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Asylum Post Era una giornalista coraggiosa, libera, testarda, mai succube del potere ma sempre e solo al servizio della verità, anche la più cruda e orribile. E questa sua condotta l’ha portata inevitabilmente alla morte Così viene detenuto Ocalan nella Guantanamo d’Europa gennaio 2009 Giornale dei Richiedenti asilo in Italia dei Rifugiati politici e delle Vittime di tortura Anno 7 / numero 1 La testimonianza di Ebru Gunay e Omer Gunes, due legali del Collegio di difesa del leader kurdo: “Intollerabili le condizioni di isolamento in cui da nove anni è costretto a vivere nel carcere di Imrali” continua a pagina 3 Antonio Olivieri* Silvio Rossi A due anni dall’uccisione di Anna Politkovskaja, è‘ iniziato il processo a carico di fantomatici colpevoli. A porte aperte ma subito chiuse U nico detenuto del carcere lager sull’isola di Imrali, sotto la sorveglianza di ben 450 militari, Abdullah Ocalan vive da nove anni in isolamento in una cella sotto il controllo diretto di una telecamera 24 ore su 24 – dichiarano gli avvocati Ebru Gunay e Omer Gunes . “Inoltre, gli viene impedito continuamente di dormire, gli è vietata la televi- sione, legge solamente giornali arretrati di dieci, quindici giorni, sui quali vengono regolarmente censurati gli articoli non graditi dalle autorità.” Eppure, nel maggio 2005, la Corte Europea di Giustizia di Strasburgo, nel condannare la Turchia per violazione dei diritti umani per i maltrattamenti subiti dal leader kurdo durante la detenzione preventiva e per aver- gli negato il diritto a un processo equo e indipendente, ne aveva raccomandato un nuovo processo che non è stato mai fatto. Alcuni mesi fa, in Turchia, alla notizia continua a pagina 2 Uccisa, per farla tacere I o vivo la vita e scri - vo ciò che vedo, amava dire Anna Politkovskaja a chi le chiedeva il segreto del suo modo di fare giornalismo. E più ripeteva quella frase e più la data della sua condanna a morte si avvicinava. Condanna che venne eseguita il 7 ottobre di due anni fa, all'ingresso della sua casa a Mosca. In un'in- tervista rilasciata qualche anno prima della sua morte, lei stessa aveva definito un miracolo il fatto che nessuno l'avesse ancora ucci- sa. La stessa cosa pensavano i suoi amici e colleghi anche se spe- ravano che la sua notorietà e i A sinistra, una torretta di guardia del carcere di Imrali, Abdoullah Ocalan, l’avvocato Omer Gunes. Un’altra immagine della prigione

Asylum Post - 01/2009

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Abbiamo parlato di: PAESI - Canada, Usa e Iraq; Italia; Kurdistan, Turchia e Italia; Palestina; Russia; Senegal. PERSONE - Joshua Key; 'Apo' Ocalan; Avni Er e Zeynep Kilic; Mahamud Darwish; Anna Politkovskaja. ASSOCIAZIONI - Naga-Har (Milano); Laboratorio 53 (Roma)

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Era una giornalista coraggiosa, libera, testarda, mai succube delpotere ma sempre e soloal servizio della verità,anche la più cruda e orribile. E questa suacondotta l’ha portata inevitabilmente alla morte

Così viene detenuto Ocalan nella Guantanamo d’Europa

gennaio 2009

Giornale dei Richiedenti asilo in Italia dei Rifugiati politici e delle Vittime di tortura

Anno 7 / numero 1

La testimonianza di Ebru Gunay e Omer Gunes, due legali del Collegio di difesa del leader kurdo:“Intollerabili le condizioni di isolamento in cui da nove anni è costretto a vivere nel carcere di Imrali”

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Antonio Olivieri*

Silvio Rossi

A due anni dall’uccisionedi Anna Politkovskaja, è‘ iniziato il processo a carico di fantomatici colpevoli. A porte apertema subito chiuse

Unico detenuto del carcerelager sull’isola di Imrali,sotto la sorveglianza di

ben 450 militari, Abdullah Ocalanvive da nove anni in isolamento inuna cella sotto il controllo direttodi una telecamera 24 ore su 24 –dichiarano gli avvocati EbruGunay e Omer Gunes . “Inoltre,gli viene impedito continuamente

di dormire, gli è vietata la televi-sione, legge solamente giornaliarretrati di dieci, quindici giorni,sui quali vengono regolarmentecensurati gli articoli non graditidalle autorità.”Eppure, nel maggio 2005, la CorteEuropea di Giustizia diStrasburgo, nel condannare laTurchia per violazione dei diritti

umani per i maltrattamenti subitidal leader kurdo durante ladetenzione preventiva e per aver-gli negato il diritto a un processoequo e indipendente, ne avevaraccomandato un nuovo processoche non è stato mai fatto. Alcunimesi fa, in Turchia, alla notizia

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Uccisa,perfarlatacere

Io vivo lavita e scri -vo ciò che

vedo, amavadire AnnaPolitkovskaja achi le chiedevail segreto delsuo modo difare giornalismo. E più ripetevaquella frase e più la data della suacondanna a morte si avvicinava.Condanna che venne eseguita il 7ottobre di due anni fa, all'ingressodella sua casa a Mosca. In un'in-tervista rilasciata qualche annoprima della sua morte, lei stessaaveva definito un miracolo il fattoche nessuno l'avesse ancora ucci-sa. La stessa cosa pensavano isuoi amici e colleghi anche se spe-ravano che la sua notorietà e i

A sinistra, una torretta di guardia del carceredi Imrali, Abdoullah Ocalan, l’avvocato OmerGunes. Un’altra immagine della prigione

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non gli vengono neppure conse-gnati. Inoltre, mentre qualsiasidetenuto ha il diritto di indicare,oltre ai parenti, i nominativi di treamici che possono andare, aturno, a fargli visita in carcere,tutto ciò non è permesso per ildetenuto Ocalan. Gli avvocatisubiscono, a ogni visita, ben 13perquisizioni, di cui nove all’in-gresso e quattro all’uscita; la dire-zione vieta loro, persino, di entra-re con gli occhiali e di portare ilcarteggio della difesa; quando i

legali riescono a prendere degliappunti, questi vengono regolar-mente sequestrati. Dal 2005,venti avvocati del Collegio di dife-sa di Ocalan, sono stati interdettida Imrali. Ad ogni visita le autori-tà inventano sempre nuovi ostaco-li. Tutte le carceri fanno riferi-mento al Ministero dellaGiustizia, ma il carcere di Imralidipende da una non ben specifica-ta Unità di Crisi, sotto il direttocontrollo del Primo Ministro. Ciòin aperta violazione delle leggidello Stato turco, leggi che preve-dono una precisa autorizzazioneministeriale rinnovabile solamen-te per due semestri, mentre, nelcaso specifico, questa situazioneperdura da quasi 10 anni. E tuttoquesto non ha eguali a livellointernazionale. ■

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dei maltrattamenti subiti in carce-re dal presidente Ocalan, la popo-lazione kurda ha immediatamen-te reagito ed è scesa nelle stradedelle diverse città kurde. Lanostra delegazione in quei giornisi trovava proprio in Kurdistan eabbiamo così potuto vedere davicino quello che stava succeden-do. Alle manifestazioni di protestasono seguiti scontri violenti con lapolizia che hanno causato unmorto a Dogubeyazit, numerosiferiti, tra cui uno grave aYuksekova, centinaia di manife-stanti arrestati, dei quali ben 65sono finiti nel carcere diDiyarbakir e altri dispersi in

diverse prigionidella Turchia.Ma perché il popo-lo kurdo a rischiodella propria incolumitàè sceso ancora una voltain piazza per far sentire la propriavoce in difesa del suo leader,“Apo” Ocalan? In Italia, sarebbe difficile darerisposta a questo interrogativo,perché i media non ne parlano eun silenzio tombale è calato ormaida anni sulle condizioni di deten-zione del presidente kurdo. Gliavvocati Ebru Gunay e OmerGunes, due legali del colle-gio di difesa di Ocalan cheabbiamo incontrato aIstanbul e che solo tre gior-ni prima erano stati a collo-quio con il Presidente sull’i-sola di Imrali, ci raccontanoche l’incontro è avvenuto,come al solito, in presenzadi un impiegato delMinistero della Giustiziache ha registrato il colloquio,mentre una guardia carcerariaascoltava e osservava dalla portaaperta. Ocalan ha detto che, dopol’attacco dei guerriglieri allacaserma di Aktutun, nei pressidella città di Hakkari, egli hasubito pesanti maltrattamenti:dapprima le guardie carcerariehanno messo a soqquadro la suacella, poi lo hanno preso per le

braccia, l’hanno portato in un’al-tra cella e l’hanno costretto aterra. Inutili le sue richieste dirispetto della legge. A una suadichiarazione che diceva: “Tuttoquesto è inaccettabile! Piuttostouccidetemi!”, la risposta delleguardie è stata: “Non ti preoccu-pare, lo faremo un giorno. Questoè già previsto!” E hanno aggiunto:“ Tutto quello che succede quidentro avviene per ordine delloStato”.In effetti, in questi ultimi tempi, ilgoverno turco ha emesso leggiancora più restrittive per quantoriguarda il carcere di Imrali, enon solo: ha ridotto i tempi di visi-ta per i familiari dell’unico(Ocalan) detenuto da 3 ore a un’o-ra e, soltanto per una volta allasettimana, invece delle due solite. Spesso, inoltre, quell’unica ora divisita viene annullata all’ultimomomento. Dal 2005 ad oggi,Ocalan ha subito numerose con-danne all’isolamento. La suacella è sotto il costante controllo

di una teleca-mera 24 oresu 24, mentrele prevarica-zioni nei suoiconfronti con-tinuano in

vari modi, anche apren-do e chiudendo rumoro-

samente lo spioncino della suaporta, soprattutto durante le orenotturne, impedendo così il sonnoal detenuto.Per giunta, la finestra della cellaviene tenuta spalancata o chiusasu decisione delle guardie, indi-pendentemente dalle condizioniatmosferiche: a volte, nottetempo,il Presidente si sente soffocare per

via dei continui attac-chi asmatici contrattiin carcere.Dalle dichiarazioni deidue legali del collegiodi difesa, ci arriva inol-tre la conferma cheOcalan è tuttora l’uni-co detenuto dell’isolae, in un’area di 5miglia, nessuno si può

avvicinare. Ilcarcere è sorve-gliato da 450soldati, più 250graduati e unnumero impre-cisato di soldatidella marina;due piccole navida guerra sta-zionano, perma-n e n t e m e n t e ,nelle vicinanzedell’isola. Gliavvocati potrebbero far visita alloro assistito in carcere una voltaalla settimana, ma spesso la dire-zione, adducendo vari pretesti, loimpedisce. Attualmente la mediadelle visite concesse agli avvocatisi riduce a non più di una volta almese! Ugualmente preoccupanteè la diffusione di notizie false sullecondizioni di salute di Ocalan,operata dal Ministero (reperibilisul relativo sito web), al fine dicreare tensione nel paese.Comunque, a causa delle condi-zioni carcerarie, la situazionesanitaria di Ocalan si è aggravatasempre più. Il Comitato Europeocontro la tortura (CPT) in questianni ha visitato più volte Ocalan(la quarta ed ultima volta, il 20maggio del 2007) e ha constatatoche il peggioramento delle condi-zioni di salute del Presidente deikurdi dipende dall’isolamento acui è sottoposto da ormai noveanni, con danni irreversibili allasua salute sensoriale e psicologica.Le condizioni di detenzione sonoparticolarmente gravi: mentre glialtri detenuti hanno una televisio-ne in cella, “Apo” possiede soltan-to un apparecchio radio con unasola frequenza, quella dei suoi

carcerieri, riceve ungiornale arretrato diuna settimana-quin-dici giorni, in cuivengono censuratigli articoli non gra-diti alle autorità;anche i libri che gliavvocati gli portanoin carcere, spesso

foto di Simonetta Crisci

foto di Simonetta Crisci

In alto, “Apo” Ocalan. A sinistra, incon-t ro della delegazione di “ Ve rso ilKurdistan” con le autorità kurde e le“donne della pace” e alcuni momentidelle manifestazioni pro Ocalan

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numerosi premi internazionali cheaveva ricevuto potessero in qual-che modo proteggerla. Purtropponon è stato così. Recentemente, adue anni di distanza, è cominciato ilprocesso contro i primi imputati perl'omicidio della coraggiosa giornali-sta russa ma tra di loro non vi sononé l'esecutore materiale del delittoné il mandante. Due anni di indagi-ni non hanno fornito risposte esau-rienti ai tanti quesiti che questoomicidio ha posto. Ma su una cosachi conosceva bene la giornalistanon ha dubbi: Anna Politkovskaja èstata uccisa per la sua attività digiornalista alla Novaja Gazeta eperché autrice di articoli e libri chedescrivevano nei dettagli le atrocitàcommesse dall'esercito russo inCecenia e dalle autorità cecenecontro la popolazione locale. Nei suoi libri si leggono storie tragi-che di persone reali, di casi concre-ti, e spesso compaiono nomi ecognomi dei responsabili di rapi-menti, torture, estorsioni e violenze.Ma Anna non si limita solo a scrive-re sulla Gazeta: quando può, e lainvitano, va in giro per il mondo adifendere la causa cecena. Anchese ad accoglierla c’e sempre tantadiffidenza e i complimenti e gli

applausi per quel che dice, nonabbondano mai. Almeno inOccidente. Anna nei suoi interventinon si poneva molti freni e non sicensurava mai. In un’occasione peresempio disse che non capiva per-chè Putin (allora capo delCremlino) chiedeva attimi di silen-zio per le vittime americane mentrenon spendeva una sola parola perle vittime della Cecenia.In uno dei suoi libri ha riportatoanche un episodio orribile. Quellodi un ragazzo di 14 anni, in un vil-laggio di montagna in Cecenia,ucciso con una granata dai federalirussi mentre era in bagno (in tuttele case di campagna i gabinettisono fuori e lontani dalle case). E quando il ragazzo saltò in ariamentre stava facendo i suoi biso-

gni, gli aguzzini si sbellicaronodalle risate. Soltanto qualche gior-no dopo Putin, a proposito deiceceni, si lasciò sfuggire questeparole: ”Li staneremo fin dentro icessi”. Ma la frase più disperata diAnna risale ai primi anni delDuemila quando ebbe a dichiarare:”La cosa peggiore è che moltedelle persone di cui ho scritto negliultimi tempi, sono morte”. E pensare che negli anni successi-vi quelle morti aumentarono note-volmente. E in quel numero, dueanni fa ci è finita anche lei.

I protagonisti del processoNell’ ottobre scorso si è svolta laprima seduta del processo contro il

….un processo nel processo

L’avvocatessa Karina Moskalenko una delle patrocinatrici nelprocesso contro i tre complici del killer di Anna Politkovskaja,

ha rischiato di morire avvelenata con una sostanza che avrebbetutte le caratteristiche del mercurio e di cui sono state rilevate trac-ce nella sua auto. Come ha raccontato la stessa Moskalenko, “giàqualche giorno prima mi è venuta la tosse e mi sono gonfiata e glistessi sintomi si sono verificati anche per mio marito e i nostri trefigli”. Tutti e quattro infatti hanno prsentato sintomi da avvelena-mento: nausea, vomito e mal di testa.A chi le chiedeva chi potesse avere interesse ad avvelenarla, l’avvo-co Moskalenko ha risposto: ”Qualcuno non vuole che io prendaparte al processo in difesa di Anna”. ■

In ricordo di AnnaNel giorno del secondo anniversario della morte di Anna

Politkovskaja, hanno avuto luogo sia in Russia sia in moltialtri paesi incontri e manifestazioni per ricordare la sua scomparsa.E proprio a ridosso del tragico anniversario è uscita in Italia unaraccolta di suoi reportage inediti dal fronte della seconda guerracecena (Un piccolo angolo d’inferno Rizzoli editore): testimonian -ze di torturati, vergogna delle donne violentate, e altre atrocità scrit -te solo per dare voce a un popolo senza difese. Non ci sono grandiuomini nei racconti di Anna. Ci sono piccoli uomini da ammirare etante donne derubate, seviziate, uccise. “Donne che non hannopaura di niente perché hanno paura di tutto”, è la conclusione dellaPolitkovskaja. A Mosca, in una giornata di pioggia battente, si sono radunate cen -tinaia di persone per ricordare Anna Politkovskaja. Tra loro c'eranonoti attivisti per la difesa dei diritti umani ed i principali leader del -l'opposizione. ■

IncarcereinItaliaperordinediAnkara

La vicenda giudiziaria di Avni e Zeynep, due giovani oppositori del governo turco

La loro colpa? E’ quella diappartenere al Dhkp-c, l’organizzazione che si batteper il rispetto dei diritti umanie per la vera democrazia in Turchia. E un tribunale italiano li haprocessati e condannati allareclusione Rosanna Sorani

Questa è l’incredibilevicenda giudiziaria cheha come protagonisti

Avni Er e Zeynep Kilic, due giova-ni militanti della sinistra turcafiniti nelle galere italiane per leloro convinzioni politiche. La loro storia comincia quattroanni fa. Il l° aprile del 2004 un’o-perazione repressiva organizzata alivello internazionale dalle autori-tà turche insieme con quelle diGermania, Olanda, Belgio e Italiaprovoca l’arresto di 82 persone nelterritorio turco e di altre 56 perso-ne tra vari paesi europei. Chisono? Giornalisti di vari organi diopposizione, membri di organizza-zioni democratiche, avvocati,architetti, artisti, ex prigionieri

