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54 G Ital Med Lav Erg 2011; 33:3, Suppl 2 http://gimle.fsm.it LA CANCEROGENESI PROFESSIONALE CP 01 LA VALUTAZIONE DELL’ESPOSIZIONE A CANCEROGENI IN AMBIENTE DI LAVORO E IN AMBIENTE DI VITA M.C. Valsania, M. Mastrantuono, E. Pira Dipartimento di Traumatologia, Ortopedia e Medicina del Lavoro - Università di Torino - Via Zuretti n. 29 - 10126 Torino RIASSUNTO. La valutazione del rischio da utilizzo di agenti cancerogeni richiede una particolare attenzione sulle metodologie anali- tiche e di campionamento disponibili, al fine di poter disporre di dati analitici accurati e pre- cisi. In questo lavoro viene presentata un’ana- lisi generale delle metodologie di indagine uti- lizzabili per la determinazione di alcuni agenti cancerogeni con l’intento di proporre un utile strumento di lavoro per i professionisti che operano nel settore. Parole chiave: cancerogeni, valori di rife- rimento, metodiche analitiche. INTRODUZIONE La valutazione del rischio da utilizzo di agenti cancerogeni è estremamente complessa e sono diversi i metodi e le procedure che sono state adottate a seguito della promulgazione di leggi che hanno disposto misure di tutela per i soggetti esposti. Un approccio razionale e praticabile è stato proposto nelle Linee Guida per la Sorve- glianza Sanitaria da agenti cancerogeni e mu- tageni della Società Italiana di Medicina del Lavoro ed Igiene Industriale (1, 2), in cui si suggerisce un metodo pragmatico basato sulla misura degli agenti cancerogeni nei luoghi di lavoro in confronto con limiti definiti in norme che riguardano la popolazione generale. In questo lavoro sono analizzate e rias- sunte le principali metodiche analitiche per la determinazione e la misura di agenti cancero- geni aerodispersi negli ambienti di lavoro e di vita per cui è definito un valore limite da per- seguire come obiettivo di qualità negli am- bienti di vita. MATERIALI E METODI Sono stati valutati i metodi per il campio- namento e la determinazione analitica di ben- zene, idrocarburi policiclici aromatici (IPA), nichel, cadmio e arsenico. I risultati sono pre- sentati nelle Tabelle I-V. Per ogni analita considerato viene indicato il metodo normato e l’anno di pubblicazione dello stesso, i parametri da considerare nella fase di campionamento e nella fase analitica. Nell’ultima colonna viene riportato il limite di rilevabilità della metodica. CONCLUSIONI Questa analisi sistematica delle metodo- logie di indagine utilizzabili per la determina- Tabella I. Metodiche di campionamento e di determinazione per il benzene Tabella II. Metodiche di campionamento e di determinazione per gli IPA Tabella III. Metodiche di campionamento e di determinazione per il nichel

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54 G Ital Med Lav Erg 2011; 33:3, Suppl 2http://gimle.fsm.it

LA CANCEROGENESI PROFESSIONALE

CP 01

LA VALUTAZIONE DELL’ESPOSIZIONE A CANCEROGENI IN AMBIENTE DI LAVORO E IN AMBIENTE DI VITA

M.C. Valsania, M. Mastrantuono, E. Pira

Dipartimento di Traumatologia, Ortopedia eMedicina del Lavoro - Università di Torino -Via Zuretti n. 29 - 10126 Torino

RIASSUNTO. La valutazione del rischioda utilizzo di agenti cancerogeni richiede unaparticolare attenzione sulle metodologie anali-tiche e di campionamento disponibili, al fine dipoter disporre di dati analitici accurati e pre-cisi.

In questo lavoro viene presentata un’ana-lisi generale delle metodologie di indagine uti-lizzabili per la determinazione di alcuni agenticancerogeni con l’intento di proporre un utilestrumento di lavoro per i professionisti cheoperano nel settore.

Parole chiave: cancerogeni, valori di rife-rimento, metodiche analitiche.

INTRODUZIONELa valutazione del rischio da utilizzo di

agenti cancerogeni è estremamente complessae sono diversi i metodi e le procedure che sonostate adottate a seguito della promulgazione dileggi che hanno disposto misure di tutela per isoggetti esposti.

Un approccio razionale e praticabile èstato proposto nelle Linee Guida per la Sorve-glianza Sanitaria da agenti cancerogeni e mu-tageni della Società Italiana di Medicina delLavoro ed Igiene Industriale (1, 2), in cui sisuggerisce un metodo pragmatico basato sullamisura degli agenti cancerogeni nei luoghi dilavoro in confronto con limiti definiti in normeche riguardano la popolazione generale.

In questo lavoro sono analizzate e rias-sunte le principali metodiche analitiche per ladeterminazione e la misura di agenti cancero-geni aerodispersi negli ambienti di lavoro e divita per cui è definito un valore limite da per-seguire come obiettivo di qualità negli am-bienti di vita.

MATERIALI E METODISono stati valutati i metodi per il campio-

namento e la determinazione analitica di ben-zene, idrocarburi policiclici aromatici (IPA),nichel, cadmio e arsenico. I risultati sono pre-sentati nelle Tabelle I-V.

Per ogni analita considerato viene indicatoil metodo normato e l’anno di pubblicazionedello stesso, i parametri da considerare nellafase di campionamento e nella fase analitica.Nell’ultima colonna viene riportato il limite dirilevabilità della metodica.

CONCLUSIONIQuesta analisi sistematica delle metodo-

logie di indagine utilizzabili per la determina-

Tabella I. Metodiche di campionamento e di determinazione per il benzene

Tabella II. Metodiche di campionamento e di determinazione per gli IPA

Tabella III. Metodiche di campionamento e di determinazione per il nichel

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1 A. Ossicini, G. Todaro, A. Miccio. Pro-getto INTERPHONE per lo studio di “danni”dall’uso di cellulari … tanto rumore per nullaGIMLE Vol. XXXIII Supl. 2/4 170-71.

zione di agenti cancerogeni negli ambienti dilavoro e di vita può costituire un utile stru-mento operativo per procedere alla valutazionedel rischio in un ambito dell’Igiene Industrialeestremamente complesso quale quello dellaesposizione ad agenti cancerogeni nei luoghidi lavoro.

Riteniamo infatti che le indicazioni tec-niche qui riassunte possano costituire un va-lido ausilio per la verifica della qualità del datoanalitico ottenuto valutando se le fasi di cam-pionamento e quelle analitiche siano conformialle metodiche previste dalle norme di buonatecnica di laboratorio.

BIBLIOGRAFIA1) Pira E, et al. Linee guida per la sorve-

glianza sanitaria degli esposti ad agenticancerogeni e mutageni in ambiente di la-voro, PIME, Pavia; 2003.

2) Pira E, et al. Linee Guida per la sorve-glianza sanitaria degli esposti ad agenticancerogeni e mutageni in ambiente di la-voro. Vol 2 Prima revisione, PIME, Pavia;2007.

3) NIOSH - Manual of Analytical Methods.4) OSHA - Sampling and Analytical Methods.5) EPA - Analytical Metods.

CP 02

I MEDIA, CEM E TUMORI: COME NONFARE UNA CORRETTA INFORMAZIONE

Gabriele Campurra1, Adriano Ossicini2

1 Medico Lavoro ENEA2 Dirigente Medico SMG Inail

RIASSUNTO. Al 73° Congresso SIMLIIdi Roma del 2010 venne presentata una pub-blicazione dal titolo: “Progetto IN-TERPHONE per lo studio di ‘danni’ dall’usodi cellulari… tanto rumore per nulla?”1 in cuigli autori criticavano aspramente le risultanzedel Progetto Interphone sostenendo non soloche risultati pubblicati, con notevole ritardosulla rivista International Journal of Epidemio-logy nel maggio 2010, nonostante l’immensaportata dello studio, non erano affatto conclu-sivi, né definitivi, e quindi non era opportunotrarre da essi considerazione definitive ma, so-prattutto, segnalavano l’anomalia di come lanotizia era stata data da alcuni media, tral’altro si scriveva “…il TG1 ha dato la notiziadella pubblicazione del resoconto completodel progetto INTERPHONE ed il servizio sullaquestione iniziava con un affermazione peren-toria che non trova alcuna giusti-ficazione “Uno studio assolve i cellulari” econcludevamo che una informazione così di-storta non era assolutamente utile; a distanza diun anno a seguito di una presa di posizionedello IARC. che inserisce i CEM nellaclasse 2B “possibili cancerogeni” per l’uomo,si è virato di 180° affermando sui media “I

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Tabella IV. Metodiche di campionamento e di determinazione per l’arsenico

Tabella V. Metodiche di campionamento e di determinazione per il cadmio

Leggenda:FCA: fiale in carbone attivoEMC: esteri misti di cellulosaFV: fibra di vetroPVC: polivinilcloruroCS2: solfuro di carbonioGC: gascromatografia

FID: detector ad ionizzazione di fiammaMS: spettrometro di massaICP: plasma ad accoppiamento induttivoAAS: spettrometria ad assorbimento atomicoGF: fornetto di grafiteECD: detector a cattura di elettroniHPLC: cromatografia liquida ad alte pressioni

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CEM sono cancerogeni lo afferma lo IARC”, anche qui mistificando larealtà. Gli autori ribadiscono che in detto campo non è corretto lanciareanatemi “negativisti” o “positivisti” al solo scopo di fare notizia, ma èopportuno prime di prendere posizione, vagliare attentamente cosa effet-tivamente la scienza medica ha deliberato, purtroppo “i media” invecevanno sempre incontro al “sensazionalismo” portando sconcerto e sol-lievo immotivato.

Parole chiave: C.E.M., Tumori, Interphone.

INTRODUZIONEAl 73° Congresso SIMLII di Roma del 2010 venne presentata una

pubblicazione dal titolo: “Progetto INTERPHONE per lo studio di‘danni’ dall’uso di cellulari… tanto rumore per nulla?”1 in cui venivanocriticate, aspramente, le risultanze del Progetto Interphone sostenendonon solo che risultati pubblicati, con notevole ritardo sulla rivista Inter-national Journal of Epidemiology nel maggio 2010, nonostante l’im-mensa portata dello studio, non erano affatto conclusivi, né definitivi, equindi non era opportuno trarre da essi considerazioni definitive e nonappariva corretto esprimere giudizi definitivi in carenza degli esiti finali;inoltre la tematica che più interessava – nesso di causalità tra esposizioneai CEM ed “tumore dell’acustico” – non era ancora stata portata a defi-nizione, e stando alle premesse, criticità dei criteri di inclusione dei “casiesaminati”, le conclusione non sarebbero state comunque conclusive.

Soprattutto pero in quel articolo veniva segnalata l’anomalia dicome la notizia era stata data da alcuni media, tra l’altro si scriveva “…ilTG1 ha dato la notizia della pubblicazione del resoconto completo delprogetto INTERPHONE ed il servizio sulla questione iniziava con un af-fermazione perentoria che non trova alcuna giustificazione “Uno studioassolve i cellulari” e concludevamo che una informazione così distortanon era assolutamente utile.

Ora a distanza esatta di un anno (Maggio2010/Maggio 2011) a se-guito di una perfezionata presa di posizione dello IARC. che inserisce,dopo una rivisitazione di quegli stessi lavori, ma non solo, i CEM nellaclasse 2B “possibili cancerogeni” per l’uomo, si è virato di 180° affer-mando in maniera apodittica sui media “I CEM sono probabilmente can-cerogeni lo afferma lo IARC”, anche qui dando una versione della realtàche non collima assolutamente con la realtà fattuale.

Aggiungiamo che in data 23.6.2001 a Medicina 33 - Rai2 venivacommentata una ricerca svolta anche dal Campus Biomedico di Roma incui si affermava che “…un studio che evidenzia potenziali effetti positividelle onde elettromagnetiche dei telefonini nell’attività cerebrale” perfar comprendere in quale confusione può essere indotto il cittadino co-mune.

STORIA DELLA NEWSAi primi di giugno 2011 è comparsa la notizia, che ha fatto in poche

ore il giro del mondo grazie alla rete, che i “cellulari sono cancerogeniper l’uomo”; per esempio sul sito online del Corriere della Sera “Allarmedell’Oms su cellulari e wi-fi – Rischio tumori del sistema nervoso – Laricerca di un’agenzia dell’Organizzazione mondiale della sanità” suquello de La Repubblica “Allarme Oms Cellulari potenzialmente cance-rogeni” contraddicendo quanto annunciato l’anno prima, maggio 2010“Assolti i cellulari: non aumentano il rischio di tumore cerebrale - L’usodel telefono cellulare non è legato allo sviluppo di tumori cerebrali. È ildato principale che emerge dall’articolo pubblicato dal gruppo di studioInterphone sull’International Journal of Epidemiology” dalle stesse te-state, creando non poco sconcerto tra i non addetti ai lavori.

In verità nel comunicato stampa dello IARC n. 208 del 31 maggio2011, veniva dato l’annuncio che i campi elettromagnetici a radiofre-quenza erano stati inseriti come “possibili cancerogeni per l’uomo” -Gruppo 2B - sulla base di un aumentato rischio di glioma, un tipo di tu-more maligno al cervello, associati all’uso del telefono senza fili (cellu-lari e cordless) e si preannunciava che tali valutazioni verranno prestopubblicate nel Volume 102 delle Monografie della IARC.

Il lavoro, come detto in uscita, non è altro che una revisione com-pleta degli studi più importanti degli ultimi dieci anni, compreso il pro-getto Interpone; stando a quanto comunicato il gruppo di lavoro non ha

quantificato concretamente il rischio, ma mettendo a raffronto i numerosistudi ha evidenziato un singolare aumento del 40% del rischio di gliomaper chi usa il telefonino in maniera “pesante”, si afferma per oltre diecianni e per un periodo giornaliero congruo; da qui l’inserimento nellaclasse 2B in quanto il rischio è “possibile” ma, nello stesso comunicato,si soggiunge che comunque occorre intensificare gli studi e le ricerche inquesto specifico ambito e, in attesa che la scienza dia risposte certe, eraopportuno l’applicazione del principio di precauzione, e quindi venivasuggerito di adottare tutti gli accorgimenti possibili per ridurre l’esposi-zione alle onde elettromagnetiche durante l’uso del cellulare. Ciò dettoera doverosa la segnalazione con l’inserimento nel gruppo 2B, questa erala notizia!

COME È STATA DATA?Anche se per la gente comune l’aggettivo “possibile” e “probabile”

viene usato, ahinoi, quasi in maniera intercambiale, è noto che ciò non èvero, tantomeno in matematica e/o statistica, ma assolutamente non do-vrebbe essere usato in maniera così distorta dai “media”, innanzitutto innotizie “peculiari” come quella di cui trattasi e che riguardano un benecostituzionalmente tutelato come la “salute” ingenerando nella popola-zione falze certezze.

Ebbene, invece, sui giornali ed in rete veniva ripresa e diffusa la no-tizia in cui, alcuni, tout-court, affermavano il concetto che i “cellularisono cancerogeni per l’uomo”, addirittura senza alcuna aggettivazione,altri che “probabilmente” lo erano ed altri ancora usavano invece l’ag-gettivo corretto segnalando che i cellulari erano “possibili cancerogeni”per l’uomo, senza pero spiegare cosa significasse “possibile” per lascienza medica; di fronte a queste posizioni già ci si dovrebbe lamentaredi come la notizia era stata diffusa ma, il fatto, a nostro avviso grave, chein una trasmissione su di una rete nazionale RAI, dedicata proprio a taletematica prendendo spunto da un caso di tumore del facciale (non acu-stico!) ammesso all’indennizzo da una Corte di Appello, veniva ricolle-gata la “nuova notizia” a detto caso in maniera del tutto impropria neimodi e nei tempi.

Tutto ciò è avvenuto su RAI 3 nel programma “Mi manda RAI 3”del 17 giugno u.s. dove il conduttore per ben tre volte, la prima durante

1 A. Ossicini, G. Todaro, A. Miccio. Progetto INTERPHONE per lostudio di “danni” dall’uso di cellulari … tanto rumore per nulla GIMLEVol. XXXIII Supl. 2/4 170-71.

Figura 1. Corriere della Srea del 10.5.2011

Figura 2. Corriere della sera 30.5.2011

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l’annuncio della puntata in cui si lanciava il servizio, affermava che loIARC ha dichiarato che i “cellulari sono probabilmente cancerogeni perl’uomo!”.

Non ci risulta affatto che la notizia dallo IARC sia stata data inquella maniera, basta leggere il comunicato già citato, in quanto l’a-genzia si è limitata a classificare i CEM come agenti 2B cioè “possibili”2,e nel caso di specie non c’è solo una diverso significato lessicale ma uninquadramento del tutto diverso.

CONSIDERAZIONILo IARC ha affermato che le radiofrequenze associate ai cellulari

“sono potenzialmente cancerogene per gli essere umani” e per questoclassificati in classe 2B – in questa lista vi sono ben 266 agenti – e dettapresa di posizione è stata fondata, come detto in precedenza, non sunuovi studi ma su di una rilettura di centinaia di articoli scientifici pub-blicati negli ultimi dieci anni e per i CEM da telefonini l’evidenza è statagiudicata “limitata”, per quanto riguarda il glioma (una rara forma di tu-more maligno al cervello), nulla a che fare con il caso segnalato in studio.

Appare ovvio che questa classificazione è sicuramente una notiziadata la serietà e l’autorevolezza dell’agenzia, basti pensare al fatto chesolo un anno prima si era “sparata” una notizia del tutto diversa “Assoltii cellulari non sono cancerogeni!” ma non appare corretto come è statatrattata dai media. La distorsione della notizia è apparsa palese proprionella trasmissione sopra citata cui ha partecipato anche un rappresentantedel CODACONS – associazioni di consumatori – che ha preannunciatouna class action per il rimborso dei danni da cellulare, mentre il Presi-dente dell’ABUSDEF, altra associazione di consumatori, ha depositatouna interrogazione parlamentare – Atto n. 4-05387 Pubblicato il 14giugno 2011 – Seduta n. 566 – che se letta attentamente evidenzia una di-versa prospettazione laddove, correttamente si afferma “…il 31 maggio2011 l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro di Lione (IARC),dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), ha diffuso il rapportodella commissione costituita per la revisione della classificazione del te-lefono cellulare, concludendo che la prova della cancerogenicità dell’usodel telefono cellulare è stata rivista criticamente, e in generale è stata va-lutata come limitata tra gli utilizzatori di telefoni mobili per glioma e neu-roma acustico, e inadeguata per trarre conclusioni per altri tipi di tumori;e ancora, il gruppo di lavoro non ha quantificato il rischio…”.

Ancora in questo campo non c’è alcuna certezza mentre qualcuno simuove come tutto fosse ormai certo e codificato!

La differenza tra possibile e probabile dovrebbe essere di tutta evi-denza ma ci piace riportare un frase del Gerin “Il criterio che consentedi stabilire se uno stato di fatto concretizzi oppure no la configurazionedel pericolo può essere ispirato dalla possibilità o dalla probabilità cheabbia a verificarsi un evento dannoso, intende dosi per possibilità la ‘po-tenza causale di un fenomeno o di più fenomeni) ad essere causa di unaltro fenomeno ad esso susseguente, e non ancora causato’ e per proba-bilità ‘ciò che suole avvenire: cioè che si verifica d’ordinario - i due con-cetti non contengo in sé nulla di antitetico essendo la probabilità ungrado di possibilità”, aggiungiamo noi che sempre tutto è possibile maciò non significa che alla possibilità si deve dare una valenza diversa daquella sopra rappresentata.

Crediamo che la strada da percorre sia ancora lunga, peraltro nonesiste, ad oggi, un accertato meccanismo biologico che possa spiegarecome dette onde elettromagnetiche possano provocare il cancro o altriproblemi fisici, noi ci atteniamo ai fatti ed allo stato delle conoscenze laclasse di pericolosità 2B non comporta nessuna etichettatura o limita-

zione dei livelli di esposizione, e non implica assolutamente la certezzadel legame con i tumori, aspettiamo le risultanze del grande studio ini-ziato nel 2010 – Cosmos – che riguarda e coinvolge oltre 250mila per-sone e vedremo; si sono aspettati dieci anni per le risultanze dell’In-terphone, risultanze che noi stessi abbiamo criticato, ma non è accettabileche su di un comunicato, come detto tutto al momento è basato sull’an-nuncio del maggio scorso, senza aver letto il lavoro intero che verrà pub-blicato sulla prossima monografia dello IARC, che si prendano, da su-bito, posizioni così definitive in merito.

Ripetiamo che l’agenzia ha dato corrette indicazioni mentre i“media” hanno stravolto la notizia.

Crediamo che in detto campo non è corretto lanciare anatemi sia“negativisti” (i CEM non fanno nulla), che “positivisti”(!?) (i CEM de-terminano il cancro) al solo scopo di fare notizia, ma è opportuno primedi prendere posizione, vagliare attentamente cosa effettivamente lascienza medica ha deliberato, purtroppo “i media” invece vanno sempreincontro al “sensazionalismo”, portando molte volte sia sconcerto chesollievo immotivato, come è accaduto nella situazione raccontata.

Ci sovviene per esempio che è stato scritto tanto su tale tematica e,come detto i CEM sono stati inseriti “solo” nella Gruppo 2B (possibile),mentre, singolarmente, per un problema che riguarda anch’esso un grannumero di lavoratori, oltre 7 mln. nella UE si stima gli esposti alla “si-lice” sia nell’industria costruzioni, ma non solo, poco o nulla si dice delfatto che la silice favorente il cancro è sta inserita sin dal 1997, sempredallo IARC nel Gruppo 1.

Noi, per quanto riguarda i CEM, aspetteremo la pubblicazione inte-grale di quanto anticipato nel maggio c.a. per la Monografia n.100, e lerisultanze in essa contenuta, e solo allora potremmo esprime su basi con-crete un parer congruo.

CP 03

CANCEROGENI PROFESSIONALI IN AMBITO SANITARIO: LA PERCEZIONE DEL RISCHIO E LA SUA VALUTAZIONE

C. Del Re2, R. Martinelli1, F. Della Betta2, M. Tarquini2, A. Paoletti1,2

1 ASL 01 - Avezzano Sulmona L’Aquila - Servizio del Medico Competente2 Cattedra e Scuola di Medicina del Lavoro - UNIVAQ

RIASSUNTO. Si espone il risultato di uno studio capillare focaliz-zato sull’uso di farmaci antiblastici in un presidio sanitario, condotto at-traverso l’acquisizione di dati qualitativi e quantitativi, con la finalità divalutare il rischio di esposizione per gli addetti e la necessità di imple-mentare il sistema di gestione della salute e sicurezza degli operatori.

Parole chiave: cancerogeni, ospedale, rischio.

INTRODUZIONEMolti chemioterapici antiblastici (di seguito FAB) sono noti alla Co-

munità Scientifica come agenti cancerogeni o probabilmente cancero-geni per l’uomo. La Commissione Consultiva Tossicologica Nazionale(CCTN), nell’interpretare l’art. 22 dell’D.Lgs. 626/94, aveva raccoman-dato che nell’allegato VIII al decreto fossero ricomprese le attività di pre-parazione, impiego e smaltimento di farmaci antiblastici ai fini del trat-tamento terapeutico.

A seguire, nel 1999 sono state pubblicate le Linee Guida per la sicu-rezza e la salute dei lavoratori esposti a FAB in ambiente sanitario (pub-blicate in Gazzetta Ufficiale del 7/10/99, come provvedimento dellaConferenza Permanente per i Rapporti tra Stato e Regioni del 5-8-99), inseguito aggiornate. Secondo la legislazione vigente (D.Lgs. 81/2008), iFAB sono inclusi nel campo di applicazione del TITOLO IX Capo I, ri-guardante la protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori controi rischi derivanti da agenti chimici durante il lavoro. In ambito sanitarioè nota la problematica derivante dal contrasto fra il tentativo di produrresalute per gli utenti e di preservarne la sicurezza e il frequente ricorso daparte degli operatori a pratiche quantomeno discutibili con aspetti di ri-schio per la salute tutt’altro che trascurabili, non soltanto per esposizioneil più delle volte indebita (una per tutte al rischio biologico), ma spessoper assoluta ignoranza/sottovalutazione degli agenti di rischio presentinelle attività quotidianamente svolte. Lo studio è stato condotto con l’in-tento di accertare la reale percezione del rischio connesso alla manipola-

2 Classificazione IARC 1 - AGENTE CANCEROGENO - sostanzedelle quali sussiste “sufficiente evidenza” della cancerogenicità perl’uomo (fumo di sigaretta, amianto, arsenico, radiazioni ionizzanti, ecc.);

2A - PROBABILMENTE CANCEROGENO - sostanze delle qualisussiste “limitata evidenza” della cancerogenicità (formaldeide, scaricodelle auto diesel, ecc.);

2B - FORSE CANCEROGENO - sostanze delle quali risulta unaridotta evidenza rispetto alle 2A (gli esperti dell’OMS hanno inserito quii cellulari insieme a cloroformio, nickel, caffè, ecc.);

3 - PROBABILMENTE NON CANCEROGENO - oggetti e so-stanze con evidenze inadeguate di rischi di cancerogenicità per l’uomo;

4 - AGENTE NON CANCEROGENO - oggetti e sostanze per cui,secondo gli scienziati, esiste la prova della non cancerogenicità.

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zione di FAB da parte di tutti gli operatori coinvolti e le misure even-tualmente messe in pratica e disponibili per contenere il rischio.

Accanto a questa valutazione, basata su dati soggettivi, vengono pre-sentati i dati della valutazione del rischio, condotta secondo uno schemaoriginale, messo a punto con la collaborazione ed il contributo congiuntodel servizio di Prevenzione e Protezione aziendale ed il Servizio del Me-dico Competente.

SOGGETTI, MATERIALI E METODIDopo aver eseguito il censimento dei principi attivi rientranti nella

categoria dei FAB, grazie ai dati forniti dal presidio, si è proceduto allaindividuazione dei principi attivi citati dagli studi IARC in merito allacancerogenicità, mentre per tutti gli altri sono stati valutati dati relativi amutagenicità, teratogenicità, tossicità d’organo, facendo riferimento aglistudi disponibili, citati tra i dati preclinici di sicurezza di ciascun farmacoo comunque presenti in letteratura. Per poter applicare i modelli algorit-mici disponibili, si è ritenuto di far riferimento alle indicazioni di Peri-colo (le vecchie frasi R) per similitudine, con il seguente criterio:• L’indicazione H350 (può provocare il cancro) è stata riservata a quei

principi attivi presenti nella categoria 1 IARC o di cui i dati di lette-ratura segnalassero cancerogenicità certa per la specie umana.

• L’indicazione H340, H341 (rispettivamente può provocare altera-zioni genetiche ereditarie/sospetto di) è stata riservata a principi at-tivi di cui sia adeguatamente testimoniata la mutagenicità.

• L’indicazione H360 (può danneggiare i bambini non ancora nati) haconnotato invece principi attivi teratogeni per dati di letteratura ri-guardanti la specie umana.

• L’indicazione H351 (possibilità di effetti cancerogeni, prove insuffi-cienti) è stata utilizzata per descrivere tutti i principi attivi in cuistudi condotti sugli animali hanno mostrato effetti cancerogeni, masenza adeguato riscontro nella specie umana.Particolare attenzione è stata dedicata ai farmaci in forma liquida e

in polvere, rispetto alle formulazioni solide come compresse e capsule(salvo abituali procedure di frantumazione o dimezzamento che compor-tano possibile aerodispersione).

