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DIBATTITO Associazione volontaria cristina bassi onlus Contro le Leucemie Acute dell’Adulto TAVOLA ROTONDA La terapia delle leucemie oggi Apporto alla cultura del “far ricerca” delle Borse di Studio Associazione “Cristina Bassi” Contro le Leucemie Acute dell’Adulto Sala conferenze della Fondazione Cassa di Risparmio di Genova e lmperia venerdì 27 febbraio 2004 ATTI

Atti Convegno 2004

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La terapia delle leucemie oggi Apporto alla cultura del “far ricerca” delle Borse di Studio

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D I B AT T I T O

A s s o c i a z i o n e v o l o n t a r i a c r i s t i n a b a s s i o n l u s C o n t r o l e L e u c e m i e A c u t e d e l l ’ A d u l t o

TAVOLA ROTONDA

La terapia delle leucemie oggiApporto alla cultura del “far ricerca” delle Borse di Studio

Associazione “Cristina Bassi” Contro le Leucemie Acute dell’Adulto Sala conferenze della Fondazione Cassa di Risparmio di Genova e lmperia venerdì 27 febbraio 2004

con il patrocinio di:REGIONE LIGURIA

con il contributo di: ERREDI GRAFICHE EDITORIALI di A. Pizzighello & C. S.n.c.

COMUNE DI GENOVA Università degli Studi di Genova

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con il patrocinio di:

REGIONE LIGURIA

stampato da: ERREDI GRAFICHE EDITORIALIdi A. Pizzighello & C. S.n.c.

COMUNE DI GENOVA

Università degli Studi di Genova

progetto grafico:studio gap associati

organizzazione:

A s s o c i a z i o n e v o l o n t a r i a c r i s t i n a b a s s i o n l u s C o n t r o l e L e u c e m i e A c u t e d e l l ’ A d u l t oS e d e S o c i a l e : V i a B o t t i n i 2 3 A / 1 4 - 1 6 1 4 7 G E N O V A T e l e f a x : 0 1 0 3 8 4 2 5 5 w w w . c r i s t i n a b a s s i o n l u s . i t b a s s i c r i @ t i n . i t b a s s i . c r i @ v i r g i l i o . i t

D I B AT T I TOTAVOLA ROTONDA

A s s o c i a z i o n e v o l o n t a r i a c r i s t i n a b a s s i o n l u s C o n t r o l e L e u c e m i e A c u t e d e l l ’ A d u l t o

La terapia delle leucemie oggiApporto alla cultura del “far ricerca” delle Borse di Studio

Associazione “Cristina Bassi” Contro le Leucemie Acute dell’Adulto Sala conferenze della Fondazione Cassa di Risparmio di Genova e lmperia venerdì 27 febbraio 2004

AT T I

L’Associazione “Cristina Bassi” rivolge Il più vivo ringraziamento alla Fondazione Cassa di Risparmio di Genova e Imperia

e al suo Presidente Prof. Vincenzo Lorenzelli, per l’incoraggiamento ed il sostegno ricevuto e in particolare alla Prof.ssa

Rita Testa, addetta culturale della Fondazione per i suoi preziosi consigli alla riuscita di questo dibattito.

Ringrazia calorosamente i Relatori Professori: F. Mandelli, R. Foà, M. Gobbi, A. Bacigalupo e L. Luzzatto, per la loro

partecipazione al Dibattito e la cortese collaborazione alla stesura degli Atti come pure i Borsisti Dottori: E. Biagi, S.

Gatto, E. Orsini ed E. Zino.

Ringrazia i partecipanti all’importante Dibattito fi nale della Tavola Rotonda: l’Assessore alla Salute della Regione Liguria

Ing. R. Levaggi, il Preside di Medicina e Chirurgia dell’Università degli studi di Genova Professor G. De Ferrari e i Professori

membri del Comitato Scientifi co dell’Associazione, F. Ajmar e L. Luzzatto; al dibattito si spera possa partecipare anche il

Ministro della Salute Prof. G. Sirchia.

Inoltre si desidera ringraziare per il permesso di pubblicare, a titolo pienamente gratuito alcuni articoli protetti da

copyright, in essi sono co-autori i vincitori di borse di studio dell’Associazione, sono:

1) di Ettore BIAGI e A. A. “Bystander Transfer of Functional Human CD40 Ligand from Gene-Modifi ed Fibroblasts to B-

Chronic Lymphocytic Leukemia Cells”. HUMAN GENE THERAPY v. 14 pag. 545-559 (April 10, 2003).

Copyright: Human Gene Therapy Journal

2) di Ettore BIAGI e A. A. “Induction of Antigen-Specifi c Regulatory T Cells following Overexpression of a Notch Ligand

by Human B Lymphocytes” Journal of Virology, Oct. 2003, p. 10872-10880.

Copyright: American Society for Microbiology

3) di Simona GATTO e A. A. “The proteasome inhibitor PS-341 inhibits growth and induces apoptosis in Bcr/Abl-positive

cell lines sensitive and resistant to imatinib Mesylate”. haematologica/Journal of Hematology v. 88(08) August 2003 p.

853-863.

Copyright: Journal of Hematology

4) di Enrica ORSINI e A. A. “ Expansion of Tumor-specifi c CD8+ T Clones Cell in Patient with Relapsed Myeloma after

Donor Lymphocyte Infusion”. Cancer Researh v. 63, p. 2561-2568, May 15, 2003.

Copyright: AACR American Association for Cancer Researh

5) di Elisabetta TODISCO e A. A. “Interleukin-variant (BAY 36-1677) selectively induces apoptosis in acute lymphoblastic

leukemia cells”. Blood, 1 February 2001 v. 97, number 3.

ringraziamenti

indice

Atti della tavola rotonda: La terapia delle leucemie oggi , apporto alla cultura del “far ricerca” delle borse di studioIntroduzioneVincenzo LorenzelliXanthi Macri BassiSergio BianchiPrima parte: stato dell’arte della terapia delle leucemieFranco Mandelli Overview sulla terapia delle leucemie acuteRobin Foà Ruolo della genomica e della post-genomica nell’ottimizzare i trattamenti delle leucemieMarco Gobbi I farmaci a target molecolare nella terapia delle leucemieAndrea Bacigalupo Trapianti di midollo osseoLucio Luzzatto Prospettive per l’uso effi cace del trasferimento genico nella terapia delle leucemie Seconda parte: la ricerca e le borse di studioEttore biagiSimona GattoEnrica OrsiniElisabetta ZinoArticoli pubblicati e relazioni dei borsisti dal 1994 al 2001Edoardo Rossi Zeta chain and CD28 are poorly expressed on T lymphocytes from chronic lymphocytic leuke mia”. Leukemia 1996 v. 10, p. 494-497Adriana Isaza Monitoraggio del TNF nei pazienti sottoposti a TBIEnrica Orsini Conversion to full donor chimerism following donor lymphocyte infusion is associated with disease response in patients with multiple myeloma (abstract)Enrica Orsini Changes in T cell receptor repertoir associated with graft-versus-tumor effect and graft-versus- host disease in patients with relapsed multiple myeloma after donor lymphocyte infusionEnrica Orsini Expansion of Tumor-specifi c CD8+ T Clones Cell in Patient with Relapsed Myeloma after Do nor Lymphocyte InfusionGiulio Palmisano Trattamento dei pazienti affetti da leucemia linfatica cronica e linfomi non Hodgkin ad alto rischio tramite cellule leucemiche autologhe geneticamente manipolate con il gene per IL -2 e stimolate tramite il CD40Elisabetta Todisco Interleukin-variant (BAY 36-1677) selectively induces apoptosis in acute lymphoblastic leukemia cellsVittorio Montefusco Correlazione tra la risposta clinica alla terapia con interferone a ed i livelli intracellulari del trascritto chimerico bcr-abl, tipico della leucemia mieloide cronicaM. Teresa Corsetti Monitoraggio quantitativo del gene ibrido BCR-ABL tecnica più sensibili per monitorare la malattia residua manima (MRD)Lorenza Peirano Metodiche di dimostrazione del chimerismoIole Ribizzi Utilizzo di Amifostina come fattore di crescita e agnete antimutageno nella terapia ad alte dosi seguita da trapianto di cellule periferiche (PBSCS)Barbara Bruno Comparison of allogeneic bone marrow and peripheral blood stem cell transplantation for Aplastic Anemia: Collaborative Study of European Blood and Marrow Transplant Group (EBMT) and International Bone Marrow Transplant Registry (IBMTR) (abstact)Simona Gatto The proteasome inhibitor PS-341 inhibits growth and induces apoptosis in Bcr/Abl-positive cell lines sensitive and resistant to imatinib MesylateElisabetta Zino Caratterizzazione di antigeni minori di istocompatibilità e il loro ruolo funzionale nel trapianto di midollo osseo allogenicoSabina Chiaretti Valutazione dell’espressione genica nelle leucemie acute linfoidi dell’adulto utilizzando la tecnica dei microarraysSabina Chiaretti Gene expression profi ling nelle leucemie acute linfoidi (LAL) dell’adulto: risultati e studi futuri