Parlano da sole queste immagini dellatragedia di Groszny, in Cecenia

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sottocolonnello dei servizi di sicu-rezza russi (Fsb) Pavel Rjazugov, ilcollaboratore del ministero degliInterni Sergej ChadÏikurbanov e ifratelli DÏabrail e IbrahimMachmudov, di origine cecena, iprimi imputati coinvolti nell’omicidiodi Anna Politkovskaja. E’un tribuna-le militare ad occuparsi del caso,perché tra gli accusati vi è un uomodelle forze di sicurezza in servizio,e molti documenti risultanti dalleindagini sono stati forniti dall'Fsb edal ministero degli Interni con clau-sola di segretezza. Mentre per lesedute successive si è deciso losvolgimento a porte chiuse. “I giu-rati hanno paura” ha dichiarato ilgiudice militare Eugenij Zubov,

“temono minacce e intimidazioni esi rifiutano di comparire davanti allastampa. Io ho dovuto accontentar-li”. I giurati in realtà sono rimasti alloro posto, evidentemente perchénon avvertono alcun pericolo. EDmitri Muratov, il direttore di NovajaGazeta, il giornale per il quale lavo-rava Anna Politkovskaja, ha dichia-rato che questa decisione”è statapresa semplicemente per impedireal popolo russo di essere informatosulla verità che si spera venga fuori

al processo”. Verità che per ora èassai lontana.Il sottocolonnello Rjazugov, inizial-mente indagato anche per l'omici-dio, rimane ora parte dello stessoprocesso ma soltanto con l'accusadi aver commesso, assieme aSergej ChadÏikurbanov, il reato diabuso di potere nei confronti di unimprenditore nel 2003 (non è quindipiù accusato per l'omicidioPolitkovskaja, benché dubbi persi-stano riguardo al suo effettivoruolo). Sergej ChadÏikurbanov èaccusato di avere organizzato l'o-micidio e di aver gestito i contatticon il killer e gli altri partecipantiall'attentato. I due fratelliMachmudov avevano l'uno il com-pito di seguire Anna Politkovskaja,l'altro di rimanere vicino al luogo

del delitto e comunicare le informa-zioni al killer. L'esecutore materialedell'omicidio, secondo gli investiga-tori, sarebbe Rustam Machmudov,fratello di due degli imputati, sulquale vige un mandato di arrestointernazionale. Non si fanno invecenomi riguardo a chi sarebbe il man-dante dell'omicidio, ma il responsa-bile dell'indagine Petros Garibjanha recentemente dichiarato, inun'intervista a Novaja Gazeta, cheil cerchio degli indagati sarebbemolto ristretto, “due, tre, quattropersone”. Un dubbio terribile: nonostante la grande attenzione alivello internazionale, resta il timorecondiviso dai colleghi di Anna chenon si riuscirà a trovare chi havoluto uccidere questa donnacoraggiosa, simbolo di speranzaper tante vittime del conflitto cece-no. ■

Prima di Anna, AntonioAntonio Russo (Francavilla al Mare in provincia di Chieti, 3 giugno

1960 ) è stato un giornalista italiano, ucciso in circostanze misterio -se nel 2000, nei pressi della città georgiana di Tiblisi. Russo era un free-lance, abituato a vivere in prima persona gli eventi più scottanti. Nonaveva voluto iscriversi all'Ordine dei giornalisti e aveva rifiutato offerte ditestate importanti, perché solo così si sentiva libero di raccontare inpiena libertà, le realtà della guerra e - diceva - le atrocità che le popola -zioni civili erano costrette a subire. Tra le sue corrispondenze più notequelle dall'Algeria, durante gli anni sanguinosi della repressione, dalBurundi e dal Rwanda, dall'Ucraina, dalla Colombia e da Sarajevo.Russo fu inoltre inviato di Radio Radicale in Kosovo, dove rimase - unicogiornalista occidentale presente nella regione durante i bombardamentiNato (fino al 31 marzo 1999) per documentare la pulizia etnica contro ikosovari. Assassinato nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2000 in Georgia,dove si trovava come inviato di Radio Radicale per raccontare la guerrain Cecenia, Antonio fu ritrovato in una stradina di campagna a 25 kmda Tiblisi, torturato e livido, con tecniche – si dice - riconducibili a repar -ti specializzati militari. Il materiale che aveva con sé - videocassette, arti -coli e appunti vari - non fu ritrovato. Il suo alloggio venne svaligiato,appunti e video furono trafugati ma gli oggetti di valore non vennero toc -cati. Le circostanze della morte non sono mai state chiarite. Secondo isuoi amici, Russo aveva raccolto prove dell'utilizzo, da parte dei militarirussi, di armi non convenzionali contro bambini ceceni. ■

politici, insomma tutta genteimpegnata nel campo dei dirittiumani.Tra questi figurano Avni Er(turco) e la sua compagna, ZeynepKilic (turca, di origine kurda, ilcui vero nome è Nazan Ercan),due giovani militanti del Dhkp-c(il partito della sinistra rivoluzio-naria turca), che si trovano in quelperiodo sul territorio italiano. Arrestati a Perugia in esecuzionedi un’ordinanza di custodia caute-lare emessa dal GIP di quella città,dove vivevano, Avni e Zeynep ven-gono rinchiusi nel complesso peni-tenziario di Rebibbia, a Roma, leinell’istituto femminile elui nel cosiddetto“Nuovo complesso diRebibbia”. Successivamente, nel-l’agosto del 2005, Avniviene trasferito inSardegna, nella casacircondariale di Badu eCarros perché, comespiega il legale del giova-ne oppositore turco,l’avvocato Flavio RossiAlbertini, “il trasferi-mento tendeva a vanificare ladecisione della Corte di Assise diPerugia di autorizzare i colloquitra i due imputati turchi. Se Avnie Zeynep fossero infatti rimastinello stesso istituto (di Rebibbia)avrebbero potuto godere di ordina-ri colloqui familiari. Il trasferi-mento di Avni in Sardegna haimpedito che questa opportunità sirealizzasse”.

Il 20 dicembre 2006, la Corte diAssise di Perugia condannaentrambi rispettivamente a 7 e a 5anni di detenzione. Il 23 gennaio2007 la Corte d’Appello di Perugiaconferma nei confronti di Avni edi Zeynep le condanne di primogrado, con l’espulsione dal terri-torio italiano a fine pena, senten-za confermata in appello il 23 gen-naio scorso.

Ma quali sonole loro colpe?Se lo sono chiesti in tanti quandosi è diffusa la notizia del loro arre-sto. Qual è il reato di cui Avni edEr si sono resi responsabili qui in

Italia? Sono dei criminali oppuredei terroristi? Niente di tutto que-sto. Tutto nasce dal fatto che,essendo l’associazione Dhkp-calla quale i due giovani aderisconoqualificata come organizzazioneterroristica, è stato possibile pro-cessare in Italia i due imputatiturchi, seppure appartenenti auna associazione operante in un

Anche così avviene in Turchia l’assimilazione forzata di una popolazione di circa 20 milioni di kurdi

Sei kurdo? Puoi parlaresolo il turcoStudenti e genitori provenienti dai diversi villaggi del Kurdistanhanno chiesto di introdurre nelle scuole la propria lingua madre come materia di insegnamento. Ma molti di lorosono finiti agli arresti H.I.*

La lingua di una nazione è la sua anima, affermava il filosofo tede-sco e scienziato del linguaggio William von Humboldt. L’anima dinoi kurdi é la lingua kurda che però in Turchia é vietata, come si

può leggere all’art. 42 della Costituzione turca che dice: “Nelle istituzionieducative della Turchia deve essere insegnata e appresa unicamente la lin-

I due oppositori del governo turco Avni Er e ZeynepKilic: sono stati condannati da un tribunale italiano

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paese straniero. Come ci spiegal’avvocato Flavio Rossi Albertini: “La vicenda giudiziaria di cui sonoprotagonisti Avni e Zeynep traeorigine dalla modifica introdottadal legislatore italiano dell’art.270 bis del codice penale. A segui-to dell’attentato perpetrato nel2001 contro le Twin Towers di NewYork la legislazione di molti paesioccidentali in materia di “terrori-smo”, Italia in primis, subironouna involuzione/evoluzione.Infatti con il decreto legge del18/10/01 n. 374 convertito nellalegge n. 438 del 2001 nei primimesi del governo Berlusconi il par-lamento decise di adottare unamodifica dell’art. 270 bis c.p. cosìda dotare l’ordinamento giuridicodi una fattispecie penale idonea areprimere l’attività di gruppi terro-ristici internazionali radicatisi nelnostro territorio. “Nel corso del2002 anche in sede europea, sem-pre in tema di terrorismo, venneroassunte altre decisioni che rappre-sentano il substrato giuridico sulquale si innesta la cosiddetta“operazione 1° aprile”. Il 5 feb-braio di quell’anno il Consigliod’Europa approva la cosiddetta“Black List” dell’UnioneEuropea, con cui viene qualificatacome terroristica l’attività com-piuta da numerose organizzazioniinternazionali, tra le quali possia-mo ricordare il PKK, SenderoLuminoso, l’ala militare di Hamas(Hamas Izz al–Din al-Qassem), laJihad islamica palestinese, eappunto il Dhkp-c.

“Inoltre sempre nel 2002, il 13 giu-gno, il Consiglio dell’UnioneEuropea approva la “decisionequadro sulla lotta contro il terrori-smo” con la quale l’Europa decidedi attestarsi sulla definizione diterrorismo approvata dal governoinglese nel cosiddetto “TerrorismAct”. E qui è bene sottolineare chela legislazione inglese ha qualetratto peculiare quello di ricom-prendere nella categoria di terrori-smo ogni azione violenta, se com-piuta con finalità politica, annul-lando così la tradizionale distin-zione tra terrorismo ed eversione.“Dal canto suo la legislazione ita-liana fino al 2005, seppur solo for-malmente, ancora distingueva traassociazioni eversive e terroristi-che internazionali, prevedendo lagiurisdizione del giudice italianosoltanto per l’associazione terrori-stica internazionale: un’associa-zione eversiva internazionale,secondo la formulazione dell'art.270 bis, non poteva, in linea teori-ca, essere sottoposta a processo inItalia. “Ma tale distinzione - traterrorismo ed eversione - con l’in-troduzione del cosiddettoPacchetto Pisanu viene definitiva-mente annullata (decreto legge144/2005). Il legislatore italianoinfatti, successivamente agli atten-tati di luglio 2005 a Londra, decidedi introdurre ulteriori ipotesi direato in materia di terrorismointernazionale e a tal fine recepi-sce la definizione liberticida di ter-rorismo utilizzata dal Te r r o r i s mAct inglese.

Stralcio di una letterainviata da Zeynepdal carcere di RebibbiaSono una cittadina di origine kurda, nata in Turchia. Ho studiato pedagogia e lavora-

to circa tre anni come direttrice di un asilo comunale conseguendo la laurea nel1994. Per migliorare il mio inglese e continuare la mia carriera accademica mi sono reca-ta in Inghilterra. Ma i miei interessi non si sono limitati a questo. In Turchia essere unostudente significa implicitamente essere visto come un potenziale criminale. Un esem-pio tra i tanti è quello del controllo di polizia all’ingresso dell’Università. Alle legittimerichieste per una libera e scientifica educazione si risponde con arresti e torture. Duranteil mio periodo studentesco sono sempre stata sensibile ai problemi della mia terra nata-le ed ho partecipato alle lotte democratiche all’interno dell’Università. Il 1 maggio del1990 sono stata arrestata durante una mia visita presso la Tayad (l’associazione dellemadri di detenuti torturati e uccisi incarcere, ndr) e sono stata rinchiusanelle celle di tortura del QuartiereGenerale di polizia di Ankara. Vorreisottolineare che il 1 aprile 2004 si èverificata una situazione analoga aquella di 15 anni prima in Turchia maquesta volta sostenuta anche dalloStato Italiano e da altri PaesiEuropei. … In Turchia, fino ad oggi,migliaia di persone sono state tortu-rate a morte e più di 700 dopo l’arre-sto sono scomparse… In Turchia, inrealtà, vige ancora la Costituzioneemanata nel periodo della giunta militare fascista del 1980. Ciò rende possibile il con-trollo totale di tutte le istituzioni da parte dei militari. Una volta a settimana le politicheinterne ed estere vengono decise dal Consiglio Nazionale della Sicurezza (MGK) alquale prendono parte i generali delle Forze Armate. Per anni è stata attuata una politicadi assimilazione e demolizione dei kurdi. Migliaia di persone massacrate, villaggi bru-ciati, esecuzioni per strada ed evacuazioni forzate di interi paesi. La lingua e l’identità diquesto popolo sono state vietate. … La Turchia è sempre stata segnata da massacri.L’ultimo verificatosi nelle prigioni è avvenuto tra il 19 e il 22 dicembre del 2000 ed èterminato con 28 prigionieri bruciati vivi. Le armi chimiche, che bruciano i corpi senzadanneggiare gli abiti, usate in seguito anche in Falluja, sono a noi conosciute già da allo-ra poiché usate nelle prigioni turche. I prigionieri che erano in sciopero della fame adoltranza sono stati deportati nelle celle di isolamento del Tipo F ed ancora torturati. Daallora 122 persone hanno perso la vita e 600 sono affetti da malattie incurabili. A tut-t’oggi lo sciopero della fame ad oltranza continua nell’isolamento totale e in condizionidisumane. …Tutti questi avvenimenti da me riportati riflettono la realtà della Turchia ecioè quella di essere uno Stato fautore di massacri ed esecuzioni illegali della popola-zione. Sono esempi che dovrebbero di per sé bastare a dimostrare la politica del terroreperpetrata sistematicamente. Allora vi chiedo: chi sono i terroristi? Che cos’è il terrori-smo? (da internet) ■

“Guai nelle carceri turchese parli in kurdo“In occasione del ritorno della nostra

delegazione a Diyarbakir e nellea l t re città del Kurdistan abbiamoappreso che nelle carceri turche stan -no aumentando i casi di repressioneper l'uso della lingua kurda. Vengono proibiti giornali e periodicikurdi e vengono interrotte le comuni -cazioni in kurdo durante le visite,anche quando gli interlocutaori nonparlano altra lingua. Negli ultimitempi si è cominciato anche a inter -rompere automaticamente le conversa -zioni telefoniche in kurdo, attraverso

un sistema elettronico. Insomma, è vie -tato nelle prigioni usare la linguakurda: per chi contravviene a questodivieto, le punizioni consistono in iso -lamento, divieto di corrispondenza e divisite. Per questo i detenuti del PKK del car -cere di tipo D a Diyarbakir si sonodichiarati pronti a passare all'offensi -va parlando e scrivendo soltanto inlingua kurda in tutte le occasioni uffi -ciali, come per esempio nella corri -spondenza con l'amministrazione car -ceraria. ■ A.O.

gua madre turca“. La Turchia cerca in questo modo di togliere a noi kurdil’anima e mettere in atto un’assimilazione forzata di circa 20 milioni dikurdi: tutta la toponomastica dei luoghi in territorio kurdo è stata turchiz-zata e i genitori kurdi vengono puniti se danno nomi kurdi ai loro figli.

