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Capitolo Duecentoventisettesimo – LA TUTELA DI MERITO E L’ASSORBIMENTO DEL PROVVEDIMENTO CAUTELARE 1563. L’instaurazione necessaria del giudizio di merito. 1563.1. L’onere di instaurazione del giudizio di merito. 1563.2. Il giudice competente per il merito. Rinvio. 1563.3. Applicazione del rito cui è sottoposta la controversia decisa in sede cautelare. 1563.4. Le parti. 1563.5. La procura ai fini del giudizio di merito. 1563.6. Il luogo di notificazione dell’atto di citazione. 1563.7. Art. 51 c.p.c. e identità tra giudice della cautela e giudice del merito. 1563.8. Illegittima unificazione del procedimento cautelare e della causa di merito. Rinvio. 1564. La instaurazione «facoltativa» del giudizio di merito. 1565. L’oggetto del giudizio di merito. 1565.1. Nuove eccezioni e difese. 1565.2. Il rapporto con la cautela emessa ante causam. 1565.3. I vizi del procedimento cautelare. 1565.4. «Nuove» domande proposte nel giudizio di merito. 1565.5. Il materiale istruttorio acquisito in sede cautelare. 1565.6. Inidoneità della cautela a produrre effetti sulla decisione di merito. 1565.7. La liquidazione delle spese del procedimento cautelare. 1566. L’assorbimento della misura cautelare nella decisione di merito sul diritto cautelato. 1566.1. Sentenze di condanna. 1566.2. Sentenze di mero accertamento e di modificazione giuridica sostanziale. 1566.3. Sentenza di condanna in futuro. 1566.4. Assorbimento implicito. 1566.5. Sentenza di merito e improcedibilità del giudizio di reclamo.

Assorbimento provvedimento cautelare

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Capitolo Duecentoventisettesimo – LA TUTELA DI MERITO E L’ASSORBIMENTO DEL PROVVEDIMENTO CAUTELARE

1563. L’instaurazione necessaria del giudizio di merito.

1563.1. L’onere di instaurazione del giudizio di merito.

1563.2. Il giudice competente per il merito. Rinvio.

1563.3. Applicazione del rito cui è sottoposta la controversia decisa in sede cautelare.

1563.4. Le parti.

1563.5. La procura ai fini del giudizio di merito.

1563.6. Il luogo di notificazione dell’atto di citazione.

1563.7. Art. 51 c.p.c. e identità tra giudice della cautela e giudice del merito.

1563.8. Illegittima unificazione del procedimento cautelare e della causa di merito. Rinvio.

1564. La instaurazione «facoltativa» del giudizio di merito.

1565. L’oggetto del giudizio di merito.

1565.1. Nuove eccezioni e difese.

1565.2. Il rapporto con la cautela emessa ante causam.

1565.3. I vizi del procedimento cautelare.

1565.4. «Nuove» domande proposte nel giudizio di merito.

1565.5. Il materiale istruttorio acquisito in sede cautelare.

1565.6. Inidoneità della cautela a produrre effetti sulla decisione di merito.

1565.7. La liquidazione delle spese del procedimento cautelare.

1566. L’assorbimento della misura cautelare nella decisione di merito sul diritto cautelato.

1566.1. Sentenze di condanna.

1566.2. Sentenze di mero accertamento e di modificazione giuridica sostanziale.

1566.3. Sentenza di condanna in futuro.

1566.4. Assorbimento implicito.

1566.5. Sentenza di merito e improcedibilità del giudizio di reclamo.

1566.6. La asserita «ultraefficacia» del sequestro giudiziario.

1566.7. La conversione del sequestro conservativo in pignoramento. Rinvio.

1563. L’instaurazione necessaria del giudizio di merito.

Si sono già esaminati nel capitolo 219o, al quale rinviamo, gli aspetti e le questioni relative alla fissazione – quando è necessaria –, da parte del giudice della cautela, nel provvedimento di accoglimento, del termine per iniziare la causa di merito, nonché alla natura di questo termine, espressamente definito perentorio dal primo comma dell’art. 669-octies c.p.c. Entro sessanta giorni (termine così modificato dalla legge n. 80 del 2005) dalla pronuncia dell’ordinanza cautelare se avvenuta in udienza ovvero dalla sua comunicazione a mezzo di biglietto di cancelleria, il giudizio di merito strumentale a una cautela non ultrattiva deve essere iniziato, pena la perdita di efficacia della cautela, ai sensi del primo comma dell’art. 669-novies c.p.c. (v. il capitolo 221o).

Ci limitiamo qui a ribadire che l’obbligo di iniziare il giudizio di merito non discende dal provvedimento di fissazione contenuto nell’ordinanza di accoglimento della domanda cautelare, ma direttamente dalla legge 1. Questo significa che, per le cautele non ultrattive (cioè, per le misure cautelari diverse dai provvedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c., dagli altri provvedimenti idonei ad assicurare gli effetti della decisione di merito, nonché dai provvedimenti nunciatori: v. ancora il capitolo 219o), quest’obbligo deve ritenersi sussistente anche quando il giudice, per qualsiasi ragione (compresa la ritenuta, ma a torto, ultrattività della cautela), non abbia fissato il termine in questione, che, in questo caso, è comunque quello, ex lege, di sessanta giorni.

Allo stesso modo, se il giudice della cautela abbia erroneamente fissato, per l’inizio del giudizio di merito, un termine superiore, oggi, a sessanta giorni, questo provvedimento non autorizza, né legittima l’instaurazione del giudizio oltre il termine espressamente dichiarato perentorio dall’art. 669-octies c.p.c., in quanto tale non prorogabile e derogabile nemmeno dal giudice.

Nel presente capitolo saranno esaminate alcune delle questioni che sorgono, o possono sorgere, a partire dalla pendenza della causa di merito, in relazione alla cautela concessa ante causam, fino al momento dell’assorbimento (o dell’inefficacia ex lege) del provvedimento cautelare (compreso quello concesso in corso di causa) da parte della decisione di merito.

1 Sulla sottoposizione del termine per iniziare la causa di merito alla sospensione durante il periodo feriale (su cui v. anche Trib. Napoli 4 luglio 2001, in Dir. ind. 2002, 129, con nota di Bellomunno) v. il capitolo 219o. In generale, sulla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale v. il Volume primo, Tomo primo, capitolo 38o.

1563.1. L’onere di instaurazione del giudizio di merito.

La legge non indica né la parte su cui grava l’onere di instaurazione della causa di merito, né tanto meno l’oggetto del giudizio di merito da iniziare.

Ferma la possibilità, anche da parte del soggetto passivo della misura urgente, di instaurare autonomo giudizio di ordinaria cognizione per l’accertamento negativo del diritto sottoposto a cautela, questa iniziativa, ove assunta, non è comunque sufficiente ad evitare la perdita di efficacia del provvedimento, in quanto il giudizio di merito, al quale la legge fa riferimento, è quello che deve concludersi con la sentenza i cui effetti sono stati assicurati in via di cautela atipica.

Ciò comporta che il soggetto che si è visto accogliere, in tutto o in parte, la domanda cautelare con un provvedimento non ultrattivo non può restare inerte e ha l’onere di attivarsi per la tempestiva instaurazione del giudizio di merito ovvero per la proposizione, nello stesso giudizio che nelle more sia stato eventualmente già instaurato dall’altra parte, di domanda riconvenzionale, previa costituzione in cancelleria che deve avvenire, in ogni caso, entro il termine perentorio sopra indicato.

In altri termini, il giudizio di merito può essere certo instaurato anche dal soccombente in cautela, sia prima della pronuncia della cautela stessa sia ancora entro il termine di efficacia; ma non ci sembra – avendo riguardo ai principi generali sull’interesse ad agire – che l’azione del convenuto in cautela possa mai valere a mantenere efficace il provvedimento cautelare reso a favore dell’altra parte.

Alla parte vittoriosa in cautela incombe, pertanto, l’onere, di provvedere ad instaurare la causa di merito, prima della scadenza del termine in questione, al fine di formulare la o le relative domande. Lo potrà fare sia dando impulso ad un giudizio autonomo – da riunire con quello eventualmente già proposto dall’altra parte –, sia proponendo, sempre nel rispetto del termine perentorio, una domanda riconvenzionale in quel giudizio.

1563.2. Il giudice competente per il merito. Rinvio.

Sul «vincolo» della competenza cautelare su quella di merito e, più in generale, sulle conseguenze, ai fini dell’individuazione del giudice davanti al quale iniziare il giudizio di merito, dell’avvenuto svolgimento del procedimento cautelare davanti ad un determinato ufficio giudiziario v. il capitolo 212o.

1563.3. Applicazione del rito cui è sottoposta la controversia decisa in sede cautelare.

La causa di merito deve essere iniziata con l’osservanza delle norme del rito cui la controversia decisa in sede cautelare ante causam è dalla legge sottoposta.

Analogamente a quanto accade per l’opposizione a decreto ingiuntivo (v. il capitolo 193o), l’errore nella individuazione del rito può comportare conseguenze assai gravi per la cautela, quando, a causa della mancata adozione della forma dell’atto introduttivo prescritta dal rito applicabile, potrebbe non essere rispettato il termine perentorio per l’inizio della causa di merito.

Se, ad esempio, il provvedimento cautelare ha avuto ad oggetto una controversia in materia locatizia, il giudizio di merito deve essere introdotto nelle forme del ricorso ex art. 447-bis c.p.c., e la notifica di un eventuale atto di citazione, pur se tempestiva, non varrà ad evitare la «sanzione» dell’inefficacia della cautela se il deposito in cancelleria dello stesso (in occasione dell’iscrizione a ruolo) non sarà avvenuto entro il detto termine.