Ettore Biagi Bystander Transfer of Functional Human CD40 Ligand from Gene-Modifi ed Fibroblasts to B- Chronic Lymphocytic Leukemia CellsEttore Biagi Expansion of Tumor-specifi c CD8+ T Clones Cell in Patient with Relapsed Myeloma after Do nor Lymphocyte Infusion

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Atti della tavola rotonda: La terapia delle leucemie oggi, apporto alla cultura del “far ricerca” delle borse di studio

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introduzione

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Sono molto lieto di porgere il saluto più cordiale agli illustri partecipanti a questo

convegno.

L’odierno dibattito si inserisce nel quadro delle attività di sostegno istituzionale che la

Fondazione svolge nel settore della ricerca scientifi ca in campo sanitario.

Come è noto, infatti, l’Associazione Cristina Bassi, nata nel 1993 con l’obiettivo primario di

contribuire alla lotta per le leucemie acute dell’adulto, permette a giovani medici ematologi,

oncologi e biologi impegnati nell’ambito dell’ematologia di fare delle esperienze in Centri

di eccellenza europei o americani per poi reinserirsi in teams italiani di ricerca clinica o di

base, con una maggiore qualifi cazione.

La Fondazione, nel corso di questi primi dieci anni di attività dell’Associazione, ha concesso

delle borse di studio per giovani ricercatori prevalentemente liguri, nella convinzione che

questa offerta culturale potesse effi cacemente avere delle ricadute sul territorio, creando

sinergie e dialogo con le diverse istituzioni medico – sanitarie e di ricerca.

Ritengo quindi, molto importante la rifl essione sulla reale utilità di questa offerta formativa

e sulle proposte e sui suggerimenti che emergeranno dal dibattito e dalle relazioni dei

benefi ciari delle borse.

Concludo sottolineando la grande attenzione che la Fondazione ha riservato e continua

a riservare alle sperimentazioni di base, in campo biomedico, e agli studi in grado di favorire

nuove applicazioni diagnostiche e terapeutiche dai quali dipendono i futuri sviluppi della

medicina a servizio dell’uomo.

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Dal 1993, all’atto della sua costituzione, l’Associazione “Cristina Bassi” nel ricordo di

Cristina e di tanti altri giovani morti di leucemia, ha creduto di poter aiutare altri pazienti di

questa patologia orientandosi verso scelte molto precise. Il 2004, anno di Genova Capitale

Europea di Cultura, coincide con il decennale dell’offerta culturale dell’Associazione che

essenzialmente cerca di promuovere un ampliamento dell’esperienza scientifi ca di giovani

medici o biologi, impegnati nel campo di Onco-ematologia, offrendo borse di studio per

l’estero. Questo obiettivo prioritario che la caratterizza, si concretizza fornendo il sostegno

economico per una frequenza lavorativa all’estero, nel campo della ricerca sulle emopatie

maligne, presso Centri di eccellenza. Un concorso annuale esteso a tutto il territorio

nazionale per una o più borse di studio permette di individuare i candidati migliori grazie

al Comitato Scientifi co dell’Associazione, composto da note Personalità del campo medico.

Quanto sopra non ha escluso che l’Associazione abbia contribuito, in questi anni, ad altri

tipi di sostegno di particolari programmi dedicati alla ricerca, a favore di Centri liguri di

onco-ematologia. L’indirizzo sino ad oggi seguito è fondato sul convincimento che un

soggiorno di lavoro all’estero costituisca un’opportunità diversa per i giovani studiosi. Nuovo

ambiente, nuove abitudini molto probabilmente una diversa organizzazione del lavoro con

in più la necessità di praticare un’altra lingua. Comunque la ragione predominante della

scelta fatta è la consapevolezza che in Italia ci sia, per ora, meno possibilità di sviluppare

la ricerca rispetto all’estero e soprattutto rispetto agli U.S.A.; ne risulta che un’ esperienza

all’estero signifi ca spesso qualcosa di innovativo. Bisogna aggiungere, per quanto riguarda

in particolare gli U.S.A., che i giovani borsisti valutati meritevoli, hanno la possibilità di

protrarre la loro esperienza con fi nanziamenti locali, con evidente ulteriore vantaggio per

il lavoro in team italiani, al loro rientro. In Italia esistono Centri di Ematologia di altissimo

livello che seguono per la terapia delle leucemie metodi attualissimi, ma l’avvio di molti

procedimenti terapeutici innovativi ha avuto inizio all’estero, il più importante sicuramente

il T.M.O., a Seattle, che ha visto premiato da un nobel il suo scopritore, Edward Donald

Thomas. Il T.M.O. è stato applicato per la prima volta proprio a Genova dal team del Prof.

Alberto Marmont nel 1976. L’Associazione ha attribuito a tutto il 2003, diciannove borse

di studio, di cui nove a candidati liguri, per una somma complessiva di 450.000.000 milioni

di lire (€ 233.000); ogni borsa prevede un periodo di permanenza all’estero da sei a nove

mesi. Oltre i fi nanziamenti relativi alle borse altri interventi effettuati nell’ambito genovese

introduzione

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introduzione

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hanno portato a un impegno di ben oltre il mezzo miliardo di lire. L’Associazione “Cristina

Bassi” pur avendo carattere prettamente locale, grazie alla sua specifi ca attività è ormai

nota in tutt’Italia nel campo ematologico. La realizzazione del programma dell’Associazione

è stata resa possibile grazie ai contributi di Soci e amici ma soprattutto va sottolineato

l’aiuto determinante della Fondazione Carige che condividendone l’indirizzo ha offerto

sette borse di studio e attualmente sostiene e ospita il presente dibattito. Il dibattito oltre

ad una esposizione delle possibilità odierne della cura delle leucemie, offre l’occasione

ad alcuni dei borsisti di esporre la loro esperienza e nello stesso tempo vuol essere fonte

di aggiustamenti, proposte o idee per non disperdere l’esperienze acquisite con le borse

di studio; il tutto nella speranza che uno o più borsisti possano diventare in futuro un

riferimento per l’Ematologia italiana.

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Nei 25 anni della sua attività la sezione ligure dell’AIL è riuscita a realizzare numerosi interventi

a sostegno di ambiziosi progetti che hanno riguardato diversi comparti dell’Ematologia

genovese. In uno spirito di stretta collaborazione con il Centro di Ematologia dell’Ospedale

Regionale San Martino di Genova il suo intervento è consistito oltre al fi nanziamento di

reparti o blocchi adibiti ad uso Day-Hospital o laboratori, all’acquisto di apparecchiature

o strumenti vari indispensabili al funzionamento di questi ultimi. Inoltre l’AIL ha potuto

sostenere un notevole numero di borse di studio a giovani laureati per permettere loro di

approfondire gli studi e collaborare con la struttura ospedaliera.