Questo è un brutale e odioso separatismo contro i kurdi. Sin dalla nasci-ta dello Stato turco si cerca di decimare il sentimento di appartenenzakurdo, la lingua, la storia, la cultura e tutte le peculiarità etniche. I bambi-ni kurdi devono apprendere una lingua che li tormenta, li opprime e liimbavaglia. Se un alunno durante la lezione dichiara di essere un kurdo,viene insultato e subisce punizioni corporali. Troppe volte ho sentito ripe-tere che “se un kurdo dicedi essere tale gli si può spu-tare in faccia“. Ho una rab-bia dentro se penso che igoverni kemalisti mi hannocon violenza privato dellamia terra, e della caldeparole della mia lingua. LaTurchia ha dichiarato lanostra lingua inferiore el’ha dunque vietata. Perchéa questo proposito l’Unione Europea non fa pressione sulla Turchia?Eppure la lingua kurda è parlata da 20 milioni di persone ed è un patrimo-nio dell’umanità. Il prof. Egon von Eickstedt, etnologo e antropologo cheoperò negli anni Cinquanta negli scavi in Kurdistan, scrisse che si trattavadi una delle più antiche lingue del pianeta, che per secoli si era diffusa dal

Un momento del progetto di alfabetizzazione peri bambini di strada in Kurdistan

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foto di Simonetta Crisci

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“In questo modo si svuota defini-tivamente di significato, anchenella legislazione italiana, la cate-goria dell'eversione, ormai total-mente sussunta nel più generaleconcetto di terrorismo internazio-nale. “Per concludere è necessarioosservare che l’operazione cosid-detta “1° aprile” fonda le sue basigiuridiche sulla legislazione italia-na ed internazionale formatasisuccessivamente all’11 settembre

2001. Precedentemente a quelladata il nostro paese non avevaalcuna norma che punisse unaorganizzazione che intendessecompiere attività terroristichecontro uno stato estero. Dal 2001l'Italia ha modificato l'art. 270 bisdel codice penale, prevedendo cosìla possibilità di punire le associa-zioni terroristiche internazionali.Quindi è stato possibile giudicarein Italia il Dhkp-c soltanto perché

l’organizzazione è stata qualifica-ta come associazione terroristica”.Avni e Zeynep sono dunque finitiin un carcere italiano perchèaccusati di appartenere in Turchiaa un movimento di sinistra, ilDhkp-c, con ruoli diversi: lui comedirigente, lei come sostenitrice. Irispettivi legali hanno tentato inquesti anni di dimostrare che l’at-tività portata avanti dalla sinistrarivoluzionaria turca era assimila-bile a una lotta di liberazione com-

b a t t u t acontro ilr e g i m ef a s c i s t at u r c o ,“una lotta”come has p i e g a t ol ’ a v v o c a t oF l a v i oR o s s iA l b e r t i n i ,“ i n t e r p r e-tata non

soltanto con l’uso delle armi masostenuta e portata avanti da unafitta rete di resistenza sociale com-posta di associazioni, sindacati,radio, giornali. Ma ai giudici diPerugia tutto questo non interes-sava: il loro intento era soltantoquello di aderire alla richiesta delgooverno turco in un periodo incui la Turchia, sullo scacchiereinternazionale, é un paese semprepiù apprezzato come valido part-

ner economico e come fedele allea-to. I due imputati per la loroappartenenza al Dhkp-c andavanocondannati e così è stato”.Mentre, come oggi sappiamo, tuttigli altri soggetti coinvolti nellacosiddetta “Operazione 1° aprile”sono stati prosciolti e rilasciati. Ilcaso più recente è da registrare il 7febbraio 2008 quando la Corted’Appello belga di Anversa, chia-mata a ad esprimersi sul caso di 11presunti membri ha rifiutato di

criminalizzare il Dhkp-c (in rela-zione alla sua presenza in Belgio ealle azioni che questa organizza-zione ha condotto in questo paese,e ha dichiarato che il Dhkp-c nonpuò essere considerato né un’asso-ciazione di malfattori né un’orga-nizzazione criminale, né un grup-po terroristico e ha prosciolto tuttigli imputati. Per tornare al casogiudiziario italiano, il 10 aprile

Dalla dichiarazione diAvni Er al processo diprimo grado a PerugiaNoi amiamo il nostro paese più di quanto lo amino coloro che lo governa-

no, ma coloro che si oppongono al regime, che difendono i diritti umani,che aspirano all’uguaglianza e alla giustizia sociale sono da sempre persegui-tati e schiacciati dalle Forze Militari….Centinaia di rivoluzionari e democrati-ci sono uccisi nelle strade, imprigionati, sequestrati e torturati. Innumerevolicurdi sono stati torturati solo per aver rivendicato le proprie origini e la proprialingua. Conoscete le bellezze del nostro paese mediterraneo, le sue spiagge, isuoi mari, la ricca gastronomia… un vero e proprio paradiso vacanziero di cuivengono nascoste le realtà quali la povertà e la fame sofferte da 20 milioni dicittadini del mio paese. Noi apparteniamo a loro. Siete mai stati svegliati dal rumore di un carro armato? Avete mai subitoun’irruzione di polizia, armi in pugno, nella vostra casa e sentito le raffiche deiproiettili? Siete mai stati testimoni di torture collettive? Avete mai fatto da ber-saglio durante una manifestazione autorizzata come quelle dell’8 marzo o del1 maggio? Siete mai stati testimoni di assalti nelle prigioni, in cui decine edecine di detenuti vengono bruciati vivi e mutilati mentre i loro torturatorihanno stampato sul proprio volto un ghigno?… Questo è il vero volto della Turchia che non volete vedere. La realtà delnostro Paese è quella di essere governato dalle Forze Armate fasciste che usanoil Parlamento e la democrazia come una maschera… ■

Caucaso ai monti Taurus in Asia Minore. Una lingua parlata per millenniè un patrimonio che va difeso e richiede dunque l’aiuto della ComunitàEuropea. L’articolo 6 della Costituzione europea prevede libertà, demo-crazia, rispetto dei diritti umani e delle diversità culturali, religiose e lin-guistiche. In realtà in Turchia l’insegnamento delle lingue minoritarie èpermesso solo nei corsi privati, ovviamente a pagamento. Il commissariodell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo SviluppoEconomico) per le minoranze linguistiche, Max van der Stoel, vede i dirit-ti delle minoranze inscindibili dai diritti umani. Si deve, egli sostiene,dare pari protezione alle minoranze, in riferimento all’identità. Questosignifica che i diritti culturali della minoranza kurda devono essere com-pletamente riconosciuti. Ma non é così. Alunni e studenti universitarikurdi hanno chiesto alla direzione delle singole scuole e università chevenga introdotta la loro lingua madre come lingua d’insegnamento. La

richiesta era sostenuta anche dai geni-tori. Il ministro degli Interni turco hadichiarato che questo si chiama sepa-ratismo e che bisogna duramenteintervenire con mezzi polizieschi.Questa pacifica richiesta di un ele-mentare diritto é stata vista dalle auto-rità turche come un atto terroristico, epertanto molti studenti e genitori sonostati arrestati. Da parte della EU nonvi è stata alcuna reazione. ■

*di Kurdish Info continua a pagina 7

In occasione del suo primomandato il governo

Erdogan aveva fatto tantepromesse. Aveva detto: dob-biamo risolvere il problemadei kurdi perché il problemadi Ocalan e del suo isola-mento è collegato al proble-ma kurdo. Se il problemakurdo fosse risolto Ocalansarebbe un detenuto norma-

“Apo” chiede sololibertà epace”

le”. Purtroppo Erdogan con lasua elezione per il secondomandato ha dimenticato tutto.Stavolta ha fatto un altro discor-so. Ha detto: “Se pensi a unacosa quella cosa c’è, ma se iopenso che il problema dei kurdinon c’è, quel problema non c’è.Io penso che non ci sia nessun

Yihmaz Orkan*

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continua da pagina 6scorso la corte d’appello di Sassariha respinto la richiesta di estradi-zione nei confronti di Avni Er cheera stata avanzata dalle autoritàturche. Tuttavia, nonostante questo fina-le, è proprio Avni ora a essere par-ticolarmente in pericolo. Perchéalcuni mesi fa la sua compagnaZeynep, che aveva ottenuto untrattamento sanzionatorio piùmite (5 anni di reclusione) e avevagià scontato i 4/5 della pena, hapotuto come prevede la legge esse-re liberata. Non essendo però inpossesso del permesso di soggiornoè stata dapprima trasferita nel Cptromano di Ponte Galeria e succes-sivamente è stata espulsa e spedi-ta in Germania, il paese che neaveva richiesto l’estradizione e nelquale in passato Zeynep avevalavorato come volontaria in uncentro sociale. Mentre per Avni, che è stato con-

dannato a sette anni di reclusionee non ha ancora scontato tutta lasua pena, il futuro è decisamenteminaccioso: se Avni, alla finedella detenzione, venisse espulsodal territorio italiano quanta cer-tezza avrebbe di non finire nellemani degli agenti segreti turchi?Un rischio tutt’altro che trascura-bile dal momento che per il gover-no di Ankara, il quale contestasostanzialmente ad Avni la parte-cipazione a manifestazioni di soli-darietà con i detenuti politici insciopero della fame nellecarceri turche, questogiovane attivista è ineffetti il collegamento inEuropa con il Dhkp-c equindi sicuramente aconoscenza della struttu-ra europea dell’organiz-zazione. L’unica possibi-lità di salvezza sarebbeper lui il rifugio politicoin Italia. Ma come si può

sperarlo alla luce del-l’incredibile vicendagiudiziaria di cui que-sto giovane è protagoni-sta e che vede le autori-tà italiane conniventicon quelle di Ankara?

Quante palesiviolazioniUna serie di palesi vio-lazioni sono state regi-strate nel corso del pro-cesso a Avni e Zeynep.

Come ha raccontato l’avvocatoFlavio Rossi Albertini “quando gliimputati furono tratti in arrestonon venne tradotta nella loro lin-gua madre l’ordinanza di custodiacautelare, in palese violazione delloro dirito di difesa. Non é statatradotta neppure la richiesta dirinvio a giudizio né la data dell’u-dienza preliminare. Inoltre duran-te il dibattimento si è scoperto chel’ufficiale di collegamento turco,che aveva collaborato con il ROSdei Carabinieri alla realizzazione

dell’inchiesta, era il responsabiledegli interrogatori degli arrestati edei fermati dell’antiterrorismo diIstanbul. Ma tutte le richieste di nullità delprocesso per tali violazioni sonostate respinte dal giudice.Per dare un’idea dell’atmosfera incui l’intero dibattimento si è svoltobasti dire che a ogni udienzaaccanto al pubblico ministerosedevano un colonnello e due sot-tufficiali dei ROS. E tutti i carabinieri dei Ros non-chè l’ufficiale turco hanno depostonascosti dietro un paravento, cela-ti alla vista degli avvocati degliimputati e del pubblico. E che il loro ingresso in aula éavvenuto sempre con il voltocoperto da un sottocasco e da ungiaccone che copriva i loro vestiti,una modalità di gestione del pro-cesso “alla turca” mai usato innessun altro processo politico”. ■

Zeynep Kilic (il suo vero nome è Nazan Ercan) è uscita recentemente dal carcere italiano e sitrova in Germania. Avni Er è tuttora detenuto nella casa circondariale di Badu e Carros

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proble-makurdo.Di con-seguen-za, nonc’è nes-sunproble-ma cheriguardi

Ocalan”. Questo ha detto ilprimo ministro turco. In realtà,nei confronti della popolazionekurda ci sono ancora tantisoprusi, tante sparizioni, arresti,tantissimi politici e intellettualikurdi sono stati assassinati.Mentre nelle carceri turche cisono ancora 5.500 persone:sono prigionieri politici. Nei loro confronti in passato lagiustizia turca prevedeva lapena di morte che ora è stata

modificata con l’ergastolo. InItalia però con l’ergastolo dopoun certo numero di anni si puòuscire dalla prigione, in Turchiano, l’ergastolo è a vita.Eppure il presidente Ocalan hadetto che la soluzione del con-flitto Turchia-Kurdistan è possi-bile, in Turchia ma anche neglialtri paesi in cui é incluso ilKurdistan. Ocalan chiede libertàe pace, due sole parole. Nonchiede l’indipendenza per ilKurdistan ma soltanto che il

Kurdistan venga riconosciutocome confederazione democra-tica, senza che venganotoccati i confini dei rispettivipaesi, una confederazione in cui i kurdi possano parla-re la loro lingua e vivereliberamente le loro tradizio-ni e la loro cultura. Da quasi 10 anni ”Apo” (zio, come lo chiama affet-tuosamente il suo popolo)vive in un terribile isolamento. Noi kurdi dicia-

mo che quando il governo turcometterà fine a questo tratta-

mento e consentirà che ilnostro Presidente venga trattato come un detenuto qual-siasi, noi capiremo che il gover-no turco vuole finalmente cambiare le cose. ■

I s t a n b u l . R e p ressione della poliziaturca contro manifestanti kurdi. Unbambino ferito

* di UIKI Onlus, Ufficio informazioni delKurdistan in Italia

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Così al Naga-Harsi impara a parlareitaliano

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Ogni giorno decine di giovani stranieri possono cominciare aesprimersi nella lingua del paese in cui hanno chiesto rifugio.Perché queste prime lezioni sono davvero importanti

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Perchè unostranierochiede asilo

La storia di chiunque sia costretto a lasciare la sua Patriarispecchia la storia di milioni di uomini. E non può essere altrimenti, visto che la terribile decisione di abbandonare la propria terra, i propri affetti e la propria casa dipende sempre da eventi di carattere politico, sociale ed etnico

Silvio Rossi

Isabella Barato

lasciandosi dietro una scia di san-gue, di dolore e di orrori. Si partecon la paura e l’angoscia dell’i-gnoto, e si perdono la casa gliaffetti e il lavoro. Poi un giorno -come scrive Paolo Mattana, biolo-go, ricercatore e scrittore - puòcapitare che si riesce a tornare.Però il Paese da cui si è partiti eche si ritrova non è più lo stesso.La gente ed i parenti non sonopiù gli stessi. Anche la lingua ècambiata. Tutto è diverso e allora ti accorgidelle occasioni perse e degli anniche nessuno potrà più ridartiindietro. Ti accorgi che non seipiù né carne né pesce”.Tantissimi stranieri tra quelli chevediamo arrivare ogni giorno sul

suolo italiano hanno una storiasimile. Il rifugiato – si sa - è unapersona in pericolo costretta afuggire dal proprio paese d'originein quanto perseguitato per la suarazza, religione, nazionalità, peril gruppo sociale a cui appartiene.Ma anche per le sue opinionipolitiche, perché con il propriocoraggio e mettendo a rischio lapropria vita ha tentato di abbatte-re la dittatura nel proprio paese(come ne esistono ancora a centi-naia in tutta l’Africa) o di scon-figgere un tiranno colpevole, colsuo pugno di ferro, di continueviolazioni dei diritti umani versola sua gente. Oppure si può doverfuggire soltanto perché le proprieidee non sono ben viste da chi nelproprio paese detiene il potere,come dimostrano le singolevicende delle migliaia di esuli delmondo occidentale, che fannoparte poi della storia di tutti noi:rievocandole, si potrà capiremeglio chi sono i rifugiati stranie-ri che vediamo arrivare oggi sullenostre coste e sul nostro territorioe perché le vicende di cui sonostati protagonisti li ha condottifin qui. Ma proviamo a citare unfamosissimo esiliato politico dicasa nostra, Dante Alighieri. Lacittà di Firenze, dove il sommopoeta della “Divina Commedia”era nato il 29 maggio 1265, eradilaniata da anni dalle lotte tra iGuelfi, fedeli all’autorità tempo-

rale dei Papi, e i Ghibellini, difen-sori del primato politico degliimperatori. Quando, a 30 anni,Dante entrò in politica i Guelfiavevano ormai cacciato iGhibellini e si erano divisi a lorovolta in Guelfi Bianchi, che cer-cavano di difendere l’indipenden-za della città dalle mire egemoni-che di papa Bonifacio VIII, e inGuelfi Neri, sostenuti dal Papato.Un anno dopo però Dante fuchiamato a Roma alla corte diBonifacio VIII e ne accettò l’in-vito. Accusato di corruzione fusospeso dai pubblici uffici, con-dannato al pagamento di unapesante ammenda e poiché non sipresentò davanti ai giudici fu con-dannato alla confisca dei beni e afinire a morte sul rogo se si fossefatto trovare sul territorio fioren-tino. Avvilito per il tradimento diBonifacio VIII che l’aveva in que-sto modo allontanato da Firenzementre i Guelfi Neri ne riprende-vano il potere, cominciò così agirare di corte in corte, da Luccaa Verona fino a Ravenna, dovemorì. Non più fortunato è stato,in tempi più vicini a noi, SigmundFreud, il fondatore della psicana-lisi nato da genitori ebrei aFreiburg in Moravia, allora terri-torio dell’impero austriaco oggiPribor, nella Repubblica Ceca.Negli anni Trenta a causa delle

Attorno a un grande tavolo di legno massiccio ogni pomeriggio si sie-dono Muhammad, Nazir, Thomas, Friday, Abdullah, Yssa o altri connomi come questi di origine araba o di varie nazionalità africane.

