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Dobbiamo rimontare il 2-1 dell’andata Dobbiamo rimontare il 2-1 dell’andata, è difficile ma possiamo farcela; il Malines è una squadra dal nome poco conosciuto ma è una formazione solida ed organizzata, ma è la sera in cui passa il treno dell’Atalanta e bisogna provarci in ogni modo e il pubblico lo ha capito, i cancelli sono stati aperti alle 17,30 e la gente è arrivata in massa sin dai primi minuti, il Comunale è pieno di gente ritrovatasi per fare diventare realtà quello che per ora è un sogno. Si parte con l’Atalanta nella classica tenuta neroazzurra con pantaloncini bianchi mentre i belgi hanno la loro divisa a grandi strisce giallorosse e pantaloni neri; l’Atalanta attacca sotto la Nord e l’inizio dei nostri è all’arrembaggio con gli ospiti costretti a difendersi alla meglio pronti però a cercare il contropiede; è una partita da giocare col cuore e con la testa. Al 7’ se ne va Stromberg sulla destra, beffa un paio di avversari e scodella al centro dove Bonetti non riesce a deviare al meglio ma dalla curva si alza un urlo “Stromberg, Stromberg”, la gente è una cosa sola con la squadra, cerca di spingerla oltre l’ostacolo e l’Atalanta continua a pressare, i belgi ogni tanto mettono fuori la testa e cercano di farlo in modo ragionato. Il canovaccio è chiaro e non cambia, i nostri ce la stanno mettendo tutta: Stromberg è ovunque, Garlini sale fino al cerchio di centrocampo per trovare palloni, Nicolini e Bonetti sono due furetti e tutti gli altri fanno alla perfezione il loro lavoro e il Malines cerca di perdere tempo alleggerendo sul portiere; poi la pressione dell’Atalanta cala leggermente e la partita scorre senza particolari sussulti. Al 28’ Fortunato manda verso la porta di testa a seguito di una punizione, niente di difficile ma l’Atalanta fa lavorare il portiere avversario; al 30’ a causa di un’uscita infelice di Preud’homme si crea una specie di mischia in area belga, l’Atalanta ritrova energie e torna ad essere aggressiva fino al 38’ quando Stromberg devia di testa un cross,

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Dobbiamo rimontare il 2-1 dell’andata Dobbiamo rimontare il 2-1 dell’andata, è difficile ma possiamo farcela; il Malines è una squadra dal nome poco conosciuto ma è una formazione solida ed organizzata, ma è la sera in cui passa il treno dell’Atalanta e bisogna provarci in ogni modo e il pubblico lo ha capito, i cancelli sono stati aperti alle 17,30 e la gente è arrivata in massa sin dai primi minuti, il Comunale è pieno di gente ritrovatasi per fare diventare realtà quello che per ora è un sogno. Si parte con l’Atalanta nella classica tenuta neroazzurra con pantaloncini bianchi mentre i belgi hanno la loro divisa a grandi strisce giallorosse e pantaloni neri; l’Atalanta attacca sotto la Nord e l’inizio dei nostri è all’arrembaggio con gli ospiti costretti a difendersi alla meglio pronti però a cercare il contropiede; è una partita da giocare col cuore e con la testa. Al 7’ se ne va Stromberg sulla destra, beffa un paio di avversari e scodella al centro dove Bonetti non riesce a deviare al meglio ma dalla curva si alza un urlo “Stromberg, Stromberg”, la gente è una cosa sola con la squadra, cerca di spingerla oltre l’ostacolo e l’Atalanta continua a pressare, i belgi ogni tanto mettono fuori la testa e cercano di farlo in modo ragionato. Il canovaccio è chiaro e non cambia, i nostri ce la stanno mettendo tutta: Stromberg è ovunque, Garlini sale fino al cerchio di centrocampo per trovare palloni, Nicolini e Bonetti sono due furetti e tutti gli altri fanno alla perfezione il loro lavoro e il Malines cerca di perdere tempo alleggerendo sul portiere; poi la pressione dell’Atalanta cala leggermente e la partita scorre senza particolari sussulti. Al 28’ Fortunato manda verso la porta di testa a seguito di una punizione, niente di difficile ma l’Atalanta fa lavorare il portiere avversario; al 30’ a causa di un’uscita infelice di Preud’homme si crea una specie di mischia in area belga, l’Atalanta ritrova energie e torna ad essere aggressiva fino al 38’ quando Stromberg devia di testa un cross,

