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Prima che sia troppo tardi di Tiziano Terzani Costruire il senso della condivisione di Giorgio Gallo Aldo Capitini, ispiratore della cultura della nonviolenza di Rocco Altieri “Shoah e cultura della pace” di Francesca Pelini Le fonti documentarie della mostra di Rosa Lucia Romano Come ricordo Sebastiano Timpanaro jr. di Vincenzo Di Benedetto Nasce “Prometeo”, il portale della ricerca di Manuela Marini Il nuovo sito web dell’ateneo di Vincenzo Letta e Antonella Magliocchi Pisa, lineamenti per il futuro intervista a Dario Franchini di Barbara Grossi @gendaWeb APPROFONDIMENTi 4 7 10 13 14 18 20 23 26 30 36 Notizie 28 11 Internet, regole, libertà di pensiero di Domenico Coviello La lingua “povera” del terzo millennio di Claudia Mantellassi Il finanziamento della ricerca scientifica nelle Università: mirato o a pioggia? di Paolo Gianni 32 Athenet, Periodico dell’Università di Pisa, numero 6 - maggio 2002, www.unipi.it/athenet Sommario

Athenet Periodico dell’Università di Pisa, Sommario · 2016. 3. 11. · Di fronte a questa situazione e ai rischi di annientamento che crescono inquietan-temente nel mondo, a cominciar

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Prima che sia troppo tardidi Tiziano Terzani

Costruire il senso della condivisionedi Giorgio Gallo

Aldo Capitini, ispiratore della cultura della nonviolenzadi Rocco Altieri

“Shoah e cultura della pace”di Francesca Pelini

Le fonti documentarie della mostradi Rosa Lucia Romano

Come ricordo Sebastiano Timpanaro jr.di Vincenzo Di Benedetto

Nasce “Prometeo”, il portale della ricercadi Manuela Marini

Il nuovo sito web dell’ateneodi Vincenzo Letta e Antonella Magliocchi

Pisa, lineamenti per il futurointervista a Dario Franchinidi Barbara Grossi

@gendaWeb

APPROFONDIMENTi

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Notizie

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Internet, regole, libertà di pensierodi Domenico Coviello

La lingua “povera” del terzo millenniodi Claudia Mantellassi

Il finanziamento della ricerca scientificanelle Università: mirato o a pioggia?di Paolo Gianni

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Athenet, Periodico dell’Università di Pisa, numero 6 - maggio 2002, www.unipi.it/athenet

Sommario

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Athenetperiodico dell’Università di Pisa

Direttore responsabile: Luciano Modica

Redazione:Andrea Addobbati, Antonio R. D’Agnelli,Barbara Grossi, Vincenzo Letta, Antonella Magliocchi,Claudia Mantellassi, Bruno Sereni.

Lungarno Pacinotti 43 - PISAtel: 050 2212113, fax: 050 2212678e-mail: [email protected]

Progetto grafico e impaginazione: Vincenzo Letta

Athenet on-line: www.unipi.it/athenetrealizzazione tecnica: Stefano Pennuto, Gerlando Termini

Stampa: tipografia universitaria

Autorizzazione n° 7 del 01-04-1981presso il Tribunale di Pisa

In copertina:calco in gesso della Atena di Velletri,conservato presso la gipsoteca del dipartimento di Scienze Archeologiche dell’Università di Pisa.(foto: Fausto Gabrielli)

La rivista viene spedita adomicilio a tutti i professori,ricercatori e dipendentidell’Università di Pisa.La tiratura di questo numeroè stata di 4400 copie.

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Editoriale◆

Inauguriamo con questo numero un editoriale diverso dal solito. Non più presentazio-ne generale degli argomenti degli articoli, ma strumento per ospitare opinioni di docen-ti dell’ateneo sui temi principali del numero stesso. Abbiamo chiesto al professor AlfonsoM. Iacono una riflessione sulle conseguenze culturali e politiche dell’11 settembre.

Quel famoso detto che il grande commediografo latino Terenzio fa dire a un suopersonaggio: homo sum: nihil humani a me alienum puto (sono un uomo: niente chesia umano reputo essere a me estraneo) oggi sembra stare sempre più fuori da quel cheaccade nel mondo. Questo detto che ci dice che niente è estraneo di quel che repu-tiamo umano, ci rinvia oggi ad almeno due domande. La prima è questa: siamo si-curi che una buona parte di ciò che è e reputiamo umano non ci sia in questo mo-mento estraneo? La seconda invece è: cosa reputiamo umano? Dove poniamo cioèi confini di quel che è o ci appare umano? Nell’articolo pubblicato in questo numero di «Athenet», Tiziano Terzani imploradi non disumanizzare il nemico. Ha ragione. Troppo spesso ormai, in nome dell’u-manità si fanno cose terribili. Così come si fanno cose terribili in nome di un dio,a cominciare dal crollo delle due torri di New York. In nome dell’umanità si conti-nua a fare una guerra in un paese lontano, che tutti qui in Occidente hanno ormaidimenticato. Di fronte a questa situazione e ai rischi di annientamento che crescono inquietan-temente nel mondo, a cominciare dallo scontro tra palestinesi e israeliani, è bene ri-cordarsi di ciò che si sapeva e che veniva detto molti anni fa e che viene continua-mente dimenticato, perfino da chi lo affermò: se uno Stato, una nazione o un po-polo combatte il suo nemico politico in nome dell’umanità, la sua è una guerra concui cerca di impadronirsi, contro il suo avversario (il quale cerca a sua volta di farelo stesso) di un concetto universale per potersi identificare con esso (a spese del suonemico) e giustificare l’azione agli occhi di tutti. Non è una guerra dell’umanità.Essa finisce con l’essere smentita proprio dal nemico che sta tentando un’operazio-ne analoga. Allo stesso modo si utilizzano i concetti di pace, giustizia, progresso, ci-viltà, per sottrarli al nemico e rivendicarli a sé. Richiamarsi all’umanità, essere pa-droni assoluti della parola, avere l’onnipotente facoltà di decidere cosa è umano ecosa no: questa è la risposta, ironica e nello stesso tempo tragica, alla sentenza diTerenzio. Tutto quel che è fuori da ciò che reputo umano, mi sarebbe estraneo edunque non umano. Togliere al nemico la qualità di uomo implica il fatto che laguerra può essere portata fino alla più spaventosa inumanità. E la guerra porta ine-vitabilmente all’inumanità.

Alfonso M. IaconoDocente di Storia della filosofia politica

[email protected]

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Dopo trentacinque anni di gior-nalismo sono andato in pen-sione, ma la mia idea non era

quella di smettere di lavorare, volevo fa-re un altro viaggio. Siccome tutta la vitaavevo viaggiato… fuori, volevo fare unviaggio… dentro. Così, mi sono trasfe-rito sull’Himalaya, in una capanna sen-za acqua, luce, telefono, senza umani perchilometri. Ci vogliono due ore di cam-mino attraverso una foresta di rododen-dri e due ore con una jeep per arrivaredove c’è qualcuno che vende della frut-ta, del riso, dove c’è un cyber-caffè dalquale mando i messaggi a mia moglie, al

mondo… E dinnanzi alle più grandimontagne del mondo, godevo del silen-zio. Passavo ore seduto sull’erba sotto ideodar, gli alberi di Dio, dei cedri altis-simi pieni di corvi con i quali ho fattoamicizia; vengono a mangiare con me almattino lo yogurt che faccio con dellebacche. Ero pronto a passare così il restodella mia vita, quando nel settembrescorso sono venuto in Italia per il miosessantatreesimo compleanno — miamoglie sta a Firenze e ogni tanto, ognidue o tre mesi, ci incontriamo, lei vienea trovarmi, io vado a trovarla — così misono ritrovato, come tutti voi, come tut-to il mondo, davanti alle torri che cade-vano. Un amico mi ha telefonato: “vaisubito alla televisione”, sono arrivato intempo per vedere il secondo aereo cheimpattava.Forse perché vivo in Asia da tanto tempo,forse perché sono convinto che la vita èuna e che il più bel simbolo di questaunità e armonia è il simbolo dello yin edello yang, del tao, in cui all’interno del-la luce c’è una radice di tenebra, e all’in-terno della tenebra c’è un punto di luce,ma in questo sgomento orribile ho vistoil punto di luce e mi sono detto: “pah!Questa è una buona occasione!”. L’hosentito forte: “questa è una buona occa-sione!”. Certo, una buona occasione per-ché il mondo è cambiato, le torri hannocambiato il nostro mondo, l’hanno cam-biato profondamente; è il momento checambiamo anche noi. Per la prima voltal’orrore del nostro rapporto col mondoera dinnanzi a tutti noi. L’atomica è statauna grande e orribile svolta nella storiadell’umanità, tant’è vero che tutti quelliche vi avevano partecipato e avevano un

cuore hanno dovuto riflettere sulla mora-lità, sulla giustificazione di quella bom-ba… Una bomba sganciata su due città,uccidendo trecentomila persone, tutte ci-vili. Perciò non facciamoci raccontare chele torri sono qualcosa di nuovo, qualcosadi orribilmente nuovo. Le guerre ormaiuccidono solo i civili, di soldati ne ucci-dono sempre di meno; questa guerra poine è la dimostrazione. Ma la bomba ato-mica in verità non l’abbiamo vissuta, ab-biamo visto delle foto, l’abbiamo letta neilibri, ma era qualcosa di lontano. Eranogiapponesi, erano cattivi, si erano com-portati orribilmente nel corso della guer-ra; e il fatto che poi per trentacinque an-ni la guerra fredda avesse congelato la ca-pacità atomica delle due potenze, ci ha al-lontanato dall’orrore del nostro suicidio.L’11 settembre invece ce l’ha messo da-vanti, e abbiamo visto tutti, tutto il mon-do ha visto l’orrore di questo crimine.Allora, come dicevo, ho pensato che l’11settembre fosse una grande occasione perriflettere, per fermarsi, per stare in silen-zio e chiedersi: “ma che ci facciamo suquesta terra? Cosa vogliamo fare delle no-stre vite?”.Non scrivevo più da tempo, lavoravo aun’altra cosa. Tutto quel che avevo da di-re sul giornalismo l’avevo detto nel libroIn Asia. Col giornalismo perciò avevochiuso, ma davanti alla tragedia ho sen-tito il dovere di dire le due o tre cose chein trent’anni mi pare di aver capito. È co-sì che ho scritto la prima lettera per rac-contare dei fondamentalisti che si prepa-rano alla jihad, essendo uno dei pochiche aveva avuto modo di conoscerli perpuro caso. Io non sono molto intelligen-te, né molto colto, né molto brillante,

Prima che sia troppo tardiRiflessioni sulla guerra in corso

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di Tiziano Terzani

b.s.

All'indomani dell'11 settembre il dibatti-to tra Tiziano Terzani e Oriana Fallaciospitato dal Corriere della Sera ha divisoil paese. Le lettere di Terzani sono ora riu-nite in un volume edito da Longanesi, unodei maggiori successi editoriali dell’anno.

Tiziano Terzani è uno dei giornalisti italiani che gode di maggior prestigio a livello internazionale. Laureatosi in giurisprudenza aPisa nel 1962, è stato sino allo scorso anno corrispondente per l’Asia del settimanale tedesco Der Spiegel. È uno dei pochi giornalistirimasto a Saigon dopo la rotta dell’esercito statunitense. Ha vissuto a Singapore, Hong Kong, Pechino, Tokio, Bangkok e New Dheli.Lo scorso marzo Terzani è tornato a Pisa per presentare il suo ultimo libro: Lettere contro la guerra.

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però sono fortunatissimo. La prima vol-ta al fronte fischia una pallottola e colpi-sce quello accanto. Sono catturato daikmer rossi, vengo messo al muro, riescoa ridere e non mi ammazzano. Incontrouna donna a diciassette anni e ci vivo in-sieme fino a sessantatre e spero anche peril tempo che mi rimane. A volte la fortu-na è anche qualcosa a cui bisogna tiraredei calci, ma io ce n’ho sempre avuta mol-ta. Poi ho un po’ d’istinto. Nel 1996 sa-pevo che quell’uomo che aveva messo labomba al WTC era passato da un luogoche si chiamava l’università della jihad,che poi era un campo di addestramento.Ci sono andato e per due giorni sono ri-masto in mezzo a quella gente sentendo-mi un appestato, perché ero un occiden-tale, portatore di questa cultura deprava-ta, ma ho imparato tante cose.Da giornalista ho sempre sentito che sevolevo capire i conflitti non potevo stareda una parte sola, dovevo anche capire glialtri. Nel ‘73 in Viet Nam passai il fron-te per andare a trovare i viet-cong.Quando andavo in pattuglia con gli ame-ricani, ci sparavano addosso e anche perme quelli diventavano il nemico, maquesta identificazione con un fronte mipesava. Me ne rendo conto solo ora, mami sono sempre interessato, magari istin-tivamente, all’altro: chi è, cosa pensa, co-sa fa, perché? E così, come ho passato lelinee con i viet-cong, nel ‘96 ho passatole linee del terrorismo e ho scritto le mieriflessioni in una lettera che ho mandatoal «Corriere della Sera». Lasciatemi subi-to dire che io non ho uno stipendio dal«Corriere», ma sono grato al «Corriere» eal suo direttore, Ferruccio De Bortoli,per aver pubblicato, con coraggio, devodire, tutto quello che gli ho mandato.Perché la mia voce era stonata in queigiorni; era come tirare un sasso contro uncastello di vetro, fatto di ipocrisie, di ba-nalità, di reazioni automatiche, di politi-ci e commentatori che senza fantasia ri-correvano a quello che si sa dire, al tor-naconto del momento, al dire “spalla aspalla con gli americani”.Allora, ho scritto questa lettera che siconcludeva con un appello al cuore, peril quale sono stato preso per i fondelli datutti: “Terzani gli è rincoglionito, gli è di-ventato induista, gli è diventato buddi-sta”, un “sognatore dell’Oriente”. Perchéavevo detto che la violenza genera soloviolenza, l’odio genera solo odio, l’odiosi combatte solo con l’amore. “L’amore?Oh, gli è proprio grullo quello lì!”.Sapete, gli indiani si salutano così, di-

cendosi namaskar, che vuol dire: “salutola divinità che è in te”. Se noi procedia-mo per la strada di definire il nemico, co-me ha fatto Rumsfeld, “a wonder ani-mal”, non riusciremo mai ad evitare ilconfronto di civiltà e con questo la finedi ogni civiltà. Noi dobbiamo aprire undialogo di civiltà, non dobbiamo disu-manizzare il nemico, ma capirne le ra-gioni per evitare che lui faccia quell’atto,il più innaturale della vita, che è quellodi uccidersi uccidendo. Secondo me ilterrorismo non si combatte uccidendo iterroristi, anzi in una forma perversa noicreiamo terroristi con quello che stiamofacendo. Il terrorismo si combatte elimi-nando le ragioni che fanno di un uomoun terrorista; perché quelli sono uominicome noi, sono nati, son cresciuti, han-

no amato, alcuni hanno famiglia, bam-bini. Guardate le storie di questi giornidella Palestina, storie di ragazzi che si sui-cidano. Sono nati per vivere, l’uomo na-sce per vivere, non per suicidarsi. E allo-ra, cos’è che porta un uomo a fare que-st’atto così innaturale? Capiamolo, e po-tremo eliminare il terrorismo rimuoven-done le cause.Questa era la mia posizione il 14 settem-bre 2001. Apriti cielo… parte la Fallacicon il suo urlo di rabbia meschina, se-condo me, di orgoglio mal riposto, cheera poi un grido di vendetta.Intendiamoci, sul piano personale io ri-spetto la Fallaci: è una signora anziana;ha avuto una vita molto movimentata, èuna persona che vive sola, in una scatoladi una scatola, di una scatola in quella

Tiziano Terzani, invitato dal Comune di Pisa lo scorso marzo, ha presentato il suo libro,Lettere contro la guerra, in una sala affollata del centro convegni di S.Croce in Fossabanda.

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scatola che è New York. Non risponde altelefono, si sente perseguitata. È una per-sona che affronta a suo modo la vecchiaiae la morte, quella cosa che ognuno di noiha diritto di affrontare a suo modo. Equesto lo rispetto, anzi ho compassione.Però mi pare che affrontarla con le pas-sioni più basse, violente e meschine, nongiovi né a lei — e le ho augurato pacedentro, così che la trovi anche fuori —né agli altri. Quando poi ho saputo chela sua lettera veniva letta nelle scuole misono proprio preoccupato, ne ho sentitoil pericolo e ho voluto levare la mia voceper la pace, la comprensione, la nonvio-lenza. Così ho scritto una lettera apertache il «Corriere», molto generosamente,ha pubblicato.A questo punto avevo tirato due sassi.Non potevo tornare in cima all’Himalayaa guardarmi l’ombelico. Ho ripreso ilmio sacco, c’ho messo dentro il compu-ter, con i miei soldi, senza l’accredita-mento di nessuno, con una carta da gior-nalista falsa, sì avete capito bene, falsa!!!Questo fatto lo trovo divertentissimo.Tutta la vita… “sono Terzani di «DerSpiegel»”; e improvvisamente sono… unpensionato. Adesso quando arrivo in ae-roporto sulla fiche, sapete, alla voce “pro-fessione”, scrivo “pensionato”, mi piace,è bellissimo… però quando vai a un mi-nistero degli esteri, anche da quei taglia-gole che ora gestiscono Kabul, voglionosapere chi sei, e non potevo presentarmicosì “un pensionato? Mbè?”. E allora misono fatto fare una carta da giornalista aBangkok. Chi di voi ha conosciutoBangkok sa che c’è una strada, Kaosangroad, dove per 250 pat, per cinque dol-lari, ti fanno una carta di Presidente del-la Repubblica, di chirurgo, di quello chevuoi. Io me ne sono fatta fare una da gior-nalista e mi sono rimesso in viaggio.Ho passato due mesi in Pakistan, lungola frontiera afghana, evitando gli altrigiornalisti, perché c’è un inseminamen-to di bugie spaventoso. Ad Islamabad c’èun solo grande albergo a cinque stelle,elegantissimo, pieno di giornalisti, quel-li che appaiono in mezzo busto. Stannotutti su una terrazza con una bella vistasulle montagne, e ci sono tante gabbiet-te, Bbc, Cnn, Rai1, Tv2, Cbs. Insomma,sono tutti lì, tutti hanno la loro gabbiet-ta e la cosa bellissima è questa: stanno inquesto albergo tutti assieme e basta chequalcuno metta in giro una voce, che diaun’imbeccata in maniera opportuna, chesubito viene rilanciata da tutti i media delmondo. Il Pentagono lo sa perfettamen-

te e ne approfitta. The Office of StrategicInfluence, si chiama l’ufficio racconta-bugie. In questi giorni ci hanno detto diaverlo chiuso, ma raccontano tante diquelle bugie… E certo c’erano decine difunzionari dell’ufficio in quell’albergo.La mattina incontravano un giornalistaspagnolo a colazione e gli dicevano: “mahai sentito? I talebani… ne hanno am-mazzate oltre quarantamila di quelledonne… e il burqa… Madonna! Pare —per dirne una — che i talebani incateni-no le donne sotto il burqa… ”. Allora ilgiornalista spagnolo incontrava un colle-ga: “oh, ma hai sentito?” e quello, che nelfrattempo era stato avvicinato da un al-tro funzionario dell’ufficio: “che incate-nano le donne?” “Sì… ma allora è ve-ro!”. Dopo cinque minuti erano tutti las-sù sul tetto: “i talebani hanno messo an-che le catene ora…”.Allora, per evitare di essere inseminato mene stavo in certe pensioncine vicino all’u-niversità e come al solito ho avuto unafortuna cane. Ho trovato due giovani cheparlano il pashtun, una delle due grandilingue dell’Afghanistan. Erano studentidi medicina e adoravano parlare inglese,l’unica lingua con cui ci si poteva inten-dere, perché con tutte le lingue che parlonon parlo quelle dell’Afghanistan. Me lisono presi tutti e due come guide e inter-preti, ho vissuto con loro, ho viaggiatocon loro. Con loro sono andato a vederei jihadi, quei giovani che partivano con leorganizzazioni fondamentaliste, con il lo-ro kalashnikov. Ce n’era uno senza scar-pe, gli ho detto: “ma come? vai in guerrascalzo?” “eeeeh” mi ha detto “appeno ar-rivo taglio i piedi a un americano e gli pi-glio le scarpe”. Interessante. È così che lo-ro vedevano la loro jihad… interessante.Un mese dopo sono tornato a vedere co-sa ne era di un gruppo che avevo visto par-tire, entusiasta di combattere. Di quaran-tatre, ne erano tornati appena tre.Quaranta fatti a pezzi dai B-52. Ho par-lato con uno di questi: “e ora?” gli ho chie-sto; “Io sono gazi” mi ha risposto, comedire: sono un veterano, per cui godo digrande prestigio nel villaggio “e sono agliordini della mia organizzazione”, un’or-ganizzazione fondamentalista che oraMusharaff ha messo all’indice. “Agli or-dini dell’organizzazione? Ma se l’organiz-zazione ti ordina di andare a mettere unabomba a New York?” “ah! Ci vado subi-to”, mi ha detto.Ecco il terrorismo. Il terrorismo nascedall’asimmetria con cui tutto si sta svol-gendo nel mondo. Se tu vedi i tuoi qua-

ranta colleghi fatti a pezzi dalle bombesganciate da quindici chilometri di di-stanza da un irraggiungibile pilota, chebeve la coca cola e schiaccia dei bottoni,come puoi, in quella logica perversa del-la violenza, che io prego, chiedo, implo-ro di evitare, come puoi vendicarti?Perché parliamoci chiaro: tutta questa vi-cenda è all’insegna della vendetta. Anchel’operazione americana, la nostra opera-zione, ha un fondo di vendetta, è evi-dente. Avete visto la fotografia del tale-bano a Guantanamo Bay in ginocchio aipiedi del marine? Era incatenato, tuttorasato, aveva una maschera, gli orecchitappati. E quella foto non l’ha rubata unpaparazzo per mostrare gli orrori dellaguerra, l’ha consegnata il Pentagono allastampa. Perché? Dopo si sono accorti diaver sbagliato, ma il Pentagono l’ha con-segnata perché l’opinione pubblica ame-ricana aveva bisogno di vedere che final-mente si erano vendicati e che avevanomesso in ginocchio il terrorista. Il pro-blema è che quella stessa foto nel resto delmondo ha fatto un’altra impressione, eora l’America paga per questo: deve rifa-re i suoi conti, deve riconquistare la sim-patia del mondo, deve chiudere l’ufficiodelle bugie, perché quella foto probabil-mente era vera, ma veniva dall’ufficiodelle bugie. Insomma è la vendetta, e noncercano nemmeno di nasconderlo.E gli altri? Come si possono vendicare glialtri? Come si può vendicare uno che nonriesce a vedere il suo nemico, perché glivola sulla testa a chilometri di altezza?L’unica vendetta possibile è il terrorismo.Per questo bisogna evitare il circolo vi-zioso della violenza se vogliamo evitare ilsuicidio dell’umanità, perché ormai le ar-mi di distruzione di massa sono tali chenon c’è scelta. La guerra è in corso. Inquesto momento i B52 sorvolanol’Afghanistan pronti a bombardare qual-cuno, forse Al Qaeda, forse no. In que-sto momento da qualche parte un giova-ne di quelli di cui dicevo sta preparandouna bomba, che può mettere a Londra, aMogadiscio, a New York… chissà dove?La guerra è in corso, e non illudiamoci:non possiamo continuare a vivere comese non fosse successo niente. E allora ri-peto: l’unico modo è capire, l’unico mo-do è fermarsi, in silenzio, riflettere e tro-vare un modo per dialogare. C’è solo unavia: la nonviolenza. Non c’è stata mai unaguerra che abbia messo fine a tutte leguerre.