Sono gli ‘studenti’ di italiano che ogni pomeriggio si ritrovano al Naga Har (ilCentro milanese dei richiedenti asilo, rifugiati politici e vittime di tortura) per

partecipare alle lezioni di italiano, come annunciato dal calendario dellevarie attività che il Centro propone ai suoi ospiti. Non è facile per chi vieneda lontani paesi stranieri imparare la nostra lingua, né persistere in questoimpegno: durante la loro permanenza a Milano i richiedenti asilo politicovivono in una specie di apertheid, sporadici sono i rapporti con la gente delluogo, per parlar chiaro nessuno apre loro la porta della propria casa. Così,finiscono per frequentare poco o pochissimo la città, quasi non la conosco-no, né per loro è facile o possibile muoversi dato l’alto costo del biglietto perogni viaggio sui mezzi pubblici. Insomma al di fuori del Naga-Har e dellestrutture canoniche dell’accoglienza, se e quando ci sono, le occasioni di

Una ininterrotta catenasenza fine: è quella delleinnumerevoli persone

che vivono forzatamente lontane

dalle proprie nazioni di residenza.Intere famiglie vengono distrutteo disgregate. Si parte di nascosto,

foto di Maura Geri

La consueta lezione di italiano al Naga-Har, il centro diurno di accoglienza deirichiedenti asilo e rifugiati politici a Milano

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e pedagogici. Quelli didattici sono, per esempio, l’apprendimento di una fun-zione linguistica o dei vocaboli inerenti all’argomento trattato, o ancora eser-citare la pronuncia di certi suoni sillabici che risultano ostici soprattutto aiparlanti lingue africane. Anche i cosiddetti obiettivi educativi pedagogici sonoperò altrettanto importanti. Uno di questi è fare di ogni persona qui presenteun protagonista, che vuol dire dargli visibilità e spessore. Costruirgli insom-ma la cornice della sua presenza alla lezione. Ogni caratteristica personalepuò così diventare un argomento di lezione valido: cosa indossa, come sta,quali i cibi preferiti, quali attività ama fare ecc. Attuare gli obiettivi quidescritti significa avere fatto una bella lezione d italiano. Significa infattiavere offerto la possibilità di esprimere se stessi e di essere stati identificaticome la persona che nelle due ore della lezione si manifesta con i proprigusti, con le proprie preferenze o con qualche scheggia del proprio passato.In altre parole si è cercato di fare emergere quell’”unicum” irripetibile cheogni essere umano è. Questo obiettivo, così scontato in ogni classe scolasti-ca, diventa nell’ambiente del Naga Har una preziosissima conquista perché irichiedenti asilo politico vivono ogni giorno una condizione di vulnerabilità edi spaesamento. L identità di un richiedente asilo politico o umanitario emer-ge quasi solo come operazione burocratica quando va in questura, allamensa, al dormitorio, ma sono rarissime per ciascuno di loro, come si è già

detto, le occasioni per esserese stessi, per essere ricono-sciuti come una persona che hauna propria storia, un propriostile di comportamento, unapropria cultura, un ruolo. Inquesto contesto la lezione diitaliano può diventare un aiutovalidissimo. ■

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texte franòais à page 18

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sue origini ebraiche il suo nomeera finito nella lista degli autoridi opere da mandare al rogo. E lasituazione anche per lui precipitònel ’38 con l’annessionedell’Austria al Terzo Reich. In quell’anno, quattro sorelle diFreud morirono nei campi di con-centramento nazisti e la figliaAnna venne catturata dalla

costretto da Hitler, dopo la pub-blicazione del suo primo poemaantimilitarista "La leggenda di unsoldato morto", a chiedere rifugioprima a Praga, poi a Londra einfine a New York. O come Albert Einstein, il fisicotedesco premio Nobel per la fisicanel 1921 e padre della teoria dellarelatività. Nel ’33, quando Hitlersalì al potere, e fu promulgata dai

Nobel, lo scrittore tedescoThomas Mann, al quale per il suoimpegno civile e morale contro l’i-narrestabile avanzata del nazismovennero tolte sia la laurea adhonorem dell’università di Bonnsia la cittadinanza tedesca. Se poi facciamo un altro passoindietro nella storia dell’Europa,sulla via dell’esilio troviamo loscrittore Victor Hugo, considerato

Gestapo. Pochi giorni dopo,accompagnato dalla moglieMartha e da Anna, che nel frat-tempo era stata rilasciata, Freudlasciò Vienna per recarsi aLondra, dove un anno dopo morì.Ma tantissimi sono in quegli annigli intellettuali che hanno dovutochiedere asilo all’estero per sot-trarsi alla ferocia nazista e allafollia politica che aveva sconvoltola nazione. Come Bertoldt Brecht

nazisti la “legge dellaRestaurazione del Servizio civi-le”, tutti i professori universitariebrei furono licenziati. Einstein,allora direttore dell’Istituto difisica dell’università di Berlino,perse l’incarico e per sottrarsi allepersecuzioni antisemite si trasferìnegli Stati Uniti dove, nel 1940,divenne cittadino americano.Stessa sorte (la fuga negli StatiUniti) toccò a un altro premio

il padre del Romanticismo france-se. Nominato Pari di Francia dalre Luigi Filippo d’Orléans poientrato a far parte dell’Assembleacostituente come deputato, avevadapprima appoggiato l’elezionealle presidenziali del giovaneLuigi Napoleone Bonaparte maquando questi, divenutoNapoleone III con il colpo distato del l851, emise una serie diprovvedimenti antiliberali come

Da sinistra, Sigmund Freud, BertoldtBrecht, Albert Einstein, Victor Hugo eSandro Pertini

incontro con la città e di inserimento in questo nuovo contesto sociale sonorare. Forse anche per questo i richiedenti asilo politico che vengono al NagaHar sono spesso numerosi, perché è una delle poche occasioni di socialitàche hanno. Ogni giorno,appena arriva l’insegnante...Noi insegnanti per abitudine parliamo di scuola, in realtà al Naga-Har non cisono i banchi, non ci sono quaderni e libri, non ci sono voti. Insomma, non èuna vera scuola. Le cosiddette lezioni sono organizzate con materiali recu-perati di volta in volta dalle piccole scorte costituite dalla nostra brava coor-dinatrice, Pinuccia. I risultati appartengono al giorno stesso in cui si è fatta“lezione”. Anche perché non c’è continuità da parte di questi giovani stranie-ri. Forse trovano qualche lavoretto, oppure vanno al sud, o in un’altra cittàmagari più accogliente di Milano. Ma quando sono qui ce la mettono tuttaper impadronirsi di qualche vocabolo di italiano. Una delle lezioni più fre-quenti è l’uso del verbo essere che non c’è nella lingua araba. Il verbo esse-re, oltre che come ausiliare di molti verbi è anche quello che serve per attri-buire o ‘predicare’ qualità, caratteristiche. Oppure può avere il significato distare, esistere, esserci. A maggior ragione questo verbo diventa cruciale perdare spessore all’identità. Si comincia, dunque, la lezione distribuendo primadi tutto identità: sono uno studente, sono un eritreo, sono stanco, sono unimbianchino, sono al Naga. La lezione prosegue raccogliendo la proposta diqualcuno che cerca di raccontare un’esperienza recente o di fare emergereun’espressione di lingua italiana non capita. Ecco, la lezione ormai è partita.Alla lavagna si scrivono gli esempi delle diverse situazioni in cui le parolevengono usate, le frasi che le prevedono, gli usi più frequenti. Spesso scop-piano risate quando si simulano dialoghi. Allora, a turno, ciascuno vienechiamato a fare un po’ l’attore. Deve così immedesimarsi nella situazione epronunciare, la parola o la frase da imparare.Come tutte le lezioni che sirispettino anche la nostra lezione d’italiano al Naga-Har ha obiettivi didattici

l’abrogazione della legge elettora-le del 1850, ne divenne violentoavversario e fu costretto a fuggirea Bruxelles. E per arrivare alla storia piùrecente non possiamo non ricordare un amatissimo protago-nista della vita politica contempo-ranea, Sandro Pertini, settimopresidente della Repubblica italiana dal 1978 al 1985 e infine

senatore a vita. Condannato dalTribunale speciale per esserestato, all’epoca in cui militava nel Partito Socialista Italiano, uno tra i più fervidioppositori del fascismo, trascorse dapprima un lungoperiodo di esilio in Francia e suc-cessivamente, rientrato in Italia,finì in prigione nel carcere“Regina Coeli”. ■

foto di Maura Geri

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Asylum Post

English text on page 20

E’ nato a Romail Laboratorio 53Costituitasi all’interno di “Medici contro la tortura” e formata da filosofi, antropologi, psicologi, assistenti sociali e mediatori culturali, questa associazione dà assistenza e accoglienza a tutte lepersone che chiedono asilo politico sul territorio italiano Silvia Umbriano

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L’associazione LABORA-TORIO 53 è nata a Romada pochi mesi, ma si basa

sulle attività svolte negli ultimicinque anni all’interno dell’asso-ciazione “Medici contro la tortu-ra” in favore di richiedentiasilo e rifugiati. Siamo ungruppo formato da filosofi,antropologi, psicologi, assi-stenti sociali e mediatori cul-turali. E tutti insieme, inuna prospettiva multidisci-plinare, lavoriamo e offria-mo assistenza e accoglienzaalle persone che chiedonoprotezione internazionalenel nostro paese, in partico-lare a quelle più fragili e dis-orientate.Quello che ci spinge è un’i-dea di tempo diversa daquello calcolato e calcolatore del-l’orologio, dall’indifferenza degliattimi, che non lascia spazio perl’incontro. Contro ciò cerchiamodi coltivare invece un tempo altro,fatto di cura e apertura, che sia lapossibilità per un luogo dove tes-sere nuove relazioni e riprenderein mano la propria vita. Un luogopolitico, dove per politico inten-diamo la condivisione, il fareinsieme, l’imparare l’uno dall’al-tro, il raccontarsi, il saper ascolta-re. Per questo motivo le personerichiedenti asilo che si rivolgono anoi non sono meri “utenti” di unservizio, ma diventano, con le lorostorie, vite, esperienze, testimo-nianze, capacità e risorse, partedi un gruppo che è sempre in

movimento e in cambiamento.Esattamente come i migranti che,muovendosi, ridisegnano di voltain volta nuove identità, propriocome i conflitti che li obbligano alasciare i propri Paesi, nello stesso

modo in cui ogni persona è diver-sa dall’altra e da se stessa neltempo.Sicuri che l'accoglienza non siarovesciare un sapere e un servizioprestabilito in recipienti vuoti,impariamo di continuo ad acco-gliere dai migranti stessi. Ognunoporta con sé una storia diversa,delle aspettative, delle scelte, deidesideri, delle sofferenze, dellegioie, delle capacità, dei legami.Per questi motivi non vogliamoindossare i panni di spettatoripassivi della realtà in cui ci siamoritrovati a vivere, non vogliamoche le categorie di “stranieri”,“rifugiati” o “italiani” ci costrin-gano dentro territori stretti e pre-stabiliti.

Cerchiamo piuttosto di lavoraresulle differenze e di aiutare le per-sone a ri-costruire un percorso divita, in un Paese straniero e spes-so non scelto, rispondendo allasolitudine dell’esilio, creando

attorno a loronuove retisociali di sup-porto e cercan-do di rimediarealla frammen-tarietà, disper-sività e difficol-tà ad accedereai servizi e ailuoghi che unagrande cittàcome Roma

offre. Abbiamo perciò modulato lenostre attività su due livelli paral-leli e legati:• Gruppo di accoglienza:attività collettive che, a partiredalle risorse e dalla peculiarità diciascuno, costruiscono uno spaziodi dialogo, ascolto, racconto auto-biografico, espressione, testimo-nianza e di cura delle relazioni.Per fare ciò usiamo la parola -

orale o scritta - ma indaghiamoanche altri canali comunicativi,come quello teatrale, musicale,corporale, ecc..• Colloqui individuali:oltre al tempo condiviso del grup-po di accoglienza diamo spazioanche all’espressione dei partico-lari bisogni ed esigenze legate allacondizione di richiedente asilo orifugiato. Assistiamo perciò indi-vidualmente le persone nel loropercorso legale, nell’orientamentoa un adeguato percorso formati-vo, al lavoro e all'equiparazionedel titolo professionale, accompa-gniamo ai servizi pubblici e delprivato sociale della città, nell’ot-tica di una tutela dei diritti,

offriamo sostegno psico-sociale nel tempo necessa-rio a progettarsi in unnuova terra. Le attività di gruppo ven-gono svolte il martedì e ilgiovedì dalle 15 alle 20presso i locali della Cittàdell’Utopia ( Via Valeriano3/F), in zona San Paolo. Icolloqui individuali avven-

gono invece nei locali diMedici Contro la Tortura (Vi aCatania 89), in particolare: lunedìdalle 15 alle 20 SegretariatoSociale, mercoledì dalle 9 alle 14Orientamento al Lavoro. ■

Per informazioni e contatti scrivete [email protected] (www.laborato-rio53.it) o telefonate ai numeri3286640571 - 3297297314 -3334712178.

Era un mercante di pillole perfezionate che calmavano la sete. Se ne inghiottiva una alla settimana e non si sentiva più il bisogno di bere."Perché vendi questa roba?" disse il piccolo principe."È una grossa economia di tempo", disse il mercante, "Gli esperti hanno fatto deicalcoli. Si risparmiano 53 minuti a settimana"."E cosa se ne fa di questi 53 minuti?""Se ne fa quel che si vuole...""Io", disse il piccolo principe, "se avessi 53 minuti da spendere, camminerei adagioadagio verso una fontana..."

Da “Il piccolo principe”

L’interno del Laboratorio 53. Sopra, richieden-ti asilo nella sala delle attività di gruppo

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Addio al grandepoeta della resistenzapalestineseLa sua morte, avvenuta in un ospedale di Houston, nel Texas, dopo un intervento a cuore aperto, lascia un vuoto profondo in tutti coloro che sognano una patria, la libertà, la giustizia e un mondo migliore

“Non potevo più assistere passivamente alla continua violazione dei diritti umani daparte dei soldati americani neiconfronti di tanti innocenti iracheni”, ha dichiarato JoshuaKey, un giovane artificiere.Recentemente la Corte federalecanadese gli ha riconosciuto ildiritto al rifugio politico

Nel ricordo di Mahmud Darwish

Tre gior-ni dilutto

nazionale epoi i funerali distato, comeper il presi-

dente Yasser Arafat morto quat-tro anni prima. Decine dimigliaia di persone, a Ramallah,hanno accompagnato il corteofunebre di Mahmud Darwish,deceduto in un ospedale diHouston, Texas, dopo un inter-vento a cuore aperto. Radio etelevisioni arabe hanno tra-smesso i suoi discorsi, le suepoesie, le canzoni. Dai balconi,dai tetti, da ogni palo sono com-parse bandiere e immagini delgrande poeta della resistenzapalestinese ma soprattutto del-l’esistenza di un intero popolo.Mentre l’Autorità Nazionale

Palestinese ha fatto coprire tuttii muri di Ramallah con i suoiversi più amati: “Ci sono tantecose su questa terra per cuivale la pena vivere”. Si è conclusa così, a 67 anni,l’esistenza terrena di MahmudDarwish. Era nato nel 1941 inGalilea nel villaggio di al-Birwah; nel 1948, a solo setteanni, visse in prima persona latragedia del suo popolo disper-so dagli attacchi dei sionisti.Quando dopo un anno rientròdal Libano con la famiglia, trovòil suo villaggio distrutto e sosti-tuito da un insediamento ebrai-co. Si stabilì a Deir el Asad e daquel momento cominciò a sen-tirsi “un profugo nella suapatria”. Come dice Ibtisam Barakat(scrittrice e poetessa palestine-se residente negli Stati Uniti) “in

assenza di una patria Darwishtrasformò la lingua in una spa-ziosa tenda per tutti coloro cheavevano bisogno di una patria.Egli trasformò lo struggimentoin un momento d incontro.Coloro che erano in esilio pote-vano incontrare le loro madriattraverso la sua”:

Bramo il pane di mia madreil caffé di mia madreil tocco di mia madre

Il trascorrere lunghi periodinelle carceri israeliane o agliarresti domiciliari, le privazioni,il tormento della patria negata el’esilio costantemente presentehanno contribuito a rendere uni-versale l’opera di Darwish.“Dove dovrebbero volare gliuccelli dopo l’ultimo cielo?”,

Elena Redaelli

Rosanna Sorani

Banski: contro i potenticon una bomboletta sprayUn eroe controcorrente, da sempre

pronto a mettere in gioco se stessoe la sua arte per denunciare l’assurditàdella guerra e la follia dei potenti chesempre più disinvoltamente vi fannoricorso. E’ questo il vero identikit diBanski (in realtà, il suo nome all’ana-grafe è Robin Cunningham), 35 anni, ilgraffitaro inglese più noto al mondo.L’artista più quotato della Street Artcontemporanea (alla Sotheby’s diLondra dieci disegni firmati “Banski”hanno superato le 500 mila sterline),commenta con sarcasmo il successo cheregistra con i suoi graffiti, quasi sempredi chiaro sapore eversivo. “Soltanto deiritardati mentali”, sono sue parole,

“possono acquistare queste merde”.Armato solo di una bomboletta spray,da anni Banski continua a realizzare asorpresa i suoi graffiti, e lo fa ovunque,nelle strade di Londra o nelle aree poli-tiche più calde del pianeta. Come, adesempio, il detenuto di Guantanamo(un’aperta denuncia contro la tortura) aDisneyland, Tony Blair sorridente in unautoscatto col telefonino su un incendiodi bombe sganciate sui civili iracheni ola scala sul muro antiterrorismo erettodal governo israeliano in Cisgiordania,un graffito questo decisamente signifi-cativo in giorni come quelli attuali in cuile bombe israeliane stanno uccidendomigliaia di civili palestinesi. ■

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Non volevopiù esserecomplicedi quelloche accade in Iraq

La denuncia di un soldatoUsa ne “Il racconto deldisertore”, un bestseller cheha scritto dopo aver diser-tato ed essere fuggito conmoglie e figli in Canada

La caccia alle armi di distru-zione di massa in Iraq, risul-tata viziata da informazioni

di intelligence infondate, è “il piùgrande rammarico della mia presi-denza”, aveva dichiarato poche set-timane prima di uscire di scenaGeorge W. Bush in una intervistaalla rete televisiva ABC. E in quel-l’occasione aveva anche ammessoche il fallimento nel provare i capidi imputazione che avevano giusti-ficato la guerra contro l’Iraq, è unadelle eredità più pesanti con cuilasciava (finalmente!, ndr) la presi-denza. Peccato, però, che centinaiadi migliaia di giovani americaniabbiano creduto ciecamente alleparole dell’allora presidente quan-do, nel marzo del 2003, li ha chia-mati alle armi per andare a combat-tere in Iraq, perché l’Iraq – così

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sono sue parole.Lavora a Haifa nella redazionegiornalistica del PartitoComunista condividendo pover-tà e persecuzione col poetaSamih al Qasim (verrà edito Leepistole la loro corrispondenzadurante il soggiorno di Darwisha Parigi). Nel 1970 aderisceall’OLP, Organizzazione per laLiberazione della Palestina, e si

trasferisce in Libano dove rimane anche durante l’occupa-zione israeliana accettando nel1982 l’esilio in Tunisia insiemeal comando superiore dell’OLP.