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da punizione, di Fortunato e obbliga l’estremo difensore belga ad un super intervento per mettere la palla in angolo, e da quel corner nasce un rigore. E’ Icardi a crossare il pallone ricevuto dall’angolo, un difensore lo colpisce con il braccio e l’arbitro assegna il rigore, le proteste dei belgi sono veementi ma l’arbitro non torna sui suoi passi, è Garlini che senza indugi prende la palla e la mette sul punto bianco a 11 metri dalla porta, poi parte e di destro infila alla destra del portiere che si butta da quella parte ma nulla può, e l’1-0 e l’Atalanta, al 39’ è in finale con lo stadio che impazzisce di gioia. Mondonico, intervistato subito dopo il goal dice “Penso che il risultato sino a qui lo abbiamo meritato per la voglia che abbiamo messo in campo, adesso è difficile, loro sono più squadra di noi, ci vuole molta fortuna e speriamo di averla”. Si riparte con l’Atalanta che fingendo di essere ancora in parità si rituffa con grinta nella partita, al 43’ arriva il primo ammonito ed è Barcella e tre minuti dopo, al termine di sessanta secondi di recupero, l’arbitro fischia la fine del primo tempo di un’emozione incredibile. Mondonico nella dichiarazione dell’intervallo ribadisce quanto detto poco prima:”Le difficoltà ci sono, questi sono più squadra di noi che fino ad ora ci abbiamo messo il cuore e nel secondo tempo dobbiamo mettere in campo anche quello che non abbiamo. Anche se adesso metteranno un’altra punta non ci sono problemi, sappiamo che dobbiamo lottare sino alla fine”. All’ingresso in campo per il secondo tempo anche Garlini dice la sua:”Il rigore toccava a me o a Nicolini, sono andato deciso e ho preso la palla; per quanto riguarda la partita li abbiamo pressati e il goal forse doveva venire anche prima” mentre Gentile aggiunge:”Mi auguro che finisca al più presto anche se adesso faremo in modo di non chiuderci perche potrebbe essere pericoloso e magari speriamo di riuscire a piazzare un contropiede”, e poi via con la seconda frazione con i belgi che buttano nella mischia Den Boer. Al 5’ si vede per la prima volta Piotti che deve intercettare a terra un tiro improvviso di De Wilde ma un minuto dopo l’Atalanta deve fare i conti con la sorte avversa, su una punizione dalla sinistra si avventa di testa Fortunato che vede il suo tiro andare a stamparsi sul palo, è sfortuna ma il pubblico aumenta, se possibile, il proprio incitamento. Il Malines capisce che non può aspettare ulteriormente e avanza il proprio baricentro cercando di avvicinarsi alla porta di Piotti e al dodicesimo sugli sviluppi di un calcio di punizione allontanato da un difensore si avventa sulla palla di sinistro, al volo, il difensore Rutjers e insacca con un tiro da cineteca, è il pareggio e Strasburgo si allontana. Ma l’Atalanta non ci sta, al 13’ Icardi da lontano impegna Preud’homme che si salva in angolo, la rassegnazione non appartiene ai neroazzurri, i belgi cercano di perdere tempo e i nostri si buttano in avanti con veemenza anche se la fatica si fa sentire ogni minuto di più. Mondonico, al 26’, tenta la carta Cantarutti togliendo Gianpaolo Rossi, la squadra si sbilancia ma il momento lo impone, nemmeno un minuto e i belgi tolgono De Wilde per Jaspers, una contromossa a quella neroazzurra; ancora trenta secondi e la partita regala un altro episodio decisivo. Stromberg si incunea nell’area belga e viene atterrato, l’arbitro vede il fallo e lo fischia, ma purtroppo lo vede fuori area e anziché il rigore assegna una punizione, lo svedese si arrabbia ma non c’è nulla da fare, sulla punizione si avventa bene di testa Cantarutti ma la palla sfiora il palo e finisce sul fondo.