Tiziano Terzani

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Il secolo appena concluso avrebbe do-vuto essere nei sogni di molti il se-colo della delegittimazione dello ius

ad bellum, del diritto degli stati ad uti-lizzare la guerra come strumento di so-luzione dei conflitti. Questo era l’impe-gno contenuto nell’art. 11 della nostraCostituzione; questa la speranza sancitadalla carta dell’Onu. Eppure l’ultimodecennio del secolo scorso ha visto dueguerre a cui anche il nostro paese ha par-tecipato. Oggi ci troviamo di nuovocoinvolti in una guerra, ma una guerramolto particolare: dopo l’11 settembrela ‘guerra’ è divenuta, da evento ben in-dividuabile e circoscritto, con un suoinizio ed una sua fine, uno stato perma-nente. “[L]’occidente – scrive su «Limes»Fabio Mini – ha ottenuto [dall’attaccodell’11 settembre] un risultato strategi-co fondamentale: è stata conseguita laconsapevolezza dello stato di guerra. [...]La lotta al terrorismo è diventata lo sco-po fondamentale della politica di sicu-

rezza mondiale del prossimo decennio”.Questa situazione ci interpella e fa emer-gere con più forza l’urgenza di un impe-gno collettivo per la pace. Come diceGino Strada, il fondatore di«Emergency», concludendo un’intervi-sta apparsa alcuni mesi fa su «IlManifesto», “Il movimento per la pacenon è soltanto l’unico che può rendere ilmondo più bello da vivere, è anche l’u-nica strada possibile per restare vivi”. Unimpegno per la pace che vada al di là del-la semplice opposizione alla guerra. Unimpegno collettivo, che coinvolga tuttigli aspetti della vita, e che veda la parte-cipazione di una pluralità di attori, cia-scuno con le sue caratteristiche, con lesue specificità, con le sue diversità. Sononecessari percorsi di pace che incidanosulla trama della nostra vita quotidiana,che cambino i valori che stanno alla ba-se dei nostri comportamenti, che co-struiscano passo dopo passo una veracultura di pace. Una cultura che, comedice Federico Mayor, ex direttore gene-rale dell’Unesco, sia una “cultura dellaconvivialità e della condivisione, fonda-ta sui principi di libertà, giustizia e de-mocrazia, di tolleranza e solidarietà. Unacultura che rifiuta la violenza, cerca diprevenire i conflitti all’origine e di risol-vere i problemi attraverso il dialogo ed ilnegoziato. Infine, una cultura che assi-cura a tutti il pieno godimento di tutti idiritti e dei mezzi per partecipare piena-mente allo sviluppo endogeno della so-cietà” (Un monde nouveau, 1999).In questo processo di costruzione di unacultura di pace, un ruolo certamente

non secondario ha, o almeno dovrebbeavere, l’università, per il suo ruolo chia-ve sia nella elaborazione culturale chenella formazione delle nuove genera-zioni.Purtroppo, al di là della retorica che vuo-le la scienza naturalmente portatrice dipace, chi opera all’interno dell’universitàsa bene come i messaggi che da essa pro-vengono siano spesso ambigui e non dirado vadano verso una direzione oppo-sta a quella della pace. Due idee appaio-no da questo punto di vista particolar-mente preoccupanti. Innanzitutto l’ideache la scienza sia in se stessa e nei suoioperatori libera da valori, in un certosenso al di là del bene e del male. È unatesi difficilmente sostenibile sul pianoteorico. “Plausibile ma troppo semplice”la definisce Hans Jonas (Tecnica, medi-cina ed etica, 1997), che trova nella stret-ta connessione fra scienza e tecnologiauno degli argomenti chiave per ricon-durre la scienza nell’ambito dell’etica:“l’alibi della teoria pura e ‘disinteressata’è caduto e la scienza è stata posta al cen-tro del regno dell’azione sociale, dovechiunque agisca deve rispondere dei suoiatti”. Una tesi però troppo spesso accet-tata sul piano pratico. Il risultato è un in-segnamento acritico nei riguardi delletecnologie, del loro uso e del loro im-patto sulla società e sulla natura, con ilrischio di una subordinazione dell’istru-zione alla tecnologia.La seconda idea, più recente, ma an-ch’essa spesso accettata in modo acritico,è che l’istruzione sia lo strumento chia-ve per la sopravvivenza degli individui (e

Chi immaginava che il crollo del muro di Berlino e il superamento dell’equilibrio bipolare schiudesse un futuro di pace all’u-manità ha dovuto ricredersi. L’ultimo decennio infatti ha drammaticamente riproposto la guerra come momento centrale e cos-titutivo delle relazioni internazionali. Coloro che da anni vanno operando per costruire una cultura di pace non si sono tut-tavia lasciati andare allo sconforto; hanno tratto invece da questa amara constatazione nuove motivazioni per rilanciare conforza il loro impegno. Il nuovo corso di laurea in Scienze della pace è un contributo che guarda esattamente in questa direzione,verso un mondo che sappia risolvere le controversie senza ricorrere alla violenza.

Il logo del Centro InterdipartimentaleStudi per la Pace.

Costruire il senso della condivisionePercorsi di pace all’Università di Pisa

di Giorgio Gallo

DID

AT

TIC

A◆

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degli stati), in un mondo sempre piùcompetitivo in cui solo pochi saranno ivincitori. “La sfera educativa tende a tra-sformarsi in un ‘luogo’ dove si imparauna cultura di guerra (ognuno per sé,riesci meglio degli altri ed al posto loro)piuttosto che una cultura di vita (vivereinsieme agli altri nell’interesse genera-le)”, sostiene Riccardo Petrella in un ar-ticolo apparso su «Le Monde diplomati-que»Proprio dall’esigenza di affrontare leproblematiche della costruzione ed ela-borazione di una cultura di pace a par-tire dallo specifico della realtà universi-taria è nato nel 1998 il Centro interdi-partimentale Scienze per la pace. Unprimo tentativo di elaborare propostedidattiche che contribuissero a costrui-re elementi di cultura di pace ha porta-to alla realizzazione di due insegnamen-ti, uno di Sociologia della pace (comemodulo del corso di Sociologia dellosviluppo), nel corso di laurea in Scienzepolitiche, e l’altro di Responsabilità so-ciale delle tecnologie dell’informazione,nel corso di laurea in Informatica. I con-tenuti di quest’ultimo sono ora entratiin maniera istituzionale all’interno delcurriculum di Informatica. Successivamente la riforma dell’autono-mia universitaria ha aperto nuovi spazie creato nuove opportunità. Da qui laprogettazione di un nuovo corso di lau-rea triennale in Scienze per la paceorientato alla formazione di persone checontribuiscano a diffondere la cultura

della pace, operando in alcuni settori eruoli che ci sembrano particolarmenterilevanti: “mediazione e conciliazione”,“cooperazione internazionale”, “solu-zione pacifica dei conflitti”, “impresesociali e nonprofit” e “formazione ed

educazione alla pace, alla nonviolenzaed allo sviluppo umano”. Alcuni di que-sti settori, anche se di sviluppo relativa-mente recente nel nostro paese, sono or-mai ben consolidati. Questo vale certa-mente per la cooperazione internazio-nale e per il settore delle imprese non-profit; con alcune organizzazioni ed im-prese operanti in quest’area sono già sta-ti presi contatti e stipulate convenzioni,finalizzate sia alla realizzazione di stageda parte degli studenti che ad una mi-gliore comprensione dei profili profes-sionali richiesti e ad un adeguamento

nel tempo dei contenuti formativi delcorso. Più nuovi nel nostro paese – magià ben consolidati, anche a livello diformazione universitaria, in altri qualiad esempio quelli anglosassoni – sono iruoli di mediazione e conciliazione e disoluzione pacifica dei conflitti. Fannoriferimento, ad esempio, alla composi-zione pacifica ed alla trasformazione diconflitti sia sociali che civili, a funzioninell’ambito degli uffici dei difensori ci-vici, alla mediazione culturale e, a livel-lo internazionale, a ruoli di mediazionein situazioni in cui ci sia il rischio di unconflitto armato e di monitoraggio diprocessi elettorali. Il corso ha suscitato subito un notevoleinteresse, sia tra gli operatori del setto-re, come dimostrato dalle convenzionistipulate, alcune delle quali prevedonol’erogazione di contributi economiciper il suo funzionamento, che fra i po-tenziali studenti: ottanta gli iscritti, dicui quasi il 20% provenienti dal di fuo-ri della nostra regione. Tutto questo di-mostra la forte attrazione che le proble-matiche della pace suscitano, in positi-va controtendenza rispetto alla recrude-scenza dei conflitti armati che abbiamogià ricordato. Ma dimostra anche l’inte-resse per il particolare taglio interdisci-plinare, di incontro fra cultura umani-stica e cultura scientifica, che abbiamodato al corso, e che lo differenzia signi-ficativamente dagli altri corsi che mira-no a formare operatori di pace, che so-no nati quest’anno in diverse universitàitaliane. Questo è per noi un elementoparticolarmente rilevante, che, peraltro,corrisponde alla specifica vocazione del-l’ateneo pisano. È importante proprioper il fondamentale ruolo che hanno as-sunto la scienza e la tecnologia nella so-cietà moderna. Scienza e tecnologia,unite in un rapporto sempre più strettoda rendere ormai difficile stabilire dovefinisca l’una e dove cominci l’altra, so-no così pervasive da modificare le strut-ture sociali, da improntare i comporta-menti umani e gli stessi valori che di ta-li comportamenti stanno alla base.Basta pensare allo sviluppo delle tecno-logie dell’informazione o alle biotecno-logie. Sviluppare una capacità di letturacritica della realtà anche riguardo a que-ste problematiche è indispensabile. Mac’è un altro motivo per cui la presenzanel curriculum di una componente tec-nico-scientifica diventa essenziale, ed èquello dello sviluppo di capacità pro-gettuali indispensabili per chi voglia

Una delle attività del Cisp è quella di promuovere la cultura della Pace attraverso in-iziative come quella della “Scuola di Pace” dedicata al conflitto israelo-palestinese, or-ganizzata la scorsa estate in collaborazione con il Comune di S.Anna di Stazzema e ilgruppo Jaegerstatter. Nella foto: partecipanti israeliani e palestinesi in un momento deilavori svolti nella sala conferenze del Museo dell’eccidio di Stazzema.

Non possiamo educarealla nonviolenza in modo au-toritario e violento. Non pos-

siamo educare alla convivialitàed alla condivisione se non cer-cando di impostare un nuovotipo di didattica basata sul

dialogo, che valorizzi il contri-buto di tutti e che solleciti il

lavoro di gruppo e la condivi-sione delle conoscenze

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operare efficacemente nel mondo di og-gi caratterizzato da livelli sempre cre-scenti di complessità. Queste esigenze hanno portato, accantoall’insegnamento di conoscenze di basedi matematica, statistica ed informatica,alla definizione di corsi specifici con untaglio a volte fortemente innovativo,quali, ad esempio, Misurazione ed in-terpretazione della società e dell’am-biente, Decisioni in situazioni di com-plessità e conflitto, Evoluzione dellescienze tra guerra e pace, Biologia dellepopolazioni umane.Naturalmente uno spazio particolar-mente consistente nel piano di studi èstato riservato alle scienze giuridiche, al-le scienze umane e sociali ed all’econo-mia. Si tratta di discipline fondamenta-li per la formazione di chi voglia opera-re nella cooperazione internazionale enel cosiddetto terzo settore. Anche quic’è stata una attenzione particolare alladefinizione dei corsi e dei loro contenu-ti. Fra i diversi insegnamenti ricordiamo,a titolo esemplificativo, Elementi di di-ritto privato, che include un modulo didiritto del settore nonprofit, Istituzionidi diritto internazionale e Diritto uma-nitario, Economia dello sviluppo e del-l’ambiente, Sociologia dello sviluppo,Metodologie delle scienze umane,Antropologia generale ed etnosviluppo,Sociologia dei conflitti e teoria dellanonviolenza. Quest’ultimo corso è par-ticolarmente interessante per la sua in-terdisciplinarietà: l’argomento vienepresentato dai punti di vista comple-mentari della filosofia, della sociologia edell’etologia, con docenti provenienti daquesti tre settori disciplinari. Da quanto detto emerge come nel cor-so in Scienze per la pace si trovino ac-corpati, in un contesto unitario, inse-gnamenti che usualmente si trovanocollocati in percorsi di studio diversi senon alternativi. La diversità ed artico-lazione dei saperi, necessaria proprioper le caratteristiche degli sbocchi pro-fessionali prevista dal nostro corso dilaurea, comporta naturalmente il ri-schio della frammentazione. Da qui lascelta di riprogettare i diversi insegna-menti, anche quelli più tradizionali, al-la luce del contesto formativo in cui sicollocano e la conseguente scelta di nonricorrere a mutuazioni da altri corsi dilaurea. Scelte costose in termini di im-pegno personale dei docenti, ma chehanno permesso di ottenere un corsocaratterizzato da una impostazione uni-

taria e coerente. Abbiamo parlato finora di contenuti,ma qualcosa va detto anche sul meto-do. Il modo con cui la didattica è arti-colata è parte integrante del tipo di for-mazione che vogliamo fornire agli stu-denti ed alle studentesse che hanno ac-cettato il rischio di scegliere un percor-so formativo così poco convenzionale.Non possiamo educare alla nonviolen-za in modo autoritario e violento. Nonpossiamo educare alla convivialità edalla condivisione se non cercando diimpostare un nuovo tipo di didatticabasata sul dialogo, che valorizzi il con-tributo di tutti e che solleciti il lavorodi gruppo e la condivisione delle cono-scenze. È una sfida forse più importan-te e più difficile di quella che viene dal-la necessità di pensare nuovi contenuti.La brevissima esperienza che abbiamo èper ora positiva anche da questo puntodi vista. I docenti che hanno elaboratoil corso e che vi insegnano sono moltomotivati e attenti a questi aspetti.D’altra parte anche gli studenti e le stu-dentesse che si trovano davanti sonomotivati ed entusiasti e tutt’altro chedisponibili ad accettare una didatticatradizionale. Un ultimo punto che ci sembra impor-tante sottolineare è il tipo di domandache ci siamo trovati di fronte. Accantoagli studenti ‘normali’, giovani appenausciti dalla scuola superiore o trasferitidopo uno o due anni di un altro per-corso universitario, c’è un considerevo-le numero di studenti ‘adulti’, quasisempre persone che lavorano, che si so-no iscritti perché hanno sviluppato, nel

lavoro o in attività di volontariato, unforte interesse per le tematiche della pa-ce. Si aspettano dal corso conoscenzeche li arricchiscano sul piano persona-le, spesso anche che migliorino la qua-lità del proprio lavoro o del proprio im-pegno sociale. Si tratta in genere di per-sone che possono portare un grossocontributo esperienziale al corso (ed ineffetti partecipano in modo particolar-mente attivo alle lezioni), ma proprioper questo, oltre che per i problemi le-gati alla condizione di studenti lavora-tori, richiedono un tipo diverso di di-dattica. È una sfida, ma anche una im-portante opportunità che non possia-mo permetterci di trascurare.Concludendo possiamo dire che, con ilcorso di laurea in Scienze per la pace, èiniziata una nuova esperienza, che ri-chiede un particolare impegno da partedei docenti coinvolti e di tutta l’univer-sità. Richiede non solo uno sforzo per ri-pensare e verificare continuamente icontenuti, ma anche una particolare at-tenzione alla didattica, anche con riferi-mento ai diversi tipi di studenti ed alledomande che essi pongono. Tutto que-sto avendo sempre chiaro l’obiettivo:contribuire alla formazione di personeche, operando in settori quali quello del-la cooperazione, del nonprofit, della me-diazione e trasformazione di conflitti,diffondano una cultura di pace.

Giorgio GalloPresidente del Centro

InterdipartimentaleStudi per la Pace

[email protected]

Israeliani e palestinesi piantano simbolicamente un ulivo durante la “Scuola di Pace”.

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Figura di spicco della cultura antifascista enonviolenta, perugino di nascita, la suabiografia intellettuale è strettamente legataall’Università di Pisa, dove compì i suoi stu-di, maturò la sua posizione politica e, infi-ne, fu docente incaricato di Filosofia mo-rale e Storia delle religioni nei primi annidel dopoguerra.Di famiglia di modeste condizioni econo-miche, suo padre era custode del campa-nile comunale di Perugia, studiando da au-todidatta riuscì a vincere nel 1924 una bor-sa di studio alla Scuola Normale per la clas-se di Lettere.Il suo percorso formativo attraversò conoriginalità un filone della cultura europeache va da Kant a Leopardi, da Mazzini aTolstoj e Ibsen, fino alle voci a lui contem-poranee di Michelstaedter e Boine, tutti au-tori accomunati da una ricerca dell’inte-riorità e del primato della coscienza.Le sue letture politiche si nutrivano assi-duamente della Rivoluzione liberale diGobetti e della rivista protestante«Coscientia» diretta da Gangale eChiminelli. Laureatosi nel ’28 con una tesi su Leopardi,Capitini divenne assistente di AttilioMomigliano e segretario della ScuolaNormale. La repulsione per il Concordato del ’29 trail regime fascista e la chiesa cattolica lospinse a manifestare una opposizione atti-va, propugnando l’urgenza di una riformareligiosa secondo lo spirito pauperistico enonviolento dell’evangelo di Cristo e diFrancesco d’Assisi.La conoscenza di Gandhi avvenne attraver-so la biografia scritta da Romain Rolland el’Autobiografia pubblicata da Garzanti. Unpo’ poco, forse, ma ricordava Capitini nel-lo scritto Verso il centenario gandhianodel 1968:“[...] era il sufficiente per scoprire il fine esoprattutto i mezzi. La liberazione dovevaessere una nuova vita religiosa, raggiuntaper mezzo della nonviolenza La grande ar-ma della non-collaborazione veniva in pie-na luce. Se l’Italia avesse non collaboratocon il fascismo, se ne sarebbe liberata.Altro che Conciliazione! Il mio compagnodi propaganda dentro La Normale eraClaudio Baglietto, morto poi esule a Basileanel 1940. Facemmo esplodere la bombaGandhi alla Normale di Pisa! Da alloraGandhi restò punto costante di riferimento

e di ricostruzione etico-religiosa. Primadella liberazione e dopo [...]”.Nell’ambiente asfittico della ScuolaNormale, soffocata dal conformismo e dal-la presenza dominante del suo nume tute-lare, Giovanni Gentile, tra il ‘31 e il ‘32Capitini rappresentò una posizione nuovadi critica e di rottura nei confronti della tra-dizione culturale gentiliana. Attraverso di-scussioni serali e diffondendo alcune sueriflessioni sulla nonviolenza, raccolse in-torno a sé molti giovani di valore, tra gli al-tri Claudio Varese, Walter Binni, CarloLudovico Ragghianti, Lamberto Borghi, chein seguito costituirono il nucleo fondantedel movimento liberalsocialista.Il rifiuto opposto nel ’32 alla richiesta diGentile di prendere la tessera del partito fa-scista gli costò il licenziamento dal posto disegretario della Scuola Normale. Il suo ge-sto di obiezione di coscienza alla dittaturasegnò l’atto di nascita della nonviolenza inItalia.Nella opposizione al fascismo, Capitini di-venne operoso come nessun altro per apri-re la realtà dei giovani a una prospettiva diliberazione nonviolenta. Nel ‘37 fondò conGuido Calogero il movimento liberalsocia-lista, inteso da Capitini come un nuovoorientamento nel vivere la compenetra-zione tra socialismo e libertà, [...] senzaresidui, secondo un compito che non è so-lo economico-politico, ma etico-religioso: “Il problema politico ed economico ri-manda a un compito morale: quello di por-tare l’anima alla libertà e alla socialità del-la civiltà futura; libertà, che è ricerca e af-fermazione del valore in tutti i campi dellavita; socialità, che a questi valori incessan-

temente scoperti e affluenti nella storia fapartecipare esplicitamente tutti, per una ra-gione di benessere, di giustizia, per il benecomune di un maggior prodursi di valorinella storia e, più che questo, per la gioiadi celebrare la presenza infinita dell’uma-nità nelle singole persone.” (liberalsocia-lismo, 1937.) Arrestato due volte durantela guerra con l’accusa di antifascismo, do-po la liberazione dell’Italia si impegnò peril rinnovamento delle vecchie strutture po-litiche e amministrative dando vita a formedi democrazia diretta e partecipata, isti-tuendo i C.O.S. (Centri di orientamento so-ciale) che Capitini progettava di moltipli-care in ogni villaggio o parrocchia d’Italia,come palestra di democrazia diretta e dipartecipazione popolare, attuando le trecondizioni che rendono possibile un verocontrollo democratico: informazioneesatta, critica adatta, progettazione pro-grediente.Encomiabile fu il suo impegno negli anniCinquanta per la riforma, la difesa e la va-lorizzazione della scuola pubblica, che do-veva avere al suo centro l’educazione civi-ca. La lotta per il disarmo e la pace, per ilriconoscimento giuridico dell’obiezione dicoscienza al servizio militare, per l’attiva-zione di una difesa popolare nonviolenta,trovò il suo compimento più significativonella marcia Perugia-Assisi del 24 settem-bre 1961, convocata per la pace e la fratel-lanza tra i popoli. La sua morte avvenne il21 ottobre 1968 per i postumi di un inter-vento chirurgico.Appresa la sua morte, Pietro Nenni annotònel suo diario:“È morto il prof. Aldo Capitini. Era un’ec-cezionale figura di studioso. Fautore dellanonviolenza, era disponibile per ogni cau-sa di libertà e di giustizia. Lo conoscevo po-co di persona. Invece avevo con lui una vec-chia collaborazione epistolare nel sensoche mi scriveva sovente di ognuno dei pro-blemi morali della società contemporanea.Mi dice Pietro Longo che a Perugia era iso-lato e considerato stravagante. C’è sempreuna punta di stravaganza ad andare controcorrente, e Aldo Capitini era andato controcorrente all’epoca del fascismo e di nuovonell’epoca post-fascista. Forse troppo peruna sola vita umana, ma bello.”

