggiosamente rispose: “Lo confesso, né sono degno, né posso per i miei meriti ottenere il regno dei Cieli. Sappi nondimeno che il mio Signor Gesù Cristo lo possiede per due titoli: uno come Figliuolo di Dio e perciò vero erede; l'altro per averlo comprato a prezzo del proprio sangue sparso nella sua Passione e morte. Egli si contenta del primo titolo; del secondo ne fa a me libero e grazioso dono, in virtù del quale non mi può essere negato il Paradiso; e quindi né temo le tue accuse, né per i miei peccati mi confondo io punto”. A tale risposta restò vinto il Demonio; e l'uomo di Dio giustificato, ritornò in sé. Apparvegli poi la Beatissima Vergine accompagnata dai Santi Lorenzo e Benedetto e lo guarì della sua infermità. In questo modo adunque appoggiati ai meriti preziosissimi della Passione di Gesù Cristo, procuriamo d'acquistarci il tesoro del regno dei Cieli.

Asc,9006a:T2

Tesoro II. I meriti e l'intercessione di Maria Ss. Asc,9006a:T2,1

Fra questi tesori annoveriamo pure ed onoriamo Maria Santissima Madre nostra, perché, dice lo Spirito Santo13

Orsù accostiamoci a Lei; corriamo al suo cuore pietoso, mostriamola all'eterno Padre, e basterà per ottenere quanto desideriamo; perché è un troppo sicuro ed utile trafficare, quando il negozio passa tra una ricchissima ed amorosissima madre, ed un suo figliuolo povero e necessitoso. Oh quanta sicurezza di ottenere, quando quella che intercede è tutt'insieme Madre di Dio che ha da concedere, e dell'uomo, che tiene bisogno di ottenere!

, quegli che onora la madre sua è appunto come chi fa tesori.

Infatti, o Madre di Gesù, che non meritaste, allorquando concepiste e deste alla luce questo Uomo-Dio? Quando lo nutriste e portaste nelle vostre braccia? Quando stanco lo refiziaste, e finalmente quando come madre fedele ed amorosa da quella spada medesima, che a Lui diede morte, fu affannosamente trafitto il vostro cuore addolorato?

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O buono e dolce Gesù, se ai vostri servi prometteste troni nel Cielo, e li costituiste Giudici e Principi del mondo14, perché lasciarono tutte le cose per amor vostro e vi seguirono; se a chi dona al bisognoso un bicchiere d'acqua fresca15 per amor vostro, date rimunerazione centuplicata, e promettete la vita eterna, i meriti della Santissima Madre vostra quale mercede avranno? Quale pertanto non deve essere la nostra fiducia se con tutti i beni del Figlio16, essendoci anche data la Madre17

Asc,9006a:T2,2 , furono per conseguenza fatti nostri anche i suoi meriti?

Perciò differente dai Discepoli18, non mai questa buona Madre volle sapere quale sarebbe stato il suo premio; e, ciò sia per mostrarsi a questo modo vera Madre di Gesù, sia ancora perché fu sempre sua intenzione, che quanto era dovuto ai suoi meriti, tutto fosse di noi poveri peccatori. Né qui finiscono tanti beni, poiché altri maggiori assai ce ne annunzia la Chiesa con dirci19

Ma, o benedetta Madre nostra dolcissima, non potevate anche stando in terra fra noi provvedere alle necessità dei peccatori? Se i vostri meriti debbono ottenerci il perdono, ed il cancellamento delle colpe, rimanendo Voi sulla terra sempre li avreste moltiplicati, la qual cosa non potete fare nel Cielo. Sì questo è verissimo; però siccome quando il benedetto Figlio vostro parlando di ritornarsene al Padre

a questo fine essere stata da Dio assunta al Cielo la Vergine, perché colassù fidatamente interceda per la remissione dei nostri peccati.

20 sentiste che diceva: essere spediente per noi che se ne andasse, perché ci avrebbe mandato il Paracleto; così, o Madre pietosa, ci immaginiamo che venuto il tempo della vostra andata al Cielo, abbiate detto: “Figli miei, lasciatemi andare, perché grandi sono i beni, che a voi ne verranno. Avendo già un avvocato in terra nella persona dello Spirito Santo mandatovi dal Padre in grazia del suo e mio Unigenito, avete ora bisogno che io vi sia avvocata nel Cielo, ove vicina del Figlio mio starò di continuo intercedendo per voi21

Asc,9006a:T2,3

, epperciò lasciate pure che io vada, poiché prenderò a cuore la vostra causa nel Cielo”.

Anzi quanto maggior vantaggio ce ne verrà, o Madre carissima, se vi degniate considerare, che se tanto foste sublimata, e siete sì potente e gloriosa, noi peccatori ve ne apprestammo la via per le colpe, che purtroppo abbiamo commesse. Egli è vero, o Benedetta Madre nostra, che sopra ogni altro avete in somma abominazione il peccato, ma è vero altresì che non potete aborrire noi poveri meschini, perché senza di noi non sareste sollevata a Madre di cotanto Figlio22

Con quale certa speranza possiamo dunque ricorrere a questa amorosa Madre nelle nostre angustie! E dire con tutta fidanza e arditamente al suo Figlio: “O divin Giudice, mentre ci ricordiamo d'aver favorevole Maria Madre nostra, non paventiamo l'essere citati al giudizio, perché essendo noi il prezzo del vostro Sangue

, ed è per questo motivo che ci invitate a ricorrere a Voi; ci accarezzate con peculiare affetto per mondarci dalle colpe, che in noi vi dispiacciono, e per tale opera di misericordia e pietà procurate di compensarci con quei beni, onde fummo occasione a Voi di entrarne nel possesso.

23

Oh quanta fiducia dobbiamo riporre in Maria! Imperocché se conosciamo d'avere Iddio per amico e benevolo, è necessario stare di buon cuore, essendo che in Lui possediamo ogni bene; se poi ci consti d'averlo contro di noi adirato per le nostre colpe, detestiamole sì, ma non disperiamo; anzi, armiamoci subito di grande speranza, mercecché

ed essendone Voi giusto esaminatore, quanto neghereste al vostro Sangue, lo neghereste pure a quella Madre, che ve lo diede; epperò avvertite di non fare torto alla Genitrice vostra Santissima, dando libero corso al vostro, benché giusto sdegno, contro di noi miseri e peccatori”.

24 sebbene sia nel colmo del suo sdegno, non lascerà di ricordarsi della sua misericordia, cioè di quella Vergine benedetta, la quale appunto volle fosse chiamata Madre di misericordia; ed essendo Ella tutta tenerezza, non può non sentirsi muovere a pietà delle miserie nostre, perché anche noi fummo nella persona dell'amato Discepolo Giovanni a Lei dati per figli dal figliuolo suo Gesù25.

Asc,9006a:T3

Tesoro III. I meriti e l'intercessione dei Santi Asc,9006a:T3,1

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Quanto è mai ricca e spaziosa la casa di Dio! E chi potrà comprendere l'abbondanza dei suoi tesori? I domestici di questa beata famiglia sono ben provveduti di doppia veste26

Asc,9006a:T3,2

, cioè di grazia e di gloria, e tengono in mano diversi vaselli pieni di benedizioni e ricchezze non già in loro uso e servizio, non avendone bisogno veruno; sì per diffonderle sovra di noi poverelli e comunicarcele. Orsù dunque facciamo cuore, benché necessitosi assai; e se riverenti e timidi ci prostriamo in quella gran corte del Paradiso alla maestà del sommo Re e della Sovrana Regina, accostiamoci fidatamente però ai nostri compagni e fratelli, cioè a quei beati Spiriti: portiamo con noi molti vaselli vuoti, che senza fallo saremo per mezzo loro abbondantemente forniti d'ogni bene, e la casa del cuore nostro sarà con grande vantaggio ricolma d'ogni benedizione.

Né abbiamo da temere, che ci avvenga come a quelle vergini stolte, le quali non furono ricevute dallo sposo; poiché non ci accostiamo già come desse con mal guarnite le lampade a ricevere premio e mercede; ma supplichevoli per avere grazia e fortezza per operare virtuosamente, e quindi ottenerne la corrispondente mercede. Accostiamoci senza timore; le porte di questo Reale Palazzo stanno di continuo spalancate a quelli che con tale disposizione desiderano entrarvi. In quella Reggia non si dà repulsa a veruno; sì i nobili paggi, che i Grandi, anzi lo stesso Re, instantemente invitano a battere, cercare e chiedere. O felice e mille volte beata Reggia, in cui si reputa maggiore ventura il dare, che non il ricevere! Reggia abitata da Principi tanto nobili e generosi, che mai non cercano il proprio utile, sì la gloria ed il piacere del loro Sovrano; cui quanti si aggiungono compagni, altrettanto si aumenta la letizia e la gioia. Reggia felice e veramente desiderabile, ove dal Re si celebra più festoso e giocondo banchetto27, se vegga un povero peccatore stare alla porta piangendo, e domandando misericordia, che non nel sentire migliaia d'Angeli soavemente lodarlo. E chi troverà nel mondo Reggia consimile? O Gerusalemme veramente beata! O città di Dio eccelso28, quanto grandi cose sono state dette di te! Ricorriamo pertanto con grande fiducia a quei beatissimi Spiriti29

Né ci stupisca cosiffatto linguaggio, poiché fin da quando l'umanità nostra nel Salvatore Gesù, e nella Vergine Madre prese possesso dei Cieli, fu adorata dagli Angeli, d'allora in poi questi spiriti celesti tanto ebbero ed hanno a cuore il bene e la gloria nostra, da non sentire cosa che in certo modo più li prema ed affligga, quanto vedere noi compagni del loro Re e parenti, anzi fratelli, immersi in tante miserie, spogliati d'ogni bene, caduti nella schiavitù del Demonio e da lui scherniti, insultati, derisi.

, i quali tutti come nostri tutori e curatori affettuosamente s'impiegano in radunarci ricchezze di Paradiso, di cui molto più bramano farcene doviziosi, che non noi di acquistarle.

Asc,9006a:T3,3 E quanto considerammo degli Angeli, ugualmente ed a più grande ragione lo dobbiamo credere dei Santi, poiché conoscono a quanto sublime gloria per Gesù è stata sublimata la discendenza d'Abramo, alla quale grandezza non fu promossa la natura angelica. Ripensando a sì grande beneficio, stanno dessi, per così dire, con gran timore, che provocato dai nostri peccati di nuovo incresca, e dolga al Re loro d'aver creato l'uomo30

Conoscendo pertanto la nostra povertà, non stiamocene neghittosi più oltre, perché morremmo di disagio; ma procuriamo di provvederci qualche corona, o candida di verginità, o rubiconda di martirio, o verdeggiante di confessore con sofferenza di fatiche e di travagli per Dio. Eccole queste corone ci sono preparate sulle piazze della Figliuola di Sion; ed i beati cittadini che vediamo colassù congregati, stanno come diligenti mercanti specolando circa la maniera di procurarci tesori di meriti, trattando il negozio della nostra eterna salute.

e sublimato cotanto; epperò ad esempio della loro Regina e Signora con grande studio procurano di arricchirci dei loro stessi tesori e beni, anzi vorrebbero poter donare e trasfondere in noi tutta l'abbondanza dei loro meriti.

Ci si allarghi dunque il cuore ed affrettiamoci a fare nostri i beni infiniti di Paradiso, nulla curando le bagatelle terrene che sinora con tanta ansietà e pazza premura cercammo. Che se brameremmo tuttavia un pegno di maggior sicurezza per avvicinarci a quei beatissimi, ecco tra loro molti ve ne ha che già ci furono in questo mondo od amici o parenti, od a noi per alcun beneficio legati. Ora da costoro quanto non possiamo riprometterci aiuto per fare acquisto d'ogni

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vera ricchezza, mercecché nello stato loro felice, non solo vivono ricolmi d'ogni bene, ma pieni di carità per farcene partecipi!

Asc,9006a:T3,4 Sopra tutto poi ci apporti gaudio e confidenza grande il considerare che, mentre siamo in questo esilio, ciascuno ha per compagno un Angelo cui da Dio fu commessa la cura di noi; ed egli in tutte le vie nostre sarà nostro custode31. Questo Angelo ci ama teneramente più che se ci fosse stretto congiunto, anzi più che il padre o la madre nostra medesima. Così sommo è l'amore che ci portano gli Angeli, atteso che per noi furono fatti degni di vedere l'umanità del Verbo Salvatore Cristo Gesù. Onde come a ripagarcene sono solleciti ad illuminarci, additando la strada per cui camminare; così ci sostengono colle loro mani, affinché sgraziatamente non cadiamo nei lacci tesi dai fraudolenti e superbi nostri nemici32

Se pertanto andremo di conserva col nostro buon Angelo e gli saremo obbedienti in tutto ciò che propone ed insegna, ce ne verranno moltissimi beni, poiché ogni opera buona, sia pur piccola, ed ogni nostra mortificazione, sia pur leggera, sarà da lui presentata al cospetto della divina Maestà a fine d'ottenerne ed impetrarne benefici sempre maggiori, e più copiosa l'abbondanza della sua grazia.

, essendo verissimo che il minimo tra gli Angeli è più accorto e valente, che non tutti assieme gli spiriti dell'inferno.

Coraggio, dunque, coraggio: di che temiamo? Confortiamoci alla vista di tanti e tali aiuti, e procuriamo ad ogni costo di giungere al possedimento di quel Regno beato.

Asc,9006a:T4

Tesoro IV. I meriti e l'intercessione di tutti i giusti della Chiesa militante

Asc,9006a:T4,1 Se pur vivendo su questa terra ci riesce difficile salire al Cielo ed ameremmo gustare ed avere di quei frutti che si maturano nel nostro esilio, volgiamo dunque lo sguardo a quella moltitudine d'uomini giusti che furono, sono e saranno nel mondo. Siano tra questi non solo i vissuti perseveranti nel bene e predestinati alla gloria, ma quanti tuttoché per brevissimo tempo, furono, sono e saranno amici di Dio. Deh quale cumulo sterminato di opere sante non vennero dalla loro pietà, e quindi quante ricchezze per il Cielo!! Eppure, oh nostra gioia, in virtù della comunione dei Santi noi partecipiamo a questo immenso tesoro, ed in ogni giorno, ogni ora e momento arricchiamo l'anima di cotanto nobili beni. O Gesù, verità eterna ed infallibile, non diceste Voi forse che se due di noi ci accorderemo sopra la terra a domandare qualsiasi cosa, ci sarà concessa dal Padre vostro che è nei Cieli33

Ora che farete se saranno dieci gli uniti a pregare ed operare per nostro vantaggio? Che, se siano cento, se mille? E se saranno uniti tutti quelli dei quali Voi solo conoscete il numero, perché Voi solo tenete piena notizia d'ogni istante dell'eterna eternità? Oh con quanta larghezza quel buon Padre di famiglia darà ai suoi figli quella parte che loro è dovuta, memore della promessa fatta! Quanto utile sarà a noi questa eredità nostra

?.

34, se cristianamente vivendo ce ne staremo uniti coi Santi; tanto più che il celeste Padre stima non solo le opere grandi ed eroiche, ma tiene pure in gran conto ogni minima azione dei giusti, di modo che non lascia senza premio un bicchiere d'acqua fresca data in nome di Gesù Cristo suo Figlio35

Asc,9006a:T4,2 !

Se quando Iddio bruciò quelle infami città di Sodoma e Gomorra con fuoco dal Cielo36, Lot e la sua famiglia ne furono liberati per i meriti di Abramo, non siamo per avventura anche noi altrettanti suoi figli? Ponderiamo dunque più attentamente questa nostra felicità. È vero che tutti cadendo in quel primo capo Adamo, fummo soggetti ad infinite sciagure, ma siano grazie al nostro Dio, il quale per Gesù e per i meriti della sua Passione e morte ci ha dato altri capi, in virtù dei quali se vivremo uniti con loro possiamo ottenere forza e vigore per ogni opera buona. Così di questi nuovi capi a noi dati, uno è Abramo padre di molti meriti, nel quale furono benedette tutte le genti. Anzi nella pienezza dei tempi se ne venne dall'imperiale trono del Cielo il nostro amato capo Gesù, in cui solo si trova tutta la pienezza della divinità, ed è fonte ed origine di ogni giustizia e giustificazione, dal

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quale poi come da capo, si diffuse tanta virtù in noi che siamo e corpo e membri suoi, fu cancellata la sentenza di dannazione eterna, e fummo fatti salvi37

Asc,9006a:T4,3

, purché volontariamente col peccato non vogliamo da Lui separarci. Così pure dopo la gloriosa sua ascensione al Cielo Gesù Cristo ci lasciò S. Pietro per capo e fondamento della sua Chiesa, per la fede e buone opere del quale fosse stabilita e benedetta.

O Beatissimo Pietro, se l'ombra del vostro corpo tanto poteva presso Dio in beneficio degli infermi, quanto più gioverà a noi l'essere con voi un corpo stesso, e membra di quel capo, del quale anche voi siete membro? Se a quelle catene, che vi tenevano legato nell'oscura prigione furono comunicate tante prerogative per aver solamente toccato il vostro corpo, che si farà a noi in grazia vostra, a noi che componiamo insieme a voi questo corpo mistico? Non crediamo già, o Principe, che abbiate pregato Iddio di comunicare quella virtù all'ombra del vostro corpo ed a quelle catene; e nulladimeno la comunicò in tanta abbondanza; ora è certo, che nei tormenti da voi tollerati, pregaste molto per noi figli vostri, e per noi li patiste ed offriste a Dio; quanto dunque sarà per essere maggiore l'influsso di grazie e benedizioni, che per essi ci saranno comunicate? Orsù dunque parliamo anche noi secondo la dottrina insegnataci da Gesù Cristo nostro capo e maestro. Egli comandò che ci amassimo l'un l'altro con quell'amore che ebbe per noi; ci insegnò anche a valerci di quelle parole, che Egli stesso disse: “Chi si tiene in me, io mi tengo in lui38”; ed in altro luogo: “Io sono nel Padre, ed il Padre è in me39”. Dunque può dire anche ciascuno di noi: S. Pietro stava meco unito per carità mentre pativa, pregando per me, ed io sto in lui ricevendo gli influssi delle sue orazioni. Oh potenti, preziosi ed ammirabili effetti della carità, per virtù della quale i meriti e le persone, anzi lo stesso parlare si fa comune a tutti, ed a ciascuno! Facciamo ben attenzione a ciò che l'Apostolo Paolo, assorto nel contemplare quest'unione di carità, altamente ci predica40

Asc,9006a:T4,4

: “Fratelli miei, dice egli, non v'ingannate pensando di essere ospiti e pellegrini, considerandovi quali diventaste per la caduta di quel nostro primo capo Adamo. No, non siete più quelli; ma sappiate, che siete concittadini dei Santi e della famiglia di Dio, edificati sopra il fondamento degli Apostoli e dei Profeti, pietra maestra angolare essendo lo stesso Cristo Gesù, sopra di cui voi pure siete insieme edificati in abitacolo di Dio mediante lo Spirito.”

Ora come può essere che fondati sopra un sì prezioso edificio, ed associati alle ricchezze loro ce ne restiamo poveri di meriti e di gloria? Se non ne abbiamo dunque dei nostri propri, facciamo nostre la croce di S. Pietro, la spada di S. Paolo, le pietre di S. Stefano, la graticola di S. Lorenzo e tutti insomma quegli strumenti di martiri e pene, che lavorarono ai Santi così preziose corone; e con ogni confidenza diciamo a Dio: “Signore, ecco per Voi sono stato crocifisso, decapitato, lapidato, arrostito, ucciso; quale corona in premio m'avete perciò preparato?” Che se Egli ci replicasse: “Quando vi ho io visti a sopportare per mio amore crocifissione, spade, fuoco, lapidamento e morte?” Rispondiamo pure intrepidi: “Quello che ha fatto e patito per Voi qualsivoglia dei nostri fratelli, facciamo conto di averlo fatto e patito noi stessi: siamo forse noi stati esclusi da quella unione di carità, che fa tutte le cose comuni? Se Voi medesimo ci assicurate che quanto si fa ad uno dei più piccoli nostri fratelli si fa alla persona vostra41, e se quando S. Martino diede della sua clamide al poveretto di Amiens, diceste che a Voi l'aveva donata e la vestiste e la portaste come veramente vostra; perché non possiamo anche noi vestirci come di cosa propria della veste nuziale d'oro e di porpora, che donaste ai Santi Martiri, e con quella comparirvi innanzi, protestando ed attestando, che a noi nella persona loro fu data ed è cosa nostra, attesa la società e fratellanza che a coloro ci unisce? Quel vincolo di carità che annoda e fa del povero di Amiens una stessa cosa con Voi, Gesù Cristo ricchissimo, non farà fors'anche noi poverelli una cosa medesima con tanti ricchissimi giusti; ed i loro meriti non saranno meriti nostri?” Oh quanto buona dunque e dolce cosa è che i fratelli siano insieme uniti in vincolo di vera carità42!

Asc,9006a:T5

Tesoro V. Il Sacrosanto Sacrificio della Messa Asc,9006a:T5,1

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Saliamo ora al colle dell'incenso, ove sopra l'altare viene offerto ogni giorno a Dio vivo e vero, non più il sangue dei capri o dei vitelli, ma il pane santo di vita eterna ed il calice di salute perpetua43, ove Gesù, Sacerdote e vittima, in tutti i sacerdoti ed in tutte le ostie che furono, sono e saranno offerte, sta di continuo porgendo con grande istanza44

Chi potrà pertanto rendervene le debite grazie? O dolcissimo Gesù, non fu pago il generoso cuore vostro di aver soddisfatto una volta ad ogni nostro debito col sacrificio da Voi offerto del sangue e della vita, spasimando sopra la Croce, ma voleste di più, per eccesso d'amore, istituire questo incruento Sacrificio, acciocché per Lui rinnovandosi il doloroso del Calvario, ne raccogliessimo in ciascuna Messa quei medesimi abbondantissimi frutti, che a noi provennero dalla vostra Passione e morte

supplichevoli preghiere a nostro favore; e con ogni certezza di essere esaudito, domanda che si tratti la causa nostra non solo avuto riguardo alla misericordia, sì a termini ancora di rigorosa giustizia.

45

Oh quale abisso di tesori è codesto, perché in ogni cosa ci si presenta su questo colle il nostro dolce Gesù infinitamente ricco, e bramoso di arricchirci!

.

Asc,9006a:T5,2 Infatti se miriamo a noi medesimi, per i quali viene offerto il sacrificio, eccoci46 nascosti e sepolti con Gesù Cristo, ed a Lui uniti come membra al proprio capo; epperciò Egli stesso come Capo nostro prega in noi e con noi; se poi consideriamo il sacerdote che sacrifica, in esso pure trovasi Gesù Cristo, come ministro ed offerente principale che prega per noi; se consideriamo l'Ostia che viene offerta, sta in lei realmente tutto il nostro caro Gesù, del quale pure sta scritto, che per mezzo del proprio sangue entrò una volta nel sancta ritrovata, avendo una redenzione eterna47. Se finalmente consideriamo a chi viene offerto questo sacrificio, vediamo Dio in Gesù Cristo, il quale ci assicura che chi vede Lui, vede pure il Padre suo48

Tremava con ragione quel vostro servo.

49, nel sentirsi chiamato a saldare ogni suo debito, non avendo di che pagarvi: ma noi con questo tesoro nelle mani non vogliamo neppure aspettare di essere citati al vostro divino tribunale per il pagamento dei nostri; sì con santo ardire e colla più grande fiducia di poter soddisfare a tutto rigore di giustizia, vi preghiamo di venire ora all'assestamento dei nostri conti con Voi50

Asc,9006a:T5,3 .

Infatti se lodaste, o Gesù caro, la prudenza di quel fattore, che sebbene con mezzo illecito seppe provvedere ai suoi futuri bisogni colla roba medesima del padrone, quale compiacenza non sarà per provare il vostro divino Padre nel vederci fare sì buon uso delle ricchezze infinite dell'unigenito suo diletto Figliuolo, per soddisfare a tutto rigore di giustizia, anzi, sovrabbondantemente ai nostri debiti, sebbene in certo modo infiniti? E primieramente noi vi dobbiamo, è vero, un onore infinito, attesa l'infinita vostra maestà e grandezza51; tuttavia degnatevi, o Signore, d'avere pazienza con noi52; e non sì tosto vi sia offerto quest'incruento sacrificio, ne sarete pienamente soddisfatto. Ed invero; non ricevete Voi maggior onore da una sola Messa del più povero sacerdote, di quanto ve ne possano rendere il sangue di tutti i Martiri, le lodi e l'amore dei Santi, degli Angeli, dei Serafini, anzi della stessa Regina del Cielo Maria Santissima? Conciossiaché tutti questi ossequi, quantunque grandi, sono però finiti53; ma l'ossequio e l'onore che vi si rende coll'oblazione del vostro divino Figlio Gesù in questo sacrificio, sale ad un ordine divino, ed è a tutto rigore infinito e degno di Dio; di modo che la santa Messa è veramente per eccellenza la gloria vostra54

Oh quale consolazione pertanto proviamo nel poter, sia celebrando che assistendo devotamente alla santa Messa, tributarvi un ossequio in tutto degno dell'infinita vostra Maestà! O Signore nostro Gesù, degnatevi di unire a questa vostra oblazione quella che vi facciamo dei nostri poveri cuori, e di tutti gli affetti nostri, affinché sia pure gradita agli occhi del vostro divino Padre.

e gloria sì sublime e divina, che né Voi potete averne una maggiore, né ad altri che a Voi, Signore nostro Iddio, può essere offerta.

Asc,9006a:T5,4

In secondo luogo…

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In secondo luogo sebbene sia più che giusto e conveniente55, che in ogni luogo vi si rendano continue grazie per gli innumerevoli favori a noi dall'infinita vostra bontà e liberalità compartiti, tuttavia non ci perdiamo di cuore, poiché mentre Tobia56 non sapeva rinvenire nei radunati tesori con che dare all'Angelo un degno compenso per i benefici ricevuti, noi abbiamo in questo sacrificio il mezzo di far entrare il vostro divino Figlio Gesù a parte del pagamento del nostro immenso tributo di riconoscenza e di gratitudine: tributo che Egli già cominciò ad offrirvi per noi, allorquando istituì questo divino sacrificio nell'ultima cena57

Oh Santa Messa! Come veramente tu sei oggetto di desiderio e di consolazione infinita per noi; mentre per te cessiamo di essere ingrati al nostro Dio

.

58

Neanche ci sgomenta l'immenso debito, che abbiamo per i nostri peccati, poiché l'amorosissimo nostro Gesù non contento di farla continuamente da avvocato in Cielo

.

59

Alla vista d'un Figlio disposto ad annichilarsi col perdere l'essere sacramentale, divenendo cibo del sacerdote, alla vista di tanti stenti, e di un sì caro prezzo per noi sborsato, come potrà non placarsi l'Eterno Padre

, in ogni sacrificio viene in persona sui nostri altari a farla da sacerdote e mediatore fra noi e la spada della divina giustizia. E che avremo da temere, se Gesù nell'atto più umile e riverente quasi di agnello ucciso, offrendo se medesimo al Padre suo, presenta le piaghe e la morte sua dolorosa sofferta a sconto delle nostre colpe?

60

Asc,9006a:T5,5

? Come non passare dallo sdegno a tenera compassione verso di noi? Come non accordarci il dono della contrizione, rimettendoci i peccati, per quanto siano gravi?

Ed ora quali grazie vi renderemo, o amabilissimo Gesù, che non pago l'amore vostro di onorare, ringraziare e placare per noi il celeste Genitore, vuole inoltre con questo sacrificio impetrarci ogni sorta di beni? Ed avendoci in esso aperto una miniera d'oro finissimo, possiamo ricavarne continua ricchezza di grazie secondo le disposizioni che apportiamo nell'offrirvelo od assistervi? Non lamentiamo più dunque dicendo: piacesse a Dio, che ci fossimo trovati al piè della Croce, allora quando con sì liberale abbondanza si spargeva il prezzo della nostra redenzione; oh volesse Iddio, che almeno una stilla di quel preziosissimo sangue avesse toccato gli occhi nostri, ché certamente sarebbero stati aperti come quelli di Longino, ed avremmo partecipato al gaudio del Paradiso col buon ladrone! Imperciocché quale sarebbe in tale caso la nostra fede? No, se ben riflettiamo, non eravamo lontani dalla Croce, mentre vi era presente la madre Maria ed il fratello nostro Giovanni. Anzi anche adesso siamo in realtà presenti alla Croce non solo ogni giorno, ma in ogni momento, quando con lo spirito ci poniamo innanzi all'altare di Dio, mentre si offre questo sacrosanto sacrificio. Oh! Con quale santo ardire standole così vicini, possiamo domandare con sicurezza di ottenere ogni grazia? Quale cosa non sarà pronto a darci anche al presente il Padre, volgendo gli occhi alla Croce del suo Figlio Gesù? E non saranno in ogni tempo infallibili le promesse fattegli dicendo61

Asc,9006a:T5,6

: “Chiedimi e ti sarà accordato?” Anzi, o Eterno Padre, se concedeste al vostro Figliuolo la redenzione di tutto il genere umano per virtù della Passione da Lui sofferta quella sola volta con lo spargimento del proprio sangue, che non sarete per concedergli ora a favore nostro in virtù della stessa Passione di continuo rinnovata nel sacrificio santissimo dell'altare?

In Lui inoltre noi troviamo, o divino Padre, un'altra doviziosa miniera, poiché quegli che è unico vostro Figlio e dilettissimo, si è per questa immolazione fatto nostro cibo e nostra bevanda. E ci chiameremo ancora poveri noi, che possiamo a piacimento saziarci in questo banchetto celestiale? Noi che possiamo ogni giorno ricevere ed offrire all'eterno Padre questo pane soprasostanziale per rimedio di tutte le nostre necessità? Noi insomma, che abbiamo per fondo e capitale proprio, lo stesso Dio? Supponiamo che ad un solo uomo fosse accordato un sì grande favore, non lo stimeremmo noi più di tutti i sovrani e principi della terra, anzi più ancora degli stessi Angeli del Cielo? Ora avendo Iddio fatto questo beneficio così interamente a tutti, come se a ciascuno di noi in particolare lo avesse impartito62, si consideri ognuno come quell'unica e singolare persona da Dio cotanto privilegiata, e sappiamo una volta apprezzare la nostra dignità ed essere grati a beneficio sì grande.

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O Madre beata e Vergine intatta Maria Ss., permetteteci in grazia di dirvi63, che se Iddio fece con Voi un portento ed uno sforzo veramente grande nel darsi a Voi per figlio, non minore sfoggio fece con noi della sua onnipotenza e bontà col darsi a noi in cibo e bevanda, in ostia e sacrificio64

Se stando una volta Iddio grandemente offeso contro il popolo ebreo, sì che lo voleva aspramente punire, ma facendogli Mosè con le orazioni dolce violenza, si placò, accordando il perdono

.

65

Che se le anime del Purgatorio ricevono di continuo refrigerio, alleggerimento ed anche liberazione totale da quelle pene per virtù del divino sacrificio

; non può forse assai più di Mosè la Chiesa, la quale sta di continuo offrendo non solo orazioni e preghiere, sì lo stesso corpo e sangue del dilettissimo Figlio per mediatore?

66, malgrado che non possano in tale luogo meritare; quanto più noi dovremmo essere solleciti di assistervi con frequenza e devozione per ricavarne in molto maggior abbondanza e vita e salute!

Asc,9006a:T6

Tesoro VI. Le promesse di Gesù Cristo Asc,9006a:T6,1

Ascoltiamo ora, e con attenzione ponderiamo ciò che Gesù Cristo vero Dio e Figlio del divino Padre ci ha con giuramento promesso allorché, stando per sacrificare la vita a pro dei suoi nemici, compiuta già l'ultima cena coi discepoli, fece il suo testamento, e con parole tutte di amore, obbligò se stesso ed il Padre suo verso di noi dicendo67

Se pertanto ci pare cosa indegna d'uomo il mancare di parola, ancorché la promessa sia senza giuramento, quanto più grave torto faremmo noi a Dio anche solo immaginandoci, che possa mancare alla sua giurata promessa? Certo, che se un qualche grande signore, o potente di questo mondo, o figliuolo di Re o d'Imperatore ci dicesse: “Domandatemi quanto desiderate, e prometto da quel che sono di darvelo”; quanto grande fortuna ci parrebbe questa!

: “In verità, in verità vi dico: che qualunque cosa domandiate al Padre nel nome mio, ve la concederà. Fino adesso non avete chiesto cosa nel nome mio; chiedete e otterrete, affinché il vostro gaudio sia compito”.

Ora il Figliuolo di Dio, Re dei Re e Signore dei Signori, la Signoria e Regno del quale è Signoria eterna e Regno di tutti i secoli68

Asc,9006a:T6,2

, alla cui volontà obbediscono le cose tutte sì in Cielo che in terra, ecco non solo, come faceva una volta per i suoi Profeti, ma egli stesso in persona, e con solenne giuramento ci ha promesso, che il Padre ci darà quanto in nome suo gli domanderemo; e tuttavia con sì larga e preziosa promessa non concepiremo la più grande speranza, standocene tutt'ora irresoluti e timidi? Eh! Via, stendiamo anzi la mano dell'orazione a sì nobili beni, e non siamo per tale guisa privi di senno, che volendo tenere l'occhio alla nostra indegnità, veniamo a derogare all'onnipotenza ed infallibile fedeltà di Dio, che ci fa promessa così grande.

L'essere ingannato ed ingannare altrui è cosa che sovente si vede tra uomini, ma non che trovare si possa in quegli, che essendo vero Uomo ed insieme vero Dio, ci rese questa fedele testimonianza di se medesimo, dicendo: “Io sono la verità. Il Cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno69

Che se ci interniamo via più in questi misteri d'amore, toccheremo con mano non aver noi ragione alcuna di diffidare. Infatti non aveva egli Iddio prima della sua promessa, operato in nostro bene cose di niente minore importanza, di quante volle poscia operarne? Poteva per avventura l'uomo pensare o bramare cosa più nobile e grande, quanto il vedere un Dio farsi uomo per lui?

”.

Anzi perché meravigliarci, o Gesù dolcissimo, che Voi abbiate detto “Domandate ciò che volete”; se prima di prometterci ogni cosa, non solo vi eravate già dato a noi per compagno nascendo in una capanna, per maestro insegnandoci la via della salute, ma con eccesso d'amore vi eravate fatto nostro cibo, inventando un mezzo veramente ineffabile, col quale Voi poteste stare con noi, e noi in Voi, e così vi possedessimo in una maniera tanto connaturale con sommo nostro gusto e diletto? O Gesù buono! Era necessario tuttavia farci questa promessa: domandate e riceverete? Se Voi state in noi e noi in Voi, come potremmo non possedere con Voi ogni vostro bene?

Asc,9006a:T6,3

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Consideriamo ora se sia più difficile a credersi, che Iddio abbia potuto patire per noi tanti dispregi e pene sì obbrobriose ed aspre, cose che tanto ci appaiono contrarie alla dignità di Dio, oppure abbia potuto prometterci ed assicurarci, che il suo Padre ci darà quanto gli domanderemo in grazia sua e per i meriti suoi. Non desistiamo pertanto dal chiedere, cercare e battere con perseveranza; che se talora domandando non otteniamo, non falla però Iddio nella sua promessa, ma la mancanza è nostra; imperocché o non preghiamo coll'umiltà e confidenza necessaria, o domandiamo cose non utili alla nostra eterna salute; dovendo essere certissimi, che quando siano in noi le condizioni volute, Iddio fedele mantenitore della sua parola, senza dubbio alcuno infallibilmente ci esaudirà. Si rallegri pertanto e giubili il cuore nostro per così ampia e ricca promessa.

Asc,9006a:T7

Tesoro VII. Gesù Cristo dato a noi Asc,9006a:T7,1

Se possiamo accostarci con tanta fiducia al trono di Dio per domandargli che compia la sua promessa, quanto più confidentemente possiamo pregarlo, che ci dia non solo quanto promise, sì quel che in effetto ci donò una volta? Ora non ci ha forse Iddio già donato quanto di bello e di buono Egli abbia70? Sono pure queste le precise parole di S. Paolo: “Dio ci donò tutti i beni allora quando ci donò il suo Figliuolo”. O beato Apostolo, che dite voi mai? E sarà dunque ciò vero? Che se appunto così è la cosa, nulla dunque gli restò che donarci, mercecché fuori del bene non c'è che dare, e quanto Dio fece e creò, tutto è buono71, anzi tute le cose possibili nel loro modo di esistere sono buone. Lo stesso primo essere increato è buono; dunque tutto ci fu dato e donato quando l'Eterno Padre ci diede il suo proprio Figlio72

E veramente non fu un donarci il proprio Figlio, quando per nostro amore lo volle nato in vile capanna? Umile ed obbediente sino a lasciarsi vendere, giudicare e crocifiggere dagli uomini quasi fossero suoi signori e padroni

. Altissima verità Voi ci insegnate, o gran Maestro delle genti; verità che essendo noi tenuti a credere di fede, in tutto ci assicura e ci dà certa caparra della nostra felicità e beatitudine eterna, perché in tale maniera ci vediamo come fatti padroni di Dio e di ogni suo avere; essendo certissimo che in virtù della donazione s'acquista il dominio della cosa donata.

73

O sapientissimo Apostolo, grandi in vero sono le cose che ci dite; e tuttavia sono verissime! Non era dunque sazia, o Signore, la vostra carità sottomettendo a noi le pecore ed i buoi, gli uccelli dell'aria ed i pesci del mare

? Essendo poi questo Figlio vero Dio, non ne viene forse per legittima conseguenza trovarsi in Lui racchiusi tutti i beni?

74

Asc,9006a:T7,2 , se non ci sottomettevate in certo modo anche lo stesso Creatore?

Ah perdonateci, o Gran Dio, se osiamo così parlare, perché a dire il vero, quando consideriamo il nostro dolce Gesù Figliuolo vostro lavare i piedi agli Apostoli, e quelle sacrate mani creatrici dell'universo poste sotto i piedi degli uomini, ci pare di poterlo dire senza timore alcuno. Oh inaudite ed inscrutabili invenzioni d'amore sgorgate dal fonte dell'immensa carità di Dio! Il quale trovò un mezzo veramente ineffabile, perché la creatura potesse godere in proprio vantaggio non solo di tutto il creato, ma del Creatore medesimo: poiché se lo stesso Creatore non fosse nostro, tutte le creature essendo necessariamente del Creatore, non potremmo avere cosa alcuna che fosse veramente nostra; ma avendoci fatto padroni dello stesso Creatore, ci fece pure padroni di tutte le creature sue, e ciò egli compì allora, quando disceso tra noi questo Re, che è il Figliuolo di Dio, si cominciò a chiamare figliuolo dell'uomo, e riconobbe la superiorità di questo Padre con assoggettarsi a Lui ed obbedirlo75

Che se S. Paolo appoggiato a siffatta verità non temeva guerra alcuna dicendo: “Se Dio è per noi, chi fia contro di noi

.

76?” Se lo stesso Re Davide, sebbene non avesse peranco preso possesso di questo Re Gesù Cristo, tuttavia con indicibile confidenza cantava: “Non temerò disastri, perché meco sei tu77”; come sarà possibile che ci lasciamo vincere dal timore, noi i quali possiamo dire di Gesù, che non solo sta in nostra compagnia, ma è anzi cosa nostra?

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Siamo dunque di buona voglia, e col cuore pieno di confidenza diciamo coll'Apostolo78

Affinché però non abbiamo a cadere mai in tale frenesia di voler da noi medesimi privarci di tanto bene, ricorriamo a Colui che è tutto nostro e stiamo sicuri; poiché se non può negarci se stesso, molto meno

: “Nessuna cosa creata potrà dividerci dalla carità di Dio, la quale è in Cristo Gesù Signore nostro, né privarci della sua grazia, se pure non lo vogliamo da noi medesimi con la colpa”.

79 potrà il Padre suo rifiutarci la buona volontà e la grazia di stare seco Lui uniti per sempre.

Asc,9006a:T8

Tesoro VIII. Le briciole, ossia i beni sovrabbondanti di Gesù Cristo Asc,9006a:T8,1

Se pure coll'essere noi tanto perversi, tuttavia diamo ai nostri figli quei beni che da Dio ci sono dati, sì che quando ci domandano pane, loro diamo pane e non pietre; se ci chiedono un uovo, non diamo loro uno scorpione80

Andiamocene dunque ora a scavare nuove miniere di tesori, cioè quelli della Cananea, dei quali, sebbene di valore immenso, tuttavia se ne fa parte ai cani medesimi, cioè ai peccatori.

; così se chiederemo noi al nostro Padre celeste non già pani interi, ma solo di quelle briciole che cadono dalla sua mensa e si sogliono dare ai cani, ci negherà Egli una tale domanda? E ciò via più, stante la promessa e donazione da Lui fattaci, per cui ci fece padroni d'ogni suo avere?

Usciamo pertanto dai confini dell'umana nostra condizione, e come famelici cagnolini impariamo ed avvezziamoci a chiedere, piangendo sotto la mensa del nostro Signore Iddio. Gridiamo di tutto cuore, e fortemente esclamiamo: “Abbiate pietà di noi, o Figliuolo di Davide81”; e se per avventura pare che finga di non udire, né ci risponda, mandiamo grida maggiori: se ci riprenda, se ci mostri faccia turbata, se ci chiami impertinenti e fastidiosi, se acremente ci rinfacci che siamo come cani, non sbigottiamo perciò, né perdiamo confidenza; anzi più alte alziamo le grida e confessandoci tali diciamo: “È verissimo, Signore, che siamo peggiori dei cani, però non altro vi domandiamo, all'infuori di quelle briciole che cadono dalla vostra tavola, e gli avanzaticci del pane82

Asc,9006a:T8,2

; e Voi ben sapete, che a siffatte coserelle hanno diritto i poveri, i pezzenti ed anco gli stessi cani”.

E non siete forse Voi, che ci comandaste di dare ai poverelli quanto ci avanza83

Ricordatevi, o caro Gesù, quanto rigorosamente giudicaste quel disgraziato riccone, che non volle dare in elemosina al povero Lazzaro di quelle briciole della sua tavola, sì che Voi non voleste poi concedergli neanche una goccia d'acqua da refrigerare le riarse sue fauci

? Signore, ecco qui dei poveri e dei pezzenti: quello che alla mensa vostra sovrabbonda certamente è infinito, come dunque potrà essere, che lasciate di fare con noi ciò che ne comandate di fare, mentre vi ci proponete per esempio da imitare? Oltrecché se noi facciamo elemosina di ciò che sopravanza, è certo che quanto più diamo agli altri, tanto meno ci resta; ma Voi, Signore nostro Dio, per molto che doniate ad altri delle ricchezze vostre, non per questo diminuite punto il tesoro. Se noi mandiamo via qualche povero senza dargli elemosina, non perciò si morrà di fame, trovando altri che lo soccorrano: ma se Voi, o Signore, ci lasciate digiuni, necessariamente morremo, perché nessun altro può rimediare alle nostre necessità.

84. Mentirà dunque la Scrittura la quale dice, che Voi principiaste a fare e ad insegnare85? O come si potrà mostrare vero, essere la giustizia vostra inviolabile? Voi donare e spandere largamente ai poveri86, e poi negarci anche le briciole? E come potrà reggervi il cuore che le vostre misericordie siano trattenute nell'ira vostra87

Essendo Voi pertanto compitamente satollo nella felice eternità; come potrete non accordare gli avanzi ai vostri figli, che ve li domandano? Deh Signore e Padre, l'anima nostra tiene necessità di una sola briciola: con una parola, con un solo fiat voi potete a sufficienza provvedere alla nostra miseria, e sarà possibile, che ci neghiate una parola, Voi, che per amore nostro non ricusaste di sopportare flagelli e croce?

, sì che neppure di quanto vi avanza, vogliate concedere qualche briciola per sovvenimento delle nostre necessità? Che altro poi sono in sostanza tutte le cose che noi domandiamo per la nostra salute, se non briciole in paragone dell'ineffabile e lautissima vostra mensa?

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Asc,9006a:T8,3 Voi siete pure quegli, che a noi vi proferiste dicendo88: “Chi ha sete venga a me e beva”. Voi, Signore, Voi siete quel medesimo che nella felice Samaritana diceste, che89

Perdonateci, o dolce Signore nostro, se noi miserabili entriamo con Voi in giudizio; poiché non intendiamo già di litigare appoggiati ai meriti nostri, sì a quella legge medesima, che Voi stesso vi siete fatta e ci insegnaste: anzi così trattiamo con Voi per non farvi il gravissimo affronto di avere in più basso concetto la vostra pietà, che non quella di un uomo.

se avessimo conosciuto il dono di Dio e chi era Colui che ci parlava, noi medesimi forse ve ne avremmo richiesto, e Voi ci avreste dato di un'acqua viva. Ora ecco che conoscendo di quanto gran prezzo siano queste vostre briciole, noi ne abbiamo fame e sete, ed a gran voce le domandiamo a Voi che fedelmente confessiamo nostro Signore e Dio. Ma come potrà stare vera la vostra parola, se ce le neghiate?

Ora chi di noi, se adagiato a lauta mensa, sentisse latrare un cane od un povero domandare per la fame, non gli darebbe un pezzo di pane se non per carità, almeno per l'importunità di cosiffatte grida? Ancorché pertanto noi siamo scellerati, vostri nemici, ed anche peggiori dei cani, tuttavia vi domandiamo e ridomandiamo queste briciole, ed insistiamo in ogni modo per ottenerle, perché ce le avete promesse, e ne abbiamo estrema necessità. E di chi, in grazia, sono quelle parole registrate nelle sacre pagine90

Lasciate pertanto, o Signore, se volete liberarvi dalla nostra importunità, lasciate cadere dalla vostra divina bocca quelle preziosissime briciole, che a suo sì gran pro lasciaste cadere alla fortunata Cananea, e concedeteci quello che da Voi desideriamo: mercecché da quel punto sarà anche fatta salva l'anima nostra

: “Se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare, se ha sete, dagli acqua da bere”? Perché dunque insegnandoci tali dottrine, non farete altrettanto con noi che pure abbiamo l'obbligo di seguitare i vostri esempi?

91.

Asc,9006a:T9

Tesoro IX. Gesù Cristo povero Asc,9006a:T9,1

Ed ora ci si offre anche miglior mezzo e più sicuro per giungere a raccogliere queste briciole piene di inestimabili tesori. Caviamo fuori dalla spelonca di Betlemme quel vero povero, il quale essendo in se stesso la miniera di tutte le ricchezze del Cielo e della terra, si fece per amore nostro il più indigente e bisognoso, affinché ricavassimo da questa sua povertà l'abbondanza di ogni vera ricchezza92

Presentiamolo pertanto così come sta carico di tutte le nostre miserie.

93 al divino cospetto, alla porta del palazzo del gran Re del Cielo. O voi tutti che passate per la strada, fermatevi ed osservate se si può trovare alcun misero indigente simile a questo. È costui quel povero forestiero e pellegrino preso, legato e posto in prigione, percosso e pesto sì che tiene la faccia tutta livida per pugni e schiaffi a Lui dati94, e dalla pianta del piede sino alla sommità della testa non ha parte del corpo suo delicatissimo, che non sia tormentata e malamente ferita in modo che più non si può conoscere se sia uomo. Si è fatto l'obbrobrio degli uomini ed il rifiuto della plebe95; insomma sembra un verme e non un uomo96. Si è addossato le iniquità di tutti noi e ne porta la pena; così maltrattato, se ne sta il povero Gesù alla porta della divina misericordia, batte, alza gli occhi al cielo, sospira, piange e fa orazione per i trasgressori97

Ora è cosa consolantissima il credere di essere noi in questo povero, sapendo che siamo sue membra, ed Egli sta in noi, e noi in Lui, e più non siamo molti poveri, ma un solo

.

98. Infatti: “Ebbi fame, dice Egli stesso99, e mi deste da mangiare; ebbi sete e mi deste da bere”; dice che a Lui stesso hanno dato soccorso100

Asc,9006a:T9,2

, perché dato ai suoi membri bisognosi, nel numero dei quali anche noi siamo annoverati.

Ma vediamo anche più apertamente come, eziandio, dopo la sua partenza da questo mondo per ritornare al Padre, restò nondimeno fra noi nella persona dei poveri. Se Saulo perseguita i suoi discepoli, Egli si lamenta come perseguitato nella propria persona101. Se Martino dà della sua clamide al povero di Amiens, Gesù la indossa e dice essere stata a sé donata102. Se Gregorio

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appresta il pranzo ai poveri, Gesù si fa vedere fra i convitati: quale dubbio potrà ancora rimanerci, che ogni nostra miseria o necessità non sia miseria e necessità sua? Ricordiamogli pertanto di continuo questa similitudine103

Quale partito dunque sarà il vostro, o divino Padre? Potrete forse lungamente durarla nel vedere questo Figlio diletto starsene digiuno e famelico, per non volergli accordare quattro briciole per sfarmarsi, mentre Egli per obbedirvi si lasciò privare della vita, confitto in Croce

: Medico, guarite Voi stesso in noi. Alzatevi su e giudicate la causa vostra: porgete preghiere al Padre vostro per Voi stesso, e stiamo un po' a vedere se avrà cuore di negare le briciole al Figlio suo quel Padre, cui non bastò l'animo di negare lo stesso unico Figlio ai suoi nemici medesimi? Tutto quello, o Eterno divino Padre, che ci si nega domandandolo in nome del Figliuolo vostro, viene negato al Figlio stesso, poiché siamo sue membra: e quanto in nome suo riceviamo, a Lui viene dato, ed in grazia sua ci è concesso.

104

Dunque a noi comandaste di ascoltare questo vostro Figlio, e Voi non lo udirete benigno? Potrete nascondere la vostra faccia a quel dilettissimo Figlio, che in ogni cosa perfettamente vi compiacque e vi obbedì?

?

Se pertanto ci ascoltate, se ci volgerete pietosi gli occhi, se ci porgerete soccorso, queste sono quelle briciole che noi poveri peccatori tanto desideriamo e domandiamo. Con esse sarà rallegrata, saziata e fatta salva l'anima nostra.

Asc,9006a:T9,3 O felicissima nostra povertà in Gesù Cristo, per cui nulla avendo, tutto in Lui possediamo105

Ora ci si fa agevole il comprendere perché, patendo noi fame e piangendo in mezzo alle maledizioni e persecuzioni degli uomini, siamo chiamati beati

!

106. Si è appunto perché il dolce Gesù nostro patisce nella nostra persona tutti questi mali, e supplicando all'Eterno suo Padre, viene esaudito per la dignità di sua persona e per la sua umile riverenza107; né solo ci ottiene queste briciole, ma con esse ancora un'allegrezza piena, una sazietà compita, una mercede e premio copiosissimo, il Regno dei Cieli, il possesso insomma di ogni bene in Dio.

Asc,9006a:T10

Tesoro X. La misericordia di Dio Asc,9006a:T10,1

O fonte copiosissimo di immensi tesori! Fonte le cui acque mai non vengono meno. O Signore, che con tutti sei benefico, e in tutte le opere tue hanno luogo le tue misericordie108

Ma per sempre più rallegrarci, osserviamo che la causa di questo compatire e soccorrere che fa Iddio, non è in Lui come si dicesse una passione o qualità estrinseca, che talora si trova negli uomini, ed altre volte no, ma è propria sua essenza e la stessa Deità, appunto come lo chiamava Davide; Dio mio, misericordia mia

, oh quanto buona cosa è per noi lo starcene vicino a Te! Mentre sappiamo che Dio è tutto misericordia, di che temeremo noi? Mentre è tutto impiegato in usarci misericordia, quali e quanti beni non dobbiamo sperare? Il modo che tiene l'uomo nell'usare misericordia con altri, non può paragonarsi a quello che adopera Iddio con noi. Ha compassione veramente l'uomo, ma mentre compatisce i bisognosi, non sempre li provvede, poiché non sempre ha che dare ai poveri, né sempre può fare ad altri quel bene che pure bramerebbe di fare. Ma Voi, o Dio nostro, essendo insieme misericordioso ed onnipotente, quel bene, che come misericordioso ci desiderate, come onnipotente ce lo fate.

109. Perché siccome Dio è carità, così è anche misericordia, e come ci amò con amore eccessivo, perciò anche ci compatisce e sovviene con eccessiva misericordia; e siccome Iddio è sempre Dio ed in ogni luogo, così è anche sempre ed in ogni incontro carità e misericordia. Laonde non per occasione presa da noi, né come mosso da noi, ma spontaneamente ab intrinseco, e per propria inclinazione, abbondanti a noi manda le acque delle sue miserazioni; le manda il mattino per tempo prevenendoci e muovendoci al bene; le manda sul mezzogiorno; le manda la sera; le manda ogni giorno, ogni momento ed in ogni luogo110

Asc,9006a:T10,2 .

Epperò abbiamo sempre un titolo da presentare a questo vero Padre delle misericordie111, per umilmente supplicarlo ad usarcele. Basta offrirgli per prezzo la nostra miseria, le nostre necessità, le nostre suppliche, perché ne abbia tosto compassione e ci soccorra; non supponendosi in quegli, cui

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si concede a titolo di misericordia, altro merito fuorché la sua necessità e miseria; onde quel che si dà per misericordia si dà gratis, senza contraccambio di sorta, altrimenti non sarebbe misericordia; anzi, la disposizione che in noi si ricerca per ottenerla, altra non è che il volere da vero, che questo misericordioso medico ci risani di tutte le nostre infermità. Infatti ci dice Egli medesimo nel Vangelo112: “Vuoi tu essere fatto sano? Che vuoi che io ti faccia?” Come se dicesse: “La mia misericordia è già apparecchiata e pronta, altro non manca che il tuo consenso a riceverla”. Ora quale sarà quel povero tanto miserabile che non voglia misericordia e neanche si degni di esclamare: “Misericordia, o Signore, misericordia113

O gran tesoro della veneranda bontà di Dio, che sebbene infinito, pure può acquistarsi soltanto con gridare di cuore: Abbi pietà di me!

”?

Né per piegarvi, o Signore, ad usarcela, abbiamo bisogno di molta eloquenza o di sottili e dotti argomenti: imperciocché Voi avete posto le vostre misericordie, i vostri doni, le vostre ricchezze in mano di chi le vuole e le domanda, sicché ognuno può averne quanto ne desidera e ne ricerca. La stessa sete è il prezzo con cui si compra quest'acqua celeste. Sentiamo infatti che Egli ne dice114

Asc,9006a:T10,3

: “Sitibondi, venite tutti alle acque; e voi che non avete argento, fate presto, comprate e mangiate: venite, comprate senza argento e senz'altra permuta vino e latte”.

Anzi, per tale modo bramate, o Signore, di usarci misericordia che ci prevenite, offrendocela prima ancora che la domandiamo115. Deh dolcissimo Padre delle misericordie, quante cortesie e quante grazie, perché rimosso l'impedimento della nostra ostinatezza, possiate tutta soddisfare l'inclinazione amorosa di usarci misericordia116? Poiché solo che ci pieghiamo a desiderarla, dessa è così pronta al nostro bene, che fra il domandarla e l'ottenerla, non corre tempo di sorta. Vogliamo essere fatti sani? Domandiamo, e subito lo saremo. Vogliamo essere mondati117? Domandiamo, e tosto mondi saremo. Desideriamo Iddio di tutto cuore? Domandiamo, e già ne siamo in possesso; poiché il desiderio suppone l'amore; né potremmo amare Dio senza possederlo. Insomma non dopo aver gridato a Dio, ma nello stesso punto che stiamo domandando, Egli pure sta concedendo quel che domandiamo: non aspetta dopo la tribolazione a darci conforto, ma nel tempo stesso che siamo tribolati118

Di che temiamo dunque noi tuttavia? Forse la moltitudine o la gravezza o la bruttura dei nostri peccati? Eh! Facciamo cuore: per molti e gravi che siano, ancorché moltiplicati ogni giorno a mille volte più di quanti se ne siano commessi, o per commettersi sino alla fine del mondo, sono tuttavia limitati, epperciò saranno sempre di numero infinitamente minore di quanto sia la misericordia del nostro buon Dio, perché è infinita, ed Egli è eccessivamente propenso ad usarcela, ed a perdonarci non già per meriti che trovi in noi, ma perché in se stesso è benigno, misericordioso e tutto bontà

.

119.

Asc,9006a:T10,4

Né solo perdonate… Né solo perdonate, o Signore, ma dimenticate affatto i peccati rimessi120, e versate con tutta profusione ed abbondanza sopra di noi i vostri beni e le vostre grazie come se non vi avessimo offeso mai121, e donate assai più che non oseremmo domandare: infatti quel servo debitore tremando vi chiese un poco di dilazione al pagamento, e Voi gli accordaste il condono totale del debito122; chiese a somma grazia di essere accettato quale servo in casa vostra il prodigo, e Voi gli donaste l'anello della predilezione123; vi pregò soltanto di avere di lui memoria il buon ladrone, e Voi gli prometteste il Paradiso nello stesso giorno124. Che più? Voi, o Signore, vi ci protestate obbligato, se accettiamo i vostri medesimi doni125

Il vostro amore è il solo e vero che non ha bisogno d'essere mosso da altri per amare, essendo Egli causa ed origine a se stesso di amare e favorire altrui. Dio ama e fa del bene perché vuole: però siccome questo divino amore è infinito, così con modo infinito inclina ad amare e comunicarsi ad altri.

.

Asc,9006a:T10,5

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Ma come potrà questo divino amore comunicarsi infinitamente fuori di sé? Essendo ciò impossibile, è necessario assegnare un termine alla comunicazione, che di se stesso fa Iddio attualmente alle sue creature, ed infatti ha il suo limite. Ma chi potrà mai assegnare misura, modo e confine a quella propensione e brama, che l'amoroso nostro Dio ha di comunicare a noi se medesimo? Unica e singolare, o Signore, è quella eterna ed intima comunicazione che sazia di tutti i beni i desideri nostri, quella cioè, di cui pascete nelle delizie vostre Voi stesso di Voi; mentre dal Padre al Figlio, e dal Padre e Figlio allo Spirito Santo si comunica l'essenza stessa, la medesima sostanza, divinità, amore e bontà; e questa comunicazione ad intra è veramente unica ed infinita; ma quella che esce da Voi fuori di Voi, sebbene grande e molteplice, è però limitata. Essendo infinita la propensione e tendenza vostra a fare del bene ed usare misericordia alle creature, può venire meno in noi la sete di queste acque divine, ma non mai in Voi, Dio nostro amantissimo, potrà mancare la brama di darcela, ed è perciò che di continuo ci invitate dicendo: “Chiunque ha sete, venga a bere126

Se pertanto ci trovassimo da ogni parte attorniati da mille sciagure, né sapessimo a quale partito appligliarci, alziamo gli occhi al nostro Dio, invochiamolo col Reale Profeta ed infallibilmente saremo liberati dai nostri nemici

”.

127, imperocché non solo Egli è Padre delle misericordie e Dio di tutta consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione, quando a Lui facciamo ricorso128

Cantiamo dunque, ed in eterno da noi si esalti la divina misericordia, che non permise la nostra rovina, né mai lasciò di venirci in sollievo ed aiuto

.

129.

Asc,9006a:T11

Tesoro XI. Il cuore di Gesù pronto a sostenere per la nostra salute più di quanto abbia già sofferto e patito

Asc,9006a:T11,1 Molte, anzi innumerabili sono le grazie e misericordie, che ci avete compartite, o Gesù, ma in verità non sappiamo comprendere, e l'intelletto nostro resta sopraffatto dal pensare se abbiamo ad esservi più obbligati per le meravigliose cose, che già operaste in beneficio dell'anima nostra, oppure per quelle maggiori e più stupende, che sareste pronto a compiere e soffrire, se fosse necessario per la nostra salute. Che se volessimo indagare per quale modo possiamo essere certi di questa volontà di Gesù in fare e patire di nuovo per il nostro bene, quanto già fece e patì, gli faremmo gravissimo torto, poiché tale cosa si può temere e porre in dubbio di un uomo mutabile, che può cessare d'essere buono e misericordioso; ma non di Gesù, Uomo e Dio, il quale per conseguenza è sempre lo stesso in ogni tempo ed in eterno130

Anzi, non solo il Figliuolo di Dio, ma il Padre stesso e lo Spirito Santo ci amano con sì svicerato amore, e per tale modo vogliono la nostra salute, che ciascuna di queste persone divine per quella stessa ed indivisa carità, onde sono unite, sarebbe disposta ed apparecchiata a vestirsi di carne mortale e sopportare quelle stesse pene e miserie cui si soggettò la divina persona del Figlio.

.

E ben Voi medesimo, o Gesù, ne palesaste chiaramente questa volontà, allorquando Pietro, vostro vicario, fuggendo di Roma, e dalla morte, vi faceste a lui vedere carico di Croce, dicendo che andavate di nuovo a morire per lui. Lo stesso ci deste a conoscere allorché, al beato Carpo che tutto si mostrava sdegnoso contro alcuni peccatori, che non volevano tornare a penitenza: al vederli vicini ad una voragine, desiderando egli che fossero inghiottiti e divorati dalle fiamme che ne uscivano, Voi, tutto pietà ed amore, diceste: “Me stesso ferisci piuttosto, o Carpo, mercecché sono apparecchiato a sopportare di nuovo morte crudele per la salute degli uomini, e mi è cosa gratissima che siano aiutati a desistere dalla colpa”.

Asc,9006a:T11,2 Oh! Se avessimo a questo mondo un Re, il quale, per mostrarci il suo amore, si dichiarasse pronto non solo a concederci ogni grazia, ma spargere continuamente il proprio sangue, e dare la vita per nostro bene, quante ricchezze, in pochi giorni raduneremmo? Non ci parrebbe forse d'avere in mano nostra lo stesso regno?

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Ed ora chi potrà darsi a credere che l'amorosissimo Gesù sia per negarci le grazie, e l'aiuto suo, mentre, per amore e salute nostra, già sparse, e sarebbe ancora prontissimo a spargere di nuovo il suo sangue? Se dunque avessimo non solo sette volte131, ma settanta volte sette dissipate con i nostri peccati le ricchezze e le grazie ricevute, perché non ricorriamo prestamente ai piedi del nostro amabilissimo Gesù? Non sono già venute meno le sue infinite ricchezze, né si è cangiata la buona volontà di questo nostro mallevadore; anzi, in qualunque momento ci pentiamo di cuore, subito in Lui, e per mezzo di Lui ritroveremo tutti i tesori per nostra colpa perduti132; anzi, ci saranno restituiti, con grande guadagno133, se, come ragione vuole, lo ameremo più che non per l'addietro134

O Sangue di Gesù, divenuto sangue nostro, e prezzo sovrabbondante e continuo della nostra salute, che sempre te ne stai raccolto in quel Sacro Cuore, e piegato ai nostri bisogni!

.

O Sangue, sparso per noi una volta, e sempre pronto ad essere sparso! Dio ti salvi, o Santa Croce da Gesù nostro Maestro anche al presente tanto amata135, deh fa, te ne preghiamo, che per te ci riceva chi in te, quella sola volta morendo, ci ha sovrabbondantemente redenti per sempre136.

Asc,9006a:T12

Tesoro XII. Dio nostro padre Asc,9006a:T12,1

L'Abisso chiama l'abisso137

Il Padre ci fa vedere le sue ricchezze nel Figlio, ed il Figlio nel Padre. Questi ci insegna a chiamare l'eterno Genitore suo col dolce nome di Padre nostro

, ed un tesoro ci scopre un altro tesoro nella grande sovrabbondanza delle misericordie di Dio.

138

Dio è nostro padre! Quale patrimonio più dovizioso, quale eredità più ampia possiamo noi possedere od aspettarci? Dio è nostro padre! Quale cura di noi più tenera, quale carità più grande, quale amore più ardente possiamo noi desiderarci? Anzi, se crediamo, come è verità di fede, che il nostro padre è Dio in Cielo, dobbiamo anche credere in conseguenza che noi siamo Dei e figliuoli tutti dell'Altissimo

. O voce consolatissima! Voce più dolce e soave d'ogni altra voce, voce ripiena di dolcezza e d'amore, di festa e di allegrezza, voce che in sé racchiude la nostra vita, la nostra salute, la nostra gloria, voce che ci è arra di tutti i beni, contrassegno di pace e di amicizia, principio dell'eternità ed assaggio dolcissimo della divinità! Dio è nostro padre! Quale nobiltà, quale grandezza, quale eccellenza può immaginarsi maggiore di questa?

139

Quale povertà e miseria potrà pertanto temere in terra colui che tiene in Cielo un Dio onnipotente, che può e deve chiamare ed avere per Padre?

.

Ma e come potrebbe l'uomo, creatura tanto vile, abietta e spregevole, persuadersi d'avere per padre lo stesso Dio? Quale congiunzione di sangue, quale somiglianza, od uguaglianza, non deve passare tra il Padre ed il Figlio, come dunque potrà combinarsi insieme Dio e l'uomo? Quale distanza, quale disparità maggiore può immaginarsi di questa? Dio è lo stesso essere: l'uomo un niente. Dio è immenso, eterno, perfettissimo, beato: l'uomo, fango e cenere, concepito in peccato, nato agli stenti, cresciuto alle miserie, inchinato ad ogni malvagità, soggetto alla morte.

Asc,9006a:T12,2 Così è infatti, né mai, parlando umanamente, avrebbe potuto l'uomo persuadersi di questa verità consolante, che Dio è suo padre, se Egli medesimo non gliela avesse scoperta e tutta la Ss. Trinità non gliene avesse fatta autentica testimonianza. Infatti, l'Eterno Padre chiama il figlio di Maria vero Dio e vero Uomo, Figliuolo suo proprio amatissimo140. Il Figlio poi, non solo ci consiglia, ma ci comanda, quando vogliamo fare orazione, di trattare con Dio come col nostro vero Padre141. Finalmente S. Paolo ci insegna che lo Spirito Santo fa fede al nostro spirito, che noi siamo figliuoli di Dio142

Vedete pertanto, dice S. Giovanni quale grande carità ha usata verso di noi il Padre: Egli vuole che, non solo abbiamo l'onore di portare il nome di figliuoli di Dio, ma che in effetto siamo tali

.

143

Ed in vero, dappoiché venuta la pienezza dei tempi fummo promossi a tanta dignità, non volle più, questo nostro buon Dio e Padre, parlarci come a servi e figli di schiava per mezzo dei suoi Profeti,

.

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sì come a figli di libera sposa, ornati di ogni decoro e nobiltà, volle parlarci per bocca dello stesso divino suo Figlio144

Allora cominciò, questo Signore, a visitarci in persona, trattenersi e fare le sue delizie con noi.

145; allora ci fece veramente vedere che ci è Padre amorosissimo, e comandò che, sebbene ci conoscessimo vili ed abietti, ci accostassimo nulladimeno a Lui senza timore, anzi con confidenza di veri figli, poiché, come vero nostro Padre, già si era compiaciuto di costituirci eredi del celeste suo Regno146

Di qui ebbero origine quelle voci, che ci promettono l'abbondanza di tutti i beni, in grazia appunto di questo nome dolcissimo di padre. Quindi, quel persuaderci che fa di non essere troppo affannosamente solleciti per il vitto e per il vestito, perché sa molto bene, dice Egli, il vostro Padre celeste, che avete bisogno di tutto questo

.

147: “Gettate lo sguardo sopra gli uccelli dell'aria, i quali non seminano, né mietono, né empiono granai; e il vostro Padre celeste li pasce. Non siete voi assai più di essi148?”.

Asc,9006a:T12,3

Tanto gli sta a cuore… Insomma, tanto gli sta a cuore che lo riconosciamo per padre, che giunge a protestarci di essere Egli solo degno di questo nome, sì che in paragone di Lui non v'ha chi meriti di venire così nominato149

Infatti, i padri terreni mancano soventi volte alla cura che debbono avere dei figli loro, o per povertà, o per malizia, o per trascurataggine, o per essere i figli stessi cattivi e discoli, o per altri simili accidenti. Ma non così il Padre nostro celeste, il quale è sempre ricco e potente, sempre ci ama, è sempre buono, savio e talmente provvido, che, nelle disposizioni, mai non s'inganna, o viene meno

, perché, per quanto grande e tenero possa essere l'amore dei genitori nostri terreni, scompare al paragone dell'infinito amore suo verso di noi.

150

Che, se avendo eletto Maria per madre sua, la adornò insieme di tutte quelle prerogative e grazie, che all'altissima sua dignità convenivano, avendo eletto noi in figli suoi, come non ci darà anche tutte quelle grazie e requisiti, che a sì nobile grado appartengono?

. Egli è che ci dà l'essere ed il ben essere: Egli che ci fece figliuoli di Dio, e tutti i beni che competono a tale e tanta figliazione, liberalmente ci diede.

Oh quanto onore, e quali ricchezze ci stanno sin d'ora preparate! Onore che ci rende in certo modo superiore agli Angeli, poiché a nessuno di loro disse Iddio: “Tu sei mio figlio”; anzi, tutti sono suoi servi, ed essi, ammirando in noi questa speciale eccellenza della figliazione di Dio, molto prontamente ci servono151. Anzi, quanto di bello e di buono possiede questo celeste Padre, tutto è nostro, se vivremo nella sua obbedienza e compagnia, come ce ne assicurò nella persona del padre del figliuol prodigo, il quale disse al buono ed obbediente152: “Figlio, tu sempre sei con me, e tutto ciò che è mio è pure tuo”. E veramente, quale bene potrebbe mancare ai figli dove i servi medesimi vivono nell'abbondanza153

Asc,9006a:T12,4 ?

Quanto buona e gioconda cosa è dunque per noi l'abitare uniti con questo celeste Padre, il quale ci considera come cosa sola con Lui, e ne dice: “Chi tocca voi, tocca la pupilla dell'occhio mio154; chi vi disprezza, disprezza me155, ed io stesso prenderò la vostra difesa”. Insomma, se minacciati da pericoli, ci protegge156; se cadiamo per via, ci sostenta colla sua mano157; se ci viene data la spinta per farci cadere, ci sta al fianco per sostenerci e, con siffatta cura amorosa, veglia a nostro bene, che, non solo non permette ci sia fatto in pezzi osso alcuno158, ma neppure un capello del nostro capo perisca159

E quale madre o nutrice, si prende cotanta amorosa provvidenza dei figli suoi? Egli ci dà quanto gli domandiamo, o se ce lo nega, è solo perché non ci torna a vantaggio, di modo che, sebbene non sempre si pieghi ai nostri desideri, ci esaudisce però sempre secondo la nostra necessità o vero vantaggio.

.

Questa sola cosa dunque ci stia a cuore, di non separarci giammai dal nostro amoroso Padre, e riponiamo ogni nostro bene nell'osservanza esatta dei suoi santi comandamenti. Che se per disgrazia

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abbiamo peccato, non disperiamo, sì ci sovvenga della bontà eccessiva di questo padre, il quale non sdegnò di chiamare suo figlio anche colui che aveva divorato il suo patrimonio con gente di mala vita e pessime compagnie160

E malgrado fossimo rei di innumerevoli peccati, ascoltiamo le voci sue amorose, colle quali ci invita e chiama a sé, e quasi ci prega di ritornare a Lui col pentimento

.

161

Infatti appena udito un tale nome dal ravveduto suo figlio, con quanta tenerezza e gaudio gli si gettò al collo! Come lo baciò teneramente, lo rivestì delle migliori vesti, fece ammazzare il vitello più pingue. Quanta festa insomma perché questo figlio morto per la colpa, era risuscitato per il pentimento, e perduto, lo aveva ritrovato

: “Ed almeno, ora, dice Egli, chiamami Padre, perché subito si muoveranno a compassione di te le mie viscere amorose, sentendomi chiamare con tale voce dai figli miei”!

162.

Asc,9006a:T13

Tesoro XIII. Gesù nostro fratello Asc,9006a:T13,1

Se mai nei suoi occulti giudizi il Padre nostro celeste mandasse qualche carestia sopra la terra163, sì che in tutti gli accennati tesori non trovassimo di che arricchirci, ricordiamoci di Gesù nostro vero fratello, il quale è vero Re, ed assai meglio che Giuseppe in Egitto, ha dominio assoluto in tutta l'immensa, felicissima terra della celeste Gerusalemme. Quivi possiede Egli numerosi granai, e tutti ben forniti e ricolmi, appunto per soccorrere i suoi fratelli nel tempo di sterilità e carestia. Questi è veramente nostro fratello, anzi primogenito tra molti fratelli164

Fratello che ama noi suoi fratelli, assai più che non Giuseppe i suoi. Fratello da noi troppo scortesemente ricevuto, trattato in modo più aspro e crudele, afflitto ed umiliato assai più che Giuseppe dai suoi: ma non meno di Giuseppe mandato in questo mondo a sopportare mali trattamenti per la salute di noi, suoi fratelli

, più amato dal Padre di quanto lo fosse Giuseppe da Giacobbe.

165

Epperciò, siccome Giuseppe ancorché si trovasse in tanta gloria, non si scordò del nome ed affetto di fratello, e tenerissimamente abbracciandoli, esclamò: “Io sono quel vostro fratello che avete venduto

.

166”; così appunto Gesù Cristo dopo la sua risurrezione gloriosa non si scordò del suo nome di fratello, “E andate, disse a Maria Maddalena ed alle altre pietose donne167

O Signore, come potrà essere che mercè questa sì stretta parentela che a Voi ci lega, noi siamo molto ben provveduti in terra ed in Cielo? Prima che Giuseppe si desse a conoscere ai suoi fratelli, potè licenziarli da sé senza onore, trattarli da spie, da ladri; travagliarli ed affiggerli con parole aspre e minacciose: ma doppoiché si manifestò per fratello, subito si riempì di giubilo e d'allegrezza tutta la regia Corte, furono loro fatte onorevoli accoglienze, grandi promesse, ed offerto il bello ed il buono di Egitto

, andate ad annunziare ai miei fratelli il mio risorgimento”; anzi, non volle rammentare le ingratitudini sofferte, acciocché non temessero di accostarsi a Lui come a fratello.

168

Asc,9006a:T13,2 .

Ora, se è vero come è verissimo, secondo che dice l'Apostolo169

Che se Voi stesso, o caro Gesù, diceste per bocca del vostro diletto discepolo, che chi possederà ricchezze di questo mondo e vedendo il suo fratello in povertà senza compassione alcuna gli negherà il necessario soccorso, non ha in sé la carità di Dio

, tutte queste cose essere state figura di quanto doveva passare tra Gesù e noi fratelli suoi, quanto lieti dobbiamo vivere, quanti beni e tesori sperare da Gesù Re, il quale ci ha onorati del titolo di suoi fratelli, non solo innanzi agli Angeli ed agli uomini, ma anche innanzi a Dio? Imperciocché Egli, il Re nostro fratello, non dà titoli vuoti ed inutili, o parole senza sostanza, come il mondo usa fare: ma dandoci il titolo, ci fa veri fratelli suoi e ci investe, anzi mette al possesso di tutti i beni, onori e ragioni dovute ad un vero fratello.

170; come sarà possibile che Voi, il quale siete la stessa carità171, e non solo avete in vostro potere tutte le ricchezze di questo mondo, ma siete la fonte stessa d'ogni bene, come sarà possibile che, vedendo noi vostri fratelli, posti in cotanto

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gravi miserie, possiate non sentire di noi compassione, e lasciarci senza soccorso, mentre ci state mostrando anche al presente, quelle sanguinose piaghe per nostro amore sofferte? Fate pertanto, o buon Gesù, con noi ciò che fece Booz con Ruth; stendete il vostro mantello, e con esso copriteci come con lo scudo di vostra protezione, ed ammetteteci a partecipare delle vostre virtù, donandoci gli ornamenti della grazia e santità. Che se mai per sventura, negligenza o malizia dessimo campo al Demonio nostro nemico di ferirci, predarci e spogliarci di questo mantello celeste, subito ad alta voce domanderemo soccorso a Voi, nostro fratello, pregandovi di recuperarci da codesto comune nemico le spoglie vostre; e siamo pur certi che lo farete, poiché comandandoci Voi che, se ci venga veduto un povero nudo lo copriamo172

Asc,9006a:T13,3

, né essendo carne nostra, lo disprezziamo, vedendoci voi nudi, non mancherete di ricoprire noi, vostri fratelli e carne vostra, poiché l'amore di fratello si fa vedere specialmente nelle angustie degli altri fratelli.

O buon Gesù, ve ne prego, fate che piuttosto muoiamo che abbandonarvi; poiché dove mai, lungi da Voi, saremmo per capitare? Non siano tra noi contese; che, se talvolta vi offendessimo, ciò che mai non vorremmo, correggeteci tra Voi solo e noi, acciocché così guadagniate in noi i vostri fratelli con la correzione fraterna173

E giacché pure i morti.

174

Saremo forse in peggiore condizione dei morti stessi? E dato anche fossimo ridotti al nulla, non siete Voi da tanto da fare sentire la vostra voce a quelle cose, che non sono con la stessa facilità che a quelle che sono

odono la vostra voce e risuscitano, fate che anche noi, benché fossimo morti alla vostra grazia, udiamo tuttavia la voce vostra e risorgiamo col pentimento.

175

Essendo pertanto il fratello aiutato dal fratello, come una forte città?

176

Ma quale dubbio che non siate per aiutarci, essendo Voi un fratello che, a compatire alle nostre miserie, volle essere tentato in tutto, tolto il peccato

, osservate con noi, ve ne preghiamo, le leggi di buona fratellanza, coll'aiutarci nei nostri bisogni, e non avremo da temere di alcun male, essendo Voi un fratello onnipotente.

177, e ciò appunto per averne compassione e benigno sopportare le nostre mancanze? Che se il contrassegno datoci da Voi medesimo per essere conosciuti veri vostri fratelli, è fare la volontà del Padre vostro celeste178

Oh quale tesoro dunque per noi l'avere padre e fratello nostro, Gesù, vero Dio e vero uomo!

, quale cosa possiamo noi desiderare che ci sia più facile, più gioconda, o necessaria alla salvezza eterna, poiché la sola divina volontà può e vuole farci giungere all'eterno Regno celeste?

Asc,9006a:T14

Tesoro XIV. Gesù nostro amico Asc,9006a:T14,1

Signore, noi confessiamo che tutti i vostri nomi sono come olio sparso sopra di noi179

O nome amabilissimo! Gesù è dunque il nostro diletto e noi i suoi cari

; ma quando sentiamo dirci: Gesù è nostro amico, tale è la soavità e dolcezza di questo nome, che se ne strugge e viene meno la povera anima nostra.

180

Che, se un vero amico è migliore di un fratello!

181, e nella sua fedeltà si possiede un tesoro così prezioso da non trovarsi ricchezza che gli si possa paragonare182; deh! amico nostro Gesù, sì buono con chi vi cerca di cuore e con fiducia, non sdegnate che nella semplicità del nostro cuore183

Quanto ci consolano essi col dirci che siete l'eletto fra mille, il più bello fra tutti i figliuoli degli uomini, dotato della più profonda sapienza

, trattiamo con Voi con la famigliarità propria dell'amicizia, e domandiamo delle vostre amabili doti ai santi Profeti ed Evangelisti che ci parlano di Voi, affinché possiamo formarci una qualche idea del gran tesoro che nell'amicizia vostra possediamo.

184, e nel tempo stesso il più mansueto ed affabile nelle maniere185, che più dolci del miele sono gli accenti vostri186, che la grazia è diffusa sulle vostre labbra divine, da cui escono parole di vita eterna187; ci dicono che mai non si udì alcuno parlare tanto bene188, che chiunque avesse la bella sorte di sentirvi ragionare, ne rimaneva tanto dolcemente attirato, che si scordava d'ogni cosa, anche del cibo189 e dappertutto vi seguitava, senza potersi staccare da Voi, per modo che non vi lasciavano pure tempo per riposare e reficiarvi190.

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Asc,9006a:T14,2 E come, o Gesù caro, come avrebbero potuto non seguirvi con la maggior premura? Scorgevano esse le turbe assai bene che non siete già Voi come gli amici del mondo, i quali liberalissimi in parole, si protestano ben anche di offendersi se non li obblighiamo, ma poi nelle occasioni ci si mostrano freddi, e ne sfuggono persino l'incontro: Voi, all'opposto, invitate chiunque sia nelle angustie ad accostarvisi per averne sollievo e soccorso, e loro tenete parola, col tutti beneficarli e sanarli191

Gli altri amici cercano di rompere l'amicizia, se manchino i beni che amavano nell'amico; non così Voi, dolce amico nostro Gesù

.

192, anzi, vi protestaste amico dei poverelli e degli afflitti, ed eleggeste i poveri193

Gli amici del mondo, per poco che facciano di bene all'amico, ne menano rumore per vostri compagni indivisibili, ed amate di conversare con essi.

194 e pretendono grandi obbligazioni: Voi, all'incontro, nascondete i vostri doni coll'attribuirli al merito di chi li riceve195

Se gli amici furono sovvenuti nei loro bisogni, cambiata in meglio la fortuna, sdegnano l'incontro ed hanno vergogna di vedere chi li soccorre. Voi all'opposto nel dì del giudizio, nella vostra maestà e gloria, farete sentire a suono di tromba a tutto l'universo la carità usatavi da noi nella persona dei vostri poveri

, come alla fede della madre Cananea, attribuiste la salute della figliuola; al cieco diceste: “Vattene, la tua fede ti ha sanato”; e così pure al lebbroso guarito; anzi, imponete silenzio a chi, ricolmo dei vostri benefici, vorrebbe palesarli alle genti.

196

Né vi è luogo a meraviglia di tanta vostra bontà, mentre il prediletto discepolo ci assicura che siete ripieno di tanta grazia, e con tale sovrabbondanza che da Voi, come da immenso mare, tutti in noi si diramano i beni e doni che riceviamo

.

197; anzi ci dice che la gloria vostra è sì grande, che non si può spiegare, se non col dire che è quale si conviene all'Unigenito del divino Padre198.

Asc,9006a:T14,3

Infatti, se la bellezza… Infatti, se la bellezza di un'anima separata dalla materia, anche nello stato puramente naturale, è superiore a tutte le bellezze corporee; e la bellezza dell'inferiore tra gli Angeli supera quella di tutte le anime ragionevoli, come la bellezza di queste sopravanza quella dei corpi; che potrà dirsi della bellezza di un'anima ornata delle virtù sovrannaturali e della grazia, mentre la bellezza d'innumerabili mondi non la potrebbe uguagliare? Oh Dio! In quale abisso di ricchezze penetriamo noi! Un bambino con la sola grazia del battesimo possiede un tesoro così prezioso, che supera senza alcun paragone, quanto vi è di bellezza e perfezioni in tutto l'ordine naturale, sì umano che angelico; di modo che S. Michele, anzi, gli Angeli benché innumerabili nell'ordine naturale, tutti uniti sarebbero assai meno belli ed amabili del bambino ornato della grazia. Di più, un'anima glorificata è tanto superiore a tutte le bellezze di natura e di grazia, che sorpassa ogni pensiero, ed attesa la bellezza sua inesplicabile, crederemmo di vedere in lei un Dio. Chi potrebbe pertanto formarsi una qualche idea della quasi infinita bellezza di tutte le anime beate, e degli innumerabili Angeli di ciascun coro e gerarchia, nell'ordine della grazia e della gloria? Anzi, quale sarà la prodigiosa bellezza di Maria Santissima, la quale da sé sola sopravanza quella di tutti gli uomini e di tutti gli Angeli uniti, come tutti li supera in grandezza ed in merito? Eppure tutta l'incomprensibile beltà che sarebbe per risultarne dal complesso della bellezza e gloria di tutti i Beati, di tutti gli Angeli e della medesima Regina del Cielo, la gran Madre di Dio, non ha paragone con quella dell'amico nostro Gesù, il quale possiede tutti i tesori di natura, di grazia e di gloria in tutta la pienezza e perfezione insomma, quale si conviene all'Unigenito del divino Padre.

Asc,9006a:T14,4 E poiché abbiamo scoperta una così ricca miniera nelle incomparabili doti dell'amico nostro Gesù in quanto uomo, penetriamo più addentro nelle sue grandezze divine, perché conoscendo ognora più la preziosità di questo tesoro, lo apprezziamo e ci infiammiamo maggiormente dell'amore di Lui. Sebbene chi potrà concepirne anche solo una idea, non che spiegare, o Gesù, le infinite vostre divine perfezioni!

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I Ss. Padri, dalle parole da Voi dette a Mosè: “Io sono quegli che sono199”; ne ricavano altissimi pensieri, dicendo: che siete un essere infinitamente perfetto, che esistete necessariamente eterno, senza dipendenza alcuna da qualunque essere creato; che tutto deve a Voi l'esistenza, e da Voi necessariamente dipende, e non potrebbe esistere, né conservarsi senza di Voi; ci dicono che siete la bellezza infinita, lo stesso bene per essenza, senza ricevere dalle creature alcun bene; che siete la bontà di tutto il buono, la sorgente di ogni bene, sì che contenete tutte le perfezioni, e ciascuna di esse è in Voi infinita, senza confusione, senza accrescimento o diminuzione; ci dicono che siete infinito nella vostra grandezza, incomprensibile nella vostra sapienza, infallibile nelle vostre promesse, onnipotente, santissimo nelle vostre operazioni, di modo che, in terra ed in Cielo, risplende la vostra gloria200. Tuttavia, essi, i Santi Padri, nel parlare di Voi e delle vostre perfezioni si riconoscono con Geremia quasi fanciulli, che ancora non sanno né possono articolare parola201

S. Paolo stesso ci assicura che vide e udì cose cotanto meravigliose e superiori ad ogni mente umana, che non è possibile esprimerle con parole

.

202

E per verità che ci potranno mai dire di Voi gli uomini più grandi ed illuminati, se i Serafini stessi che assistono continuamente al Trono dell'infinita vostra Maestà, sopraffatti da tanta gloria si velano per rispetto con le ali la faccia

.

203, tremano riverenti al vostro divino cospetto, ed attoniti a tanta grandezza e maestà, esclamano con Davide: “Chi sarà simile a Dio, poiché Voi siete il Signore e Dio di tutti gli Dei204

Asc,9006a:T14,5 ”?

Sì, potrebbe l'infinita vostra potenza e sapienza creare altrettante migliaia di milioni di Angeli, quanti atomi può capire l'immenso spazio dei Cieli, tanto più belli quanto incalcolabile è il loro numero, e tuttavia non si arriverebbe ad ottenere una qualunque minima proporzione coll'infinita bellezza vostra, da cui emana tutta e qualunque vi sia bellezza da crearsi non che creata. Oh bellezza ineffabile di Dio che vuole degnarsi di essere l'amico nostro! O Gesù dolcissimo, se una scintilla, un'ombra di fugace bellezza veduta in qualche creatura ci porta, e quasi trascina con tanta forza ad amarla, chi potrà non amare Voi, amico nostro Gesù, che siete bellezza increata, perfetta, immutabile, infinita ed eterna?

Asc,9006a:T14,6

Che se ognuno… Che se ognuno si sarebbe chiamato felice di avere per amico un Alessandro, innanzi a cui muto si stette l'universo intero205: se la regina [di] Saba stimava felici, anzi invidiava la sorte non dico degli amici sì dei servi di Salomone per la meravigliosa di lui sapienza, per l'ordine e splendore della sua reggia206; quanto più dobbiamo stimarci felici e beati nell'avere per amico Voi, o Gesù, non essendo tutte queste grandezze, magnificenze e ricchezze, neppure un'ombra della potenza, sapienza e maestà vostra infinita! Infatti, Voi avete per sgabello dei piedi la luna e le stelle, anzi il Cielo dei Cieli207: Voi siete quel solo che potete dire d'essere vero Signore e Padrone dell'universo, perché siete quel solo che di nessuno ha bisogno208

E mentre i re della terra, uniti ai più grandi ingegni del mondo, con tutto lo sforzo del loro potere e studio, neanche in milioni di secoli potrebbero trarre dal nulla un granello d'arena, e tanto meno un filo d'erba od un benché vilissimo insetto, Voi, con un semplice atto di volontà

, mentre tutti lo hanno di Voi per essere e conservarsi, di modo che le creature tutte, ed i medesimi regnanti, debbono chiedervi il pane di ogni giorno.

209, senza bisogno d'aiuto o di strumenti produceste dal nulla quante vi sono in Cielo ed in terra innumerabili e meravigliose creature; e potreste in un istante annientarle, come pure creare migliaia d'altri mondi, senza che alcuno possa resistere al volere vostro santissimo210

Insomma, tutti gli uomini ed Angeli, tutto il creato e creabile esistente e possibile, sono un nulla al vostro cospetto, e debbono recarsi ad infinito onore l'essere ammessi a servirvi ed obbedire ai cenni vostri.

.

Asc,9006a:T14,7 Compatiteci però, o Signore, se, attesa l'infinita vostra grandezza, ci assale il timore che sia troppa temerità il solo immaginarci, che vogliate degnare d'uno sguardo benigno211 la nostra bassezza e miseria, non che ammetterci alla vostra amicizia, epperciò perdonateci se, per nostro conforto,

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desideriamo sapere se pari alla ricchezza e potenza vostra, sia pure la bontà, poiché a nulla ci gioverebbe il poterci Voi aiutare, se come avviene degli amici del mondo, foste liberalissimo in parole, ma non ci aveste compassione nelle occorrenze. Ah perdono, o caro Gesù! Le prove che abbiamo della vostra bontà, non ci lasciano dubbio del parziale amore col quale mirate noi poverelli per arricchirci di ogni bene212

E primieramente, non è un tratto di grande bontà, o amico nostro divino, quello di aver creato a posta, per nostra abitazione, un sì bel mondo, sì vasto, ricco e adorno

.

213

E quel dichiarare che, in certo modo, vi divertiste nel dare l'esistenza alle diverse innumerevoli creature destinate a nostro uso e servizio

?

214? E quella cura che aveste di renderle perfette nel loro genere215; anzi, il crearci Voi stesso come di propria mano216, a preferenza delle altre creature, le quali, benché eccellenti come il Cielo e gli astri più luminosi e grandi, tuttavia traeste dal nulla, col solo vostro comando217

Anzi, mentre comandaste agli elementi di produrre le erbe e le altre cose; non furono forse queste tutte splendide prove d'amore?

218, che dovevano servire a beneficio nostro, voleste poi Voi medesimo, per tratto di speciale bontà, piantarci come di propria mano un giardino di delizie, acciocché vivessimo nella più felice abbondanza di ogni bene219

Che se è proprio dell'amore cercare l'oggetto amato simile a sé, quale più certa prova potevate Voi darcene quanto il crearci a vostra somiglianza ed immagine

.

220, dotati nell'anima di tanta capacità ed ampiezza, che nulla possa appagarla se non Voi bene infinito?

Asc,9006a:T14,8

Quale più tenera… Quale più tenera della pietà usata verso il nostro progenitore Adamo, allorquando lasciatosi ingannare dal maligno serpente, ingrato a tanti benefici, vi offese? Come affettuosa madre cui venga detto il suo bambino essere stato ferito nel corpo, se questi temendo la sferza si nasconde affannato, se ne esce tosto a cercarlo, ed a vece di rimbrotti, prende a medicare la ferita, e castiga prima chi malamente lo offese, così o amico dolcissimo, quando vedeste il danno che il serpente aveva fatto al padre nostro Adamo, e come per timore si era nascosto221, ne andaste subito in traccia, e castigando prima il serpe maligno222, porgeste rimedio all'uomo, senza dirgli pure una parola di sdegno; solo dappoi gli deste una salutare penitenza, piena di misericordia223; e volgeste in bene il male stesso col promettergli un sì grande Redentore224

Ah Gesù! Se non è questo un tratto del più soave amore, quale sarà mai? Mercecché dovevate Voi tollerare tale affronto? Egli vi aveva rovinato con la colpa tutto il genere umano

.

225; epperciò meritava altrettante morti, quanti con la sua superbia ne aveva tratti a morire; e pure a vece di cacciarlo dalla vostra presenza e confinarlo negli abissi d'inferno, Voi lo cercate, lo chiamate e lo confortate con la promessa del futuro Liberatore, perché non disperi. Oh eccesso di singolare bontà! Con ciò voleste pure farci intendere che, anche a noi poveri peccatori, appartiene quella voce amica onde chiamaste Adamo, e sebbene fossimo altrettanti Lazzari fetenti226, o Giuda traditori, o poveri privi della veste nuziale della carità, nulladimeno ci chiamate col nome d'amici, e come tali trattare ci volete227

Ah! Se mai vi avessimo offeso, o dolcissimo amico, fateci sentire subito questa soave parola di vita, e non permettete che induriamo come Giuda il nostro cuore, ma invece vi tendiamo l'orecchio, vi porgiamo la mano ed accettiamo il bacio di pace che ci offrite, rinnovando così l'amicizia col pentimento e coll'amore.

.

Asc,9006a:T14,9 Sebbene pensaste Voi, o Gesù, quanto sarà per costarvi stringere amicizia con noi? Certamente non solo non avrete vantaggio, perché nulla vi è di bene in noi, fuorché i doni vostri; ma l'amicizia nostra all'incontro vi costerà innumerabili sacrifici. Sì, non vi è dubbio, tutti li prevedeste, e nondimeno amico generosissimo, con fedeltà ed amore non solo compiste, ma oltre misura superaste quanto esige il dovere della più stretta amicizia. E primieramente se fra gli amici i beni tutti debbono essere comuni, e l'amore si conosce dai doni,

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quale amico più liberale di Voi, o Gesù, che con tanto eccesso di prodigalità ci metteste a parte dei vostri beni? Infatti, le creature tutte ordinaste, è vero, a vostra gloria228; ma in pari tempo voleste che fossero a nostro uso ed a noi soggette229

Gli Angeli medesimi che assistono continuamente al Trono dell'infinita vostra Maestà, li avete destinati alla cura di noi e custodi in tutte le vie nostre

.

230. Anzi, neppure vi serbaste il più prezioso pegno dell'amore vostro, la cara vostra madre, poiché a Lei ci commetteste, dicendole che ci avesse, in vece vostra, per figli231

Che se, fra cordiali ed intimi amici, non solo i beni sono comuni, ma pure i pensieri più occulti ed i più profondi segreti, quale amico più intimo e più cordiale di Gesù, il quale ci manifestò non gli occulti segreti della sua sapienza soltanto

.

232, sì tuttavia i più nascosti misteri del Padre suo233

Che più? Non solo ci faceste parte dei beni vostri, ma siete giunto a tanto eccesso di bontà che ci donaste Voi stesso, e con Voi tutti gli altri beni senza alcuna riserva

?

234

Asc,9006a:T14,10 .