In caso di errata introduzione con atto di citazione, il termine perentorio è rispettato, secondo Trib. Belluno 16 settembre 2003 2, solo se la causa è iscritta a ruolo nel predetto termine.

Vale naturalmente l’inverso in caso di errata scelta della forma del ricorso, in luogo di quella dell’atto di citazione. In questo caso, la perdita di efficacia della cautela si verificherà se la notificazione del ricorso (e del decreto di fissazione dell’udienza) avviene oltre il termine per l’inizio della causa di merito.

Anche se l’errore sul rito non incide, di per sé, sulla validità della domanda giudiziale, nel senso che introdurre un processo con forme diverse da quelle sue proprie non comporta, di per sé, la conclusione del processo, né il rigetto della domanda per motivi di mera procedura, ma solo la possibilità che, a seguito di eccezione di parte od anche di rilievo officioso, lo stesso processo prosegua, previo mutamento di rito, secondo diverse regole processuali e si concluda con sentenza di merito, esso può incidere sul rispetto di termini e di forme e determinare, in questo caso, secondo la giurisprudenza, conseguenze assai gravi: si pensi, ad esempio, all’introduzione del processo di lavoro in grado di appello con citazione, anziché con ricorso, depositata dopo la scadenza del termine di impugnazione o all’opposizione a decreto ingiuntivo per crediti di lavoro, pure introdotta con citazione (tardivamente depositata in cancelleria) anziché con ricorso, dalla quale la giurisprudenza fa conseguire l’inammissibilità del processo se l’atto di citazione non sia depositato in cancelleria entro lo stesso termine per il deposito del ricorso 3.

2 In Gius. 2004, 2601.

3 L’inammissibilità o l’improponibilità dell’opposizione avverso il decreto ingiuntivo non osta, secondo Cass. 15 marzo 2001, n. 3769, a che l’opposizione medesima produca gli effetti di un ordinario atto di citazione, nel concorso dei requisiti previsti dagli artt. 163 e 163-bis c.p.c., con riguardo alle domande che essa contenga, autonome e distinte rispetto alla richiesta di annullamento e revoca del decreto. Nello stesso senso Cass. sez. un. 19 aprile 1982, n. 2387, in Giust. civ. 1982, I, 2363.

Cass. 1 febbraio 2001, n. 1396, ha ritenuto applicabile l’art. 434, comma secondo, c.p.c. all’ipotesi di appello proposto con atto di citazione, a condizione che lo stesso sia depositato nella cancelleria del giudice dell’impugnazione nel termine di trenta giorni dalla notificazione della sentenza impugnata. Già Cass. 3 novembre 1984, n. 5577, richiamando il principio di convalidazione degli atti processuali nulli, ha ritenuto valido l’appello anche se proposto con citazione ad udienza fissa, anziché con ricorso, in quanto l’atto era stato depositato prima della scadenza del termine di impugnazione. Sempre richiamando la possibilità che, ai sensi dell’art. 159 c.p.c., il ricorso si converta in citazione, Cass. 6 giugno 1988, n. 3828 e Cass. 14 ottobre 1983, n. 6021, hanno ribadito che quest’ultima in tanto può produrre gli effetti del ricorso, in quanto sia depositata in cancelleria nel termine di cui all’art. 641, non potendo la notificazione della citazione spiegare l’effetto costitutivo del rapporto e quindi determinare le conseguenze proprie dell’opposizione ad ingiunzione.

Con riferimento al procedimento di opposizione ad ordinanza-ingiunzione (v. il capitolo 123o del Volume secondo), se l’opposizione è proposta con citazione, l’atto è idoneo, secondo Cass. 15 dicembre 1999, n. 14113, alla tempestiva instaurazione del giudizio solo se depositato nel rispetto dell’indicato termine, non essendo sufficiente la mera notificazione nel termine stesso.

Ancora, se l’appello avverso la sentenza di separazione tra coniugi (v. il capitolo 127o) è stato introdotto con citazione, trova applicazione il principio di conversione degli atti processuali viziati, sempre che la costituzione dell’appellante, con il deposito in cancelleria dell’atto di impugnazione, sia intervenuta entro il termine di proposizione della stessa; nell’affermare questo principio Cass. 8 maggio 1996, n. 4290, ha ritenuto che a nulla rileva che, entro i detti termini, sia stata effettuata la notificazione all’appellato.

1563.4. Le parti.

Si potrebbe ritenere che l’individuazione delle parti che debbono partecipare al giudizio di merito debba, più o meno meccanicamente, seguire gli stessi criteri che hanno portato all’individuazione

delle parti che hanno partecipato al procedimento cautelare, in una sorta di necessario «parallelismo» tra parti di quest’ultimo e parti della causa di merito.

Anche se, il più delle volte, le parti sono le stesse, occorre tener conto che l’autonomia della tutela cautelare e, per converso, della tutela di merito, non consente simili automatismi, ma rende necessaria, nella fase di individuazione delle parti che debbono essere chiamate a partecipare al giudizio di merito, l’applicazione delle regole ordinarie.

In particolare, si segnalano le seguenti questioni:

a. alcuni procedimenti cautelari possono essersi svolti nei confronti di più soggetti – si pensi ad un’istanza di sequestro conservativo proposta in cumulo nei confronti di più (presunti) debitori solidali –, per alcuni dei quali potrebbe non essere necessaria od opportuna la partecipazione alla successiva causa di merito.

A questa ipotesi, forse, ha inteso riferirsi Trib. Roma 22 novembre 1999 4 quando ha escluso che sussista litisconsorzio necessario tra coloro che hanno partecipato alla fase cautelare rispetto all’instaurando giudizio di merito, in ipotesi nella quale la domanda di tutela cautelare avrebbe potuto essere validamente ed utilmente proposta nei confronti di uno solo dei convenuti, non incidendo si una situazione sostanziale necessariamente plurilaterale.

In questo caso, la mancata partecipazione di questi soggetti, già parti del procedimento cautelare ante causam, comporta certamente la perdita di efficacia, nei loro confronti, della misura cautelare di accoglimento eventualmente emessa.

b. Al procedimento cautelare possono aver partecipato soggetti, nei confronti dei quali non si formulano o non si vogliano formulare domande di merito.

È il caso, in particolare, di quei soggetti che, in quanto destinatari di ordini cautelari – come, ad esempio, la Camera di commercio, per ordini di non pubblicare o di cancellare protesti di cambiali o di assegni: v. il capitolo 208o –, debbono, a parer nostro, partecipare al processo cautelare, ma non necessariamente a quello di merito.

Va, al riguardo, considerato che, come si vedrà anche in seguito, non rientra nell’oggetto del giudizio di merito (successivo alla celebrazione del procedimento cautelare ante causam o comunque alla pronuncia di una misura cautelare in corso di causa) il «riesame» circa la sussistenza o insussistenza dei presupposti in base ai quali la misura cautelare è stata emessa nel procedimento ante causam, il quale è possibile – sempre in applicazione del principio di autonomia della tutela cautelare – solo all’interno di quest’ultimo con l’esperimento della fase di reclamo. Si è già osservato nel capitolo 214o che al giudice del merito sono trasferiti i poteri di «gestione» della cautela emessa ante causam (in particolare, revoca, modifica e attuazione), ma non quelli di «controllo» sul rispetto dei presupposti per la concessione della cautela, che sono attribuiti, appunto, al giudice del reclamo. Con la conseguenza, ci sembra, che soggetti, che pur hanno partecipato al procedimento cautelare, non debbono partecipare al giudizio di merito, sempre che non siano destinatari di specifiche, nuove domande formulate in questa sede (si pensi, ad esempio, alla domanda risarcitoria per il ritardo nell’attuazione dell’ordine cautelare).

Nel caso dell’ordine di cancellazione dal Bollettino di un protesto del quale si prospetti l’illegittima levata e del connesso ordine di pubblicazione della rettifica, il provvedimento d’urgenza, secondo Cass. 30 agosto 2004, n. 17415, si atteggia con un contenuto e una direzione tali che il destinatario del mezzo di tutela cautelare è un soggetto diverso da quello che dovrà essere convenuto nel

giudizio di merito quale soggetto nei cui confronti è richiesta la tutela giurisdizionale finale e definitiva di accertamento dell’illecito e risarcitoria: nell’enunciare questo principio, in un caso nel quale la richiesta cancellazione era dipesa dall’illegittimità del protesto per fatto colposo del pubblico ufficiale responsabile della levata, la Corte, muovendo dal rilievo che le ragioni della partecipazione della Camera di commercio al procedimento erano destinate ad esaurirsi con l’emissione del provvedimento cautelare, senza alcuna altra necessità che la stessa fosse chiamata nel giudizio di merito, ha confermato la sentenza impugnata, la quale da tale estraneità della Camera di commercio aveva tratto la non applicabilità, nei suoi confronti, della pronuncia di condanna alle spese.

Il giudizio cautelare, volto ad ottenere la cancellazione di dati erroneamente iscritti nella Centrale di Allarme Interbancaria gestita dalla Banca d’Italia, deve necessariamente svolgersi, secondo Trib. Roma 5 luglio 2003 5, anche nei confronti di quest’ultima, quand’anche il ricorrente intenda promuovere il giudizio (risarcitorio) di merito nei confronti del solo responsabile della erronea trasmissione dei dati.

c. La formulazione di nuove domande nella causa di merito – a parer nostro, ben possibile: v. il paragrafo 1566 – può rendere necessaria la partecipazione di soggetti diversi da quelli del procedimento cautelare.