Rocco AltieriInsegnante di scuola superiore

Aldo Capitini, ispiratore della cultura della nonviolenza

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La documentazione, reperita negli ar-chivi dell’università, della ScuolaNormale e del Ministero della

Pubblica Istruzione e raccolta ad hoc per lamostra, consente al visitatore di conosce-re la realtà della discriminazione razzista,restituita nella dimensione plurale dellanormativa, della sua prassi e delle sue ri-percussioni sui destini individuali di do-centi e studenti.Il percorso della mostra è inaugurato, nel-la sua prima sezione dedicata alle Leggi sul-la razza ebraica, da una minuta firmata dalrettore pisano D’Achiardi in data 19 feb-braio 1938, imbarazzata risposta alla ri-chiesta avanzata dal ministro

dell’Educazione nazionale Bottai di unaprima, impressionistica quantificazionedella presenza ebraica nell’ateneo. La datadella missiva, precocissima rispetto al varosettembrino delle leggi razziali, testimoniadi una densa fase preparatoria, protetta dasegretezza e promossa in autonomia daisingoli ministeri, in cui il ministrodell’Educazione Nazionale si distingue perslancio e capacità di anticipazione. Provane sia il manifesto disorientamento del ret-tore pisano che, confuso sui criteri del ri-conoscimento, dichiara di non poter “es-sere preciso, almeno che codesto On.Ministero non voglia autorizzarmi a chie-dere direttamente agli interessati le notizie

del caso.”L’incipit del percorso museale, dunque, hail pregio di introdurci ad alcuni caratterisalienti della specifica politica bottaiananei confronti degli ebrei: l’anticipazione,l’agilità e la riservatezza delle prime misu-re di individuazione. Destinate ad emer-gere alla luce soltanto nell’agosto 1938nella forma più esplicita del censimento,condotto mediante la consegna e la com-pilazione di moduli contenenti le indica-zioni della “razza” dei genitori e del coniu-ge e della religione professata. Scovate nel fondo del Ministero dellaPubblica Istruzione depositato pressol’Archivio Centrale dello Stato di Roma, lequattro schede relative ai cattedratici pisa-ni poi espulsi sono state esposte nella se-zione dedicata alle Vicende personali dei do-centi ebrei dell’Università di Pisa. Le voci dariempire rivelano ad un occhio attento unasingolare definizione dell’ebreo, impostadall’alto sulla base di un fattore biologico.Cesare Sacerdotti, ad esempio, e come luimolti altri, sarebbe stato sospeso dal servi-zio (due mesi prima della pensione matu-rata per anzianità!) a causa della “razza” deigenitori e nonostante la laicità professata.L’elemento religioso avrebbe potuto inci-dere come elemento di valutazione sol-tanto in un senso, offrendo ai nati da ma-trimonio “misto” dotati di regolare certifi-cato di battesimo l’opportunità di una re-visione razziale: è il caso di Attilio Gentili,cattedratico di Ostetricia, che, riclassifica-to come ariano, può godere della reinte-grazione nel suo ruolo un anno dopo l’e-spulsione, nel 1939.Nel dicembre 1938, la macchina dell’epu-razione razzista procede con scrupolosa ra-

La mostra, visitata da un pubblico numeroso, ha rappresentato anche un’occasione didialogo con il territorio e le sue istituzioni. Nella foto: Tullia Zevi inaugura la mostra.Dietro di lei, da sinistra, il prorettore Tommaso Fanfani, il rettore Luciano Modica, ilsindaco di Pisa Paolo Fontanelli e il presidente della Provincia di Pisa Gino Nunes.

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Dal 27 gennaio al 16 febbraio l’Università di Pisa ha presentato, nella chiesa di Sant’Eufrasia, la mostra su “Shoah e cultura della pa-ce”. L’esposizione, ideata dal prorettore Tommaso Fanfani, ha ripercorso una delle pagine più tristi e drammatiche della vita dell’ate-neo, testimoniando l’effetto che le leggi razziali ebbero sulla vita dei docenti e degli studenti ebrei tra il 1938 e il 1946. Abbiamo chie-sto a Francesca Pelini, che a questi temi ha dedicato la tesi di laurea e che ha collaborato all’allestimento della mostra, di soffermarsisul significato storico della documentazione, e a Rosa Lucia Romano, che ha curato la ricerca documentaria, di parlarci delle fonti.

“Shoah e cultura della pace”Si è conclusa con un grande successo la mostra documentaria

sulle persecuzioni razziali nella nostra università

di Francesca Pelini

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pidità, individuando e cacciando le sue vit-time: quasi 270 studenti stranieri ebrei,che dopo il 1933 hanno trovato in Italiaun rifugio precario, sono espulsi dall’ate-neo, mentre venti erano le unità del per-sonale docente dispensate dal servizio. Ilbilancio degli studenti italiani perseguita-ti risulta ancora difficile da compilare conesattezza. Il trauma è consumato tra il si-lenzio dei consigli di facoltà e la decisa vo-lontà del ministero di assicurare una fitti-zia continuità, riempiendo rapidamente ivuoti lasciati nell’organico. Di ritorno daun colloquio con Bottai, il preside diGiurisprudenza Cesarini Sforza comunicaal rettore “che le proposte sulle chiamatein dipendenza del decreto sugli ebrei [de-vono essere] già approvate al momentodella pubblicazione del decreto stesso(…); ciò ad evitare altre perdite di tempo”.L’esclamazione annotata a margine, quel“Come si fa!” attribuibile con ogni proba-

bilità allo stesso D’Achiardi, rivela nontanto un moto di indignazione, quanto ladifficoltà di soddisfare la pretesa avanzatadal ministro di un vorticoso turn over. La sola ricostruzione della normativa al-l’interno dell’iter della mostra, tuttavia,avrebbe rischiato di risolvere la cesura del1938 in una fredda elencazione di decre-ti e circolari. Proprio nell’ottica di supera-re questa dimensione burocratica, va vistala scelta di dedicare spazio, nella misuraofferta da una documentazione fram-mentaria e disomogenea, alle singole bio-grafie nelle appendici dedicate agli stu-denti stranieri e ai docenti perseguitati.Illuminati da fotografie e percorsi biogra-fici, ricostruiti con scrupolo sulla base deifascicoli personali custoditi negli archividell’università e del Ministero, i nomi fi-nora annegati nella piattezza burocraticadelle liste compilate hanno potuto cosìriacquistare il loro spessore umano.

L’obiettivo di restituire carne e sangue al-le vittime della persecuzione, recuperan-done volti e parole, ha ispirato un lavorodi profondo scandaglio archivistico e bi-bliografico, finendo con il rappresentarel’autentico punto di forza della mostra.Anche se alcuni percorsi biografici sono ri-dotti dalla lacunosa documentazione di-sponibile allo stato di burocratici curricu-la vitae, magari definitivamente silenziosidopo il 1938, altri, al contrario, ravvivatida una mossa corrispondenza privata,hanno il merito di restituire la percezionedella ferita del 1938, le esperienze e le scel-te successive, l’impatto problematico conl’università del dopoguerra. Il desiderio di chiudere i conti con il pas-sato, risarcendo le vittime della persecu-zione fascista, ispira, dopo il 1944, un ri-goglioso corpus di decreti legislativi e cir-colari ministeriali, esposti nella V sezionededicata al Ritorno alla normalità: per glistudenti sono pensate iscrizioni retroatti-ve e sessioni straordinarie di esami mentreai professori è garantita la possibilità dirioccupare le cattedre perse nel 1938.Quanto, tuttavia, questo desiderio di nor-malità rimanga frustrato, scontrandosicon i non ritorni degli emigrati, soprat-tutto dei più giovani, con la morte di mol-ti nei campi di concentramento nazisti enegli eventi bellici e con la difficoltà, daparte dell’istituzione, di comporre il dirit-to della riparazione con le esigenze di co-loro che ai perseguitati sono subentratinell’insegnamento, emerge con forza pro-prio dalla lettura delle biografie ricostrui-te nelle Appendici. La lacerazione prodot-ta dalle leggi razziali, e approfondita peralcuni dal forzato radicamento in unanuova patria, rimane priva della possibi-lità di rimarginare: fra il personale docen-te, soltanto cinque su 20, di cui un soloprofessore di ruolo, il già ricordatoGentili, rientrano nell’ateneo pisano. Se ildato relativo alla popolazione studentescarisulta ancora lontano da un preciso cen-simento, basi statistiche altrove compilatedescrivono un crollo in verticale della pre-senza ebraica nell’accademia e nelle pro-fessioni. La rinuncia agli studi firmata nel1946 dallo studente polacco BegleiterMarkus, deciso a ricostruire la propria vi-ta negli Stati Uniti, ci invita ad una seriariflessione su una perdita, dopo il 1938,irrecuperabile e pressoché definitiva.

Francesca PeliniPerfezionanda presso

la Scuola Normale [email protected]

Una panoramica dei documenti esposti nella chiesa di Sant’Eufrasia.

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I documenti esposti nella mostra provengono quasi tutti dall’ArchivioStorico dell’ateneo pisano. Quelli inclusi nelle otto Sezioni dedicateagli avvenimenti degli anni 1938-1946 erano stati esposti per la pri-ma volta, nell’estate del 2001, nell’ambito della biennale manifesta-zione artistica organizzata dal Comune di Carrara. La mostra, ripro-posta a Pisa in occasione della Giornata della Memoria, è stata am-pliata con due Appendici dedicate alle vicende personali dei docentie degli studenti stranieri ebrei, nelle quali erano esposti ulterioridocumenti inediti dell’ateneo e documenti provenienti dall’Archiviodella Scuola Normale e dall’Archivio Centrale dello Stato. I documenti dell’Archivio Storico dell’Università, relativi agli anni dal1343 al 1945, sono stati depositati nell’Archivio di Stato di Pisa in trediversi momenti storici. Con l’ultimo deposito, avvenuto tra il 1991 eil 1994, furono trasferiti oltre cento faldoni della Serie AffariGenerali, contenenti gli atti ricevuti e inviati dal rettore dalla fine del1800 al 1945, la Serie dei Fascicoli degli studenti (laureati tra il1875 e il 1937), la Serie Fascicoli Personale docente e non docen-te (cessati tra il 1862 e il 1967), la Serie dei Registri di Protocollo(1880-1945), la Serie del Carteggio del Direttore della Regia ScuolaSuperiore di Agraria (1924-25 e 1938) e del Direttore della RegiaScuola Superiore di Medicina Veterinaria (1927-35). Per questomotivo si riteneva che nei nostri depositi si potesse trovare docu-mentazione, appartenente alle citate Serie, solo relativa ad anni suc-cessivi a quelli menzionati. Invece il 10 maggio 1999 – durante untrasloco di materiale documentario da un deposito ad un altro – èstata scoperta documentazione di rilevante interesse storico. Sottouno spesso strato di polvere nera si celavano oltre 500 unità, tra fal-doni e registri, appartenenti anche alle Serie depositate all’Archiviodi Stato relativi ad anni antecedenti, contemporanei e successivi aquelli menzionati. Il nucleo più consistente della documentazione ri-trovata è rappresentato dalla Serie degli atti ricevuti e inviati dal ret-tore che, per distinguerli da quelli depositati all’Archivio di Stato, so-no stati denominati Serie Atti Ufficiali del Rettore. È tra questi car-teggi che sono stati scelti – tra migliaia – i documenti esposti nelleSezioni 1-2 e 4-8 della mostra. I documenti esposti nella Sezione 3, dedicata agli Effetti della guer-ra sulle vite dei docenti e degli studenti provengono quasi tuttidall’Archivio Aggregato Spitali, donato all’Università nel 1998 dal dott.Antonino Spitali, già funzionario dell’ateneo. Il fondo, raccolto daldott. Spitali in quanto membro del Comitato organizzatore per leonoranze ai caduti dell’ateneo, contiene anche i fascicoli di 129 do-centi e studenti pisani caduti nelle due guerre mondiali, tra i quali sitrovano le fotografie, le lettere dei familiari e le testimonianze degliatti eroici esposti nella mostra.L’allestimento della prima Appendice su Le vicende personali dei do-centi ebrei ha richiesto un diverso lavoro per la ricerca delle fonti ela collaborazione con la dott.ssa Francesca Pelini è stata fondamen-tale per la ricostruzione storica e per la predisposizione dei curri-cula vitae di tutti i docenti. Sulla base dell’elenco dei 19 docenti so-spesi dal servizio, è iniziata la ricerca delle fotografie e di documen-ti particolarmente interessanti nell’Archivio dell’Ufficio Pensioni del-l’ateneo e nella analoga Serie depositata all’Archivio di Stato di Pisa,integrata poi – su segnalazione della dott.ssa Pelini – nell’Archiviodella Scuola Normale e nell’Archivio Centrale dello Stato. Ma quan-do anche queste fonti si sono rivelate insufficienti a completare il per-corso espositivo assegnato a ciascun docente si è ricorso ai docu-menti dei fascicoli delle Libere Docenze e alle fotografie, risalenti al-l’epoca della carriera scolastica, conservate nei Fascicoli degli

Studenti, depositati all’Archivio di Stato o presso l’Archivio delleSegreterie Studenti.Spunto per la ricostruzione della seconda Appendice dedicata aglistudenti stranieri ebrei è stato un elenco nominativo di studenti po-lacchi, sospesi dagli studi nel 1938, rinvenuto nella Serie AffariGenerali e citato negli atti di un recente convegno pisano dalladott.ssa Giovanna Tanti, archivista dell’Archivio di Stato di Pisa.L’ipotesi che i Fascicoli degli Studenti dell’Archivio delle SegreterieStudenti fossero una utile fonte di testimonianze è stata confermatadal ritrovamento di documenti, mai consultati in precedenza, conte-nenti i particolari della incidenza e delle conseguenze delle scelte po-litiche del nostro Paese sulla loro vita privata.Non è stato possibile dedicare una Appendice della mostra alle vi-cende degli studenti ebrei italiani. L’assenza di elenchi nominativi,aggiornati al periodo considerato, ha reso praticamente impossibilela ricerca nell’Archivio delle Segreterie Studenti e ci auguriamo che,per il futuro, sia possibile disporre di maggiori strumenti di ricerca(inventari, elenchi nominativi, elenchi di consistenza, etc.).Ovviamente ciò richiede una politica mirata ad evitare il rischio del-la dispersione e intesa al recupero di tutte le fonti disponibili attra-verso l’opera di censimento e schedatura dei 13 chilometri di mate-riale documentario esistente nei diversi depositi dell’ateneo. Al mo-mento tale opera è solo allo stato iniziale.Per un visitatore, una mostra di documenti è senz’altro impegnativama il pubblico ha manifestato favorevole opinione e ha espresso sor-presa nello scoprire che, attraverso la documentazione amministra-tiva e burocratica, fosse possibile riportare alla memoria squarci divita così disperati. Credo, quindi, che la mostra abbia anche eviden-ziato il ruolo giocato dall’originalità intrinseca dei documenti e, nelcontempo, richiamato l’attenzione generale sull’importanza dellaconservazione dei materiali documentari.

Rosa Lucia RomanoUnità di Missione Selezione ed Aggiornamento degli Archivi

Di ritorno da un colloquio con Bottai, il preside di GiurisprudenzaCesarini Sforza comunica al rettore “che le proposte sulle chiamatein dipendenza del decreto sugli ebrei [devono essere] già approvate almomento della pubblicazione del decreto stesso […]; ciò ad evitarealtre perdite di tempo”. L’esclamazione annotata a margine, quel“Come si fa!” attribuibile con ogni probabilità allo stesso D’Achiardi,rivela non tanto un moto di indignazione, quanto la difficoltà disoddisfare la pretesa avanzata dal ministro di un vorticoso turn over.

Le fonti documentarie della mostra

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Mentre mi appresto a scrivere diSebastiano Timpanaro, mi si ri-presenta alla memoria l’imma-

gine di un giovane quarantenne, alto, sem-pre vestito di grigio, con un irremovibilebasco. Questa immagine si associa a quelladi un bar, un bar nella zona della Sapienzache allora si chiamava “Il Battellino”. Mi ri-ferisco ai primi anni ’60, gli anni delVietnam e dei primi grandi movimenti stu-denteschi. Ed eccolo lì, Sebastiano, in mez-zo agli studenti e gli assistenti che subitodopo mangiato prendevano il caffè.Sebastiano veniva da casa sua, in via SanPaolo a Ripa d’Arno, dove abitava con suamadre, e si vedeva che era contento di sta-re con i suoi giovani amici. Compariva dallungarno, dopo un percorso non brevissi-mo, passando per il ponte Solferino, anco-ra a tre arcate. Arrivava, con il suo passo lun-go, e raggiungeva gli altri, in gruppo.All’interno del “Battellino” capitava spessodi sentir parlare di varianti, di stemmi tri-partiti o bipartiti, della corrente di Basso odi quella di Vecchietti, di leggi fonetiche, edi altre cose simili. Sebastiano e i suoi ami-ci più stretti, non andavano a sedersi da-vanti all’Ussero, avevano l’impressione chefosse snob. E non si sedevano nemmenosulle spallette dell’Arno, in un atteggia-mento troppo sportivo. Camminavamo, esi parlava, si confrontavano opinioni. Laguida indiscussa era lui. SebastianoTimpanaro. Il nostro sentimento nei suoiconfronti era semplicemente di devozione.

***

Sebastiano era iscritto al Partito socialista.Era filologo classico. Sapeva il latino comepochissimi al mondo l’hanno mai saputo.Era figlio di studiosi di altissimo livello.

Realizzava in sé un tipo di intellettuale sem-plicemente straordinario, per impegno nel-lo studio, per la vastità della sua cultura, perla varietà degli interessi, per le scoperte chefaceva, per l’alta intelligenza che trasparivadai suoi occhi: occhi chiari, mai inquieti,che accoglievano il dolore, ma non lo stu-pore o la protesta, sentimenti – questi ulti-mi – che venivano per così dire anticipatidalla intellezione del reale. Molti dotti da

varie parti del mondo venivano a Pisa perconoscerlo. Si guadagnava da vivere facen-do il correttore di bozze.

***

Sebastiano Timpanaro non fu professoreuniversitario, anche se era universalmentericonosciuto che egli possedeva ad abun-dantiam i requisiti scientifici per un com-pito del genere.Insegnò invece in scuole al livello della co-siddetta media inferiore, ma per pochi an-ni, poi smise. La ragione consisteva nel fat-to che egli aveva serie difficoltà a parlare inpubblico. Eppure egli a Pisa esercitò un ma-

gistero didattico di altissima qualità su mol-ti giovani studenti e giovani studiosi.Partecipava ai seminari alla ScuolaNormale, i famosi seminari che fra gli an-ni ’50 e gli anni ’60 diedero alla nostra cittàuna posizione di spicco per gli studi sul-l’antichità e sui metodi di ricerca attivati inquesto campo. Sia pure in modo non siste-matico Sebastiano era spesso presente ai se-minari di Augusto Campana, di EduardFraenkel, e di Arnaldo Momigliano (e an-che a quello di Scevola Mariotti su Nevio);ma non prendeva mai la parola e non glivenivano rivolte domande: per un esplici-to patto nel caso di Fraenkel, per una inte-sa informale – credo – negli altri casi. MaSebastiano interveniva frequentemente al-le discussioni che si facevano dopo che lalezione era finita e il professore era andatovia. Capitava perciò che Sebastiano ag-giungesse considerazioni sue o anche espri-messe rispettoso dissenso e correggesse i ri-sultati a cui si era giunti nel corso della le-zione ufficiale. Già in questo si manifesta-va il suo magistero. Ma, a parte i seminari,erano i discorsi che Sebastiano faceva in pic-coli gruppi, e – ancora di più – i colloquipersonali a due lo strumento privilegiato at-traverso il quale egli svolgeva la sua attivitàdidattica. Leggeva anche gli elaborati e da-va pareri e consigli. Colpiva il fatto che eglimetteva alla pari – quando lo meritava – l’i-dea suggerita da una matricola ed even-tualmente quella già nota di un filologo fa-moso. Molto di questa attività si svolgeva all’aper-to. “Riprendiamoci la città” era uno slogandi quegli anni. Sebastiano l’aveva già mes-so in atto. Capitava spesso che lo si incon-trasse per le strade di Pisa, anche di sera, do-po cena. Il suo insegnamento non era isti-

Come ricordo Sebastiano Timpanaro jr.La vita, il carattere e il fascino di un personaggio d’eccezione

di Vincenzo Di BenedettoPE

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Dopo le celebrazioni che l’Università e l’intera città di Pisa hanno dedicato a Sebastiano Timpanaro jr. nel novembre del 2001, abbiamovoluto ricordare il grande filologo con una sentita testimonianza del professor Vincenzo Di Benedetto, che con lui ha condiviso un’intensaesperienza umana, politica e culturale. L’uomo e l’intellettuale estraneo alle logiche accademiche, l’amico e il maestro: sono tante le sfaccet-tature che emergono da questo articolo e tutte confermano il ruolo fondamentale che Timpanaro ha rivestito nella storia recente di Pisa.

Capitava spesso che lo siincontrasse per le strade di Pisa,

anche di sera, dopo cena.Il suo insegnamento non eraistituzionalizzato. Non gli

avevano assegnato un’aula perle sue lezioni. E lui si riservòuno spazio molto più grande:

le strade di Pisa

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tuzionalizzato. Non gli avevano assegnatoun’aula per le sue lezioni. E lui si riservò unospazio molto più grande: le strade di Pisa.

***

Mi scrive Sebastiano nella lettera del 3. I.86: “Anch’io, non meno di te e probabil-mente più, sento di dovere moltissimo allatua amicizia, alle lunghe conversazioni pi-sane, alle nostre passeggiate che finivanodinnanzi a due tazze di camomlla. Bei tem-pi! O meglio, tempi anche quelli tutt’altroche privi di ansia, nevrosi, infelicità; ma perme, intersecati da momenti di allegria,mentre ora sto invecchiando in una speciedi perpetuo grigiore”. E nella lettera del17.IV. 90: “Non dimentico i nostri quoti-diani scambi d’idee, le nostre passeggiate se-rali con bevuta finale di camomilla”. Ed ecco un altro quadro ben delineato nel-la mia mente. Sebastiano ed io seduti da-vanti al bar “Gambrinus”, molto vicini albordo esterno del marciapiede, oggi non sa-rebbe possibile, ma allora il traffico non eracosì invadente, e con un po’ di impegnomentale ci si poteva astrarre da esso. Eranobei pomeriggi di tarda primavera, lui si se-deva con alle spalle la stazione ferroviaria.Io di fronte a lui. Questo avveniva – credo– soprattutto il primo anno della mia ami-cizia con Sebastiano. Aveva molte cose dadirmi, e io altrettanto da imparare. Scelseuna via originale. Raccontava se stesso, cioèmi spiegava passo passo le ricerche checompiva, mostrando i punti difficili, glisnodi più problematici. E successivamente,a distanza di tempo, mi diceva in che mo-do ne era venuto a capo. Questo, intornoal 1960. Ma proseguirono sempre le lunghe, dottepasseggiate serali. Quasi sempre per la stra-da, anche noi. Io ho avuto la fortuna di frui-re di una frequentazione straordinariamen-te fitta con Sebastiano. È un poco esagera-to, ma non del tutto, dire – come fa ilTimpanaro nel pezzo di lettera sopra ri-portato – che i nostri scambi di idee fosse-ro “quotidiani”. Certamente, però, ci vede-vamo parecchie volte la settimana (a partele vacanze accademiche, quando tornavo aSaracena). E questo, sempre, dal 1960 al1967.Avverto però che sarebbe sbagliato ipotiz-zare un rapporto esclusivo. Sebastiano ave-va contatti stretti con altri giovani o menogiovani pisani. Capitava anche che in ungruppetto più ristretto si giocasse a carte, osubito dopo pranzo o dopo cena. Giocopreferito, scopone scientifico, in quattro; ri-saputa la sua estrosa teorizzazione secondocui la coppia che dà carte deve – in quanto

interessata a non sparigliare – ispirarsi alclassicismo di Pietro Giordani, e per con-verso la coppia che riceve deve ispirarsi allaLettera semiseria di Berchet. Sebastiano e ioaccettammo una volta incautamente la sfi-da di due fisici, con bottiglia di spumantecome premio; fummo stritolati. Sebastianoera amico di moltissime persone, in vari

ambienti. Non faccio nomi, con una solaeccezione. Bruno Tallini era un normalista‘scienziato’, “un democratico de Formia”(come lui stesso si definiva e la formulazio-ne piaceva molto a Sebastiano), un ragazzoalto e schietto, che giovanissimo fu rapitodalla morte; e Sebastiano mi confidò che neaveva sentito il dolore che può provare unpadre che perde suo figlio.