Tutto quanto sopra grazie anche alla collaborazione di centinaia e centinaia di volontari

che si attivano durante le manifestazioni per la vendita delle Stelle di Natale e le Uova di

Pasqua e di tutte le altre Associazioni attive nello stesso settore.

Ricordiamo in seguito dettagliatamente gli interventi sopraccennati:

La realizzazione di un Nuovo Blocco di Laboratori destinati alla manipolazione genetica ed

alla terapia genetica inaugurato il 9 Aprile 2003.

La realizzazione del nuovo Day-Hospital del Centro di Ematologia dell’Ospedale San

Martino di Genova.

La realizzazione delle camere sterili per il reparto DI.M.I dell’Ospedale San Martino di

Genova.

La realizzazione, in corso di fi nitura in questi gironi, del nuovo Day-Hospital per il

dipartimento DI.M.I dell’Ospedale San Martino di Genova.

L’acquisto di macchinari di avanguardia e di attrezzature indispensabili quali:

L’acquisto di un refrigeratore per cellule staminali.

L’acquisto di un citofl uorimetro per la messa a punto sui vaccini antitumorali.

L’acquisto dell’attrezzatura per lo studio quantitativo della malattia minima residua.

L’acquisto di un microscopio.

L’acquisto di un ecografo.

Ricordiamo da ultimo che da anni funziona una residenza che noi abbiamo allestito ed

attrezzato per accogliere i malati in attesa del trapianto del midollo osseo, residenza che

accoglie soprattutto coloro che non hanno i mezzi economici e fi nanziari per sopperire a

tutte le spese che conseguono alla malattia.

Concludendo, speriamo di reperire anche in futuro, con l’aiuto di tutti i soggetti che hanno

collaborato alle nostre iniziative, quei fondi che sono serviti a realizzare i nostri progetti e

serviranno per il futuro a farne realizzare altri.

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stato dell’arte della terapia delle leucemie

primaparte

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Overview sulla terapia delle leucemie acute

Nella terapia delle leucemie acute si sono avuti negli ultimi 30 anni miglioramenti che in

alcune varietà consentono di ottenere la guarigione nella maggioranza dei casi.

I progressi ottenuti sono dovuti a svariati fattori:

1) ad una migliore caratterizzazione delle diverse varietà con una diagnosi ed una

prognosi più precise che comportano una terapia più specifi ca e più effi cace

2) ad una defi nizione più accurata dello stato di remissione della malattia

3) all’impiego di più farmaci in associazione con un potenziamento dell’attività

antileucemica

4) all’utilizzo di farmaci più specifi ci che colpiscono in prevalenza le cellule leucemiche

risparmiando le cellule normali

5) all’impiego di chemioterapie intensive in associazione con l’infusione di cellule

staminali autologhe

6) al sempre più diffuso e mirato utilizzo del trapianto allogenico con regimi di

condizionamento più o meno intensivi e con cellule staminali ottenute non solo da

familiari compatibili ma anche da donatori volontari non correlati e dal sangue di

cordone ombelicale

Verranno presentati i risultati consolidati della terapia della leucemia acuta promielocitica

e i primi risultati ottenuti con un anticorpo monoclonale nella terapia della leucemia

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stato dell’arte della terapia delle leucemie

primaparte

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Ruolo della genomica e della post-genomica nell’ottimizzare i trattamenti delle

leucemie

E’ sempre più evidente come oggi per una ottimale gestione dei pazienti portatori di neoplasie

ematologiche sia indispensabile un approccio integrato biologico-clinico. Una ematologia

di primo livello non può prescindere dal supporto in loco di laboratori, competenze e

tecnologie di pari livello. Questo al fi ne di porre una diagnosi rapida e precisa, di permettere

una accurata diagnosi differenziale, di allestire una stratifi cazione prognostica (su base

biologica) alla diagnosi, di scegliere la terapia più indicata e di monitorizzare la malattia

residua minima durante il decorso clinico. Oggi, in emato-oncologia diversi protocolli di

terapia sono disegnati e modulati sulla base di fattori prognostici alla diagnosi e sulla base

della presenza o assenza di malattia residua minima. Infi ne, sono oggi una realtà terapie

intese a correggere un difetto specifi co associato ad una determinata patologia (per es.

l’acido retinoico nelle leucemie promielocitiche) ed il Glivec (Imatinib) per pazienti con

leucemia mieloide cronica e leucemia linfoide acuta Ph+. Quindi il sogno di terapie mirate

ed individualizzate sulla base di criteri oggettivi (e quantifi cabili) sta oggi diventando una

realtà in ematologia.

In questo scenario in rapidissima evoluzione, si sono recentemente associate le tecniche di

analisi genomica (microarray) intese a valutare simultaneamente l’espressione di migliaia

geni su un singolo campione. Il fi ne di questo rivoluzionario approccio, che deriva dai

programmi sul genoma umano, è una migliore caratterizzazione delle cellule neoplastiche

alla diagnosi, la defi nizione di geni associati ad una prognosi favorevole o sfavorevole ed

alla risposta o resistenza alla terapia, e, soprattutto, l’identifi cazione di geni bersaglio di

nuove terapie specifi che. Sono già disponibili dati che indicano come queste tecnologie

innovative potranno avere un profondo impatto sull’inquadramento dei pazienti.

Tutto ciò è oggi una realtà che sta gradualmente conducendo ad una sempre maggiore

personalizzazione della diagnosi, della prognosi e della terapia. I risultati che derivano

dall’estendersi della ricerca traslazionale (“from the bench to the bedside”), le tecnologie

sempre più raffi nate e lo sviluppo di terapie innovative non possono non indurre

all’ottimismo. L’unica incertezza è legata alle sempre maggiori risorse necessarie per uno

sviluppo adeguato e capillare di tutti questi avanzamenti biologici e clinici.robi

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stato dell’arte della terapia delle leucemie

primaparte

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I farmaci a target molecolare nella terapia delle leucemie

Lo straordinario sviluppo della genetica e della biologia molecolare ha portato, assieme

alla comprensione degli intimi meccanismi patogenetici di numerose oncoemopatie, allo

sviluppo di quella branca terapeutica che va sotto il nome di “targeted therapy” ossia quella

forma di trattamento che utilizza nuovi composti capaci di interferire con funzioni cellulari

specifi che dipendenti dalla alterazione genica della malattia, oppure capace di colpire

solo alcune popolazioni cellulari in virtù della loro confi gurazione antigenica. Il risultato

è di disporre di forme terapeutiche estremamente effi caci e specifi che per il target e nel

contempo scarsamente o per nulla tossiche nei confronti delle altre componenti cellulari.

Lo sviluppo di questo capitale della medicina moderna è particolarmente veloce tanto che

ormai le forme terapeutiche nuove possono essere suddivise in differenti categorie.

A) Farmaci che interferiscono con i meccanismi di traduzione dei segnali intracellulari.

B) Anticorpi monoclonali liberi o coniugati

C) Immunomodulanti e inibitori dell’angiogenesi.

In campo ematologico esistono ormai risultati consolidati in tutte le categorie; basti

citare l’inibitore della tirosina chinasi nella leucemia mieloide cronica, la talidomide nel

mieloma multiplo, l’anticorpo monoclonale anti CD 20 nei linfomi B. Se questi fungono da

capostipiti, sono numerosi ormai i preparati vicini alla registrazione o in avanzata fase di

sperimentazione e tra questi l’inibitore del proteosoma, l’inibitore della formesil transferasi,

i vari coniugati anticorpali. In questo capitolo, ma attraverso una via opposta, rientra a

pieno titolo il trattamento della leucemia acuta a promielociti con acido retinoico, scoperto

casualmente dagli ematologi dell’Università di Shangai e successivamente spiegato dagli

studi francesi e italiani. Il nuovo secolo si è aperto con alcune grandi novità che costituiscono

solo l’assaggio della nuova realtà che andrà concretizzandosi nei prossimi anni.