Oh generosità senza limiti! Se noi consideriamo la eccellenza e grandezza del dono, è veramente infinito per ogni lato; infatti è Dio il donatore, cioè il Padre vostro, che a noi vi diede; è Dio il dono, cioè Voi, Gesù nostro dolcissimo, è Dio l'amore, per mezzo del quale ci foste donato, cioè lo Spirito Santo. E siccome la ragione d'amicizia esige che non solo siano comuni tra gli amici i beni, ma ancora si dividano le pene, le afflizioni, e si aiutino scambievolmente a portarne il peso; così volle Gesù adempiere questo dovere penoso dell'amicizia, anzi, vestendo la nostra umana natura, volle che fosse tra Lui e noi una comunicazione scambievole inaudita, prendendo per sé del nostro la nudità, le abiezioni, le pene, l'esilio, la morte, appunto per comunicare a noi le sue grandezze, i godimenti, la vita e il Regno suo eterno. Insomma, si abbassò dal Cielo alla terra per elevare noi dalla terra fangosa al Cielo, e ci fece altrettanti Dei per partecipazione alla sua divinità, assumendo la nostra umana natura. Oh Dio buono! Dove si troverà chi voglia stringere amicizia a simile patto? Ma chi siamo noi, o Signore, per essere cotanto amati ed arricchiti dei beni vostri, a costo di tanti sacrifici e sì penosi? Certamente non siamo che vili vermi di terra, poveri schiavi, oggetti d'orrore e di abominazione; siamo un abisso di miseria, e tale da non poterla comprendere, come dunque siete sì compreso d'amore per misere creature?

Asc,9006a:T14,11

E chi mai ricordò… E chi mai ricordò Monarca sì buono, che non solo per inaudita clemenza, perdonando il perpetuo castigo ad un suddito ribelle e traditore, ed oltre che ricolmato di benefici, ammesso alla sua amicizia, servito a mensa di preziose vivande e delicate, eletto ministro e grande di corte, lo abbia adottato per figlio ed erede del Regno suo medesimo? E quasi ciò non bastasse, abbia voluto essere corrisposto in amore; e ributtato dal fellone, non gli sia venuto a fastidio, ma per mostrargli il suo amore, sia morto per lui, e così donatigli tutti i suoi beni e tutte le sue ricchezze? Quale non più udita meraviglia d'amore sarà dunque fare altrettanto con noi miseri vermi, Voi Monarca del Cielo e della terra, Re dei re235, Dio onnipotente, Maestà infinita, innanzi a cui s'inchinano Cielo e terra, e trema l'inferno! Quale meraviglia, che quasi ci supplichiate perché ci lasciamo accarezzare, e sebbene da noi ingrati, cacciato con la colpa, subito picchiate al nostro cuore e facciate sentire il desiderio di ritornarvi per amarci più di prima236, sì che, neanche la nostra ingratitudine mai non abbia potuto seccare la sorgente dei vostri benefici237

Che se già Voi diceste, essere sommo contrassegno d'amicizia dare la vita a pro degli amici

, né raffreddare l'ardente brama che avete di stare con noi ed essere da noi amato?

238, che si dovrà dire dell'eccesso dell'amore vostro nell'aver voluto sacrificare la preziosissima vostra, non in qualunque modo, ma sopra una croce, e non per amici, ma per noi, mentre eravamo tuttavia

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vostri nemici239? Anzi, tanta era la brama di darci questa prova d'amore col morire per noi, che sentivate gran pena nel dover aspettare il tempo prefisso al vostro sacrificio240; e perché questo non appagava ancora il vostro amore, per cui avreste desiderato di sacrificarvi continuamente, né mai separarvi da noi, cercaste modo di compiere le amorose brame, rinnovando ad ogni istante, nel sacrificio della S. Messa, quello della Croce, e così per il Sacramento, rimanere con noi sino alla fine dei secoli241

Asc,9006a:T14,12 .

Ah! Ve l'abbiamo pure detto, o caro Gesù, che l'amicizia vostra vi avrebbe costato penosi e grandi sacrifici; almeno adesso siate dunque più cauto nell'accordare l'amicizia vostra, e fatela desiderare assai, acciocché venga essa apprezzata quanto è possibile, non potendosi per modo nessuno apprezzare quanto essa si merita. Non avvilite quest'amicizia vostra col prodigarla. Sebbene, a che raccomandare riserve all'amico Gesù, che non ne conosce alcuna, e desidera tanto di farcene grazioso dono, che all'opposto ce ne facilita quanto può i mezzi per ottenerla? Infatti, quale cosa sia pure vile del mondo, sarà così facile da ottenere quanto l'amicizia di Lui preziosissima? Neanche una pagliuzza non potremmo averla mai col solo volerla; eppure basta il disgusto di non averlo amato ed il desiderio di amarlo, né più offenderlo, per averlo subito amico nostro242

Oh Dio buono! Come potete Voi amarci così svisceratamente e senza misura, che quasi vi mostrate impazzito d'amore? Non prevedeste, Voi che ingrati, non avremmo corrisposto neppure con un gemito, un sospiro, una lacrima a tante vostre pene, a tanto sangue sì dolorosamente versato per noi? Qual è dunque la cagione felice di tanto amore vostro? Altra non è fuori quella che ci addita il vostro diletto Discepolo, cioè l'essere Voi la stessa carità per essenza e carità infinita

.

243

Asc,9006a:T14,13

; onde siccome da pura fonte altro non può scaturire che limpida acqua, né dal fuoco altro non può sgorgare che bontà ed amore senza misura.

Quale nuova, preziosa miniera veniamo dunque a scoprire! Gesù amico nostro, è lo stesso amore! Deh quale beata sorte! Chi ebbe mai per amico lo stesso amore? Anzi, essendo Egli la fonte stessa dell'amore, non ci sarà comune altresì quanto vi è di soave, dilettevole e giocondo, sì in Cielo che in terra? Non saremo noi, insomma, felici e beati della stessa felicità e beatitudine, che fa felice e beato l'amore, cioè l'amico nostro Gesù? Inoltre, se abbiamo quest'amore, Gesù stesso ci assicura che noi dimoriamo in Lui, ed Egli in noi; sì che quasi siamo una sola cosa con Lui; dal che ne conseguita che noi amiamo Gesù col suo medesimo divino amore, anzi, Gesù in certo modo ama se stesso per mezzo nostro, poiché l'amore suo è Dio. Ah! Ora comprendiamo, o caro Gesù, perché l'amore vostro per noi vi cangi in delizie non solo il rimanere con noi, ma gli stessi maltrattamenti da noi ricevuti; ora conosciamo perché tanto gustiate d'essere da noi amato; poiché, se vi amiamo, subito vi placate e vi chiamate soddisfatto, per modo che, quando pure tutti gli uomini, gli Angeli e Maria Ss. medesima, si offrissero di sopportare tutte le pene d'inferno per un solo peccato mortale, mai per tutta l'eternità potrebbero placarvi o soddisfare alla vostra giustizia; all'opposto, se avessimo anche commessi tutti i peccati del mondo, con un atto d'amore soprannaturale, subito vi plachereste, perdonando la colpa e la pena eterna; ci amereste più di prima; ci donereste il vostro Santo Spirito inseparabile dell'amore vostro: ora insomma, comprendiamo perché valga più un atto d'amore soprannaturale, di quanto valgano a placarvi tutti i tormenti d'inferno. Oh tesoro immenso! Tesoro di prezzo infinito, perché divino! Oh come veramente ci fa esultare di gaudio l'averlo trovato! E quanto volentieri dovremmo sacrificare tutto il rimanente per farne acquisto!

Asc,9006a:T14,14

Se però l'atto proprio… Se però l'atto proprio del vero amore di amicizia, è desiderare e fare del bene all'amico, appunto perché ci amate, o buon Gesù, è necessario che ci doniate quest'amore, poiché se Voi non ce lo date, non lo possiamo avere, e se avessimo anche tutti gli altri beni fuori di questo, a nulla ci gioverebbero, e saremmo poverissimi.

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Instantemente pertanto vi chiediamo questo amore vostro, che Voi non ci potete negare, mercecché spontaneamente vi siete dato a noi per amico; altrimenti permetteteci che umilmente esponiamo a Voi medesimo la nostra ragione. Non diceste Voi forse, che se alcuno vi ama, adempirà la vostra parola244, e siamo vostri amici245

Ora lasciate che a Voi, rivolgendo le vostre parole, vi diciamo: se ci amate, fate quello di che instantemente vi preghiamo, cioè che adempiamo la vostra santa volontà: fate che amiamo Voi solo in tutto e sopra ogni cosa; se siete nostro vero amico, come non possiamo dubitarne, fate quello che giammai non oseremmo comandarvi, ma solo con grande riverenza supplicarvene, cioè che stiamo uniti e serviamo a Voi solo in santità e giustizia tutti i giorni della vita nostra

se faremo quello che Voi ci comandate?

246

Che, se prova di amore è operare a favore dell'amato.

247, come potreste dimostrarvi nostro vero e cordiale amico, senza accordarci quanto vi domandiamo? Inoltre, se ha da essere vera, e stare ferma per tutta l'eternità quella vostra promessa: chiunque domanda riceve248, come sarà possibile che quelli che annoverate fra i vostri amici, domandino e non ricevano? Siete pure Voi, o caro Gesù, di vostra natura cotanto buono, che volete e ci comandate che facciamo del bene a chi ci fa del male, porgiamo preghiere per quelli che ci perseguitano e ci calunniano249, acciocché, così facendo, imitiamo Voi ed il vostro Padre celeste, il quale fa nascere il suo sole sopra i buoni ed i cattivi250

Asc,9006a:T14,15

, e fa cadere la pioggia feconda sopra i giusti e gli ingiusti. Come dunque potreste mostrarvi a noi amico, se pregandovene, non foste disposto a darci quanto avete promesso di accordare a tutti, anche ai vostri nemici, dicendo: chiunque domanda riceve? Questa parola chiunque, non esclude alcuno, giusto o peccatore, amico o nemico che sia.

Sebbene a che dubitare che non vogliate accordarci il vostro santo e divino amore? Il desiderio stesso d'amarvi, non è egli amore e dono vostro, di modo che quanto più desideriamo di amarvi, tanto più vi amiamo? Anzi, se partecipa al peccato chi anche solo consente al reato altrui251

Che più? Quale sicurezza maggiore di ottenere il vostro santo amore, se essendo l'amicizia un commercio scambievole di cuori e di affetti, appunto per adempire a questo dovere di amicizia, senza alcun riguardo all'ineguaglianza del cambio

, quale consolazione, all'opposto, per noi aver parte col desiderio all'amore di tutti quelli che vi amano, e così, o caro Gesù, consacrarvi non solo gli affetti del povero nostro cuore, sì quelli ancora di tutte le creature capaci d'amarvi, e specialmente gli affetti di tutti i Santi, di tutti gli Angeli e della loro Regina, la nostra e vostra Madre Maria Santissima?

252

Ah! Sì caro Gesù, noi accettiamo ben volentieri questo cambio di tanta gloria ed onore per noi: prendetevi dunque il nostro povero cuore, e dateci il vostro, perché d'ora innanzi vi amiamo con tutto il vostro cuore medesimo; anzi, cercate pure di amare Voi stesso, non solo per mezzo del nostro cuore, ma con tutti i cuori capaci d'amarvi, e soprattutto col vostro cuore divino, acciocché siate amato con amore in certo modo infinito, in quanto cioè è divino il cuore e soprannaturale l'amore, col quale vi amate in noi, e per colmo di bontà vostra infinita, non permettete che mai più mettiamo ostacolo a questo vostro amore, e così siamo amici vostri, amandovi in questa vita e per tutta la beata eternità. Così sia.

, Voi stesso ci offrite in compenso del nostro, il vostro cuore medesimo, affinché vi possiamo amare di vantaggio?

Asc,9006a:T15

Tesoro XV. Gesù in forma di servoAsc,9006a:T15,1

253 Seppe, è vero, l'ambizioso e superbo Aman ministro di Assuero, trovare modo di onorare grandemente quell'uomo cui il re volesse onorare; tuttavia riflettendo attentamente, vedremo con nostra meraviglia, come il nostro Dio ha compiuto verso di noi non solo le dimostrazioni di onoranza che già inventò Aman, sì molte altre ne aggiunse di gran lunga maggiori. Primieramente ha vestito la nostra umanità della regia veste della sua grazia, e nobilitato la natura nostra, per se stessa vilissima, coi titoli della maestà divina quando la volle unita alla sua divinità. Le pose anche in capo reale corona, quando l'Uomo-Dio fu riconosciuto ed adorato dai re.

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Quello però che deve ricolmarci di meraviglia e per l'onore che ci fa e per l'amore che ci porta, si è che quegli, il quale ci serve come da paggio, non è un cavaliere dei principali della Corte, come suggerì Aman254, ma è lo stesso Re in persona; Dio stesso si fa servo di noi suoi schiavi; Egli stesso nella persona del Figliuolo suo, va pubblicando quell'uomo essere Re e Signore dell'universo, e lo stesso Gesù apertamente ci fa intendere essere Egli venuto in questo mondo, non come padrone per essere servito, ma come servo per servire all'uomo255

Oh cosa veramente degna di ammirazione, né da potersi credere, se non ce l'attestasse Iddio medesimo! O buon Gesù, in quale profondo abisso di abiezione vi fece venire l'amore vostro per noi! Quanto più abietto però vi mostrate nell'umanità, tanto più grande a noi campeggia la gloria vostra nella bontà

, e come tale se ne sta appunto tra noi come starebbero i servi, e s'impiega nel prestarci quei servigi che deve prestare un servo, dandoci intanto ogni diritto e potere sulla sua medesima persona divina.

256

Mentre pertanto quel Gesù stesso, cui tutte le cose obbediscono, si assoggetta a noi e ci serve, quale meraviglia, che siano pure a noi soggette, ed a noi servano tutte le cose

.

257

Asc,9006a:T15,2

? Come mai, dicendo noi ad un sì buon servo: fate questa cosa, non la farà? Come mai non sarà fedele nelle cose facili Colui che fu fedele nelle cose più difficili e penose, sino a dare il sangue e la vita per noi?

O Maria, o Giuseppe, diteci quali pensieri si andavano formando nel vostro cuore, nel vedervi Gesù tanto sommesso ed obbediente258? Quanti doni e quante grazie, quanti frutti di onore e di ricchezza raccoglieste dalla obbedienza e sommessione di Lui? Che se lo stesso servire a Dio, è un regnare259

Siccome però potrebbe parere non gran cosa il servire che Egli faceva ai suoi parenti Maria e Giuseppe, ecco come Gesù si sottomette al Battista nel Giordano per essere da lui battezzato

, il comandare a Dio che mai sarà?

260

E tu, o Pietro, che vedesti il Redentore e Dio prostrato ai tuoi piedi per lavarteli, e lo udisti dichiararti che se non te li avesse lavati, non avresti avuto parte ai suoi beni

. O Giovanni, quale fra i re della terra poteva stare a tuo confronto, quando avevi Gesù a te sottomesso, ed udisti quella voce dal Cielo, con la quale l'Eterno Padre attestava essere suo diletto Figlio, quegli che si faceva tuo suddito?

261

Ah ben conoscesti allora l'errore tuo nel ricusare cotale servigio, poiché dopo udite le sue parole, lo pregasti che si degnasse di lavarti non i piedi soltanto, ma pure le mani ed il capo

; dì, te ne preghiamo, non conoscesti che da Colui, umiliato ai tuoi piedi come servo, dipendeva tutta la tua felicità? Infatti, mentre ti fa da servo, ti promette mercede; anzi, appunto la promette affinché ti lasci da Lui servire, e servendoti, tu possa partecipare agli eterni suoi beni.

262.

Asc,9006a:T15,3

Non solo poi si compiacque… Non solo poi si compiacque assoggettarsi alle persone buone e modeste, sì ancora a scelleratissimi padroni. Testimonio ne sia quel perfido Giuda, di cui non vi è persona più malvagia, al quale con sì profonda umiltà ed eccessivo amore, prestò quell'ossequio di lavarne i piedi, e permise di essere venduto da lui per trenta monete, come infimo tra gli schiavi. Ah se quel perfido avesse considerato l'amore e la dignità di Colui che gli stava lavando i piedi, no, per tutto l'oro del mondo non avrebbe mai consegnato ai suoi nemici un sì buon servo e fedele. A quanto duri, aspri, inumani e scellerati padroni abbia voluto poi sottomettersi, sino a patire da essi obbrobri, piaghe e morte spietata, non è qui luogo da ricordarlo, per non passare dal fonte della dolcezza e soavità a quello dell'amarezza e del pianto; solo deduciamone quanto possiamo aspettarci di bene dall'eccessiva bontà di questo servo, se procureremo di essergli grati, dappoiché tanto liberalmente e con tanta prontezza servì sino al fine della vita263

Vedeva Egli pure quanto contro di sé macchinavano, e pure non restava di fare loro del bene, saziandoli se famelici, risanandoli se infermi, illuminandoli se ciechi, dando l'udito se sordi, risuscitandoli se morti. Oh quanto caritativo ed amoroso servo, e quanto potente nello stesso tempo!

a gente ingrata e perversa.

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Egli perdonava i peccati, cacciava i demoni, indirizzava sul cammino della salute eterna, mentre essi non lo volevano riconoscere, né guardare di buon occhio.

Asc,9006a:T15,4 Ora, vogliamo credere noi, che presentemente non ci ami quanto allora amava quegli ingrati, e perciò non voglia renderci gli stessi servigi e farci gli stessi benefici? Anzi, quanto fece di bene lo fece per tutti, ed in tale modo come lo avesse fatto a ciascuno di noi. E per verità, non diede Egli, questo buon servo, la vita non solo per la loro salute, sì per quella ancora di tutti noi? Anzi, gli riuscì cosa sì dolce e gioconda il servirci, che cercò con ogni sollecitudine e trovò il modo di stare al nostro servizio sino alla fine dei secoli, donando e lasciando se stesso, cioè la carne sua in cibo ed il suo sangue in bevanda264

Pareva cosa difficile ed impossibile da credersi, che potesse Iddio farsi servo dell'uomo, e nondimeno con indicibile prontezza lo fece. E a noi, che per natura siamo servi, parrà difficile e strana cosa il servire a chi di sua natura, essendo nostro Signore e padrone, per eccesso di carità, volle prendere forma di servo per il nostro bene

.

265

O Gesù, dacché vi voleste fare servo, vi preghiamo di questo servigio, facendo sì che vi serviamo con ogni fedeltà; perché quale vantaggio avremmo dal vedere piegate le vostre ginocchia innanzi a noi, se non voleste ora degnarvi di esaudire le nostre preghiere, con le quali vi domandiamo di farci sempre obbedienti ai vostri comandi? La nostra salute, le nostre ricchezze, il nostro stesso regnare non sono forse riposti nel servire a Voi

?

266

Ma di che vogliamo temere? Non siete già Voi uno di quei falsi Profeti, i quali se ne vengono con vesti e sembianza di pecorella, ma poi nel loro interno, sono lupi rapaci

?

267

Asc,9006a:T15,5

. No, è impossibile che siate venuto in forma di servo, vi siate mostrato tale, e poi ci contraddiciate e ricusiate di fare quanto è necessario alla nostra eterna salvezza.

Né stiamo a fare le meraviglie per vedere Gesù fatto servo, perché supposto che Egli avesse stabilito di essere nostro cibo, non era conveniente che altri ce lo porgesse; ed ecco perché, come narra S. Giovanni268

Oh quanto perciò siamo fortunati e gloriosi nel vederci serviti da Gesù con tanta sollecitudine ed amorevolezza! Poiché Egli vede tutti gli andamenti nostri, osserva i nostri passi, conosce le nostre necessità, esamina le nostre fatiche per premiarcene, le nostre debolezze e fragilità per compatirci, e ci riempie d'ogni bene, più che non sapremmo volercene noi medesimi.

, si pone un pannolino avanti, e cingendoselo, fa che noi sediamo a tavola, ed andando qua e là dove il bisogno nostro lo chiama, ci fa da ministro e servitore, abbassandosi a lavarci i piedi ed asciugarli, nella persona dei suoi Discepoli, e poscia distribuirci ogni bene in quel pane di vita.

Affidiamogli pertanto tutti gli affari nostri ed il nostro cuore; consegniamo alla sua custodia l'anima nostra, perché, o dormiamo o vegliamo, sempre starà in noi per soccorrerci nelle tribolazioni, per esserci rifugio nelle avversità, e liberarci nei pericoli269. Oh quanto sono veramente meravigliose le opere vostre, o Signore, e sopra ogni nostro intendimento le vostre invenzioni amorose, per cui tanto vi voleste umiliare ed abbassare sino a farvi nostro servo!

Asc,9006a:T16

Tesoro XVI. Gesù nostro sposo Asc,9006a:T16,1

Sebbene ci riesca assai amara in questo nome di sposo la rimembranza d'avergli tante volte violata la fede, tradito l'ardente suo amore, e quindi resa brutta e deforme l'anima nostra, tuttavia non vi è nome nel quale possiamo porre maggior speranza, e più sinceramente appoggiarci quanto in questo di sposo. Infatti, non era forse l'anima nostra orrida e misera quando la prima volta questo gentilissimo sposo Gesù, la sposò con fede270

Osserviamo inoltre il comando tutto spirante bontà che questo Sposo dell'anima fece a Pietro, cui consegnò le chiavi dell'appartamento nuziale, se avvenga mai, dice, che codesta mia sposa sleale ed

? Non era ella figlia d'ira quando per sua bontà, la scelse tra mille, la chiamò alle nozze, adornandola della bellezza della grazia e la introdusse nella sua stanza nuziale, perché con Lui se ne vivesse casta e santamente?

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ingrata, voglia per la colpa uscire da questo luogo, ma poi pentita brami rientrarvi, tu àprile, non solo sette volte, ma settanta volte sette271, anzi, tu la incoraggi, la inciti, la preghi, l'aiuti a ritornare272

Asc,9006a:T16,2 .

O caro sposo Gesù, giacché tanto ci amate, vi sovvenga di questi sponsali sottoscritti di vostra mano, poiché purtroppo abbiamo lordato la candida veste: l'anima vostra sposa è caduta; si è ravvolta nel fango della colpa, e tutta malamente ne fu imbrattata; quest'obbrobrio e disonore la macchia, l'avvilisce; ma spetta a Voi, che cosiffatte lordure non deturpino o detraggano all'onore del nome vostro. O Gesù, già prima d'eleggerla in vostra sposa, conoscevate a fondo la fragilità e debolezza di lei, e ciò nulla ostante non aveste a schifo di amarla; ora essendo Voi non solo la parte più nobile e forte, cioè il Capo della sposa273

No, tale cosa non può dirsi di Voi, o dolcissimo sposo. Non mai le debolezze nostre potranno oscurare, anche per poco, la vostra bontà e possanza; poiché le vostre vie non sono come quelle degli uomini, né tali i vostri, quali i loro pensieri. Abbiano pure in odio gli uomini quelli che li offendono e macchiano il loro onore, questo è effetto di umana debolezza, non di cuore magnanimo e nobile. Ma Voi, o sposo dell'anima nostra, siete forte e potente, sì che dal male stesso sapete e potete cavare il bene

, ma ancora d'altra più eminente natura, cioè divina ed impeccabile, uffizio vostro è renderla sana; altrimenti si potrebbe dire, essere maggiore la fiacchezza della donna, che la possanza e bontà dello sposo; poiché abbandonerebbe la sposa caduta, non si prenderebbe pensiero di purgarla da quell'infamia, né più l'ammetterebbe alla nuziale dimora, e vie meno ai suoi casti abbracciamenti.

274. Infatti, se uno sposo, dite Voi, avrà ripudiata la sposa sua, ed essa inoltre ne avrà sposato un altro, sarà forse mai più per ripigliarsela quel primo sposo o ritornare a lei? Non sarà forse avuta cotale donna come svergognata e adultera? Tuttavia, sebbene tu abbia peccato con molti amanti, ritorna a me, Voi ne dite, ed io di nuovo ti accetterò. Ritorna dunque, ritorna vagabonda Israele, anima sleale, che a te non volterò io le spalle275.

Asc,9006a:T16,3

Ricordando sì amabile invito… Ricordando sì amabile invito, possiamo noi credere che questo divino sposo voglia ripudiarci o ci macchini la morte, mentre Egli il primo ci corre dietro e ne prega di ritornare a Lui? Avvertite inoltre, che abbiamo da fare con Voi, o sposo nostro dolcissimo, che siete uomo insieme e Dio, e che, essendo santo per essenza, santificate gli altri. Che se l'apostolo Paolo dice, trovandosi un marito cristiano che abbia a moglie una donna pagana, e questa si accontenti di abitare con lui, egli non la rifiuti in modo veruno, venendo la moglie idolatra ad essere santificata dal marito cristiano; come sarà possibile, caro Gesù, che a Voi sposata l'anima nostra, per mezzo del santo Battesimo, se, quantunque peccatrice ed infedele voglia abitare con Voi, non vi adoperiate in modo che a Voi torni la gloria d'avere quale sposo fedele, santificata la sposa infedele? Per quanto macchiata sia perciò e peccatrice l'anima nostra, accostiamoci a Gesù; chiamiamolo nostro sposo, preghiamolo che lavi con issopo tutte le nostre lordure, e subito Egli renderà l'anima nostra candida più che la neve276

Asc,9006a:T16,4 .

Ma diteci, o caro Gesù, quale sposo vi è mai che non brami di essere amato dalla sposa? Quale che, potendo, non infonderebbe nel cuore di lei il più ardente e tenero amore? Ora Voi siete quel solo sposo che potete fare ciò a vostro piacimento, e rendere l'anima nostra la più tenera ed amante vostra sposa, poiché siete padrone dell'amore vostro verso di lei, e dell'amore di lei verso di Voi. Se dunque già vi siete a noi dato per sposo, ne segue che, per legge coniugale ci avete fatti padroni di Voi, siccome per lo stesso vincolo noi vi abbiamo fatto di noi padrone; come dunque potrete negarci il vostro amore? Egli è certo che non ci potete negare Voi stesso, epperciò essendo Voi lo stesso amore e carità per essenza, negandoci l'amore vostro, ci neghereste certamente Voi stesso.

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Inoltre, se abbiamo da essere una cosa sola con Voi, come vuole il debito nostro, necessariamente abbiamo da essere una cosa sola coll'amore vostro; dunque non ce lo potete negare. Ma incalziamo sempre più l'argomento: oh quale dolce e ricco tesoro abbiamo noi trovato; oh quanto è gradita da questo sposo la domanda fattagli del suo amore! Orsù, caro sposo, noi desideriamo dimorare con Voi ed in Voi, acciocché Voi facciate altrettanto con noi277, giacché sappiamo che non ricusate di stare con noi, se acconsentiamo di stare con Voi. Infatti, avete detto che se resteremo in Voi, pure Voi starete in noi278, non avete già detto: se io resterò in Voi, ma sebbene, se noi resteremo in Voi, quasi diceste: che io mi compiaccia di stare con Voi, non occorre dubitarne, tutto il fondamento del dubbio dipende dall'incostanza della vostra volontà di stare in me. Io, anzi, sto sitibondo di stare con le anime vostre, epperciò chiamo, grido, vieni eletta mia, sposa mia, ritorna, sì, ritorna, o Sulamite: e fino a quando ti snerverai tra le dissolutezze, o vagabonda figliuola279

Asc,9006a:T16,5 ?

Ma quale danno ve ne potrebbe venire, o benignissimo Gesù, ancorché questa sleale e cattiva sposa per propria malizia, perisse? Forse coll'essere ella da Voi separata, si diminuirà anche di un solo grado la beatitudine vostra infinita? No, per certo. Quale cosa dunque vi muove a correre tanto ansiosamente dietro codesta sleale ed ingrata, mentre ella fugge quanto più può da Voi? Perché mai siete ognora pronto a riaccettarla e dimorare con lei, che tante volte si è da Voi dipartita, ed ha ricusato, anzi, disprezzato la vostra preziosissima compagnia? Ah! Non per altro certamente, se non perché ora non si tratta di vigna, non di servi, non di fratelli, non di figli, ma si tratta di una sposa con uno sposo, Dio il quale siccome non ha permesso che né la vita, né la morte, né qualunque altra creatura potesse mai operare questa separazione tra Lui e la sua sposa, così dappoiché seguì questa separazione per colpa di lei, non volle che cosa alcuna potesse porre impedimento al ritorno in qualunque momento l'avesse voluto. Fummo perciò liberati da quanto possa impedirci il ritorno a questo sposo fin da quando fummo a Lui sposati per mezzo del sangue suo sparso per noi. Soltanto ci fu lasciata la podestà della volontà nostra di essere, o no, sue spose, e questa libertà ci venne lasciata affinché potessimo godere della dignità di spose, poiché è chiaro non esservi vero sposalizio senza libero consenso di ambo gli sposi. Dunque, o Signore, se noi solamente, cioè la nostra volontà può essere causa di non avervi per sposo, non si distrugga la volontà, acciocché possa sussistere lo sposalizio, ma questa volontà non sia più nostra, poiché ella potrebbe d'ora in ora cangiarsi in cattiva, ma passi ad essere vostra, che sempre è buona, né può cangiarsi in mala, e per tale modo si faccia la vostra volontà, sì nella terra che siamo noi, come nel Cielo che siete Voi, ed allora potrà ciascuno di noi con verità cantare: vivo io, non più io, ma vive in me lo sposo mio Gesù280

Deh fate, o Salvatore Santissimo, che queste parole del vostro Apostolo in noi perfettamente si compiano, onde abbiamo a benedirvi nei secoli.

.

Asc,9006a:T17

Tesoro XVII. Gesù padrone onnipotente Asc,9006a:T17,1

Perché spesse volte urtiamo nello scoglio della malvagia nostra volontà, perciò difficilmente concepiamo speranza dei beni eterni; anzi, mentre andiamo volgendo lo sguardo a tante nostre scelleratezze, diciamo tra noi afflitti e dolenti, come avrà Egli, Iddio, riguardo alle preghiere di noi miseri peccatori? Non dobbiamo però lasciarci opprimere dallo scoraggiamento e dalla diffidenza, perché vi è tuttavia un tesoro per redimerci di tanta nostra miseria. Alziamo la voce da questo profondo abisso di abbattimento281 in cui ci troviamo, ed invochiamo Iddio come nostro padrone, pregandolo di esaudirci282, e prestamente ci farà sentire che, appo di Lui sta la misericordia, e che Egli è rifugio ai poveri, aiutatore al tempo opportuno, nella tribolazione283; non diffidiamo; questo nome è come torre fortissima e rifugio sicuro284, e chiunque lo invochi di cuore sarà salvo285, perché non vi è forza, che valga a resistere all'onnipotenza di questo nostro padrone.

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Essendo così, o Dio e Signore nostro potentissimo, sebbene avessimo un cuore impietrito per la durezza ed ostinazione, non diffidiamo perciò, anzi, lo consegniamo a Voi, che potete dalle pietre suscitare dei figliuoli di Abramo, e dei cuori di sasso farne cuori di carne286

E sebbene la nostra volontà possa cangiarsi, ed a Voi ribellandosi ritirare di nuovo questa rinuncia del nostro cuore, deh! Voi che tutto governate con forza sì, ma insieme con soavità, disponete di lei e fate ritornare a Voi sommessa codesta ribelle volontà nostra

, vi rinunciamo affatto quel dominio stesso, che ci deste sul nostro cuore, e vi preghiamo di fare in modo che sia interamente soggetto al vostro supremo e speciale dominio.

287

Asc,9006a:T17,2

, come Voi medesimo con le parole della Chiesa vostra sposa ci insegnate a pregarvene.

Accostiamoci pertanto con gran confidenza a questo Signore nostro onnipotente, e dall'intimo dell'anima esclamiamo con quel fortunato lebbroso del vangelo: “Signore, se volete, ci potete mondare288

Signore onnipotente, questa nostra ostinata e proterva volontà, per ribelle e ripugnante che sia, non può resistere all'onnipotenza vostra più di quella lebbra, essendo l'una e l'altra di forza e virtù limitata e senza proporzione con la potenza vostra infinita. Stendete perciò l'amorosa possente destra, e toccate questo cuor nostro lebbroso, dicendo

”.

289: “Sii mondo”; e subito sarà mondo, e farete così vedere come la vostra onnipotenza specialmente campeggia nel perdonare ed usare misericordia290. E quanto più incancrenita è questa lebbra pestifera della nostra prava volontà, e di più difficile guarigione della lebbra del corpo, tanto maggiore si farà vedere l'efficacia della vostra destra, la quale, come diceste al paralitico291

È verissimo, Signore onnipotente, che ci dotaste della libertà del nostro arbitrio, e ci ponete innanzi la vita e la morte, il bene ed il male

, può ugualmente sanare e le infermità del corpo per sé più facili, e quelle per sé più difficili e gravi dell'anima.

292, affinché eleggiamo quello che più ci aggrada; tuttavia non lasciamo per questo di essere nelle vostre mani, e potete a vostro beneplacito piegare il nostro cuore all'obbedienza ed esecuzione dei vostri comandamenti, e quindi dura cosa sarebbe per noi il ricalcitrare contro il pungolo293

E quand'anche fossimo protervi a segno di voler resistere, o Signore, Voi che siete più forte e possente, impediteci dall'offendervi, legateci i piedi e le mani, incatenate questi servi iniqui, e, come padrone, metteteci pure le manette, affinché da quei pazzi che siamo, non cerchiamo più di cozzare contro di Voi e fuggircene.

.

Asc,9006a:T17,3 Voi, o Signore, vi lasciaste incatenare e piedi e mani, anzi, ve li lasciaste inchiodare sulla croce per liberarci dal peccato; il che, per somma degnazione faceste senza che ve ne pregassimo; ed ora che vi scongiuriamo non a lasciarvi di nuovo inchiodare sulla croce, sì a servirvi della vostra onnipotenza in legare noi per impedirci dal più offendervi, sarà possibile che Voi, buon padrone, non vogliate esaudire i vostri servi, e ci vogliate abbandonare in potere della colpa, Voi, che per redimercene, prendeste forma di servo e vi lasciaste vendere quale vilissimo schiavo? Certamente Voi siete più propenso a volere il bene che a permettere il male, epperciò anche siete più pronto a concedere propizio il bene, di cui siete da noi pregato, che non ad accordare per giustizia ciò che a nostro danno vi domandiamo tale fiata. Che se, in castigo dei loro perversi desideri, permettete talora che i peccatori soddisfacciano ai loro capricci, come gli ebrei nel deserto294

Se il mal volere dell'uomo fosse malattia incurabile, non sareste già disceso dal Cielo in terra per darle rimedio e sanarla, né la vostra Sposa e madre nostra, la Chiesa, vi pregherebbe di liberarci dall'ira, dall'odio e da ogni cattiva volontà

, potrete non secondare i desideri nostri di fare la vostra volontà in ogni tempo?

295, né insomma avreste promesso che il Padre vostro darebbe il suo spirito buono a chi glielo domandasse296; poiché quale altra cosa è mai questo spirito buono, se non la buona volontà? Noi pertanto desideriamo, o Signore, e vi domandiamo questa buona volontà e vi preghiamo di liberarci dalla malvagia; e speriamo che, secondo la vostra parola, anche prima di domandarvela, saremo esauditi297, perché il nostro stesso desiderare e pregare per avere questa buona volontà procede dalla buona volontà vostra di accordarcela, e per questo appunto che ce la volete accordare, ci consigliate di domandarvela.

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Asc,9006a:T17,4 Né abbiamo timore d'accostarci a questo nostro padrone onnipotente; perché, sebbene sia anche giusto298, tuttavia Egli è così inchinato a bontà, che gli è come connaturale il sempre usare misericordia e perdonare299

Del resto, non siete Voi assoluto padrone di fare quel che volete? Quest'atto di misericordia che vi domandiamo non è contrario alla vostra giustizia, non la offende, non la diminuisce, né la deprime, anzi la esalta maggiormente e la fa più gloriosa

; epperciò più volentieri usa con noi della sua bontà, che non della sua giustizia. Pertanto, o Signore, ve ne preghiamo, esercitate almeno verso di noi questo atto di misericordia di perdonarci i peccati commessi, preservarci dall'offendervi in avvenire, e soprattutto non permettere che, in castigo delle colpe trascorse, novellamente cadiamo nel loro abisso.

300. Perché dunque non vorrà la vostra giustizia concedere alla misericordia quello che più esalta la giustizia vostra medesima? Infatti, se è giusto colui che non commette ingiustizia, molto più giusto sarà colui che di più usa misericordia; perché certamente compare la giustizia tanto più lontana dall'ingiustizia, quanto più si usa di misericordia: anzi, essendo altissima, o Signore, la vostra giustizia301

Per tratto dunque di questa vostra infinita misericordia insegnateci, o Signore, a fare sempre la vostra volontà, perché Voi siete il nostro buon Dio e buon padrone

, ne viene in conseguenza che essa deve essere assodata sopra un abisso di misericordia, poiché la misericordia è il fondamento e la radice della giustizia.

302, padrone al quale vogliamo piacere ed ora e sempre.

Asc,9006a:T18

Tesoro XVIII. Gesù nostro legislatore e maestro Asc,9006a:T18,1

Facciamo ora nostro tesoro i precetti dell'Altissimo, e cominciamo ad ascoltare e comprendere bene ciò che il Signore vuole dirci, perché le sue parole sono parole di pace col popolo suo, sì a favore dei giusti come dei peccatori, che al cuore loro ritornano303

Persuadiamoci che quanto ci comanda Iddio nostro maestro e legislatore, e qualunque cosa ne insegni, non ce lo comanda od insegna per bisogno che abbia di alcuna cosa nostra, ma all'opposto, perché ad operare la nostra salute abbisogniamo di quelle cose che Egli ne comanda od insegna; le quali, non potendo noi avere con le nostre forze, se da Lui non ci vengano date

.

304

Epperciò quanto più ardue cose e perfette ci comanda Iddio, tanto più dobbiamo confortarci ed accrescere la nostra confidenza in Lui, perché allora ci dobbiamo aspettare di ricevere molto maggiori doni e grazie per compiere i suoi ordini.

, mentre ci comanda alcuna cosa, non altro fa se non indicarci quello di cui abbisogniamo e dobbiamo domandargli per la nostra medesima eterna salute.

Onde si può dire, i suoi divini comandi essere piuttosto favori accordati che non servigi voluti. Asc,9006a:T18,2

Infatti, non fu già per privare Abramo dell'unico suo figlio Isacco, che gli comandò il Padre vostro, o Signore, di offrirglielo in olocausto, ma per promettergli Voi stesso in figlio: non per spegnere la sua schiatta, ma per moltiplicarla come le stelle del Cielo, e come le innumerabili arene del mare305

Oh quanto è grande la vostra bontà, o Signore! Quale vittima eccedente ogni merito tenevate già Voi preparata a favore d'Abramo, quando a lui chiedevate in olocausto il figlio! Quel parlare e quel comando, che preso superficialmente, ed inteso all'umana pareva pur tanto duro al cuore di un padre, epperciò difficile oltremodo ad eseguirsi, penetrato poi ed inteso secondo il concetto ed intimo senso di Dio, che ciò comandavagli. Oh quanto benigno, giusto, facile, prezioso e salutare riuscì per Abramo stesso e per tutti i suoi discendenti?

.

Quanto è dunque buono, quanto giusto, benevolo ed amabile il nostro divino legislatore e maestro306! Oh giogo veramente soave che impone a noi ed a se stesso; mentre non ci comanda a capriccio, né pretende cose superiori alle nostre forze, ma obbligandoci ad osservare la sua legge, obbliga se stesso a darci quanto gli domandiamo per osservarla307! Oh peso veramente leggero, il quale vuole che portiamo bensì, ma in modo che siamo noi stessi portati da Lui308.

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Se dunque sentiamo dirci da questo maestro e legislatore: “Osservate, o figli, i miei comandamenti309; siate perfetti; amate i vostri nemici310; a chi vi percuote una guancia porgete l'altra; se il vostro occhio vi è occasione di scandalo, cavatelo e gettatelo via”; e simili altre cose; non stiamo a dire che il suo parlare e comandamento sia troppo aspro e duro311

Asc,9006a:T18,3

, anzi, non eseguibile: no, non diciamo così, ma piuttosto facciamo cuore, poiché comandandoci cose grandi, brama che domandiamo anche a Lui cose grandi. Vuole da noi grande santità e perfezione, perché è pure disposto, anzi desidera di accordarcela.

Eccone un esempio in quella donna Samaritana, la quale, tuttavia ignorante, né assuefatta al parlare del Signore, sentendo quelle parole: “Donna, dammi a bere”; presa da meraviglia, e tutta sbigottita, rispose: “Come mai tu, essendo Giudeo, chiedi a me da bere che sono Samaritana?” Imperocché non hanno comunione i Giudei coi Samaritani. “O donna, se tu conoscessi, soggiunse il Signore, il dono di Dio, e chi è quegli che ti domanda da bere, tu ne avresti forse chiesto a Lui, ed Egli ti avrebbe dato di quell'acqua che sale sino alla vita eterna312

Osserviamo pertanto, come quegli stesso che le chiedeva acqua, desiderava ardentemente di dargliene; e come, con quel domandare da bere, provvede alla sua insieme ed alla nostra sete; alla sua, perché brama di dare; alla nostra, perché abbiamo bisogno che Egli ci dia; epperciò chiedendo noi i suoi doni, veniamo a calmare la sua sete e la nostra. Imperciocché non è questa sete prodotta in Lui da scarsezza o mancamento d'umore, ma da sovrabbondanza: epperciò come nutrice che tiene ricchezza di latte, invita ed alletta il bambino a nutrirsene; così appunto il nostro buon Dio, vera ed amorosissima nutrice, tenendo ricolmo il seno del latte delle sue grazie

”.

313 e misericordie, invita, alletta e comanda a noi, amati suoi figli, di arricchirci per l'orazione continua di codeste sue grazie, perché desidera di ricolmarci delle sue misericordie314

Siccome pertanto, cominciando quella donna a gustare il sugo di quelle divine parole, subito soggiunse: “Signore, dammi di quest'acqua

.

315”. Così, quando Iddio richiede da noi qualche bene, diciamogli pure: “Signore, accordateci questo bene che volete che noi facciamo. Ci comandate di essere casti, umili, obbedienti? Concedeteci quello che ci comandate, e poi comandate ciò che volete316

Asc,9006a:T18,4 ”.

Parlate pur dunque, o buon maestro Gesù, ché i vostri servi vi ascoltano; poiché essendo certo che i vostri ammaestramenti non appartengono solo a noi, ma più a Voi che a noi, perché il discepolo non è da più del maestro317; né essendo Voi come quelli che dicono e non fanno318, mercecché principiaste a fare e ad insegnare319

E per verità, o sapientissimo legislatore e maestro, siete pur Voi che, e per l'Apostolo vostro e per Voi medesimo ci ammaestraste dicendo: “Non vogliate essere vinti dal male, ma vincete col bene il male

, certamente non troveremo tesoro più prezioso, né a bisogni e necessità nostre più conveniente, quanto la dottrina ed i comandi vostri medesimi.

320. Date e sarà dato a Voi321; a colui che vuole toglierti la tua tonaca, cedigli anche il mantello; e se uno ti trascinerà a correre per un miglio, va con esso anche altre due miglia: fate del bene a coloro che vi perseguitano, e orate per coloro che vi odiano e vi calunniano322

Se dunque è così, permettete, o divino Maestro, che, seguendo i vostri ammaestramenti, a Voi rivolgiamo le vostre parole medesime. Noi siamo malvagi, lo confessiamo, Voi però non vi lasciate vincere dal male, ma con la bontà vincete anzi il male nostro; vi siamo debitori di molti talenti, ve lo concediamo: prima dunque allargate con noi la mano generosa, e saremo in caso di soddisfarvi. Vi domandiamo la tonaca, accordateci anche il mantello. Vi preghiamo di essere sollecito in nostro aiuto, e Voi correte frettoloso al soccorso

”.

323. Vi abbiamo pure troppo ingiuriato e perseguitato: fatela dunque per noi da mediatore ed avvocato. Insomma, se ha da adempirsi quanto di Voi sta scritto, cioè che prima faceste, e poscia insegnaste324, rinnovate a nostro vantaggio la pratica di questa vostra dottrina e magistero, che così potremo seguire l'esempio donatoci325

In queste dolci parole, o maestro e legislatore, ci avete come ravvivati nella miseria ed impotenza nostra, ed in esse ci rendete la legge vostra più preziosa di tutto l'oro del mondo

.

326, e per lei godiamo di quella dolce consolazione, che si prova nel possesso di tutte le più grandi ricchezze327.

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Asc,9006a:T19

Tesoro XIX. Gesù Cristo Dio e Uomo ossia l'unione ipostatica di Dio coll'umanità

Asc,9006a:T19,1 Se l'uomo considera ciò che è in se stesso, non ha male di cui non abbia ragione di temere; se poi considera quello che egli è in Gesù Cristo e per Gesù Cristo, non vi è bene che non possa e non debba sperare. Ogni qualvolta consideriamo quelle leggi per cui è prescritto di non nascondere, ma trafficare e rendere con guadagno il talento datoci dal nostro padrone e legislatore Iddio328, ci si gela il sangue nelle vene, pensando che dovremo presentarci a Lui per essere giudicati secondo queste leggi; ma se pensiamo che per un tratto di sua infinita bontà l'amabile Gesù si contenta di sottomettersi alle sue stesse leggi329

Or via, ecco i libri, e facciamo i conti tra noi. O Gesù caro, confrontiamo le partite e vediamo la somma che a Voi fu data per nostro conto, e quella che è stata consegnata a noi per conto vostro.

, il nostro cuore ne è tutto consolato e pieno di tale conforto, che osiamo pregarlo voglia permettere a noi, suoi servi, d'entrare per un poco in giudizio con Lui Signore nostro, benché sia la stessa giustizia.

Presto e facilmente si farà il calcolo della partita di quanto, in grazia vostra, sinora abbiamo ricevuto, o possiamo ancora ricevere in avvenire, perché tale somma, per grande che la supponiamo, tuttavia è limitata, e si può numerare; ma se porremo sulla bilancia quel solo talento dato a Voi per causa nostra, cioè quell'immenso, preziosissimo dono dell'ipostatica unione della divinità vostra colla umanità, chi potrà computare il peso e valore di quanto per mezzo di questo dono, ha ricevuto, riceverà e godrà per tutti i secoli l'umanità vostra santissima?

Asc,9006a:T19,2 In virtù dunque di questo solo talento che per causa nostra riceveste, osiamo interrogarvi, o Signore, se avete lucrato a nostro vantaggio tutto ciò che l'immenso valore, o peso di quella può agguagliare? Oh quale guadagno possiamo noi credere che sia per renderci un cotanto capitale nelle mani di un sì buono e sollecito negoziante! Che occorre più meravigliarci, o Signore, se ci diceste che domandiamo in nome vostro quanto vogliamo, e vi siete obbligato con giuramento a concederci ogni cosa330, mentre non a sorsi sgorgarono come negli altri uomini, ma per quella ineffabile unione, oltre ogni misura vennero in Voi le grazie, i doni, le virtù, insomma la pienezza di tutti i beni desiderabili331

Lasciamo, sì lasciamo pure di meravigliarci, se il nostro Gesù ci ha donato con se stesso il cumulo di tutti i beni

?

332

Anzi, sebbene ritornato da questo mondo al Padre, sia nel Cielo Pontefice in eterno, non per questo tralascia di far fruttare a nostro vantaggio il talento della gloria, che per cagione nostra ivi gode; poiché se per nostro beneficio discese dal Cielo, pure per bene nostro di nuovo vi ascese, ed ivi siede in gloria alla destra di Dio Padre onnipotente, ove continuamente la fa da avvocato nel perorare la nostra causa, né cessa mai dal procurarci con grande istanza le grazie necessarie ed opportune.

; giacché Egli per cagione nostra ha ricevuto un dono che contiene un tesoro infinito, poiché essendosi Iddio fatto uomo, l'uomo fu assunto all'essere Dio, e per conseguenza Gesù Cristo è Dio-Uomo.

E non basta; supremo e principale nostro pastore, largamente comunica agli altri pastori le sue facoltà, ed il suo potere perché se ne valgano a beneficio nostro, rimettendo i peccati333

Asc,9006a:T19,3

, conferendo la grazia, e procurando i mezzi per accrescerci i meriti od i premi per la vita eterna.

Pertanto, o dolce Gesù, ve ne preghiamo, fate l'officio che per vostra bontà vi siete assunto, adempitelo compitamente, riprendeteci, esortateci, ed emendateci con la consueta vostra dolcezza, pazienza ed efficace ammaestramento, perché, così facendo, ne ricaviate il frutto del vostro talento, cioè la salute dell'anima nostra alle vostre mani raccomandata. Ma non fa mestieri di raccomandarci a Lui, poiché prova Egli sommo gusto e soddisfazione quando noi desideriamo, e veniamo a Lui per domandare; anzi ci consiglia, ci invita, ci esorta a domandare;

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ardentemente desidera che riceviamo e godiamo dei grandi beni, onde con tanti stenti e dolori ci volle arricchiti. Eppure siamo sì ingrati ed indolenti, che per profittarne aspettiamo che ci faccia violenza, e costringa ad accettarli. Che se proverebbe sommo cordoglio un figliuolo di Re, il quale andato ramingo per il mondo patendo fame, sete, affronti, vituperi e ferite per adunare tesori ai suoi sudditi, li scorgesse poi, sebbene poveri e bisognosi, talmente disprezzare le sue ricchezze che neppure si degnassero di venire a palazzo per riceverle in dono; quale atroce ingiuria non faremo al cuore di Gesù nulla curandoci dei suoi doni così preziosi, e da Lui con patimenti e disagi per puro nostro amore raccolti? Di così fatto disprezzo si dolse Egli con S. Birgitta, allorché dopo aver questa sua serva udito una predica della Passione, la notte seguente le comparve confitto in croce, e tutto sangue, parlandole intanto della sua Passione amarissima; e da lei richiesto chi mai l'avesse così crudelmente crocifisso, rispose essere quelli che poco stimano il suo amore, col non giovarsi a propria salute della sua misericordia infinita.

Asc,9006a:T19,4 Dunque, o Gesù, noi vi crocifiggiamo, disprezzando questa eccessiva vostra carità con cui talmente ci amaste, che per noi vi deste alla morte, anteponendo la salute della povera anima nostra alla stessa vostra preziosissima vita! Dunque sprezzando la propria nostra salute, sprezziamo insieme la vita vostra, poiché sprezziamo quello che Voi amaste più della vostra vita, e mentre siamo nemici e crudeli contro di noi, lo siamo assai più contro di Voi, o Gesù, col disprezzarvi e crocifiggervi! Se pertanto non ci sta a cuore il proprio bene, né curiamo di rimanerci sepolti in mille peccati e laidezze, non avremo noi almeno orrore di crocifiggere altra volta il nostro amabilissimo Redentore col disprezzo delle sue grazie334

Ma no! Non sarà più così; d'ora in poi vogliamo a Voi ricorrere, perché ci doniate quanto per noi guadagnaste. Spandete pure sopra di noi le vostre misericordie, i tesori del vostro amore, e fate che dove abbondò il peccato, ivi soprabbondi la grazia

? Ed avremo cuore sì duro da novellamente lacerare quel corpo, fargli spargere vivo sangue per nostra cagione? E chi fu mai sì crudele ed ingrato, che abbia ucciso l'amico perché con grandi sacrifici e dolori gli volle far parte dei beni suoi, od a lui lasciare la sua eredità? Così fatta barbarie e fierezza certo non si udì mai! Oh mostri dunque, e non uomini, coloro che tale cosa pensassero anche solo di fare! E pure noi fummo quei mostri di fierezza e crudeltà coll'amico nostro Gesù!

335

Vogliamo portarvi questa consolazione, affinché il mondo conosca quali tesori di beni la vostra Santissima umanità ci abbia acquistati. Oh con quanta confidenza dobbiamo accostarci a domandare a chi ha maggiore desiderio di dare che non noi di ricevere, anzi si disgusta se non domandiamo!

.

Oh tesoro nascosto ai savi e prudenti del secolo, e rivelato ai piccoli e poveri di Cristo336, cui non solo è data grazia di conoscerne le misteriose ricchezze337, ma inoltre appartiene lo stesso Regno dei Cieli338!

Asc,9006a:T20

Tesoro XX. Gesù adirato Asc,9006a:T20,1

Siccome dobbiamo sempre, ed in ogni luogo guardarci da quelli che per loro natura ci odiano339, il demonio, il mondo e la carne, ancorché ci si mostrino amici ed accarezzino, così all'incontro dobbiamo sempre fidarci di chi di sua natura ci è amico e benevolo, quale il nostro Gesù, sebbene compaia talora in sembiante di persona che percuote, ferisce, ed uccide; essendo verissima la sentenza dello Spirito Santo, essere migliori le ferite che vengono da chi ama, che i falsi baci di chi odia340. Epperò sotto qualsivoglia sembiante ci venga in mente il nostro caro amico Gesù, siamo certi che Egli è sempre per noi tesoro, salute, medicina, speranza, propiziazione; insomma è la nostra vita, ed ogni bene, in modo che possiamo dire con Giobbe, quand'anche Egli ne desse morte341, non lasceremmo di mettere in Lui ogni fiducia, lo invocheremmo, ed a Lui raccomanderemmo l'anima nostra. Conciossiaché sebbene da quelle cose tutte, le quali

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lodevolmente temiamo, anche lodevolmente ce ne allontaniamo e fuggiamo342

Onde con ragione si meraviglia il Santo Giobbe, del non ricevere noi dal Signore ogni cosa con uguaglianza d'animo. Se di buona voglia, dice egli, riceviamo dalla sua mano le cose buone e gradevoli, perché non facciamo lo stesso quando ce le dà contrarie e disgustose

; tuttavia Dio solo è quegli che di tale maniera deve essere da noi temuto, che quanto più lo temiamo, tanto più a Lui ci accostiamo. Perché veramente quanto Egli è in se stesso, quanto opera e dispone, sia di prospero sia di avverso, dolce od amaro che ci sembri, tutto dispone per accrescimento del nostro tesoro.

343

Asc,9006a:T20,2

? E giustamente, poiché da Colui che è fonte d'ogni beneficenza non può scaturire altro che beneficio, e tutto che si collega alla immensa ed infinita carità, che è il nostro Gesù, tutto respira amore e tiene gusto di carità.

Qualunque sia pertanto il nome che di questo Signore si predica, ora di clemenza e d'amore, ora di sdegno e di minacce, sempre porta in fronte misericordia e pietà per chi bene lo conosca; perciò disse Davide: “Sperino in Voi quelli che conoscono il nome vostro344”; ed altrove parlando in persona di Dio disse: “Io lo proteggerò appunto perché conobbe il nome mio345

Si dica pure dunque, che siete adirato, perché chi sa conoscere la grandezza dell'ira vostra, sa pure

”. E notiamo che disse assolutamente il mio nome, non già questo o quello in particolare, per manifestarci che qualsivoglia nome che di Dio si dica, se sano abbiamo l'intelletto è nome pieno sempre di speranza e di protezione.

346 che nel colmo del vostro sdegno non vi potete trattenere dall'usare misericordia347

Iddio fa mostra dell'ira sua a fine di darci a conoscere la soprabbondanza delle sue misericordie

, di modo che dallo stesso sfogo, per così dire, della vostra collera, sorge e risplende in modo più sublime e glorioso la pietosissima vostra bontà.

348, d'onde ne segue che quando si mostra più adirato, allora appunto è tempo opportunissimo di cercare, sperare ed ottenere la sua misericordia349; e ciò vuole mostrarci Davide dicendo: “Allorché subitamente l'ira di Lui divamperà, beati tutti coloro che si confidano in Lui350

Solo dunque viene l'ira di Dio sopra i figliuoli contumaci”.

351, poiché se venga sopra i figli che in Voi santamente confidano è cosa di un punto, dicendoci Voi per il Profeta: “Nel momento dell'ira ascosi per poco a te il mio volto, e con sempiterna misericordia ho avuto di te pietà”, dice il Signore che ti ha redenta352.

Asc,9006a:T20,3

Soggiunge lo Spirito Santo… Soggiunge lo Spirito Santo, che tutte le cose hanno il loro tempo e luogo353: quale luogo e quale tempo assegneremo alla misericordia, se non quello di maggiori angustie e miserie? Ora chi potrà spiegare quale miseria e strettezza sia non già sapere, ma anche solo sospettare che Iddio resti contro di noi adirato? Al Venerando San Giobbe, tuttoché fosse di cuore generoso ed intrepido, non bastava l'animo di soffrire così fatta pena, e bramava meglio di serbarsi ascoso nell'inferno fino a tanto che passasse il suo furore354

Se pertanto il giorno dell'ira è giorno di calamità grande e di miseria, sarà pure giorno opportuno e proprio per esercitare la misericordia; onde l'ira stessa è quella che prepara il luogo e dispone il tempo delle misericordie, ed in certa maniera svela il Signore, e come dice il Profeta, gli ricorda che allora è il tempo più proprio di usarci misericordia

.

355

E questo avviene perché i pensieri di Dio, non sono come quelli degli uomini.

356, i quali quando stanno adirati non volgono altro per la mente che vendette, ferite, sterminio e morte di coloro contro i quali sono in furore. Ma il nostro Dio, cui è proprio e connaturale l'usare continuamente misericordia e perdono357, è talmente alieno dallo stare adirato, che nello sdegno ed ira sua, ciò che mostra al di fuori sembra collera, ma in effetto è misericordia e salute, perché a questo fine la ordina la maestà sua, onde se nella sua indegnazione flagella, col suo favore però ne dà vita358

Così dunque essendo la cosa, o Gesù, ancorché siate adirato, non vi allontanate punto dai vostri servi

.

359

Asc,9006a:T20,4 , giacché anche nello sdegno siete molto a noi propizio e favorevole.

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Noi vi brameremmo in vero sempre benigno e piacevole, ma siccome per negligenza e torpore suole il nostro spirito starsene sonnacchioso e pigro, ci torna a conto, o Signore, che di quando in quando vi mostriate con noi sdegnato e con questo mezzo inchiodiate col vostro timore le carni nostre360

Adiratevi pure, ve ne preghiamo, o Signore, adiratevi contro di noi, a questa condizione però, che non vi scostiate da noi neppure un tantino, né permettiate che ci sdegniamo contro di Voi, o veniamo ad offendervi anche in minima cosa.

, moltiplicandoci le pene e le afflizioni in modo che per codesta ira vostra si perfezioni la nostra virtù e si assodi.

Vi sovvenga Signore nostro, che Voi stesso ci prescriveste la maniera di vendicarci dei nostri nemici, cioè non altrimenti, che col beneficarli361

Ora in noi, eccovi ai piedi altrettanti poveri affamati, ed arsi dalla sete della vostra carità ed amore. Siamo forse al vostro sguardo in peggiore condizione dei nemici, ai quali ci comandate che nessuna di siffatte cose neghiamo? Rendeteci perciò questo solo bene, cioè l'amore vostro invece di tutti quei mali che contro di Voi abbiamo commesso.

: e se hanno fame e sete, porgiamo ad essi il necessario ristoro di cibo e di bevanda.

Adiratevi pure, o Signore, di nuovo ve ne supplichiamo, ma in modo che tutto ci torni a salute; e quand'anche vi adiraste contro di noi per causa dei nostri peccati, vi preghiamo di adirarvi pure contro gli stessi peccati nostri a fine di distruggerli, e sradicarli affatto da noi, quindi per indirizzarci alla perfezione e santità. Castigateci insomma, e non ci risparmiate la sferza, ma fatelo come padre con i figli che ama362; tanto più, che ogni sferza o disciplina, sebbene nel presente sembri apportatrice di tristezza e di amaritudine, dopo però, tranquillo frutto di giustizia rende a coloro che in essa siano stati esercitati363.

Asc,9006a:T20,5

E per verità… E per verità, volendo Iddio essere da noi amato non tanto per causa della consolazione e gusto, quanto per quello che Egli è in se stesso e sopra tutte le cose, perciò fa mostra di voler passare oltre364 senza darci un benigno sguardo: talora di gran mattino ci visita con qualcuna consolazione, ma poi repentinamente ci mette alla prova365

Per questo ci dice.

366, che se ne va da noi e viene a noi, e soggiunge che ci torna molto a conto che se ne vada, perché altrimenti non verrebbe a noi lo Spirito Santo consolatore367; per questo talvolta preghiamo e pare che non senta; se ci presentiamo a Lui, pare che volga altrove la faccia, che ci si cangi in crudele, ci si mostri a spada tratta nemico368 poiché, sebbene sempre in realtà ci sia dolcissimo amico, ed amorosissimo padre, tuttavia è conveniente che alcuna volta ci si mostri adirato, anzi quasi nemico, acciocché non siamo scherniti e calunniati da Satana, il quale potrebbe poi dire che serviamo Iddio solamente perché ci colma di consolazione e di beni. Disse il tentatore: “Forse che Giobbe teme Iddio senza suo interesse? Non avete voi messo in sicuro lui e la sua casa e tutti i suoi beni all'intorno? Non avete voi benedette le fatiche delle sue mani369

Asc,9006a:T20,6

?” Stenda dunque un poco Iddio la mano sua contro di noi, e ci tocchi nella sanità, od in quanto possediamo di ricchezze e di onori, e così resterà manifesto a noi ed al mondo tutto se amiamo Dio per se stesso, oppure solo per i doni suoi.

Concludiamo dunque che quella apparenza di sdegno è una prova che Iddio fa del nostro amore per Lui, è come una fornace nella quale si perfeziona e si affina l'oro della nostra carità370; è una scuola alla quale s'impara a conoscere, si esamina e si prova di quale lega sia il nostro amore verso Dio. Perché siccome Egli ci diede caparra certa dell'amore suo coll'aver dato il proprio Figlio alla morte per noi, sebbene gli fossimo tuttora peccatori e nemici371, così noi ancora dimostriamo l'amore nostro verso Dio, quando con tutto il suo mostrarsi adirato, nulladimeno lo amiamo, e siamo anche disposti a morire per amore suo.

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Prendete pure dunque, o buon Gesù, quel sembiante che più vi aggrada; sarà nostro volere il volere vostro; solo esaudite la nostra domanda, ed è questa, che sempre continuiate ad amarci, e così amati, sopra ogni altra mercede amiamo Voi; perché troppo grande ricompensa al nostro amore sarà, se vi degnerete di amarci.

Asc,9006a:T21

Tesoro XXI. Satana nemico di Gesù e nostro Asc,9006a:T21,1

È vero, o Signore, noi possediamo un certo paradiso di tesori e di ricchezze, ma pure ci affligge il timore di esserne spogliati, perché sta nella strada un fiero leone che di continuo va in volta, e rabbiosamente ruggendo cerca chi divorare372: sta in agguato, e ci tende insidie giorno e notte373. Né ci pare fuori di ragione questo timore, poiché non abbiamo da lottare con la carne e col sangue374

Questo dragone, o Signore, è tanto satollo di veleno e di malizia, fraudolente ed astuto, che molte volte si trasforma in Angelo di luce, ed in tale guisa inganna e vince anche i più forti e valorosi. Non vi è possanza sulla terra, che a lui si paragoni, il quale fu fatto per non aver paura di alcuno

, ma coi principi e con le potestà del mondo tenebroso.

375

Ciò nulla di meno stiamo pure di buon cuore, perché Iddio ha così disposte le cose tutte per nostro bene, che abbiamo non solo motivo di stare senza timore, e confidare che liberi dalle mani dei nostri nemici

. Essendo perciò tale e di tanta possanza e malignità questo mostro, chi potrà stargli a fronte o fare resistenza?

376, serviremo al nostro Dio con santità e giustizia nel cospetto di Lui per tutti i nostri giorni, ma possiamo inoltre col santo vecchio Zaccaria ripetere che da Lui ci venne la liberazione dai nostri nemici, e dalle mani di tutti coloro che ci odiano377

Se avessimo ruminato colla mente e ben impresso nel cuore quello che ogni dì canta la Chiesa, invece di lasciarci sbattere qua e là dallo scoraggiamento e tremare dove non vi è occasione di temere

.

378

Asc,9006a:T21,2

, ci saremmo non solo burlati dei nostri nemici, ma avremmo anche scoperto un grande e molto ricco tesoro.

Consideriamo perciò attentamente chi sia questo nemico. Prima di tutto non è in sostanza nemico nostro, ma di Dio: contro di Lui pretende principalmente di sfogare l'odio suo, e quando ci affronta, non a noi, ma a Dio in noi si sforza di fare affronto ed ingiuria; a quel Dio, cioè, la cui somiglianza disordinatamente ambì di arrogarsi. Onde ne viene che Dio stesso è pure nemico principale di questo infernale mostro; epperciò noi siamo soldati di Dio, il quale vuole essere Egli stesso nostro generale Capitano: combattiamo è vero, ma combattiamo per Dio, in compagnia di Dio379

Ma per quale ragione, o grande Iddio, essendo Voi un Signore tanto potente e forte nelle battaglie

; anzi Iddio combatte in noi e per noi, anzi per se stesso, e per dire meglio, Iddio e noi combattiamo insieme concordemente, Egli per noi e noi per Lui.

380

Oh altezza immensa delle ricchezze della sapienza e scienza di Dio, quanto incomprensibili sono veramente i vostri giudizi ed imperscrutabili le vostre vie

, voleste piuttosto esporre noi a sì pericolosa zuffa con questo infernale dragone, forte ed astuto, noi che siamo fragilli e deboli, polvere e cenere?

381! Per tale impresa vuole Iddio valersi della nostra fiacchezza382 e viltà, appunto per confondere ed atterrare la superbia ed arroganza di colui che ambì, e vanamente presunse di ascendere sopra le stelle del Cielo, porre il suo seggio sul monte santo di Dio, ed essere in questo modo simile all'Altissimo; vuole valersi del nostro nulla per rinfacciargli la sua viltà e debolezza; e così si riconosca neanche paragonabile all'uomo colui che per la sua temeraria superbia orgogliosamente pretese essere pari e simile a Dio.

Asc,9006a:T21,3

Anzi, sdegnò Egli… Anzi, sdegnò Egli di porre a singolare tenzone con questo suo nemico l'uomo forte e robusto; sì per superarlo ed abbatterlo elesse la donna di condizione più debole e fragile, e perciò gli intima quel

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duello mortale: “Io porrò inimicizie tra te e la donna, e tra il seme tuo e il seme di lei. Ella schiaccerà la tua testa e te la ridurrà in polvere”, come appunto significa la parola conteret: anzi, quel nemico che combatteva già cogli Angeli sublimi, non oserà per lo innanzi combattere alla scoperta neppure con deboli donnicciuole, ma tenderà insidie alla loro parte più abietta e debole, cioè al calcagno383

Poteva dunque Iddio farci conoscere più sprezzabile, più codardo e di minor conto questo suo e nostro nemico?

.

Entra pertanto lo stesso Dio in questo combattimento contro l'infernale dragone non con la maestà sua, ma con la nostra debolezza, ponendogli a fronte la nostra condizione e natura, affinché il Demonio inventore della morte fosse vinto da quella, per mezzo di cui già egli era stato vincitore. Che se Iddio Capitano generale di questa battaglia ha eletto noi deboli e fragili per opporci in duello, corpo a corpo con nemico sì forte, non avrà Egli forse pensato a darci gli aiuti necessari perché riusciamo vittoriosi? Ah! Non solamente Egli ci servirà di scudo e riparo, sì che riposare ci potremo confidentemente sotto le ali della sua protezione384

Cammineremo sopra l'aspide e sopra il basilisco, e calpesteremo il leone ed il dragone

; ma inoltre ha commessa la cura di noi ai suoi Angeli, ed essi in tutte le vie nostre ci saranno custodi: ci sosterranno con le loro mani, affinché sgraziatamente noi non urtiamo col piede nel sasso.

385

Asc,9006a:T21,4 .

Poiché avendo Iddio minacciato che da una donna gli sarebbe stata fracassata e stritolata la testa, come già si adempì per mezzo di Maria Vergine sopra ogni altra benedetta, non permetterà che rialzi orgogliosamente il capo contro la propria sua divina persona. Pertanto abbiamo da combattere bensì, ma con un dragone senza testa, il quale può tendere insidie al nostro calcagno; può girare attorno ed assaltare la rocca della nostra volontà con rumori, grida e minacce, ma non atterrarla, né prenderla a viva forza o danneggiarla, perché ella è libera ed inespugnabile, se volontariamente non ci arrendiamo. Oh i grandi vantaggi che abbiamo in questo combattimento! Poiché quanto perseveremo in fargli testa, altrettanto riusciremo vincitori: anzi in così fatta tenzone, non solo non ci può ammazzare questo nostro nemico, ma nemmeno ferire, se non lo vogliamo noi; ed affinché ciò non accada, sempre abbiamo al fianco l'aiuto di quegli che tiene inimicizia capitale con questo nostro avversario, e per altra parte è fedelissimo amico, fratello, padre, sposo e balio nostro, il quale ha promesso di darci quanto in ordine alla salute gli domanderemo, e certo non manca alla sua parola. Conosce Egli pure la debolezza nostra, ma armandoci di sua fortezza386, non teme di esporci a singolare certame con questo comune nemico per difesa dell'onore suo; poiché Egli tiene in potere e volontà sua le forze nostre, ugualmente che quelle del nemico nostro: sempre Egli è presente ai suoi soldati mentre combattono per l'onore suo; né sta soltanto quasi spettatore, sì al fianco per aiutarci a combattere generosamente e con gran forza; anzi, a noi si presenta come premio, corona e mercede387

Possiamo pertanto dire con tutta fiducia che, essendo Iddio il difensore della nostra vita, non abbiamo di che temere

.

388

Asc,9006a:T21,5 .

Certo che se anche vedessimo un esercito intero schierato contro di noi, non dovrebbe scemarsi nel cuore nostro il coraggio; e se già vedessimo cominciarsi contro di noi la zuffa, ce ne dovremmo stare appunto per questo armati di grande confidenza; e con ragione, poiché il potere e la forza del nostro nemico per combatterci è limitata, ma la fortezza, fermezza e potere nostro non verrà meno, perché Iddio stesso onnipotente è quegli che ce lo va somministrando, affinché possiamo resistere, assaltare, combattere e vincere. Vorrebbe questo maligno tentarci di continuo, è vero, ma il più delle volte vanamente si sforza; mercecché solo può tentarci quando ne ha licenza dal nostro Capitano, Re, Dio e Padre nostro389

Infatti a saziare le sue brame neanche potè una volta entrare in quel gregge di porci, ma fu necessario che prima chiedesse e ne avesse licenza da Gesù, al cui cenno tutto il creato si regge e governa

.

390.

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Così pure non potè sfogare la sua rabbia contro gli armenti; e la persona di Giobbe391

Infatti quale re, dovendo fare guerra contro un altro re, non darebbe ai suoi prodi le migliori armi e più forti, o potendolo, non toglierebbe al nemico ogni munizione che gli potesse giovare ad ottenere la vittoria?

, se non secondo il modo e tempo prescrittogli da Dio, il quale in ogni conflitto o somministra ai suoi soldati la forza, o la sottrae ai suoi avversari.

Permette bene Iddio, e concede qualche arma e forza a codesto suo e nostro nemico, ma non perché ci vinca od atterri, sì solo ci possa fare guerra, e così combattendo contro di lui, veniamo a riportarne vittorie e corone392; epperciò come ci diede sinora il nostro Capitano e Re Gesù Cristo armi fortissime, così sempre ce ne andrà somministrando altre quando ne sia bisogno, e vorremo servircene: anzi, perché imparassimo bene a maneggiarle, Egli il primo le adoperò, quando permise al nemico d'accostarsi a tentarlo, affinché sapessimo quanto facilmente e presto possiamo coll'aiuto suo ribattere e rendere vani i rabbiosi suoi colpi.

Asc,9006a:T21,6

Volle di più la divina Sapienza… Volle di più la divina Sapienza che avessimo alla nostra custodia non solamente gli uomini e gli Angeli santi, ma in certo modo gli stessi Demoni nostri accaniti nemici. Abbiamo noi mai infatti considerato come Satana, malgrado suo, contribuì a custodire nell'apostolo Paolo quel gran tesoro dell'umiltà? “Affinché la grandezza delle rivelazioni non mi levi altura, dice egli, mi è stato dato lo stimolo della mia carne, un Angelo di Satana che mi schiaffeggi393

Ed ecco in quale modo questo superbo nemico fu fatto custode dell'umiltà nel soldato di Cristo e come combattendoci, suo malgrado ci difende, e mentre si sforza di distruggerci, ne conserva.

”.

Infatti la iniquità del Demonio non cadde forse sulla testa di lui quando, con ingiustissimi odi, si sforzò d'accendere gli animi dei Giudei contro Gesù Cristo, facendogli spargere il sangue, onde si operò il riscatto del genere umano394

Sia pertanto nostro conforto il sapere come il nostro Re e Signore si serve delle armi e macchine stesse di lui per la sua gloria, per il nostro bene e per la confusione del nemico

?

395

Non vogliamo perciò abbandonare per infingardaggine il posto in cui Cristo ci ha messi, perché quivi appunto proveremo l'aiuto del Signore: guardiamoci dall'accondiscendere mai alle lunsinghe del tentatore, il quale con insidie, inganni ed assalti vorrebbe che da noi medesimi, disertando la nostra bandiera, ci gettassimo nel profondo, ed insomma, con le proprie mani ci dessimo alla morte e perdizione eterna, sapendo egli che non può farci male di sorta, se pure noi non lo vogliamo.

.

Asc,9006a:T21,7 O Signore, esaudite la nostra supplica, privateci di questo potere, come già ne privaste il nostro nemico. Voi lo proibiste di danneggiarci, e sebbene abbia preteso, e di continuo si sforzi di nuocerci, non mai però ha potuto trasgredire il vostro divieto. Ora noi, vostri figli, vi domandiamo in grazia, che da Voi ci sia intimata la stessa proibizione, e ci sia tolto il poter danneggiare noi medesimi; perché non farete Voi con i figli quanto faceste con il comune nemico per il nostro bene? E che ci gioverà l'averci liberato da tutti gli avversari, se non ci liberate da noi medesimi, mercecché noi stessi siamo i più pericolosi nemici dell'anima nostra, dacché ci facemmo a Voi ribelli396

Che se dobbiamo stare di buon animo, perché attesa la sua infallibile promessa Iddio ci accorderà, se lo pregheremo, la vittoria compiuta dei nostri nemici e di noi medesimi, tuttavia avvertiamo bene che, non ci accorderà tale vittoria senza di noi, cioè senza cooperazione, perché ci vuole partecipi alla battaglia, se bramiamo essere a parte della corona; onde ne dice S. Agostino, ha Dio disposte tutte le cose a nostro vantaggio in modo che anche le passioni ed i difetti medesimi ci servano come di scala per arrivare a maggior altezza di gloria nel Cielo

?

397

Di quanto guadagno pertanto ci sarà questo combattere sopra la terra, e di quanto splendore e gloria sarà ai combattenti! Nelle battaglie di questo secolo chi combatte, ancorché usi ogni industria e forza, non perciò riesce sempre alla vittoria, ma sotto lo stendardo di questo nostro Capitano

.

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ognuno riporta premio o corona proporzionata al suo combattere; anzi, combattendo noi al servizio di Dio, se veramente vogliamo vincere, già abbiamo vinto, poiché se non ci diamo volontariamente per guadagnati, non vi è forza creata che ci possa costringere al consenso, né superare: ma perché questo volere è un dono della misericordia di Dio, dobbiamo perciò a Lui domandare molto di cuore questa buona e ferma volontà di resistere e combattere, e con tutta sicurezza e fiducia, appoggiati all'infallibile sua promessa sperare di vederci esauditi.

Asc,9006a:T21,8 Forse sarà più pronto sollecito il Demonio a rovinarci, che non Voi Iddio nostro Padre e redentore a salvarci? Certa cosa è che l'amore vostro, o Signore, verso di noi supera infinitamente l'odio che Satanasso ci porta. Ora come sarà più potente l'odio di un miserabil Demonio per nuocerci, che l'amore di un Dio per sollevarci? Noi domandiamo perciò umilmente il vostro soccorso per potervi amare, lodare, onorare e servire; e sia questo disprezzare, confondere, e calpestare noi medesimi per amore di Voi, assoggettandoci perfettamente al vostro divino volere; e perché tutto questo ridonda a maggior vostra gloria e vantaggio nostro, abbiamo ferma fiducia di andarne esauditi.

Asc,9006a:T22

Tesoro XXII. L'eccesso della divina pietà Asc,9006a:T22,1

Ci sono pure conosciuti quanti canali di grazie scaturiscano da questo fonte dei fonti Cristo Gesù, donde possiamo con grande consolazione attingere acque salutari ed immensi tesori. Ciò non di meno se cercheremo più addentro, ci sarà dato di trovare altre miniere non meno ricche ed abbondanti. Ma a che possono giovarci tutti i tesori promessi, se attorniati da miseria, non solo ci riconosciamo vacui di ogni bene, ma incapaci pure d'avere un buon desiderio? Il vigore del nostro spirito è inaridito, come un vaso di terra cotta398, e talmente ci sentiamo svigoriti e di mala voglia per ogni bene, che non sappiamo come alzare la mente a qualche buon pensiero399

E dovremo per questo disperarci od allontanarci da Dio, che è nostro bene e nostra salute? No, certamente, perché siffatto allontanarci offenderebbe più d'ogni altra cosa, e sarebbe a noi grave danno. Non ci partiamo perciò da questo fonte

. Non vi è sete in noi di quelle acque salutari, né forza da cavarne una gocciola.

400

E non vediamo noi quanto Egli sia pronto a dare consiglio e conforto nelle angustie, quanto disposto a soccorrerci nelle necessità, a consolarci nelle tribolazioni? Come ne liberi quelli che confidano in Lui? E quante volte, per l'abbondanza della sua pietà, superi non solo i meriti, ma pure i desideri di chi lo prega di aiuto

, anzi, poniamoci a sedere sopra con Cristo Gesù, il quale, a chiunque starà vicino a Lui, offre quell'acqua che sale fino alla vita eterna.

401

E da questo fonte di pietà, che non si seccherà mai, non potremo noi avere ed aspettarci più di quanto sappiamo desiderare e domandare?

?

Ci è sfuggito forse dalla mente il modo con cui Egli stesso ci esorta ad aspettare l'aiuto suo? Per bocca del profeta dice: “Aspetta il Signore, diportati virilmente, e prenda vigore il cuore tuo, e aspetta pazientemente il Signore402

E di se stesso dice Davide: “Aspettai ansiosamente il Signore, ed Egli a me si rivolse”; anzi soggiunge: “Esaudì le mie orazioni e dall'abisso della miseria mi trasse, e dal sordido fango

”.

403

Asc,9006a:T22,2

”; perché la confidente perseveranza nell'aspettarlo è come orazione che fa violenza al cuore suo.

Ma donde il meravigliarci che Dio prontamente soccorra quelli che seco Lui stanno uniti, se la sua bontà è tale che corre dietro non solo a chi lo offende e lo fugge, ma offre graziosamente e fa quasi dolce violenza, perché siano accettate le sue grazie da quelli che lo perseguitano? Non era egli Paolo senza merito, né alcun buon desiderio? Anzi non era pieno di demeriti e pessimi intendimenti? Non si era egli fatto baluardo contro la Chiesa di Gesù Cristo che con grande ardore perseguitava404?

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Eppure vediamo quale edificio di santità sublimissima abbia Iddio per eccesso di sua carità innalzato sopra di lui. Disfece questo muro, atterrò questo baluardo, e di sua mano pose sopra di lui un nuovo fondamento tanto più profondo quanto più alto voleva innalzare l'edificio; vi aggiunse pietre preziose e tali che servirono per salda e fortissima rocca a difesa della Chiesa, per edificarvi nel mezzo cotanto altissima torre, donde venisse a manifestarsi il nome di Gesù Cristo in tutte le genti405

Asc,9006a:T22,3 .

Più d'ogni altro poteva dunque egli dire: “È Dio potente per fare che abbondiate voi d'ogni bene, talmente che abbondiate in ogni buona opera406

Perciò la Chiesa madre nostra Santissima conoscendo questo infinito tesoro ce lo addita nel divino Sacrificio, insegnandoci a pregare così

”.

407

“Onnipotente sempiterno Iddio, che per l'abbondanza della tua pietà nel dare, eccedi i meriti e desideri di quelli che di cuore a te ricorrono: spargi sopra di noi la tua misericordia, sì che ci perdoni quello di cui teme la nostra coscienza, ed aggiunga ciò che l'orazione nostra non presume di chiederti”.

:

Ora è da riflettere su questa parola effunde, cioè spargi, la quale significa dare con abbondanza, con liberalità, senza contraccambio o riscuotimento di prezzo, senza che si guardi al merito; insomma, si offre a chiunque ne voglia ricevere. Ed invero consideriamo quanto la pietà del nostro Dio sia stata al di là d'ogni nostro merito e desiderio o bisogno, allorquando per amore nostro il Figliuolo di Dio si impicciolì, e volle che il suo sangue fosse sparso come acqua e le ossa sue slogate408

Dopo tutto qualsivoglia altra cosa domandiamo, bramiamo o speriamo da Lui, ancorché ecceda ogni nostro merito, non mai uguaglierà e molto meno potrà sorpassare l'eccesso della sua carità, o apparire eccessiva rispetto a quella infinita con la quale ci amò ed operò la nostra salute.

. Oh quale e quanto grande fu veramente quel prodigio di amore che volle compiere in Gerusalemme!

Asc,9006a:T22,4 Badiamo però che questo nostro aspettare il soccorso divino non sia come quello di Ozia, il quale determinò di dare la città di Betulia in potere degli Assiri, se Dio non la soccoresse fra cinque giorni409; mercecché un così fatto aspettare sarebbe tentare Dio e provocarlo a spargere castighi, non misericordie. Dobbiamo anzi essere così fermi e perseveranti nell'attendere che, quasi altro Giacobbe, non cessiamo dal fare alla lotta con Dio, né lasciarlo andare se prima non ci avrà benedetti410

E se dopo molto aspettato e sperato, tutto ci succederà all'opposto di quanto speravamo, non ce ne affliggiamo perciò, né perdiamo speranza; sì siamo costanti come il fedele Abramo

.

411 ed il suo vero figlio Davide, che diceva di se stesso: “Io sempre spererò, e laudi aggiungerò a tutte le laudi tue412”. Anzi, imitiamo il santo Giobbe, il quale ancorché sepolto in tante disavventure animosamente diceva: “Quand'anche Egli mi desse morte, in Lui spererò413

Non volle il Signore sanare Lazzaro, che sarebbe stata grande grazia e meravigliosa, ed appunto non lo volle per risuscitarlo poi; il che fu grazia senza paragone, maggiore e stupenda

”. Così facendo, potremo starcene sicurissimi del soccorso, vivremo e non saremo confusi; perché questa tardanza che fa lo sposo e questo suo fare mostra di trascorrere più oltre senza guardarci, o differire a venire in soccorso e concederci quanto da Lui speriamo e domandiamo, non da altro proviene che dal tesoro dell'eccessiva sua pietà, la quale, dopo aver provata la nostra fede e pazienza in aspettarlo, vuole poi accordarci assai più di quanto sappiamo da Lui sperare, desiderare o chiedere.

414

Tirò in lungo la liberazione della figliuola della Cananea, ma per renderne più stabile e meravigliosa la fede e perseveranza; il che fu per lei molto più utile e glorioso

.

415

Volle Iddio differirci il talento che gli domandiamo, per rendercelo tanto più moltiplicato coi suoi frutti

.

416

Asc,9006a:T22,5

. Perché dunque saremo così diffidenti con Dio, che tardando Egli un poco il concederci quanto da noi si domanda, ci facciamo freddi verso di Lui ed abbandoniamo il suo servizio?

Concludiamo pertanto, e siamo fermamente persuasi essere il nostro Dio di tale condizione e natura, che per l'innata sua pietà tutto dispone a maggior nostro bene417, di modo che quando desideriamo o

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domandiamo cose che ci paiono utili e proficue al nostro sprirituale vantaggio, sia che ce le conceda subito o le differisca, o del tutto le neghi o disponga in qualsivoglia altro modo, sempre dobbiamo tenere per infallibile che Egli fa tutto per il nostro meglio, e sempre nel darci, eccede ogni nostro merito e desiderio.

Asc,9006a:T23

Tesoro XXIII. I Benefici di Dio Asc,9006a:T23,1

Siccome non vi è tra i fedeli chi non riconosca Iddio per vero e solo donatore di ogni bene418

Poiché, sebbene quanto da Lui si riceve, sia poniamo anche di non grande rilievo, essendoci però dato un Dio, porta seco una certa virtù divina che aumenta il primo dono e lo perfeziona. Anzi è come preziosa semente, donde continue germogliano altre serie di nuovi ed innumerabili benefici di cui, per così dire, ne è corona lo stesso Regno dei Cieli; essendo essi come anelli di tale guisa tra loro concatenati, che gli uni si collegano agli altri.

, così da qualunque dei suoi benefici può l'anima nostra arricchirsi di infiniti tesori.

Ma siccome la funicella da se sola non tira cosa alcuna, se con violenza non la tiriamo a noi, secondo ciò che sta scritto, il Regno dei Cieli si acquista con le forze ed è preda di coloro che usano violenza419

Certamente se noi intendessimo da piccolo seme averne un grande albero, non lo terremmo inoperoso e nascoso, sì conoscendo essere egli fruttifero, lo metteremmo in buon terreno, adoperandogli attorno diligentissima cura, affinché germogliando, prenda forma di arboscello e cresca per modo che gli uccelli dell'aria vengano a posarvisi sopra.

; perciò impariamo dal granello della senapa del Vangelo per quale modo si debba da un beneficio o dono di Dio, quasi da semenza fruttifera, cavarne altri non pochi.

Piacesse pure a Dio che così appunto ci diportassimo con Lui, e dopo ricevuta la prima grazia santificante, che è il piccolo seme per cui l'anima nostra si solleva verso il Regno dei Cieli, mai non cessassimo dal domandargli sempre nuovi aumenti di santità; perché siccome la potenza e ricchezza di Dio sono infinite, così ne otteremmo innumerabili grazie; epperciò i nostri desideri continuamente devono crescere, affinché Iddio ci ricolmi ognora di più grandi benefici e perfetti.

Asc,9006a:T23,2 Né ciò vuole da noi quasi sia Egli terra deserta, sterile e difficile a dare frutti spontanei; sì perché è necessario che facciamo forza e violenza a noi medesimi in desiderare, cercare e domandare cose di maggior perfezione. Queste diligenze si richiedono per disporci a ricevere i suoi beni, perché non ha il Signore difficoltà in dare, sì noi in ricevere. Non mai Egli si stanca di concederci le sue grazie, sì siamo noi i pigri e negligenti nel domandarle. Ond'è che parlando di benefici, assai differente è il trattare con Dio dal trattare con gli uomini. Infatti se alcuno ci fa un beneficio, saremmo indiscreti e non grati se tosto ne richiedessimo un altro: perché con gli uomini non è questo il modo di ringraziare; ma piuttosto il mezzo da seccare il fonte delle beneficenza. Tutto però all'opposto passa la cosa con Dio; poiché se ci comparte alcun beneficio, il vero mezzo di ringraziarlo e mostrarci grati, è domandargliene subito altri maggiori, mercecché la sua beneficenza ha origine da un mare infinito, e quindi quanto meno se ne ricava, tanto gli si fa pena e dolore, perché mostriamo di non conoscerne l'eccellenza e l'ammirabile ampiezza. E questo modo di mostrargli la nostra riconoscenza ci è insegnato dall'apostolo Paolo, il quale dice: “In ogni cosa siano manifestate a Dio le nostre richieste per mezzo del'orazione e delle suppliche unite al rendimento di grazie420

Perché siccome i benefici di Dio non si possono da noi conservare senza un suo continuo beneficio

”; con le quali parole ci avverte del pericolo che corriamo di perdere il beneficio ricevuto, se con il ringraziarlo, non si unisca la domanda di nuove grazie.

421

Che se ingrato è chi non rende bene a chi gli fa del bene, in quanto maggior nota d'ingratitudine cadremo noi, se potendo essere grati ad un piccolo dono ricevuto, non con il ridonare qualche cosa

, così bisogna che procuriamo di sempre riceverne dei nuovi, affinché non perdiamo i già ricevuti con l'abusarne.

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di proprio, ma con il domandare e ricevere nuovi maggiori doni, ricusassimo di dare al nostro benefattore Iddio questa consolazione e gusto, che ridonda in tanto nostro profitto e vantaggio?

Asc,9006a:T23,3 Quindi ne viene che nella presente vita non possiamo, come dicono i maestri di spirito, stabilmente arrestarci nello stesso luogo, cioè nella via di Dio non andare avanti è tornare indietro; perché come disse Gesù Cristo: “A colui che ha, sarà dato, e a chiunque non ha, sarà tolto anche quello che egli si crede d'avere422

Oh quanto dolce cosa è pertanto il ringraziarvi, o Signore, giacché il vero rendimento di grazie consiste in domandarvene altre!

”.

Oh veramente felice condizione nostra! Non si sdegna, né mai s'annoia il nostro Dio per il continuo supplicarlo di favori, anzi grandemente ne gode, perché con ciò fa sempre più campeggiare la sua infinita beneficenza; e tanto se ne diletta, che non solo ci concede quanto gli domandiamo, sì rende per soprappiù grazia, mercede e gloria speciale per le domande che gli facciamo. E neppure qui si ferma l'amorosa bontà del nostro Padre celeste, ma quasi con il non domandargli i suoi tesori e ricchezze, Egli venga a patirne danno, se ne lagna e se ne mostra offeso423. Quindi ebbe origine quel compassionevole pianto del nostro buon Gesù sopra Gerusalemme, perché non volle conoscere il tempo della sua visita424

Asc,9006a:T23,4

e sprezzò d'accogliere chi a Lei veniva tanto bramoso per farle del bene, né volle dargli ricetto in casa sua.

Oh a quali indicibili miserie condusse quei ciechi Giudei il disprezzo delle ricchezze della sua bontà e beneficenza! Precipitando essi d'errore in errore, giunsero persino a risolvere di farlo con astuzia ed inganno prigioniero425

E tuttavia, dopo cotanto nera ingratitudine, trovarono il perdono quanti di cuore fecero ricorso a Lui, di modo che chiunque non lo ottenne, non può attribuirne la causa a mancanza di benignità e clemenza in Gesù, sì deve incolparne la perfida ed ostinata malizia del proprio cuore.

, e così col levarlo di vita, togliergli pure il potere e la volontà di fare loro del bene.

Perciò volle in presenza di tutti, domandare al Padre suo il perdono in loro favore426

O Signore Iddio, benefattore nostro, quando sarà che agli innumerabili benefici aggiungiate ancora questo, che più oltre non abusiamo dei favori vostri celesti? Voi bene lo vedete che a nulla ci gioverebbero tutti gli altri, se questo solo ci negaste. Giacché pertanto di infiniti già ci arricchiste senza che Vi pregassimo, avrete Voi cuore di mandarci dai vostri piedi scontenti? Deh! Aggiungete ancora questo, o pietoso, ed esauditeci. Se tornò conto che Voi solo moriste acciocché non perissimo tutti noi

, sia per animarli a chiederlo ancora essi, sia per far conoscere quanto eccessiva fosse la sua carità, poiché tanti e così indegni trattamenti non lo potevano trattenere dall'interporsi a loro bene presso il Padre suo. O miseri voi che chiudeste gli occhi, e vi turaste le orecchie del cuore per non vedere e sentire gli effetti di tanto eccesso di amore!

427, perché non tornerà pur conto che ci accordiate questo solo beneficio, acciocché non vada a male tanta moltitudine di altre segnalatissime grazie? Signore, ve ne supplichiamo, e speriamo da Voi questo beneficio, appoggiati alla parola ed ai meriti vostri. Che se per umana fragilità fosse in alcuna parte difettosa la fiducia nostra, supplisca, ve ne preghiamo, l'abbondanza della vostra pietà, che nel donare eccede di gran lunga i desideri di chi vi supplica e prega.

Asc,9006a:T24

Tesoro XXIV. La gloria di Gesù Cristo Asc,9006a:T24,1

Oh! Quale sopra ogni altro immenso ed ineffabile beneficio fu per noi, o Signore, quando così disponeste le cose, che il nostro bene ed utilità fossero pure nello stesso tempo onore, lode e gloria vostra! Oh quanta allegrezza e conforto dovremmo provare, se conoscessimo la fondata speranza d'ogni bene, che da Lui ne deriva! E sia il vero. Quando voleste, o Gesù amabilissimo, risuscitare Lazzaro, figura del peccatore, diceste a Marta sua sorella: “Or ora vedrai la gloria di Dio428”. Quando voleste restituire la vista al

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cieco nato, vi protestate di farlo, perché campeggiassero nella sanità di lui le opere meravigliose di Dio429

Sì, ed eccone in prova le parole stesse di S. Paolo: “Tutti hanno peccato ed hanno bisogno della gloria di Dio

. Ed ora sarà possibile che le nostre miserie, le nostre infermità, anzi gli stessi nostri peccati possano cooperare a manifestare la gloria vostra?

430; cioè, soggiunge egli stesso, essendo venuto Gesù Cristo in questo mondo per salvare i peccatori, ed avendo voluto essere chiamato Gesù, cioè Salvatore431, questo suo nome si mostra allora meravigliosamente glorioso, quando in realtà compie l'ufficio che è indicato nel nome suo di Salvatore, liberando le anime dalla schiavitù della colpa, e restituendole alla libertà dei figli di Dio432”; onde con il reale Profeta la Chiesa ci insegna ad invocare il divino aiuto così: “Aiutateci Dio, Salvatore nostro, e a gloria del vostro nome liberateci, e siate propizio ai nostri peccati per il vostro nome433

Quindi è che fu udito cantarsi dagli Angeli: “Gloria a Dio nel più alto dei Cieli”; quando fu annunziata la pace in terra agli uomini del buon volere

”.

434

Epperciò Chiesa Santa, come ottimamente addottrinata di cotanto mistero, nel fare commemorazione di così segnalato beneficio, vi rendiamo grazie, dice, per la vostra grande gloria

.

435

Asc,9006a:T24,2

, poiché allora, con modo più ammirabile, la manifestò Iddio quando a noi, miseri ed indegni, compartì i suoi benefici.