***

Il lavoro intellettuale comporta ovviamen-te una componente di fruizione: il piaceredi risolvere una difficoltà che ti ha tenutoimpegnato per un certo tempo, e il piacere

di apprendere dati nuovi o addirittura nuo-ve tecniche di ricerca, ed è gratificante an-che stabilire un contatto con altri studiosiche si occupano degli stessi problemi, oltrealla soddisfazione di veder riconosciuto daaltri il proprio lavoro. Sebastiano speri-mentò ovviamente queste situazioni, e perciò che riguarda l’ultimo punto, i ricono-scimenti furono tali che pochi ne ebbero al-trettanti. Ma c’è anche un aspetto del lavo-ro intellettuale che non si qualifica comefruizione. Sebastiano conosceva anche il la-voro intellettuale come fatica, quando ilcervello è sollecitato troppo e si creano si-tuazioni di irrequietezza e di stanchezza, esi incomincia a girare a vuoto. Sebastianoaveva chiara la mappa del suo ingegno e del-le sue possibilità di lavoro. Mi parlava deldisagio che gli procurava il caldo che prean-nuncia l’estate. Egli era orgoglioso di averescoperto un mezzo per rimuovere situazio-ni di blocco, quando ti sembra di avere tut-to chiaro nella mente e però la pagina restaossessivamente bianca. E allora andava allastazione. Io non l’ho mai visto, ma mi dis-se che più volte egli era andato alla stazio-ne e si sedeva a un tavolino (non ricordo senel bar o – più probabilmente – nella saladi aspetto) e lo stare in mezzo alla gente evedere cose diverse dalle solite gli fornival’impulso per superare il blocco e riprende-re a scrivere: sul tavolino delle ferrovie del-lo stato. C’era poi una tecnica che non erapropriamente originale, ma Sebastiano miassicurava che qualche volta lui l’aveva spe-rimentata con successo: contrapporre a unmotivo di disturbo (non evidentemente ditipo fisico, ma preoccupazione, timore, e si-mili) un altro motivo di disturbo che attiri

Sebastiano Timapanaro jr. era molto schivo e di lui esistono pochissime immagini.In questa foto è, a destra, insieme con il famoso storico dell’arte Enzo Carli.

Sebastiano non sirassegnava al già accaduto,

non riconosceva la definitività di quello che

si chiama talvolta il verdetto della storia.

In questo opporsi all’accadutoc’era qualcosa di eroico.

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l’attenzione e tolga il suo habitat al primo.E poi, in questo giocare a rimpiattino conla propria psiche: Livorno. Prendere il pul-lman e andare a Livorno, e passeggiare econfondersi con la gente che non ti cono-sce, e sentire voci diverse, e in più – il chenon guasta – avere la soddisfazione di esse-re in una città rossa. E poi, tornare con rin-novato impulso al lavoro. Quando seppeche anch’io di mia iniziativa andavo aLivorno per la stessa ragione, facemmo ilpatto che se ci fossimo incontrati non ci sa-remmo riconosciuti e ognuno avrebbemantenuto l’anonimato. Per altro avevamoin comune un atteggiamento di ripulsa perun divertimento popolare. La giostra.Arrivava alla Cittadella, quasi un flagello,all’improvviso, e il frastuono durava per in-tere settimane. Ma a questo propositoSebastiano metteva in atto una maliziosastrategia di autodifesa: aspettava che ancheio (che abitavo a un numero pari di viaLavagna e la stanza interna – quella buonaper lavorare – era rivolta a nord) mi la-mentassi e poi quasi per gioco si compia-ceva con me di essere riuscito a resistere me-glio e da questo traeva maggiore capacità diimpegno nel lavoro.

***

Di che cosa parlavamo stando così tanto in-sieme? È chiaro che non si poteva parlaresempre degli aspetti dell’azione verbale op-pure della legge di Wackernagel sui com-posti. D’altra parte non capitava mai che cene stessimo tutti e due zitti, pensosi sullesorti dell’umanità nelle ere venture. Parlavamo certo degli studi che facevamo.

Ma anche di cose varie, anche – per esem-pio – delle cose che ci capitavano e degli svi-luppi che esse lasciavano prevedere, a livel-lo di ansia e di timori. Senonchè a questoproposito incideva il fatto che Sebastianoavesse dieci o undici anni più di me, e per-ciò non c’era reciprocità di comportamen-to. Lui era pronto a razionalizzare le situa-zioni che riguardavano me, ma di se stessoparlava dopo aver già messo in atto un fil-tro che impediva l’effusione emotiva. Miaccorsi che quando parlava con coetaneiusava un registro diverso. Parlavamo anche di altre cose. Mi è capita-to di leggere un elogio della purezza diSebastiano Timpanaro. Spesso il termine“puro” si trascina una risonanza sgradevo-le, nel senso di una frustrante mancanza dicontatti eterosessuali. Sono in grado di af-fermare che Sebastiano provvedeva con si-stematicità a rifiutare nei fatti questa pu-rezza e inoltre che di questo rifiuto me neparlava. Questi ricordi si riferiscono al pe-riodo tra il 1960 e il 1962.E parlavamo tanto, tantissimo di politica.Nell’impegno politico di Sebastiano gio-cavano varie componenti. Era importantela tradizione familiare, in particolare l’e-sempio che gli veniva da sua madre. Mac’erano anche motivazioni di altra natura.Sebastiano non si rassegnava al già acca-duto, non riconosceva la definitività diquello che si chiama talvolta il verdetto del-la storia. In questo opporsi all’accaduto c’e-ra qualcosa di eroico. Questo valeva nellaricerca storico-filologica: a proposito di co-loro che hanno anticipato in punti signifi-cativi quel metodo di ricognizione della

tradizione manoscritta che veniva definitocome metodo del Lachmann, a propositodella paternità di una congettura che ma-gari tocca invece a Leopardi, a proposito diuno studioso poco considerato come ilGervasoni. E la storia per lui era una no-zione ampia che comprendeva – all’indie-tro – un tempo lontano quando ancoranon c’era la vita organica, contrassegnatadal nascere e morire.Rispondendo a una mia lettera, Sebastianoscriveva in data 30. IX. 1986: “È molto ve-ro, e non vale, ovviamente, solo per miamadre, che si rimane addolorati e intima-mente “renitenti” nel vedere un’attività in-tellettuale o pratica brutalmente interrottadalla morte. In effetti, io credo che la mor-te debba essere, ovviamente, subìta cometutto ciò che è ineluttabile, ma non possaessere giustificata, né dalla religione né dal-la filosofia che spesso è solo una ‘religioneper le persone colte e raffinate’. E talvoltapenso che meglio sarebbe stato se nell’uni-verso non fosse mai incominciata la vita eavesse continuato ad esserci solo la mate-ria inorganica”. Il rifiuto dell’accaduto siassocia, in queste enunciazioni, a unastruttura concettuale che si qualifica comeutilitaristica, ma ha un risvolto profonda-mente etico. In questo contestoTimpanaro rifiuta un collegamento con lacultura in quanto fenomeno di distinzio-ne sociale. E naturalmente Timpanaro nonaccettava il verdetto della storia nemmenoper ciò che riguarda la distribuzione dellaricchezza e la fruibilità dei beni secondo levarie classi sociali. Timpanaro aveva – ov-viamente – letto e assimilato i testi marxi-sti (mi raccontava che una volta, aveva te-nuto a un gruppetto di amici una serie di‘lezioni’ serali sul Capitale, letto ‘a punta-te’), ma la sua impostazione di base anda-va al di là del marxismo.E c’era un altro aspetto della questione. Lui,l’intellettuale realmente raffinato, ma nel-l’intimo, e non come manifestazione este-riore, aveva con la ricerca, proprio perchégli riusciva bene, un rapporto gratificante.E di questo egli si sentiva come in debitocon coloro che, per ragioni di classe, ne re-stavano esclusi. E perciò nel suo impegnopolitico lui si compiaceva di fare anche la-vori manuali, incollare manifesti (ci tenevaa dirmi che era diventato molto bravo a da-re pennellate larghe e rapide, risparmiandomolta colla) e distribuire volantini. E poi, ma si tratta di una considerazioneaggiuntiva, c’era forte in Sebastiano l’esi-genza che il lavoro intellettuale avesse unosbocco operativo. Interveniva a questoproposito la nozione di politica culturale.

Il vecchio Caffè Gambrinus (lo si intravede a destra in questa veduta del 1934 raffi-gurante Viale Principe Amedeo) era negli anni ‘60 , insieme al Caffè Battellino, il luo-go di ritrovo preferito di Sebastiano Timpanaro, dei suoi amici e dei suoi allievi.

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Scrivere e pubblicare cose scientificamen-te valide era ovviamente irrinunciabile, maquesto non bastava. Si trattava di indiriz-zare i lettori e i possibili nuovi ricercatoriverso linee di ricerca o di interesse che si ri-tenevano più produttive, e anche più insintonia con esigenze – in ultima analisi –politiche. Era un equilibrio difficile. MaSebastiano non rinunziò mai al principio.Certo il nesso che è presupposto in Storiacome pensiero e come azione al Timpanarosembrava inadeguato, in quanto mancavail dato del mettere in discussione la storia.E ciò spiega la sua poca affezione nei con-fronti della dialettica hegeliana.In effetti, anche a livello più immediato,Timpanaro sentiva fortemente il fascino diquella che si suole chiamare (impropria-mente) cultura popolare. Gli piaceva mol-tissimo la scritta che personalmente avevaletto come indicazione programmatica inuna Casa del Popolo, nella zona versoRiglione: “volere e potere”. La mancanzadell’accento sulla “e” secondo Sebastianonon era veramente un errore. Essa riflette-va una concezione materialista, nel sensoche la volontà è fortemente condizionatada fattori esterni: al contrario di un volon-tarismo reazionario che nega ogni condi-zionamento, nel mentre i condizionamen-ti sono la base dei suoi privilegi. Parlava convera simpatia dei religiosi che in Sicilia sierano messi con Garibaldi. Don GiovanniVerità gli era caro. Un Dio capace di fare ilbene degli uomini Timpanaro non loavrebbe rifiutato: “Non sono in grado – midisse una volta – di dimostrare la non esi-stenza di Dio, ma sono in grado di spo-gliarlo di tutti i suoi attributi”.

***

Quando eravamo ancora nel PSI la do-menica mattina capitava che, passeggian-do nel porticato davanti al Gambrinus, cidedicassimo a una cosa molto impegnati-va: leggere sull’ “Avanti” l’articolo dome-nicale di Pietro Nenni, un paio di colon-ne sulla sinistra in prima pagina. Eravamodiventati bravissimi. Avendo presenti, de-positati nella nostra memoria, i preceden-ti interventi, eravamo in grado di cogliereil minimo spunto di novità, quando c’era.Molto veniva subito liquidato come ri-tuale, ripetitivo. Per altro apprezzavamogli arcaismi dell’autodidatta, che aveva co-nosciuto l’orfanotrofio. Per esempio“Niun dubbio”, in posizione incipitaria. Poi venivano i Comitati centrali. Due opiù pagine intere. Con il nome dell’ora-tore al centro della colonna. Allora pergiudicare i singoli interventi bisognava te-

ner conto anche degli spazi concessi. Echissà, forse ci poteva essere anche qual-che intervento manipolatorio nella con-fezione del giornale. In ogni casoSebastiano era veramente bravo a preve-dere quale posizione avrebbe preso inquella situazione il singolo esponente po-litico. “Il suo intervento potrei scriverloio, in anticipo” diceva. Ecco un altro flash. Davanti al

Gambrinus spesso si vedeva un cliente,sulla cinquantina, seduto su una delle po-che sedie disponibili, nel tardo pomerig-gio: nell’atteggiamento di chi gode di unmomento di relax e non pensa ad altro.Ricordo che Sebastiano una volta me neparlò, e mi diede l’informazione:“Péncola”, per avvertirmi che sarebbe ba-stato poco e lo avremmo portato dal PSInel PSIUP.

***

Ma ormai i ricordi volgono al termine, e lestelle tramontano, e le immagini diventa-no sempre più diafane, impercettibili in-crespature del vento che passa e appena ap-pena ti sfiora. E del PSIUP pisano mi li-mito a riferire il giudizio conclusivo, dauna lettera del 13 agosto 1966, una lette-ra che mi rattrista, perché preannuncia lapartenza di Sebastiano e di Maria. Il tra-sferimento avverrà nell’aprile del 1967. Lasera prima della partenza cenammo al “laPace”, a un passo dal Gambrinus. Eravamoin quattro. Maria, Sebastiano, e oltre a me,una giovane loro amica, che io non cono-scevo e che forse Maria e Sebastiano invi-tarono perché io la conoscessi. Non l’hopiù rivista e non ricordo il nome. Se leggequeste pagine, la saluterei volentieri.Ecco la parte iniziale della lettera. “CaroVincenzo, grazie della lettera. Sono con-tento di sapere che ti riposi delle fatiche ip-pocratiche e senofontèe. Mia madre stamolto meglio, anche se ho l’impressione

che allo status quo ante non si ritorni e cheabbia bisogno d’ora in poi di maggiori cu-re e di maggiore riposo. Ho incominciato(per ora solo a titolo informativo) a orien-tarmi sulle possibilità di trovar casa aFirenze. Pare che non sia un compito im-possibile, anche se gli affitti sono, a quelche pare, un po’ più cari che a Pisa (ma nonmolto). L’idea di andare a stare a Firenzemi suscita sentimenti contrastanti. Da unlato comprendo che prima o poi questotrasferimento andava compiuto; dall’altromi dispiace molto di lasciare gli amici diPisa. Speriamo che prossimamente tu ti‘fiorentinizzi’ almeno in parte!L’unico motivo per cui sono realmentecontento di andarmene da Pisa è costitui-to dal PSIUP, che qui mi sembra destina-to anche in futuro ad essere un teatro dicontinue risse sempre più sterili e cretine.Ieri l’altro […].”

***

Mi accorgo che ancora non ho detto di checosa parlavamo a livello scientifico a par-te i nostri lavori. Cerco di riparare allamancanza. Il problema dell’archetipo peri manoscritti della Divina Commedia. Lasillaba ancipite (o meglio: indifferente) infine di verso. La dialettica hegeliana (ilproblema della compatibilità con l’effettosoglia). Il segretario politico nei partitimoderni (solo apparentemente funzionesubalterna). Quando si cancella è preferi-bile sovrapporre w e non x. Il ritorno nelsonno nell’Odissea. Si può spiegare solo intermini classisti Pirandello? In che modola grande musica può trovare riscontro inlibretti insulsi? Cavour e il Trovatore.Vivaldi superiore a Bach? La scelta diMarx a favore di Balzac sacrifica troppoZola. Può il tipico essere il tratto specificodel linguaggio letterario? Può atteggiarsi apoeta maledetto chi poi nella vita quoti-diana vive in modo ordinario e banale?Gliconeo e ferecrateo nell’Agamennone diEschilo.Il lettore di Athenet mi scuserà se io in-terrompo l’elenco.

***

Qualche volta, prima di morire, voglio an-dare in via san Paolo, ci manco da moltotempo, e in fondo a sinistra, suonare ilcampanello da una porta; voglio vedere sequalcuno mi risponde. Ciao Sebastiano.

Vincenzo Di BenedettoProfessore ordinario di Letteratura greca

presso l’Università di [email protected]

Un Dio capace di fare il benedegli uomini Timpanaronon lo avrebbe rifiutato:

“Non sono in grado – mi disseuna volta – di dimostrare la

non esistenza di Dio, ma sonoin grado di spogliarlo

di tutti i suoi attributi”.

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Per l’ ateneo pisano il rapporto con ilterritorio non è nuovo, vi sono set-tori di punta che da tempo intrec-

ciano proficui rapporti con imprese na-zionali ed estere facendo crescere costan-temente il flusso di finanziamenti prove-nienti da queste collaborazioni. Tuttavial’ateneo nel suo complesso è ancora mol-to al di sotto degli standard che media-mente si registrano a livello internaziona-le per le università di pari dimensioni.Quindi sono ancora notevoli le potenzia-lità da sfruttare attraverso un ben orga-nizzato sistema di marketing delle attivitàche si svolgono nelle sue strutture. È inquesta direzione che l’ateneo si sta muo-vendo, sotto l’impulso del prorettore allaricerca applicata, prof. Emilio Vitale, chein quest’ultimo anno ha avviato una seriedi iniziative destinate innanzitutto a crea-re gli strumenti necessari per pubblicizza-re e promuovere le attività che si svolgononei dipartimenti e nei centri di ricerca. Lastrategia comunicativa che è stata delinea-ta cerca di dare una risposta a coloro che

dall’esterno – imprese, associazioni di ca-tegoria, enti locali e così via – chiedonodi poter accedere in modo semplice e ra-pido alle competenze specifiche dei grup-pi di ricerca dell’ateneo. Una mappaturadi queste competenze era allora il primopasso da fare per avviare una seria attivitàdi promozione, ma per la prima volta, an-ziché pensare al tradizionale strumentocartaceo, sempre difficile da diffondere esubito obsoleto, si è pensato ad un conte-nitore on line, certamente più accessibilee più facile da aggiornare: così è natoPrometeo (www.unipi.it/prometeo).Questo sito, che abbiamo così chiamatoprendendo in prestito dalla mitologia gre-ca il simbolo del progresso e della cono-scenza, è il portale che farà conoscere al-l’esterno l’attività di ricerca dell’Universitàdi Pisa e che dovrebbe consentire di supe-rare la genesi tradizionale dei rapporti dicollaborazione con le imprese, molto spes-so legata ad iniziative personali e per que-sto troppo episodica. Nel momento in cuiviene sollecitata da ogni parte una intera-zione più forte tra università e territorio,questo strumento è il punto di partenzaper un’attività di promozione dei risultatidella ricerca destinata a far crescere le col-laborazioni con il mondo delle imprese,non solo al fine di reperire risorse, ma perconsentire il raggiungimento di uno degliobiettivi più importanti della riforma uni-versitaria: garantire agli studenti percorsiformativi maggiormente diversificati eprofessionalizzanti. Prometeo rappresenta una novità nel pa-norama italiano perché non si presenta co-me un semplice contenitore di nomi, ci-fre e progetti, ma è uno strumento inte-

rattivo che ciascun dipartimento può usa-re in modo autonomo per far conoscereall’esterno i propri ricercatori, le loro atti-vità, le prospettive e i risultati del loro la-voro. L’idea che è alla base di questo por-tale è infatti quella di disporre di uno stru-mento continuamente aggiornabile intutte le sue parti, alimentato direttamen-te da coloro che nella ricerca sono parte at-tiva, costruito sulla base delle esigenze dichi vuol far conoscere la propria attività al-l’esterno, ma anche di chi dall’esternovuole accedere all’offerta di ricerca dellanostra università.La struttura di Prometeo è organizzata ge-rarchicamente su tre livelli: ateneo, setto-ri scientifico-disciplinari, dipartimenti.Ad ogni livello compare una sezione “la ri-cerca in cifre” che ci dà informazioni sul-le fonti di finanziamento della ricerca esull’andamento dei flussi finanziari neltempo: un grafico mostra la tendenza chesi registra negli ultimi anni per i finanzia-menti provenienti dal Ministero, dallaUnione Europea, dai contratti conto ter-zi e così via. Questi dati vengono periodi-camente verificati ed aggiornati dagli uffi-ci dell’amministrazione centrale. Per tuttigli altri dati la struttura di riferimento è ildipartimento. A questo livello compaionodue sezioni: la prima, che contiene i datiessenziali della struttura, è alimentata di-rettamente da Virmap (Virmap.unipi.it èl’insieme dei data-base relativi al persona-le, alle strutture e alle attività dell’ ateneo)ed è quindi automaticamente aggiornata;l’altra sezione ha un menu molto sempli-ce dal quale si può accedere a tre tipi di da-ti: i temi di ricerca attualmente sviluppatinella struttura e quelli che si prevede di svi-

Nasce “Prometeo”, il portale della ricercaUn modo nuovo per far conoscere il patrimoniodi conoscenze, idee e progetti del nostro ateneo

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di Manuela Marini

L’esigenza di rafforzare il legame fra università e mondo produttivo è in questo momento molto sentita: mai come ora le imprese hannoavuto bisogno di nuove tecnologie che le rendano competitive sui mercati internazionali, mai come ora le università hanno avuto biso-gno di trarre profitto dalla collaborazione con le imprese per disporre di nuove risorse che consentano loro di mantenere e migliorare laqualità dei servizi offerti ai loro utenti. Inoltre la riforma universitaria, imponendo percorsi formativi più professionalizzanti e mag-giormente legati al mondo del lavoro, ha ulteriormente accentuato questa esigenza. È una sfida per il sistema universitario di un Paesecome il nostro dove la capacità di valorizzare le conoscenze ai fini dello sviluppo economico e sociale è, sicuramente, ancora inadeguata.