4 In Gius. 2000, 701.

5 In Giur. rom. 2004, 97.

1563.5. La procura ai fini del giudizio di merito.

L’autonomia del giudizio di merito richiede che il difensore, per proporre la domanda o per contraddire alla stessa, sia munito di procura ad litem che attribuisca allo stesso il potere di svolgere le attività difensive necessarie ai fini della tutela di merito (v. il Volume primo, Tomo primo, capitolo 29o).

Una volta affermato il principio del necessario rilascio di una procura ad hoc, riteniamo, in difformità dall’orientamento della giurisprudenza, che non possa valere la procura speciale rilasciata per il procedimento cautelare, nemmeno se questa esprime, più o meno chiaramente, la volontà della parte di essere rappresentata e difesa dallo stesso difensore anche nel successivo giudizio di merito. Il principio di specialità della procura esclude, infatti, che essa possa conservare validità ed efficacia in un processo diverso da quello in cui è stata rilasciata. Il rilievo che il processo cautelare non costituisce una «fase» di un unitario processo e che la causa di merito non si «riassume», ma si inizia, giustifica, rectius impone, questa conclusione.

Dal rilievo che il procedimento cautelare costituisce un procedimento distinto ed autonomo rispetto a quello di merito, ancorché legato ad esso da un nesso di strumentalità, Cass. 8 giugno 2004, n. 10822, desume la duplice conseguenza che, ottenuta la pronuncia sull’istanza cautelare, si deve iniziare un nuovo procedimento per il merito, e che, a tal uopo, va rilasciata altra procura, avendo quella precedentemente rilasciata ormai esaurito i suoi effetti; la procura speciale rilasciata per il procedimento ante causam può, peraltro, nonostante la piena autonomia di questo procedimento rispetto all’eventuale giudizio di merito, abilitare il procuratore ad introdurre il successivo giudizio a cognizione piena (ovvero a resistere ad esso) a condizione che la procura sia «riferibile in modo certo e non equivoco anche al giudizio di merito, e che quest’ultimo giudizio verta sullo stesso oggetto del procedimento cautelare inizialmente introdotto»; con la conseguenza, sempre secondo la Corte, che, ove la parte riassuma con comparsa il procedimento cautelare, e la comparsa contenga

gli elementi dell’atto di citazione, sì da costituirne valido equipollente, è egualmente soddisfatta l’esigenza di dare inizio a un nuovo procedimento, e non occorre altra procura quando quella rilasciata per la fase cautelare si riferisca in modo certo ed inequivocabile anche al giudizio di merito.

Seppure la successiva instaurazione del giudizio di merito, che è autonomo rispetto al procedimento cautelare, rende in via di principio necessaria una distinta procura, anche secondo Cass. 27 ottobre 2003, n. 16094 6, il mandato rilasciato per la fase cautelare consente al difensore anche di introdurre la causa di merito, qualora la parte abbia in esso manifestato inequivocabilmente volontà di estenderlo a quest’ultimo.

Secondo Cass. 17 aprile 1996, n. 3646, la procura speciale rilasciata ai fini di un procedimento ex art. 700 promosso ante causam può, nonostante la piena autonomia di questo procedimento rispetto all’eventuale giudizio di merito, abilitare il procuratore ad introdurre il successivo giudizio a cognizione piena (ovvero a resistere in esso), a condizione che la procura sia «riferibile in modo certo e non equivoco anche al giudizio di merito e che quest’ultimo giudizio verta sullo stesso procedimento di cui all’art. 700».

Il procedimento promosso a norma dell’art. 700 c.p.c., pur avendo carattere cautelativo e strumentale rispetto alle statuizioni che in sede di cognizione ordinaria saranno successivamente adottate dal giudice competente per il merito, costituisce, secondo Cass. 4 marzo 1993, n. 2642, oggetto di un procedimento autonomo e distinto da quello di merito; ne consegue che, per dare inizio a quest’ultimo giudizio (o per resistere ad esso), è necessario il conferimento di una distinta procura al difensore, non potendo a tal fine ritenersi valida quella rilasciata per il precedente e diverso procedimento, la quale esaurisce i suoi effetti con la definizione del procedimento stesso, salvo che la procura rilasciata con il ricorso iniziale (o con la comparsa di risposta del convenuto) sia formulata in modo da rilevare inequivocabilmente la volontà della parte di estendere il mandato anche al successivo giudizio di cognizione.

La procura speciale conferita al difensore in sede di ricorso ex art. 700 con la formula «per il presente e per tutti i gradi del giudizio» o altra equivalente, secondo Trib. Cagliari 10 marzo 1994 7, deve ritenersi estesa al giudizio di merito da instaurarsi dopo l’adozione del provvedimento d’urgenza, sempre che «l’atto sia stato richiamato nella citazione e venga depositato al momento della costituzione nello stesso giudizio di merito senza contestazione della controparte».

La parte che rilascia procura per atto pubblico per il procedimento d’urgenza, secondo Pret. Torre Annunziata 6 marzo 1998 8, manifesta inequivocabilmente la volontà di estendere il mandato anche al successivo giudizio di cognizione, sicché non è necessario per quest’ultimo il rilascio di successiva distinta procura.

6 In Giust. civ. 2004, I, 58.

7 In Riv. giur. sarda 1995, 114, con nota di Corpino.

8 In Foro it. 1998, I, 2307.

1563.6. Il luogo di notificazione dell’atto di citazione.

Sempre in ragione dell’autonomia del giudizio di merito, la notificazione dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di merito deve essere effettuata non al difensore costituito nel procedimento cautelare ormai concluso, ma al convenuto nel suo domicilio reale.

Sul presupposto che il procedimento per i provvedimenti d’urgenza ex art. 700 ed il successivo procedimento di merito non costituiscono fasi distinte di un unico processo, ma due processi formalmente autonomi, la notificazione dell’atto di citazione per il giudizio di merito, secondo Cass. 10 luglio 1991, n. 7630, non deve essere effettuata, ai sensi dell’art. 170 c.p.c. al procuratore costituito nel procedimento per i provvedimenti d’urgenza, ma deve essere fatta al convenuto nel suo domicilio reale.

L’atto di citazione introduttivo del giudizio di merito dopo l’esaurimento del procedimento cautelare ante causam deve essere notificato, secondo Trib. Roma 25 maggio 2001 9, alla parte personalmente e non al difensore costituito nel detto procedimento.

Anche secondo Trib. Modena 11 febbraio 2004, Trib. Trani 4 luglio 2000 e Trib. Brescia 16 maggio 1995 10, l’atto introduttivo del giudizio di merito deve essere notificato alla parte personalmente e non già al procuratore domiciliatario della parte nella fase cautelare.

Ci sembra possibile che la notificazione sia validamente eseguita, sempre nei confronti della parte convenuta, anche nel domicilio eletto presso il difensore costituito nel procedimento cautelare, quando la volontà della parte espressa nell’elezione di domicilio inserita nella procura rilasciata in sede cautelare sia nel senso di attribuire al difensore un potere di «rappresentanza», a questo specifico fine, che vada oltre il giudizio cautelare, ai sensi dell’art. 141 c.p.c. In questo caso, valgono i limiti imposti dall’ultimo comma dell’art. 141 e la notificazione non può essere eseguita nel domicilio eletto se è chiesta dallo stesso domiciliatario, se questi è venuto meno o si è trasferito fuori della sede indicata nell’elezione di domicilio o è cessato l’ufficio.

La procura rilasciata per la fase cautelare e che contenga l’elezione di domicilio presso il difensore, l’indicazione di sua validità oltre la fase cautelare, nonché la menzione delle fasi di opposizione e di esecuzione successive al provvedimento urgente, soddisfa, secondo Cass. 15 marzo 2002, n. 3794 11, l’esigenza che è alla base dell’art. 141 c.p.c., il quale individua nella volontà della parte la fonte della legittimità di un’elezione di domicilio che vada oltre la fase processuale nella quale viene compiuta.

Nel caso in cui la procura speciale rilasciata ai fini di un procedimento cautelare promosso ante causam abiliti il procuratore ad introdurre anche il successivo giudizio a cognizione piena, essendo riferibile in modo certo e non equivoco anche al giudizio di merito che fa seguito al procedimento cautelare, in questo caso, la notifica dell’atto introduttivo del giudizio ordinario, secondo Cass. 28 gennaio 2003, n. 1236 12, è validamente effettuata presso il procuratore costituito nel procedimento volto all’emissione del provvedimento d’urgenza.

L’elezione di domicilio, secondo Cass. 4 dicembre 2003, n. 18518 13, ha la stessa ampiezza della procura, salvo che espressamente non sia posta una limitazione ad un solo grado o fase del giudizio.

La citazione del giudizio di merito che segue la concessione di una misura cautelare ante causam, secondo Cass. 15 marzo 2002, n. 3794 14, è regolarmente notificata al domicilio eletto dalla parte presso il difensore nominato con la procura alle liti rilasciata per il procedimento cautelare

In ogni caso, se la citazione è notificata al difensore nel domicilio già eletto ai fini dell’(ormai definito) processo cautelare, il vizio è, in ogni caso, di nullità e mai di giuridica inesistenza, in quanto la notificazione è eseguita in un luogo comunque riferibile alla parte e non dà luogo ad una di quelle eccezionali ipotesi di radicale invalidità che possono dare luogo al fenomeno della giuridica inesistenza (sui rapporti tra nullità e inesistenza v. il capitolo 44o) . Trattandosi di nullità, il vizio è sanabile (ad esempio, con la costituzione della parte) e di esso può essere disposta la

rinnovazione ai sensi dell’art. 291 c.p.c. (v. il Volume primo, Tomo secondo, capitolo 56o), idonea ad impedire ogni decadenza.