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Al 32’ prima ammonizione a carico dei belgi, è Defertm per fallo su Garlini; al 34’ il patatrac, perdiamo una palla a centrocampo, i belgi ribaltano il fronte offensivo e con Emmers, che ha tempo per preparasi il tiro, insaccano il pallone alle spalle di un non preciso Piotti; fuori Icardi acciaccato e dentro il giovane attaccante Compagno. Ci riproviamo, almeno per il pareggio, e Stromberg ha una palla d’oro che però spreca solo davanti a Preud’homme; poi la partita scivola sempre più verso la fine e il pubblico continua ad incitare come se si stesse vincendo, i giocatori non mollano e i tifosi ancora meno. Mondonico a pochi istanti dalla fine dice:”Ci abbiamo provato, abbiamo preso un palo e loro con due tiri hanno fatto due goal; non si poteva chiedere di più a questi ragazzi, hanno dato tutto quanto hanno dentro, sono da ringraziare per quello che sono riusciti a fare, soprattutto stasera. Il pubblico è una cosa magnifica, penso che la forza di questa Atalanta sia soprattutto questo pubblico e fino a che questa gente ci starà vicina penso che per l’Atalanta non ci sarà mai una fine ma piuttosto una continuità. L’Atalanta comunque, al di là del risultato, vince quando riesce a fare bella figura, e al di là di questa sera noi la bella figura l’abbiamo fatta e mi sento di ringraziare questi ragazzi e questa gente. I bergamaschi corrono fino alla fine ma il risultato non cambia e dopo tre minuti di recupero giunge il triplice fischio finale, il sogno svanisce con Stromberg che dà la propria maglia all’allenatore De Mos e suggella la fine con questa dichiarazione:”E’ come ho detto prima, durante novanta minuti conta tanti episodi e oggi abbiam visto che loro primo tiro in porta hanno fatto goal, un tiro che lui non fa mai più; comunque è così, è una buona squadra, ci hanno messo in difficoltà subito il secondo tempo, comunque con un pizzico di fortuna potevamo anche passare. In intervallo abbiamo pensato, abbiamo creduto, comunque è finita adesso. Comunque è stato bellissimo, una bellissima avventura, oggi non abbiamo avuto fortuna se no in finale andavamo noi”. Il sogno è finito lì, ma la magia continua ancora oggi e senza essere schiavi del passato il ricordo di questa data è giusto alimentarlo continuamente: 20 aprile 1988, per quelli che c’erano ma soprattutto per quelli che non c’erano, perché anche i più giovani possano avere il loro “Malines” come lo abbiamo avuto noi vecchi. Spazzolone

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Duemilacinquecentodue. 14 giugno 1981: Atalanta-Genoa 1-2, loro in serie A, noi in serie C, nonostante il rigore di Scala. Il punto più basso della storia atalantina. Ed io c'ero, in curva Nord, quel pomeriggio. Vavassori, Scala e Filippi, tanto per fare alcuni nomi. La delusione mi strinse come stringe una tenaglia: decisi di non mettere più piede allo stadio per un po' di tempo. Non smisi di amare l'Atalanta: semplicemente decisi che lo stadio mi aveva fatto troppo male. Sapevo, però, che un giorno sarei tornato. Ci tornai duemilacinquecentodue giorni dopo: all'appuntamento con la Storia non si può mancare. Chi era allo stadio di Bergamo quella sera di venticinque anni fa può solo essere fiero. Uno stadio pieno come un uovo già tre ore prima del fischio d'inizio. Il rumore delle bandiere al vento. Le majorettes e la Garibaldina in campo. Solo Bergamo, solo Atalanta in Europa. Quella sera, su quegli spalti, ho capito il significato della parola orgoglio. Il rigore di Garlini per un sogno che sarebbe svanito di lì a poco. Palla nello stesso angolo in cui sette anni prima la mise il Gusto, entrambi, of course, sotto la Nord. Grande delusione? Cazzate: è stata la notte bergamasca più bella, il momento più alto dei nostri colori. Se avrò la fortuna di invecchiare, prego Dio che lasci questo ricordo ben marcato nella mia mente. L'augurio ai fratelli atalantini più giovani, invece, è di riuscire a vivere almeno una notte come quella del 20 aprile 1988. Speriamo che succeda presto: mi piacerebbe essere ancora in giro. Goalie