Se però, con la domanda della nostra salute, va unita insieme la gloria di Dio, quale cosa si potrà o ci converrà con maggior certezza e facilità sperare ed ottenere, quanto la stessa gloria sua? Potrà forse Iddio non curarsene, se si protesta che non la cederà a veruno436

In quale sicuro porto pertanto sta riposta la nostra salute, la nostra felicità, la gloria e l'onore nostro, essendo collocata nello stesso tesoro della gloria e dell'onore divino, mercecché nella sola e medesima persona di Gesù stanno guardate ed unite la gloria di Dio e la glorificazione dell'uomo? In questa sola persona viene Iddio onorato dall'uomo e l'uomo da Dio. Date perciò, o Signore, gloria al nome vostro

?

437, imperocché non vi è sotto il Cielo altro nome dato agli uomini, mercè di cui abbiamo noi da essere salvati438. Quindi mai viene negata cosa alcuna spettante alla nostra eterna salute chiesta in grazia di questo vostro nome, poiché ogni nostro danno e pregiudizio della salute eterna, pregiudica in certo modo all'onore ed alla gloria di Dio stesso, il quale viene in noi e da noi glorificato, mentre esaudisce le nostre suppliche, e per questa cagione Egli stesso ci invita a domandare439

È quindi comune la causa di cui si tratta. Infatti la vostra, o Signore, è di salvare i peccatori, perché per la loro salute foste crocefisso, cioè voleste essere Gesù, ossia Salvatore; per questo vi faceste uomo e moriste in croce; onde ne viene che la nostra salute e la vittoria, che dei nemici riportiamo, ridonda anche in gloria vostra; epperciò Iddio stesso combatte in noi e per noi, come già disse a Mosè

.

440. Anzi gli Angeli stessi, quanto maggiormente bramano la gloria e l'onore di Dio, con tanto maggiore sollecitudine procurano che la vittoria sia nostra; mercecché ben conoscono che non loderanno il Signore coloro che sono morti nell'anima e nel corpo, né quelli che precipitano nell'inferno, ma noi che viviamo, benediciamo il Signore e il nome suo441

Asc,9006a:T24,3 .

Non ci sbigottisca perciò alcun timore442, per la moltitudine dei nemici che ci perseguitano, e si avventano contro, perché, quantunque ci misuriamo da noi medesimi, non troviamo cosa più miserabile, essendo polvere o foglie, sbattuti e trasportati da piccolo soffio di vento443; tuttavia se ci appoggiamo al nostro Dio, se ci vestiamo della sua corazza, se gli camminiamo al fianco, nessuno mai potrà starci di fronte444

Ripetiamo pure dunque col santo apostolo Paolo: volentieri ci glorieremo nelle nostre infermità, affinché dimori in noi la potenza di Gesù Cristo

.

445, e così chi vuole gloriarsi, si glori solo nel suo Signore Iddio446.

Asc,9006a:T25

Tesoro XXV. Gesù nostro giudice Asc,9006a:T25,1

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Gesù nostro giudice! A questa voce pare che un sacro orrore ci invada, e tutte tremino le nostre ossa, poiché sembra di non potervi essere cosa più tremenda dei divini giudizi. Pure, sotto qualunque nome ci si presenti il nostro amabile Gesù, non vogliamo lasciar sempre crescere nella speranza e confidenza in Lui, perché Egli è, e sarà sempre il nostro soccorso, la nostra consolazione447

Infatti, non è forse questo giudice lo stesso Gesù, che ci promise con giuramento di concederci quanto avremmo domandato in suo nome? Non abbiamo noi ricevuto dal Padre tutte le cose, quando ci donò lo stesso Figlio suo

.

448

Anzi, non giunse Egli ad offrirsi per servo, dicendoci: “Venni in questo mondo per servire e non per essere servito

? Questo giudice non ci è Egli pure padre, fratello, amico e sposo?

449”? Che più? Non è ella verità di fede che questo stesso Gesù, per amore nostro e per salvarci, discese dal Cielo, si incarnò in Maria Vergine per virtù dello Spirito Santo, e si fece uomo450

Ora da queste premesse e dagli antecedenti non ne viene appunto la consolantissima conseguenza, che anche per nostro amore e salute ha da venire di lassù, cinto di gloria a giudicare i vivi ed i morti

? Che per noi morì crocefisso e fu sepolto? Che risuscitò il terzo dì, ascese al Cielo e siede alla destra di Dio Padre onnipotente?

451

Asc,9006a:T25,2

? Se perciò avessimo dovuto sceglierlo noi stessi, avremmo noi potuto eleggere un giudice di maggior nostra confidenza? Poiché prima di venire a farla da giudice, si esibisce nostro salvatore, redentore, amico, fratello, padre, sposo tenerissimo e con giuramento si obbliga a concederci quanto vorremo domandargli.

È vero che se entrate in giudizio con i servi vostri, o Signore, nessun vivente sarà riconosciuto per giusto al vostro cospetto452; nulladimeno se noi entreremo nella vostra giustizia accompagnati e protetti da Voi, possiamo stare con ogni sicurezza e fiducia che non saremo confusi in eterno, e ci libererete dalla dannazione nella vostra giustizia medesima453

Oh quanto vi siamo obbligati, o Eterno Padre, che non volendo giudicare alcuno, abbiate deciso che sia giudice della nostra causa quegli che fu fatto per noi e giustizia e santificazione e redenzione

.

454

Epperciò non cerchiamo di scamparci da Lui, anzi proferisca pure la sentenza della nostra causa, e per onore della sua parola ci sia propizio

!

455. Perciocché la misericordia talmente trionfa del giudizio456

Ma per poter più facilmente concepire tale fiducia nel giudice nostro Gesù, non dobbiamo solo considerarlo giudice dei morti, sì ancora dei vivi

che anche nel tempo stesso dell'essere giudicati, possiamo fidatamente contare sopra una favorevole sentenza.

457: epperciò nella presente vita preghiamolo che si degni di giudicarci per la nostra emendazione, affinché non siamo poi con il mondo perverso condannati nel tempo della nostra morte458

Procuriamo soltanto d'avere Gesù dalla nostra, e nessun altro giudice potrà dare sentenza contro di noi

.

459. Imperciocché sebbene, o caro Gesù, vi protestiate di dare a ciascuno secondo il merito delle opere, e diciate di voler dare sentenza con tutto il rigore, non per questo ci turbiamo, né ricusiamo il giudizio, anzi lo desideriamo. Si produca pure il libro nel quale stanno notati i debiti e crediti nostri460, perché non solamente si troverà a nostro conto tutto quello che abbiamo operato noi di bene e di male, sì pure tutto quello che Voi Dio-Uomo avete fatto e patito; e con ragione, perché questo pure è nostro, avendolo Voi fatto e patito per noi.

Asc,9006a:T25,3

Fondati pertanto… Fondati pertanto sopra questo capitale di cui ci arricchiste, facciamo grande istanza e vi preghiamo che, quanto prima, giudichiate la nostra causa461 e proferiate la finale sentenza462

Che se è dovere di un giudice il far sì che siano osservati i patti, si adempiano le promesse, si mantengano i giuramenti dati, affinché la pubblica fede non resti delusa, rammentatevi, di grazia,

, purché si noti a nostro conto tutto quello che ci acquistò l'innocentissima e penosissima vostra vita, l'amarissima Passione e spietatissima morte vostra.

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amoroso giudice, che Voi stesso non una, ma più volte giuraste di accordarci quanto avremmo in nome vostro domandato463

Ora noi non vi domandiamo altro, se non che Voi medesimo stiate ai patti, concedendoci quanto si domanda.

.

Un buon giudice è certamente sollecito che si osservi l'assioma, ciò che è superfluo ad uno si dia ad un altro bisognoso464

Ora noi lasciamo giudicare a Voi, o Gesù sapientissimo, se convenga o no che sia sollevata e provveduta la povertà nostra con quella sovrabbondanza di ricchezze e tesori che sono nella casa del Padre vostro, tanto più che facendo quest'opera di pietà verso di noi, non solo non causate danno né a Voi, né ad altri, ma a Voi ed a noi portate grande vantaggio, poiché la nostra necessità diviene anche necessità Vostra, mentre essendovi voluto fare una cosa sola con noi, come il capo con le membra, vi protestate che quanto si sarebbe fatto a noi, sarebbe stato fatto a Voi medesimo

.

465

Asc,9006a:T25,4 .

Inoltre ogni ragione vuole che innanzi tutto un buon giudice si mostri tale in casa sua, che la governi bene e giudichi rettamente nelle occorrenze; che porti la sua famiglia a bene e l'allontani dal male; giudicate perciò, Vi preghiamo, se non sia conveniente che la nostra anima, vostra sposa, viva secondo il suo stato decentemente vestita ed ornata da Voi suo sposo? Giudicate se sia bene il negare la porzione di eredità ai figli vostri, che umilmente ve la domandano? Giudicate se sia cosa prudente che Voi, padrone nostro, lasciate noi servi vostri abbandonati al proprio capriccio in nostra manifesta rovina, mentre vi supplichiamo di non lasciarci né di permettere tanta sciagura? Che se conviene pure ad un buon giudice raffermare egli stesso coll'esempio le leggi che ha stabilite, già vedete in quale modo sia conveniente che Voi nostro giudice sovrano vi diportiate nel tempo che dovrete giudicarci dei mali commessi: cioè nella stessa maniera con la quale ordinaste a noi di regolarci con i nostri prossimi ogni qualvolta ci offendono, ed ecco le vostre parole: “Non rendete male per male466, né maledizioni per maledizioni, ma fate del bene a chi fa del male, amate chi vi odia, pregate per chi vi perseguita e calunnia, e non vi dico di perdonare fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette volte467”; ora vi preghiamo di osservare pure questa legge con noi.

Asc,9006a:T25,5

Quantunque poi… Quantunque poi sia dovere di buono e giusto giudice castigare i delitti, un altro tuttavia più stretto gli incombe ed è questo, provvedere che altri non se ne commettano in futuro, essendo questo lo scopo della legge ed il fine. Ora esercitate, ve ne preghiamo, o giudice giustissimo, verso di noi questo ufficio, con il far sì che per l'avvenire mai più ci avvenga di offendervi. Incatenate fin d'ora questa nostra ribelle volontà, mettetela in ceppi, anzi inchiodatela sopra la croce. Legate, o dolcissimo padre e giudice, le mani ed i piedi nostri, e fate che non lasciandoci allettare dalla sensualità, né fuggiamo da Voi, né contro di Voi osiamo con proterva ostinazione contendere. Che se per occulto giudizio della profondissima vostra sapienza vi sembrasse spediente non impedire la nostra volontà, sì che non possa volere il male, almeno vi supplichiamo di non permettere che operi il male che può voler fare; onde come è proprio della nostra debolezza poter volere il male, così con la vostra potenza impediteci che lo vogliamo, poiché il vostro potere è infinitamente superiore ad ogni nostro iniquo volere. Oh quale felicità sarebbe la nostra, se fin d'ora ci faceste udire dalla vostra benedetta bocca quella consolantissima parola: “Vi sia pure concesso quanto desiderate468

Ma sebbene fosse per accaderci una sì grande sventura, non per questo vorremmo disperare

: d'or innanzi più non peccherete!” All'incontro, oh quanto ci affligge il riflettere che ancora può esserci differita codesta desideratissima grazia! Oh per noi infelicissimo istante quello in cui per nostra malizia fossimo ancora per offendere Voi, Dio sì buono!

469, sapendo aver Voi fatto legge che si ami il nemico e si faccia bene a chi ne fa male. Appoggiati a

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Lei470, con fiducia compariremmo dunque al vostro tribunale, pregandovi di non lasciarci vincere dal male, ma vincere Voi pure il nostro male col bene471

Asc,9006a:T25,6 , come ci comandaste.

Finalmente se ogni volta che il reo offre dovuta e giusta soddisfazione, un buono e giusto giudice la deve accettare, placando il suo sdegno, come si acquietò Assuero quando fu sospeso al patibolo il superbo Aman; non vi parrà cosa giusta, o Signore, che resti placato lo sdegno vostro contro di noi, e ci perdoniate i meritati castighi, dappoiché per dare questa soddisfazione Voi unigenito divino Figlio foste inchiodato sopra la croce, offrendovi ostia, sacrificio ed olocausto per la remissione di tutte le colpe472

Sarà possibile che quelle piaghe tollerate per nostro amore e salute, ora si conservino aperte contro di noi? Confessiamo, è vero, che esse ci alzano contro le grida, poiché causate dai nostri peccati; ma per altra parte perorano con gran forza la nostra causa, in quanto le riceveste per il nostro bene.

?

Sicché, giudice nostro benignissimo, se quel male che da noi fu fatto contro la persona vostra non solo lo sopportaste con pazienza, sì tuttavia lo conservate amorosamente per il nostro bene, amateci dunque quale Padre, e poi condannateci come giudice se pure lo potete.

Asc,9006a:T26

Tesoro XXVI. Il dono dello Spirito Santo Asc,9006a:T26,1

Deh quanto ampia e profonda miniera di ricchezze ci è aperta in così magnifico dono! Consideriamo come questo Dio altissimo, dispensatore delle grazie e di tutti i doni, è stato a noi donato ed elesse e prese a fare sua dimora in noi473

Oh dono dei doni, dono primario, dono datoci da Dio per pegno di se stesso, che è eredità e mercede nostra

, allorquando fummo arruolati tra i soldati di Gesù Cristo nel Santo Battesimo.

474; dono vivo e vero di Dio vivo e vero; chiamato fonte vivo475, perché non lo immaginiamo arido e secco. Che se è fonte vivo è certo che ci darà acqua viva, come disse Gesù Cristo, appunto intendendo dello Spirito che erano per ricevere quelli che credessero in Lui476

“L'acqua, disse Gesù alla Samaritana, che io darò, diventerà una fonte di acqua che salirà sino alla vita eterna”. Oh quanto è monda e salutare quest'acqua che vive e sale, e fa che noi ancora viviamo e saliamo fino alla vita eterna

.

477, se da noi si sappia degnamente ricevere e conservare. Poiché, siccome la terra per se stessa arida e secca, se sia annaffiata, germoglia vaghissimi fiori e gustosissimi frutti, così l'anima, benché per se stessa sia arida e sterile di ogni cosa buona, appunto quale terra senz'acqua478, se venga irrorata da questa pioggia celeste che Dio manda alla sua eredità479, produce fiori vaghissimi di giustizia e santificazione; e con tutto che quest'acqua celeste sia uniforme, produce tuttavia molti e diversi frutti di virtù. Onde ad uno è dato per mezzo dello Spirito il linguaggio della sapienza, all'altro poi il linguaggio della scienza; e così ad altri, altri doni secondo che a Lui piace480

Asc,9006a:T26,2 .

Egli è pure avvocato e consolatore nostro, il quale ci detta, ci stimola e fa che domandiamo cose opportune e convenienti alla nostra eterna salute481

Se l'apostolo Paolo fosse stato esaudito di quella sua domanda, non sarebbe egli forse stato privo del profitto spirituale, che andava cavando da quella molesta tentazione

. Che se non fossimo diretti ed ammaestrati da questo Spirito, quante cose inconvenienti ed inutili, anzi dannose non domanderemmo, ingannati dalla nostra cupidigia?

482

Epperò questo Spirito paraclito come vero suo avvocato domandava per lui assai differentemente, acciocché la virtù di lui s'andasse, per mezzo di quella infermità, perfezionando.

?

Poteva per avventura Iddio per il sollecito e felice successo dei nostri negozi provvederci di più efficace e migliore avvocato di questo Santo Spirito, che è il suo stesso amore? Oh quanto ha di forza l'amore per persuadere all'amante qualsivoglia cosa pur faticosa, difficile ed aspra che sia, purché torni in bene ed utile all'oggetto amato483

E per verità chi fu se non l'amore, quell'avvocato potente e di tanta efficacia presso Dio, che lo persuase a mandare lo stesso suo Unigenito in quest'esilio, vestito di nostra mortale spoglia

!

484

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coll'apparenza di peccatore per la salute di noi poveri peccatori? Chi lo strinse in catene come ribaldo, chi lo sottopose ai flagelli, chi lo coronò di spine pungenti, chi lo fece morire di spasimo e dolore confitto in croce; chi lo rese finalmente obbrobrio degli uomini e rifiuto della feccia stessa del popolo; chi lo ridusse a farsi cibo degli uomini, se non l'amore485

Se pertanto l'amore di Dio si fa avvocato per noi presso Dio, chi avrà ardire di portare accusa presso Dio contro di noi

?

486

Asc,9006a:T26,3 ?

Anzi essendo lo Spirito Santo non solo nostro avvocato, ma la lingua del medesimo Dio che parla in noi487, il maestro che ci insegna e suggerisce quanto abbiamo da chiedere488, con quanta facilità e quanto presto per mezzo di Lui, con Lui ed in Lui otterremo abbondantemente quanto ci sia di bisogno. InvitiamoLo pertanto con la Chiesa Santa489

Ma e come non verrà a noi per arricchirci dei suoi doni questo Santo Spirito, se fin dai suoi tempi il re Davide esclamò: “Aprii la mia bocca e a me trassi lo spirito

: “Venite, diciamogli, venite, o consolatore ottimo, o amabilissimo ospite, o dolce refrigerio. Venite a colmare di consolazioni e grazie le povere anime nostre!”

490

Perciocché Egli è quasi aura delicatissima e sottilissima, la quale viene tirata a sé ed in sé da chi la vuole, col solo aprire la bocca per domandarla. È questo Spirito consolatore come il cuore di Dio, essendo Egli lo stesso amore di Dio.

”?

Voi siete dunque, o Spirito Santo, quel fuoco celeste che venne ad accendere in terra il divino Figlio491. O fuoco, che mentre fate l'uomo amante di Dio, lo cangiate pure in Dio! Poiché l'amore trasforma l'amante nell'oggetto amato; onde se amiamo la terra, siamo terra, dice S. Agostino, se amiamo Dio siamo altrettanti Dei492

Venite dunque, o Santo Spirito, e non ci negate questa grazia, anzi non negatevi a Voi stesso, ed ai gemiti ed alle domande vostre, mentre Voi siete quegli che ci fate domandare e desiderare la vostra visita. Venite e non contristateci col negarci l'amore vostro

.

493

Asc,9006a:T26,4

, affinché d'ora in poi né possiamo, né vogliamo più contristarvi coll'amare altra cosa fuori di Voi.

O Spirito divinissimo, se in noi potessimo operare quel che potete Voi, oh quali vorremmo accendere vive fiamme d'amore nei nostri cuori! Ora se siamo certi che in amarci non solo ci uguagliate, ma infinitamente ci superate, come dunque potrete non concederci che vi amiamo, non solo quanto chiediamo e desideriamo di amarvi, ma anche quanto potete darci di questo amore per Voi, tanto più che siete Voi l'autore ed il promotore di questa nostra brama di amarvi? Anzi, o Spirito consolatore, se avete da operare tra Dio e noi quella unione che è nel Padre e nel Figlio, come Gesù a nostro vantaggio ne pregò il Padre suo, forza è che ci doniate un perfettissimo amore, poiché quanto ci mancherà di perfezione nell'amore, altrettanto ne mancherà pure nell'unione. O divinissimo Spirito che in quest'esilio ne rinvigorite e ci consolate con la promessa dei beni già preparati, deh ve ne preghiamo, fate che anche una volta possedendolo e godendoli, siamo per tutti i secoli perfettamente gloriosi e beati.

Asc,9006a:T27

Tesoro XXVII. I nostri peccati propri Asc,9006a:T27,1

Passiamo adesso ad esaminare come i peccati nostri commessi possano, se sappiamo valercene, riuscirci di aiuto ad accumulare tesori di beni e trarne vantaggio. O Signore, lo confessiamo, forse vi è in noi troppa audacia, ma ne sia chiamata in colpa la stessa vostra bontà, perché appunto per questi peccati ricevemmo l'inestimabile dono di avervi per redentore e salvatore nostro, e ci rendeste bene per male; onde la sposa vostra, la Chiesa Santa fuori di sé per la meraviglia esclama: “Oh felice colpa, che meritò d'avere un tale e così gran redentore! Oh veramente necessario peccato d'Adamo, che fu cancellato con la morte di Cristo494!”

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Se pertanto può convenire al peccato il nome di felice, di necessario e di merito, perché non gli si potrà anche adattare quello di tesoro? Voi stesso, Gesù caro, non deste forse il nome di dramma, ossia moneta al peccatore495

E perché si era perduta, accendeste la lucerna, scopaste la casa, e dopo molta fatica e diligenza trovatala, cominciaste a chiamare con sommo contento ed allegrezza gli amici e vicini, e tutto festoso li invitaste a rallegrarsi con Voi per la moneta trovata.

?

Ora diteci, o amato Signore, come potreste cotanto magnificare ed ingrandire quella vostra immensa carità, che esercitate verso i nemici vostri, se non ci fosse chi vi si facesse nemico con il peccato? Come potreste ammaestrarci ed allettarci con l'esempio e vostro e del celeste Padre ad amare i nemici, a fare del bene a chi ci fa del male, se non ci fossero peccatori ingiusti ed ingrati sopra cui la divina maestà facesse cadere la pioggia feconda, e nascere il sole ugualmente sopra i buoni ed amici suoi? Epperciò più conveniente cosa giudicate il fare bene ai vostri nemici e peccatori, che il non permettere che ce ne siano; e tollerate, dissimulando le nostre colpe, acciocché meglio risplenda l'ardente vostra carità.

Asc,9006a:T27,2 Nei segreti vostri giudizi, Voi permettete, dice S. Gregorio, che si commettano mali, onde avere occasione di comunicarci molti beni. Ed in vero quale si può trovare maggior male di quello per cui tutti fummo dannati a morte? E quale bene maggiore di quello, in virtù del quale fummo ritolti alla morte? Che se Adamo non avesse peccato, non vi era bisogno di Redentore, poiché lo attestò Cristo medesimo di essere venuto per chiamare e tirare a sé non i giusti, ma i peccatori496

Se dunque non vi fossero stati peccatori, non vi era bisogno della sua venuta. .

E sebbene gravi e molti siano i mali che tirò addosso agli uomini quella prima colpa, chi nulladimeno tra gli eletti non si contenterebbe di patirne con giubilo infiniti altri e maggiori, anziché vivere privo di tale e tanto Redentore? Fin qui S. Gregorio.

Asc,9006a:T27,3 Andiamo però molto cauti, affinché allettati dalla vista di sì gran cumulo di bene e dal dolce nome di tesoro, non ci lasciamo indurre alla colpa. Mercecché il peccato è male sì grande, che porta all'anima più danno di qualunque altro gravissimo male. “E che giova all'uomo, disse il divino Redentore, guadagnare tutto il mondo se poi perde l'anima? O che darà l'uomo in cambio dell'anima sua497

E supponendo pure che il peccato si converta in bene dell'anima, tuttavia non è lecito far male a fine che ne segua del bene. Dobbiamo quindi stare sull'avviso di non esserci indicato questo tesoro dei nostri peccati, acciocché corriamo loro dietro o ce ne compiaciamo, facendo tregua con loro, perché così non solo non ci si cangerebbero in tesori, ma in ladroni crudeli, che rubata ogni ricchezza nostra, nudi e malamente feriti, ci lascerebbero mezzo cadaveri, cioè vivi al mondo e morti a Dio

?”

498

Sì, solo a questo fine ci viene additato che se mai, per disgrazia, cadessimo nelle mani di sì fatti traditori (dai quali Iddio ci liberi), sappiamo il modo che dobbiamo tenere per farceli cooperare in bene e trarne occasione da procacciarci abbondanti e ricchi tesori di grazie.

.

Imperciocché Iddio solo è Colui che da quanto cagionò la morte, fa risorgere la vita, ed è così sapiente che da mali sommi sa cavarne grandissimi beni. “Voi faceste, disse Giuseppe ai suoi fratelli, cattivi disegni contro di me: ma Dio li convertì in bene499

Se per somma disgrazia dunque ci accadesse di peccare gravemente, non ci venga meno il coraggio, né disperiamo. Con dolore sì, ma pieno di fiducia venendo prontamente al nostro Dio, a Lui scopriamo la piaga dell'anima, pregandolo di volercela convertire in vantaggio e così rendere bene per male.

, anzi è tanto sagace e potente che non permetterebbe male alcuno, se non sapesse e volesse volgerlo a frutto.”

Asc,9006a:T27,4

Gesù maestro infallibile…

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Gesù maestro infallibile a noi suoi discepoli non insegnò a rendere maledizione per maledizione, sì a fare del bene a chi ci odia. Ora non essendo il discepolo più del suo maestro500, e vedendo noi alcuni dei suoi fedeli aver tanto ben appresa e praticata questa dottrina che, non solo benevoli e mansueti perdonarono ai persecutori ogni offesa, ma per i nemici loro sacrificarono generosamente la vita, quale giudizio faremo del maestro da cui hanno appreso tale insegnamento e grazia insieme da praticarlo501

E non sappiamo noi che la carità, anche grande di tutti i discepoli, messa a confronto con quella di Gesù loro maestro, non ha la proporzione di una goccia d'acqua con l'immenso oceano?

?

Infatti sebbene il paragone tra una goccia sola e la sterminata quantità delle acque del mare sia sproporzionatissimo, tuttavia non gli si può negare una cotale relazione e convenienza; ma fra la carità dei discepoli e quella del divino Maestro non ve ne è alcuna, come non vi è proporzione tra il finito e l'infinito.

Asc,9006a:T27,5 Ora se una scintilla piccolissima di carità comunicata da Gesù Cristo ad uomini miserabili è così efficace, che li spinge a dare la vita a pro dei loro stessi nemici, quale non sarà la forza, e fino a quali eccessi non giungerà quell'infinito incendio della sopra eminente carità di Gesù Cristo? Da questa immensità di amore ricavava il Santo Davide quella fiducia per cui null'altro da parte sua allegando, se non peccati, tuttavia ne chiedeva e sperava il perdono: “Ho peccato, diceva egli, contro di Voi, o Signore, ed ho commesso un gran male alla presenza della vostra maestà infinita502, epperciò abbiate pietà di me e perdonatemi”; né solo chiedeva una misericordia ordinaria, ma senza alcuna misura grande; né adduceva altro motivo nel chiederla così fattamente grande, se non la gravezza e la moltitudine delle sue colpe503, né bastandogli tuttavia, chiedeva di essere ognora più purificato dalle sue iniquità e voleva essere affatto mondo dal suo peccato504. Ma, o Santissimo dei Re, quali ragioni addurrete per pretendere una sì grande vastità di misericordia e cotanta purezza? Eccole: perocché io conosco la mia iniquità e il mio peccato mi sta sempre davanti505. Sana perciò, o Signore, l'anima mia, quantunque io abbia peccato contro di te506

Asc,9006a:T27,6

. Ecco per quale modo dagli stessi peccati ricavava il Re profeta la somma confidenza per la sua salute.

Sappiamo benissimo, o Signore, che non vi piacciono i peccati, anzi li abominate sopra ogni credere: ciò nulla ostante, oh quanto è mai grande la vostra propensione ad usare della vostra misericordia con noi poveri peccatori! Voi lo sapete, o Salvatore Santissimo, ognuno è tirato dal suo piacere: mostriamo un ramicello verdeggiante ad una pecorina, e subito la tiriamo a noi, dice S. Agostino; lasciamo vedere una noce ad un fanciullo, ed egli ci corre dietro; e l'uomo stesso apprendendo qualche sorta di bene a sé conveniente, subito vi si sente attirato. Ora diteci, o caro Gesù, che scopriste di buono in noi, che potesse piacervi ed attirarvi in questo mondo, mentre Voi siete la stessa bellezza e bontà per essenza? Quale oggetto allacciò tanto il vostro divino cuore, che vi abbassaste dal seno del Padre celeste a quello di madre terrena, e dalle regali sedi circondate di Serafini vi trasse a nascere in vile capanna tra stolidi giumenti507

Forse un qualche splendore di santità scoperto in alcun uomo giusto? ?

Sentiamo la riposta da Gesù Cristo medesimo, e tripudiamone per allegrezza: “Non mi hanno tirato nel mondo i giusti, dice Egli, ma i peccatori508

Vide Egli il peccatore e talmente fu preso e vinto da compassione per lui, che fu come forzato ad abbassare i Cieli, e discendere in terra

”.

509, e lasciate le novantanove pecorelle, affannosamente corse dietro a questa sola, che gli si era smarrita, e trovatala dopo tanti sudori e patimenti, l'accolse, la strinse al seno dolcemente abbracciandola, se la pose sulle proprie spalle510, e la portò con gran giubilo a casa sua; quindi per ristorarla, la fece seco sedere a mensa511, le distribuì in cibo le sue deliziose carni medesime ed in bevanda il prezioso suo sangue512, anzi per liberarla dalle unghie del rabbioso lupo infernale, non ricusò di sopportare Egli stesso i flagelli, e spine, e morte di croce. Oh quali eccessi d'amore per noi miseri e peccatori!

Asc,9006a:T27,7

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Ora che ce ne pare… Ora che ce ne pare? Non ha Egli questo buon maestro perfettamente messo in pratica la dottrina che ne insegna? Non ha Egli veramente reso bene per male? Anzi quale bene poteva Egli renderci maggiore di questo? E sappiamo noi, che si sia ora scordato della sua dottrina e di quanto ha fatto per noi, sì che più non sia quel medesimo che a nostro riguardo già fu? Non dice Egli, che è sempre lo stesso513? E S. Paolo non ci assicura che quel Gesù Cristo che fu ieri, quello stesso è anche oggidì514

Dunque se non ci troviamo ad avere presentemente alcuna opera buona da mostrare a questo nostro Salvatore per allettarlo a farci del bene, mostriamogli i nostri peccati; e, la prima grazia che abbiamo a domandargli, sia appunto che ci liberi da tutte le colpe, che ci lavi, ci mondi e ci preservi dal cadervi, affinché possa Egli, con maggior ampiezza e liberalità, colmarci di beni a proporzione dei mali che per loro causa ci incolsero.

e sarà sempre per tutti i secoli?

Ed affinché con maggior confidenza domandiamo al Signore che ce ne liberi, teniamo sempre avanti gli occhi questa verità, che appunto per liberarcene, venne al mondo il Figliuolo di Dio, e gli fu donato l'ammirabile nome di Gesù, mercecché doveva liberare il suo popolo dai suoi peccati515

Quale cosa pertanto possiamo noi chiedere con maggior fiducia, ed impetrare più facilmente dal nostro caro Gesù, quanto quella per cui concederci, discese dal Cielo, si fece uomo, si lasciò crocifiggere, mettere a morte e seppellire? Non abbiamo perciò alcun timore di presentarci al medico, perché ci riconosciamo infermi, anzi con tanto maggior fiducia dobbiamo venire a Lui, essendo venuto dal Cielo a questo fine di guarirci dalle nostre infermità, ben sapendo che gli infermi, e non i sani, hanno bisogno del medico

.

516

O pessima e cieca nostra frenesia! D'onde dovremmo prendere occasione di più ansiosamente ricorrere al medico, cerchiamo all'opposto di starcene più lontani.

.

Asc,9006a:T27,8 Infatti non solo noi poveri peccatori fuggimmo senza che alcuno ci perseguitasse517, il che è grande pazzia, ma fummo assai più stolti ancora nel fuggircene di corsa, mentre il Signore tutto misericordia ci invitava al ritorno, mentre ci rincorreva non per farci del male, ma offrendoci il perdono e la medicina, mentre si protestava che ci voleva liberare dai peccati e salvarci, anzi, mentre prometteva e giurava di voler concederci quanto gli avremmo chiesto in ordine alla nostra eterna salute518

Che se ci sbigottiscono per avventura quelle voci, che talvolta sentiamo d'ira, di furore, di castigo, di vendetta, facciamo attenzione che queste non sono propriamente voci di Dio, ma dello stesso peccato, il quale sempre starà gridando contro di noi fino a tanto che non facciamo sentire dal fondo del cuore i nostri gemiti, per chiederne a Dio, pentiti, il perdono.

.

“La voce del sangue del tuo fratello Abele, disse il Signore a Caino, grida a me519 dalla terra che lo bevve”; perché il peccato appena è commesso si costituisce accusatore e giudice contro il peccatore520

Sebbene, non verrà Egli il Signore della vendetta? Sì verrà, ma a che fare? Lo dice il Profeta: “Fatevi coraggio e non temete. Ecco che il vostro Dio menerà vendetta di uguaglianza: Dio verrà Egli stesso, e vi salverà

, e pronunzia la sentenza, dannandolo alla meritata pena secondo giustizia; ma se il reo fa opposizione e si appella col pianto al tribunale di Gesù Cristo suo Salvatore, oh quale dolce vendetta, e quale sentenza propizia sentirà da Lui!

521

Oh bontà di Dio, questi gli sdegni suoi, sono queste le sue vendette! ”.

Asc,9006a:T27,9 O amorosissimo nostro Dio, sempre caro e degno d'amore, poiché non solo dal buon seme che spargete nei nostri cuori, fate che raccogliamo frutti sì dolci, sì pure dalla cattiva semenza, che quali nemici di noi stessi andiamo sopra seminando, cavate frutti buoni ed utili, ora comprendiamo perché non permettiate che subito si sradichi la zizzania seminata sopra la buona semenza522; e la ragione è questa, che Voi agricoltore divino tanto siete saggio e potente, che raccogliete buon frumento dalla zizzania medesima; e dalle spine e dai triboli, uve mature e deliziosissimi fichi.

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Deh a noi concedete, o Signore, che privi di ogni zizzania, di continuo vi offriamo frutti soavi e delicati, onde ne sia rallegrato il vostro cuore divino.

Asc,9006a:T28

Tesoro XXVIII. L'Orazione Asc,9006a:T28,1

Sia pure ora e sempre mille volte benedetto il Signore nostro Dio, il quale ha parlato a noi per il Figliuolo suo523, insegnandoci a fare orazione con queste parole524

Ecco raccolti insieme tutti i tesori che sinora siamo andati cercando; e perché né facciamo ansiosi, né ci turbiamo nel cercare molte cose, Gesù medesimo volle insegnarci questa preghiera, la quale, benché di poche parole

: “Padre nostro, che sei nei Cieli – Sia santificato il nome tuo – Venga il Regno tuo – Sia fatta la volontà tua come in Cielo, così in terra – Dacci oggi il nostro pane quotidiano – E rimetti a noi i nostri debiti, siccome noi li rimettiamo ai debitori nostri – Non c'indurre in tentazione – Ma liberaci dal male – Così sia”.

525

Asc,9006a:T28,2

, contiene però tutta la sostanza dell'evangelica dottrina, ed è per noi la manna celeste contenente in sé ogni delizia ed ogni soave sapore.

Consideriamo pertanto quanto grandi cose e di quale valore, da noi per questa orazione si chiedano. Chi sia quel maestro che insegna a pregare in tale modo, e conosceremo di quanto prezzo sia il parlare del Signore, poiché in esso non si trova jota od apice, nel quale non ci sia dato un pegno della divina grazia e della futura eterna gloria. Infatti se solleviamo la mente a considerarne il principio, non ci si dà forse a conoscere, che il nostro linguaggio tiene la sua origine in Cielo, e che abbiamo padre, fratelli, amici, patria, casa ed eredità celesti? Cominciando le nostre suppliche, non cerchiamo forse ciò che sopra ogni altra cosa si deve domandare, cioè sia santificato e glorificato il nome di Dio, e per conseguenza la nostra santificazione medesima, per cui deve essere santificato il suo nome? Domandiamo in seguito il regno: oh quali regni e quanti! Il regno della grazia e della misericordia in questa vita; il regno della gloria e beatitudine nell'altra: insomma, il regno della maestà sua dopo il finale giudizio. Per lei inoltre si allontana il timore della volontà nostra cattiva, e dei danni che ne possono incogliere, dicendo: Sia fatta la volontà tua come in Cielo così in terra; e col nome di pane preghiamo Dio di donarci quanto ogni giorno ci fa bisogno, sì per l'anima che per il corpo. Imploriamo quindi il perdono di ogni colpa da noi commessa. E perché siamo tanto inclinati al male e facili al cadervi; e d'altra parte ci è continua esperienza non altro essere la vita dell'uomo che non interrotto combattimento, perciò supplichiamo che non ci lasci cadere nelle tentazioni, né vederci accalappiati nelle loro reti. Si prega finalmente per la liberazione da ogni male, dall'autore di tutti mali che è il Demonio, per la costanza nella preghiera e la perseveranza finale nel bene.

Asc,9006a:T28,3 Infatti quale potrebbe accadere male maggiore, che l'essere separati da Dio, ed allontanarci da Lui con il peccato per la negligenza nell'orazione? Se dunque lo pregheremo di concederci di perseverare costanti sino al fine della vita nell'orazione, come potrà negarcelo, se Egli stesso lo insegnò e comandò di chiederlo? Certamente non possiamo dubitare di ottenere per lei qualunque grazia necessaria ed opportuna alla salute, mercecché abbiamo promessa giurata da Gesù Cristo medesimo di ottenere quanto domanderemo in nome di Lui al Padre suo celeste526

Inoltre se in virtù della donazione fattaci.

527

Finalmente se lo stesso Signore ci comanda di pregarlo con certa speranza di ottenere, perché così facendo otterremo tutto; per quale motivo pregando, non crederemo fermissimamente di ottenere quanto domandiamo; o credendolo, come sarà possibile, che non l'otteniamo, se Dio medesimo ci comanda di credere che l'otterremo

dall'Eterno Padre, lo stesso Gesù Cristo suo Figlio e tutti i beni con Lui sono nostri, perché non avrà pure compreso questo sì necessario dono della perseveranza? Dove troviamo noi che l'abbia eccettuata sia nella promessa, che nella donazione di tutte le cose?

528?

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Perché anzi non obbediremo a Dio in cosa a noi utilissima ed a Lui grata cotanto?

Asc,9006a:T28,4

Ed ora che diciamo… Ed ora che diciamo? Ci rimane per avventura cosa veruna a bramarsi? Avremmo noi osato chiedergli promessa e donazione così vasta ed illimitata? O poteva mai caderci in pensiero di chiedergli cose tali e sì sublimi, se non ce le avesse insegnate in questa orazione celeste, Egli medesimo, il nostro misericordioso Signore? Non avremmo noi temuto di essere tacciati di presuntuosi e superbi? No, non fu un Angelo od un Profeta, non un amico o qualche gran servo di Dio, ma Dio medesimo datore di ogni bene, quegli che ci ha fatto questa illimitata promessa, che ha composto questa orazione e ci ha prescritto di pregare così529

Come dunque per toglierci ogni dubbio circa la sua volontà e prontezza nell'esaudirci, non c'insegnò a pregare nella maniera condizionata con cui Egli per se stesso pregò il Padre suo, dicendo: “Padre, se è possibile, risparmiami questo calice”; ma vuole che senza restrizione od eccezione di sorta preghiamo risolutamente, non come chi brami una cosa, cioè: “Padre, desidererei che fosse santificato il nome tuo”; oppure in modo deprecativo, cioè: “Padre, vi supplico di questa grazia”; così ci impone che domandiamo quanto ci è necessario in modo imperativo, e parliamo con Lui come già una volta Giosuè disse con voce di comando: “Sole, non ti muovere di sopra Gabaon, Luna non muoverti di sopra la valle di Aialon”. E così fu

. E potremo ancora avere dubbio, se ci voglia concedere, o siano convenienti quelle grazie che Dio stesso ci suggerisce di domandargli? O dubiteremo se il modo di pregare gli torni gradito, mentre Egli medesimo ce lo insegna? Dove sarebbero il consiglio, la prudenza e la sapienza dell'Altissimo? A quale fine ci avrebbe fatto questa promessa e donazione, o fattosi autore e maestro di questa preghiera, se poi non avesse voluto darci quello che gli avremmo domandato, essendo in sua mano il concederlo?

530

Asc,9006a:T28,5

. Ora se foste, o Signor Iddio, cotanto pronto nell'obbedire alla voce di un uomo prima che il vostro Figlio si umiliasse a farsi uomo, perché non farete altrettanto ora, che con l'assumere la nostra umanità, l'uomo fu in lui sollevato ad essere Dio?

Ah! No, non dubitiamo della vostra prontezza nell'esaudirci, perché parlando noi in tale modo per ordine ed insegnamento vostro, Voi medesimo parlate per bocca nostra e domandate le grazie per noi. E il vostro dire non vale forse lo stesso che il fare531

Oh quanto siamo degni del rimprovero fatto ai discepoli di Emmaus?

532

Procuriamo pertanto di giovarci di questo tesoro con essere diligenti nell'orazione; né ci scusiamo, dicendo non essere cosa tanto facile a chi sia occupato in negozi ed affari del mondo, ed a chi non può sempre avere vicino l'oratorio; ovunque ci troviamo, si può da noi erigere un altare; mercecché non il luogo ci impedisce dal sollevarci a Dio, e fa buona orazione colui che offre al Signore una fervente volontà.

, mostrandoci restii a dare credenza a quelle cose, che ci disse di propria bocca lo stesso divino Redentore! E sarà forse meno difficile il credere che si sia Egli per nostro amore e salute fatto uomo, ed abbia data la vita sopra una croce, quanto che per l'amore che ci porta e per la nostra salute sia per concederci tutto ciò che gli domanderemo?

Nemmeno dobbiamo angustiarci per non saper che dire, mentre si prega; diciamo pure semplicemente ciò che diceva la buona Cananea: “Signore, abbiate pietà di noi: l'anima nostra è gravemente tormentata dal Demonio che ci vuole tirare alla colpa533”. Quel Miserere mei, sebbene sia orazione breve, invoca però un pelago immenso di misericordie, epperciò anche fuori di Chiesa esclamiamo a Dio: “miserere nostri”; neanche muovendo le labbra, purché gridiamo con il cuore, cioè col desiderio, saremo esauditi534. Preghiamo in ogni luogo; Dio è dentro di noi; non ancora finito di pregare, già Egli sarà pronto ad esaudirci; ed appena esposti i nostri mali, le nostre necessità e bisogni, già ne avremo ottenuto rimedio e soccorso535

Asc,9006a:T28,6 .

È vero che alcune volte differisce nell'esaudirci, ma ciò non per durezza di cuore o perché non voglia accordarci la grazia, sì per il nostro bene, cioè per farci accrescere il merito ed accordarci più

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abbondanti le grazie. Si compiace di essere importunato, e per persuadercene, propone nel Vangelo parecchi esempi e parabole; ora di colui che per la sua importunità fece balzare di letto l'amico, perché gli desse del pane536; ora di quel giudice, il quale, benché non temesse Dio, né avesse riguardo agli uomini, pure perché la povera vedova non venisse di continuo a rompergli la testa, le fece ragione del suo avversario537. Nella Cananea, poi, ce lo fece vedere col fatto, che Iddio ci darà anche quelle cose che non avrebbe date per certo, se con istanza ed affetto cordiale non gliele avessimo chieste. Infatti la licenziò con dirle non essere conveniente levare il pane ai figliuoli, per darlo ai cani, pure alla fin fine glielo diede, perché con grande ardore perseverò la misera nel chiedere538. All'opposto ai Giudei pigri ed indolenti, non concesse neppure quello che già era disposto a dare; anzi invece di ricevere il soprappiù, perdettero quanto già avevano ricevuto539

Neppure stiamo a dire che non preghiamo, perché non degni di essere esauditi, imperciocché anche la Cananea era indegna, e nondimeno impetrò tanto abbondantemente la bramata grazia.

; e la buona donnicciuola, perché seppe implorare ed importunare, strappò, per così dire, il pane di mano ai figliuoli, ancorché sul principio fosse ributtata come cane.

Asc,9006a:T28,7

Nemmeno diciamo di aver commesso… Nemmeno diciamo di aver commesso molti peccati contro Dio, e quindi non osare invocarlo in nostro soccorso, avendo tanta ragione di essere irritato contro di noi: perché non guarda Egli al male che abbiamo fatto, sì al bene che vogliamo fare in avvenire ed alla nostra buona volontà attuale. Che se alle preghiere della vedova importuna si piegò quel giudice iniquo e perverso, quanto più si muoverà a compassione di noi il nostro giudice sì buono e pietoso, se ci vedrà perseveranti nel battere alla porta della sua misericordia. Quand'anche pertanto non gli siamo amici o domandiamo cose delle quali non siamo degni; se per aver scialacquato il nostro patrimonio540, né vissuto da figli, lo scorgessimo adirato, non paventiamo però; mercecché appena verremo a Lui con la preghiera, pentiti di averlo offeso, risoluti di non offenderlo più, non solo si placherà il suo sdegno, ma Padre pietoso e tenero verrà a noi e ci perdonerà, accordandoci i suoi segnalati favori541

Asc,9006a:T28,8 .

Ma perché tanto timore con un Padre amantissimo e bramoso di essere importunato? Diciamogli dunque a tutta fidanza: “Signore, permettete che vi presentiamo non solo suppliche, ma ragioni. Ora dunque sentite: o ci considerate come nemici, o come amici; se come nemici, non potete negarci, anzi concederete volentieri quanto domandiamo, poiché ci avete comandato di amare i nostri nemici, fare del bene a chi ci odia, essere liberali con chiunque ci domandi alcuna cosa, anzi, ci esortaste a dare anche il mantello a chi ne togliesse la veste542, e tutto questo affinché siamo figli del nostro Padre celeste, il quale fa splendere il sole suo a pro dei buoni e dei cattivi, e manda la pioggia anche a beneficio dei malvagi ed ingrati. Inoltre Voi siete fedele e ci promettete che riceveremo quanto vi domandiamo, pregandovi, e non intendeste escludere alcuno da sì consolante promessa, avendo soggiunto: Tutti quelli che domandano, ricevono543

Ora come potreste non esaudirci ancorché peccatori e nemici, se Voi siete, come è di fede, perfetto come il Padre vostro e fedelissimo nelle vostre promesse?

.

Se poi ci considerate come amici, siete pure in certo modo costretto dalla vostra bontà e fedeltà ad esaudirci più che volentieri, poiché come potrete ricusare agli amici vostri ciò che concedete sì largamente ai nemici? Mentre ogni bene deve essere comune tra gli amici, anzi non vi deve essere tra loro che un solo volere e non volere?”

Asc,9006a:T28,9 Ciò nullameno alcuna volta da noi si prega e non si ottiene. E per quale cagione? Per questa che non preghiamo con quella confidenza ed importunità con cui pregarono la Cananea, l'amico e la vedova; perché, sebbene l'abbiamo disgustato, basta però rammentargli che è Padre, per vederlo all'istante placato544.

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Laonde è necessario che nell'orazione badiamo ad una cosa: quando pure ci avvenisse l'opposto di quanto con fiducia da noi si domanda, tuttavia non desistiamo dal pregare e sperare di essere esauditi. Se dunque ci sembrasse di essere trattati anche noi duramente come la Cananea, accostiamoci maggiormente, ed imparando da quella buona maestra, diciamo con lei: “È vero, o Signore, siamo peggiori dei cani per le nostre ricadute nel peccato, ma non mangiano i cani almeno le briciole che cadono dalla mensa dei loro padroni545? Dateci dunque di quelle briciole e ci basta”. Anzi, non desistiamo dal pregare ancorché più volte vedessimo rigettata la nostra domanda, come ce lo insinua nella parabola di quell'uomo, cui sebbene ripetutamente fosse data ripulsa, pure perseverando nel chiedere, non solo ottenne i tre pani, ma quanti gliene abbisognavano546

Anzi, anche nulla ottenendo, dovremmo pregare: infatti, osserviamo la differenza che passa fra il chiedere elemosina a qualcuno, e l'orazione con la quale l'uomo domanda a Dio le sue misericordie. La semplice e sola domanda dell'elemosina non satolla, né provvede alle necessità del povero, sì non necessari il cibo e la bevanda; all'incontro, la stessa azione per cui domandiamo a Dio le grazie, ci serve di cibo, ci satolla, ed arricchisce l'anima di meriti e beni celestiali.

.

Disse una volta Gesù Cristo a Santa Metilde: “Quando tu mi sospiri appresso, tu mi concentri in te, e vedi meraviglia! Per vile ed abietta che sia una cosa e leggera come pagliuzza, non se ne può l'uomo impadronire con il solo volerla: e tuttavia, chiunque liberamente con il desiderio, o con un sospiro mi cerca di cuore, può farmi suo”.

Asc,9006a:T28,10

Che se il pregare… Che se il pregare ci si facesse anche per lungo tempo e penoso e difficile, non ci perdiamo di animo però, né cessiamo dal pregarlo di concederci tutte le grazie, e soprattutto non permettere che più l'offendiamo, dicendo umilmente sì, ma pieni di fiducia: “Fino a quando, o Signore, permetterete che si vanti il nemico vostro e nostro di averci atterrati e vinto col farci cadere in peccato547

Né ci vogliate dire, o Signore, che ciò permettete per tenerci in umiltà, poiché a Voi non mancano innumerabili altri mezzi senza venire a questo di lasciarci cadere. E non fu forse la madre vostra Maria Santissima la più umile di tutti? Eppure immune la preservaste da qualunque neo di colpa.

?” Forse ci risponderete che a questo modo la vostra misericordia risplende nel perdonarci? Ma non comparirà anzi maggiore nel preservarcene?

Così teneste in umiltà ed il vostro precursore e quanti giusti confermaste in grazia, e pure tutti furono preservati dalla colpa mortale. Che se necessaria cosa è che da alcune creature vengano scandali, vi supplichiamo di non metterci nel loro novero; dappoiché voi stesso ci insegnaste a pregarvi di non lasciarci soccombere alla tentazione.

Asc,9006a:T28,11 Che più? Non solo pregarvi, ma perdonateci, vogliamo costringervi. Infatti sentite: noi stessi, cattivi quali siamo, non negheremmo tale grazia a chiunque ce la domandasse, se fosse in nostra mano il concederla. Or bene, dov'è la vostra bontà, o Signore, se Voi che la potete dare ce la ricusate? Anzi noi, che pure sì poco e malamente amiamo noi stessi, tanto ci desideriamo questa grazia, e Voi che infinitamente ci amate, avrete cuore di negarcela? Per liberarci dal peccato, tutto versaste con tanta pena e dolore il sangue vostro; ed ora che a preservarcene non avete che a volerlo, potrà la vostra clemenza lasciarci dubitare che non lo vogliate? Anzi come potrete non volerlo, se vi degniate di pensare che essendovi fatto nostro, faceste pure nostra la volontà vostra medesima? Che se il Padre celeste, non vuole avere riguardo a noi, come purtroppo ce lo meritiamo, ditegli Voi stesso, o Signore nostro Gesù, che mentre a Lui chiediamo in nome vostro, non a noi, ma a Voi si nega la domanda nel ricusare il memoriale da Voi presentato548

Finalmente se Voi stesso, o dolce Gesù, non volete farlo per nostro riguardo, piegatevi almeno per amore del Padre.

.

E non offende anche questi, chi offende Voi? Se dunque vi sta a cuore, che non sia da noi offeso il Padre vostro, esaudite la nostra domanda: ed è questa che non lo offendiamo nell'avvenire.

Asc,9006a:T28,12

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Che più? Voi siete sì buono e potente, che non permettereste la colpa, se dal male non poteste cavarne un gran bene549, come lo palesaste nel volgere il peccato di Adamo a sì nostro grande vantaggio, che la Chiesa vostra sposa giunse a chiamare felice la colpa che ci procurò un tale e sì grande Redentore550; di modo che come si esprime Francesco di Sales vostro servo fedele, noi eravamo perduti, se Adamo non ci avesse rovinati551

E per verità, quanto maggior tesoro di meriti non acquistarono per il loro peccato il vostro vicario Pietro e l'amante vostra Maddalena e tanti altri Santi penitenti! Anzi, non lo dichiaraste forse Voi stesso, o Signore nostro, dicendoci che certe meretrici e pubblicani avrebbero avuta maggior gloria nel regno dei Cieli

, mercecché saremmo rimasti privi di tanti beni avuti per mezzo del Redentore.

552, perché la riconoscenza per il perdono ottenuto, li avrebbe eccitati ad amarvi di più e compensarvi con il loro maggior fervore i disgusti che pure vi diedero553

Che se il male non si converte in bene ad alcuni peccatori, è appunto per ciò che disprezzando la grazia e le ricchezze della vostra bontà con la loro perversa ostinazione nel non ricorrere a Voi, si radunano tesori di ira, e tuttavia anche allora, o Signore, volgete il loro peccato in salute degli altri; onde non lasciaste mai di cavare bene dal male, secondo le ammirabili disposizioni della vostra infinita sapienza, potenza e bontà.

?

Preghiamo pertanto senza mai stancarci e giacché abbiamo tanti mezzi opportuni a salute e speranze di migliorare, sebbene ogni giorno cadessimo in qualche difetto, ricorriamo nondimeno al nostro Dio con la più grande fiducia, pregandolo di perdonarci, né permettere che l'offendiamo più oltre, perché così facendo, non cadremo con tanta facilità e frequenza, riceveremo forza per cacciare lontano il Demonio, muoveremo Iddio ad usarci misericordia, e tutto volgendo in nostro bene, conseguiremo la vita eterna. Fu questa la pratica di tutte le anime sante, e poiché sono esse le nostre fedeli scorte e sicure, seguitiamone l'esempio, imitiamone le virtù.

Asc,9006a:T29

Tesoro XXIX. La nostra predestinazione Asc,9006a:T29,1

A questa voce di predestinazione, o dolce Signore nostro Gesù, ci corre per le ossa un freddo gelo di spavento, temendo di non essere di quell'avventurata schiera dei predestinati alla celeste gloria; e quindi, anzi che collocare questo imperscrutabile mistero fra i tesori che ci portino a speranza, sembra che dovremmo allontanarne a tutta possa il pensiero per non esserne oppressi. Tuttavia, come già altre volte trovammo contro ogni aspettazione, tesori di ricchezze, ove ci prendeva timore di incontrare abissi di mali, non è bene lo sbigottircene, anzi speriamo di ricavarne anche ora la nostra consolazione. E sebbene la Chiesa vostra sposa, ragionando di questo mistero, ci dica che senza divina speciale rivelazione nessuno può essere affatto certo della sua predestinazione554, ciò nullameno soavemente ci esorta e ne inculca di riporre in Voi, o Signore nostro, la più ferma speranza, perché se da noi non si manchi alla vostra grazia, Voi manderete a buon termine l'opera incominciata dell'eterna nostra salute555

Asc,9006a:T29,2 .

E per verità, o apostolo S. Paolo, certamente voi non intendeste atterrire i Gentili convertiti, quando, avendoli esortati a tenersi umili e non gloriarsi della loro vocazione alla fede, per essere questa una grazia totalmente gratuita556, proponeste loro di considerare come Iddio avesse permesso la loro incrudeltà e quella dei Giudei non per condannarli, sì per usare con tutti della sua misericordia, e concludeste, esclamando per meraviglia: “Oh profondità delle ricchezze della sapienza e scienza di Dio557

E perché, di grazia, se intendevate incuterci timore, non vi serviste delle voci terribili di abisso, di giusta collera di Dio e di estremo rigore? E perché da affanno oppresso non esclamaste: “Quanto sono terribili i giudizi di Lui”? Se perciò li diceste soltanto incomprensibili

”!

558; se all'opposto usaste le voci amabili di ricchezze divine, che tanto allettano e devono rallegrare i nostri cuori, non pare forse che abbiate piuttosto voluto confortarci, portandoci a speranza ed allegrezza, ripensando ai

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tesori dell'infinita scienza e sapienza di Dio a nostro vantaggio? E non sono veramente consolanti559

Nondimeno, siccome lo stesso Apostolo, dicendoci essere questo un abisso di profondità infinita, ci avverte di non volerlo curiosamente investigare

, benché incomprensibili, i vostri giudici ed imperscrutabili le vostre vie, o Signore, nel sapervi servire e disporre della stessa incredulità degli uni come di mezzo per usare misericordia con gli altri e quindi con tutti?

560, sì compresi da riverenziale timore non pretendere di andare nel fondo di questa miniera d'infinite ricchezze561, così non entreremo a scrutinare ciò che di questo mistero a Voi riservaste, o Signore, limitandoci a considerare con umiltà quelle cose soltanto che per nostro conforto e profitto vi degnaste manifestarci.

Asc,9006a:T29,3

Ed ecco che… Ed ecco che al primo entrare in questa miniera già ci incontriamo in una vena ricchissima di fiducia e di consolazione, considerando i nomi vostri amabilissimi, i quali non sono nomi vani e senza sostanza, ma tali che esprimono le consolanti e soavissime qualità del vostro cuore verso di noi; epperciò più che bastanti a tranquillizzarci, persuasi che la nostra predestinazione è nelle vostre mani, o Dio di salute e di amore. Infatti per riposare tranquilli, potremmo volere che la nostra predestinazione fosse raccomandata ad un nostro padrone ricco, potente, affezionato e benigno, perché saremmo sicuri che non ci lascerebbe mancare i mezzi necessari per servirlo, avrebbe riguardo alla nostra debolezza, ci sopporterebbe con pazienza, ci perdonerebbe facilmente, dandoci inoltre una ricompensa degna di Lui. Ma quale immagineremo miglior padrone ricco, potente od amante più di Voi, nostro buon Dio? Chi più di Voi indulgente, pietoso e propenso ad usare misericordia562? Se vi protestate di voler essere il rifugio del povero563

Da chi potremo sperare maggiori mezzi per servirvi, se Voi medesimo che siete l'onnipotente, volete esserci aiutatore al tempo opportuno nella tribolazione

, come non lo sarete, via più dei poveri che vi servono?

564? Finalmente da chi sperare maggior ricompensa, fuori che da Voi infinitamente ricco e liberale, a segno che promettete ai vostri servi la vita eterna anche per un bicchiere d'acqua data per amore vostro565

Che se concepiremmo maggiori speranze, quando avessimo da fare con un amico affezionato, ricco e potente, perché dovendo essere tra gli amici comuni i beni, potremmo farne gran capitale; ove ci sarà dato di trovare migliore amico e più fedele di Voi, o Gesù, che mentre ci degnate di considerarci non come servi, ma come amici

?

566, assicurandoci di non esservi carità più grande che quella di colui che dà la sua vita per i suoi amici567, faceste conoscere la grandezza dell'amore vostro, sacrificando la vita per noi tuttora peccatori nemici568

Asc,9006a:T29,4 ?

Ma perdonateci, o Signore, la nostra predestinazione è di tanta importanza che la affideremmo più volentieri ad un buon pastore. Oh se ci voleste considerare come vostre pecorelle, ed averne quindi sollecita cura, quanto vi saremmo tenuti! Ma come potrete negarcelo, se Voi medesimo amorosamente assumeste il tenero nome di buon pastore senza esserne da noi pregato569

Che se una pecorella si affida al suo pastore, benché si vesta delle lane e si disseti col latte e si nutra delle carni di lei, quale torto vi faremmo nel non affidarci interamente a Voi, che siete quel pastore nostro sì tenero, sì provvido, che differente dagli altri, volete vestirci della vostra grazia e delle vostre virtù, pascerci delle vostre carni, ed abbeverarci con il vostro preziosissimo sangue

?

570? Oh quali acque di gaudio e di fiducia noi possiamo cavare dai limpidissimi fonti571 di questo pastore sì buono, che non ricusa di dare la sua vita per noi, sue care pecorelle572

Oh quanto gli stiamo a cuore, mercecché per ben tre volte raccomandò al suo vicario S. Pietro, che avesse di noi la più sollecita cura

!

573

Già dovremmo, è vero, essere tranquilli nelle mani di tanto tenero e sollecito pastore; tuttavia degnatevi di compatirci; il timore del minimo pericolo in tanto affare ci inquieta, e brameremmo

!

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abbandonare la nostra predestinazione nelle mani di un fratello affezionato, poiché lo Spirito Santo lo dice: il fratello aiutato dal fratello è una forte città574

Sebbene a che pregarvi di ciò, se già tante volte ci chiamaste fratelli vostri, e dichiaraste nostro il Padre vostro medesimo

; perciò ve ne preghiamo, degnatevi di averci quasi fratelli e rallegrateci con nome sì dolce.

575

Ora permettete che vi rammentiamo, che Voi stesso ci protestate, che non ha in sé la carità di Dio chi non soccorre, potendo, il fratello necessitoso

?

576. Come dunque essendo Voi la stessa carità577, potrete non muovervi a compassione della miseria dei vostri fratelli, e ci vorrete lasciare perire, potendo soccorrerci con i tesori dell'infinita vostra ricchezza?

Asc,9006a:T29,5

Vi faremmo veramente… Vi faremmo veramente massimo torto se dubitassimo della nostra predestinazione, avendo da fare con sì affezionato e ricco fratello, tuttavia non vi sdegnate, o Signore578

Eh via, consoliamoci pure, perché il nostro Signore, non solo ci è buon padrone, amico fedele, pastore sollecito, fratello affezionatissimo, ma di più per eccesso di carità volle degnarsi di adottarci quali figli

, se osiamo supplicarvi di considerarci quali figli vostri. Oh se potessimo ottenere di avervi Padre amoroso e tenero, quanto ci stimeremmo sicuri di andare salvi un giorno!

579. O amato discepolo, quale lieta novella ne date! E dove troveremo un Padre più tenero di Voi, o Signore, che per francarci da ogni timore, vi fate chiamare Padre delle misericordie e consolatore in ogni nostra tribolazione580? E quale dubbio che vogliate esserci tale, se volendo di tutto ben provvisti noi, figli vostri, e conoscendo i nostri bisogni581, Voi stesso ci insegnate e ci suggerite ciò che abbiamo da domandarvi582, e volete che vi invochiamo con il dolce nome di Padre, per ispirarci confidenza ad ottenere ogni cosa ed essere così liberi dal male583? Oh tenerezza di amore! Oh degnazione infinita! Noi figli di un Dio onnipotente, ricchissimo, infinitamente buono584

Oh Dio! Voi dunque nostro Padre! E Padre sì tenero nell'amarci che nessun padre terreno in confronto a Voi merita nome di padre

!

585! Padre che superate infinitamente nell'amarci la tenerezza medesima di qualunque più sviscerata madre, e ci assicurate che se pur potesse l'infelice dimenticarsi, né avere pietà del tenero frutto delle sue viscere, Voi non potreste a meno di avere di noi e compassione e memoria586

O Padre amorosissimo, non siete Voi quegli, cui prese tutta pietà di quel figlio scialacquatore, che non solo non lo rigettaste pentito, ma l'accoglieste, giubilando in casa, e gli donaste vesti nuove e l'anello

.

587

Asc,9006a:T29,6

di predilezione, gli imbandiste lauti conviti e faceste gran festa per il suo ritorno? In quali migliori mani pertanto potremo noi bramare assicurata la salute nostra? E che ci potrà mancare in casa di un tale padre? E quale timore in conseguenza potrà ancora turbarci riguardo alla nostra predestinazione?

Giacché però foste sinora tanto cortese, o amorosissimo Padre nostro, abbiate ancora un po' di sofferenza588

Oh parole più dolci del miele

, e degnatevi di bandire da noi ogni timore; diteci in grazia: avete Voi per tutti noi servi, amici, pecorelle, fratelli e figli vostri versato il sangue, sacrificata la vita? Diteci insomma, ci voleste salvi sinceramente?

589! Quanto ci deve confortare il sapere che siete molto misericordioso e benefico verso tutti590, ed avete cura di ognuno, onde dare a conoscere che ingiustamente non giudicate, e perché siete il Signore di tutti, con tutti vi fate indulgente591

Deh come ben diceste, o beatissimo Paolo, che la carità di Gesù Cristo ci stringe, considerando questa sincera volontà in Lui di salvarci tutti, poiché se uno solo è morto per tutti, ne segue che tutti eravamo morti

.

592; e Gesù Cristo è veramente morto per tutti, ed è morto appunto, perché in Lui abbiamo la vera vita; e siccome in Adamo tutti muoiono, così pure tutti in Cristo saranno vivificati593, perché Egli è propiziazione per i nostri peccati, e non solamente per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo594.

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Che se tutti, o Signore, possono essere certi della vostra sincera volontà di salvarli, quanto più dobbiamo essere tranquilli noi, che per grazia vostra nel santo Battesimo già fummo scritti nel libro della beata predestinazione, avendoci annoverato tra i fedeli, dei quali in speciale modo vi degnate di chiamarvi il Salvatore595?

Asc,9006a:T29,7

Anzi, ci aspettaste peccatori… Anzi, ci aspettaste peccatori con tanta pazienza, appunto perché convertiti, a Voi ritornando, nessuno perisca596, né solo ci aspettaste, ma tanto vi stava a cuore di salvarci tutti, che non mandaste altri, ma vi degnaste di venire in persona a cercare e salvare quelli che si erano perduti597; che se tutti eravamo perduti in Adamo, tutti per conseguenza veniste a salvare, e la Chiesa ci consola ed assicura, che veramente volete tutti salvi, né alcuno si perda; che non escludete dalla vostra misericordia nemmeno la stessa giudaica perfidia, anzi in ogni tempo cercate di salvare i peccatori598

E per verità, se lungi dal rallegrarvi della perdizione dei viventi.

599, ci protestate con solenne giuramento di non volere che si danni l'empio, ma desiderate che si converta e viva600; di chi non vorrete Voi la salute! Se persino il perfido Giuda avrebbe trovato rimedio al suo delitto nella vostra Passione, se non fosse corso con il laccio alla morte601

Che se non può cadere dubbio sulla sincera volontà dichiarata e con giuramento confermata da un principe verace, giusto e prudente chi potrà senza gravissima ingiuria dubitare della vostra volontà pubblicata, e con giuramento confermata dal vostro Profeta? E non sarebbe questo un fare di Voi Dio vero, un Dio da scena sì che solennemente affermaste di volere ciò, cui neppure pensate di volere?

, chi potrà temere di essere da Voi rifiutato, sì che non vogliate sinceramente salvarlo?

Asc,9006a:T29,8 Ma un solo sguardo a quanto vi degnaste di operare per la nostra salute, ne assicura ognora più circa la nostra beata predestinazione, o Signore. Infatti osservando i sudori che sparge il contadino in arare e seminare il campo, a chi verrà mai in pensiero che non abbia vero desiderio di averne a suo tempo il frutto? Quale padre usò la necessaria pazienza nell'ammaestrare il proprio figlio e non ne bramò sinceramente il profitto? Non sarebbe follia il solo immaginarlo? Poiché non vi è alcuno, che non desideri il fine cui tende il mezzo che adopera. Ora, o Signore dolcissimo, a che discendeste dal Cielo in terra? Sopportaste tanti dispregi, sì fiere persecuzioni, sì crudi patimenti e dolorosa morte, se non per la nostra salute602

Di un cacciatore, il quale corra anelante dietro una fiera, ed ora la rintracci per balze, ora la insegua nel piano, ora la cerchi per le caverne: abbia da una parte tese le reti, dall'altra appostati i cani; ora gridi per atterrirla, ora per assicurarla se taccia, ora la miri per colpirla, perciò si sciolga in sudori e non si curi, si insanguini tra i pruni e non si rimanga, potrà mai dirsi o pensarsi che non sia vago di farne sua preda? Che egli si valga di tante industrie, che sopporti tante fatiche e pene per non averla nelle mani?

?

Or bene, non è ciò appunto, che Voi fate o Signore, per averci con Voi in Paradiso? Per quanto tempo, per quante strade, in quanti modi ci teneste dietro, o amantissimo cacciatore celeste603! A forza di chiamarci a conversione, divenne rauca la vostra voce604; ora con benefici cercaste di allettarci al bene, ora ci tratteneste con il timore del male; ora malgrado nostro ne attraversaste i perversi disegni; ora promettendoci carezze nel ritorno, a Voi c'invitaste605

E se questi non sono segni di una sincera volontà di salvarci, quali altri saranno mai? .

Asc,9006a:T29,9

Sebbene non vi sdegnate… Sebbene non vi sdegnate606, o Signore, se ancora vi siamo una volta importuni; diteci in grazia, ci avete poi tutti provvisti di mezzi sufficienti per operare la nostra salute?

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Deh quanto siete cortese, o Redentore dolcissimo! E non siete Voi quella fonte inesausta di beni, dalla cui pienezza noi tutti riceviamo607 non solo quanto ne abbisogna, ma con abbondanza608, e poiché siete il padrone di tutti, così a tutti senza eccezione fate parte delle infinite vostre ricchezze609. Non solo dunque ci date un semplice e sufficiente mezzo per salvarci, ma una sufficienza ricca, ampia610

Né possono lamentarsi i peccatori, che sia stata scarsa con loro, sì devono confessare di avere con le volontarie resistenze disprezzato

, magnifica, e quale deve aspettarsi da una sì grande bontà.

611

Inoltre, non può essere

le ricchezze della pazienza e tolleranza, con cui cercavate di convertirli e salvarli.

612

Infatti quale creatura troveremo nell'universo pur abietta che sia, la quale non vada munita di qualche aiuto per conseguire il suo fine, qualora non possa da sé, sola, raggiungerlo? Ora non potendo noi con le semplici nostre forze arrivare al nostro fine soprannaturale della felicità eterna, è credibile che Voi, Signore, non ci abbiate provvisti di altri mezzi veraci e valevoli per giungervi? E non vi faremmo il più grave torto anche in solo immaginarci, che Voi usiate meglio con i bruti, che con noi servi, amici, fratelli e figli vostri, che costituiste padroni dei bruti stessi

, o Eterno Padre, che non siano con grandissima fedeltà somministrati ad ognuno i mezzi bastevolissimi per salvarci, sia perché il vostro divino Figliuolo umanato li ha col prezzo inestimabile del proprio sangue per noi meritati, sia perché, come notò S. Tommaso, in caso contrario ne seguirebbe che tutte le creature, ancorché insensate, sarebbero state ordinate meglio al loro fine che non noi al nostro.

613

Asc,9006a:T29,10 ?

Anzi, dove sarebbe la vostra equità e giustizia, o Signore, se ci comandaste di volare, di parlare o di vedere, e non ci voleste somministrare né ali, né lingua, né occhi? Pure non ci sarebbe forse ciò assai meno impossibile (poiché non esce dall'ordine naturale) quanto pervenire con le sole forze nostre al fine soprannaturale, verso cui non hanno alcuna proporzione tutti i mezzi naturali? E si potrà anche solo sospettare in Voi Padre e Dio nostro, un procedere che neanche in qualunque uomo si potrebbe tollerare? Obbligandoci inoltre tutti e senza eccezione a raggiungere il fine per cui siamo creati, direttamente ne consegue che gli aiuti e mezzi necessari a tale fine non potete negarli ad alcuno, finché vive, pur empio che egli sia, perché a nessuno Voi potete giustamente comandare l'impossibile614, ed imputarne a colpa la necessaria disobbedienza e punirla: onde ognuno, solo che lo domandi, ha o può avere quegli aiuti, senza dei quali non potrebbe obbedire al vostro comando, giungere cioè al fine che è la vita eterna615; di modo che se siamo giusti, possiamo con tali aiuti mantenerci in grazia; se peccatori, riacquistarla con la conversione616. E quindi ognuno può salvarsi solo che voglia adoperare tali mezzi ed aiuti.

Asc,9006a:T29,11

Che se manca la grazia… Che se a nessuno manca la grazia e per conseguenza neppure i mezzi necessari per la salute, attesa la sincera vostra volontà, o gran Dio, di salvare tutti617, di modo che neanche gli infedeli possono lagnarsi di Voi, mercecché essi pure se vogliono aderire ai lumi618

Inoltre come potremmo lagnarci, dicendo che per assicurarne la salute, avreste potuto arricchirci di grazie molto maggiori, o concederci quelle che ad altri accordaste, mentre con queste che ricevemmo, possiamo facilmente salvarci? I santi Bonaventura poi e Tommaso ci insegnano che di una medesima grazia ed in pari circostanze possiamo più o meno, od anche niente giovarcene, secondo la nostra libera, o maggiore o minore, o nulla cooperazione

, ed usare i mezzi che loro somministrate, possono veramente salvarsi: quanto meno dobbiamo menarne lamento, non in sì peculiare modo da Voi favoriti del dono della fede, e con lei arricchiti dei mezzi della cristiana educazione, della preghiera, dei Sacramenti e della divina parola?

619. Ed infatti dice S. Agostino620, non avrebbe potuto Faraone, come cedendo ai flagelli, lasciò andare libero dall'Egitto il popolo d'Israele, così cedendo ai prodigi, riconoscere in questi il braccio onnipotente di quel Dio che li operava? Ambedue erano uomini e re, Faraone e Nabucodonosor, ambedue tenevano schiavo

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il popolo di Dio, e ambedue furono da Dio misericordiosamente ammoniti con flagelli; per quale cagione pertanto lo stesso rimedio fu rovina all'uno, fu salute all'altro? Per quale cagione fu sì diverso il loro fine, se non perché uno sentendosi aggravare sopra la mano di Dio, riconobbe e pianse le sue colpe, l'altro ostinato volontariamente combattè contro la mano pietosa di Dio che lo puniva? Anzi, non solo con grazie uguali, ma anche con minori621

Asc,9006a:T29,12

possiamo salvarci; ed all'incontro, perderci con grazie maggiori, come caddero e si persero tanti Serafini (fra i quali dalla comune dei Teologi si annovera Lucifero) dotati di grazia sublime a proporzione dei doni loro naturali, e secondo la sublimità del loro angelico ordine; mentre tanti Angeli degli ordini inferiori, epperciò meno ricchi di grazia e di doni, perseverarono costanti nella grazia ricevuta (a).

(a) Secondo S. Agostino tanto può salvarsi il predestinato, che il non predestinato, poiché il salvarsi non dipende dalla predestinazione, potendo noi resistere a qualunque grazia maggiore o minore, sia che siamo predestinati, sia che non lo siamo. Non dipende nemmeno dalla prescienza, perché essa non influisce sulle nostre azioni future più di quel che influisca la nostra memoria sulle azioni passate, perché non è Dio che col prevedere ci faccia agire in conformità della sua prescienza, ma il nostro libero operare futuro preveduto come operato, che fa ciò a Dio prevedere; dipende perciò dalla nostra cooperazione622

Epperciò non andiamo cercando altro, dice S. Gregorio Nisseno: “Chiunque vorrà fare bene, sarà predestinato, chiunque non vorrà fare bene, sarà riprovato” (Hom. I, post Dom. I Quadrag.). Fa pure a questo proposito ciò che dice Giovanni Gersen (De Imit. Christi, lib. 1, XXV), di una persona, la quale angustiata, andava dicendo tra sé, mentre orava innanzi ad un altare: “Oh se io sapessi di aver a perseverare nel bene!” E tosto udì rispondersi interiormente da Dio: “E se ciò sapessi, che vorresti fare? Fa ora ciò che in tale caso faresti, e sarai sicuro di perseverare”.

per porre la quale a tutti è data la grazia, cui possiamo liberamente aderire, o non aderire.

Asc,9006a:T29,13

Onde ne consegue… Onde ne consegue che se ci perdiamo, non è o perché vi manchi la vostra grazia623, o non sia sufficiente a salvarci, oppure discenda minore in noi che non negli altri, sì per il resisterle che ostinatamente facciamo, la colpa è nostra, tutta nostra624

Ecco pertanto nella nostra predestinazione un tesoro, che per parte vostra, o Signore, non può essere in migliori mani, sì per le qualità della vostra persona a nostro riguardo e per le chiare proteste di volerci tutti salvi; sì per le prove che ci avete dato di questa vostra sincera volontà, e finalmente per i mezzi abbondantissimi da Voi somministratici, perché possiamo giungere all'acquisto di tesoro sì grande (b).

.

Asc,9006a:T29,14 (b) Quanto osservammo sin qui deve essere più che sufficiente a toglierci ogni difficoltà e timore riguardo alla volontà sincera di Dio in volerci tutti salvi, poiché non si deve paragonare la volontà di Dio a quella dell'uomo: questa non si giudica sincera, quando non fa tutto quello che può, e non adopera tutti i mezzi che dipendono da lui per venirne a termine; l'uomo può fare ciò, perché il suo potere è circoscritto, ma questo è assurdo riguardo a Dio, essendo impossibile che Egli faccia tutto quello, ed usi tutti i mezzi che dipendono da Lui, perché sono inesauribili i mezzi della sua infinita sapienza e del suo potere (Bergier, Dizionario, verb. salute). Si osservi quindi quanto sia intollerabile la nostra temerità ed indiscrezione, allorquando osiamo chiedere a Dio perché, volendoci tutti salvi, a tutti pure non accordi quei mezzi di salute, ai quali prevede che saremmo per acconsentire e ne andremmo salvi; o perché esiga pure la nostra cooperazione per salvarci625

Asc,9006a:T29,15

. Non dovremmo noi piuttosto confonderci della nostra ingratitudine, ed interrogare noi medesimi, per quale cagione ostinati non vogliamo adoperare quei mezzi che Iddio ci offre con tanta bontà e liberalità, coi quali potremmo così facilmente salvarci, se volessimo servircene?

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Se un ricco signore vedendo un povero perire di fame, mossone a compassione, gli offrisse una somma più che sufficiente per provvedersi di quanto è necessario, potremmo noi senza sdegno vederlo ricusare quell'offerta, solo perché non è di quella specie di moneta che egli desidera? E che dire inoltre se il povero affamato pretendesse che questo signore andasse egli medesimo a fare la provvigione, o venisse non a mettergliela nelle mani, sì tra i denti medesimi, e ciò solo per risparmiarsi il disturbo di alzare il braccio? Potrebbe immaginarsi ostinatezza, indiscrezione più grande o più pazza pretesa? Ora non sarebbe altrettanto maggiore la nostra ingratitudine, se mentre sappiamo che a meritarci l'eterna salute, ed entrare nella gloria, che pure gli era dovuta, dovette626

E non dovremmo vergognarci anche solo di pensare, che l'Altissimo Iddio abbia da adattarsi agli indiscreti nostri capricci? Non dobbiamo piuttosto a tutta ragione sottometterci alla sua santissima volontà, ed accettare con umile riconoscenza le grazie che Egli si degna di farci? Vorremo noi, che per dimostrarci sincera la volontà sua di salvarci, ne mandasse non già un Angelo, che ci portasse per i capelli, come Abacuc, perché forse troveremmo ancora troppo incomodo un tale mezzo, ma ci donasse un carro come ad Elia per condurci al Cielo a tutto nostro bell'agio?

il Figlio di Dio sopportare tanti dispregi, e dolori, versare il sangue, sacrificare la vita, e noi pretendessimo che nulla avesse a costarci per parte nostra il Paradiso?

Asc,9006a:T29,16 È vero che in quanto a noi abbiamo molto da temere; sia perché, volontariamente abusando della libertà dataci da Voi padre amantissimo, affinché con merito operassimo il bene, guastiamo le opere vostre, mettendo indugi ed ostacoli alle vostre paterne beneficenze; sia perché non sappiamo se saranno buone o cattive le opere nostre in avvenire, essendo cosa certissima che opereremo quale meglio ci talenta, perché onninamente liberi di piegarci a questa parte oppure a quella. Conoscendo pertanto l'abisso della nostra miseria, dobbiamo collocare nel vostro aiuto, o Signore, la ferma fiducia di ottenere con l'orazione627 la perseveranza finale; perché sebbene Voi, o padrone dell'universo, non avendo da noi ricevuta cosa alcuna, di nulla ci siate debitore, tale però vi faceste per vostra sola bontà, promettendoci assai più che non avremmo osato domandarvi, mercecché nell'ampiezza delle promesse fatteci di esaudirci in tutte le domande conformi alla vostra gloria, ed utile nostro, non eccettuaste la grazia della finale perseveranza. E siccome questa perseveranza finale che ne assicura la predestinazione, non è una grazia sola, ma una serie di molte e continue grazie, e per altro l'incertezza non è dalla parte vostra nell'esaudirci, ma nella nostra perseveranza in pregarvene, così supplicandovi di continuo di darci questa perseveranza nell'orazione, senza fallo da Voi la otterremo; poiché, sebbene lo spirito vostro spiri dove vuole628, tuttavia non lascia di riposarsi là dove l'umile preghiera lo invita; anzi, siete così bramoso di esaudirci, che non compiuta ancora la nostra preghiera, od anche al solo vederci disposti a pregarvi, già ci esaudite629

Senonché essendo Voi il Padre delle misericordie, il Dio di tutta consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione

.

630

Deh Signore, perdonateci! Veramente ci angustiamo senza ragione; poiché scoprendo una nuova miniera di beni in questa incertezza medesima della nostra predestinazione, siamo sicuri di giungere a salute, se pure vogliamo corrispondere alla grazia vostra ed usare dei mezzi, dei quali con tanta abbondanza ed amore ci avete provvisti (c).

, perché ci lasciaste così sconsolati, ed afflitti nell'incertezza terribile della predestinazione per parte nostra? E quale cosa vi costava lo svelarci quest'arcano, liberandoci così da ogni affanno ed angustia?

Asc,9006a:T29,17 (c) È vero che ci è pure necessaria la grazia per volervi cooperare; ma questa grazia non manca Iddio di darla a tutti631, purché vogliamo consentire a fare quel che possiamo con questa grazia: onde a quel giovane che lo interrogò quale cosa dovesse fare per salvarsi, non rispose il Signore: “Se puoi, o se ti darò la grazia di osservare i miei comandamenti; ma se vuoi salvarti, osserva i comandamenti632”.

Asc,9006a:T29,18

Infatti se l'agricoltore…

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Infatti se l'agricoltore non tralascia di arare il campo e seminarlo, ancorché il raccolto possa mancare per fortuiti accidenti ed avrebbe il più soave conforto nei suoi sudori, se fosse certo di averlo abbondante a proporzione della sua diligenza e fatica, con quale alacrità e fervore non dovremo noi operare quanto più di bene possiamo, essendo certi che ci sarà dato, o Signore, dalla vostra liberalità, un premio non solo corrispondente, ma superiore senza proporzione al merito delle nostre fatiche633, sì che per una leggera tribolazione nostra riceveremo, sopra ogni misura, smisurato peso di gloria634

Anzi, come ci lasciaste nell'incertezza dell'ora della nostra morte, non già a fine di coglierci in colpa e condannarci, sì per renderci solleciti a non commettere peccato ed operare santamente; così per tratto di vostra bontà ci lasciaste in questa pure della predestinazione, affinché fossimo umili e pronti nel ricorrere a Voi per aiuto, e per tale modo fuggendo il male, operando il bene, assicurassimo la nostra predestinazione medesima.

.

Né solo ciò, ma per siffatta incertezza da quante e quanto terribili conseguenze non ci liberate, o Signore! Conciossiaché, ove da ognuno fosse conosciuta la propria predestinazione, assecondando molti i loro parvi appetiti ne trarrebbero causa di peccato, e malgrado colmi di iniquità avrebbero fiducia, tuttavia di andarne salvi. Altri poi, non predestinati, dandosi ad ogni eccesso, ad ogni vizio vorrebbero godere in questa vita ciò che paventano di non avere nell'altra; oppure quasi tigri feroci e contro Dio e contro se stessi, accelerandosi la dannazione eterna, si darebbero, privi di speranza, la morte635

Questo mondo insomma diventerebbe un caos di disordini tanto moltiplicati ed orrendi, che nessuna legge umana potrebbe mettervi provvidenza, né più sarebbe moralmente abitabile (d).

.

Asc,9006a:T29,19 (d) Simili pure sono le funestissime conseguenze di quell'assurdo e disperato principio di Calvino, cioè che comunque sia ognuno per operare, vada necessariamente salvo, se è predestinato, o resti perduto, se non lo sia. Principio così falso e contrario ad ogni ragione che nessuno di quei medesimi che per accecamento di passioni lo adottano in ciò che riguarda l'anima, non lo adotterebbero però in ciò che spetta al corpo, ed ai beni temporali medesimi. Ed infatti essendo ammalati, non si lusingherebbero di guarire senza i convenienti rimedi; né dai propri poderi spererebbero abbondante raccolto, se prima non li facessero coltivare a dovere, poiché la previsione del successo è necessariamente unita a quella dell'uso dei mezzi proporzionati al fine. Se pertanto alcuno di noi fosse molestato dal tentatore in questo modo: o sei predestinato, e ti salvi, o non lo sei, e ti danni; e quindi a quale pro tante astinenze, preghiere, frequenza di Sacramenti e simili, risponda tosto così: o sono predestinato, e mi salvo, o non lo sono, e mi dannerò; a che dunque mi tenti? Se tutto è fisso, quanto ho da fare di bene o di male, perché vuoi allontanarmi dal bene, e farmi operare il male? Inoltre vi è forse tra i dannati chi possa nel giorno del giudizio finale scusarsi, con dire a Dio: “Mi sono dannato, perché Voi mi avevate predestinato?” Impariamo pertanto a vincere i sofismi del Demonio da S. Francesco di Sales. Cercava il maligno di dargli a credere di essere inutile il bene che faceva; poiché come asseriva il bugiardo, egli era nel numero dei riprovati. “Or dunque, rispose il Santo, se avrò da essere reprobo, voglio almeno amare Dio quanto potrò in questa vita, giacché in tale caso non potrei amarlo nell'altra”; con ciò vinse la tentazione, ed ecco quanto dovrebbe ciascuno di noi rispondere subito al nemico tentatore in simili circostanze, fuggendo per questo modo ogni ragionamento con lui.

Asc,9006a:T29,20 Con quanta ragione pertanto dobbiamo riconoscenti esclamare coll'Apostolo vostro: “O profondità delle ricchezze della sapienza e della scienza di Voi, vero Padre delle misericordie, nell'averci con questa certezza per parte vostra, ed incertezza per parte nostra, aperto un così ricco tesoro! Poiché portandoci in tale modo ad operare il bene e quindi formarci una corona di gloria, ci trattenete in pari tempo dal peccato e preservate il mondo da innumerabili disordini e gravissimi”.

Asc,9006a:T30

Tesoro XXX. La santa allegrezza

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Asc,9006a:T30,1 Rallegratevi grandemente, o Voi che foste nella tristezza, affinché esultiate e siate satolli nell'abbondanza della consolazione vostra636

Non è Egli infatti un tesoro di somma consolazione questo che largamente possiamo ripetere dalla santa allegrezza eccitata dal possesso dei tanti e sì ricchi tesori da noi sinora considerati?

. Sono pure queste, o Gesù le soavi parole e consolanti per cui la Chiesa vostra sposa ci esorta a verace letizia, sì che tergendo le lacrime e cacciando ogni triste pensiero, non ci affanniamo più oltre per la povertà nostra e miseria.

È certamente follia637 cercare la vera allegrezza, la vera pace del cuore nei fallaci beni del mondo, nei suoi vani divertimenti e nello sfogo delle indegne passioni, poiché in esse non si trova che allegrezza dissoluta e vana, amareggiata da mille pene e rimorsi; allegrezza che trascinerà nell'eterno pianto i suoi stolti seguaci, quando meno lo pensino638

In Dio solo dunque.

639 e nel suo servizio è da cercare vera letizia, perché fatto il cuore nostro per Dio, in nessun altro fuori di Lui può trovare pace e riposo640

Sì in Voi solo, o Signore, sta la vera allegrezza, perché dono della vostra grazia e frutto dei meriti che rettamente operando ci acquistiamo per il Cielo. Allegrezza fondata sopra beni che non ci mancheranno mai più, perché comuni agli Angeli, ai Santi, a Voi medesimo, o Signore, degni perciò della libertà e magnificenza vostra infinita.

.

Asc,9006a:T30,2 Ora primo bene che ci apporta la santa allegrezza è la serenità di mente, per cui come da pieno meriggio, scoprendo i tenebrosi nascondigli donde il nemico infernale cerca di saettarci con tentazioni, rendiamo vani i suoi colpi641

Né solo ciò; ma trionfando delle sue malizie, aumentiamo le ricchezze spirituali con le spoglie medesime del tentatore; poiché quanti sono gli atti con cui resistiamo agli assalti suoi, altrettante sono le corone di gloria onde cingiamo la fronte.

.

Ed anche il reale profeta, o Signore, ci addita in questa miniera un'altra gemma dicendo: “Corsi la via dei tuoi comandamenti, quando tu dilatasti il cuore mio642

Ora comprendiamo perché con tanto ardore vi chiedesse Egli la santa allegrezza”.

643, miseramente perduta con l'averla cercata nelle creature; troppo bene sapeva Egli che, siccome senza di lei l'anima sua assonnava, vinta dal tedio644, così per lei si rinvigoriva il fervore delle sue orazioni, per modo che otteneva quanto bramasse645; anzi quasi gigante che per robustezza non teme fatica646

E continuando a cercare, troviamo altri tesori.

, affrontava ogni grande difficoltà, e la vinceva.

Chi non sa, non potersi reggere a continua violenza647? Quanto perciò la santa allegrezza ci aiuta a perseverare nel bene incominciato! Poiché come allora che il mare si fa tempestoso e contrari soffiano i venti, non solo avanza con lentezza la nave, ma devia dal corso, così quando il cuore è tranquillo e spira favorevole il dolce zeffiro dell'allegrezza spirituale, con tutta facilità proseguiamo nel cammino della perfezione648

Siffatta allegrezza poi non solo arricchisce l'anima di meriti come gli altri tesori, ma ha questo di proprio, che ridonda anche in vantaggio del corpo; perché come la malinconia e la tristezza lo intisichisce e gli affretta la morte, così l'allegrezza gli dona vita, salute, e quasi fa che non invecchi

, fin tanto che ricchi di meriti giungiamo al porto desiderato della salute.

649.

Asc,9006a:T30,3

Che più? Lo stesso… Che più? Lo stesso stare allegri con il dimostrarci contenti dei beni che il Signore si degna di compartirci, mentre a Lui serviamo, non ridonda forse in gloria di Lui, appunto come fa onore al padrone il vedere la famiglia tutta allegra e gioconda? Anzi, agli ingannati e miseri seguaci del mondo, non è stimolo potente a convertirsi, il vedere come l'allegrezza sia prerogativa dei servi di Dio? Che potrebbero anche essi vivere assai più contenti, servendo così dolce Signore e salvarsi, anziché servire a Lucifero, per poi andarne perduti?

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Facciamo dunque festa, serviamo a Dio con allegrezza e stiamo al cospetto di Lui con volto giocondo, poiché Iddio stesso ci invita a stare allegri per essere i nostri nomi già stati scritti nel libro della vita650; e quand'anche dovessimo piangere651, perché cancellati dalle nostre colpe, siffatta tristezza è buona, è santa; ed è vera saviezza652

Non facciamo però i malinconici come gli ipocriti

pentirci delle commesse mancanze, perché ottenendone il perdono, saremo beati.

653 guidati da vanità, ma compaia nella nostra penitenza medesima la gioia e l'allegrezza654, avendo noi da fare con un Padre sì tenero ed amoroso, che non solo ci perdona se, pentiti, confessiamo la colpa, ma pure dimentica le nostre iniquità, sì che non ci siano di danno655; che se riconoscenti, vorremo amarlo e servirlo con maggior fervore in avvenire, Egli è disposto a darcene una mercede abbondante, una preziosa corona di gloria ed una eredità, oltre ogni dire, magnifica656

Rallegriamoci pertanto con il Re penitente, poiché verrà anche per noi quel giorno fortunato.

657

Asc,9006a:T30,4

, in cui andremo a godere dei beni eterni nella casa del Signore.

Perdonate però, o nostro buon Dio, per quale modo potremmo noi giubilare di allegrezza in questa valle di pianto658, ove ci è prolungato l'esilio? O come sciogliere inni e cantici di gioia in terra straniera659

Ah se fossimo sicuri di venire un giorno nel Cielo, ne saremmo colmi di gioia, ogni croce ci sarebbe leggera; sarebbe anzi un nulla ogni patire, se ci fosse dato di confortarci con la sicura speranza di quella patria santa: ma come potremo all'opposto stare allegri in mezzo ai pericoli continui di perdere un sì gran bene? Questo solo riflesso non basta a snervare ogni nostro coraggio, facendo pieni di continue lacrime i giorni nostri

?

660

Sebbene a che rattristarci senza ragione? Non vi compiaceste forse Voi, o Signore nostro Iddio, di assicurarci il possesso del Paradiso per tale modo che già ritenendolo come nostro, non potrebbe tutto l'inferno farcelo perdere mai, se pure di proprio volere non gli rinunciamo con la colpa mortale?

?

Asc,9006a:T30,5 Infatti non lo andate Voi stesso offrendo a chiunque lo voglia661? Né la condizione che ci ponete è impossibile662, anzi neanche penosa e difficile663. E perché dunque non potremo considerarlo già come nostro, se pure lo vogliamo? Avete forse eccettuato alcuno in questa generale offerta che ci fate, sì che possiamo temere di esserne esclusi, anche adempiendone la condizione prescritta per ottenerlo? E non è questo, o Signore, il fine che vi prefiggeste nel crearci664, cioè che servendovi, godessimo poi la vita eterna? Insomma non ci comandate Voi stesso di impadronirci, anzi rapire il Paradiso665

E per chi l'avreste creato, se non per noi? Ora se un figlio, cui il suo padre amoroso e provvido fece fare una veste molto bella, e conservandola in luogo sicuro gli dice: “L'abito è qui fatto, preparato per te ed a suo tempo l'avrai”; non tiene e considera il figlio quell'abito come suo? Come dunque non potremo anche noi considerare e tenere nostro a suo tempo il Paradiso, che Voi, o Signore, vi protestate di averci preparato fin dalla fondazione del mondo

?

666

In secondo luogo qual è quel figlio che, avendo un genitore affezionatissimo, non consideri ed abbia come suo il patrimonio e gli averi del padre?

?

Non dice egli ai compagni: “Venite a casa mia, al mio podere”; quantunque e la casa ed il podere appartengano al padre? Ora Voi siete nostro padre per creazione, per rigenerazione, per amore; ed avendoci Voi, Gesù nostro dolcissimo, fatti vostri fratelli, fummo in pari tempo adottati a figli dal Padre vostro. Ora non insegnaste a mentire, quando diceste che fidatamente avessimo ad invocarlo e pregarlo come padre667. Che se Egli per eccesso di carità ci adottò suoi figli non solo di nome ma in effetto, giustamente dunque conclude S. Paolo che ne siamo anche gli eredi668. Appoggiati pertanto a questo titolo, noi possiamo sin d'ora chiamare nostro il bel Paradiso.

Asc,9006a:T30,6

Una terza ragione…

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Una terza ragione da considerare come nostro un bene è quello della compra. Quando un oggetto è legalmente comprato e la somma sborsata è corrispondente o maggiore ancora del valore dell'oggetto comprato, chi dubiterà mai d'avere un diritto più che sufficiente, per entrare al possesso del bene acquistato? O Gesù caro, quali grazie vi renderemo per averci, con lo sborso penoso del preziosissimo vostro sangue, comprato il bel Paradiso? O amabilissimo Redentore, come poteste mai tanto amarci sino a degnarvi di cancellare con il vostro sangue669

Né abbiamo da scoraggiarci per avere di nuovo perduto con i nostri peccati questo diritto, poiché ci voleste veramente convincere che non ha limiti la vostra misericordia, ed inesauribile è il tesoro della vostra bontà

quel chirografo sfavorevole, nel quale erano scritti i crediti che aveva contro di noi la giustizia eterna! Affiggendo questo chirografo alla vostra croce, ne riceveste con tanto costo di pene, di sangue e di vita la quietanza dal Padre, ed a noi così riacquistaste il diritto all'eterna eredità.