Sono stati calcolati i relativi indici di rischio, utilizzando l’algoritmoLaboRisCh. Infine, è stata prodotta una scheda di rischio per ciascun far-maco pericoloso che riassume le diverse formulazioni del principio at-tivo, le terapie per cui risulta utile il suo impiego, le caratteristiche di pe-ricolosità che ne hanno causato l’inclusione nella lista NIOSH, ma anchele modalità di impiego in sicurezza, le precauzioni da osservare e i DPIda impiegare di conseguenza.

A margine di tale valutazione, è stata istituita una procedura interna,ad uso della farmacia ospedaliera, in modo da descrivere le modalità ope-rative da adottare in occasione dell’ingresso nel presidio di un nuovoprincipio attivo da utilizzare, di cui non si conoscano i dati di tossicità.Quindi, l’attenzione dello studio è stata piuttosto concentrata su:1) la percezione del rischio, stimata attraverso il grado di messa in pra-

tica delle attività preventive e protettive ampiamente riportate in let-teratura ed in particolare nell’ultima revisione delle Linee GuidaISPESL su farmaci antiblastici;

2) le possibilità di migliorare le pratiche in atto, partendo da un’attentavalutazione dei luoghi di lavoro, per poi concentrare l’attenzionesulla formazione specifica, in particolare.Lo studio è stato condotto sia nell’Unità Farmaci Antiblastici

(U.F.A.) in cui vengono manipolati direttamente e preparati i FAB sottocappa, sia nelle UU.OO. nelle quali tali farmaci vengono somministrati esmaltiti.

Al personale addetto alla U.F.A., è stato somministrato un questio-nario volto ad approfondire i seguenti aspetti:1) Comportamento dell’operatore in merito alle misure di prevenzione

nella preparazione e manipolazione dei farmaci.2) Modalità d’uso della cappa a flusso laminare nella preparazione dei

chemioterapici.3) Uso dei DPI nelle attività di manipolazione del farmaco sotto cappa.4) Modalità di preparazione dei farmaci contenuti in flaconcino.5) Modalità di preparazione dei farmaci contenuti in fiala.6) Modalità di preparazione della fleboclisi.7) Comportamento in caso d’incidenti/spandimenti del farmaco o

infortuni.Inoltre, per i FAB si è proceduto al Calcolo dell’Indice di Carico Ci-

totossico, secondo la seguente formula: I.C.C. = n. dosi manipolate e/o

somministrate/n. ore lavoro/operatore e considerando i seguenti livelli diriferimento:• Livello 1: per aree o turni con I.C.C. < 1.• Livello 2: per aree o turni con I.C.C. compresi tra 1 e 3.• Livello 3: per aree o turni con I.C.C. > 3.

RISULTATIPresso il P.O. in esame sono risultati in uso 56 FAB, dei quali 20

sono classificati dalla IARC in base a caratteristiche di cancerogenicitàed in particolare:• 7 farmaci in categoria 1 (cancerogeni certi per l’uomo),• 2 farmaci in categoria 2A (probabili cancerogeni per l’uomo),• 7 in categoria 2B (possibili cancerogeni per l’uomo),• 4 in categoria 3 (non classificabili per cancerogenicità nell’uomo).

I restanti 36 non sono risultati presenti nella classificazione IARC,tuttavia, in base ai dati preclinici di sicurezza e dalla consultazione di datidisponibili in letteratura, è stato possibile risalire a specifiche caratteri-stiche di pericolosità: in particolare sono stati presi in considerazione datiriguardanti report su cancerogenicità, mutagenicità, teratogenicità e tos-sicità d’organo che, in taluni casi, hanno riguardato specie diverse dal-l’uomo, in altri l’uomo stesso. Seguendo i criteri citati, per l’assegna-zione delle indicazioni di pericolo alla categoria dei FAB è emersoquanto segue: 23 sono stati classificati come H351, quattro come H340,uno come H351, H360.

Ciò che differenzia l’U.F.A dalle UU.OO, in termini di valutazione,è la diversità del numero di dosi preparate e somministrate e di conse-guenza i tempi di esposizione (di gran lunga maggiori). Un’altra diffe-renza riguarda lo stato fisico degli agenti chimici: polveri da disciogliere(nella Unità preposta alla preparazione dei FAB) e agenti già disciolti(nei reparti in cui è prevista esclusivamente la somministrazione).

Un ulteriore elemento di differenziazione è rappresentato dalle mi-sure di prevenzione e protezione: nell’U.F.A sono presenti DPI e DPC,mentre nei reparti non sono presenti DPC ma soltanto DPI. Una caratte-ristica comune riguarda invece la formazione di tutti i lavoratori chehanno partecipato al corso di formazione teorico-pratico.

Il modello LaboRisCh ha inquadrato alcuni FAB nella fascia di in-tervallo d’incertezza, come nel caso dell’Irinotecan (Oncologia), il Pe-metrexed e la Doxorubicina (U.F.A). La ciclofosfamide, antiblasticoclassificato in categoria 1 dalla IARC, somministrato in Oncologia èstato classificato in fascia di rischio intervallo d’incertezza (punteggio30), in neurologia è emerso un rischio irrilevante per la salute mentre inU.F.A il rischio riscontrato è non irrilevante per la salute (punteggio 90).Anche l’Etoposide in U.F.A. (punteggio 60) è stato classificato nella fa-scia di rischio non irrilevante per la salute, Per quest’ultimo farmaco siè calcolato l’indice corretto ossia, qualora si agisca sul rischio medianteuso costante dei modulatori di esposizione e periodicamente rivalutatinella loro efficienza ed efficacia, il rischio può esser ridotto ad un pun-teggio pari a 30, ossia intervallo d’incertezza.

Per i FAB sono stati inoltre rilevati i seguenti aspetti:1) la percezione del rischio;2) le possibilità di migliorare le pratiche in atto.

Il sopralluogo degli ambienti di lavoro ha riguardato l’U.F.A. e leUU.OO. in cui si somministrano i FAB ed è stato condotto secondo laCheck-list messa a punto dal Dipartimento Interaziendale di Prevenzionee Protezione dell’Azienda USL di Ferrara, come prima valutazione com-plessiva del rischio. Dalla lettura dei questionari, risulta un’adesionepressoché completa alle precauzioni generali e un comportamento per lopiù corretto, benché nel lavaggio delle mani si utilizzino spesso saponianziché detergenti appropriati.

Disponendo dei dati riguardanti il numero di dosi preparate pressol’U.F.A. o somministrate a cura delle varie UU.OO., si è poi procedutoal calcolo dell’indice di carico citotossico secondo la formula: I.C.C. =(n. dosi manipolate e/o somministrate/n.ore lavoro/operatore).

DISCUSSIONE E CONCLUSIONIL’elenco degli agenti chimici impiegati in ambito sanitario non

comprende soltanto prodotti aventi caratteristiche di pericolosità limi-tata (quali irritanti o allergizzanti), ma anche sostanze potenzialmentecancerogene, teratogene, mutagene, o aventi caratteristiche di tossicitàd’organo, che vengono gestite e utilizzate con procedure differenti ri-spetto ad altri settori lavorativi in cui l’applicazione del titolo IX delD.Lgs. 81/08 ha imposto obblighi precisi al datore di lavoro, in primis

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nella giustificazione del rischio. In ambito sanitario, di fronte ad unareale esistenza del rischio connesso all’esposizione e all’utilizzo di so-stanze chimiche pericolose, si assiste ad una carenza di dati riguardantidanni attuali o potenziali connessi alla manipolazione di chemioterapicie altre sostanze chimiche di uso abituale. Preparare e somministrareFAB comporta rischi per gli addetti alle farmacie ospedaliere e per gliinfermieri addetti alla manipolazione nei reparti di degenza e day ho-spital, qualora la conservazione e l’utilizzo non seguano rigorosi e co-dificati procedimenti per limitare le possibilità di contatto accidentale.Allo stato attuale sono comunque codificate un gran numero di modalitàdi prevenzione e protezione dal rischio, sia di natura ingegneristica chein materia di tecniche di lavoro: cappe di sicurezza, sistemi di ventila-zione differenziati, guanti di varia qualità, camici, protezioni e schermiper le mucose oculari sotto forma di occhiali di sicurezza e simili che,se usati in modo continuo e corretto, rappresentano importanti barriererispetto ai possibili danni attesi e possono ridurre, se non eliminare deltutto, gli effetti pericolosi connessi alla presenza di sostanze chimiche inquesti luoghi di lavoro.

È importante sottolineare che gran parte del contributo alla preven-zione dei rischi legati alla manipolazione dei prodotti chimici in ambitosanitario ricade direttamente sugli utilizzatori professionali, personalemedico e paramedico, in funzione della loro maggiore o minore aderenzarispetto alle procedure (ove esistenti) codificate per la manipolazione ditutti i materiali pericolosi, a patto che abbiano adeguata conoscenza delrischio.

Per l’ospedale, come è risultato evidente in particolare in questostudio, non si dispone di metodi specifici e di facile utilizzo per la valu-tazione del rischio dovuto alla manipolazione e all’impiego di sostanzechimiche: la scelta è stata quindi operata in base a criteri di praticità e ra-pidità e alla possibilità di indicare le situazioni in cui il rischio è irrile-vante e quelle per cui risulta necessario procedere ad un approfondi-mento della valutazione del rischio.

Nell’applicazione del modello algoritmico ai FAB, la principale dif-ficoltà dello studio è stata quella di reperire informazioni riguardo i datitossicologici dalla letteratura e i dati preclinici di sicurezza: ben diverso,e più immediato, sarebbe stato il compito se vi fosse stata disponibilità didocumenti del valore delle schede dati di sicurezza.

Il rischio, calcolato con il modello Laborisch, è risultato non irrile-vante per la salute o nella classe intervallo d’incertezza per alcuni che-mioterapici e in particolare nell’U.F.A.: in riferimento a tale risultato, enell’ottica della migliore gestione del rischio e della tutela della salutedei lavoratori, sono stati acquisiti importanti dati qualitativi tramite so-pralluogo nell’U.F.A., che non ha messo in luce alcuna criticità; si è ri-scontrata una buona percezione del rischio con la messa in atto di tutte lemisure di prevenzione e protezione necessarie (presenza di procedure co-nosciute e rispettate dal personale ivi operante). Inoltre, il comporta-mento degli operatori nelle varie fasi di preparazione dei FAB è statoconsiderato corretto, motivo per cui si è deciso di non attuare migliora-menti o interventi atti ad abbattere il livello di rischio. È chiaro co-munque che l’impiego di quei chemioterapici con indice di valutazionepiù sfavorevole ai fini del presente studio deve comunque indurre tutti gliaddetti alla continua adozione delle misure ampiamente prescritte nelleLinee Guida Nazionali sul rischio e, per quanto riguarda il ruolo degli ad-detti alla prevenzione, è necessario garantire che il livello di informa-zione de formazione specifica sia mantenuto sui livelli attuali, giudicatosoddisfacenti (da poco è stato completato per il personale del P.O. uncorso teorico-pratico sul rischio chimico).

CP 04

PROPOSTA DI UN PROTOCOLLO DI SORVEGLIANZA SANITARIAIN LAVORATORI EX ESPOSTI AD AMIANTO IN FUNZIONE DELLIVELLO DI RISCHIO INDIVIDUALE PER PATOLOGIE TUMORALI

R. Foddis1, G. Guglielmi2, A. Pistelli2, E. Pantani2, F. Bacciola3, S. Simonini2, A. Baggiani3, A. Cristaudo1

1 Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, Ortopedia eTraumatologia, Medicina del Lavoro, Università di Pisa2 U.O. Medicina Preventiva del Lavoro, AOUP3 Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro, Università di Pisa

Corrispondenza: Dr. Rudy Foddis - Dipartimento di Endocrinologia eMetabolismo, Ortopedia e Traumatologia, Medicina del Lavoro,Università di Pisa - Tel. 050993895, Fax 050993895, E-mail:[email protected]

RIASSUNTO. Come noto oggi non esistono protocolli di sorve-glianza sanitaria standardizzati per ex esposti ad amianto. L’obiettivo diquesto lavoro è stato quello di elaborare un razionale per la formulazionedi un protocollo di sorveglianza sanitaria differenziato per classi di ri-schi. I parametri da noi considerati nel calcolo del livello di rischio indi-viduale sono stati: l’età, il livello di esposizione (durata e entità), conco-mitanti e concorrenti fattori di rischio anche extra-professionali (es. ta-bagismo), riscontro di suggestivi segni/sintomi clinici e elevati livelli dimarcatori tumorali. I livelli di rischio dei singoli parametri, laddove pos-sibile, sono stati associati nella determinazione delle seguenti classi di ri-schio relativo complessivo (RRc): RRc inferiore ad 1 (fascia verde), RRcfino tra 1 e 2 (fascia gialla), RRc da 2 a 3 (fascia arancione), RRc tra 3 e5 (fascia rossa), RRc superiore a 5 (fascia rosso scuro). Per ciascuna delleclassi di RRc, è stato elaborato un adeguato protocollo di accertamenticlinico-strumentali.

Parole chiave: amianto, ex esposti amianto, mesotelina sierica.

INTRODUZIONEIl tema della diagnosi precoce dei tumori asbesto correlati nei sog-

getti ex esposti ad amianto è un argomento oggetto di notevole discus-sione nella comunità scientifica. A fronte della oggettiva necessità diun’attività di prevenzione secondaria, non vi sono al momento protocollistandardizzati unanimemente accettati dalla comunità scientifica.

Il presente lavoro si pone l’obiettivo di suggerire in via preliminareun protocollo per la sorveglianza sanitaria dei lavoratori ex esposti adamianto, ispirato ai principi generali di salute pubblica e ad una attentaottimizzazione della bilancia costi benefici.

MATERIALI E METODII fattori di rischio per insorgenza di neoplasie pleuriche (mesote-

lioma pleurico maligno, MPM) e polmonare (tumore polmonare primi-tivo, LC) presi in considerazione sono stati: il livello di esposizione (du-rata e entità), l’età del paziente, concomitanti e concorrenti fattori di ri-schio anche extra-professionali (es. tabagismo), riscontro di suggestivisegni/sintomi clinici, valore di marcatori tumorali (in particolare la me-sotelina sierica, SMRP) e il loro andamento nel tempo.

Per i parametri quali l’esposizione professionale ad asbesto, l’età e ilfumo di sigaretta sono state elaborate, sulla base dei dati di letteratura di-sponibili, classi di rischio relativo (RR) crescente, fissate dai seguenti va-lori di riferimento arbitrari: fino ad un RR pari ad 1 (fascia verde), RRtra 1 e 2 (fascia gialla), RR tra 2 e 3 (fascia arancione), RR tra 3 e 5 (fa-scia rossa) e RR superiore a 5 (fascia rosso porpora). Per i parametri qualile alterazioni pleuroparenchimali, il quadro clinico, i valori dei marcatorisierici e il loro andamento nel tempo è stata stabilita una periodicità inbase alla necessità di approfondimento diagnostico.

La classificazione del livello di esposizione professionale adamianto è stata formulata sulla base dei dati desumibili dalla ConsensusConference di Helsinki.

La stratificazione del rischio di sviluppare LC in base ad età e abi-tudine tabagica è stata effettuata partendo dalla carta del rischio di tu-more al polmone dell’Istituto Superore di Sanità (Tabella I).

Per quanto riguarda le alterazioni pleuroparenchimali sono statemesse in rilievo le alterazioni connesse con l’esposizione all’amianto

Tabella I. ICC nelle UU.OO. in cui si manipolano FAB

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quali le placche pleuriche che potrebbero celare un MPM ed la presenzadi asbestosi che aumenta il rischio di sviluppo di LC.

La presenza di sintomi e segni fortemente indicativi di patologianeoplastica pleurica o polmonare quali toracodinia localizzata pun-tiforme, dispnea ingravescente, emottisi, febbricola serotina determina lacollocazione del paziente nella classe di rischio più alta.

Tra i marcatori sierici, più conosciuti in letteratura ed utilizzati ancheper la sorveglianza sanitaria dei lavoratori ex esposti ad amianto, svolge

un ruolo di primaria importanza la mesotelina sierica. Il miglior cut-off,identificato in diversi lavori pubblicati ad oggi, per la discriminazione frasoggetti sani e affetti da MPM varia in un range compreso tra 1 e 2.5 nM,sebbene come suggerito da un recente studio, alti valori di SMRP in sog-getti sani potrebbero essere dovuti alla presenza di uno specifico poli-morfismo della regione 3’UTR del gene che codifica per la mesotelina(Tabella II). Infine, recenti dati di letteratura a proposito dell’utilità delmarcatore nel monitoraggio della risposta terapeutica in mesoteliomi,

suggeriscono come anche in fase di sorveglianza sani-taria di lavoratori sani a scopo di prevenzione secon-daria, oltreché il valore assoluto dei singoli dosaggi siada prendere in considerazione l’andamento nel tempodi più misure seriali sugli stessi soggetti (Tabella II).

DISCUSSIONE E CONCLUSIONIAlla luce delle predette considerazioni è possibile

quindi pianificare, in base alla stratificazione del ri-schio, la periodicità dell’esecuzione degli accertamenticlinico strumentali.

Per un rischio relativo inferiore ad 1 (non rile-vante) a cui è stato attribuito il colore verde, è stato de-ciso di non attivare la sorveglianza sanitaria. Per un ri-schio relativo lieve (RR tra 1 e 2) fascia gialla, è statastabilita una periodicità di 36 mesi sia per quanto ri-guarda la visita medica che gli accertamenti strumen-tali che il dosaggio della mesotelina sierica e degli altrimarcatori. Il colore arancione, rischio relativo mode-rato (RR tra 2 e 3) determina una periodicità di con-trollo clinico, strumentale e sierologico di 12 mesi. Unrischio relativo elevato, tra 3 e 5, differenzia una pe-riodicità annuale per quanto riguarda la visita e gli ac-certamenti strumentali ed una periodicità semestraleper quanto riguarda il dosaggio dei marcatori sierici.Nel caso di un forte sospetto di patologia neoplastica(RR superiore a 5) vengono attivate tutte gli approfon-dimenti diagnostici ritenuti necessari dagli specialisti.

Tale proposta dovrà, tuttavia, essere ulteriormentevalidata dalla analisi più accurata dei rapporti costo be-neficio. Infatti una reale dimensione dei costi (sia verie propri costi economici che costi in termini di rischioradiologico iatrogeno) e dei corrispondenti benefici(raggiungimento degli obiettivi prefissati di diagnosiprecoce con riduzione della mortalità o aumento dellasopravvivenza in accettabili condizioni di qualità divita, assieme ad altri una adeguata assistenza medico-legale e attività di counseling) sarà possibile desumerlasolo nei prossimi anni. Ad oggi è possibile affermareche una tale sorveglianza sanitaria condotta con questicriteri è in grado di evidenziare più del 30% di soggetticon patologie respiratorie di cui 2/3 circa di origineprofessionale e asbesto correlate prima sconosciute.

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Tabella I. Classificazione in base all’esposizione all’asbesto, all’età e al fumo di sigaretta

Tabella II. Classificazione in base alla valutazione delle alterazioni pleuroparenchimali e della mesotelina sierica

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CP 05

REGISTRO NAZIONALE MESOTELIOMI: STATO DELL’ARTE DEL C.O.R. PUGLIA

A. Baldassarre, M.C. Grimaldi, A. Pinca, T. Massaro, N. Schiavulli, M. Musti

DIMIMP, Sezione di Medicina del Lavoro “B. Ramazzini”, Universitàdegli Studi di Bari “Aldo Moro”

RIASSUNTO. In Puglia l’attività di sorveglianza, attiva dal 1988 edafferente al Registro Nazionale Mesoteliomi dal 2002, ha individuato1069 casi di mesotelioma maligno occorsi in soggetti residenti nel terri-torio regionale. Lo studio si pone l’obiettivo di individuare le attività la-vorative con maggior rischio di esposizione ad amianto, l’individuazionedelle classi d’età più colpite con le relative differenze di genere, in con-fronto con i dati nazionali.

I risultati ottenuti indicano come, la presenza di un polo siderurgico,numerosi cantieri navali ed un porto militare nella provincia di Taranto,di una industria del cemento-amianto a Bari e di raffinerie nelle provincedi Foggia e Brindisi, ha determinato un di scostamento dei dati da quellinazionali.

Parole chiave: mesotelioma maligno, amianto, centri operativi re-gionali.

INTRODUZIONEIl Mesotelioma Maligno (MM) è una neoplasia rara che insorge

dal rivestimento sieroso della cavità pleurica, peritoneale, pericardica

e vaginale del testicolo, segno patognomonico di pregressa esposi-zione ad amianto. Dal 1993 a livello nazionale esiste un Registro(ReNaM) che si avvale di registri regionali così come previsto dalDPCM n. 308 del 31/12/2002 e ribadito dall’art. 244 del Decreto Le-gislativo 81/2008. In Puglia la sorveglianza è attiva dal 1988 ed il Re-gistro ha sede presso l’Istituto di Medicina del Lavoro dell’Universitàdegli studi di Bari ed ha come obiettivo, oltre alla rilevazione attiva epassiva dei casi incidenti di mesotelioma maligno, anche l’approfon-dimento del ruolo eziologico della pregressa esposizione ad amianto inciascun caso (3). Sono di seguito descritti i risultati dei primi 21 annidi sorveglianza.

OBIETTIVOObiettivo dello studio è l’identificazione delle attività lavorative con

maggior rischio di esposizione ad amianto in Puglia, l’individuazionedelle classi di età più colpite da mesotelioma, con le relative differenzedi genere in confronto con i dati nazionali.

MATERIALI E METODINel Registro sono inclusi tutti i casi di mesotelioma maligno della

pleura, del peritoneo, del pericardio, della tunica vaginale del testicolo edell’ovaio che si verificano in soggetti residenti in Puglia (4.091.259 abi-tanti) al momento della prima diagnosi.

I casi sono rilevati prevalentemente attraverso ricerca attiva ed inparte per segnalazione dai reparti di diagnosi e cura dei MM degli Ospe-dali regionali, in particolare quelli di chirurgia toracica, pneumologia eanatomia patologica. Inoltre sono effettuate verifiche di completezza del-l’incidenza mediante confronti sistematici con gli archivi dei servizi dianatomia patologica, le Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO), i regi-stri di mortalità presso le ASL, i registri tumori di popolazione presentiin Puglia ed infine l’INAIL per la quota di casi ad eziologia professio-nale. Per ciascun caso, oltre alla documentazione clinica, è acquisito unquestionario per verificare l’esposizione ad amianto. Il questionarioviene somministrato sia direttamente al soggetto (ove ancora ricoveratopresso le strutture ospedaliere) o telefonicamente al soggetto stesso o aifamiliari più prossimi in caso di segnalazione a distanza di tempo (tar-dive). Tale questionario raccoglie informazioni sulla modalità di esposi-zione ad amianto andando ad indagare sulle attività lavorative, la storiaresidenziale e familiare; vengono inoltre valutati i referti degli accerta-menti clinici eseguiti. Ciò permette di classificare i casi in base all’ADMdi esposizione.

RISULTATINel periodo 1980-2009 sono stati segnalati al COR Puglia 1069 casi,

per i quali si sono concluse le procedure di approfondimento e valuta-zione, che hanno evidenziato il 67,3% di MM Certi (dato III RR 77%),15% di MM Probabili (dato III RR 12,2%), l’11,8% di MM Possibili(dato III RR 10,8%), l’1,9% da Definire e il 4% di non Mesoteliomi.

I MM ad elevato grado di certezza diagnostica (ADM 1 e 2) sono nel74,6% uomini, con età media di 64,8 anni.

La sede maggiormente colpita è la pleura 93% (993 casi) seguita daperitoneo 6,1% (66 casi, dato III RR 6,7%), tunica vaginale del testicolo0,5% (5 casi, dato III RR 0,3%) e pericardio 0,3% (3 casi, dato III RR0,4%). Inoltre, per lo 0,3%, sono iscritti casi mesotelioma ovarico.

Nel 71% si è dimostrata una pregressa esposizione ad amianto; inparticolare nel 56,5% il contatto con il minerale è avvenuto in ambito la-vorativo (604 casi; 559 M, 45 F), nel 9,5% per cause ambientali (102casi; 38 M, 64 F); 1,8% soggetti che avevano vissuto con un soggettoprofessionalmente esposto (19 casi; 1 M, 18 F). Le modalità di esposi-zione ad amianto sono risultate differenti nei due generi, con una mag-gior frequenza delle esposizioni non-occupazionali fra le donne e diquelle professionali negli uomini.

I settori lavorativi maggiormente coinvolti nelle esposizioni di tipoprofessionale (604 casi con ADM 1,2,3) edilizia (90 casi, pari al 14,9%),difesa nazionale (69 casi, 11,4%), cantieristica navale (44 casi, 7,3%), in-dustria metallurgica (44 casi, 7,3%), metalmeccanica (36 casi, 6%), in-dustria del cemento-amianto (30 casi, 5%), trasporti ferroviari (27 casi,4,5%), industria siderurgica (26 casi, 4,3%) e trasporti marittimi (25 casi,4,1%). Nella popolazione femminile professionalmente esposta (45 casi)è rilevante il dato relativo all’industria tessile (13 casi, 2,15% della po-polazione professionalmente esposta e 28,9% della popolazione femmi-nile).

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DISCUSSIONEDall’analisi dei dati emerge che il mesotelioma colpisce maggior-

mente il genere maschile (dato III RR 75,1%) e che la sede più interes-sata risulta essere la pleura dato, in conformità con i dati nazionali (IIIRR 92,6%).

La presenza, a Taranto, di un polo siderurgico (7,8%, dato III RR4,1%), numerosi cantieri navali (8,5%, dato III RR 8,6%) e di un portomilitare (8,3%, dato III RR 4%), a Bari, di un fabbrica di cemento-amianto (esposizione professionale ed ambientale) e di impianti petrol-chimici nelle Province di Foggia e Brindisi ha determinato un discosta-mento dei dati del COR Puglia da quelli nazionali.

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CP 06

ATTIVITÀ DEL REGISTRO MESOTELIOMI DELLA CAMPANIA DAL LUGLIO 2003 AL GIUGNO 2011

M. Menegozzo, F. Izzo, S. Menegozzo, F. Viscardi

Registro Mesoteliomi della Campania - Centro Operativo Regionale deiCasi di Neoplasia di Sospetta Origine Professionale - Dipartimento diMedicina Sperimentale SUN

Corrispondenza: Massimo Menegozzo - Registro Mesoteliomi dellaCampania - Centro Operativo Regionale dei Casi di Neoplasia di SospettaOrigine Professionale - Dipartimento di Medicina Sperimentale SUN -Piazza Miraglia, 2 - 80138 Napoli - E-mail: [email protected]

RIASSUNTO. Il Registro dei Mesoteliomi della Campania mira a re-gistrare tutti i casi di mesotelioma tra i cittadini residenti nella regione. L’o-biettivo è quello di identificare nuove sorgenti di rischio correlato all’espo-sizione all’amianto all’interno dei confini regionali. Le Linee Guida del2003, formulate dal Registro Nazionale dei Mesoteliomi (ReNaM), preve-dono la somministrazione di un questionario sulle abitudini di vita e di la-voro ai pazienti affetti da mesotelioma maligno che vengono segnalati dallestrutture della rete informativa. Particolare importanza riveste la dettagliataricostruzione delle possibili esposizioni ad amianto di tipo professionale enon professionale. Attraverso un’analisi accurata delle risposte al questio-nario, per ciascun paziente viene determinato un livello di esposizione adamianto, classificato secondo una codifica fornita dal ReNaM. Dai dati rac-colti emerge la prevalenza di casi di mesotelioma maligno dovuti ad espo-sizione professionale ad amianto, pari al 75,3% dell’intera casistica.