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luppare nel triennio, i progetti specifici diricerca legati a questi temi, le attrezzaturescientifiche di maggior valore. Questa è lasezione che i dipartimenti possono ag-giornare direttamente attraverso un acces-so protetto da password, ed è sicuramentela più interessante. Ciascun progetto di ri-cerca può essere descritto anche con im-magini e completato con i dati relativi albudget impegnato, ai committenti, ai ri-cercatori coinvolti e così via. L’accesso aiprogetti e ai dati del portale è reso agevo-le, anche per chi accede dall’esterno, dallapossibilità di effettuare ricerche per paro-le chiave: è sufficiente digitare un termineche richiama l’argomento di interesse ePrometeo conduce l’utente dentro il siste-ma guidandolo all’interno delle varie se-zioni; inoltre il collegamento a Virmapconsente di accedere direttamente allepubblicazioni di ogni ricercatore.Attualmente Prometeo, oltre ai dati relati-vi ai finanziamenti, contiene i dati del pia-no triennale delle ricerche ’98-2001 rela-tivi a più della metà dei dipartimenti.Anche questi dati sono stati inseriti a li-vello centrale, mentre un gruppo di di-partimenti ha iniziato ad inserire diretta-mente i dati relativi ai propri progetti e al-le proprie attrezzature. Si tratta di ungruppo pilota che sta attualmente inse-rendo i dati nel data-base in modo auto-nomo con l’assistenza del prof. EmilioVitale e delle persone che con lui hannolavorato a questo progetto. I dipartimen-ti interessati sono i seguenti: Fisica,Informatica, Chimica e biotecnologieagrarie, Chimica e chimica industriale,Oncologia dei trapianti, Filologia classica,Istituzioni, impresa e mercato, Scienzeeconomiche e tutti i dipartimenti del set-tore di ingegneria. L’obiettivo è quello didisporre al più presto di una offerta di ri-cerca consistente che permetta di utilizza-re il data-base anche per altre iniziativepromozionali che si stanno avviando o sisono già avviate. Nel frattempo Prometeo sta crescendo epresto si arricchirà di una nuova sezionededicata ai brevetti. Da poco tempo infattiil nostro ateneo si è dotato di un regola-mento che, per la prima volta, disciplinale invenzioni suscettibili di formare og-getto di brevetto industriale o di altri di-ritti di proprietà intellettuale. Il regola-mento, approvato nel novembre scorso,oltre a disciplinare le procedure di brevet-tazione, istituisce – e questa è la novità so-stanziale – una commissione tecnica cheha fra i suoi compiti anche quello di valu-tare le potenzialità di utilizzazione indu-

striale delle invenzioni e di individuare lestrategie più opportune per il loro sfrutta-mento. In altre parole la strada sceltadall’Università di Pisa è quella di valoriz-zare il proprio patrimonio brevettuale,azione che non può essere interamente la-sciata all’iniziativa del singolo ricercatorema deve essere sostenuta da una strategia

complessiva e mirata dell’ ateneo. Inoltre,a queste forme cosiddette “codificate” ditrasferimento tecnologico (brevettazionedelle invenzioni e loro sfruttamento) si stacercando di affiancare altre forme di tra-sferimento, quelle cosiddette “tacite” (cheprevedono cioè la valorizzazione dei risul-tati non brevettati) che vanno dalla con-sulenza all’incubatore di impresa. E infat-ti il prossimo obiettivo è l’approvazione daparte degli organi accademici di un rego-lamento destinato a disciplinare la nascitae il funzionamento delle imprese spin-off,ovvero di quelle imprese originate da atti-vità di ricerca svolte nell’ambito delle

strutture dell’ateneo, comunemente de-nominate spin-off accademici. Lo spin-offdella ricerca è uno degli strumenti di tra-sferimento tecnologico di maggior inte-resse sia perché offre nuove opportunità dilavoro, sia perché “inserisce” direttamen-te le università nel tessuto produttivo; lericadute positive possono essere molte, siaper gli atenei che ricavano utili dalla loropartecipazione alle imprese, sia per il ter-ritorio che riceve stimoli positivi da que-sta partecipazione, sia infine per studentie ricercatori che diventando imprendito-ri, potranno utilizzare direttamente le co-noscenze e le tecnologie che hanno svi-luppato per creare una impresa propria.Il trasferimento tecnologico sta diventan-do un obiettivo irrinunciabile per tutte leistituzioni di ricerca, incluse quindi le uni-versità che, in più, hanno il compito ditrovare un adeguato equilibrio con il so-stegno alla ricerca di base, altrettanto im-portante e vitale per il loro sviluppo. Essoimplica però che si crei una nuova cultu-ra, non solo nel mondo della ricerca maanche in quello della produzione. Occorreuna continua interazione con le impresedestinata da un lato ad individuare i lorobisogni tecnologici, dall’altro a far cono-scere le competenze che nascono nellestrutture universitarie e le loro possibiliapplicazioni ai fini produttivi.Contribuire a creare questa cultura e fa-vorire questo scambio è il compito di stru-menti come Prometeo.

Manuela [email protected]

Responsabile dell’Ufficio Comunicazione

La pagina di Prometeo (www.unipi.it/prometeo) dalla quale si accede alle sezioni delle seiaree di ricerca. I dati possono essere inseriti e aggiornati autonomamente dai ricercatori.

Prometeo rappresenta unanovità assoluta nel panoramaitaliano [...] è uno strumentointerattivo che ciascun dipar-timento può usare in modoautonomo per far conoscere

all’esterno i propri ricercatori,la loro attività, le prospettivee i risultati del loro lavoro.

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Il sito internet del nostro ateneo sta peruscire completamente riformato nellagrafica e nei contenuti.

La nuova versione che andrà in linea trabreve ha alle spalle un lungo lavoro di ana-lisi iniziato nel 2000 con uno studio dal ti-tolo “La Comunicazione delle Università”,realizzato durante il Master in comunica-zione pubblica e politica da BarbaraGrossi, Antonella Magliocchi e ManuelaMarini. Quell’esperienza ha dato un pri-mo importante impulso perché si affron-tasse il tema della comunicazione on-linecon un occhio nuovo, non solo attento al-le evoluzioni rapide che stavano attraver-

sando la pubblica amministrazione e vici-no alle novità che continuamente la Reteoffre, ma soprattutto critico, dal momen-to che analizzava le caratteristiche del sitoattuale in modo da individuare con siste-maticità i punti di forza e le debolezze.Successivamente le idee e gli spunti diquello studio sono diventati terreno di di-scussione per altri gruppi di lavoro interniall’amministrazione, in modo da permet-tere all’Ufficio Comunicazione, che avevaposto con determinazione la necessità direvisionare e potenziare la comunicazionein Rete, di entrare in contatto con punti divista diversi e soprattutto con le necessità

degli utenti.È stato così creato lo scorso gennaio ungruppo di lavoro per la realizzazione delnuovo sito web dell’ateneo costituito daVincenzo Letta e Antonella Magliocchidell’Ufficio Comunicazione, incaricati diprogettare la nuova struttura logica del si-to, nel rispetto dei criteri di usabilità e na-vigabilità, e responsabili editoriali dellaRedazione web; Theo van Boxel e BarbaraDel Vecchio dello Studio grafico vanBoxel, come responsabili del nuovo desi-gn; David Bianchi e Roberto Gordani, delServizio per il Sistema Informativo, eStefano Pennuto e Gerlando Termini, col-laboratori dell’Ufficio Comunicazione,come programmatori. Vincenzo Macrì,dirigente del SeSi, ha diretto le fasi inizialidei lavori, Franco Zoppi ha svolto il ruolodi project manager, coordinando il gruppoper gli aspetti tecnici.Come si vede, la composizione del grup-po riflette un metodo di lavoro nuovo chei gestori del sito stesso si sono dati, meto-do che poggia sull’affermazione di unprincipio importante, quello della separa-zione delle competenze tecniche da quel-le editoriali.Prima, infatti, non c’era una vera e propriadirezione editoriale separata da quella tec-nica, e le scelte che riguardavano la classi-ficazione dei contenuti e le priorità di pub-blicazione non erano gestite organicamen-te, ma con un occhio necessariamente le-gato alle necessità che di volta in volta sipresentavano, soprattutto a causa dellagran mole di lavoro che impediva di af-frontare con una periodicità adeguata leriforme strutturali necessarie. La ristrutturazione del sito ha quindi fattoemergere la necessità di ripensare anche lasua gestione e ha portato alla creazione del-

Il nuovo sito web dell’ateneoPresto in linea il portale, rinnovato nella grafica e nei contenuti

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L’ateneo avrà presto un nuovo sito web, rinnovato nei contenuti e nella grafica. Tra le novità principali la creazione di una redazioneinterna all’Ufficio Comunicazione. Si vuole così dedicare maggiori energie alla gestione e alla cura della comunicazione online, diven-tata ormai un settore strategico sia per la promozione dell’ateneo, sia per la modernizzazione di molti servizi interni.

Come si presenta la nuova home page. Due le novità principali: la grafica e una orga-nizzazione delle informazioni radicalmente diversa. Sono stati creati infatti tre grandicontenitori tematici: Ateneo, Studenti, Ricerca. Con queste “zone” pensate ad hoc per speci-fiche classi di utenza – che hanno esigenze molto diverse – si vuole evitare di sovraffollarel’home page con informazioni troppo eterogenee, che disorienterebbero i navigatori.

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la Redazione web, interna all’UfficioComunicazione, cui è affidata l’organizza-zione e la gestione dei contenuti del sito.Questa novità ha introdotto dei cambia-menti nell’aspetto organizzativo. La reda-zione, nell’accentrare su di sé le responsa-bilità editoriali, ha voluto però decentrarela responsabilità dei contenuti specificidelle molte sezioni del sito alle varie unitàoperative dell’amministrazione. Così fa-cendo si intende creare una struttura digestione “federale”, dove il “centro” si oc-cupa dello sviluppo e della supervisionedel sito considerando gli aspetti di comu-nicazione generale, e la “periferia” si occu-pa della gestione particolare dei contenu-ti di propria competenza e degli aggiorna-menti più di routine.Tutto questo grazie a delle innovazionitecniche che permettono a referenti indi-viduati dai responsabili delle unità opera-tive di intervenire direttamente sulle se-zioni del sito a loro affidate, senza dovertrasmettere alla redazione i documenti divolta in volta prodotti, ma potendoli pub-blicare autonomamente (si veda l’ap-profondimento nel box). In questo modoil tempo necessario per la pubblicazionediminuirà drasticamente e gli uffici po-tranno controllare con più attenzione lostato di aggiornamento dei loro docu-menti. Inoltre, la redazione avrà più tem-po per rivolgere l’attenzione a quegliaspetti di comunicazione che finora sonorimasti in secondo piano.Perché questa organizzazione risulti effi-ciente occorrerà modificare alcune abitu-dini e compiere un piccolo sforzo per im-parare ad usare questi nuovi sistemi di ge-stione dei contenuti. Ma al di là di questoimpegno che riguarda l’aspetto più tecni-co, lo sforzo più sensibile che si richiede atutti è quello di puntare di più sul web co-me strumento di comunicazione e di es-sere consapevoli che l’uso di un linguag-gio il più possibile diretto, chiaro e sem-plice, è il presupposto essenziale per sod-disfare le esigenze dei propri utenti. Inquesta nuova ottica, tutti dovranno di-ventare dei “redattori web” e ci piace sot-tolineare che questa filosofia, che puntasull’efficacia della comunicazione, ha tro-vato concordi tutti i colleghi con i qualiabbiamo lavorato in questi mesi di inten-so lavoro di preparazione del nuovo sito,un’armonia di vedute che ci fa ben spera-re per lo sviluppo futuro del sito stesso.Veniamo adesso a considerazioni più spe-cifiche su alcune caratteristiche del nuo-vo sito.Esso è stato pensato a partire da un dato

di fondo: la grande varietà di classi di uten-za che lo visitano. Si collegano infatti aunipi.it persone con esigenze diversissime:future matricole, studenti, laureati, ricer-catori, professori, personale amministrati-vo, professionisti, imprenditori, atenei eistituti di ricerca italiani e stranieri.Continuare a classificare le informazionicon la logica tradizionale avrebbe signifi-cato inevitabilmente sovraffollare di per-corsi di navigazione troppo eterogenei lepagine del sito, accrescendo così il diso-rientamento degli utenti. Si è dovutoquindi pensare a un’organizzazione delleinformazioni radicalmente diversa, vicinaalla filosofia di certi siti di informazione

(per esempio Kataweb) che puntano mol-to sulla divisione dei contenuti in canalitematici, che da generali diventano via viapiù specifici. Ecco allora la novità princi-pale. L’intero sito è stato diviso in tre se-zioni principali: “ateneo”, “studenti”, “ri-cerca”, ciascuna delle quali è stata pensataper soddisfare esigenze relativamenteomogenee. La home page quindi non sarà più un’u-nica porta di ingresso nella quale far con-vivere forzatamente lunghe liste di linkspecifici, ma una “zona” dalla quale sce-gliere prima di tutto una delle tre sezioni.Nella sezione “ateneo” troveranno postotutte le informazioni di interesse generale:

Il sistema di Content Management sceltoper la gestione del nuovo sito è Openshareprodotto da Infosquare. Vediamo innanzitutto di chiarire che cos’èun sistema di Content Management. Si trat-ta di un software che permette di gestire ilprocesso di pubblicazione dei documenti(inserimento di un documento nuovo inuna sezione particolare del sito, aggiorna-mento, scelta del titolo, correzioni, ecc.) inmaniera piuttosto rapida e semplice. Gliutenti autorizzati a questo tipo di interven-ti si collegano al software via web (cioè tra-mite Internet) e dopo essersi identificatipossono controllare il flusso delle infor-mazioni di propria competenza. Grazie al-l’uso di interfacce “amichevoli” e persona-lizzate, che possono essere diverse persoddisfare le esigenze dei diversi tipi diutente, queste operazioni non richiedonoparticolari competenze o abilità informati-che, evitando così il rischio che si appe-santisca il lavoro ordinario degli operatori. Perché Openshare? Openshare è un siste-ma di Content Management di fascia mediache, a fronte di un investimento in terminieconomici decisamente contenuto, soprat-tutto considerando la varietà di prodotti diquesto genere presenti sul mercato, ha unindiscutibile vantaggio rispetto a prodottianaloghi. Openshare, infatti, permette dipubblicare documenti creati con il softwa-re più usato nella pubblica amministrazio-ne e cioè Word di Microsoft Office essendoin grado di convertire la versione .doc inversione .htm senza alcuna operazione ag-giuntiva da parte dell’utente, con un pro-cesso che viene attivato automaticamenteall’atto della pubblicazione.Questa caratteristica ha fatto sì che

Openshare avesse davvero una marcia inpiù rispetto ad altri prodotti perché ri-sponde perfettamente alle esigenze del no-stro sito, che è fatto dei documenti prodot-ti dagli uffici con il software Word.Il motore di ricerca scelto si chiamaConvera. È un prodotto dalle caratteristichemolto avanzate (è utilizzato anche dal sitodell’Encyclopedia Britannica www.britan-nica.com) che permette di effettuare ricer-che molto accurate e dettagliate scegliendocriteri di ricerca di tipo concettuale e conoperatori booleani. Il sistema di ricerca èin grado di integrarsi con altri ambienti/si-ti dell’ateneo (ad esempio Virmap, Aleph).Una delle funzionalità più avanzate permet-te di indicizzare i siti esterni, quali ad esem-pio i siti dei dipartimenti e delle facoltà del-la nostra università, nonché altri siti ester-ni che potrebbero essere di interesse perl’ateneo (ad esempio quelli della ScuolaNormale e della Scuola Superiore S. Anna). Infine vogliamo ricordare la particolare cu-ra che è stata prestata alle questioni di si-curezza. Da questo punto di vista il dato ri-levante è che il sito visibile al pubblico nonè il vero e proprio sito, ma la copia di un“sito madre”. Infatti quando i documentivengono pubblicati non vanno direttamen-te online, ma sono dapprima collocati suun server IIS, e successivamente replicatisu una Sun-Solaris ad intervalli regolari.Questo permette di avere più garanzie di si-curezza. Inoltre, se qualcuno riuscisse a“bucare” la macchina con il sito online, sa-rebbe possibile ripristinare tutti i dati in po-co tempo, non appena viene effettuata lasuccessiva replica.

Franco Zoppiproject manager del SeSi

Le scelte tecniche

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dalla struttura organizzativa alle notizie dicarattere storico, dagli organi di governoagli atti normativi, dall’attività di comu-nicazione ai bandi e concorsi, e così via.Questa sezione avrà inoltre delle sottose-zioni che si rivolgono a particolari gruppidi utenti quali il personale docente e il per-sonale tecnico-amministrativo. L’obiettivo è che ciascuno possa indivi-duare la propria area di interesse così dareperire le informazioni nella maniera piùrapida possibile, ma è anche un modo fles-sibile per arricchire le sezioni di nuove vo-ci senza essere costretti a fare interventicomplessi per ogni aggiornamento. Nella sezione “studenti” saranno evidente-mente concentrate tutte le informazioniche si rivolgono agli studenti, ossia futurematricole, iscritti e laureati. Sono stati pen-sati dei percorsi guidati che facilitino l’a-dempimento di una serie di operazioni le-gate all’attività di segreteria. Sarà data visi-bilità all’attività degli organi di rappresen-tanza studenteschi e a tutte le attività cul-turali di interesse. Saranno inoltre createsottosezioni di informazione per gli stu-denti stranieri e per coloro che desideranostudiare all’estero. Da questa sezione si po-trà accedere ad Alice, il portale di servizio,e a Diogene, il portale per i contatti deineolaureati con il mondo del lavoro. Nella sezione “ricerca” saranno riunite tut-te le informazioni dedicate all’attività di ri-cerca dell’ateneo, sia la ricerca di base chequella applicata, anche a livello internazio-nale. Da qui si avrà accesso a Prometeo, ilportale della ricerca dell’ateneo.Tutte le informazioni che per loro naturahanno un carattere trasversale saranno ac-

cessibili anche da più sezioni. Accanto aquesti tre ingressi principali, la home pageconterrà una quantità “dosata” di link ainformazioni di servizio (URP, mappa delsito, risorse di rete, e così via). Un menu a tendina consentirà comunqueun accesso rapido alle informazioni gene-ralmente più richieste dagli utenti.Tra le novità più rilevanti vi sono in pri-mo luogo il motore di ricerca, per i cui det-tagli tecnici si rimanda al box, ma anchela connotazione più informativa che il si-to assumerà attraverso la presenza, sia sul-la home page che nelle tre sezioni, di unospazio dedicato alle News (che saranno dicarattere generale sulla home page e spe-cifico nelle tre sezioni) e di uno spaziochiamato Bacheca. Lo spazio News saràutilizzato per comunicare le notizie vere eproprie mentre la Bacheca segnalerà sca-denze di tipo amministrativo.Nel progettare la struttura del sito abbia-mo sempre tenuto presenti le esigenze dinavigabilità, così ogni pagina interna auna delle tre sezioni avrà i link alle altredue aree in modo da consentire una na-vigazione orizzontale ed evitare di dovertornare sempre sulla home page ogni vol-ta che si vuole andare su un’altra area. Inpiù, scendendo in profondità nella strut-tura del sito sarà visibile il percorso in-trapreso. Abbiamo anche tenuto in considerazionei criteri di usabilità e accessibilità del sito.Nel definire le linee guida che hanno ispi-rato il lavoro del gruppo, abbiamo rimar-cato l’importanza di rispettare questi cri-teri che sono stati definiti in un docu-mento redatto dalla Presidenza del

Consiglio dei Ministri. In particolare ab-biamo rispettato quelle caratteristiche tec-niche che consentono ai software usati dasoggetti portatori di handicap di accederecorrettamente alle informazioni limitan-do ad esempio l’uso di immagini (previstesolo in determinate sezioni) e corredan-dole sempre di didascalie, eliminando leanimazioni, i frames, cioè quelle corniciche impediscono di segnalare una paginaspecifica essendo queste pagine prive diun indirizzo identificativo e che non con-sentono di utilizzare al massimo la lar-ghezza della pagina, e limitando l’uso del-le componenti interattive (scripts, applets,plug-in). Ad esempio il nuovo sito è com-pletamente scritto in html e l’uso di java-script è strettamente limitato ai casi in cuiesso sia particolarmente necessario e co-munque non fa perdere informazioni chesono in ogni modo reperibili in formatohtml. Altro caso particolarissimo è rap-presentato dal portale della ricerca,Prometeo. Per la sua specifica natura (è unportale promozionale della ricerca dell’a-teneo che si rivolge in particolare al mon-do dell’impresa) è stato realizzato conFlash, un software che permette una gran-de flessibilità nella gestione e nella presen-tazione dei dati, ma nello stesso tempo haanche una versione in html che permetteagli utenti che non avessero il plug-in ap-posito di accedere a quelle informazioni.Questo ci permette di sottolineare comecerte soluzioni grafiche particolarmenteavanzate non abbiano compromesso l’u-sabilità e l’accessibilità del sito. Il nuovodesign, infatti, pur essendo indubbia-mente molto ricercato e di sicuro impat-to, non prevale mai sulla presentazione deicontenuti – come è giusto che sia in unportale istituzionale come il nostro – maanzi riesce a veicolarli con più efficaciacontribuendo nello stesso tempo a creareun’immagine nuova e riconoscibile del-l’università.Vogliamo concludere rimarcando l’im-portanza della collaborazione di tutti allosviluppo del nuovo sito per arricchirlosempre più di contenuti e servizi. L’invitoè rivolto principalmente agli utenti del-l’amministrazione centrale, che sarannoabilitati a intervenire direttamente comepubblicatori, ma vogliamo estenderlo an-che ai gestori dei siti dei dipartimenti edelle facoltà, perché ci sia una comunica-zione sempre più efficace tra i diversi sitidell’Università di Pisa.

Vincenzo Letta, Antonella [email protected]

L’interfaccia del nuovo motore di ricerca. Una delle funzionalità più avanzate permet-te di indicizzare i siti esterni, quali ad esempio i siti dei dipartimenti e delle facoltà.

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Il regolamento urbanistico della città diPisa ha individuato circa una decina digrandi progetti generali come strategi-

ci e fondamentali per il futuro della città(vedi box). Di grande interesse, soprattut-to per il centro storico della città, sono lospostamento del Santa Chiara con il tra-sferimento dell’intera sanità pubblica aCisanello e delle caserme di via Roma. Alledecisioni delineate dal regolamento si ag-giungono quelle dell’accordo firmato il 18aprile 2001 alla Presidenza del Consigliotra Ministero della Difesa, Ministero delleFinanze, Comando Generale dellaGuardia di Finanza, Ministero del Tesoro,Ministero per i Beni Culturali, RegioneToscana, Azienda Regionale per il Dirittoallo Studio, Comune di Pisa e Universitàdi Pisa per la realizzazione del Museo del-la Navigazione e connessa riorganizzazio-ne demaniale e riqualificazione urbana diPisa (per il testo completo dell’accordo sirinvia al numero scorso di Athenet). Ditutto questo abbiamo parlato con l’asses-sore alla Pianificazione urbanistica DarioFranchini.

Assessore Franchini, i progetti urbanisti-ci della città di Pisa si intersecano conquelli universitari. C’è integrazione tra idue piani edilizi?Certo, Pisa non può non confrontarsi conle esigenze della sua università e il pianouniversitario è pienamente assorbito dalregolamento urbanistico. In tutti questianni abbiamo cercato fin dall’inizio, attra-verso firme di protocollo e altri strumenti,di scambiare informazioni cercando di evi-tare che fossero prese delle decisioni senzache nessuno degli enti fosse a conoscenzadi cosa stava succedendo. E questo ci hapermesso di mantenere buoni rapporti

dando anche un certo ordine alle scelte. Gliaccordi presi alla Presidenza del Consiglioil 18 aprile dello scorso anno hanno poipermesso di aprire una strada ad ulterioriprospettive di collaborazione.Evidentemente un’università che cambiacon questa velocità e con questo ritmo, fasì che questi accordi siano in costante di-venire e mai un ragionamento definitivo esu questo diventa ancora più importante ildialogo.Tuttavia l’Università non è l’unica istitu-zione di cui abbiamo dovuto tener conto

nel regolamento. Tant’è che l’impegno piùimportante dell’assessore all’urbanistica diPisa, a mio parere, non è la stesura del pia-no regolatore, bensì quello di riuscire a farquadrare le scelte che le grandi istituzionifanno su Pisa: l’Università, la ScuolaNormale, la Scuola Sant’Anna, l’Ospedale,le Ferrovie, l’esercito, le amministrazionistatali, l’aeroporto. Se mettiamo insiemetutti questi centri di decisione, ci accorgia-mo che in realtà il compito più complica-to dell’amministrare l’urbanistica a Pisa èquello di riuscire a mettere insieme uno

1) Completamento dell'assetto urbano di Cisanello con previsione della pre-senza di uffici giudiziari, provinciali e comunali2) Completamento del polo di servizi nella zona di S.Cataldo con trasferi-mento degli uffici finanziari e altre sedi pubbliche nell'area antistante il polodi ricerca CNR3) Trasferimento dell'intera sanità pubblica a Cisanello 4) Stabilizzazione ed implementazione del piano delle sedi universitarie neipoli individuati 5) Trasferimento ad Ospedaletto dello Stadio e delle Forze Armate6) Sviluppo di un'area attrezzata per fiere e manifestazioni nel comparto tra lavia Emilia e la ferrovia Pisa-Collesalvetti7) Difesa delle condizioni di permanenza della residenza ordinaria nel centrostorico e sviluppo dell'offerta turistica sia in termini di attrezzature che dibeni artistici e museali8) Incentivazione alla realizzazione di strutture ricettive ordinarie (alberghi) especialistiche per studenti e anziani 9) Diffusione nei quartieri di attrezzature sportive e piazze10) Sviluppo della cantieristica e delle attrezzature complementari nel com-parto compreso tra la via Aurelia e il Canale dei Navicelli e riconversione dellestrutture industriali esistenti in tale comparto per diversi e più avanzati cicliproduttivi e per attrezzature di servizio11) Sviluppo di parchi nelle aree periferiche12) Realizzazione di casse di laminazione in golena di Putigliano e accanto alPoliclinico di Cisanello per la sicurezza idraulica della città

I principali progetti previsti dal piano

La redazione di Athenet continua il forum dedicato ai progetti edilizi della città di Pisa. In questo numero abbiamo considerato le scelte del-l’amministrazione comunale, che nel novembre scorso ha portato a termine il lavoro di definizione dello strumento progettuale relativo agliinterventi edilizi, il regolamento urbanistico (consultabile al sito www.comune.pisa.it/regurb) dopo una elaborazione durata 17 anni.