670. Oh meravigliose invenzioni dell'amore vostro! Chi non vede in queste, Gesù caro, l'ardentissimo vostro desiderio della nostra salute? Perché non pago di averci comprati a caro prezzo, dal fianco vostro aperto da lancia crudele, facendo scaturire con il sangue e con l'acqua il fonte perenne della vostra grazia e dei vostri meriti per i santi Sacramenti, dando le chiavi del Cielo al vostro Vicario671 e con esse la facoltà di rimettere i peccati, ci formaste per il Sacramento della penitenza quel bagno salutare in cui non una volta sola, ma sempre672 finché viviamo, potessimo scontare i nuovi debiti contratti, essere lavati e fatti mondi alle colpe, riacquistando in tale maniera non solo il diritto perduto al Regno eterno, sì pure il fondo dei meriti già prima acquistati con le buone opere fatte in grazia673

Asc,9006a:T30,7 .

Inoltre può darsi più giusto e sicuro titolo di quello che si ha sulla mercede corrispondente alle fatiche? Quando un ricco ed onesto signore spontaneamente offrisse una somma a chi voglia per lui impiegarsi, chiunque abbia compiuto l'opera desiderata, non ha titolo di avere e pretendere come cosa sua l'offerta fatta da quel cotale? Or bene, o Signore giustissimo, Voi ci proponeste il Paradiso per nostra mercede674, promettendo di darlo immancabilmente non solo a chi operi cose grandi o si sottometta a dolorosi sacrifici, ma sì pure a chiunque dia un bicchiere d'acqua fresca al povero, purché, a titolo di discepolo o per gloria vostra, s'impieghi nelle azioni più ordinarie, famigliari, continue e necessarie alla vita. Anzi, a quella violenza medesima onde ci adoperiamo per non commettere il male che pur potremmo, a siffatta violenza io dico, vi protestaste di serbare in premio eterni beni675

Ma diteci, o Signore dolcissimo, non temete di avvilire troppo le vostre ricchezze, la vostra grazia, la vostra gloria, il Paradiso medesimo, offrendolo ed accordandolo a cotanto facile prezzo?

.

Sì è veramente un torto gravissimo che vi facciamo, nel rattristarci per l'incertezza di avervi a godere un giorno nel Cielo; mentre con giuramento ci promettete nella vostra bontà, e tutti senza eccezione ne assicurate, che qualunque cosa noi domanderemo nell'orazione, credendo, la otterremo676.

Asc,9006a:T30,8

Che più? Non siete… Che più? Non siete quel liberalissimo e soave padrone che concedete assai più di quanto vi si domandi? Non siete Voi quegli che condonaste l'intero debito di diecimila talenti al servo, che solo vi pregò di concedergli una mora al pagamento677? Al paralitico, il quale non ardiva quasi di pregarvi della sanità, non donaste forse anche la santità con la remissione dei suoi peccati678? Non accoglieste forse come figlio prediletto quegli che si teneva a buona sorte di esservi servo679? E non siete Voi finalmente quegli che, a chi mentre moriva per propri delitti, solo pregandovi di ricordarvi di lui, Voi tutto pietoso gli prometteste all'istante il Paradiso680? Che se nulla vi riserbaste, se nessuno escludeste da sì consolante promessa, come potrà temere alcuno di noi di esserne escluso, o che tra i vostri doni sia eccettuato il Paradiso?

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A che ci gioverebbe ottenere qualunque altra cosa, se poi non giungessimo a quella patria celeste che contiene ogni bene, e fuori di cui non vi è alcun bene? Non sarebbe illusoria in tale caso ogni divina promessa? Come dunque non potremo dire nostro il Paradiso, se con il solo domandarlo, ci sarà donato? Chiediamolo pertanto al Padre, in nome del caro Gesù, ed il Paradiso sarà certamente nostro a suo tempo. E perché no? Mentre per togliercene ogni dubbio a consolarci della sua assenza, si degnò il Salvatore di assicurarci di propria bocca che se ne andava al Cielo per prepararci il luogo e prenderne possesso a nome nostro681? Oh felici noi che già possiamo considerarci come concittadini dei Santi682, cioè di quei nostri cari fratelli, parenti ed amici, i quali con santa impazienza ci aspettano, e desiderano di averci seco loro683! Anzi già ivi destinò Gesù il posto ad ognuno di noi, e quivi in certo modo ci fa con Lui sedere nei Cieli684

Asc,9006a:T30,9 .

Insomma, chi di noi temerà di perdere un capitale promesso, quando per guarentigia gli viene posto nelle mani un pegno che vale altrettanto del capitale medesimo? Infatti non siete Voi, o Signore nostro Iddio, che costituite l'essenziale gloria del Paradiso685

E non vi ci siete Voi dato come pegno dell'eterna gloria nell'augustissima Eucaristia? Anzi non solo un pegno

?

686, ma non abbiamo fin d'ora in questo Sacramento la stessa vita eterna687

Che più? Tanto desiderate, o Salvatore dolcissimo, di darci la vita eterna, che promettete premio grandissimo anche all'accostarci che facciamo nel ricevere con le debite disposizioni questo dono di Voi stesso, che siete pegno di gloria; ed affinché non lo rifiutiamo per pigrizia e sconoscenza, minacciate di privarci della vera vita, se ricusiamo di accettarlo

, poiché si possiede Iddio, che essenzialmente la costituisce?

688

Con tanti e sì possenti motivi di aver un giorno a possedere l'eterna gloria, non faremmo noi grave torto alla bontà di Dio nello starcene malinconici e tristi?

.

Rallegriamoci dunque santamente nel Signore, come ci invita la Chiesa, né cessiamo dal benedirlo e ringraziarlo di tanti tesori acquistatici col suo preziosissimo sangue; e sia nostro studio il corrispondere a tanta bontà, amandolo con tutto il fervore in questa vita, per amarlo poi tanto più nei secoli eterni. Asc,9006a:1 Ut abundetis in spe (Rom. 15, 13). Asc,9006a:2 Qui sperant in Domino mutabunt fortitudinem… volabunt et non deficient (Is. 40). Asc,9006a:3 Sublata spe, irrefrenate homines labuntur in vitia, et a bonis laboribus retrahuntur (2, 2, q. 20, a. 3). Asc,9006a:4 Fortissimum solatium habemus, qui confugimus ad tenendam propositam spem, quam sicut anchoram habemus animæ tutam ac firmam (Hebr. 6, 18). Asc,9006a:5 Viam mandatorum tuorum cucurri cum dilatasti cor meum (Ps. 118, 32). Asc,9006a:6 De cælo a regalibus sedibus (Sap. 18, 15). Asc,9006a:7 Visitavit nos oriens ex alto (Luc. 1, 78). – Facti sumus lætantes (Ps. 125, 3). Asc,9006a:8 In terra pax hominibus (Luc. 2, 14). Asc,9006a:9 Complacuit Patri vestro dare vobis regnum (Luc. 12, 32). Asc,9006a:10 Venite, emite absque argento (Is. 55, 1). Asc,9006a:11 Commendat autem caritatem suam Deus in nobis: quoniam cum adhuc peccatores essemus… Christus pro nobis mortuus est (Rom. 5, 9). Asc,9006a:12 Respice in faciem christi tui (Ps. 83, 10).

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Asc,9006a:13 Sicut qui thesaurizat, ita et qui honorat matrem suam (Eccli. 3, 5). Asc,9006a:14 Sedebitis et vos super sedes duodecim, judicantes duodecim tribus Israel (Matth. 19, 28). Asc,9006a:15 Quicumque potum dederit calicem aquæ frigidæ (Matth. 10, 42). Asc,9006a:16 Quomodo non etiam cum illo omnia nobis donavit? (Rom. 8, 32). Asc,9006a:17 Dicit Discipulo: Ecce mater tua (Joan. 19, 27). Asc,9006a:18 Quid ergo erit nobis? (Matth. 19, 27). Asc,9006a:19 Quam idcirco de præsenti sæculo transtulisti, ut pro peccatis nostris apud te fiducialiter intercedat (In Vigil. Assump. B. M.V. in orat. secr.). Asc,9006a:20 Si Ego non abiero, Paraclitus non veniet ad vos, si autem abiero, mittam eum ad vos (Joan. 16, 7). Asc,9006a:21 Semper vivens ad interpellandum pro nobis (Hebr. 7, 25). Asc,9006a:22 Peccatores non exhorres – Sine quibus numquam fores – Tali digna Filio. Asc,9006a:23 Te ergo quæsumus, tuis famulis subveni, quos pretioso Sanguine redemisti (Hymm. ambr.). Asc,9006a:24 Cum iratus fueris, misericordiæ recordaberis (Abacuc 3, 2). Asc,9006a:25 Mulier: Ecce filius tuus. Deinde dicit Discipulo: Ecce mater tua (Joan. 19, 26-27). Asc,9006a:26 Omnes domestici ejus vestiti sunt duplicibus (Prov. 31, 21). Asc,9006a:27 Gaudium erit in Cælo super uno peccatore pænitentiam agente (Luc. 15, 7. 10). Asc,9006a:28 Gloriosa dicta sunt de te, Civitas Dei (Ps. 86, 3). Asc,9006a:29 Nonne omnes sunt administratorii spiritus in ministerium missi propter eos, qui hæreditatem capiunt salutis? (Hebr. 1, 14). Asc,9006a:30 Pænitet me fecisse hominem (Gen. 6, 6). Asc,9006a:31 Angelis suis Deus mandavit de te: ut custodiant te in omnibus viis tuis (Ps. 90, 11). Asc,9006a:32 In manibus portabunt te: ne forte offendas ad lapidem pedem tuum (Ps. 90, 12). Asc,9006a:33 Si duo ex vobis consenserint super terram, de omni re quamcumque petierint, fiet illis a Patre meo qui in Cælis est (Matth. 18, 19). Asc,9006a:34 Funiculum hæreditatis vestræ (Ps. 104, 11). Asc,9006a:35 Marc. 9, 40. Asc,9006a:36 Cum enim subverteret Deus civitates regionis illius recordatus Abrahæ, liberavit Loth de subversione urbium (Gen. 19, 29). Asc,9006a:37 Et sicut in Adam omnes moriuntur, ita et in Christo omnes vivificabuntur (1 Cor. 15, 22). Asc,9006a:38 Qui manet in me, et ego in eo (Joan. 15, 5). Asc,9006a:39 Ego in Pater, et Pater in me est (Joan. 14, 10).

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Asc,9006a:40 Ergo jam non estis hospites, et advenæ: sed estis cives Sanctorum, et domestici Dei, superædificati super fundamentum Apostolorum et Prophetarum, ipso summo angulari lapide Christo Jesu… in quo et vos coædificamini in habitaculum Dei in spiritu (Eph. 2, 19. 20. 22). Asc,9006a:41 Quamdiu fecistis uni ex his fratribus meis minimis mihi fecistis (Matth. 25, 40). Asc,9006a:42 Ecce quam bonum et quam juncundum habitare fratres in unum (Ps. 132, 1). Asc,9006a:43 Panis Sanctus vitæ æternæ, et calix salutis perpetuæ (In Can. Missæ). Asc,9006a:44 Cum clamore valido, et lacrimis offerens, exauditus est pro sua reverentia (Hebr. 5, 7). Asc,9006a:45 Quoties hujus hostiæ commemoratio recolitur, opus nostræ redemptionis exercetur (Orat. secr. Dom. IX post Pentec.). – Cruentæ oblationis fructus per hanc uberrime percipiuntur (Trid., sess. 22, c. 2; Vid. S. Thom. ep. 6, apud Suarez disp. 79, sect. 1). Asc,9006a:46 Vita vestra abscondita est cum Christo in Deo (Col. 3, 3). Asc,9006a:47 Hebr. 9, 12. Asc,9006a:48 Qui videt me, videt et Patrem meum (Joan. 14, 9). Asc,9006a:49 Cum cœpisset (Dominus) rationem ponere… non haberet unde redderet… procidens… servus ille orabat eum (Matth. 18, 25). Asc,9006a:50 Judica me Deus, et discerne causam meam (Ps. 42, 1). Asc,9006a:51 Laudate eum secundum multitudinem magnitudinis ejus (Ps. 150, 2). Asc,9006a:52 Patientiam habe in me et omnia reddam tibi (Matth. 18, 26). Asc,9006a:53 Omnes gentes… quasi nihilum, et inane reputatæ sunt ei (Is. 40, 17). Asc,9006a:54 Gloria Domini (S. Ignat. Mart., Ep. ad Ephes.). Asc,9006a:55 Vere, dignum et justum est, æquum et salutare nos tibi semper, et ubique gratias agere (In Præf. Missæ). Asc,9006a:56 Quid dignum poterit esse beneficiis ejus (Tob. 12, 2). Asc,9006a:57 Et accepto pane, gratias egit… (Luc. 22, 19). Et accipiens calicem, gratias egit… (Matth. 26, 22). Asc,9006a:58 Ne nos ingrati essemus (S. Iren.). Asc,9006a:59 Semper vivens ad interpellandum pro nobis (Hebr. 7, 25). Asc,9006a:60 Hac oblatione placatus Dominus, gratiam et donum pænitentiæ concedens, crimina, et peccata etiam ingentia dimittit (Trid., sess. 20, c. 22). Asc,9006a:61 Postula a me, et dabo tibi (Ps. 2, 8). Asc,9006a:62 Sic totum omnibus, quod totum singulis (Hymn. in fest. Corp. Christi ad matut.). Asc,9006a:63 Fecit mihi magna qui potens est… Fecit potentiam in brachio suo (Luc. 1, 49. 51). Asc,9006a:64 Memoriam fecit mirabilium suorum… escam dedit timentibus se (Ps. 110, 4). Asc,9006a:65

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Placatusque est Dominus ne faceret malum, quod locutus fuerat adversus populum (Exod. 32, 14). Asc,9006a:66 Trid., sess. 20, can. 33. Asc,9006a:67 Amen, amen dico vobis, si quid petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis. Usquemodo non petistis quidquam in nomine meo: petite et accipietis, ut gaudium vestrum sit plenum (Joan. 16, 23-24). Asc,9006a:68 Rex Regnum, et Dominus dominantium… cui honor et imperium sempiternum (1 Tim. 6, 15. 16). Asc,9006a:69 Ego sum veritas (Joan. 14, 6). – Cælum et terra transibunt verba autem mea non præteribunt (Matth. 24, 35). Asc,9006a:70 Quomodo non etiam cum illo (Filio suo) omnia nobis donavit? (Rom. 8, 32). Asc,9006a:71 Viditque cuncta quæ fecerat: et erant valde bona (Gen. 1, 31). Asc,9006a:72 Filius datus est nobis (Is. 9, 6). Asc,9006a:73 Factus obœdiens usque ad mortem… crucis (Philip. 2, 8). Asc,9006a:74 Omnia subjecisti sub pedibus ejus (Ps. 8, 7). Asc,9006a:75 Et erat subditus illis (Luc. 2, 51). Asc,9006a:76 Si Deus pro nobis, quis contra nos? (Rom. 8, 31). Asc,9006a:77 Non timebo mala: quoniam tu mecum es (Ps. 22, 4). Asc,9006a:78 Certus sum enim, quia… neque creatura alia poterit nos separare a caritate Dei… (Rom. 8, 38. 39). Asc,9006a:79 Quanto magis Pater vester de Cælo dabit spiritum bonum petentibus se? (Luc. 11, 13). Asc,9006a:80 Quis autem ex vobis patrem petit panem, numquid lapidem dabit illi?… aut si petierit ovum: numquid porriget illi scorpionem? (Luc. 11, 11. 12). Asc,9006a:81 Miserere nostri fili David… non respondit ei verbum, etc. (Matth. 15, 22. 23). Asc,9006a:82 Catelli edunt de micis, quæ cadunt de mensa dominorum suorum (Matth. 15, 27). Asc,9006a:83 Quod superest, date eleemosynam (Luc. 11, 41). Asc,9006a:84 Luc. c. 16, v. 19 ad 25. Asc,9006a:85 Cœpit Jesus facere et docere (Act. 1, 1). Asc,9006a:86 Dispersit, dedit pauperibus, justitia ejus manet in sæculum sæculi (Ps. 111, 9). Asc,9006a:87 Aut continebit in ira sua misericordias suas? (Ps. 76, 9). Asc,9006a:88 Si quis sitit, veniat ad me, et bibat (Joan. 7, 37). Asc,9006a:89 Si scires donum Dei, et quis est qui dicit tibi: da mibi bibere, tu forsitan petisses ad eo, et dedisset tibi aquam vivam (Joan. 4, 10). Asc,9006a:90 Si esurierit inimicus tuus, ciba illum: si sitiverit da ei aquam bibere (Prov. 25, 21). Asc,9006a:91 Fiat tibi sicut vis et sanata est filia ejus ex illa hora (Matth. 15, 28).

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Asc,9006a:92 Propter nos egenus factus est, ut illius inopia vos divites essetis (2 Cor. 8, 9). Asc,9006a:93 Vere dolores nostros ipse portavit (Is. 53, 4). Asc,9006a:94 Ipse vulneratus est propter iniquitates nostras, attritus est propter scelera nostra (Is. 53, 5). Asc,9006a:95 A planta pedis usque ad verticem non est in eo sanitas; vulnus, et livor, et plaga tumens (Is. 1, 6). – Non est species ei, neque decor… et quasi absconditus vultus ejus, et despectus, unde nec reputavimus eum (Is. 53, 3). – Opprobrium hominum, et abjectio plebis (Ps. 21, 6). Asc,9006a:96 Ego sum vermis, et non homo (Ps. 21, 7). – Oblatus est quia ipse voluit. Posuit Dominus in eo iniquitatem omnium nostrum (Is. 53, 6-7). Asc,9006a:97 Et pro transgressoribus rogavit (Is. 53, 12). Asc,9006a:98 Multi unum corpus sumus in Christo (Rom. 12, 5). Asc,9006a:99 Esurivi, et dedistis mihi manducare, etc. (Matth. 25, 35). Asc,9006a:100 Quamdiu fecistis uni ex his fratribus meis minimis, mihi fecistis (Matth. 25, 40). Asc,9006a:101 Saule, Saule: quid me persequeris? (Act. 9, 4). Asc,9006a:102 Lec. die fest. in Brev. Asc,9006a:103 Medice cura te ipsum (Luc. 4, 23). Asc,9006a:104 Factus obœdiens usque ad mortem… crucis (Philip. 2, 8). Asc,9006a:105 Nihil habentes, et omnia possidentes (2 Cor. 6, 10). Asc,9006a:106 Beati estis cum maledixerint vobis, et persecuti vos fuerint (Matth. 5, 11). Asc,9006a:107 Exauditus est pro sua reverentia (Hebr. 5, 7). Asc,9006a:108 Miserationes ejus super omnia opera ejus (Ps. 144, 9). Asc,9006a:109 Deus meus, misericordia mea (Ps. 58, 18). Asc,9006a:110 Repleti sumus mane misericordia tua (Ps. 89, 14). – Deus meus, misericordia ejus præveniet me (Ps. 58, 11). – Et misericordia tua subsequetur me omnibus diebus vitæ meæ (Ps. 22, 6). Asc,9006a:111 Pater misericordiarum (2 Cor. 1, 3). Asc,9006a:112 Vis sanus fieri? (Joan. 5, 6). – Quid vultis ut faciam vobis? (Matth. 20, 32). Asc,9006a:113 Miserere mei Deus. Miserere mei (Ps. 56, 1). Asc,9006a:114 Omnes sitientes venite ad aquas: et qui non habetis argentum, properate, emite et comedite. Venite, emite absque argento, et absque ulla commutatione vinum et lac (Is. 55, 1). Asc,9006a:115 Venite ad me omnes qui laboratis… et ego reficiam vos (Matth. 11, 28). Asc,9006a:116 Convertimini… et quare moriemini domus Israel?… revertimini et vivite (Ezech. 18, v. 30. 31. 32). Asc,9006a:117 Vis sanus fieri?… surge… et statim sanus factus est (Joan. 5, 6. 8. 9). – Volo mundare (Matth. 8, 3). Asc,9006a:118

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Cum invocarem, exaudivit me Deus… in tribulatione dilatasti mihi (Ps. 4, 1). Asc,9006a:119 Quia præstabilis est super malitia (Joel 2, 13). Asc,9006a:120 Omnium iniquitatum ejus… non recordabor (Ezech. 18, 22). Asc,9006a:121 Et erunt sicut fuerunt quando non projeceram eos (Zacch. 10, 6). Asc,9006a:122 Patientiam habe in me, et omnia reddam tibi… dimisit ei omne debitum (Matth. 18, 26. 27). Asc,9006a:123 Fac me sicut unum de mercenariis tuis… date annulum in manu ejus (Luc. 15, 19. 22). Asc,9006a:124 Memento mei… hodie mecum eris in Paradiso (Luc. 23, 40. 42). Asc,9006a:125 Congratulamini mihi (Luc. 15, 6. 9). Asc,9006a:126 Omnes sitientes venite ad aquas (Is. 55, 1). – Si quis sitit, veniat ad me et bibat (Joan. 7, 37). Asc,9006a:127 Laudans invocabo Dominum: et ab inimicis meis salvus ero (Ps. 17, 4). Asc,9006a:128 Pater misericordiarum: Deus totius consolationis, qui consolatur nos in omni tribulatione nostra (2 Cor. 1, 3-4). Asc,9006a:129 Misericordiæ Domini quia non sumus consumpti: quia non defecerunt miserationes ejus (Thren. 3, 22). Asc,9006a:130 Ego enim Dominus, et non mutor (Malachi 3, 6). Jesus Christus heri, et hodie; ipse et in sæcula (Hebr. 13, 8). Asc,9006a:131 Non dico tibi usque septies, sed usque septuagies septies (Matth. 18, 22). Asc,9006a:132 Impietas impii non nocebit ei, in quacumque die conversus fuerit ab impietate sua (Ezech. 33, 12). Asc,9006a:133 Eduxit eos cum argento et auro (Ps. 134, 37). Asc,9006a:134 Cui enim minus dimittitur, minus diligit (Luc. 7, 47). Asc,9006a:135 In Festo S. Andr. Apost. Asc,9006a:136 Copiosa apud eum redemptio (Ps. 139, 7). Asc,9006a:137 Abyssus abyssum invocat (Ps. 41, 8). Asc,9006a:138 Sic… orabitis: Pater noster qui es in Cælis (Matth. 6, 9). Asc,9006a:139 Ego dixi: Dii estis, et filii Excelsi omnes (Ps. 81, 6). Asc,9006a:140 Hic est Filius meus dilectus (Matth. 17, 5). Asc,9006a:141 Sic… orabitis: Pater noster qui es in Cælis (Matth. 6, 9). Asc,9006a:142 Ipse enim Spiritus testimonium reddit spiritui nostro, quod sumus filii Dei (Rom. 8, 16). Asc,9006a:143 Videte qualem caritatem dedit nobis Pater ut filii Dei nominemur, et simus (1 Joan. 3, 1). Asc,9006a:144 Olim Deus loquens Patribus in Prophetis: novissime… locutus est nobis in Filio (Hebr. 1, 1-2). Asc,9006a:145

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Ad eum veniemus, et apud eum mansionem faciemus (Joan. 14, 23). – Deliciæ meæ esse cum filiis hominum (Prov. 8, 3). Asc,9006a:146 Nolite timere pusillus grex, quia complacuit Patri vestro dare vobis Regnum (Luc. 12, 32). Asc,9006a:147 Nolite solliciti esse dicentes, quid manducabimus, aut quid bibemus… scit enim Pater vester cælestis, quia his omnibus indigetis (Matth. 6, v. 25 ad 34). Asc,9006a:148 Nonne vos magis pluris estis illis? (Matth. 6, 26). Asc,9006a:149 Patrem nolite vocare vobis super terram; unus est enim Pater vester qui in Cælis est (Matth. 23, 9). Asc,9006a:150 Deus cujus providentia in sui dispositione non fallitur (Orat. Dom. VII, post Pentec.). Asc,9006a:151 Cui enim dixit aliquando Angelorum: Filius meus es tu? Ego ero illi in Patrem, et ipse erit mihi in Filium? Nonne omnes sunt administratorii spiritus? (Hebr. 1, 5. 14). Asc,9006a:152 Fili, tu semper mecum es: et omnia mea tua sunt (Luc. 15, 31). Asc,9006a:153 Quanti mercenarii in domo Patris mei abundant panibus (Luc. 15, 17). Asc,9006a:154 Qui enim tetigerit vos, tangit pupillam oculi mei (Zacch. 2, 8). Asc,9006a:155 Qui vos spernit, me spernit (Luc. 10, 16). Asc,9006a:156 Quoniam in me speravit, liberabo eum: protegam eum (Ps. 90, 14). Asc,9006a:157 Cum ceciderit, non collidetur: quia Dominus supponit manum suam (Ps. 36, 24). Asc,9006a:158 Custodit Dominus omnia ossa eorum, unum ex his non conteretur (Ps. 33, 20). Asc,9006a:159 Et capillus de capite vestro non peribit (Luc. 21, 18). Asc,9006a:160 Filius hic meus (qui devoravit substantiam suam cum meretricibus) mortuus erat, et revixit (Luc. 15, v. 24. 30). Asc,9006a:161 Ergo saltem amodo voca me: Pater meus… es tu. Convertimini filii (Jer. 3, 4 et 14). Asc,9006a:162 Cum adhuc longe esset, vidit illum… et misericordia motus est, et accurrens cecidit super collum ejus: et osculatus est eum (Luc. 15, v. 20, 22, 23). Asc,9006a:163 In universo orbe famis prævaluit; in cuncta autem terra Ægypti, panis erat (Gen. 41, 54). Asc,9006a:164 Primogenitus in multis fratribus (Rom. 8, 29). Asc,9006a:165 Nolite pavere… pro salute enim vestra misit me Dominus ante vos in Ægyptum (Gen. 45, 5). Asc,9006a:166 Ego sum Joseph frater vester, quem vendidistis (Gen. 45, 4). Asc,9006a:167 Ite, nuntiate fratribus meis (Matth. 28, 10). Asc,9006a:168 Ego dabo vobis omnia bona Ægypti (Gen. 45, 18). Asc,9006a:169 Hæc autem omnia in figura contingebant illis (1 Cor. 10, 11). Asc,9006a:170 Qui habuerit substantiam hujus mundi, et viderit fratrem suum necessitatem habere, et clauserit viscera sua ab eo: quomodo caritas Dei manet in eo. (1 Joan. 3, 17). Asc,9006a:171

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Cujus est totum, quod est optimum (Orat. Dom. VI post Pentec.). Asc,9006a:172 Cum videris nudum, operi eum, et carnem tuam ne despexeris (Is. 58, 7). Asc,9006a:173 Si autem in te peccaverit frater tuus, vade et corripe eum inter te, et ipsum solum. Si te audierit, lucratus es fratrem tuum (Matth. 18, 15). Asc,9006a:174 Adolescens, tibi dico, surge. Et resedit qui erat mortuus (Luc. 7, 14-15). – Jam fœtet, quatriduanus est… Lazare veni foras, et statim prodiit qui fuerat mortuus (Joan. 11, v. 39, 43 et 44). Asc,9006a:175 Vocat ea quæ non sunt, tamquam ea quæ sunt (Rom. 4, 17). Asc,9006a:176 Frater qui adjuvatur a fratre, quasi civitas firma (Prov. 18, 19). Asc,9006a:177 Non enim habemus Pontificem, qui non possit compati infirmitatibus nostris, tentatum autem per omnia pro similitudine absque peccato (Hebr. 4, 15). Asc,9006a:178 Quicumque fecerit voluntatem Patris mei… ipse meus frater et soror est (Matth. 12, 50). Asc,9006a:179 Oleum effusum, nomen tuum (Cant. 1, 2). Asc,9006a:180 Dilectus meus mihi et ego illi (Cant. 2, 16). Asc,9006a:181 Magis amicus erit, quam frater (Prov. 18, 24). Asc,9006a:182 Amico fideli nulla est comparatio, et non est digna ponderatio auri et argenti contra bonitatem fidei illius (Eccli. 6, 15). Asc,9006a:183 Bonus Dominus sperantibus in eum, animæ quærenti illum (Thren. 3, 25). – In simplicitate cordis quærite illum (Sap. 1, 1). Asc,9006a:184 Electus ex millibus (Cant. 5, 10). – Speciosus forma præ filiis hominum (Ps. 44, 3). – Proficiebat sapientia apud Deum et homines (Luc. 2, 52). Asc,9006a:185 Discite a me, quia mitis sum (Matth. 11, 29). – Venit tibi mansuetus (Matth. 21, 5). Asc,9006a:186 Quam dulcia… eloquia tua super mel (Ps. 118, 103). Asc,9006a:187 Diffusa est gratia in labiis tuis (Ps. 44, 2). – Verba vitæ æternæ habes (Joan. 6, 69). Asc,9006a:188 Numquam si locutus est homo (Joan. 7, 46). Asc,9006a:189 Ecce jam triduo sustinent me, nec habent quid manducent (Marc. 8, 2). Asc,9006a:190 Nec spatium manducandi habebant (Marc. 6, 31). Asc,9006a:191 Venite ad me omnes qui laboratis et onerati estis, et ego reficiam vos (Matth. 11, 28). – Qui pertransiit benefaciendo, et sanando omnes (Act. 10, 38). Asc,9006a:192 Oculi ejus in pauperum respiciunt (Ps. 10, 9). Asc,9006a:193 Nonne Deus elegit pauperes in hoc mundo? (Jac. 2, 5). Asc,9006a:194 Exigua dabit et multa improperabit (Eccli. 20, 15). Asc,9006a:195 Matth. 5, 1. – Marc. 10. – Luc. 18. – Luc. 14 et Matth. 9. Asc,9006a:196

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Cum autem venerit Filius hominis in majestate sua, et omnes Angeli cum eo… tunc dicet Rex his… esurivi enim et dedistis mihi manducare, etc. (Matth. 25, 31 et seq.). Asc,9006a:197 De plenitudine ejus nos omnes accepimus (Joan. 1, 16). Asc,9006a:198 Gloriam ejus… quasi unigeniti a Patre, plenum gratiæ et veritatis (Joan. 1, 14). Asc,9006a:199 Ego sum qui sum (Exod. 3, 14). Asc,9006a:200 Cæli enarrant gloriam Dei, et opera manuum ejus annuntiat firmamentum (Ps. 18, 1). Asc,9006a:201 Ecce nescio loqui, quia puer ego sum (Jer. 1, 6). Asc,9006a:202 Et audivit arcana verba, quæ non licet homini loqui (2 Cor. 12, 4). Asc,9006a:203 Seraphim stabant super illud; sex alæ uni, sex alæ alteri: duabus velebant faciem ejus (Is. 6, 2, vid. Tirin.). Asc,9006a:204 Quis sicut Dominus Deus noster qui in altis habitat? (Ps. 112). – Domine, quis similis tibi (Ps. 34, 10, et alibi). – Deus Deorum Dominus (Ps. 49, 1). Asc,9006a:205 Et siluit terra in conspectu ejus (1 Macchab. 1, 3). Asc,9006a:206 Beati viri tui, qui stant coram [te] semper, et audiunt sapientiam tuam (3 Reg. 10, 8). Asc,9006a:207 Cælos tuos… lunam et stellas… omnia subjecisti sub pedibus ejus (Ps. 8, 4 et 2). Asc,9006a:208 Dixi Domino: Deus meus es tu, quoniam bonorum meorum non eges (Ps. 10, 1). Asc,9006a:209 Ipse dixit, et facta sunt, ipse mandavit et creata sunt (Ps. 32, 9). Asc,9006a:210 Quis resistet tibi? (Ps. 75, 8). Asc,9006a:211 Quid est homo, quod memor es ejus? (Ps. 8, 5). Asc,9006a:212 Oculi ejus in pauperem respiciunt (Ps. 10, 9). Desiderium pauperum exaudivit Dominus: præparationem cordis eorum audivit auris tua (Ps. 17). – Esurientes implevit bonis (Luc. 1, 53). Asc,9006a:213 Propter eos feci sæculum (Exod. 4, 7 [sic]). Asc,9006a:214 Ludens in orbe terrarum (Prov. 8, 31). Asc,9006a:215 Et erant valde bona (Gen. 1, 31). Asc,9006a:216 Formavit igitur Dominus Deus hominem (Gen. 2, 7). Asc,9006a:217 Fiat lux et facta est lux (Gen. 1, 2). Fiat firmamentum, et fecit Deus firmamentum, etc. (Gen. 1, 6). Asc,9006a:218 Producat terra animam viventem in genere suo (Gen. 1, 24). Asc,9006a:219 Plantaverat autem Dominus Deus paradisum voluptatis… in quo posuit hominem (Gen. 2, 8). Asc,9006a:220 Faciamus hominem ad imaginem et similitudinem nostram (Gen. 1, 26). Asc,9006a:221 Abscondit se Adam… a facie Domini Dei. – Vocavitque Dominus Deus Adam, et dixit ei ubi es? (Gen. 3, 8. 9). Asc,9006a:222 Ait Dominus ad serpentem: quia fecisti hoc, maledictus es… (Gen. 3, 14).

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Asc,9006a:223 In sudore vultus tui vesceris pane… pulvis es, et in pulverem reverteris (Gen. 3, 19). Asc,9006a:224 Ipsa conteret caput tuum (Gen. 3, 15). Asc,9006a:225 In Adam omnes moriuntur (1 Cor. 15, 22). Asc,9006a:226 Lazarus amicus noster dormit. – Domine, jam fœtet: quatriduanus est (Joan. 11, v. 11. 39). Asc,9006a:227 Amice, ad quid venisti? (Matth. 26, 50). – Amice, quomodo huc intrasti non habens vestem nuptialem? (Matth. 22, 12). Asc,9006a:228 Universa propter semetipsum operatus est Deus (Prov. 16, 4). Asc,9006a:229 Omnia subjecisti sub pedibus ejus, oves et boves universas, insuper et pecora campi (Ps. 8, v. 8-9). Asc,9006a:230 Angelis suis Deus mandavit de te, ut custodiant te in omnibus viis tuis (Ps. 90, 11). Asc,9006a:231 Mulier, ecce filius tuus (Joan. 19, 26). Asc,9006a:232 Occulta sapientiæ tuæ manifestasti mihi (Ps. 50, 8). Asc,9006a:233 Vos autem dixi Amicos, quia omnia quæcumque audivi a Patre meo, nota feci vobis (Joan. 15, 15). Asc,9006a:234 Quomodo non etiam cum illo omnia nobis donavit? (Rom. 8, 32). Asc,9006a:235 Rex Regum et Dominus dominantium (1 Tim. 6, 15). Asc,9006a:236 Aperi mihi soror mea, amica mea (Cant. 5, 2). – Ecce sto ad ostium et pulso, et si quis… aperuerit mihi januam… cenabo cum illo et ipse mecum (Apoc. 3, 20). Asc,9006a:237 Aquæ multæ non potuerunt extinguere caritatem (Cant. 8, 7). Asc,9006a:238 Majorem hac dilectionem, nemo habet, ut animam suam ponat quis pro amicis suis (Joan. 15, 13). Asc,9006a:239 Pro impiis mortuus est (Rom. 10, 6). Asc,9006a:240 Baptismo… habeo baptizari: et quomodo coarctor, usquedum perficiatur! (Luc. 10, 50). Asc,9006a:241 Quotiescumque enim manducabitis panem hunc… mortem Domini annuntiabitis, donec veniat (1 Cor. 11, 26). Asc,9006a:242 Dilectus meus mihi et ego illi (Cant. 2, 16). Asc,9006a:243 Deus caritas est (1 Joan. 4, 8). Asc,9006a:244 Si quis diligit me, sermonem meum servabit (Joan. 14, 23). Asc,9006a:245 Vos amici mei estis si feceritis quæ ego præcipio vobis (Joan. 15, 14). Asc,9006a:246 Ut… serviamus illi in sanctitate et justitia… omnibus diebus nostris (Luc. 1, 74. 75). Asc,9006a:247 Probatio dilectionis exhibitio est operis (S. Greg. Pap., Hom., XXX in Evang.). Asc,9006a:248 Veritas Domini manet in æternum (Ps. 116, 2). Omnis qui petit, accipit (Matth. 7, 8). Asc,9006a:249 Benefacite his, qui oderunt vos, et orate pro persequentibus et calumniantibus vos (Matth. 5, 44). Asc,9006a:250

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Solem suum oriri facit super bonos et malos, et pluit super justos et injustos (Matth. 5, 45). Asc,9006a:251 Digni sunt morte: et non solum qui ea (mala) faciunt, sed etiam qui consentiunt facientibus (Rom. 1, 32). Asc,9006a:252 Præbe, fili mi, cor tuum mihi (Prov. 23, 26). Asc,9006a:253 Formam servi accipiens (Philip. 2, 7). Asc,9006a:254 Homo, quem Rex onorare cupit, debet indui vestibus regiis… et accipere regium diadema super caput suum, et primus de regiis principibus… teneat equum ejus… et clamet et dicat: sic honorabitur, quemcumque voluerit Rex honorare (Esth. 6, v. 7, 8, 9). Asc,9006a:255 Filius hominis non venit ministrari sed ministrare (Matth. 20, 28). Asc,9006a:256 O Jesu, quanto pro me vilior, tanto mihi carior (S. Bern.). Asc,9006a:257 Quoniam omnia serviunt tibi (Ps. 118, 91). Asc,9006a:258 Et erat subditus illis (Luc. 2, 51). Asc,9006a:259 Servire Deo regnare est (In Pontif. Rom. in ordin. Diac.). Asc,9006a:260 Tunc venit Jesus… ad Joannem, ut baptizaretur ab eo (Matth. 3, 13). Asc,9006a:261 Si non lavero te, non habebis partem mecum (Joan. 13, 8). Asc,9006a:262 Domine, non tantum pedes, sed et manus et caput (Joan. 13, 9). Asc,9006a:263 Factus obœdiens usque ad mortem… crucis (Philip. 2, 8). Asc,9006a:264 Quotiescumque enim manducabitis panem hunc… mortem Domini annuntiabitis, donec veniat (1 Cor. 11, 26). Asc,9006a:265 Formam servi accipiens (Philip. 2, 7). Asc,9006a:266 Servire Deo regnare est (In Pontif. Rom. in ordin. Diac.). Asc,9006a:267 Attendite a falsis Prophetis, qui veniunt ad vos in vestimentis ovium, intrinsecus autem sunt lupi rapaces (Matth. 7, 15). Asc,9006a:268 Ponit vestimenta sua, et cum accepisset linteum, præcinxit se. Deinde mittit aquam in pelvim, et cœpit lavare pedes Discipulorum et extergere (Joan. 13, 4-5). Asc,9006a:269 Cum ipso sum in tribulatione: eripiam eum (Ps. 90, 15). Asc,9006a:270 Sponsabo te mihi in fide (Osee 2, 20). Asc,9006a:271 Non dico tibi usque septies: sed usque septuagies septies (Matth. 18, 22). Asc,9006a:272 […] Ut per Sacerdotum sententiam non semel, sed quoties ab admissis peccatis ad ipsum pænitentes confugerint possent liberari (Conc. Trid., sess. 14, c. 1, 3). – Impietas impii non nocebit ei, in quacumque die conversus fuerit ab impietate sua (Ezech. 33, 12). – Convertimini… et quare moriemini… revertimini, et vivite (Ezech. 18, v. 30, 31, 32). Asc,9006a:273 Caput autem mulieris, vir (1 Cor. 11, 3). Asc,9006a:274

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Vos cogitastis de me malum, sed Deus vertit illud in bonum (Gen. 50, 20). Asc,9006a:275 Tu autem fornicata es cum amatoribus multis: tamen revertere ad me, dicit Dominus, et ego suscipiam te (Jer. 3, 1). Asc,9006a:276 Asperges me hyssopo et mundabor: lavabis me, et super nivem dealbabor (Ps. 50, 9). Asc,9006a:277 Qui manet in me, et ego in eo (Joan. 15, 5). Asc,9006a:278 Manete in me et ego in vobis… si Vos in me manseritis (Joan. 16, 4. 7). Asc,9006a:279 Surge amica mea, speciosa mea et veni… veni de Libano sponsa mea, veni de Libano, veni (Cant. 2, 13; 4, 8). – Usquequo deliciis dissolveris, filia vaga (Jer. 31, 22). Asc,9006a:280 Vivo ego, jam non ego, vivit vero in me Christus (Gal. 2, 29). Asc,9006a:281 De profundis clamavi ad te Domine (Ps. 129, 1). Asc,9006a:282 Ad Dominum cum tribularer clamavi: et exaudivit me (Ps. 119, 1). Asc,9006a:283 Apud Dominum misericordia (Ps. 129, 7). – Et factus est Dominus refugium pauperi: adjutor in opportunitatibus, in tribulatione (Ps. 9, 9). Asc,9006a:284 Altissimum posuisti refugium tuum (Ps. 90, 9). Asc,9006a:285 Quicumque invocaverit nomen Domini, salvus erit (Act. 2, 21). Asc,9006a:286 Potens est Deus de lapidibus… suscitare filios Abrahæ (Matth. 3, 9). – Et auferam cor lapideum de carne eorum, et dabo eis cor carneum (Ezech. 2, 19). Asc,9006a:287 Ad te nostras etiam rebelles compelle propitius voluntates (In Secr. Dom. IV post Pentec.). Asc,9006a:288 Domine, si vis, potes me mundare (Matth. 8, 2). Asc,9006a:289 Volo: mundare (Matth. 8, 3). Asc,9006a:290 Deus qui omnipotentiam tuam parcendo maxime, et miserando manifestas (Orat. Dom. X post Pentec.). Asc,9006a:291 Quid est facilius dicere: dimittuntur tibi peccata tua, an dicere: surge et ambula? (Matth. 9, 5). Asc,9006a:292 Ante hominem vita et mors, bonum et malum: quod placuerit ei dabitur illi (Eccli. 15, 18). Asc,9006a:293 Durum est tibi contra stimulum calcitrare (Act. 9, 5). Asc,9006a:294 Non sunt fraudati a desiderio suo (Ps. 77, 30). Asc,9006a:295 Ab ira et odio, et omni mala voluntate libera nos, Domine (Litan. Sanct.). Asc,9006a:296 Pater vester de Cælo dabit spiritum bonum petentibus se (Luc. 11, 13). Asc,9006a:297 Præparationem cordis eorum audivit auris tua (Ps. 10, 17). Asc,9006a:298 Justus Dominus et justitiam dilexit (Ps. 10, 8). Asc,9006a:299 Deus cui proprium est misereri, semper et parcere (Orat. I post Litan. Sanct.). Asc,9006a:300 Superexaltat autem misericordia judicium (Jac. 2, v. 13).

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Asc,9006a:301 Justitia tua sicut montes Dei (Ps. 35, 7). Asc,9006a:302 Doce me facere voluntatem tuam, quia Deus meus es tu (Ps. 142, 10). Asc,9006a:303 Quoniam loquetur pacem in plebem suam, et super sanctos suos et in eos, qui convertuntur ad cor (Ps. 84, 9). Asc,9006a:304 Quid habes quod non accepisti? (1 Cor. 4, 7). Asc,9006a:305 Quia… non pepercisti filio tuo unigenito propter me… multiplicabo semen tuum sicut stellas Cæli, et velut arenam… maris… et benedicentur in semine tuo omnes gentes terræ, quia obœdisti voci meæ (Gen. 22, v. 16, 17, 18). Asc,9006a:306 Jugum enim meum suave est, et onus leve (Matth. 11, 30). Asc,9006a:307 Deus impossibilia non jubet, sed jubendo monet et facere quod possis et petere quod non possis, et adjuvat ut possis (Trid., sess. 6, De Justificatione, c. 11). Asc,9006a:308 Ego feci et ego feram: ego portabo et ego salvabo (Is. 46, 4). Asc,9006a:309 Custodite præcepta mea (Lev. 20, 8). Asc,9006a:310 Estote perfecti (Matth. 5, 48). – Diligite inimicos vestros, etc. (Matth. 5, 44). Asc,9006a:311 Durus est hic sermo (Joan. 6, 61). Asc,9006a:312 Joan. 4, v. 9, 10. Asc,9006a:313 Ad ubera portabimini, et super genua blandientur vobis (Is. 66, 12). Asc,9006a:314 Dilata os tuum et implebo illud (Ps. 80, 11). Asc,9006a:315 Domine da mihi hanc aquam, ut non sitiam (Joan. 4, 15). Asc,9006a:316 Da quod jubes, jube quod vis (S. Aug.). Asc,9006a:317 Non est Discipulus supra Magistrum (Matth. 10, 24). Asc,9006a:318 Dicunt enim et non faciunt (Matth. 23, 3). Asc,9006a:319 Cœpit Jesus facere, et docere (Act. 1, 1). Asc,9006a:320 Noli vinci a malo, sed vince in bono malum (Rom. 12, 21). Asc,9006a:321 Date, et dabitur vobis (Luc. 6, 38). Asc,9006a:322 Qui vult tunicam tuam tollere, dimitte ei et palium… bene facite his qui oderunt vos: et orate pro persequentibus, et calumniantibus vos (Matth. 5, v. 40, 41, 44). Asc,9006a:323 Domine ad adjuvandum me festina (Ps. 89). Asc,9006a:324 Cœpit Jesus facere, et docere (Act. 1, 1). Asc,9006a:325 Exemplum enim dedi vobis, ut quemadmodum ego feci vobis, ita et vos faciatis (Joan. 13, 15). Asc,9006a:326 Bonum mihi lex oris tui super milia auri et argenti (Ps. 118, 72). Asc,9006a:327

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In via testimoniorum tuorum delectatus sum, sicut in omnibus divitiis (Ps. 118, 14). Asc,9006a:328 Negotiamini dum venio… et quare non dedisti pecuniam meam ad mensam, ut ego veniens cum usuris utique exegissem illam? (Luc. 19, 13. 23). Asc,9006a:329 Non veni solvere (legem), sed adimplere (Matth. 5, 17). Asc,9006a:330 Amen, amen dico vobis: si quid petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis (Joan. 16, 23). Asc,9006a:331 In quo sunt omnes thesauri sapientiæ, et scientiæ absconditi. Quia in ipso inhabitat omnis plenitudo divinitatis (Col. 2, 3. 9). Asc,9006a:332 Quomodo non etiam cum illo omnia nobis donavit? (Rom. 8, 32). Asc,9006a:333 Quæcumque solveritis super terram, erunt soluta et in Cælo (Matth. 18, 18). Asc,9006a:334 Rursus crucifigentes sibimetipsis Filium Dei (Hebr. 6, 6). Asc,9006a:335 Ubi autem abundavit delictum, superabundavit gratia (Rom. 5, 20). Asc,9006a:336 Abscondisti hæc a sapientibus… et revelasti ea parvulis (Matth. 11, 25). Asc,9006a:337 Vobis datum est nosse mysteria Regni Cælorum (Matth. 13, 11). Asc,9006a:338 Beati pauperes spiritu, quoniam ipsorum est Regnum Cælorum (Matth. 5, 3). Asc,9006a:339 Non credas inimico tuo in æternum (Eccli. 12, 10). Asc,9006a:340 Meliora sunt vulnera diligentis, quam fraudulentia oscula odientis (Prov. 27, 6). Asc,9006a:341 Etiamsi occiderit me, in ipso sperabo (Job 13, 15). Asc,9006a:342 S. Agostino. Asc,9006a:343 Si bona suscepimus de manu Dei, mala quare non suscipiamus? (Job 2, 10). Asc,9006a:344 Sperent in te qui noverunt nomen tuum (Ps. 9, 10). Asc,9006a:345 Protegam eum: quoniam cognovit nomen meum (Ps. 90, 14). Asc,9006a:346 Quis novit potestatem iræ tuæ (Ps. 89, 11). Asc,9006a:347 Numquid… continebit in ira sua misericordias suas? (Ps. 82, 8. 10). Asc,9006a:348 Deus volens ostendere iram suam… sustinuit in multa patienta… ut ostenderet divitias misericordiæ suæ (Rom. 9, 22-23). Asc,9006a:349 Cum iratus fueris, misericordiæ recordaberis (Abacuc 3, 2). Asc,9006a:350 Cum exarserit in brevi ira ejus: beati omnes qui confidunt in eo (Ps. 2, 13). Asc,9006a:351 Venit ira Dei in filios diffidentiæ (Eph. 5, 6). Asc,9006a:352 Ad punctum in modico dereliqui te, et in miserationibus magnis congregabo te. In momento indignationis abscondi faciem meam parumper a te: et in misericordia sempiterna misertus sum tui, dixit Redemptor tuus Dominus (Is. 54, 7-8). Asc,9006a:353 Omnia tempus habent (Eccle. 3, 1).

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Asc,9006a:354 Quis mihi hoc tribuat, ut in inferno protegas me, et abscondas me, donec pertranseat furor tuus (Job 14, 13). Asc,9006a:355 Cum iratus fueris, misericordiæ recordaberis (Abacuc 3, 2). Asc,9006a:356 Multus est ad ignoscendum. Non enim cogitationes meæ, cogitationes vestræ (Is. 55, 7-8). Asc,9006a:357 Deus cui proprium est misereri semper et parcere (Orat. post Litan. Sanct.). Asc,9006a:358 Quoniam ira in indignatione ejus, et vita in voluntate ejus (Ps. 29, 5). Asc,9006a:359 Ne declines in ira a servo tuo (Ps. 26, 9). Asc,9006a:360 Confige timore tuo carnes meas (Ps. 118, 120). Asc,9006a:361 Si esurierit inimicus tuus, ciba illum: si sitierit, da ei aquam bibere (Prov. 25, 21). Asc,9006a:362 Quis enim filius, quem non corripit pater? (Hebr. 12, 7). Asc,9006a:363 Omnis disciplina in præsenti quidem videtur non esse gaudii, sed mæroris. Postea autem fructum pacatissimum exercitatis per eam reddet justitiæ (Hebr. 12, 11). Asc,9006a:364 Ipse se finxit longius ire (Luc. 24, 28). Asc,9006a:365 Visitas eum diluculo, et subito probas illum (Job 7, 18). Asc,9006a:366 Vado, et venio ad vos (Joan. 14, 28). Asc,9006a:367 Expedit vobis, ut ego vadam: si enim non abiero, Paraclitus non veniet ad vos (Joan. 16, 7). Asc,9006a:368 Clamo ad te, et non exaudis: sto, et non respicis me. Mutatus est mihi in crudelem, et in duritia manus tuæ adversaris mihi (Job 30, 20-21). Asc,9006a:369 Numquid Job frustra timet Deum? Nonne tu vallasti eum, ac domum ejus… operibus manum ejus tu benedixisti… sed extende paululum manum tuam… nisi in faciem benedixerit tibi (Job 1, 9. 10. 11). Asc,9006a:370 Tamquam aurum in fornace probavit illos (Sap. 3, 6). Asc,9006a:371 Commendat autem caritatem suam Deus in nobis: quoniam cum adhuc peccatores essemus, Christus pro nobis mortuus est (Rom. 5, 8-9). Asc,9006a:372 Adversarius vester Diabolus tamquam leo rugiens circuit quærens quem devoret (Petr. 5, 8). Asc,9006a:373 Sedet in insidiis… in occultis, ut interficiat (Ps. 9, 28). Asc,9006a:374 Non est nobis colluctatio adversus carnem et sanguinem; sed adversus Principes et potestates tenebrarum (Eph. 6, 12). Asc,9006a:375 Non est super terram potestas, quæ comparetur ei, qui factus est ut nullum timeret (Job 41, 24). Asc,9006a:376 Ut sine timore de manu inimicorum nostrorum liberati serviamus illi, in sanctitate et justitia… omnibus diebus nostris (Luc. 1, 74). Asc,9006a:377 Salutem ex inimicis nostris, et de manu omnium qui oderunt nos (Luc. 1, 71). Asc,9006a:378 Illic trepidaverunt timore, ubi non erat timor (Ps. 13, 5).

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Asc,9006a:379 Emmanuel… nobiscum Deus (Matth. 1, 23). Asc,9006a:380 Dominus fortis, et potens… (Ps. 23, 8). Asc,9006a:381 O altitudo divitiarum sapientiæ, et scientiæ Dei, quam incomprehensibilia sunt judicia ejus, et investigabiles viæ ejus! (Rom. 11, 33). Asc,9006a:382 Infirma mundi elegit Deus, ut confundat fortia (1 Cor. 1, 27). Asc,9006a:383 Inimicitias ponam inter te et mulierem, et semen tuum et semen illius, ipsa conteret caput tuum, et tu insidiaberis calcaneo ejus (Gen. 3, 15). Asc,9006a:384 Scapulis suis obumbrabit tibi: et sub pennis ejus sperabis (Ps. 90, 4). Asc,9006a:385 Angelis suis Deus mandavit de te, ut custodiant te… in manibus portabunt te; super aspidem et basiliscum ambulabis, conculcabis leonem, et draconem (Ps. 90, 11-12-13). Asc,9006a:386 Accinxisti me fortitudine ad prœlium: incurvasti resistentes mihi subtus me (2 Reg. 22, 40). Asc,9006a:387 Deus ubique spectator est, adjutor est, remunerator est (S. Aug.). – Cum ipso sum in tribulatione: eripiam eum, et glorificabo eum (Ps. 90, 15). Asc,9006a:388 Dominus protector vitæ meæ, a quo trepidabo… si consistant adversum me castra non timebit cor meum. Si exurgat adversum me prœlium, in hoc ego sperabo (Ps. 26, 1. 3). Asc,9006a:389 Fidelis autem Deus est, qui non patietur vos tentari supra id quod potestis (1 Cor. 10, 13). Asc,9006a:390 Dæmones autem rogabant eum dicentes: Si ejicis nos hinc, mitte nos in gregem porcorum; et ait illis: Ite (Matth. 8, 31-32). Asc,9006a:391 Ecce, universa, quæ habet, in manu tua sunt; tantum in eum ne extendas manum tuam… verum tamen animam illius serva (Job 1, 12 et 2, 6). Asc,9006a:392 Sed faciet etiam cum tentatione proventum, ut possitis sustinere (1 Cor. 10, 13). Asc,9006a:393 Et ne magnitudo revelationum extollat me, datus est mihi… Angelus Satanæ qui me colaphizet (2 Cor. 12, 7). Asc,9006a:394 In verticem ipsius iniquitas ejus descendet (Ps. 7, 16). Asc,9006a:395 Incidit in foveam quam fecit. Convertetur dolor ejus in caput ejus (Ps. 7, 10). Asc,9006a:396 Qui faciunt peccatum… hostes sunt animæ suæ (Tob. 12, 10). Asc,9006a:397 De vitiis nostris scalam nobis facimus, si vitia ipsa calcamus: elevabunt nos, si fuerint infra nos. Asc,9006a:398 Aruit tamquam testa virtus mea (Ps. 21, 15). Asc,9006a:399 Humiliatus sum, et silui a bonis (Ps. 38, 3). Asc,9006a:400 Non discedimus a te, vivificabis nos: et nomen tuum invocabimus (Ps. 79, 19). Asc,9006a:401 Adjutor in opportunitatibus in tribulatione (Ps. 9, 10). – Eruis sustinentes te Domine (Eccli. 51, 12). – Abundantia pietatis tuæ et merita supplicum excedis et vota (Orat. Dom. XI post Pentec.). Asc,9006a:402 Expecta Dominum, viriliter age; et confortetur cor tuum, et sustine Dominum (Ps. 26, 14). Asc,9006a:403

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Expectans expectavi Dominum, et intendit mihi et exaudivit præces meas: et eduxit me de lacu miseriæ, et de luto fæcis (Ps. 39, 2-3). Asc,9006a:404 Saulus autem devastabat Ecclesiam… spirans minarum et cædis in discipulos Domini (Act. 8, 3 et 9, 1). Asc,9006a:405 Vas electionis est mihi iste, ut portet nomen meum coram gentibus, et Regibus, et filiis Israel (Act. 9, 15). Asc,9006a:406 Potens est autem Deus omnem gratia abundare facere in vobis; ut in omnibus semper… abundetis in omne opus bonum (2 Cor. 9, 8). Asc,9006a:407 […] Effunde super nos etc. (Orat. Dom. XI post Pentec.). Asc,9006a:408 Semetipsum exinanivit (Philip. 2, 7). – Sicut aqua effusus sum, et dispersa sunt omnia ossa mea (Ps. 31, 15). Asc,9006a:409 Judith 8, 10. Asc,9006a:410 Non dimittam te, nisi benedixeris mihi (Gen. 32, 26). Asc,9006a:411 Qui contra spem in spem credidit (Rom. 4, 18). Asc,9006a:412 Ego autem semper sperabo: et adjiciam super omnem laudem tuam (Ps. 70, 14). Asc,9006a:413 Etiamsi occiderit me, in ipso sperabo (Job 13, 15). Asc,9006a:414 Ut glorificetur Filius Dei (Joan. 11, 4). Asc,9006a:415 O mulier magna est fides tua: fiat tibi sicut vis (Matth. 15, 28). Asc,9006a:416 Et quare non dedisti pecuniam meam ad mensam, ut ego veniens cum usuris utique exegissem illam? (Luc. 19, 23). Asc,9006a:417 Diligentibus Deum omnia cooperantur in bonum (Rom. 8, 28). Asc,9006a:418 Bonorum omnium largitor Deus (Orat. in fest. S. Rosæ Limanæ, 30 Augusti). Asc,9006a:419 Regnum Cælorum vim patitur et violenti rapiunt illud (Matth. 11, 12). Asc,9006a:420 Cum gratiarum actione petitiones vestræ innotescant apud Deum (Philip. 4, 6). Asc,9006a:421 Sine me nihil potestis facere (Joan. 15, 5). Asc,9006a:422 Qui habet dabitur illi: et quicumque non habet, etiam quod putat se habere auferetur ab illo (Luc. 8, 18). Asc,9006a:423 Usquemodo non petistis quidquam in nomine meo: petite et accipietis (Joan. 16, 24). Asc,9006a:424 Videns civitatem flevit super illam dicens, quia si cognovisses… quæ ad pacem tibi (Luc. 19, 41-42). Asc,9006a:425 Quærebant… quomodo eum dolo tenerent, et occiderent (Marc. 14, 1). Asc,9006a:426 Pater dimitte illis: non enim sciunt quid faciunt (Luc. 23, 34). Asc,9006a:427 Expedit vobis ut unus moriatur homo pro populo, et non tota gens pereat (Joan. 11, 50). Asc,9006a:428

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Videbis gloriam Dei (Joan. 11, 40). Asc,9006a:429 Ut manifestentur opera Dei in illo (Joan. 9, 3). Asc,9006a:430 Omnes peccaverunt et egent gloria Dei (Rom. 3, 23). Asc,9006a:431 Vocabis nomen ejus Jesum: ipse enim salvum faciet populum suum a peccatis eorum (Matth. 1, 21). Asc,9006a:432 Deo autem gratias, qui dedit nobis victoriam per Dominum nostrum Jesum Christum (1 Cor. 15, 57). Asc,9006a:433 Adjuva nos Deus salutaris noster: et propter gloriam nominis tui… libera nos, et propitius esto peccatis nostris (Ps. 78, 9). Asc,9006a:434 Gloria in altissimis Deo et in terra pax hominibus bonæ voluntatis (Luc. 2, 14). Asc,9006a:435 Gratia agimus tibi propter magnam gloriam tuam (in Miss.). Asc,9006a:436 Gloriam meam alteri non dabo (Is. 40, 10). Asc,9006a:437 Nomini tuo da gloriam (Ps. 113, 9). Asc,9006a:438 Neque aliud nomen datum est hominibus, in quo oporteat nos salvos fieri (Act. 4, 12). Asc,9006a:439 Invoca me in die tribulationis: eruam te et honorificabis me (Ps. 49, 15). Asc,9006a:440 Dominus pugnabit pro vobis, et vos tacebitis (Exod. 14, 14). Asc,9006a:441 Non mortui laudabunt te, Domine; neque omnes qui descendunt in infernum. Sed nos qui vivimus, benedicimus Domino (Ps. 113, 26-27). Asc,9006a:442 Fratres confortamini in Domino (Eph. 6, 10). Asc,9006a:443 Folium, quod vento rapitur (Job 13, 25). Asc,9006a:444 Induite vos armaturam Dei, ut possitis stare adversus insidias diaboli (Eph. 6, 10). – Si Deus pro nobis quis contra nos? (Rom. 8, 31). Asc,9006a:445 Libenter gloriabor in infirmitatibus meis, ut inhabitet in me virtus Christi (2 Cor. 12, 9). Asc,9006a:446 Qui gloriatur, in Domino glorietur (1 Cor. 1, 31). Asc,9006a:447 Sperate in eo omnis congregatio populi… Deus adjutor noster in æternum (Ps. 61, 9). Asc,9006a:448 Quomodo non etiam cum illo omnia nobis donavit? (Rom. 8, 32). Asc,9006a:449 Non veni ministrari, sed ministrare (Matth. 20, 28). Asc,9006a:450 Propter nos homines, et propter nostram salutem descendit de Cælis, etc. (Symb. Constant.). Asc,9006a:451 Inde venturus est cum gloria judicare vivos et mortuos (Symb. Constant.). Asc,9006a:452 Et non intres in judicium cum servo tuo: quia non justificabitur in conspectu tuo omnis vivens (Ps. 142, 2). Asc,9006a:453 In te Domine speravi, non confundar in æternum: in justitia tua libera me (Ps. 30, 2). Asc,9006a:454

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Neque enim Pater judicat quemquam: sed omne judicium dedit Filio (Joan. 5, 22). – Qui factus est nobis… a Deo et justitia et sanctificatio et redemptio (1 Cor. 1, 30). Asc,9006a:455 Judica judicium meum: et redime me; propter eloquium tuum vivifica me (Ps. 118, 154). Asc,9006a:456 Superexaltat autem misericordia judicium (Jac. 2, 13). Asc,9006a:457 Judex vivorum et mortuorum (Act. 10, 42). Asc,9006a:458 Dum judicamur autem, a Domino corripimur, ut non cum hoc mundo damnemur (1 Cor. 11, 32). Asc,9006a:459 Si Deus pro nobis, quis contra nos? Deus qui justificat, quis est qui condemnet? (Rom. 8, 31. 33). Asc,9006a:460 Liber scriptum proferetur, in quo totum continetur (Seq. in Miss. pro def.). Asc,9006a:461 Judica me Deus, et discerne causam meam (Ps. 42, 1). Asc,9006a:462 De vulto tuo judicium meum prodeat (Ps. 16, 2). Asc,9006a:463 Amen, amen dico vobis: si quid petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis (Joan. 16, 28). Asc,9006a:464 Quod uni prodest, et alteri non nocet, id omnino agatur. Asc,9006a:465 Quamdiu fecistis uni ex his fratribus meis minimis, mihi fecistis (Matth. 25, 40). Asc,9006a:466 Nulli malum pro malo reddentes. Noli vinci a malo, sed vince in bono malum (Rom. 12, 17. 21). – Benefacite his qui oderunt vos: et orate pro persequentibus et calumniantibus vos (Matth. 5, 44). Asc,9006a:467 Quoties… dimittam ei? Usque septies? Dicit illi Jesus… usque septuagies septies (Matth. 18, 21-22). Asc,9006a:468 Fiat tibi sicut vis (Matth. 15, 28). Asc,9006a:469 Sustinuit anima mea in verbo ejus (Ps. 129, 5). – Bonum mihi lex oris tui (Ps. 118, 72). Asc,9006a:470 Propter legem tuam sustinui te Domine (Ps. 129, 4). Asc,9006a:471 Noli vinci a malo, sed vince in bono malum (Rom. 12, 21). Asc,9006a:472 Christus dilexit nos, et tradidit semetipsum pro nobis oblationem, et hostiam Deo (Eph. 5, 2). – Et ipse est propitiatio pro peccatis nostris… etiam pro totius mundi (1 Joan. 2, 2). Asc,9006a:473 Ad eum veniemus, et mansionem apud eum faciemus (Joan. 14, 23). Asc,9006a:474 Signati estis Spiritu promissionis sancto, qui est pignus hæreditatis nostræ (Eph. 1, 13-14). Asc,9006a:475 Altissimi donum Dei, fons vivus, etc. (Hymn. Sp. S.). Asc,9006a:476 Flumina… fluent aquæ vivæ: hoc autem dixit de Spiritu quem accepturi erant credentes in eum (Joan. 7, 38-39). Asc,9006a:477 Aqua (viva)… fiet in eo fons aquæ salientis in vitam æternam (Joan. 4, 10. 14). Asc,9006a:478 Anima mea sicut terra sine aqua (Ps. 142, 6). Asc,9006a:479 Pluviam voluntariam segregabis, Deus, hæreditati tuæ (Ps. 67, 10). Asc,9006a:480

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Alii… per Spiritum datur sermo sapientiæ, alii scientiæ… alii fides, etc., dividens singulis prout vult (1 Cor. 12, 4-11). Asc,9006a:481 Quid oremus sicut oportet nescimus: sed ipse Spiritus postulat pro nobis gemitibus inenarrabilibus (Rom. 8, 26). Asc,9006a:482 Ter Dominum rogavi, ut discederet a me… sufficit tibi gratia mea: nam virtus in infirmitate perficitur (2 Cor. 12, 8-9). Asc,9006a:483 Fortis ut mors dilectio (Cant. 8, 6). Asc,9006a:484 Sic Deus dilexit mundum, ut Filium suum unigenitum daret (Joan. 3, 16). Asc,9006a:485 Quum dilexisset suos… in finem dilexit eos (Joan. 13, 1). Asc,9006a:486 Deus pro nobis… quis accusabit adversus electos Dei? (Rom. 8, 31. 33). Asc,9006a:487 Spiritus Patris vestri, qui loquitur in vobis (Matth. 10, 20). Asc,9006a:488 Ipse suggeret vobis omnia (Joan. 14, 26). Asc,9006a:489 Veni Pater pauperum… Consolator optime: dulcis hospes animæ; dulce refrigerium… reple cordis intima tuorum fidelium (In Missa Festi Pentec.). Asc,9006a:490 Os meum aperui et attraxi Spiritum (Ps. 118, 131). Asc,9006a:491 Ignem veni mittere in terram, et quid volo, nisi ut accendatur? (Luc. 12, 49). Asc,9006a:492 Si terram amas, terra es, si Deum amas, quid dicam tibi? Deus es. Asc,9006a:493 Veni Creator Spiritus… infunde amorem cordibus (Hymn. Pentec.). Asc,9006a:494 O felix culpa, quæ talem, ac tantum meruit habere redemptorem! O certe necessarium Adæ peccatum, quod Christi morte deletum est! (In Sabb. Sanct. in Bened. Cer.). Asc,9006a:495 Mulier si perdiderit drachmam unam, nonne accendit lucernam, et everrit domum, et quærit diligenter, donec inveniat? Et cum invenerit, convocat amicas et vicinas, dicens: Congratulamini mihi (Luc. 15, 8-9). Asc,9006a:496 Non veni vocare justos, sed peccatores (Matth. 9, 13). Asc,9006a:497 Quid prodest homini, si mundum universum lucretur, animæ vero suæ detrimentum patiatur? Aut quam dabit homo commutationem pro anima sua? (Matth. 16, 26). Asc,9006a:498 Latrones, qui despoliaverunt eum; et plagis impositis abierunt, semivivo relicto (Luc. 10, 30). Asc,9006a:499 Vos cogitasti de me malum: sed Deus vertit illud in bonum (Gen. 50, 20). Asc,9006a:500 Non est discipulus super magistrum (Matth. 10, 24). Asc,9006a:501 Maledicimur et benedicimus: persecutionem patimur, et sustinemus (1 Cor. 4, 12). Asc,9006a:502 Peccavi, et malum coram te feci (Ps. 50, 6). Asc,9006a:503 Miserere mei Deus secundum magnam misericordiam tuam, et secundum multitudinem miserationum tuarum dele iniquitatem meam (Ps. 50, 3). Asc,9006a:504

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Amplius lava me ab iniquitate mea, et a peccato meo munda me (Ps. 50, 4). Asc,9006a:505 Quoniam iniquitatem meam ego cognosco, et peccatum meum contra me est semper (Ps. 50, 5). Asc,9006a:506 Sana animam meam, quia peccavi tibi (Ps. 40, 5). Asc,9006a:507 De Cælo a regalibus sedibus (Sap. 18, 15). Asc,9006a:508 Non veni vocare justos, sed peccatores (Matth. 9, 13). Asc,9006a:509 Inclinavit Cælos, et descendit (2 Reg. 22, 10). Asc,9006a:510 Si perdiderit unam ex illis (centum ovibus) nonne dimittit nonaginta novem… et vadit ad illam, quæ perierat, donec inveniat eam? Et cum invenerit, imponit in humeros suos, gaudens? (Luc. 15, 4-5). Asc,9006a:511 Et misericordia motus est, et accurrens cecidit super collum ejus, et osculatus est eum… manducemus, et epulemur (Luc. 15, 20. 23). Asc,9006a:512 Accipite, et comedite, hoc est corpus meum… bibite… hic est sanguis meus (Matth. 26, v. 26, 27, 28). Asc,9006a:513 Ego enim Dominus, et non mutor (Malachi 3, 6). Asc,9006a:514 Jesus Christus heri et hodie: ipse et in sæcula (Hebr. 13, 8). Asc,9006a:515 Vocabis nomen ejus Jesum: ipse enim salvum faciet populum suum a peccatis eorum (Matth. 1, 21). Asc,9006a:516 Non est opus valentibus medicus, sed male habentibus (Matth. 9, 12). Asc,9006a:517 Fugit impius nemine persequente (Prov. 28, 1). Asc,9006a:518 Convertimini, agite pænitentiam… et non erit vobis in ruinam iniquitas… quare moriemini… quia nolo mortem morientis… revertimini, et vivite (Ezech. 18, v. 30, 31, 32). – Amen, amen dico vobis: si quid petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis (Joan. 16, 23, et Matth. 18, 18). Asc,9006a:519 Vox sanguinis fratris tui clamat ad me de terra (Gen. 4, 10). Asc,9006a:520 Nonne si male (egeris) statim in foribus peccatum aderit? (Gen. 4, 7). Asc,9006a:521 Confortamini, et nolite timere: Ecce Deus vester ultionem adducet retributionis. Deus ipse veniet, et salvabit nos (Is. 35, 4). Asc,9006a:522 Sinite utraque crescere ad messem (Matth. 13, 30). Asc,9006a:523 Novissime locutus est nobis in Filio (Hebr. 1, 2). Asc,9006a:524 Sic… orabitis: Pater noster (Matth. 6, 9). Asc,9006a:525 Verbum breviatum faciet Dominus super terram (Rom. 9, 28). Asc,9006a:526 Amen, amen dico vobis: si quid petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis,… de omni re quamcumque petierint, fiet illis a Patre meo (Joan. 16, 23 et Matth. 18, 19). Asc,9006a:527 Omnia cum illo nobis donavit (Rom. 8, 32). Asc,9006a:528 Omnia quæcumque orantes petitis, credite quia accipietis, et evenient vobis (Marc. 11, 24). – Postulet autem in fide nihil hæsitans (Jac. 1, 6). Asc,9006a:529

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Sic ergo vos orabitis: Pater noster, etc. (Matth. 6, 9). Asc,9006a:530 Sol contra Gabaon ne movearis, et luna contra vallem Ajalon. Steteruntque, sol et luna (Jos. 10, 12-13). Asc,9006a:531 Ipse dixit, et facta sunt (Ps. 32, 9). Asc,9006a:532 O stulti et tardi corde ad credendum in omnibus (Luc. 24, 25). Asc,9006a:533 Miserere mei Domine Fili David: Filia mea male a Dæmonio vexatur (Matth. 15, 22). Asc,9006a:534 Desiderium pauperum exaudivit Dominus: præparationem cordis eorum audivit auris tua (Ps. 10, 17). Asc,9006a:535 Clamabis et dicet: Ecce adsum (Is. 58, 9). – Invoca me in die tribulationis, eruam te (Ps. 49, 15). Asc,9006a:536 Propter improbitatem ejus… surget, dabit illi quotquot habet necessarios (panes) (Luc. 11, 8). Asc,9006a:537 Vidua veniebat ad eum (judicem), dicens: Vindica me… et nolebat per multum tempus… quia molesta est mihi hæc vidua, vindicabo illam (Luc. 18, v. 3, 4, 5). Asc,9006a:538 Non est bonum sumere panem filiorum, et mittere canibus… fiat tibi sicut vis (Marc. 7, 27). Asc,9006a:539 Etiam quod putat se habere, auferetur ab illo (Luc. 8, 18). Asc,9006a:540 Sed postquam filius tuus hic, qui devoravit substantiam suam cum meretricibus, venit, occidisti illi vitulum saginatum (Luc. 15, 30). Asc,9006a:541 Luc. 15, v. 20, 22, 23. Asc,9006a:542 Qui vult tunicam tuam tollere, dimitte ei, et pallium qui petit a te da ei… diligite inimicos vestros; benefacite his qui oderunt vos… ut sitis filii Patris vestri, qui in Cælis est (Matth. 5, 39 et seq.). Asc,9006a:543 Omnis qui petit, accipit (Matth. 7, 8). Asc,9006a:544 Polluisti terram in fornicationibus tuis, et in malitiis tuis… ergo saltem modo voca me: Pater meus… et non avertam faciem meam a vobis… et non irascar in æternum (Jer. 3, v. 2, 4, 12). Asc,9006a:545 Etiam, Domine: nam et catelli edunt de micis, quæ cadunt de mensa dominorum suorum (Matth. 15, 22). Asc,9006a:546 Dabit illi quotquot habet necessarios (Luc. 11, 8). Asc,9006a:547 Usquequo exaltabitur inimicus meus super me? (Ps. 12, 3). Asc,9006a:548 Respice in faciem christi tui (Ps. 83, 10). Asc,9006a:549 Non enim Deus omnipotens… cum summe bonus sit, ullo modo sineret mali esse aliquid in operibus suis nisi usque adeo esset omnipotens et bonus, ut bene faceret etiam de malo (S. Aug., De Enchirid., X et XI). Asc,9006a:550 O felix culpa, quæ talem, ac tantum meruit habere Redemptorem! (In Bened. Cer. in Sabb. Sanct.). Asc,9006a:551 Nous étions perdus, si nous n'eussions été perdus (Amour de Dieu, livre 2e, V). Asc,9006a:552 Publicani et meretrices præcedent… in regno Dei (Matth. 21, 31). Asc,9006a:553

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Cui autem minus dimittitur, minus diligit (Luc. 7, 47). – Quia cautiores et ferventiores resurgunt (Thom.). Asc,9006a:554 Nemo… quamdiu in hac mortalitate vivitur, de arcano divinæ prædestinationis mysterio adeo presumere debet, ut certo statuat se omnino esse in numero prædestinatorum… Nam nisi ex speciali revelatione sciri non potest quos Deus sibi elegerit (Conc. Trid., sess. 6, De Justificatione, XII). Asc,9006a:555 Nemo sibi certi aliquid absoluta certitudine polliceatur. Tametsi in Dei auxilio firmissimam spem collocare, et reponere omnes debent. Deus enim nisi ipsi illius gratiæ defuerint, sicut cœpit opus bonum, ita perficiet, operans velle, et perficere (Conc. Trid., sess. 6, De Justificatione, I, 13). Asc,9006a:556 Non ex operibus, ne quis glorietur (Eph. 2, 9). – Si autem gratia jam non ex operibus: alioquin gratia jam non est gratia (Rom. 11, 6). Asc,9006a:557 Conclusit enim Deus omnia in incrudelitate ut omnium misereatur (Rom. 5, 12). Asc,9006a:558 O altitudo divitiarum sapientiæ et scientiæ Dei. – Quam incomprehensabilia sunt judicia ejus et investigabiles viæ ejus! (Rom. 5, 33). Asc,9006a:559 Judicia tua jucunda (Ps. 118, 39). Asc,9006a:560 Non plus sapere quam oportet sapere, sed sapere ad sobrietatem (Rom. 12, 3). Asc,9006a:561 Noli altum sapere, sed time (Rom. 11, 20). Asc,9006a:562 Miserator, et misericors Dominus, longanimis, et multum misericors (Ps. 102, 8). Asc,9006a:563 Et factus est Dominus refugium pauperi (Ps. 9, 10). Asc,9006a:564 Adjutor in opportunitatibus (Ps. 9, 10). Asc,9006a:565 Servi autem facti Deo, habetis… vitam æternam (Rom. 6, 22). – Quicumque potum dederit… calicem aquæ frigidæ (Matth. 10, 42). – Sive ergo manducatis, sive bibitis, sive aliud quid facitis: omnia in gloriam Dei facite (1 Cor. 10, 31). Asc,9006a:566 Vos amici mei estis… jam non dicam vos servos. Asc,9006a:567 Majorem hac dilectionem nemo habet, ut animam suam ponat quis pro amicis suis (Joan. 15, v. 13, 14, 15). Asc,9006a:568 Commendat autem caritatem suam Deus in nobis, quoniam cum adhuc inimici essemus… Christus pro nobis mortuus est (Rom. 5, 8-9). Asc,9006a:569 Ego sum pastor bonus (Joan. 10, 11). Asc,9006a:570 Christum induistis (Gal. 3, 22). – Accipite, et comedite: hoc est corpus meum… bibite ex hoc omnes hic est enim sanguis meus (Matth. 26, v. 26, 27). Asc,9006a:571 Haurietis aquas in gaudio de fontibus Salvatoris (Is. 12, 3). Asc,9006a:572 Animam meam pono pro ovibus meis (Joan. 10, 15). Asc,9006a:573 Simon Joannis, amas me? Pasce agnos… pasce oves meas (Joan. 21, v. 15, 16, 17). Asc,9006a:574 Frater qui adjuvatur a fratre, quasi civitas firma (Prov. 18, 19). Asc,9006a:575

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Nolite timere: ite, nuntiate fratribus meis (Matth. 28, 10). – Quamdiu fecistis uni ex his fratribus meis minimis, mihi fecistis (Matth. 20, 40). – Unus est enim Pater vester qui in Cælis est (Matth. 23, 9). Asc,9006a:576 Qui habuerit substantiam hujus mundi, et viderit fratrem suum necessitatem habere, et clauserit viscera sua ab eo, quomodo caritas Dei manet in eo? (1 Joan. 3, 17). Asc,9006a:577 Deus caritas est (1 Joan. 4, 8). Asc,9006a:578 Ne quæso indigneris, Domine, si loquar (Gen. 18, 30). Asc,9006a:579 Videte qualem caritatem dedit nobis Pater, ut filii Dei nominemur et simus (1 Joan. 3, 1). Asc,9006a:580 Pater misericordiarum… qui consolatur nos in omni tribulatione nostra (2 Cor. 1, 3-4). Asc,9006a:581 Scit enim Pater vester cælestis quid opus sit vobis (Matth. 6, 8). Asc,9006a:582 Sic orabitis: Pater noster qui es in Cælis (Matth. 6, 9). Asc,9006a:583 Sed libera nos a malo (Matth. 6, 13). Asc,9006a:584 Estis… filii Excelsi omnes (Ps. 81, 6). Asc,9006a:585 Patrem nolite vocare vobis super terram, unus est enim Pater vester qui in Cælis est (Matth. 23, 9). Asc,9006a:586 Et si illa oblita fuerit, ego tamen non obliviscar tui (Is. 49, 15). – Pater et ita pater, ut tam pater nemo. Asc,9006a:587 Et accurrens cecidit super collum ejus, et osculatus est eum… cito proferte stolum primam, et induite illum et date annulum in manu ejus… et manducemus, et epulemur (Luc. 15, v. 20, 22, 23). Asc,9006a:588 Quia semel cœpi, loquar ad Dominum meum (Gen. 18, 31). Asc,9006a:589 Quam dulcia faucibus meis eloquia tua, super mel ori meo (Ps. 118, 103). Asc,9006a:590 Miserator, et multum misericors… Dominus universis (Ps. 144, 8). Asc,9006a:591 Deus… cui cura est de omnibus, ut ostendas quoniam non injuste judicas judicium… et ob hoc quod omnium Dominus es, omnibus parcere facis… (Sap. 12, 13. 16). Asc,9006a:592 Caritas Christi urget nos; æstimantes hoc quoniam si unus pro omnibus mortuus est, ergo omnes mortui sunt. Et pro omnibus mortuus est Christus (2 Cor. 5, 14-15). Asc,9006a:593 Et sicut in Adam omnes moriuntur; ita et in Christo omnes vivificabuntur (1 Cor. 15, 22). Asc,9006a:594 Et ipse est propitiatio pro peccatis nostris: non pro nostris autem tantum, sed etiam pro totius mundi (1 Joan. 2, 2). Asc,9006a:595 Et omnium fidelium nomina beatæ prædestinationis liber adscripta retineat (Orat., XXXV, ad diversa in secr.). – Speramus in Deum vivum, qui est Salvator omnium hominum, maxime fidelium (1 Tim. 4, 10). Asc,9006a:596 Patienter agit propter vos, nolens aliquos perire, sed omnes ad pænitentiam reverti (2 Petr. 3, 9). Asc,9006a:597 Venit Filius hominis quærere, et salvum facere quod perierat (Luc. 19, 10). – Oltre che tali testi così chiari dovrebbero essere più che sufficienti a togliere ogni dubbiezza, che potesse nascere sopra altri meno chiari circa la sincera volontà di Dio di salvare tutti, osserva Bergier (Dizionario

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teologico, verb. salute), che in Isaia 53, v. 12, la parola ebraica rabbim è mal tradotta per molti; poiché significa la moltitudine o le moltitudini. E così si deve spiegare in S. Matteo 20, 28, e 26, 28, ed in S. Marco 14, 24. In questo senso sostiene pure S. Agostino il testo di S. Paolo, Rom. 5, 1, per il peccato di un solo molti sono morti, ove dice, che la totalità è una moltitudine, e non un piccolo numero (Lib. 6 contra Julianum, XXV, n. 80, lib. II, oper. imperf., CIX). Asc,9006a:598 Omnipotens sempiterne Deus, qui salvas omnes, et neminem vis perire… qui etiam Judaicam perfidiam a tua misericordia non repellis… qui non mortem peccatorum, sed vitam semper inquiris (Orat. Sab. S. pro Hæret. Jud. et Pagan.). Asc,9006a:599 Nec lætatur in perditione vivorum (Sap. 1, 13). Asc,9006a:600 Tu ergo, fili hominis… dic ad eos: vivo ego, dicit Dominus Deus; nolo mortem impii, sed ut convertatur impius a via sua, et vivat (Ezech. 33, 11). Asc,9006a:601 S. Leo, serm. 11 De Passione, et serm. 1 De Nativitate. Asc,9006a:602 Propter nos homines, et propter nostram salutem descendit de Cælis… passus, mortuus, et sepultus est (Symb. Constant.). Asc,9006a:603 Id facit Deus, quod venatores solent facere, qui quando fugacissima, captuque difficilia insectantur animalia, non una via, sed diversis, et per contraria aggrediuntur, ut si alterum effugerint, in alterum incidant (S. Joannes Chrys., in Matth., Homil. 38). Asc,9006a:604 Convertimini… quare moriemini Domus Israel? (Ezech. 33, 11). – Revertimini et vivite (Ezech. 18, 32). – Raucæ factæ sunt fauces meæ (Ps. 68, 4). Asc,9006a:605 Ecce ego sepiam viam tuam spinis, et sequetur amatores suos, et non apprehendet eos et quæret eos, et non inveniet, et dicet: vadam, et revertar ad virum meum priorem, quia bene erat mihi tunc magis quam nunc… Propter hoc ecce ego lactabo eam, et sponsabo te mihi in sempiternum (Osee 2, v. 6, 7, 14, 19). Asc,9006a:606 Obsecro, ne irascaris, Domine, si loquar adhuc semel (Gen. 18, 32). Asc,9006a:607 De plenitudine ejus… accepimus (Joan. 1, 16). Asc,9006a:608 Dat omnibus affluenter (Jac. 1, 5). Asc,9006a:609 Idem Dominus omnium, dives in omnes qui invocant illum (Rom. 10). – Dat Deus generaliter quia non uni, sed omnibus; abundanter non parce (S. Thom.). Asc,9006a:610 S. Francesco di Sales, Dell'Amor di Dio, lib. 2, VIII. Asc,9006a:611 Divitias bonitatis ejus, et patientiæ, et longanimitatis contemnis? (Rom. 2, 4). Asc,9006a:612 Segneri, Prediche, XXXI, n. V. Asc,9006a:613 Præsit piscibus maris, et volatilibus Cæli, et bestiis, universæque terræ (Gen. 1, 26). Asc,9006a:614 Deus impossibilia non jubet, sed jubendo monet et facere quod possis, et petere quod non possis, et adjuvat ut possis (Trid., sess. 6, XI, De Justificatione). Asc,9006a:615 In his quæ necessaria sunt ad salutem, numquam Deus homini quærenti suam salutem deest vel defuit, nisi ex culpa sua remaneat (S. Thom., In 3 sent., dist. 25, q. 2 ad 1, et art. 2 ad 2 q.). Asc,9006a:616

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Si quis dixerit justificatum… in accepta justitia perseverare… cum eo (speciali auxilio Dei), non posse, anathema sit (Can. XXII, sess. 6, De Justificatione). – Impietas impii non nocebit ei in quacumque die conversus fuerit ab impietate sua (Ezech. 33, 12). Asc,9006a:617 Deus vult omnes homines salvos fieri et ideo gratia nulli deest, sed omnibus, quantum in se est, se communicat (S. Thom., In Epistola ad Hebr., XII, lect. 3). Asc,9006a:618 Erat lux vera, quæ illuminat omnem hominem venientem in hunc mundum (Joan. 1, 9). Asc,9006a:619 Ex æquali gratia aliquando magis fervens elicitur motus, aliquando minus secundum cooperationem liberi arbitrii (Div. Bonav.). – Etiamsi æqualem gratiam percipiant, non æqualiter illa utuntur, sed unus studiosius in ea proficit, alius per negligentiam gratiæ Dei deest (S. Thom., 3, q. 69, art. 9 ad 2, et q. 62 art. 2). Asc,9006a:620 Numquid non potuit (Pharao) sicut flagellis cedens expulit populum, ita miraculis credens, Deum tantæ virtutis agnoscere? (De Præd. et Grat., XIV). – Ambo homines, ambo Reges (Pharao et Nabuchodonosor), ambo captivum populum Dei possidebant, ambo flagellis clementer admoniti: cur ergo medicamentum alii ad interitum, alii valuit ad salutem? Quid ergo fines eorum fecit esse diversos? Nisi quod unus manum Dei sentiens in recordatione propriæ iniquitatis ingemuit; alter libero contra Dei misericordissimam veritatem pugnavit arbitrio? (De Præd. et Grat., XV). Asc,9006a:621 S. Francesco di Sales, Dell'Amor di Dio, lib. 2, X. Asc,9006a:622 Sicut itaque non sibi adversantur hæc duo: ut tu præscientia tua noveris quod alius sua voluntate facturus est, ita Deus neminem ad peccatum cogens, prævidet tamen eos, qui propria voluntate peccabunt… sicut enim tu memoria tua non cogis facta esse, quæ præterierunt; sic Deus præscientia sua non cogit facienda, quæ futura sunt (S. Aug., De libero arbitrio, lib. 3, IV). Asc,9006a:623 Non dixeris: per Deum abest (Eccli. 15, 11). Asc,9006a:624 Ipsi fuerunt rebelles lumini (Job 24, 13). Asc,9006a:625 Qui fecit te sine te, non salvabit te sine te (S. Aug., Serm. 15, De Verb. Apost.). Asc,9006a:626 Nonne hæc oportuit pati Christum, et ita intrare in gloriam suam? (Luc. 24, 26). Asc,9006a:627 Hoc ergo Dei donum suppliciter emereri potest (S. Aug., De dono perseverantiæ, VI). Asc,9006a:628 Spiritus ubi vult spirat (Joan. 3, 8). Asc,9006a:629 Desiderium pauperum exaudivit Dominus, præparationem cordis eorum audivit auris tua (Ps. 9, 38). – Eritque antequam clament, ego exaudiam; adhuc illis loquentibus ego audiam (Is. 65, 24). Asc,9006a:630 Pater misericordiarum, et Deus totius consolationis, qui consolatur, nos in omni tribulatione nostra (2 Cor. 1, 3-4). Asc,9006a:631 Gratia nulli deest, sed omnibus, quantum in se est, se communicat (S. Thom., In Epist. ad Hebr., lib. 3, XII). Asc,9006a:632 Si vis ad vitam ingredi, serva mandata (Matth. 19, 17). Asc,9006a:633 Non sunt condignæ passiones hujus temporis ad futuram gloriam, quæ revelabitur in nobis (Rom. 8, 18). Asc,9006a:634 Momentaneum, et leve tribulationis nostræ… æternum gloriæ pondus operatur in nobis (2 Cor. 4, 17).

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Asc,9006a:635 Qui desperantes, semetipsos tradiderunt impudicitiæ in operationem immunditiæ omnis (Eph. 4, 19). Asc,9006a:636 Gaudete cum lætitia qui in tristitia fuistis, ut exultetis et satiemini ad uberibus consolationis vestræ (Dom. IV Quadrag., Introit ad Miss.). Asc,9006a:637 Cor stultorum ubi lætitia (Eccle. 7, 5). Asc,9006a:638 Cum dixerint pax et securitas, tunc repentinus eis superveniet interitus (1 Thess. 5, 3). Asc,9006a:639 Lætamini in Domino (Ps. 31, 11). Asc,9006a:640 Cognovi quod non esset melius, nisi lætari, et facere bene in vita sua (Eccle. 3, 12). – Fecisti nos Domine ad te, et irrequietum est cor nostrum, donec requiescat in te (S. Aug., Confessionum lib. 1, 1). Asc,9006a:641 Paraverunt sagittas suas in pharetra: ut sagittent in obscuro rectos corde (Ps. 10, 2). Asc,9006a:642 Viam mandatorum tuorum cucurri, cum dilatasti cor meum (Ps. 118, 32). Asc,9006a:643 Redde mihi lætitiam salutaris tui (Ps. 50, 14). Asc,9006a:644 Dormitavit anima mea præ tædio (Ps. 118, 28). Asc,9006a:645 Delectare in Domino, et dabit tibi petitiones cordis tui (Ps. 36, 4). Asc,9006a:646 Current, et non laborabunt, ambulabunt, et non deficient (Ps. 40, 31). Asc,9006a:647 Sine unctione crucis asperitatem ferre qui posset? (S. Bern., Dedic., Serm. 1). Asc,9006a:648 Jucunditas cordis… thesaurus sine defectione sanctitatis (Eccli. 30, 23). Asc,9006a:649 In mærore animi dejicitur spiritus (Prov. 15, 13). – Spiritus tristis exsiccat ossa (Prov. 18, 22). – A tristitia festinat mors (Eccli. 38, 19). – Jucunditas cordis hæc est vita hominis (Eccli. 30, 23). – Cor gaudens exhilarat faciem (Prov. 15, 13). – Animus gaudens ætatem floridam facit (Prov. 17, 22). Asc,9006a:650 Jubilate Deo omnis terra servite Domino in lætitia. Introite in conspectu ejus in exultatione (Ps. 94, 1-2). – Gaudete… quod nomina vestra scripta sunt in Cælis (Luc. 10, 20). Asc,9006a:651 Beati qui lugent; quoniam ipsi consolabuntur (Matth. 5, 5). Asc,9006a:652 Cor sapientium ubi tristitia est (Eccle. 7, 5). Asc,9006a:653 Cum jejunatis nolite fieri sicuti hypocritæ tristes (Matth. 6, 16). Asc,9006a:654 Et exultate ei cum tremore (Ps. 2, 11). Asc,9006a:655 Omnium iniquitatum ejus… non recordabor. Impietas impii non nocebit ei in quacumque die conversus fuerit ab impietate sua (Ezech. 17, 22 et 33, 12). Asc,9006a:656 Publicani et meretrices præcedent… in regnum Dei (Matth. 21, 31). – Gaudete et exultate, quoniam merces vestra copiosa est in Cælis (Matth. 5, 12). – Reposita est mihi corona justitiæ (2 Tim. 4, 8). – Si filii et hæredes (Rom. 8, 17). Asc,9006a:657 Lætatus sum in his, quæ dicta sunt mihi, in domum Domini ibimus (Ps. 121, 1). Asc,9006a:658

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Heu mihi quia incolatus meus prolongatus est (Ps. 119, 5). Asc,9006a:659 Quomodo cantabimus canticum Domini in terra aliena? (Ps. 136, 4). Asc,9006a:660 Fuerunt mihi lacrimæ meæ panes die ac nocte: dum dicitur mihi quotidie: ubi est Deus tuus? (Ps. 41, 4). Asc,9006a:661 Qui est homo qui vult vitam? (Ps. 33, 13). – Si vis ad vitam ingredi, serva mandata (Matth. 19, 17). Asc,9006a:662 Deus impossibilia non jubet (Trid., sess. 6, De Justificatione, XI). Asc,9006a:663 Mandata ejus gravia non sunt (1 Joan. 5, 3). Asc,9006a:664 Servi autem facti Deo, habetis… finem vitam æternam (Rom. 6, 22). Asc,9006a:665 Apprehende vitam æternam (1 Tim. 6, 12). Asc,9006a:666 Venite benedicti Patris mei, possidete paratum vobis regnum a constitutione mundi (Matth. 25, 34). Asc,9006a:667 Sic orabitis: Pater noster (Matth. 6, 9). Asc,9006a:668 Videte qualem caritatem dedit nobis Pater, ut filii Dei nominemur, et simus (1 Joan. 3, 1). – Si filii, et hæredes (Rom. 8, 17). Asc,9006a:669 Delens quod adversus nos erat chirographum decreti… affigens illud cruci (Col. 2, 14). Asc,9006a:670 Deus cujus misericordiæ non est numerus, et bonitatis infinitus est thesaurus (Orat. pro grat. act.). Asc,9006a:671 Tibi dabo claves regni Cælorum. Quodcumque solveris super terram, erit solutum et in Cælis (Matth. 16, 19). Asc,9006a:672 Ut per Sacerdotum sententiam non semel, sed quoties ab admissis peccatis ad ipsum pænitentes confugerint, possent liberari (Conc. Trid., sess. 14, De Pænitentia, II). Asc,9006a:673 Reddam vobis annos, quos comedit locusta, bruchus, et rubigo, et eruca (Joel 2, 25). Asc,9006a:674 Ego merces tua magna nimis (Gen. 15, 1). – Unusquisque propriam mercedem accipiet (1 Cor. 3, 8). – Violenti rapiunt illud (Regnum Cælorum) (Matth. 11, 12). – Quicumque potum dederit… calicem aquæ frigidæ (Matth. 10, 42). – Sive ergo manducatis, sive bibitis, sive aliud quid facitis: omnia in gloriam Dei facite (1 Cor. 10, 31). Asc,9006a:675 Qui potuit transgredi, et non est transgressus; facere mala, et non fecit: ideo stabilita sunt bona illius in Domino (Eccli. 31, 10-11). Asc,9006a:676 Omnis qui petit, accipit. – Omnia quæcumque petieritis in oratione credentes, accipietis (Matth. 7, 8 et 21, 22). Asc,9006a:677 Patientiam habe in me, et omnia reddam tibi. Misertus autem Dominus servi illius… debitum dimisit ei (Matth. 18, 26-27). – Omne debitum dimisi tibi (Ibid., v. 32). Asc,9006a:678 Surge, tolle lectum tuum, et vade in domum tuam. Confide, fili, remittuntur tibi peccata tua (Matth. 9, 2. 6). Asc,9006a:679 Fac me sicut unum de mercenariis tuis… date annulum in manu ejus (Luc. 15, 19. 22). Asc,9006a:680 Domine, memento mei… Hodie mecum eris in Paradiso (Luc. 23, 42. 43). Asc,9006a:681

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Vado parare vobis locum (Joan. 14, 2). – Præcursor pro nobis introivit Jesus (Hebr. 6, 20). – Hodie Paradisi possessores firmati sumus (S. Leo, Serm. 1, De Ascens. Domini). Asc,9006a:682 Estis cives Sanctorum, et domestici Dei (Eph. 2, 19). Asc,9006a:683 Magnus illic charorum numerus expectat, parentum, fratrum, filiorum, frequens et copiosa turba desiderat (S. Greg. pr., De mortalitate). Asc,9006a:684 Deus autem… convivificavit nos… et consedere fecit in cælestibus (Eph. 2, 4-5-6). Asc,9006a:685 Ego merces tua magna nimis (Gen. 15, 1). Asc,9006a:686 Futuræ gloriæ nobis pignus datur (Eccl., In Sisto Corp. Chr.). Asc,9006a:687 Qui manducat meam carnem… habet vitam æternam (Joan. 6, 55). Asc,9006a:688 Nisi manducaveritis carnem filii hominis… non habebitis vitam in vobis (Joan. 6, 54).