Fin dall’inizio è contrario agliAccordi di Oslo tra OLP egoverno israeliano perchéavrebbero definitivamente affos-sato il sogno palestinese di unostato indipendente. Nel 1990 vaa Parigi ma quando il quartiergenerale dell’OLP si trasferiscea Gaza e nei Territori occupatichiude il suo esilio e torna aAmman e a Ramallah dovelavora alla rivista palestinese el-Karmel, è direttoredell’Associazione degli scrittorie giornalisti palestinesi e capodel Centro di ricerca palestinesee dove trascorre gli ultimi sedicianni della sua vita sempre con-tinuando, attraverso la suavoce, a esprimere il dramma delpopolo palestinese. Ora, lamorte di Darwish ha creato unterribile vuoto in tutti coloro chedesiderano una patria, la libertà,la giustizia, un mondo migliore.Ma la sua poesia resterà altaper sempre.Le parole delle sue liriche, apartire dalla prima raccoltaUccelli senza ali del 1960, can-

tano valori che travalicano laPalestina: valori universali dilibertà, di pace, di speranza diamore per la patria negata ma anche di elogio e spronealla resistenza palestinese e didura condanna alla feroceoccupazione israeliana comenella poesia Passanti tra parolefugaci criticata anche da partedei suoi compagni (ma “Tuttoquello che può essere fatto puòessere commentato” dice ungriot). Sempre presente èanche la struggente nostalgiadegli esuli per la propria terracome testimoniano i versi delledue poesie nel box. ■

Nel suo petto trovaronouna lanterna di rosee una luna. Giaceva morto su una pietratrovarono … monetinenella sua tasca,e sopra di luiuna scatola di zolfanellie un passaporto. Sul morbido braccio, invece,c’erano dei tatuaggi.La madre l’aveva baciato,l’aveva pianto un anno dopo l’altro.

Quando ero giovane e bellola rosa era la mia dimorae il mio mare erano le sorgenti. Ma la rosa è diventata una feritae le sorgenti un’arsura. Forse sei cambiato molto ?No, non sono cambiato molto Quando torneremo come il ventoverso la nostra terraguarda bene la mia frontevedrai le rose diventare palmee le sorgenti diventare

Spini cervini gli crebbero negli occhie le tenebre si addensarono. Anche il fratello, quando crebbe,e andò per le vie della cittàcercandosi un lavoro, lo buttarono incella. Lui non possedeva un passaporto,ma portava per le stradeuna cassa di marciume… ed altrecasse O bambini del mio paese: cosi morì la luna !

Assassinato n.4 Straniero in una città lontanasudore. Mi troveraicome eroprima giovane ebello.

diceva - possedeva le armi di distru-zione di massa e offriva riparo aiterroristi che avevano organizzatogli attacchi dell’11 settembre controgli Stati Uniti. Centinaia di migliaia di giovani cihanno creduto. Com’é accadutoanche a Joshua Key, un giovaneartificiere dell’Oklahoma che, sen-sibile alle parole del suo presidente,è finito nell’inferno dell’Iraq ma è

riuscito a fuggirne otto mesi dopochiedendo asilo politico in Canada.“Ho creduto a quanto mi hannodetto il mio presidente e i miei supe-riori”, ha raccontato Joshua in unlibro autobiografico, “Il raccontodel disertore”, scritto a quattro manicon Lawrence Hill e diventato subi-to un bestseller. A 24 anni, conmoglie e quattro figli, si era arruola-to nell’esercito per avere un redditofisso. A una condizione, però: dinon combattere e non essere manda-to all’estero, lontano dalla famiglia.

“Nessun problema”, gli ave-vano risposto, “andrai a ripa-rare i ponti in tutti gli StatiUniti. Costruirai ponti dallenove alle cinque tutti i giornie passerai le serate a casa conla tua famiglia”.

Fu assegnato allabase militare diFort Carson, aColorado Springs,con uno stipendiodi milleduecentodollari al mese eun contratto di treanni. Ma appena duesettimane più tardivenne spedito aFort LeonardW o o d , n e lMissouri, per l’addestramento dibase e due mesi dopo fu arruolatonella 43.ma compagnia del Geniomilitare, in partenza per l’Iraq.“Non avevo letto tutte le clausoledel contratto, ignoravo perciò che,secondo una di queste clausole, i

miei superiori avrebbe-ro potuto mandarmi alfronte quando voleva-no”, racconta. “Ma almeno, mi sonodetto, farò anch’io lamia parte, qualcunodovrà pur salvare ilmondo dai terroristi chesi sono impadronitidell’Iraq e stannominacciando la nostravita”. E ’ a quel punto che

Joshua Key conosce l’inferno.Negli otto mesi che passa in Iraqpartecipa a decine di irruzioni e sac-cheggi in piena notte nelle case diinnocenti in cui si ritiene si nascon-

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Qui sopra, un pestaggio. Nelle altre foto,tre immagini dell’Intifada

Il disertore americano Joshua Key, conla moglie e i loro quattro figli

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dano i terroristi, ma non ne trovamai nessuno. Assiste invece allaviolazione continua dei dirittiumani, alla sparizione di civili ira-cheni, alla morte di donne e bambi-ni, addirittura a una partita di calciotra soldati Usa in cui il pallone è latesta mozza di un civile iracheno. E allora durante le lunghe notti ira-chene, mentre i caccia passavanosfrecciando, i bengala bruciavano ele case saltavano in aria distruttedall’esplosivo al plastico C-4,Joshua Key ha finalmente ritrovatola sua coscienza, ha capito che nonpoteva collaborare più. A quel puntola sua voce interna è diventata ungrido, “fino a coprire il rombo deicarri armati, le vampate delle armida fuoco e gli ordini dei superiori”.

Ed è fuggito per salvarsi l’anima,“perché”, ha detto a se stesso il sol-dato Key, “io non sono così”.Durante un breve congedo di duesettimane è tornato a casa, ha cari-cato su un caravan la moglie e iquattro figli ed è scappato oltre lafrontiera del Canada. Qualche mese fa il giudice RobertL. Barnes, della Corte federalecanadese, probabilmentetenendo conto anche delcoraggio con cui Joshua hadenunciato gli orrori cui haassistito, ha riconosciuto algiovane soldato americano ildiritto all’asilo politico.Questa sentenza ha un impattodirompente vista la motivazio-ne del verdetto: le azioni milita-ri cui ha partecipato Key, scrive

infatti il giudice Barnes, “violano laConvenzione di Ginevra. Perchéconfigurano il reato di una compli-cità in crimini di guerra imposta daivertici militari Usa ai propri solda-ti”. Per questo l’artificiere-disertore“merita il diritto all’asilo dalle per-secuzioni, sancito dallaDichiarazione Universale dei diritti

dell’uomo”. Una sentenza vistaoggi con grande speranza da centi-naia di altri disertori americani che,a una guerra insensata e sanguina-ria, hanno preferito il rischio di fini-re davanti a un tribunale militarenonché una pesante condanna alladetenzione. ■

Du Sènegalavec amourDans Ubu Burr traité dans Ubu Re est transporté de la Pologneimmaginare à l’Afrique aujourd’hui, les jeunes acteurs ontdènoncé le colonialismo toujours renpante dans le continentafricain

De nouveau sur scène a Milan, les interprètes senegalaisdu Theatre delle Albe

Badou Baye Fall

Un grand plaisirs de les voir retourner a Milan, ce groupe d’inter -prètes senegalais du theatre delle Albe de Ravenna: nous avonseu la chance de les voir sur scene quelques mois passés dans un

divertissant spectacle Leebu Nawet ak norr( jeu de riches et de pau -vres).une transposition del Pluto Aristofane ècrit directe et interprète parl’auteur et règiste senegalais Mandiate ndiaye et que tous les personna -ges , couleurs et percussionistes sont des sènègalais. C’est avec unegrande enthousiame que nous les avons reçu a l’heure toujours aMilan,dans un nouveau spectacle Ubu Burr, traite dans Ubu Re de deJarry ou la pologne immaginaire surrèèl est transporté dans le continentafricain:Père Ubu( interprèté par Mandiate Ndiaye) devient commesymbole des dictateurs africains et Mère Ubu sa blanche èpouse symboli -

se force le colonialisme toujours renpante. Et dans Ubu Burr tous lesinterprètes sont des jeunes senegalais qui nous charment avec leur crèdi -ble vitalité et l’amour de leur terre.A ce point de fascination,nous voulions savoir quelque chose de plus sureux et nous les avons contacté enfin de spectacle. La première chose quenous avons dècouvert, est disponibilitè et leur modestie,et comme sur unplateau d’argent que nous avions l’honneur de déjeuner avec eux dansnotre maison et de pouvoir faire quelques demandes a Mandiaye Ndiayepour mieux comprendre le travail du groupe.Comment avez vous débute votre carrière de theatre avec le Theatre delleAlbe? Vous ètiez acteur au Sènègal?Non, au Sènègal je travaillais comme tailleur.En 1888 j’arrive en Italie, en Romagna a Ravenna, comme un immigrépour aider ma famille en travaillant comme colporteur et tailleur. Monrencontre avec le theatre delle Albe ètait de tout un cas.En 1889 je deviens une partie du theatre “delle Albe”de Ravenna et danspeu d’années, je redeviens auteur professionel reconnu au niveau natio -nal et international. Je deviens auteur aussi en ècrivant quelques piecespour le groupe theatral.J’ai publié, avec Luigi Dadina le texte GriotFluter pour les èditions AIEP Guaraldi.J’ai aussi participé a des nom -breux congres en Italie attestant l’importance et l’efficacitè du dialogueentre les diffèrentes cultures.J’ai partecipé comme acteur aux films: “Lacasa del sorriso” de Marco Ferreri(1990), “La vita in gioco” deGiuseppe Bertolucci(1992). Entre 2001 et 2002 j’ai collaboré avecl’Association senegalaise MAN KENEENKI, dirigée par Jean MichelBruyère, association qui unit le destin des jeunes provenant des rues deDakar a celui des artistes du theatre et du cirque, auxquels ces jeunesacquirent des espèriences dans le but de dèvelopper leurs talents artisti -ques.Les interprètants de vos spectacles sont tous des senegalais?En parti provienent du Sènègal et en parti sont des senegalais qui vivent

Immagini dello spettacolo “Leebu nawet ak noor”

Un tank USA in azione in Irak. A destra,soldati americani in posa dopo un sanguinosoassalto nella casa di una famiglia irakena

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en Italie. Dans Ubu Burr par exemple il y’a quelques sènègalais deRavenna et le coeur des palotins est formé des jeunes senegalais nés en

Le village de Diol Kadd fait partie de la communauté rurale deNdiayènne Sirakh (comme 32 autres villages pour un total de 10000

habitants) dans la règion de Thiès , a 250 km de Dakar vers l’Est, a l’in-terieur du Sènègal et est habite de non plus de 300 habitants (enfants com-pris) cinq années passées avait 1500.Est un village sans eau ni élèctricité sa base de subsistance est la culturedu mil et d’ arrachides. On y arrive travers une piste de sable dans labrousse ou non s’y trouve des automobiles dans un rayon de dix kilomé-tres. Les déplacements se font a pied ou sur calèche a cheval. La majeur partie des hommes sont allés a dakar pour trouver du travail ouautres, comme quoi la famille qui reste au village est composée de femmeset d’enfants. Diol Kadd se situe dans une zone d’èthnie sèrère, ou s’ymaintien beaucoup la trace d’une tradition animiste. La religion officielleest l’Islam, mais dans la variante de la doctrine des Mourides. Doctrinebeauccoup tolèrante avec des figures de saints qui incarnent une spècialeouverture dans le monde. ■ B.B.F.pour information: www.diolkadd.org www.teatrodellealbe.com

Le village de Diol Kadd

Depuis plus dix ans nous travaillons dans ce spectacle. On la fait enChicago, a Napoli et puis au Sènègal a Diol Kadd et dans d’autres paysArabes. Dans tous les endroits on essaye d’adapter la pièce avec la lan -gue sur place, mais on conserve toujours la dialecte Romagnole qui estla nostre.

Italie, mais les autres onze protagonistes qui sont des soldats de PèreUbu sont arrives au coeur de la savane sènègalaise du village de DiolKadd ou il y’a ni eau ni èléctricite mais un projet intègrant le volet dutheatre est entrain de ce mener dans cette partie.Sont ils des acteurs professionels?Non, ils sont tous des jeunes qui travaillent dans le projet dènommé 3T(Terre Theatre Tourisme Responsabile) pour faire renaitre levillage.Quand nous ne sommes pas en tournée ils travaillent a l’internedu village comme cultivateurs quelques uns frèquentent l’ècole et un deleurs Mor frèquente l’université.Pourquoi dans Ubu Burr vous avez utilisé trois dialectes diffèrentes:Wolof, Italien et Romagna?

En 1996 l’Association TAKKU LIGEY (travailler ensemble) est l’ègale-ment connue tous les 250 habitants adultes du village sont aujourd’-

hui des associés de l’Association donc coincide avec la communauté loca-le. Le projet 3T de l?association Takku Ligey dans les mois et années avenir pointe a renforcer l’autonomie de chacun des trois sections de travailsoit en Italie, qu’au Sènègal.LA TERRE: a cultiver, a revitaliser a dècouvrir comme la propre base devie avec ses traditions et des valeurs de la communautè rurale.LE THEATRE: comme forme de communication,d’autoconscience dedècouverte des traditions culturelles des rencontres( avec le role de griot)et de la musique comme èspace de rencontre, des fetes.de socialisation.LE TOURISME RESPONSABLE, comme activitè economique et l’occa-sion de rencontre avec les autres peuples et cultures. ■ B.B.F.

L’association Takku Ligey (Lavorare insieme)

Le temps est passé vite. Pour eux tous c’est l’heure de retourner au thea -tre pour leur dernier reprèsentation milanaise,et puis retourner aRavenna pour ensuite repartir au Sènègal. Au debut nous ètions un peuprèocupés: La maison trop petit pour une douzaine de personnes, leschaises ètaient insuffisantes et j’avais proposé de cuisinner un cep ougen (riz au poisson). Et je savais aussi que non sera comme le prèpareleurs braves Mamans. Elena avait la douleur de non savoir communi -quer avec eux et comme unique femme blanche. Mais pour tous ètaientun dèjeuner et un apres midi inoubliable. Espèrons de les retrouver anco -re en Italie ou espèrons de pouvoir aller à Diol Kadd. ■

Alcuni degli interpreti senegalesi di “Ubu Burr”

How Ocalanis detainedin Europe’sGuantanamoBay

Ebru Guney and Omer Gunes, twolawyers on Ocalan’s legal team, protest that the Kurdish leader hasbeen held at the Imrali prison fornine years in “intolerable isolation”

Antonio Olivieri

continues to page 15The sole inmate in a lager-prison on

the island on Imrali, watched overby some 450 military guards, has been

living in solitary confinement for nineyears, under 24-hour video camera sur-veillance,” say Adbullah Ocalan’s law-yers, Ebru Gunay and Omer Gunes.“Moreover, he’s not allowed to sleep,has no access to television, and onlyreads week-old papers that have beencensored of articles that the authoritiesdeem inappropriate.” And yet on May 2005 the EuropeanCourt of Justice in Strasbourg rulingthat the Turkish authorities had violatedinternational treaties by Ocalan’smistreatment during his first detentionand by denying him the right to a fairand independent trial, called for aretrial which has never taken place. There was unrest recently in Turkeyafter reports of President Ocalan’smistreatment became public and

Kurdish people took to the streets invarious cities to protest. Our delegation happened to be inKurdistan at the time and so we wereable to observe the events firsthand.The demonstrations were followed byviolent clashes with the police, and oneprotester died in Dogu Dogubeyazit,while dozens were injured both thereand in Yuksekova (one very seriously).Hundreds of protesters were arrestedand 65 ended in prison in Diyarbakirwhile others were incarcerated in otherTurkish prisons. Why did the Kurdishpopulation take to the streets once moreto defend its leader “Apo” Ocalan?It would be difficult to answer this inItaly because for years the media hasignored the prison conditions of theKurdish President. We met Ebru Gunay

and Omer Gunes, two lawyers onOcalan’s legal team, in Istanbul. Notthree days before they had met with thePresident on the island of Imrali. Theytold us that – as usual – the meetingtook place in the presence of a JusticeMinistry official who recorded the inter-view, while a prison guard watched andlistened though an open door. Ocalansaid that after Kurdish rebels attackedthe Aktutun military post, near the cityof Hakkari, in October he was subjectedto considerable abuse. Prison guardsransacked his cell then dragged him byhis arms into another cell where he wasforced to lie on the ground. They igno-red his pleas for respect. When he said:“ This is unacceptable, I’d rather you

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Two years since the murder ofAnna Politkovskaja the trialagainst the unknown culprits hasbegun. The open doors wereimmediately closed.