Pisa, lineamenti per il futuroFinalmente la città ha il suo regolamento urbanistico

intervista a Dario Franchini

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strumento che si confronti e ordini questeserie di scelte. Poi, evidentemente, abbia-mo il problema di capire le esigenze dei cit-tadini e di equipararle alle esigenze di que-ste grandi istituzioni.

Compito gravoso l’amministrare l’urba-nistica a Pisa, tant’è che ci sono voluti di-ciassette lunghi anni dal primo incaricoper la definitiva realizzazione. Non pensaperò che potrebbe rischiare di essere giàinattuale un piano con tempi così lunghi? Sì, è vero, sono tempi lunghissimi e c’è ilrischio di arrivare in fondo con piani vec-chi. In realtà grazie al lavoro svolto dallaprecedente giunta Floriani e grazie al fattoche abbiamo dovuto rispondere a quantoprevisto da alcune leggi regionali, abbiamoavuto la fortuna di produrre degli stru-menti che sono diversi dal vecchio pianoregolatore: il piano strutturale (che è il pia-no di indirizzo ed è stato approvato dallaprecedente amministrazione) e il regola-mento urbanistico (che è un piano attua-

tivo del piano strutturale). E questo pro-babilmente ci ha consentito di riallinearciin una discussione che aveva preso troppotempo.

A che punto sono i lavori del piano e qua-li i tempi previsti?Lo spostamento delle caserme e la valuta-zione del destino futuro del Santa Chiarasono le scelte fondamentali dei prossimiventi anni per Pisa. Si tratta di due trasfor-mazioni che cambiano faccia alla città inmodo gentile ma non timido: il modello acui voglio far riferimento è quello di unacittà che conosce le sue potenzialità, ma ègentile nel modo di trasformarsi, e lo fasenza dichiarazioni roboanti.Il progetto relativo alle caserme sta se-guendo la tabella di marcia indicata: è sta-to affidato lo studio di fattibilità attraver-so gara pubblica ed entro l’estate dovrem-mo avere i primi risultati; per il prossimoautunno lo studio dovrebbe essere com-pletato e con esso definiremo le conve-

nienze economiche e le destinazioni urba-nistiche e poi lo strumento con cui attua-re queste trasformazioni. Dovremmo so-stanzialmente scegliere tra tutto privato,oppure piccola parte pubblica che sta den-tro una società di trasformazione urbana.Lo studio ci darà indicazioni per la sceltamigliore.Sull’ospedale stiamo avviando un percor-so analogo: prima una definizione di mas-sima da parte dei due enti interessati, poiuna gara pubblica per la fattibilità con leconvenienze economiche.Vista l’importanza delle aree che andia-mo a toccare, che sono a ridosso di unodei monumenti più importanti della ci-viltà occidentale, dobbiamo avere un gar-bo, un’accuretezza, una altissima preci-sione nell’andare a definire le trasforma-zioni: dovremmo lavorare non di picco-ne, ma di cesello.Dentro questi progetti dovremo capire iruoli delle grandi istituzioni pisane: cosafaremo del Santa Chiara? Sicuramente lafunzione abitativa sarà privilegiata, ma lefunzioni possono essere molte: ricettiva,residenza collettiva, abitazione vera epropria.

Non c’è ancora niente di definito su qua-le sarà la destinazione futura del SantaChiara…No, tranne una prima idea della tempisti-ca entro la quale possono trasferirsi gliospedali.Tuttavia, nel ragionamento, non ci disco-steremo dalle scelte fatte nel RegolamentoUrbanistico: in ogni parte della città le fun-zioni ammesse dovranno far sì che queiluoghi vengano vissuti, in modo tra lorocompatibile, ventiquattro ore al giorno perdodici mesi all’anno.

Qual è la tempistica prevista?Cinque anni per concludere una parteconsistente del trasferimento dell’ospeda-le, che è quasi un quarto del centro stori-co di Pisa. Sulla destinazione futura, pertornare alla domanda precedente, faremouna previsione di massima e poi ci affide-remo ad uno studio di fattibilità. Il casodelle caserme ci ha fatto capire che il per-corso migliore è quello di stabilire i valori,gli impatti economici, ambientali, sociali,dopo di che c’è lo spazio per la fantasia de-gli architetti.

Avete pensato ai collegamenti con la nuo-va struttura ospedaliera?No, non ancora, ma i collegamenti oggi sipossono realizzare in molti modi, anche

Uno scorcio di una delle cliniche degli Ospedali Riuniti “Santa Chiara”.

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con cifre contenute e non vorrei sceglierea priori. Quindi perché non pensare a for-me di trasporto innovative: è vero che si ir-rigidiscono le linee e quindi c’è da risolve-re il problema del “cliente debole” che vie-ne raccolto sotto casa. Però anche per que-sto si potrebbero pensare soluzioni come il“trasporto a chiamata”, i “taxi collettivi”.Con un po’ di fantasia si può dare la ri-sposta a chi è giovane e forte e a chi è an-ziano.

Anche in questo non c’è ancora niente difisso..No. Credo che attualmente l’ospedale diCisanello sia ben servito, anche se in que-sto momento abbiamo problemi di colle-gamento trasversale della città (da nordverso est e viceversa) perché le linee attua-li tendono ad essere da nord a sud da estad ovest.

Quali sono le iniziative di comunicazio-ne in merito alle decisioni urbanisticheprese?La comunicazione più importante è quel-la che facciamo durante l’approvazionedegli atti amministrativi. Il regolamentourbanistico è stato portato in tutte le cir-coscrizioni, in assemblee pubbliche conoperatori, con associazioni di categoria ecittadini. Quindi tutta l’attività di comu-nicazione del nostro regolamento urbani-stico è stata svolta nel momento in cui loabbiamo presentato e poi nel periodo incui abbiamo fatto il lavoro sulle osserva-zioni. Credo quindi che il piano sia bennoto alla città.

C’è in programma qualcos’altro per favo-rire la comunicazione e il dialogo?No. Al momento stiamo approvando unaserie di previsioni del piano e cercando digestire alcune emergenze.

Quale ritiene che sia la cosa più impor-tante per il futuro di Pisa come città uni-versitaria?Quello che credo che debba essere messoin conto per il futuro è di aprire al restodella città (non solo al centro storico) spa-zi di possibile utilizzo: la città arriva fino aCisanello e ritengo che ci siano possibilitàdi sviluppo anche in altre parti della città.Io credo che la localizzazione per poli,com’è stata fatta, e che è giusta, possa ri-guardare anche altri punti della città. Ioleggo la presenza dell’università come unapresenza qualificante in un quartiere, se-condo una filosofia che abbiamo adottatoanche per il regolamento urbanistico: evi-

tare, per quanto possibile, la specializza-zione. Quindi non aree dove si dorme, areedove si studia e aree dove si lavora. Questisono poi, tra l’altro, gli indirizzi che dàl’Unione Europea per la città sostenibiledel ventunesimo secolo, modificando lacittà razionalista che prevedeva monofun-zioni nei quartieri e cercando le commi-stioni tra le varie funzioni in modo che lacittà viva tutto l’anno, in ogni sua parte, 24ore al giorno, mescolando fasce di età di-verse, senza ghettizzare. Questa è una discussione ancora aperta. Iocredo che il trasferimento dell’ospedale,che si avvicina sempre di più, qualcosacomporterà: l’ospedale e la facoltà diMedicina potranno diventare un trainoper ulteriori spostamenti.Nel centro storico abbiamo bisogno di ri-portare residenti; non possiamo specializ-zare il centro storico per gli uffici, per glistudenti e per i turisti, ma abbiamo biso-gno di riportarvi residenze.Un ragionamento da fare è quindi come simuoverà l’università, ma anche complessi-vamente le funzioni direzionali della cittàsu tutto il territorio dell’aggregato urbano(da Porta a Mare a Cisanello). Su questobisognerà discutere: è un’ulteriore novità euna provocazione che lancio volentieri almondo dell’Università.

Le residenze studentesche sono un ele-mento strategico per l’Università. Qual èla linea del Comune rispetto a questo?Capisco che in questo momento il viverebene è senza dubbio l’elemento di marke-ting più forte che una città possa avere: cisi sposta perché si sta bene. A Pisa non sista male, ma si potrebbe stare meglio. Sulleresidenze studentesche il regolamento ur-

banistico apre grandi spazi: laddove abbia-mo designato una zona di residenza al suointerno potrà andare tutto ciò che è con es-sa compatibile (residence, o piccoli appar-tamenti per i professori). Ma ho la sensa-zione comunque che questa sia un’oppor-tunità che è stata colta poco dall’impren-ditoria pisana che, tranne alcuni casi spo-radici, non sta dando segnali di interesseverso una forma di investimento che inve-ce, a mio parere, è un investimento sicuro.

Ci sono stati input da parte vostra in que-sta direzione?Più volte abbiamo dato disponibilità ver-so questo tipo di interventi: laddove sonostati chiesti, sono stati individuati all’in-terno del piano.

Pensa quindi che l’Università si dovrebbemuovere?Io credo che l’Università si muova, ma chepossa muoversi ulteriormente verso l’im-prenditoria che non sempre vedo attentasu questo tema dell’accoglienza nel campodegli studi. In consiglio comunale sonostato chiamato più volte a dibattere su ar-gomenti di poco conto come quello di uti-lizzare i sottotetti piuttosto che su formealternative di residenzialità e ricettività.In Europa moltissimi atenei hanno strut-ture ricettive che usano d’inverno per stu-denti e d’estate per turismo, anche stu-dentesco (studenti che vengono ad impa-rare una lingua, o per specializzazione omaster). Per ora questo a Pisa non c’è, manon siamo noi a negarlo. Quanto più Pisapotesse assomigliare a Cambridge, tantopiù ci piacerebbe.

Barbara [email protected]

I lavori di recupero in piazza delle Vettovaglie, sicuramente uno degli interventi diriqualificazione del centro storico più importanti e attesi.

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APunto Informatico si fregano le ma-ni dalla contentezza. Anche se par-lano di “vittoria a metà”. In realtà

ad un anno dalla contestata legge sull’edi-toria, la rivista online guidata da Paolo DeAndreis ha i suoi motivi di soddisfazione. Lapetizione elettronica promossa sul web con-tro la legge 7 marzo 2001 n° 62, e che haavuto in Punto Informatico il suo centropropulsore, ha cominciato a produrre i suoieffetti. La legge comunitaria approvata loscorso 20 febbraio dal Parlamento rendeesplicito infatti all’art. 31 che: “l’obbligo diregistrazione della testata editoriale telema-tica si applica esclusivamente alle attività perle quali i prestatori del servizio intendanoavvalersi delle provvidenze previste dalla leg-ge 62/2001, o che comunque ne faccianospecifica richiesta”.Tradotto in parole semplici: svanisce defini-tivamente lo spauracchio dell’obbligo asso-luto di registrazione in tribunale, pena mul-te salate e addirittura il carcere, per qualsi-voglia “prodotto informatico” che contieneinformazioni, senza distinzione tra un sitoamatoriale di un ragazzino, una delle innu-merevoli newsletter tematiche accessibili inrete o la versione elettronica di un grandequotidiano nazionale. Era infatti questo il punto dolente della leg-ge sull’editoria, che aveva scatenato una mo-bilitazione senza precedenti dei cybernauticon il preciso intento di chiedere l’abolizio-ne della legge stessa. La petizione elettroni-ca lanciata da Punto Informatico aveva rac-colto 54 mila firmatari e oltre 3 mila siti sot-toscrittori ed era stata presentata all’inizio dinovembre scorso al Presidente della Cameradei Deputati e al Ministro delleComunicazioni, nonostante le ripetute ras-

sicurazioni, correzioni e distinguo che i pro-motori della legge 62/2001 e lo stessoVannino Chiti, allora sottosegretario allaPresidenza del Consiglio con delega all’edi-toria, si erano affrettati a rilasciare in inter-viste ed interventi pubblici di vario genere.Resta senz’altro il fatto che, con le norme in-trodotte dalla legge comunitaria, la testatatelematica che si registra in tribunale comeuna qualunque testata cartacea potrà gode-re, diversamente dai siti che non lo faranno,di agevolazioni e defiscalizzazioni finanzia-te con soldi pubblici, allo stesso modo ap-punto di quel che avviene nei media tradi-zionali. In ogni caso, questa volta almeno,la montagna della petizione online controla legge sull’editoria non ha partorito un to-polino, ma una correzione legislativa di im-portanza tutt’altro che secondaria. Il testo della legge 7 marzo 2001 n°62 ave-va suscitato fin da subito un vasto allarmetra chi ha a cuore la libertà dell’informazio-ne in rete, primi fra tutti i provider. Tantoda indurre lo stesso Paolo Serventi Longhi,segretario della Federazione nazionale dellastampa (Fnsi), a fare parziale retromarcia ri-spetto alle dichiarazioni di esultante appro-vazione della normativa che Maria ChiaraPievatolo ha ricordato nell’articolo pubbli-cato sul numero di dicembre di Athenet. L’analisi della nuova legge sull’editoria svol-ta su queste pagine dalla Dott.ssa Pievatolorisulta in ogni caso pienamente condivisibi-le. Il modo in cui sono formulati i primi ar-ticoli del testo entrato in vigore nel marzo2001, in particolare l’art.1, non potrebbe,di per sé e a prescindere dalla legge comu-nitaria appena approvata, non destare allar-me. L’estensione della definizione di “pro-dotto editoriale” dal testo cartaceo a quello

su “supporto informatico” e la conseguenteapplicazione alle pubblicazioni elettronichedelle disposizioni della legge n°47 del 1948rischiano di produrre effetti paradossali.Quest’ultima normativa prevede infatti san-zioni fino a due anni di carcere per il reatodi “stampa clandestina”, ossia per le pubbli-cazioni di regolare periodicità sprovviste diregistrazione presso un tribunale e prive diun direttore responsabile iscritto all’ordinedei giornalisti.Se dovesse essere applicata un’interpretazio-ne restrittiva della nuova legge sull’editoriasi arriverebbe al punto che tutti i siti che con-tengano informazioni regolarmente aggior-nate (una pagina web amatoriale allo stessomodo di una testata online di un grandequotidiano) siano tenuti a seguire le mede-sime regole che disciplinano la liceità di unatestata cartacea. Tutto ciò è apparso a molticome l’espressione di una evidente inten-zione di “mettere un bavaglio alla rete”. Ciò detto occorre puntualizzare, a frontedelle tesi sostenute da Maria ChiaraPievatolo nel numero scorso di Athenet, chela realtà odierna dell’informazione in retenecessita eccome di una regolamentazione,non nella direzione di un patetico quantoinutile ancoraggio dei siti Internet alla nor-mativa sull’editoria del 1948, quanto in vi-sta di una maggiore tutela di chi lavora on-line per la divulgazione professionale del-l’informazione, ossia per la tutela dei gior-nalisti online.In questo senso si può spezzare una lancia afavore di Paolo Serventi Longhi, (verso cuiMaria Chiara Pievatolo ha mostrato unmalcelato disprezzo) considerato il ruolosvolto dal sindacato unitario dei giornalistida lui guidato (la Fnsi appunto) nella ride-finizione del contratto nazionale di lavorogiornalistico stipulato con gli editori l’11aprile 2001 per il quinquennio fino al 2005. Per la prima volta sono state infatti fissate inquel contratto, sebbene in un allegato (l’al-legato N) con valenza biennale e in funzio-ne sperimentale, normative che offrono unadefinizione formale di ruoli, orari di lavoro,organizzazione del lavoro, retribuzioni e di-ritti sindacali dei giornalisti neo-assunti nel-le redazioni online, ossia dei professionistidella divulgazione dell’informazione sullarete. Fino a quel momento essi sono rima-sti privi di tutela contrattuale e spesso im-piegati nelle testate e nei giornali online sen-za alcun riconoscimento professionale, nor-mativo ed economico del proprio lavoro.Le norme fissate nel nuovo contratto na-zionale per i neo-assunti nelle redazionionline garantiscono inoltre, con l’accessoal contratto giornalistico e non più a con-

di Domenico Coviello

La nuova legge sull’editoria rischiava di “mettere un bavaglio alla rete” . Una recente cor-rezione legislativa, sollecitata da un largo movimento d’opinione che ha trovato espressionegrazie a una petizione promossa dalla rivista online «Punto informatico», ha reso più fles-sibile la normativa distinguendo tra siti d’informazione strutturati in modo professionalee siti prodotti dalla libera iniziativa di singoli cittadini. Domenico Coviello, giornalistaprofessionista con alle spalle una lunga esperienza nella comunicazione online, risponde aMaria Chiara Pievatolo, che aveva affrontato la questione nello scorso numero di Athenet.

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Internet, regole, libertà di pensieroUna norma comunitaria chiarisce alcuni aspetti controversidella legge sull’editoria, ma per qualcuno è una vittoria a metà

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tratti atipici che nulla hanno a che fare conla professione (i cosidetti contratti da me-talmeccanici, applicati ai redattori Internetda molti prestigiosi portali generalisti) laconseguente possibilità di godere dei van-taggi che comporta l’iscrizione all’ordinedei giornalisti.Anche questo punto è qualificante e tutt’al-tro che secondario per chi fa informazionein rete, essendo fino ad adesso i giornalistionline considerati da molti degli stessi col-leghi dei media tradizionali dei giornalisti diserie B, o nelle definizioni meno spregiati-ve, dei “poligrafici di lusso”. Ma la tutela del lavoro dei professionisti del-l’informazione sul web diventa ancora piùindispensabile alla luce di ciò che sta succe-dendo in molte redazioni di giornali online,anche come riflesso, più in generale, dellacrisi che continua a sconvolgere le impresedella new economy. Internet non è infatti soltanto, per citareun’acuta definizione che ne dà Pievatolo“una rivoluzione per le autorità mediatichetradizionali, perché la sua struttura tecni-ca rende possibile creare uno spazio pub-blico in cui tutti comunicano con tutti”. Èanche un sistema di relazioni imprendito-riali che ha dato origine ad un nuovo mo-do di fare affari tramite il business elettro-nico (l’e-business). In Italia come in Europa, specie dal 1999fino alla metà dell’anno 2000, si è assistitoalla creazione a getto continuo di societàInternet che assumevano personale senzasosta, nella convinzione che la frontiera delbusiness online costituisse uno dei miglio-ri investimenti del momento. Secondo unmodello importato dagli Stati Uniti, esiste-va persino l’idea di creare un nuovo mododi fare impresa: la new economy impone-va uno stile informale, fatto di rapporti nonpiù rigidamente gerarchici all’interno del-l’azienda, di uffici “open space”, quasi sen-za barriere fisiche e basato su un forte spi-rito di adattamento di tutti i lavoratori asvolgere ruoli anche non richiesti per con-tratto, pur di portare al successo la nuovaeconomia. In Borsa si è assistito all’esplosione dei col-locamenti sui listini tecnologici, i cosiddet-ti Nuovi Mercati, sull’onda del successo delNasdaq, il listino ad alta crescita della Borsadi New York, che tra il 1995 e il 2000 ave-va moltiplicato il suo valore del 500%.Anche nel settore dei media grandi gruppieditoriali italiani hanno dato vita ai cosid-detti incubatori col fine di avviare alla quo-tazione in Borsa startup specializzate nellenuove tecnologie ma anche nell’informa-zione finanziaria online, ossia di taglio gior-

nalistico. Ben presto tuttavia la neonata neweconomy ha mostrato pesanti limiti. Per pri-ma cosa si è invertita bruscamente la ten-denza alla crescita senza sosta del Nasdaq,che il 10 marzo 2000 ha toccato il suo mas-simo storico di 5084 punti, ed è scoppiatala cosiddetta bolla speculativa sui valori

Internet. Gli effetti, come in una sorta di do-mino, non potevano che prodursi anche inEuropa, sebbene con qualche mese di ritar-do. Molti dei modelli di business su cui sisono fondate le società high tech si sono ri-velati fasulli, basati spesso sugli introiti de-rivanti dalla mai decollata pubblicità onlinee su strabilianti prospettive di crescita atte-se ma non sui cosidetti “fondamentali del-l’azienda”.Già nella seconda metà del 2000 e soprat-tutto a partire dal 2001 (e a prescindere da-gli eventi dell’11 settembre) hanno comin-ciato a moltiplicarsi i fallimenti, i licenzia-menti e il taglio degli investimenti da par-te delle società di venture capital alle star-tup in cerca di finanziamenti, non più perquotarsi in Borsa ma semplicemente persopravvivere. La crisi della new economy ha toccato di-rettamente anche l’informazione in rete.Molti siti hanno drasticamente ridimensio-nato i propri organici e molti gruppi mediahanno tagliato i costi licenziando senza tan-ti complimenti le proprie redazioni online.Gli stessi quotidiani cartacei italiani, che an-cora nel 2000 avevano dato vita a redazioniInternet con una media di 10 giornalisti e3-5 stagisti hanno adesso in alcuni casi di-

mezzato gli organici, “spalmando” nelle re-dazioni di cronaca locale gli “esuberi adInternet”.In un contesto come questo occorre dun-que una sempre maggiore tutela di chi fainformazione professionale in rete. E benvenga anche per i redattori online che si tro-vano repentinamente senza lavoro a causadel fatto che rientrano nel “cost cutting” del-la società, magari straniera, per cui scrivo-no, il sussidio di disoccupazione che l’ordi-ne dei giornalisti garantisce ai suoi iscritti, alpari dei redattori tradizionali.Beninteso, come giustamente sostieneMaria Chiara Pievatolo nell’era di Internet“per parlare e per conoscere non occorre es-sere iscritti ad un albo”, dato che “in retechiunque dispone degli strumenti di repe-rimento, comunicazione e controllo del-l’informazione prima riservati quasi esclu-sivamente a ricercatori e giornalisti”.Tuttavia non si vede perché con l’avventodi Internet dovrebbe finire col venir menola possibilità di distinguere, come sostienePievatolo, tra “la manifestazione del pen-siero e la divulgazione professionale diinformazioni”. È semmai vero il contrario,si rafforzerebbe l’opportunità di questa di-stinzione, per carità, senza che a farlo siano“burocrazia e manette”. Dal punto di vista della comunicazioneInternet altro non è se non un enormequanto caotico canale distributivo di infor-mazioni d’ogni genere, ancora all’iniziodella sua evoluzione, pieno di opportunitàcome di rischi. Questo dato di fatto costi-tuisce una sfida in più e non una ragiond’essere in meno per i giornalisti. Il vecchiomestiere della selezione, della valutazione edella presentazione della notizia ai lettorinon diminuisce d’importanza se Internetconsente a molti, in maniera finora inedi-ta, l’accesso diretto a fonti e strumentid’informazione finora filtrati dai giornali-sti. Al contrario, il giornalismo online co-stituisce un’opportunità in più per i cyber-nauti di orientarsi con maggiore consape-volezza sulle autostrade della comunicazio-ne informatica.