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stato dell’arte della terapia delle leucemie

primaparte

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Trapianto di midollo osseo

La mortalità legata al trapianto (TRM) è un problema non risolto in pazienti sottoposti

a trapianto di midollo osseo (TMO). Nel corso degli ultimi 20 anni abbiamo modifi cato

in modo signifi cativo i protocolli trapiantologici nel tentativo di prevenire e/o trattare le

complicazioni più frequenti: malattia trapianto contro ospite (GvHD), infezioni, tossicità

d’organo. Abbiamo ora voluto verifi care se tali modifi che hanno prodotto una riduzione

della mortalità in 4 periodi separati (<1990, 1991-95, 1996-2000, 2001-2002). Abbiamo

studiato 1180 pazienti sottoposti a trapianto allo genico per empatie maligne (leucemie,

linfomi, mielosi, mielofi brosi, mielodisplasia). Nei quattro periodi abbiamo assistito ad

un aumento dell’età dei pazienti da una mediana di 27 ad una mediana di 37 anni; vi è

stato un aumento dei trapianti da donatori alternativi (da 5% a 50%) ed un aumento dei

trapianti per malattia in recidiva (da 24% a 43%).

La GvHD acuta grado III-IV si è ridotta da 18% al 5%, mentre la cronica è stabile al 25%.

La TRM si è ridotta dal 42% al 28% globalmente. Per i pazienti sottoposti a TMO in

remissione la riduzione è stata da 40% a 12%, (p<0.00001) mentre in recidiva la riduzione

è più contenuta ( da 50% a 49%, p=ns). Questo perchè nei pazienti in recidiva persistono

problemi legati ad infezioni ed a tossicità.

La sopravvivenza è aumentata nei pazienti in remissione dal 37% al 72%, p<0.0001)

mentre per quelli in recidiva dal 22% al 29%, p=0.1. La TRM attuale (2001-2002) per

pazienti in remissione è 4% per TMO da fratelli HLA identici e 23% per TMO da donatori

trapianti alternativi.

In conclusione: la TRM è stata ridotta in modo signifi cativo, nonostante un aumento della

età dei pazienti, dei trapianti alternativi, delle malattie avanzate. La riduzione della TRM

è molto evidente nei pazienti che giungono al trapianto in fase di remissione. Per quelli

che giungono con malattia in atto, le pregresse infezioni e la tossicità legata alla molta

chemioterapia eseguita causa infezioni letali e tossicità multiorgano, limitando il successo

del trapianto.

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Prospettive per l’uso effi cace del trasferimento genico nella terapia delle leucemie

Per trasferimento genico si intende l’introduzione deliberata di un gene in una cellula, in

modo tale che il gene possa poi essere espresso in quelle cellule in modo temporaneo o

permanente. Per scopi di ricerca il trasferimento genico viene usato da anni; un’idea più

ambiziosa è di usarlo a scopo terapeutico, e in vista di questo scopo è stato coniato il

termine “terapia genica”. Dopo un ventennio di esperimenti su animali, la terapia genica è

stata di recente applicata fi nalmente con successo (all’Ospedale Pediatrico Necker di Parigi

e all’Ospedale San Raffaele di Milano), per il trattamento di bambini con gravi malattie

ereditarie del sistema immunitario.

Anche se le procedure necessarie sono indubbiamente di alta tecnologia, il principio base

della terapia genica è relativamente semplice nel caso di molte malattie ereditarie. Infatti,

queste sono spesso dovute al defi cit di una proteina, derivante a sua volta dal fatto che

una mutazione ereditaria inattiva un determinato gene. L’intervento terapeutico consiste

nell’introdurre il corrispettivo gene normale nelle cellule interessate dalla malattia (nel

caso citato nei linfociti o nelle cellule staminali dalle quali i linfociti derivano). Se il gene

è adeguatamente espresso (nei casi che abbiamo citato è espresso in modo permanente,

poiché il gene è inserito nel DNA delle cellule del paziente) il defi cit che causava la malattia

viene corretto.

Il problema è notevolmente più diffi cile per quanto riguarda la leucemia, poiché in generale

questa è dovuta non a un defi cit, ma piuttosto ad un eccesso: infatti, mutazioni acquisite

(anzichè ereditarie) presenti nelle cellule leucemiche conferiscono a queste la proprietà

di crescere fuori controllo. Pertanto, per correggere l’anomalia delle cellule leucemiche

occorrerebbe, in teoria, trasferire un gene che abbia caratteristiche molto particolari: vale

a dire, la capacità di sovrastare l’effetto dei geni mutati nella leucemia, riportando sotto

controllo la loro eccessiva proliferazione. Inoltre, sarebbe necessario riuscire a introdurre

questo ipotetico gene “super-regolatore” nel 100% delle cellule leucemiche.

Attualmente un approccio frontale di questo genere non è realistico. Peraltro, per aggirare

un problema così diffi cile si stanno sviluppando strategie alternative, e ne verranno

illustrati due esempi. (1) Controllo della Graft versus host diseases (GVHD) dopo trapianto

di cellule staminali emopoietiche (HSCT). HSCT fa parte di molti protocolli terapeutici per la lucio

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stato dell’arte della terapia delle leucemie

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leucemie mieloide cronica e per altre leucemie e, insieme con la chemioterapia, può portare

alla guarigione. Tuttavia, un fattore limitante all’uso di HSCT è la GVHD, una complicanza

che può essere anche mortale. Ebbene, è possibile introdurre nelle cellule responsabili della

GVHD, i linfociti T, un gene (ad esempio quello che produce una timidina cinasi virale,

HSVTK) che non ne altera le funzioni, ma che le rende vulnerabili all’uso di un farmaco:

in questo caso il ganciclovir. Dopo il trapianto, se la GVHD si proclama grave, può essere

rapidamente terminata somministrando ganciclovir. (2) Approcci immunologici. In molti casi

le cellule leucemiche hanno antigeni specifi ci che potrebbero renderle vulnerabili al sistema

immunitario del paziente: ma la risposta immunitaria risulta ineffi cace poiché le cellule

leucemiche non sono buone “presentatrici” di tali antigeni. Attraverso il trasferimento

genico i geni corrispondenti a questi antigeni possono essere deliberatamente introdotti

in altre cellule, ben più effi caci delle cellule leucemiche nel presentare gli stessi antigeni:

in questo modo artifi ciale si potrebbe sfruttare in modo ottimale la capacità naturale del

sistema immunitario di distruggere cellule anormali.

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la ricerca e le borse di studio

seconda parte

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Il sottoscritto Ettore Biagi si trova presso il “Center for Cell and Gene Therapy” del Texas

Children Hospital/Baylor College of Medicine, sotto la direzione del Prof. Malcolm K.

Brenner, in un programma di ricerca sull’immunoterapia di patologie oncologiche infantili

e dell’adulto.

La maggiore attività svolta all’interno di tale centro di ricerca è volta creare, tramite

manipolazione genetica delle cellule tumorali, un effi cace “vaccino anti-cancro”, capace di

stimolare una risposta immunologia specifi ca in vivo nel paziente malato stesso.

Il progetto che sto personalmente seguendo, riguarda l’applicazione clinica di un protocollo

di immunoterapia nell’ambito della leucemia linfatica cronica dell’adulto: tramite l’uso

di vettori adenovirali e della linea cellulare umana MRC-5, è possibile manipolare

geneticamente la cellula leucemica in modo che esprima le molecole CD40 Ligando

(CD40L) ed Interleuchina-2 (IL-2), capaci a loro volta di stimolare una risposta immunologica

specifi ca. Tale popolazione tumorale così modifi cata verrebbe quindi iniettata in sede

sottocutanea, nei pazienti in presenza di malattia o in fase di remissione, in un protocollo

clinico sperimentale di fase 1. Scopo primario di tale protocollo sarà la valutazione della

tossicità di tale procedure, mentre come end-point secondario è prevista una valutazione

della risposta immunologica ed eventualmente clinica dei pazienti trattati. Tale protocollo

clinico è stato approvato dall’FDA, 6 vaccini sono stati effi cacemente prodotti e due pazienti

hanno già iniziato lo schema vaccinale per un totale di 9 iniezioni.