Parole chiave: Mesotelioma, Amianto, Registro.

OBIETTIVIIl Registro Mesoteliomi della Campania, istituito con deliberazione

della Giunta Regionale della Regione Campania n. 3901 il 2 agosto 2002,e ridefinito come Centro Operativo Regionale del Registro Nazionale deiCasi di Neoplasia di Sospetta Origine Professionale con delibera 2156del 31 dicembre 2008 della Giunta Regionale della Campania, ha loscopo di registrare tutti i casi di mesotelioma incidenti tra i cittadini re-sidenti in Campania. L’attività di intercettazione dei casi di mesoteliomamaligno ha come obiettivo principale quello di identificare nuove fontidi rischio relative all’esposizione ad amianto, sia professionale che extraprofessionale, nell’ambito del territorio regionale attraverso la sommini-

strazione di uno specifico questionario validato dal Registro NazionaleMesoteliomi (ReNaM), ai pazienti affetti da mesotelioma.

METODIDal mese di luglio del 2003 è stata istituita una rete informativa che

rappresenta la fonte principale delle segnalazioni dei nuovi casi e diquelli pregressi a partire dal 01.01.2000, come previsto dal DPCM n. 302del 10 dicembre 2002. Le Linee Guida 2003 del ReNaM (1) prevedonoin prima istanza l’intervista diretta o a proxi relativa ai pazienti affetti damesotelioma maligno segnalati dalle strutture della rete informativa. Par-ticolare importanza riveste la dettagliata ricostruzione di eventuali espo-sizioni ad amianto sia di tipo professionale che di tipo extra professionaleattraverso la somministrazione del “Questionario sulla storia di lavoro esulle abitudini di vita”. È infatti solo attraverso una dettagliata ricostru-zione delle pregresse esposizioni che si può pervenire alla identificazionedi sorgenti di rischio espositivo occulte, per le quali la situazione dellaCampania presenta preoccupanti preesistenze. A tal proposito vanno ri-cordate situazioni acclarate negli ultimi anni relative al comune di Pel-lezzano (Sa) e più di recente a quello di Amorosi (Bn) dove emergonodati relativi ad un eccesso di mortalità per tumore maligno della pleurastatisticamente significativo pur in assenza di insediamenti produttivi no-toriamente associati all’utilizzo di amianto. La localizzazione delle sor-genti di rischio di tipo extraprofessionale, che sembrano caratterizzarequeste due realtà, rappresenta un compito più complesso rispetto all’in-dividuazione di fonti professionali di rischio amianto (2, 3).

RISULTATIAttraverso un’attenta analisi delle risposte ottenute dal questionario,

per ciascun paziente è stata realizzata una valutazione che è volta adidentificare la eventuale fonte di esposizione ad amianto, classificando ilpaziente secondo una codifica fornita dal ReNaM (Linee Guida 2003).Nelle seguenti tabelle sono riportati i dati finora emersi sulla localizza-zione dei mesoteliomi certi, probabili e possibili (escludendo i casi di in-certa classificazione) nei pazienti segnalati e sulla definizione dell’espo-sizione in base alle interviste effettuate nonché le principali attività eco-nomiche a rischio di esposizione; viene inoltre riportato il numero di casidi mesotelioma incidenti per anno a partire dal 1996 e divisi per genere.

DISCUSSIONELa maggior parte dei mesoteliomi maligni incardinati fino a questo

momento dal Registro Mesoteliomi della Campania sono a localizzazionepleurica. Benché la proporzione fra casi maschili e femminili subisca ap-prezzabili variazioni di anno in anno, viene confermato che fra gli uominiè presente un numero maggiore di casi rispetto alle donne che determina,nella nostra osservazione, complessivamente un rapporto di 2,9 a 1.

Si conferma, secondo questi dati, la prevalenza di casi di mesote-lioma maligno dovuti ad esposizione ad amianto di origine professionalepari al 75,3% dell’intera casistica; di rilievo appare anche la quota di me-soteliomi definiti ad esposizione ignota pari al 13,6%.

I dati riportati in tabella IV sono in linea con la storia degli insedia-menti produttivi a maggior rischio di esposizione ad amianto presenti sul

Tabella I. Localizzazione dei mesoteliomi maligni in tutti i pazienti registrati dal COR Campania classificati come certi,

probabili, possibili

Tabella II. Definizione dell’esposizione ad amianto

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territorio regionale, fra cui l’Eternit di Bagnoli per l’industria del ce-mento-amianto (dismessa nel 1986), Italsider di Bagnoli per il settore me-tallurgico (ciclo completo di siderurgia - dismessa nel 1990), Fincantieried infrastrutture portuali per la cantieristica navale e portualità, SOFER diPozzuoli, AVIS di Castellammare di Stabia, Firema e Grandi Officinedelle ex F.S. per la produzione e manutenzione di rotabili ferroviari (4).

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CP 07

MESOTELIOMA MALIGNO PERITONEALE ED ESPOSIZIONEPROFESSIONALE AD ASBESTO: CASISTICA FORLIVESE

Lamberto Veneri, Maria Giuseppina Valentini, Adriano Albonetti

Unità Operativa Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro -Dipartimento di Sanità Pubblica - AUSL di Forlì

RIASSUNTO. Obiettivi: illustrare la casistica di MM peritonealiincidenti nel territorio dell’AUSL di Forlì dal 1986 al 2010. Materiali e

Metodi: vengono analizzati 115 casi di MM. Si confrontano i casi del-l’azienda A, produttrice di filati artificiali tra gli anni trenta e gli anni ’80,con quelli dell’azienda B, che tra gli anni cinquanta ed i settanta ha pro-dotto arredamenti navali. Nell’azienda A l’esposizione ad asbesto erabassa e quasi esclusivamente a crisotilo. Nella azienda B vi era una espo-sizione elevata esclusivamente ad amosite, durante il taglio meccanico emanuale di pannelli di “marinite”, contenente il 35% dell’anfibolo. Ri-sultati: sul totale di 115 MM, di cui 33 donne e 82 uomini, la sede peri-toneale è presente in 20 casi (17.4%); di questi 8 sono donne (24.2% ditutti i MM femminili) e 12 maschi (14.6%). L’esposizione occupazionalead asbesto è presente nel 63,7% dei casi pleurici e nel 60% dei perito-neali. Nell’azienda A si sono verificati 19 casi di MM, di cui 17 pleuricie 2 peritoneali (10.5%); la latenza media è 48 anni per i MM pleurici e53 anni per i peritoneali; la durata media dell’esposizione è 23 anni per ipleurici e 16 per i peritoneali. Nell’azienda B si sono verificati 10 casi diMM, di cui 7 pleurici e 3 peritoneali (30%); la durata media dell’esposi-zione è 14 anni per i pleurici (min 6 mesi, massimo 19 anni) e 17 anniper i peritoneali (min 5, max 25). Per i MM pleurici la differenza tra ledue aziende è significativa sia per la latenza media, che per la duratamedia dell’esposizione. Nell’azienda B la latenza media è significativa-mente maggiore per i MM peritoneali. Conclusioni: i nostri dati sonocoerenti con quanto segnalato in letteratura, particolarmente per il mag-gior rischio di MM peritoneali per esposizioni elevate ad anfiboli; inoltresi conferma che i MM peritoneali richiedono una latenza maggiore.

Parole chiave: asbesto, mesotelioma, peritoneo.

INTRODUZIONELa localizzazione peritoneale del mesotelioma maligno (MM) è la

seconda per frequenza dopo quella pleurica. L’epidemiologia del MMperitoneale è meno studiata rispetto al MM pleurico e presenta maggiorifattori di variabilità. Rispetto al MM pleurico i criteri diagnostici presen-tano una maggiore variabilità temporale e geografica e hanno minoresensibilità e specificità (1). Ciò favorisce una maggiore frequenza di mi-sdiagnosi rispetto a neoplasie originate da altri organi addominali, in par-ticolare adenocarcinomi dell’ovaio (6, 10). Inoltre, data la forte associa-zione tra mesotelioma ed esposizione ad amianto, la conoscenza di unapregressa esposizione professionale può influenzare l’accuratezza dia-gnostica (1). L’European Network of Cancer Registries (5) riporta unaincidenza di MM peritoneale variabile da 0,1 a 0,25 casi per 100.000 abi-tanti per gli uomini e tra 0,05 e 0,1 casi nelle donne; il programma SEERnegli Stati Uniti (12) riporta un tasso di incidenza di 0,12 casi per100.000 nei maschi e 0,08 nelle donne senza un trend temporale signifi-cativo nel periodo 1973-2005. La maggiore incidenza negli uomini è unacostante in tutti i paesi tranne nei dati della Cecoslovacchia e della Sveziafino al 2000, quando si verificò un netto calo dell’incidenza, che scese da0,45 per 100.000 del triennio 1998-2000 a 0,09 del triennio 2001-03;questa drammatica diminuzione è in realtà apparente essendo dovuta aduna modifica dei criteri di diagnosi (2). A parte questo clamoroso shift idati svedesi non mostrano un trend significativo dell’incidenza neglianni, come pure quelli dell’Olanda (2) e del programma SEER negliUSA (12); al contrario in Inghilterra, Scozia e Danimarca si nota un au-mento più o meno evidente di incidenza negli uomini dagli anni ’70 aglianni ’90, con una correlazione debole con l’andamento del MM dellapleura; nelle donne la correlazione è ancora più debole e non significa-tiva (1). Molto diversi da questo punto di vista i dati italiani del ReNaM(Registro Nazionale Mesoteliomi) (8) che, tra il 1993 e il 2004, ha rac-colto 9166 casi di MM, di cui 614 (6,7%) con localizzazione peritoneale;in questo caso tra l’incidenza del MM pleurico e quello peritoneale vi èuna correlazione stretta e altamente significativa (r = 0,71; p < 0,0001),che rimane tale anche disaggregando i dati per sesso. In questa ampia ca-sistica il tasso standardizzato di incidenza nel 2004 per il MM dellapleura con livello di certezza diagnostica certo, probabile o possibile è di3,42 per 100.000 negli uomini e 1,09 nelle donne; per la localizzazioneperitoneale i tassi scendono a 0,21 per gli uomini e 0,12 per le donne.Considerando solo i casi con diagnosi certa i tassi standardizzati sono:per il MM della pleura 2,79 per gli uomini e 0,87 per le donne; per il MMperitoneale 0,16 per gli uomini e 0,10 per le donne. L’età media alla dia-gnosi per i MM extrapleurici è 64,4 anni per gli uomini e 65,4 anni perle donne; per i MM pleurici rispettivamente 65,4 anni per i maschi e 69,5per le donne. Anche il MM peritoneale è associato all’esposizione all’a-sbesto, benché con minore evidenza del MM pleurico (3). Spirtas e coll.hanno calcolato un rischio attribuibile per il MM peritoneale del 58%

Tabella III. Casi certi, probabili e possibili, per anno e genere, periodo 1996*-2011 (dati aggiornati al 28.06.2011)

Tabella IV. Attività economiche maggiormente rappresentate fra i casi di mesotelioma maligno con esposizione professionale

certa, probabile, possibile

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negli uomini e del 23% nelle donne (11), mentre per il MM pleurico negliuomini era del 88%. L’associazione con l’esposizione ad asbesto è con-fermata anche da un vasto studio caso-controllo condotto negli USA (1);vi sono anche evidenze epidemiologiche di associazione tra MM perito-neale ed esposizione non occupazionale ad asbesto (9,13). A questo pro-posito sono molto significativi i dati forniti dal ReNaM relativamente alperiodo 1993-2004 (8), dai quali risulta che l’esposizione occupazionalead asbesto è presente nel 60.1% dei MM peritoneali (34% nelle donne e75,5% negli uomini) e nel 70.5% di quelli pleurici (33,6% nelle donne e82,3% negli uomini). Se vengono considerate anche le esposizioni am-bientali, domestiche e del tempo libero le percentuali salgono al 69,7% eal 81,3% rispettivamente per i MM peritoneali e pleurici. Secondo alcunistudi il MM peritoneale insorge prioritariamente in lavoratori con altaesposizione cumulativa (2) e che il rischio aumenta più velocemente ri-spetto al MM pleurico in relazione alla durata dell’esposizione e alla la-tenza (7). Anche il tipo di asbesto sembra importante, essendo maggior-mente a rischio l’esposizione ad anfiboli (4), per i quali il rischio stessoè correlato al quadrato dell’esposizione cumulativa (1). Obiettivo del la-voro è illustrare la casistica di MM peritoneali incidenti nel territorio del-l’AUSL di Forlì dal 1986 al 2010. Si mettono a confronto due cluster diMM, relativi ad esposizioni rispettivamente di bassa intensità prevalen-temente a crisotilo e di elevata intensità ad amosite.

MATERIALI E METODIVengono analizzati 115 casi di MM in residenti nel territorio del-

l’AUSL, segnalati al Dipartimento di Sanità Pubblica di Forlì dal 1986 al2010 e trasmessi al Centro Operativo Regionale Emilia Romagna delReNaM. Per ogni caso personale esperto effettua una intervista struttu-rata, tramite un questionario standardizzato sottoposto direttamente alsoggetto, se ancora in vita, o ai familiari; vengono raccolte informazioniin particolare sulla storia lavorativa, quando possibile verificate con do-cumenti oggettivi, con particolare riguardo ad una eventuale esposizionead asbesto che viene classificata sulla base di criteri predefiniti dallaLinea Guida ISPESL-RENAM. In più del 80% dei casi la diagnosi è cor-redata da esame istologico. Vengono poi comparati i casi verificatisi nel-l’azienda A, produttrice di filati artificiali (rayon, naylon) tra gli annitrenta e metà degli anni ’80, e quelli dell’azienda B, che tra gli anni cin-quanta ed i settanta ha prodotto arredamenti navali. L’azienda A fino aglianni ’70 ebbe oltre 2000 dipendenti, molti dei quali donne; l’esposizionead asbesto era mediamente bassa, dovuta alla presenza di tubazioni per iltrasposto del calore, coibentate con un impasto di cemento e crisotilo,che col tempo si degradava liberando fibre; una ulteriore fonte di esposi-zione, per quanto non dimostrata, potevano essere i freni e le frizioni deitelai. Benché non esistano dati oggettivi sulla entità dell’esposizione, sipuò presumere che questa sia stata elevata solo per una piccola frazionedi lavoratori addetti alla manutenzione. Nell’azienda B, che nei momentidi maggiore produzione aveva fino a 250 dipendenti, l’esposizione avve-niva durante il taglio meccanico o manuale di pannelli di “marinite”,operazione fatta prevalentemente in azienda, e durante la successiva posain opera nei cantieri navali. La marinite è un materiale, contenente il 35%di amosite, col quale venivano costruite le cabine e gli arredi dei granditransatlantici. Anche in questo caso non abbiamo dati sull’esposizione,che tuttavia si può presumere sicuramente molto elevata.

RISULTATI

media di insorgenza è 67 anni sia nei MM pleurici (range: 39-87; 3 casisotto i 50 anni, di cui 2 con esposizione lavorativa e 1 ambientale) cheperitoneali (range 25-81; 4 casi sotto i 40 anni di cui 2 con esposizioneoccupazionale), senza differenze fra i sessi. L’esposizione occupazionalead asbesto (certa, probabile e possibile) è presente nel 61,7% del totaledei casi, nel 63,7% dei casi pleurici e nel 60% dei peritoneali. Negliesposti professionalmente la latenza media di insorgenza è 43 anni neicasi pleurici e 41 nei peritoneali; la durata media dell’esposizione è 20anni nei pleurici e 16 nei peritoneali; nessuna di queste differenze è sta-tisticamente significativa.

Tabella I. Casistica dell’AUSL di Forlì dal 1986 al 2010 di MM stratificata per sede di insorgenza,

sesso ed esposizione ad asbesto

Tabella II. Confronto fra i casi dell’azienda A (bassa esposizione a crisotilo) e azienda B (alta esposizione ad amosite); latenza media e durata di esposizione media in anni

La Tabella I riassume la casistica raccolta dal nostro servizio, con ri-ferimento alla sede di insorgenza, al sesso e all’esposizione ad asbesto.Sul totale di 115 MM, di cui 33 donne e 82 uomini, la sede peritoneale èpresente in 20 casi (17.4%); di questi 8 sono donne (24.2% di tutti i MMfemminili) e 12 maschi (14.6% di tutti i MM maschili). Il rapporto Uo-mini/Donne è 2,95 per la sede pleurica e 1,5 per la sede peritoneale. L’età

Nell’azienda A si sono verificati 19 casi di MM, di cui 17 pleurici e2 peritoneali (10.5%); la latenza media è 48 anni per i MM pleurici e 53anni per i peritoneali; la durata media dell’esposizione è 24 anni per ipleurici e 16 per i peritoneali. Nell’azienda B si sono verificati 10 casi diMM, di cui 7 pleurici e 3 peritoneali (30%); la latenza media è di 36 anniper i pleurici e 50 per i peritoneali; la durata media dell’esposizione è 13anni per i pleurici (min 6 mesi, massimo 19 anni) e 17 anni per i perito-neali (min 5, max 25). La latenza media è significativamente minore nel-l’azienda B per i MM pleurici. Lo stesso per la durata media dell’esposi-zione che è significativamente minore nell’azienda B anche conside-rando la somma di tutti i MM, sia pleurici che peritoneali (p = 0,02). Nel-l’azienda B la latenza media è significativamente maggiore nei MM pe-ritoneali rispetto ai pleurici.

CONCLUSIONII nostri dati sono coerenti con quanto segnalato in letteratura e spe-

cialmente con i dati del ReMaM (8); in particolare il rapportouomini/donne più alto per i MM pleurici (nel ReNaM il rapporto uo-mini/donne è 2,75 per i MM pleurici e 1,57 per i peritoneali), la percen-tuale di esposizioni ambientali, che nel nostro caso comprendono anche ledomestiche, nettamente prevalente nelle donne. Al di là della bassa nu-merosità della casistica ci sembra piuttosto interessante il confronto tra ledue aziende, in particolare perché l’azienda B costituisce una coorte di la-voratori esposti ad elevate concentrazioni di Amosite. I dati sembranoconfermare particolarmente un maggior rischio di MM peritoneali peresposizioni elevate ad anfiboli (1,2,4,7). Inoltre si conferma che i MM pe-ritoneali richiedono una latenza maggiore, mentre non è significativa-mente diversa la durata dell’esposizione. Infine si conferma che la latenzadi insorgenza dei MM è minore per esposizione ad anfiboli. Da segnalareil numero elevato di casi di MM peritoneale insorti in giovane età.

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CP 08

CASI DI MESOTELIOMA MALIGNO NEL COMPARTO DEI TRASPORTI AEREI IN ITALIA

S. Menegozzo1, F. Viscardi1, F. Izzo1, V. Ascoli2, G. Barbieri3, D. Cavone4, R. De Zotti5, F. Cavariani2, V. Gennaro6, A. Marinaccio7, C. Mensi8, E. Merler9, D. Mirabelli10, M. Musti4, C. Pascucci11, A. Romanelli12, S. Silvestri13, M. Menegozzo1

1 COR Campania2 COR Lazio3 Servizio di Igiene e Medicina del Lavoro, Asl di Brescia4 COR Puglia5 COR Friuli-Venezia Giulia6 COR Liguria7 ReNaM (INAIL)8 COR Lombardia9 COR Veneto

10 COR Piemonte11 COR Marche12 COR Emilia-Romagna13 COR Toscana

Corrispondenza: Dr.ssa Simona Menegozzo - Registro Mesoteliomidella Campania - Centro Operativo Regionale dei Casi di Neoplasia diSospetta Origine Professionale - Dipartimento di Medicina SperimentaleSUN

RIASSUNTO. I dati relativi alla esposizione professionale adamianto nel trasporto aereo non risultano finora particolarmente ap-profonditi: obiettivo del presente lavoro è quello di descrivere la casisticadei mesoteliomi maligni appartenenti al settore dei trasporti aerei indivi-duati dal Registro Nazionale dei Mesoteliomi (ReNaM).

I casi di mesotelioma maligno individuati sono classificati in base acriteri diagnostici e di esposizione stabiliti dalle linee guida ReNaMISPESL del 2003: sono stati presi in considerazione i casi di mesoteliomamaligno certi, probabili e possibili per i quali è disponibile il questionariosulle abitudini di vita e di lavoro che dimostra almeno la presenza di unperiodo lavorativo nel settore dei trasporti aerei.

Il maggior numero di casi rilevato è dislocato nelle aree geografichedove insistono attività collegate alla costruzione di aeromobili; invecel’attività di gran lunga più rappresentata è quella della costruzione degliaeromobili, seguita dalla Aeronautica Militare.

L’indagine condotta sul settore del trasporto aereo in Italia evidenziauna casistica dei mesoteliomi maligni che denota un diffuso utilizzo – peril passato – di materiali contenenti amianto, in linea con quanto giàemerso per altri settori del trasporto maggiormente indagati (navale e fer-roviario). Per il settore in esame risulta di particolare interesse l’esposi-zione professionale attribuibile al settore dell’Aeronautica Militare.

Un ulteriore approfondimento viene fornito mettendo in evidenzamansioni e profili professionali particolarmente interessati dall’esposi-zione a fibre d’asbesto.

Parole chiave: Amianto, Mesotelioma, Trasporto Aereo.

OBIETTIVIÈ ben conosciuta in letteratura l’esposizione professionale ad

amianto nel settore dei trasporti. In particolare sono stati approfonditi, inquanto generatori di numerosi casi di mesotelioma maligno, i settoridella costruzione e manutenzione delle navi (1) e dei rotabili ferroviari(2) nonché quello relativo ai rispettivi personali viaggianti (3, 4). Menoapprofonditi sono i dati relativi alla esposizione professionale nel tra-sporto aereo (5, 6). Obiettivo del presente lavoro è quello di descrivere lacasistica dei mesoteliomi maligni appartenenti al comparto dei trasportiaerei individuati dal Registro Nazionale dei Mesoteliomi (ReNaM).

MATERIALI E METODII casi di mesotelioma maligno individuati sono classificati in base a

criteri diagnostici e di esposizione stabiliti dalle linee guida del RegistroNazionale dei Mesoteliomi (ReNaM) ISPESL del 2003 (7).

Rientrano nel presente studio tutti i casi di mesotelioma maligno(MM) con diagnosi certa, probabile e possibile individuati dai 17 CentriOperativi Regionali (COR) del ReNaM attivi sul territorio italiano, per iquali l’anamnesi lavorativa presenta almeno un periodo di lavoro nelcomparto dei trasporti aerei.

Sono stati individuati casi che hanno lavorato in questo comparto apartire dal 1980 sino al 2009. La raccolta dei casi di mesotelioma ma-ligno è obbligatoria ai sensi del DPCM n. 308/2002 a partire dal01.01.2000: pertanto la rilevazione dei casi antecedenti a tale data non èindicativa di tutto il territorio nazionale perché effettuata solo da alcuniCOR.

Le attività lavorative appartenenti al comparto dei trasporti aerei,sono state identificate effettuando una selezione a partire dai codiciATECO 1991 e dai codici Professioni ISTAT 1991. I codici ATECO con-siderati comprendono la costruzione e riparazione degli aeromobili, ilpersonale di volo e le attività di scalo aeroportuale.

Dal momento che i codici ATECO sopra citati non comprendono ivari settori appartenenti alla Difesa Nazionale, per individuare i casi dimesotelioma maligno di pertinenza dell’Aeronautica Militare è stata ef-fettuata, invece, una ricerca all’interno del codice ATECO - Difesa Na-zionale per codici professionali. Tale selezione si è avvalsa della colla-borazione di un esperto nel settore.

RISULTATISono stati individuati in 11 COR (riportati in Tabella I) 94 casi di

mesotelioma maligno (89 pleura; 5 peritoneo) nel comparto dei trasportiaerei di cui: 74 con diagnosi certa (70 pleura e 4 peritoneo); 12 probabile(11 pleura e 1 peritoneo); 8 possibile (7 pleura e 1 peritoneo). Novantacasi risultano di genere maschile e 4 di genere femminile. Ventidue casisono stati diagnosticati prima del 2000, mentre 72 casi a partire dall’anno2000.

In merito alla classificazione della esposizione i 94 casi di MM sonostati così classificati: 16 con esposizione professionale ad amianto certa,11 professionale probabile, 23 professionale possibile, 2 improbabile, 40ignota, 1 da definire e 1 non classificabile.

In Tabella I sono riportati i casi di MM suddivisi per COR di appar-tenenza. Il maggior numero di casi è stato rilevato nelle aree geografichedove insistono attività collegate alla costruzione di aeromobili; nel casodella Puglia si associa probabilmente la presenza di intensa attività logi-stica dell’Aeronautica Militare.

Tabella I. Casi di MM per COR di appartenenza nel comparto del trasporto aereo

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La Tabella II aggrega i casi per settori funzionali nell’ambito delcomparto del trasporto aereo: l’attività di gran lunga più rappresentata èquella della costruzione degli aeromobili, seguita dalle attività svolte inAeronautica Militare.

giormente indagati (navale e ferroviario). Appare rilevante anche la casi-stica riscontrata, attribuibile al settore dell’Aeronautica Militare.

Un ulteriore approfondimento viene fornito mettendo in evidenzamansioni e profili professionali particolarmente interessati dall’esposi-zione a fibre d’asbesto.

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CP 09

APPLICABILITÀ DELLA PROTEOMICA NELLA RICERCA DI NUOVIBIOMARCATORI PER IL MESOTELIOMA PLEURICO MALIGNO

Alessandra Bonotti1, Rudy Foddis2, Rossella Bruno1, Elena Stefanini3,Angela Papa3, Antonio Lucacchini4, Laura Giusti4, Elena Donadio4,Tiziana Ventroni4, Angelo Baggiani5, Alfonso Cristaudo6

1 U.O. Medicina Preventiva del Lavoro, Azienda Ospedaliero-UniversitariaPisana2 Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, Ortopedia e Traumatologia3 Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro, Università di Pisa4 Dipartimento di Psichiatria, Neurobiologia, Farmacologia e Bio-tecnologie, Università di Pisa5 Dipartimento di Patologia Sperimentale, Biotecnologie Mediche,Infettivologia ed Epidemiologia, Università di Pisa6 U.O. Medicina Preventiva del Lavoro, Azienda Ospedaliero-UniversitariaPisana

RIASSUNTO. La diagnosi del mesotelioma pleurico maligno risultaspesso di difficile risoluzione per la mancanza di bio-marcatori efficaci,che mostrino alta sensibilità e specificità. L’utilizzo di nuove tecnologie,come quelle che si basano sulla proteomica, potrebbero però essere ingrado di rilevare cambiamenti nell’espressione di proteine presenti in untessuto pleurico affetto da mesotelioma rispetto ad un tessuto sano.

Mediante l’ausilio di un’elettroforesi bidimensionale accoppiata aduna spettrometria di massa, abbiamo condotto un’analisi proteomicacomparativa al fine di valutare i cambiamenti di espressione proteica dibiopsie di tessuto polmonare con diagnosi di mesotelioma rispetto a tes-

Tabella II. Casi di MM per settori funzionali nel comparto dei trasporti aerei

Le interviste effettuate ai lavoratori del comparto aeronautico hannorilevato diverse modalità di esposizione alle fibre di amianto, come di se-guito descritto.