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Parte seconda Scioglimento delle difficoltà contro la confidenza in Dio

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Prefazione Quantunque i motivi per eccitarci a piena confidenza in Dio, di cui ragionammo nella prima parte di questo compendio, siano più che sufficienti per rimuovere dai peccatori ogni ostacolo alla conversione, ed accendere in ognuno la brama di arricchirsi di meriti, ciò non di meno perché nelle sacre Scritture s'incontrano alcune sentenze di cui abusano gli eretici e gli increduli, ed anche perché non bene comprese, servono talora a scoraggiare gli stessi fedeli; così a confondere i primi, a rianimare i secondi, parve utile cosa e necessaria spiegarle nel loro vero senso, e da ostacolo che pure ci sembrano, cangiarle in armi di speranza e di fiducia. Qui dunque si propongono e si sciolgono le difficoltà degli increduli, e quelle ancora delle anime affannate per soverchio timore e diffidenza. Dietro la scorta dei migliori Apologisti ed Interpreti si esamina il significato di quei sacri testi; e si dimostra che non solo non devono essere intesi quale vorrebbero gli increduli, i novatori e gli eretici, ma lungi dall'ispirare scoraggiamento e paura, sono invece stimolo ed aiuto ad operare la nostra salute.

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Capo I. Se la Religione Cristiana ispiri terrore e scoraggiamento Asc,9006b:T1,1,1

Prima difficoltà Come mai si potrà servire Dio in pace e tranquillità, se la religione stessa con le replicate minacce di eterno fuoco e tormenti riempie gli infelici suoi seguaci di terrore e spavento? Perché una religione sia degna di Dio, deve essere secondo il cuore dell'uomo che la professa, epperciò ispirargli amore e confidenza verso il Creatore; la qual cosa non fa la religione cristiana; dunque non è vera, e non degna di Dio.

Asc,9006b:T1,1,2 La religione cristiana fondata sulla carità del suo divino autore che è infinita bontà per essenza, ispira terrore e spavento, non ai suoi fedeli seguaci, ma a chi non la vuole professare, per vivere a seconda delle passioni; e con le minacce procura di fare, per il loro bene, rientrare in se medesimi i traviati, allontanandoli per tale modo dagli eterni mali. Ora siccome nella civile società i malvagi minacciati dalle leggi hanno ragione di temere e tremare, così devono paventare quegli ostinati, i quali portanto il nome di cristiano, lo disonorano con

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professare massime irreligiose, o menano vita affatto contraria ai precetti ed insegnamenti della cattolica religione; all'opposto come gli onesti cittadini non s'inquietano punto delle leggi penali, anzi avrebbero da dolersene qualora non fossero applicate, poiché formano una delle principali basi della tranquillità e sicurezza pubblica, così hanno tanto minore motivo di vivere oppressi da timore quelli che vivono da buoni cristiani, sapendo al certissimo che il dannarsi non è giuoco di sorte, né l'inferno è minacciato se non a chi lo vuole, trasgredendo gravemente la legge santa di Dio. Dissi tanto minore motivo, perché se non si inquieta l'onesto cittadino di tali castighi, benché possa accadere che anche un innocente calunniato sia punito quasi colpevole, così non deve inquietarsene il cristiano, essendo impossibile che Iddio punisca l'innocente. Anzi le minacce stesse degli eterni castighi devono rallegrare e non rattristire i buoni, mentre servono a contenere i malvagi dalle ingiuste oppressioni e persecuzioni contro di loro; dirò di più, hanno ogni ragione di vivere tranquilli affidati alla bontà di Dio, ai meriti di Gesù Cristo, ai soccorsi della sua grazia ed alle infallibili consolanti promesse dell'eterno premio: di modo che i veri cristiani che credono l'inferno, tremano assai meno degli increduli che affettano di non crederlo. Perciò appunto tanto più è degna di Dio la cristiana religione, in quanto minaccia castighi per contenere i malvagi dal mal vivere, e promette grandissimi premi per incoraggiare i buoni a ben fare.

Asc,9006b:T1,2,1

Seconda difficoltà Seconda difficoltà Ma come potranno vivere tranquilli e contenti i cristiani se a tutti, senza eccezione, la religione comanda di operare con timore e tremore la loro salute1? Anzi tanto meno è degna di un Dio d'infinita sapienza e giustizia questa religione che comanda cose contrarie nello stesso tempo, epperciò impossibili ad eseguirsi. Infatti vuole che lo servano nel timore e nell'allegrezza nello stesso tempo2

Asc,9006b:T1,2,2 , come è chiaro dai testi della Scrittura.

In primo luogo non esige Iddio cose contraddittorie, epperciò impossibili ad eseguirsi, perché il timore che maggiormente desidera dai suoi fedeli è timore filiale, non contrario o nemico della santa allegrezza. Infatti venite, dice il reale Profeta, venite, o figli, ascoltateli; vi insegnerò a temere il Signore3

Si osservi pertanto che li chiama figli, non servi: vuole dunque insegnare un timore che convenga ai figli; timore che ci concilia benissimo con l'allegrezza, poiché li previene che con questo timore non lasceranno di vivere giorni buoni e felici

.

4

Quindi insegna in che consista questo timore, cioè nel fuggire il male ed operare il bene.

5; in questa maniera, continua Iddio per mezzo del suo Profeta, cercate la pace e andatele appresso, cioè procurate di conservarla ad ogni costo e non ve la lasciate giammai turbare da alcuna diffidenza; poiché io avrò sempre gli occhi sopra di voi attenti per custodirvi e le orecchie tese per ascoltare le vostre suppliche, per liberarvi da tutte le vostre tribolazioni6, e vi starò sempre dappresso per salvarvi, se con umiltà a me ricorrerete7: insomma io avrò cura di tutti i vostri ossi8, e riscatterò le anime vostre, e non sarete mai delusi nella speranza che avrete riposta in me9

Asc,9006b:T1,2,3 .

Le seguenti parole poi dell'apostolo Paolo a quelli di Filippi non ci devono recare pena di sorta, quando siano intese in giusto senso. Laonde, dice egli, dilettissimi miei (siccome sempre siete stati ubbidienti) non solo come quando io ero presente, ma molto più adesso nella mia assenza, con timore e tremore operate la vostra salute. Imperocché Dio è che opera in voi il volere e il fare secondo la buona volontà10

Da queste parole, dice Bergier, ne risulta che l'Apostolo ben lungi dall'ispirare timore, pensa piuttosto a consolare i suoi figli ed ispirare loro coraggio.

.

Infatti, attorniati da nemici accaniti nel perseguitarli, esposti a soffrire e combattere, privi della presenza di Paolo che li avrebbe incoraggiati, erano compresi da timore e tremore; e perciò in così difficili circostanze li esorta ad operare con umiltà e diffidenza di se medesimi la loro salute, perché

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Iddio è quegli che opera in loro il volere ed il fare secondo la buona volontà, cioè per mezzo della sua grazia. Essendo così la cosa, non sarebbe secondo il buon senso l'interpretare che l'Apostolo esorti i Filippesi a temere e tremare, perché Iddio dà loro la volontà e l'azione pro bona voluntate, cioè per l'affezione che loro porta: egli pensa piuttosto a consolarli e animarli ad operare la loro salute con umiltà e diffidenza di se stessi, affinché prendano le cautele necessarie per non cadere nei peccati, rassicurandoli nello stesso tempo che Iddio dal canto suo, attesa la buona sua volontà, darà loro forza e grazia per ben operare. E così pure, con i migliori apologisti, intende questo Monsignor Antonio Martini.

Asc,9006b:T1,2,4

Lo stesso Concilio di Trento… Lo stesso Concilio di Trento (sess. VI, c. 13) conferma questo senso, poiché accoppia insieme il testo della prima lettera ai Corinti (capo 10, v. 12) – qui se existimat stare videat ne cadat – con l'altro sopracitato – cum metu et tremore vestram salutem operamini – cioè, affinché essendo umili e diffidando di noi medesimi, ci appigliamo con sollecitudine ai mezzi per non cadere, confidando che, facendo quel poco che possiamo dal canto nostro, Iddio ci aiuterà sempre a perseverare nel bene. Cornelio a Lapide spiega pure questo timore per l'umiltà e diffidenza di noi medesimi, con la quale dobbiamo operare perché il Signore ci continui le sue grazie, ed osserva che questo duodecimo versetto è congiunto con gli antecedenti per mezzo dell'avverbio itaque, come se dicesse: vi ho esortati (v. 2 e 3) alla fuga di ogni discordia e contesa con la pratica dell'umiltà, ubbidienza e buona unione con l'esempio di Gesù Cristo, che si umiliò ed ubbidì sino a morire in croce (v. 5): ed ora concludo esortandovi ad umiliarvi, acciocché siate pure esaltati con Lui, e ad ubbidire e operare la vostra salute non con la superbia e con le contese, ma con umiltà e tremore. Apporta quindi l'autorità di S. Agostino, il quale dice che “operando Dio in noi, dobbiamo dal canto nostro essere umili per disporci a ricevere le sue grazie: né meravigliarci se resiste ai superbi e dà le sue grazie agli umili, perché la grazia è come la pioggia, la quale riempie le valli e lascia arida la sommità dei monti11

Non differente è la spiegazione che ne dà il dott. S. Anselmo”.

12, ed il Padre Paolo Segneri dice che “il timore e tremore ha da consistere nel tenerci umili, perché abbiamo bisogno della grazia di Dio per operare: perché questo è al fine ciò che soprattutto vuole cavare dal nostro timore e tremore che noi gli stiamo sempre intorno… questo ha da fare che lo invochiamo, che lo supplichiamo, e così questo ha da fare al fine che ci salviamo fra le tempeste13

E questo senso concorda anche con quello della prima lettera ai Corinti (capo 2, v. 3), nella quale per timore e tremore intende la diffidenza di noi stessi, e non la diffidenza del soccorso di Dio.

”.

Asc,9006b:T1,2,5 S. Giovanni Crisostomo spiegando queste parole – cum timore et tremore – dice “non operate in qualsivoglia modo, ma con diligenza e grande attenzione14

Si osservi inoltre che questo si trova nella stessa lettera in cui S. Paolo esorta i Filippesi all'allegrezza spirituale, e loro dice: “State allegri sempre nel Signore: lo dico per la seconda volta, state allegri

”, anzi modera ancora questa grande attenzione con la confidenza che inspira la ragione addotta dall'Apostolo nel seguente v. 13. “Non ti atterrire per ciò che dissi con timore e tremore, imperciocché non l'ho già detto a fine che tu lasci di sperare… ma bensì perché ti applichi e non ti rallenti, e quasi ti lasci venir meno. Se metterai questa diligenza Dio farà tutto il restante, tu confida in Lui. Imperciocché Iddio è quegli che opera in noi”.

15”. Come dunque potrebbe stare il timore e tremore sull'esito della loro eterna salute con l'allegrezza, che nello stesso tempo raccomanda con tanto calore? Infatti subito soggiunge: “Non vi affannate per niente: ma in ogni caso siano manifestate a Dio le vostre richieste per mezzo dell'orazione e delle suppliche unite al rendimento di grazie: e la pace di Dio, la quale ogni intendimento sormonta, sia guardia dei vostri cuori e delle vostre menti in Cristo Gesù16”.

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Insomma vuole l'Apostolo che “operiamo la nostra salute con timore e tremore, cioè con una santa ed umile sollecitudine di spirito, temendo sempre di noi stessi e diffidando delle proprie forze per confidare in Dio”. Cioè con un santo timore filiale che ci ecciti bensì ad usare ogni cautela per non digustare Iddio con il peccato, ma nello stesso tempo ci porti a mettere in Lui ogni nostra confidenza, poiché lo chiama l'Apostolo non già il Dio del timore, sì il Dio della speranza, e desidera che ci riempia non di timore, ma di ogni gaudio e di pace nel credere, ed abbondiamo di speranza, perché gettando in Lui ogni nostra sollecitudine, Egli avrà cura di noi17

Asc,9006b:T1,2,6 .

Circa poi quell'altro testo che dice servite a Dio nel timore18, è da sapersi che il discorso è ivi indirizzato in particolare ai re e giudici della terra19; e S. Gerolamo osserva che, sebbene loro abbia voluto Iddio mettere timore, affinché non si insuperbissero per averli nominati re, non lasciò tuttavia di confortarli subito, invitandoli a rallegrarsi nello stesso timore che loro inculca20

Dicono pure Menochio nei suoi commentari, ed il dottor della Chiesa S. Alfonso de Liguori nella sua traduzione dei Salmi, che secondo il Testo ebraico questo timore significa pietà, ossia il timore filiale, con cui i re ed i giudici devono servire Dio; onde il Beato così traduce questi due versetti: “Voi dunque re che giudicate sulla terra, intendete il vostro dovere ed instruitevi a bene esercitarlo. Servite al Signore con timore di figli e con allegrezza”.

.

Ora se già desiderava che gli ebrei, i quali avevano ricevuto la legge del timore, avessero idee di lui come di un Dio tutto bontà, e lo temessero bensì, ma con timore filiale, che non esclude la vera allegrezza dello spirito come loro lo fece intendere in mille luoghi, raccomandando di servirlo in santa allegrezza21, quanto più bramerà che lo temiamo da figli, noi ai quali, come dice l'Apostolo, non ha dato lo spirito di timidezza, ma di fortezza e dilezione22; noi che, secondo S. Anselmo, non abbiamo ricevuto come i giudei lo spirito di servitù per temerlo quali servi, sì lo spirito di amore e di grazia come figliuoli di adozione, mercè cui con il più grande affetto chiamiamo Iddio con il dolce nome di Padre23.

Asc,9006b:T2

Capo II. Se si possa avere morale sicurezza di essere in grazia di Dio e perdonati dei peccati

Asc,9006b:T2,1,1 Prima difficoltà Una religione che sia divina deve ispirare la pace nel cuore; la cristiana all'opposto la toglie con il proporre che fa l'eternità delle pene per chi muore in disgrazia di Dio, e nello stesso tempo fa vivere i suoi seguaci in continua incertezza del loro stato attuale di coscienza, poiché insegna che per quanto ognuno si adoperi a ben osservare la legge di Dio, mai non sa se sia degno di amore o di odio24

Asc,9006b:T2,1,2

. Potendosi pertanto morire ad ogni istante, per poco che si apprenda l'eternità di quelle pene, non è possibile vivere senza grande spavento di morire in peccato mortale e dannarci.

Risponde Bergier25, appoggiato all'Ecclesiaste medesimo, che questa incertezza si intende del tempo delle afflizioni, cioè che allorquando il Signore ci affligge, noi non sappiamo se sia per castigo dei peccati o per purificarci; così pure quando ci prospera, ignoriamo se sia una ricompensa oppure un mezzo datoci da Dio per allettarci e tirarci al bene; infatti non sappiamo, dice l'Ecclesiaste, se siamo degni di amore o di odio, tutto rimane nell'incertezza sino al tempo avvenire; e per quale motivo? Eccolo: perocché (in quanto agli avvenimenti temporali) tutto succede del pari al giusto ed all'empio26

Ma quand'anche non si voglia intendere tale testo nel senso sovra esposto, non ne segue tuttavia che il Signore ci lasci in una incertezza tale da toglierci la pace del cuore, e farci vivere in continuo spavento e terrore, poiché la Chiesa interprete fedele del vero senso della S. Scrittura, condannando nel Concilio di Trento e riprovando gli eretici (i quali perché non volevano ammettere il Sacramento della penitenza, asserivano che per essere giustificati basta il crederlo di fede divina), spiegò questo testo, e definì bensì che non possiamo sapere con certezza di fede divina se siamo in grazia o disgrazia di Dio

.

27; ma nello stesso tempo non condanna, né esclude quella morale certezza

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che deve bastare per assicurarci e toglierci ogni ragionevole ansietà riguardo all'essere o non essere nella sua grazia. Anzi non solo non condanna, né esclude questa morale sicurezza, ma la riconosce e l'approva, mentre ci propone nell'Ufficio divino la lezione di S. Gregorio Papa sull'Omelia 13a del Vangelo di S. Luca Sint lumbi vestri præcincti, ove dice che colui il quale è assicurato dalla sua speranza in Dio, unita al testimonio della propria coscienza circa le sue buone azioni, muore volentieri, e si presenta con allegrezza innanzi al Giudice per riceverne la ricompensa28

Di più questa morale certezza è così necessaria che senza di essa nessuno si potrebbe accostare alla sacra mensa, perché conviene avere motivo fondato di essere in grazia di Dio per poterci accostare, come dice l'apostolo S. Paolo

.

29.

Asc,9006b:T2,2,1

Seconda difficoltà Seconda difficoltà Ma appunto, diranno altri, per questa incertezza, quante volte lasciamo la S. Comunione; poiché chi potrà mai essere sicuro di non avere commesso alcun peccato mortale, o avendolo commesso, che ci potrà assicurare del perdono?

Asc,9006b:T2,2,2 Nel primo caso si risponde che la pratica della Chiesa, dei direttori delle coscienze e dei fedeli, ammette chiaramente questa sicurezza morale. Ed infatti qualora non si potesse avere fondato motivo di non essere rei di peccato grave, epperciò di essere in grazia di Dio, come potrebbe la Chiesa imporre ai fedeli la Comunione pasquale? Come potrebbero i direttori delle coscienze esortare, e tavolta, a certe anime timide e scrupolose comandare di accostarsi alla Comunione? Insomma i fedeli stessi non potrebbero essere obbligati ad obbedire, se facendo con l'aiuto del Signore dal canto loro quanto devono, tuttavia non potessero mai essere moralmente sicuri di essere in grazia di Dio. La Chiesa pertanto che proibisce a chiunque si conosce reo di peccato grave l'accostarsi alla sacra mensa30, e nello stesso tempo comanda di accostarsi alla Pasqua, si rapporta alla morale certezza della coscienza di ciascuno, perché come dice S. Giovanni, se la coscienza non ci rimorde di grave peccato, possiamo essere tranquilli e confidare in Dio di essere in grazia sua31

Così pure spiega il testo di S. Giovanni Monsignor A. Martini “Se la coscienza non ci condanna, abbiamo fiducia innanzi a Dio”; ed il Padre Segneri spiegando il versetto 9 del Salmo: Auditui meo dabis gaudium et lætitiam, dice pure che “questo gaudio procede dal giudizio prudente che noi formiamo di stare in grazia di Dio, quando la coscienza non ci rimorde di nulla”, e porta in prova il sopraccitato testo di S. Giovanni.

.

Asc,9006b:T2,2,3 Nel caso poi che la coscienza ci rimorda di peccato mortale, o ce ne siamo ben confessati oppure no; se ce ne siamo ben confessati e ne abbiamo ricevuto l'assoluzione, siamo moralmente certi di averne ottenuto il perdono in virtù della facoltà data ai suoi Ministri da Gesù Cristo che disse loro: Saranno rimessi i peccati a chi li rimetterete32. Se poi la coscienza ci rimorde di colpa grave, e non ce ne siamo ancora ben confessati, non abbiamo noi nella confessione un mezzo pronto ed efficace per riconciliarci con Dio? Preghiamone il Signore, anzi con il suo aiuto eccitiamoci ad un vero dolore di contrizione perfetta, risolviamo di confessarcene quanto prima, e già possiamo essere moralmente sicuri del perdono anche prima di confessarcene, giusto l'insegnamento universale della Chiesa espresso nei Catechismi in seguito alla decisione del Concilio di Trento, cioè che la contrizione perfetta giustifica immantinente il peccatore anche prima della confessione sacramentale33.

Asc,9006b:T2,3,1

Terza difficoltà Terza difficoltà

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E chi avanti tutto ci assicura di esserci ben confessati, e che invece di avere ottenuto il perdono, non abbiamo anzi commesso un orribile sacrilegio?

Asc,9006b:T2,3,2 Noi possiamo essere tanto sicuri di esserci confessati bene, quanto di avere peccato. Infatti chi ci accusa e convince di avere peccato? La nostra coscienza certamente, la quale ci dice che abbiamo trasgredito con perfetta avvertenza e pieno consenso quel tale precetto di Dio o della Chiesa in materia grave: ora la medesima coscienza parimenti ci può assicurare di essercene ben confessati. E che ne sia il vero, S. Paolo dice che la sua coscienza lo assicura di essersi diportato specialmente presso quelli di Corinto con ogni semplicità e sincerità di cuore innanzi a Dio34; ed agli ebrei dice che preghino per lui, non reputandosene indegno, poiché la sua buona coscienza lo assicura35

E questo medesimo testimonio della coscienza è quello che unicamente suggerisce S. Paolo ai fedeli di esaminare prima di accostarsi alla Santa Comunione, come già osservammo. Questa prova che esige l'Apostolo, non è altro che l'interrogare sinceramente la nostra coscienza se ci rimorde o no di peccato grave commesso e non ben confessato

che non è, come alcuni lo volevano far credere, un apostata dalla legge, né un ipocrita, ma che ha predicato con sincerità la parola di Dio.

36

Asc,9006b:T2,3,3 .

Tra i Padri poi S. Basilio ne assicura che “se in noi sentiamo odio al peccato, possiamo essere persuasi di averne ottenuto da Dio il perdono37

S. Agostino dice: “Pensa pure (o Secondino) di me come ti piace, nulla mi importa, purché non mi accusi la propria coscienza innanzi a Dio”; ed altrove “vi è un certo modo, o mezzo di conoscere per via della coscienza, se la nostra fede sia sincera, ferma la nostra speranza, senza finzione la nostra carità

”.

38

S. Isidoro dice che “La coscienza è monda, quando non ci accusa giustamente dei peccati passati, e non si compiace iniquamente degli attuali

”.

39

E si osservi, che dice juste accusatur, acciocché non facciamo caso degli scrupoli, perché il rimorso deve essere fondato per farci reputare di essere in peccato mortale.

”.

E quantunque il Sacro Concilio di Trento asserisca che, siccome nessun fedele deve dubitare della divina misericordia, dei meriti di Gesù Cristo, dell'efficacia e valore dei Sacramenti, così ciascuno esaminando se stesso e la propria debolezza, può temere circa l'essere in grazia di Dio, perché non ne ha certezza di fede divina. E qui è da osservarsi che il Concilio dice bensì, che non si deve dubitare della misericordia di Dio; ma in quanto all'essere in grazia sua, non dice si deve, ma solo si può temere; e ciò per la ragione che ne adduce, cioè perché non se ne ha certezza di fede divina40

Onde l'esimio Suarez arriva ad affermare che si può avere tanta certezza che regolarmente e moralmente escluda l'attuale timore; anzi, poter un giusto giungere ad essere altrettanto certo della remissione dei peccati attuali nella confessione, quanto della remissione del peccato originale nel battesimo

.

41

Asc,9006b:T2,3,4 .

E sebbene alcuna volta siamo angustiati per la incertezza in cui ci troviamo, di avere avvertito o no, acconsentito o no a quel cattivo pensiero, tuttavia non ne consegue che possiamo anche essere incerti sulle disposizioni necessarie per la buona confessione; perché riguardo a queste disposizioni la coscienza non ne dubita fondatamente, mentre ciascuno di noi sa di aver compiuto gli atti necessari a questo fine con piena deliberazione, sollecitudine e premura di farli bene, cioè a bella posta, e talora anche replicati per timore di non averli fatti con tutto quel fervore che si sarebbe desiderato, oltre la previa orazione a Dio per ottenere grazia di farli a dovere, di modo che non vi può essere incertezza sull'avvertenza e consenso di questi atti esercitati per confessarsi bene. La coscienza all'opposto ci accusa chiaramente di sacrilegio, quando ci fossimo accostati soltanto per rispetto umano, e con volontà di continuare in quelle occasioni volontarie di peccato, o in quegli abiti cattivi, o con volontà di non restituire, potendolo, la roba altrui, o di non perdonare ai nemici e simili cattive disposizioni, le quali essendo avvertite e volontarie, non si possono ignorare dalla coscienza, la quale ci accusa ed avverte, se le si faccia attenzione, quando vi è stata o no una

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notabile negligenza avvertita nell'esame o nel dolore, onde la confessione sia sacrilega, o per mancanza di dolore senza avvertenza sia nulla.

Asc,9006b:T2,4,1

Quarta difficoltà Quarta difficoltà Se la coscienza ci potesse assicurare di essere in grazia di Dio, come avrebbe potuto dire S. Paolo che sebbene la coscienza non lo rimproverasse di alcun peccato, tuttavia non si credeva per questo giustificato42

Asc,9006b:T2,4,2 ?

Non negava già S. Paolo di essere giustificato, ma soltanto diceva di non appoggiare la sua giustizia su questo solo motivo che non si sentiva rimproverare dalla coscienza, perché non il testimonio della coscienza, ma la grazia forma la nostra giustificazione; onde non disse semplicemente sed non justificatus sum, ma in hoc: e perciò non esclude S. Paolo con questo la morale certezza, come non la esclude l'altro dell'Ecclesiaste, ma soltanto la certezza di fede divina cum nullus scire valeat certitudine fidei, cui non potest subesse falsum, come abbiamo osservato, e lo prova diffusamente il Padre Suarez chiamato dottore esimio da Benedetto XIV43

Concorda pure con esso Monsignor Martini: “Imperciocché” così spiega egli le parole dell'Apostolo nella nota al v. 3 e 4 “quantunque di alcuna cosa non mi riprenda la mia coscienza, non per questo io ho una infallibile certezza di essere giusto”.

.

Finalmente il testo di S. Paolo preso in quel senso contraddirebbe quello di S. Giovanni, in cui ci dice di confidare in Dio di averne ottenuto il perdono44.

Asc,9006b:T2,5,1

Quinta difficoltà Quinta difficoltà Si legge in tanti libri ascetici che cade il giusto sette volte il giorno45. Il santo re Davide tutto tremante esclamava (come interpreta S. Agostino citato da Monsignor Martini nelle sue annotazioni): Chi è che conosca gli errori? Ah mondami, o Signore, dai peccati che io non conosco, e perdonami quelli dei quali avrò agli altri data occasione di commettere46

Asc,9006b:T2,5,2

! Ora se sì sovente cade il giusto, e cotanto temeva per i peccati occulti un sì santo re e profeta, quanto più abbiamo ragione di temere di essere in disgrazia di Dio noi che ne commettiamo tanti, e perciò tanto più facilmente possiamo avere qualche grave peccato occulto, o di scandalo non conosciuto o non abbastanza riparato?

In primo luogo si risponde con Cornelio a Lapide che sebbene in Cassiano, ed in alcuni manoscritti47 si legga come sopra septies in die cadit justus, tuttavia la parola in die non si trova nel testo ebraico, né in quello dei Settanta, come neppure nella Vulgata, alla quale dobbiamo attenerci, ed il testo è: “Sette volte cadrà il giusto e risorgerà: ma gli empi precipitano nel male48

In secondo luogo si risponde che questa caduta del giusto da alcuni viene interpretata per il cadere in molte tribolazioni, dalle quali il Signore lo libera

”.

49, ed altri lo spiegano per il cadere in peccato veniale, cioè Menochio, Tirino, Monsignor Martini, come pure il citato Cornelio a Lapide: questi apporta fra molti altri l'autorità di S. Agostino, il quale dice che “Il numero di sette sovente volte viene posto per significare un numero indeterminato; come sta scritto, sette volte cadrà il giusto e risorgerà; ogni qualvolta cadrà non perirà; il che si deve intendere non dei peccati gravi, ma delle tribolazioni che ci portano all'umiltà50

Anzi facciamoci cuore, ed usiamo tutta la diligenza per parte nostra per schivare qualunque peccato veniale pienamente deliberato, e ci sarà possibile con la grazia di Dio, come dice S. Giovanni Crisostomo, il vivere quaggiù in terra quasi già fossimo in Cielo, cioè con perfezione

”, nelle quali possono comprendersi anche le colpe veniali, le quali procurandoci l'umiltà, ci possono essere occasione di bene; all'incontro gli empi corruent in malum, perché vanno di precipizio in precipizio.

51

Asc,9006b:T2,5,3 .

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In quanto poi ai peccati occulti, si intende dei mortali (poiché i veniali non ci privano della grazia di Dio), ed a chi mena una vita da buon cristiano con frequenza dei Sacramenti, non è così facile il commetterli con pieno consenso (e conseguentemente con perfetta avvertenza, perché se, giusto il principio della filosofia nil volitum quin præcognitum, tutti i teologi ammettono che per essere peccato mortale, oltre la materia grave, è necessario che l'atto peccaminoso sia pienamente volontario, ne viene per necessaria conseguenza anche la perfetta avvertenza), non è così facile il commetterli e dimenticarli, perché il peccato gli sta sempre davanti, e lo punge continuamente, come confessa di se stesso Davide52

A chi poi avesse anche menata una vita dissoluta, e quindi convertitosi al Signore ed usata la debita diligenza nell'esame, ne avesse dimenticati alcuni nella confessione, è certo che tutti gli sono perdonati, anche quelli dimenticati ed occulti, sebbene sia obbligato a confessarli, qualora venga a ricordarsene.

.

Riguardo finalmente agli scandali dati, quando vi abbiamo riparato, o siamo di cuore risoluti di ripararvi per quanto è possibile, con l'eseguire ciò che a questo fine ci fu dal Confessore imposto, e di più con il dare buon esempio con una condotta da buoni cristiani, possiamo essere tranquilli di esserne perdonati, e non ci rimane altro che pregare il Signore di supplire Lui a quanto non è dato a noi di riparare, con l'illuminare e convertire quelli, ai quali avessimo dato qualche occasione di peccato. Così insegnano tutti i teologi. Si osservi di più che il testo ebraico secondo Monsignor Martini significa tienimi lontano dalle superbie, e la Vulgata si potrebbe spiegare: tienimi lontano dagli uomini infedeli, stranieri o di altra religione.

Asc,9006b:T2,6,1

Sesta difficoltà Sesta difficoltà Come mai potrà essere certo di essere ritornato in grazia di Dio chi ebbe la disgrazia di peccare mortalmente, se quand'anche abbia preso i mezzi che la cristiana religione suggerisce e prescrive, ed abbia fatto tutto il possibile per ottenerne il perdono, questa stessa religione insegna che ciò nonostante nessuno potrà mai essere certo di averlo ottenuto? Infatti l'Ecclesiastico ci avverte di non essere senza timore del peccato rimesso53

Asc,9006b:T2,6,2

: e sarà possibile trovare quiete in una tale religione, e potrà ella perciò essere divina?

È bene premettere, che quantunque in alcuni manoscritti si legga de propitiatu peccati, tuttavia secondo la Vulgata, la quale ha de propitiato peccato, si intende secondo alcuni nel testo riferito il timore riguardo alla incertezza del perdono del passato, o secondo altri riguardo all'incertezza del perdono in avvenire. In quanto al primo senso è vero che non possiamo avere certezza di fede che ci siano stati rimessi i peccati, perché non abbiamo alcuna rivelazione divina di aver fatto quanto dovevamo per otternerne il perdono, tuttavia come l'abbiamo già osservato, possiamo averne tutta la certezza morale, quando la coscienza non ci riprende di avere omessa alcuna delle condizioni necessarie per fare una buona confessione, o di non aver avuto un vero dolore di contrizione con il desiderio della confessione. Giova però osservare, che sarebbe contraddittorio il senso del timore sull'incertezza del perdono riguardo al passato; poiché dicendoci di non essere senza timore del peccato perdonato, de propitiato peccato, si suppone dunque che sia già perdonato, ed allora sarebbe lo stesso dire: ho perdonato il tuo peccato, ma temi che non te l'abbia perdonato; espressione quale ognuno vede, contraddittoria: al più dunque se si vuole intendere del passato, questo timore potrebbe riguardare l'incertezza non della remissione della colpa, ma dell'intera remissione della pena temporale alla colpa dovuta, come se volesse animarci a farne qui la condegna penitenza, acciocché non abbiamo poi da scontarla nel purgatorio, come fra gli altri spiegano Cornelio a Lapide e Monsignor Martini. Può ancora intendersi che voglia Iddio inculcarci il timore di ricadere nei peccati di prima, attesa la debolezza ed inclinazione maggiore al peccato contratta con le cadute antecedenti, come è più facile

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il ricadere nella malattia a chi è di fresco guarito; epperciò dica il Signore come direbbe un medico al suo convalescente: non fidatevi, come quando eravate sano, di nutrirvi con quei tali cibi, guardatevi dall'aria umida, dalle troppo serie occupazioni e simili, poiché attesa la debolezza lasciatavi dalla malattia, potreste facilmente ricadere.

Asc,9006b:T2,6,3 Il senso letterale però, come si raccoglie da tutto il contesto, pare quello che riferisce questo timore ai peccati a venire, quasi dica54: o peccatore, quantunque Iddio per sua bontà non ti abbia altre volte castigato, temi tuttavia, e guardati dall'abusarne aggiungendo peccati a peccati; né affidato alla grandezza della sua misericordia, falle villania dicendo: la bontà di Dio è grande, Egli avrà misericordia dei molti peccati miei; poiché quanto è stato facile a perdonarti il passato, altrettanto può essere che nuovamente peccando ti venga improvviso il castigo da Dio, giustamente offeso per l'abuso che fai della sua misericordia55

Onde chi è risolto a piangere, detestare e lasciare il peccato, ha tutto il fondamento di sperare di ottenere il perdono delle sue colpe; ma chi ostinato volesse abusare della misericordia di Dio per maggiormente offenderlo in avvenire sulla fiducia della misericordia usatagli per il passato, costui ha tutto il motivo di temere i più gravi castighi; e deve riflettere che sebbene Iddio abbia promesso il perdono, sempre che pentito il peccatore glielo chiede, non ha poi promesso di sempre accordare il tempo al peccatore per pentirsi, di modo che può essere colto dalla morte in peccato ed andarsene perduto per la sua temeraria fidanza.

.

Asc,9006b:T2,7,1

Settima difficoltà Settima difficoltà Ma se la religione mentre obbliga tutti quelli che la professano a sperare sino all'ultimo respiro il perdono dei loro peccati, ed usare ogni mezzo necessario per convertirsi, dice pure che oltrepassato quel numero di peccati che è fissato a ciascuno, resta vano ogni sforzo per ritornare a Dio, chi potrà assicurarsi di non averlo oltrepassato? Non viene forse in tale modo distrutto ogni fondamento di quella ferma speranza che ci viene per altro comandata sotto pena di dannazione eterna? Come dunque potrà essere divina una religione così contraddittoria e desolante nei suoi insegnamenti? Eppure tale è la protesta fatta da Dio ai damasceni, cioè che dopo le tre scellerataggini di Damasco, e dopo le quattro non l'avrebbe richiamata a ravvedimento56

Asc,9006b:T2,7,2 .

La Chiesa cattolica non ha mai insegnato che Iddio abbandoni in vita sua il peccatore, di modo che lo privi degli aiuti necessari per la sua conversione, né voglia più perdonargli: poiché certamente non contraddice alle promesse da sé tante volte ripetute di non solo perdonare, ma accordare un perdono perfetto, dice S. Agostino57, anzi volere di più porre in dimenticanza tutte le iniquità di lui, qualora pentito gliene chieda il perdono58. Né Iddio è di tale carattere che si burli della sua creatura, come farebbe in tale caso, se le comandasse l'impossibile, protestandoci che non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva59, ed intanto lo abbandonasse a se stesso che è incapace del minimo bene per la vita eterna60

Siccome pertanto sarebbe grave calunnia contro la Chiesa il dire che ella ci possa dare nel suo insegnamento una idea così falsa ed ingiuriosa di Dio, perciò osserviamo come viene spiegato dai Sacri Espositori e dai Ss. Padri il testo soprannunciato.

.

Asc,9006b:T2,7,3 Tirino così lo spiega: a cagione della moltitudine delle iniquità, e massimamente a cagione del quarto peccato più enorme di tutti, non lo perdonerò più; cioè non revocherò il decreto da me fatto contro di lui del castigo, del supplizio, dell'eccidio e della morte61

Il Testo arabico Antiocheno citato da Cornelio a Lapide, dice: “non lo ricondurrò più nella propria terra

. E cita ancora il Caldeo, S. Gerolamo, Alberto Magno, Ugone, Pagnino, Sanchez e Cornelio a Lapide, i quali dicono quasi lo stesso, cui si aggiunge Monsignor Martini.

62” e Sanchez da lui citato dice: “non lo libererò dalla morte, con la quale ho stabilito di punirlo63”. Insomma quasi tutti concordano nello spiegare questo testo per una protesta che fa Iddio

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di non voler revocare la pena temporale, con la quale aveva decretato di punire il popolo di Damasco per le innumerabili sue iniquità antecedenti (come dice Teodoreto citato dal suddetto Cornelio a Lapide, e così dicono pure il Menochio e Monsig. Martini), e massime per l'iniquità enormissima commessa contro gli Israeliti da essi con tanta crudeltà uccisi64

Asc,9006b:T2,7,4 .

Anzi S. Gerolamo citato da Cornelio a Lapide dice: ho aspettato lungo tempo i Damasceni perché facessero penitenza, ed appunto non li volli punire mentre mi offendevano, acciocché convertendosi, finalmente riacquistassero la mia grazia; ma poiché invece di convertirsi, tornano la terza e la quarta volta alle stesse loro iniquità, sono costretto a regolarmi diversamente, e correggerli con le tribolazioni e castighi65

Iddio ha pazienza lungamente, dice S. Gregorio, ma quando vede che il peccatore invece di approfittarsi del tempo e delle grazie che gli accorda, se ne abusa e sempre più si ostina nel peccato, allora lo toglie improvvisamente dal mondo con la morte

.

66. S. Agostino è pure di sentimento che quando è compiuto il numero dei peccati, Iddio manda la morte: è cosa ragionevole il credere, dice egli, che ciascun peccatore viene tollerato dalla pazienza divina sino a tanto che non ha compìto il numero prefisso dei suoi peccati; quando è compìto, subito Iddio lo castiga con la morte67, e così esalata l'anima68

Il dottore S. Alfonso de Liguori (Serm. 15, per la prima Domenica di Quaresima sul numero dei peccati) portando l'esempio di Baldassarre finisce con esclamare: “Oh a quanti miseri avviene lo stesso, che seguitando essi ad offendere Dio, quando i loro peccati giungono ad un certo numero, sono colti dalla morte e mandati all'inferno

non ha più perdono.

69

Asc,9006b:T2,7,5 !”

E sebbene sia terribile il castigo di essere colto dalla morte in peccato, tuttavia dice S. Ambrogio, sarebbe più terribile castigo per lui l'essere lasciato in vita; perché è cosa più dannosa al peccatore il vivere in peccato, cioè continuando a peccare, che il morire in peccato; perché l'empio finché vive accresce, aumenta le colpe sue, e per conseguenza la pena eterna70

S. Bernardo dice anch'egli che al peccatore, il quale vive, per dir così, di continua morte nell'anima con il peccato, è più conveniente il morire presto nel corpo

.

71

E concorda con il sentimento di Ruperto, il quale spiega il quarto peccato irremissibile dei Damasceni per l'impenitenza finale. Infatti è cosa evidente che, finché il peccatore non vuole detestare il peccato e lasciarlo, non può Iddio perdonarlo.

.

Del resto finché respiriamo, Iddio è sempre disposto per la sua infinita bontà e misericordia a perdonarci i peccati, dice S. Giovanni Crisostomo, se di cuore e con vero soprannaturale dolore ce ne pentiamo72.

Asc,9006b:T3

Capo III. Come s'intenda l'induramento ed accecamento del peccatore Asc,9006b:T3,1,1

Prima difficoltà Come mai potrà dirsi che il Signor Iddio desideri veramente che il peccatore si converta e viva, se all'opposto indura ed accieca egli stesso i peccatori, in modo che più non possono convertirsi, e quel che è più, nello stesso tempo li obbliga a convertirsi, a credere e sperare in Lui? Non viene forse così Iddio a farla da tiranno crudele ed ingiusto? Non si fa Egli in tale modo come autore dei loro peccati, e della loro stessa dannazione? Eppure questo pare chiaro dalla Sacra Scrittura, ove dice a Mosè che Egli stesso aveva indurato il cuore di Faraone e dei suoi servi per eseguire sopra di lui i suoi terribili prodigi73

Asc,9006b:T3,1,2 .

In primo luogo conviene osservare che in tutte le lingue vi sono due equivoci ben ordinari nella maniera di parlare; cioè: 1o quando si dice che alcuno fa una cosa, perché non la impedisce, e vi è un esempio nell'Esodo, dove si legge che Faraone irritato per la domanda fattagli da Mosè di lasciare il popolo in libertà, lo trattò anzi con maggiore durezza di prima, di modo che Mosè si rivolse al Signore, e disse: Signore, per quale motivo hai tu afflitto questo popolo74? Dice dunque

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che Iddio lo ha afflitto, perché non aveva impedito che lo fosse; 2o quando si prende come causa ciò che è soltanto occasione, onde si dice di un padre che per essere troppo buono vizia e deprava il figlio; come anche si dice a taluno: voi mi fate arrabbiare, per dire: voi mi siete occasione di andare in collera. Inoltre è pur bene osservare come la particella ebraica, che viene tradotta in latino ut, sovente deve tradursi ita ut, cioè non affinché, ma di modo che, come consta dal capo 11, v. 9, dell'Esodo, dove si legge: Non audiet vos Pharao, ut multa signa fiant in terra Ægypti. Non era certamente intenzione del Faraone il non ascoltare Mosè affinché si moltiplicassero i flagelli sopra di sé e del suo popolo; conviene perciò tradurre: il Faraone non vi ascolterà, di modo che da questo ne verrà che io eseguirò sopra di lui grandi prodigi. Si osservi finalmente essere articolo di fede, che Iddio non vuole il peccato, anzi lo abomina e si protesta nell'Ecclesiastico che non ha mai comandato ad alcuno di fare del male, né mai ne ha dato la licenza o lo lasciò impunito, come spiega Cornelio a Lapide dal testo greco, e non ama di accrescere il numero dei figli infedeli e disutili75; anzi Iddio non può volere l'iniquità, attesa la sua infinità, santità e perfezione. Onde potè ben permettere, cioè non impedire che il Faraone per propria malizia s'indurasse ed ostinasse, come si legge nel Libro della Sapienza76

Asc,9006b:T3,1,3

, ma non mai potè Iddio indurarlo nel male.

Ciò premesso, si deve tradurre il testo sopra opposto dell'Esodo: Io permetterò, o non impedirò che il Faraone dalla propria malizia accecato, si induri, di maniera che per vincere questa sua ostinazione io opererò grandi prodigi. E che veramente di propria volontà si sia indurato, lo ripete Mosè molte volte, come per esempio dove si legge che il Faraone non si lasciò smuovere; che vedendosi libero dal flagello delle rane, si ostinò in cuor suo e non ascoltò Mosè ed Aronne, conforme aveva ordinato il Signore; che vedendo come era cessata la pioggia e la grandine e i tuoni, aggravò il suo peccato e si ostinò il cuore di lui e dei suoi servi, e si indurò fuori misura, e non lasciò partire i figliuoli di Israele, come aveva ordinato il Signore per mezzo di Mosè77

Si osservi che nel Testo ebraico invece di induratum est cor, si legge ingravavit ipse cor suum; onde, come dice Cornelio a Lapide, ogni qualvolta si legge nella Vulgata ingravatum est cor, si deve leggere ingravavit ipse cor, idest voluntas Pharaonis, poiché l'accecamento appartiene all'intelletto, l'induramento alla volontà.

.

Inoltre sarebbe un'evidente contraddizione se dopo aver per ben dieci volte inviato Mosè al Faraone, comandandogli di lasciar andare il popolo ebreo a sacrificare nel deserto, nello stesso tempo avesse Iddio indurato il cuore di lui affinché lo ritenesse schiavo, poiché sarebbe volere che lo lasciasse andare, mentre tante volte glielo comandò; e nello stesso tempo non voler che andasse, con fare in modo che non lo lasciasse libero di andare. Anzi come riflette benissimo Cornelio a Lapide, se fosse stata volontà di Dio l'indurarsi del Faraone, conformandovisi egli, non avrebbe peccato, poiché la volontà di Dio è la regola di ogni buon volere. Di più rifletta con quanti flagelli lo abbia punito perché non voleva lasciar andare libero il popolo78; pure come dice S. Fulgenzio79, Iddio non può essere autore di ciò che Egli punisce. Dunque non potè volere che s'indurasse, e punirlo per essersi indurato.

Asc,9006b:T3,1,4

Ma oltre le addotte ragioni… Ma oltre le addotte ragioni il fatto stesso prova chiaramente che l'induramento fu volontario nel Faraone, e non per parte di Dio, il quale non solo non voleva il suo induramento, ma procurava di illuminarlo a conservare la sua potenza con i miracoli e con i castighi, con cui puniva l'ostinazione di lui e ne cercava il ravvedimento. Infatti se si considera la superbia e l'orgoglio del Faraone, che osa protestare di non voler riconoscere il Dio degli ebrei e tanto meno ubbidirlo, anzi per dispetto che ne ha, maggiormente aggrava ed opprime il popolo ebreo, non è cosa manifesta che Iddio ne

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voleva il ravvedimento, operando prodigi tali che lo costringessero non solo ad umiliarsi e raccomandarsi più volte a Mosè ed Aronne, acciocché pregassero quel Dio che prima con tanta alterigia disprezzava, a liberarlo dai flagelli, ma inoltre confessare il suo peccato, riconoscere la giustizia ed equità di Dio, e la propria empietà80. E passa oltre la sua umiliazione sino a riconoscere non solo il proprio torto verso Dio, sì ancora verso quei medesimi che considerava suoi schiavi: Ho peccato, egli disse a Mosè ed Aronne, contro il Signor vostro Dio e contro di voi81

Non furono forse i flagelli, con i quali prodigiosamente lo puniva, che lo fecero cambiare tono ed atterrarono la sua superbia a poco a poco, di modo che cominciò a permettere che andassero i soli capi di famiglia, quindi anche i vecchi ed i fanciulli, e finalmente anche con i loro armenti e con quanto possedevano? I miracoli dunque lo muovevano e ne diminuivano l'ostinazione anzi che indurarlo.

.

Asc,9006b:T3,1,5 Vi è di più ancora, come riflette S. Agostino82

Insomma fu così buono Iddio che, sebbene costretto a punire l'ostinazione del Faraone e degli egiziani, volle tuttavia punirli in modo che lo stesso castigo fosse di vantaggio immenso, facendo vedere la falsità dei loro Dei, ed in pari tempo riconoscere la sua potenza e divinità con l'operare così stupendi prodigi

; cioè, se vogliamo considerare questi avvenimenti sotto quel giusto aspetto che l'idea di un Dio infinitamente buono ci presenta, furono quei flagelli altrettanti tratti della divina misericordia verso il Faraone e gli egizi. Infatti fece Iddio dal canto suo quanto doveva essere più che sufficiente per far conoscere al Faraone ed agli egiziani la sua onnipotenza con i prodigi, la sua giustizia con i flagelli, la sua bontà con il prevenirlo e minacciarlo dei castighi, dimostrandogli così il desiderio che li evitasse con la conversione e sottomissione ai suoi ordini; la sua pazienza nel tollerarlo ostinato e punirlo gradatamente per dargli campo al ravvedimento; e la sua misericordia nel subito liberarlo dai flagelli, quando a Lui ricorreva, promettendo di ubbidirlo.

83

Asc,9006b:T3,1,6 .

Nessuno ardisca pertanto, conclude S. Agostino, di accusare la giustizia di Dio, come fanno i pagani ed i manichei, ma si creda fermamente che il Faraone non da violenza di Dio, sì dalla propria iniquità e dall'indomabile superbia fu tante volte contro i comandamenti divini indurato84. Infatti dal canto suo il Faraone mosso dalla severità dei flagelli, tavolta si ammollì, lo riconobbe e promise di ubbidire, ma poi cedeva di nuovo alle passioni sia dell'ambizione, nel voler dominare su quel popolo, sia dell'avarizia, per il gran vantaggio che ritraeva dalle loro industrie e fatiche, sia dell'orgoglio in non cedere al Dio di coloro che erano suoi schiavi, non volendolo riconoscere, né fare caso alcuno dei suoi comandi85; di maniera che invece di essergli riconoscente della bontà, misericordia e pazienza usatagli, come fanciullo caparbio che trattato con le dolci [maniere] ne abusa, flagellato si ostina86, costretto alfine Iddio ad usare con lui della sua giustizia, lo sommerse è vero nelle onde, per dir così, irritate dalla sua temeraria baldanza ed insopportabile orgoglio, ma nello stesso castigo, sebbene terribile, gli diede campo di pentirsi della sua ostinazione nel non volerlo riconoscere per vero Dio ed implorarne il perdono; mercecché cominciò a rovesciare le ruote dei cocchi degli egiziani e quindi mentre fuggirono, furono involti in mezzo ai flutti87. Ora dice Cornelio a Lapide, oltre che il morire annegato non è cosa di un momento, e il Faraone fu l'ultimo a lasciarvi la vita, ne risulta che ebbe tempo di pentirsi, e se non dalla temporale, salvarsi dalla morte eterna.

Asc,9006b:T3,2,1

Seconda difficoltà Seconda difficoltà Che Dio medesimo accechi il peccatore affinché non si converta, risulta chiaro ed innegabile da quanto il Signore ordinò al profeta Isaia: Acceca, gli disse, il cuore di questo popolo (d'Israele) e istupidisci le sue orecchie e chiudi a lui gli occhi, affinché non avvenga che con i suoi occhi egli veda, e oda con i suoi orecchi, e con il cuore comprenda, e si converta ed io lo sani. Anzi il Profeta interrogando il Signore fino a quando sarebbero stati accecati gli ebrei; fino a tanto, gli rispose, che

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desolate rimangano le città senza di chi le abiti, e le case senza uomo, e la terra sarà lasciata deserta88

Asc,9006b:T3,2,2 .

Il voler prendere queste parole alla lettera è la cosa più assurda che si possa mai dire. Imperciocché: 1o verrebbe in questo modo Iddio a comandare un peccato agli ebrei, comandando loro di non fare attenzione ed essere sordi ai suoi comandi, ed abbiamo già veduto, parlando dell'induramento del Faraone, che Iddio non può essere autore, né comandare il peccato; 2o è contro il buon senso che Iddio mandi un profeta e gli ordini di accecare il suo popolo, perché non si converta, essendo all'opposto questa appunto la missione e l'ufficio dei profeti di annunciare i comandi di Dio ai popoli, affinché li eseguano, e predire gli avvenimenti futuri sia perché ravvedendosi, sfuggano i minacciati castighi, sia perché vedendoli avverati, conoscano i caratteri divini in ciò che loro fu predetto ed insegnato. È perciò cosa chiara, che fu questa una profezia di cose avvenire e non un comando per parte di Dio. Infatti gli espositori sacri Cornelio a Lapide, Tirino, Menochio e Monsignor Martini seguendo la spiegazione dei Settanta, asseriscono di doversi queste parole prendere nel tempo futuro, non nell'imperativo, e perciò doversi leggere: audietis et videbitis, sed non voletis intelligere et cognoscere; cioè dice S. Basilio con S. Giovanni Crisostomo, S. Cirillo e S. Gerolamo: so che voi, o giudei, con grande attività starete aspettando il Messia promessovi, ma quando egli verrà, voi lo rigetterete, voi ascolterete i suoi discorsi, vedrete i suoi prodigi, ma non vorrete conoscerli né crederli come opere del Messia, anzi direte all'opposto che caccia i demoni in nome di Belzebub. Questo passo di Isaia è ripetuto infatti parecchie volte nel Nuovo Testamento, ma sempre come una profezia che doveva avverarsi ai tempi di Gesù Cristo; come pure si legge sempre nel futuro non nell'imperativo; anzi non dice di parlare loro per via di parabole ut videntes, ma quia videntes, cioè perché vedendo, non vedono89

Asc,9006b:T3,2,3

. In questo luogo dunque non si tratta di un comando, ma di una profezia.

In quanto poi al versetto 10o sopracitato, conviene osservare con S. Giovanni Damasceno essere questo il costume della divina Scrittura dire azione, la permissione di Dio, come già provammo riguardo all'induramento del Faraone, di modo che siccome la glossa spiega indurabo cor Pharaonis, idest indurari permittam, così excæca cor populi hujus si deve spiegare excæcari permitte, cioè permetti che si accechi (e).

Asc,9006b:T3,2,4 (e) Si osservi con S. Agostino, che ogni lingua ha le sue frasi particolari e certe maniere di parlare che trasportate letteralmente in altra, paiono fare senso disconvenevole90

Inoltre le parole medesime hanno moltissimi significati: ex. gr. ut in latino si traduce nel dizionario della Crusca: siccome, come, acciocché, perché, per, affinché, comeché, subitoché, alloraché, postoché, dopoché, poiché, né come, né quando, ancorché, di maniera che; per es. ut illud cogitares di Cicerone si traduce ivi: postoché non badavi a ciò. Ut non dedeceat. Cic. In modo che non disdica.

.

Sarebbe insomma troppo lungo il rapportare i diversi sensi nei quali si usa l'avverbio ut. È cosa dunque ragionevole prendere le parole nel senso che più conviene agli altri testi, e non in modo che produca assurdi e contraddizioni.

Asc,9006b:T3,2,5

Il senso più ovvio… Pare pertanto che il senso più ovvio sia, come spiega Bergier: Va' a dire a questo popolo: voi ascolterete, e non vorrete intendere, vedrete e non vorrete conoscere. Lascialo pure indurare il suo cuore, turarsi le orecchie, chiudere gli occhi per timore di vedere, di intendere, di convertirsi ed esserne risanato, finché il peso delle sue disgrazie lo faccia rientrare in se stesso. Queste sono le querele di un padre costretto a lasciar provare, suo malgrado, un qualche male ai figli discoli, perché finalmente rientrino in sé e si ravvedano.

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Che più? Gesù Cristo medesimo ci scioglie la difficoltà con dirci chiaramente che quanto disse Isaia nel sopracitato capo VI fu una profezia che riguardava l'accecamento dei giudei nel rigettare la sua dottrina, e che questo accecamento era volontario. Infatti esaminiamo attentamente il testo di S. Matteo. Per questo io (dice Gesù Cristo) parlo loro per via di parabole, perché (si noti che non dice affinché) vedendo non vedono, e udendo non odono, né intendono; e si adempie in essi la profezia di Isaia che dice: Udirete con le vostre orecchie, e non intenderete, e mirerete con i vostri occhi, e non vedrete. Imperciocché questo popolo ha un cuore crasso ed è duro d'orecchie, ed ha chiusi gli occhi per non vedere con gli occhi, né udire con le orecchie, né comprendere con il cuore, onde si convertano ed io lo risani91

Asc,9006b:T3,2,6 .

Ora in primo luogo Gesù Cristo dice che per questo appunto parla loro per via di parabole, perché non vedono, non odono e non intendono. Si vede pertanto che l'intenzione di Gesù Cristo nel parlare con parabole era di eccitare anzi vieppiù la loro attenzione e la loro curiosità, acciocché ne chiedessero la spiegazione come la chiedevano i suoi dicepoli, ed Egli avesse occasione di dichiarare e spiegare loro viemaggiormente la sua dottrina celeste; e sarebbe fargli grave ingiuria il dire che parlasse espressamente per mezzo di parabole a fine di accecare ed indurare il popolo ebreo. Si osservi inoltre che il gusto e lo stile figurato delle parabole era molto in uso presso gli orientali. Quindi il divino Redentore conformandosi a questa usanza, non parlava al popolo senza parabole92. Del resto, così faceva per diversi motivi e tutti degni della sua sapienza e bontà: 1o perché questo stile era più confacente alla capacità del popolo, e lo disponeva più facilmente ad intendere ed a rilevare il sentimento delle cose sublimi che a lui veniva spiegando; 2o perché vi erano ad udire i suoi discorsi anche gli scribi e farisei che cercavano di prenderlo in parola, perciò sotto il velo delle parabole diceva loro le verità convenienti senza che potessero lamentarsene; oltrecché non svelava tanto apertamente i vizi loro in faccia al popolo, e così metteva delicamente al coperto la loro reputazione, atteso il grado che li distingueva; 3o perché così diceva quanto bastava per istruire, e nello stesso tempo nascondeva sotto il manto delle parabole ciò che non voleva per allora interamente manifestare, e che era riservato a sapersi dopo la venuta dello Spirito Santo: voi non siete per ora capaci di intendere tutto, diceva agli stessi apostoli, ma poiché sarà disceso lo Spirito Santo, Egli vi insegnerà ogni verità, senza nascondervi cosa alcuna93.

Asc,9006b:T3,3,1

Terza difficoltà Terza difficoltà Non dice all'opposto chiaramente l'evangelista S. Giovanni che per questo non potevano credere (gli ebrei), perché Isaia parimente disse: accecò i loro occhi ed indurò loro il cuore94

Asc,9006b:T3,3,2 ?

Risponde S. Agostino che non potevano credere, perché non volevano: imperciocché Iddio previde la loro cattiva volontà e la predisse per bocca del suo profeta95

Infatti, come rapporta il Maffei (Hist. Theol., pag. 23), continuando S. Agostino a commentare questo testo contro i pelagiani dice: Non possono credere in Gesù Cristo coloro che pieni di superbia stimano dover attribuire tanto alle forze della volontà, che neghino di aver bisogno del divino aiuto per vivere bene. Ed applicando questo ai giudei, segue a dire che perciò questo parimenti non potevano credere: non che gli uomini non possano mutarsi da cattivi in buoni, ma finché sono di tale sentimento, non è possibile che credano

. E questo è, come osserva un dotto autore, l'usato modo di parlare, come quando diciamo: colui non può risolversi a fare la tale cosa, non significa, che non può, ma che non vuole risolversi, attesa la sua ostinazione. Onde i giudei non potevano indursi a credere ed accettare la dottrina di Gesù Cristo, perché per la loro superbia non volevano riconoscerlo per Messia.

96. E qui si osservi che con il dire che possono mutarsi, ma non finché ritengono un tale empio e superbo sentimento, dichiara di nuovo che non possono perché non lo vogliono.

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Ed in prova che quanti volevano umiliarsi e deporre ogni prevenzione contro Gesù Cristo potevano credere, giova osservare che nello stesso capo dopo aver detto (v. 39) che non potevano credere e (v. 40) che Iddio li aveva accecati ed aveva indurato il loro cuore, nondimeno soggiunge (v. 42) che anche tra i grandi della Nazione molti credettero in Lui: ma per paura dei farisei non lo confessavano per non essere cacciati dalla Sinagoga97, e lo stesso si è detto riguardo a S. Paolo, cioè che alcuni credevano a quello che si diceva; altri non credevano98; ed a questi tali che amarono più la gloria degli uomini che la gloria di Dio99, accadde appunto ciò che disse l'Apostolo dei falsi sapienti, cioè che il loro cuore è stato accecato, perché avendo conosciuto Dio, non lo glorificarono come Dio, onde sono inescusabili100, e non dice già che siano stati accecati da Dio, ma dalle passioni loro per così dire divinizzate101

Asc,9006b:T3,3,3 .

Gesù Cristo venne dunque al mondo non per accecarlo, sì per illuminarlo con la sua celeste dottrina, nessuno eccettuato102; dunque neanche i peccatori, i quali sono accecati dalla propria malizia103

Che se intendiamo operarsi da Dio permissive l'accecamento e l'induramento o con l'abbandonarli, come diceva S. Ireneo ai Marcioniti, che abusavano di questo passo, cioè con il lasciare nell'incredulità quelli che prevede ostinati, di modo che se ne allontani, lasciandoli nelle tenebre che essi medesimi hanno voluto

.

104, oppure, come dice S. Agostino105, con il sottrarre loro i lumi e le grazie, con il medesimo santo Dottore dobbiamo dire in primo luogo che per altre loro colpe abbiano meritato la permissione di cecità così fatta106, ed in secondo luogo che nulla ostante tale accecamento, il peccatore non resta mai privo dei mezzi sufficienti per ravvedersi. E questa dottrina oltre che la insegna nel commentario del sesto Salmo versetto ottavo, vie più la conferma con l'esempio del Faraone, il quale come potè arrendersi dopo il flagello delle dieci piaghe, poteva pure, quando l'avesse voluto, arrendersi dopo il flagello della prima107

Né solo ciò, ma soggiunge che tale accecamento o permesso, o meritato, forse lo permetteva per la loro salute

. E dice di più: che queste piaghe erano a posta per rammollirgli il cuore, come accadde infatti, quantunque si sia poi nuovamente ostinato.

108, come accade anche tra noi quando si vede che alcuno ostinato non vuole ascoltare gli avvisi amorevoli, né avendo altro mezzo, non per odio, ma per il suo bene si lascia che provi in parte quei mali di cui lo avvisiamo, acciocché fatto savio per propria esperienza, si conduca meglio in avvenire, e sia docile ai nostri avvertimenti; onde conclude il santo Dottore che per questo permise Iddio che si accecassero o li lasciò nell'accecamento (si osservi che qui lo afferma assolutamente senza alcun dubbio), perché si convertissero109; onde possiamo dire con Davide: buona cosa per noi l'averci Tu umiliati, poiché l'averci puniti o permesso che ci macchiassimo di alcuna colpa, fu perché imparassimo a nostre spese le tue giustificazioni110.

Asc,9006b:T3,3,4

Anzi ammiriamo… Anzi ammiriamo la bontà e la sapienza infinita di Dio, che dal maggior male seppe e volle cavarne il maggior bene per noi. Infatti i giudei per i loro delitti meritavano di essere lasciati nell'accecamento, epperciò parlando loro Gesù Cristo per via di parabole, non si curavano di chiederne la spiegazione, anzi per l'odio mortale che gli portavano, non volendo sentirsi riprendere dei loro vizi, s'induravano ed accecavano sempre più, perché chi porta odio ad alcuno cammina nelle tenebre, e nelle tenebre non sa dove vada111. Pure Gesù Cristo da questo loro odio ed accecamento operò a suo grandissimo costo la nostra redenzione, e procurò agli stessi accecati giudei più abbondanti lumi per la loro conversione, sì con il miracolo della sua risurrezione, sì con la propagazione del santo Vangelo e con i miracoli che gli apostoli operavano, come soggiunge lo stesso santo Dottore112

Sì veramente, o pietosissimo, Voi avete compassione di tutti e dissimulate i nostri peccati per amore della penitenza

.

113, eppure appunto perché siete così buono con noi in aspettarci, noi ne abusiamo a divenire più superbi114, anzi arriviamo a tanta ingratitudine da incolpare Voi dei nostri deviamenti, dicendovi con il popolo di Israele: Perché, o Signore, facesti Tu che noi deviassimo dalle tue vie,

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indurasti il cuore nostro onde noi non avessimo timore di Te115? Ma no, dice S. Agostino, non è Dio causa di errore o di durezza, ma la sua sofferenza mentre aspetta la nostra salute, non castigando i delinquenti, viene a parere occasione di errore e di durezza116; onde quasi padre che vedendo la protervia insuperabile del figlio, per non dare in eccessi dannosi, cessa dal percuoterlo ed aspetta che per qualche altra circostanza rientri in sé e si ravveda, così adopera Dio con noi117

Epperciò non diciamo, Voi mi seduceste, o Signore.

118; ma confessiamo essere noi gli ingrati, che disprezziamo le ricchezze della vostra pazienza e bontà, mercecché il longamine amore che ci mostrate, o grande Dio, nulla vuole se non la nostra conversione sincera119.

Asc,9006b:T3,4,1

Quarta difficoltà Quarta difficoltà Pure è chiara la riposta data da Gesù Cristo ai discepoli che lo interrogarono, perché parlasse alle turbe per via di parabole? Perché, disse, a voi è concesso di intendere i misteri del regno dei Cieli, ma ad essi ciò non è stato concesso120

Asc,9006b:T3,4,2 ; e quindi spiegò in particolare la parabola ai discepoli.

Si risponde che parlava alle turbe per via di parabole per i fini già spiegati in questo capo, difficoltà seconda; e non era dato alle turbe di comprendere la sua dottrina, perché si turavano le orecchie e si chiudevano gli occhi per non intendere, per timore di conoscere il cattivo stato e, convertendosi, di essere sanati del loro volontario accecamento. Che se le turbe avessero avuta buona volontà di giovarsene, non comprendendo il vero senso delle parabole, ne avrebbero domandata la spiegazione, e Gesù Cristo le avrebbe loro spiegate, come faceva con tutti quelli i quali lo pregavano. E sebbene in S. Marco si legga: a voi è concesso di conoscere, ossia intendere i misteri del regno di Dio, ed agli altri si parla per via di parabole ut videntes videant, et non videant, et audientes audiant, et non intelligant, si deve fare attenzione a quanto notammo sul senso della parola ut, che tradotta dal greco non si deve in questo luogo intendere per affinché, bensì di maniera che. Infatti sarebbe cosa assurda il supporre che Gesù Cristo predicasse, istruisse, riprendesse i giudei dei loro vizi, acciocché non lo ascoltassero e non si convertissero. Non ripugna forse questo sì alla bontà ed alla misericordia di Dio, come al fine della sua venuta al mondo, poiché venne a cercare ed a salvare i peccatori che senza di Lui si sarebbero perduti121

Asc,9006b:T3,4,3 ?

Inoltre Gesù Cristo ci conferma in S. Giovanni che non da Lui proveniva l'accecamento dei giudei, ma dalla loro volontaria ostinazione. Io venni, dice Egli, in questo mondo per fare giudizio, di maniera che quelli che non vedono siano illuminati, e quelli che vedono diventino ciechi; il che sentendo alcuni dei farisei che lo ascoltavano, gli dissero: siamo forse ciechi anche noi? E Gesù loro rispose: Se foste ciechi non sareste colpevoli, ma al contrario voi dite: noi vediamo. Sussiste dunque il vostro peccato122. Anzi dice che se non fosse venuto e non avesse loro parlato, non avrebbero colpa123

Né si opponga che non peccarono gli ebrei, perché era necessario che si adempisse la profezia; poiché risponde S. Agostino che Iddio presago dell'avvenire predisse l'infedeltà dei giudei, ma non la produsse: come Iddio non costringe veruno a peccare, quantunque già veda i peccati futuri degli uomini

. È dunque cosa chiara che se il loro accecamento non fosse venuto dalla volontaria loro ostinazione e superbia, ma da Gesù Cristo, non sarebbero stati, come li dichiarò, colpevoli.

124.

Asc,9006b:T4

Capo IV. Come si intenda l'abbandono di Dio e la riprovazione del peccatore

Asc,9006b:T4,1,1 Prima difficoltà Sembra cosa innegabile che alcuni siano da Dio abbandonati e riprovati talmente che, fattosi inutile ogni ricorso ed ogni supplica, più non siano accettate né ascoltate da Dio le loro preghiere; e così,

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mentre sotto pena di dannazione sono obbligati a sperare la loro salute, non possano però conseguirla. Ed essendo così la cosa, chi ci assicura che per le nostre resistenze alla grazia non siamo da Dio abbandonati, come si legge della Città di Babilonia: l'abbiamo medicata, dice il Signore, e non è guarita: abbandoniamola125

Asc,9006b:T4,1,2 ? In cotanto paurosa incertezza chi potrà avere pace?

Oltre che la coscienza di ciascuno può tranquillizzarsi con la morale certezza che può avere di essere in grazia di Dio, come osservammo al capo II, abbiamo ancora tutto il fondamento sì di credere di non essere da Dio abbandonati, come di confidare nella sua misericordia in qualunque stato ci possiamo trovare in questa vita, purché vogliamo approfittarcene. Infatti l'Angelico dottore asserisce che Babilonia ed Israele si dicono abbandonati dagli Angeli loro custodi, in quanto questi non impedirono che loro sopravvenissero le tribolazioni126. Ecco in quale maniera deve intendersi l'abbandono di Dio secondo l'Angelico, cioè Iddio permette o non impedisce che i peccatori cadano in tribolazioni od anche in qualche peccato. Monsignor Martini cita per il suddetto senso Origene ed altri; egli però spiega le parole curavimus Babylonem, introducendo le nazioni soggette a Babilonia a dire di lei: abbiamo fatto quanto si poteva per sanarla, cioè per difenderla e salvarla dalla rovina. Del resto S. Agostino afferma che Iddio non abbandona alcuna sua creatura, e dice che non vi è peccatore così perverso cui, se ha l'uso della ragione, non gli faccia Iddio sentire la sua voce al cuore per mezzo dei rimorsi della coscienza; anzi, non darsi peccatore così empio ed accecato, che sia in questa vita affatto privo degli aiuti della divina grazia127. Anzi, dice che neppure al Faraone negò la sua misericordia; poiché mentre a forza di prodigi lo costrinse a lasciar andare libero il popolo d'Israele, poteva da sì grandi prodigi conoscere Iddio128. Infatti ogni qualvolta si arrese alla grazia, e si pentì della sua resistenza e domandò perdono a Dio, subito si placò e cessò dal flagellarlo129

Iddio pertanto aspetta e tollera i peccatori per usare loro misericordia

, finché attesa la sua diabolica ostinazione lo sommerse nel mar Rosso in uno con l'esercito, mentre non voleva cessare dal perseguitare il popolo d'Israele.

130, né abbandona alcuno in vita sua per modo che più non possa convertirsi e salvarsi.

Asc,9006b:T4,2,1

Seconda difficoltà Seconda difficoltà Se avessimo la disgrazia di essere nel numero dei riprovati, come si legge dell'infelice Esaù, che fu odiato da Dio131, non avremmo noi da temere che Iddio neppure sia per avere alcun riguardo alle nostre, come non l'ebbe alle lacrime di lui132

Chi potrà intanto assicurarsi di non essere riprovato, ed in siffatta incertezza quale pace potrà godersi della cristiana religione che insegna questa sì disperata dottrina?

?

Asc,9006b:T4,2,2 In quanto al primo testo di Malachia, Cornelio a Lapide, Duhamel, Tirino e Menochio lo spiegano per minor amore e non per odio propriamente detto. Esau minus dilexi, come dice Duhamel, anzi, questi espositori intendono predetti in Giacobbe ed Esaù i loro rispettivi discendenti; e questa preferenza di amore è spiegata nei versetti che seguono, quasi dica il Signore: Ho amato voi, o israeliti, più degli idumei vostri fratelli riguardo alla terra di abitazione, mentre ho a voi dato una terra fertile ed abbondante di ogni frutto; all'opposto ho dato agli idumei una terra sterile e monti dirupati e scoscesi. Inoltre ho ridotto voi in patria, mentre ho lasciato nella loro schiavitù gli idumei; quindi dice che questo è quel popolo contro del quale sarà sempre Iddio adirato, non d'odio di riprovazione alla grazia od alla gloria, ma in quanto non li richiamerebbe più nella loro patria, la quale sarebbe rimasta deserta ed abitata dai serpenti133

Lo stesso intende su questo testo S. Paolo, cioè la superiorità di Giacobbe ad Esaù nella potenza e prosperità temporale, quia maior serviet minori (Rom. 2, 13); cioè come dice la Genesi, che i discendenti di questi due gemelli sarebbero stati divisi, ed il minore avrebbe superato il maggiore

, e la loro nazione non sarebbe più stata conosciuta né distinta dalle altre nel mondo, ma si sarebbe confusa con gli altri popoli.

134

Asc,9006b:T4,2,3 .

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Circa poi quanto dice S. Paolo, che non ebbe Iddio riguardo alla penitenza di lui, benché l'avesse con lacrime ricercata, e ciò perché fu riprovato, non si deve intendere della riprovazione eterna né riguardo alla grazia, né alla gloria, dice Cornelio a Lapide, sì solo della benedizione paterna che era annessa alla primogenitura, ossia l'eredità temporale da lui venduta al fratello Giacobbe, come si vede chiaramente dalle prime parole del seguente versetto, cioè: cupiens hæreditare benedictionem135. Bergier dice136

Egli non fu dunque riprovato, se non in quanto il Messia non volle nascere dalla sua stirpe, ma da quella di Giacobbe, e non si tratta punto di riprovazione eterna, né di rifuto della penitenza riguardo al perdono del peccato.

che il pentimento di Esaù non potè far revocare la benedizione speciale che Isacco aveva dato a Giacobbe, in virtù della quale egli divenne come il principio della stirpe, dalla quale doveva nascere il Messia. Ma questa benedizione non era un privilegio della primogenitura, sì una grazia che Iddio volle di preferenza accordare a Giacobbe, e già se ne era dichiarato prima della loro nascita. Del resto Esaù non fu privato dei beni temporali che desiderava, poiché Isacco gli promise la rugiada del Cielo e la fecondità della terra; e per lungo tempo i discendenti di lui furono più potenti di quelli di Giacobbe.

Asc,9006b:T4,2,4 Che poi non abbia trovato luogo a penitenza, altri come Teodoreto, Teofilatto, S. Anselmo citati da Cornelio a Lapide, S. Giovanni Crisostomo e S. Tommaso citati da Monsignor Martini, riferendo la parola penitenza non ad Isacco, ma ad Esaù, dicono che non gli giovò la sua penitenza per ottenere il desiderato perdono del suo peccato da Dio e dal padre, e non gli giovò perché non si pentì in quel modo che conveniva. Le sue lacrime ed il suo dolore furono effetto di disperazione, di invidia e di ira contro il fratello137

Altri poi intendono pænitentiam Isaaci, non Esau, così S. Paolo nella lettera citata; cioè che Esaù non potè con le sue lacrime far sì che il suo padre si pentisse e ritrattasse la benedizione data a Giacobbe, poiché appunto questa è la ragione addotta da S. Paolo, cioè che bramando Esaù di ereditare la benedizione, fu rigettato, sebbene la ricercasse con lacrime; dal che si comprende come cercasse non la penitenza, ma la benedizione

di modo che si pentì, non per aver venduto la primogenitura, ma per averla perduta; si pentì non del suo peccato, ma del suo danno; così si pentono nell'inferno i dannati.

138.

Asc,9006b:T4,3,1

Terza difficoltà Terza difficoltà Antioco per altro pregava il Signore da cui non era per impetrare misericordia139

Asc,9006b:T4,3,2

, e perciò fu inutile il suo ricorso, malgrado le tante promesse che Iddio fa di esaudirci e perdonarci. Come dunque avere speranza in Lui e nelle sue parole, potendo essere riprovati come lo fu Antioco?

Tirino e Menochio e lo stesso contesto ci fanno sentire che Antioco pregava il Signore di liberarlo dai dolori terribili e dalla morte che si vedeva imminente, ma non era pentito dei mali da lui fatti in Gerusalemme140; di modo che impaziente, non potendo più sopportare se stesso per il fetore, pregava senza ottenere la bramata sanità, e disperato nel vedersi tuttavia oppresso da terribili e continui dolori, aveva scritto in forma di preghiera una lettera ai giudei nella quale, bugiardo che era, li pregava di serbare fede a sé ed al suo figliuolo, attesi i benefici e comuni e privati a loro impartiti, mentre li aveva continuamente perseguitati e maltrattati; anzi, come aveva detto egli medesimo, fine e scopo del suo viaggio era questo, andare a Gerusalemme e farne un cimitero dei giudei, tanta era la strage che ne voleva141

Per le quali cose, come osserva Tirino, la Sacra Scrittura dice: Orabat hic scelestus, cioè che non era mutato di cuore, ma era sempre lo stesso empio nell'interno, e tutto operava e diceva con finzione ed ipocrisia. Che se pentito di cuore ed umiliato avesse fatto a Dio ricorso, se ne sarebbe mosso a pietà

.

142 e lo avrebbe forse anche liberato dai suoi mali, come l'empio re di Giuda Manasse, il quale dopo essere stato per le sue iniquità e scandali enormissimi spogliato del regno e condotto schiavo in Babilonia, trovandosi in ferri e catene in oscura prigione, si rivolse di cuore al Signore;

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ed appena lo pregò di usare con lui della sua infinita misericordia, subito ne fu esaudito, posto in libertà e ristabilito sul trono143

Asc,9006b:T4,3,3 .

E sebbene Iddio non avesse voluto liberare Antioco dal castigo temporale, almeno certamente gli avrebbe, come Davide144, perdonato le colpe sue; poiché anche quando adirato Iddio vuole puniti in questa vita i peccatori, se riconoscono la sua potente mano, ed umiliati e pentiti, rientrando in se stessi, ricorrono alla sua misericordia, si placa subito, accorda il perdono145, e volge lo stesso castigo a salute eterna non solo del peccatore colpito, sì pure degli altri, facendo loro temere la sua formidabile giustizia, sicché fuggano il peccato per non incorrere in simili castighi146. Del resto è vero che Iddio non fece un miracolo per rendere la sanità ad Antioco e perciò morì, ed in questo senso non ottenne la misericordia che domandava, ma in quanto all'averlo Iddio perdonato o no delle sue scelleratezze, la Sacra storia non lo dice.

Asc,9006b:T4,4,1

Quarta difficoltà Quarta difficoltà Pare per altro che Isaia ci assegni chiaramente la causa dell'abbandono di Dio e della riprovazione del peccatore dove dice che, sebbene Iddio possa perdonare, e salvare i peccatori, tuttavia le loro colpe hanno posto un impedimento tale che più non li riguarda con occhio benigno, né più li esaudisce147

Asc,9006b:T4,4,2 . Chi sa se non siamo noi in questo caso?

Cornelio a Lapide e Tirino (come anche si fa manifesto per tutto il capo 59 di Isaia) dicono che appunto si tratta qui di mali temporali, da cui non vuole Iddio liberarli, ma per loro bene e correzione infligge il castigo dovuto in questa vita alle loro colpe; e dice Cornelio a Lapide che Iddio li castiga malgrado suo, onde non può dedursi che abbandoni il peccatore e più non lo voglia esaudire in quanto al perdono dei peccati, e per quanto riguarda l'eterna salute.

Asc,9006b:T4,5,1

Quinta difficoltà Quinta difficoltà Ma non è appunto questa la minaccia che fa Gesù Cristo medesimo ai peccatori, cioè che lo cercheranno e non lo troveranno e morranno nel loro peccato148

Asc,9006b:T4,5,2

: ed ora come conciliare queste parole con la promessa di perdonare al peccatore in qualunque tempo ritorni pentito a domandarne il perdono?

La difficoltà viene chiaramente sciolta in poche parole dal profeta Geremia, il quale dice egli pure per parte di Dio agli ebrei: mi cercherete e mi troverete, allorché mi cercherete con tutto il cuore vostro149

La cagione dunque, per la quale disse Gesù Cristo agli ebrei, che lo avrebbero cercato e non lo avrebbero trovato e sarebbero morti nel loro peccato, è appunto perché non lo avrebbero cercato con il cuore pentito ed umiliato, che Iddio non può disprezzare, come dice Davide

.

150; ma anzi lo avrebbero cercato con odio, onde perseguitarlo sia nella sua persona, sia in quella dei suoi discepoli, e non per convertirsi ed abbracciare la sua dottrina; onde dice S. Agostino: mi cercherete per odio e non per desiderio151

Infatti nel Vangelo di S. Giovanni leggiamo che cercavano i giudei l'opportunità per arrestarlo e togliergli la vita, onde Gesù Cristo disse loro: Per poco sono ancora con voi, ed a Lui me ne vado che mi ha mandato

.

152. Quindi segue: Cercherete di me e non mi troverete, e dove sono io non potete venire voi153

Finalmente ripetendo quanto sopra aggiunge, che sarebbero morti nel loro peccato.

154, ma non avendo fino allora inteso, perché cercandolo non lo avrebbero trovato, né potuto andare con Lui, per farli avvisati, si spiegò con queste parole: Vi ho detto pertanto che morrete nei vostri peccati, perché se non crederete che io sono, morrete nel vostro peccato155.

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Asc,9006b:T4,6,1

Sesta difficoltà Sesta difficoltà Invano si cerca di conciliare l'infinita bontà di Dio con l'idea che di Lui ci somministra la religione cristiana. Infatti ella ci insegna che Iddio in pena delle resistenze dei peccatori non solo non avrà di loro compassione alcuna, e farà anche il sordo alle loro voci, quando nelle augustie di morte a Lui avranno ricorso, ma di più che se ne riderà e li schernirà nelle loro pene, e non avrà più alcun riguardo alle loro preghiere, le quali avrà in esecrazione ed abominio156. Ora se la cosa è così, come pare dai testi succitati, chi potrà anche solo ammettere l'esistenza non che sperare in un Dio, che promette sì largamente e solennemente a chiunque in ogni tempo di questa vita, senza eccezione di colpa, il perdono157

Asc,9006b:T4,6,2

per ridersene e schernire il peccatore, che pentito umilmente glielo domanda? Chi potrà concepire scintilla d'amore per un tale Dio che, mentre si protesta tutto bontà e misericordia, mentre si vanta più tenero di qualunque madre amorosa nelle angustie, dei figli suoi, non ha nemmeno la compassione che dei suoi piccoli parti avrebbe una fiera crudele?

Quale gravissimo torto non faremmo noi a Dio, qualora concepissimo idee sì storte ed ingiuriose, e tenessimo queste spiegazioni come dottrina della Chiesa cattolica, mentre non lo sono e non lo possono essere? E per venire alla soluzione: fra i vari significati che i diversi autori citati da Cornelio a Lapide danno alla parola interitus, il più ovvio e naturale pare sia quello dei Settanta e di Simmaco, dei quali il primo lo spiega in perditione, l'altro in collocatione, poiché interitus secondo la Crusca significa morte, eccidio. Ora S. Bernardo citato da Cornelio a Lapide, seguendo la lezione di Simmaco, dice che Iddio amando l'ordine di convenienza in tutto, si compiace quando ogni cosa è collocata nel proprio luogo; e siccome il luogo proprio dei giusti è il Cielo, così il luogo che conviene ai reprobi è l'inferno. Il testo dunque significa che dal momento in cui sarà spirato il peccatore (poiché finché vive non si può dire veramente in morte), allora Iddio non si lascerà muovere dalle di lui lacrime, non essendo più in via, ma nel termine, dove non ha luogo la compassione né la revocazione di sentenza. Anzi, se si vuole considerare bene tutto il versetto, pare che si confermi la spiegazione data da S. Bernardo. Infatti dice la Scrittura: Perché vi ho chiamati e non vi arrendeste, anzi, disprezzaste e vi rideste in vita di quanto vi suggerii per vostro bene, io pure nella vostra morte non farò più alcun caso dei vostri mali, cioè quando vi sarà sopravvenuto ciò che temevate158

Conferma sempre più questo senso il versetto seguente, quando cioè improvvisa sciagura vi avrà investiti e la morte quasi turbine vi avrà sorpresi

. Ora quale cosa temono maggiormente i peccatori, se non che la morte ponga fine ai loro piaceri, loro strappi di mano le ricchezze e li precipiti negli eterni mali?

159

Asc,9006b:T4,6,3

; non dice la Scrittura: quando vi investirà, ma: quando vi avrà investiti, cioè al futuro passato.

Cornelio a Lapide, Menochio e Monsignor Martini interpretano pure la parola interitus, morte o perdizione, e dicono che Iddio si riderà di essi nella morte, non già che Egli si burli di alcuno, ma come dice S. Gregorio, non userà loro più alcuna clemenza o compassione160

Così pure interpreta questo luogo il Cajetano citato da Cornelio a Lapide. Ed il venerabile Beda spiega questo passo dei mali innumerabili, da cui saranno oppressi gli empi nel giorno del giudizio, e degli amarissimi rimproveri che dovranno sopportare dal divino Giudice.

, e farà vedere che meritano veramente di essere derisi quelli, i quali preferiscono i beni temporali agli eterni, onde spiegano: cum vobis id quod timebatis, advenerit, quando vi sarà sopravvenuta la morte, che è la sola cosa temuta dagli empi.

Ma ancorché si dovesse intendere che Iddio loro più non usi alcuna clemenza, né più dimostri compassione dei gemiti dei peccatori, quando si trovano oppressi dai suoi terribili castighi, non si può spiegare altrimenti che di mali temporali; cioè che Iddio non li esaudirà nelle loro preghiere di essere liberati da codesti temporali castighi, e li vorrà puniti perché non hanno voluto approfittarsi

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dei suoi avvisi, come appare chiaramente dall'enumerazione dei mali minacciati nel versetto 27, e dei beni promessi nel 33 a quelli che avranno ascoltato gli avvisi di Dio161

Non si può pertanto intendere riguardo alla loro riprovazione eterna, perché sarebbe formalmente contrario questo senso alla promessa fatta da Dio per Ezechiele

. E qui si osservi che parlava al popolo ebreo, al quale ordinariamente minacciava mali e prometteva beni temporali per contenerlo nell'osservanza della divina legge.

162, cioè che quand'anche già avesse fulminato contro l' empio la sentenza di morte, e questi pentendosi del suo peccato, facesse opere buone, e riparasse per quanto può al male, gli accorderà la vita e revocherà la sentenza di morte eterna.

Asc,9006b:T4,6,4

Di questo sentimento… Di questo sentimento è pure l'angelico Dottore, il quale arriva a dire che se anche venisse ad alcuno rivelata la sua dannazione eterna, non potrebbe accettarla neanche per uniformarsi alla divina volontà, anzi, peccherebbe acconsentendo, perché Iddio non vuole alcuno perduto, se non per il peccato; e perciò se altri acconsentisse alla propria dannazione, non si uniformerebbe alla volontà del Signore, sì alla volontà del peccato. Anzi, poniamo che Iddio prevedendo le gravi colpe di taluno, ne facesse il decreto di dannazione e glielo rivelasse, costui non dovrebbe per nessun modo né accettarlo, né acconsentirvi; mercecché rivelazione così fatta, dovrebbe avere in conto non quasi di un decreto irrevocabile, sì come una minaccia di condanna, qualora perseveri nella colpa163

Né vi è eccezione di tempo, poiché dice chiaramente che in qualunque giorno il peccatore si convertirà, non gli sarà di alcun danno il suo peccato, nessuno eccettuato né per gravezza, né per numero

.

164, onde conclude S. Gerolamo, nessuno disperi della salute in vista dei suoi antichi delitti appunto perché, soggiunge S. Ambrogio, ritratterà la sentenza di morte il Signore se mentre viviamo ce ne pentiremo di cuore165; come infatti revocò la sentenza intimata dal suo profeta Giona ai niniviti e loro perdonò166

E qui si osservi che la ragione onde fu indotto Giona a fuggire per non compiere l'ordine del Signore, fu il prevedere la sua bontà e misericordia, per la quale non avrebbe avuto effetto la minaccia di sterminio

.

167 se, come fecero i niniviti, si fossero convertiti; anzi, sebbene la minaccia non fosse condizionata nei termini, tuttavia in questo senso la prese il Profeta e la sperarono i niniviti stessi, e tale fu in effetto, poiché loro accordò il perdono168

Asc,9006b:T4,6,5 .

Nei diversi sensi poi sopra spiegati, si può pure intendere il versetto 28 dello stesso capo primo dei Proverbi, ove dice Iddio che allora lo invocheranno, ed Egli non li esaudirà169; cioè o intendendo tunc, per il giorno del giudizio, come lo spiegano il venerabile Beda ed il Lirano citato da Cornelio a Lapide, oppure perché il loro invocare Dio sarà solo per essere liberati dai mali temporali da cui Egli più non vorrà liberarli170, come osservammo in Antioco, o perché non saranno pentiti di cuore dei loro peccati, secondo Monsignor Martini, o perché finalmente, qualora se ne pentissero, otterrebbero bensì sempre il perdono della colpa e pena eterna, ma non subito della temporale, almeno di tutta171

Finalmente dice Iddio che avrà in esecrazione l'orazione di chi chiude le orecchie per non ascoltare la legge sua

; onde questi empi tosto che saranno oppressi dai mali, ricorreranno a Dio per esserne liberati, ma non lo troveranno; cioè più non li libererà e sarà inesorabile nel punirli, chiudendo Egli pure le orecchie alle loro voci, come essi chiusero le loro alle sue, quando li esortava a ravvedersi.

172

Questo fa Iddio, come spiegano Cornelio a Lapide e Monsignor Martini, con chi, mentre prega, vuole perseverare nel male, ed ha l'affetto attuale al peccato. Infatti, si osservi che parla il Signore di chi chiude attualmente, non in tempo passato o futuro; oppure di chi pare che voglia associare Iddio stesso al suo peccato, come quando un ladro prega per ottenere un'occasione di rubare, o un disonesto per poter commettere matte laidezze, o come dice S. Agostino, quando prega il Signore di

.

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mandare del male ai suoi nemici; perché giusta S. Gregorio (Hom. 27, in Evangelia) è esecrabile l'orazione di chi domanda a Dio cose peccaminose, e così pure dice l'Angelico173

Asc,9006b:T4,6,6

, ma non si intende certamente di quei peccatori i quali desiderano di lasciare il peccato e pregano a fine di potersi emendare, perché questi tali sono esauditi, come dicono S. Agostino e S. Tommaso citati da Cornelio a Lapide.

Infatti, voler dire che il peccatore pregando per ottenere la sua conversione non sia esaudito, sarebbe farlo in certo modo misero più che i dannati medesimi, poiché questi non possono più peccare e per conseguenza neanche accrescersi i demeriti e le pene; ed all'opposto il peccatore di cui si ragiona non sarebbe più capace di convertirsi, perché da sé non lo può, da Dio non sarebbe più esaudito, e tuttavia sarebbe ancora capace di peccare, e quindi si accrescerebbe ognora più con i demeriti la sua dannazione. Oltre ciò il peccatore è sempre obbligato a sperare la sua salute ed i mezzi per ottenerla, perché Iddio glielo comanda sotto pena di dannazione, e nello stesso tempo Iddio medesimo gli toglierebbe ogni fondamento di sperarla con privarlo di ogni utile mezzo, poiché non volendo più né esaudirlo, né soccorrerlo, diventa incapace di operare da sé alcun bene. Lungi pertanto da noi idee sì ingiuriose alla bontà e giustizia di Dio, e cosi contrarie alla dottrina della Chiesa, mercecché non solo non abbandona Egli, o rigetta i peccatori in modo che più non somministri loro gli aiuti necessari a convertirsi ed ottenere il perdono, ma chiaramente invece promette per Zaccaria che se pentiti, ritorneranno a Lui, ne avrà pietà, e saranno come prima che li rigettasse174.

Asc,9006b:T5

Capo V. Circa lo stato di tiepidezza Asc,9006b:T5,1,1

Difficoltà Come non avremo giusto timore di essere abbandonati noi peccatori, se il Signore esige che siamo santi e perfetti come il nostro Padre celeste175, anzi si protesta che comincerà a rigettare da sé colui che non lo serve con tutto il fervore che Egli desidera? Infatti perché sei tiepido, minacciò Iddio il Vescovo di Laodicea, comincerò a vomitarti dalla mia bocca176

Asc,9006b:T5,1,2

. Ora chi oserà assicurarsi di servire Dio con fervore, e perciò di non essere in questo stato di tiepidezza? Ed in tale caso non equivale questo all'essere da Dio abbandonati, mentre comincerebbe a privarci delle grazie e lumi, sì che non faremmo più che languire nel cammino della virtù, e questo languore quasi etisia spirituale porterebbe in fine alla dannazione eterna?

È vero che il Signore vuole che siamo santi e perfetti, e ci propone per modello da imitare la santità e perfezione sua e del Padre suo celeste; contuttociò Egli certamente non esige che arriviamo ad una santità superiore a quella cui può giungere con la sua grazia la nostra umana debolezza. Iddio giusto non comanda l'impossibile, anzi nemmeno cose difficili, sì che il giogo della divina legge essendo soave, non aggrava chi lo deve portare177

In quanto poi alla minaccia di rigettare chi lo serve con tiepidezza, prima di venire alla soluzione della difficoltà, si osservi, di grazia, che i sacri espositori Cornelio a Lapide, Menochio, Duhamel, e Monsignor Martini suppongono tiepidi quelli i quali procurano di schivare i peccati più deformi

, perché dice S. Agostino, Iddio nostro Padre non impone precetti difficili ai figli che ama.