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Gioani’ sensa pura C'era qualcosa in quel muro nerazzurro davanti a lui che lo colpiva. Ventimila tifosi dell'Atalanta stipati sugli spalti del vetusto stadio di Strasburgo ad un ora dalla finale europea di Coppa delle Coppe. Giovani, donne, qualche bambino avevano riconosciuto subito la sua inconfondibile chioma bionda svettare tra quelle degli altri giocatori, ed entusiasticamente stavano cercando di farsi riconoscere. Lui aveva risposto con un sorriso e agitando compostamente il braccio destro in un saluto prima di incrociare lo sguardo di altri tra loro. Ultras e semplici tifosi, quasi esclusivamente uomini con un'età superiore alla media, che lo osservavano dalle prime file, alcuni aggrappandosi alla rete come da dietro le sbarre. In ossequioso silenzio osservavano la squadra riscaldarsi davanti ai loro occhi quasi come una truppa in rassegna aspetta le parole del generale prima della battaglia finale. Tendendo l'orecchio si sarebbero potuti sentire i gonfaloni garrire al vento e il nitrire nervoso dei cavalli montati. Glenn era appena uscito da un incontro a quattr'occhi con il Presidente, Cesare, che l'aveva ringraziato per i quattro anni strepitosi passati a Bergamo e per essere rimasto nonostante la retrocessione. Non aveva potuto trattenere un sorriso compiaciuto nel notare l'imbarazzo e il rossore sulle gote di Bortolotti. Lo stesso che il Presidente aveva denunciato nell'impacciatissimo discorso all'udienza concessa da Papa Woytila qualche tempo prima. Ma, diamine, lui era suo dipendente, un semplice giocatore di calcio svedese, non certo il rappresentante di Dio sulla Terra... Cesare era ancora relativamente giovane, penso', e con ancora molti anni di presidenza davanti a sè. Era sicuro, sarebbe divenuto uno dei piu' grande dirigenti della storia nerazzurra com'era altrettanto certo che non avrebbe perso, perche' troppo radicati nell'animo, quella sensibilità, l'amor proprio e l'umiltà che avevano trainato quella societa' dal baratro della terza divisione ad una finale europea nel giro di pochi anni. Il massimo dirigente atalantino aveva appena finito di parlare con il questore di Bergamo che gli aveva fatto gli auguri : "Presidente, dovrebbe vedere, in città non vola una mosca, c'è nerazzurro dappertutto. Mi hanno appena avvertito di aver messo sotto chiave uno sciacallo che stava approfittandosi della città deserta per i suoi porci comodi. Passerà la notte dietro le sbarre. Il bello è che ha chiesto un televisore per vedere la partita e non è nemmeno bergamasco..." Cesare sapeva di essere destinato a perdere il suo svedesone. Emissari da Roma avevano raggiunto il biondo promettendogli il triplo di quanto prendeva all'Atalanta. E Bortolotti nemmeno conosceva il debole di Glenn per la Città Eterna, rapito dal suo fascino molto tempo prima, complice un bel libro regalatogli dalla zia a Brämaregården quando frequentava le elementari. Ora davanti a tutta quella gente, che aveva raggiunto l'Alsazia con i mezzi piu' disparati, Glenn sentiva il dubbio e il rincrescimento aumentare dentro di sè, benchè dominasse, guai se non fosse, l'adrenalina per l'imminente partita.