Nell’ambito della costruzione di aeromobili gli addetti a mansioni ditipo prettamente operativo (montatori, tornitori, meccanici, ecc.) sonostati esposti in modo diretto a fibre d’asbesto; per questi profili professio-nali l’esposizione si concretizzava durante gli interventi su parti di mo-tore, sull’impianto idraulico/pneumatico, sull’impianto frenante e su pan-nelli isolanti e coibenti. Di particolare rilevanza l’esposizione avvenuta incaso di utilizzo di amianto spruzzato all’interno dei cofani motore.

Altre mansioni comportanti esposizione ad amianto, sebbene di tipoambientale, sono state quelle dei tecnici (supervisori, disegnatori, pro-gettisti), come si rileva, tra l’altro, in un recente studio francese (8), cheper necessità operative si recavano con frequenza plurisettimanale nei re-parti dove avveniva l’effettivo montaggio ed assemblaggio delle diversecomponenti dell’aeromobile.

Per l’Aeronautica Militare sono state riscontrate diverse mansioniche espongono a materiali contenenti amianto (MCA): i meccanici mo-toristi esposti in particolare durante il controllo e la sostituzione dellamassa frenante (ferodi), la manutenzione dell’impianto antigelo e di tuttele altre componenti idrauliche in zona motore e nell’impianto condizio-namento.

Sono state segnalate possibili esposizioni a fibre di amianto per leseguenti mansioni: addetti a rifornimento di carburante ed alla vigilanza(V.A.M., Vigilanza Aeronautica Militare). Infine, vanno segnalati i pilotiche spesso assistevano direttamente alla manutenzione fornendo indica-zioni circa problemi rilevati durante il volo. Per quanto non riferito nelleinterviste si segnala che in taluni casi i piloti erano dotati di tute inamianto.

Fra gli addetti ai Trasporti Aerei Civili rientrano anche mansioni nonclassificate negli altri comparti riportati nella Tabella II pur presentandoevidenti analogie con le lavorazioni precedentemente descritte; adesempio: meccanici motoristi, montatori tubisti, comandisti (addetti alcontrollo e registrazione dei comandi).

Attività di scalo aeroportuale: in questo settore sono ricompresetutte le mansioni di supporto all’attività di volo svolte da personale aterra; tipica attività è quella degli addetti al carico-scarico bagagli e mercidalla stiva degli aeroplani; questi lavoratori operavano nelle stive degliaerei di maggiori dimensioni dove erano presenti pannelli isolanti inamianto.

Nell’ambito dei mesoteliomi riscontrati in questa indagine e valutatiad esposizione ignota due casi risultano con mansione di addetto allamensa aeroportuale (aiuto cuoco, addetto distribuzione pasti).

Infine, si può genericamente ipotizzare un’esposizione di tipo am-bientale per quei lavoratori che operavano per lunghi periodi in ambienticaratterizzati da coperture in eternit quali gli hangar.

Per quanto attiene alla manutenzione, che rappresenta un’attività ri-levante ai fini dell’esposizione ad amianto (9), nella nostra indagine icasi rilevati sono stati distribuiti sia nel settore dell’Aeronautica Militareche in quello del Trasporto Aereo Civile.

DISCUSSIONEL’indagine condotta sul settore del trasporto aereo in Italia evidenzia

una casistica di mesoteliomi maligni che denota un pregresso utilizzo diMCA, in linea con quanto già emerso per altri settori del trasporto mag-

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suti polmonari di controllo (pleuriti). In questo studio preliminare sonostati reclutati 7 pazienti con diagnosi di mesotelioma epiteliomorfo, 4con diagnosi di mesotelioma sarcomatoide o bifasico e 5 pazienti conpleurite cronica.

Le proteine sono state estratte con metodo fenolo-cloroformio estoccate a -80°C fino al momento del loro utilizzo. L’estratto proteico ot-tenuto è stato solubilizzato in soluzione di reidratazione e le proteine se-parate su analisi bidimensionale. Dopo colorazione e acquisizione, le im-magini sono state analizzate e le differenze di espressione del profili pro-teici patologici sono stati confrontati con quello della classe patologicadi controllo. L’analisi con software Progenesis Same spots indicava untotale di 15 spots differenzialmente espressi in modo significativo(Anova p<0.05) con fold di aumento o riduzione >2.5 volte rispetto alcontrollo. Questi spots proteici sono stati identificati tramite spettrome-tria di massa (MALDI-TOF_TOF) e hanno portato all’identificazione di13 proteine di interesse. Degne di nota l’incremento di espressione dicirca 5 volte di alcune proteine nel mesotelioma epiteliomorfo. Tra leproteine down regolate ritroviamo per entrambi i tipi i mesotelioma unariduzione di ferritina catena leggera (circa 3 ordini di grandezza) e mio-sina catena leggera 2, isoforma ventricolare/cardiaca. Accanto a que-st’ultima altri sottotipi di miosine catena leggera quali la 3 e la 1, que-st’ultima con riduzione significativa di circa 6 volte, sono state ritrovateesclusivamente nel mesotelioma epiteliomorfo rispetto al controllo.

Le differenze di espressione trovate per le proteine di maggiore in-teresse necessitano di essere validate tramite analisi Western blot usandoanticorpi specifici su un più alto numero di campioni.

I risultati ottenuti in questa prima fase suggeriscono comunque l’ap-plicabilità dell’analisi proteomica nella ricerca di potenziali biomarcatoridel mesotelioma nell’insieme e dei suoi sottotipi.

Parole chiave: mesotelioma, proteomica, biomarkers.

INTRODUZIONEIl mesotelioma pleurico maligno è un tumore altamente aggressivo,

che non risponde a chemioterapia, radioterapia o intervento chirurgico, eche ha una breve prognosi con una sopravvivenza media compresa fra gli8 e i 10 mesi (1). MPM rappresenta meno dell’1% dei cancri conosciutima la sua incidenza è in aumento (2) a causa del suo principale fattoreeziologico rappresentato dall’inalazione di fibre di asbesto, largamenteutilizzato nel secolo scorso (3).

La diagnosi precoce e quella differenziale sono molto difficili, e gliunici strumenti per lo screening e la diagnosi precoce sono basati su testradiologici con evidenti problemi etici ed economici. Per questo motivo,alcuni autori stanno valutando alcuni indicatori biologici con il signifi-cato di marcatori di screening e di diagnosi precoce (4-7), anche se talibiomarcatori mostrano un alto tasso di falsi positivi, portando quindi allanecessità di indagare altri possibili marcatori sierici (8).

Scopo del nostro lavoro è quello di definire un nuovo pannello dibio-marcatori per la diagnosi di mesotelioma pleurico maligno, sia dautilizzare nella sorveglianza sanitaria di individui ex-esposti ad amiantocome strumento di screening sia nella pratica clinica nel monitoraggio dipazienti già affetti da MPM, avvalendoci delle moderne tecniche di pro-teomica.

MATERIALI E METODIIn questo studio sono stati arruolati 7 pazienti con diagnosi di meso-

telioma epiteliomorfo, 4 con diagnosi di mesotelioma sarcomatoide o bi-fasico e 5 pazienti con pleurite cronica, utilizzati come controllo sano.Dalle biopsie pleuriche prelevate sono stati estratti con metodofenolo/cloroformio i pellet proteici, che sono stati congelati a -80°C finoal momento dell’uso. Le proteine sono state corse su gel bidimensionale(2-DE), come mostrato in Figura 1, ed i gel analitici sono stati coloraticon nitrato d’argento, mentre i gel preparativi per la spettrometria dimassa sono stati colorati con Coomassie Brilliant Blu G-colloidale.

I gel colorati sono stati esaminati e le immagini sono state analiz-zate, confrontando le differenze di espressione dei profili proteici pato-logici con quelli della classe di controllo. I punti di interesse sono statitagliati dal gel master, de-colorati e sottoposti alla digestione con tri-psina, estraendo il peptide. I peptidi da 2-DE spot gel sono stati analiz-zati con un analizzatore di Proteomica 4800 MALDI-TOF/TOF spettro-metro di massa (Applied Biosystems, Framingham, MA, USA).

Per quanto riguarda l’analisi statistica, tutti i dati sono stati espressicome media ± DS. Il significato delle differenze (p-value <0,05) è stato

calcolato utilizzando test Mann-Whitney e la correlazione di Spearmanper le variabili non parametriche.

RISULTATIL’analisi con software Progenesis Same spots indicava un totale di

15 spots differenzialmente espressi in modo significativo (Anovap<0.05) con fold di aumento o riduzione >2.5 volte rispetto al controllo.Questi spots proteici sono stati identificati tramite spettrometria di massa(MALDI-TOF_TOF) e hanno portato all’identificazione di 13 proteine diinteresse. Degno di nota è il significativo incremento di espressione di 5proteine nel mesotelioma epiteliomorfo rispetto ai soggetti sani: la subu-nità beta dell’ATP sintetasi mitocondriale (4.1 volte), l’albumina sierica(4.1 volte), l’Actina citoplasmatica (2.9 volte), la Calretinina (2.6 volte),e l’alfa 1 antitripsina (2.6 volte).

Tra le proteine down regolate ritroviamo per entrambi i tipi i mesote-lioma una riduzione di ferritina catena leggera (circa 3 ordini di grandezza)e miosina catena leggera 2, isoforma ventricolare/cardiaca. Accanto a que-st’ultima altri sottotipi di miosine catena leggera quali la 3 e la 1, quest’ul-tima con riduzione significativa di circa 6 volte, sono state ritrovate esclu-sivamente nel mesotelioma epiteliomorfo rispetto al controllo.

Per quanto riguarda invece le differenze fra mesoteliomi epitelio-morfi e sarcomatoidi, sono risultati particolarmente interessanti alcunicanali intracellulari al cloro (proteine 3 e 4), che sono risultati overespressi solo nei mesoteliomi sarcomatoidi.

CONCLUSIONII risultati ottenuti in questa prima fase suggeriscono l’applicabilità

dell’analisi proteomica nella ricerca di potenziali biomarcatori del meso-telioma nell’insieme e dei suoi sottotipi. Le differenze di espressione tro-vate per le proteine di maggiore interesse necessitano comunque di es-sere validate tramite analisi Western blot usando anticorpi specifici su unpiù alto numero di campioni.

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Figura 1. Corsa elettroforetica su gel bidimensionale

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CP 10

QUANTIFICAZIONE DELLA TROMBOMODULINA METILATA NELSIERO COME MARCATORE BIOLOGICO PER L’IDENTIFICAZIONEPRECOCE DEL MESOTELIOMA MALIGNO DELLA PLEURA

Lory Santarelli1, Linda Nocchi1, Laura Mariotti1, Sara Staffolani1,Elisabetta Strafella1, Paola Mazzanti2, Marco Tomasetti1

1 Dipartimento di Scienze Cliniche e Molecolari, Medicina del Lavoro,Università Politecnica delle Marche, Ancona2 Clinica di Oncologia Medica e Divisione, Ospedali Riuniti, Ancona

RIASSUNTO. Il miglioramento delle tecniche per rivelare precoce-mente il mesotelioma maligno della pleura (MMP) costituisce un fattoreessenziale per il trattamento della neoplasia. L’individuazione di altera-zioni epigenetiche specifiche del tumore potrebbe fornire una nuova ca-tegoria di biomarkers potenzialmente applicabili non solo all’individua-zione precoce del tumore ma anche all’individuazione di un profilo dimetilazione predisponente allo sviluppo della malattia.

In un precedente studio, abbiamo dimostrato che il gene della trom-bomodulina (TM) è drasticamente sottoespresso nel MMP e tale sotto-re-golazione è dovuta a meccanismi epigenetici di metilazione. Nel presentestudio abbiamo valutato il possibile ruolo diagnostico delle alterazioniepigenetiche del DNA circolante a carico del gene per la TM, nel siero dipazienti affetti da MMP e dei soggetti ad alto rischio di malattia (soggettiesposti all’asbesto) confrontandoli con soggetti sani di controllo. I livellidi TM metilata circolante sono stati messi in relazione con i livelli di me-sotelina. Sono stati rilevati nei pazienti con MMP elevati livelli di TMmetilata circolante rispetto a quelli riscontrati sia in soggetti esposti pro-fessionalmente all’asbesto sia in soggetti di controllo non professional-mente esposti. La TM metilata circolante era in grado di distinguere isoggetti di controllo ed esposti all’asbesto dai pazienti con MMP, ma nondistingueva i controlli dai soggetti esposti. Pertanto, la TM metilata cir-colante può essere proposta come biomarker di malattia e non di esposi-zione all’asbesto.

Parole chiave: Trombomodulina, Epigenetica, Mesotelioma Ma-ligno.

INTRODUZIONEIl mesotelioma maligno della pleura (MMP) è una rara neoplasia

drammaticamente infausta, strettamente associata all’esposizione all’a-sbesto. La gestione dei pazienti con MMP è difficile; l’esordio dei sin-tomi è spesso insidioso e poco specifico e la diagnosi è notoriamenteardua (1). Le difficoltà nella diagnosi e nella stadiazione del MMP, so-prattutto nelle fasi iniziali della malattia e la veloce evoluzione dellastessa hanno ostacolato lo sviluppo di un approccio terapeutico univer-salmente accettato. Il MMP è a tutt’oggi refrattario alle modalità di trat-tamento disponibili. Non esiste uno standard definito di cura e solo unafrazione dei pazienti affetti da MMP sono eleggibili per una terapia po-tenzialmente curativa.

Pertanto, l’interesse principale della comunità scientifica si è foca-lizzato sul tentativo di individuare precocemente l’evento neoplastico. Lasorveglianza dei soggetti a rischio (soggetti esposti all’asbesto) è affidataprincipalmente all’utilizzo dello screening con radiografia del torace, inassociazione o meno con l’esame citologico dell’escreato; tuttavia, lasola prevenzione primaria, pur rappresentando una fase centrale in ogniprotocollo per ridurre la mortalità delle neoplasie, non può in questo casoessere considerata sufficiente. Approfondimenti sulla diagnosi moleco-lare e sull’epigenetica (metilazione e acetilazione) stanno portando allo

sviluppo di nuovi biomarkers per la diagnosi ed il trattamento di neo-plasie. L’ipermetilazione di specifici geni è stata frequentemente osser-vata in diversi tumori e tali alterazioni epigenetiche sono state riscontratenel DNA circolante di pazienti affetti da vari tipi di tumore (2). Pertanto,l’utilizzo del DNA circolante come approccio non-invasivo per l’indivi-duazione di alterazioni epigenetiche specifiche del tumore potrebbe for-nire una nuova categoria di biomarkers potenzialmente applicabili nonsolo all’individuazione precoce del tumore ma anche all’individuazionedi un profilo di metilazione predisponente allo sviluppo della malattia(3). In un nostro precedente studio, abbiamo dimostrato che il gene dellatrombomodulina (TM) è drasticamente sottoespresso nel MMP e talesotto-regolazione è dovuta a meccanismi epigenetici di metilazione (4).In questo studio abbiamo valutato il possibile ruolo diagnostico delle al-terazioni epigenetiche nel DNA circolante a carico del gene per la TM,nel siero di pazienti affetti da MMP e dei soggetti ad alto rischio di ma-lattia (soggetti esposti all’asbesto) confrontandoli con soggetti sani nonesposti di controllo. I livelli di TM metilata circolante sono stati messi inrelazione con i livelli di mesotelina un biomarker specifico del MMP.

MATERIALI E METODIReclutamento pazienti: I pazienti con MMP (n=24) sono stati reclu-

tati presso la clinica Oncologica dell’Azienda ospedaliero-universitaria“Ospedali Riuniti di Ancona”. I criteri di esclusione sono stati: la pre-senza o il sospetto di qualsiasi malattia infettiva in corso, precedente in-tervento di chirurgia radicale, radioterapia e/o chemioterapia. I soggettiesposti all’asbesto (n=19), i controlli non professionalmente esposti(n=31) casualmente reclutati dalla popolazione locale nel rispetto dellafascia di età degli altri due gruppi, sono stati arruolati presso la Clinicadi Medicina del Lavoro della stessa Azienda Ospedaliero Universitaria.Tutti i soggetti sono stati sottoposti a visita medica ed analisi di funzio-nalità polmonare, radiografia del torace e in alcuni casi, a TAC ad alta ri-soluzione, allo scopo di valutare la presenza di malattie asbesto correlate.I soggetti sono stati sottoposti ad anamnesi personale e familiare di inte-resse per lo studio, anamnesi lavorativa al fine di ottenere informazionidettagliate sulla storia lavorativa dei soggetti, sull’ambiente associato al-l’esposizione, sull’anno dell’inizio di esposizione all’asbesto e sulla du-rata di quest’ultima ed infine sull’abitudine tabagica. Il questionariosomministrato includeva naturalmete il consenso informato e la libera-toria a fornire un campione di sangue per la ricerca. Dal sangue intero èstato separato il siero e conservato a -80°C fino al momento dell’utilizzo.

Quantificazione del livello di metilazione di TM circolante: il livellodi metilazione della TM circolante è stato determinato mediante RT-PCRquantitativa (qRT-PCR) su DNA estratto da siero modificato con bisul-fito. Come controllo è stato utilizzato un DNA di riferimento 100% me-tilato (calibratore). I risultati sono stati espressi come ‘fold change’ va-riazione del grado di metilazione rispetto al calibratore mediante la se-guente formula: 2^-ΔΔCt = ΔCttarget - ΔCtcalibratore.

Determinazione livelli di Mesotelina: La mesotelina è stata determi-nata su siero di tutti soggetti arruolati mediante test in ELISA (Meso-mark).

Analisi statistica: I risultati sono stati espressi come media ± SD. Ledifferenze significative tra i gruppi sono state determinate mediante ana-lisi della varianza (ANOVA). Il coefficiente di Pearson è stato usato pervalutare le correlazione tra TM metilata circolante e mesotelina. Laperformance del biomarker di differenziare i gruppi è stata valutata me-diante le curve ROC (Receiver operating characteristic).

RISULTATILe caratteristiche demografiche dei soggetti inclusi nello studio sono

riportate in Tabella I.

Tabella I. Caratteristiche demografiche dei soggetti sani dicontrollo (Ctrl), esposti all’asbesto (Exp) e pazienti con MMP (MMP)

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La TM metilata è stata determinata nel siero dei soggetti arruolati. Ilivelli di TM metilata erano significativamente più elevati nei pazienti af-fetti da MMP rispetto ai soggetti esposti all’asbesto e ai soggetti sani dicontrollo (Figura 1). Non è stata osservata nessuna correlazione tra TMmetilata circolante e mesotelina sierica (dati non mostrati).

Allo scopo di valutare il valore diagnostico della TM metilata circo-late sono state effettuate le curve ROC (Figura 2). La TM metilata circo-lante rappresenta un biomarker capace di discriminare tra i pazienti af-fetti da MMP e i soggetti esposti all’asbesto e di controllo, ma non è ca-pace di distinguere i soggetti esposti dai soggetti di controllo.

more potrebbero favorire il riconoscimento di soggetti ad alto rischio disvilupparlo.

Le alterazioni di metilazione del gene della TM a livello del DNAcircolante da noi riscontrate nei pazienti con MMP costituiscono unpasso avanti in tal senso. Il fatto che la TM metilata circolante sia ingrado di distinguere i soggetti di controllo e gli esposti ad asbesto dai pa-zienti con MMP e non di discernere i controlli dai soggetti esposti iden-tifica tale molecola come un biomarker di malattia e non di esposizioneall’asbesto rendendola un utile campanello di allarme tanto precocequanto può esserlo la rilevazione di una lesione a livello genetico rispettoad un prodotto secondario della crescita tumorale quale la mesotelina. Ilvantaggio nell’utilizzo di geni ipermetilati come biomarcatori tumorali èanche correlato all’alta stabilità della molecola di DNA e al fatto che puòessere ottenuta da una varietà di fonti biologiche mediante strumenti noninvasivi; inoltre, la PCR metilazione-specifica associata ad una qRT-PCRè una tecnica piuttosto sensibile per l’individuazione e la quantificazionedel livello di metilazione del gene in analisi ed ha un costo oggi relati-vamente contenuto.

In conclusione, l’utilizzo del DNA circolante potrebbe costituire unvalido approccio per la rilevazione di marcatori biologici quali la TMadatti alla diagnosi precoce del tumore e potrebbe essere utilizzato perl’individuazione di fattori di sensibilità individuale predisponenti allosviluppo della malattia quali possono essere alcuni specifici profili dimetilazione.

La determinazione di questi biomarkers di nuova generazione po-trebbero costituire un valido supporto alle pratiche preventive in corso disorveglianza sanitaria dei soggetti esposti all’amianto.

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CP 11

CARCINOMA POLMONARE ED ESPOSIZIONE A FIBRED’AMIANTO IN UN SALDATORE ADDETTO IN CANTIERISTRADALI

E. Antoniazzi1, R. Fazioli1, L. Galli1, A.M. Firmi2

1 Unità Operativa Ospedaliera di Medicina del Lavoro (UOOML), A.O.“Istituti Ospitalieri di Cremona2 Servizio Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro (SPSAL),Azienda Sanitaria Locale della Provincia di Cremona

Corrispondenza: Dr. Enea Antoniazzi - Unità Operativa di Medicina delLavoro, Azienda Ospedaliera “Istituti Ospitalieri di Cremona”, VialeConcordia 1, 26100 Cremona - E-mail: [email protected]

RIASSUNTO. Presso la nostra Unità Operativa, in applicazione delPiano Regionale Amianto Lombardia (PRAL), è in corso la sorveglianza

Figura 1. Distribuzione della TM metilata circolante in soggetti dicontrollo (Ctrl), soggetti esposti all’asbesto (Exp), e pazienti conMMP. *°p<0.01, Ctrl vs MMP; Exp vs MMP

Figura 2. Curve ROC della TM metilata circolante. L’area sottesa alla curva (AUC) è stata determinata pervalutare la capacità di discriminare i soggetti sani di controllo (Ctrl) dai soggetti esposti all’asbesto (Exp) e daipazienti con MMP, ed i soggetti esposti dai pazienti MMP

DISCUSSIONEIl Mesotelioma Maligno della Pleura è una neoplasia attualmente in-

curabile il cui esito rimane infausto nonostante gli innumerevoli sforziper attuare scelte terapeutiche singole o combinate che possano inqualche modo risultare efficaci. Rimane perciò ancora un obiettivo lon-tano il raggiungimento di effetti benefici a lungo termine ed il controllodella malattia.

Una sfida nella prevenzione, nella diagnosi precoce e nella gestionedi un tumore così drammaticamente letale quale il Mesotelioma Malignodella Pleura, risiede nell’identificazione di nuovi fattori molecolari coin-volti precocemente nella trasformazione maligna. Tali fattori oltre adavere la potenzialità di agevolare l’identificazione di soggetti ad aumen-tato rischio individuale di sviluppare il cancro, potrebbero costituire unvalido aiuto nell’individuazione di terapie che possano migliorare la pro-gnosi o almeno le condizioni di vita dei pazienti colpiti da questa malattiacosì fortemente invalidante.

L’identificazione di specifici marcatori molecolari selettivi e predit-tivi della malattia ottenuta tramite la individuazione di eventi precoci ditrasformazione maligna (tra cui i cambiamenti epigenetici) potrebberorappresentare un sensibile miglioramento nella gestione clinica del MMPe soprattutto consentire la diagnosi di malattia ad uno stadio tanto pre-coce da offrire delle maggiori opportunità di risposta alle terapie. Inoltrel’identificazione di profili di alterazioni epigenetiche specifiche del tu-

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sanitaria degli ex esposti ad amianto. Tra questi, ci sembra interessantedescrivere il caso di un lavoratore di 70 anni, ora pensionato, modesto fu-matore, che lavorò dal 1963 al 1992 come saldatore in cantieri stradalinei quali erano posati tubi d’acciaio rivestiti di catrame e manufatti in ce-mento amianto. Tale attività comportava esposizione a fumi e vapori dicatrame e a fibre d’amianto disperse nello scavo con verosimile imbrat-tamento degli abiti di lavoro anche per sfregamento diretto.

Nel 2005, fu posta diagnosi di carcinoma broncogeno spinocellularea media differenziazione e nel febbraio 2006 il lavoratore fu sottoposto apneumonectomia sinistra. Successivamente fu valutato presso la nostraUnità Operativa e, al termine, fu redatto il primo certificato di malattiaprofessionale. L’ente assicuratore (INAIL) riconobbe che il lavoratoreaveva contratto una malattia professionale ad eziologia lavorativa multi-fattoriale, indennizzata nella misura del 30% per esiti di pneumonec-tomia; solo recentemente è stata riconosciuta l’esposizione ad asbestocome causa determinante di malattia professionale.

Il caso descritto pare confermare quanto è riportato in letteratura,anche in riferimento alla mansione di posatore di tubature del gas.

Parole chiave: tumore polmonare, cemento amianto, condutture.

INTRODUZIONEIn letteratura sono descritti molte attività lavorative che possono

esporre ad asbesto e tra queste anche quella del posatore e saldatore dicondutture del gas, nel cui svolgimento, in passato, venivano utilizzatimanufatti in cemento amianto (1, 2, 4).

Presso la nostra Unità Operativa Ospedaliera di Medicina del La-voro (UOOML) di Cremona, in applicazione di quanto è previsto dalPiano Regionale Amianto Lombardia (PRAL), è in corso la sorveglianzasanitaria degli ex esposti ad amianto i quali, in seguito a specifica cam-pagna informativa promossa dall’ASL della provincia di Cremona,hanno deciso di iscriversi nello specifico Registro ivi istituito.

CASO CLINICOSi è ritenuto interessante descrivere il caso di un lavoratore di 70

anni, ora pensionato, giunto per la prima volta alla nostra osservazionenel 2006, su richiesta del Medico Curante. Il soggetto, modesto fuma-tore, lavorò dal 1963 al 1992 come operaio in cantieri stradali della retecivica dell’acqua e del gas di Cremona, addetto alla saldatura di tubi diacciaio rivestiti di catrame, spesso posati in adiacenza di preesistenti ma-nufatti in cemento amianto (Fibronit). In particolare a Cremona, dal 1960e sino al 1977, a causa del cedimento frequente delle vecchie condotte incemento amianto posate nei primi anni ’50 e utilizzate sia per convo-gliare il gas che l’acqua potabile, furono sostituiti complessivamentecirca 55 Km di vecchie tubazioni con altre condotte in acciaio.

Il lavoratore svolse la propria attività sempre all’aperto, eseguendosia saldature ad elettrodo sia autogene, frequentemente senza adeguateprotezioni personali delle vie aeree, in scavi profondi anche 3 metri, neiquali erano presenti sia le condotte in acciaio da saldare sia le condottein cemento amianto. Durante l’isolamento delle condotte si procedevamanualmente con l’uso di badile e quindi gli operatori addetti a tale ma-novra necessariamente agivano con la lama dell’attrezzo sulla superficiedei tubi in fibronit per liberarlo dal terriccio con verosimile dispersionedi fibre d’amianto nello scavo dove poi il lavoratore doveva saldare. Per-tanto vi era esposizione a fumi di saldatura contenenti tracce di metalliprovenienti dagli elettrodi e dai tubi da saldare, a vapori di catrame e afibre d’amianto disperse nello scavo con probabile imbrattamento degliabiti di lavoro anche per sfregamento diretto.