178, e sono così accecati che, per non trovarsi rei di più gravi colpe, si gloriano della loro innocenza, e si immaginano di essere ricchi di virtù e di meriti179

Menochio intende anche per tiepidi quelli i quali non ardiscono commettere ad occhi aperti gravi peccati, e perciò si credono giusti, e non curandosi di vivere con maggior purezza e perfezione, secondano facilmente i loro disordinati appetiti, e commettono senza ribrezzo alcuno qualunque colpa che non reputino mortale

.

180

O sono quelli finalmente che vorrebbero servire a due padroni, cioè a Gesù Cristo ed al mondo, e non sanno mai a quale partito appigliarsi, come dicono Bossuet, Duhamel e Monsignor Martini

.

181

Asc,9006b:T5,1,3 .

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Ciò posto, in quanto al Vescovo di Laodicea, il quale cominciava a muovere a nausea il Signore per la sua tiepidezza, egli si gloriava di essere in tanta abbondanza di ricchezze che di nulla più abbisognasse182

O secondo la comune degli espositori si vantava di essere ricco di beni spirituali, ed era perciò assai deplorabile il di lui stato; anzi, Monsignor Martini dice che in questo vescovo la tiepidezza era in se stessa peggiore del freddo assoluto, a motivo della vanità e falsa fidanza unita alla tiepidezza.

, cioè ricco di beni temporali, poiché Laodicea era città molto ricca, come nota il Cardinale Baronio all'anno 62 di Gesù Cristo secondo Tacito, Strabone ed altri, e per questa causa divenne povero e tiepido nelle cose spirituali.

Era egli perciò veramente povero, cieco e nudo, come gli fece dire il Signore, appunto per tre cause, cioè: 1o povero in quanto non aveva la carità ardente, come si richiedeva in un vescovo, il quale come tale ha l'obbligo di essere perfetto183; 2o cieco per mancanza di umiltà e considerazione dei novissimi, per cui accecato dalla superbia, anziché riconoscere la sua povertà, si gloriava piuttosto di essere ricco di buone opere, sì che gli pareva di non avere più bisogno di altro per assicurarsi la salute, poiché appunto per unguento da illuminare gli occhi suggeritogli dal Signore, s'intende l'umiltà e la considerazione dei novissimi184; 3o finalmente nudo in quanto essendo le sue opere buone guaste dalla vanità ed ipocrisia, era nudo di meriti e di virtù cristiane e convenienti all'eminenza del suo grado185

Non era forse questa tiepidezza uno stato terribile per un vescovo? .

Asc,9006b:T5,1,4

E supponendo eziandio… E supponendo eziandio che non fosse di quelli i quali per vedersi esenti dai peccati più deformi, si insuperbiscono a segno di credersi buoni, e vantano la loro innocenza (come pare più probabile secondo le spiegazioni sopraccennate, e come si può dedurre dall'essere stato dichiarato misero e miserabile, povero, cieco e nudo); l'essere disposto a commettere ad occhi aperti qualunque peccato che non reputasse mortale, non era forse una disposizione a cadervi quanto prima? E perciò non disse che già attualmente lo rigettasse, ma che per questa tiepidezza già gli veniva a nausea, di modo che, cadendo poi nel peccato mortale, lo avrebbe rigettato, cioè privato della sua amicizia. Ora una tale cattiva disposizione specialmente in un vescovo cui, come osserva Bergier, non basta essere esente dai vizi, ma sono necessarie le virtù, quali sono una carità ardente, uno zelo infaticabile ed un coraggio a tutta prova, non meritava forse la minaccia fattagli? Ma una tiepidezza di tale sorta non è poi, dice Bergier, da paragonarsi allo stato di un'anima debole che si sente bensì poco coraggio ed inclinazione per soddisfare ai suoi doveri, ma tuttavia li adempie, che si immagina di essere ognora vicina a soccombere al peso delle sue obbligazioni, ma tuttavia si sostiene, che si sente naturalmente portata a rattiepidirsi, ma si fa violenza. Non è da mettere in confronto la dimenticanza dei propri doveri con qualche poco di negligenza nelle pratiche di pietà; una negligenza che reca danno alla Chiesa, con un languore che non pregiudica veruno; l'inazione o inerzia colpevole in una carica importante, con i difetti di debolezza nella vita oscura e privata: non vi è certamente alcuna somiglianza tra queste due sorta di tiepidezze.

Asc,9006b:T5,1,5 Pure ammiriamo la bontà di Dio il quale, come dice S. Ambrogio, non fulmina tosto il castigo che meritiamo, ma tuona acciocché prima che cada la saetta ci emendiamo186

Laonde ti consiglio, gli disse, di comprare da me l'oro della carità purificata da ogni vanità ed ipocrisia, non tiepida, ma ardente, affinché così diventi veramente ricco; ti consiglio di vestirti di abiti puri e candidi con una vita casta ed innocente; finalmente ti consiglio di medicare

. Così fece appunto Iddio con questo tiepido vescovo: amorevolmente lo avvertì del suo pericolosissimo stato e gli suggerì gli opportuni rimedi per ravvivare il fervore.

187

No, queste non sono minacce di un Dio che ami rigettare da sé le sue creature per qualche negligenza che si usi nel servirlo. Egli merita bensì, dice il sullodato Bergier

gli occhi tuoi con la considerazione dei novissimi, essendo ottimo unguento questo per guarire dalla cecità della mente.

188, di essere da noi

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servito con tutto il fervore degli Angeli, ma attesa l'infinita sua bontà, si degna di adattarsi alla nostra debolezza, e perciò ci sopporta, continuamente ci ammonisce della nostra negligenza, non perché ci voglia rigettare, ma per il desiderio che ha del nostro bene, ci esorta al fervore, affinché avanzandoci nelle virtù, assicuriamo la nostra salute e ci arricchiamo di maggiori meriti e gloria per l'eternità. Ed infatti se Iddio disse a questo vescovo che, sebbene in tanta tiepidezza, appunto perché lo amava, lo correggeva e lo esortava al fervore ed alla penitenza, e per eccitarvelo maggiormente, gli mise in vista il premio eterno onde l'avrebbe rimunerato, quanto meno abbiamo noi motivo di abbatterci e sgomentarci nel divino servizio!

Asc,9006b:T5,1,6 Confidiamo anzi molto in Dio, perché questo languore spirituale, dice Bergier, procede appunto dalla mancanza di confidenza in Lui e dall'idea falsa che ci formiamo della severità che gli si attribuisce: speriamo in Dio, e lo ameremo con maggior ardore, né troveremo più cosa alcuna difficile per dimostrargli il nostro dovuto amore. Se nello stato di abbattimento in cui siamo non ci è dato di fare grandi cose, inanimiamoci però a compiere quanto la nostra debolezza acconsente, e Dio ce ne terrà conto. E come delle due piccole monete date in elemosina dalla povera vedova ricordata nel Vangelo avrà riguardo non all'importanza dei nostri servizi, sì alla buona volontà con la quale glieli offeriamo.

Asc,9006b:T6

Capo VI. Circa le ricadute nei peccati Asc,9006b:T6,1,1

Prima difficoltà Come mai un infelice peccatore dopo essere ricaduto nel peccato, potrà sperare di rialzarsi e convertirsi a Dio e di nuovo ottenerne il perdono? Poiché se, come è verissimo, è già necessaria una grande misericordia del Signore e la stessa sua onnipotenza per cavarlo dallo stato del peccato la prima volta, assai maggiore sarà la difficoltà ogni qualvolta vi ricade. Quale terribile castigo non deve pertanto aspettarsi questo disgraziato, mentre a quell'infermo paralitico da trentotto anni Gesù Cristo minacciò peggio se fosse ricaduto nella colpa189? Anzi, disse in una sua parabola che in caso di ricaduta rientrerebbe a prendere possesso dell'anima non solo quel Demonio che ne era stato cacciato, ma ne sarebbero con lui entrati sette altri peggiori, e l'avrebbero stretta in catene più forti di prima190

Asc,9006b:T6,1,2 .

I Ss. Padri191

Il senso mistico di questa parabola viene pure applicato dai sacri interpreti alla ricaduta nella colpa; e quindi se si tratta di peccati mortali, certamente bisogna essere molto solleciti per evitarli, sia per non fare il più grave dei torti a Dio, cacciandolo dall'anima nostra per introdurvi il Demonio, come se dopo aver provati ambedue questi padroni, trovassimo cosa migliore servire al Demonio che a Dio, il che sarebbe il colmo dell'ingratitudine; sia ancora per non abituarci nel peccato, per cui si renderebbe certamente più difficile l'emendazione.

applicano questa parabola ai giudei, dai quali in virtù dei meriti del futuro Messia per mezzo della legge antica era stato cacciato il Demonio, ed era in essi rientrato per il rifiuto della legge di grazia loro predicata da Gesù Cristo, il quale perciò a cagione della loro ingratitudine aveva predetto che sarebbero loro sopravvenuti peggiori castighi, cioè la rovina della città di Gerusalemme e sarebbero stati per sempre senza Profeta, senza tempio e senza sacrificio.

Asc,9006b:T6,1,3 Sebbene però dobbiamo procurare con tutto l'impegno di evitare le ricadute, tuttavia se per disgrazia ci trovassimo in tale stato, non dobbiamo perdere di vista che ciò che è difficile a noi, non lo è a Dio, cui tutto è possibile192, tanto più che ha promesso di accordarci la sua grazia proporzionata ai nostri bisogni, di modo che dove abbondò il peccato, fa Egli soprabbondare la sua grazia193, liberando così il peccatore che, animato da soave speranza, viene a Lui per ottenerne non solo il perdono, ma, e tuttavia, la forza per emendarsene.

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Ed invero se non avesse più voluto perdonare a chi ricadde nel peccato dopo il perdono accordatogli, non avrebbe detto a S. Pietro di assolverlo sino a settanta volte sette, cioè ogni qualvolta avrebbe debitamente confessato il suo peccato, come dice il Concilio di Trento194

Se poi si tratta di colpe veniali, procuriamo, per quanto è possibile, di non commetterne con piena deliberazione, e vie meno attaccarvi il cuore; sì accorgendoci di essere caduti, domandiamone a Dio perdono con il proposito di emendarcene tosto, poiché in quanto alle non pienamente volontarie, S. Giacomo ci avverte che purtroppo ne commetteremo anche molte

. Né si opponga che le chiavi furono anche date da Gesù Cristo a S. Pietro per ritenere i peccati, cioè per chiudere il Cielo ai peccatori, poiché le chiavi furono a lui date per aprirlo ai peccatori ben disposti, che se esse non lo aprono a quelli che non sono disposti, non sono le chiavi che ad essi chiudono il Cielo, ma è la loro ostinazione nel peccato che impedisce alle chiavi di aprirlo.

195; conciossiaché se per specialissimo privilegio si eccettui Maria Santissima e qualche altro Santo, i medesimi grandi amici di Dio non ne andarono affatto esenti196.

Asc,9006b:T6,2,1

Seconda difficoltà Seconda difficoltà È vera illusione la promessa che fa Iddio di perdonare al peccatore ogni qualvolta ritorni a Lui pentito e risoluto di mutare modo di vivere; ed è piuttosto un burlarsi del peccatore, mentre dall'una parte lo stimola, lo esorta, lo chiama, anzi lo obbliga a convertirsi, a cambiare vita, e dall'altra gli protesta di essere impossibile per lui il pentimento. Infatti dice la Scrittura: È cosa impossibile che coloro i quali sono stati una volta illuminati, hanno anche gustato il dono celeste, e sono stati fatti partecipi dello Spirito Santo… e sono (poi) precipitati (in qualche peccato), si rinnovellino un'altra volta a penitenza197

Asc,9006b:T6,2,2

. Dopo tale protesta, chi potrà sperare salute? Poiché o siamo già ricaduti nei peccati o vi possiamo ricadere, e per così fatta sventura sarebbe impossibile il rinnovarci a penitenza ed ottenerne il perdono.

Lungi da noi sì funesti e falsi concetti delle divine promesse, e di Dio medesimo. Cornelio a Lapide appoggiato a S. Giovanni Crisostomo, Teodoreto, Teofilatto, Ecumenio, Aimone, Sedulio, Primasio, S. Ambrogio, S. Gerolamo, S. Agostino ed altri, dice essere opinione di quasi tutti gli antichi, che l'Apostolo intende in questo luogo condannare quelli i quali credevano potersi reiterare il battesimo a chi, dopo averlo ricevuto, fosse ricaduto in colpe gravi, perché gli ebrei, rinnovando sovente i loro battesimi legali, fatti poi cristiani, credevano di poter di nuovo ricevere il battesimo ogni qualvolta avessero mortalmente peccato. In questo solo senso lo spiegano Duhamel e Mons. Martini, il quale dice con Cornelio a Lapide, che per illuminati si intendono i battezzati, come si ricava da Origene, dalla versione Siriaca, e dai più antichi Padri e Teologi Greci; onde Monsignor Martini ci fa osservare con S. Agostino, che non dice l'Apostolo impossibile la penitenza a coloro i quali sono caduti dopo il battesimo, ma che è impossibile quella rinnovazione la quale è effetto del battesimo, e per cui tutta si rimette e la colpa e la pena, perché il battesimo non può conferirsi più di una volta.

Asc,9006b:T6,2,3 E sebbene tra i moderni interpreti alcuni intendano il Sacramento della penitenza, e spieghino la parola impossibile per molto difficile, tuttavia osservano Cornelio a Lapide, Tirino, e Menochio, che si deve intendere così difficile non per qualunque peccatore, ma solamente per quelli ingratissimi, come sono gli apostati o eresiarchi ostinati, dei quali fra tanti non si sa di altri che si sia di nuovo convertito, fuorché di Berengario198

Potrebbe anche intendersi del Sacramento della penitenza in quanto, sebbene non sia impossibile assolutamente parlando, tuttavia è assai difficile che si apportino al Sacramento della penitenza disposizioni tali e tale intensità di dolore, che venga rimessa non solo la colpa e la pena eterna, ma ancora tutta la pena temporale, sì che l'anima sia riabbellita e monda, e che venendo a morire in tale stato, se ne voli incontanente al Cielo come succede nel battesimo.

.

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Da queste parole, male intese, ebbe origine ai tempi di S. Cipriano, l'eresia di Novato e dei Novaziani, i quali insegnavano che i ricaduti nel peccato dopo il battesimo non dovevano più ammettersi al Sacramento della penitenza, né al perdono. Così pure Tertulliano falsamente insegnò non doversi ammettere più di una volta a penitenza quelli che avessero commesso qualche peccato disonesto. Ma tutti questi errori furono già da gran tempo condannati dalla Chiesa, perché quantunque gravi e molte siano le iniquità commesse dal peccatore, se pentito di cuore si converte e fa, potendo, la sua confessione, Iddio ha promesso di scordarne tutte le colpe199.

Asc,9006b:T6,3,1

Terza difficoltà Terza difficoltà Ma non paragona forse Iddio i peccatori ricaduti nelle colpe dopo il perdono, o che ai benefici di Lui non furono grati, non li paragona forse, dico, a quella terra che beve la pioggia che frequentemente le cade in grembo… Che se poi delle spine produce e dei triboli, ella è riprovata e prossima a maledizione, il cui fine è di essere bruciata200

Asc,9006b:T6,3,2

? Se perciò tutti dobbiamo confessarci ingrati ai benefici di Dio, oltre all'essere o ricaduti, o all'avere giusto timore di ricadere nei peccati in avvenire, come non temeremo altresì di esserne per questo riprovati da Lui e maledetti e di finirla nel fuoco eterno?

Cornelio a Lapide dice che appunto qui conferma l'Apostolo quanto aveva detto prima, cioè che il peccato dell'apostasia commesso dopo tanti lumi, grazie e favori da Dio ricevuti, è gravissimo e quindi vicino l'apostata ad essere maledetto, il quale, se non si emenda, dovrà sentirsi fulminare la sentenza di eterna maledizione nel fuoco di inferno201

Si osservi inoltre che qui non si tratta di terra semplicemente sterile, la quale rende scarso frutto alle fatiche e mezzi impiegati dall'agricoltore per renderla feconda, simile a chi fosse negligente nell'operare tutto quel bene cui si sente da Dio sollecitato, ma si tratta di una terra così cattiva che sebbene sovente innaffiata di celeste rugiada, proterva non solo non produce alcun frutto, ma anzi apporta maggiori fatiche al coltivatore nell'estirpare i triboli e le spine che germoglia; simile perciò questa terra a quei peccatori che nonostante i mezzi di salute, i lumi, le grazie ed inviti a cambiare vita e produrre frutti di opere buone; ingrati altro non corrispondono a Dio che triboli e spine pungenti di peccati, e perciò vivendo in disgrazia di Lui, a tutta ragione sono da Egli detestati, reproba est; tuttavia non li chiama ancora assolutamente maledetti, ma soltanto maledicto proxima, vicini ad essere maledetti, cioè condizionatamente in quanto se non si emendano, saranno colti dalla morte quando meno lo pensano, e dovranno subire la sentenza di maledizione al fuoco eterno

.

202.

Asc,9006b:T6,4,1

Quarta difficoltà Quarta difficoltà Ma se, come dice chiaramente l'Apostolo, volontariamente peccando, noi dopo ricevuta la cognizione della verità, non ci resta già ostia per i peccati203

Asc,9006b:T6,4,2

, come potremo sperare il perdono dopo tante ricadute nelle colpe?

Dicono Cornelio a Lapide, Tirino e Menochio, che qui parla l'Apostolo solamente del peccato dell'apostasia, e lo spiegano bensì difficile ad essere rimesso204

Soggiungono però Cornelio a Lapide e Tirino che, in senso proprio e rigorosamente parlando, agli ebrei apostati da Gesù Cristo ritornando al giudaismo, non rimaneva ostia veruna di propiziazione e speranza di perdono, in quanto essi, mentre continuavano nella loro apostasia, non potevano trarre alcun giovamento per la loro salute né da Gesù Cristo che rinnegavano, né da un altro Messia che

, ma tuttavia (come dopo osserva lo stesso Cornelio a Lapide) ben lungi questa dall'essere dottrina della Chiesa, sarebbe anzi un rinnovare l'errore proscritto dalla Chiesa nei novaziani, i quali non volevano ammettere al beneficio della penitenza gli apostati, quantunque di cuore detestassero i loro peccati.

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non era per venire mai, né dai sacrifici dell'antica legge perché abrogati e di nessuna efficacia, di modo che per essi, finché erano ostinati in tale stato, non vi era più né sacrificio, né perdono, ma restava soltanto la terribile giustizia di Dio. Duhamel spiega pure questo passo specialmente degli ebrei apostati da Gesù Cristo, e dice che disprezzando con l'apostasia il sacrificio da Lui offerto sopra la croce, non ne rimaneva loro alcun altro per espiare i loro peccati. Così pure lo spiegò Bergier205, cioè che non rimaneva loro altra vittima per cancellare i peccati, mentre essi disprezzavano e calpestavano quella sola che poteva cancellarli, cioè Gesù Cristo. È cosa veramente terribile, soggiunge egli, il cadere in tale stato nelle mani di quel Dio da essi rinnegato e calpestato, ma queste conseguenze funestissime non si possono applicare a tutte le ricadute nei peccati.

Asc,9006b:T6,5,1

Quinta difficoltà Quinta difficoltà Al considerare che nessuno dopo aver messo la mano all'aratro, cioè a servire il Signore, egli volga indietro lo sguardo, con il fermarsi o deviare dal divino servizio, è buono per il regno di Dio206

Asc,9006b:T6,5,2

, chi potrà darsi a credere di non essere stato mai in questo caso? Come perciò si potrà godere pace, temendo così fondatamente di non essere buono per il regno dei Cieli?

Si tratta nelle annunciate parole di un uomo, il quale chiamato da Gesù Cristo ad essere suo seguace, rispose: Io ti seguirò, ma permetti che prima io vada a dire addio a quelli di casa mia. In quest'uomo prevedendo il divino Maestro quegli altri ai quali perché consacratisi al servizio di Dio e ad una vita migliore e più perfetta è proibito di ritornare a quelle cose che devono aver già abbandonato, si valse della metafora degli aratori, i quali per non uscire dal solco, fa d'uopo che abbiano sempre gli occhi all'aratro. Con ciò volendo persuadere i suoi ministri al necessario distacco da ogni sollecitudine terrena, propose la similitudine dell'aratore che, se si volge indietro, non potrà più riuscire bene nell'arare il campo; onde Duhamel dice che volle insegnarci non dovere un buon ministro evangelico essere distratto da sollecitudini estranee al suo sacro ministero. Così pure dicono Menochio e Tirino, i quali accoppiano queste parole a quelle altre di S. Paolo: Nemo militans Deo implicat se negotiis sæcularibus207.

Asc,9006b:T7

Capo VII. Circa il numero degli eletti Asc,9006b:T7,1,1

Prima difficoltà Non possono i peccatori nella religione cattolica aver fondato motivo di sperare la salute, ancorché abbiano tutta la buona volontà di convertirsi. Infatti se molti teologi, appoggiati a chiari testi della Scrittura ed al sentimento dei Padri, guardano come articolo di fede che ben pochi si salvano208, non è forse temeraria presunzione sperare dopo tanti peccati di essere ancora nel numero così scarso degli eletti? Eppure è chiaro dal testo di S. Matteo che molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti209

Asc,9006b:T7,1,2 .

Prima di spiegare il senso di questa sentenza, conviene in primo luogo osservare con Bergier, che in questa sentenza circa la questione se siano molti o pochi quelli che si salvano, regna tanta disparità di giudizi tra i commentatori cattolici e gli stessi Ss. Padri, che sarebbe necessario un intero volume per raccoglierne i sentimenti; né la Facoltà di teologia ha inteso di censurare gli espositori cattolici, anzi, appunto fu dalla Chiesa condannato il P. Berruyer, perché spiegò la parola eletti i salvi o i fedeli, ad esclusione di ogni altro senso. E perciò quale dogma, dice il citato Bergier, si può fondare sopra un testo suscettibile di tanti sensi? Anzi la Chiesa Santa, cui spetta decidere le questioni, non ha dato mai alcuna sentenza a questo riguardo, e disse soltanto che a Dio solo è noto il numero di quelli che andranno in Cielo210.

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Che se vi è qualche uniformità nei Padri è in ciò che ordinariamente, secondo Cornelio a Lapide, anzi tutti (eccettuato S. Basilio, il quale lo spiega di un qualche premio temporale) intendono per il denaro diurno distribuito a tutti gli operai la vita eterna, e perciò, continua Cornelio a Lapide, molti vogliono che in questa parabola intenda il Signore parlare dei soli eletti, e non dei reprobi, e fra questi molti cita S. Gerolamo, S. Agostino, S. Giovanni Crisostomo, S. Gregorio Nazianzeno, S. Anselmo, Tertulliano, S. Tommaso, il Maldonato, Suarez, Valenzia, cui si aggiungano il venerabile Cardinale Bellarmino, il Salmerone, e Paolo de Palacio di Granata; e chiama questa esposizione molto probabile, perché così meglio si spiega come lo stesso denaro sia dato a tutti gli operai.

Asc,9006b:T7,1,3 È pure in secondo luogo molto opportuna l'osservazione del Salmerone211

Infatti si legge che, interrogato il Signore da un giovane quale cosa avesse da fare per salvarsi, gli rispose essere necessaria l'osservanza dei comandamenti, che se poi desiderava essere perfetto, se ne andasse a vendere ciò che aveva, lo desse ai poveri, e quindi ritornando da Lui, lo seguisse. Udite il giovane queste parole, se ne andò afflitto perché aveva molte possessioni

e di Cornelio a Lapide, i quali dicono che si deve cercare lo scopo di detta parabola dal capo antecedente, poiché questa non è che una delucidazione della conclusione del capo 19, v. 30, multi erunt primi novissimi, et novissimi primi, affatto simile e quella del capo 20, v. 16, come si può dedurre dalla particella congiuntiva enim, che si legge al capo 20, v. 1, nel testo greco ed in alcuni codici latini corretti, cioè simile est enim, etc., e dall'altra sic della conclusione del capo 19, e del capo 20, v. 16.

212

Asc,9006b:T7,1,4 .

Da questo fatto e dalle parole che il divino Maestro soggiunse, prese motivo S. Pietro di interrogarlo, dicendo: Ecco che noi abbiamo abbandonato tutte le cose e ti abbiamo seguito: che sarà dunque di noi213? E Gesù disse loro: In verità vi dico che voi che mi avete seguito, sederete sopra dodici troni e giudicherete le dodici tribù d'Israele; e chiunque per amore del mio nome avrà abbandonato i beni del mondo riceverà il centuplo, e possederà la vita eterna214

In così fatta magnifica promessa, per quanto è dignità, Gesù Cristo preferisce dunque gli Apostoli ai Patriarchi, ai Profeti, essendo cosa chiarissima che i giudici sono superiori ai giudicandi; e per quanto è merito li antepone a quel giovane che, sebbene fin dalla fanciullezza esattamente avesse osservato i comandamenti, la quale cosa per avventura non avevano, almeno tutti, fatto gli apostoli, per l'amore però ai beni della terra non l'aveva seguito.

; e dette queste parole, concluse il discorso dicendo: E molti primi saranno ultimi, e molti ultimi saranno primi.

Ma perché la conclusione del discorso, molti primi saranno ultimi, e molti ultimi saranno primi poteva riuscire ai discepoli intricata assai ed oscura, così a spiegarla più apertamente Gesù Cristo propose loro la parabola degli operai, i quali mandati a lavorare nella vigna del padre di famiglia nelle diverse ore di prima, terza, sesta, nona, sino alla undecima, venuta la sera furono dal fattore, per ordine del padrone, chiamati a ricevere la mercede, cominciando dagli ultimi fino ai primi, e ricevettero un danaro per ciascuno; concluse allora la parabola, e disse loro: Così saranno gli ultimi i primi e primi gli ultimi, imperocché molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti215.

Asc,9006b:T7,1,5

Ciò premesso… Ciò premesso, dice l'esimio Suarez, essere contrario alla comune sentenza dei Padri voler spiegare questa parabola per il piccolo numero dei salvi, né senza violentarla grandemente, potersene interpretare la conclusione in modo che accenni ai giusti ed ai reprobi. Infatti, dice egli, come avrebbe il padrone fatto chiamare tutti gli operai e dato a ciascuno un danaro per il quale, secondo i Padri, è significata la vita eterna, se tutti non ne fossero stati degni? E come si potrebbe spiegaré ciò che rispose il padrone a quelli che mormoravano: Voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te216, se non avesse distribuita una qualche mercede comune a tutti? E perciò, continua il Suarez con il Salmerone: molti i quali sono i primi nella vocazione, sono gli ultimi nel premio, e viceversa. E questa esposizione, dice il Salmerone essere la più adattata al senso letterale, e il Suarez soggiunge essere la più semplice ed ovvia; sì perché è secondo il significato delle parole stesse, come perché ciò sì vede praticato in tutto il corso della parabola, essendo stati chiamati chi

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prima, chi dopo al lavoro, e poi per ordine inverso ricompensati dal fattore per ordine espresso del padrone. Inoltre, se si osserva che i primi chiamati non furono lasciati gli ultimi, perché si volesse negare loro la ricompensa, ma anch'essi ricevettero il danaro convenuto, subito si scopre un controsenso nell'intendere per reprobi quelli che ricevono una ricompensa, nella quale tutti i Padri intendono significarsi la vita eterna, come S. Gerolamo, lib. 2 contra Jovinianum, et in Matth., S. Agostino, Hom. 59, De Verb. Dom., S. Giovanni Crisostomo con i Greci, S. Anselmo, S. Gregorio Nazianzeno, Orat. 40, in S. Baptisma, S. Gregorio Magno, Hom. 16, in Ezech., tom. 2, lib. 2, e Tertulliano, De Monogamia.

Asc,9006b:T7,1,6 Salmerone è dello stesso sentimento (tom. 7, tract. 33, paragr. Est igitur, etc.) dove dice che scopo di questa parabola è paragonare i Ministri del nuovo con quelli dell'antico Testamento, dove quelli del nuovo sono preferiti. Maldonato dice che lo scopo è di significare la mercede eterna non corrispondere soltanto al tempo che si è impiegato nel lavoro, perché altri può lavorare più in un'ora che non questi in un giorno217

Cornelio a Lapide che in appoggio alla sua sentenza cita diversi autori, dice che le parole molti primi saranno ultimi, e molti ultimi saranno primi si devono intendere in questo senso, che molti sono i chiamati alla grazia ordinaria ed all'osservanza dei divini comandamenti, ma pochi essere gli eletti a professare i consigli evangelici.

, onde nessuno può gloriarsi della priorità della sua vocazione, perché erunt multi primi novissimi, et novissimi primi.

E veramente, se si consideri la causa di questa parabola, il fatto cioè di quel giovane che chiamato da Gesù a seguirlo nella vita apostolica, se ne andò afflitto, abiit tristis, vale a dire non corrispose alla vocazione, la sentenza del celebre commentatore si appalesa come la più conveniente e letterale (f).

Asc,9006b:T7,1,7

Per convincerci… (f) Per convincerci maggiormente che il senso letterale della parabola pare che non riguardi i reprobi, si osservi come con le spiegazioni date si conciliano tutte le parole della parabola nel loro senso più ovvio. In primo luogo con i primi convenne della ricompensa in specie; ai chiamati all'ora terza, sesta e nona fu promessa soltanto in generale, con gli ultimi poi non se ne fece nemmeno parola218

Asc,9006b:T7,1,8

. Nei primi, dice Salmerone, sono presentati generalmente i Padri che vissero nella legge naturale, o gli imperfetti cristiani; nei secondi i proficienti; negli ultimi i perfetti nella pratica della virtù, oppure, nei primi quelli dell'antico Testamento e gli imperfetti, i quali servono Dio principalmente in vista della ricompensa futura; e negli ultimi i perfetti od i Ministri apostolici, od i religiosi che servono Dio per amore senza riguardo al premio.

In secondo luogo, i primi chiamati furono gli ultimi pagati, e viceversa, gli ultimi chiamati furono i primi a ricevere la ricompensa. Ora, se si intendono quelli dell'antico Testamento chiamati i primi ad operare la loro salute, veramente, dice il venerabile Cardinale Bellarmino con il Salmerone ed altri, i cristiani sono più presto pagati, sebbene gli ultimi chiamati; poiché Adamo, Noè e tutti i Patriarchi e Profeti, non solo dovettero lavorare più lungo tempo, ma anche dopo morte ebbero ad aspettare nel Limbo la loro mercede per centinaia ed anche migliaia di anni; all'incontro gli Apostoli ed i Martiri lavorarono per breve tempo, e subito dopo morte ne ebbero la ricompensa. O, come spiega Salmerone con S. Ireneo (Adv. Hæres., lib. 4, IV, sub fin.), perché gli Apostoli videro e conversarono anche vivendo con Gesù Cristo il quale, come Dio, è l'oggetto della beatitudine, onde disse loro: Beati oculi qui vident quæ vos videtis (Luc. 10, 23). Se poi si intende degli imperfetti e dei perfetti, chi non sa con quanta pena si operi la salute da chi è attaccato alla terra, e come a cagione dei loro difetti avranno essi ad attendere, dopo un lungo Purgatorio, la ricompensa del poco bene che fanno?

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All'incontro i perfetti e quelli specialmente che osservano i consigli evangelici, servono giocondamente il Signore senza tante sollecitudini, e morendo con meno difetti da scontare, ne avranno ben presto e più copiosa la ricompensa.

Asc,9006b:T7,1,9 In terzo luogo, venendo infine i primi, si immaginavano di dover ricevere più degli altri, e vedendosi delusi, ne mormorarono contro il padrone219. Pensano e parlano da imperfetti, e perciò quelli dell'antica legge, attesa la loro più lunga vita e maggior difficoltà ad operare la loro salute per la mancanza del soccorso dei Sacramenti, per la minor grazia e minor stimolo alla virtù, per non averne ancora la strada battuta dagli esempi di Gesù Cristo, e per simili altri motivi, pensavano di aver da ricevere maggior ricompensa di quelli del nuovo Testamento, favoriti di tanti mezzi e grazie. E così si dica degli imperfetti cristiani, ai quali per il loro attacco ai beni terreni, riesce più grave l'osservanza dei precetti di quel che torni penosa l'osservanza dei consigli stessi evangelici, onde falsamente si immaginano di averne da godere maggior ricompensa a proporzione delle maggiori difficoltà che hanno da vincere per fare il bene, e quindi, sì gli uni che gli altri, ne mormorano come fecero i giudei quando a sé videro, attesa la loro indocilità, preferiti i gentili chiamati alla fede, e come fanno talora gli imperfetti cristiani, i quali non regolandosi nei loro giudizi secondo i lumi della fede, mormorano contro i religiosi e Ministri evangelici, quasi fossero persone inutili alla società, né siano degni di uguale e molto meno di maggior ricompensa della loro. Ma Iddio farà vedere che non fa né ingiustizia, né torto nel preferire questi disgraziati220

Asc,9006b:T7,1,10

, poiché sopra ogni altra cosa Egli pregia la maggior carità, grazia e purità d'intenzione che accompagna le buone azioni.

In quarto luogo il padrone chiama bensì maligno, ma non gravemente, l'occhio, ossia la maniera di pensare e ragionare degli operai mormoratori, il che è ordinario agli imperfetti; oltre che non lo dice in modo assertivo, ma interrogatorio, come se dicesse: E volete voi guardare con occhio maligno un atto di bontà221

Asc,9006b:T7,1,11

che io voglio usare con questi ultimi, senza fare alcun torto a voi, mentre vi ho dato quanto fu tra noi convenuto?… Cioè come pure si legge in Giobbe: Num oculi carnei tibi sunt (capo 10), cui si sottintende: absit.

In quinto luogo si dicono tutti pagati egualmente222

S. Gregorio Nazianzeno apporta a questo proposito diverse ragioni, per cui furono egualmente ricompensati gli ultimi ed i primi chiamati, cioè: 1o perché se quelli fossero stati chiamati prima

per quanto spetta alla sostanza della beatitudine, che consiste nella visione beatifica significata nel denaro diurno a tutti distribuito, sebbene come dice S. Gregorio Magno (Hom. 16, In Ezech., lib. 2, tom. 2, p. 83), Salmerone e Bellarmino (Opusc., lib. 5, tom. 2, p. 205), di questa stessa essenziale beatitudine ciascuno ne godrà a proporzione dei meriti; e così si concilia questo passo con l'altro che dice esservi in Cielo molte mansioni, e che questi sia costituito a reggere dieci, l'altro cinque città, spiegandosi per questo modo la diversità della gloria corrispondente ai meriti, e come a tutti nello stesso tempo sia data la moneta medesima, cioè la beatitudine eterna.

223

Asc,9006b:T7,1,12

sarebbero andati subito, onde per la loro buona volontà meritarono ugualmente; 2o si fidarono della bontà del padrone riguardo alla ricompensa, non così gli altri i quali convennero della mercede; 3o perché li vide disposti ad accettare con riconoscenza quello che loro avrebbe dato, ed all'incontro previde il malcontento degli altri (Orat. 40, in S. Baptisma).

Finalmente conclude il divino Redentore la sua parabola con dire: Sic erunt, etc., cioè come dice Salmerone per le addotte ragioni, ed in questa maniera per effetto della mia bontà e liberalità, quelli chiamati gli ultimi, sebbene usino minor fatica e li servano per più breve tempo, ma con maggior grazia e fervore di carità di quelli che avranno sopportato maggior fatica e mi avranno per più lungo tempo servito con minor grazia, fervore e purità d'intenzione.

Asc,9006b:T7,1,13

In quanto poi al capo 22…

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In quanto poi al capo 22, v. 14 di S. Matteo, dove nella parabola degli invitati dal Re alle nozze del figliuolo suo, il Signore conclude con la stessa sentenza: Molti sono i chiamati, e pochi gli eletti; il vero senso è facilmente spiegato dalle parabole antecedenti, poiché il capo 22 è la continuazione del 21, come si scorge dalla particella congiuntiva: E Gesù ricominciò a parlare: Et respondens Jesus. Ora la parabola dei due figli mandati dal padre di famiglia a lavorare nella vigna (capo 21, v. 28); quella dei servi e del figlio erede uccisi dagli agricoltori (v. 33) e finalmente la parabola delle nozze del capo 22, v. 14 in S. Matteo, simile a quella della gran cena del capo 14 in S. Luca, tutte, ed in modo speciale quest'ultima, servono mirabilmente ad indicare che nei primi chiamati, i quali non se ne diedero per intesi, né vollero intervenirvi, sono significati gli ebrei, ai quali, come osserva il Martini e si scorge dal Vangelo, era principalmente224

Asc,9006b:T7,1,14

rivolto il discorso, poiché essi a riserva di alcuni pochi dispersi nelle nazioni infedeli, furono tutti chiamati alla fede per mezzo della predicazione e dei miracoli di Gesù Cristo e degli Apostoli: multi vocati, ma pochi si convertirono, pauci electi.

Il Padre Cesare Calino, nella lezione vigesima prima del libro primo dei Re, saviamente osserva e dice che, invece dei tre invitati espressi negli ebrei che rifiutarono l'invito, il banchetto fu pieno di mendici, di stroppiati, di ciechi e di zoppi che raffiguravano i gentili; e non di meno di tanti intervenuti al convito, uno solo fu cacciato nelle tenebre esteriori, essendo entrato nella sala non avendo la veste nuziale. Ora, se di tanti invitati uno solo non piacque e fu punito dal re, non sarebbe un controsenso il voler dire che le parole pauci electi, si devono intendere dei pochi salvi? Che se le parabole possono servire se non a prova, almeno a qualche schiarimento, si dovrebbe anzi concludere essere dunque molti quelli che si salvano e pochi all'opposto quelli che si dannano. Infatti, di dieci vergini, cinque furono introdotte ed altrettante escluse (Matth. 25). Di tre servi ai quali furono consegnati i talenti da negoziare, due furono premiati, uno solo punito (ibid.). Il Signore paragona il buon grano ai buoni, la zizzania ai cattivi (Matth. 14). Ora, se in un campo ben coltivato come è quello della Chiesa, non si trovò mai maggior quantità di zizzania che di frumento, così almeno tra i cristiani dovrebbero essere più i salvi che i perduti; e sebbene, come osserva S. Agostino, lib. 3, contra Cresconium, capo 66, la paglia figurata nei cattivi superi il grano nell'aia, che è figura della Chiesa, tuttavia se si ha riguardo, come pare certamente doversi avere, non al volume ma al numero delle paglie e dei grani di frumento, non vi è dubbio che per ciascuna paglia vi sono molti grani di frumento, quanti cioè ne contiene la spiga. Dal che ne viene essere immensamente più grande il numero dei grani destinati al granaio, che non delle paglie da gettarsi dove che sia. Inoltre paragona le pecore ai giusti, i capretti ai cattivi (Matth. 25). Ora, di via ordinaria si trovano in una greggia assai più pecore che non capretti, atteso il grave danno che questi, pascolando, arrecano agli alberi ed alle selve.

Asc,9006b:T7,1,15 Così pure i buoni pesci sono paragonati ai giusti, i cattivi ai reprobi (Matth. 13): non accade certamente mai di trovare nella rete più pesci cattivi da rigettare che buoni da raccogliere. Finalmente si rifletta che Gesù Cristo dice ai mietitori che prima raccolgano la zizzania e ne formino piccoli fasci per bruciarla, e che intanto verranno gli Angeli dal Cielo a separare i cattivi in mezzo ai giusti225

Ora l'ordine richiede e l'uso ci conferma che si separa sempre quella specie che è in minore quantità da quella che è più abbondante; anzi, quest'ordine si vede osservato in molti luoghi della Sacra Scrittura, e non all'opposto

.

226; onde S. Agostino alludendo alla suddetta parabola del grano e della zizzania, dice che si raffrenino gli empi disertori in vista della grande abbondanza del frumento che cresce per tutto il mondo, né ardiscano vantarsi di alcuni pochi grani di zizzania separati, cioè qua e là raramente dispersi227

E perciò, dice il Salmerone, non ci deve atterrire quella sentenza, molti sono i chiamati, pochi gli eletti, anzi, ci dovrebbe consolare, perché sì gli uni che gli altri ricevettero il denaro diurno della beatitudine eterna; e sebbene fossimo stati grandi peccatori, ci dovremmo animare ad operare con molto fervore il bene, poiché ne avremo a proporzione il premio; e così si avvererebbe in noi ciò

.

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che disse Gesù Cristo dei pubblicani e delle peccatrici228; potendo anzi, come dei ferventi sta scritto nel libro della Sapienza, acquistarci in breve tempo un grandissimo premio229.

Asc,9006b:T7,2,1

Seconda difficoltà Seconda difficoltà S. Paolo per altro dice che, sebbene tutti corrano, tuttavia uno solo riporta la palma230

Asc,9006b:T7,2,2

: chi perciò sarà così temerario da sperare di poter essere quell'uno sì fortunato che giunga a tanta gloria?

Questo passo ben considerato, anziché atterrirci, deve ispirarci coraggio per riportare alcuno dei primi premi, come quelli appunto che corrono alla lizza. Infatti, dice P. Cesare Calino che, sebbene tutti gli uomini, cioè: infedeli, ebrei, increduli, eretici e scismatici, corrano per giungere alla desiderata felicità, omnes quidem currunt, tuttavia riporteranno la palma quelli soltanto che correranno per la retta via della vera fede e dell'osservanza dei divini comandamenti, sed unum accipit bravium. Cornelio a Lapide cita S. Anselmo, il quale dice: Corrono nella lizza gli infedeli, gli eretici, i malvagi, ma il solo popolo dei buoni cristiani ed eletti riceve il premio231

Asc,9006b:T7,2,3 .

Il Padre Giacomo Tirino commentando questo passo, lo applica all'Apostolo, quasi dica di se medesimo, che appunto faticava quanto poteva, predicando il Vangelo senza alcuna vista di umano interesse, e si faceva tutto a tutti, senza risparmiarsi in cosa alcuna nella corsa, cioè nel ministero della vita apostolica, perché anelava al primo premio, il quale è di pochi. Concorda con Tirino il sopracitato Cornelio a Lapide, anzi aggiunge con S. Giovanni Crisostomo che, mentre S. Paolo dice che uno riceverà il premio, non nega che altri lo possano anche ricevere; e riflette inoltre che non al solo primo nella corsa, ma anche al secondo, terzo e quarto viene compartito il premio rispettivo, e che appunto S. Paolo dice unus, uno, non tre, né quattro, perché anelava a quel primo premio eccellente, che è dato non a tutti gli eletti, ma a quelli soltanto i quali, oltre l'osservanza dei comandamenti, attendino alla maggiore perfezione con il seguire eziandio i consigli evangelici. È cosa da vile, continua S. Giovanni Crisostomo, il dire basta che mi salvi, poiché ciascuno deve sforzarsi di essere dei primi, e riportare il primo premio232

Altri finalmente, segue lo stesso espositore, dicono: ciascuno corra in guisa da fare suo il proprio premio, e questo è quanto dice lo stesso apostolo Paolo

.

233

Ed infatti, se altri volesse prendere alla lettera ed in senso rigido questa sentenza, unus accipit bravium, dovrebbe concludere che la sola Beatissima Vergine Maria si sia salvata, il che non può essere; e perciò per eliminare ogni assurdo, è necessario ammettere queste spiegazioni od altre a loro somiglianti.

.

Asc,9006b:T7,3,1

Terza difficoltà Terza difficoltà S. Pietro dice che al tempo del diluvio, sebbene fosse popolatissimo il mondo, tuttavia otto sole anime si salvarono nell'arca234

Asc,9006b:T7,3,2 . Non prova forse questo che sono assai pochi quelli che si salvano?

Dal dirsi solamente otto anime salvate dal diluvio, non se ne deve dedurre che tutti gli altri affogati nelle acque si siano eternamente perduti, poiché dice S. Agostino: Questa perdita non si deve intendere della vita spirituale ed eterna, cioè dell' anima, sì della temporale, cioè del corpo; e perciò disse S. Pietro come generalmente si adopera otto anime per otto persone, come quando si dice la tale città conta tante anime, cioè persone; di modo che il testo si deve intendere che otto sole persone si sono salvate dal diluvio, e tutte le altre perirono affogate. Ma non dice la Scrittura che tutte queste si siano dannate, anzi il prelodato Dottore tiene con S. Gerolamo e Ruperto (citati da Cornelio a Lapide nella Genesi, capo 6) che molte si siano per mezzo

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della contrizione salvate. Così pure Mons. Martini, il Cardinale Bellarmino, De anima Christi, lib. 4, capo 13, e Calino, Lezioni Sacre, tom. 4, capo 4, n. 18.

Asc,9006b:T7,3,3 E veramente se ben si consideri alle circostanze di questo castigo, si può con fondamento dedurre che molti si siano salvati; in 1o luogo vedendo avverati gli avvisi e la profezia di Noè del castigo che loro era per sopraggiungere; 2o nel vedere gli animali di ogni genere, per impulso di Dio, ricoverarsi nell'arca; e finalmente lo stesso castigo lasciò loro tempo di ravvedersi e chiedere perdono, poiché vexatio dat intellectum, avendo Iddio ordinato ogni cosa al loro ravvedimento. Onde dice il Tirino che sebbene gli uomini, nel tempo che Noè fabbricava l'arca, non volessero credere alle minacce e predizioni del castigo gravissimo che era imminente, lusingandosi che Iddio li avrebbe, come per il passato, sopportati e dissimulate le loro colpe, tuttavia quando videro aprirsi le cataratte del Cielo e cominciare l'inondazione universale, si convertirono, credettero e si pentirono; di modo che sebbene siano annegati, tuttavia si salvarono e discesero al Limbo con gli altri giusti, e furono poi da Gesù Cristo, in uno con essi, liberati e condotti al Cielo. Cornelio a Lapide dice che questo è il senso genuino. Anzi osserva benissimo con il Bellarmino che, sebbene tutte le anime che erano nel Limbo siano state da Cristo liberate, tuttavia S. Pietro235

Duhamel dice che alla predicazione ed esortazione di Noè, si convertirono mentre era imminente il diluvio, e lo conferma nel versetto seguente, dicendo che se la morte di Gesù Cristo fu così efficace nel salvare quegli increduli convertiti nell'estremo pericolo della vita, quanto più ora saranno efficaci le acque del santo Battesimo per rendere partecipi della sua risurrezione le primizie dei fedeli; onde soggiunge essere molto più probabile che la maggior parte degli uomini che perirono nel diluvio, non siano stati ostinati nella prima incrudelità, quando videro inevitabile e certa la morte, perché altrimenti bisognerebbe supporli stupidi e mentecatti.

fece menzione soltanto di esse, affinché non le giudicassimo tutte perdute, come si sarebbe potuto credere facilmente.

Asc,9006b:T7,4,1

Quarta difficoltà Quarta difficoltà Mentre S. Giovanni nell'Apocalisse dice che caddero le stelle (cioè i giusti) sopra la terra, come cadono sul terreno i fichi quando soffia un gran vento236

Asc,9006b:T7,4,2

, quale cosa potranno aspettarsi i poveri peccatori?

Gli Espositori interpretano queste parole per i tempi infelici dell'ante-Cristo, cioè che nella persecuzione di esso anche i giusti di sublime santità figurati nelle stelle del Cielo cadranno in errore, come cadono i fichi quando soffia un gran vento. Così il Duhamel, il quale, al versetto 16, riferisce questa caduta dei giusti agli ultimi giorni del mondo. Tirino cita Ribera, Pereira e Cornelio a Lapide, i quali per stelle intendono le comete, i fulmini, il fuoco ed altre meteore, a guisa di stelle di nuova e prodigiosa grandezza, forma e movimento, le quali Iddio farà cadere con grande impeto sopra la terra a terrore degli uomini. È pure di questo sentimento Mons. Martini. Cornelio a Lapide, sopra le parole: sicut ficus emittit grossos suos (id est abjicit ficus immaturas) cum a vento magno movetur, dice che Iddio per i peccati degli uomini darà fine al mondo più presto di quello che essi si sarebbero immaginato, e di quel che naturalmente avrebbe potuto durare. Anzi, da tutto il contesto si vede chiaramente che in questo capo si tratta della fine del mondo, e così lo intendono i moltissimi Ss. Padri ed Autori ivi citati dal Tirino. E questa spiegazione viene confermata da quanto dice Gesù Cristo in S. Matteo, cioè che in quei tempi si raffredderà in molti la carità237; anzi, giusta quanto disse in S. Luca, in quei tempi sarà molto rara la fede238.

Asc,9006b:T7,5,1

Quinta difficoltà

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Quinta difficoltà Se, come si legge nella Sacra Scrittura, di tanti abitanti delle città della Pentapoli, tre sole persone furono salve dall'incendio239

Asc,9006b:T7,5,2

, come non saranno pure pochissimi i salvi dal fuoco eterno, essendo tutto inondato di iniquità il mondo?

Se la sola famiglia di Lot fu salva dall'incendio della città di Sodoma, per la preghiera di Lot all'opposto, in quella di Segor benché colpevole delle medesime scelleratezze, tutti gli abitatori furono salvi, come è detto nel libro della Genesi240

Anzi, sono piuttosto da considerarsi in questo fatto la bontà e clemenza di Dio, quanto sia inclinato a perdonare le colpe e quanto mal volentieri punisca i colpevoli, poiché si vede che non sapeva rifiutarsi alle preghiere, sebbene a prima vista troppo importune di Abramo, il quale avendo inteso dagli Angeli che andavano a sterminare Sodoma, pregò il Signore di perdonare la città, se in lei avesse trovato cinquanta persone giuste; e quindi, prendendo maggior confidenza dalla facilità con la quale gli aveva tutto accordato, ne diminuì il numero in più volte, sino ad ottenere che se sole dieci ne avesse potuto contare, avrebbe perdonato tutti

.

241

Inoltre se in Sodoma, in grazia di dieci giusti era disposto a perdonare tutti, si legge invece al capo 5 di Geremia che, quando per punire i delitti di Gerusalemme e della Giudea, aveva deciso di darle schiave dei loro nemici, i caldei, promise di perdonare tutti, se anche un solo giusto avesse trovato in Gerusalemme; anzi, era sì grande il suo desiderio di perdonare, che disse al Profeta di girare bene le contrade e le piazze della città, di guardare con diligenza e considerare attentamente, e cercare se si fosse trovato un tale giusto per poter così compiere l'amorosa sua brama di perdonare tutti

.

242.

Asc,9006b:T7,6,1

Sesta difficoltà Sesta difficoltà Chi potrà ancora lusingarsi di andare salvo, mentre di più di 600.000 persone che uscirono dall'Egitto, due sole entrarono nella terra promessa (che è la figura del Cielo), Giosuè e Caleb, e tutti gli altri perirono nel deserto per castigo della loro infedeltà, come leggiamo nella Sacra Scrittura243

Asc,9006b:T7,6,2 ?

È vero che dei 603.000 ebrei usciti dall'Egitto, Giosuè e Caleb furono i soli che entrarono nella terra promessa, ma all'opposto tutti i 601.730 altri, nessuno escluso, vi entrarono sotto la condotta di Giosuè, come consta pure dal libro dei Numeri, capo 26, v. 51. Cornelio a Lapide osserva inoltre al capo 14, v. 29, che questi 600.000 furono bensì puniti con la morte temporale, ma non con l'eterna, anzi, con la temporale scansarono forse l'eterna, quale si sa di Mosè ed Aronne. Anzi, come dice un dotto scrittore, non se ne deve piuttosto inferire che se era difficile il salvarsi nell'antica legge figurata in Mosè, è tanto più facile nella nuova figurata in Giosuè, il quale introdusse nella terra promessa il popolo d'Israele?

Asc,9006b:T7,7,1

Settima difficoltà Settima difficoltà Non fa orrore ciò che dice Isaia: L'inferno ha dilatato il seno ed aperta la smisurata sua bocca244

Asc,9006b:T7,7,2 ?

Questa parola infernus, è interpretata da Duhamel per sepulchrum, ed il Tirino dice che si può intendere tanto l'uno che l'altro, cioè inferno o cimitero. Cornelio a Lapide riporta la spiegazione del Sanchez, il quale per inferno intende pure il cimitero comune dei giudei, che si trovava nella valle del Cedron, in quella parte chiamata Geenna o Tophet, come si scorge dal libro IV dei Re, capo 23, cioè tanta sarebbe stata la strage di ogni ceto di persone e tanta la moltitudine dei cadaveri, che quella sepoltura comune, cioè Geenna, non potendoli contenere tutti, avrebbe dovuto allargarsi assai.

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Così ancora Geremia predice che i giudei sarebbero in detto luogo sepolti, perché ivi avevano immolato i loro figli all'idolo Moloc245

Trattandosi dunque di castighi gravissimi, è vero, ma temporali, sembra che il senso nel quale abbiamo preso le parole di Isaia si presenti come il più letterale; ma quando pure si dovesse intendere per il vero inferno, quale meraviglia se il Profeta, per esprimere la moltitudine di quelli che si sarebbero perduti nei tempi dei quali parlava, si sia espresso in quel modo, poiché, non eccettuati gli stessi giudei, il mondo era immerso nella idolatria ed ogni sorta di vizi?

.

E ciò è tanto vero che, qualora le soprannunciate parole si volessero intendere senza distinzione di tempo o di pena, difficilmente si potrebbero conciliare con le altre parole dello stesso Isaia, ove è detto che le porte della celeste Gerusalemme sarebbero aperte continuamente, e non si chiuderebbero né di giorno, né di notte246

Che poi tali porte siano quelle del Cielo, si può chiaramente scorgere dalle promesse che seguono nel medesimo capo sessagesimo e concordano con quelle altre del capo 21 dell'Apocalisse: portæ ejus non claudentur per diem. E le sue porte non si chiuderanno nel giorno.

.

Asc,9006b:T7,8,1

Ottava difficoltà Ottava difficoltà Ma come possono essere molti i salvi se vengono paragonati da Isaia a poche olive rimaste sull'albero, od ai gracimoli, finita che sia la vendemmia247

Asc,9006b:T7,8,2 ?

S. Gerolamo applica queste parole ai tempi dell'ante-Cristo, in cui attesa la persecuzione che terribile accenderà contro i fedeli, assai pochi si serberanno fermi e costanti248

Cornelio a Lapide è di questo parere, e così pure Calino, Menochio, Tirino e Monsignor Martini. .

Duhamel spiega in due sensi questo passo, cioè: o dei tempi in cui Teglathphalasar ebbe ridotto schiava una gran parte delle dieci tribù d'Israele, o di quelli dell'ante-Cristo, nei quali dice che pochissimi si manterranno saldi nella fede. Ed infatti, se le sopracitate parole non si prendessero nel senso di questi scrittori, per quale modo avrebbero compimento in Gesù Cristo quelle promesse a Lui fatte per Isaia dal divino Padre: “Perché l'anima di Lui ebbe affanno, vedrà e ne sarà satollo… darò a Lui per la sua porzione una gran moltitudine, ed Egli acquisterà le spoglie dei forti249

Anzi, in tutte le parabole i buoni sono da Gesù Cristo paragonati alla specie buona, i cattivi alla cattiva, qual è dei pesci, del grano, della zizzania; e perché dunque nel solo testo di Isaia la Scrittura avrà cambiato stile, paragonando i reprobi all'uva eletta ed alle buone olive, ed i buoni invece alle olive bacate e guaste od all'uva acerba ed immatura?

”, cioè, come spiega Mons. Martini, vedrà il frutto amplissimo delle sue pene, e sarà satollata la fame e smorzata la sete grandissima che Egli ha della salute delle anime, e gli darò in suo retaggio una moltitudine grande, cioè tutte le genti; se queste parole, io dico, non si dovessero prendere nel senso accennato, come potrebbero essere vere, se retaggio del divino Salvatore fossero pochissimi uomini raffigurati nei racimoli abbandonati od a poche olive rimaste sull'albero? E sarebbe cosa giusta che il raccolto e la vendemmia siano riservate al Demonio, nemico di Gesù, e non a Gesù salvatore degli uomini e vincitore del Demonio?

Asc,9006b:T7,9,1

Nona difficoltà Nona difficoltà Gesù Cristo medesimo ci dice che larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; ed all'opposto ne assicura che pochi trovano la strada che porta a salvamento250

Asc,9006b:T7,9,2

. Se pertanto molti entrano nel cammino della perdizione, e pochi trovano la strada della salute, molti in conseguenza saranno quelli che si perdono e pochi quelli che si salvano.

Primieramente si deve osservare con il Calino251, dove pare che la S. Scrittura restringa la salute al minor numero, parla di tutta la massa degli uomini in generale, cioè degli infedeli, ebrei, scismatici,

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eretici e cattivi cattolici. Ora tutti gli uomini camminano verso l'eternità, e non essendo la strada della perdizione, come osserva S. Bernardo, ristretta da confine o limite di religione o comandamenti, di modo che, come in spaziosa pianura, corrono per essa liberamente tutti i vizi, le superstizioni e le sette, non è meraviglia che venga chiamata larga e spaziosa, e che molti vi entrino, poiché essa è piuttosto a detta del Mellifluo una campagna da ogni parte aperta che non strada propriamente detta252. Così pure ne dice il venerabile Padre Ludovico Daponte253

Inoltre ci fa osservare Calino (luogo cit.) che quando Gesù Cristo disse che la strada della perdizione è larga, spaziosa e battuta da molti, non disse essere molti che camminino sino alla morte in essa, ma che molti vi entrano, multi qui intrant per eam, perché di quei medesimi che nella loro gioventù entrano per la porta e camminano per qualche tempo nella strada della perdizione, molti tollerandoli il Signore, e procurandone con tanti mezzi della sua grazia la conversione, rientrano in se stessi, cominciano a vivere cristianamente e si salvano.

.

Asc,9006b:T7,9,3 Ma quand'anche si dovessero spiegare i testi allegati per indicare lo scarso numero di quelli che si salvano, è necessario distinguere i tempi dei quali parlava Gesù Cristo, o spiegarli con qualche sottintesa condizione, altrimenti si incontrerà difficoltà a conciliarli con altri testi che loro paiono senza questa distinzione contrari. Infatti dice Gesù Cristo nei surriferiti testi: pauci vero electi, pauci sunt qui inveniunt eam (viam quæ ducit ad vitam); e tuttavia, in S. Matteo dice che molti verranno dall'Oriente e dall'Occidente, e sederanno con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei Cieli254

Ora come conciliare questi testi? Se pauci electi, pauci qui inveniunt eam, pochi gli eletti, pochi quelli che trovano la strada della salute, come poi dice: multi… venient et recumbent… in regno Cælorum? Se molti, come possono essere pochi, e se pochi, come molti? Come possono essere i giusti in maggior numero delle arene

.

255

Si distinguano pertanto i tempi, e si concilieranno i testi: parlava Gesù Cristo dei tempi di allora, e come pochi si convertivano, così disse che pochi allora trovavano la strada della salute; pauci sunt (al tempo presente) qui inveniunt eam; non disse che sarebbero sempre stati pochi: pauci erunt; ma disse: pauci sunt, come nota Salmerone

?

256

Quando poi parlò di quelli che si sarebbero convertiti e salvati dopo la sua morte per mezzo della predicazione degli Apostoli, più non disse pauci, ma che anzi sarebbero stati molti; multi venient… et recumbent… in regno Cælorum (al tempo futuro

.

257

Ond'è che l'evangelista S. Giovanni, non pochi, ma vide una turba grande che nessuno poteva noverare di tutte genti e tribù, e popoli e linguaggi che stavano dinanzi al trono e dinanzi all'Agnello

). Così pure predisse Davide, che si sarebbero in tale tempo moltiplicati gli amici di Dio, cioè gli eletti, più delle stesse arene, anzi che tutte le nazioni del mondo si convertiranno a Dio, e tutte le famiglie delle genti, adorandolo, si prostreranno al suo cospetto divino.

258.

Asc,9006b:T7,10,1

Decima difficoltà Decima difficoltà Quanto però su questo punto sono terribili le sentenze dei santi Padri! E come potranno sperare di salvarsi i peccatori, mentre S. Gerolamo dice che di 100.000 appena uno merita di conseguire da Dio il perdono dei peccati259

Asc,9006b:T7,10,2 ?

È vero che S. Gerolamo dice che appena uno ne merita il perdono; bisogna però osservare che non parla indistintamente di ogni peccatore, ma di quelli i quali avessero sempre menata una vita cattiva; onde, sebbene ve ne siano molti purtroppo, i quali malamente vivono, tuttavia non sono molti quelli i quali, di tempo in tempo, non pensino ad emendarsi, e si convertano di cuore per qualche straordinario mezzo con il quale Iddio li chiama, di modo che non si può più assolutamente dire che sia sempre stata cattiva la loro vita sino alla morte, come chiaramente dice il santo Dottore.

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Né da ciò si deve dedurre essere egli di opinione che pochi siano quelli che si salvino, poiché spiega la sentenza pauci electi, per quei pochi cattolici che si conserveranno fedeli nei tempi dell'ante-Cristo260, e fonda questa spiegazione sulla parabola medesima dei coltivatori chiamati nelle diverse ore del giorno, le quali ore secondo S. Gregorio ed altri significano le diverse età del mondo, cioè che i chiamati nelle cinque età (da Adamo a Noè, da Noè ad Abramo, da Abramo a Mosè, da Mosè a Gesù Cristo e da Gesù Cristo sino alla fine del mondo) sono molti, multi sunt vocati; gli eletti poi, cioè quelli che si conserveranno fedeli negli infelici tempi dell'ante-Cristo, sono pochi: pauci vero electi. E qui pare bene riflettere di passaggio sulla bontà di Dio che ben lungi dal non aver cura della salute degli uomini, appunto perché non si perdano in così gran numero, ci assicura nel santo Vangelo che saranno accorciati quei giorni infelici di persecuzione261, di modo che se allora si convertiranno, come è opinione, tutti gli ebrei, tanto più vi è ragione di sperare che molti dei caduti nell'infedeltà in quel tempo brevissimo della persecuzione, si convertiranno essi pure e ne andranno salvi.

Asc,9006b:T7,11,1

Undecima difficoltà Undecima difficoltà S. Giovanni Crisostomo, parlando della popolatissima città di Antiochia, diceva non potersi trovare cento salvi tra tante migliaia di persone, anzi dubitava se pure fossero tanti262

Asc,9006b:T7,11,2

. Chi potrà perciò lusingarsi di essere in questo sì scarso numero?

Si potrebbe rispondere che in una città quale era allora Antiochia piena di idolatri, di ariani, pelagiani, semipelagiani e di cattolici scostumatissimi, a scuoterli ed atterrirli poteva pure il santo Dottore, intimare loro che di quanti menavano tale vita cento a mala pena sarebbero salvi. Leggendo però con attenzione quest'Omelia, si troverà che il santo Prelato263 cerca di persuadere i cristiani a non invanirsi per l'accrescersi che faceva il loro numero, ma cercare di vivere santamente, perché con il loro esempio avrebbero facilmente procurato la conversione di molti altri alla Chiesa; onde si duole che pochi dei battezzati fossero solleciti di vivere in modo da mantenere l'innocenza dei costumi, lasciandosi purtroppo moltissimi trascinare dal torrente dei vizi; e perciò li interroga: Quanti immaginate voi siano in questa città, che si conservino quali dovrebbero essere? E risponde essergli bensì dura cosa, ma tuttavia doverla dire; trovarsene uno appena per cento, anzi, di questi dubitarne tuttavia264

Ora siccome non i soli innocenti si salvano, ma anche i veri penitenti, così questo non prova che siano pochi o molti quelli che si salvino.

. Da tutto il contesto si scorge che il Crisostomo intende provare pochissimi essere stati i fedeli e costanti nei loro buoni propositi, né aver conservato la grazia ricevuta nel santo Battesimo (g).

Inoltre egli parla in modo retorico, e si serve dell'esagerazione permessa ed usata alcune volte dagli Oratori per incutere timore negli uditori, e scuoterli dal letargo della indolenza per la propria salute; del resto non pronuncia questa sua proposizione come certa e rivelatagli da Dio, ma ne parla in maniera dubitativa, e quindi da non prendersi a tutto rigore. Finalmente si osservi che non intende parlare dei soli cattolici, ma della città tutta d'Antiochia, senza eccettuare gli eretici ed infedeli, i quali erano in grandissimo numero.

Asc,9006b:T7,11,3 (g) Nel testo dell'Omelia XXIV, tomo 3, la quale è la meno dubbia, si legge serventur e servetur come sopra, e non qui salvi fiant, oppure salventur, come leggono alcuni ascetici, e si legge centesimum e non centum, come si legge nell'Omelia XL, tomo 5, la quale Omelia si trova nel florilegio composto da altri, ed è inoltre diversa dalla traduzione della XXIV, tomo 3, come si può osservare collazionandola. Si badi inoltre che centesimum si suole tradurre erroneamente da alcuni ascetici cento. Significa però l'uno per cento, ossia la centesima parte, che su centomila ascende a mille, e non a soli cento. Finalmente si osservi che in vari luoghi gli editori e traduttori mettono in dubbio se il Crisostomo sia l'autore di alcune di queste Omelie, fra cui la XXIV, dicendo non essere secondo lo

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stile ordinario del traduttore, ed il Tricalet, facendo l'analisi delle di lui opere, parla di parecchie altre Omelie e non di questa XXIV.

Asc,9006b:T7,12,1

Duodecima difficoltà Duodecima difficoltà Se può nascere qualche dubbio circa S. Giovanni Crisostomo, non se ne può avere alcuno riguardo S. Gregorio Magno, il quale dice chiaramente che molti vengono alla fede, ma pochi si salvano; onde esclama: Chi è che sappia quanto pochi sono annoverati nel gregge degli eletti265

Asc,9006b:T7,12,2 ?

Sebbene paia chiara la sua sentenza, tuttavia si osservi attentamente la prova che ne arreca, e si vedrà che tali testi non si possono più intendere dei pochi salvi tra i fedeli, senza incontrarvi una grande incoerenza. Infatti apporta egli per prova della sua asserzione che “alla voce Dio si moltiplicano oltre misura i fedeli, perché alcuna volta vengono alla fede anche quelli che non arrivano ad essere nel numero degli eletti266

Per intendere pertanto il testo nel senso della difficoltà, pare avrebbe dovuto dire che pochi giungono al regno celeste, perché molte volte (anzi moltissime, se in proporzione inversa ha da corrispondere all'espressione quam pauci) vengono alla fede questi che non arrivano ad essere nel numero degli eletti, e non nonnumquam, che significa alcuna volta, cioè poche volte; oltre che doveva lasciare l'avverbio etiam che suppone altri che non vengono alla fede, ossia gli infedeli, fra quelli che non arrivano ad essere nel numero degli eletti.

”.

Né si opponga che parla di quanti erano nella Chiesa ad ascoltarlo, e perciò dei soli fedeli, poiché sebbene dica: “Ecco pertanto che moltissimi siamo all'odierna solennità, ne riempiamo la Chiesa267

Che, se come ogni ragione vuole, gli oscuri si vogliono spiegare con i testi chiari, devono in conseguenza i due addotti testi spiegarsi in modo che tutto sia coerente con la prova che ne arreca.

”, tuttavia finisce con esclamare, non nella stessa persona prima che avrebbe veramente fissato il discorso alla sola udienza, ma nella terza persona, cioè: “Ma ciò nonostante chi è che sappia quanto pochi sono quelli i quali sono annoverati in quel gregge degli eletti di Dio?” Di modo che quantunque sembri ovvio il sottintendere: quis sciat quam pauci ex nobis? avendo tuttavia omesso ex nobis, e concluso nella terza persona, lascia luogo a comprendervi anche quelli che non vi erano, senza alcuna ripugnanza al senso: anzi evita in tale modo ogni incoerenza con la ragione che ne arreca, la quale incoerenza, spiegandola diversamente, non si potrebbe evitare.

Asc,9006b:T7,12,3 Anzi, questo senso, benché già assai moderato, non è nemmeno secondo il vero sentimento di questo santo Dottore. E che ne sia la verità, egli spiegando altrove la medesima parabola donde prese la sentenza: multi vocati, pauci electi, intese per il denaro diurno a tutti gli operai distribuito la vita eterna, e spiegò come possano ricevere tutti lo stesso denaro diurno, nonostante la disparità dei meriti e della gloria, per conciliarlo con ciò che disse Gesù Cristo, cioè che in Cielo vi sono multæ mansiones. Ora da questa spiegazione non ne risulta forse chiaramente che il santo Dottore268

Asc,9006b:T7,12,4

era di sentimento che in questa parabola non si parla che dei salvi, tanto nei chiamati che negli eletti? Come si potrebbe infatti conciliare l'intendere per il denaro diurno la vita eterna, se, come dice il santo Dottore medesimo, fu distribuito a tutti i chiamati?

È forza pertanto concludere che, essendosi il S. Pontefice prefisso la scopo di eccitare gli uditori a tenersi umili, e cercare di assicurarsi con la diligenza e fervore nelle opere buone, la loro eterna salute per l'incertezza di essere nel numero degli eletti, benché chiamati e venuti alla fede per mezzo del santo Battesimo; perché ciò non basta per essere salvo, si vuole servire di quella sentenza del Vangelo, multi sunt vocati, pauci vero electi269, oscuramente ed in maniera da inclinarne l'udienza al senso rigido, ma cattolico, benché fosse di contrario sentimento come lo diede a conoscere nel sopra

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citato luogo; perché trattandosi di mere opinioni, ciascuno può, anzi, il vero zelo della salute delle anime detta di servirsi di quella, tra le opinioni, che è più utile al bene secondo le circostanze. E qui si osservi ancora la delicatezza del santo Dottore, il quale temendo forse che gli uditori eccedessero nel timore che aveva inteso di ingerire loro con quelle parole, non si contenta della prima conseguenza, cioè che non presumano per avere la fede, e si assicurino con le buone opere; ma dichiara inoltre che nessuno disperi della salute di alcun peccatore, perché non conosciamo quanti mezzi abbia Iddio nei tesori dell'infinita sua misericordia per salvarli270. La quale cosa dà sempre più a conoscere non voler egli decidere se in sì piccolo numero siano quelli che giungono per grazia di Dio a salvamento.

Asc,9006b:T7,13,1

Tredicesima difficoltà Tredicesima difficoltà S. Anselmo, anche egli dice che sono pochi quelli che si salvano271

Asc,9006b:T7,13,2 .

In quanto a S. Anselmo, senza più dilungarci, nulla si può da tale sentenza concludere; sì perché non avrebbe il consenso unanime degli altri Ss. Padri, se fosse di tale sentimento, come anche perché non ne parla assertivamente, ma in modo dubitativo, ut videtur, ed inoltre parla di tutta la massa degli uomini.

Asc,9006b:T7,14,1

Quattordicesima difficoltà Quattordicesima difficoltà Ma in sostanza non volle Iddio medesimo confermarci con tante e sì terribili visioni che pochissimi si salvano? Infatti ci racconta il Padre Paolo Segneri di quell'anima dannata comparsa all'Arcivescovo di Parigi un mese dopo la morte, la quale gli disse che le anime cadevano nell'inferno come nel cuore della vernata fioccano sulla terra le nevi272

Cornelio a Lapide narra pure che un Eremita comparve al Vescovo di Langres dicendogli che, nell'ora in cui era passato all'altra vita, erano morte 30.000 persone, tra le quali S. Bernardo, il quale in un con egli era subito salito al Cielo, tre altri al Purgatorio e tutti gli altri dannati.

.

Finalmente ci narra pure quella visione di S. Simeone Stilita, confermata da S. Nilo, cioè che a quei tempi di 10.000 appena uno si salvava.

Asc,9006b:T7,14,2 Purtroppo è innumerabile la moltitudine di infedeli, eretici, scismatici e cattivi cristiani, e può benissimo, a terrore dei peccatori e per convertirli, avere il Signore in tempo di qualche sanguinosa battaglia o naufragio di numerosissime armate navali di infedeli dissoluti fatto vedere le loro anime precipitate in gran numero all'inferno, ma da questo non si può dedurre che sempre vi discendano in tanto numero le anime dei cristiani. Infatti fu rivelato alla beata Caterina da Racconigi, come si legge nella sua vita, che nella battaglia seguita in Ceresole di Piemonte, nella quale vi restarono morti circa 10.000 piemontesi, pochi si persero, perché avevano fatto la loro confessione, correndo allora il tempo pasquale. Si legge pure nella vita di S. Margherita da Cortona, che Gesù Cristo le ordinò di dire ai Frati Minori di avere memoria delle anime del Purgatorio, le quali si trovavano in sì gran numero, che appena potrebbero gli uomini immaginarlo. Se perciò sempre così poche anime fossero da Dio colà mandate a purgare i loro peccati, come potrebbero esservi in tanto numero? A quelle visioni terribili, particolari, si può anche opporre che in certi tempi salirono innumerabili anime di santi martiri al Cielo, e specialmente sotto il 6 ottobre e 3 novembre, ed in diversi altri giorni a migliaia, come si può vedere nel Martirologio Romano273

Asc,9006b:T7,14,3

e dalla Storia Ecclesiastica, come ci racconta Niceforo (lib. 7, capo 6), cioè che 20.000 cristiani furono bruciati da Diocleziano nel giorno di Natale (h).

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(h) Nel giornale La France Chrétienne, 2e année, n. 180, si trova una statistica pubblicata nel giornale di Napoli, Eco della Verità. Ivi la popolazione totale del mondo ascende a 632 milioni, e calcolata la generazione a 34 anni, morrebbero solo 35 persone ogni minuto primo. Secondo il calcolo di Sturm: Considérations sur Dieu, tomo 1, pag. 294, la popolazione ascenderebbe a 1.080 milioni, e supposta la generazione a 33 anni, ne morrebbero 32.727.727 ciascun anno; 2.727.310 ogni mese; 90.910 ogni giorno; 3.787 ogni ora; 63 ogni minuto. Ora si supponga anche doppia la popolazione, ne morrebbero soltanto 7.574 ogni ora. Se però secondo le sopraccennate visioni, cadessero ognora le anime nell'abisso infernale o come i fiocchi di neve nell'inverno, o come le foglie nell'autunno, precipiterebbero a più milioni ogni minuto secondo, in numero incalcolabile ogni ora, cioè immensamente più che non ne esistano al mondo.

Asc,9006b:T7,15,1

Quindicesima difficoltà Quindicesima difficoltà Anche supposto che tra Cristiani siano in maggior numero quelli che si salvano, tuttavia, secondo la massima che fuori della Chiesa cattolica non vi è salute, se si considera il piccolissimo numero dei cattolici in confronto degli eretici, scismatici ed infedeli di tutti i tempi, il numero dei salvi si riduce a ben poco. È dunque evidente che Iddio non si cura della salute degli uomini, e troppo ripugna il credere divina una religione la quale insegna avere Iddio creato gli uomini per condannarli quasi tutti all'inferno. Eppure è chiaro dal Vangelo che chi non crede sarà condannato, anzi, dice la Chiesa, non può essere salvo chi con crede quanto essa insegna274

Asc,9006b:T7,15,2 .

Primieramente in quanto agli eretici e scismatici, una gran parte di essi, attesa la loro ignoranza incolpabile, non sono tali, cioè fuori della Chiesa, se non materialmente, come quelli, i quali avendo ricevuto il vero Battesimo, sono entrati nella Chiesa cattolica, dalla quale non si esce se non da chi, conoscendo l'errore, persiste ostinato in esso, come dice il dottore S. Alfonso de Liguori: De præcepto fidei (capo IV, dub. 3), quid sit hæresis, num. 17; conferma lo stesso S. Agostino, il quale dice275 che quelli i quali non difendono con pertinacia una dottrina falsa e perversa, principalmente se non ne sono essi gli autori, e l'hanno ricevuta dai loro parenti sedotti e caduti essi medesimi nell'errore, insomma quelli i quali cercano schiettamente la verità, e sono disposti ad abbracciarla conoscendola corrigi parati cum invenerint, non devono punto essere considerati come eretici. Così pure insegna S. Fulgenzio276, e lo stesso Nicole dice che quelli i quali non ebbero o non hanno parte volontariamente e con cognizione di causa allo scisma ad all'eresia, sono considerati come figli della Chiesa cattolica277

E perciò vi è fondamento di sperare che molti di essi, qualora non vi sia altro ostacolo, siano salvi come formalmente cattolici.

.

Asc,9006b:T7,15,3 In quanto agli infedeli, si osservi che nei tempi anteriori al Vangelo, non era loro necessaria l'osservanza della legge ebraica, come dice l'Angelico278. Per salvarsi oltre l'osservanza della legge naturale era necessaria a tutti la fede in Dio creatore e rimuneratore, ma non per tutti era ugualmente necessaria la fede esplicita nel riparatore venturo. Questa era d'obbligo per quelli soltanto ai quali era stata comunicata la divina rivelazione e promessa: agli altri poi bastava, come dice il prefato santo Dottore, la fede implicita nella fede dei loro maggiori279

Ed infatti Melchisedec e Giobbe fra gli altri osservarono la legge naturale, credettero in Dio e nel liberatore futuro, e senza le cerimoniali pratiche della giudaica conseguirono la salute.

.

Dopo la venuta di Gesù Cristo oltre la fede esplicita in Dio creatore e rimuneratore necessaria a tutti di necessità di mezzo, è anche necessaria la fede del Mistero della Ss. Trinità e dell'Incarnazione esplicita a chi è stato sufficientemente promulgato il Vangelo, oppure implicita a chi non fosse ancora stato sufficientemente promulgato.

Asc,9006b:T7,15,4

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Ciò presupposto… Ciò presupposto siccome Iddio vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano a conoscere la verità280, la quale in sostanza è Gesù Cristo medesimo281; ed essendo Egli la vera luce che illumina tutti gli uomini senza eccezione, non mancò mai in ogni tempo, né manca di somministrare gli aiuti necessari alla salute a chiunque non vi mette per parte propria alcun ostacolo, come di comune accordo dicono S. Dionigi282, S. Giovanni Crisostomo283, S. Prospero284 e S. Tommaso285

Infatti con il solo lume della ragione possono e devono gli uomini, secondo la propria capacità, venire in cognizione di un Dio autore e conservatore di tutte le cose, poiché dalle cose visibili si conoscono le invisibili, nonché l'onnipotenza e le perfezioni di Dio

.

286. Conoscono pure l'obbligazione di osservare la legge naturale scritta nei loro cuori, accusandoli o difendendoli la propria coscienza, di modo che se non la osservano sono inescusabili, come dice S. Paolo, perché non mancano gli aiuti necessari per poterla osservare287

Confessa questa verità lo stesso Giovanni Giacomo Rousseau (Émile, tom. 3). .

Questa cognizione poi eccita gli uomini a rivolgersi a Dio, ad onorarlo ed invocarlo a fine di partecipare della sua bontà, ed ottenere gli aiuti necessari per operare il bene, e conoscere la sua volontà ed il culto da lui voluto; e perciò se essi corrispondono a questo eccitamento ed aiuto di Dio, pregandolo e facendo dal canto loro quanto devono e possono per osservare la legge naturale, l'Angelico Dottore afferma288

Asc,9006b:T7,15,5

doversi credere con tutta certezza che Iddio in tale caso o per mezzo di una interna inspirazione, o per mezzo di un Angelo o di qualche Predicatore evangelico, come inviò Pietro ad istruire Cornelio, o per altri mezzi non mancherebbe di manifestare loro le verità necessarie alla salute.

Ciò insegna pure S. Dionigi289 avere usato Iddio con gli antichi gentili, i quali furono istruiti dagli Angeli destinati alla custodia di ogni nazione, e Giobbe290

Dice dunque così: Tanto è grande la carità di Dio che quegli stessi ai quali non è ancora annunciato il Vangelo, non restano mai senza la grazia necessaria, purché non se ne privino per la loro perversa volontà. Essendo eccitati alla contemplazione del mondo visibile e fortificati dalla grazia dell'Alto, possono amare Dio sopra ogni cosa, perché lo conoscono autore di ogni cosa buona e bella. Una volta che l'anima loro è cosi preparata, Dio infonderà loro nell'ora della morte il lume della fede… Dio non mancherà di infondere la necessaria conoscenza di Gesù Cristo a ogni uomo che ha fatto ciò che era in suo potere, poiché Egli possiede un'infinità di vie e di mezzi per soddisfare la sua giustizia non meno che la sua misericordia.

ci dice lo stesso degli amici suoi ammaestrati nel sonno per mezzo di visioni notturne. Né qui sono da tacersi le parole di Goffredo Guglielmo Leibniz, di questo genio straordinario per ogni genere di scienze, di quest'uomo che luterano di nascita, fu cattolico per l'unità, la profondità, l'estensione ed universalità delle sue idee.

Non si può obiettare altro in contrario, se non che non si conoscono i mezzi di cui Dio si vale, ma questo è segno che l'obiezione non regge291.

Asc,9006b:T7,15,6

Onde conclude Bergier… Onde conclude Bergier, ed è anzi questa la dottrina della Chiesa, come consta dalla prop. 5, condannata da Alessandro VIII, e dalle proposte 26, 27 e 29 di Quesnel292

Che se Bossuet (tom. 38), nella seconda lettera a Brisacier sul libro Judicium unius di Coulau, diceva che, attesa la dispersione degli ebrei e dei prodigi da Dio operati, il numero dei particolari che adoravano Dio, e che in conseguenza si saranno salvati tra gli antichi gentili è forse più grande di quel che si pensa, quanto più si può ciò supporre, dacché in ogni parte fu annunciato il Vangelo

, non esservi alcuno tra gli eretici, pagani, giudei e simili, che sia interamente escluso dal beneficio della Redenzione, poiché in virtù dei meriti di Gesù Cristo in ogni tempo tutti ebbero ed hanno dei mezzi di salute, dei quali possono approfittarsene, se vogliono, oppure abusarne.

293?

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Non vi è perciò da fare meraviglie che S. Giovanni abbia in Cielo veduta quell'innumerabile moltitudine di Beati di tutte le genti, tribù, popoli e linguaggi294, perché come dice S. Pietro, Dio non è accettatore di persone; ma in qualunque nazione chi lo teme e pratica la giustizia, è accetto a Lui295

Asc,9006b:T7,15,7

; non deve quindi essere considerato fuori della vera Chiesa costui ancorché non professi materialmente il Cattolicismo, ma deve tenersi come formalmente cattolico e nella strada della salute eterna; e per conseguenza non si dannano se non quelli che resistono volontariamente alle grazie e lumi che loro comparte il Signore Iddio, ed è in questo senso che non vi è salute per chiunque deliberatamente è fuori della Chiesa Cattolica.

Del resto siano molti o pochi quelli che si salvano, dice Bergier, dovrebbe bastare per tranquillizzarci e tenerci fermi nelle fede il riflettere che Iddio non può fare torto ad alcuno, né chiedere conto se non dei talenti che ha dato a ciascuno, e che nessuno può essere dannato senza propria grave colpa, la quale non può essere che volontaria; onde quand'anche fossero pochi i salvi, non ne seguirebbe se non che sono pochi quelli che vogliono efficacemente salvarsi, e molti quelli che muoiono volontariamente impenitenti. Che se fosse per difetto naturale, o mancanza di soccorso per parte di Dio il perderci, avremmo assai da temere; ma Iddio è fedele e non permette che siamo soverchiati dai nemici, ossia tentati più di quel che voglia darci di grazia per resistere loro e confonderli. Se la nostra salute dipendesse dalla sorte, dovremmo temere moltissimo, ma dipende da noi e dalla grazia, e purché vogliamo cooperarvi, siamo sicuri di salvarci, essendo creati da Dio a questo fine, e provvisti dei necessari mezzi per arrivare al Cielo; e perciò quand'anche i salvi fossero pochi, non per questo il Demonio trionferebbe sopra Gesù Cristo, come empiamente dice Bayle: sì Gesù Cristo trionferebbe di continuo sopra il Demonio, poiché questo trionfo non consiste in ciò che nessuno possa dannarsi per propria colpa, imperciocché non vi sarebbe così luogo al merito, né alla ricompensa, ma sebbene banditi dal Cielo, Egli ce ne abbia riacquistato il diritto, e ciascuno per i meriti di Gesù Cristo riceva le grazie necessarie a salvarsi, di modo che siano inescusabili quelli che si perdono. Finalmente quand'anche fossero molti i salvi, non dovremmo essere meno premurosi della nostra salute, perché non sarà coronato se non chi avrà legittimamente combattuto296.

Asc,9006b:T7,15,8

Hettinger… A confermare vie più le verità che propugna l'Autore, mi sembra cosa utile aggiungere a questa edizione le seguenti bellissime pagine che tolgo di peso dall'“Apologia del Cristianesimo” per Francesco Hettinger, Professore di Teologia alla Università di Wursburgo e Consultore della Congregazione per il Concilio Vaticano. Il cristianesimo è tanto antico quanto il mondo, ed è dappertutto nel mondo. Ma in Gesù Cristo è la salute, e però il mondo dacché esiste ha potuto trovare in Lui la salute; e ogni uomo può, senza che la predicazione sia ancora fatta sino a Lui, trovare in Cristo salvezza. Conciossiaché Gesù Cristo, Verbo eterno dal Padre, si è manifestato al mondo in tre grandi rivelazioni, cioè la luce che rischiara ogni uomo che viene in questo mondo, ha illuminato l'umanità per la rivelazione nella coscienza, per la rivelazione nella creatura, e per la rivelazione parlata e scritta da Adamo fino a Cristo. Che cosa doveva fare di più Iddio, dopo aver aperto queste tre fonti di verità, le quali si spandono per tutto l'universo? Queste sono le tre specie di rivelazione per l'uomo, in lui, fuori di lui e avanti a lui, la coscienza e la natura e la storia. Dio ha fatto tutto. Un' altra rivelazione non si può fare senza disfare con la libertà e con la storia ogni umano processo.

Asc,9006b:T7,15,9 Ora si potrà forse dire che Iddio sia stato ingiusto verso l'uomo che visse avanti di Cristo o fuori del cristianesimo? No. O egli conosce Dio e osserva con l'aiuto divino i suoi comandamenti secondo che li conosce, o egli non Lo conosce, né osserva i suoi comandamenti. Nell'ultimo caso egli è colpevole, perché pecca contro la voce della sua ragione e della sua coscienza, ed è infelice per propria colpa, perocché Dio gli si è fatto conoscere per una triplice rivelazione. Ma se lo conosce

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per quanto può nella trina rivelazione, ed osserva con aiuto superiore i di Lui comandamenti e lo prega, egli piace agli occhi di Dio come il centurione Cornelio. E Iddio lo esaudirà, e gli concederà sempre lume e grazia maggiore. Conciossiaché, dice lo Spirito Santo, “avvicinatevi a me, e sarete illuminati297”. Se egli non ha ricevuto ancora la buona novella di Gesù Cristo, la divina provvidenza supplirà o inviandogli visibilmente un predicatore della fede, come mandò a Cornelio l'apostolo S. Pietro, ovvero infondendo invisibilmente nell'anima di lui la sua luce interiore, come ha fatto per i profeti e fa in ciascuno di noi illuminandolo, affinché possa credere. “All'uomo che vuole salvarsi Dio non nega quello che è necessario alla salute. L'uomo si perde sempre per propria colpa, perché Dio gli rivela sempre le verità necessarie alla salute, o per mezzo di un predicatore, come avvenne con Cornelio, o per una interiore rivelazione298

“Se alcuno cresciuto in mezzo alle foreste seguita la voce della sua coscienza, Iddio senza dubbio gli rivelerà le verità necessarie della fede, o per interna illustrazione o per un predicatore della fede

”.

299

Asc,9006b:T7,15,10

. Ed anche se questo raggio di luce che risveglia in lui il desiderio del Redentore, penetrasse nell'anima sua all'ultima ora, questo basterà; perocché egli avrebbe il battesimo di desiderio che lo salva”.

Qui si adempie veramente la parola del Signore. Colui che sarà stato fedele nelle piccole cose, Dio gli affiderà cose più grandi. Ma come darà Egli cose grandi a colui che fu infedele nelle piccole? Quando nel dì del giudizio l'incredulo oserà accusare Dio e dirgli: Perché non mi hai dato la grazia della fede? Dio gli risponderà: Tu neppure hai vissuto secondo le regole della rivelazione naturale e primitiva, e secondo le leggi della ragione e della coscienza; qual pro dunque ti avrebbe fatto la rivelazione superiore o la grazia della fede? Tu non hai adempito ai doveri della religione naturale, e come dunque avresti adempito ai doveri più difficili della fede? Tu hai scosso in te il dolce giogo della natura ragionevole e della moralità e della giustizia naturale, e come dunque avresti portato il peso assai più grave della fede? Annunciando S. Francesco Saverio per la prima volta nel Giappone il Vangelo, gli abitanti di quel paese si lamentarono che Dio li aveva dimenticati per sì lungo tempo, e che così i loro padri, essendo morti senza fede, erano dannati. Il Santo loro rispose: “Se i vostri padri hanno ascoltato la voce della loro coscienza e della ragione, essi furono senza dubbio illuminati dal lume della fede, altrimenti furono condannati giustamente”. Questa è la breve riposta alla grande e difficile questione300

La Chiesa condanna tutti coloro che vivono fuori del suo seno? No. Certamente la Chiesa non condanna alcuno, perocché quegli solo condanna che è Signore della vita e della morte, e che rende ad ognuno quel che si conviene. Il principio che soltanto nella Chiesa è salute, non è soggettivo ed individuale, ma puramente soggettivo e formale. Quello solo a cui tutto è manifesto può conoscere la morale condizione dell'individuo che è fuori della Chiesa, gli infinitamente molteplici gradi di responsabilità e di colpa, dall'errore involontario fino all'affettato indifferentismo, alla nimistà più completa e libera e consapevole, all'odio satanico delle verità, in una parola, può conoscere lo stato della coscienza individuale. Se lo stato di una persona sia errore involontario o inganno bugiardo… Dio solo più decidere

.

301.

Asc,9006b:T7,15,11

Il Sommo Pontefice Pio IX… Il Sommo Pontefice Pio IX nel dicembre del 1854 pronunciò su questo punto una testimonianza magnifica, ed ecco le sue parole: “Lungi da noi, Venerabili Fratelli, tanto ardire da voler opporre confini o limiti alla misericordia infinita di Dio, od indagarne gli arcani giudizi che sono abisso grande cui non può aggiungere l'umano pensiero… È di fede, che fuori della Chiesa Apostolica Romana, nessuno si può salvare, che questa è l'unica arca di salute, che chiunque se ne rimanga fuori, perirà; tuttavia è anche certo che chi non conosce la vera religione, e la sua ignoranza sia invincibile, dinnanzi a Dio non ne ha nessuna colpa. Ora, chi sarà tanto presuntuoso da poter con precisione assegnare i limiti di tale

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ignoranza, se si guardi la varietà dei popoli, dei paesi, degli ingegni, e la ragione di tante altre cose? Ma quando sciolti dai vincoli del corpo, vedremo Iddio come è, apertamente allora conosceremo in quanto bello ed ammirabile vincolo siano collegate la misericordia e la giustizia divina, fino a tanto però che siamo su questa terra, aggravati dalla carne che combatte e stanca lo spirito, contentiamoci di credere fermissimamente come ne insegna la cattolica dottrina, esservi un Dio solo, una sola fede, un solo Battesimo; voler cercare più oltre è cosa malfatta302”.

Asc,9006b:T7,16,1

Sedicesima difficoltà Sedicesima difficoltà Se può dirsi degli adulti che si dannano volontariamente per la resistenza ai lumi e grazie che Iddio comparte, e per l'abuso dei mezzi da Dio somministrati loro, come poi potrà conciliarsi con la giustizia, non che con la bontà di Dio la dannazione al fuoco eterno di innumerabili fanciulli morti senza poter ricevere il Battesimo303

Asc,9006b:T7,16,2

? Chi potrà perciò credere bontà infinita un Dio, il quale crea innumerabili uomini perché siano condannati al fuoco eterno per peccato originale, cioè solo per essere figli infelici di un padre reo?

Non solo non fece Iddio alcun torto a questi bambini, ma usò loro benanche della sua bontà! E primieramente, risponde Bergier304

Asc,9006b:T7,16,3

, non fa loro Iddio alcun torto, poiché come non è contrario alle leggi della giustizia che i figli soffrano della punizione inflitta al padre per i suoi delitti, con l'essere spogliati dei privilegi gratuiti, di cui avrebbero goduto, supposta la fedeltà del padre; così sebbene questi bambini non abbiano colpa alcuna propria (detta volgarmente attuale), tuttavia avendo peccato Adamo, non lasciano d'essere colpevoli per origine; onde non a lui solo, ma a tutta l'infelice posterità di lui fu giustamente da Dio negata la grazia e la gloria in un con gli altri gratuiti privilegi, dei quali sarebbe stata graziosamente favorita, se il nostro primo comune padre avesse perseverato nella innocenza. E perciò disse Gesù Cristo che chi non rinasce alla grazia per mezzo del Battesimo, non entrerà nel regno di Dio.

Che se S. Agostino nell'ardore delle dispute contro i pelagiani ha parlato con un certo rigore circa la sorte di codesti bambini morti senza Battesimo, tuttavia oltre che il Padre Natale Alessandro dice esservi molti fra gli eruditi, i quali negano essere sua la sentenza con la quale sostiene che detti fanciulli sono puniti con la pena del senso, insegna in altro luogo che non saranno puniti con pena tale per cui possa dirsi che sarebbe stato meglio loro il non essere nati; e poco dopo conferma tale sentenza, dicendo che sarà fra tutte leggerissima la loro pena; di modo che non ardisce dire che sarebbe stato meglio per essi il non esistere, piuttosto che trovarsi dove sono305. Ora se li avesse creduti dannati al fuoco eterno, dice Bergier, non avrebbe asserito ciò, tanto più come osserva il Padre M. Anfossi, che il Santo Dottore non ignorava ciò che disse Gesù Cristo di Giuda: era bene per lui che non fosse mai nato quell'uomo306; infatti, nessuno certamente preferisce esistere stando nel fuoco, mentre si legge che i dannati cercheranno la morte, ed essa fuggirà da loro, sì che mai non potranno morire come ardentemente desidererebbero per finire di patire307

Tale fu pure il sentimento di S. Bonaventura, il quale afferma che S. Agostino non intese dire che i bambini abbiano la pena del senso, ma soltanto intese parlare della privazione della vista di Dio, e della pena per la condizione del luogo

.

308

Anzi, il medesimo S. Agostino.

309

Insomma si protesta nella sua lettera a S. Gerolamo, che si trova in sì gravi angustie in questa questione, che non sa come rispondervi

ragionando su quanto loro sarà per toccare nel finale giudizio, ammette una sentenza tra il premio e la pena, né mai la ritrattò, sebbene accuratamente abbia discusso siffatta questione nel libro I Delle ritrattazioni e specialmente nella Epistola XXVI.

310.