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"Caro Glenn, mi raccomando...", a meta' della scalinata sulla via del ritorno negli spogliatoi, Elio Corbani, il veterano del giornalismo locale bergamasco, sfidava ora il suo incerto equilibrio e la ripidita' della scalinata tendendogli la mano, un sorriso cordiale e imbarazzato, un altro, sul suo volto. Lo svedese tornare indietro, farsi incontro all'altro e abbracciarlo senza proferire parola. Il biondo centrocampista era a Bergamo da abbastanza tempo per non sapere che, se c'era qualcuno destinato ad entrare nella storia nerazzurra, era piuttosto quel giornalista dall'incerto incedere dotato di una passione degna di altre latitudini della Penisola. Non poteva fare a meno di pensare che, se la fortuna e la salute lo avessero assistito, sarebbe stato destinato ad attraversare il nuovo millennio, ancora lontano, con in mano l'amato microfono dal quale da circa venticinque anni proferiva urla disumane ogni volta che la Dea andava in rete. A pochi metri dagli spogliatoi ecco Bengt, il suo agente, che come al solito non perdeva tempo : "E' fatta Glenn, ci siamo, manca solo la firma, siamo d'accordo su tutto" "Taci! vuoi farti sentire da questa gente? non è il caso di approfittarne perche' nessuno di loro conosce lo svedese. E poi i patti non erano questi, avevi detto che venivi per vedere la finale e, al massimo, ci si faceva una birra dopo" "Non hai capito Glenn, è fatta, ti ho chiuso il contratto, potrai farti tutte le birre che vuoi d'ora in poi. A Roma in tre anni prenderai gli stessi soldi che in dieci a Bergamo" Sguardo torvo del giocatore : "basta, sei tu a non aver capito cosa sta vivendo questa gente, mi hai stufato. Questa sera sono e mi sento Atalantino nelle ossa e nel sangue. Sbrigati, vai sugli spalti, ci vediamo dopo..." Non girava una mosca negli spogliatoi. I suoi compagni a far di tutto per non farsi notare. Ma si vedeva lontano un miglio che ne stavano cercando lo sguardo. Al leader morale della squadra, a colui che aveva gia' vinto una coppa europea anni prima con il suo Goteborg. Cercavano un cenno, ne centellinavano l'espressione come se un movimento impercettibile del sopracciglio avesse potuto svelargli loro che anche lui stava condividendo il pugno nello stomaco che sentivano tutti. Glenn a guardarli ad uno ad uno, dal piu' lontano, al piu' vicino, sino alla bocca metallica e alle grandi orecchie della sua borsa. Sulla quale giaceva una lettera. "Caro Signor Glenn. Mi scusi il mio italiano, scrivo cosi' poco. Ma se io lo scrivo male Lei non lo capirà ancora del tutto, almeno siamo pari. Sono un vecchio tifoso e abito in un paesino delle valli sopra Bergamo. Neanche tanto lontano dalla città e forse le colline e il verde che vedo dalla finestra non sono neanche tanto diversi dalla sua Svezia. Ho 75 anni e da piu' di 60 seguo l'Atalanta. Ma mica, al bar, sempre allo stadio. Praticamente sempre in casa e un'infinità di trasferte. Ero bambino allo stadio quando lo hanno inaugurato nel 1928 contro la Dominante (la Sampdoria di adesso) e da allora ne ho perse gran poche : per un figlio nato proprio una domenica, perche' obbligato ad un paio di seggi, per qualche funerale e per altre poche balle che neanche ricordo.