Domenico [email protected]

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[...]occorre puntualizzare,a fronte delle tesi sostenuteda Maria Chiara Pievatolo

su Athenet, che la realtàodierna dell’informazionein rete necessita eccome di

una regolamentazione◗

● Sugli effetti della petizione contro la nuova legge sull’editoria:www.punto-informatico.it/p.asp?i=39186● Libertà della rete e riconoscimento del lavoro giornalistico:www.fnsi.it/dipartimentoonline.htm● Forum di discussione sul sito della Federazione nazionale Stampa Italiana:www.fnsi.it/FORUM/FDefault.htm

Per saperne di più

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Chat, posta elettronica, pagineweb, messaggi sui telefonini.Mai come oggi la comunicazio-

ne ha conosciuto tanti strumenti attra-verso cui lanciare informazioni da unaparte all’altra del globo. La chiamanoinformatizzazione dei saperi, un po’ fi-glia dello sviluppo economico e deltrionfo del digitale, un po’ spauracchiodella globalizzazione. Forse è per questoche qualcuno la guarda con sospetto,perché vi associa l’omologazione e l’ap-piattimento della comunicazione che fa-rebbero, della nostra lingua, la prima vit-tima illustre. Che la lingua sia in continua evoluzioneè un dato di fatto. La sua natura intrin-seca è semmai proprio l’illimitata capa-cità di aderire alle esigenze della vita e ainumerosi e svariati bisogni comunicati-vi di chi la parla. E oggi la vita parla mol-to digitale. Inevitabilmente ci troviamoad usare forme di comunicazione ibridein cui scritto, parlato e immagine siconfondono, a ricorrere a espressioni ab-breviate, a “forestierismi”, a curiose einedite formule linguistiche. Si trattasoltanto di un aspetto, inevitabile matransitorio, del processo di trasforma-zione o di un punto di arrivo sulla via delnon ritorno? In Italia, i dibattiti e le opi-nioni sulla spinosa questione si spreca-no. Se da una parte si mostra diffidenzaal limite della censura per un linguaggioimpoverito e stravolto dalle nuove tec-nologie e ci si riscopre integerrimi puri-sti della lingua, dall’altra ci si appassio-na agli inediti orizzonti dischiusi dall’i-pertesto elettronico e dalle altre formecomunicative. Non è possibile demo-

nizzare o assolvere tout court, ma ci èconsentito riflettere su alcune conside-razioni.Uno studioso della lingua italiana, ilprofessor Pietro Beltrami, docente diFilologia romanza nel nostro ateneo,

ammorbidisce i toni della questione e in-vita a una serie di interessanti osserva-zioni. Da circa un decennio dirige l’OVI(Opera del Vocabolario Italiano), centrodi studi del CNR all’Accademia dellaCrusca di Firenze dove, sotto la sua gui-da, si sta lavorando alla redazione del-l’atteso “Tesoro della lingua italiana del-le origini”. È proprio Beltrami a spezza-re una lancia in favore della Rete che de-finisce “l’occasione in più della cono-scenza.”“La Rete è assolutamente neutra – so-stiene – uno strumento insuperabile ingrado di offrire un incremento di cono-scenza alla portata di tutti e gratuita-mente. Essa genera, ovviamente, un ti-po di comunicazione con i caratteri spe-

cifici di un mezzo che è contempora-neamente scritto e parlato, assecondan-do la struttura e la velocità della linguaparlata. Tuttavia, se la lingua italiana siimpoverisce la causa non va ricercatanelle nuove forme di comunicazione,bensì nell’ignoranza dilagante, almenoin materia di lingua, diretta conseguen-za di una scuola che ha perso il suo ruo-lo di guida e di controllo”.Il nodo della questione si stringe quin-di intorno alla scuola, colpevole di ave-re allentato le redini. Significa che uti-lizzare una lingua artificiale, magari ric-ca di anglicismi, per parlare, ad esem-pio, d’informatica, è normale e piutto-sto scontato. Il discorso cambia quandoquella stessa lingua viene utilizzata peresprimersi anche nel proprio quotidia-no, giacché denuncia la mancanza di unlinguaggio adeguato e l’insussistenza diuna cultura idonea. Perché una linguava difesa promuovendo e difendendoproprio la sua cultura. Perché una lin-gua è viva quando non ricorre a prefab-bricati verbali, propri o altrui, per in-ventare comunicazione quotidiana ocreazione letteraria, ma attinge alla fal-da profonda delle proprie potenziali ri-sorse espressive. È questo che deve far ri-flettere, specialmente oggi che ci affac-ciamo all’Europa dei molti paesi, dellemolte lingue e culture. “Leggere i gran-di autori come Manzoni, quella è la cu-ra – conclude sorridendo Beltrami –Dopo si può parlare come si vuole, quel-lo resta. Le radici non si tagliano, anchese a fianco, fuori, tutt’intorno c’è altro.Si tratta infatti soltanto di specificità,destinate a sparire da sole. La lingua èin movimento, le parole ‘prese in pre-stito’ vanno e vengono. Oggi dove maisentiamo più dire ‘corner’, ad esempio?Le lingue pure non esistono”. Una fra-se che, detta da uno studioso dell’italia-no antico come lui, suona quantomairassicurante. Circa gli aspetti specificatamente lin-guistici dei cambiamenti dell’era del-l’informatizzazione, si è pronunciato ilprofessor Mirko Tavoni, docente diStoria della lingua italiana del nostroateneo, che puntualizza: “La storia del-l’italiano che cambia è vecchia di alme-no un ventennio”. E spiega come già ne-gli anni ‘80 alcuni studiosi sociolingui-sti avessero annunciato il diffondersi inItalia di una nuova norma dell’italianostandard, un linguaggio più rilassato,fatto di frasi brevi e di una paratassi sem-plice, che ci abituava a scrivere un po’

di Claudia Mantellassi

Le nuove tecnologie invadono la nostra vita condizionando le nostre abitudini, i costu-mi, il lavoro, la società. Forse anche il linguaggio. Nuove forme linguistiche soppiantanoquelle tradizionali, abituandoci a parlare una lingua più contratta e veloce. Ma questimutamenti arrivano anche nei testi scritti? E, se davvero esiste questo rischio, dobbiamoe possiamo difendere le nostre radici? Abbiamo chiesto a due docenti universitari, PietroBeltrami e Mirko Tavoni, studiosi della lingua e osservatori attenti delle sue trasforma-zioni, la loro opinione in merito. Con qualche sorpresa.

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La lingua “povera” del terzo millennioI nuovi media cambiano il nostro modo di scrivere?

[...] se la lingua italiana siimpoverisce la causa non varicercata nelle nuove forme

di comunicazione, bensì nel-l’ignoranza dilagante, almenoin materia di lingua, direttaconseguenza di una scuolache ha perso il suo ruolo di

guida e di controllo.

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più come parliamo, nato sull’onda lun-ga dei mezzi di comunicazione di mas-sa. Questa diagnosi, benché fondamen-talmente corretta, trova scarsi riscontrinei documenti, come chiarisce Tavoni,che ha cercato invano l’italiano “blan-do” nei giornali e sulla stampa degli ul-timi anni. Nessuno degli errori prean-nunciati è stato isolato: indicativi al po-sto dei congiuntivi, “gli” usato al fem-minile, uso smodato di termini stranie-ri fatto per eccesso di pigrizia o di esibi-zionismo. La lingua dei giornali nonsembra riflettere questi cambiamenti.Per Tavoni le trasformazioni vere comin-ciano a registrarsi oggi, semmai, nelle di-verse forme della scrittura elettronica. Apartire dalla più informale, quella deglisms dei cellulari e delle chat. Il loro è unlinguaggio frantumato, fatto di frasi bre-vi, di abbreviazioni gergali, di anglicismie di dialetti. Concetti e pensieri passanoper i pochi caratteri lanciati da uno scher-mo all’altro con una velocità nuova, sor-prendente. Poi ci sono le e-mail, con il lo-ro linguaggio spesso informale e pullu-lante di errori di ortografia, frutto di ri-letture sommarie. Infine ci sono le pagi-ne web e l’infinito mondo di Internet, cheparlano un linguaggio sintetico, semplifi-cato, fortemente strutturato, per facilita-re la lettura sul video. Ma si tratta, in tut-ti e tre i casi, di linguaggi che rimangonochiusi dietro lo schermo dal quale parla-no. E la “minaccia” anglofona? Nella per-cezione di molti l’italiano si sta imbarba-rendo soprattuto a causa dell’inglese cheinvade la nostra vita, dalla pubblicità perstrada, alla televisione, a Internet. Ma sitratta, appunto, di una percezione. Si falargo uso di termini stranieri nel gergoinformatico come nei linguaggi dellenuove professioni, ma si tratta in en-trambi i casi di linguaggi specialistici chehanno una ricaduta poco sensibile nellacomunità linguistica. Senza contare che,nel mercato mondiale delle lingue,Internet ha registrato un’inversione ditendenza per l’inglese che, rispetto a die-ci anni fa, copre oggi il 30% in meno del-le pagine scritte sulla Rete. “C’è anche da dire – conclude Tavoni –che, a dispetto di un sistema linguisticoricco di forme grammaticali e strutturesintattiche, la tendenza attuale è quella diutilizzare un numero sempre più esiguodi queste strutture, ma con una frequen-za sempre maggiore. In pratica utilizzia-mo un repertorio limitato, giocato sucombinazioni pressoché identiche. Sitratta, tuttavia, di un fatto fisiologico di

tutte le lingue, indipendente dalla Reteanche se, occorre precisarlo, essa finiscecol fare da volano a tutti questi fenome-ni.” Dunque, se proprio deve essere chia-mata in causa, lo sia soltanto perché per-mette di usare di più la lingua, amplian-done i vizi e le virtù.L’importanza della comunicazione digi-tale e la necessità di adeguarvi rami dellaformazione più tradizionali, sono staticolti in pieno dall’Università di Pisa che,il prossimo anno accademico, inaugureràil nuovo corso di laurea in Informaticaumanistica. È un segnale importante, lapresa d’atto che il trattamento informa-tico di lingue e testi è indispensabile inuna società come la nostra, caratterizza-ta dalle rapide trasformazioni delle tec-nologie e del mercato. Il corso di laurea,come ci spiega il professor Mirko Tavoni,sarà attivato il prossimo anno accademi-co e durerà tre anni. Con esso sarannoformati profili professionali a cavallo tra

contenuti e tecnologie, tanto richiestidalla società dell’informazione quantoattualmente privi di un canale formati-vo apposito. Saranno implicati, ad esem-pio, nella realizzazione di prodotti mul-timediali e nell’allestimento di sitiInternet di carattere culturale, nelle ela-borazioni computazionali legate al lin-guaggio e nell’editoria elettronica. Tra lediscipline oggetto di studio ci saranno,fra le altre, editoria elettronica, web eco-nomy, web design e produzione multime-diale. Al termine del loro percorso for-mativo, i neolaureati potranno vantare,accanto ad una solida cultura di base incampo letterario, linguistico, filologico,storico, geografico e artistico, un’auto-noma capacità a operare nel trattamentoinformatico di lingue, testi, immagini e,in generale, di contenuti culturali.

Claudia [email protected]

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Molti commentatori di politi-ca universitaria, vuoi diestrazione accademica che

esterni, hanno preso l’abitudine di spa-rare a zero contro quello che sarebbe unvizio italico di distribuire “a pioggia” ipochi fondi che il nostro paese destinaalla ricerca. Ormai le parole d’ordinesono competizione, selezione, scuole dieccellenza etc. Non siamo certo contra-ri all’idea che i soldi dei contribuentivadano spesi bene, che vadano premia-ti i migliori, che sia infine opportunoche il paese investa maggiormente incerte attività piuttosto che in altre. Ma,chiarito questo, riteniamo anche cor-retto correlare le modalità di finanzia-mento agli scopi che ci si prefigge. Seinfatti, da un lato, è doveroso procede-re a finanziamenti selettivi quando loscopo è quello di migliorare attivitàspecifiche nel campo della produzioneo dei servizi, cioè in generale quandociò che conta è il prodotto finale diret-to della attività di ricerca, oppure quan-do ci si propone di selezionare gruppi olaboratori capaci di proporsi come “lea-der” in una particolare attività in cam-po internazionale, la cosa non è altret-tanto semplice quando si tratti di fi-nanziare la ricerca che si fa nelle uni-versità. Qui il farsi condizionare da mo-de, o facili slogan, può portare più dan-ni che vantaggi.La funzione del docente universitario èduplice: fare ricerca e insegnare. Ed èproprio la prima delle due attività cherende qualificata e fruibile la seconda.Dopo aver scelto autonomamente i te-mi di ricerca cui dedicarsi e i metodi

con cui affrontarli, il docente deve ap-profondire la metodologia della ricercascientifica, tenersi aggiornato sugli svi-luppi nel campo di interesse, sforzarsidi dare delle risposte personali agli in-terrogativi che la ricerca continuamen-te pone. Soltanto allora potrà trasmet-

tere ai propri allievi non semplici no-zioni ma senso critico, valido in qua-lunque campo del sapere. Al professo-re universitario deve essere garantita lapossibilità di fare ricerca, e per fare ri-cerca egli deve disporre di un minimodi fondi (oltre che di strutture, accessoa fonti bibliografiche, apparecchiatureetc.). Il contrario sarebbe inconcepibi-le: sarebbe l’equivalente di una indu-stria tessile che investe un capitale perassumere operai senza fornire loro i te-lai per la filatura dei tessuti. Ma allora i docenti universitari devono

fare quello che vogliono, senza rendereconto di come hanno usato i contribu-ti loro concessi? Ovviamente no. Saràcompito dei singoli atenei verificare laproduttività dei propri docenti, anchediversificando l’entità dei finanzia-menti a seconda della diversa capacitàe grado di impegno. Ma deve essere ri-spettata la condizione che chiunque ac-cetta di impegnarsi, indipendentemen-te dall’essere o meno più bravo di altri,disponga di un finanziamento minimovitale. La cosa più corretta sarebbequella di associare alla istituzione diuna posizione di docente universitariola contemporanea creazione di un fon-do che gli permetta di esplicare la pro-pria funzione. Non per nulla la“Relazione Ermini”, cioè la relazionedella Commissione parlamentare isti-tuita negli anni ‘60 per porre le basi peruna riforma dell’Università (che poinon si fece!) stabiliva che per ogni nuo-vo posto docente bisognava prevedereun budget aggiuntivo addirittura supe-riore al 100% dello stipendio, per farfronte appunto alle spese della ricerca.E anche depurando tale fondo dallespese relative al personale tecnico e daquelle da destinare ai progetti di ricer-ca di interesse nazionale, si può stima-re in circa il 40% la quota da destinarealla ricerca di base, il che significhereb-be attualmente 30-40 milioni per do-cente. Una scelta che non si preoccupidi questi stanziamenti aggiuntivi è ov-viamente lecita, ma a patto che si abbial’onestà di riconoscere che non si stacostruendo una facoltà universitaria,bensì una normale scuola post-secon-daria.E la competizione? Premettiamo chemolti non sembrano rendersi conto cheil concetto di competizione è connatu-rato alla funzione del docente universi-tario: anche in assenza di finanziamen-ti selettivi i docenti bravi sfruttano me-glio i fondi loro assegnati producendopiù risultati e di miglior qualità, e lorosoltanto sono riconosciuti validi dallacomunità scientifica. Ma non è con ilfinanziamento minimo vitale che si de-ve stimolare la competizione. Ci devo-no essere canali di finanziamento col-laterali, sia pubblici che privati, per ac-cedere ai quali i docenti giustamentecompetono tra di loro e anche con tut-ti gli altri ricercatori provenienti vuoida enti pubblici che privati. È con talifondi che si deve premiare in modo se-lettivo la capacità progettuale, così fa-

di Paolo Gianni

Da anni si va discutendo su come differenziare i canali di finanziamento della ricerca.Nello stesso tempo è emersa l’esigenza di riconsiderare i criteri di valutazione che presie-dono all’assegnazione dei fondi ministeriali. Resta tuttavia il problema della ricerca dibase, un interesse di carattere generale su cui è fondata la qualità didattica del sistemauniversitario e che rappresenta per il Paese l’indispensabile premessa di ogni forma disviluppo. Desta preoccupazione il disimpegno della classe politica che nell’ultima leggefinanziaria ha ridotto ulteriormente i già magri stanziamenti degli anni scorsi.

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Il finanziamento della ricerca scientificanelle Università: mirato o a pioggia?

La scelta è tra dare unaelemosina a tutti, così

non mettendo alcuno nellecondizioni di competere con

i colleghi anche del terzomondo, oppure privilegiare

alcuni al prezzo di trasformarela maggior parte dei docenti

universitari in semplicicomunicatori del sapere

elaborato da altri

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vorendo la formazione di eventualicentri di eccellenza. Era questa l’otticacon cui correttamente il legislatore nel1980 (DPR 382) aveva suddiviso i fon-di per la ricerca universitaria in unaquota (60%) per la ricerca di base eun’altra (40%) riservata a progetti diinteresse nazionale. Si può discutere suuna diversa distribuzione percentualedei fondi, ma non sul principio. È tra-mite il cosiddetto fondo ex-40% che ilMIUR premia attualmente progetti diricerca proposti congiuntamente da ri-cercatori appartenenti a diverse univer-sità o diversi dipartimenti, e sottopostia peer-review. Purtroppo anche questifondi non sono certo abbondanti, veri-ficandosi di frequente il caso di proget-ti giudicati ottimi dai referee anonimi(spesso stranieri) ma non finanziati acausa degli stanziamenti limitati. A nostro avviso è nel corretto bilancia-mento tra i fondi del primo tipo, de-stinati principalmente a riconoscerel’impegno, e quelli del secondo tipo, fi-nalizzati a premiare la qualità, che unpaese serio riesce a mantenere in vitauna larga base di ricercatori in continuacompetizione tra loro per fare emerge-re veri centri di eccellenza. Purtroppoquando il totale dei fondi pubblici de-stinati alla ricerca è troppo basso (inItalia lo 0.56% del PIL) non esiste al-cun criterio che possa permettere allamaggior parte dei docenti universitaridi assolvere dignitosamente ai propricompiti. Osservava recentemente ilpresidente della Conferenza dei rettoriche con i 160 miliardi assegnati dal-l’ultima finanziaria alla ricerca univer-sitaria (erano 290 nel 1998) ciascunodei circa 53.000 docenti universitaricon i suoi tre milioni potrà solo sce-gliere se comprarsi un PC o recarsi adun congresso! È ovvio che una possibi-le risposta è quella di dare 15 milioni aun docente su cinque. Ma se si trattadel minimo vitale, cosa faranno gli al-tri quattro? Se ci è lecito il paragone,facciamo notare che siamo a conoscen-za di tanti genitori che hanno fattogrossi sacrifici per mantenere all’uni-versità il proprio figlio. Ma non abbia-mo mai sentito di genitore alcuno cheabbia lasciato morire di fame quattrofigli per permettere al quinto di lau-rearsi alla Bocconi! Purtroppo è solo l’istituzione pubblicache deve finanziare la ricerca di base,quella per cui il singolo docente devepoter dare libero sfogo alla propria cu-

riosità e creatività. Non può essere cer-tamente finanziata dalle imprese, trop-po preoccupate di raggiungere applica-zioni concrete in tempi medio-brevi. Equi preferiremmo che tale finanzia-mento di base arrivasse direttamenteagli atenei con vincolo di destinazione.Attualmente infatti la ricerca di base èfinanziata direttamente con fondi diateneo (non si dica che è ricerca di ba-se quella finanziata con i fondi FIRB!).Purtroppo è normalissimo che i retto-ri, preoccupati di fornire agli studentipiù aule e una più larga offerta didat-tica, pensino a sacrificare proprio i fon-di per la ricerca che rappresentano unadelle poche voci di bilancio comprimi-bili. A titolo di esempio, i fondi di ate-neo per la ricerca di base dellaUniversità di Pisa, il cui rettore è sen-sibile ai problemi della ricerca, sonopassati dai 9,5 miliardi medi del1996/97 a 7 miliardi nel 2002 il chesignifica, tenendo conto dell’inflazio-ne, che sono diminuiti in termini rea-li di oltre il 30%. Quindi è più giustoche sia lo Stato a preoccuparsi di talespesa. È vero che con la globalizzazio-ne dei mercati e la mobilità dei ricer-catori non è più lapalissiano l’interessedel singolo Stato ad investire nella for-mazione dei ricercatori, visto che spes-so i migliori finiscono per andare al-trove (università U.S.A. o laboratori diricerca delle multinazionali). Ma se sitiene conto che il suddetto investi-mento permette di tenere comunquealto il livello medio dei ricercatori, chequesto permette a sua volta di prepara-re migliori quadri dirigenti e miglioridocenti della scuola media, i quali sa-pranno a loro volta allevare nuove ge-nerazioni in possesso di un più profon-

do spirito critico, ecco che allora rie-merge con chiarezza l’interesse delloStato a supportare la ricerca universi-taria come mezzo per raggiungere unmiglioramento complessivo del livelloculturale della nazione.Concludendo, osserviamo che pur-troppo qualunque politica di indirizzoè destinata ad essere perdente quandogli stanziamenti scendono sotto il li-mite di sopravvivenza. La scelta è tradare una elemosina a tutti, così nonmettendo alcuno nelle condizioni dicompetere con i colleghi anche del ter-zo mondo, oppure privilegiare alcuni alprezzo di trasformare la maggior partedei docenti universitari in semplici co-municatori del sapere elaborato da al-tri. A nostro avviso la tanto bistrattatadistribuzione a pioggia di qualche an-no addietro è quella che ha permessomediamente a tutte le università italia-ne di portare avanti una attività di ri-cerca forse raramente eccellente, macertamente sempre sufficiente, una at-tività che ha permesso di creare un sub-strato di professionalità distribuita sututto il territorio nazionale. Ciò, ov-viamente, fintantoché i nostri gover-nanti non hanno cominciato a istitui-re una sede universitaria in ogni pro-vincia. Se i fondi per la ricerca univer-sitaria continueranno ad essere cosìbassi, comunque si deciderà di distri-buirli, verrà disperso un esteso patri-monio di esperienza accumulata connon poca fatica.