Silenced by death

Brave, free, stubborn, never ensla-ved by the authorities but alwaysand only determined to reveal thetruth, even in its most horrific form.She wanted her readers to have theprivilege of knowing everything thatshe, as a journalist, came to know.And this behavior is what “inevi-tably” killed her Silvio Rossi

continues to page 16

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Ilive life and I write what I see, AnnaPolitkovskaja would reply to those

who asked her the secret of her journa-listic activity. And the more she repea-ted this the closer the date of her deathsentence became. A sentence which wascarried out on 7th of October 2006 on

the threshold of her Moscow home. Inan interview a few years before herdeath, she had declared it a miracle noone had yet killed her. Her friends andcollegues thought the same and hopedthat her fame and numerous internatio-nal prizes would protect her.Unfortunately this was not so.Two years later, the trial against thefirst defendants for the murder of thecourageous Russian journalist hasbegun, yet among them there is neitherthe actual killer nor those who commis-sioned it. Two years of investigationhave not provided satisfactory answersto the many questions which the murderaroused. But there is one thing thatthose who knew the journalist wellhave no doubts about: A n n aPolitkovskaja was killed for her journa-listic activity at the Novaja Gazeta andfor the articles and books she wrotedescribing in detail the atrocities car-ried out by the Russian army inChechya and by the Chechen authori-ties against the local population.Her books recount tragic stories of realpeople, actual cases, and often revealthe name of people responsible for kid-nappings, torture, extortions and vio-

lence. But Annadid not justwrite on theGazeta: whene-ver she couldshe traveled theworld to advo-cate theChechen cause.Nonetheless shewas often wel-comed withsuspicion andher speecheswere neveracclaimed, atleast not in theWest. Anna didnot hold backduring her spee-

ches. On one occasion for example shesaid that she didn’t understand whyPutin (then head of the Kremlin) hadasked for a moment’s silence forAmerican victims but never said a wordfor the Chechen victims.In one of her books she described anatrocious incident: that of a 14 year oldboy in a Chechen mountain village, kil-led by a Russian grenade while he wasat the toilet (all country houses haveoutside toilets, far from the building).And as the boy was blown apart hismurderers laughed. Only a few dayslater Putin in reference to the Chechenissue was caught saying “ We will drivethem out, even of their toilets”. But Anna’s most desperate phrase goesback to the first years of 2000 when shedeclared, The worst thing is that manyof the people I have written aboutrecently are now dead”. And to thinkthat in successive years the dead wereto increase considerably. And twoyears ago she herself followed the samefate.The main characters at the trialOn October 15th the first hearing wasopened against colonel Pavel Rjazugovof the Russian Security Department(FSB), the Home Office collaboratorSergej ChadÏikurbanov and the brothersDÏabrail and Ibrahim Machmudov, ofChechen origins, the first to be accusedof Anna Politkovskaja’s murder. Thetrial took place in a military courtbecause among the accused there was amember of the security forces andmany of the documents presented hadbeen provided by the FSB and theHome Office with a non-disclosureclause. Then it was declared that allsubsequent hearings would take placebehind closed doors. The jury mem-bers are afraid” declares the militaryjudge Eugenij Zubov, They fearthreats and intimidations and refuse toappear in front of journalists. I had tocomply with their request.” In actual fact the jurors remained in

their place because they remained una-ware of any danger. And Dmitri

In memory of Anna

On the day of the second anniversary of A n n aPolitkovskaja’s death, many meetings and gatherings

took place both in Russia and many other countries toremember her by. And the tragic anniversary also sees thepublication in Italy of a collection of previously unpublishedarticles from the front of the second Chechen war: the testi -mony of tortures, the shame of raped women, and other atro -cities written to give a voice to a people with no defense.There are no great men in Anna’s stories. Only many admirable little men and women who have beenrobbed, tortured and killed. “Women who fear nothingbecause they fear everything”, concludes A n n aPolitkovskaja.In Moscow, under the pouring rain hundreds of people gathe -red to remember Anna Politkovskaja . Among them famous human rights activists and the mainleaders of the opposition. ■

Before Anna, Antonio

Antonio Russo (Francavilla alMare, province of Chieti, June 3

1960) was and Italian journalist whowas killed in mysterious circumstan -ces in 2000 near the city of Tiblisi inGeorgia. Russo was a free-lance jour -nalist who was used to living the mostdramatic conflicts in first person. Hehad decided not to sign up to the orderof journalists and refused offers fromimportant newspapers, as this was theonly way he could be totally free todescribe the reality of war and, as hesaid, the atrocities which civilianswere forced to endure. Among hismost famous correspondences thosefrom Algeria during the bloody yearsof repression, from Burundi, Rwanda,Ukraine, Colombia and Sarajevo.Russo was also correspondent forRadio Radicale in Kosovo where hewas the only western journalist pre -sent in the region during Nato bom -bings (until March 31st 1999) todocument ethnic cleaning operationsagainst the Kosovars. Antonio Russodied the night of 15-16th October2000 in Georgia where he was repor -ting on the war in Chechnia for RadioRadicale. His body was found on acountry lane 25 km from Tiblisi, tortu -red and beaten with methods, it issaid, typical of specialized militarybodies. The material he had on him –videotapes, articles and notes – wasnot found. His house was ransackedfor tapes and papers, yet all valuableswere left untouched. The circumstan -ces of his death were never explained.According to his friends Russo hadcollected proof that the Russian mili -tary was using unconventional wea -pons against Chechen children. ■

kill me instead,” the guards answered:“Don’t worry, we will one day.This is in the cards.” And they added:“Everything that happens in here is adirect command from the State.”In effect, in recent months the Turkishgovernment has issued increasinglyrestrictive laws regarding the Imrali pri-son. It’s also cut down on family visi-ting hours for the sole inmate from threehours twice a week to one hour once aweek. Often that one visit is cancelled at thelast minute. Since 2005 Ocalan hasbeen subject of penalties of cellularconfinement on several occasions. His cell is under 24 hour video surveil-lance but still he is harassed: guardscontinuously open and slam shut theviewing hatch in his door, especiallyduring the night, so that it is difficult forhim to sleep through the night.

Furthermore, the window in his cell isopened according to the whims of theguards, regardless of the weather condi-tions. Sometimes, at night, thePresident feels as though he is suffoca-ting because of strong asthma attacks. The two lawyers also confirmed thatOcalan is the only inmate on the islandand that no one can come near to himwithin a five mile radius. He is guarded by 450 soldiers, as wellas 250 non-commissioned officers andan unknown number of marines. Twosmall war ships are stationed near theisland. Technically his lawyers have visitingrights once a week, but often the prisonadministration cancels those privileges.Currently they have averaged about onevisit a month. Equally worrisome are the false reportson Ocalan’s state of health dissemina-ted by the Ministry (they are visible onthe web site), which create tension in

the country. In any case, the prison con-ditions have greatly deterioratedOcalan’s health. The European Committee for the pre-vention of Torture (CPT) has visitedOcalan frequently (the last time on May20, 2007) and noted that his state ofphysical health (in particular his mentalstate) has deteriorated because of hisprison conditions and his emotional andsocial isolation, causing irreversibledamage to his psychiatric and sensorialhealth. Conditions are particularlyharsh. While prisoners typically have atelevision in their cell, Ocalan has aradio that only receives one station (thatof his incarcerators), he receives new-spapers that are several days evenweeks old, and often they have beencensored. He does not even receive the books thathis lawyers bring him. Furthermore,while prisoners can receive visits fromthree friends in addition to family mem-

bers, Ocalan does not have that privile-ge. Every time his lawyers visit himthey are body-searched 13 times, ninewhen they arrive and four when theyleave. The prison authorities do notallow them to wear glasses during thevisits, nor can they bring documentationpertinent to his case. If they take notes, they are later confi-scated. All prisons are subsidiaries ofthe Justice Ministry but the Imrali HighSecurity Closed Prison depends on aCrisis Unit under the direct control ofthe Prime Minister.That is in open violation of Turkishlaws, which limit ministerial authoriza-tion to two renewable semesters. In thiscase, the situation has endured for 10years. This intolerable situation has no equiva-lent on an international level. ■

*President “Verso il Kurdistan” association

translated by Elisabetta Povoledo

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1 6Asylum Post

Muratov, director of Novaja Gazeta ,the newspaper for which A n n aPolitkovskaja wrote declared that thedecision was taken “solely to preventthe Russian people from finding out thetruth which we hope will be revealed atthe trial.” A truth which still seems faraway. Colonel Rjazugov, initially alsoaccused of murder, remained under trialbut only with the accusation , togetherwith Sergej ChadÏikurbanov, of misuseof power towards an entrepreneur in2003 (he is no longer accused with themurder of Politkovskaja although there translated by Audrey Sadlier

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Emprisonnés enItalie sur ordre dugouvernementd'Ankara

La bataille judiciaire incroyable de deux jeunes adversaires du gouvernement turc

Pour quel crime ? Celui d'appartenir au Dhkp-c, l'organisation qui se bat pourle respect des droits de l'homme et pour une vraie démocratie en Turquie.C’est la justice italienne qui les a jugés et condamnés à la réclusion

are still doubts concerning his role).Sergej ChadÏikurbanov is accused oforganizing the murder and of handlingcontacts with the killers and othersinvolved in the murder. Of the twoMachmudov brothers, one was in char-ge of following Anna Politkovskaja ,the other of remaining posted near thelocation of the murder and to keep thekiller informed. The actual killer, accor-ding to investigators, is RustamMachmudov , brother of two of the twoaccused, for whom there is an interna-tional arrest warrant. No names havebeen revealed as to who might be the

Rosanna Sorani

C'est une bataille judiciaire incroyable dont les protagonistes sont deux jeunesactivistes de la gauche turque qui se sont retrouvés enfermés dans les prisons

italiennes en raison de leurs convictions politiques. Leur histoire a commencé il y a quatre ans. C’est le 1ier avril 2004 qu'une opéra -tion répressive organisée au niveau international par les autorités turques maisaussi allemandes, hollandaises, belges et italiennes provoque l’arrestation de 82personnes sur le territoire turc et de 56 personnes dans différents pays d’Europe.Qui sont-ils ? Ce sont des journalistes de plusieurs groupes d'opposition, des mem -bres d'organisations démocratiques, des avocats, des architectes, des artistes,d’anciens prisonniers politiques, en somme, toutes les personnes impliquées dansla lutte pour les droits de l'homme.Parmi eux figurent Avni Er (turc) et sa compagne, Zeynep Kilic (turc, d'originekurde, de son vrai nom Nazan Ercan), deux jeunes activistes du Dhkp-c (le parti dela gauche révolutionnaire turque) qui se trouvaient à ce moment là sur le territoi -re italien. Arrêtés à Pérouges par exécution de l’ordonnance de détention préven -tive émise par le juge d’instruction pénale de la ville où ils vivaient, Avni et Zeynepsont reclus dans le complexe pénitentiaire de Rebibbia, à Rome, elle, dans ledépartement pour femmes et lui, dans ce qu’on appelle « le nouveau complexe deRebibbia. » Par la suite, Avni est transféré en Sardaigne en août 2005, dans la pri -son départementale de Badu e Carros parce que, comme l’explique l’expert juridi -que du jeune opposant turc, l'avocat Flavio Rossi Albertini, « le transfert tendait àrendre vaine la décision de la Cour d’Assise de Pérouges d’autoriser les entrevuesentre les deux accusés turcs. Si Avni et Zeynep étaient restés en fait dans le mêmeétablissement (de Rebibbia) ils auraient pu bénéficier d’un droit de visite conjuga -le. Le transfert d'Avni en Sardaigne a empêché cette possibilité. »Le 20 décembre 2006, la Cour d’Assise de Pérouges les condamne respectivementà 7 et 5 ans de détention. Le 23 janvier 2007 la Cour d'Appel de Pérouges confir -me les condamnations de première instance d’Avni et de Zeynep, ainsi que l'expul -sion du territoire italien à la fin de la peine, sentence confirmée en appel le 23 jan -vier dernier.Mais quel est leur crime ?Ils se le sont demandé tant de fois lorsque s’est faite entendre la nouvelle de leurarrestation. De quel délit se sont rendus coupables Avni et Zeynep en Italie ? Sont-ils des criminels ou bien alors des terroristes ? Rien de tout cela. Tout vient du faitque l'association Dhkp-c à laquelle les deux jeunes adhèrent a été qualifiée d’or -ganisation terroriste. Il a donc été possible de poursuivre en justice en Italie lesdeux accusés turcs, bien qu'appartenant à une association opérant dans un paysétranger. Comme nous l’explique l’avocat Flavio Rossi Albertini :« La bataille judiciaire dont Avni et Zeynep sont les protagonistes tire son originede la modification de l'art. 270 bis du code pénal, introduite par le législateur ita -lien. Suite à l'attaque perpétrée en 2001 contre les Tours Jumelles de New York, lalégislation de beaucoup de pays de l'ouest concernant le « terrorisme », l’Italie enpremier, a subi une évolution régressive. En fait avec le décret du 18/10/01 n. 374

repris dans la loi n. 438 de l’année 2001 des premiers mois du gouvernementBerlusconi, le parlement a décidé d'adopter une modification de l'art. 270 bis ducode pénal afin d'équiper le système juridique d'un outil pénal idoine visant àréprimer l'activité des groupes terroristes internationaux enracinés sur le territoi -re national. Au cours de l’année 2002, au siège de l’Europe, d'autres décisions ontété prises, toujours sur le thème du terrorisme, représentant le substrat juridiquesur lequel se greffe ladite « opération du 1ier avril ». Le 5 février de cette année leConseil de l’Europe approuve ladite « Liste noire » de l'Union Européenne parlaquelle est qualifiée de terroriste l'activité exercée par les nombreuses organisa -

commissioners, however the head ofinvestigations Petros Garibjan recentlydeclared in an interview with NovajaGazeta that the circle of suspects is verysmall, “two, three, four people.” Oneterrible doubt: despite great internatio-nal attention, Anna’s collegues stronglyfear that the culprit of the murder ofthis brave woman, the symbol of hopefor many victims of the Chechen con-flict, will not be found .…A trial within the trialLawyer Karina Moskalenko, one of thedefenders in the trial against the threeaccomplices of Anna Politkovskaja’s

killer , nearly died , poisoned by a sub-stance which had all the characteristicsof mercury, traces of which were foundin her car . As Moskalenko herselfdeclared, “A few days earlier I startedto cough and began to swell. Myhusband and our three kids also had thesame symptoms.” All four presentedpoisoning symptoms: nausea, vomitingand headache. When asked who mightwant to poison her Moskalenko answe-red, “ Someone who does not want meto take part in the trial in Anna’s defen-se”. ■

Extrait d'une lettre envoyé par Zeynep dela prison romaine de Rebibbia

Je suis une citoyenne d'origine kurde, née en Turquie. J'ai étudié la pédagogieet travaillé près de trois ans comme gestionnaire d'une école maternelle

municipale, obtenant mon diplôme en 1994. Pour améliorer mon anglais et con-tinuer ma carrière académique, je suis partie en Angleterre. Mais mes centresd’intérêts ne sont pas limités à ceci. En Turquie, être étudiant signifie implicite-ment être vu comme un criminel potentiel. Un exemple parmi tant d’autres pour-rait être celui du contrôle de police à l’entrée de l'université. Aux demandes légi-times pour une éducation libre et scientifique, l’on nous répond par des arresta-tions et des tortures. Pendant mes études, j’ai toujours été sensible aux problèmesde ma terre natale et j'ai participé aux luttes démocratiques à l'intérieur de l'uni-versité. Le 1ier mai 1990 j’ai été arrêtée lors d’une visite de la Tayad (l'associa-tion des mères de détenus torturés et tués dans les prisons, Ndr) et j’ai été enfer-mée dans les cellules de torture du district général de police d'Ankara. Je vou-drais souligner que ce 1ier avril 2004 s’est reproduit une situation analogue àcelle qui était arrivée il y a 15 ans en Turquie mais cette fois-ci avec le soutienen plus du gouvernement italien et d'autres pays européens… En Turquie, jusqu’à aujourd'hui, des milliers de gens ont été torturés à mort etplus de 700 ont disparu après avoir été arrêtés.... En Turquie, en réalité, est enco-re en vigueur la Constitution datant de la période de la junte militaire fasciste de1980. Ce qui rend possible le contrôle total de toutes les institutions par les mili-taires. Une fois par semaine, la politique intérieure et étrangère est décidée par leConseil National de la Sécurité (MGK) auquel participent les généraux desForces Armées. Durant des années, une politique d'assimilation et d’extermina-tion des kurdes a été perpétrée. Des milliers de gens massacrés, des villages brû-lés, des exécutions dans les rues et des évacuations forcées de villages entiers. Lalangue et l'identité de ce peuple ont été interdites. La Turquie a toujours été mar-quée par les massacres. Le dernier événement le vérifiant s’est produit dans lesprisons entre le 19 et le 22 décembre 2000 lorsque 28 prisonniers ont été brûlésvifs et battus à mort. Les armes chimiques qui brûlent les corps sans endomma-ger les vêtements, utilisées aussi par la suite à Falluja, nous étaient d’ores et déjàconnues puisqu’utilisées dans les prisons turques. Les prisonniers qui étaient engrève de la faim à outrance ont été envoyés dans les cellules d’isolement de TypeF et encore torturés. Depuis lors 122 personnes ont perdu la vie et 600 ont con-tractés des maladies incurables. Aujourd'hui encore, la grève de la faim à outran-ce continue dans l’isolement total et dans des conditions inhumaines. Tous cesévénements que je vous ai rapportés reflètent la réalité de la Turquie, qui est d’ê-tre un Etat encourageant les massacres et les exécutions illégales de la popula-tion. Ce sont des exemples qui devraient d’eux-mêmes suffire à démontrer lapolitique de terreur perpétrée de manière systématique. Je vous demande alors :Qui sont les terroristes ? Qu’est-ce que le terrorisme ? ■