9 In Gius 2001, 2784.

10 Rispettivamente in Giur. loc. – Modena 2004, Gius. 2001, 2781 e in Foro it. 1995, I, 2995.

11 In Giust. civ. 2003, I, 1101, con nota di Trinchi.

12 In Giur. it. 2003, 2027.

13 In Giust. civ. 2004, I, 1276.

14 In Giur. it. 2003, 52, con nota di Frus.

1563.7. Art. 51 c.p.c. e identità tra giudice della cautela e giudice del merito.

Con sentenza 7 novembre 1997, n. 326, che ci trova consenzienti, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di costituzionalità dell’art. 51 c.p.c., nella parte in cui non impone l’obbligo di astensione al giudice della causa di merito che abbia concesso provvedimento d’urgenza ante causam.

A sostegno della decisione la Corte ha, tra l’altro, affermato:

a. che ben diversa (rispetto a quella, presa in considerazione dal n. 4 dell’art. 51, di pluralità di gradi di giudizio) è la situazione che si presenta quando «l’iter processuale semplicemente si articoli attraverso più fasi sequenziali (necessarie od eventuali poco importa), nelle quali l’interesse posto a base della domanda – e che regge il giudizio – impone l’appagamento di esigenze, a quest’ultimo connesse, di carattere conservativo, anticipatorio, istruttorio ecc.»: tanto più che, nell’intenzione del legislatore, il principio di concentrazione impone che di regola sia sempre lo stesso giudice a condurre il processo e che il giudice già investito di una cognizione sommaria anche ante causam sia il più adatto a decidere sul merito, com’è dimostrato, tra l’altro, proprio dall’avere la riforma del 1990 attribuito la competenza cautelare ante causam all’ufficio giudiziario competente per il merito;

b. non valgono per il processo civile «tutte le considerazioni svolte dalla Corte» con riferimento al processo penale, «che è finalizzato essenzialmente all’accertamento del fatto ascritto all’imputato, la cui posizione viene costantemente assistita dal favor rei;

c. la concessione della misura cautelare ante causam si fonda sul presupposto (oltre che del pregiudizio irreparabile) del fumus boni iuris, che deve risultare da «un semplice giudizio di verosimiglianza, concretizzantesi in una valutazione probabilistica circa le buone ragioni dell’attore, le quali vanno preservate dal rischio di restare irreversibilmente compromesse durante il tempo necessario a farle valere in via ordinaria»;

d. la cognizione che il c.p.c. attribuisce al giudice in sede di provvedimenti cautelari ante causam lascia «assolutamente irrisolto il quesito circa l’esito finale del giudizio e non anticipa affatto la decisione del merito, mirando solo a tutelare temporaneamente un preteso diritto onde salvaguardarlo dal pregiudizio grave e irreparabile, ravvisato sulla base di una valutazione provvisoria e di semplice verosimiglianza»;

e. a differenza di quanto disponeva l’art. 252 del previgente c.p.p., l’art. 273, primo comma, del codice di rito penale attuale consente la misura cautelare solo in base ad un giudizio che, pur senza raggiungere il grado di certezza richiesto per la condanna, sia di alta probabilità dell’esistenza del reato e dell’esserne autore l’indagato, tanto che lo stesso giudice deve esporre con adeguata motivazione i gravi indizi giustificanti in concreto la misura applicata (art. 292, lett. C, c.p.p.) e dare una valutazione negativa non solo circa l’esistenza di cause di proscioglimento ex art. 273 stesso codice, ma anche in ordine alla possibilità di ottenere con la eventuale sentenza di condanna la sospensione condizionale della pena (art. 275, comma 2-bis, introdotto dall’art. 4, legge 8 agosto 1995, n. 392): presupposti, questi, che nettamente si differenziano dal fumus boni iuris e dal periculum in mora sufficienti alla cautela in sede civile.

Con ord. 26 maggio 1998, n. 193, sono state dichiarate manifestamente infondate, con riferimento all’art. 24 Cost., le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 51, comma 1, n. 4, c.p.c. – nella parte in cui non prevede che il giudice abbia l’obbligo di astenersi allorché abbia conosciuto della causa in sede di procedimento cautelare proposto anteriormente al giudizio di merito – e 669-octies c.p.c. – nella parte in cui non prevede (con disposizione analoga a quella contenuta nel secondo comma dell’art. 669-terdecies) una specifica causa di incompatibilità alla trattazione e decisione del giudizio di merito costituita dall’aver conosciuto della controversia nella fase del procedimento cautelare introdotto prima dell’inizio della causa di merito, in quanto analoga questione era stata già dichiarata non fondata con la sent. n. 326 del 1997 e le considerazioni ivi svolte assumono, secondo la Corte, valenza generale estensibile anche al censurato art. 669-octies c.p.c.

Con ordinanza del 21 ottobre 1998, n. 359, la Corte costituzionale ha ribadito la manifesta infondatezza della questione, in quanto – premesso che lo scrutinio di costituzionalità richiesto deve incentrarsi sull’art. 51 c.p.c., nella parte in cui non prevede la incompatibilità del magistrato, che abbia conosciuto della causa in fase cautelare, a partecipare alla decisione del merito; che la Corte ha già affermato che «le insopprimibili esigenze di imparzialità del giudice sono risolvibili nel processo amministrativo attraverso gli istituti della astensione e della ricusazione, previsti dal codice di procedura civile» – anche per il processo amministrativo può essere confermato, come rilevato con la sentenza n. 326 del 1997 a proposito del giudizio civile, che la cognizione attribuita al giudice in sede di provvedimenti cautelari lascia irrisolto il quesito circa l’esito finale del giudizio e non «anticipa» la decisione del merito, mirando solo a tutelare temporaneamente un preteso diritto (o interesse legittimo) onde salvaguardarlo dal pregiudizio grave ed irreparabile ravvisato sulla base di una valutazione provvisoria e di semplice verosimiglianza; del resto, eventuali anormali pronunciamenti del giudice in sede cautelare non possono dare fondamento ad un vizio di costituzionalità, risolvendosi in cattiva applicazione della procedura, ed anzi, in tali casi, è «dovere del giudice di valutare, nel concreto, se esistono gravi ragioni di convenienza legittimanti l’astensione», secondo la previsione del medesimo art. 51.

Con riferimento al procedimento possessorio, con ord. 19 giugno 2000, n. 220 e 18 marzo 2004, n. 101, la Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 3 e 24 cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 51 c.p.c., laddove non prevede che, nell’ambito del giudizio possessorio, il giudice che abbia trattato la fase sommaria ha il dovere di astenersi dal decidere anche la successiva fase di merito, con motivazioni riguardanti l’asserita «identità, in entrambe le fasi in cui il giudizio possessorio necessariamente si articola, sia della res iudicanda, sia della valenza della relativa istruzione probatoria».

In termini più generali, Cass. 4 gennaio 2001, n. 70, ha ritenuto non «riferibili al processo civile» le considerazioni relative alle incompatibilità del giudice nel quadro dell’art. 34 c.p.p., attese le profonde differenze strutturali e funzionali tra il modello penale e quello civile.

1563.8. Illegittima unificazione del procedimento cautelare e della causa di merito. Rinvio.

Su questa ipotesi, davvero patologica, nella quale, in spregio al principio di autonomia della tutela cautelare, il procedimento cautelare, sia ante causam sia in corso di causa, si è concluso anziché con apposita ordinanza sulla domanda cautelare, con provvedimento che ha «unificato» la fase cautelare con quella di merito, rinviamo alle considerazioni e ai richiami svolti nel capitolo 208o.

1564. La instaurazione «facoltativa» del giudizio di merito.

Nei capitoli 189o, per i profili sistematici, e 219o, con riferimento al provvedimento di accoglimento della domanda cautelare, sono già stati esaminati i rapporti tra la cautela ultrattiva e l’inizio «facoltativo» del giudizio di merito.

In questi casi, la parte vittoriosa in cautela è affrancata dall’obbligo di iniziare nel termine di sesanta giorni il giudizio di merito, e ciascuna delle parti è chiamata a valutare se e quando dare inizio alla tutela di merito, ferma restando la ultrattività degli effetti della cautela concessa.

Nel sancire il principio che «resta fermo il potere di ciascuna parte di iniziare il giudizio di merito», l’ultimo comma dell’art. 669-octies c.p.c., nel testo introdotto dalla legge n. 80 del 2005, ha voluto sottolineare, da un lato, la piena libertà di ciascuna parte – quella vittoriosa in cautela come quella soccombente – di dare inizio al giudizio di merito nel «tempo» ritenuto più opportuno (senza conseguenze sulla misura cautelare che continua a produrre i suoi effetti) e, nello stesso tempo, il diverso, se non opposto, interesse che può spingere ciascuna delle parti a dare inizio a questo giudizio.

Proprio in relazione a questo interesse, occorre tener conto che il nuovo secondo comma dell’art. 669-decies c.p.c., come modificato dalla legge n. 80 del 2005, consente, quando il giudizio di merito non sia iniziato o sia stato dichiarato estinto, di chiedere la revoca e la modifica dell’ordinanza di accoglimento, una volta esaurita l’eventuale fase del reclamo, al giudice che ha provveduto sull’istanza cautelare se si verificano mutamenti nelle circostanze o se si allegano fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al provvedimento cautelare, fermo restando, in quest’ultimo caso, l’obbligo dell’istante di fornire la prova del momento in cui ne è venuto a conoscenza (v. il capitolo 222o).