Tale approccio di immunoterapia anti-tumorale si è appena concluso anche nell’ambito

delle leucemie acute del bambino e dell’adulto, sempre tramite la combinazione delle

molecole IL-2 e CD40L. A tal proposito (a conclusione dello studio che ha arruolato 12

pazienti, tra adulti e bambini), sono stati recentemente presentati i dati preliminari della

risposta immunologica di tali pazienti, vaccinati in fase di remissione di malattia, per lo piu`

dopo di trapianto di midollo osseo: è stato possibile evidenziare, nel sangue periferico della

maggior parte di tali pazienti, una quota di cellule del sistema immunitario specifi camente

attivate contro le cellule leucemiche, così come la presenza di anticorpi plasmatici capaci di

legare le cellule leucemiche stesse.

In conclusione, pur rimanendo tutt’oggi incerto il reale impatto clinico di tali approcci di

immunoterapia nell’ambito delle leucemie, rimango tuttavia convinto della assoluta unicità

e bellezza, per giovani medici come me, di tali esperienze di ricerca all’estero.

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seconda parte

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La mia attività di ricerca è stata tesa allo studio in vitro di nuovi farmaci per la cura della

leucemia mieloide cronica, in linee resistenti all’ imatinib mesylate, che, in quanto inibitore

specifi co della attività tirosinochinasica codifi cata dal trascritto bcr-abl, rappresenta

a tutt’oggi il “gold standard” della terapia. Nonostante ciò, la resistenza al farmaco

rappresenta un problema emergente e di non facile risoluzione. Nel laboratorio del

dott. Beran, del Leukemia Department dell’MD Anderson Cancer Center, dove ho

avuto la possibilità di lavorare per circa un anno, grazie al sostegno della borsa di studio

dell’Associazione “Cristina Bassi”, siamo riusciti a sviluppare linee cellulari di leucemia

mieloide cronica, derivate da pazienti in crisi blastica, resistenti all’imatinib mesylate. In

particolare, queste linee resistenti sembravano presentare gli stessi meccanismi di resistenza

che erano stati riscontrati in vivo, nei pazienti, offrendo un valido modello in vitro per

l’ulteriore studio e comprensione di tali meccanismi e per lo sviluppo di nuovi farmaci. Tra

questi ultimi, particolare attenzione è stata posta ad un farmaco appartenente alla classe

degli inibitori dei proteasomi, denominato PS341, di cui abbiamo studiato gli effetti come

singolo agente ed in combinazione con l’imatinib mesylate (IM). Gli effetti del farmaco sulla

crescita cellulare sono stati determinati usando l’MTT assay. L’analisi del ciclo cellulare è stata

effettuata mediante colorazione con propidio iodato. L’apoptosi è stata valutata attraverso

la misurazione del contenuto di DNA in sub-G1, il legame dall’ Annessina V, e l’attività della

caspasi 3. I livelli di proteine apoptotiche, P-I B , Bcr/Abl, e P-Bcr/Abl sono stati determinati

attraverso western blotting. L’attività dell’NF-B è stata valutata con electromobility gel shift

assays. Il PS-341 ha dimostrato di avere effetti inibitori sulla crescita di cellule sensibili e

resistenti ad imatinib mesilate. Questo fenomeno correlava con l’accumulo delle cellule in

fase G2/M del ciclo cellulare; transiente downregulazione della DNA binding activity di NF

B; downregulazione di Bcl-xL; attivazione della caspasi 3, induzione di apoptosi; inibizione

dell’espressione e fosforilazione di Bcr/Abl. La combinazione sequenziale di PS-341 e IM

ha dimostrato attività sinergistica pro-apoptotica in cellule sensibili a IM; l’esposizione

simultanea è risultata antagonistica. Per concludere, si può dire di aver dimostrato che il PS-

341 inibisce la crescita ed induce apoaptosi in cellule Bcr/Abl-positive. Il PS-341 dovrebbe

essere studiato in quei pazienti con CML resistente a IM.

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seconda parte

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Nel 1996, con una Borsa di Studio offerta dall’Associazione Cristina Bassi, mi sono recata

negli Stati Uniti, presso il Dana-Farber Cancer Institute, nei laboratori diretti dal Prof. Jerry

Ritz. Il Dana-Farber è un‘Istituto per la Ricerca sul Cancro, affi liato della Harvard Medical

School ed il Prof. Ritz dirige un gruppo di ricerca orientato allo studio del riconoscimento

immunitario delle neoplasie ematologiche, specie in ambito allogenico. Durante i quasi 4

anni della mia permanenza, mi sono occupata della ricerca di antigeni tumorali responsabili

delle risposte osservate in pazienti affetti da mieloma multiplo (MM) recidivati dopo

trapianto allogenico di midollo osseo e trattati con l’infusione di linfociti del donatore (DLI).

A questo scopo ho utilizzato una tecnica di biologia molecolare, allora piuttosto alla moda,

in grado di analizzare la diversità del T cell receptor (TCR) nella popolazione T linfocitaria

circolante. La metodica permette di identifi care, tramite una serie di reazioni di PCR,

eventuali espansioni clonali presenti in circolo, indice di una risposta antigenica specifi ca.

Il lato debole della tecnica, come spesso accade con la biologia molecolare, consiste nel

dare un’informazione che richiede poi molto più lunghi e complicati studi di immunologia

cellulare per essere confermata ed interpretata. Nel caso dello studio del repertorio del TCR,

i cloni T da me identifi cati nel sangue periferico dei pazienti con mieloma studiati hanno poi

richiesto ancora buona parte dei miei 4 anni di ricerca per essere isolati in vitro e studiati

nella loro specifi cità antigenica. Alla fi ne, ho potuto comunque dimostrare che cloni T

specifi ci anti-mieloma sono, almeno in parte, responsabili delle risposte alla DLI osservate

nei pazienti con MM, fornendo così una base concettuale alla possibilità di separare l’effetto

anti-mieloma della DLI dall’effetto di graft-versus-host. La laboriosità di questa ricerca, a

fronte della relativa facilità con cui le informazioni sul TCR possono essere ottenute, spiega

in parte la perdita di popolarità di questa tecnica, negli ultimi anni un po’ meno utilizzata.

Inoltre, dovrebbe invitare a rifl ettere sui nuovi mezzi molecolari, in grado di fornire una

gran messe di informazioni, come la stessa genomica dei microchip, informazioni che

richiederanno probabilmente anni ed il lavoro di molti ricercatori per essere correttamente

interpretate e sviluppate.

Nel dicembre del 1999, ho deciso di tornare in Italia.

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seconda parte

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Il trapianto di midollo osseo (TMO) è la terapia di prima scelta per diverse neoplasie

ematolgiche quali le leucemie, i linfomi e il mieloma multiplo. L’effetto terapeutico del

TMO è in gran parte dovuto alla capacità dei linfociti T del donatore di mediare una

risposta immune contro le cellule tumorali (effetto graft versus leukemia: GvL). L’infusione

di linfociti del donatore (DLI) è infatti in grado di curare recidive di malattia clinicamente

documentate. Nei TMO da donatore identico per gli antigeni del complesso maggiore di

istocompatibilità (antigeni HLA), gli antigeni bersaglio dei linfociti T mediatori della GvL

sono costituiti dagli antigeni minori di istocompatibilità (mHags). I mHags sono peptidi

derivati da proteine polimorfi che, con variazione della sequenza aminoacidica fra un

soggetto e l’altro, che possono essere riconosciute dai linfociti T di un soggetto negativo

per l’mHag in questione. Il riconoscimento, da parte dei linfociti T del donatore, di mHags

espressi dai tessuti sani del paziente, porta alla temuta malattia del trapianto contro l’ospite

(GvHD), una delle cause principali di mortalità dopo TMO. Il riconoscimento di mHags

espressi dalle cellule leucemiche porta invece alla GvL. L’identifi cazione di mHags espressi

esclusivamente da cellule leucemiche o per lo meno da cellule del sistema ematopoietico

è quindi di fondamentale interesse per poter sfruttare in modo selettivo l’effetto GvL della

DLI, controllando i rischi della GvHD.