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Ma ho sempre fatto di tutto per esserci. E non per vantarmi anche adesso riesco a tenere lo stesso ritmo anche se vado molto meno in trasferta. So che quando mi leggerà mancheranno pochi minuti alla finale. Io non sarò li, vi vedro' in tv. Caro Signor Glenn, so che Lei è persona sincera e mi creda, lo sono anche io. Perchè voglio essere creduto quando Le dico che avrei dato volentieri un rene, un polmone o un paio dei pochi anni che ancora mi restano per essere li'. Un raffreddore da fieno mi ha fermato a casa e quell'arpia della mia cognata (che mio fratello riposi in pace) si è messa d'accordo con il nostro Dottore per non lasciarmi partire. Un raffreddore da fieno e mi perdo la nostra piu' grande partita. Un raffreddore da fieno, capito Signor Glenn? Come se Napoleone avesse perso la sua piu' grande battaglia per un morbillo. O come se il primo astronauta sulla Luna avesse perso l'appuntamento per la varicella attaccatagli dalla figlia. Ho visto centinaia di partite, migliaia di giocatori, frequentato posti assurdi, sopportato caldo e freddo, ghiaccio e sole, incazzature e delusioni solo per amore dell'Atalanta, e ora... Caro Signor Glenn, mi scusi la confusione e se l'inchiostro si sta un po' sciogliendo ma sono lacrime che non sono riuscito a fermare. Voglio solo che Lei giochi anche per me quella partita. Non Le chiedo la vittoria perchè quella non la puo' dare nessuno, ma solo che ci metta tutta l'arte di cui è capace e tutta la fatica che il suo cuore è in grado di sopportare. Poi vada pure in grandi squadre perchè uno come Lei non puo' restare a Bergamo. Ma la partita, questa partita, la giochi tutta, tutta. Perchè sappia, carissimo, che giocherà per un popolo intero che capisce molto bene che avra' solo questa unica occasione per finire nell'albo d'oro della storia del calcio europeo. Perchè questa è la nostra prima e ultima volta prima che il calcio cambi per mano di gente come quel tipo che si è comperato poco tempo fa il Milan e che lo sta rivoluzionando mentre altri gia' lo seguono. E se il buon Dio volesse che non fosse la nostra ultima volta non sara' mai piu' come questa sera perchè riconquistare la donna piu' bella del mondo non è la stessa cosa di quando l'hai posseduta la prima, e magari per primo... Caro Signor Glenn, grazie per avermi letto. Si ricordi la maglia nei pantaloni, è in Eurovisione, e di dar la palla spesso a Nicolini e Fortunato, non ne avra' a pentirsi. Con affetto, suo Giovanni" Aveva fatto a tempo a fare arrivare un biglietto a Bengt. Come l'aveva presa non voleva nemmeno saperlo, non gli importava niente. I re di Roma, gli Imperatori, i sette colli al tramonto e la sua gente potevano aspettare. Anzi, aveva proprio l'impressione che avrebbero atteso un bel po' di tempo, forse fino a quando quella testa adornata da biondi capelli infiniti, li avrebbe definitivamente scordati. Ora stava solo assecondando il tip-tap disordinato di 22 giocatori che stavano scaldando i muscoli nell'antistadio guidati dalla terna arbitrale ferma a contarli. Davanti a lui l’Ajax e la sua splendida divisa. I Lancieri del piu' florido vivaio d'Europa, tutte vittorie prima della finale, tranne la semifinale di ritorno, persa distrattamente in casa dopo aver espugnato 3-0 il campo del Marsiglia : da Blind a Wouters, dalla leggenda Muhren a

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Witsche, dal gigantesco portiere nero Menzo ad un giovanissimo cavallone biondo di cui si diceva un gran bene, tale Denis Bergkamp. Si voltò a guardare i suoi, in particolare Fortunato e Nicolini. Eligio arrivava solo alla spalla dei suoi avversari e, con l'espressione tra il serio e lo schifato, Glenn si rivolse proprio a lui ma facendo in modo che anche gli altri lo sentissero bene: "ma pensate davvero di dare fastidio a questi? eeehhh?" Si giro' verso il campo in modo che non lo vedesse nessuno, la' in fondo gia' le bandiere al vento. In tanti a casa si sarebbero chiesti perche' Glenn Stromberg, inquadrato in TV per la prima volta, avesse dipinto sul volto quel sorriso cosi' sardonico. Si riassetto' per bene la maglia nei pantaloncini, si sistemo' con cura la fascia di capitano, tirò un sospiro profondo e ordinò a tutti i suoi peli : "Andiamo. Per Bergamo" Calep