In sostanza, la parte interessata ad ottenere un provvedimento di revoca o di modifica ha a disposizione due possibilità: la prima è quella di iniziare la causa di merito e di rivolgere al giudice di questa l’istanza di revoca o di modifica; la seconda è quella di proporre l’istanza di modifica o di revoca, nella sussistenza dei presupposti indicati nel nuovo testo dell’art. 669-decies c.p.c., allo stesso giudice che ha emesso la misura cautelare.

L’inizio del giudizio di merito sta a significare che la parte intende rimuovere il contenuto della cautela (in ipotesi confermata di tutto in parte anche dal giudice del reclamo), chiedendo l’accertamento pieno del diritto o del rapporto che ha dato origine al procedimento di cautela ante causam. In questo caso la parte, che è di norma quella che ha subìto gli effetti della cautela ante causam, ritiene necessario o comunque opportuno invocare la tutela di merito, utilizzando gli strumenti della cognizione piena.

Anche la parte che ha ottenuto la cautela ante causam può dare inizio al giudizio di merito in tutte le ipotesi di ritenuta insufficienza della cautela come disposta per la tutela delle proprie ragioni, non escluse quelle di tipo risarcitorio non prese in considerazione in sede cautelare, ma che la parte ritiene di aver diritto di ottenere all’esito della tutela di merito.

In definitiva, la scelta di iniziare il giudizio di merito è da valutare caso per caso, sulla base di ragioni, talvolta anche di opportunità, che ciascuna delle parti valuta in maniera opposta, in relazione alle esigenze di tutela e alle chances di ottenere maggiori o diverse utilità all’esito del giudizio di merito.

In tal modo, il rapporto con la tutela di merito si viene a modificare sotto numerosi profili. Certamente con maggiore frequenza, la parte soccombente in cautela, dopo l’infruttuoso esito del reclamo, darà inizio al giudizio di merito per far valere, in questa sede, le proprie difese sul diritto sottoposto a cautela. In questo caso, la parte vittoriosa in cautela dovrà assumere una posizione di difesa-attacco, nel senso che non potrà limitarsi a contrastare le domande dell’attore, ma dovrà far valere le proprie, tenendo conto che anche la cautela ultrattiva è destinata ad essere assorbita dalla sentenza di merito di primo grado.

Sul fenomeno dell’assorbimento v. in seguito.

Salvo quanto si dirà, ancora in seguito, sulla liquidazione, da parte del giudice di merito, delle spese del procedimento cautelare, l’interesse, in capo alla parte vittoriosa in cautela, di dare inizio al giudizio di merito al solo (o anche al) fine di ottenere la liquidazione delle spese del procedimento cautelare, su cui nulla dicono i nuovi commi introdotti dalla legge n. 80 del 2005 (che ha omesso di riprodurre la previsione «in ogni caso» della condanna alle spese contenuta nell’art. 23, comma secondo, d. lgs. n. 5 del 2003), può venir meno solo se il giudice della cautela ultrattiva provvederà sulle spese: su questa possibilità e sulle ragioni sistematiche che, a parer nostro, la sorreggono non possiamo che rinviare al capitolo 219o.

1565. L’oggetto del giudizio di merito.

Il giudizio di merito successivo ad un provvedimento di accoglimento della domanda cautelare proposta ante causam deve vertere sullo stesso diritto to o rapporto giuridico sostanziale sottoposto a cautela, tipica o atipica, con il contenuto «preannunciato» nel ricorso cautelare, in base alle regole analizzate nel capitolo 211o.

Attorno a questo diritto o rapporto giuridico sostanziale si esercitano i poteri cognitivi pieni, in funzione dell’accertamento sullo stesso che, già con la sentenza di primo grado, determinerà l’assorbimento (o, in relazione al suo contenuto, l’inefficacia ex lege) della cautela (v. infra).

Non è, peraltro, esclusa la possibilità di proporre, da una parte e dall’altra, nello stesso giudizio di merito, anche in via riconvenzionale, domande diverse e ulteriori rispetto a quelle formulate in sede cautelare.

Essendo la fase di merito del tutto svincolata da quella cautelare e caratterizzata da propri petitum e causa petendi, è possibile, secondo Cass. 7 gennaio 1992, n. 49, proporre domande anche dirette a far valere diritto diverso da quello cui si riferivano le domande cautelari.

Nel giudizio di merito successivo al provvedimento di urgenza ex art. 700 c.p.c., secondo Trib. Ancona 5 aprile 1994, può allargarsi il thema decidendum allorché il diritto fatto valere abbia portata più ampia di quella già sottoposta all’esame del giudice ai fini del procedimento cautelare, essendo questo diretto ad ovviare ad una minaccia di pregiudizio limitata a determinati aspetti e ad una parte della cosa che forma oggetto del diritto da tutelare.

L’ipotesi di domanda di merito diversa da quella azionata in sede cautelare, la quale determina l’inefficacia del provvedimento cautelare per il venir meno del rapporto di strumentalità, è stata

equiparata da Trib. Biella 8 marzo 1996 15, all’ipotesi in cui la domanda di merito, originariamente non diversa da quella indicata nel ricorso introduttivo, sia divenuta tale in corso di causa.

15 In Giur. mer. 1998, 274.

1565.1. Nuove eccezioni e difese.

Come si è detto nel capitolo 215o, il procedimento cautelare ante causam non «genera», al suo interno, preclusioni o decadenze. Pertanto, nel successivo giudizio di merito, possono essere fatte valere eccezioni e, più in generale, difese nuove, non fatte valere nel giudizio cautelare o comunque in questa sede «assorbite» 16.

Sulle nuove domande v. infra.

16 V. Cass. 2 ottobre 2001, n. 12193, in Mass. giur. lav. 2001, 1270, con nota di Tatarelli. Nella specie, la Corte ha confermato la decisione del tribunale che aveva rigettato l’appello avverso la decisione pretorile con cui era stata dichiarata inammissibile, per inosservanza del termine ex art. 6 della legge n. 604 del 1966, la domanda diretta all’impugnativa di licenziamento senza preavviso in virtù dell’art. 7legge 20 maggio 1970, n. 300, non attribuendo alcun rilievo preclusivo alla circostanza che tale decadenza non fosse stata eccepita nella fase cautelare, in cui era stato richiesto un provvedimento ex art. 700 c.p.c.

1565.2. Il rapporto con la cautela emessa ante causam.

Il principio di autonomia della tutela cautelare comporta che, nel giudizio di merito, non si possano e non si debbano accertare, con la cognizione piena, i presupposti della cautela o gli eventuali vizi del procedimento cautelare.

Diffuso, nella prassi applicativa, è il convincimento che il giudizio di merito abbia ad oggetto la «convalida» o la conferma della misura cautelare, secondo il modello della convalida dei sequestri, che la riforma del 1990 ha abrogato (v. il capitolo 199o), quasi come se la relativa richiesta debba essere formulata nel relativo atto introduttivo, allo scopo di «conservarne» l’efficacia.

Il giudizio di convalida, che di norma si svolgeva contestualmente a quello di merito, aveva per oggetto l’accertamento delle condizioni dell’azione cautelare non solo nel momento della richiesta, ma anche nel momento della decisione (Cass. 17 ottobre 1992, n. 11408); mentre, se si svolgeva separatamente, aveva ad oggetto non già l’accertamento sull’effettiva esistenza del diritto controverso a garanzia del quale il sequestro era stato eseguito, né la risoluzione in via definitiva delle eventuali contestazioni in ordine ai presupposti dell’azione, ma solo se l’autorizzazione della misura cautelare e la sua esecuzione fossero state o meno opportune, con giudizio di probabilità sia dell’esistenza del credito sia del periculum in mora (v. Cass. 29 dicembre 1988, n. 7092).

Ma non rientra nell’oggetto del giudizio di merito, né nei poteri del giudice di merito, il «riesame» circa la sussistenza o insussistenza dei presupposti in base ai quali la misura cautelare è stata emessa nel procedimento ante causam, riesame possibile solo all’interno di quest’ultimo con l’esperimento della fase di reclamo.

Né il giudice di merito deve, con sentenza, «confermare» la misura cautelare o convalidarne gli effetti sino a quel momento prodotti, in quanto, come si vedrà fra breve, la pronuncia della decisione di merito determina ex lege o l’assorbimento della cautela o l’inefficacia della stessa.

Poiché il giudizio di merito instaurato successivamente all’emanazione di un provvedimento cautelare non si configura come opposizione, convalida o impugnazione del medesimo, nel giudizio di opposizione a precetto, che ha ad oggetto il diritto di procedere ad esecuzione forzata, proposto successivamente all’emanazione di un provvedimento d’urgenza, con cui sia stata interdetta la procedura esecutiva, non possono essere rimessi in discussione, secondo Cass. 22 marzo 2001, n. 4107, i presupposti dell’azione cautelare, che dovevano formare oggetto del procedimento cautelare e la cui mancanza doveva essere fatta valere in sede di reclamo.

Il giudice del merito potrà conoscere dei presupposti in base ai quali la cautela è stata originariamente emessa solo se investito di istanze di revoca o di modifica, ma solo al limitato fine di valutare se le dedotte «sopravvenienze» – solo in presenza delle quali si ha accesso al procedimento di cui all’art. 669-decies c.p.c.: v. il capitolo 222o –, una volta ritenute tali attraverso la comparazione con quei presupposti, giustifichino la revoca o la modifica del provvedimento cautelare.