La prima caratterizzazione molecolare degli mHags è avvenuta negli anni ’90 nel laboratorio

della Prof. Els Goulmy di Leiden, Olanda, presso il quale è stato svolto lo stage della d.ssa

Zino fi nanziato dall’Associazione Cristina Bassi. Ad oggi sono stati identifi cati da questo

gruppo due mHags espressi in maniera specifi ca solo su cellule del sistema ematopoietico:

HA-1 e HA-2, peptidi polimorfi ci presentati da molecole HLA di classe I del tipo HLA-A2.

Durante lo stage presso il laboratorio di Leiden, la d.ssa Zino ha eseguito degli studi atti

alla ricerca di linfociti T specifi ci per il mHag HA-1, presentato da molecole HLA di classe

II. Inoltre, ha appreso le principali tecniche e protocolli di biologia cellulare e molecolare

per l’isolamento e la caratterizzazione dei mHags noti. Al suo ritorno, ha messo a punto

il sistema per la ricerca biomolecolare del polimorfi smo HA-1 e HA-2 tramite reazione

polimerasica a catena (PCR); questo metodo verrà ora applicato alle nuove coppie arruolate

per il TMO presso l’Unità Trapianto dell’Ospedale San Raffaele di Milano allo scopo di

valutarne una possibile correlazione con l’andamento clinico. Possibili correlazioni saranno

cercate anche in uno studio retrospettivo già in corso. I casi clinici più signifi cativi saranno

approfonditi allo scopo di identifi care di nuovi antigeni minori e/o nuovi elementi HLA di

restrizione.

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NOTE

Per i seguenti due articoli è stato acquistato il diritto di ripubblicazione nelle 500 copie degli Atti.

1) di Enrica ORSINI e A. A. “Changes in T cell receptor repertoir associated with graft-versus-tumor effect and graft-versus-host disease

in patients with relapsed multiple myeloma after donor lymphocyte infusion”. Bone Marrow Trasplantation (2000) v. 23, 623-632.

Copyrigth: The Nature Publishing Group.

2) di Edoardo ROSSI e A. A. “Zeta chain and CD28 are poorly expressed on T lymphocytes from chronic lymphocytic leukemia”.

Leukemia 1996 v. 10, p. 494-497”.

Copyrigth: The Nature Publishing Group.

BORSE DI STUDIO ASSEGNATE DAL 1994 AD OGGI

1994 Edoardo Rossi Genova Londra - Gran Bretagna -Al Royal Marsden hospital Progetto: Studio delle molecole di trasduzione del segnale nei T linfociti delle malattie linfoprolirerative croniche. 1995 Adriana Isaza Genova Monaco - Germania Klinikum Grosshadern Progetto: Monitoraggio del TNF nei pazienti sottoposti a TBI.1995 Enrica Orsini Roma Boston -MA - U.S.A - Dana Farber Cancer Institute Progetto: E’ possibile evocare uno specifico riconoscimento Immuno-mediato di cellule leucemiche umane? studi in vivo e in vitro.1996 Giulio Palmisano Genova Londra - Gran Bretagna - Royal Free Hospital Progetto: Studio della malattia residua minima (MDR) dopo BMT in pazienti effetti dal linfoma non Hodgkin.1996 Elisabetta Todisco Roma Memphis - Tenesee U.S.A - ST. Jude Children’s Research HospitalProgetto: Studio delle molecole proteiche coinvolte nella trasduzione del segnale mediata dal T- cell receptor nella leucemia acuta: ruolo dell’IL2.1997 Vittorio Montefusco Bologna Londra - Gran Bretagna - Hammersmith Hospital Progetto: Correlazione tra la risposta clinica alla terapia con interferone a ed i livelli intracellulari del trascritto chimerico bcr-abl, tipico della leucemia mieloide cronica.1997 M. Teresa Corsetti Genova Londra - Gran Bretagna - Hammersmith Hospital Progetto: Monitoraggio quantitativo del gene ibrido BCR-ABL tecnica più sensibile per monitorare la malattia residua manima (MRD).1998 Lorenza Peirano Genova Lyon -International Agency for Researh on Cancer Progetto: Metodiche di dimostrazione del chimerismo.1999 Iole Ribizzi Genova Providence, Rhode Island U.S.A Brown University HospitalProgetto: Utilizzo di amifostine come fattore di crescita e antimutageno nella terapia ad alte dosi seguita da trapianto di cellule periferiche.1999 Barbara Bruno Genova Londra - Gran Brettagna - EBMT Central OfficeProgetto: Comparison of allogenic bone marrow and peripheral blood stem cell trasplantation for aplastic anemia. 2000 Sabina Chiaretti Roma Boston - U. S. A - Dana Farber Cancer InstiituteProgetto: Valutazione dell’espressione genica nelle leucemie acute linfoidi dell’adulto utilizzando la tecnica dei microarrays.2000 Simona Gatto Genova Houston, Texas - U. S. A. - MD Anderson Cancer CenterProgetto: Effetti in vitro di PS-341 da solo ed in combinazione con imatinib mesylat(sti571) in linee cellulari BCR/ABL positive sensibili e resistenti a imatinib mesylate.2000 Elisabetta Zino Milano Leiden - Olanda Leiden University Medical CenterProgetto: Caratterizzazione di antigeni di istocompatibilità e del loro ruolo funzionale nel trapianto di midollo osseo allogenico.2001 Ettore Biagi Milano Houston, Texas U. S. A - Children Hospital-Center of Cell and Gene TherapyProgetto: Trattamento dei pazienti affetti da leucemia linfatica cronica e linfomi non Hodgkin ad alto rischio tramite cellule leucemiche autologhe geneticamente manipolate con il gene per IL -2 e stimolate tramite il CD40.2001 Sabina Chiaretti Roma Seconda borsa di studio per continuare il suo progetto del 2000.2001 Pier Paolo Piccaluga Bologna New York U.S.A. Columbia University Progetto: Molecular Characterisation of peripheral T- cell lymphoma.2002 Valentina Nardi Genova Cambridge, Boston MA - U.S.A Whitehead Institute for Biomedical ResearhProgetto:Effetti sul potenziale proliferativo e differenziativo del trasferimento di geni HOX (mediante trasfezione virale) in cellule ematopoieticheumane CD34+ di midollo osseo di sangue cordonale mediante test in vitro e in vivo. 2003 Mara Compagno Torino New York, U.S.A. - Columbia UniversityProgetto: Ruolo dell’enzima “Activation Induced Deaminase” (AID) nei meccanismi di ipermutazione somatica nei linfomi non Hodgkin (NHL).

articoli e relazioni borsisti dal 1994 al 2001

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Monitoraggio del TNF nei pazienti sottoposti a TBI