Oltre all’attività di saldatore, il lavoratore era inserito nella squadradi reperibilità per la gestione delle perdite con una frequenza di 1 voltaal mese. Si trattava di interventi di tipo straordinario sulle tubazioni in fi-bronit durante i quali venivano eseguiti dei fori con scalpellino taglientedirettamente sul tubo che, contenendo gas in pressione, spingeva la pol-vere verso le vie respiratorie.

Il lavoratore fu sottoposto a visite mediche periodiche di medicinadel lavoro sin dal 1970 e nel 1984 fu posta diagnosi di pleurite destra edi broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO). Nel 2005, duranteun’occasionale esecuzione di Rx standard del torace, fu evidenziataun’opacità polmonare in sede ilare destra. Pertanto si eseguirono accer-tamenti integrativi (Tac torace, Broncoscopia e biopsia) con diagnosi dicarcinoma broncogeno spinocellulare a media differenziazione. Nel feb-braio 2006 il lavoratore fu sottoposto a pneumonectomia sinistra e suc-cessivamente, su richiesta del proprio Medico Curante, venne effettuatala nostra valutazione specialistica.

In considerazione delle modalità dichiarate di svolgimento delle atti-vità lavorative, si ritenne che vi fosse stata un’esposizione professionale acancerogeni polmonari, in particolare fumi di saldatura, vapori di catramee fibre d’amianto. Pertanto fu redatto il primo certificato di malattia pro-fessionale ed espletati tutti gli obblighi di legge. L’ente assicuratore(INAIL) successivamente riconobbe che il lavoratore aveva contratto unamalattia professionale, indennizzata nella misura del 30% per esiti dipneumonectomia sinistra; solo pochi mesi fa è stata riconosciuto che lamalattia professionale era da considerarsi “asbesto correlata” e pertanto,come previsto dal DM n.30 del 12/01/2011, il soggetto ha potuto iniziarea ricevere la prestazione aggiuntiva a carico del Fondo Vittime Amianto.

DISCUSSIONEIl caso descritto pare confermare quanto è riportato in letteratura,

anche in riferimento alla mansione di posatore di tubature del gas (6, 7).L’effetto cancerogeno dell’amianto è noto fin dalla metà degli anni 50 eda alcuni decenni l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro(IARC) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità classifica tutte leforme di amianto come cancerogene per la specie umana. Tra gli organiper i quali l’evidenza di cancerogenicità è maggiormente dimostrata vi èil polmone e la sierosa pleurica (3).

Gli studi epidemiologici indicano che l’esposizione cumulativa adasbesto aumenta il rischio di contrarre cancro del polmone (4) la cui en-tità varia in rapporto alla lavorazione e alla mansione. Il rischio appare in-termedio nei lavoratori di prodotti di amianto (5) e cemento/amianto (8).

L’effetto cancerogeno dell’amianto si può verificare ad esposizioniinferiori a quelle che producono la sclerosi polmonare nota come asbe-stosi e l’asbestosi non è conditio sine qua non per l’induzione di uncancro polmonare.

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CP 12

ASSOCIAZIONE TRA ESPOSIZIONE OCCUPAZIONALE AD ASBESTOE COLANGIOCARCINOMA: RISULTATI DI UN’ANALISI CASO-CONTROLLO

Giovanni Brandi1, Andrea Farioli2, Stefania Di Girolamo1, Stefania Curti2, Francesco De Rosa1, Francesco S. Violante2, Guido Biasco1, Stefano Mattioli2

1 Dipartimento di Ematologia e Scienze Oncologiche “L. E A. Seragnoli”,Policlinico Sant’Orsola Malpighi, Università di Bologna, Italia2 Sezione di Medicina del Lavoro, Dipartimento di Medicina Interna,dell’Invecchiamento e Malattie Nefrologiche, Università di Bologna, Italia

RIASSUNTO. Introduzione. L’associazione tra esposizione occu-pazionale ad asbesto e colangiocarcinoma è stata ipotizzata, ma mai in-dagata analiticamente. Scopo di questo studio è esplorare, tramite un’a-

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nalisi di tipo caso-controllo, la possibile associazione tra esposizione oc-cupazionale ad asbesto e rischio di colangiocarcinoma. Metodi. Lostudio include i residenti che si sono presentati presso il centro per la dia-gnosi e cura del colangiocarcinoma del nostro policlinico tra il 2006 edil 2010. Sono stati individuati 20 casi di colangiocarcinoma intraepatico(CCI) e 32 casi di colangiocarcinoma extraepatico (CCE). La popola-zione di controllo è stata costruita utilizzando soggetti originariamentecampionati ed intervistati (come controlli) per lo studio etiologico dialtre patologie di possibile origine occupazionale. I casi sono stati ap-paiati individualmente a 4 controlli in base a: nascita (fasce di 5 anni) esesso. L’esposizione occupazionale ad asbesto è stata valutata, in cieco,sulla base della storia lavorativa dei soggetti. CCI e CCE sono stati stu-diati separatamente con modelli di regressione logistica condizionati allevariabili di appaiamento. Risultati. Sono stati appaiati 20 casi di CCI(nascita: 1942± 10,0; uomini: 35%) a 80 controlli (nascita: 1942± 10;uomini: 35%) e 32 casi di ECC (nascita: 1944± 12; uomini: 47%) a 121controlli (nascita: 1944± 12; uomini: 52%). Le analisi hanno evidenziatoun aumento di rischio di CCI per i lavoratori esposti ad asbesto (OR 3,41,IC95% 1,01-11,54); al contrario, nessuna chiara evidenza di associazionetra CCE ed esposizione ad asbesto è emersa (OR 1,37, IC95% 0,40-4,67). Discussione. I risultati della nostra analisi esplorativa supportanol’ipotesi che il rischio di CCI possa aumentare tra gli esposti ad asbesto;al contrario, nessuna evidenza è emersa per il CCE.

Parole chiave: asbesto, colangiocarcinoma, malattie professionali.

INTRODUZIONEIl colangiocarcinoma (CC), tumore maligno derivante dai colangio-

citi (le cellule epiteliali che compongono l’albero biliare), rappresenta laseconda più frequente neoplasia maligna epatica. Dal punto di vista ana-tomico, il CC viene distinto in CC intraepatico (CCI) e CC extraepatico(CCE); le due forme hanno differenti caratteristiche epidemiologiche (1).Nel corso dell’ultimo quarto del ventesimo secolo l’incidenza del CCI èaumentata costantemente in tutto il mondo; in Italia si è passati da un’in-cidenza di 0,01 su 100.000 anni-persona ad un’incidenza di 0,59/100.00anni-persona (2). Fattori di rischio noti o fortemente sospettati per il CCsono: infezioni parassitarie, colangite primaria sclerosante, cisti dei dottibiliari, epatolitiasi, malattie infiammatorie croniche intestinali, epatiti vi-rali croniche, cirrosi, diabete, obesità, abuso di alcool e presenza di poli-morfismi genetici (1, 3). Tali fattori non sono però in grado di spiegarepiù di un terzo dei casi di CC (1, 4). Pertanto, altri fattori di rischio an-cora ignoti sono responsabili per la maggioranza dei casi e sono i proba-bili attori dell’aumento di incidenza registrato per il CCI. Nel corso deglianni ottanta fu avanzata l’ipotesi che l’esposizione ad asbesto potesse es-sere un fattore di rischio per il CC (5, 6). In questa sede presentiamo i ri-sultati di un’analisi caso-controllo preliminare condotta tra la popola-zione Bolognese per indagare la possibile associazione tra l’esposizioneoccupazionale ad amianto ed il rischio di ICC o ECC.

MATERIALI E METODILo studio è stato condotto utilizzando i dati di 54 pazienti consecu-

tivi (22 affetti da ICC e 32 affetti da ECC) visitati al Policlinico S. Or-sola-Malpighi tra il Gennaio 2006 ed il Dicembre 2010. Come termine diparagone è stato utilizzato un gruppo di controllo “storico”, formato dasoggetti originariamente campionati per studiare altre patologia di so-spetta origine professionale (sindrome del tunnel carpale, distacco di re-tina, nefrocarcinoma) (7-9). Laddove possibile, ogni caso è stato ap-paiato individualmente a quattro controlli in base al sesso ed al periododi nascita (fasce quinquennali). Le informazioni per i casi sono state rac-colte, in un primo momento, dalle cartelle cliniche ed includevano: annodi nascita, sesso, regione di origine, occupazione principale nella vita(occupazione svolta per più anni). Nel 2011 i casi (o i loro parenti in casodi decesso) sono stati contattati telefonicamente al fine di collezionareun’anamnesi lavorativa più approfondita (storia occupazionale com-pleta). Per tutti i controlli le informazioni sulla data di nascita, il sesso,la regione di origine e la storia occupazionale completa sono state deri-vate dai questionari strutturati compilati all’epoca in cui erano stati con-tattati. Dato il basso numero di soggetti arruolati, l’esposizione occupa-zionale ad asbesto è stata classificata come variabile dicotomica; essa èstata giudicata retrospettivamente in base alle mansioni ed al periodo dicalendario in cui esse erano state svolte. Sono stati considerati esposti isoggetti che hanno svolto almeno una volta nella vita un’attività lavora-tiva con possibile esposizione ad amianto. La valutazione è stata effet-

tuata indipendentemente da due operatori, che non erano a conoscenzadello stato di caso o controllo. In caso di disaccordo tra i due valutatoriil soggetto è stato classificato come esposto. L’accordo tra valutatori è ri-sultato essere molto buono (Kappa di Cohen = 0.94). Sono state condotteanalisi statistiche per dati appaiati; il CCI ed il CCE sono stati studiati se-paratamente con modelli logistici condizionati alle variabili di appaia-mento (sesso e classe di nascita quinquennale). I soggetti con dati man-canti sono stati esclusi dalle analisi (eliminazione listwise). Le analisisono state effettuate utilizzando il software Stata 11.2 SE (Stata corpora-tion, Texas, TX). Il livello di significatività è stato fissato a 0.05 e tutti itest sono stati eseguiti a due code.

RISULTATIDue casi di ICC sono stati esclusi dalle analisi per mancanza di

informazioni sulla storia lavorativa. I 20 casi di ICC sono stati appaiatiad 80 controlli. I 32 casi di ECC sono stati appaiati a 121 controlli; il rap-porto di appaiamento di 1 a 4 non è stato sempre raggiunto a causa dellacarenza di controlli. In Tabella I sono riportate le caratteristiche dei casie dei controlli appaiati. Si nota un’alta prevalenza di casi di ICC con pre-gressa esposizione occupazionale ad amianto (30%). In Tabella II sonoriportati i risultati dei modelli logistici condotti per studiare il rischio diICC ed ECC. Si può apprezzare un rischio aumentato (OR 3.41, IC95%1,01-11,54) di ICC per i soggetti esposti ad amianto. Al contrario, il ri-schio di ECC non sembra aumentare tra gli esposti ad asbesto (OR 1,37,IC95% 0,40-4,67).

DISCUSSIONELa presente analisi preliminare suggerisce la presenza di un’associa-

zione tra l’esposizione ad amianto ed il rischio di CCI. Tale associazionenon manca di plausibilità biologica se si considera che:1. le fibre di amianto possono essere drenate dai vasi linfatici ed essere

traslocate agli altri organi (10);2. è stato dimostrato un deposito di fibre di asbesto a livello del tessuto

epatico, probabilmente causato dall’alta permeabilità dei sinusoidiepatici (6, 11);

3. le fibre di asbesto possono portare ad uno stato di infiammazionecronica (associato alla produzione di radicali dell’ossigeno, cito-chine e fattori di crescita) e tale stato di flogosi può riflettersi in unaperdita del controllo cellulare (proliferazione ed apoptosi) (12).È anche importante ricordare che la flogosi cronica è il meccanismo

con cui agisce la maggior parte dei fattori di rischio noti per il CC. Il di-verso comportamento dell’CCI rispetto al CCE (che non appare asso-ciato all’esposizione ad amianto) può riconoscere almeno due spiega-zioni. In primo luogo, le cellule staminali implicate nei due tumori hannodiversa derivazione embrionale (13). In secondo luogo, appare più pro-babile che le fibre di asbesto rimangano intrappolate nei dotti biliari diminor calibro, ossia quelli intraepatici.

L’asbesto era già stato ipotizzato quale possibile causa di CC (6, 11),tuttavia non era mai stato specificamente indagato. Un aumento di inci-denza del CCI non è mai stato segnalato nelle corti occupazionali dei la-voratori dell’amianto. Ciò potrebbe essere dovuto a problemi di classifi-cazione della patologia (spesso studiata assieme al più frequente CC), o

Tabella I. Cholangiocarcinoma: caratteristiche dei casi e dei controlli appaiati

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alla bassa potenza statistica delle coorti per lo studio di una neoplasiacosì rara. La presente analisi preliminare è stata effettuata utilizzandodati storici raccolti per altre finalità. I principali limiti dello studio sonocostituiti dalla piccola popolazione, dalla classificazione dicotomica del-l’esposizione, dall’assenza di informazioni sui possibili confondenti.Tuttavia, i nostri risultati sottolineano la necessità di svolgere ulteriori in-vestigazioni sulla possibile associazione tra esposizione ad asbesto e ri-schio di CC. Infatti, lo studio dei possibili determinanti occupazionali delCC è stato fino ad oggi negletto. Tale lacuna appare particolarmentegrave se si considera che l’identificazione di popolazioni a rischio po-trebbe permettere l’ideazione di protocolli di screening per il CC simili aquelli già utilizzati per i soggetti affetti da cirrosi (14).

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CP 13

DUE CASI SINGOLARI DI MIELOMA MULTIPLO OSSERVATI IN LAVORATORI CON PATOLOGIE DA ASBESTO (MESOTELIOMA PLEURICO - PLACCHE PLEURICHE DIFFUSE)

S. Nicolini1, G. Bomba1, A. Lupi2

1 INAIL2 ASUR Marche Z.T. 13 Ascoli Piceno

RIASSUNTO. Vengono riportati due casi di Mieloma Multiplo ma-nifestatisi in lavoratori con concomitanti patologie da asbesto, casi cheinducono ad alcune riflessioni sulla possibile correlazione causale fratale neoplasia e la sostanza in questione.

Parole chiave: Mieloma multiplo, eziologia, asbesto.

Il mieloma multiplo è un’affezione relativamente rara (1-1,5% ditutti i tumori maligni) che deriva dalla proliferazione di un singolo cloneneoplastico di linfociti B differenziati in senso plasmacellulare, con in-filtrazione nel midollo osseo, nella milza e nel fegato. Compare preva-lentemente nei soggetti di età adulto-anziana e presenta tassi di incidenzanei maschi circa doppi rispetto a quelli delle femmine.

Secondo uno studio dell’Associazione ltaliana Registri tumori(AIRTUM) i casi di mieloma multiplo nel corso del periodo 1986-1997mostrano un incremento statisticamente significativo in entrambi i sessi:nel periodo osservato i tassi di mortalità evidenziano aumenti al cresceredell’età, mentre non si registrano incrementi nelle classi di età sotto i 55anni in entrambi i sessi (1).

È stato suggerito che l’esposizione occupazionale ad asbesto, polveridi metalli pesanti, pesticidi, solventi organici e derivati del petrolio, ra-diazioni ionizzanti, ecc così come una stimolazione cronica del sistemaimmunitario, possano causare la malattia (2, 3). Le osservazioni chehanno condotto a tali associazioni non sono tuttavia conclusive: in parti-colare è stata dimostrata una possibile eziologia nell’esposizione prolun-gata a radiazioni ionizzanti tra lavoratori della sanità che operano in ra-diologia e tra i sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki (3).

Vengono segnalati due casi molto particolari di mieloma multiplostudiati in ambito assicurativo INAIL: uno in un lavoratore che ha ope-rato per circa 20 anni come tubista nella cantieristica navale, al quale èstata successivamente posta diagnosi di mesotelioma pleurico; l’altro inun muratore che negli anni settanta svolse per tre anni anche l’attività diristrutturazione di canne fumarie, al quale è stata recentemente rilevata lapresenza di marcati e diffusi ispessimenti con aspetti mammellonati e aplacca della pleura parietale bilaterale con fini calcificazioni nel con-testo.

I casi osservati impongono una riflessione sulla possibile relazionetra esposizione ad amianto ed una neoplasia, il mieloma multiplo, la cuifrazione etiologica occupazionale è incerta ma che annovera alcune se-gnalazioni non conclusive di correlazione con pregressa esposizione adamianto (3-5).

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Tabella II. Amianto e rischio di colangiocarcinoma. Odds Ratio ed Intervalli di Confidenza al 95% (stime da modelli logisticicondizionati al sesso e d alla classe quinquennale di nascita)

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G Ital Med Lav Erg 2011; 33:3, Suppl 2 73http://gimle.fsm.it

5) G Battista, S Belli, P Comba, C Fiumalbi, M Grignoli, F Loi, D Orsi,I Paredes. Mortality due to asbestos-related causes among railwaycarriage construction and repair workers. Occup Med Vol. 49, No. 8,pp. 536-539, 1999.

CP 14

SILICO-TUBERCOLOSI E TUMORE POLMONARE IN UN EX-MINATORE DEL CARBONE

A. Turano, S. Marinari, V. Colalongo, V. D’Ambrosio, C. Greco, F. Martino, F. De Benedetto, P. Boscolo

Unità Operativa di Medicina del Lavoro dell’Università “G. D’Annunzio”e Dipartimento di Pneumologia dell’Ospedale SS. Annunziata di Chieti -Via dei Vestini, 66100 Chieti

Corrispondenza: Paolo Boscolo - Medicina del Lavoro, Università diChieti,Via dei Vestini, 66110 Chieti - Tel. e Fax 0871-355704, E-mail:[email protected]

RIASSUNTO. In passato la Silico-Tubercolosi era una patologiadiagnosticata frequentemente, visto la diffusione del lavoro in miniera el’alta incidenza della malattia tubercolare.

Seppur oggi osservata di rado, presentiamo il caso di un ex-Minatoredi 76 anni, con anzianità lavorativa di 20 anni, e diagnosi di Silicosi, cheveniva ricoverato nel 2008 per insufficienza respiratoria globale suBPCO, e BAV di 3° grado.

L’esame radiografico dimostrava versamento pleurico bilaterale, egrossolane opacità bilaterali confluenti in sede parailare, da ricondurre apneumoconiosi. La Tc-HR torace, eseguita alcuni giorni dopo, documen-tava che tali formazioni, a carattere pneumoconiotico, presentano calcifica-zioni al loro interno e margini netti irregolari, inoltre si evidenziavano le-sioni subpleuriche inferiori al cm nei segmenti medio-superiori. Dopo circa18 mesi nel giugno 2009, il soggetto veniva ricoverato nuovamente per l’in-sorgenza di dispnea ingravescente e toracalgia in emitorace Dx. All’esameTc-HR, si evidenziava tessuto solido neoformato nel lobo superiore del pol-mone di Sx in prossimità della formazione pneumoconiotica, quest’ultimadi dimensioni aumentate, con infiltrazione della parete toracica e osteolisidelle coste. Posta diagnosi di Silicosi neoplastiforme si effettuava fibro-broncoscopia per ulteriore diagnosi istologica. Quest’ultimo esame mettevain luce una infiltrazione del bronco lobare superiore Sx. Dopo il prelievobioptico il paziente iniziava sanguinamento profuso che lo portava al-l’exitus rapidamnente. Gli esami istologico e colturale del BAL postumi aldecesso, dimostrarono presenza di K epidermoidale e TBC attiva.

Parole chiave: Silicosi, tubercolosi, tumore del polmone.

INTRODUZIONEL’International Agency for Research on Cancer ha classificato la si-

lice cristallina nel gruppo 2 A degli agenti carcinogeni. Oggi le pneumo-coniosi come la silicosi, ancor più se associate ad infezioni tubercolari,sembrano ricordi di altri tempi.

Riportiamo il caso clinico di un ex-minatore di carbone di 76 anni,che aveva lavorato in miniera per più di 20 anni, ricoprendo varie man-sioni, dalla creazione di tunnel, all’estrazione, ed al trasporto del carbone.

L’ex-minatore, sebbene non dedito al tabagismo, sviluppò negli anniuna broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO); inoltre agli esami ra-diologici presentava due grandi opacità pneumoconiotiche simmetrichein zona parailare.

Nel 2009 a distanza di anni, durante un ricovero in ambiente pneu-mologico per l’insorgenza di dispnea e dolore toracico, venne riscontratala presenza di una eteroformazione proprio in prossimità della lesionepneumoconiotica del polmone di Sx.

Questo lavoro descrive la evoluzione del quadro clinico e gli accer-tamenti effettuati.

MATERIALI E METODIL’ex-minatore, era in trattamento da tempo (beta2-agonisti) per una

BPCO e mostrava le prove di funzionalità respiratoria con un quadroostruttivo di grado moderato-severo (FEV1/FVC: 46%; FEV1: 37%) conassociata riduzione della DLCO (37%). Inoltre, da diversi anni, l’Rx to-race evidenziava 2 masse pnuemoconiotiche bilaterali, insieme a nume-rose formazioni nodulari della stessa origine. Nel 2008 a causa di insuf-ficienza respiratoria ipercapnica secondaria a riacutizzazione dellaBPCO e a causa dell’insorgenza di un blocco atrio-ventricolare com-pleto, veniva sottoposto ad esami radiologici e al posizionamento di unpacemaker. La TC torace, riportava la presenza di noduli pneumoconio-tici di diametro inferiore al cm nei segmenti medio-apicali in sede sub-pleurica; di due formazioni solide sempre di origine pmeumoconiotica amargini netti e irregolari in sede parailare con calcificazioni al loro in-terno e dimensioni rispettivamente di 4,1 x 6,3 cm a Dx e di 6,4 x 4,1 cma Sx. Si evidenziava inoltre la presenza di enfisema centrolobulare e pa-rasettale (quadro stabile e sovrapponibile ai controlli precedenti).

A distanza di 1,5 anni nel giugno 2009, il paziente veniva ricoveratoa causa dell’insorgenza di dispnea ingravescente e toracalgia all’emito-race di sinistra. Ad un primo esame radiografico del torace, seguivaqualche giorno dopo una TC-HR che evidenziava la presenza di tessutosolido neoformato nel lobo del polmone superiore di SX in continuitàdella massa pneumoconiotica (Figura 1). Tale eteroformazione di dimen-sioni 7 x 5 cm presentava nel suo contesto segni di fenomeni necrotico-colliquativi e livelli idro-aerei; infiltrava inoltre la parete toracica a li-vello del II e III spazio intercostale con osteolisi dell’arco laterale dellaIII e IV costola.

Figura 1. TC torace di un paziente con silico-tuberxolosi e neoplasia polmonare. La freccia indica la neoplasia polmonare

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Si richiedeva il dosaggio dei markers tumorali: solo il marcatoreneoplastico TPA si presentava elevato con un valore di 123 U/l. Valutatonella norma lo screening emo-coagulativo (PT% = 91%; PT INR = 1,1;aPTT = 27,6 sec), il paziente si sottoponeva ad esame broncoscopico conbroncoscopio flessibile, per consentire prelievo bioptico.

RISULTATIAll’esame fibro-broncoscopico si apprezzava una lesione neopla-

stica con infiltrazione del bronco lobare superiore sinistro. Si eseguiva illavaggio bronchiale, e si procedeva con l’esame bioptico.

Ma subito dopo il prelievo, nonostante l’uso di farmaci antiemorra-gici, il paziente presentava una profusa emorragia, a cui seguiva unagrave insufficienza respiratoria che lo conduceva a morte in poco tempo.

Gli esami istologico e colturale sul liquido del BAL mostrarono lapresenza di un carcinoma epidermoidale e di una tubercolosi.

CONCLUSIONILa silicosi, quale substrato favorevole per lo sviluppo della tuberco-

losi, è stata da sempre documentata, mentre la relazione tra esposizionea biossido di silice o silicosi e cancro del polmone continua ad essere an-cora oggi oggetto di discussione e di studio. Le lavorazioni a rischio disilicosi sono molto frequenti nei paesi emergenti, proprio laddove si staaffermando una medicina del lavoro attenta alle problematiche lavorativetradizionali. In attesa di nuovi studi, bisogna continuare ad incentivare leadeguate misure di prevenzione, quali di DPI filtranti e tute, atti a pro-teggere la salute dei lavoratori.

BIBLIOGRAFIAAntao VC, Petsonk EL, Sokolow LZ, et al. Rapidly progressive coal

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CP 15

ANALISI DESCRITTIVA DEI “REGISTRI DEGLI ESPOSTI AD AGENTI CANCEROGENI” PERVENUTI ALLO S.PRE.S.A.L. DI PALERMO NEL PERIODO 2001-2010

M. Morici1, E. Costagliola2, M. Marsala1, S. Ilardo2, G. Masi2, E. Trapani2, L. Curcurù3, A. Firenze1

1 Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva - Universitàdegli Studi di Palermo2 Servizio di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro(S.Pre.S.a.l.) ASP di Palermo3 Direttore del Servizio di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti diLavoro (S.Pre.S.a.l.) ASP di Palermo

RIASSUNTO. Ai sensi dell’art. 243 del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i. edell’art. 2 del D.M. 12/07/2007 n. 155, il datore di lavoro istituisce ed ag-

giorna, per tramite il Medico Competente, un Registro di esposizione adagenti cancerogeni o mutageni dove, per ciascun lavoratore iscritto, è ri-portata l’attività svolta, l’agente cancerogeno o mutageno utilizzato, e ilvalore dell’esposizione a tale agente, ove noto. Copia di tale Registro vaconsegnata all’ISPESL ed all’Organo di Vigilanza competente per terri-torio, entro 30 giorni dalla sua istituzione, nonché in caso di modifichedel ciclo produttivo, o cessazione di un rapporto di lavoro o dell’attivitàaziendale.

In questo studio si fornisce il quadro delle notifiche pervenute pressol’Unità Operativa Controllo e Vigilanza Sanitaria dello S.Pre.S.A.L. diPalermo, negli anni 2001-2010, descrivendo la distribuzione per tipo diattività lavorativa, mansione dei lavoratori e sostanza cancerogena cuisono esposti. Dallo studio emerge come le sostanze per le quali è mag-giore il numero di lavoratori esposti risultano essere il benzene, la pol-vere di legno duro e l’amianto.

Dai dati analizzati emerge un trend in progressivo aumento del nu-mero di Registri pervenuti nel corso degli anni, e ciò è attribuibile allacrescente sensibilità da parte dei datori di lavoro e dei Medici Compe-tenti riguardo alla problematica del rischio cancerogeno in ambito occu-pazionale; tuttavia, nel periodo esaminato non sono pervenuti Registridegli Esposti relativi ad attività lavorative in cui l’esposizione ad agenticancerogeni è documentata. In considerazione di tale carenza, i dati innostro possesso non sono sufficienti per poter stimare l’effettiva entitàdei lavoratori esposti ad agenti cancerogeni a Palermo e Provincia.

Parole chiave: Agenti cancerogeni, Registro degli esposti, Cance-rogenesi professionale.

INTRODUZIONEIn ottemperanza al D.Lgs. 81/08 e s.m.i., l’Unità Operativa Con-

trollo e Vigilanza Sanitaria dello S.Pre.S.A.L. di Palermo, così come l’I-SPESL, rappresenta l’organo destinatario dei registri delle esposizioniprofessionali a cancerogeni. In questo studio si fornisce il quadro dellenotifiche pervenute presso la nostra U.O. negli anni 2001-2010, descri-vendo la distribuzione per tipo di attività lavorativa, mansione dei lavo-ratori e sostanza cancerogena.