Questo principio si estende anche al controllo sulla liquidazione delle spese operata dal giudice della cautela, anche in sede di reclamo. L’esistenza del rimedio oppositorio di cui all’art. 669-septies c.p.c. (v. il capitolo 217o), opportunamente esteso e generalizzato, nei casi in cui la censura investe solo il capo delle spese, e, negli altri casi, del reclamo di cui all’art. 669-terdecies c.p.c., esclude che si possa sollecitare al giudice del merito, anche nelle fasi di impugnazione, la pronuncia di un provvedimento in materia e rende inammissibile ogni relativa istanza (o motivo di appello o di ricorso per cassazione).

Il ricorso per cassazione proposto avverso la pronuncia di compensazione delle spese del procedimento cautelare adottata con ordinanza dal giudice del merito, è stato dichiarato inammissibile da Cass. 2004, n. 6282, non essendo ammesso tale rimedio straordinario avverso una decisione suscettibile di reclamo ai sensi dell’art. 669-terdecies c.p.c.

1565.3. I vizi del procedimento cautelare.

Si è già accennato che, nel giudizio di merito, non si possono e non si debbono accertare, con la cognizione piena, i presupposti della cautela o gli eventuali vizi del procedimento cautelare. Questi ultimi possono essere fatti valere solo nell’ambito dei controlli interni al procedimento cautelare, in particolare in sede di reclamo.

L’eventuale vizio di notificazione del ricorso per denuncia di nuova opera non spiega, secondo Cass. 24 luglio 2001, n. 10062, alcuna influenza nel successivo giudizio svoltosi dinanzi al tribunale, in ragione dell’autonomia del giudizio cautelare rispetto a quello di merito.

1565.4. «Nuove» domande proposte nel giudizio di merito.

Si è già accennato che l’atto introduttivo del giudizio di merito, o la comparsa di risposta del convenuto, possono contenere domande nuove e ulteriori rispetto a quella «necessaria», preannunciata nel ricorso contenente la domanda cautelare ante causam.

Si pensi ad una domanda di risarcimento dei danni prodotti da atti, ad esempio di concorrenza sleale, o da condotte già sanzionati in sede cautelare, ma anche ad ulteriori domande proponibili, come quella risarcitoria, solo in sede di merito ovvero derivanti da atti o da condotte posti in essere successivamente alla pronuncia della misura cautelare.

Nel senso qui sostenuto si è pronunciata Cass. 11 aprile 2001, n. 5421 17, che ha affermato il principio della possibilità di introdurre una domanda «ulteriore» rispetto a quella oggetto della misura cautelare, non rilevando ostacoli al cumulo di domande anche non altrimenti connesse ex art. 104 c.p.c.

Ma, domande nuove idonee a determinare uno spostamento di competenza per valore del giudicante, secondo Pret. Torre Annunziata 6 marzo 1998 18, sono improponibili.

17 In Corr. giur. 2002, 637 e ss., con nota adesiva di s.recchioni, Strumentalità cautelare e cumulo oggettivo di domande nel processo «di merito». Nella specie, era stata formulata, nel giudizio di merito, una domanda basata sull’esistenza di un atto emulativo, che aveva ampliato il thema decidendum.

18 In Foro it. 1998, I, 2307.

1565.5. Il materiale istruttorio acquisito in sede cautelare.

Si è già accennato, nel capitolo 215o, che i risultati degli atti di istruzione compiuti dal giudice della cautela ai sensi dell’art. 669-sexies, comma primo, c.p.c. – ad eccezione delle produzioni documentali, che possono essere liberamente «reiterate» con le regole ordinarie –, anche se conseguiti nel contraddittorio tra le parti e con l’osservanza, più o meno integrale, di fatto, delle regole «ordinarie», sono in ogni caso inidonei a fondare la successiva decisione di merito, per la già segnalata diversità di funzione e di struttura della cognizione cautelare, sempre sommaria (v. il capitolo 189o), rispetto a quella di merito.

Gli atti di istruzione cautelare sono, infatti, funzionalmente diretti a fornire al giudice della cautela gli elementi e i riscontri in fatto necessari per provvedere sulla domanda cautelare, restando estranei all’accertamento dei torti e delle ragioni che porta alla decisione di merito.

Detti risultati, sempre che una delle parti li abbia «riversati» nel giudizio di merito (nel rispetto delle preclusioni istruttorie previste dal rito da osservare), potranno essere valutati come argomenti di prova, dei quali il giudice della tutela normale può liberamente tener conto ai fini della formazione del proprio convincimento, sempre in concorso con prove tipiche.

Le valutazioni correttamente compiute in sede di rilascio della misura cautelare (nella specie, nell’ambito di procedimento di denuncia di nuova opera e di danno temuto) non possono, secondo Cass. 28 maggio 2004, n. 10282, sic et simpliciter, porsi a fondamento della decisione della causa di merito, in quanto, in questa sede, necessita una valutazione affatto completa ed esaustiva di ogni tema di giudizio introdotto dalle parti, ivi inclusa, ovviamente, quella relativa alla situazione di fatto addotta a fondamento della richiesta introduttiva del giudizio, onde regolare definitivamente il rapporto tra soggetto autore della situazione di pericolo e soggetto esposto alla stessa (l’uno e l’altro nella qualità di titolari di diritti reali sui due fondi confinanti), sulla base della effettiva entità di quel pericolo, della individuazione dell’intervento idoneo ad eliminarlo, della definitiva identificazione dell’onerato all’intervento e della misura di tale onere.

Le sommarie informazioni fornite informalmente dai testi non sotto il vincolo del giuramento nella prima fase del giudizio ai sensi dell’art. 689, primo comma, c.p.c., pur non costituendo prova testimoniale in senso tecnico e proprio, sono idonee, secondo Cass. 25 settembre 1991, n. 10011, a fornire elementi indiziari liberamente valutabili dal giudice in sede di decisione del merito.

Anche le sommarie informazioni assunte nel corso del procedimento possessorio (v. il capitolo ), secondo Cass. 28 maggio 2003, n. 8522, non possono essere considerate prove in senso tecnico, né sono assimilabili alle testimonianze, ammesse e prestate sotto giuramento, esprimendo solamente un valore indiziario.

1565.6. Inidoneità della cautela a produrre effetti sulla decisione di merito.

Per le ragioni sopra svolte, il contenuto e le ragioni poste a fondamento della cautela, emessa sia ante causam sia in corso di causa, non sono in grado di produrre effetti, e tanto meno di condizionare, il contenuto e le ragioni della decisione di merito.

Ciò vale anche quando il materiale in senso lato istruttorio sul quale si esercita la cognizione piena sia lo stesso di quello a suo tempo acquisito nel procedimento cautelare.

Il provvedimento d’urgenza, in quanto caratterizzato, oltre che dalla sua strumentalità, dalla provvisorietà e dal difetto di decisorietà, ed essendo destinato, data la sua natura interinale, ad essere assorbito o superato dagli altri provvedimenti che possano essere adottati nel corso del giudizio, è inidoneo, secondo Cass. 17 marzo 2003, n. 3898 19, a produrre effetti sostanziali o processuali sulla vicenda sottoposta all’esame del giudice.

19 In Giust. civ. 2003, I, 628. Nella specie, la Corte ha ritenuto affetta da vizio di motivazione la sentenza del giudice di merito che aveva tratto, dal rigetto di un ricorso ex art. 700 c.p..c non reclamato, chiesto dalla lavoratrice nei confronti del datore di lavoro che aveva unilateralmente modificato l’orario di lavoro concordato, la conseguenza dell’implicita valutazione di legittimità dell’operato dell’azienda e della mala fede del comportamento della lavoratrice, che aveva rifiutato di adeguarsi al nuovo orario lavorativo.

1565.7. La liquidazione delle spese del procedimento cautelare.

Come si è già osservato nel capitolo 219o, prima della legge n. 80 del 2005, l’ordinanza di accoglimento ante causam (oltre che quella pronunciata in corso di causa) della misura cautelare, non doveva contenere – a differenza dell’ordinanza di rigetto: v. il capitolo 217o – la condanna alle spese del soccombente, per la precisa, ma discutibile, scelta del legislatore del 1990 di attribuire al giudice della successiva e, all’epoca, sempre necessaria, causa di merito il potere-dovere di liquidare le spese anche del procedimento cautelare in precedenza svoltosi. Scelta che, seppure si ricollegava al rapporto di strumentalità necessaria tra la cautela concessa ed il giudizio di merito o già pendente ovvero che avrebbe dovuto essere iniziato entro breve termine, non teneva in adeguato conto il principio di autonomia della tutela cautelare, non riconoscendo al giudice della cautela il potere di pronunciare sulle spese del procedimento svoltosi davanti a lui, a prescindere dal contenuto dello stesso e, nello stesso tempo, attribuendo il relativo potere al giudice del merito, come se la liquidazione delle spese del processo cautelare fosse condizionata all’esito della causa di merito.

Il legislatore della cautela societaria, nell’art. 23, comma secondo, d. lgs. n. 5 del 2003, ha corretto questa, non lieve, anomalia, introducendo il principio che, con riferimento alle sole misure cautelari ante causam, il giudice della cautela deve «in ogni caso» provvedere sulle spese del processo, laddove la formula «in ogni caso», inserita in apposito comma, vuol significare che questo obbligo sussiste non soltanto per le cautele «ultrattive», ma per ogni provvedimento di accoglimento, parziale o totale, della domanda cautelare. Ma, la legge n. 80 del 2005, nonostante abbia generalizzato (sempre nell’ambito delle sole cautele ultrattive) ed ampliato il principio di facoltatività dell’inizio del giudizio di merito, ha omesso di riprodurre la previsione «in ogni caso»

della condanna alle spese e questa omissione fa sorgere il problema se l’ordinanza di accoglimento, emessa ante causam, possa o non contenere la relativa statuizione, anche nelle ipotesi di cautele «ultrattive».