Paolo GianniProfessore Associato presso

il Dipartimento di chimicae chimica [email protected]

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Primi esperimentidi WebTV

All’interno dell’Ufficio Comunica-zione è stato creato un gruppo di la-

voro per effettuare delle prime sperimen-tazioni di WebTv, un nuovo media chepotrebbe risultare molto efficace per la co-municazione dell’ateneo, offrendo spuntinuovi e interessanti. L’occasione è venutada un progetto della cooperativa Alfea ci-nematografica che ha organizzato, in col-laborazione con il Centro Serra e ilDipartimento di Storia delle arti, due cor-si di formazione professionale per opera-tori di Web Tv.Il primo, previsto per la fine di giugno,vuole formare tutte quelle figure profes-sionali necessarie per gestire una vera epropria televisione di rete. Gli insegna-menti affronteranno sia gli aspetti tecnici(ripresa, montaggio, web design) sia quel-li redazionali, con particolare riferimentoalle forme di scrittura ormai tipiche dellacomunicazione multimediale. Il secondoavrà un carattere prevalentemente opera-tivo. Gli allievi saranno chiamati a realiz-zare dei primi prodotti in modo da speri-mentare sul campo un primo canale tele-matico, in stretta collaborazione conl’Ufficio Comunicazione.Di WebTv si sente già parlare, ma nes-suno ha le idee molto chiare sul suo fu-turo e su quello che diventerà: molte co-se infatti sono ancora da inventare e dascoprire. Sicuramente, è possibile chequeste novità, una volta definite e strut-turate, si impongano rapidamente, co-gliendo impreparati quelli che per scetti-cismo o superficialità non le avevanoconsiderate. Per questo l'UfficioComunicazione intende effettuare unprimo studio di fattibilità su un proget-to di televisione d'ateneo, rivolgendol'attenzione ai contenuti – diffusi sia on

live (in diretta) sia on demand (su richie-sta) – che questa dovrebbe diffondere.Questa prima sperimentazione avrà un ul-teriore sbocco operativo attraverso un al-tro progetto collegato.Si tratta de “La Lampada di Galileo”, na-to dalla collaborazione tra la societàTechne del nuovo cinemateatro Lux,l’Alfea cinematografica e il Centro Serra.Obiettivo realizzare una WebTv della cittàdi Pisa, all’interno della quale far conflui-re l’esperienza maturata durante le primesperimentazioni. Anche questo progettoprevede la strutturazione di corsi, rivolti inparticolar modo alla formazione di web-content-manager. Per ora si stanno coin-volgendo le diverse realtà territoriali pisa-ne e della costa occidentale della Toscana.Queste alimenteranno i contenuti del pa-linsesto che sarà incentrato sui temi dellacultura, del turismo e delle arti. In questocontesto si inserirà il nuovo canale tele-matico dell’Università di Pisa.Come si vede i progetti in campo sono am-biziosi. Oltre a essere interessanti e impe-gnativi sul piano dei contenuti sono ancheuna sfida tecnologica ad alto livello. Infattila futura WebTv “viaggerà” sulle potentifibre ottiche del Centro Serra — oggi an-cora pù performanti grazie alla tecnologiaMPLS di Juniper Networks — che è riu-scito a creare e sviluppare una rete cittadi-na con pochi eguali in Europa. (v.l.)

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La Rassegna stampaon-line diventa nazionale

Dallo scorso mese di aprile larassegna stampa on-line

(www.unipi.it/rassegna) pubblica an-che notizie riprese dai quotidianinazionali. Queste le testate: Avvenire,Il Corriere della Sera, Il Foglio, IlGiornale, Il Manifesto, Il Mattino, Il

Messaggero, Il Sole 24 Ore, Italia Oggi,La Gazzetta del Sud, La Repubblica, LaStampa, Liberazione, LiberoQuotidiano, L’Unità, MF, Il Secolod’Italia. E inoltre dai periodici: Affari eFinanza di Repubblica, Corriere Lavoro,Corriere Salute, Famiglia Cristiana, IlVenerdi di Repubblica, Io Donna,L’Espresso, La Repubblica delle Donne,Panorama, Panorama Web, Sette (IlCorriere della Sera), Specchio (Stampa).

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I nuovi coordinatoridella didattica

Dall’11 aprile scorso ventiseicoordinatori didattici hanno

preso servizio presso le facoltàdell’Università di Pisa. Ognuno di lo-ro coordinerà uno o più corsi di laureae si occuperà di orientamento e ac-compagnamento degli studenti, dipromozione e informazione di serviziconnessi all’attività didattica, suppor-terà l’attività di progettazione e defini-zione degli obiettivi del corso di studi,coordinerà le attività di stage, la ge-stione economico-finanziaria, la valu-tazione e il monitoraggio della qualitàdell’offerta didattica e dei servizi.Ecco l’elenco dei nuovi coordinatori ei relativi corsi di laurea di cui si occu-peranno:

GIURISPRUDENZADiritto applicato: Laura Ciuccoli. Scien-ze giuridiche: Alessandra Manfredini.

SCIENZE POLITICHEScienze politiche e internazionali,Amministrazioni pubbliche e econo-mia di mercato: Marina Mazzoni.Scienze sociali, Servizio sociale:Stefano Alpini.

ECONOMIAEconomia, Amministrazione e dirittodelle imprese, Banca finanza e mercatifinanziari, Economia aziendale: RosaMedaglia. Economia e commercio,Scienze economiche, Economia del ter-ritorio e dell’ambiente, Statistica per l’e-conomia e per l’azienda: LucioMasserini.

INGEGNERIAIngegneria informatica: Angela Dini.Ingegneria elettrica, Ingegneria energe-tica, Ingegneria delle telecomunicazio-ni: Barbara Mancini. Ingegneria bio-medica, Ingegneria elettronica: MariaLetizia Ianella. Ingegneria civile del-l’ambiente e del territorio, Ingegneriaedile: Alessandra Bacci. Ingegneria ge-stionale, Ingegneria meccanica,Ingegneria della sicurezza industriale enucleare: Gionata Carmignani.Ingegneria aerospaziale, Ingegneria chi-mica: Antonella Spinosa.

LETTERE E FILOSOFIAScienze dei beni culturali: Chiara

Tarantino. Cinema musica e teatro,Filosofia: Francesca Corradi. Lettere,Storia, Informatica umanistica: SoniaBortolotto.

AGRARIA Biotecnologie agro–industriali, Gestio-ne del verde urbano e del paesaggio,Viticoltura ed enologia, Scienze agra-rie: Stefano Fanti.

SCIENZE M.F.N.Matematica, Scienze biologiche: PaolaSchiffini. Chimica, Scienze e tecnolo-gie chimiche per l’industria e per l’am-biente: Davide Rasoini. Fisica:Annalisa Simonetti. Informatica,Informatica applicata: Maria ElisaCarboni. Scienze naturali, Scienze geo-logiche: Adelio D’abramo.

FARMACIATossicologia analitica socio-ambienta-le, Controllo qualità del farmaco,

Farmacia, Chimica e tecnologie farma-ceutiche, Informazione scientifica sulfarmaco, Tecniche erboristiche: SaraMartino.

MEDICINA VETERINARIAScienze e tecnologie delle produzionianimali, Medicina veterinaria: PaolaCappellini.

LINGUE E LETTERATURESTRANIERELingue e letterature straniere: GiulianaBigongiali e Giovanna Nencioni.

INTERFACOLTÀLetterature europee per l’editoria e laproduzione culturale: GiulianaBigongiali e Giovanna Nencioni.

INTERFACOLTÀScienze e tecnologie per l’ambiente,Scienze per la pace: Sandro Bernacchi.

(b.g.)

Quanto costa Athenet?Athenet viene realizzato interamente avvalendosi di mezzi e competenze dell’ateneo.La progettazione editoriale, l’impaginazione e la grafica sono a cura dell’UfficioComunicazione, la stampa e la distribuzione sono a cura del Centro Stampa, si-tuato nel quartiere di San Giusto, negli ex-stabilimenti della tipografia Tacchi.Inizialmente situato nei locali dell’amministrazione, fu trasferito in quell’area nel1999, in modo da potenziare e migliorare la produzione. Dotato di macchine mo-derne e in grado di coprire tutte le fasi del processo di stampa, realizza molti tipidi prodotti: manifesti, depliant, diplomi di laurea, pubblicazioni e modulistica divario genere. In questo numero vogliamo rendere omaggio al preziosissimo lavorodei suoi componenti – da sinistra nella foto – Fabio Morgantini (responsabile),Patrizio Serani, Simonetta Bellucci, Antonella Coletti. Essendo “fatta in casa” ilcosto della nostra rivista è molto basso: un Euro a copia. Infatti per realizzare unnumero, stampato in 4400 copie e recapitato a domicilio a tutti i professori, ricer-catori e dipendenti dell’ateneo – nonché distribuito a tutti gli enti cittadini e agliuffici stampa di tutte le università italiane – occorrono 4431 Euro. (v.l.)

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È nata “CartaPiù”

A partire dall’anno accademico2002/2003 a tutte le nuove ma-

tricole verrà distribuita una nuova tes-sera magnetica. È CartaPiù, la primacarta universitaria che racchiude in sépiù funzioni. Oltre a essere la carta diidentificazione personale dello studen-te, sarà anche una carta di accesso ai ser-vizi universitari e potrà essere utilizzataper l’autoprestito dei libri, per accederea mensa e per usufruire di tutti gli altriservizi. Ma CartaPiù è anche una cartadi pagamento ricaricabile in grado disvolgere le normali funzioni di tipobancario. CartaPiù infatti è una “cartaprepagata ricaricabile” che consente altitolare di fare acquisti o prelevare de-naro contante. Per poterla attivare nonoccorre essere intestatari di un contocorrente bancario e questo la rende par-ticolarmente utile per gli studenti fuo-ri sede perché può essere alimentata adistanza. Ricaricarla è facile ed esistonovarie modalità: in contanti presso gli

sportelli bancari del Gruppo Bipielle,presso gli sportelli delle altre bancheconvenzionate, presso tutte le altre ban-che tramite bollettino bancario, conqualsiasi carta bancomat presso glisportelli ATM del gruppo Bipielle.L’importo minimo ricaricabile è pari a30 euro.Questa importante novità però non in-teresserà solo le matricole. Nel mese digiugno infatti cartaPiù sarà offerta atutti gli studenti iscritti ad anni succes-sivi al primo e a tutti i dipendenti del-l’ateneo. L’unica differenza è che perquesti utenti cartaPiù non sarà perso-nalizzata, cioè non conterrà la foto e legeneralità del titolare. I vantaggi peròrimangono gli stessi perché per tutti glistudenti è prevista la possibilità di uti-lizzare cartaPiù per l’accredito di borsedi studio e per eventuali rimborsi di tas-se. CartaPiù offre tutto questo a costozero. Non sono previste spese per l’atti-vazione e l’unico costo è legato alla quo-ta di ricarica.

(a.m)

Presentato un DDLsul software libero nelle PA

Presentato un Disegno di Leggein cui si fa obbligo alla Pubblica

Amministrazione di pubblicare solomateriale elettronico in formato libero(cioè non proprietario) e adottare“programmi free”. Il ddl è stato pre-sentato lo scorso 26 Febbraio dal sena-tore Fiorello Cortiana. (v.l.)

“Medici per i poveri”:un primo risultato

Si è conclusa la prima fase dell’i-niziativa di solidarietà “Medici

per i Poveri”, promossa dagli studenti diMedicina con il sostegno della fonda-zione ARPA e con il patrocinio della fa-coltà di Medicina e Chirurgia della no-stra università. Con gli oltre 30mila eu-ro raggiunti, infatti, Homero Lopez eHeidi Robles, due ragazzi andini nati evissuti nella povertà, potranno studiaremedicina e prendere servizio all’ospeda-le missionario “Mama Ashu” di Chacas.Il progetto si occuperà ora di altri duegiovani peruviani, Edison e GuisellaAmez Chavez, che chiedono di studiareOdontoiatria e Biologia e di poter suc-cessivamente lavorare nello stesso ospe-dale di Chacas. Per questo è importan-te dimostrare concretamente la propriasolidarietà, contattando il coordinatoredel progetto, Luca Morelli, al329/6272057 o versando un contribu-to presso la Cassa di Risparmio di Pisa,Ag. 3-P.zza Duomo, c/c 2301.97958,intestato “M. Campa c/Medici per iPoveri” ABI 6255, CAB 14023.(dag)

Concluso il ciclo di seminari“Arte e depressione”

Nel ridotto del Teatro Verdi di Pisa,dal 16 febbraio al 25 maggio scor-

so, si è tenuto un interessante ciclo di set-te seminari sul rapporto tra lo stato de-pressivo e la creatività artistica organizza-to dal dipartimento di Neuroscienze edall'Associazione Centro Studi eRicerche sulla Psiche Silvano Arieti. Con"L'arte di essere depressi", questo il tito-lo dell'iniziativa, ci si è proposti di af-frontare la questione del disturbo affet-tivo non tanto come una patologia di cui

liberarsi, ma soprattutto come potenzia-lità, tipicamente umana, che attinge a sta-ti dolorosi, è vero, ma spesso anchestraordinariamente fecondi dal punto divista delle arti figurative, della musica edelle lettere. Ciascun incontro si è svoltocome una sorta di conversazione a duevoci, quella dell'esperto della singola di-sciplina, un critico musicale, letterario, ouno storico dell'arte, e quella di uno psi-chiatra, psicoanalista o psicologo, i qua-li, muovendosi all'incirca nella medesimaarea, potessero mettere in luce, ciascunodalla propria prospettiva, le singolari po-tenzialità creative della depressione o sta-to malinconico. L'associazione dedicata

allo psichiatra pisano Silvano Arieti, pre-sieduta dal prof. G.U. Corsini, è di re-cente formazione. Nasce infatti a Pisa nel-l'aprile 2001 con lo scopo di diffondereil pensiero e l'opera di questo importan-te esponente della psichiatria dinamica,favorendo una collaborazione fra studio-si di formazione neurobiologica e stu-diosi di formazione psicoanalitica, e pro-muovendo iniziative volte a un continuoaggiornamento e approfondimento deinumerosi temi cui egli si dedicò, dallaschizofrenia alla creatività e al cognitivi-smo. Chi fosse interessato alle prossimeiniziative può rivolgersi alla dott.ssa RitaBruschi 050-500613. (a.a.)

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Primo esperimentodi formazione a distanza

Sta per concludersi il progetto pilotadi formazione a distanza sull’utilizzo

di prodotti informatici – ProgettoFadUNIPI – diretto al personale tecnico-amministrativo. La fase preliminare era sta-ta avviata lo scorso settembre e aveva rac-colto l’adesione di 228 persone, fra le qua-li ne furono individuate 50 per avviare lafase sperimentale. Già da tempo era stataavvertita l’esigenza di integrare le poten-zialità della formazione in aula (interatti-vità, apprendimento di gruppo), con i van-taggi della formazione a distanza (riduzio-ne di costi, flessibilità). Ecco, quindi, l’op-portunità di impiegare nuove metodologiedi formazione per soddisfare i bisogni diformazione permanente e potenziare l'in-terazione fra i partecipanti. Grazie all'uti-lizzo del servizio di mentoring (chat e postaelettronica) e ai forum gli allievi possonoinfatti confrontare in ogni momento leproprie esperienze e completare le recipro-che conoscenze. La soluzione di e-learningè stata fornita dalla Società Elea, il proget-to è stato organizzato dalla Segreteria dellaDirezione Amministrativa - U. O. D3,“Organizzazione e Formazione” con la col-laborazione del SeSI, ( Servizio per il siste-ma informativo) che ha curato l'installa-zione di "Campus" su di un server dedica-to dell'Università. L'attività di formazione

si è orientata sul potenziamento delle co-noscenze informatiche e si è articolata indue percorsi formativi: Office di base eOffice avanzato. Al personale individuatoè stato consegnato un questionario di au-tovalutazione sul livello di conoscenza pos-seduto in ambito informatico, sulla basedel quale sono stati assegnati i titoli asso-ciati ad un percorso formativo personaliz-zato da “confermare” con lo svolgimentodei test relativi. Gli allievi hanno operatoin un ambiente amichevole ed intuitivo,potendo contare costantemente sul sup-porto fornito da Elea e sull’assistenza for-nita dal personale dell’U.O.D3. Questanuova concezione di fare formazione, perla sua attualità e flessibilità, si presta a inte-ressanti sviluppi futuri anche nel campodella didattica a distanza. (a.m.)

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Venerdì 24 maggio, l'Università di Pisa ha conferito alla famosa cantante liricaMirella Freni (nella foto) la Laurea Honoris Causa in Lingue e letterature stranie-re, per aver "impersonato la voce insieme immediata e raffinata che ognuna delleciviltà europee trasmette attraverso la tradizione nazionale operistica". Nella suacarriera, Mirella Freni ha interpretato più di 40 ruoli come soprano, esibendosi neipiù celebri teatri del mondo e collaborando con le più grandi personalità della mu-sica operistica e da concerto.(dag)

Grande successoper “Imparagiocando”

Dal 9 al 29 marzo il Museo degli stru-menti di calcolo di Pisa ha ospitato,per la prima volta in Toscana, la mo-stra itinerante dell’Istituto nazionaledi fisica della materia “Frammenti diIMPARAGIOCANDO. La scienza ingioco”. Organizzata dal dipartimentodi Fisica del nostro ateneo, in collabo-razione con la Regione Toscana, ilComune e la Provincia di Pisa, l’ini-ziativa ha proposto ai visitatori di ognietà e livello culturale un approccio lu-dico al mondo della scienza e della tec-nologia.La mostra, infatti, si basa sulla con-vinzione che la natura possa essereesplorata e dunque “imparata” attra-verso l’esperienza diretta, offrendo unitinerario di giochi, curiosità ed espe-rimenti interattivi. “Matematica, fisi-ca, fisica della materia – ha conclusoMariella Zoppi, assessore alla Culturadella Regione Toscana – non sonoconcetti astratti e assai lontani da noi,ma permeano la nostra vita e la nostrastessa esistenza quotidiana. Sottolineare questo aspetto in modoal tempo stesso scientifico e diverten-te, potrebbe essere il metodo più giu-sto ed efficace per apprendere la scien-za, le sue regole e i suoi strumenti co-noscitivi”. (dag)

Professori e liberaprofessione

È stato approvato il regolamentosugli incarichi esterni a professo-

ri e ricercatori universitari. Il regola-mento mira a dare una normativachiara e generale sul conferimento diincarichi a docenti universitari a tem-po pieno da parte di soggetti (pubbli-ci o privati) esterni all’ateneo.Il regolamento è consultabile all’indi-rizzo: www.unipi.it/regolamenti.

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www.virgilio.it/extra/corriere/index.html

Questa pagina di Virgilio offre interessanti e curiose coordi-nate di guida nella Rete per gli internauti di ogni tipo. Il sitopropone un elenco di segnalazioni quotidiane, realizzate in col-laborazione con la pagina “Internet e dintorni” del Corrieredella Sera, per organizzare al meglio il proprio tempo di navi-gazione. Vengono offerte novità e curiosità di vario genere e,per ciascun suggerimento, viene indicato il tempo approssi-mativo che occorre per effettuare una visita completa del sitosegnalato, da pochi minuti a più di un’ora. Su un lato della ho-me page, l’archivio dei siti elenca tutte le segnalazioni dei me-si precedenti, con una ricca offerta di spunti di riflessione e diricerca. (c.m.)

@gendaWeb

www.Motoridiricerca.it

Il portale, inaugurato nel 1997, offre una valida guida alla scel-ta e all’uso dei motori di ricerca. La prima pagina, oltre ad uncapitolo introduttivo per i neofiti, presenta sei interessanti se-zioni per i navigatori più esperti. In esse, accanto ad una descri-zione precisa dei più importanti motori di ricerca, con articolie statistiche comparative, troviamo l’elenco completo dei link aiprincipali motori nonché l’accesso diretto alla funzione di ri-cerca. Con la sua grafica ordinata ed essenziale, questo sito per-mette di conoscere molti trucchi per ottenere i migliori risulta-ti di ricerca ed offre una vasta gamma di curiosità sull’argo-mento. Una sezione specifica spiega come registrare i siti webnei vari motori e consente l’inserimento automatico nei princi-pali search engines internazionali. (c.m.)

http://it.calendar.yahoo.com/yc/it/

Tra i tanti servizi proposti da Yahoo, segnaliamo l’agenda vir-tuale, un utile strumento per organizzare il proprio tempo inmodo semplice e pratico. Oltre a pianificare gli appuntamentisu base quotidiana, settimanale, mensile o annuale, l’agendaconsente di condividerli con amici e colleghi, oppure di creareuna specifica agenda di gruppo. Pratica la gestione degli impe-gni che, organizzati per priorità, scadenza o nome, possono es-sere rimossi dalla lista creata, una volta portati a termine. Il sitofornisce anche un utile servizio di promemoria che ricorda al-l’utente i propri appuntamenti, trasmettendoli con debito anti-cipo all’indirizzo di posta elettronica indicato. Dall’agenda cia-scuno può inviare i propri inviti ad altri utenti, che possono es-sere inseriti direttamente in altre agende Yahoo. (c.m.)

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www.bur.it/Il Bollettino Università e Ricerca è un quotidiano on-line de-dicato a tutto quanto può interessare il mondo accademico.Il portale presenta una prima sezione dedicata al mondo del-la ricerca e dell’università, in cui pubblica notizie da tutti gliatenei italiani e dagli enti di ricerca. Una seconda sezione, de-dicata ad arte, scienza e cultura, presenta invece vari argo-menti di approfondimento. Sulla home page vi è un elenco dilink alle organizzazioni sindacali e di categoria e a istituzioniquali MIUR, CRUI, CUN. Inoltre: concorsi, convegni, con-gressi e ultime notizie. Il sito contiene anche l’«Inserto infor-matico», un mensile dedicato all’information technology contutte le ultime notizie del settore. (c.m.)

www.saimicadove.itSi tratta della prima web community dedicata a chi studia aPisa. Il sito, caratterizzato da vivaci soluzioni grafiche, offre unsicuro punto di riferimento a chiunque sia alla ricerca di infor-mazioni per studiare, spendere, muoversi e mangiare in città. Lesezioni principali sono dedicate ai più importanti eventi citta-dini, agli appuntamenti cinematografici, alle migliori offerteeconomiche e soprattutto all'università. In questa sezione l'u-tente può trovare informazioni sulla riforma, i master, le sca-denze, le mense, le associazioni e il mondo universitario in ge-nere. In particolare lo spazio dedicato alla bacheca permette ditrovare contatti e occasioni per testi di studio, ripetizioni e la-voro. Il sito fornisce anche un servizio di chat e di forum per ilconfronto su temi proposti dagli studenti. (c.m.)

www.unipi.it/prometeo

Prometeo è il portale della ricerca scientifica dell’Universitàdi Pisa. Pur essendo ancora in fase di allestimento, permettedi accedere già a molte informazioni sui piani ed i progetti diricerca svolti nell’università. L’indirizzo, consultabile anche informato html, presenta una grafica semplice e funzionale. Leinformazioni sono catalogate nelle sei aree disciplinari che ca-ratterizzano l’offerta didattica. Per ognuna di esse sono elen-cati i dipartimenti di riferimento dei quali vengono forniteinformazioni generali, temi e progetti di ricerca e attrezzatu-re disponibili. I dati di Prometeo provengono dal sistemainformativo dell’Università di Pisa e sono aggiornati diretta-mente dai responsabili della ricerca. (c.m.)

www.swif.it

Il Sito Web Italiano per la Filosofia, collegato all’Università diBari, combina le funzioni di portale specializzato con quelle diuna rivista on line. Il sito offre informazioni di vario genere nelcampo delle scienze filosofiche. Tre le sezioni principali. In “qua-derni” presenta alcune pagine a tema che funzionano sia da por-tale specializzato (con una serie di link classificati e brevementerecensiti), sia da rivista, con la segnalazione di iniziative e di ma-teriale di ricerca. La sezione “rubriche” propone alcune sottoca-tegorie specializzate: un dizionario filosofico, informazioni dal-le università italiane, rassegna stampa, seminari on line e recen-sioni di libri. Infine, la sezione “strumenti” offre utili informa-zioni quali indirizzi di biblioteche, motori di ricerca specializza-ti e testi di riferimento. (c.m.)

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Finito di stampare nel giugno 2002presso il Centro stampadell’Università di Pisa

Athenet on-line: www.unipi.it/athenet

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