Asc,9006b:T7,16,4

Innocenzo III e Giovanni XXII…

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Innocenzo III e Giovanni XXII dicono311

Né la definizione del Concilio di Firenze

chiaramente che non avranno la pena del senso, ma soltanto quella del danno.

312

L'Angelico Dottore

è punto contraria a quella di Innocenzo III e di Giovanni XXII, come bene osserva il prelodato Padre M. Anfossi (luogo cit., pag. 216); poiché il nome d'inferno può intendersi benissimo senza alcuna incongruenza consistere in ciò, che i bambini siano puniti con la sola pena del danno a differenza dei reprobi, i quali provano in un con questa, quella pure del senso.

313 poi sostiene con ragioni fortissime, che il peccato originale non merita la pena del senso, perché la pena sensibile deve essere propozionata al diletto della colpa, giusta ciò che dice S. Giovanni nell'Apocalisse314: questo diletto nel peccato originale non vi è, ed in esso non si trova attacco alla creatura, dunque non può meritare pena sensibile315

Il serafico Dottore S. Bonaventura.

316 anche egli dopo aver nella prima questione dichiarato che questi bambini saranno immuni dalla pena del senso, apporta nella conclusione della seconda questione varie ragioni di chi è di sentimento che essi abbiano cognizione del bene di cui sono privi, e perciò ne abbiano afflizione, e di chi nega in essi e la cognizione e la pena, e conclude con dire che avranno cognizione senza dolore, e saranno come posti in mezzo tra i beati ed i reprobi, sì che la pena sarà in eguale misura rattemperata dalla consolazione, onde in essi risplenderà mirabilmente l'ordine della divina sapienza che sa disporre tutto a suo luogo ed ordinare ogni cosa a sua gloria, poiché siccome nei beati risplende specialmente la divina misericordia, e nei dannati la giustizia, così in essi risplenderà l'una e l'altra nello stesso tempo.

Asc,9006b:T7,16,5

In secondo luogo… In secondo luogo non lasciò Iddio usare con questi bambini della sua bontà, poiché secondo ciò che dopo molte altre ragioni conclude il prelodato Angelico Dottore, non solo essi non si dorranno punto della privazione della visione di Dio, ma godranno, perché partecipi molto della divina bontà e perfezioni naturali317; poiché sebbene siano separati da Dio in quanto all'unione per mezzo della gloria, tuttavia non sono totalmente da Lui separati, anzi sono a Lui uniti per la partecipazione dei beni naturali, e così anche potranno godere di Lui per mezzo della cognizione ed amore naturale318

E queste opinioni nulla hanno di comune con l'errore dei pelagiani condannato dai Concili e dalla Bolla Auctorem fidei nella XXVI proposizione

.

319

Asc,9006b:T7,16,6

; poiché negavano essi nei bambini il peccato originale, ed assegnavano loro in conseguenza (come dice chiaramente detta Bolla) un luogo e stato di mezzo esente dalla colpa e pena, tra il regno dei Cieli e la dannazione eterna; mentre noi professiamo di credere con la Chiesa Cattolica, che essi sono macchiati della colpa originale, ed in punizione di essa sono esclusi dal regno dei Cieli; e sebbene secondo S. Bonaventura l'afflizione per la privazione della gloria sia equilibrata dalla consolazione, o secondo S. Tommaso per difetto di cognizione non si dolgano, anzi godano di Dio per la partecipazione dei beni naturali per mezzo della naturale cognizione ed amore, tuttavia in questo caso non lasciano di essere realmente puniti con la privazione di un bene di cui, supposta l'innocenza di Adamo, sarebbero stati gratuitamente favoriti.

Che se si voglia considerare ben attentamente la condotta di Dio verso questi bambini, hanno essi veramente motivo di rattemperare la loro pena, qualora la provassero, come dice il serafico Dottore, poiché non lasciò Iddio di grandemente beneficarli, perservandoli con l'immatura morte da molti peccati sì veniali che mortali, e da innumerabili pericoli di dannazione in cui vivendo sarebbero incorsi, ed in modo speciale i bambini degli eretici ed infedeli; onde pare potersi loro applicare ciò che dice la Sapienza, cioè Iddio li abbia tolti dal mondo innanzi tempo acciocché non si pervertissero320

E per verità questo beneficio di essere preservati dal peccato attuale è sì grande, che non solo essi, ma noi medesimi dovremmo bramare mille volte di essere privi della gloria, piuttosto che avere commesso anche un solo peccato.

.

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Di che potranno essi perciò lagnarsi, o quale torto fece loro il Signore Iddio, mentre sebbene non abbia accordato ad essi il beneficio di abilitarli alla gloria celeste, accordò loro nondimeno un altro beneficio grande assai, cioè l'immunità dal peccato attuale? Dunque più che lamentarsi di Dio, essi devono anzi lodarne e ringraziarne la sua bontà infinita.

Asc,9006b:T7,16,7

Hettinger… Quantunque le ragioni finora addotte dal piissimo Autore siano più che sufficienti a persuadere la consolante verità che insinua, tuttavia non credo inutile corroborarle con altre che il chiarissimo prof. Francesco Hettinger ne somministra nella pregiata sua opera: Apologia del Cristianesimo. […] Il peccato di origine è una colpa vera e reale, ma colpa della specie e non dell'individuo, e contratta per la volontà del capo e del principio e del naturale rappresentante della specie. L'anima è creata buona da Dio, cioè con tutte le naturali facoltà alle quali la grazia doveva annodarsi; ma la sua unione con la specie che ha perduto la grazia, è la causa per cui essa va priva di questa grazia e di questa giustizia e soprannaturale bellezza321. E solo perché l'essenza del peccato originale non consiste in una positiva depravazione della volontà e in una opposizione di questa a Dio, seguita che il fanciullo, il quale muore senza Battesimo, da un lato certamente non prende parte alla visione di Dio, a cui la sola grazia dà il diritto, ma dall'altro non soffrirà neppure castigo positivo, il quale è dovuto pure alla depravazione positiva della volontà e al peccato attuale322. Secondo l'opinione più probabile egli godrà di una beatitudine naturale che è conforme alle sue innate facoltà naturali, senza dolore e tristezza per la privazione della visione di Dio, di cui la creatura non ha naturale sentimento, benché pure la grazia e la fede ne danno notizia323. “Essi, dice S. Gregorio di Nazianzo parlando dei fanciulli non battezzati324, non erediteranno la gloria celeste, ma nemmeno Dio giusto giudice li darà in preda ai supplizi […]. Conciossiaché per ciò che alcuno non merita castigo, non segue punto che meriti onore, e perché non merita onore, non per questo merita castigo325”.

Asc,9006b:T8

Capo VIII. Se sia facile o difficile il salvarsi con l'aiuto di Dio Asc,9006b:T8,1,1

Prima difficoltà Si dice nel Vangelo che la strada della salute è ben difficile e molto stretta la porta per cui si entra in Cielo, e che pochi la troveranno326

Ora se le cose tanto difficili sono intraprese da pochi, proseguite e condotte a buon termine da pochissimi, quanto sarà grande la difficoltà di salvarsi, essendo così stretta quella porta per la quale, soggiunge il Vangelo, molti cercheranno di entrarvi, ma non potranno

; e ciò in grazia della morale da praticarsi cotanto severa e superiore alle forze della natura umana già così debole, incostante e gravemente ferita.

327

Asc,9006b:T8,1,2

, né sapendosi per quale colpa non sia loro dato l'entrarvi? Essendo così la cosa, oltre che è impossibile fondare alcuna speranza di salute, perché tanta difficoltà toglie ogni lena al ben fare, ed induce a disperazione, la religione cristiana diventa inutile, essendo piccolissimo il bene che apporta, né Dio ha provvisto sufficientemente alla salute degli uomini, ed una tale provvidenza così mancante non può essere divina. Eppure i testi sopracitati del Vangelo sono chiari.

Il Bergier intende per la porta stretta nominata in S. Luca la morale evangelica, austera, e stretta per lo sfogo delle passioni che severamente proibisce; onde egli è di sentimento che il Signore intendesse parlare delle angustie terribili dell'assedio di Gerusalemme, e dicesse loro: Procurate di entrare per la porta stretta, abbracciando la mia dottrina, perché (come avvenne) quando vi troverete cinti di assedio, molti si pentiranno di non aver dato fede alla mia parola, e di non essersene approfittati, imitando i miei fedeli con il fuggire per tempo dalla cità; vorrebbero allora, ma non potranno più fuggirne, e saranno involti nella comune sciagura. Duhamel spiegando il Vangelo di S. Luca, Tirino e Mons. Martini quello di S. Matteo, intendono pure per la porta stretta la morale evangelica, cioè una vita menata secondo virtù. E conferma questo senso la risposta data da Gesù Cristo a quel giovane che lo interrogò quale cosa dovesse fare

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per conseguire la vita eterna: Se vuoi, gli rispose, avere l'ingresso alla vita eterna, eccoti la porta e la strada per cui devi entrare e camminare: osserva cioè i comandamenti328

Ora siccome questa porta e strada dell'osservanza dei divini comandamenti, al dire di S. Gregorio Magno, è incomoda e stretta per gli uomini carnali

.

329, che purtroppo sono molti, così molti cercheranno di entrare, cioè di salvarsi per la strada che va a seconda delle loro inclinazioni e passioni, e per questa porta e strada non potranno entrarvi330

Asc,9006b:T8,1,3 .

Si può anche spiegare la strettezza di questa strada e la difficoltà di trovarla, in quanto è ristretta tra i confini della vera fede e dell'osservanza dei divini comandamenti, ed essendo pochi i fedeli in confronto di tutti gli altri che camminano per la strada della perdizione, sono in conseguenza pochi quelli che la trovano331

S. Basilio.

332

S. Gregorio Magno dice pure che questa porta e strada della salute non è chiamata stretta in se stessa, ma riguardo a chi vi cammina o entra: questi o cominciano, e loro pare difficile come a tutti sogliono essere i principii, o sono già provetti e vivono con perfezione e riesce loro facile e spaziosa

viene a dire lo stesso, cioè che la porta e strada del paradiso non è angusta, né stretta per se stessa, ma in quanto è contenuta fra certe regole, fuori delle quali non si può uscire senza grave pericolo; e soggiunge che siccome colui il quale cammina sopra un ponte, se non va per dritto cammino, ma piegando a destra o a sinistra, cade nel fiume, così chi non va per la retta strada dei divini comandamenti cadrà nei peccati e si incamminerà verso la perdizione.

333

S. Diadoco uno dei Padri antichi citato da S. Massimo, spiegando queste parole, riduce anch'egli tutta l'asprezza della strada ai primi passi che fa chi intraprende a percorrerla

.

334

S. Agostino.

335 pure ne dice: a chi fa le cose mal volentieri, la strada pare stretta e difficile, ma a chi le fa di buon animo è spaziosa; e siccome non provano fatica, ma diletto i pescatori e cacciatori, perché lo fanno volentieri, così chi ama non prova fatica, ma diletto nelle stesse fatiche. E parlando del giogo, dice pure: chi lo porta, o non ama e gli riuscirà grave, od ama e non può essere grave.

Asc,9006b:T8,1,4

Si potrebbe anche spiegare… Si potrebbe anche spiegare la strada difficile a chi intendesse camminarvi, confidando nelle sole proprie forze naturali, anzi, sarebbe in tale caso impossibile l'osservanza della divina legge, e questa spiegazione si deduce dalla riposta data da Gesù Cristo medesimo ai suoi discepoli, i quali meravigliati o atterriti dall'aver Egli detto essere più facile per un cammello il passare per la cruna di un ago che per un ricco l'entrare nel regno dei Cieli336, ammirati, dico, di questa sentenza, dissero al Signore: Chi potrà dunque salvarsi337? Quasi dicessero: se solamente per essere ricco, cioè attaccato disordinatamente alle ricchezze338 diventa così difficile, anzi, come impossibile la salute, chi potrà andare salvo, mentre il mondo è inondato da tanti peggiori vizi? Al che rispose il Signore: con le sole forze umane è impossibile conseguire la salute, ma con l'aiuto mio tutte le cose sono possibili339; anzi, gli diventerà sì facile questa strada, che correrà per essa340, come dice S. Gerolamo spiegando il versetto del Salmo 118; perché, come osserva S. Bonaventura, il Signore paragona la sua legge al giogo, il quale viene portato tra due, per significare che non siamo soli, ma egli ci aiuta a portarlo, e così ce lo rende dolce e soave, e quel peso che alle nostre sole forze sarebbe insopportabile, con il suo aiuto diventa facile e leggero341

Anzi, dice il Signore per bocca di Osea, che egli vuole fare con noi come l'agricoltore discreto, il quale toglie di tanto in tanto il giogo dal collo dei buoi ed il capestro dalle loro mascelle, affinché possano ristorarsi e mangiare

.

342; onde S. Ambrogio seguendo la versione dei Settanta sopra le parole di Geremia non laboravi sequens te, esclama: Chi mai può provare fatica seguendo Gesù, il quale somministra le forze a chi lo segue343

Asc,9006b:T8,1,5 ?

Insomma pare che non si possa spiegare diversamente la strettezza della porta e della strada della salute, se non si vuole cadere in contraddizioni.

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Infatti non è certamente secondo l'insegnamento della Chiesa Cattolica l'intendere quel testo multi quærent intrare et non poterunt assolutamente, che anche cercando di entrarvi con l'osservanza dei comandamenti facendo del canto loro quanto devono, non possano entrarvi, non poterunt, poiché contraddirebbe ciò che fu deciso dal Concilio di Trento344

Asc,9006b:T8,1,6

, cioè che Iddio non comanda cose impossibili, ma mentre ci impone precetti, ci avvisa di fare quel che possiamo dal canto nostro e domandare a Dio l'aiuto suo per ciò che non possiamo da noi.

Se poi si prenda il suddetto testo nel senso che siano molto difficili ad osservarsi i comandamenti, tale senso è opposto a quanto ne dice S. Giovanni Evangelista, cioè che i precetti di Dio non sono gravi, ossia difficili ad osservarsi345

Inoltre se non si ammettono le distinzioni della strettezza e difficoltà relativa spiegata sopra dai Santi Padri nel testo di S. Matteo

.

346, come si potrà conciliare con Davide347, il quale dice che camminava al largo appunto perché aveva cercato studiosamente i divini comandamenti? Soggiunge anzi che Iddio aveva aperto spazioso campo ai suoi piedi348, cioè largo e sicuro gli aveva aperto il varco per salvarsi dalle mani dei suoi nemici. Che se così egli parlava, con tutto che camminasse nella legge del timore e della schiavitù, che dovremo dire di noi che, come dice S. Paolo, camminiamo nella legge di grazia349

Insomma se la legge di Dio fosse tanto difficile ad osservarsi, per quale modo il Salvatore Gesù ci avrebbe detto: Prendete sopra di voi il mio giogo, e troverete riposo alle anime vostre? Imperocché soave è il mio giogo e leggero il mio peso

?

350.

Asc,9006b:T8,2,1

Seconda difficoltà Seconda difficoltà Ma come dice S. Pietro, se il giusto appena sarà salvato, che sarà di noi poveri peccatori351

Asc,9006b:T8,2,2 ?

Cornelio a Lapide352

S. Agostino poi dice: quale cosa più evidente che il Signore non la perdoni neppure ai giusti, ma li purghi per mezzo di varie tribolazioni, mentre sta scritto che il giusto appena sarà salvo

spiega questo testo con il venerabile Beda e S. Agostino. Il primo dice: se è sì grande la fragilità dell'umana nostra natura viziata, che i giusti medesimi non cingeranno la corona del Cielo, se prima non abbiamo, per mezzo delle tribolazioni, purgato le macchie contratte, quanto maggiori saranno per essere le tribolazioni ed angustie dei peccatori?

353

Del resto, dice il sopracitato Cornelio a Lapide, il giusto senza alcun dubbio sarà salvo, e perciò si deve intendere che lo sarà per mezzo di molte tribolazioni, afflizioni, persecuzioni e pene per i peccati veniali, e perciò vix, cioè con pena e difficoltà si salva il giusto.

?

Mons. Martini, appoggiato pure a S. Agostino, spiega questo testo per gli stenti, afflizioni e dolori, per mezzo dei quali giungono i giusti a salvamento.

Asc,9006b:T8,3,1

Terza difficoltà Terza difficoltà E non abbiamo noi assai motivo di diffidare della nostra salute, se, come si legge, tanti che erano giunti a grande perfezione e santità, prevaricarono e si sono dannati? Infatti Giuda, dopo essere stato per tre anni discepolo del divino Redentore, sì che operava miracoli, pure giunse a tradire Gesù Cristo, e si dannò. È celebre la fine luttuosa di quel certo Pelagio, il quale menava una vita santa in asprissima penitenza, era tenuto per santo, e per un peccato grave in cui cadde, si dannò, come narra il P. Rossignoli354. Sappiamo pure tutti come caddero quegli alti cedri del Libano, cioè un Tertulliano, un Origene ed altri. Ah, che possiamo, anzi dobbiamo esclamare purtroppo con Zaccaria355

Asc,9006b:T8,3,2

: Che sarà di noi deboli e miserabili, se caddero questi cedri del Libano, queste colonne della Chiesa?

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Non sono tanti, ma pochissimi quelli che dopo una vita ammirata come santa e penitente, si siano dannati, anzi quei pochi medesimi dei quali si legge l'esito infelice, caddero, come asseriscono comunemente gli ascetici, per la loro superbia, che già ne guastava, quale tarlo maligno, le buone opere, e la loro era forse piuttosto ipocrisia che non vera pietà. In quanto a Giuda, si dannò appunto perché si diede alla disperazione, invece di piangere, come Pietro, il proprio peccato; del resto in quante maniere non procurò il Signore di impedirgli l'esecuzione del macchinato tradimento, sia con il lavargli i piedi, sia con il fargli intendere che non ignovara il di lui reo disegno? Anzi, nell'atto stesso del più perfido dei tradimenti si lasciò baciare e lo chiamò con il dolce nome di amico356

Pelagio pure si dannò perché volle dannarsi. Infatti dice il P. Rossignoli che dopo il peccato, ebbe amorose esortazioni da un Angelo che lo consigliava di pentirsene. Quanti rimorsi non provò nell'anima? Quanti stimoli a confessare la sua colpa? Lo sapeva pure che nulla giovavano le aspre penitenze, mentre tratteneva nel cuore il veleno del suo mortale peccato; non ignorava che erano altrettanti sacrilegi i Sacramenti cui si accostava con sì ree disposizioni, di modo che da quel primo fallo poi tesse la vita sua di lunga orrida catena di sacrilegi, e visse da superbo ipocrita per non perdere il buon concetto, in cui era comunemente di santo, come fu da Dio costretto a confessarlo egli medesimo, secondo che dice il sopracitato autore.

. Gli fece provare l'effetto della sua potenza, gettandolo con due parole a terra in un con quelli che erano con lui venuti per catturarlo, e sanò l'orecchio a Malco, oltre tante inspirazioni e stimoli sì forti, che pure lo portarono a confessare il suo torto nell'aver tradito il proprio Maestro innocente, ed a rigettare il prezzo del tradimento, di modo che se avesse come Pietro unita al pentimento la confidenza, ne avrebbe come Pietro ottenuto il perdono e la salute.

Insomma, quelli che agli occhi del mondo comparivano santi e sono stati condannati, erano ipocriti superbi, i quali conoscevano di meritarsi la dannazione, e per non perdere la vana stima del mondo da essi volontariamente ingannato, amarono meglio dannarsi; né si trova esempio di alcuno, il quale sia vissuto sinceramente da buon cristiano e che sia stato condannato all'inferno.

Asc,9006b:T8,4,1

Quarta difficoltà Quarta difficoltà Chi sa quanti, anche dopo una vita da buoni cristiani, avranno poi in punto di morte ceduto alle gagliardissime tentazioni ed arrabbiati sforzi del Demonio, il quale, se sempre quale feroce leone ruggendo, va in cerca di fare preda di anime per divorarsele357, allora verrà ad assaltarci con il più grande furore e rabbia, sapendo che poco tempo gli rimane per affliggerci e tentarci358

Asc,9006b:T8,4,2

? E chi potrà resistere ai fieri assalti, quando oppressi dal male non sapremo più ove rivolgerci per aiuto, né più avremo forza per poter pregare? Ah, che purtroppo è difficile il salvarsi, se anche dopo una vita cristiana abbiamo tanto da temere di naufragare nell'avvicinarci al porto, e ci danneremo, come si dannò quell'uno tra i quaranta martiri e tanti altri che per la forza dei tormenti cedettero ed apostatarono!

Dobbiamo, anzi più che mai, ravvivare la nostra confidenza in Dio; poiché siccome quanto più si arrabbia e smania un crudele assassino, a misura che si vede mancare tempo e luogo per inseguire e raggiungere un ricco viandante, altrettanto questi si va rinfrancando e confortando a misura che si avvicina a qualche luogo sicuro; così quanto più il Demonio si arrabbia perché gli manca il tempo, noi pure dobbiamo ricevere gioia e conforto, vedendoci tanto vicini ad afferrare il porto di salute. È vero che sull'ultimo farebbe quell'assassino maggiori sforzi per raggiungere il viandante, ma noi non abbiamo di che sbigottirci, poiché sebbene venga il Demonio ad assaltarci con gran rabbia e furore, Iddio è fedele359, e ci assicura di non lasciargli fare quel che vuole, ma permettendogli di tentarci, non gli permetterà di farlo oltre la grazia e forza, che ha disposto di accordarci per resistergli, e volgere così a nostro profitto gli stessi sforzi che il nemico farà per rovinarci; e perciò quando ci troveremo in quel punto, ci aiuterà in proporzione dei nostri bisogni360, di modo che

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sebbene, giusta il Concilio di Trento, nessuno possa con assoluta certezza ripromettersi la perseveranza finale, tuttavia dobbiamo tutti collocare nell'aiuto di Dio una fermissima speranza di ottenerla361

Asc,9006b:T8,4,3 .

Infatti non starà più a cuore a Dio di salvarci che al Demonio di dannarci, mentre l'amore di Dio verso di noi è infinito ed all'opposto, sebbene implacabile, non è però infinito l'odio del Demonio contro di noi? E non si farebbe un torto gravissimo a Dio con il solo immaginarci che Egli ci voglia abbandonare nei nostri maggiori bisogni? Ah! Sì, dice Origene, ha Iddio assai maggiore sollecitudine e premura di salvarci che non il Demonio di perderci362

Non lo farebbe un buon amico verso l'amico, tanto meno un padre verso il figlio, uno sposo verso la sposa teneramente amata, e lo farà Iddio con noi amici e figli suoi, con l'anima nostra sua sposa tanto prediletta, che per la salute di essa diede e sangue e vita sopra una Croce? Eh! Diciamo piuttosto con la confidenza del S. Davide: Iddio è in nostro soccorso, e noi disprezzeremo i nostri nemici, e quand'anche ci trovassimo negli orrori della morte, non temeremmo alcun male, poiché Iddio è con noi, e nessuno ha veramente sperato in Dio e rimase confuso

!

363.

Asc,9006b:T8,4,4

In quanto poi a quell'altro… In quanto poi a quell'altro che sul finire della vita fra tormenti per la fede, cedette ed apostatò, perdette è vero la palma del martirio, tuttavia la Chiesa dice soltanto che un altro ne ebbe invece di lui la corona. Che se come osservammo in S. Giovanni Crisostomo, capo II, difficoltà 7, anche già stando per esalare lo spirito364

Ammiriamo anzi piuttosto la bontà di Dio, il quale volse a profitto del custode avventurato la caduta stessa dell'altro.

, tuttavia si è ancora in tempo ad ottenere misericordia con il sincero pentimento, quanto è da credere che il Signore abbia avuto compassione della di lui debolezza e gli abbia accordato la grazia del dolore perfetto del suo peccato, e si sia perciò salvato; e sebbene abbia perduto la corona del martirio, abbia nulladimeno ricevuto il premio dei tormenti da lui sofferti prima della sua caduta, mentre cioè egli era in stato di grazia?

Asc,9006b:T8,4,5 Di più, dice Blosio e lo conferma la Chiesa stessa365, se quanto maggiori sono in numero ed in malizia i peccati che Dio ci perdona, e quanto più noi siamo indegni e miserabili, tanto maggiormente risplende la di Lui gloria e potenza divina; chi potrà degnamente ammirare e ringraziare l'ineffabile bontà, con la quale il misericordiosissimo ed amantissimo nostro Dio sovente volte si fa conoscere in morte cotanto benigno ed amabile anche ai peccatori, i più perduti e disperati, nei quali scorge il merito di qualche virtù, a segno che essi nell'intimo del loro cuore dolendosi di aver offeso un sì pietoso e benigno Creatore e Redentore, ottengano perciò il perdono dei loro peccati, e dopo aver soddisfatto la divina giustizia in Purgatorio siano introdotti nel regno Celeste366

Asc,9006b:T8,4,6 ? (i)

(i) Santa Gertrude, udendo un zelante Predicatore, che diceva essere impossibile ad un'anima il salvarsi senza l'amore di Dio, in modo che per cagione di questo amore si penta dei peccati, pensò tra se stessa che se ciò era, pochi si salvavano, perché la maggior parte si inducono in morte a pentirsi più per timore dell'inferno che per l'amore di Dio. A questo suo pensiero il Signore benignamente rispose con dirle: allorché io vedrò essere nell'affanno di quell'ultimo passaggio coloro che alcuna volta si sono di me dolcemente ricordati, ovvero che avranno fatto qualche opera meritoria, in quel punto io mi darò loro per mia benigna pietà da vedere in una maniera tanto amabile, che dall'intimo dei loro cuori si pentiranno di avermi offeso, quindi per cagione di tale pentimento verranno a salvarsi (Vita di S. Gertrude del Campacci, pag. 2, Ammaestr. 68, pag. 219, Venezia, 1748, e del Lanspergio, lib. 3, capo 39, G. 2).

Asc,9006b:T8,4,7

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E se, ciò premesso, aveva motivo S. Francesco di Sales367

Chi oserebbe dunque tenere per dannate tali persone, mentre ignoriamo quanto passa tra Dio e l'uomo in quegli ultimi momenti nei quali il moribondo conserva ancora la cognizione senza poter darne meno segno e, giusta S. Gregorio Magno, tanto meno conosciamo quanti mezzi abbia Iddio nei tesori dell'infinta sua misericordia per salvarlo

di sperare che il Signore Iddio avesse concesso la contrizione perfetta al re di Francia Enrico IV il grande, morto in pochi momenti di una ferita ricevuta senza più potersi confessare, mentre si sa dalle più fedeli Storie che, oltre la reiterata apostasia, non aveva mai rotto la catena dei suoi impurissimi amori e delle troppo conosciute sue incontinenze; quanto più vi è motivo di sperare bene per quelli che caddero per debolezza, lasciandosi vincere dalla forza dei tormenti?

368

Bisogna però guardarci, dice Blosio, dall'ingratitudine pessima di peccare, perché Iddio è buono, essendo questa riuscita fatale a molti che abusarono della misericordia di Dio, poiché sebbene al peccatore pentito abbia promesso il perdono in ogni tempo, non ha però, dice S. Gregorio Magno, promesso di dare sempre il tempo di pentirsi

?

369.

Asc,9006b:T9

Capo IX. Se per giustizia di Dio si deve intendere severità Asc,9006b:T9,1,1

Prima difficoltà Si esalta cotanto la misericordia di Dio, ma Egli è pur anche infinitamente giusto, e gli effetti della sua misericordia, benché infinita, sono peraltro limitati. Chi ci assicura che per noi già siano giunti al termine questi effetti, e nulla ci rimanga fuorché provare i rigori della sua giustizia? In tale dubbio come potrà concepirsi quella sì ferma speranza che ci viene da Dio comandata, sotto pena di dannazione eterna?

Asc,9006b:T9,1,2 È verissimo in primo luogo che Iddio, quanto è misericordioso altrettanto è giusto, essendo ugualmente infinita ogni sua perfezione; ma conviene osservare che l'essere Iddio giusto non significa essere severo nel punire, come taluno suole immaginarsi, ma la giustizia di Dio, come viene definita da Bergier, è una perfezione con la quale Iddio adempie le promesse che fece alle sue creature, premia la virtù e punisce il peccato (l).

Asc,9006b:T9,1,3 (l) La giustizia dell' uomo consiste nel rendere a ciascuno ciò che gli è dovuto. Ella suppone dei diritti e dei mutui doveri tra gli uomini, una legge suprema che proibisca di nuocerci reciprocamente, comandi di soccorrersi vicendevolmente nei bisogni. Questa nozione non può convenire alla giustizia di Dio. Creandoci, nulla ci doveva, neppure l' esistenza. Tutto ci ha dato per pura liberalità; onde non abbiamo diritto di aspettare da Egli se non ciò che si degnò di prometterci. Le infinite sue perfezioni sono la sola legge che possa obbligarlo (Bergier, Dizionario Enciclopedico).

Asc,9006b:T9,1,4 Questa giustizia, secondo l'idea datacene da Gesù Cristo nel Vangelo370 con la parabola dei talenti, consiste nel chiedere conto del buono o cattivo uso che si è fatto dei doni suoi per premiare o castigare ciascuno, secondo le opere sue371, poiché avendolo promesso, non può mancare di parola372, onde a ragione si teneva sicuro di ricevere la corona per tante sue fatiche e patimenti S. Paolo, appunto perché aveva a che fare con un giudice giusto373

E sebbene Iddio ci abbia non solo fatto promesse, ma ancora minacce.

374 per insegnarci che è punitore del peccato come è rimuneratore della virtù, tuttavia, mentre non ha alcuna obbligazione di compiere quanto minaccia, perché può perdonare quando gli aggrada, ed usando misericordia non la usa per obbligo che ne abbia375; si osservi con S. Agostino376 che Iddio è buono e giusto; perché buono può salvare chiunque senza meriti; perché giusto non può dannare alcuno se non l'ha meritato. E sebbene tavolta punisca il peccatore, lo fa, come osserva Bergier, per il bene generale dell'universo, poiché rispondevano i santi Padri ai marcioniti e manichei, i quali tacciavano Iddio di crudele per la severità nel castigare i peccatori nei primi tempi del mondo, se Egli mai non punisse i

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cattivi, questo mondo non sarebbe più abitabile, ed i buoni sarebbero vittime dell'immunità concessa ai malgavi. La misericordia di Dio può in certo modo essere considerata come un peso di più sulla bilancia della sua giustizia, per cui Iddio è inclinato dalla sua infinita bontà a tollerarci, a compatirci, a prepararci le grazie per non peccare, o per ottenere il perdono dei peccati commessi, sì che non ci castighi come meriteremmo, e dobbiamo tutti esclamare con affetto di riconoscenza, che per sua bontà non ci ha trattati a tenore dei nostri demeriti377, poiché, come un padre compatisce le mancanze dei figli suoi, Egli pure conoscendo la nostra debolezza ci compatisce, ed essendo ricco in misericordia, anzi padre delle misericordie, anche nel castigarci non lascerà di farla con noi da padre amoroso, che si compiace soprattutto di far sentire gli effetti della sua affettuosa compassione378

Asc,9006b:T9,1,5 verso i figli che ama teneramente.

In secondo luogo, sebbene veramente siano come di tutte le altre perfezioni anche limitati gli effetti della sua infinita misericordia, tuttavia si possono dire limitati e circoscritti dalla nostra vita e dalla nostra ostinazione, ma non per parte di Dio, il quale finché viviamo è sempre disposto ad usarla con il perdonarci, se vogliamo approfittarcene; anzi, ci protesta per bocca di Ezechiele profeta, che non avrà riguardo ai peccati da noi commessi379, di modo che in qualunque giorno pentiti di cuore a Lui ricorriamo, ci reintegrerà di ogni danno sofferto, volendo restituirci i meriti che erano rimasti mortificati380.

Asc,9006b:T9,2,1

Seconda difficoltà Seconda difficoltà Egli è nostro Padre misericordioso: lo sia, ma che giova se è altresì nostro Giudice severissimo ed inesorabile?

Asc,9006b:T9,2,2 È vero che Gesù Cristo è anche nostro giudice: l'immaginarlo però severo in tale modo che quasi per darci un'idea della sua potenza e giustizia, si compiaccia di castigare con terribili pene le sue creature, è cosa sommamente ingiuriosa non solo a Dio, ma a qualunque giudice di questa terra; poiché l'essere giudice non è incompatibile con l'avere un cuore tenero e pietoso; e sebbene mai non deve lasciarci piegare ad usare la benché menoma ingiustizia, tuttavia dovrebbe in certa maniera essere più soddisfatto di avere occasione di giustamente assolvere l'innocente o premiare il virtuoso di quel che sia, dovendo punire un reo: perché nel primo caso seconderebbe l'inclinazione di un cuore ben fatto, nel secondo vi sarebbe costretto dalla giustizia per il buon ordine e per il bene pubblico.

Asc,9006b:T9,2,3 Ora chi mai potrà negare questa consolante qualità nel divino Giudice nostro? A conoscere il carattere suo amabilissimo, fingiamo la ribellione di tutto un popolo contro il legittimo suo sovrano. Questi non ha punto a temere, anzi, si suppone che abbia ogni mezzo per sottomettere e punire i ribelli. Essendo egli per una parte retto e giusto, non vorrebbe lasciare impunita una tale ribellione, ed essendo pure tutto bontà serba la più tenera compassione per essi, e vorrebbe trovare mezzo di perdonare, pur salvando i diritti della sua giustizia. Egli ha un unico figlio ugualmente ripieno di compassione per gli infelici ribelli, onde in lui conoscendo tale bontà e desiderio di favorirli, lo costituisce loro giudice. Il figlio vorrebbe per una parte soddisfatta l'offesa di lesa maestà nel padre suo, che ama quanto se stesso, vorrebbe pure, per la tenera compassione che ne ha, risparmiare ai ribelli la pena meritata. Ora che farà in queste angustie di compassione e di giustizia? Eccolo, offre se stesso vittima per i colpevoli, e prendendo sopra di sé la pena da loro meritata, si incarica di soddisfare sovrabbondantemente alla maestà offesa del padre. Accetta questi l'offerta del figlio, e permette che sia dato alla ignominia, alla morte, per la quale saranno redenti i ribelli.

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E non basta; l'amore è fecondo di rimedi che nessuno potrebbe immaginare, ma che non meno sono amabili e grandi. È convenuto tra il padre e la vittima, che quanti chiederanno venia in nome suo, siano restituiti alla prima loro condizione, e sia ricevuta la sentenza di perdono che pronunceranno i giudici da sé ordinati. Non limita il numero o la gravezza dei debiti, solo prega ed esorta di non abusare della sua clemenza, perché cerca e vuole il loro bene, la loro vita; non vuole né la condanna né la morte. Ora chi volesse dipingerci terribile un tale giudice ed inclinato a godere del castigo inflitto ai colpevoli, non farebbe grave torto alla bontà sua illimitata? Che se le sue ammonizioni contenessero alcuna volta parole di rigore per gli ostinati, non sarebbero queste da aversi come prova di quanto brami il loro ravvedimento, per non essere malgrado suo costretto a punirne l'ostinazione? E non avrebbero questi rei ogni motivo di confidare e tenere per sicuro il perdono, quando di cuore ricorressero ai giudici da lui costituiti per essere assolti dalla pena meritata?

Asc,9006b:T9,2,4 E questo non è forse il caso nostro? Anzi, oh quanto è stata maggiore la carità del nostro divino Giudice ed amorosissimo Redentore Gesù! Rimise il Padre ogni giudizio al Figliuolo suo, perché è Figliuolo dell'uomo381

Infatti abbiamo in Lui, come dice l'apostolo S. Paolo

, come per sua bontà si nominava Gesù Cristo medesimo, la qual cosa ne insegna che appunto il Padre mise la nostra causa nelle sue mani, perché come carne della nostra carne, ossa delle nostre ossa, e capo nostro avesse compassione di noi sue membra.

382, un Pontefice, il quale ci compatisce nelle nostre infermità, poiché Egli stesso volle provare tutte le nostre miserie, eccettuato il peccato. E perciò non una volta sola si degnò di offrirsi alla morte383 per redimerci, ma dopo aver pagato i nostri debiti e cancellata la sentenza di morte da noi meritata384, volle inoltre instituire il sacrificio della santa Messa, in cui continuamente sacrificandosi, mostra di continuo le sue piaghe, il suo sangue sparso per noi all'Eterno Padre, sì che prima di farla da giudice, la fa da avvocato ed avvocato tutto zelo ed ardore per la nostra causa385

Asc,9006b:T9,2,5 .

Che dunque diremo dopo tanta bontà di Dio386? Se Egli è a nostro favore, chi ci sarà contrario? Chi sarà il nostro accusatore? Iddio stesso ci giustifica. Chi avrà cuore di condannarci? Forse Gesù Cristo, il quale è morto per noi e che perora anche la nostra causa387? Egli anzi volle rimanere e farsi una cosa sola con noi nell'augustissimo Sacramento per assisterci in vita, e vie più in morte, e per tale modo esserci difensore e protettore contro gli sforzi dell'infernale nemico, dandoci in se stesso una caparra della eterna gloria388

Egli minaccia, è vero, un grande rigore ed inesorabile giudizio al suo divino Tribunale, ma non a quelli che, pentiti in vita dei loro eccessi, a Lui ricorrono per il perdono, poiché a questi si protesta di non solo voler rimettere, ma scordarsi anche delle loro colpe: il rigore pertanto è minacciato e deve temerlo colui che ostinato non vuole cessare di offendere un Dio sì buono, anzi abusa di tanta sua bontà per maggiormente peccare.

.

Insomma, chi è ostinato nella colpa deve temerlo come giudice, e, cessando dall'offenderlo, convertirsi; chi all'opposto l'ha offeso, ma pianse od è disposto a piangere ed abbandonare il peccato, ricorra a Lui come a padre, perché Egli abbonda nel perdonare389.

Asc,9006b:T9,3,1

Terza difficoltà Terza difficoltà In prova della sua severità non volle forse Iddio esercitare gli atti della sua giustizia prima di quelli della sua misericordia390? Anzi, non ci assicura Egli di voler prima punire i rei, e quindi premiare i giusti nel tremendo giorno del giudizio391? Non si gloria forse di essere un Dio terribile, il Dio delle vendette, un Dio insomma così geloso dell'osservanza dei suoi precetti, che si protesta di punire i

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trasgressori sino alla terza e sino alla quarta generazione392

Asc,9006b:T9,3,2

? Si potrà pertanto credere di infinita bontà e misericordia un tale Dio?

Per quanto riguarda il primo testo del Reale Profeta, Egli non parla del passato, ma del futuro: ambulabit, e parla del futuro Messia, come si scorge dal contesto del Salmo citato, cioè che sia giusto, ossia santo per essenza, e così prega Iddio di placarsi con il suo popolo in grazia del Messia futuro. Inoltre, se consultiamo le Sacre carte, Iddio cominciò piuttosto ad esercitare gli atti della sua bontà con il beneficare e favorire gli Angeli e gli uomini di tanti doni nella loro creazione: che se poi osserviamo la Genesi393, fulminò è vero la maledizione contro il serpente seduttore, e manifestò contro di lui il suo sdegno, ma come nota Bergier in S. Giovanni Crisostomo394, anche mentre esercitò l'ufficio di giudice verso l'uomo colpevole, non proruppe in rimproveri ed invettive, sì usò con lui tutti i riguardi, di modo che prima di condannarlo alle miserie di questa vita e cacciarlo dal Paradiso terrestre, lo confortò con la consolantissima promessa della più grande misericordia, cioè del divino Redentore come riconoscono i sacri Espositori in quelle parole: ipsa conteret caput tuum395

Asc,9006b:T9,3,3 .

E sebbene in quanto al secondo testo dica il Signore ai mietitori di raccogliere prima la zizzania condannata al fuoco, allude però alla separazione che dovrà farsi dagli Angeli nel giorno del giudizio, cioè dei reprobi dai buoni396. Ma per ciò che riguarda la sentenza lo stesso Evangelista ci dice che prima il Signore darà il premio ai buoni e poi il castigo ai cattivi397

Nello stesso capo parlando di tre servi, ai quali consegnò i talenti, prima diede il premio ai due fedeli, condannò poscia il servo pigro

.

398

Asc,9006b:T9,3,4

; onde se si può trarre qualche congettura da questi argomenti, deve trarsi piuttosto in favore della sua misericordia che della sua giustizia presa in senso di severità.

È vero poi, come osserva Bergier, che Iddio viene chiamato qualche volta nelle Scritture geloso, terribile, e Dio delle vendette, ma questo tuono di maestà e terrore era necessario per riscuotere il dovuto rispetto da una nazione cotanto indocile e portata all'idolatria. Per allontanarla dice il Signore di essere geloso del suo culto, sì che Egli non soffrirà che siano resi gli onori supremi ad altre divinità, poiché questo supremo culto ed adorazione è dovuta a Lui solo. Che se minaccia di punire l'idolatria sino alla quarta generazione, si osservi primieramente con S. Agostino, che ivi parla di castigo temporale e non di castigo eterno: “Vediamo nella Scrittura, dice egli, alcuni uomini colpiti da morte per i peccati altrui, ma nessuno va dannato per un altro399

In secondo luogo non è lesa la giustizia divina quando in un flagello sono coinvolti gli innocenti con i rei, perché ai primi è occasione di meritare con la pazienza il premio eterno che loro è promesso, e perciò non è per essi un castigo, ma se bene si considera la grandezza del premio in proporzione alla pena, diviene per essi un tratto di bontà che usa Iddio, dando loro occasione di un sì merito; onde ai manichei che rimproveravano questo modo di fare in Dio, domandò S. Agostino: “Sapete voi quale premio abbia Egli dato a quelli, con la morte dei quali corresse e spaventò i viventi

”.

400

Inoltre si osservi che nello stesso tempo promette la sua misericordia non solo sino alla quarta, ma sino a mille generazioni a quelli che saranno fedeli ed osserveranno i suoi Comandamenti

?”

401

Asc,9006b:T9,3,5 .

Egli è terribile nel punire i peccatori ostinati, ma si lascia muovere a compassione quando castigati si umiliano, si correggono ed a Lui ritornano. Oh quante volte ripete questa promessa nelle Sacre Scritture! Finalmente viene chiamato Dio delle vendette, perché, come ne dà la ragione S. Paolo, non vuole che alcuno di noi si arroghi questo diritto di vendicarsi dei suoi nemici, ma lo riserva a Sé solo, perché l'uomo è troppo soggetto ad ingannarsi e lasciarsi dominare dalle passioni contro le regole dell'equità e della giustizia. Se però esercita questo terribile officio, lo fa malgrado suo e dopo lunga pazienza nell'aspettarli, come chiaramente lo provano le lacrime sparse da Gesù Cristo nella

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perdizione della rovina di Gerusalemme; e quanto è pronto e volenteroso nel premiare, altrettanto è restìo nel punire: infatti promette bensì subito il Paradiso al buon ladrone, ma non ha cuore di proferire sentenza contro il cattivo. Insomma, giunge perfino ad assicurarci che, anche quando castiga, sarà beato chi pentito di cuore avrà a Lui ricorso con confidenza, perché è ancora pronto a perdonare402

Che se ordinava agli israeliti di tremare avanti a Lui nel santuario, lo faceva per impedire che si introducessero le superstizioni e l'idolatria, come li avvertì nel Levitico 25, 1. Non prescrisse però mai il terrore come mezzo di piacergli e rendergli onore

.

403.

Asc,9006b:T9,4,1

Quarta difficoltà Quarta difficoltà Non è forse una grande severità quella che usò il divino Redentore nel punire404 quel servo pigro del Vangelo, non già per aver fatto alcun male, ma per non aver fatto del bene, cioè solamente per aver, a cagione dell'eccessivo timore del conto da rendere, tralasciato di trafficare il talento senza averlo però scialacquato? Non avremo pertanto da temere la stessa sentenza noi, i quali siamo sempre gli stessi, e non ci avanziamo mai nella virtù? Anzi, peggio dobbiamo aspettarci, poiché se come dice S. Bernardo405

Asc,9006b:T9,4,2

il non avanzarci è lo stesso che andare indietro, saremo considerati e puniti non solo come inutili servi, ma condannati come cattivi.

Fu dal padrone castigato questo servo, non solo perché non fece il bene, ma operò il male, poiché, come osserva il reale Salmista406, quelli che mancano alle loro obbligazioni, devono considerarsi come chi opera malamente, e perciò con ragione fu punito questo servo per aver mancato al suo obbligo. Infatti gli era stato imposto dal padrone di negoziare il talento407 ed egli, non solo pigro, ma disobbediente, invece di trafficarlo secondo la sua capacità, lo nascose, onde non solo come pigro, ma anche come malvagio408

Asc,9006b:T9,4,3

lo punì il Signore quale si meritava per la negligenza, e tanto più per la sua disobbedienza a quanto gli venne imposto da chi aveva diritto di comandargli.

Né dobbiamo poi punto scoraggiarci per essere sempre, come ci pare, gli stessi senza avanzarci mai nella virtù, perché sebbene convenga fare quanto si può di opere buone per farci santi, come ci esorta il Signore409, tuttavia se noi faremo anche solo quanto potremo per evitare il peccato, non lascerà il Signore di darci la sua gloria, come ce ne assicura Egli stesso410

Infatti si deve credere e sperare in Dio, amarlo, onorarlo e rispettare il suo santo nome, fare quanto ci viene imposto per santificare le feste, rispettare ed obbedire i superiori, perdonare le ingiurie, trattenerci dalla collera, astenerci dalle illecite soddisfazioni, e perciò mortificare i sensi, ricorrere a Dio nelle tentazioni, rigettarle con prontezza; non nutrire attacco disordinato alla roba, e perciò essere giusti nei contratti; non portare danno alla reputazione del prossimo, non giudicarne male senza fondamento, e perciò scusarlo. Quante volte bisognerà soffrire per non mentire. Quindi confessarci e comunicarci, digiunare, astenerci dalla carne e digiunare nei giorni prescritti; attendere all'educazione della prole, vegliare sulla condotta dei subalterni, ecc.

, perché ad evitare il peccato, essendo necessario osservare i Comandamenti di Dio e della Chiesa, non si può eseguire ciò senza fare molte opere buone.

Né ci immaginiamo che per essere queste cose di obbligo siano da Dio contate per nulla, poiché se castiga giustamente chi vi manca, premia pure chi le adempie, ed il Signore medesimo non ci impose altro obbligo per salvarci che l'osservanza dei Comandamenti411

Asc,9006b:T9,4,4

. Anzi è facilissima cosa il farci continuamente dei meriti, poiché offrendo a Dio le nostre azioni, quelle cose medesime che dobbiamo fare per necessità nel nostro rispettivo stato e condizione, procurando di vivere in grazia di Dio, tutte diventano meritorie per la vita eterna, e ci saranno aumento di grazia, di merito e di gloria.

Perciò disse benissimo S. Bernardo, che chi non avanza va indietro, perché chi fa quel che può per evitare il peccato, non può a meno di fare qualche bene, e così o poco o assai sempre si avanza,

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all'incontro chi non fa alcun bene, tralascia necessariamente le sue obbligazioni, e trasgredisce i precetti di Dio e della Chiesa, e perciò commette peccati e torna indietro. Chi pertanto fa quel che può di bene secondo il suo stato, o se tavolta gli avviene di cadere in colpa, subito procura di risorgere con il pentimento, non tralascerà di andare innanzi, ed è simile a colui che, inciampando per strada si rialza subito e continua il suo cammino fintanto che giunga alla desiderata patria celeste. Quand'anche poi non avessimo fatto del bene sinora, dice Bergier412, chi ci impedisce di risolverci in quest'istante ad operare con fervore la nostra salute, compensando con la diligenza in avvenire la negligenza passata? Così potremo sperare di ricevere un gran premio come se avessimo cominciato prima, e ricevere pure noi la mercede di tutta la giornata come quelli che furono chiamati dal Signore a lavorare la vigna nell'ultima ora del giorno413.

Asc,9006b:T9,5,1

Quinta difficoltà Quinta difficoltà Non si dà mezzo, si dice comunemente da tutti, o innocenza o penitenza, o per l'una o per l'altra di queste due strade conviene passare per salvarci. Lo disse pure chiaro Gesù Cristo medesimo, che se non faremo penitenza, ci danneremo tutti414

Ora innocenti purtroppo non lo siamo più, penitenza non ne facciamo, come dunque potremo sperare di salvarci?

.

Asc,9006b:T9,5,2 È verissimo che è necessaria per salvarci o la innocenza o la penitenza; ma bisogna distinguere le varie sorta di penitenza ed osservare quale sia necessaria e quale sia solamente di consiglio, cioè utile rispettivamente. In primo luogo la penitenza assolutamente necessaria per salvarci consiste nel ricevere con le debite disposizioni il Sacramento del Battesimo415 e della Confessione: il primo è necessario a tutti, come dice Gesù Cristo medesimo; quello poi della penitenza è necessario a chiunque abbia peccato mortalmente dopo il Battesimo, come definì il Concilio di Trento416

In secondo luogo agli adulti è anche necessaria quella penitenza che consiste nel vincere le nostre passioni, cattive inclinazioni, tentazioni, consiste insomma nell'osservanza dei Comandamenti di Dio e della Chiesa, poiché il Signore a quel giovane che lo interrogò quale cosa dovesse fare per salvarsi: Se vuoi salvarti, rispose, osserva i Comandamenti

.

417

E chi non potesse per qualche grave disturbo osservare i precetti della Chiesa, sopportando tale incomodo con pazienza per amore di Dio, ne acquisterà grande merito e gli servirà di penitenza.

.

In terzo luogo vi è la penitenza comune a tutti, cioè necessaria, in quanto tutti, vogliamo o non vogliamo, abbiamo da farla continuamente con il sopportare quei senza numero, incomodi o mali che ci assediano ed affliggono in questa misera vita; e questi mali se li sopportiamo in grazia di Dio e con rassegnazione, oltre che ci saranno di continuo e gran merito418

In quarto luogo vi è la penitenza che si esercita con l'osservanza dei Consigli evangelici, la quale appartiene specialmente ai religiosi, oltre quella che esercitano con la osservanza della loro regola.

, ci serviranno in pari tempo a scontare le pene del Purgatorio: ed ecco un gran vantaggio in questa penitenza, se vogliamo fare di necessità virtù.

Asc,9006b:T9,5,3 Finalmente vi è la penitenza che si chiama mortificazione, o interna delle potenze dell'anima od esterna dei sensi, e questa è rispettivamente necessaria per evitare il peccato, ed in tale caso conviene praticarla per assicurarci la salute eterna; o ci viene imposta nel Sacramento della penitenza e si deve adempire, perché il Sacramento non manchi nella sua integrità; ma quando per qualche ragionevole motivo si prevedesse di non poterla adempire, il confessore discreto non avrà difficoltà di cambiarla in altra che si possa compiere. O finalmente questa penitenza praticata dai Santi è soltanto di supererogazione e straordinaria per avanzarci nella perfezione, e questa conviene che sia regolata dall'obbedienza ai rispettivi direttori delle nostre coscienze. Così fatte penitenze straordinarie però, e principalmente se esterne, non da tutti le esige il Signore, perché non tutti sono

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capaci di praticarle; ed in sostanza non sono a tutti necessarie né comandate, ma solo rispettivamente consigliate secondo lo stato e la condizione delle persone. Ciascuno di noi pertanto procuri di praticare quella sorta di penitenza che è necessaria e conviene al suo stato, secondo la distinzione allegata, e sebbene più non possiamo avere luogo tra gli innocenti, potremo averlo tuttavia tra i penitenti.

Asc,9006b:T9,6,1

Sesta difficoltà Sesta difficoltà Se per altro cotanto tremavano in vita ed in morte quegli anacoreti così penitenti, come quel santo solitario Stefano, il quale, come racconta S. Giovanni Climaco, dopo una vita menata in asprissima penitenza nel deserto, in morte tuttavia non sapeva che rispondere alle accuse del Demonio, e spirò lasciando i monaci astanti pieni di terrore ed incerti della salute di lui; che potremo rispondere e come non dovremo tremare assai più noi che siamo ben lungi dalla santità della loro vita penitente?

Asc,9006b:T9,6,2 Per ciò che spetta a quel Santo solitario, si osservi in primo luogo che S. Giovanni Climaco non dice che sia stato condannato all'inferno, ma solamente che lasciò incerto l'esito della sua eterna salute. In secondo luogo non può supporsi che questo solitario, vissuto così santamente, sia stato condannato all'inferno per quelle colpe cui diceva di non saper opporre altro che la misericordia di Dio; poiché o aveva commesso nella passata sua vita qualche colpa mortale e l'aveva debitamente confessata, o l'aveva dimenticata senza grave sua colpa, cioè senza avvertenza di mancare gravemente nell'esame, come si deve necessariamente supporre in chi era vissuto con tanta santità, ed in questo caso poteva essere moralmente sicuro di averne ottenuto il perdono; oppure l'aveva commessa allora in quelle ultime ore, e se più non poteva confessarsene, poteva chiederne di cuore perdono a Dio con un atto di contrizione, e lo avrebbe infallibilmente ottenuto, giusta la divina promessa fatta per Ezechiele419

Oltre ciò sarebbe fare un grave torto a S. Giovanni Climaco il dire che avesse posto in dubbio tale divina promessa, quando nel raccontare questo avvenimento aggiunse quell'epifonema: Væ, væ! Ubi nam erat vox Ezechielis quam illis objiceret, in quacumque hora ingemuerit peccator, salvus erit? Vere nihil hujusmodi respondere potuit.

.

In quanto poi alle espressioni degli altri monaci sull'incertezza e timore della propria salute, alcuni pieni di fiducia benedicevano Iddio, ed altri erano in gravi angustie per l'incertezza, ed a questi timori della loro salute cagionati da tentazioni di diffidenza, dovevano resistere e farsi cuore per non mancare contro la virtù della cristiana speranza.

Asc,9006b:T9,7,1

Settima difficoltà Settima difficoltà In prova che abbiamo a che fare con un giudice inesorabile e severo, Davide medesimo, tuttoché santo, non esclamava egli atterrito che i giudizi di Lui sono abissi profondissimi, anzi terribili, in guisa che ne tremava al considerarli420

Ora se temeva tanto i giudizi di Dio un sì santo Profeta e penitente, fatto secondo il cuore di Dio medesimo, perché sapeva che nessuno può giustificarsi

!?

421 innanzi a quel Dio, agli occhi del quale gli stessi Santi, anzi le medesime loro migliori azioni non sono che immondizia, come diceva di se stesso il Profeta Isaia422: Che più? Se giunse persino a trovare difetto negli Angeli suoi, dice Giobbe423

Asc,9006b:T9,7,2

, come non dovremo esserne continuamente atterriti noi poveri peccatori, e come oseremo sperare di poterci giustificare innanzi al suo divino e giustamente temuto Tribunale?

Sebbene siano occulti ed imperscrutabili i giudizi di Dio, tuttavia essendo anche infinitamente giusti424, come dice lo stesso reale Salmista, ed avendo in essi il Signore specialmente in mira di usare con noi della sua misericordia piuttosto che del rigore di sua giustizia, come ci dichiara a

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nostra consolazione S. Giacomo425, possiamo e dobbiamo temerli qualora ci trovassimo in peccato mortale, come si trovò il prelodato Profeta, e dire con lui: a judiciis tuis timui, ma nello stesso tempo se abbiamo eziando come lui pianto i nostri peccati, possiamo rimirare i divini giudizi come oggetto di grande confidenza e consolazione, piuttosto che di spavento e terrore, come pure se ne consolava il santo Re penitente, perché il trovava ripieni di soavità e di allegrezza, anzi più dolci di ogni umana dolcezza, e sperava di trovare in essi la sua forza ed aiuto, e perciò in loro aveva riposto tutta la grande sua confidenza426

È vero che nessuno può giustificarsi innanzi a Dio, ma ciò si intende senza i meriti di Gesù Cristo, poiché dice bensì che senza di Lui nulla possiamo fare di bene

.

427, ma nello stesso tempo ci assicura che Egli è la nostra giustificazione, redenzione e santificazione428, e perciò possiamo dire con tutta confidenza all'Eterno divino Padre, che sebbene noi non meritiamo alcun riguardo, lo abbia però per quanto fece e patì per la nostra giustificazione il Figlio suo divino429

Asc,9006b:T9,7,3 .

Per meglio intendere il testo di Isaia, S. Gerolamo430

La parola justitiæ, ben lungi dal significare le migliori azioni del santo Profeta, i santi Padri ed i sacri Espositori la spiegano come S. Paolo per le purificazioni e riti della legge antica

spiega il versetto antecedente dicendo: “Noi che siamo sempre stati immersi nei peccati, non potremmo salvarci altro che per la misericordia del Signore Iddio, poiché (continua Cornelio a Lapide), in quanto noi giudei siamo immondi, colpevoli e macchiati innanzi al Cielo ed agli uomini”.

431, le quali, dice S. Gerolamo, poste in confronto alle purità del Vangelo, sono considerate come immondizie, poiché (dice Cornelio a Lapide), essendo quelle state abolite da Gesù Cristo, sono divenute morte, anzi mortifere432

E quand'anche si volesse intendere la parola justitiæ, per le opere buone, bisogna osservare che se si considerano le opere anche dei Santi solamente in se stesse, fatta astrazione dalla grazia e dai meriti di Gesù Cristo, si possono in certa maniera chiamare come immondizie in confronto alle opere buone fatte in grazia di Dio e per un fine soprannaturale, poiché restano queste sollevate ad ordine così eccellente, che non ha con esse proporzione alcuna qualunque opera buona nell'ordine naturale.

, di modo che conclude che il profeta Isaia in questo capo non parla né in persona propria, né dei cristiani, sì dei giudei immersi nei peccati, i quali cercavano di espiare per mezzo delle loro purificazioni e sacrifici, come si vede chiaramente dal versetto 5 sopra riferito.

Si possono pure le stesse migliori opere dei Santi considerare come imperfette, o in quanto non hanno avuto tutta quella perfezione maggiore che avrebbero dovuto e potuto avere, non essendovi altri che la Vergine Santissima, la quale ha sempre operato con tutta la perfezione possibile senza nessuna mescolanza di imperfezione; oppure in quanto siano paragonate alla perfezione infinita di Dio o alle opere di Gesù Cristo, le quali hanno un merito infinito. Del resto dobbiamo guardarci dall'intendere detto testo nel senso che tutte le opere dei Santi siano immondizie, quasi siano infette di peccato, perché questa è un'eresia condannata in Lutero e Calvino dal Pontefice Leone X e dal Concilio di Trento, De Justificatione, sess. 6, capo 16, can. 7433

Asc,9006b:T9,7,4 .

In quanto poi al testo di Giobbe non significa già che Iddio trovi ora un benché menomo difetto negli Angeli suoi, poiché non è ammessa qualunque imperfezione434

Del resto la beata Angela da Foligno avendo conosciuto con lume straordinario la bontà dei divini giudizi, tanto le cagionava allegrezza il dire: Signore liberami per i tuoi giudizi; quanto il dire: liberami per la tua Passione

non che malizia in Cielo, ma vuole dire che se trovò malizia negli Angeli prevaricatori, benché fosse solamente interna, perché Egli è scrutatore dei cuori, tanto più sarà impossibile di sottrarre dal divino suo sguardo alcuna nostra opera esterna, sì che non venga da Lui conosciuta se maliziosa.

435

Onde temano la morte ed in conseguenza i divini giudizi, dice S. Agostino.

436, coloro i quali si trovano per loro disgrazia attualmente in colpa mortale, perché in tale stato, attesa la sua giustizia, sarebbe Dio costretto a condannarli all'inferno; la temano però con timore efficace e fruttuoso che loro faccia mutare vita e così cesseranno dal temerla; ma chi è moralmente assicurato dalla propria coscienza di essere in grazia di Dio, è certo di non essere condannato al divino Tribunale.

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Asc,9006b:T9,8,1

Ottava difficoltà Ottava difficoltà Se i giudizi di Dio non fossero veramente terribili, per quale ragione avrebbero cotanto tremato in morte gli stessi Santi, come una Maria Maddalena de Pazzi ed un Ilarione?

Asc,9006b:T9,8,2 E perché dunque all'opposto innumerabili altri ridevano e cantavano o almeno erano così tranquilli nel passare da questa all' altra vita, che pareva loro un dolce sonno la morte, come si può scorgere leggendo le vite dei Santi? Ci racconta S. Alfonso Maria de Liguori437 che un religioso della Compagnia di Gesù e Gerardo fratello di S. Bernardo, per il gran giubilo di morire ridevano e cantavano. Ed il Padre Suarez438 negli ultimi momenti della sua vita diceva che non si sarebbe mai immaginato che fosse per riuscirgli sì dolce cosa il morire; S. Luigi439

Suor Maria della Croce diceva morendo: Ce ne andiamo allegramente.

440

Suor Antonina di S. Giacinto

, Carmelitana Scalza, giubilava tanto nell'aspettare la morte che diceva: Se fossi guarita, il disgusto di non morire mi avrebbe fatta morire.

441

Teodora Landi morì ridendo e dicendo: Christo meo et fui, et sum, et ero. Sempre fui di Gesù, e lo sono, e lo sarò.

, Domenicana, a chi si meravigliava del suo gioire, morendo, rispose: Mi chiama Iddio dalla lunga prigione mia all'eterna sua gloria, e sarà cosa da non gioirne?

Suor Maria da Venezia, al vedersi la morte vicina, per giubilo esclamò: Al Cielo, al Cielo! Una certa matrona, chiamata Fulvia Segardi, fece in punto di morte venire i musici per celebrare con dolce melodia il suo nuovo e più felice natale442

Asc,9006b:T9,8,3 .

Il Cardinale Baronio nel raccomandargli l'anima: Orsù, disse, ecce nunc tempus exultationis et lætitiæ, moriamur. Ecco adesso il tempo del gaudio e della gioia, moriamo pure. Così due altri Cardinali già in extremis, più allegri del solito, dicevano l'uno di andare alle nozze, l'altro cominciò a cantare il Salmo di Davide: Dominus illuminatio mea et salus mea, quem timebo? Il Signore mia luce e mia salute: che ho io da temere? E pronunciate le parole “Unam petii a Domino, hanc requiram, ut inhabitem in domo Domini omnibus diebus vitæ meæ. Una sola cosa ho domandato al Signore, questa io cercherò! Che io possa abitare nella casa del Signore per tutti i giorni della mia vita”, volò con lo spirito al suo Creatore, al suo Dio. Un religioso della Compagnia di Gesù, chiamato Giuseppe Scamacca, frequentissimo ripeteva sul morire: Lætatus sum. Mi sono rallegrato; ed agli astanti che gli richiedevano se morisse con certa speranza di salute, rispose: Num quid ego Mahometo servivi ut nunc de Domini mei bonitate dubitem? Ho io finora servito forse a Maometto, sì che a questo punto abbia da dubitare della bontà del mio Signore? E così di molti altri ricordati dal Padre Rogacci443.

Asc,9006b:T9,8,4

Anzi, se ben si osservi… Anzi, se ben si osservi, di quasi tutti i Santi si legge che morirono con somma pace e serenità, né solo i grandi Santi, ma anche le persone vissute da buoni cristiani ordinariamente muoiono tranquille. Ora se si dice che alcuni Santi, i quali non sono molti, temevano in morte, o questo timore procedeva dalla sottrazione delle consolazioni sensibili, onde in quegli estremi loro faceva Iddio provare la pena dell'abbandono provato da Gesù Cristo medesimo sulla Croce, per cui si lamentò Egli pure di essere abbandonato444

O queste tentazioni erano di diffidenza, con le quali il Demonio cercava di angustiarli, e Dio lo permetteva per loro maggior bene; cioè, o per purificarli maggiormente ed evitare così le pene del

, ma nello stesso tempo li soccorreva con grazie, tanto più efficaci ed abbondanti quanto meno erano sensibili, acciocché potessero con loro grandissimo merito sopportare quella pena gravissima di temersi da Dio abbandonati. Ed è questa una prova che Egli fa delle anime a Lui più care; assai più frequentemente però nel corso della vita che non nella loro morte, come si può scorgere leggendone le vite.

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Purgatorio, o per far loro accrescere i meriti con l'esercizio degli atti contrari, come dice S. Gregorio Magno, il quale soggiunge che questo timore non le opprime, ma con la considerazione del premio eterno che aspettano, si rinfrancano e si rallegrano445

Asc,9006b:T9,8,5 .

Onde queste diffidenze e timori erano soltanto nella parte inferiore dell'anima, e non nella superiore che le ribatteva, come appunto si legge di S. Ilarione, il quale dopo essere vissuto tanto tempo nel deserto a servire Dio in asprissima penitenza, nel suo morire fu sorpreso, è vero da paura, ma subito nella parte superiore ripigliò coraggio, dicendo a se stesso: Esci pure, anima mia, e di che paventi? Hai servito quasi settanta anni a Dio, e temi la morte446

Infatti questo Santo anacoreta, come narra S. Gerolamo, trovandosi infermo, né avendo alcun erede, scrisse il suo testamento in modo faceto ed ameno, lasciando ad Esichio suo discepolo tutta la sua eredità, la quale consisteva in un libro dei Vangeli, una tonaca di sacco, una cocolla ed un povero mantello; ed a chi andava a visitarlo, apertamente diceva che se ne andava al suo Signore; onde pare piuttosto che non già temesse, ma si burlasse della morte ed invitasse l'anima sua ad uscire ed abbandonare il corpo senza ritardo per più presto unirsi al suo Dio.

? Quasi dicesse esci pure, anima mia, senza timore, perché se avessi servito a qualche tiranno od a qualche ingrata e debole creatura, che nulla si curasse di te e del tuo bene, o non potesse soccorrerti nei tuoi bisogni, avresti motivo di temere, come buttate al vento le tue fatiche, i tuoi servigi; ma hai servito a quel Dio che ti creò e ti ama quale figlio, ad un Dio il quale è morto sopra un patibolo per la tua salute, ad un Dio onnipotente, e temi di presentarti al cospetto suo? Ah! Esci pure che non hai da temere, tutto invece da sperare dalla sua bontà.

Asc,9006b:T9,8,6 Venendo ora a S. Maria Maddalena de Pazzi, non devono farci meraviglia le desolazioni di spirito che ebbe da soffrire negli ultimi suoi momenti poiché, come dice S. Alfonso Maria de Liguori, dopo cinque anni di pene e tentazioni sofferte senza il più leggero sollievo, ella medesima aveva supplicato Dio che non le desse più in vita consolazione di sorta; e negli ultimi suoi giorni diceva che come Gesù in croce non ebbe nessun conforto, così ella voleva morire senza sollievo e sulla nuda croce del patire, e l'ottenne; poiché poche ore prima che passasse da questa vita, disse con gran pace e quiete d'animo che anche in quel punto si trovava desolata di spirito e senza gusto nessuno, e ne ringraziò Iddio dicendo: “Io mi contento di tutto quello che a Lui piace, e lo ringrazio, e gli offro di nuovo ogni contento e gusto spirituale, purché mi salvi”. Che se queste ed altre anime elette avessero veramente diffidato della propria salute, la loro speranza sarebbe stata difettosa e non eroica, quale è necessario sia nei Santi, appunto perché siano santi.

Asc,9006b:T9,9,1

Nona difficoltà Nona difficoltà Chi ci assicura che al primo peccato che faremo, non accada a noi come si legge di quel giovanetto innocente, il quale avendo per sua fatale disgrazia acconsentito ad un peccato disonesto, fu nella notte sorpreso dalla morte, e si dannò? Come può accordarsi la tanto decantata bontà di Dio nel protestare che fa in Isaia di aspettare i peccatori per usare loro misericordia, se pare che anzi li attenda, per così dire, al varco onde colpirli con la morte al primo fallo e dannarli, come fece con gli Angeli ribelli da Lui precipitati nell'inferno nell'atto stesso del peccato, senza accordare né tempo né grazia per ravvedersi ed ottenere perdono? Forse aspettandoli si sarebbero convertiti, perché dunque non li aspettò?

Asc,9006b:T9,9,2 Il timore che ci accada di acconsentire a qualche peccato, ed esserne sorpresi dalla morte come quel giovanetto, deve renderci cauti e solleciti nel fuggire le occasioni di cadervi e prendere i mezzi della frequenza dei Sacramenti e del pronto ricorso a Dio nelle tentazioni, e soprattutto nel non stare mai, neppure per breve tempo, in peccato mortale, se mai ci accadesse la disgrazia di commetterlo; ma

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subito ricorrere a Dio ed eccitarci alla contrizione perfetta, per non essere sorpresi dalla morte in esso e perderci, perché come dice S. Gregorio, sebbene Iddio abbia promesso il perdono al peccatore pentito, tuttavia non promise di accordare sempre il tempo per poterlo chiedere ed ottenere447; anzi Gesù Cristo medesimo ci avvisa che la morte verrà quando meno lo penseremo448

Del resto guardiamoci bene dal voler, per compassione all'uomo peccatore, indirettamente detrarre alla bontà di Dio; poiché sebbene sia terribile questo castigo della morte in peccato, tuttavia S. Ambrogio dice che per questi peccatori sarebbe più amara la vita, perché, attesa la loro ostinazione, non farebbero che aumentare con i peccati la propria dannazione. Così pure dice S. Bernardo

. Ed appunto se il Signore permette questi avvenimenti, mentre non vuole impedire il corso della provvidenza ordinaria, almeno questi stessi avvenimenti ed il male privato del giusto castigo di quei tali peccatori, li volge in bene pubblico, cioè affinché siano di esempio agli altri per non abusare del tempo e della misericordia sua.

449

Asc,9006b:T9,9,3 .

Che se volessimo dire con S. Giovanni Crisostomo, che forse aspettandoli si sarebbero convertiti, appunto, risponde lo stesso Santo Dottore, non li avrebbe fatti sì presto morire se fossero stati per cambiare vita in avvenire450

Infatti, continua egli, come potrebbe credersi diversamente senza fare un gravissimo torto alla bontà di quel Dio, che quanto si degnò di operare e patire, tutto operò, patì e dispose per la nostra salute? Come mai non avrebbe lasciato in vita quel peccatore, che alla fine tollerandolo, sarebbe divenuto oggetto gradito agli ochi suoi? Se tollera quelli che non cessano di offenderlo, quanto più quelli lascerebbe in vita che sarebbero per convertirsi?

.

La medesima cosa conferma nell'Omelia 69 al popolo di Antiochia, dicendo che sebbene taluno sia morto peccatore, almeno gli furono impediti maggiori peccati; che se Iddio avesse previsto che avrebbe fatto penitenza, gliene avrebbe accordato il tempo451

Lo stesso si dica degli Angeli ribelli, i quali, secondo Cornelio a Lapide appoggiato a S. Gregorio Nisseno ed al sentimento dei Padri e dei Dottori (In 2 Petr., cap. 2, v. 4) ebbero spazio di penitenza, sebbene breve, in cui potevano pentirsi, e non vollero, e perciò tutti furono nell'inferno precipitati. Ma in questo castigo, sebbene terribile, si ammiri piuttosto la bontà di Dio nel non aver loro accordato più lungo tempo, o affinché non si accrescessero con il moltiplicare i peccati la dannazione (supposta la previsione che non si sarebbero convertiti), ciò che riguardo ai peccatori afferma S. Giovanni Crisostomo, o perché anche supposta la loro conversione, molti altri Angeli sarebbero forse caduti in peccato, e quindi perduti; onde volle così preservare gli innocenti dal cadere e dannarsi con il togliere loro subito lo scandalo, anzi li confermò in grazia acciocché più non potessero peccare e perdersi.

.

Asc,9006b:T10

Capo X. Se i Predicatori ed Ascetici siano contrari alle interpretazioni esposte

Asc,9006b:T10,1,1 Difficoltà Come dunque tanti predicatori ed ascetici di gran nome, e fra essi anche i Santi, hanno dato interpretazioni così rigide ai testi fin qui allegati, e procurarono così di atterrire gli uditori e lettori piuttosto che confortarli con motivi di speranza e di perdono?

Asc,9006b:T10,1,2 In primo luogo se si osservano le interpretazioni dei testi, delle quali si servirono per ispirare terrore, d'ordinario esse sono in senso accomodatizio, applicando ai mali spirituali ed eterni le minacce che Iddio fa ai peccatori di castighi e pene temporali (m): sul che è bene osservare che Iddio fa una grazia grande ai peccatori, castigandoli subito con pene temporali452, poiché queste sono da Lui dirette non a loro dannazione, ma a ravvedimento453

Asc,9006b:T10,1,3

, e così preservarli da maggiori peccati e dalle pene eterne.

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(m) Il P. Segneri nelle sue opere si serve a quest'oggetto dei testi, nei quali si parla di Sansone abbandonato da Dio in quanto alla forza454 (tom. 2, Pred. II, n. 6, pag. 97); di Saulle rigettato in quanto Iddio lo voleva privare del regno; delle calamità temporali minacciate da Geremia ai Sacerdoti e Principali della città di Gerusalemme, come pure della minaccia della distruzione di detta città455

S. Alfonso Maria de' Liguori reca il testo della minaccia fatta agli ebrei dell' esclusione dalla terra promessa; del castigo differito contro gli amorrei, perché non erano ancora compiute le loro iniquità

(tom. 1, c. 4, Salmo 50, n. 2, pag. 742 e 743).

456

Applicano essi tutti questi ed altri passi nei quali si parla di castigo e di abbandono temporale in senso accomodatizio per minacciare ai peccatori ostinati i castighi eterni e la riprovazione finale.

, e finalmente di Saulle da Dio rigettato come sopra (Serm. 15, n. 4).

Asc,9006b:T10,1,4

In secondo luogo… In secondo luogo quando nel loro zelo questi predicatori ed ascetici per scuotere i peccatori ostinati e ritirarli dal peccato con il timore dei castighi terribili di Dio, si valgono delle opinioni più rigide nelle interpretazioni dei testi, oppure si servono del senso accomodatizio, o di certe esagerazioni oratorie usate e permesse (n), atteso l'ottimo principio e fine dal quale provengono, ed a cui tendono i loro discorsi; si osservi che anche quando così parlano, cercano di raddolcire, mitigare e spiegare in senso più mite le dette rigide interpretazioni, o nello stesso discorso, od in altri di soggetti consolanti (o), poiché non solo si deve supporre, ma è certissimo che nulla essi bramano, se non il vero bene e la salute dei loro uditori; e perciò secondo il savio e prudente avvertimento di S. Alfonso de Liguori, lasciano sempre la porta aperta al peccatore, qualora voglia convertirsi (p).

Asc,9006b:T10,1,5 (n) Vi sono persino nelle sacre carte degli esempi di tali esagerazioni; come quando Elia diceva di essere rimasto solo fedele a Dio, sebbene 7.000 fra gli israeliti non avessero piegato le ginocchia agli idoli457

Esdra pure nell'intendere che si erano introdotte in Israele molte donne straniere con nozze peccaminose, si stracciò per il dolore le vesti ed i capelli, ed abbandonandosi nel contempo ad una profonda malinconia, esclamava al Signore in modo che pareva che se non tutti, almeno la maggior parte di quel popolo dovesse essere colpevole

.

458; pure di 42.360, senza contarne i servi e le serve loro, soli 114 erano i colpevoli459

Asc,9006b:T10,1,6 .

(o) Infatti il Padre Segneri modera quanto disse sopra, riguardo a Saulle (tom. 2, Pred. XXI, n. 5, pag. 188, col. 2); come pure spiega i testi quæretis me… et in peccato vestro moriemini (tom. 2, Pred. XI, pag. 91); de propitiato peccato noli esse sine metu (tom. 1, Salmo 50, pag. 743, v. 12), dicendo: “Nessun uomo nel mondo si troverà, il quale mi persuada che io possa essere dannato, se io non voglio esserlo” (tom. 2, Pred. XXXI, n. 1, pag. 278), e più chiaramente ancora dove dice: “Gli aiuti necessari per arrivare alla vita eterna, chiamateli come volete, non sono mai negati a veruno per empio che egli sia” (tom. 1, Salmo 50, pag. 281, n. 5, col. 2, e pag. 719, v. 2), specialmente riguardo al reintegramento ed aumento proporzionale dei doni, aiuti ed abiti. E finalmente (tom. 2, Pred. XXXII, n. 2, pag. 288, col. 1, n. 4; pag. 299, col. 1 e 2, n. 6; pag. 292, col. 1, n. 7; pag. 290, col. 1 e 2, n. 10; pag. 296, col. 2), dove volgendo il discorso a Gesù Cristo, così conclude questa Pred. XXXII: “Bisognava non mettermi in questo ufficio, se non volevate che predicassi a bocca piena le vostre misericordie. Ora a chiunque lo richiederà, non solo voglio promettere il perdono, ma anzi che lo tratterete da amico… che gli darete forza a perseverare non meno che ora per risorgere, qui cœpit in vobis opus bonum ipse perficiet” (Philip. 1, 6). Spiega pure e modera (tom. 2, Pred. XVI, n. 3, pag. 140, col. 1, in fine, e Pred. XXVI, n. 6, pag. 235, col. 1; tom. 1, Salmo 50, pag. 733, v. 9) quanto aveva detto riguardo al timore (tom. 2, Pred. VII, pag. 61, col. 1, n. 7, seconda parte), dicendo con l'Angelico Dottore, che la perfetta carità (giusta S. Giovanni, I, c. 4, 18), caccia fuori il timore della pena, mentre aumenta il timore filiale, cioè della colpa, come si è spiegato a suo luogo.

Asc,9006b:T10,1,7

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S. Alfonso Maria de' Liguori anch' egli atterrisce il peccatore nel Serm. 41, paragr. 10, e lo conforta e rianima nelle riflessioni sulla Passione, pag. 123, dicendo che Gesù Cristo si è fatto nostro avvocato presso suo Padre per implorarci misericordia, quando per disgrazia fossimo caduti nel peccato (1 Joan. 2, 8); nel Sermone 32, paragr. 11, pag. 3, e nel gran mezzo della preghiera nella parte seconda, cap. 2, pag. 143, 146 e 149 con il Venerabile Cardinale Bellarmino460

Asc,9006b:T10,1,8

e S. Tommaso, mitiga quanto disse dell'abbandono del peccatore, come nella nota (m), dicendo “non esservi peccatore così perduto ed abbandonato dalla divina grazia, che se vuole non possa con la stessa grazia deporre la sua ostinazione e convertirsi” (Sentenza I, dist. 48, q. 1, art. 3 ad 2), e finisce con recare la sentenza di Soto “Certo certior sum, quin vero et certissimo credo semper fuisse Sanctos Doctores… neminem umquam fuisse de relictum in hac mortali vita” (Sentenza I, pag. 152).

S. Leonardo da Porto Maurizio nel tom. 2, pag. 30, 31, 33, 35 e 283, e tom. 3, pag. 146 e seg., tuona terribilmente contro i peccatori ostinati, e pare quasi che loro tolga ogni speranza di perdono; ma o li conforta subito, come al tom. 2, pag. 35, o alla fine dello stesso discorso, o almeno in altre prediche di materie consolanti, come si può facilmente rilevare, confrontando il tom. 2, pag. 30, con il tom. 3, pag. 170; il tom. 2, pag. 35 con la stessa pagina e tom. 3, pag. 171 e 312; il tom. 3, pag. 146 e seg. con il tom. 3, p. 170, 171 e 312. Finalmente il tom. 2, pag. 283 con il tom. 3, pag. 299, 300 e 301 dove fa dire da Gesù Cristo a S. Pietro: “Senti, Pietro, purché i peccatori ti vengano ai piedi disposti, non mettere tasse al perdono, perdonali sempre”; e giunge persino a dire che “è una bestemmia una parola empia il dire: chi sa se Gesù mi perdonerà? Ecc.”.

Asc,9006b:T10,1,9 (p) “Nelle prediche di spavento (l'oratore) non induca gli uditori a disperazione della loro salute, o della loro emenda. Lasci sempre alla fine la porta aperta a ciascuno per rilasciato che mai ivi si trovasse, per potersi aiutare a mutare vita: animandolo a confidare nei meriti di Gesù Cristo, e nell'intercessione della divina Madre, ricorrendo con l'orazione a queste due grandi ancore di speranza; e pertanto insinui spesso e fortemente quasi in tutte le prediche l'esercizio della preghiera, che è l'unico mezzo di ottenere le grazie necessarie alla salute” (Selva di materie predicabili. Avvertimenti, ecc., tom. 1, n. 6, pag. 3).

Asc,9006b:T10,1,10

In terzo luogo… In terzo luogo finalmente bisogna osservare le circostanze dei tempi, dei luoghi e delle persone alle quali parlavano questi Santi predicatori o scrittori ascetici. Predicavano o scrivevano in tempi nei quali gli increduli e libertini non avevano ancora fatto abuso di questi testi rigidamente interpretati per screditare la religione, e bestemmiare Dio, tacciandolo di ingiustizia, di tirannìa e di genio crudele, sì che si compiaccia dei mali gravissimi delle sue creature, e per ispirare nei deboli nella fede l'odio contro Dio e la religione stessa che ce lo propone da credere; onde potevano allora, con frutto dei fedeli, e per scuotere dal letargo i peccatori ostinati, servirsi di quelle rigide spiegazioni: il che non si potrebbe più con uguale frutto, e forse nemmeno senza danno delle anime, praticare ai tempi nostri.

Asc,9006b:T10,1,11 Inoltre in quanto ai luoghi ed alle persone osserva benissimo Bergier461

Infatti fra gli altri S. Giovanni Crisostomo predicava in Antiochia a cattolici scostumatissimi e perversi per il continuo commercio che avevano con gentili ed eretici di ogni setta, con i quali dimoravano in quella popolatissima città.

, che la maggior parte degli scrittori ascetici dimorarono nelle grandi città, dove regna ordinariamente grande scostumatezza; ove si cerca di nascondere, scusare e persino giustificare i più gravi disordini, ed il loro zelo prudente ed illimitato li risolse ad opporre un argine a questo gonfio torrente di iniquità, cercando così di scuotere dal loro letargo i peccatori abituati e muoverli a conversione per mezzo di massime più terribili.

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S. Leonardo da Porto Maurizio predicò nella Corsica in tempi di gravissimi disordini per le fazioni che vi erano, di modo che nelle Chiese stesse, ove egli dava le missioni, e specialmente in Castel d'Acqua, intervenivano alle prediche i partiti ben armati, con i loro capi alla testa in procinto di venire alle mani ad ogni minima occasione462

S. Alfonso de Liguori ed il Padre Segneri predicarono in Italia, ove i popoli sono più inclinati alla presunzione che alla disperazione, ed in tempi nei quali non vi era ancora pericolo di abuso come osservammo.

.

Non vi è pertanto da fare meraviglie, se cosiffatti scrittori e predicatori, e specialmente S. Leonardo, per gli addotti motivi ed in altri tempi stimassero necessario scrivere e predicare in modo da salutarmente atterrire i cuori ostinati, per convertirli, cercando di piegarne il collo al giogo della santa legge di Dio con il timore dei suoi terribili eterni castighi e con la severità della divina giustizia.

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Capo XI. Se il sistema di guidare le anime per la via della confidenza sia pericoloso

Asc,9006b:T11,1,1 Difficoltà Dalle benigne spiegazioni date ai surriferiti testi scritturali e dei santi Padri, pare: 1o che si debba cacciare ogni timore dai fedeli; 2o che i peccatori possano viversene tranquillamente nei loro peccati, potendo con tanta facilità salvarsi con il pentimento; 3o che non occorra impegnare i fedeli a fare quanto più possono di bene, mentre con le mortificazioni ed azioni ordinarie, facilmente possono acquistarsi molti meriti senza tanta sollecitudine per farsi santi. Essendo pertanto perniciose queste conseguenze, non può essere buono, né utile il sistema di guidare le anime per la via della confidenza piuttosto che per quella del timore.

Asc,9006b:T11,1,2 In primo luogo, con le interpretazioni date, non si toglie ai fedeli ogni timore; all'incontro si lascia loro non solo il timore filiale, ossia reverenziale (q), ma lo stesso timore servile, cioè quell'affanno, dal quale è angustiato quegli che si trova in peccato mortale a cagione del pericolo di morire nella colpa e dannarsi. Infatti questo timore venne loro con forza inculcato con il far loro osservare con S. Gregorio, secondo l'opportunità e specialmente nel capo II, difficoltà 6a e 7a e capo IX, difficoltà 9a, che, sebbene il Signore prometta in qualunque giorno il perdono ai peccatori pentiti, tuttavia non ha promesso di accordare sempre loro il tempo per pentirsene, e che non devono abusarne, commettendo nuovi peccati sulla fiducia di ottenerne in avvenire il perdono, perché potrebbe cadere sopra di loro improvviso il castigo, appunto per l'abuso fatto della divina misericordia.

Asc,9006b:T11,1,3 (q) Pure a Gesù Cristo conviene una certa specie di timore, come fu predetto da Isaia, dicendo che Egli sarebbe stato riempito dello spirito di timore di Dio463. Questo timore di umile riverenza verso la Maestà Divina fu perfettissimo in Lui, il quale si umiliò sino alla morte di Croce. Questo timore pacifico, quieto e soave, con cui l'anima ammira l'infinita Maestà, si umilia innanzi al divino trono ed aborrisce come sommo male il peccato, conviene ad ognuno, sia pure confermato in grazia, e durerà eternamente nei beati medesimi, come dice l'Angelico appoggiato al reale Salmista, e cosiffatto timore viene raccomandato da questo Profeta a tutti i giusti464.

Asc,9006b:T11,1,4

Ben lungi poi… Ben lungi poi dal dare occasione alcuna ai peccatori di addormentarsi nei peccati e perire sulla fidanza della facilità di ottenerne il perdono, si è all'opposto procurato di eccitarli ad una pronta conversione con allontanare da essi quell'impedimento maggiore, che proviene dall'avvilimento e dalla disperazione alla vista delle troppo ingrandite difficoltà di potersi salvare.

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È vero, come osserva Bergier465, che per una parte certi cuori perversi possono portare la loro confidenza sino alla presunzione, con l'abusare della divina misericordia, per continuare nelle iniquità senza finirla mai di offendere Dio, perché buono e facile a perdonare (condotta questa la più ingrata per cui meriterebbero di essere confusi nella loro falsa speranza e da Dio abominata466); tuttavia non è meno necessario ad uomini così soggetti a lasciarsi predominare dalle passioni, il considerare in Dio questa facilità di perdonare467. Infatti – oh misericordia veramente infinita! esclama Cornelio a Lapide –, quelle stesse grave ingiurie, dalle quali noi siamo provocati a maggiore sdegno, muovono Dio a maggiore compassione verso di noi. Vide Iddio468 la corrotta nostra natura per opera del Demonio, cotanto inclinata alla presunzione ed alle temerità; ed appunto per questa nostra sì grande miseria volle usare con noi della infinita sua misericordia, promettendoci il perdono in qualunque giorno ci fossimo di cuore a Lui convertiti, affinché le anime timide non si desolassero troppo, né si rallentassero nel bene, ed i peccatori non abusassero più della sua giustizia con l'ostinarsi nei peccati per diffidenza del perdono; perché in tale caso, siccome sono assai peggiori e più da temersi i malfattori disperati di ottenere grazia, quando una volta hanno cominciato a darsi ai delitti469, così se i peccatori si danno in braccio alla disperazione, d'ordinario diventano assai più perversi470, e, come dice S. Paolo, precipitano senza ritegno in ogni abisso di iniquità471

Inoltre non si potrebbe più ragionare di questa o quella verità, se non fosse lecito parlare di quelle da cui può l'umana malizia abusare.

.

Asc,9006b:T11,1,5 In terzo luogo dalla facilità di scontare la pena dovuta al peccato con il prendere con spirito di penitenza le afflizioni e travagli ordinari di questa valle di lacrime, e dal facile mezzo di farci molti meriti con l'offrire a Dio le azioni giornaliere, non se ne deve prendere occasione di essere indolenti nel fare il bene, ma tutto all'opposto. Ed invero se la facilità di pagare i debiti e fare acquisti, suole eccitare chiunque si trovi rovinato a valersi di occasione propizia per guadagnare quanto più può, non solo per levarsi il peso dei debiti e la molestia dei creditori, ma anche per procacciarsi di nuovo un ricco patrimonio, deve pure questa facilità stimolare il peccatore a farsi animo non solo per trarre partito da ogni cosa, onde pagare i suoi debiti alla divina giustizia mentre può, sì ancora per acquistarsi un ricco patrimonio di meriti e farsi santo, potendo, con l'aiuto della divina grazia, facilmente riuscirvi. Deve perciò all'opposto eccitarsi in noi tanto più grande il fervore e la diligenza nel fare il bene, quanto maggiore si spera il premio, e la facilità e sicurezza di ottenerlo.

Asc,9006b:T11,1,6 Dal ragionato finora, si deve pertanto dedurre che una dolce e filiale confidenza in Dio, ben lungi dall'essere perniciosa, è invece di sommo vantaggio; poiché, come dice l'Angelico472

Né minore vantaggio porta così fatta confidenza ai peccatori: perché allontana dai loro cuori e dalle loro menti uno dei più grandi e terribili ostacoli al convertirsi, cioè la disperazione, la quale finirebbe per precipitarli in ogni abisso di iniquità e di mali.

, è proprio di questa virtù rendere fervorose ed attive quelle anime che, cooperando alla grazia, la esercitano.

Del resto come mai l'apostolo Paolo avrebbe raccomandato ai fedeli che abbondassero nella speranza473, se non perché la confidenza in Dio è conforme a quello spirito di filiale adozione, che conviene ai fedeli nella legge di grazia474

Mentre pertanto come figli dobbiamo temere di offendere Dio, non lasciamo di riporre in Lui ogni più tenera confidenza, la quale ci porti ad amarlo con tutta l'anima nostra, mercecché dice S. Pier Crisologo, prese appunto Iddio questa dolce qualità di Padre, perché vuole regnare sui nostri cuori, non con il timore, ma con l'amore

?

475

Sia lodato Gesù Cristo .

Asc,9006b:T12,1

Indice

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Parte prima. Tesori di confidenza Prefazione Tesoro I. I meriti di Gesù Cristo Tesoro II. I meriti ed intercessione di Maria Ss. Tesoro III. I meriti ed intercessione dei Santi Tesoro IV. I meriti ed intercessione di tutti i giusti della Chiesa militante Tesoro V. Il Sacrosanto sacrificio della Messa Tesoro VI. Le promesse di Gesù Cristo Tesoro VII. Gesù Cristo dato a noi Tesoro VIII. Le briciole, ossia beni sovrabbondanti di Gesù Cristo Tesoro IX. Gesù Cristo povero Tesoro X. La misericordia di Dio Tesoro XI. Il cuore di Gesù pronto a sostenere per la nostra salute più di quanto abbia sofferto e patito Tesoro XII. Dio nostro padre Tesoro XIII. Gesù nostro fratello Tesoro XIV. Gesù nostro amico Tesoro XV. Gesù in forma di servo Tesoro XVI. Gesù nostro sposo Tesoro XVII. Gesù padrone onnipotente Tesoro XVIII. Gesù nostro legislatore e maestro Tesoro XIX. Gesù Cristo Dio e Uomo, ossia l'unione ipostatica di Dio coll'umanità Tesoro XX. Gesù adirato Tesoro XXI. Satana nemico di Gesù e nostro Tesoro XXII. L'eccesso della divina pietà Tesoro XXIII. I benefici di Dio Tesoro XXIV. La gloria di Gesù Cristo Tesoro XXV. Gesù nostro giudice Tesoro XXVI. Il dono dello Spirito Santo Tesoro XXVII. I nostri peccati propri Tesoro XXVIII. L'orazione Tesoro XXIX. La nostra predestinazione Tesoro XXX. La santa allegrezza

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Parte seconda. Scioglimento delle difficoltà Prefazione Capo I. Se la Religione Cristiana ispiri terrore e scoraggiamento. Prima Difficoltà. Minacce d'inferno. Seconda difficoltà. Cum metu et tremore vestram salutem operamini. – Servite Domino in timore.