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enregistré le 7 février dernier lorsque la Cour d'Appel belge d'Anvers, appeléepour s'exprimer sur le cas de 11 membres présumés a refusé de criminaliser leDhkp-c, concernant sa présence en Belgique et les actions que cette organisationa mené dans ce pays, et a déclaré que le Dhkp-c ne peut être considéré ni commeune association de malfaiteurs, ni comme une organisation criminelle, ni commeun groupe terroriste et a acquitté tous ses membres présumés.Pour revenir au cas judiciaire italien, le 10 avril dernier, la Cour d'Appel deSassari a repoussé l'application de l'extradition d’Avni Er qui avait été avancéepar les autorités turques. Néanmoins, en dépit de ces derniers événements, Avni està présent en danger, car il y a deux mois, sa compagne Zeynep, qui avait obtenuune sanction plus douce (5 années d'emprisonnement) et qui avait déjà purgé les4/5 de sa peine, a pu, comme le prévoit la loi être libérée. N’étant pas cependanten possession d’un permis de résidence, elle a tout d’abord été transférée au cen -tre de rétention temporaire de Ponte Galeria et par la suite elle a été expulsée etenvoyée en Allemagne, le pays qui avait demandé son extradition et dans lequelZeynep avait travaillé dans le passé en tant que volontaire dans un centre social.Tandis que pour Avni qui a été condamné à sept années d'emprisonnement et qui

n'a pas purgé toute sa peine, l'avenir estrésolument menaçant : si Avni étaitexpulsé du territoire italien à la fin de sapeine, il risquerait de finir entre lesmains des services secrets turcs. Un ris -que qui ne peut pas être négligé car legouvernement d'Ankara l’accuse d’avoirparticipé à des manifestations de solida -rité avec les prisonniers politiques engrève de la faim dans les prisons turques,ce jeune activiste est en fait en relationen Europe avec le Dhkp-c et connaît parconséquent sûrement la structure euro -péenne de l'organisation. La seule possi -bilité de salut serait pour lui l’asile poli -tique en Italie. Mais comment peut-oncontinuer à l’espérer, à la lumière decette incroyable bataille judiciaire aumilieu de laquelle ce jeune homme seretrouve piégé et dans laquelle les auto -rités italiennes sont de connivence aveccelles d'Ankara?Trop de violations manifestesUne série de violations manifestes ont étéenregistrées lors du procès d’Avni et deZeynep. Comme l’a raconté l'avocatFlavio Rossi Albertini, « quand les accu -sés ont été arrêtés l’ordonnance de

détention préventive n'a pas été traduite dans leur langue maternelle, ce qui estune violation manifeste de leur droit de défense. La demande d’ajournement dujugement n’a pas non plus été traduite, ni même la date de l’audience préliminai -re. De plus, pendant le débat, il a été découvert que l’agent en relation avec le gou -vernement turc qui avait collaboré avec le ROS (Regroupement opérationnel spé -cial) des carabiniers au déroulement de l'enquête était le responsable de la cellu -le antiterroriste d’Istanbul pour les interrogatoires des personnes arrêtées et inter -pelées. Mais toutes les demandes de nullité du procès en raison de ces violationsont été rejetées par le juge. Pour donner une idée de l'atmosphère dans laquelle latotalité du débat s’est déroulée, il suffit de souligner que lors de chaque audiencesiégeaient à côté du ministère public, un colonel et deux sous-officiers du ROS.Tous les carabiniers des ROS et l’agent turc avaient déposé, cachés derrière unparavent, dissimulés au regard des avocats, des accusés et du public. A leur entréedans la salle, ils étaient toujours vêtus d’un couvre-chef et d’un manteau quirecouvrait leurs vêtements, une modalité de gestion du procès «Alla turca» qui n’a -vait jamais été utilisée dans aucun autre procès politique.» ■

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traduit par Caroline Fraisse

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“Apo” asks only for freedom and peace”

A conversation with Yihmaz Orkan,of “Uiki onlus, Ufficio Informazioni delKurdistan in Italia” (the Kurdistan information office in Italy)

tions internationales telles que le PKK, le Sentier Lumineux, l'aile militaire duHamas (Hamas Izz al–Din al-Qassem), le Jihad islamique palestinien, mais aussile Dhkp-c. De plus, toujours en 2002, le Conseil de l'Union Européenne approuvele 13 juin la « décision cadre se référant à la lutte contre le terrorisme » par laquel -le l'Europe décide de se mettre d’accord sur la définition du terrorisme agrée parle gouvernement anglais dans ledit « Terrorism Act ». Il serait bon de souligner icique la législation anglaise a ceci de particulier qu’elle comprend dans la catégo -rie « terrorisme » toute action violente, si elle est associée à une finalité politique,annulant ainsi la distinction traditionnelle entre terrorisme et subversion.De son côté, la législation italienne, bien que de manière formelle, faisait encorela distinction jusqu’en 2005 entre les associations internationales subversives etterroristes n’incluant dans la juridiction du juge italien que l'association terroristeinternationale : une association subversive internationale, d'après la formulationde l'art. 270 bis, n'était pas susceptible, dans un cadre théorique, d’être soumise àune procédure pénale en Italie. Mais l'introduction dudit décret Pacchetto Pisanuannule de manière définitive une telledistinction entre le terrorisme et la sub -version (décret de loi 144/2005).Autrement dit, le législateur italien adécidé, suite aux attaques de juillet 2005à Londres, d'introduire des cas supplé -mentaires d'infraction dans le cadre duterrorisme international et ainsi d’ac -cueillir la définition liberticide du terro -risme utilisée par le « Terrorism Act »anglais. De cette façon, la catégorie « subversion» est vidée de manière définitive de toutesignification également dans la législa -tion italienne, et maintenant totalementavalée dans le concept plus général deterrorisme international.« En conclusion, il est nécessaire deremarquer que ladite opération du « 1ieravril » fonde ses bases juridiques sur lalégislation italienne et internationaleformatée suite aux événements du 11 sep -tembre 2001. Avant cette date notre paysn'avait pas de norme punissant une orga -nisation dont le projet consistait à mettreen place une activité terroriste contre unétat étranger. Depuis 2001, l’Italie amodifié l'art. 270 bis du code pénal, pré -voyant ainsi la possibilité de punir les associations terroristes internationales. Il adonc été possible de juger en Italie le Dhkp-c uniquement parce que l'organisationa été qualifiée d’association terroriste. » Avni et Zeynep ont donc été envoyés dansune prison italienne parce qu'ils ont été accusés d'appartenir en Turquie à un mou -vement de gauche : le Dhkp-c, à des niveaux différents : lui, en tant que dirigeantet elle, en tant que militante. Les différentes aides juridiques ont essayé durant tou -tes ces années de démontrer que l'activité assimilée à la gauche révolutionnaireturque était comparable à une lutte de libération contre le régime fasciste turc, «une lutte » comme l’a expliqué l'avocat Flavio Rossi Albertini, « menée non seule -ment avec l'usage des armes mais également soutenue et poussée vers l’avant parun dense réseau de résistance sociale composé d'associations, de syndicats, deradios, de journaux. Mais les juges de Pérouges ne l’ont pas entendu de cette oreil -le : leur intention était uniquement de répondre à la demande du gouvernementturc dans une période dans quelle la Turquie est de plus en plus appréciée commeassocié économique valide et comme un fidèle allié sur la scène internationale. Enconséquence, les deux accusés devaient être condamnés pour leur affiliation auDhkp-c.» Depuis lors, toutes les autres personnes impliquées dans ladite «Opération du 1ier avril » ont été acquittées et relâchées. Le cas le plus récent a été

De la déclaration d'Avni Erau procès de première instance à Pérouges

Nous aimons notre pays bien plus que les gens qui le gouvernent, mais ceuxqui s'opposent au régime, qui défendent les droits de l'homme, qui aspirent

à l'égalité et à la justice sociale sont depuis longtemps persécutés et écrasés parles forces militaires... Des centaines de révolutionnaires et de démocrates sonttués dans les rues, emprisonnés, séquestrés et torturés. D’innombrables Kurdesont été torturés seulement pour avoir revendiqués leurs origines et leur langue.Vous connaissez la beauté de notre pays méditerranéen, ses plages, ses mers, sariche gastronomie... un véritable paradis de vacances dans lequel des réalitéscomme la pauvreté et la famine dont souffrent 20 millions de citoyens de monpays sont cachées. Nous faisons partie de cette réalité. Avez-vous déjà été réveillés par le bruit d'un char militaire ? Avez-vous déjàsubi une intervention de police, armes au poing, dans votre maison et entendules rafales de projectiles ? Avez-vous déjà été témoins de tortures collectives ?Avez-vous déjà servi de cible pendant une manifestation autorisée comme cel-les du 8 mars ou du 1ier mai ? Avez-vous déjà été témoins d'assauts dans lesprisons, au cours desquels des dizaines et des dizaines de prisonniers sont brû-lés vifs et mutilés pendant que leurs tortionnaires affichent un sourire sarcasti-que ?Voici le vrai visage de la Turquie que vous ne voulez pas voir. La réalité de notrepays est d’être un pays gouverné par des forces armées fascistes qui utilisent leparlement et la démocratie comme un masque… ■

The Erdogan government had mademany promises during its first

mandate. It had said: “we must resolvethe problem of the Kurds because the

problem of Ocalan and his isolation islinked to the Kurdish issue. T h eKurdish problem would be resolved ifOcalan were treated like a normal pri-soner.”With his election to a second mandateErdogan forgot everything. This timehe said: “if you think about something,it exists. But if I think that the Kurdishproblem doesn’t exist, it doesn’t. I don’tthink there is a Kurdish problem, con-

sequently there is no problem regardingOcalan.” That’s what the Turkish primeminister said.In reality, the Kurdish population is stillsubject to abuses of power, there havebeen countless disappearances anddetentions. Many Kurdish intellectualsand politicians have been arrested,while Turkish prisons still harbor 5,500

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political prisoners.In the past, Turkish justice applied thedeath sentence but that has now beenmodified to a life sentence. In Italy,however, even with a life sentence pri-soners are released after a certain num-ber of years. That isn’t the case in Turkey, where it isserved to the last day.But President Ocalan has said that asolution to the Turkey-Kurdistan con-flict was possible, not only in Turkeybut also in those other countries thatinclude Kurdistan. Ocalan asks for onlytwo things: freedom and peace. He does not ask foran independent Kurdistan, only thatKurdistan be recognized as a democra-tic confederation, without modifyingnational borders, a confederation whereKurds may speak their language andfreely express their traditions and cultu-re.For many years “Apo” Ocalan has livedin terrible isolation. We Kurds say thatwhen the Turkish government will putan end to this conduct and treat ourPresident like any other inmate we willunderstand that Turkey finally wants tochange things. ■

translated by Elisabetta Povoledo

Au centre milanais des demandeurs d’asile et des réfugiéspolitiques

In Memory of Mahmud Darwish

Ainsi auNaga-Har onapprend àparler italien

Goodbye tothe greatpoet of thePalestinianresistance

Chaque jour des dizaines de jeunesétrangers peuvent commencer à s’exprimer dans la langue du paysauquel ils ont demandé asile. Parceque ces premières leçons sont vraiment importantes

His death, in a Texas hospital afteropen heart surgery, leaves a pro-found emptiness in all those whodream of a homeland, freedom, justice and a better world

Isabella Barato

Elena Redaelli

Autour d’uneg r a n d e

table en boismassif, chaqueaprès-midi, s’as -s o i e n tM u h a m m a d ,N a z i r, Thomas,F r i d a y ,

Abdullah, Yssa ou d’autres dont lesnoms sont d’origine arabe ou de diffé -rentes nationalités africaines. Ce sontles « élèves » d’italien qui chaqueaprès-midi se retrouvent au Naga Har(le Centre milanais des demandeursd’asile, réfugiés politiques et victimesde torture) pour participer aux leçonsd’italien, annoncées dans le calendrierdes différentes activités que le Centrepropose à ses hôtes. Ce n’est pas facile d’apprendre notrelangue pour ceux qui viennent de loin -tains pays étrangers, ni de persister

dans cet entreprise: pendant leur séjourà Milan les demandeurs d’asile politi -que vivent dans une espèce d’apar -theid, les rapports avec les habitantssont sporadiques, pour être clairs per -sonne ne leur ouvre la porte de chezeux. Ainsi, ils fréquentent peu ou trèspeu la ville, ne la connaissent presquepas, il ne leur est pas facile de se dépla -cer étant donné le coût élevé du billetsur les transports publics. En somme, en dehors du Naga et desstructures d’accueil, lorsqu’elles exi -stent, les occasions de rencontre avecla ville et d’insertion dans ce nouveaucontexte social sont rares. C’est peut-être aussi pour cela que les deman -deurs d’asile politique qui viennent auNaga Har sont souvent nombreux, carc’est l’une des rares occasions de ren -contre sociales qu’ils ont.

Chaque jour,dès que l’enseignant arrive…Nous les enseignants, nous parlons d’é -cole par habitude, mais en réalité auNaga Har il n’y a pas de bancs, il n’y apas de cahiers ni de livres, il n’y a pasde notes. En somme, ce n’est pas unevéritable école. Les soi-disant leçonssont organisées avec du matériel récu -péré au jour le jour dans les réservesconstituées par la coord i n a t r i c e ,Pinuccia. Les résultats appartiennentau jour même où s’est tenue la « leçon». Ceci car il n’y pas de continuité de lapart de ces jeunes étrangers. Ils trou -vent un petit boulot, partent pour lesud, ou dans une autre ville peut-êtreplus accueillante que Milan. Maisquand ils sont là, ils mettent toute leurénergie à apprendre quelques mots d’i -talien. L’après-midi, quand moi-mêmeou l’un des autres enseignants arrivonstour à tour, se crée tout de suite uneatmosphère qui annonce le désir defaire quelque chose ensemble, de parta -ger une expérience, de se mettre en rap -port avec les autres. Souvent la leçonpart d’un mot, ou d’une phrase récol -tée. L’une des leçon les plus suivies estl’utilisation du verbe être qui n’existepas dans la langue arabe. Le verbeêtre, en plus de servir d’auxiliaire à denombreux verbes, sert aussi à attribuerla qualité, les caractéristiques. Il peutaussi avoir le sens de rester, d’exister,d’être là. A plus forte raison ce verbedevient crucial pour donner du relief àl’identité. On commence donc la leçonen distribuant avant tout l’identité: jesuis un étudiant, je suis Erythréen, jesuis fatigué, je suis peintre en bâtiment,je suis au Naga. La leçon se poursuit par le récit d’uneexpérience récente ou d’une expressionen langue italienne non comprise. Laleçon a commencé. On écrit au tableaules exemples des différentes situationsoù les mots sont utilisés, les phrases quiles prévoient, les usages les plus fré -quents. Les rires fusent souvent lors -qu’on simule des dialogues. Alors, cha -cun à son tour, on fait un peu l’acteur.On doit ainsi entrer dans une situationet prononcer, selon l’intonation requise,

le mot ou les phrases à apprendre.

Ceci est une précieuse conquête Comme toutes les leçons qui se respec -tent, notre leçon aussi a des objectifsdidactiques et pédagogiques. Lesobjectifs didactiques sont, par exemple,l’apprentissage d’une fonction lingui -stique ou du vocabulaire inhérent ausujet traité, ou encore l’exercice de laprononciation de certains sons syllabi -ques particulièrement difficiles pour leslocuteurs africains. Les objectifs édu -catifs et pédagogiques sont tout aussiimportants. L’un d’eux est de faire dechaque personne qui se présente unprotagoniste, ce qui signifie lui donnervisibilité et relief. Construire, en bref, lec a d re de la présence aux leçons.Chaque caractéristique personnellepeut ainsi devenir un sujet de leçonvalable: ce qu’on porte, comment onva, quelle nourriture on préfère, quellesactivités on préfère, etc. Mettre en ?uvre les objectifs décritssignifie avoir fait une belle leçon d’ita -lien. Cela signifie avoir offert la possi -bilité de s’exprimer et d’être identifiécomme la personne qui, pendant lesdeux heures de la leçon, se manifesteavec ses propres goûts, ses préférencesou quelques échardes du passé. End’autres mots, on essaye de faire émer -ger l’unité de chaque individu. Cet objectif, si évident dans chaqueclasse, devient dans le contexte duNaga Har une précieuse conquête,parce que les demandeurs d’asile poli -tique ou d’asile humanitaire viventaujourd’hui une condition de vulnéra -bilité ou de dépaysement. L’ i d e n t i t éd’un demandeur d’asile politique ouhumanitaire émerge presque toujoursuniquement comme opération bureau -cratique quand il va à la préfecture, àla cantine, au dortoir ; très rares sontles occasions d’être soi même, d’êtrereconnu comme une personne qui a unehistoire, un comportement, une culture,un rôle. Dans ce contexte, la leçon d’i -talien peut se révéler une aide trèsutile. ■

traduit par Isabelle Werner

Three days of national mourningand a state funeral, like president

Yasser Arafat who died four yearsbefore him. Thousands of people inRamallah followed the funeral proces-sion of Mahmud Darwish, who died ina hospital in Houston, Texas, followingopen-heart surgery. Arab radio andtelevision stations broadcast his spee-ches, his poems and songs. Balconies,rooftops and flagpoles were adornedwith flags and images of the great poetof the Palestinian resistance, the chro-nicler of the existence of an entirepopulation, while the PalestinianNational Authority affixed the mostbeloved of his verses on every wall inRamallah; "We have on this earth whatmakes life worth living." So Darwish,67, ended his earthly existence.Darwish was born in 1941 in the villa-ge of al-Birwah in Galilee. In 1948, heexperienced the tragedy of his peoplefirsthand when his village was razed tothe ground during the establishment ofIsrael. When he returned with hisfamily from Lebanon a year later, hefound it had been substituted by anIsraeli settlement. He moved to Deir elAsad and from that moment began tofeel like "like a refugee in my owncountry."The Palestinian writer and poet IbtisamBarakat, who now lives in the UnitedStates, wrote: "In the absence of home,Darwish turned language into a spa-cious tent—for us and for all who nee-ded a home. He turned yearning into ameeting place. Palestinians meet ourmothers through his mother. Darwishgave her to us when he wailed:I yearn for the bread my mother bakesI ache for my mother's coffee.And her touch.The long stretches of imprisonment orunder house arrest, the deprivations,the anguish of dispossession and exilemade Darwish's work universal."Where should the birds fly after thelast sky?" he wrote. In Haifa, was theeditor of Ittihad, the Communist Partynewspaper, sharing conditions ofpoverty and persecution with the poetSamih al Qasim (their correspondenceduring Darwish's exile in Paris waspublished as The Letters). In 1970 hejoined the PLO, the PalestinianLiberation Organization and moved toBeirut, where he remained during theIsraeli occupation. In 1982 he movedto Tunisia where he lived in exile withother members of the PLO ExecutiveCommittee.He resigned from the political organi-zation in protest against the Osloaccords between the PLO and theIsraeli government. He felt they wouldhave definitively put an end to thePalestinian dream of an independentstate. In 1990 he moved to Paris, butwhen the PLO headquarters moved toGaza and the Occupied Territories heended his exile and returned to Ammanand Ramallah, where he became theeditor-in-chief of the prestigious lite-rary review Al-Karmel. He was the