MATERIALI E METODII dati sono stati rilevati dagli archivi dei registri pervenuti all’Unità

Operativa Controllo e Vigilanza Sanitaria dello S.Pre.S.A.L. di Palermonegli anni 2001-2010, e riguardano l’esposizione ad agenti cancerogeniin 45 aziende di Palermo e Provincia.

Tali registri comprendono diverse parti: il Modello C 626/1 in cuisono riportati i dati anagrafici del datore di lavoro, la sintesi delle princi-pali caratteristiche dell’azienda (attività produttiva, agente utilizzato, ad-detti, ecc.); il Modello C 626/2 dove si registrano delle informazioni ri-guardanti i dati anagrafici di ogni lavoratore, l’attività svolta, l’agenteutilizzato, l’intensità, la frequenza e la durata dell’esposizione; il mo-dello C 626/3 in cui vanno comunicate le variazioni intervenute nelleinformazioni che caratterizzano l’azienda; ed infine il Modello C 626/4(qualora il lavoratore non ne sia in possesso) che riporta una richiestadelle “annotazioni individuali” in caso di assunzione di lavoratori chehanno in precedenza esercitato attività con esposizione ad agenti cance-rogeni presso altra azienda.

DISCUSSIONIComplessivamente i lavoratori elencati nei registri sono 225, di cui

196 maschi (87%) e 29 femmine (13%), con età, al momento dellacompilazione del registro, compresa tra 19 e 66 anni. Le attività lavo-rative predominanti riguardano l’erogazione, la miscelazione e la mo-vimentazione dei carburanti; infatti 28 aziende su 45 (62%) sono rela-tive a tale settore; la rimanente quota invece comprende attività di-verse, che vanno dalla bonifica dell’amianto (23%), alla lavorazionedel legno (19%) e alla manipolazione di farmaci antitumorali (10%).Complessivamente le mansioni elencate nei registri sono 34, con unaripartizione percentuale variamente distribuita; infatti il 56,3% dei la-voratori svolgono la mansione di addetto all’erogazione di carburante,il 18% quella di falegname, mentre la restante parte è composta da altremansioni; ne consegue che tra tutte le sostanze elencate, il benzene èl’agente a cui i lavoratori risultano maggiormente esposti (86%), se-guito dalle polveri di legno (37%) e dall’amianto (27%). Altri agenti,come per esempio la formaldeide e il cisplatino, sono rappresentati inpercentuale minore.

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CONCLUSIONIDall’analisi dei dati emerge come dal 2001 al 2010, ad eccezione del

2004, il numero di registri pervenuti allo S.Pre.S.A.L. di Palermo mostraun trend in progressivo aumento: da 4 registri pervenuti nel 2001, si èpassati a 71 registri nel 2010 (Tabella I); ciò è attribuibile alla crescentesensibilità da parte dei datori di lavoro e dei medici competenti riguardoalla problematica del rischio cancerogeno in ambito occupazionale e diconseguenza anche alla compilazione del registro; tuttavia, se conside-riamo tutti gli agenti cancerogeni presenti in ambito occupazionale, no-tiamo come nei registri pervenuti all’U.O. mancano diverse attività lavo-rative, come ad esempio quelle dell’ambito estrattivo e minerario, dellaproduzione di vernici e materie plastiche, dell’industria galvanica e dellagomma, che storicamente si annoverano tra i settori produttivi in cui il ri-schio cancerogeno è ampiamente documentato.

Pertanto i dati in nostro possesso non sono sufficienti per poter sti-mare l’effettiva entità dei lavoratori esposti ad agenti cancerogeni a Pa-lermo e Provincia; questa carenza di informazioni va a sommarsi anchealla sottostima dell’incidenza dei tumori professionali: pochi sono infattii casi che vengono identificati e meno ancora sono quelli riconosciuti dalpunto di vista assicurativo e notificati a norma di legge; ciò è riconduci-bile alla lunga latenza tra esposizione e malattia, alla difficoltà nell’otte-nere un’anamnesi professionale dettagliata dopo la diagnosi, alla multi-fattorialità delle neoplasie e alla conseguente difficoltà ad isolare i casida attribuire al sospetto fattore professionale.

CP 16

EFFETTO DI POLIMORFISMI METABOLICI SUI LIVELLI DI ESCREZIONE DI METABOLITI URINARI IN LAVORATORI DEL SETTORE PETROLCHIMICO: PROPOSTA METODOLOGICAPER LA VALUTAZIONE DEL POSSIBILE EFFETTO PROTETTIVO DI NQO1 SUL DANNO OSSIDATIVO AL DNA

A. Mansi1, I. Amori1, D. Carbonari1, A.R. Proietto1, D. Cavallo2, L. Ursini2, M. Papacchini3, G. Tranfo2

1 Dipartimento Igiene del Lavoro2 Dipartimento Medicina del Lavoro3 Dipartimento Istallazioni di Produzione ed Insediamenti Antropici -Centro Ricerche INAIL ex ISPESL - Via Fontana Candida 1, 00040Monteporzio Catone (Roma)

RIASSUNTO. Obiettivi dello studio sono stati: 1) valutare la possi-bile influenza del polimorfismo dei geni GSTM1, GSTT1 e NQO1 sui li-

velli di biomarcatori urinari dell’esposizione a benzene rappresentati dal-l’acido trans, trans-muconico (t,t-MA) e dall’acido S-fenilmercapturico(SPMA); 2) utilizzare i risultati dell’analisi genotipica per indirizzare suun numero ridotto di soggetti la valutazione del danno al DNA per stu-diare il possibile effetto protettivo di NQO1.

Sono stati reclutati 331 lavoratori del settore petrolchimico di cui 201esposti, sottoposti a sorveglianza sanitaria obbligatoria, e 130 controlli. Sututti i soggetti è stata effettuata l’analisi genotipica per i geni GSTM1,GSTT1 e NQO1. Lo studio ha evidenziato un significativo (p<0.001) ef-fetto modulante del polimorfismo del gene GSTT1 sui livelli di escrezionedi S-PMA in soggetti fumatori e non fumatori e di GSTM1 (p<0.001) soloin quello dei fumatori. Contrariamente a quanto descritto in alcuni lavori,i nostri dati non dimostrano la presenza di livelli più bassi di metabolitiurinari nei soggetti con almeno un allele mutato nel gene NQO1 (genotipiNQO1 Pro/Ser e NQO1 Ser/Ser) rispetto agli omozigoti non mutati(Pro/Pro). Viene presentata una proposta metodologica per orientare lesuccessive analisi del danno genotossico/ossidativo al DNA su un numeroridotto di soggetti, con un significativo risparmio di risorse, che potrebbefornire un modello utile per lo studio di indicatori di suscettibilità conbassa frequenza, quali il polimorfismo del gene NQO1.

Parole chiave: benzene, polimorfismo genetico, danno genotossico-ossidativo.

INTRODUZIONEL’azione tossica del benzene è dovuta alla sua conversione, ad opera

degli enzimi del metabolismo, in composti altamente reattivi che indu-cono danno ossidativo al DNA nei linfociti. Tale danno, se non adegua-tamente riparato, può portare a diversi tipi di alterazioni genetiche, tra cuiaberrazioni cromosomiche, scambio tra cromatidi fratelli, micronucleifino ad eventuale sviluppo di neoplasie. Studi epidemiologici hanno di-mostrato come specifici polimorfismi nei geni del metabolismo degli xe-nobiotici e della riparazione del danno al DNA possano modulare le ri-sposte individuali ad agenti potenzialmente dannosi ed influire sul ri-schio di sviluppare un tumore (Pavanello S. et al., 2000).

Gli enzimi metabolici coinvolti nell’attivazione e detossificazione delbenzene sono codificati all’interno della popolazione umana da geni alta-mente polimorfici. Sia la Glutatione trasferasi T1 (GSTT1) che la Gluta-tione trasferasi M1 (GSTM1) sono implicate nella detossificazione delbenzene ossido. L’assenza del gene di queste proteine comporta la perditadell’attività enzimatica. L’enzima NAD(P)H-chinone ossidoreduttasi 1(NQO1) è un importante antiossidante coinvolto nel catabolismo dell’1,4-benzochinone, un metabolita del benzene che è stato associato con la tos-sicità midollare e la leucemia. Nell’uomo, una mutazione in singola base(609C>T) del gene NQO1 determina la sostituzione della Prolina in Se-rina associata ad una riduzione o perdita di attività dell’enzima. La fre-quenza genotipica dei mutanti omozigoti varia all’interno dei gruppi et-nici, essendo all’incirca pari al 4% nei Caucasici, 5% negli Afro-Ameri-cani, 16% negli Ispanici e 22% negli Asiatici (Ross D et al., 2000). Obiet-tivo di questa prima fase di studio è stato quello di valutare la possibile in-fluenza del polimorfismo dei geni GSTM1, GSTT1 e NQO1 sui livelli dibiomarcatori urinari (SPMA e t,t-MA) e di utilizzare i risultati ottenuti perorientare su un numero ridotto di soggetti le successive indagini sull’e-ventuale presenza di danno al DNA mediante l’uso dell’fpg-comet test.

MATERIALI METODIIn questo studio sono stati reclutati 331 lavoratori del settore petrol-

chimico di cui 201 esposti a basse dosi di benzene e sottoposti alla sor-veglianza sanitaria obbligatoria e il resto consistente in controlli reclutatifra il personale amministrativo. Per la determinazione di SPMA e t,t-MAsono stati prelevati campioni di urina all’inizio e al termine del turno la-vorativo. Per l’analisi del polimorfismo dei geni GSTT1 e GSTM1 è statautilizzata la tecnica della PCR multiplex (Mansi A et al., 2010). L’analisidel gene NQO1 mediante RFLP- PCR è stata realizzata con i seguentiprimers 5’-AAG CCC AGA CCA ACT TCT-3’ e 5’-TCT CCT CAT CCTGTA CCT CT-3’; sui prodotti di amplificazione è stata eseguita una di-gestione con endonucleasi di restrizione (HInf I, Biolabs). Per l’analisistatistica dei risultati si è utilizzato il t-test effettuato mediante il softwareSPSS (versione 14.0).

RISULTATINella Tabella I sono presentati i risultati dell’analisi genotipica con-

dotta sui 331 lavoratori del settore petrolchimico.

Tabella I. Distribuzione temporale e relative percentuali dei Registripervenuti allo S.Pre.S.A.L. nel decennio 2001-2011

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I dati relativi all’analisi dei geni GSTM1 e GSTT1 indicano che lefrequenze alleliche nella popolazione sono in equilibrio di Hardy-Wein-berg. La frequenza degli omozigoti per l’allele mutante del gene NQO1è in accordo con quanto descritto in letteratura per la popolazione cauca-sica (Ross D. et al., 2000). I valori medi dei livelli di escrezione degli in-dicatori biologici (SPMA e t,t-MA) considerati a fine turno lavorativo neidiversi gruppi di lavoratori sono presentati in Tabella II.

composti chimici. In tale studio, i soggetti con genotipo GSTT1 nullo equelli con genotipo NQO1 Ser/Ser presentano un incremento di rischio peravvelenamento cronico da benzene (Chronic Benzene Poisoning, CBP) au-mentato rispetto al genotipo non mutato. Relativamente al polimorfismo delgene NQO1, contrariamente a quanto riportato da Kim e collaboratori(2008), i nostri dati non mostrano la presenza di livelli significativamentepiù bassi di SPMA o t,t-MA nei soggetti con almeno un allele mutato nelgene NQO1 (genotipi NQO1 Pro/Ser e NQO1 Ser/Ser) rispetto agli omozi-goti wild type. Tuttavia, nello studio citato la frequenza dell’allele mutatonel gene NQO1 è del 43% in quanto negli asiatici è circa 2,3 volte superiorea quella della razza caucasica (Kiyohara C. et al., 2005). La proposta meto-dologica per orientare su un numero limitato di soggetti le successive inda-gini sul danno al DNA è stata incentrata sul possibile effetto protettivo del-l’enzima NQO1 dal danno genotossico-ossidativo della miscela complessadi agenti chimici a basse dosi cui i lavoratori sono esposti. Tale criterio hapermesso di individuare all’interno della numerosa popolazione lavorativa36 soggetti caratterizzati dalla presenza di almeno un allele mutante perNQO1 su cui saranno condotte le analisi per la valutazione del danno alDNA in presenza di altrettanti controlli opportunamente individuati.

Ulteriori elaborazioni statistiche dei dati insieme all’analisi di altrigeni polimorfici potranno fornire maggiori delucidazioni in merito allamodulazione delle risposte individuali nei confronti del benzene e sui li-velli di escrezione degli indicatori biologici considerati al fine di ottenereimportanti informazioni anche in merito alla validità degli stessi.

BIBLIOGRAFIA1) Pavanello S, Clonfero E. Biological indicators of genotoxic risk and

metabolic polymorphisms. Mutat Res 2000; 463: 285-308.2) Ross D, Kepa JK, Winski SL, Beall HD, Anwar A, Siegel D.

NAD(P)H: quinone oxidoreductase 1 (NQO1): chemoprotection,bioactivation, gene regulation and genetic polymorphisms. ChemBiol Interact 2000; 129 (1-2): 77-97.

3) Mansi A, Bruni R, Capone P, Paci E, Pigini D, Simeoni C, Gnerre R,Papacchini M, Tranfo G. Low occupational exposure to benzene ina petrochemical plant: Modulating effect of genetic polymorphismsand smoking habit on the urinary t,t-MA/SPMA ratio. Toxicol Lett2011 [Epub ahead of print].

4) Chen Y, Li G, Yin S, Xu J, Ji Z, Xiu X, Liu L, Ma D. Genetic poly-morphisms involved in toxicant metabolizing enzymes and the riskof chronic benzene poisoning in Chinese occupationally exposed po-pulations. Xenobiotica 2007; 37 (1): 103-112.

Tabella I. Frequenza dei polimorfismi genetici nella popolazione lavorativa (n=331)

Tabella II. Concentrazioni urinarie di SPMA e t,t-MA (media± SD; intervallo valori)

Tabella III. Polimorfismo dei geni GSTM1, GSTT1 e NQO1 e concentrazioni di SPMA e t,t-MA (media± SD) a fine turno

lavorativo nei 331 soggetti

I risultati mostrano che le differenze tra i valori medi di SPMA e t,t-MAdegli esposti e dei non esposti non sono statisticamente significative. Alcontrario, i valori differiscono in modo statisticamente significativo(p<0.001) nei fumatori rispetto ai non fumatori, confermando che l’esposi-zione lavorativa al benzene è trascurabile rispetto a quella dovuta al fumo.

Pertanto l’influenza del polimorfismo genico in relazione ai livelli diescrezione degli indicatori biologici è stata valutata solo fra fumatori enon fumatori indipendentemente dall’esposizione lavorativa al benzene.L’analisi dei dati relativi ai polimorfismi dei geni NQO1, GSTM1 eGSTT1 dei 331 soggetti esaminati ha evidenziato un significativo (t- test,p<0.001) effetto modulante del polimorfismo del gene GSTT1 sui livellidi S-PMA in tutti i soggetti e del gene GSTM1 (t-test, p<0.001) solo neifumatori (Tabella III).

I dati non mostrano la presenza di livelli più bassi di metaboliti urinarinei soggetti con almeno un allele mutato nel gene NQO1 (genotipi NQO1Pro/Ser e NQO1 Ser/Ser) rispetto ai soggetti wild type (NQO1 Pro/Pro).

Al fine di orientare la successiva valutazione del danno al DNA suun numero ridotto di soggetti, sono stati selezionati i 12 genotipi omozi-goti per l’allele mutante (NQO1 Ser/Ser), più altri 24 genotipi che pre-sentano tutti un allele mutato (NQO1 Pro/Ser) per NQO1 e almeno ungenotipo nullo per i geni GSTM1 e/o GSTT1.

DISCUSSIONERelativamente all’influenza del genotipo GSTT1 nullo sui livelli di

escrezione dell’SPMA il nostro studio mostra risultati analoghi a quelli ot-tenuti da Chen Y. et al., 2007 che suggeriscono un ruolo chiave sia per ilgene GSTT1 che per NQO1 nella detossificazione e bioattivazione di alcuni

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G Ital Med Lav Erg 2011; 33:3, Suppl 2 77http://gimle.fsm.it

5) Kim YJ, Choi JY, Paek D, Chung HW. Association of the NQO1,MPO, and XRCC1 Polymorphisms and Chromosome DamageAmong Workers at a Petroleum Refinery. J Toxicol Environ Health,Part A 2008; 71: 333-341.

6) Kiyohara C, Yoshimasu K, Takayama K, Nakanishi Y. NQO1, MPO, andthe risk of lung cancer: a HuGE review. Genet Med 2005; 7 (7): 463-78.

CP 17

LAVORO COME OPERAIO ED ESPOSIZIONE A SOLVENTI COME FATTORI DI RISCHIO PER L’INSORGENZA DI LINFOMANON HODGKIN A GRANDI CELLULE B

G.M. Ferri1, C.M. Guastadisegno1, G.F. Romano1, N. Schiavulli1, M. Palma1, T. Martino1, V. Buononato1, G. Specchia2, A.M. Giordano2,T. Perrone2, R. Romanò1, G. Intranuovo1, M. Musti1, L. Vimercati1, P. Mazza3, M. Strusi3, R. Antonucci3, N. Palumbo3, V. Bertetti3, G. Satta4, M.G. Zucca4, P. Cocco4

1 Università degli Studi di Bari, DIMIMP, Sez. “B. Ramazzini”. U.O.C.di Medicina del Lavoro a direzione universitaria2 U.O.C. Ematologia con trapianto, Piazza Giulio Cesare, 11 - 70124 Bari3 U.O.C. Ematologia, ASL Taranto Ospedale Moscati, Quartiere PaoloVI SS 172 - 74100 Taranto4 Università degli Studi di Cagliari, U.O.C. di Medicina del Lavoro, ViaUniversità, 40 - 09124 Cagliari

RIASSUNTO. Lo studio italiano ‘Interazione geni-ambiente nell’e-ziologia dei linfomi’ è nato con l’intento di riunire i gruppi italiani chehanno finora partecipato separatamente al Consorzio Internazionale In-terlymph, promosso dal National Cancer Institute degli Stati Uniti alloscopo di raccogliere tutti i maggiori studi sui linfomi condotti a livellointernazionale ed esplorare nuove ipotesi patogenetiche.

Lo studio è attualmente in corso. La nostra Unità Operativa ha re-clutato 109 casi di linfoma e 43 controlli presso l’Azienda OspedalieraPoliclinico di Bari e presso la ASL Taranto. I casi e i controlli sono statisottoposti a un prelievo ematologico per lo studio di polimorfismi gene-tici (SNPs) e per il dosaggio sierologico di sostanze tossiche e ad en-trambi i gruppi è stato somministrato un questionario.

Non essendo ancora disponibili né i dati ematochimici né quelli rela-tivi agli SNPs, in questa fase abbiamo effettuato un’analisi statistica perclassificare i diversi sottotipi di linfomi in base a un preliminare indicatoredi esposizione a cancerogeni. Abbiamo nella fattispecie ottenuto un asses-sment dell’esposizione occupazionale a diversi fattori utilizzando il mo-dello CAREX (CAR-cinogen EXposure). Dal nostro studio è emerso cheil sottotipo di linfoma più diffuso tra gli operai è il linfoma a grandi celluleB (DLCB), seguito dal Linfoma Follicolare (FL), classificati secondo i cri-teri forniti dall’OMS nel 2008. L’analisi multivariata ha registrato un’au-mentata incidenza di linfoma tra gli operai [OR=4,06 (1,03-15.96)]. Inoltrel’esposizione a solventi cancerogeni (benzene, tetracloruro di carbone, di-cromato di etilene, dibromoetano), aggiustato per le diverse variabili unmodello di regressione logistica non condizionale, è risultata associata adun aumentato rischio di linfoma [OR=3,29 (1,36-7,94)]. Purtroppo in let-teratura queste associazioni sono ancora deboli ed è per questo auspicabileun’implementazione degli studi eziologici sui linfomi.

Parole chiave: linfomi, operai, solventi.

INTRODUZIONEL’eziologia dei linfomi non Hodgkin (LNH) è ancora sconosciuta, tut-

tavia diversi autori hanno osservato significative associazioni tra alcuneprofessioni e l’insorgenza di queste neoplasie (1). Alcuni studi suggeri-scono che l’esposizione occupazionale al tricloroetilene e ad altri solventipotrebbe essere associata ad un elevato rischio di insorgenza di LNH (2).

Nel tentativo di definire i modelli causali del Linfoma non-Hodgkinè nata in ambito internazionale una nuova generazione di studi, che com-binano sofisticate metodologie epidemiologiche e di biologia moleco-lare. Il consorzio Interlymph è stato promosso dal National Cancer Isti-tute - National Istitute of Health degli Stati Uniti allo scopo di raccoglieretutti i maggiori studi sui linfomi condotti a livello internazionale, affron-tando i problemi classificativi e creando le necessarie sinergie per la de-finizione di modelli causali di linfoma.

Lo studio italiano “Interazione geni-ambiente nell’eziologia deilinfomi”, che è parte del consorzio internazionale Interlymph, nasce conl’intento di riunire i gruppi italiani che hanno finora partecipato separa-tamente al consorzio allo scopo di: estendere la banca dati attualmentedisponibile, partecipare agli studi internazionali di mappatura del ge-noma GWAS (genome-wide association study) ed esplorare nuove ipo-tesi eziologiche riguardanti il ruolo di fattori ambientali e occupazionalie loro interazione con polimorfismi genetici.

OBIETTIVI DELLO STUDIOGli obiettivi del nostro studio sono: a) Descrizione delle diverse ti-

pologie di linfomi riscontrata dalla nostra Unità Operativa; b) Valuta-zione preliminare sul ruolo dei fattori occupazionali in relazione al mo-dello CAREX; c)Valutazione della influenza dei fattori individuali edabitudinari in associazione con i linfomi.

MATERIALI E METODIIl presente è uno studio caso-controllo con appaiamento per età

(classi quinquennali), sesso, ASL di residenza. È ancora in corso ed ècondotto presso l’Azienda Ospedaliera Policlinico di Bari nel Diparti-mento di Medicina Interna e Medicina Pubblica (sez. di Medicina del La-voro “Ramazzini”) e nell’U.O.C. Ematologia con Trapianto e pressol’U.O.C. di Ematologia di Taranto.

I casi affetti da Linfoma di Hodgkin (HL), Linfoma non- Hodgkin(NHL), Leucemia linfatica acuta (LLA), Leucemia linfatica cronica(LLC), Mieloma multiplo (MM) sono 109 e hanno età compresa tra 18-70 anni. I controlli sono in parte arruolati presso le U.O. di Oftalmologiae Ortopedia del Policlinico di Bari e dell’Ospedale Moscati di Taranto ein parte sono campioni di popolazione estratti dal Registro Regionale As-sistiti. I casi e i controlli sono stati sottoposti ad un prelievo ematologicodi circa 40ml di sangue per lo studio dei polimorfismi genetici (SNPs) eper il dosaggio sierologico di alcune sostanze tossiche e ad entrambi èstato somministrato un questionario standardizzato. Abbiamo ottenuto unassessment semi-quantitativo sull’esposizione occupazionale a sostanzechimiche utilizzando il modello CAREX (Carcinogen Exposure Matrix).Il carex database fornisce dati di esposizione e stime documentate del nu-mero dei lavoratori esposti per paese, agente carcinogeno e industria. Ilcarex include dati su 139 agenti valutati dallo IARC.

L’analisi statistica è stata ottenuta mediante l’utilizzo del softwareSTATA 9.

RISULTATIÈ stata effettuata una comparazione delle frequenze per diverse varia-

bili confondenti (Età alla diagnosi, Sesso, Titolo di studio e Provincia di re-sidenza) che non ha evidenziato differenze significative. Abbiamo trovatoun’associazione tra l’occupazione come operaio, alcune sostanze chimichecancerogene e l’insorgenza di alcuni sottotipi di NHL della ClassificazioneWHO 2008, in particolare il sottotipo Linfoma diffuso a grandi cellule B(DLBCL) e il Linfoma Follicolare (FL) (Fig. 1). Lo studio univariato haevidenziato un incremento del rischio [OR:1.94(0.90-5.37)] correlato al li-vello di istruzione che rasenta la significatività statistica per i livelli piùbassi di scolarità. Tale riscontro è probabilmente dovuto al legame indirettoche la scolarità ha con lo stato socio-economico. Il rischio di linfoma nonrisulta associato alla familiarità tumorale [OR=0.96 (0.45-2.04)].

Figura 1. Distribuzione di frequenza delle tipologie di linfomisecondo il V livello della classificazione WHOO 2008

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Un incremento del rischio di Linfoma, anche se non statisticamentesignificativo, è stato osservato per il settore della difesa [OR=1,80 (0.20-15.89)], per gli operai [OR=2,99 (0. 82- 10.85)], operatori alimentari[OR=2,01 (0.22-17.98)], e contadini [OR=1,84 (0.37-8,98)]. La esposi-zione a cancerogeni occupazionali, determinata in questa fase solo in mo-dalità qualitativa tramite l’uso del Carex, ha mostrato un incremento si-gnificativo del rischio di cancro per esposizione a solventi (benzene, te-tracloruro di carbonio, dicromato di etilene) [OR=2,24 (1,04-4.97)]. Unincremento del rischio anche se non significativo è stato evidenziato per ifungicidi (Ftalimide) [OR=1,86 (0,38-9.07)]. Gli operai esposti a solventicarcinogeni (benzene, tetracloruro di carbonio, dicromato di etilene)[OR=3,29 (1,36-7.94)] hanno mostrato un rischio significativamente ele-vato di ammalarsi di linfoma. L’età alla diagnosi sembra svolgere un ruoloimportante nella eziologia dei linfomi [OR=1,73 (1,14-2.64)] (Tab. I).

DISCUSSIONEA causa della bassa numerosità campionaria le condizioni di potenza,

di assessment qualitativo e quantitativo di esposizione non sono ancora sod-disfacenti. Allo stato attuale non sono disponibili né dati sulle concentra-zioni di xenobiotici nel siero né dati sui polimorfismi genetici. Tuttavia i no-stri risultati ci permettono di sostenere alcune ipotesi. L’analisi univariata haevidenziato un incremento del rischio di NHL associato alla Ftalimideanche se non statisticamente significativo. Le ipotesi di associazione tra par-ticolari fungicidi e NHL sono riportate in numerose esperienze (3). Altristudi confermano il possibile effetto carcinogenetico dei solventi (benzene,CCL4, tetracloroetilene, dicromato di etilene) nell’eziologia dei linfomi, inparticolare DLBC, tra gli operai. Lo IARC ha classificato il benzene comecancerogeno per l’uomo (gruppo 1) ma questa classificazione si basa sullaforte associazione riportata con la leucemia senza prove relative all’NHL,probabilmente a causa della eterogeneità di questo gruppo di malattie. Glistessi autori hanno quindi proposto uno studio che tenga conto dei diversisottotipi dei linfomi (4). Una serie di recenti studi di popolazione, infatti, haevidenziato che la forza di associazione tra alcuni fattori genetici e ambien-tali e NHL è diversa tra i principali sottotipi (5). Altri studi che hanno uti-lizzato una valutazione retrospettiva di qualità di esposizione al benzenehanno mostrato una associazione tra i sottotipi di DLBCL e FL e il benzene(6). Lo studio di Miligi non ha riportato associazioni tra FL e il benzene (7).Per il tricloroetilene, classificato come probabile cancerogeno per l’uomo(gruppo 2b) in letteratura sono riportate associazioni con l’insorgenza delNHL (8). Nonostante tutte queste esperienze, non è stata evidenziata una re-lazione dose-risposta e neppure una associazione con la durata e intensitàdella esposizione. Il tetracloruro di carbonio è una sostanza utilizzata comesolvente ed è stato oggetto di numerosi studi. In un recente studio caso-con-trollo di popolazione è stato riscontrato per le donne un eccesso di rischioper NHL (9). Il dibromoetano è considerato come cancerogeno dallo IARC(classe 2), ma non vengono segnalate significative associazioni con i NHL.Potrebbe però essere attivato da polimorfismi genetici dei sistemi dellaprima fase (10) oppure agire come promotore della carcinogenesi (11). Na-turalmente le osservazioni di questo studio provengono da una bassissimanumerosità campionaria ma nel momento del pooling dei dati ci sarà la pos-sibilità di raggiungere le giuste dimensioni.