Va ribadito, anche in questa sede, che, a seguito della mancata riproduzione di una norma, analoga a quella contenuta nell’art. 23, comma secondo, che consente la condanna alle spese «in ogni caso», il quadro normativo relativo alle spese, come contenuto nella disciplina del rito cautelare uniforme, solo apparentemente è rimasto immutato. Se è vero che l’art. 669-octies c.p.c. continua a non prevedere – a differenza dell’art. 669-septies c.p.c. per il provvedimento di rigetto – il potere del giudice di liquidare «definitivamente» le spese del procedimento cautelare, è altrettanto vero che la legge n. 80, con l’introduzione del principio di ultrattività di una serie di cautele, ha fortemente inciso sul sistema dei complessivi rapporti tra processo cautelare ante causam e giudizio di merito. Anche se, come si è più volte detto, il principio di strumentalità è oggi solo «attenuato», non vi è dubbio che aver reso facoltativo il giudizio di merito ha comportato il potenziamento dell’autonomia della tutela cautelare ultrattiva, che, a differenza del passato, non ha più «bisogno» dell’instaurazione del giudizio di merito per continuare a produrre i suoi effetti. Con la conseguenza, ci sembra, che il processo cautelare ante causam, che abbia ad oggetto una cautela ultrattiva, costituisce oggi un procedimento autonomo, al quale si applicano i principi generali contenuti negli artt. 91 e ss. c.p.c., in virtù dei quali il giudice, quando definisce un processo, deve condannare la parte soccombente al rimborso delle spese.

Questa conclusione non può, però, estendersi alle cautele non ultrattive. Per queste, infatti, non è mutato il rapporto tra tutela cautelare e giudizio di merito e ciò impedisce di «superare» il quadro normativo vigente, anche se è auspicabile un intervento «additivo» della Corte Costituzionale, che, riconoscendo la violazione dell’art. 24 Cost., in relazione alla mancata possibilità, per la parte vittoriosa in cautela, di ottenere sempre il rimborso delle spese da parte dello stesso giudice che definisce ante causam un procedimento autonomo quale quello cautelare, elimini questa grave asistematicità.

In questo, purtroppo confuso, quadro normativo, il giudice di merito, quando pronuncia sentenza, deve sempre liquidare le spese del procedimento cautelare se si tratta di cautela non ultrattiva. Dal momento che, come si è visto in precedenza, il giudice di merito non deve «confermare» o «convalidare» la misura cautelare e, in particolare, non ha alcun potere di sindacare i presupposti sulla base dei quali la cautela è stata concessa, l’unico criterio da seguire nella liquidazione è quello di valutare il complessivo esito del giudizio di merito, in specie con riferimento all’accertamento sulla sussistenza del diritto già sottoposto a cautela, stabilendo se, e in quale misura, l’attore, o comunque la parte già vittoriosa in cautela, abbia diritto a ripetere le spese del procedimento cautelare.

Ci sembra che, in questo caso, la liquidazione debba avvenire separatamente rispetto a quella relativa alle spese della causa di merito, in quanto potrebbero esservi ragioni tali da giustificare una decisione diversa tra queste ultime e le prime.

Se si tratta di cautela ultrattiva, il giudice di merito dovrà accertare se la liquidazione delle spese sia contenuta nel provvedimento cautelare e se, pertanto, nulla sia dovuto a questo titolo. In caso contrario, dovrà procedere come per le cautele non ultrattive.

1566. L’assorbimento della misura cautelare nella decisione di merito sul diritto cautelato.

La misura cautelare concessa ante causam o in corso di causa – sia essa pronunciata dal giudice di prima istanza o all’esito del giudizio di reclamo – produce i suoi effetti sino alla pronuncia della

sentenza di merito di primo grado, sino a quando, cioè, la tutela di merito, i cui effetti sono stati assicurati, in tutto o in parte, dalla misura cautelare, sia stata resa all’esito del relativo giudizio.

La perdita di «efficacia» si determina, vale la pena precisarlo, per ogni cautela, sia essa ultrattiva o non ultrattiva, nel senso che l’eventuale ultrattività è da riferire al rapporto tra efficacia della cautela ed inizio del giudizio di merito (ed eventuale successiva estinzione dello stesso), mentre, quando quest’ultimo viene definito, le regole applicabili sono le stesse ed ogni ulteriore fenomeno di «ultrattività» sarebbe incompatibile con la stessa funzione cautelare.

Per la loro natura strumentale e funzione cautelativa del tutto provvisoria, i provvedimenti di urgenza, secondo Cass. 11 marzo 2004, n. 4964, sono destinati a perdere ogni efficacia e vigore a seguito della decisione emessa nel successivo giudizio di merito nella quale rimangono assorbiti e caducati, con l’esaurimento della funzione cautelare che li caratterizza; conseguentemente, con i motivi del ricorso per cassazione avverso la sentenza di merito, non possono essere addotte censure nei confronti del provvedimento d’urgenza.

Il provvedimento d’urgenza, in quanto caratterizzato, oltre che dalla sua strumentalità, dalla provvisorietà e dal difetto di decisorietà, è destinato, secondo Cass. 17 marzo 2003, n. 3898, data la sua natura interinale, ad essere «assorbito o superato» dagli altri provvedimenti che possano essere adottati nel corso del giudizio.

I provvedimenti d’urgenza, secondo Cass. 1 agosto 1995, n. 8426, esauriscono la loro funzione una volta che sul diritto che essi tendono ad assicurare sia pronunciata la decisione di merito, dalla quale restano, a seconda dei casi, «assorbiti o travolti», indipendentemente da ogni rilievo in ordine alla relativa legittimità sotto il profilo della sussistenza dei requisiti per la loro adozione, ovvero dell’osservanza delle norme disciplinanti il procedimento prodromico alla loro pronuncia.

Il provvedimento cautelare, assolvendo «unicamente la funzione di dare immediata attuazione alla tutela giurisdizionale mediante l’eliminazione del pregiudizio che possa derivare dalla durata del processo a cognizione piena, è caratterizzato, secondo Cass. 21 ottobre 1994, n. 822, oltre che dalla strumentalità, dalla provvisorietà, atteso che non è idoneo a regolare il rapporto in via definitiva e che è destinato a rimanere “assorbito o superato” da altri provvedimenti che possono essere successivamente emessi nel corso del giudizio (anche nel medesimo grado)».

I provvedimenti cautelari, secondo Cass. 29 ottobre 1992, n. 11770, sono «destinati ad essere sostituiti dalla sentenza di accoglimento della domanda».

Anche i provvedimenti resi in sede di reclamo, avendo gli stessi caratteri di provvisorietà e non decisorietà tipici dell’ordinanza reclamata, secondo Cass. 14 gennaio 2003, n. 441, sono destinati a perdere efficacia per effetto della sentenza definitiva di merito.

Consegue che gli effetti della misura cautelare non sono mai in grado di concorrere o di «sovrapporsi» agli effetti, oggi sempre esecutivi in caso di condanna, della sentenza di primo grado, nemmeno in funzione integrativa o rafforzativa di quest’ultima, la quale, non appena pronunciata, si pone quale unica ed esclusiva fonte di regolamentazione del diritto o del rapporto dedotto, anche prima del passaggio in giudicato.

I provvedimenti cautelari non sono idonei, per la loro natura, ad acquistare efficacia definitiva se non tempestivamente impugnati, ma sono caratterizzati dalla provvisorietà e dalla strumentalità, essendo destinati, secondo Cass. 9 aprile 1999, n. 3473, a rifluire nel provvedimento che definisce la controversia in atto tra le parti.

Ogni sentenza, anche non passata in giudicato, sul diritto cautelato, deve, dunque, pronunciarsi, esclusivamente sul diritto medesimo e sulle relative domande formulate dalle parti.

Potrà pronunciarsi anche sulla legittimità e sull’opportunità della cautela dal diritto stesso ricevuta, solo se il giudice di merito è chiamato, su apposita domanda, ad accertare la responsabilità per illecito di chi abbia usato della cautela senza avere il diritto cautelato o, pur avendolo, in mancanza dei presupposti specifici della stessa cautela.

La sentenza di merito, che dichiara esistente il diritto cautelato, «soddisfa» alle esigenze che hanno dato base alla cautela, con la provvisoria esecutività ex lege della sentenza medesima.

Si sostiene in dottrina che la misura cautelare non perderebbe la sua efficacia a seguito della pronuncia della sentenza che accerta l’esistenza del diritto cautelare, in quanto non si potrebbe lasciare privo di tutela il beneficiario della cautela nell’attesa della formazione del giudicato, quando si tratti di sentenza di mero accertamento o costitutiva od anche quando l’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado sia sospesa dal giudice d’appello 20.

Sul presupposto che il sequestro giudiziario di beni è una misura cautelare di carattere conservativo i cui effetti non sono assorbiti nella sentenza di condanna provvisoriamente esecutiva favorevole alla parte sequestrante, se il giudice di primo grado ha autorizzato il sequestro, accogliendo l’istanza di tutela cautelare dell’attore, il provvedimento, secondo App. Torino 27 dicembre 2002 21, è efficace anche nelle fasi di impugnazione della sentenza che accoglie la domanda di merito e il convenuto appellante non ha interesse a richiedere il sequestro del bene già sottoposto alla tutela cautelare.

Se certamente sussiste l’esigenza di non lasciare privo di tutela il soggetto che ha ottenuto la misura cautelare nell’attesa della formazione del giudicato, non condividiamo la soluzione proposta, che sarebbe quella di derogare al principio di assorbimento, mantenendo ferma l’efficacia della cautela solo in alcune ipotesi e, precisamente, quando la sentenza, diversa da quella di condanna, non sarebbe in grado di produrre effetti provvisoriamente esecutivi, ma anche in caso di accoglimento dell’istanza di inibitoria in appello.