INTRODUZIONE

Il rigetto da trapianto di midollo (Graft versus Host Disease) (1) è stato studiato e defi nito circa trent’anni fa da Billingham.I successivi vent’ anni hanno confermato che la GvHD (Graft versus Host Disease) è causata dai Linfociti T del donatore di midollo i quali riconoscono una differenza antigienica tra donatore e ricevente.Tutti gli sforzi per modulare la GvHD sono stati diretti verso lo studio dei Linfociti T del donatore sviluppando la potenzialità di molti farmaci quali la Ciclosporina ( inibisce o aumenta l’espressione d’Interluchina 2 (IL-2) e del Recettore per IL-2 (IL-2R)), il Metotrexate (uccide i linfociti T che proliferano in risposta alla stimolazione da parte degli antigeni del ricevente) e la possibilità di depletere i linfociti T tramite differenti metodiche. Tuttavia entrambi le metodiche hanno avuto esiti insoddisfacenti: la ciclosporina, il metotrexate, i corticosteroidi non sono in grado di controllare completamente la GvHD e inducono inoltre una forte tossicità nei pazienti.Un regime di profi lassi ideale dovrebbe ridurre il danno a livello dell’organo senza dovere agire a livello dell’attecchimento midollare e senza dovere causare una maggiore incidenza di GVL (Graft versus Leukemia).Molti studi attuati negli ultimi anni hanno posto l’accento sull’importanza dell’esistenza d’altri meccanismi oltre la citotossicità mediata dai linfociti T in grado di provocare anche un danno a livello tessutale associato alla GvHD: si crede, infatti, che l’attivazione dei linfociti T sia solo uno dei tre processi implicati nella GvHD poiché molte manifestazioni cliniche di questa patologia sono dovute alla disregolazione della produzione di citochine da parte d’altri tipi cellulari.Come già detto in precedenza la GvHD è causata da tre fasi progressive: la prima, l’espressione dell’HLA e delle molecole d’adesione leucocitarie sui tessuti bersaglio ( la pelle, la mucosa intestinale) e sul fegato, aumenta a causa del rilascio di citochine in seguito alla tossicità del regime di condizionamento ( vedi Figura). Nei trapianti singenici o autologhi o anche dopo una deplezione dei linfociti T del midollo allogenico, la produzione di citochine infi ammatorie si auto limita e termina dopo 7-10 giorni. La seconda fase riguarda il trapianto allogenico di midollo poiché nel momento in cui le cellule mature della linea T del donatore riconoscono gli antigeni di istocompatibilità del ricevente esse divengono attive, iniziano la loro proliferazione, espongono sulla loro superfi cie il recettore per l’Interluchina 2 (IL-2) e producono essi stessi questa linfochina. La terza fase, infi ne, vede l’azione dell’IL-2 sulle cellule mononucleate “nuove”, ovvero quelle del donatore, le quali a loro volta iniziano la produzione di Interluchina 1 (IL-1), Tumor Necrosis Factor alfa (TNF-alfa) e Interferon gamma (INF-gamma).

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Citochina Forma molecolare

Derivazione Funzioni principali

IL-2 Monomero 133aa15-20 kD

Linfociti T Stimola crescita e differenziazione dei T,B,NK,macrofagi

IL-1(alfa e beta) Monomero 159aa e 153aa 17,5kD e 17,3 kD

Monociti/macrofagi, cell.endoteliali,fibro-blasti,cell.T e B,NK

Localmente ha effetti su cell. Coinvolte nell’infiammazioneSistemicamente causa febbre e shock

TNF-alfa Trimero 157aa52 kD

Monociti/macrofagi,cell.T e B,neutrofili,fibroblasti,NK,LAK

Mediatore paracrino e endocrino delle funzioni infiamma-torie e immunologi- cheRegola la crescita e la differenziazione dimolti tipi cellulari

INF gamma Omodimero 143aa40-70 kD

Linfociti T e NK Coinvolto nella rego-lazione delle prime fasi della risposta in-fiammatoria e immu -nologicaHa attività antivirale eantiproliferativa

Questo quadro evidenzia che le citochine pro infi ammatorie sono non solo coinvolte nella fase fi nale ma anche in quella d’induzione della GvHD: sia il condizionamento pre trapianto sia il passaggio di batteri dalla mucosa intestinale danneggiata inducono un’infi ammazione non specifi ca dei tessuti del ricevente caratterizzata dal rilascio di citochine proinfi ammatorie e da una regolazione eccessiva delle molecole d’adesione che a loro volta facilitano l’attivazione dei linfociti T del donatore. (Vedi Figure).Queste interazioni sono suggerite dalla clinica: l’intensifi cazione del condizionamento pre trapianto aumenta l’incidenza della GvHD. Queste ipotesi sono state sostenute anche da Holler et all. (2) (3): il rilascio sistemico di TNF alfa bioattivo durante il condizionamento pre trapianto è un fattore altamente predittivo per lo sviluppo dell’aGvHD e di complicazioni collegate al trapianto stesso.Essendo il TNF alfa un’importante citochina proinfi ammatoria coinvolta nell’attivazione epiteliale ed endoteliale e nel danno cellulare ed essendo indotta da molti stimoli (irradiazioni, farmaci citotossici, tossine batteriche) (10), (14), (15), si pensa che il suo rilascio possa essere indice d’attivazione cellulare ma soprattutto che possa essere patofi siologicamente

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coinvolto nello sviluppo dell’aGvHD.Quest’ipotesi è supportata dalla prevenzione, ottenuta con successo, della GvHD dopo trapianto semiallogenico di un topo per mezzo di due iniezioni di un anticorpo policlonale anti TNF alfa prima della TBI (Total Body Irradiation) e prima del trapianto (16), (17).Il ruolo patofi siologico del rilascio delle citochine durante la fase di condizionamento è stato confermato in uno studio recente di Xun et all. (4): in un topo SCID sottoposto ad un trapianto H2-incompatibile, la GvHD letale poteva essere prevenuta sia prolungando il tempo d’intervallo tra la TBI / rilascio di TNF-alfa e il passaggio di linfociti T allogenici sia con una profi lassi tramite i recettori solubili di TNF alfa, i quali sono potenti antagonisti del TNF-alfa. Interazioni fi siopatologiche simili sono state suggerite da un elegante studio nel quale si dimostrava che l’induzione della GvHD dipendeva dalla quantità di radiazioni in trapianti irradiati e singenici di pelle dopo il passaggio di cellule allogeniche (5).In contrasto con gli studi clinici eseguiti presso il GSF der Haematology di Monaco di Baviera indicanti che non vi è una differenza statistica nel rilascio di TNF-alfa in pazienti sottoposti a TBI/ CY (Cyclophosfamide) comparati a quelli trattati con BUS (Busulfano)/ CY, Xun et all. hanno dimostrato un’espressiva diminuzione del rilascio di citochine in animali trattati con BUS/CY.Il gruppo di ricerca del Dott.Holler , basandosi su precedenti studi, ha iniziato e terminato uno studio clinico (Fase I/II) utilizzando il MAK 195F, un frammento F (ab) ’2 di un anticorpo monoclonale murino (MoAb) neutralizzante il TNF-alfa umano (6) durante il condizionamento pre trapianto come una profi lassi aggiuntiva della GvHD in pazienti ad alto rischio sottoposti a trapianto di midollo osseo, il quale permette sia l’utilizzo di TBI/CY sia di BUS/CY come regimi di condizionamento. Questo studio è stato svolto per analizzare gli effetti collaterali della neutralizzazione del TNF-alfa nel primo periodo dopo trapianto di midollo osseo allogenico e per valutare il ruolo del rilascio delle citochine del ricevente nei riguardi dell’induzione della GvHD clinica.Analisi molto approfondite su pazienti arruolati in questo studio e su un gruppo di controllo hanno fornito maggiori nozioni a riguardo del rilascio delle citochine causato da vari regimi mieloablativi.