BIBLIOGRAFIA1) Figgs LW, Dosemeci M, Blair A. United States non-Hodgkin’s

lymphoma surveillance by occupation 1984-1989: a twenty-fourstate death certificate study. Am J Ind Med 1995 Jun; 27 (6): 817-35.

2) Ole Raaschou-Nielsen, Johnni Hansen, Joseph K McLaughlin,Henrik Kolstad, Jytte M. Christensen, Robert E. Tarone, and JørgenH. Olsen. Cancer Risk among Workers at Danish Companies usingTrichloroethylene: A Cohort Study. Am J Epidemiol 2003; 158:1182-1192.

3) Berz D, Castillo JJ, Quilliam DN, Colvin G.Pesticides and non-Hodgkin lymphoma: an overview for the clinician. Med Health RI 2011 Jan; 94 (1): 10-2.

4) Jelle Vlaanderen, Qing Lan, Hans Kromhout, Nathaniel Rothman,Roel Vermeulen. Occupational Benzene Exposure and the Risk ofLymphoma Subtypes: A Meta-analysis of Cohort Studies Incorpora-ting Three Study Quality Dimensions. Environmental Health Per-spectives 2011; 119, 2: 159-167.

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6) Cocco P, t’Mannetje A, Fadda D, Melis M, Becker N, de Sanjose S,et al. 2010. Occupational exposure to solvents and risk of lymphomasubtypes: results from the Epilymph case-control study. Occup En-viron Med 67 (5): 341-347.

7) Miligi L, Seniori Costantini A, Veraldi A, Benvenuti A, Vineis WP.Cancer and Pesticides. An Overview and Some Results of the ItalianMulticenter Case-Control Study on Hematolymphopoietic Mali-gnancies. Ann. N.Y. Acad. Sci. 1076: 366-377 (2006). C- 2006 NewYork Academy of Sciences. doi: 10.1196/annals.1371.036

8) Morton LM, Tumer JJ, Cerhan JR, Linet MS, Treseler P A, ClarkeCA, et al. Proposed c1assification of lymphoid neoplasrns for epi-derniologic research from the Pathology Working Group ofthe Inte-mational Lymphoma Epiderniology Consortium (InterLymph).Blood 2007; 110 (2): 695-708.

9) Mark P Purdue, Berit Bakke, Patricia Stewart, Anneclaire J De Roos,Maryjean Schenk, Charles F. Lynch, Leslie Bernstein, Lindsay MMorton, James R Cerhan, Richard K Severson, Wendy Cozen, ScottDavis, Nathaniel Rothman, Patricia Hartge, Joanne S Colt. A Case-Control Study of Occupational Exposure to Trichloroethylene andNon-Hodgkin Lymphoma. Environmental Health Perspectives 2011;119 n. 2: 232-238.

10) Wang R, Zhang Y, Lan Q, Holford TR, Leaderer B, Zahm SH, BoyleP, Dosemeci M, Rothman N, Zhu Y, Qin Q, Zheng T. Occupationalexposure to solvents and risk of non-Hodgkin lymphoma in Con-necticut women. Am J Epidemiol 2009 Jan 15; 169 (2): 176-85.

11) Hawkins WE, Walker WW, James MO, Manning CS, BarnesDH, Heard CS, Overstreet RMCarcinogenic effects of 1,2-dibro-moethane (ethylene dibromide; EDB) in Japanese medaka (Oryziaslatipes). Mutat Res. 1998 Mar 20; 399 (2): 221-32.

CP 18

PROMOZIONE DELLA QUALITÀ DELLA SORVEGLIANZASANITARIA DEI LAVORATORI ESPOSTI A POLVERE DI LEGNOCON PARTICOLARE RIFERIMENTO AI TUNS, NELLA ASL 10

C. Sgarrella1, C. Fiumalbi1, C. Arfaioli1, F. Luongo1, A. Citroni1, R. Paolini1, A.R. Nisticò1, C. Castiglia1, A. Cioni2, P. Bacci2, P. Porzio2

1 U.O. Igiene e Salute nei Luoghi di Lavoro ASL 10 Firenze2 U.O.S ORL ASL 10

Corrispondenza: Dr.ssa Carla Sgarrella - Dirigente medico UF di PISLLzonafiorentina sud est, Dipartimento di Prevenzione ASL 10 Firenze, Via dellaCupola, 64 Firenze - Tel. 3423.3215, E-mail: [email protected]

RIASSUNTO. In un campione di aziende del settore legno dellaASL 10 è stata valutata la qualità della sorveglianza sanitaria e reclutatii lavoratori esposti direttamente o indirettamente a polveri di legno e/o

Tabella I. Rischio di linfomi (OR) degli operai esposti a solventiaggiustato per diverse variabili confondenti e modificatori di effetto

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positivi per disturbi rinologici stati inviati a visita ORL con fibrolaringo-scopia. Solo in una azienda la qualità della sorveglianza sanitaria rispon-deva ai criteri di qualità. Ai lavoratori visitati sono state diagnosticate inprevalenza patologie aspecifiche (rinofaringolaringiti croniche, riniti,etc.) e in alcuni casi polipi delle fosse nasali. La maggior parte dei lavo-ratori ha riferito di non aver una buona informazione soprattutto sullaprevenzione e sui rischi di cancerogenicità della polvere di legno.

Parole chiave: sorveglianza sanitaria, cancerogenicità, tumore oc-cupazionale.

INTRODUZIONEÈ noto che le polveri di legno sono in grado di dar luogo a tumori

del naso e dei seni paranasali (TuNS). Tali neoplasie sono ad elevata fra-zione eziologia e una quota molto consistente dei casi incidenti riconosceuna eziologia professionale. Da stime del Registro Tumori Toscano, il33% dei casi è correlabile alle polveri di legno. I TuNS sono neoplasiecurabili chirurgicamente in stadio precoce, sebbene siano note la ten-denza a recidivare e la invasività fino alla letalità se non adeguatamentetrattate. Una diagnosi precoce, condotta principalmente su base endosco-pica, soprattutto per i TuNS ad insorgenza etmoidale, si può, con le do-vute cautele, considerare ragionevolmente efficace soprattutto per la pro-gnosi. L’obiettivo è quello di promuovere una sorveglianza sanitaria neilavoratori esposti a polvere di legno che tenga conto delle linee guidascientifiche vigenti al fine di promuovere la prevenzione e quando pos-sibile la diagnosi precoce di TuNS, lavoro correlabili.

MATERIALI E METODISono state selezionate alcune aziende del settore del legno della ASL

10 nelle quali è stata valutata la qualità della sorveglianza sanitaria e nel-l’ambito di queste sono stati reclutati tutti i lavoratori esposti diretta-mente o indirettamente a mansioni polverigene Sulla base della anamnesilavorativa (esposizione a polvere di legno duro > di 15 anni) e della po-sitività o meno al questionario specifico per individuare i disturbi nasali,i lavoratori sono stati inviati a visita ORL con fibrolaringoscopia. I datoridi lavoro, i lavoratori e i medici competenti sono stati preventivamenteinformati direttamente e tramite le associazioni di categoria con incontridiretti e materiale divulgativo.

RISULTATIAd oggi sono state valutate circa 8 aziende e circa 80 lavoratori del

settore del legno. Solo in una azienda la qualità della sorveglianza sani-taria rispondeva ai criteri di qualità individuati e tra i lavoratori indagaticirca l’80% presentavano le caratteristiche per accedere alla visita spe-cialistica ORL. Ai lavoratori visitati sono state diagnosticate in preva-lenza patologie aspecifiche (rinofaringolaringiti croniche, riniti, etc.) e inalcuni casi polipi delle fosse nasali. In circa 4 casi sono stati richiesti ac-certamenti diagnostici specialistici (TAC e/o RMN del massiccio fac-ciale). La maggior parte dei lavoratori ha riferito di non aver una buonainformazione sui rischi e sui danni dovuti alla esposizione a polveri dilegno, sull’utilizzo di idonei DPI e soprattutto sulla cancerogenicità dellapolvere di legno. L’indagine è ancora in corso.

DISCUSSIONESulla esposizione a polveri di legno vi sono le Linee guida del “Coordi-

namento tecnico delle regioni” che comprendono sia aspetti igienistici che disorveglianza sanitaria con indicazione, in casi selezionati, di accertamentispecialistici. Tuttavia dalle prime esperienze sul territorio tali indicazioni ri-sultano spesso disattese. Il confronto tra medici competenti, medici del la-voro della ASL e medici specialisti ORL permette di individuare un percorsopreventivo e diagnostico che migliori la qualità della sorveglianza sanitaria.

BIBLIOGRAFIA1) Coordinamento tecnico per la sicurezza nei luoghi di lavoro delle Re-

gioni e delle Province autonome: “Linee guida per la valutazione del-l’esposizione a polveri di legno duro”, RISCH 2002 Modena, 707-753.

2) Pesch B, Pierl CB, and coll. Occupational risks for adenocarcinomaof the nasal cavity and paranasal sinuses in the German wood indu-stry. Occup Environ Med 2008 Mar; 65 (3); 191-6 Epub.

3) De Gabory L, and coll. Carcinogenesis of the ethmoidal adenocarcinomadue to wood dust. Rev Laryngol Oto Rhinol 2009; 130 (2): 93-104.

4) Moscato G, Siracusa A. Rhinitis guidelines and implications for oc-cupational rhinitis. Curr Opin AllergyClin Immunol 2009 April; 9(2): 110-5.

CP 19

ESPOSIZIONE A POLVERI DI LEGNO: DESCRIZIONE DI UN CASODI ADENOCARCINOMA NASO-ETMOIDALE IN UN FALEGNAME

Luigi Borea

Azienda Sanitaria Locale Avellino - Dipartimento di Prevenzione - UnitàOperativa Igiene e Medicina del Lavoro

Corrispondenza: Dr. Luigi Borea - Azienda Sanitaria Locale Avellino -Dipartimento di Prevenzione - Unità Operativa Complessa di Igiene eMedicina del Lavoro - Via Circumvallazione 77 - 83100 Avellino - E-mail: [email protected]

RIASSUNTO. L’esposizione a polveri di legno può determinarel’insorgenza di tumori delle fosse nasali e dei seni paranasali. La polveredi legno è stata classificata dalla IARC come cangerogeno certo (gruppoI). La malattia si presenta con segni aspecifici (rinorrea, episodi di epi-stassi, ostruzione nasale). Caso clinico: falegname di 66 anni, affetto daadenocarcinoma infiltrante etmoidale, sottoposto a ben tre interventi chi-rurgici, due per recidiva. Esso rappresenta un evento sentinella che ne-cessita di un attenta rilevazione dei casi, anche attraverso un programmadi sorveglianza sanitaria per gli ex esposti.

Parole chiave: falegname, esposizione professionale, polveri dilegno.

INTRODUZIONEIl legno è un materiale insostituibile in molti processi produttivi. I

legni sono materiali complessi ed eterogenici, con una quota (95%) dicomponenti comuni a tutte le essenze (cellulosa, emicellulosa e legnina),ed una quota (5%) di componenti particolari specifici per ciascuna classe(tannini, chinoni, resine acide, alcoli, alcaloidi). I vari tipi di legno (es-senze), dal punto di vista merceologico, vengono distinti: su base bota-nica, in legni di latifoglie e di conifere; sulla base della provenienza geo-grafica in indigeni ed esotici; sulla base della loro compattezza, in duri(forti) e teneri (dolci). L’esposizione a polveri di legno può determinarel’insorgenza di tumori delle fossa nasali e dei seni paranasali. Il problemadella cancerogenicità delle polveri di legno è stato affrontato dalla IARCche ha evidenziato una associazione causale tra esposizione a polveri dilegno ed insorgenza di neoplasie delle fossa nasali e dei seni paranasali(gruppo I IARC). I legni duri hanno una potenzialità cancerogena mag-giore di quelli teneri. L’età media di insorgenza è 55-60 anni, con preva-lenza nel sesso maschile. La latenza tra l’inizio dell’esposizione a polveridi legno ed insorgenza della malattia supera abbondantemente i 30 anni.

CASO CLINICOSoggetto di anni 66, sesso maschile. Inizio anno 2010 episodi di epi-

stassi e ostruzione nasale dx, per cui nel mese di aprile effettua esamistrumentali (RNM Massiccio facciale) che evidenzia “tessuto solido a li-vello della fossa nasale dx con riduzione del lume aereo”. Nel maggio TCmassiccio facciale: “ tessuto isodenso che occupa il seno mascellare, l’et-moide ed il seno frontale dx”. Biopsia con esame estemporaneo di “ade-nocarcinoma”.

Nel giugno 2010 ricovero ospedaliero con esame TAC e RNM mas-siccio facciale: “formazione espansiva con epicentro nella fossa nasaledestra che lateralmente sconfina nel seno mascellare”, sottoposto ad in-tervento chirurgico di etmoidomaxillectomia destra. L’esame istologicodefinitivo evidenzia: “adenocarcinoma infiltrante etmoidale G3 eP3,margine di resezione superiore infiltrato da neoplasia”. In data10.09.2010 effettua reintervento di completamento. Segnalata malattiaprofessionale, indennizzata dall’INAIL. Nel mese di giugno 2011 ri-scontro occasionale, durante RM di fallow-up, di “recidiva paraorbitariadx di adenocarcinoma naso-etmoidale dx”, con nuovo intervento chirur-gico.

ESPOSIZIONE LAVORATIVAFalegname dall’età di ventidue anni quale artigiano in proprio fino

al pensionamento nel 2008. Nei circa quaranta anni di attività ha svoltotutte le mansioni che il ciclo lavorativo della fabbricazione e recupero dimobili ed infissi richiede (taglio, sagomatura, piallatura, levigatura, inci-sione, montaggi, verniciatura), ed ha utilizzato sia legni teneri che duri,

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nazionali ed esteri. L’ambiente di lavoro era costituito da un unico locale,eccetto un ambiente separato per la verniciatura. Le fasi lavorative com-portavano la liberazione di quantità consistenti di polveri. Dopo un primoperiodo di tempo, è stato installato un impianto di aspirazione delle pol-veri. Il lavoratore faceva uso di aria compressa, che sollevava nell’am-biente polveri provenienti dalla lavorazione del legno.

DISCUSSIONEL’adenocarcinoma e il carcinoma squamoso nasosinusali sono rico-

nosciuti dall’INAIL come tumori professionali, riconducibili ad esposi-zione a polvere di legno.

La SIMLII suggerisce l’esecuzione della rinoscopia per gli esposti apolveri di legno in occasione della visita assuntiva e periodica.

Le Linee guida dell’ISPESL per le lavorazioni che espongono a pol-veri di legno duro prevedono in occasione della visita del MLC: anam-nesi completa, somministrazione ai lavoratori con pregressa esposizionedi un questionario sui disturbi nasali, esecuzione della rinoscopia ante-riore, e controllo specialistico otorinolaringoiatra.

Poiché questo tumore professionale ha significato un evento senti-nella è necessario una attenta rilevazione dei casi, per cui questa ASL hain corso un censimento di tutti gli ex lavoratori esposti professionalmentea polveri di legno, per effettuare un programma di sorveglianza sanitaria(somministrazione questionario sui disturbi nasali, esecuzione della rino-scopia anteriore, e controllo specialistico otorinolaringoiatra). I nomina-tivi saranno ricavati dagli archivi INPS e dalla CCIA. In una prima faseil programma sarà rivolto gli ex lavoratori autonomi, i quali certamentenon hanno benificiato di nessuna sorveglianza sanitaria. I dati sarannoresi noti, appena terminato lo studio.

BIBLIOGRAFIA1) Società Italiana di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale: Linee

Guida per la formazione continua e l’accreditamento del medico dellavoro. Sorveglianza sanitaria degli esposti a cancerogeni in am-biente di lavoro.

2) Www. Ispesl.it/linee guida legno duro3) www. Ispesl.it /Linee Guida ReNaTuNS4) IARC - Monograph on the avaluation of carcinogenic risk to hu-

mans. Wood dust and formaldehyde. IARC Lyon 62: 3-125 (1995).5) Bonifazi G ed altri. Controllo delle polveri derivanti dalla lavora-

zione di legni duri. Atti del 25° Congresso Nazionale AIDII Ancona2007.

CP 20

RICERCA ATTIVA DI MALATTIE PROFESSIONALI CORRELATE A CANCEROGENI OCCUPAZIONALI NELLA USL8 DI AREZZO: I TUMORI DEI SENI SINONASALI

C. Palumbo, D. Sallese, S. Fani, G. Babbini, L. Bizzi

U.O. Igiene e Salute Luoghi di Lavoro (ISLL) AUSL 8 Arezzo

Corrispondenza: Dr. ssa Claudia Palumbo - U.F. PISLLZona Casentino, P.zzaFolli, 1 - 52014 Poppi (Arezzo) - E-mail: [email protected]

RIASSUNTO. Negli ultimi anni ad Arezzo la ricerca attiva dellemalattie professionali correlate a cancerogeni occupazionali, ha interes-sato i lavoratori esposti a polveri di legno e cuoio. Gli operatori dell’U.O.ISLL di Arezzo, in collaborazione con l’ISPO, hanno compilato 18 que-stionari sulla storia e le abitudini di vita di lavoratori esposti a polveri dilegno e cuoio contribuendo ad implementare il Registro Nazionale deiTumori Naso Sinusali. Questo lavoro evidenzierà i materiali e metodi uti-lizzati per la raccolta e l’elaborazione sistematica delle informazioni in-dividuali – attraverso i questionari sulle abitudini di vita e storia lavora-tiva –, la rete di collaborazioni fra enti e strutture specialistiche, – con at-tivazione di flussi di dati allo scopo di far emergere la componente pro-fessionale nei casi di patologie neoplastiche in cui sia ipotizzabile unacorrelazione con il lavoro svolto –, l’individuazione di occasioni di ri-schio attuali e pregresse,la valutazione della rilevanza dell’esposizione afattori di rischio occupazionali nei casi raccolti, la sorveglianza epide-miologica,gli adempimenti medico legali finalizzati sia alla prevenzioneche ai giusti riconoscimenti dei danni.

Parole chiave: Re.Na.TuNS., Tumori seni nasali e paranasali, Ri-cerca attiva malattie professionali.

INTRODUZIONELa USL 8 di Arezzo collabora al progetto OCCAM (Occupational

Cancer Monitoring), attraverso l’Istituto per lo Studio e la PrevenzioneOncologica (ISPO) della Regione Toscana, in ottemperanza all’art. 244comma 3 lett. c, delle “Linee Guida” emanate dalla Regione Toscana, inmerito ai lavoratori ex-esposti a cancerogeni occupazionali.Il progettoprevede la ricerca attiva delle malattie professionali, secondo la teoriadegli “eventi sentinella” occupazionali di D. Rutstein(1909-1986), per laprima volta enunciata negli anni 80 e tuttora ampiamente utilizzata nellabuona pratica di sanità pubblica.

Nel 2001 è stato redatto un progetto di fattibilità per l’Archivio Re-gionale Toscano dei Tumori Naso-sinusali.(Tu.NS) da un gruppo di la-voro guidato dalla Regione Toscana (ISPO, Azienda Ospedaliera-Uni-versitaria Pisana, Università di Firenze e Siena, UU. FF. delle ASL diEmpoli, Pisa, Firenze, Siena). Terminato il progetto di fattibilità con esitopositivo, negli anni 2006-2011, anche l’U.O. Igiene e Salute Luoghi diLavoro (ISLL) dell’Az. USL8 di Arezzo, ha aderito al ProgettoRe.Na.Tu.NS., partecipando attivamente alla rete di collaborazione isti-tuzionale costituitasi. Tutte le fonti/Istituzioni che fanno parte dell’archi-tettura della rete (reparti di ospedali pubblici e privati, servizi di ana-tomia patologica, di Medicina del Lavoro, Archivi cause di morte, Regi-stri di patologia, Archivi esenzioni ticket, Archivi INPS, Archivi INAIL),inviano ai Centri Oncologici Regionali (COR) i dati in loro possesso, re-lativi ai tumori sino-nasali; i COR sono un centro di raccordo tra le variefonti coinvolte, a garanzia dell’esaustività delle informazioni raccolte. Inparallelo a questa rilevazione cosiddetta “passiva” i COR conduconoanche una ricerca attiva dei casi presso le fonti interessate. La ricerca at-tiva di malattie professionali, relativa ai Tu.NS., svolta in collaborazionecon l’Istituto per la Studio e la Prevenzione Oncologica (ISPO) della Re-gione Toscana, ha comportato per la Ns. ASL la somministrazione di 18questionari sulla storia e le abitudini di vita a lavoratori esposti a polveridi legno e cuoio, contribuendo ad implementare il Registro Nazionale deiTumori Naso Sinusali (Re. Na. Tu. NS), istituito presso l’INAIL - SettoreTecnico Scientifico e Ricerca (ex ISPESL) di cui al Decreto Legislativo81/08 e ss.mm.ii., art. 244 comma 3 lett. c che ha come obiettivo princi-pale la stima dell’incidenza dei Tu.Ns in aree con elevata prevalenza diesposizione a polveri di legno e cuoio.

Altri scopi del Registro sono quelli di definire la probabilità l’inten-sità e la modalità di esposizione a polveri di legno e cuoio per ogni caso,descrivere la frequenza per territorio, sesso e tipo di esposizione, identi-ficare altri possibili fattori di rischio.

MATERIALI E METODILa rilevazione dell’anamnesi occupazionale e di vita, per ogni sin-

golo caso, è stata effettuata attraverso un questionario standardizzato; ilquestionario è somministrato direttamente al soggetto se ancora in vita,a familiari se impossibilitato a rispondere o deceduto.Tutti i soggetti,compresi i Medici di Medicina Generale,contattati in via prioritaria peruna fattiva collaborazione, hanno accettato di partecipare all’indaginedopo essere stati informati, tramite comunicazione scritta, sulle ragionidello studio, la volontarietà della partecipazione, il rispetto della privacye utilizzo dei dati nell’ambito delle finalità dichiarate.

Il questionario è suddiviso in cinque parti:1) Dati anagrafici e caratteristiche dell’intervistato;2) Fattori di rischio extraprofessionali:

2.a abitudine al fumo;2.b precedenti patologie rino-sinusali (sinusite cronica, polipi na-

sali, ipertrofia dei turbinati, rinite allergica);2.c precedenti condizioni predisponenti iatrogene (utilizzo di spray

nasale, di estrogeni - contraccettivi, sostitutivi o terapeutici, ra-dioterapia al volto).

3) Storia professionale:3.a riepilogo generale;3.b scheda professionale generale per industria/artigianato;3.c schede mansioni specifiche (industria del legno, delle calzature,

della concia, forestale,agricoltura).4) Attività hobbistiche.5) Attendibilità delle risposte.

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Le schede mansione-specifiche, sono state compilate per ogni sin-gola attività lavorativa riportata sulla parte riassuntiva della storia pro-fessionale/riepilogo generale. Gli operatori sanitari dell’U.O. ISLLhanno compilato direttamente 17 interviste, spedite al COR; un questio-nario, per necessità operative è stato somministrato telefonicamente daglioperatori del COR Toscano che hanno provveduto ad inviarne la copiaall’U.O. ISLL dell’Az. USL8 Arezzo.

RISULTATITutti i soggetti hanno aderito assicurando la più ampia collabora-

zione all’indagine.I dati anagrafici generali del campione analizzato sono riportati in

Tabella I.Tabella I

Si illustrano i risultati dell’indagine, riportati sui grafici sottostanti:

Grafico 1

Grafico 2

Grafico 3

Grafico 4

Grafico 5

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DISCUSSIONEI risultati di questa indagine, relativi alla popolazione target analiz-

zata, benché esigui, rappresentano un dato importante per la U.O.I.S.L.L. della USL8 di Arezzo, evidenziando:1) una documentata probabilità di esposizione che conferma l’elevato

periodo di latenza di questa patologia;2) una distribuzione per comparti produttivi che conferma una elevata

esposizione nel settore legno, calzaturiero e agriforestale, in lineacon altri studi condotti a livello regionale e nazionale.

3) altri inquinanti occupazionali presenti in alcuni settori lavorativi (co-lorificio, minerario, lavorazione marmo, ecc.), quali potenzialiagenti oncogeni, come riportato nelle più recenti monografie IARC.L’obiettivo ultimo di tale lavoro è quello di assicurare maggiore tu-

tela nei confronti dei Soggetti affetti da neoplasie professionali, esten-dendo il nostro modello di assistenza consolidato per gli ex esposti adamianto (Persona al Centro delle Cure) e di indirizzare interventi di pre-venzione nei settori a maggior rischio occupazionale, secondo il modellodel Risk Management (Fig. 1).

4) Crosignani P. Studio OCCAM Istituto Nazionale per lo Studio e laCura dei Tumori, Milano published online.

5) Iaia TE, Farina G, Ferraro MT, et al. A series of cases of sinonasalcancer among shoemakers and tannery workers. Epidemiol Prev2004 May-Jun; 28 (3): 169-73.

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10) Marinaccio A, Binazzi A, Gorini G, Pinelli M, Iavicoli S, et al. Ma-nuale operativo per la definizione di procedure e standard diagno-stici e anamnestici per la rilevazione,a livello regionale, dei casi ditumore dei seni nasali e paranasali e attivazione del Registro Nazio-nale ReNa Tu.NS. ISPESL dic. 2008 - Ristampa luglio 2009.

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15) Progetto di ricerca ISPESL n. B36/MD/02 Linee guida del RegistroNazionale Tumori Naso-sinusali (ReNATuNS) Roma 2005.

CP 21

TUMORI NASO-SINUSALI IN PUGLIA. IL CASO DI UN FORNAIO

M.C. Grimaldi, A. Pinca, N. Schiavulli, T. Massaro, A. Baldassarre, M. Musti

DIMIMP, Sezione di Medicina del Lavoro “B. Ramazzini”, Universitàdegli Studi di Bari “Aldo Moro”

RIASSUNTO. L’esposizione lavorativa a polveri di cereali nellaproduzione di prodotti di panetteria, può determinare l’insorgenza di tu-mori epiteliali delle fosse nasali e dei seni paranasali. Tale neoplasia haun decorso con sintomatologia subdola ed aspecifica, sovrapponibile aquella di una sinusite cronica (ostruzione nasale unilaterale e progres-siva, epistassi, rinopiorrea). La diagnosi è spesso tardiva, quando occor-rono sintomi legati all’invasione delle strutture anatomiche adiacenti,quali l’orbita (spostamento dell’orbita per edema delle parti molli, di-sturbi visivi), il neurocranio (cefalea e paralisi dei nervi cranici) e losplancnocranio (nevralgia della II branca del trigemino). Caso clinico: la-voratore di 55 anni, occupato per 45 anni nel settore della panificazione,cui è stato diagnosticato un carcinoma a cellule transizionali delle cavitànasosinusali.