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Charges brought by a US soldier in “The Deserter’s Tale”,a bestseller he wrote after having deserted and fled to Canada withhis wife and children

Di nuovo in scena a Milano gli interpreti senegalesi del Teatro delle Albe di Ravenna

I no longer wanted to be a party to what was goingon in Iraq“I couldn’t sit back and witness American soldiers continue to violate thehuman rights of innocents Iraqis”, declared Joshua Key, a young combatengineer. The Canadian federal court has recently granted him political refu-gee status

In Ubu Burr tratto da Ubu Re di Jarre e trasportato dalla Polonia immagina-ria all’Africa di oggi, i giovani attori hanno denunciato il colonialismo semprestrisciante nel continente africano

Rosanna Sorani

Badou Baye Fall

director of the Association ofPalestinian Authors and Journalists,and the director of the PalestinianResearch Center, where for the last 16years of his life he continued to givevoice to the drama of the Palestinianpeople. Now, the death of Darwish hascreated a terrible void in all those whowant a homeland, freedom, justice, abetter world. But his poetry willremain forever.The words of his poems, starting withhis first collection, (Wingless birds,1960), speak of values that transcendPalestine: universal values of freedom,peace, hope and love for a deniedhomeland, but also praise and incite-ment for the Palestinian resistance, anda firm condemnation of the Israelioccupation, as in the controversialpoem Those Who Pass BetweenFleeting Words, which was even criti-cized by some of his companions (but,as the saying a griot, "everything thatcan be done can be commented.”) Equally present is that wrenchingnostalgia of exiles for their homeland,as is evident in these verses. ■

Victim Number 48They found in his chest a garland ofroses and the moonwhile he lay discarded, dead on arock.They found in his pocket some pennies, they found a matchbox, and a travelpermit,on his arm freshly-drawn tattoos.When his brother grew up and wentsearching for work

in the city markets,they imprisoned him.He was not carrying a travel per -mit,He was carrying a tattered satcheland some other boxes.O children of my country,this is how the moon dies.

Stranger in a faraway cityWhen I was youngAnd beautiful,The rose was my house [boat],And the springs were my seas![Now] the rose has turned into awoundAnd the springs into thirst,Have you changed a lot as I have?When we return to our home aswindStare in my face.You will find the roses are palmtreesAnd the springs are sweat,And you will find me as I once was:Young and beautiful!

translated by Elisabetta Povoledo

The hunt forweapons of

mass destru c t i o nin Iraq, damagedby unfoundedintelligence infor -mation, is “thebiggest regret ofhis pre s i d e n c y ”according to sta -

tements made by George W. Bush in aninterview with the ABC television net -work. In the same interview, he alsoadmitted that the failure to prove thecharges that lay behind the war in Iraq,is one of the most difficult inheritanceshe (finally! - writer’s comment) leavesas he completes his presidential term.Shame though that hundreds of thou -sands of young Americans blindlybelieved their President’s words when,in March 2003, he called them to armsto go and fight in Iraq, because Iraq –or so he said – possessed weapons ofmass destruction and offered shelter tothe terrorists who had organised the11th September attacks against theUnited States. Hundreds of thousandsbelieved him. One of these was JoshuaKey, a young combat engineer fromOklahoma who, on hearing hisPresident’s words, ended up in the hellof Iraq, but who managed to flee eightmonths later applying for political asy -lum in Canada. “I believed what my

President and my superiors told me”,says Joshua in his bestselling autobio -graphy, “The Deserter’s Tale”, writtenjointly with Lawrence Hill. At 24 yearsof age, with a wife and four children, heenlisted in the army to earn a fixedwage. But on one condition: not to fightor be sent abroad far from his family.“No problem”, they told him, “you willbe repairing bridges all over the UnitedStates. You’ll build bridges from nine tofive every day and you’ll spend the eve -nings with your family.”He was sent to the military base at FortCarson, in Colorado Springs, with asalary of one thousand two hundreddollars a month on a three-year con -tract. But only two weeks later he wast r a n s f e rred to Fort Leonard Wo o d ,Missouri, for basic training, and twomonths later he was enlisted in the 43rdcompany of the Military Engineers lea -ving for Iraq. “I hadn’t read all theclauses in the contract, so I hadn’t seenthat one of these clauses stated that mysuperiors could send me to the frontwhenever they wanted”, he recounts.“But I told myself that at least I wouldbe doing my bit to save the world fromthe terrorists who have taken posses -sion of Iraq and are threatening ourexistence.” That was when Joshua Keydiscovered what hell was. In the eightmonths he spent in Iraq he participatedin dozens of night raids and sackings of

the houses of innocent people in whichterrorists where thought to be hiding,but they never found anyone. Instead hewitnessed continuous violations ofhuman rights, the disappearance ofIraqi civilians, the deaths of women andchildren, even a game of football bet -ween US soldiers in which the ball wasthe head of an Iraqi civilian.And so during the long Iraqi nights, asjet fighters whizzed past, Bengala burntand houses exploded, destroyed by C-4plastic explosive, Joshua Key finallyfound his conscience and realised hecould no longer participate. At thatpoint a voice inside him became a yell,“louder than the rumble of tanks, theblasts of weapons fire and the orders ofhis superiors.” So he fled to save hissoul, “because”, Key told himself, “Iam not like that.” During a two-weekleave period he went home, loaded up acaravan with his wife and four kids, andfled over the border to Canada.A few months ago Judge Robert L.Barnes, of the Canadian federal court,perhaps taking into consideration thecourage with which Joshua had repor -ted the horrors he had witnessed, gran -ted the young American soldier politi -cal asylum. The impact of the judge -ment has been explosive, given themotivation for the verdict: indeed,Judge Barnes writes that the militaryaction in which Key participated, “vio -lated the Geneva Convention because itconstituted complicity in war crimesimposed on soldiers by top level USmilitary.” This is why the combat engi -neer-deserter “deserved the right toasylum from persecution, as sanctionedby the Universal Declaration onHuman Rights.”A sentence seen with much hope byhundreds of other American deserterswho prefer to risk being tried in a mili -tary court, and a possible long impri -sonment term, rather than participatein a senseless and bloody war. ■

translated by Susan Northcott

Dal Senegal con amore

Un atteso e assai felice ritorno aMilano, quello del gruppo di

interpreti senegalesi del Teatro delleAlbe di Ravenna: avevamo avuto lafortuna di vederli in scena alcuni mesifa, nel divertente spettacolo LeebuNawet ak Noor (Gioco della ricchezzae della povertà), una trasposizione delPluto di Aristofane scritta, diretta einterpretata dall’attore e regista senega-lese Mandiaye N’Diaye e nella qualetutti i personaggi, i cori e i percussioni-sti sono senegalesi.

E con grande entusiasmo li abbiamorivisti ora, sempre a Milano, in unnuovo spettacolo: Ubu Burr, tratto daUbu Re di Jarry dove la Polonia imma-ginaria e surreale è trasportata nel con-tinente africano: Padre Ubu (interpreta-to da Mandiaye N’Diaye) diventa cosìsimbolo dei dittatori africani e MadreUbu, la sua bianca consorte, simboleg-gia forse il colonialismo sempre stri-sciante. Anche in Ubu Burr tutti gliinterpreti sono giovanissimi senegalesiche ci incantano con la loro incredibile

vitalità e con l’amore per la loro terra.A questo punto di fascinazione voleva-mo sapere qualcosa di più di loro.Contattandoli a fine spettacolo, perprima cosa abbiamo scoperto la lorodisponibilità e modestia e come unaciliegina sulla torta abbiamo avuto l’o-nore di averli a pranzo a casa nostra edi poter rivolgere qualche domanda aMandiaye N’Diaye per poter megliocapire il lavoro del gruppo.Come è stato il tuo incontro con ilTeatro delle Albe? Facevi l’attoreanche in Senegal?No, in Senegal lavoravo come sarto.Nel 1988 sono arrivato come immigra-to in Italia, a Ravenna, per aiutare lamia famiglia e lavoravo come vendito-re ambulante e sarto. Il mio incontrocon il Teatro delle Albe è stato deltutto casuale e nel 1989 ne sonodiventato parte; sono diventato attore

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Asylum Post

La Redazione:Badou Baye Fall, Elena Redaelli, IsabellaBarato, Rosanna Sorani, Smail Djennadi,Silvio Rossi, Svetlana Knèzovich, YamtouBanangassou

Hanno collaborato:Antonio Olivieri, H.I., Silvia Umbriano,

Yihmaz Orkan

Fotografie di:Maura Geri, Simonetta Crisci

Traduzioni di:Audrey Sadlier, Caroline Fraisse, Daria Ferri,Elisabetta Povoledo, Isabelle Werner,

Per inviare articoli, proposte e commentiindirizzare a:

presso associazione culturale s-confinivia Padova 70, 20131 Milanoe-mail: asylumpost2003@yahoo it

Asylum Post, pubblicazione trimestraleDirettore responsabile: Elena RedaelliProgetto grafico: Luca VaraschiniStampatore: CartalpeRedazione: associazione culturale s-confiniVia Padova 70, 20131 Milanoe-mail: [email protected] del Tribunale di Milanon.782 del 23-12-2003

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professionale ma anche autore e hoscritto qualche pezzo per il gruppo tea-trale. Ho poi pubblicato con LuigiDadina il testo Griot Fuler per l’edito-re AIEP Guaraldi. Ho partecipato anumerosi incontri in Italia per attestarel’importanza e l’efficacia del dialogotra culture differenti. Ho partecipatoanche come attore al film di MarcoFerreri La casa del sorriso e a La vitain gioco di Bertolucci. Inoltre, nel2001-2002 ho collaborato con l’asso-ciazione senegalese “Man Keneenki”diretta da Jean-Michel Bruyère, asso-ciazione che cercava di unire il destinodei ragazzi di strada di Dakar a quellodi artisti di teatro e del circo per cerca-re di sviluppare il loro talento artistico.Gli interpreti dei vostri spettacolisono tutti senegalesi?In parte provengono dal Senegal e inparte sono senegalesi che vivono inItalia. In Ubu Burr, per esempio, c’èqualche senegalese di Ravenna e ilcoro dei palotini è formato da ragazzi-ni senagalesi nati in Italia, ma gli altriundici protagonisti, i soldati di UbuPadre, sono arrivati dal cuore dellasavana senegalese, dal villaggio diDiol Kadd dove non c’è né l’elettrici-tà né l’acqua potabile ma esiste unprogetto di teatro Sono attori professionisti?No, sono tutti giovani che lavorano inun progetto chiamato 3T (Terra Teatroe Turismo responsabile) (vedi box qui

sotto) ideato per far rinascere il villag-gio di Diol Kadd. Quando non sono intournee lavorano all’interno del villag-gio essenzialmente come contadini,alcuni vanno a scuola e uno di loro,Mor, frequenta l’università. Perché in Ubu Burr usate tre diffe-renti lingue: wolof, italiano e dialettoromagnolo?Da più di dieci anni portiamo in giroper il mondo questo spettacolo.L’abbiamo rappresentato a Napoli, aChicago, anche in Senegal a DiolKadd e in tanti paesi arabi. Ogni voltacerchiamo di adattare la lingua a quel-la del posto ma conserviamo sempre ildialetto romagnolo che è la nostra lin-gua!Il tempo è passato veloce. Per tutti loroè ora di tornare in teatro per l’ultimarappresentazione milanese, poi ritornoa Ravenna e di nuovo in partenza peril Senegal. Inizialmente ero un po’preoccupati: la casa troppo piccola pertante persone, le sedie non sufficienti eio avevo proposto di cucinare il “cepou gen” (riso con pesce) e sapevo chenon sarei mai stato bravo come le loromamme. Elena aveva timore di nonsaper comunicare e come unica donnae per giunta “tubab” (bianca) di nonsapersi rapportare in modo corretto.Ma per tutti è stato un pranzo e unpomeriggio indimenticabile. Speriamodi riaverli ancora qui, speriamo dipoter andare a Diol Kadd. ■

Il villaggio di Diol Kadd

Il villaggio di Diol Kadd, fa parte della Comunità Rurale di N'Diayene Sirakh (con 32altri villaggi per un totale di circa 10.000 abitanti) nella Regione di Thiès, a 250 km da

Dakar verso Est, all’interno del Senegal ed é abitato ormai da non più di 300 abitanti (bam -bini compresi): cinque anni fa ne aveva 1.500.E’ un villaggio senza elettricità ed acqua corrente; la sua base di sussistenza è la coltiva -zione del miglio e delle arachidi. Ci si arriva attraverso piste di sabbia nella brousse (fore -sta), dove non si vedono automobili per un raggio di dieci chilometri. Gli spostamenti sifanno a piedi o su carretti con cavalli. La maggior parte degli uomini è andata a lavorare aDakar o altrove, dunque le famiglie rimaste al villaggio sono prevalentemente composte dadonne e bambini.Diol Kadd sorge in una zona di etnia Sérére, dove si mantengono molte tracce d’una tradi -zione animista. La religione ufficiale è islamica, ma nella variante della dottrina dei Muride– dottrina molto tollerante, con figure di santi che incarnano una speciale apertura almondo). ■

L'associazione Takku Ligey (Lavorare Insieme)

Nel 1996 l'associazione Takku Ligey (Lavorare Insieme) è legalmente riconosciuta. Tuttii 250 abitanti adulti del Villaggio sono ad oggi soci dell’Associazione che quindi coin -

cide con la Comunità Locale. Il progetto 3T dell’associazione Takku Ligey nei prossimi mesie anni punta a rafforzare autonomamente ognuna delle tre sezioni di lavoro, sia in Italia chein Senegal:la Terra da coltivare, da rivitalizzare, da riscoprire come propria base di vita, con le sue tra -dizioni e i valori della Comunità rurale;il Teatro come forma di comunicazione, di autocoscienza, di riscoperta delle tradizioni cul -turali dei racconti (con il ruolo dei Griot ) e della musica, come spazio di incontro, di festa,di socializzazione;il Turismo responsabile, come attività economica ed occasione di incontro con altri popoli eculture. ■

Per maggiori informazioni: www.diolkadd.org

tradotto da Daria Ferri

The Laboratory 53 association only started up a few months ago, but it growsout of the activities carried out during the last five years by the “Doctors

against Torture” association, which assists political asylum seekers and refugees. We’re a group of philosophers, anthropologists, psychologists, social workers andcultural mediators, a multi-disciplinary group based in Rome that offers assistance and material support to people who ask for international protection inour country, in particular those who are most disoriented and in greatest nee. We are inspired by an idea of time that has little to do with what’s coldly calculated by a clock, indifferent to the passing of minutes, which doesn’t leavetime for face-to-face contact. Instead, we want to nurture another concept of time,which consists of assistance and openness, a place where it is possible to establish new relations and take control of one’s one life. A political place, where by political we mean power-sharing, doing things together, learning from each other, knowing how to listen to each other.For this reason the asylum seekers that come to us aren’t merely the “clients” of a service, but become - with their stories, lives, experiences, knowledge, abilities and resources - part of a dynamic group that is in constant flux. In the same way that migrants must reinvent new identities each time they areforced to move, just like the conflicts that force them to abandon their countries,in the same way that each person is different from others and from him or herself at the same time. Convinced that providing assistance does not mean reversing acquired knowledgeor offering a prepackaged service, we are constantly learning from the migrantsthemselves. Each one brings a different story, as well as their own expectations, choices, desires, suffering, joy, abilities and relations. For these reasons we don’t want bepassive spectators in the reality in which we live, we don’t want categories like“foreigners,” “refugees” or “Italians” to force us into restrictive and pre-established pigeonholes. Instead we prefer to use our differences and to help people re-construct their livesin a foreign country that in many cases was not their first choice, responding tothe solitude of exile by creating new social networks of support and trying to help them overcome the difficulties of accessing Rome’s fragmentary and far-flung social assistance offices. ■

translated by Elisabetta Povoledo

Laboratory 53 has begun operating in Rome

This was a merchant who sold pills that had been invented to quenchthirst.You need only swallow one pill a week, and you would feel no need ofanything to drink."Why are you selling those?" asked the little prince."Because they save a tremendous amount of time," said the merchant."Computations have been made by experts. With these pills, you savefifty-three minutes in every week.""And what do I do with those fifty-three minutes?""Anything you like . . .""As for me," said the little prince to himself, "if I had fifty-three minutesto spend as I liked, I should walk at my leisure toward a spring of freshwater."

From The Little Prince

Susan Northcott

Part of "Doctors against torture" and made up of philosophers, anthropologists, psychologists, social workers and cultural mediators, this association assists and gives to support to anyone who asks for political asylum in italy Silvia Umbriano