Asc,9006b:T12,2,2 Capo II. Se si possa avere morale sicurezza di essere in grazia di Dio e perdonati dei peccati. Prima difficoltà. Nescit homo utrum amore, an odio dignus sit Seconda difficoltà. Circa la Comunione Terza difficoltà. Circa la Confessione Quarta difficoltà. Nihil mihi conscius sum, sed non in hoc justificatus sum Quinta difficoltà. Septies in die cadet justus. – Delicta quis intelligit? Ab occultis meis munda me, et ab alienis parce servo tuo Sesta difficoltà. De propitiato peccato noli esse sine metu Settima difficoltà. Super tribus sceleribus Damasci, et super quatuor non convertam eum

Asc,9006b:T12,2,3

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Capo III. Come s'intenda l'induramento ed accecamento del peccatore. Prima difficoltà. Ego enim induravi cor ejus (Pharaonis), et servorum illius, ut faciam signa mea in eo Seconda difficoltà. Audite audientes, et nolite intelligere, et videte visionem, et nolite cognoscere. Excæca cor populi hujus, et aures ejus aggrava, et oculos ejus claude: ne forte videat oculis suis et auribus suis audiat, et corde suo intelligat, et convertatur, et sanem eum Terza Difficoltà. Propterea non poterant credere, quia iterum dixit Isaias: excæcavit oculos eorum, et induravit cor eorum Quarta Difficoltà. Quia vobis datum est nosse mysteria regni cælorum, illis autem non est datum

Asc,9006b:T12,2,4 Capo IV. Come s'intenda l'abbandono di Dio e la riprovazione del peccatore. Prima Difficoltà. Curavimus Babylonem, et non est sanata: derelinquamus eam Seconda Difficoltà. Jacob dilexi, Esau autem odio habui. – Non enim invenit pænitentiæ locum, quamquam cum lacrymis inquisisset eam Terza Difficoltà. Orabat hic scelestus Dominum, a quo non esset misericordiam consecuturus Quarta Difficoltà. Ecce non est abbreviata manus Domini, ut salvare nequeat, sed iniquitates, et peccata vestra absconderunt faciem ejus a vobis, ne exaudiret Quinta Difficoltà. Quæretis me, et non invenietis… et in peccato vestro moriemini Sesta Difficoltà. Quia vocavi, et renuistis… ego quoque in interitu vestro ridebo, et subsannabo vos. – Tunc invocabunt me, et non exaudiam: mane consurgent, et non invenient me. – Qui declinat aures suas ne audiat legem, oratio ejus erit execrabilis. – Victimæ impiorum abominabiles Domino

Asc,9006b:T12,2,5 Capo V. Circa lo stato di tiepidezza. Difficoltà. Sancti eritis, quia ego Sanctus sum. – Estote perfecti, sicut Pater vester cælestis perfectus est. – Quia tepidus es, incipiam te evomere ex ore meo

Asc,9006b:T12,2,6 Capo VI. Circa le ricadute nei peccati. Prima Difficoltà. Ecce sanus factus es: jam noli peccare, ne deterius tibi aliquid contingat. – Assumet septem alios spiritus nequiores se… et fiunt novissima hominis illius pejora prioribus Seconda Difficoltà. Impossibile est enim, eos qui semel sunt illuminati, gustaverunt etiam donum cæleste, et participes facti sunt Spiritus Sancti… et prolapsi sunt; rursus renovari ad pænitentiam Terza Difficoltà. Terra enim sæpe venientem super se bibens imbrem… proferens autem spinas, ac tribulos, reproba est, et maledicto proxima: cujus consummatio in combustionem Quarta Difficoltà. Voluntarie enim peccantibus nobis post acceptam notitiam veritatis jam non relinquitur pro peccatis hostia Quinta Difficoltà. Nemo mittens manum ad aratrum, et respiciens retro aptus est regno Dei

Asc,9006b:T12,2,7

(seguito) Capo VII. Circa il numero degli eletti. Prima Difficoltà. Multi sunt vocati, pauci vero electi Seconda Difficoltà. Omnes quidem currunt, sed unus accipit bravium Terza Difficoltà. […] in diebus Noe, cum fabricaretur arca: in qua pauci, idest octo animæ salvæ factæ sunt per aquam Quarta Difficoltà. Et stellæ de cælo ceciderunt super terram sicut ficus emittit grossos suos cum a vento magno movetur Quinta Difficoltà. Igitur Dominus pluit super Sodomam et Gomorrham (et Adamam, et Seboim) sulphur, et ignem a Domino de Cælo… liberavit Loth de subversione urbium Sesta Difficoltà. In solitudine hac jacebunt cadavera vestra. Omnes qui numerati estis (sexcenta tria millia virorum quingenti quinquaginta) a viginti annis, et supra, et murmurastis contra me, non intrabitis terram… præter Caleb… et Josue Settima Difficoltà. Dilatavit infernus animam suam, et aperuit os suum absque ullo termino

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Ottava Difficoltà. Quomodo si paucæ olivæ, quæ remanserunt, excutiantur ex olea: et racemi cum fuerit finita vindemia Nona Difficoltà. Lata porta, et spatiosa via est, quæ ducit ad perditionem, et multi sunt, qui intrant per eam… via est quæ ducit ad vitam, et pauci sunt qui inveniunt eam Decima Difficoltà. Vix de centum millibus, quorum mala fuit semper vita, meretur habere a Deo indulgentiam unus Undecima Difficoltà. Non possunt in tot millibus inveniri centum qui salventur, quin et de his dubito Duodecima Difficoltà. Ad fidem plures veniunt: ad regnum cæleste pauci perducuntur. – Quis sciat quam pauci sunt qui in illo electorum Dei grege numerantur? Tredicesima Difficoltà. Ut videtur pauci sunt qui salvantur Quattordicesima Difficoltà. Visioni terribili di moltissime anime cadenti nell'inferno Quindicesima Difficoltà. Qui non crediderit, condemnabitur. – Quicumque vult salvus esse, ante omnia opus est, ut teneat Catholicam fidem Sedicesima Difficoltà. Nisi quis renatus fuerit ex aqua, et Spiritu Sancto, non potest introire in regnum Dei

Asc,9006b:T12,2,8 Capo VIII. Se sia facile o difficile il salvarsi coll'aiuto di Dio. Prima Difficoltà. Intrate per angustam portam. – Quam angusta porta, et arcta via est, quæ ducit ad vitam, et pauci sunt qui inveniunt eam. – Contendite intrare per augustam portam, quia multi, dico vobis, quærent intrare, et non poterunt Seconda Difficoltà. Si justus vix salvabitur, impius, et peccator ubi parebunt? Terza Difficoltà. Ulula abies, quia cecidit cedrus Quarta Difficoltà. Adversarius vester Diabolus tamquam leo rugiens circuit quærens quem devoret. – Descendit Diabolus ad vos habens iram magnam, sciens quod modicum tempus habet

Asc,9006b:T12,2,9 Capo IX. Se per giustizia di Dio si debba intendere severità. Prima Difficoltà. Quanto Iddio è misericordioso, altrettanto è giusto, e sebbene la misericordia di Lui sia infinita, ne sono però limitati gli effetti Seconda Difficoltà. Egli è nostro Padre, ma è anche nostro severissimo giudice Terza Difficoltà. Justitia ante eum ambulabit. – Colligite primum zizania ad comburendum. – Deus magne, et terribilis. – Deus ultionum Dominus. – Deus æmulator reddens iniquitatem patrum super filios in tertiam et quartam generationem his qui oderunt me Quarta Difficoltà. Inutilem servum ejicite in tenebras exteriores. – In via vitæ non progredi, regredi est Quinta Difficoltà. Si pænitentiam non egeritis, omnes similiter peribitis Sesta Difficoltà. Se tremavano i Santi penitenti nel deserto, come si legge di Stefano solitario, quanto più noi? Settima Difficoltà. Judicia tua abyssus multa. – A judiciis enim tuis timui. – Et facti sumus ut immundus omnes nos, et quasi pannus menstruatæ universæ justitiæ nostræ. – Non justificabitur in conspectu tuo omnis vivens. – In Angelis suis reperit pravitatem Ottava Difficoltà. Timore di S. Maria Maddalena de Pazzi, e di S. Ilarione Nona Difficoltà. Dannazione d'un giovanetto e degli Angeli al primo peccato

Asc,9006b:T12,2,10 Capo X. Se i predicatori ed ascetici siano contrari alle interpretazioni esposte. Difficoltà. I predicatori ed ascetici anche santi hanno dato interpretazioni di terrore, e non di confidenza ai sopra riferiti testi

Asc,9006b:T12,2,11 Capo XI. Se il sistema di guidare le anime per la via della confidenza sia pericoloso.

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Difficoltà. Si caccia ogni timore dai fedeli. – Si può vivere tranquillamente nei peccati. – Non occorre essere diligente a fare del bene. – Se perniciose le conseguenze, tale deve esserne il principio Asc,9006b:1 Cum metu et tremore vestram salutem operamini (Ad Philip. 2, 12). Asc,9006b:2 Servite Domino in timore: et exultate ei cum tremore (Ps. 2, 11). – Servite Domino in lætitia (Ps. 99, 1). Asc,9006b:3 Venite filii, audite me: timorem Domini docebo vos (Ps. 33, 12). Asc,9006b:4 Quis est homo qui vult vitam, et diligit dies videre bonos? (Ps. 33, 13). Asc,9006b:5 Diverte a malo, et fac bonum: inquire pacem, et persequere eam (Ps. 33, 15). Asc,9006b:6 Oculi Domini super justos, et aures ejus in preces eorum… et ex omnibus tribulationibus eorum liberavit eos (Ps. 33, 16. 18). Asc,9006b:7 Juxta est Dominus his qui tribulato sunt corde, et humiles spiritu salvabit (Ps. 33, 19). Asc,9006b:8 Custodit Dominus omnia ossa eorum, unum ex his non conteretur (Ps. 33, 21). Asc,9006b:9 Redimet Dominus animas servorum suorum, et non delinquent omnes qui sperant in eo (Ps. 33, 23). Asc,9006b:10 Itaque carissimi (sicut semper obœdistis) non ut in præsentia mea tantum, sed multo magis nunc in absentia mea cum metu et tremore vestram salutem operamini. Deus est enim qui operatur in vobis et velle, et perficere pro bona voluntate (Ad Philip. 2, 12-13). Asc,9006b:11 Deus est qui operatur in vobis, ideo cum timore et tremore vallem facite, imbrem suscipite: depressa implentur, alta siccantur, gratia pluvia est: quid ergo minaris si Deus superbis resistit, humilibus autem dat gratiam? Ideo cum timore et tremore, idest cum humilitate: noli altum sapere, sed time: time ut implearis, noli altum sapere ne sicceris (Lib. 2, De Verb. Apost.). Asc,9006b:12 Ideo cum timore et tremore, ne sibi tribuendo quod bene operentur, de bonis tamquam suis extollantur operibus… ne forte quod datum est humilibus auferatur superbis (S. Anselm., in hunc locum). Asc,9006b:13 Segneri, Manna dell'anima, 2 maggio. Asc,9006b:14 Cum timore et tremore… idest quovis modo, sed accurate, magnoque cum studio operamini. Ne illud tibi metum incutiat quod dixi cum timore et tremore: non enim ideo dixi ut desperes… sed ut mentem adhibeas, ac ne te ipsum remittas, ac quasi fatiscas. Si hoc attuleris, Deus omnia operabitur, tu confidito. Deus enim est, qui operatur in vobis (Tom. 4, In Epistola ad Philip., serm. 8, pag. 1.031). Asc,9006b:15 Gaudete in Domino semper; iterum dico gaudete (Philip. 4, 4). Asc,9006b:16 Nihil solliciti sitis: sed in omni oratione, et obsecratione cum gratiarum actione petitiones vestræ innotescant apud Deum: et pax Dei, quæ exuperat omnem sensum custodiat corda vestra, et intelligentias vestras in Christo Jesu (Ad Philip. 4, 7). Asc,9006b:17 Deus autem spei repleat vos omni gaudio et pace in credendo, ut abundetis in spe (Rom. 15, 13). – Omnem sollicitudinem projicientes in eum, quoniam ipsi cura est de vobis (1 Petr. 5, 7). Asc,9006b:18 Servite Domino in timore (Ps. 2, 11). Asc,9006b:19

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Et nunc Reges intelligite: erudimini qui judicatis terram (Ps. 2, 10). Asc,9006b:20 Et exultate ei cum tremore (Ps. 2, 11). Asc,9006b:21 Sentite de Domino in bonitate (Sap. 1, 1). – Lætamini in Domino et exultate justi (Ps. 31, 11). – Jubilate Deo omnis terra, servite Domino in lætitia (Ps. 99, 1 et alibi passim). Asc,9006b:22 Non enim dedit nobis Dominus spiritum timoris, sed virtutis et dilectionis (2 Tim. 1, 7). Asc,9006b:23 Non enim accepistis spiritum servitutis iterum in timore, sed accepistis spiritum adoptionis filiorum, in quo clamamus Abba (Pater) (Rom. 8, 15). Asc,9006b:24 Nescit homo utrum amore, an odio dignus sit (Eccle. 9, 1). Asc,9006b:25 Bergier, luogo citato, tom. 12, p. 26, parag. 19. Asc,9006b:26 Omnia in futurum servantur incerta, eo quod universa æque eveniant justo, et impio, bono et malo… sicut bonus, sic et peccator, etc. (Eccle. 9, 2). Asc,9006b:27 Cum nullus scire valeat certitudine fidei cui non potest subesse falsum, se gratiam Dei esse consecutum (Sess. 6, c. 9, De Justificatione). Asc,9006b:28 Qui autem de sua spe, et operatione securus est, pulsanti confestim aperit, quia lætus Judicem sustinet… et de gloria retributionis hilarescit (Lect. IX, De Comm. Conf. non Pont.). Asc,9006b:29 Probet autem se ipsum homo, et sic de pane illo edat (1 Cor. 11, 28). Asc,9006b:30 Probet se ipsum homo. Ecclesiastica consuetudo declarat, eam probationem necessariam esse, ut nullus sibi conscius mortalis peccati… absque præmissa sacramentali confessione ad sacram Eucharistiam accedere debeat (Sess. 8, c. 7, De Euchar. et ibid., IX, X). Asc,9006b:31 Carissimi, si cor nostrum non reprehenderit nos, fiduciam habemus ad Deum (1 Joan. 3, 21). Asc,9006b:32 Quorum remiseritis peccata, remittuntur eis (Joan. 20, 23). Asc,9006b:33 Statim ut eam (contritionem) mentibus nostris concepimus, peccatorum remissionem nobis a Deo tribui Prophetæ illa verba declarant. Dixi: confitebor adversum me injustitiam meam Domino, et tu remisisti impietatem peccati mei (Ps. 13, 5; Catech. Rom., p. 2, c. 5, De Pænit., 34). Asc,9006b:34 Nam gloria nostra hæc est, testimonium conscientiæ nostræ, quod in simplicitate cordis et sinceritate Dei, non in sapientia carnali, conversati sumus in hoc mundo (2 Cor. 1, 12). Asc,9006b:35 Orate pro nobis, confidimus enim, quia bonam conscientiam habemus (Hebr. 13, 18, vid. Cornelium a Lapide). Asc,9006b:36 Suarez, Tom. 8, l. 9, c. 11, n. 3 e seg. Asc,9006b:37 Quomodo certe persuasus esse aliquis potest quod Deus ei peccata dimiserit? Nimirum si affectionem in se anima senserit similem illius, qui dicebat: iniquitatem odio habuit, etc. tunc sine dubio credat se esse liberum a peccato (In Reg. Brev., disp. interrog. 296). Asc,9006b:38 Senti de Augustino quidquid libet, sola me in oculis Dei conscientia non accuset (Contra Secundinum, t. 6, 1). – Est quidam modus in conscientia gloriandi, ut noveris fidem tuam esse sinceram,… spem certam,… caritatem sine simulatione (Ps. 149). Asc,9006b:39

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Conscientia munda hæc est, quæ nec de præteritis juste accusatur, nec de præsentibus injuste delectatur (S. Isid.). Asc,9006b:40 Sicut nemo pius de Dei misericordia, de Christi merito, deque Sacramentorum virtute, et efficacia dubitare debet, sic quilibet, dum se ipsum, suamque… infirmitatem respicit, de sua gratia formidare, et timere potest cum nullus scire valeat certitudine fidei, cui non potest subesse falsum, se gratiam Dei esse consecutum (Sess. 6, c. 6). Asc,9006b:41 Nihilominus tamen addendum est tantam esse posse hanc certitudinem, ut regulariter, et moraliter excludat actualem formidinem (Tom. 8, De Grat., l. 9, c. 11, n. 10). – Quapropter valde probabile censeo posse aliquem justum ad illum statum virtutis ascendere, in quo non minus certo credat, remissa esse sibi peccata actualia, quam originale (Ibid., n. 12, 13). Asc,9006b:42 Nihil mihi conscius sum, sed non in hoc justificatus sum (1 Cor. 4, 4). Asc,9006b:43 Tom. 8, l. 9, c. 9 e seg. Asc,9006b:44 1 Joan. 3, 21. Asc,9006b:45 Septies in die cadit justus (Du Clot, La Bible Vengée, p. 372, v. 4). Asc,9006b:46 Delicta quis intelligit? Ab occultis meis munda me, et ab alienis parce servo tuo (Ps. 18, 12-13). Asc,9006b:47 Collaz., XXII, c. 14. Asc,9006b:48 Septies cadet justus et resurget: impii autem corruent in malum (Prov. 24, 16). Asc,9006b:49 Multæ tribulationes justorum, et de omnibus his liberabit eos Dominus (Ps. 33, 19). Asc,9006b:50 Septenarius numerus pro universo sæpe ponitur, sicut scriptum est: septies cadet justus et resurget: quotiescumque cæciderit, non peribit. Quod non de iniquitatibus, sed de tribulationibus ad humilitatem perducentibus, intelligi voluit (Lib. 2, De Civitate Dei, c. 31). Asc,9006b:51 Est quippe possibile, ut in terrarum adhuc regione degentes, quasi jam in Cælis habitent, ita cuncta perficiant (Hom. 20, in Matth.). Asc,9006b:52 Peccatum meum contra me est semper (Ps. 50). Asc,9006b:53 De propitiato peccato noli esse sine metu (Eccli. 5, 5). Asc,9006b:54 Ne dixeris peccavi, et quid mihi accidit triste? Altissimus est enim patiens redditor. De propitiato peccato noli esse sine metu, neque adjicias peccatum super peccatum (o come si legge nel testo greco: de propitiatione non sis securus multum, ut adjicias peccata peccatis). Et ne dicas miseratio Domini magna est multitudinis peccatorum nostrorum miserebitur. Misericordia enim, et ira ab illo cito proximant, et in peccatores respicit ira illius (Eccli. 5, 4-7). Asc,9006b:55 Cornelio a Lapide (Ibid.). Asc,9006b:56 Super tribus sceleribus Damasci, et super quatuor non convertam eum (Amos 1, 3). Asc,9006b:57 Sic enim Deus ex toto indulget, ut jam non damnet ulciscendo, non confundat improperando nec minus diligat imputando (De Dilig. Deo, XII). Asc,9006b:58 Si impius egerit pænitentiam… omnium iniquitatum ejus… non recordabor (Ezech. 18, 21-22). Asc,9006b:59 Nolo mortem impii, sed ut convertatur impius a via sua, et vivat (Ezech. 33, 11). Asc,9006b:60

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Sine me nihil potestis facere (Joan. 15, 5). Asc,9006b:61 Super tribus, idest plurimis sceleribus… Damasci et maxime ob quartum, ut Syrus et Arabicus vertunt… non convertam eum, id est non revocabo populum Damasci… a pœna, a supplicio, ab excidio, a morte ipsi per me decreta (Tirin., in hunc locum). Asc,9006b:62 Non convertam eum in locum suum q. d. e captivitate non reducam eum in solum patrium. Asc,9006b:63 Non convertam eum, idest non revocabo eum a morte… id est ad hac morte non liberabo eum. Asc,9006b:64 Super tribus, et super quatuor multitudinem significat, hoc est infinitas iniquitates. Asc,9006b:65 Expectavi multo tempore, ut Damasceni de suis sceleribus agerent pænitentiam, et ideo nolui punire peccantes, ut aliquando conversi reciperent sanitatem: verum quia tertio et quarto eadem faciunt, cogor mutare sententiam, et plagis corrigere delinquentes. Asc,9006b:66 Subito tollitur, qui diu toleratur. Asc,9006b:67 Illud sentire nos convenit, unumquemque a Dei patientia sustineri, quamdiu nondum suorum peccatorum terminum, finemque complevit, quo consummato, eum illico percuti, nec ullam ei veniam reservari (Libro De Vita Christiana, c. 3). Asc,9006b:68 Ved. il testo di S. Giovanni Crisostomo in fine di questa difficoltà. Asc,9006b:69 Ducunt in bonis dies suos, et in puncto ad inferna descendunt (Job 21, 13). Asc,9006b:70 Impio amara mors, et tamen amarior vita quam mors: gravius est enim ad peccatum vivere, quam in peccato mori; quia impius in quantum vivit, peccatum auget; si moriatur, peccare desinit (Lib. De Bono Mortis, c. 2). Asc,9006b:71 Expedit, ei qui semper in anima moritur, ut corpore citius moriatur (Serm. De Fallacia Præs. Vitæ). Asc,9006b:72 Peccasti? Pænitere; iterum peccasti? Iterum pænitere; millies peccasti? Millies pænitere;… dum spiras, etiam in ipso lecto positus, etiamsi dici potest, animam efflans, etiamsi ex hoc mundo exeas, non impeditur temporis angustia misericordia Dei (Hom. 2, in Ps. 50). Asc,9006b:73 Ego enim induravi cor ejus et servorum illius, ut faciam signa mea in eo (Exod. 10, 1). Asc,9006b:74 Domine, cur afflixisti populum istum?… Ex eo enim, quo ingressus sum ad Pharaonem… afflixit populum tuum, et non liberasti eos (Exod. 5, 22). Asc,9006b:75 Quoniam non Deus volens iniquitatem tu es (Ps. 5, 4). – Dilexisti justitiam, et odisti iniquitatem (Ps. 44, 5). – Nemini mandavit impie agere, et nemini dedit spatium peccandi (Eccli. 15, 21). – Non enim concupiscit multitudinem filiorum infidelium, et inutilium (Eccli. 15, 22). Asc,9006b:76 Hæc cogitaverunt, et erraverunt: excæcavit enim illos malitia eorum (Sap. 2, 21). Asc,9006b:77 Avertitque se, et ingressus est domum suam, nec apposuit cor etiam hac vice. Videns autem Pharao, quod data esset requies, ingravavit cor suum, etc. – Videns autem Pharao, quod cessasset pluvia… auxit peccatum, et ingravatum est cor ejus, et servorum illius, et induratum nimis; nec dimisit filios Israel, sicut præceperat Dominus per manum Moysis (Exod. 7, 23; 8, 15; 9, 34-35). Asc,9006b:78 Quoniam non vis dimittere populum meum (Exod. 10, v. 3, 4 et alibi). Asc,9006b:79 Lib. 1, Ad Monimum, c. 2. Asc,9006b:80

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Orate Dominum, ut auferat ranas a me. Rogate pro me. Orate Dominum. – Peccavi etiam nunc: Dominus justus: ego et populus meus impii (Exod. 8, 8. 28; 9, 27. 28). Asc,9006b:81 Peccavi in Dominum Deum vestrum, et in vos (Exod. 10, 16). Asc,9006b:82 Si pie de Deo sentiamus, etiam Pharaoni non denegavit misericordiam suam: numquid non potuit, sicut flagellis cedens, expulit populum, ita miraculis credens Deum tantæ virtutis agnoscere? (De Prædestinatione et Gratia, XIV). Asc,9006b:83 Et scient Ægyptii, quia ego sum Dominus (Exod. 7, 5; 14, 4. 18). Asc,9006b:84 Nemo ergo cum Paganis aut Manichæis Dei justitiam reprehendere, aut culpare præsumat. Sed certissime credat, quod Pharaonem non Dei violentia, sed propria iniquitas, et indomabilis superbia contra Dei præcepta toties fecerit obdurari (Serm. 21, in Append. n. 4). Asc,9006b:85 Quis est Dominus, ut audiam vocem ejus, et dimittam Israel? Nescio Dominum, et Israel non dimittam (Exod. 5, 2). Asc,9006b:86 Videns Pharao quod data esset requies, ingravavit cor suum (Exod. 8, 15). Asc,9006b:87 Subvertit rotas curruum… fugientibusque Ægyptiis occurrerunt aquæ et involvit eos Dominus in mediis flentibus (Exod. 14, 25. 27). Asc,9006b:88 Audite audientes, et nolite intelligere, et videte visionem, et nolite cognoscere. Excæca cor populi hujus, et aures ejus aggrava, et oculos ejus claude: ne forte videat oculis suis, et auribus suis audiat, et corde suo intelligat, et convertatur, et sanem eum. Et dixi usquequo Domine? Donec desolentur civitates absque habitatore, et domus sine homine, et terra relinquetur deserta (Is. 6, 9-10-11). Asc,9006b:89 Ideo in parabolis loquor eis: quia videntes non vident, et audientes non audiunt, neque intelligunt. Et adimpletur in eis prophetia Isaiæ dicentis: auditu audietis, et non intelligetis, et videntes videbitis, et non videbitis (Matth. 13, 13-14). – Quia bene Spiritus Sanctus locutus est per Isaiam prophetam ad Patres nostros dicens: Vade ad populum istum, et dic ad eos: aure audietis, et non intelligetis, et videntes videbitis, et non perspicietis (Act. c. 28, 25-26). Asc,9006b:90 Habet enim omnis lingua sua quædam propria genera locutionum, quæ cum in aliam linguam transferuntur, videntur absurda (De Verit. Relig., n. 99). Asc,9006b:91 Ideo in parabolis loquor eis, quia videntes, non vident, et audientes non audiunt, neque intelligunt, et adimpletur in eis prophetia Isaiæ dicentis: auditu audietis, et non intelligetis, et videntes videbitis, et non videbitis. Incrassatum est enim cor populi hujus, et auribus graviter audierunt, et oculos suos clauserunt, ne quando videant oculis, et auribus audiant, et corde intelligant, et convertantur, et sanem eos (Matth. 13, 13-14-15). Asc,9006b:92 Et sine parabolis non loquebatur eis (Matth. 13, 34). Asc,9006b:93 Docebit vos omnem veritatem, quæcumque audiet, loquetur (Joan. 16, 13). – Omnia… nota feci vobis (Joan. 15, 25). Asc,9006b:94 Propterea non poterant credere, quia iterum dixit Isaias: excæcavit oculos eorum, et induravit cor eorum (Joan. 12, 39-40). Asc,9006b:95 Quare autem non poterant, si a me quæratur, cito respondeo: quia nolebant: malam quippe eorum voluntatem prævidit Deus, et per Prophetam prænuntiavit (Tract. 53, in Joan., n. 6 et 9). Asc,9006b:96

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Qui tam superbe sapiunt, ut suæ voluntatis viribus tantum existiment esse tribuendum, ut negent sibi esse necessarium divinum adjutorium ad bene vivendum, non possunt credere in Christum. Hinc et illi non poterant credere, non quia mutari in melius homines non possunt, sed quamdiu talia sapiunt, non possunt credere (In Joan., 12, 10). Asc,9006b:97 Verumtamen et ex principibus multi crediderunt in eum: sed propter Pharisæos non confitebantur, ut a synagoga non ejicerentur (Joan. 12, 42). Asc,9006b:98 Et quidam credebant his quæ dicebantur, quidam vero non credebant (Act. 28, 24). Asc,9006b:99 Dilexerunt enim gloriam hominum magis quam gloriam Dei (Joan. 12, 43). Asc,9006b:100 Ita ut sint inexcusabiles, quia cum cognovissent Deum, non sicut Deum glorificaverunt (Rom. 1, 20-21). Asc,9006b:101 In quibus deus hujus sæculi excæcavit mentes infidelium, ut non fulgeat illis illuminatio Evangelii gloriæ Christi, qui est imago Dei (2 Cor. 4, 4). Asc,9006b:102 Erat lux vera, quæ illuminat omnem hominem venientem in hunc mundum (Joan. 1, 9). Asc,9006b:103 Excæcavit illos malitia eorum (Sap. 2, 21). Asc,9006b:104 Dilexerunt homines tenebras magis quam lucem (Joan. 3, 9). Asc,9006b:105 Hinc excæcantur et indurantur, quia negando divinum adjutorium, non adjuvantur (In Joan., 12, 10). Asc,9006b:106 Cogimur fateri aliis quibusdam peccatis ita eos excæcari meruisse (In Matth., quæst. 14). Asc,9006b:107 Quod enim decem plagis percussus fecisse legitur, post primam castigationem implere potuisse cognoscitur (Serm. 2, in Append. n. 5). Asc,9006b:108 An forte hoc de supernæ medicinæ misericordia factum intelligendum est ut quoniam superbæ, et perversæ voluntatis erant, etc. ad hoc desererentur, ut excæcarentur, ad hoc excæcarentur, ut offenderent etc., atque ita humiliati quærerent nomen Domini (In Joan., 12, 11). Asc,9006b:109 Quo intelligimus ideo excæcatos, ut converterentur (In Matth., quæst. 14). Asc,9006b:110 Bonum mihi, quia humiliasti me, ut discam justificationes tuas (Ps. 118, 71). Asc,9006b:111 Qui odit fratrem suum, in tenebris est… et nescit quo eat: quia tenebræ obcæcaverunt oculos ejus (1 Joan. 2, 11). Asc,9006b:112 Ideo eis per obscuritates parabolarum occultabat sententias Domini, ut post ejus resurrectionem salubriori pænitentia resipiscerent (S. Aug., In Matth., quæst. 14). Asc,9006b:113 Misereris omnium, quia omnia potes, et dissimulas peccata hominum propter pænitentiam (Sap. 11, 24). Asc,9006b:114 Dedit ei Deus locum pænitentiæ, et ille abutitur eo in superbiam (Job 24, 23). Asc,9006b:115 Quare errare nos fecisti, Domine, de viis tuis? Indurasti cor nostrum ne timeremus te? (Is. 63, 17). Asc,9006b:116 Non quod Deus erroris causa sit et duritiæ, sed quod illius patientia nostram expectantis salutem, dum non corrigit delinquentes, causa erroris, duritiæque videtur (Serm. 22, in Append. n. 5). Asc,9006b:117

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Unde quibusdam vehementer iratus Deus a percutiendo manum suspendit (Serm. 22, in Append. n. 5). Asc,9006b:118 Seduxisti me, Domine (Jer. 20, 7). Asc,9006b:119 An divitias bonitatis Dei et patientiæ, et longanimitatis contemnis (Rom. 2, 4). – Ignoras quoniam benignitas Dei ad pænitentiam te adducit? (Ibid.). Asc,9006b:120 Quia vobis datum est nosse mysteria regni Cælorum: illis autem non est datum (Matth. 13, 11). Asc,9006b:121 Venit Filius hominis quærere, et salvum facere quod perierat (Luc. 19, 10). Asc,9006b:122 In judicium ego (Jesus) in hunc mundum veni: ut qui non vident, videant, et qui vident, cæci fiant. Numquid et nos cæci sumus? – Si cæci essetis, non haberetis peccatum; nunc vero dicitis: quia videmus, peccatum vestrum manet (Joan. 9, 39 et seq.). Asc,9006b:123 Si non venissem et locutus fuissem eis, peccatum non haberent, nunc autem excusationem non habent de peccato suo (Joan. 15, 22). Asc,9006b:124 Respondemus Dominum præscium futurorum prædixisse infidelitatem Judæorum, prædixisse autem, non fecisse. Non enim propterea quemquam Deus ad peccandum cogit, quia futura hominum peccata jam noverat (Aug., in Joan., 53, 4). Asc,9006b:125 Curavimus Babylonem, et non est sanata: derelinquamus eam (Jer. 51, 9). Asc,9006b:126 Babylon et domus Israel ab Angelis derelictæ dicuntur, quia Angeli eorum custodes non impediverunt, quin tribulationibus subderentur (Pars 1, q. 113, art. 1 ad 6). Asc,9006b:127 Deum neminem deserere quem fecit: nullam esse animam tam perversam, modo ratiocinari possit, in cujus conscientia non loquatur Deus, nullumque esse tam reprobum, tam cæcum, qui a Dei gratia, dum in hac vita est, penitus excludatur. – Ea est cæcitas mentis: in eam quisquis datus fuerit, ab interiore Dei luce secluditur; sed nondum penitus cum in hac vita est (Ps. VI, 8). Asc,9006b:128 Si pie de Deo sentiamus, etiam Pharaoni non denegavit misericordiam suam: numquid non potuit, sicut flagellis cedens expulit populum, ita miraculis credens, Deum tantæ virtutis agnoscere? (Lib. De Prædestinatione et Gratia, XIV). Asc,9006b:129 Peccavi etiam nunc, Dominus justus, ego et populus meus impii… et cessaverunt tonitrua, et grando (Exod. 9, v. 27, 33 et alibi c. 8, v. 28, 31 et c. 10, v. 16, 19). Asc,9006b:130 Propterea expectat Dominus, ut misereatur vestri (Is. 30, 18). Asc,9006b:131 Jacob dilexi, Esau autem odio habui (Malachi 1, 2-3; Rom. 2, 13). Asc,9006b:132 Non enim invenit pænitentiæ locum, quamquam cum lacrimis inquisisset eam (Hebr. 12, 17). Asc,9006b:133 Populus, cui iratus est Dominus usque in æternum (Malachi 1, 4, id est Cornelio a Lapide). – Idumæi sunt populus, cui Dei ira, et vindicta in æternum incumbet, quia eos æterna vastitate, excidio, et desolatione puniet. Asc,9006b:134 Duæ gentes sunt in utero tuo, et duo populi ex ventre tuo dividentur, populusque populum superabit, et major serviet minori (Gen. 25, 23). Asc,9006b:135 Scitote enim, quoniam et postea cupiens hæreditare benedictionem reprobatus est: non enim invenit pænitentiæ locum, quamquam etc. (Hebr. 12, 17). Asc,9006b:136

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Tableau de la miséricorde divine, pag. 121, édit. Besançon 1821. Asc,9006b:137 Propterea nec Esau veniam assecutus est, quia pænitentiam non egit, ut oportebat; nam lacrimæ non erant ex pænitentia, sed tentationis et iræ (Joannes Chrys., 80, Hom. ad Pop. Antioch.; Vid. Personio, Guida, tom. 2, pag. 27). Asc,9006b:138 Scitote enim, quoniam et postea cupiens hæreditare benedictionem, reprobatus est: non enim invenit pænitentiæ locum, quamquam cum lacrimis inquisisset eam (eam benedictionem uti vertit Cornelius a Lapide). Asc,9006b:139 Orabat hic scelestus Deum, a quo non erat misericordiam consecuturus (2 Macchab. 9, 13). Asc,9006b:140 Nunc reminiscor malorum, quæ feci in Jerusalem… cognovi ergo, quia propterea invenerunt me mala ista, et ecce pereo tristitia magna in terra aliena (1 Macchab. 6, 12). Asc,9006b:141 Et cum nec ipse jam fœtorem suum ferre posset… orabat autem hic scelestus Dominum, a quo non esset misericordiam consecuturus. Sed non cessantibus doloribus, desperans scripsit ad Judæos… spem multam habens effugiendi infirmitatem. Oro itaque vos, et peto memores beneficiorum publice et privatim, ut unusquisque conservet fidem ad me, et ad filium meum. […] Ita superbe locutus est se venturum Jerosolymam, et congeriem sepulchri Judæorum eam facturum (2 Macchab. 9, v. 12, 13, 18, 22, 26 et 4). Asc,9006b:142 Cor contritum et humiliatum Deus non despicies (Ps. 50). Asc,9006b:143 Qui postquam coangustatus est, oravit… egit pænitentiam valde Deo et exaudivit orationem ejus, reduxitque cum Jerusalem in regnum suum (2 Paralip. 33, 12-13). Asc,9006b:144 Non recedet gladius de domo tua… Dominus quoque transtulit peccatum tuum (2 Reg. 12, 10. 13). Asc,9006b:145 Cum iratus fueris misericordiam facies, et in tempore tribulationis peccata dimittis his, qui invocant te (Tob. 3, 13). Asc,9006b:146 Non ad interitum, sed ad correptionem (2 Macchab. 6, 12). Asc,9006b:147 Ecce non est abbreviata manus Domini, ut salvare nequeat… sed iniquitates, et peccata vestra absconderunt faciem ejus a vobis ne exaudiret (Is. 59, 1-2). Asc,9006b:148 Quæretis me et non invenietis… et in peccato vestro moriemini (Joan. 7, 34 et 8, 21). Asc,9006b:149 Quæretis me et invenietis, cum quæsieritis me in toto corde vestro (Jer. 29, 13). Asc,9006b:150 Cor contritum et humiliatum Deus non despicies (Ps. 50). Asc,9006b:151 Quæretis odio, non desiderio (Aug., Joan., Hom. in Evang.). Asc,9006b:152 Adhuc modicum tempus vobiscum sum: et vado ad eum qui me misit (Joan. c. 7, 33). Asc,9006b:153 Quæretis me et non invenietis, et ubi ego sum, vos non potestis venire (Joan. 7, 34). Asc,9006b:154 Et in peccato vestro moriemini (Joan. 8, 21). Asc,9006b:155 Dixi ergo vobis quia moriemini in peccatis vestris: si enim non credideritis quia ego sum, moriemini in peccato vestro (Joan. 8, 24). Asc,9006b:156 Quia vocavi, et renuistis… ego quoque in interitu vestro ridebo, et subsannabo vos (Prov. 1, 26). – Tunc invocabunt me, et non exaudium: mane consurgent, et non invenient me (Prov. 1, 28). – Qui

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declinat aures suas, ne audiat legem, oratio ejus erit execrabilis (Prov. 28, 9). – Victimæ impiorum abominabiles Domino (Prov. 15, 8). Asc,9006b:157 Impietas impii non nocebit et in quacumque die conversus fuerit ab impietate sua (Ezech. 33, 2). – Omnium iniquitatum ejus… non recordabor (Ezech. 18, 22). Asc,9006b:158 Quia vocavi, et renuistis… despexistis omne consilium meum… Ego quoque in interitu vestro ridebo, subsannabo, cum vobis id quod timebatis, advenerit (Prov. 1, v. 24, 25, 26). Asc,9006b:159 Cum irruerit repentina calamitas, et interitus quasi tempestas ingruerit. Quando venerit super vos tribulatio, et angustia (Prov. 1, 27). Asc,9006b:160 Ridere Dei est humanæ nolle afflictioni misereri, quare ego quoque in interitu vestro ridebo, hoc est, afflictioni vestræ nulla pietate compatiar (Moralia, XX, 9). Asc,9006b:161 Qui autem me audierit, absque terrore requiescet, et abundantia perfruetur, timore malorum sublato (Prov. 1, 33). Asc,9006b:162 Si autem dixero impio, morte morieris, et egerit pænitentiam a peccato suo, feceritque judicium et justitiam, et pignus restituerit… vita vivet, et non morietur (Ezech. 33, 14-15). Asc,9006b:163 Unde velle suam damnationem absolute non esset conformare suam voluntatem voluntati divinæ, sed voluntati peccati (S. Thom., De Verit., q. 3, a. 8). – Per modum comminationis (Ibid.). Asc,9006b:164 Impietas impii non nocebit ei in quacumque die conversus fuerit ab impietate sua. Omnia peccata ejus non imputabuntur ei (Ezech. 33, 12. 16). Asc,9006b:165 Nullum debere salutem desperare, si ad meliora conversus sit, cum ipse (Matthæus) de publicano in apostolum sit repente mutatus (Comm. in Matth., lib. 1, IX). – Novit Dominus mutare sententiam si tu noveris emendare delictum (In Luc., Lib. 2, I). Asc,9006b:166 Adhuc quadraginta dies, et Ninive subvertetur. Et misertus est Deus,… et non fecit (Jona 3, 4. 10). Asc,9006b:167 Propter quod præoccupavi ut fugerem… scio enim, quia tu Deus clemens et misericors es, patiens et multæ miserationis, et ignoscens super malitia (Jona 4, 2). Asc,9006b:168 Quis scit si… ignoscat Deus? Et misertus est Deus… et non fecit (Jona 3, 9-10). Asc,9006b:169 Tunc invocabunt me, et non exaudiam, mane consurgent, et non invenient me (Prov. 1, 28). Asc,9006b:170 Hi enim impii invocant Deum, postulantque remissionem non culpæ, sed pœnæ, ut scilicet mortem evadant, idcirco exaudiuntur (Cornelio a Lapide). Asc,9006b:171 Sed etsi pæniterent seria contritione… obtinerent utique remissionem culpæ, sed non statim pœnæ; saltem totius… quia Deus in pœna inexorabilis est, auresque impænitentibus claudet, quia ipsi suas Deo vocanti prius clausere (Cornelio a Lapide). Asc,9006b:172 Qui declinat aures suas, ne audiat legem. Oratio ejus erit execrabilis (Prov. 28, 9). Asc,9006b:173 Si oras mala inimicis tuis, oratio tua fiet in peccatum (Serm., 56). – Si ergo peccator quando aliquid petit… secundum desiderium peccati (puta si petat a Deo complementum alicujus peccati), in hoc a Deo non auditur ex misericordia, sed quandoque auditur ad vindictam (2, 2, q. 83, art. 15 ad 2, et art. 16 ad 1). Asc,9006b:174 Et convertam eos… et erunt sicut fuerunt quando non projeceram eos (Zaccharias 10, 6). Asc,9006b:175

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Sancti eritis quoniam ego sanctus sum (1 Petri 1, 16). – Estote perfecti sicut et Pater vester cælestis perfectus est (Matth. 5, 48). Asc,9006b:176 Quia tepidus es… incipiam te evomere ex ore meo (Apoc. 3, 16). Asc,9006b:177 Deus impossibilia non jubet (Trid., sess. 6, c. 10). – Mandata ejus gravia non sunt (1 Joan. 5, 3). – Jugum enim meum suave est, et onus meum leve (Matth. 11, 30). Asc,9006b:178 Solent enim tepidi, videntes se peccata graviora vitare… gloriari de sua innocentia, et sanctitate (Cornelio a Lapide, III, 17). Asc,9006b:179 Tepidus etiam est qui, honesta vivendi ratione contempta, a vitiis fœdioribus abstinet quidem, sed vitam ducit mollem et languidam. – Qui tepidi sunt, ii sibi videntur boni, quod magna non admittant scelera (Menochio, III, 15, 16 e 17; Vid. Martini, III, 17, n. 2). Asc,9006b:180 Tepidus ille dicitur, qui Deum quidem non audet sciens, et volens offendere, ideoque se putat justum, sed purioris, et perfectioris vitæ studium negligit, unde se facile concupiscentiis permittit, et quævis peccata devorat, quæ sibi tantum venialia videntur (Menochio, III, 15, 16 e 17). Asc,9006b:181 Tepidi neutri parti addicti, inter sæculum, et Evangelium incedunt (Bossuet, Spieg. dell'Apoc. 3, 16; Martini, III, 15 e 16). Asc,9006b:182 Quia dicis quod dives sum et locupletatus, et nullius egeo (Apoc. 3, 17). – Auro scilicet et opibus temporalibus: inde enim factus est pauper et tepidus in rebus spiritualibus (Cornelio a Lapide, III, 17). Asc,9006b:183 Et nescis quia tu es miser, et miserabilis, et pauper, et cæcus, et nudus (Apoc. 3, 17). – Pauper, carens caritate (Cornelio a Lapide, Menochio ed altri; Vedi pure P. Orazio da Parma, Esposiz. lett. e morale, tom. 1). – Oportet Episcopum irreprehensibilem esse (1 Tim. 3). Asc,9006b:184 Et collyrio inunge oculos tuos, ut videas (Apoc. 3, 18). – Collyrium, hoc est, tum humilitas, ait Rupertus: cor tuum humilitate purifica, ut paupertatem tuam videas… tum collyrium, hoc est, consideratio novissimorum, q. d. consideratione… expurga mentis oculum terræ infixum, et per eam excæcatum (ita Primas, Anselm., Richard., Hugo, Ribera et Menochius). Asc,9006b:185 Nudus, quia carens bonis operibus, quia sua faciebat per præfidentiam et hypocrisin (ibid.). Asc,9006b:186 Injustos non ante evomit, quam denuntiet evomendos, ut vel hujusmodi admonitione conversi, dignum aliquid efficiant, quo non evomantur (Serm. 2, Ps. 118). Asc,9006b:187 Suadeo tibi emere a me aurum ignitum, probatum, ut locuples fias, et vestimentis albis induaris, et non appareat confusio nuditatis tuæ, et collyrio inunge oculos tuos ut videas (Apoc. 3, 18). Asc,9006b:188 Dieu mérite sans doute d' être servi avec toute la ferveur des Anges, mais par bonté il veut bien l' être avec toute la faiblesse des hommes (Tableau de la miséricorde divine, p. 274). Asc,9006b:189 Ecce sanus factus es: jam noli peccare, ne deterius tibi aliquid contingat (Joan. 5, 14). Asc,9006b:190 Assumet septem alios spiritus nequiores se… et fiunt novissima hominis illius pejora prioribus (Matth. 12, 45, et Luc. 11, 26). Asc,9006b:191 Vid. Cornelium a Lapide, in hunc locum. Asc,9006b:192 Non erit impossibile apud Deum omne verbum (Luc. 1, 37). Asc,9006b:193 Ubi autem abundavit delictum, superabundavit gratia (Rom. 5, 20).

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Asc,9006b:194 Ut per Sacerdotum sententiam non semel, sed quoties ab admissis peccatis ad ipsum pænitentes confugerint, possent liberari (Sess. 14, c. 2, v. 3). Asc,9006b:195 In multis enim offendimus omnes (Jac. 3, 2). Asc,9006b:196 S. Francesco di Sales, Introduzione alla vita divota, XXII, p. 1. Asc,9006b:197 Impossibile est enim eos, qui semel sunt illuminati, gustaverunt etiam donum celeste, et participes facti sunt Spiritus Sancti… et prolapsi sunt, rursus renovari ad pænitentiam (Hebr. 6, 4. 6). Asc,9006b:198 Cornelius a Lapide, Tirinus, Menochius, in hunc locum. Asc,9006b:199 Si impius egerit pænitentiam… omnium iniquitatum, quas operatus est, non recordabor (Ezech. 18, 21). – Non dico tibi usque septies, sed usque septuagies septies (Matth. 18, 22). – Ut per Sacerdotum sententiam non semel, sed quoties a peccatis admissis pænitentes confugerint, liberari possent (Conc. Trid., sess. 2, c. 14). Asc,9006b:200 Terra enim sæpe venientem super se bibens imbrem… proferens autem spinas ac tribulos, reproba est, et maledicto proxima, cujus consummatio in combustionem (Hebr. 6, 7. 8). Asc,9006b:201 Discedite a me, maledicti in ignem æternum (Matth. 25, 41). Asc,9006b:202 Reproba est, et maledicto proxima, cujus consummatio in combustionem (Hebr. 6, 8). Asc,9006b:203 Voluntarie enim peccantibus nobis post acceptam notitiam veritatis, jam non relinquitur pro peccatis hostia (Hebr. 10, 26). Asc,9006b:204 Ægre et vix relinquitur hostia pro peccato qua illud expient. Asc,9006b:205 Tableau de la miséricorde divine, p. 261. Asc,9006b:206 Nemo mittens manum ad aratrum, et respiciens retro, aptus est regno Dei (Luc. 9, 62). Asc,9006b:207 1 Cor. 9, 24 et 2 Tim. 2, 4. Asc,9006b:208 Bergier, Traité de la vraie religion, t. 12, p. 202, et Dictionnaire historique, verb. Élu. Asc,9006b:209 Multi sunt vocati, pauci vero electi (Matth. 20, 16 et 22, 14). Asc,9006b:210 Deus cui soli cognitus est numerus electorum in superna felicitate locandus (Dom. I Quadrag.). Asc,9006b:211 Salmerone, Tom. 7, tract. 33. – Cornelius a Lapide, XIX, in fine. Asc,9006b:212 Si vis ad vitam ingredi serva mandata. – Si vis perfectus esse, vade, vende quæ habes, et da pauperibus… et veni sequere me… abiit tristis: erat enim habens multas possessiones (Matth. 19, v. 17, 21, 22). Asc,9006b:213 Ecce nos reliquimus omnia, et secuti sumus te: quid ergo erit nobis? Asc,9006b:214 Vos qui secuti estis me… sedebitis et vos super sedes duodecim judicantes duodecim tribus Israel. Et omnis qui relinquerit domum… centuplum accipiet, et vitam æternam possidebit. Multi autem erunt primi novissimi, et novissimi primi (Matth. 19, v. 27, 28, 29, 30). Asc,9006b:215 Voca operarios, et redde illis mercedem incipiens a novissimis usque ad primos. Et acceperunt et ipsi singulos denarios… sic erunt novissimi primi, et primi novissimi: multi enim sunt vocati, pauci vero electi (Matth. 20, v. 8, 9, 10 et 16).

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Asc,9006b:216 Volo autem et huic novissimo dare sicut et tibi (Matth. 20, 14). Asc,9006b:217 Consummatus in brevi explevit tempora multa (Sap. 4, 13). Asc,9006b:218 Conventione facta ex denario diurno. Quod justum fuerit, dabo vobis. Ite et vos in vineam meam (Matth. 20, v. 2, 4 et 7). Asc,9006b:219 Venientes autem et primi, arbitrati sunt quod plus essent accepturi. Et accipientes murmurabant… dicentes: Hi novissimi una hora fecerunt (Matth. 20, v. 10, 11, 12). Asc,9006b:220 Amice, non facio tibi injuriam (Matth. 20, 13). Asc,9006b:221 An oculus tuus nequam est, quia ego bonus sum? (Matth. 20, 15). Asc,9006b:222 Pares illos nobis fecisti (Matth. 20, 12). Asc,9006b:223 Quia nemo nos conduxit (Matth. 20, 7). Asc,9006b:224 Et cognoverunt quod de ipsis diceret (Luc. 21, 45). Asc,9006b:225 Colligite primum zizania, et alligate ea in fasciculos ad comburendum: triticum autem congregate in horreum meum. Exibunt Angeli, et separabunt malos de medio justorum (Matth. 13). Asc,9006b:226 Exod. 29, 27; Lev. 20, 24. 26; Deuter. 4, 41 et 20, 26; Jos. 1, 14; Jud. 18, 7; 1 Esdr. 10, 11; 2 Esdr. 13, 3. Asc,9006b:227 Coibeant ergo se frumentorum per totum mundum tanta ubertate crescentium impii desertores, et non audeant de quorumdam zizaniorum separatorum paucitate gloriari (Contra Cresconium, lib. 3, tom. 7, LXVII). Asc,9006b:228 Publicani et meretrices præcedent… in regnum Dei (Matth. 21, 31). Asc,9006b:229 Consummatus in brevi explevit tempora multa (Sap. 4, 13). Asc,9006b:230 Omnes quidem currunt, sed unus accipit bravium (1 Cor. 9, 24). Asc,9006b:231 Currunt ethnici, hæretici, reprobi sed unus christianorum et electorum populus accipit bravium. Asc,9006b:232 Socordis animæ est dicere: sufficit… si salver… quisque enim conari debet, ut… primum… referat præmium. Asc,9006b:233 Sic currite ut comprehendatis (1 Cor. 9, 24). Asc,9006b:234 Qui increduli fuerant aliquando, quando expectabant Dei patientiam in diebus Noe cum fabricaretur arca: in qua pauci, id est octo animæ salvæ factæ sunt per aquam (1 Petri 3, 20). Asc,9006b:235 1 Petri 3, 20. – Bellarmino, De anima Christi, lib. 4, XIII. Asc,9006b:236 Et stellæ de Cælo ceciderunt super terram, sicut ficus emittit grossos suos cum a vento magno movetur (Apoc. 6, 13). Asc,9006b:237 Refrigescet et caritas multorum (Matth. 24, 12). Asc,9006b:238 Verumtamen Filius hominis veniens, putas, inveniet fidem in terra? (Luc. 18, 8). Asc,9006b:239

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Igitur Dominus pluit super Sodomam et Gomorrham (et Adamam et Seboim, Deuter. 29, 23), sulphur et ignem a Domino de cælo… liberavit Loth de subversione urbium… (Gen. 19, 24-29). Asc,9006b:240 Ecce etiam in hoc suscepi preces tuas, et non subvertam urbem (Segor) pro qua locutus es (Gen. 19, 21). Asc,9006b:241 Non delebo propter decem (Gen. 18, 32). Asc,9006b:242 Circuite vias Jerusalem, et aspicite, et considerate, et quærite in plateis ejus, et an inveniatis virum facientem judicium, et quærentem fidem, et propitius ero ei, cioè: toti urbi, a tutta la città, come nota Cornelio a Lapide. Asc,9006b:243 In solitudine hac jacebunt cadavera vestra. Omnes qui numerati estis (sexcenta tria milia virorum quingenti quinquaginta, Num. 1, 46, et Exod. 38, 25) a viginti annis et supra, et murmurastis contra me, non intrabitis terram… præter Caleb… et Josue (Num. 14, 29-30). Asc,9006b:244 Dilatavit infernus animam suam, et aperuit os suum absque ullo termino (Is. 5, 14). Asc,9006b:245 Et ædificaverunt excelsa Topheth, quæ est in valle Filii Ennom, ut incenderent filios suos et filias suas igni… ideo ecce dies venient, dicit Dominus, et non dicetur amplius Topheth… sed vallis interfectionis, et sepelient in Topheth eo quod non sit locus (Jer. 7, v. 31, 32 et 33). Asc,9006b:246 Et aperientur portæ tuæ jugiter: die ac nocte non claudentur (Is. 60, 11). Asc,9006b:247 Quomodo si paucæ olivæ, quæ remanserunt, excutiantur ex olea, et racemi cum fuerit finita vindemia (Is. 24, 13). Asc,9006b:248 Quando maledictio voraverit terram… tanta erit sanctorum paucitas, et tam vehemens pressura justorum, ut tententur si fieri potest etiam electi Dei, et paucitas eorum… baccis olivarum rarissimis comparetur, quæ… remanent in ramorum cacumine, et quomodo cum fuerit finita vindemia solent pauperes… pauca uvarum grana colligere (S. Hier., in hunc locum). Asc,9006b:249 Pro eo quod laboravit anima ejus, videbit, et saturabitur… ideo dispertiam ei plurimos (Is. 53, 11-12). Asc,9006b:250 Lata porta, et spatiosa via est, quæ ducit ad perditionem, et multi sunt qui intrant per eam… via est quæ ducit ad vitam, et pauci sunt qui inveniunt eam (Matth. 7, 13-14). Asc,9006b:251 Calino, Lezioni Sacre, tom. 16, n. 10, lez. 21. Asc,9006b:252 Neque enim via est lata via. Rectitudo quippe ad viam, latitudo ad planitiem magis quam ad viam pertinet. Solitudo in via lata est via, et ubi nulla est via, totum est via. Sic est via exposita vitiis, latissimos habens terminos, quia nullos terminos habet (S. Bern., De Fallacia Præs. Vitæ). Asc,9006b:253 Voce divina, I, parag. 4, p. 65. Asc,9006b:254 Multi venient ab Oriente et Occidente, et recumbent cum Abraham, Isaac et Jacob in regno Cælorum (Matth. 8, 11). Asc,9006b:255 Super arenam multiplicabuntur (Ps. 138, 17). Asc,9006b:256 Tom. 4, tract. 13, p. 2. Asc,9006b:257 Dinumerabo eos, et super arenam multiplicabuntur (Ps. 138, 17). – Convertentur ad Dominum universi fines terræ, et adorabunt in conspectu ejus universæ familiæ gentium (Ps. 21, 27). Asc,9006b:258

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Vidi turbam magnam, quam dinumerare nemo poterat ex omnibus gentibus, tribubus, populis et linguis (Apoc. 7, 9). Asc,9006b:259 Vix de centum millibus, quorum mala fuit semper vita, meretur habere a Deo indulgentiam unus (S. Hier.). Asc,9006b:260 Relictis hominibus paucis quando maledictio voraverit terram… tanta erit sanctorum paucitas, de quibus loquitur Dominus in Evang. Matth. 20, 16 (multi sunt vocati et pauci electi)… ut baccis olivarum rarissimis comparentur, quæ cum excusse fuerint atque demessæ, vix paucæ remanent in ramorum cacumine, etc. (Commentarius in Is., 24, 13). Asc,9006b:261 Sed propter electos breviabuntur dies illi (Matth. 24, 22). Asc,9006b:262 Non possunt in tot milibus inveniri centum qui salventur, quin et de his dubito (Ex Act. Apostolorum, Hom. 40, De Pœn., t. 5, p. 1.001). Asc,9006b:263 Nam si fuerint qui in Ecclesia clari, statim erit etiam multitudo. Hi autem si non sint, numquam erit in Ecclesia honesta multitudo (In Act. Apostolorum, Hom. 24). Asc,9006b:264 Quot putatis esse in civitate nostra, qui serventur? Molestum quidem est quod dicturus sum; dicam tamen: non est in tot milibus centesimum invenire qui servetur, sed etiam de illis dubito (Loc. cit.). Asc,9006b:265 Ad fidem plures veniunt: ad regnum Cæleste pauci perducuntur… quis sciat quam pauci sint qui in illo electorum Dei grege numerantur? (Hom. 19, in Matth., 20, t. 2, p. 110). Asc,9006b:266 Vocante enim Domino super numerum multiplicantur fideles: quia nonnumquam etiam hi ad fidem veniunt, qui ad electorum numerum non pertingunt (Loc. cit. D.). Asc,9006b:267 Ecce enim ad hodiernam festivitatem quam multi conveniunt. Ecclesiæ parietes implemus, sed tamen quis sciat quam pauci sunt qui in illo electorum Dei grege numerantur? (Loc. cit. C.). Asc,9006b:268 Unde Dominus dicit: in domo Patris mei mansiones multæ sunt. Sed tamen qui in ea ducti sunt, quamvis diversis horis venerint, unum denarium perceperunt. Qua itaque ratione conveniant mansiones multæ cum uno denario, nisi quia… etsi alter minus atque alius amplius exultat, omnes tamen unum gaudium de conditoris sui visione lætificat (Hom. 16, in Ezech., p. 83, C.). Asc,9006b:269 Duo ergo sunt, quæ sollicite pensare debemus. Quia enim multi vocati, sed pauci electi, primum est, ut de se quisque minime presumat, quia etsi jam ad fidem vocatus est, utrum perenni regno dignus sit, nescit (Hom. 19, in Evang. Matth., 20, t. 2, p. 110, E.). Asc,9006b:270 Secundum vero est, ut unusquisque proximum, quem fortasse jacere in vitiis conspicit, desperare non audeat, quia divinæ misericordiæ divitias ignorat (Loc. cit.). Asc,9006b:271 Ut videtur pauci sunt qui salvantur (In Elucid.). Asc,9006b:272 Quaresimale, p. 14, n. 9. Asc,9006b:273 Treviris commemoratio innumerabilium pene Martyrum, Cæsaraugustæ sanctorum innumerabilium Martyrum, etc. Asc,9006b:274 Qui non crediderit, condemnabitur (Marc. 16, 16). – Quicumque vult salvus esse ante omnia opus est, ut teneat catholicam fidem (Symb. S. Athan., v. 1). Asc,9006b:275 Sed qui sententiam suam, quamvis falsam, atque perversam, nulla pertinaci animositate defendunt, præsertim quam non audacia præsumptionis suæ pepererunt, sed a seductis, atque in errorem lapsis parentibus acceperunt, quærunt autem cauta sollicitudine veritatem, corrigi parati cum invenerint,

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nequaquam sunt inter hæreticos deputandi (S. Aug., t. 2, Epist. 162 contra Donat., Pertinaciam, pag. 277. Ed. Paris, 1635). Asc,9006b:276 S. Fulg., De Fide ad Petrum, 39. Asc,9006b:277 Traité de l'unité de l'Église, lib. 2, III. Asc,9006b:278 1a, 2, q. 98, art. 5. Asc,9006b:279 Quidam autem, ut minores fidem implicitam habebant in fide majorum (In 3 Sent., dist. 25, q. 2, art. 2 ad q. 2). Asc,9006b:280 Deus vult omnes homines salvos fieri, et ad agnitionem veritatis pervenire (1 Tim. 2, 4). Asc,9006b:281 Ego sum veritas (Joan. 14, 6). – Erat lux vera, quæ illuminat omnem hominem venientem in hunc mundum (Joan. 1, 9). Asc,9006b:282 Nempe in aliis gentibus, ex quibus et nos, ad immensum et infinitum divini luminis pelagus, quod semper paratum est, et patet omnibus ad participandum (De cælesti hierarchia, IX). Asc,9006b:283 Gratia in omnes diffusa est; non judæum, non græcum, non barbarum, non Scytham, non liberum, non servum, non virum, non mulierem, non senem, non juvenem excipit aut dedignatur. Qui autem ejus munere frui negligunt… sibi imputent. Cum enim omnibus aditus pateat, et a nemine prohibeatur… propria dumtaxat malitia ingredi recusant (Hom. 7, in Joan.). Asc,9006b:284 Elaboratum est… et non solum in novissimis diebus, sed etiam in cunctis retro sæculis probaretur gratiam Dei omnibus hominibus adfuisse, providentia quidem pari, sed multimodo opere, diversaque mensura (S. Prosp., De Voc. Gent., lib. 2, XXXI). Asc,9006b:285 In his quæ necessaria sunt ad salutem numquam Deus homini quærenti suam salutem deest, vel defuit, nisi ex culpa sua remaneat (S. Thom., In 3 Sent., dist. 25, q. 2, art. 1 ad 1, et art. 2 ad q. 2). Asc,9006b:286 A magnitudine enim speciei, et creaturæ cognoscibiliter poterit creator horum videri (Sap. 13, 5). – Invisibilia enim ipsius (Dei) a creatura mundi per ea quæ facta sunt, intellecta conspiciuntur: sempiterna quoque ejus virtus et divinitas, ita ut sint inexcusabiles (Rom. 1, 20). Asc,9006b:287 Cum enim Gentes, quæ legem non habent, naturaliter ea quæ legis sunt faciunt, ejusmodi legem non habentes, ipsi sibi sunt lex: qui ostendunt opus legis scriptum in cordibus suis, testimonium reddente illis conscienta ipsorum, et inter se invicem cogitationibus accusantibus, aut etiam defendentibus (Rom. 2, 14-15). Asc,9006b:288 Si aliquis nutritus in silvis… ductum rationis naturalis sequeretur in appetitu boni, et fuga mali, certissime est credendum, quod ei Deus vel per internam inspirationem revelaret ea quæ sunt ad credendum necessaria, vel aliquem fidei præconem ad eum dirigeret, sicut misit Petrum ad Cornelium (S. Thom., De Veritate, quæst. 14, art. 2 ad 1). Asc,9006b:289 Nempe in aliis Gentibus, ex quibus et nos, ad immensum et infinitum divini luminis pelagus… ad participandum ex præteriti erroris cæcitate respiravimus, ad quod sane obsequentes ducebant Angeli præpositi singulis Gentibus (De Cælesti Hierarchia, IX). Asc,9006b:290 Stetit quidam, cujus non agnoscebam vultum; imago coram oculis meis, et vocem quasi auræ lenis audivi. – Per somnium in visione nocturna, quando… homines… dormiunt… tunc aperit aures virorum, et erudiens eos, instruit disciplina (Job 4, 16, et 33, 14). Asc,9006b:291

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Leibniz, Opp., tom. 5, pag. 75, e Théodicée, Système théologique, tom. 1, VI, 92, pag. 20. – Vid. Rohrbacher, Histoire universelle de l'Église catholique, tom. 26, lib. 88. Asc,9006b:292 Pagani, judæi, hæretici, aliique hujus generis nullum omnino accipiunt a Jesu Christo influxum, adeoque hinc recte inferes, illis esse voluntatem nudam et inermem sine omni gratia sufficienti (Prop. 5, damnata ab Alexandro VIII, decr. 7 dec. 1690); Nullæ dantur gratiæ nisi per fidem (Prop. 26); Fides est prima gratia, et fons omnium aliarum (Prop. 27); Extra Ecclesiam nulla conceditur gratia (Prop. 29, damnata ab Clemente XI, in Constitutione Unigenitus). Asc,9006b:293 In omnem terram exivit sonus eorum, et in fines orbis terræ verba eorum (Ps. 18, 5). Asc,9006b:294 Vidi turbam magnam, quam dinumerare nemo poterat, ex omnibus gentibus, et tribubus, et populis, et linguis (Apoc. 7, 9). Asc,9006b:295 In veritate comperi, quia… in omni gente, qui timet Deum et operatur justitiam, acceptus est illi (Act. 10, 34 et 35). Asc,9006b:296 Non coronabitur nisi qui legitime certaverit (2 Tim. 2, 5). Asc,9006b:297 Ps. 33, 6. – Cfr. Suarez, De Gratia, lib. 4, V, 11, 15. Asc,9006b:298 S. Thom., In 3 Sent., dist. 25, quæst., art. 1, 2. Asc,9006b:299 S. Thom., De Veritate, q. 14, art. 11 ad 1. – Vedi il fatto meraviglioso nella vita del B. P. Anchieta di Beretario, 6, 11. Asc,9006b:300 Hettinger, La Divina Provvidenza nel governo del mondo, vol. 3, XXIV. Asc,9006b:301 Hettinger, Cristo Re, vol. 2, XII. Asc,9006b:302 “Absit V. F. ut misericordiæ divinæ, quæ infinita est, terminos audeamus opponere; absit ut perscrutari velimus arcana consilia et judicia Dei, quæ sunt abyssus multa, nec humana queunt cogitatione penetrari… Tenendum ex fide est extra Apostolicam Romanam Ecclesiam salvum fieri neminem posse, hanc esse unicam salutis arcam, hanc qui non fuerit ingressus diluvio periturum; sed tamen pro certo pariter habendum est, qui veræ religionis ignorantia laborant, si ea sit invincibilis, nulla ipsos obstringi hujusce rei culpa ante oculos Domini. Nunc vero quis tantum sibi arroget ut hujusmodi ignorantiæ limites designare queat juxta populorum, regionum, ingeniorum aliarumque rerum tum multarum rationem et varietatem? Enimvero cum soluti corporeis hisce vinculis videbimus Deum, sicuti est, intelligemus profecto, quam arcto pulchroque nexu miseratio ac justitia divina copulentur; quamdiu vero in terris versamur mortali hac gravati mole, quæ hebetat animam, firmissime teneamus ex Catholica Doctrina, unum Deum esse, unam fidem, unum baptisma; ulterius inquirendo, progredi nefas est” (Allocutio habita, d. 9 dec. 1854). Asc,9006b:303 Nisi quis renatus fuerit ex aqua et Spiritu Sancto, non potest introire in Regnum Dei (Joan. 3, 5). Asc,9006b:304 Traité de la vraie religion, t. 2, pag. 541. Asc,9006b:305 Non dico parvulos… tanta pœna plectendos esse ut eis non nasci potius expediret – Quis dubitaverit parvulos non baptizatos… in damnatione omnium levissima futuros, quæ qualis et quanta erit, quamvis definire non possum, non audeo dicere quod eis ut nulli essent quam ut ibi essent, potius expediret (In Julianum, t. 7, l. 5, cap. 8). Asc,9006b:306 Bonum erat ei, si natus non fuisset homo ille (Matth. 26, 24; Difesa della Bolla Auctorem Fidei, t. 2, lett. XI). Asc,9006b:307

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Quærent… mortem et non invenient eam: et desiderabunt mori, et mors fugiet ab eis (Apoc. 9, 6). Asc,9006b:308 S. Bonaventura, In 11 Sentent., dist. 32, art. 3, q. 1. Asc,9006b:309 Non enim timendum est, ne non potuerit esse sententia media inter præmium et supplicium, cum sit vita media inter peccatum, et recte factum (De libero arbitrio, lib. 3, 23). Asc,9006b:310 Cum ad pœnas ventum est puerorum, magnis, mihi crede, coarctor angustiis, nec quid respondeam prorsus invenio. Asc,9006b:311 Pœna originalis peccati est carentia visionis divinæ, actualis vero peccati gehennæ perpetuæ cruciatus (Innoc., De Bapt., l. 3, tom. 42, paragr. Verum). – Credimus… illorum animas, quæ in mortali peccato, vel cum solo originali decedunt, mox in infernum descendere, pœnis tamen ac locis disparibus puniendas, nimirum puerorum animas pœna damni, non sensus in lymbo afficiendas (Istruzione della fede cattolica mandata agli Armeni l'anno 1321, presso Raynald, anno 1321, n. 10). Asc,9006b:312 Credimus… animas, quæ in actuali mortali peccato, vel solo originali decedunt, mox in infernum descendere, pœnis tamen disparibus puniendas (Conc. Florentinum, sess. 6, anno 1409). Asc,9006b:313 Acerbitas pœnæ sensibilis delectationi culpæ respondet (Lib. Sent., dist. 33, q. 1). Asc,9006b:314 Quantum glorificavit se, et in deliciis fuit, tantum date illi tormentum et luctum (Apoc. 18, 7). Asc,9006b:315 Sed in peccato originali non est conversio ad creaturam… et ideo peccato originali non debetur pœna sensus, sed solum pœna damni scilicet carentia visionis divinæ – Rursus pœna sensus numquam debetur habituali dispositioni; non enim aliquis punitur ex hoc quod est habilis ad furandum, sed ex hoc quod actu furatur. Sed habituali privationi absque omni actu debetur aliquod damnum, puta, quia non habet scientiam litterarum, ex hoc ipsa indignus est promotione ad Episcopalem dignitatem. In peccato autem originali invenitur quædam concupiscentia per modum habitualis dispositionis, quæ parvulum facit habilem ad concupiscendum, adultum autem actu concupiscentem; et ideo parvulo defuncto cum originali non debetur pœna sensus, sed solum pœna damni, quia scilicet non est idoneus ad visionem divinam propter privationem originali justitiæ (De malo, q. 5, art. 2). – Pertinet autem ad naturalem cognitionem, quod anima sciat, se propter beatitudinem creatam, et quod beatitudo consistat in adeptione perfecti boni, sed quod illud bonum perfectum, ad quod homo factus est, sit illa gloria, quam sancti possident, est supra cognitionem naturalem, juxta illud Apostoli: nec oculus vidit, nec auris audivit, nec in cor hominis ascendit, quæ præparavit Deus diligentibus se, nobis autem revelavit Deus per spiritum suum, quæ revelatio ad fidem pertinet, et propter hoc, quia animæ parvulorum se privari tali bono non cognoscunt, ideo non dolent; sed hoc quod per naturam habent, absque dolore possident (De malo, art. 3). Asc,9006b:316 Propter hæc, et his similia est tertius modus dicendi, videlicet quod animæ parvulorum carebunt actuali dolore et afflictione, non tamen carebunt cognitione… Parvuli igitur sic divino judicio justo inter Beatos, et simpliciter miseros quasi in medio constituti hoc noverunt, ut tamen ex una parte consideratio generet desolationem, ex altera consolationem: ita æqua lance divino judicio eorum cognitio et effectio libratur… sed in hoc mirabilis ostenditur ordo divinæ sapientiæ, quæ cuncta novit suis locis disponere, et ad sui gloriam ordinare. Nam sicut in Beatis potissime manifestatur misericordia, et in damnatis potissime claret justitia, sic in istis (parvulis) manifestatur simul misericordia et justitia (S. Bonav., In 2 Sentent., dist. 33, in concl., art. 3, q. 2). Asc,9006b:317 Et ideo nihil omnino dolebunt de carentia visionis divinæ, immo magis gaudebunt de hoc, quod participabunt multum de divina bonitate, et perfectionibus naturalibus (S. Thom., 1, art. 2). Asc,9006b:318

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Quamvis pueri non baptizati sint separati a Deo quantum ad illam conjunctionem, quæ est per gloriam, non tamen ab eo penitus sunt separati; immo illi conjunguntur per participationem bonorum naturalium, et ita etiam de ipso gaudere poterunt naturali cognitione et dilectione (S. Thom., 1, art. 5). Asc,9006b:319 Doctrina, quæ velut fabulam pelagianam explodit locum illum inferorum (quem limbi puerorum nomine fideles passim designant), in quo animæ decedentium cum sola originali culpa pœna damni citra pœnam ignis puniantur; perinde ac si hoc ipso, quod qui pœnam ignis removent, inducerent locum illum, et statum medium expertem pœnæ et culpæ inter regnum Dei, et damnationem æternam, qualem fabulabantur Pelagiani; falsa temeraria, in scholas catholicas injuriosa (Bulla Auctorem Fidei, prop. 26). Asc,9006b:320 Raptus est ne malitia mutaret intellectum ejus (Sap. 4, 11). Asc,9006b:321 Cfr. Bonav., In 2 Sentent., dist. 32, art. 3. Asc,9006b:322 “Infantes aversi sunt a Deo habitualiter, non autem secundum actum, cum peccatum eorum non sit actuale”. – Gr. Martinez, I, II, tom. 2, qu. 73, art. 4, dub. 2. – Cfr. Prop. XLVII. – Bay, Prop. XIX, damnata ab Alexandro VIII. Asc,9006b:323 Quamvis pueri non baptizati sint separati a Deo, quantum ad illam conjunctionem, quæ est per gloriam, non tamen ab eo penitus separati sunt. Immo conjunguntur per participationem naturalium bonorum, ita etiam de ipso gaudere poterunt naturali cognitione et dilectione. – S. Thom., In 2 Sentent., distinct. 33, qu. 2, art. 2. – Carent supernaturali cognitione, quæ hic in nobis per fidem plantatur, et ideo se privari tali bono animæ puerorum non cognoscunt. – Ibid., De malo, qu. 5, art. 3. – Cfr. Prop. XXVI, Synod. Pistor. Asc,9006b:324 Orat. XL, 23, in S. Baptism. Il Concilio di Firenze (in decr. Union.) parlando delle anime di quelli che muoiono nel peccato originale dice: Esse pœnis disparibus puniendas, cioè dai castighi che soffrono gli adulti. Anche in terra i bambini sono soggetti a sofferenze corporali per il peccato originale. Ora questa è divenuta una legge per l'uomo peccatore, il quale è soggetto alle influenze della natura caduta con lui, e Dio permette questi patimenti, perché anch'essi hanno il loro fine morale, essere di castigo, esercizio di virtù e generale ammonimento; e quanto alle sofferenze dei bambini, procurare la salute dei genitori. Dopo la morte cessa questo fine, la natura non opera più da sé, apportando dolore alle anime dei bambini, e perciò essi sono allora liberi dai patimenti del corpo. S. Tommaso, qu. 5, De malo, art. 2: “In statu futuræ vitæ ignis et alia hujusmodi activa non agunt in animas aut in corpora hominum secundum necessitatem naturæ, sed magis secundum ordinem divinæ justitiæ, quia ille est status recipiendi pro meritis. Unde cum divina justitia non exigat, quod pueris, qui cum solo peccato originali decedunt pœna sensus debeatur, nihil ab hujusmodi activis patiuntur”. Asc,9006b:325 Hettinger, I dommi del cristianesimo. Vol. 2, c. 7, Caduta e peccato originale. Asc,9006b:326 Intrate per angustam portam… Quam angusta porta et arcta via est, quæ ducit ad vitam, et pauci sunt qui inveniunt eam (Matth. 7, 13). Asc,9006b:327 Contendite intrare per angustam portam, quia multi, dico vobis, quærent intrare, et non poterunt (Luc. 13, 24). Asc,9006b:328 Si vis ad vitam ingredi, serva mandata (Matth. 19, 17). Asc,9006b:329 Carni arcta est (Hom. 17, in Ezech.). Asc,9006b:330 Multi, dico vobis, quærent intrare, et non poterunt (Loc. cit.). Asc,9006b:331

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Pauci sunt qui inveniunt eam (Loc. cit.). Asc,9006b:332 In Regul. Brev., n. 241. Asc,9006b:333 Via Dei et inchoantibus angusta est, et perfecte jam viventibus lata (Hom. 17, in Ezech.). Asc,9006b:334 Via virtutis iis, qui veritatem amare incipiunt, aspera et molesta apparet: non quia talis sit… imperciocché qui medium ejus transire possunt, tota lenis et expedita ostenditur (Lib. De Perfect. Spir.). Asc,9006b:335 Certe angusta via est, laboranti angusta est, amanti lata est. Nullo modo sunt onerosi labores amantium, sed et ipsi delectant sicut venantium… piscantium (Lib. De Bona Viduitate, 2). – Aut enim quisque non diligit, et ideo grave est, aut diligit, et grave esse non potest (Lib. De Natura et Gratia, 69). Asc,9006b:336 Facilius est camelum per foramen acus transire, quam divitem intrare in regnum Cælorum (Matth. 19, 24). Asc,9006b:337 Quis ergo poterit salvus esse (Matth. 19, 25). Asc,9006b:338 Confidentes in pecuniis (Marc. 10, 24). Asc,9006b:339 Apud homines hoc impossibile est: apud Deum autem omnia possibilia sunt (Matth. 19, 26). Asc,9006b:340 Viam mandatorum tuorum cucurri, cum dilatasti cor meum (Ps. 118). Asc,9006b:341 Jugum enim meum suave est, et onus meum leve (Matth. 11, 30). Asc,9006b:342 Et ero quasi exaltans jugum (Osee 11, 4). Asc,9006b:343 Quis potest laborare sequens Jesum, qui dat vires sequentibus se? (Lib. 3, Ep. 20). Asc,9006b:344 Deus impossibilia non jubet, sed jubendo monet et facere quod possis, et petere quod non possis, et adjuvat ut possis (Sess. 6, c. 10). Asc,9006b:345 Et mandata ejus gravia non sunt (1 Joan. 5, 3). Asc,9006b:346 Quam angusta porta et arcta via est, quæ ducit ad vitam (Matth. 7, 14). Asc,9006b:347 Et ambulabam in latitudine, quia mandata tua exquisivi (Ps. 118, 45). Asc,9006b:348 Statuisti in loco spatioso pedes meos (Ps. 30, 9). Asc,9006b:349 Non enim accepistis spiritum servitutis iterum in timore, sed accepistis spiritum adoptionis filiorum, in quo clamamus: Abba (Pater) (Rom. 8, 15). Asc,9006b:350 Tollite jugum meum super vos… et invenietis requiem animabus vestris. Jugum enim meum suave est, et onus meum leve (Matth. 11, 29-30). Asc,9006b:351 Si justus vix salvabitur, impius et peccator ubi parebunt? (1 Petri 4, v. 18). Asc,9006b:352 Si tanta est fragilitas humanæ vitæ, ut nec justi quidem in Cælo coronandi sine tribulationibus propter innumerabilem vitiatæ naturæ labem transeant; quanto magis hi qui cælestis gloriæ sunt extorres certum damnationis suæ exitum expectant? (Cornelio a Lapide). Asc,9006b:353 Quid evidentius quod nec justis parcat, emendans eos varietate tribulationum, cum hac de re aperte sit dictum et si justus vix salvus erit (S. Aug., lib. 20, Contra Faustum, c. 14).

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Asc,9006b:354 Lect. II, Verità eterne. Asc,9006b:355 Ulula abies, quia cecidit cedrus (Zacch. 11, 2). Asc,9006b:356 Amice, ad quid venisti? (Matth. 26, 50). Asc,9006b:357 Adversarius vester Diabolus tamquam leo rugiens circuit, quærens quem devoret (1 Petri 5, 8). Asc,9006b:358 Descendit Diabolus ad vos habens iram magnam, sciens quod modicum tempus habet (Apoc. 12, 12). Asc,9006b:359 Fidelis est Deus, qui non patietur vos tentari supra id quod potestis, sed faciet etiam cum tentatione proventum (1 Cor. 10, 13). Asc,9006b:360 Ibi plus auxilii, ubi plus est periculi, quia Deus adjutor est in opportunitatibus (S. Ambr., De Joseph, c. 5). Asc,9006b:361 Nemo sibi absoluta certitudine polliceatur; tametsi in Dei auxilio firmissimam spem collocare omnes debeant (Sess. 6, c. 13). Asc,9006b:362 Major illi (Deo) cura est, ut nos ad veram pertrahat salutem, quam Diabolo ut nos ad æternam damnationem impellat (Hom. 20, in Lib. num.). Asc,9006b:363 Dominus mihi adjutor, et ego despiciam inimicos meos (Ps. 17). – Si ambulavero in medio umbræ mortis, non timebo mala, quoniam tu mecum es (Ps. 22). – Nullus speravit in Domino et confusus est (Eccli. 2, 11). Asc,9006b:364 Peccasti? Pænitere… Millies peccasti? Millies pænitere… dum spiras… etiamsi dici potest animam efflans, etiamsi ex hoc mundo exeas, non impeditur temporis angustia misericordia Dei (Hom. 2, in Ps. 50). Asc,9006b:365 Deus, qui omnipotentiam tuam parcendo maxime, et miserando manifestas (Orat. Dom. X post Pentec.). Asc,9006b:366 Quanto plura, quanto graviora sunt ipsa peccata, quæ condonat et quanto indigniores, miserabilesque sumus nos, quibus ignoscit: tanto gloria ejus magis elucescit… Ecce ipse misericordissimus, hominumque amantissimus Deus sæpe se usque adeo benignum, et amabilem etiam desperatissimis peccatoribus (quos alicujus virtutis merito insignitos esse cognoscit) sub mortem exhibet, ut illi ex intimis præcordiis deleant, quod offenderint tam pium conditorem, atque Redemptorem. Per quam nimirum pænitentiam apti redduntur ad salutem consequendam et peracta… peccatorum purgatione… in æternum cælestis regni gaudium introducuntur (Blosii, Canon. Vitæ Spiritualis, II, Coloniæ, 1606). Asc,9006b:367 Qui me fait espérer que la douce et miséricordieuse Providence du Père céleste aura insensiblement mis dans ce grand cœur Royal en ce dernier article de sa vie la contrition nécessaire pour une heureuse mort (Èpit. spir., livre 5, ép. 69, tom. 1, pag. 582, édit. 1647, ou Lettre 195, tom. 1, pag. 538, édit. 1817). Asc,9006b:368 Unusquisque proximum… desperare non audeat, quia divinæ misericordiæ divitias ignorat (Hom. 20, in Matth., tom. 2, pag. 40). Asc,9006b:369 Qui pænitenti veniam spopondit, peccanti diem crastinum non promisit (Hom. 12, in Evangelia). Asc,9006b:370 Matth. 25, et Luc. 19. Asc,9006b:371

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Reddere unicuique juxta opera sua (Apoc. 22, 12). Asc,9006b:372 Non est Deus quasi homo, ut mentiatur, nec ut filius hominis ut mutetur (Num. 23, 19). Asc,9006b:373 Coronam quam reddet mihi Dominus in illa die justus Judex (2 Tim. 4, 8). Asc,9006b:374 Vid. S. Aug., Contra duas Epistulas Pelagianorum, lib. 4, c. 6, num. 16. Asc,9006b:375 Miserebor cui voluero, et clemens ero in quem mihi placuerit (Exod. 33, 19, et Rom. 9, 15). Asc,9006b:376 Contra Julianum, lib. 18, c. 18, n. 35. Asc,9006b:377 Non secundum peccata nostra fecit nobis (Ps. 102, 10). Asc,9006b:378 Quomodo miseretur pater filiorum, misertus est Dominus… quoniam ipse cognovit figmentum nostrum (Ps. 102, 13). – Dives in misericordia (Eph. 2, 4). – Pater misericordiarum (2 Cor. 1, 3). – Cum iratus fueris, misericordiæ recordaberis (Abacuc 3, 2). – Miserationes ejus super omnia opera ejus (Ps. 144, 9). Asc,9006b:379 Impietas impii non nocebit ei in quacumque die conversus fuerit ab impietate sua (Ezech. 33, 12). Asc,9006b:380 Reddam vobis annos quos comedit locusta (Joel 2, 25). Asc,9006b:381 Pater jam non judicat quemquam, sed omne judicium dedit Filio… quia Filius hominis est (Joan. 5, 22. 27). Asc,9006b:382 Non enim habemus Pontificem qui non possit compati infirmitatibus nostris, tentatum autem per omnia pro similitudine absque peccato (Hebr. 4, 15). Asc,9006b:383 Oblatus est quia ipse voluit (Is. 53, 7). Asc,9006b:384 Delens quod adversus nos erat chirographum decreti… affigens illud cruci (Col. 2, 14). Asc,9006b:385 Filioli… si quis peccaverit, advocatum habemus apud Patrem Jesum Christum justum (1 Joan. 2, 1). – Semper vivens ad interpellandum pro nobis (Hebr. 7, 25). Asc,9006b:386 Quid ergo dicemus ad hæc? Asc,9006b:387 Si Deus pro nobis, quis contra nos? Quis accusabit adversus electos Dei? Deus qui justificat. Quis est qui condemnet? Christus Jesus, qui mortuus est… qui etiam interpellat pro nobis (Rom. 8, 37). Asc,9006b:388 Æternæ gloriæ nobis pignus datur (Antiph. in Officii Ss. Sacram.). Asc,9006b:389 Multus est ad ignoscendum (Is. 55, 7). Asc,9006b:390 Justitia ante eum ambulabit (Ps. 84, 14). Asc,9006b:391 In tempore messis dicam messoribus: colligite primum zizania… ad comburendum; triticum autem congregate in horreum meum (Matth. 13, 30). Asc,9006b:392 Deus magne et terribilis (Dan. 9, 4). – Deus ultionum Dominus (Ps. 93, 1). – Deus æmulator reddens iniquitatem patrum super filios in tertiam et quartam generationem his qui oderunt me (Deut. 5, 9). Asc,9006b:393 Quia fecisti hoc, maledictus es (Gen. 3, 14). Asc,9006b:394 Hom. 23, in Epist. ad Rom.

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Asc,9006b:395 Gen. 3, 14-15. Asc,9006b:396 Exibunt Angeli et separabunt malos de medio justorum (Matth. 13, 49). Asc,9006b:397 Venite benedicti Patris mei, possidete regnum. – Discedite a me maledicti in ignem æternum (Matth. 25, 34. 41). Asc,9006b:398 Matth. 25, 21. Asc,9006b:399 Contra adversarium Legis et Prophetarum, lib. 1, c. 16, n. 30. Asc,9006b:400 Contra Faustum, lib. 2, c. 78-79. – Contra adversarium Legis et Prophetarum, lib. 2, c. 11, n. 35. – Vedi Bergier, Dictionnaire encyclopédique, Justice. Asc,9006b:401 Et faciens misericordiam in multa millia diligentibus me, et custodientibus præcepta mea… Ipse est Deus fortis et fidelis custodiens pactum, et misericordiam diligentibus se et his qui custodiunt præcepta ejus in mille generationes (Deut. 5, 10 et 7, 9). Asc,9006b:402 Cum exarserit in brevi ira ejus, beati omnes qui confidunt in eo (Ps. 2, 13). – Nullus speravit in Domino et confusus est (Eccli. 2, 11). Asc,9006b:403 Bergier, Tableau de la miséricorde divine, pag. 136 et 137. Asc,9006b:404 Inutilem servum ejicite in tenebras exteriores (Matth. 25, 30). Asc,9006b:405 In via vitæ non progredi, regredi est (S. Bern.). Asc,9006b:406 Declinantes in obligationes adducet Dominus cum operantibus iniquitatem (Ps. 124, 5). Asc,9006b:407 Negotiamini dum venio (Luc. 19, 13). Asc,9006b:408 Serve male et piger (Matth. 25, 26). Asc,9006b:409 Quodcumque potest facere manus tua, instanter operare (Eccle. 9, 10). Asc,9006b:410 Qui potuit transgredi et non est transgressus, facere mala et non fecit: ideo stabilita sunt bona illius (Eccli. 31, 10-11). Asc,9006b:411 Si vis ad vitam ingredi, serva mandata (Matth. 19, 17). Asc,9006b:412 Tableau de la miséricorde divine, pag. 27. Asc,9006b:413 Matth. 20, 2. Asc,9006b:414 Si pænitentiam non egeritis omnes similiter peribitis (Luc. 13, 5). Asc,9006b:415 Nisi quis renatus fuerit ex aqua et Spiritu Sancto, non potest introire in regnum Dei (Joan. 3, 5). Asc,9006b:416 Est autem hoc Sacramentum pænitentiæ lapsis post baptismum ad salutem necessarium, ut nondum regeneratis ipse baptismus (Sess. 14, c. 5). Asc,9006b:417 Quid boni faciam ut habeam vitam æternam? Si vis ad vitam ingredi, serva mandata (Matth. 19, 16-17). Asc,9006b:418 Momentaneum et leve tribulationis nostræ… æternum gloriæ pondus operatur in nobis (2 Cor. 4, 7). Asc,9006b:419 Impietas impii non nocebit et in quacumque die conversus fuerit ab impietate sua (Ezech. 33, 12).

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Asc,9006b:420 Judicia tua abyssus multa (Ps. 35, 7). – A judiciis enim tuis timui (Ps. 118, 120). Asc,9006b:421 Non justificabitur in conspectu tuo omnis vivens (Ps. 142, 2). Asc,9006b:422 Et facti sumus ut immundus omnes nos, et quasi pannus menstruatæ universæ justitiæ nostræ (Is. 64, 6). Asc,9006b:423 In Angelis suis reperit pravitatem (Job 4, 18). Asc,9006b:424 Æquitas judicia tua (Ps. 118, 84). Asc,9006b:425 Superexaltat autem misericordia judicium (Jac. 2, 13). Asc,9006b:426 Memor fui judiciorum tuorum a sæculo, Domine, et consolatus sum (Ps. 118, 52). – Quia judicia tua jucunda (Ps. 118, 39). – Judicia Domini… dulciora super mel et favum (Ps. 18, 10-11). – Judicia tua adjuvabunt me (Ps. 118, 175). – In judiciis tuis supersperavi (Ps. 118, 43). Asc,9006b:427 Sine me nihil potestis facere (Joan. 15, 5). Asc,9006b:428 Ipse est justitia, redemptio et sanctificatio nostra (1 Cor. 1, 30). Asc,9006b:429 Respice in faciem Christi tui (Ps. 83, 10). Asc,9006b:430 Ecce tu iratus es et peccavimus: in ipsis fuimus semper et salvabimur (Is. 64, 5). Asc,9006b:431 Justificationes legis veteris (Hebr. 9, 1). Asc,9006b:432 Quasi pannus menstruate universæ justitia nostræ… est vox judæorum impiorum, qui peccantes, peccatorum expiationem et justificationem quærebant in suis purificationibus et sacrificiis pro peccato (Cornelio a Lapide). Asc,9006b:433 In omni opere bono justus peccat (Luth. in assert., art. 31, 32). – Justus in bono opere peccat mortaliter (Ibid., art. 36). – Calvino dice che le opere dei giusti sono mera iniquità (Instit., lib. 2, c. 1, parag. 9, etc.). – Si quis in quolibet bono opere justum saltem venialiter peccare dixerit, aut quod intolerabilius est, mortaliter, atque ideo pœnas æternas mereri, tantumque ob id non damnari, quia Deus ea opera non imputet ad damnationem: anathema sit (De Justificatione, sess. 6, cap. 16, can. 25). Asc,9006b:434 Non intrabit in ea aliquid coinquinatum (Apoc. 21, 27). Asc,9006b:435 In vita, vis, 5. Asc,9006b:436 De Doctrina Christiana, lib. 1, 15. Asc,9006b:437 Sposa di Gesù Cristo, II, parag. 20, 21. Asc,9006b:438 Non putabam tam dulce esse mori (ivi). Asc,9006b:439 Lætantes imus (Vita). Asc,9006b:440 In vita S. Theresæ, lib. 2, 14. – Vedi Rogacci, parte 2a, pag. 502 e seguenti. Asc,9006b:441 Le Blanc, In Ps. 121, art. 1. Asc,9006b:442 Rhô, Hist. Virt., lib. 2, III. Asc,9006b:443

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Vedi Rogacci, parte 2a, pag. 504. Asc,9006b:444 Deus meus, Deus meus, ut quid dereliquisti me? (Matth. 27, 46). Asc,9006b:445 Solutioni ergo carnis appropinquans, nonnumquam terrore vindictæ etiam justi anima turbatur, qui justorum animæ a levibus quisbuscumque contagiis ipso sæpe mortis pavore purgantur. – Plerumque vero contemplatione quadam retributionis æternæ etiam priusquam carne expolientur, hilarescunt; et cum vetustatis debitum solvunt, novi jam muneris lætitia perfruuntur (Lib. 24, 18). Asc,9006b:446 Egredere, egredere, anima mea, quid times? Septuaginta prope annis servisti Deo, et mortem times? Asc,9006b:447 Qui pænitenti veniam spopondit, peccanti diem crastinum non promisit (Hom. 12, in Evangelia, sub fin.). Asc,9006b:448 Estote parati, quia qua hora non putatis, filius hominis veniet (Luc. 12, 40). Asc,9006b:449 Impio amara mors, et tamen amarior vita quam mors, gravius est enim ad peccatum vivere, quam in peccato mori, quia impius in quantum vivit, peccatum auget, si moriatur, peccare desinit (Lib. De Bono Mortis, 1, Serm. De fallacia præs. vitæ). Asc,9006b:450 Sed fortasse vitam vivens, mutasset suam; at non illum rapuisset Deus, si vitam ille mutaturus fuisset (Epist. ad Philip., 2, Serm. 8, in fine; Digress. Moral., tom. 4). Asc,9006b:451 Et si peccator quidem abiit, mala repressa sunt: nec si Deus pænitentiam acturum novisset, ante pænitentiam rapuisset (tom. 5, pag. 1.115, Edit. Paris, 1614). – Ved. Sarasa, Ars semper gaudendi, tract. 15, pars 1, pag. 287). Asc,9006b:452 Etenim multo tempore non sinere peccatoribus ex sententia agere, sed statim ultiones adhibere, magni beneficii est indicium (2 Macchab. 6, 13). Asc,9006b:453 Non ad interitum sed ad correptionem (2 Macchab. 6, 12). Asc,9006b:454 Recesserat ab eo Dominus (Jud. 16). – Usquequo tu luges Saul, cum ego projecerim eum, ne regnet super Israel (1 Reg. 16, 1). Asc,9006b:455 Argentum reprobum vocate eos, quia Dominus projecit illos (Jer. 6, 30). – Completa est iniquitas tua, Filia Sion; non addet ultra, ut transmigret te (Thren. 4, 22). Asc,9006b:456 Tentaverunt me per decem vices, non videbunt terram (Num. 14, 22-23). – Nec dum enim completæ sunt iniquitates amorrhæorum (Gen. 15, 16). Asc,9006b:457 Dereliquerunt pactum tuum Filii Israel… derelictus sum ego solus. – Et derelinquam mihi in Israel septem milia virorum quorum genua non sunt incurvata ante Baal (3 Reg. 19, 14. 18). Asc,9006b:458 Numquid iratus es nobis usque ad consummationem, ne dimitteres nobis reliquias ad salutem (1 Esdr. 9, 14). Asc,9006b:459 Omnis multitudo… quadraginta duo milia trecenti sexaginta, exceptis servis eorum et ancillis (1 Esdr. 2, 64; Ibid. 10, 18-43). Asc,9006b:460 De Natura et gratia, lib. 1, c. 18. Asc,9006b:461 Tableau de la miséricorde divine, pag. 5. Asc,9006b:462 Vita, XVI. Asc,9006b:463

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Replebit eum spiritus timoris Domini (Is. 11, 3). Asc,9006b:464 Timor Domini Sanctus permanens in sæculum sæculi (Ps. 18, 10). – S. Thom., 1, 2, q. 67, art. 4 et 3, p. q. 7, art. 6. – Timete Dominum omnes Sanctis ejus (Ps. 33, 10). Asc,9006b:465 Bergier, Tableau de la miséricorde divine, pag. 10. Asc,9006b:466 Spes illorum abominatio (Job 11, 20). Asc,9006b:467 Bergier, Loc. cit., pag. 63. Asc,9006b:468 Vidit præsumptionem cordis eorum, quoniam mala est, et cognovit subversionem illorum, quoniam nequam est: ideo adimplevit propitiationem suam in illis et ostendit eis viam æquitatis (Vid. Cornelium a Lapide – Eccli. 18, 10-11). Asc,9006b:469 Bergier, Loc. cit., pag. 7 e 64. Asc,9006b:470 Sublata spe, irrefrenate homines labuntur in vitia (S. Thom., 2, 2, q. 20, art. 3). Asc,9006b:471 Qui desperantes semetipsos tradiderunt impudicitiæ, in operationem immunditiæ omnis, in avaritiam (Eph. 4, 19). Asc,9006b:472 Spes per se habet quod adjuvat operationem intendendo ipsam (1, 2, q. 40, art. 8). Asc,9006b:473 Ut abundetis in spe (Rom. 15, 13). Asc,9006b:474 Non enim accepistis spiritum servitutis iterum in timore, sed accepistis spiritum adoptionis filiorum in quo clamamus Abba, Pater (Rom. 8). Asc,9006b:475 Deum Patrem viscera sentiant… et totum quod est in nobis respondeat gratiæ, non timori, quia qui judicem mutavit in patrem, amari voluit, non timeri (Serm., 61 et 69).