Parole chiave: tumori naso-sinusali, esposizione occupazionale,polveri di cereali.

INTRODUZIONEI tumori della cavità nasale e dei seni paranasali (TuNS) sono pato-

logie rare (incidenza 0,7 casi su 100000 persone). L’età media di insor-genza è 55-60 anni, il sesso maschile è maggiormente colpito. Le sedi dipiù comune insorgenza comprendono le cavità nasali ed i seni paranasali(etmoidale, sfenoidale, mascellare ed accessori) mentre, l’orecchiomedio e la tromba di Eustachio rappresentano sedi a minore incidenza.L’istotipo più frequentemente diagnosticato è il carcinoma squamoso(54,1%); altri istotipi sono rappresentati dall’adenocarcinoma (11,8%),carcinoma NAS (Non Altrimenti Specificato, 6,8%), estesioneuroepite-

Figura 1. Modello Risk Management applicabile

Grafico 6

BIBLIOGRAFIA1) AIRTUM Working Group. I tumori in Italia, rapporto 2007: Soprav-

vivenza. Epidemiol Prev 2007; 31 (1).2) Associazione Italiana Registri Tumori. Il cancro in Italia.1988-1992

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G Ital Med Lav Erg 2011; 33:3, Suppl 2 83http://gimle.fsm.it

lioma olfattivo e neuroblastoma (6,1%), melanoma (5,1%), sarcoma(4,8%), carcinoma indifferenziato (4,3%) e carcinoma a cellule transi-zionali (1,4%) ed altri (5,7%). Dal punto di vista eziopatologico sonostati condotti alcuni studi che dimostrano come, in condizioni di infiam-mazione cronica, l’epitelio delle cavità nasosinusali diventi displastico,rappresentando così una lesione precancerosa, al pari di altri condizioniquali polmone, esofago e stomaco. Inoltre, è stato dimostrata l’insor-genza del tumore, nel 3%-13% dei casi, sulla base di una pregressa pa-tologia benigna delle cavità nasosinusali, quale il papilloma invertito eSchneideriano.

Studi epidemiologici hanno dimostrato la correlazione di tali tumoricon l’esposizione ad una serie di agenti, in particolare polvere di legnoduro e di cuoio, nickel e cromo, ma anche composti arsenicati, formal-deide e solventi organici, polveri di cereali e di cemento, fibre tessili eamiantifere (1). Nel 2002 la IARC ha stabilito, sulle base delle evidenzedisponibili, che il fumo di sigaretta è correlabile all’insorgenza di taleneoplasia maligna, in particolare risulta fortemente correlato ai tumoriche originano nel seno mascellare ed all’istotipo squamoso (2).

Tali esposizioni sono prevalentemente di origine professionale, per-tanto l’art. 244 del D. Lgs. 81/2008 ha previsto che presso l’INAIL exISPESL fosse istituito il Registro Nazionale dei tumori naso-sinusali(ReNaTuNS).

MATERIALI E METODIIl COR Puglia ha avviato un’attività di sorveglianza finalizzata al-

l’identificazione di tali tumori e la loro correlazione con attività a rischio.La rilevazione dei casi è effettuata mediante ricerca attiva dei casi pressoi reparti di otorinolaringoiatria (ORL) ed i servizi di anatomia patologica.

Una volta accertata la diagnosi istologica si somministra un questio-nario redatto secondo le linee guida, che indaga sull’esposizione a fattoridi rischio extraprofessionali (fumo, fattori costituzionali o patologici insede naso-sinusale, esposizione a radiazioni ionizzanti, terapie locali, te-rapie con estrogeni), storia professionale ed eventuali attività hobbi-stiche. L’anamnesi lavorativa è approfondita attraverso schede man-sione-specifiche (industria-artigianato, settore del legno, concia, calzatu-riero, forestale, agricoltura-allevamento).

Nell’attività di sorveglianza svolta sono stati individuati 15 casi conanno d’incidenza a partire dal 2002. Nella compilazione del questionarioReNaTuNS è emerso un caso con esposizione professionale a polveri dicereali.

CASO CLINICOPaziente di 55 anni (49 all’età della diagnosi), ex fumatore da 30

anni (24 alla diagnosi) di 2 sigarette/die con filtro per circa dieci anni.Nel 2004 a causa di sintomatologia da ostruzione nasale bilaterale si sot-toponeva a visita specialistica ORL; diagnosi clinica “neoformazionedelle fosse nasali”; e conseguente intervento chirurgico di exeresi dimasse occupanti entrambe le fosse nasali. La diagnosi istologica depo-neva per “carcinoma a cellule transizionali della mucosa nasale”. Dalquestionario somministrato è emersa in anamnesi patologica ORL l’as-senza di eventi predisponenti (negativa per sinusite, poliposi nasale, iper-trofia dei turbinati, utilizzo di farmaci spray irritanti la mucosa nasale, ra-dioterapia al volto). L’unico elemento emerso in anamnesi è relativo adallergia a farine di cereali dal 2003. L’anamnesi lavorativa ha invece evi-denziato un’esposizione lavorativa di circa 45 anni (39 antecedenti ladiagnosi) a farine di cereali, in qualità di fornaio per la preparazione diprodotti di panetteria. Anche l’anamnesi hobbistica ha escluso qualsiasialtra fonte di esposizione.

CONCLUSIONILa farina rappresenta un fattore di rischio per lo sviluppo di tumori

naso sinusali (1); in particolare in letteratura è stata evidenziata una pos-sibile associazione per esposizione alle farine nel settore della panifica-zione (fornai), nonostante non rientri tra le esposizioni tipiche, dato l’e-siguo numero di casi (3). Il nostro caso, estremamente raro (l’istotipocarcinoma a cellule transizionali rappresenta infatti l’1,4% dei TuNS),contribuisce ad incrementare le segnalazioni che associano l’esposizionea farine di cereali con i tumori naso-sinusali.

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gevinas M, Belli S, Bugel I, Bolm-Audorff U, Brinton LA, Comba

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CP 22

LA FAGOCITOSI DELLE CELLULE TUMORALI DA PARTE DEI MASTOCITI

F. della Rovere, R. Brecciaroli, M. Giorgianni, A. Granata

U.O.S. Ufficio Medico Competente, A.O.U. Policlinico di Messina

Corrispondenza: Filippo della Rovere - Tel. 3280266230, E-mail:[email protected]

RIASSUNTO. I mastociti rimangono cellule enigmatiche dopo piùdi 100 anni dalla loro scoperta da parte di Paul Ehrlich. La ricerca nelcorso degli ultimi 20 anni ha finalmente caratterizzato l’origine dei ma-stociti e determinato molti dei fattori coinvolti nella loro differenziazionee proliferazione. I mastociti sono tradizionalmente noti per mediare lereazioni allergiche. Inoltre, queste cellule sono state implicate nella pa-togenesi di molte malattie. Gli studi sul ruolo dei mastociti nel cancrohanno dato risultati contrastanti. Questo studio ha incluso 50 casi di car-cinoma del seno duttale infiltrante non altrimenti specificato (NOS): 25erano Altamente Ormono Recettivi (AOR) con valori dei recettori estro-genici e del progesterone non inferiore al 50%, 25 erano MinimamenteOrmono-Recettivi (<5%). In entrambi i gruppi, i mastociti sono statiquantificati nella zona peritumorale. Questi due gruppi sono stati com-parati con venti casi di interventi chirurgici al seno non per cancro (con-trolli). Si è constatato che nei tumori del seno duttali infiltranti che hannoun alto contenuto di recettori ormonali (>50% sia per gli estrogeni e pro-gesterone), c’è una incremento altamente significativo dei mastociti ri-spetto ai tumori ipoormonali ed ai controlli (P<0,0001). I mastocitihanno così dimostrato di essere cellule molto importanti perché sonostati trovati in grado di svolgere un ruolo attivo nell’opporsi all’aggres-sione delle cellule tumorali. I mastociti rappresentano un fattore protet-tivo del corpo umano contro l’aggressione del cancro. Due fenomeni bio-logici con lo stesso obiettivo sono stati osservati: una cellula tumoraleviene prima fagocitata dai mastociti e poi completamente distrutta dallachemiolisi cariocitoplasmatica attraverso l’azione delle granulazioni ci-totossiche. È stato dimostrato che una o più cellule cancerose sono cir-condate da uno pseudopodio emesso da un mastocita e poi inghiottite nelsuo citoplasma. La cellula fagocitata perde progressivamente le sue ca-ratteristiche cromatiche e volumetriche fino alla completa acromia e ri-duzione della consistenza. Il nucleo della cellula va incontro a picnosi ediventa non più rilevabile.

Parole chiavi: Mastociti, fagocitosi e cellule tumorali.

I mastociti (MCs) sono ancora cellule enigmatiche dopo più di 100anni dalla loro scoperta da parte di Paul Ehrlich. I mastociti hanno undiametro di 25-30 micron e possono modificare la loro morfologia a se-conda della loro attività. Il citoplasma dei MCs può essere così pieno digranuli, che si colorano con tinture metacromatiche come toluidina blu(1), che il carioplasma non è più visibile. I granuli contengono sostanzepreformate, come l’istamina, che ha un’azione vasodilatatrice ed au-menta la permeabilità vascolare, e l’eparina che ha azione anticoagula-tiva. L’attivazione dei MC induce anche neoformazione di molecole che

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derivano dalla membrana: leucotrieni e citochine (per esempio TNF-α)(2). I MCs hanno molte funzioni esercitate attraverso la loro capacità diprodurre una serie di sostanze attive biologicamente: la serotonina, la do-pamina, la triptasi e la chimasi. I MCs hanno funzioni eterogenee, possi-bilmente sito-specifiche ed hanno la capacità di adattarsi all’ambiente(3). Le ricerche nel corso degli ultimi 20 anni ha finalmente caratteriz-zato l’origine dei MCs e determinato molti dei fattori coinvolti nella dif-ferenziazione e proliferazione dei MCs (4). I MCs si trovano in ogni or-gano, ma soprattutto nella pelle, nei vasi dell’albero respiratorio, nel tes-suto connettivo e nel sangue (1). I MCs sembrano essere cellule alta-mente specializzate con cruciali funzioni biologiche. I granuli dei MCsattivati sono sottoposti a degranulazione con rilascio delle sostanzepreformate e conservate (5). Anche se i mastociti sono cellule altamentedifferenziate, mastociti maturi hanno un notevole potenziale riprodut-tivo, che potrebbe implicare una stretta correlazione tra MCs e cellulepluri-potenti (6). I MCs sono generalmente conosciuti perché mediano lereazioni allergiche e più recentemente sono stati implicati in una varietàdi infezioni (7). In aggiunta queste cellule sono state implicate nella pa-togenesi di disordini autoimmuni: dermatite atopica, psoriasi e artritereumatoide (7). I MCs sono coinvolti nella reazione infiammatoria nonspecifica, fibrosi, angiogenesi e guarigione delle ferite, e giocano unruolo importante nella protezione da certe infezioni batteriche (8). I MCshanno la capacità di modulare la risposta immunitaria innata dell’ospiteverso agenti infettivi. Come cellule effettrici del sistema immunitario in-nato i MCs sono in grado di distinguere una varietà di agenti infettivi edi legarsi ad essi. La membrana dei MCs è piena di recettori diversi tracui quelli che promuovono il riconoscimento e l’attacco di batteri (2). IMCs hanno dimostrato di essere una fonte importante di elementichemio-tattici dopo lo stimolo del sistema immunitario: Fra le numerosesostanze chemio-tattiche che possono essere rilasciate dai MCs, il Fattoredi Necrosi Tumorale α (TNF α) è di particolare interesse perché i MCshanno la capacità unica di conservare il TNF α presintetizzato e quindisono in grado di rilasciarlo spontaneamente dopo l’attivazione. La prote-zione contro i parassiti pluricellulari avviene attraverso mediatori va-soattivi come l’istamina e la serotonina, che vengono rilasciati dalla de-granulazione. I MCs possono ingerire particelle attraverso i recettoriIgG, IgE e del complemento (9). Non si sa molto riguardo al preciso si-gnificato biologico della fagocitosi da parte dei MCs in vivo, perché l’at-tenzione è stata focalizzata sui contributi dei MCs verso la difesa dell’o-spite contro l’infezione di alcuni batteri (10). I MCs hanno un ruolochiave nella regolazione dell’immunità innata ed acquisita (11). Gli studisul ruolo dei MC nel cancro hanno dato risultati contrastanti (12, 13). Inun nostro studio precedente (14), si è constatato che nel cancro del senoduttale infiltrante con alta recettività ormonale (> 50% sia per gli estro-geni che progesterone), vi è stato un aumento altamente significativo deiMCs rispetto allo stesso cancro ma ipoormonale ed ai controlli (p<0,0001). Nel presente studio, è descritto, con l’osservazione al micro-scopio ottico, quello che accade nei siti in cui le cellule cancerose (CC)incontrano un MC.

MATERIALI E METODICinquanta campioni sono stati selezionati dagli archivi dell’Istituto

di Anatomia Patologica di Messina. I campioni inclusi in paraffina com-prendono: 25 casi di cancro al seno duttale infiltrante non altrimenti spe-cificato (NOS), sia con recettori estrogeni e progesterone superiori al50% e 25 casi di cancro al seno duttale infiltrante NOS con minimi re-cettori (<5%) per estrogeni e progesterone. Questi gruppi sono stati con-frontati con 20 casi di parenchima mammario da chirurgia non correlataal cancro che sono stati esaminati come controlli. Il conteggio dei ma-stociti è stato ottenuto attraverso l’esame di campioni di 4 micron disi-dratati e colorati con Alcian blu (pH 0,3) e Giemsa (pH 0,7). La media èstata ottenuta contando il numero dei mastociti nel parenchima mam-mario in 10 campi al microscopio ottico con un ingrandimento x 200. Ledue procedure di colorazione hanno dato una conta dei mastociti simi-lare. Sono stati contati i mastociti presenti nella zona peritumoralementre le aree infiammatorie non sono stati esaminate.

ANALISI STATISTICAIl test non parametrico (NPC test) (15) è stato utilizzato per valutare

le differenze tra i tre gruppi per quanto riguarda la percentuale dei ma-stociti presenti. Un p<0,05 è stato considerato statisticamente significa-tivo.

RISULTATI E DISCUSSIONESi è riscontrato che nel cancro del seno duttale infiltrante con un alto

contenuto di recettori ormonali (> 50% sia per gli estrogeni che il proge-sterone), vi è un aumento altamente significativo dei mastociti (Media0.41±0.16) rispetto ai tumori ipoormonali (Media 0.17±0.11) ed ai con-trolli (Media 0.13±0.06) (p <0,0001). La lettura al microscopio dei pre-parati da exeresi tumorale hanno tutti confermato la fagocitosi delle cel-lule tumorali da parte dei mastociti. Il verificarsi di questo fenomeno èben documentato dalle Figure 2-5 che illustrano le cinque fasi che carat-terizzano la fagocitosi delle cellule tumorali da parte dei MCs nel lorotentativo di contrastare il cancro. Le cinque fasi possono essere così rias-

Figura 1. Un mastocita con citoplasma pieno di granuli (stato diallerta)

Figura 2. Un mastocita con uno pseudopodio che ingloba unacellula tumorale. Nota la modifica del polo a contato con la CC: Ilpolo è stipato di granuli che si concentrano alla periferia della CC

Figura 3. Al centro, un MC che ingloba due CC che sono a differentistadi di lisi. Quella a più diretto contato ha citoplasma più acromicoe nucleo picnotico. Il polo del mastocita a contatto con la CC hameno granuli di quello della Figura 2

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sunti: a) un MC trasportato dal sangue approccia una CC, b) il MCemette uno pseudopodio che avvolge completamente la CC; c) la CC ètrasferita dallo pseudopodio al citoplasma del mastocita e viene subitocircondata dalle granulazioni tossiche, d) la chemiolisi delle cellule tu-morali avviene attraverso la picnosi nucleare e l’acromia citoplasmatica,poi la cellula tumorale perde la sua consistenza e restano frammenti dimembrana cellulare ancora visibili, e) il MC continua a fagocitare altrecellule tumorali finché il citoplasma del mastocita si satura. Allo stessotempo, le granulazioni citotossiche progressivamente scompaiono. Pre-sumibilmente, il mastocita pieno di cellule tumorali inghiottite rimane in

circolazione nel seno o nel connettivo fino a quando è completamente di-strutta, come comunemente accade ad altri elementi cellulari dopo l’a-poptosi. In questa fase, il mastocita assume una caratteristica forma,come mostrato nella Figura 5, che potrebbe. essere definita come “ma-cromastocita plurifagocitante”.

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CP 23

DESI-MS2: STUDIO DI METODI INNOVATIVI PER L’ANALISIDIRETTA IN TRACCE DELLA CICLOFOSFAMIDE IN AMBITOOSPEDALIERO

G. Fabrizi, M. Fioretti, L. Mainero Rocca, R. Curini

Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro(INAIL) - Area ISPESL, Dipartimento Igiene del Lavoro, LaboratorioAgenti Chimici, Monte Porzio Catone, Roma

Corrispondenza: Dr. Giovanni Fabrizi - E-mail: [email protected]

RIASSUNTO. L’uso di citostatici antiblastici (CA) per il tratta-mento del cancro è una pratica comune negli ospedali e l’esposizioneprofessionale a CA costituisce un potenziale pericolo per la salute deglioperatori. Inoltre molte pubblicazioni hanno dimostrato che la contami-nazione da CA è ancora presente sulle superfici di lavoro dopo le proce-dure di pulizia. Tra i farmaci citotossici trattati in ambito ospedaliero, ab-biamo scelto la ciclofosfamide (IARC, gruppo 1) come indicatore diesposizione professionale.

Con l’obiettivo di valutare l’esposizione alla ciclofosfamide del per-sonale ospedaliero addetto alla preparazione e somministrazione dei CA,

Figura 4. In basso a Dx un MC che ha inglobato un gruppo di CC.Le CC sono acromiche e senza il nucleo a causa della lisi avanzata.Il polo del MC che ha distrutto le cellule è quasi privo di granulirispetto alle precedenti figure

Figura 5. Tre MCs mostrano differenti stadi di fagocitosi e citolisi diCC. Molte CC sono acromiche e senza nucleo. I MCs sono alla finedel loro ruolo di difesa contro l’aggressione delle CC e possonoessere definiti come “macromastociti plurifagocitanti”

Figura 6. MCs con il loro citoplasma pieno di granuli. I MCsagiscono da barriera per le cellule neoplastiche. Molti MCs hannoinglobato CC

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in questo studio presentiamo tre metodi di screening innovativi e rapidibasati sull’uso dell’interfaccia Desorption Electrospray Ionization(DESI) accoppiata con uno spettrometro di massa a triplo quadrupolo.

Dal momento che la contaminazione da ciclofosfamide nei luoghi dilavoro è spesso dovuta all’aerosolizzazione delle sue polveri o liquidi, alcontatto diretto con materiali contaminati e ad errate procedure di pu-lizia, abbiamo messo a punto due metodi per l’analisi ambientale e unoper il monitoraggio biologico. A questo scopo, per il monitoraggio am-bientale, abbiamo usato una placca di vetro stampata con PTFE comecampionatore passivo e un panno a cattura elettrostatica come wipe,mentre per il monitoraggio biologico abbiamo scelto la matrice urina.Tutti i campioni sono analizzati direttamente senza alcun pre-tratta-mento.

I metodi proposti sono in grado di fornire informazioni qualitativesulla presenza/assenza della ciclofosfamide e consentono analisi rapide,accurate, eco-friendly e, non ultimo, low-cost.

Parole chiave: DESI-MS/MS, Farmaci antiblastici, Esposizione oc-cupazionale.

INTRODUZIONEL’utilizzo dei farmaci antiblastici per il trattamento di patologie tu-

morali è una prassi consolidata e mostra un trend positivo nella praticaospedaliera. L’esposizione occupazionale a queste sostanze costituisceun fattore di rischio per i lavoratori tanto che gli effetti avversi sulla sa-lute sono stati largamente studiati sin dai primi anni ’70 (1) e si è dimo-strata una correlazione tra l’esposizione occupazionale ed una crescentemutagenicità urinaria. Inoltre, diverse pubblicazioni hanno evidenziatoche la contaminazione da farmaci citostatici persiste sulle superfici di la-voro anche dopo le procedure di pulizia (2, 3). Gli incidenti che coinvol-gono gli operatori sanitari, l’uso sempre più ampio di queste sostanzeanche per patologie non neoplastiche, la formulazione di nuovi farmaci ela persistenza del rischio per il personale sanitario, concorrono alla ne-cessità di sviluppare nuovi metodi di analisi efficaci e rapidi per garan-tire la salute dei lavoratori.

Il personale sanitario addetto alla manipolazione degli antiblastici èpotenzialmente esposto ad un ampio spettro di sostanze ma, per questostudio, fra tutti i principi attivi utilizzati, è stata selezionata la ciclofosfa-mide (CP) (IARC, Gruppo 1) (4) come indicatore di esposizione profes-sionale grazie al suo diffuso impiego.

In letteratura sono riportati molti metodi di analisi delle superfici dilavoro e dei fluidi biologici (ad es. 5-7) che prevedono l’utilizzo di unaprocedura più o meno lunga di pretrattamento, ma per questo lavoro si èpensato di valutare la risposta di una pioneristica interfaccia a desorbi-mento per ionizzazione electrospay per lo screening ambientale e biolo-gico di ambienti e personale ospedalieri.

Con la Desorption Electrospray Ionization (DESI) si applica la tec-nica di ionizzazione dell’electrospray a campioni in fase solida (8): l’a-nalita viene contemporaneamente ionizzato e desorbito dalle molecolecariche di un opportuno solvente e gli spettri di massa risultanti sono si-mili a quelli ottenuti con le comuni sorgenti electrospray. Le caratteri-stiche chimico-fisiche di tale sorgente la rendono particolarmente inte-ressante per l’analisi diretta delle superfici contaminate, dei wipe test uti-lizzati per il campionamento e dei fluidi biologici (senza pretrattamento).In questo lavoro si sono sviluppati tre metodi di screening: uno sui wipetest, uno su campionatori passivi e uno sull’urina degli esposti.

MATERIALI E METODITutti gli esperimenti descritti in questo studio, sono stati condotti

con uno spettrometro di massa ibrido quadrupolo/trappola ionica lineare

(API 4000 QTrap) equipaggiato con una sorgente DESI 2D. La ionizza-zione dell’analita si ottiene direzionando un aerosol carico, ottenuto me-diante un processo di elettronebulizzazione pneumaticamente assistito(gas di nebulizzazione: azoto), sul campione solido a pressione atmosfe-rica. Lo spray (2 µl/min) è costituito da acetonitrile allo 0.1% in acidoformico ed impatta sul campione con un angolo di 55°; le distanze ago-campione ed ago-ingresso allo spettrometro di massa sono rispettiva-mente 0.5 e 4.0 mm, infine, il voltaggio applicato all’ago è di 5500V.L’acquisizione è stata condotta in Multiple Reaction Monitoring (MRM)seguendo le transizioni 261/233 e 261/140 m/z.

Per l’analisi della contaminazione delle superfici sono stati adottatidue approcci: il wipe testing ed il campionamento passivo.

Wipe test: 100 cm2 di superficie sono stati campionati con 4 cm2 dipanno a cattura elettrostatica (Swiffer®) e scansionati in continuumsenza alcun pretrattamento (Fig. 1).

Campionatore passivo: sono state utilizzate piastre di vetro (2x4 cm)stampato con spot di teflon incollate in aree strategiche ai fini della va-lutazione (ad es. piano cappa, piano di lavoro, carrello servitore, pavi-mento, cornetta del telefono etc.).

Mentre per il monitoraggio biologico il campionamento è stato ef-fettuato ad inizio e fine turno e l’urina degli esposti, dopo deposizione supiastra, è stata sottoposta a screening senza alcun clean up. Per il cam-pionatore passivo e per l’urina tutti gli spot sono stati analizzati in se-quenza a tre diverse quote considerando che l’analita mostra una distri-buzione disomogenea (Fig. 1).

RISULTATII tre metodi studiati sono qualitativi e i Limiti di Rivelabilità (LODs)

su ciascuna matrice sono stati valutati diminuendo progressivamente laquantità di ciclofosfamide addizionata all’urina, sullo spot o sulla super-ficie da testare. I LODs sono stati definiti come la quantità di CP in gradodi fornire un segnale 3 volte superiore al rumore di fondo su tutti i 100campioni analizzati (assenza di falsi negativi) considerando la transi-zione meno intensa. Nel caso specifico dell’analisi su piastra le tre quoteacquisiste per ogni spot devono essere lette contemporaneamente ed ilcampione è considerato positivo se e solo se in almeno una delle quote èpresente un picco (Signal ≥ 3Noise) sulla transizione meno intensa.

I Limiti di Rivelabilità sono risultati essere: per i wipe test 25pg/cm2, per il campionatore passivo 10 pg/mm2 e per l’urina 1 ng/µl. InFigura 2 a titolo esemplificativo sono riportate le correnti ioniche dellatransizione più intensa (261/140 m/z) ottenute ai LODs; per il campio-natore passivo e per l’urina è stata riportata una sola delle tre quote ana-lizzate, mentre per lo Swiffer® è riportata la scansione dei 4 cm2 utiliz-zati per il campionamento.

Sulla matrice biologica è stato, inoltre, valutato empiricamente uneffetto matrice pari a circa il 65%.

DISCUSSIONELa scelta del campionatore passivo è scaturita dalla consapevolezza

che la contaminazione dei luoghi di lavoro è spesso dovuta all’aerosoliz-zazione di polveri e soluzioni di ciclofosfamide nonché dallo scarso ri-spetto delle procedure di pulizia.

Considerando che la deposizione dell’analita sul campionatore è ca-suale, si è avuta la necessità di massimizzare la superficie spazzata dallospray al fine di aumentare la probabilità che la ciclofosfamide vengacampionata (riduzione al minimo dei falsi negativi).

I risultati ottenuti in tutti e tre i casi sono stati incoraggianti e, pur sei metodi sono perfettibili, aprono grandi possibilità di impiego e studio.Infatti, l’analisi diretta delle superfici, dei wipe test e dell’urina ha un

Figura 1. Rappresentazione schematica della modalità di scansione per la piastra (a sinistra) e per lo Swiffer® (a destra)

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Figura 2. Correnti ioniche della transizione 261/140 m/z ai LODs. A) campionatore passivo (11 spot); B) urina (11 semine); C) Swiffer®(lettura completa)

G Ital Med Lav Erg 2011; 33:3, Suppl 2 87http://gimle.fsm.it

grande potenziale e rappresenta un approccio completamente nuovo perla valutazione dell’esposizione occupazionale ai farmaci antiblastici.Inoltre, non prevedendo estrazione né clean up del campione si riducenotevolmente le quantità di solventi impiegati salvaguardando di conse-guenza anche la salute degli operatori addetti all’analisi chimica. Per-tanto i metodi proposti sono in grado di fornire informazioni qualitativesulla presenza/assenza della ciclofosfamide e consente analisi rapide, ac-curate, eco-friendly e, non ultimo, low-cost.

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