Come si vedrà nei successivi paragrafi, riteniamo incompatibile ogni «ultrattività» della cautela in presenza della decisione di merito di primo grado, sia per ragioni sistematiche, sia per l’impossibilità di giustificare la sopravvivenza della cautela, ed il relativo contenuto, in presenza dell’accertamento pieno del diritto che, pur ritenendo sussistente lo stesso, potrebbe avere contenuti diversi e contrastanti con quello della cautela. A parte i casi di sentenza di mero accertamento e di modificazione giuridica sostanziale (su cui v. infra), proprio l’ipotesi della sospensione degli effetti esecutivi da parte del giudice d’appello sta a dimostrare l’impraticabilità della soluzione proposta, in quanto comporterebbe la «riesumazione» di un provvedimento già assorbito, il cui contenuto potrebbe, oltre tutto, contrastare con quello della sentenza di merito.

Si pensi, ad esempio, all’ordine, emesso in via provvisoria e cautelare, di pagare una determinata somma di danaro, assorbito dalla sentenza di condanna al pagamento di un minore importo, che, a seguito dell’inibitoria in appello, continuerebbe a produrre i suoi effetti anche in presenza dell’accertamento pieno contenuto nella sentenza di condanna. Al di là del possibile «contrasto» tra i contenuti dei due provvedimenti (di per sé non proponibile, trattandosi di accertamento sommario, da un lato, e di accertamento pieno dall’altro), ad essere vanificato, come si vedrà, sarebbe proprio il provvedimento di inibitoria, anch’esso sommario, ma pronunciato a seguito della sentenza di merito di primo grado, i cui effetti quel provvedimento intende paralizzare.

20 V. E. Merlin, Procedimenti cautelari ed urgenti in generale, in Dig. sc. priv., XIV, Torino 1996, 421; G. Tarzia e A. Saletti, Processo cautelare, voce Enc. dir., Agg., Milano 2001, 857-858.

21 In Giur. it. 2003, 1838, con nota di Dominici.

1566.1. Sentenze di condanna.

In caso di sentenze di condanna, occorre tener conto del tipo di cautela che è oggetto del fenomeno di assorbimento.

Se è stato autorizzato il sequestro conservativo, la pronuncia della sentenza di condanna determina il fenomeno dell’automatica conversione della cautela in pignoramento, con le modalità già esaminate nel capitolo 201o, al quale rinviamo.

Se è stato autorizzato il sequestro giudiziario, non si ha alcuna «conversione», ma la cautela è assorbita dalla decisione di merito (favorevole alla parte che ha ottenuto la cautela), con conseguente cessazione della custodia (v. il capitolo 199o).

Se è stata emessa una misura di cautela atipica ex art. 700 c.p.c., il fenomeno dell’assorbimento, come si è visto nel capitolo 208o, non presenta particolari aspetti di complessità, in quanto la formazione di un titolo esecutivo, seppure provvisorio (fino all’inutile decorso del termine per proporre impugnazione), si «sovrappone» agli effetti determinati dall’attuazione, anche coattiva, della misura cautelare, sempre che compatibili al contenuto della sentenza.

Se, ad esempio, il provvedimento d’urgenza ha ordinato il pagamento, in via provvisoria, di somme di danaro e, sulla base di questo, la parte obbligata ha effettuato il relativo pagamento ovvero ha subìto il pignoramento, nel primo caso, sorgerà l’obbligo restitutorio se le somme corrisposte sono superiori a quelle oggetto di condanna, e, nel secondo, il pignoramento si «ridurrà» in proporzione al contenuto della condanna, in applicazione del principio, che può dirsi generale, contenuto nell’art. 653, comma secondo, c.p.c., che regola la «successione» tra decreto ingiuntivo e sentenza di opposizione (v. il capitolo 193o).

Ciò comporta che, se le somme pignorate in base al provvedimento cautelare sono insufficienti a garantire la soddisfazione del creditore in relazione ai contenuti condannatori della sentenza (anche a titolo di spese), in base al titolo esecutivo costituito dalla sentenza saranno possibili ulteriori atti esecutivi.

Mentre, in caso di inibitoria pronunciata dal giudice d’appello, questo provvedimento, come si accennava nel paragrafo precedente, se sospende gli effetti della sentenza pronunciata in base a cognizione piena, a maggior ragione non può far sopravvivere – e tanto meno determinarne l’ultrattività – gli effetti del provvedimento sommario cautelare, già assorbiti dalla sospesa decisione di merito.

1566.2. Sentenze di mero accertamento e di modificazione giuridica sostanziale.

Anche per le sentenze di mero accertamento e di modificazione giuridica sostanziale, inidonee, di norma, a produrre effetti provvisoriamente esecutivi 22, in relazione alle quali siano stati emessi provvedimenti d’urgenza ex art.700 c.p.c. (v. il capitolo 208o), la pronuncia della decisione di merito di primo grado comporta l’assorbimento (in caso di accoglimento) o l’inefficacia ex lege (in caso di rigetto) della cautela.

In questi casi, come si è visto nel capitolo 208o, sempre che il contenuto della sentenza sia «compatibile» con l’effetto assicurativo della cautela, nel senso che questo effetto sia stato «confermato» dalla sentenza, il fenomeno dell’assorbimento si attua con il «mantenimento» degli effetti già prodotti dalla cautela, che, però, continueranno a prodursi non più come effetti della cautela, ma della sentenza che li ha «assorbiti» e, dunque, fatti propri. In altri termini, questi effetti, già riferibili alla cautela, dopo la pronuncia della sentenza sono a questa «riferibili» proprio a seguito del fenomeno di assorbimento, che qui è in grado di giustificare la conservazione dell’assicurazione disposta in via cautelare, mutandone, in certo senso, la natura.

Di questo «mutamento» si ha conferma proprio in relazione alle vicende successive alla pronuncia della sentenza, in relazione alla possibilità che il giudice d’appello, in sede di inibitoria, sospenda, in tutto o in parte, gli effetti della sentenza, che, in questo caso, non sono altro che gli effetti della cautela «trasferiti» nella sentenza.

La possibilità, riconosciuta dall’art. 283 c.p.c., che il giudice dell’inibitoria sospenda anche in parte l’esecutorietà o l’esecuzione della sentenza di primo grado, consente a questo giudice, in presenza di «gravi motivi», di paralizzare, selezionandoli, gli effetti di questa che, per qualsiasi ragione, siano ritenuti non compatibili con il probabile esito del giudizio di impugnazione.

22 V. il Volume primo, Tomo secondo, capitolo 81o.

1566.3. Sentenza di condanna in futuro.

È opportuno specificare che le sentenze «assorbenti» le tutele cautelari possono essere non solo di condanna in senso proprio e di accertamento nelle ipotesi suaccennate, ma anche di condanna in futuro, quando sono cautelati diritti a prestazioni non esigibili.

1566.4. Assorbimento implicito.

L’assorbimento e la conseguente caducazione della misura cautelare per effetto della sentenza di merito di accoglimento può essere, a nostro avviso, anche implicito.

In questo senso, la giurisprudenza, ci sembra correttamente, parla di totale sostituzione della decisione finale alla pronuncia interinale, anche quando la prima si conformi in tutto o in parte alla seconda.

1566.5. Sentenza di merito e improcedibilità del giudizio di reclamo.

Dalle considerazioni sopra svolte deriva l’improcedibilità del giudizio di reclamo pendente quando è pronunciata sentenza di merito sul diritto cautelato.

Il reclamo cautelare avverso provvedimento emesso in relazione a vertenza di merito per la quale era intervenuta rinuncia all’azione è stato dichiarato improcedibile, per sopravvenuto difetto di interesse, da Trib. Salerno 20 agosto 2003 23].

23 In Giur. mer. 2003, 2414.

1566.6. La asserita «ultraefficacia» del sequestro giudiziario.

Anche il sequestro giudiziario, come si è detto nel capitolo 199o, è assorbito dalla decisione di merito di primo grado, con il conseguente venir meno anche della custodia.

Di possibile «ultrattività» del sequestro è possibile parlare solo con riferimento al periodo di tempo in cui il custode, quando sia soggetto diverso da quello vittorioso nella causa di merito, è tenuto a immettere quest’ultimo nella materiale disponibilità del bene sequestrato.

Ma, a ben vedere, si verifica, in questa ipotesi, la stessa situazione cui dà luogo ogni fattispecie di sopravvenuta inefficacia della misura cautelare, che determina il venir meno della custodia e l’obbligo del custode di provvedere alla consegna del bene alla parte che lo possedeva al momento della emissione della misura cautelare.

Sul presupposto che il sequestro giudiziario di beni concesso dal giudice di primo grado sarebbe efficace anche nelle fasi di impugnazione della sentenza che accoglie la domanda, App. Torino 27 dicembre 2002 24, ha ritenuto non fondata l’istanza di revoca del provvedimento cautelare per motivi riconducibili alla sopravvenienza della decisione di merito rispetto al provvedimento cautelare.

24 In Giur. it. 2003, 10.

1566.7. La conversione del sequestro conservativo in pignoramento. Rinvio.

Anche il sequestro conservativo, quando viene pronunciata la sentenza di merito di primo grado, o diventa inefficace ex lege, se questa ha accertato come inesistente il diritto di credito cautelato, ovvero si converte automaticamente in pignoramento, cessando, in entrambi i casi, di produrre la sua efficacia. Rinviamo, sul punto, al capitolo 201o.