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Tav.1 Caratteristiche dei pazienti

Controlli storici Profilassi MAK 195FN.ro pazienti 22 21Sesso (F/M) 10/12 5/16Mediana età 45,2 (40-53) 49,4 (45-58)Diagnosi CML fase cronica 13 8 CML fase accelerata 6 9 MDS 3 4Condizionamento TBI-CY 11 6 BUS-CY 11 15PGE2 Profilassi 4/22 14/21

MATERIALI E METODIPAZIENTI: basandosi sul precedente studio nel quale si era dimostrato un aumento nell’incidenza del rilascio del TNF-alfa durante il condizionamento pre-trapianto in pazienti affetti da Leucemia Mieloide Cronica (LMC) o Mielodisplasia (MDS) con un’età superiore ai quarant’anni, il gruppo di studio del GSF der Haematology di Monaco di Baviera ha incluso nel suo studio solo quest’ultimo gruppo di pazienti. Inoltre solo i pazienti sottoposti a trapianto di midollo osseo allogenico HLA identico o 1 Antigene diverso e i back dei midolli autologhi sono stati raccolti prima del condizionamento almeno per tutti i pazienti sottoposti ad una nuova dose di MAK 195F: sono stati arruolati 21 pazienti consecutivi le cui caratteristiche sono elencate nella tavola 1.22 pazienti affetti da Leucemia Mieloide Cronica (CML) o Mielodisplasia (MDS) con età superiore ai quaranta anni, sottoposti a trapianto di midollo osseo allogenico HLA identico o 1 Antigene diverso tra il 1984 e il 1990 sono stati utilizzati come controllo storico.

CONDIZIONAMENTOIl condizionamento è stato svolto tramite TBI seguita o dall’infusione 2 volte al giorno di 60mg/Kg o 4 volte al dì di 40 o 50 mg/Kg di Cyclophosphamide (CY2; CY4) oppure da Busulfano orale (BUS 4 mg/ die per 4 gg consecutivi) seguito da CY2 o CY4. Anche se CY2 (11 pazienti nello studio MAK 195F e 9 nel controllo storico) e CY4 (10 pazienti in MAK 195F e 13 nel controllo) sono stati distribuiti equamente un maggior numero di pazienti sono stati sottoposti ad una profi lassi con BUS/CY (TAV.1).I pazienti con età superiore ai 45 anni o con problemi epatici o anche con epatomegalia al momento dell’ammissione sono stati sottoposti anche ad una profi lassi con prostaglandina E2 (PGE2) (Prostovasin, 480 ug/die, infusione intravenosa continua; Schwarz Pharma, Manheim, Germany) sin dal primo giorno del condizionamento pre trapianto; tutti i pazienti inoltre hanno ricevuto

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antimicotici e antibiotici, acyclovir via intravenosa e Ig polivalente (0,3mg/Kg con un intervallo di due settimane).

SOMMINISTRAZIONE MAK 195FMAK 195F è stato somministrato come singola dose in infusione per 15 minuti attraverso catetere ogni 8 ore. La sua somministrazione iniziava la stessa mattina del primo giorno della TBI in pazienti sottoposti a TBI/BUS o prima della prima dose orale di Busulfano nei pazienti condizionati con BUS/CY.La sua ultima dose era somministrata alle ore 12 p.m. del giorno anteriore al trapianto essendo così un trattamento di 9 gg per i pazienti trattatati con BUS/CY4 e di 6 in quelli con BUS/CY2.

PROFILASSI E TRATTAMENTO DELLA GvHDTutti i pazienti hanno ricevuto le profi lassi standard per la GvHD (ciclosporina per via endovenosa dal giorno –1 e Metotrexate (giorni +1,+3,+6)) come descritto precedentemente. Non vi sono state notevoli differenze per quanto riguarda i livelli di ciclosporina e le dosi somministrate di MTX tra i pazienti trattati con MAK 195F e i controlli storici. La GvHD è stata valutata secondo i criteri di Gluksberg modifi cati da Martin et all. I pazienti che hanno sviluppato GvHD di II° grado sono stati trattati con una dose prefi ssata di Prednisolone e globuline antimicotiche (ATG Fresenius, Bad Hamburg, Germany) per 7 giorni con una dose giornaliera di 3 mg/Kg. E’ stato utilizzato anche un trattamento di seconda linea in pazienti con GvHD refrattaria consistente in 7 giorni di terapia con 5 mg/Kg di OKT3 (Orthoclone, Cilag, Sulzbach/ Tannus, Germany).

DIAGNOSI DELLE INFEZIONI La VOD (Veno Occlusive Disease) è stata diagnosticata secondo i criteri clinici come descritto da Jones et all. (7). L’ELS (Endothelial Leakage Syndrome) è stata sospettata nei pazienti in cui vi sia stato un aumento di peso almeno del 5% entro 7 giorni in presenza di pressione centrale venosa normale o minore.La diagnosi delle infezioni è stata eseguita attraverso almeno 4 emocolture, 4 urinocolture e raggi toracici in pazienti con febbre superiore a 38.5°C .Le infezioni virali sono state diagnosticate in pazienti il cui test per l’antigenemia nel sangue, nelle urine o nelle biopsie dava esito positivo (Cytomegalovirus e Adenovirus) in presenza di sintomi associati con le rispettive infezioni (polmonite, diarrea).

ANALISI DEI LIVELLI SIERICI DI TNF-Alfa E MONITORAGGIO DEL TRATTAMENTO CON MAK 195FI livelli sierici di TNF –alfa sono stati analizzati secondo la metodica ELISA precedentemente descritta dal gruppo del GSF di Ematologia di Monaco di Baviera (8). Nei controlli storici i livelli sierici di TNF-alfa erano stati analizzati 1 volta alla settimana in 12 pazienti e almeno

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3 volte alla settimana in 10. Nei pazienti sottoposti a trattamento con MAK 195F è stato analizzato il siero ogni 8 ore prima della somministrazione di MAK 195F durante il condizionamento pre-trapianto e una volta alla settimana dopo il BMT. Poiché la metodica ELISA per il TNF-alfa utilizzava lo stesso MAK 195F per la rivelazione delle citochine legate a differenti anticorpi monoclonali “capture”, i risultati ottenuti da questo tipo di metodica rifl ettevano una certa competitività tra il MAK 195F contenuto nel siero e quello utilizzato per la rivelazione del TNF-alfa (ELISA competitiva).A causa di questo l’ELISA utilizzata non era in grado di differenziare il TNF-alfa libero da quello legato al MAK 195F (complesso TNF-alfa/ anti TNF-alfa) nei pazienti in studio e per questo sono state utilizzate in questo studio anche altre metodiche di laboratorio. Per dimostrare il legame del TNF-alfa al MAK 195F, i campioni di sangue contenenti elevati livelli di TNF-alfa rivelati tramite l’ELISA sopra descritta, sono stati incubati con un anticorpo policlonale di coniglio anti topo IgG (Sigma Chemical Co.,Munich, Germany) ottenendo così un precipitato di coniglio IgG. Dopo alcune ultracentrifugazioni, sono state raccolte le interfasi e analizzate per il TNF-alfa con un’ELISA non competitiva policlonale. Questa metodica precipita il MAK 195F nel pellet ma non infl uisce sul recupero del TNF-alfa umano nativo o ricombinante (ruhTNF-alfa) nell’interfase.

VALUTAZIONE DEI DATILe caratteristiche dei pazienti, le complicazioni sviluppate durante la fase aplastica (dal giorno 0 al + 20) e i parametri che caratterizzano l’attecchimento e l’aGvHD sono stati elencati sia per i controlli storici sia per i 3 gruppi di pazienti che hanno ricevuto il MAK 195F.Se gli effetti collaterali delle differenti dosi di MAK 195F erano assenti, i dati dell’intero gruppo venivano sommati a seconda del tipo di condizionamento e successivamente paragonati con il gruppo storico di riferimento.

RISULTATI-Controlli storici

Concordando con i criteri d’alto rischio per l’eleggibilità dei pazienti che hanno partecipato allo studio, 9 pazienti su 11, sottoposti a BUS/CY, e 11 su 11, sottoposti a TBI/CY, sono andati incontro a aGvHD di II° grado fi no al giorno 100 nei controlli storici. Tuttavia, il periodo in cui l’aGvHD si è sviluppata richiedendo un trattamento immunosoppresivo con corticosteroidi, è stato signifi cativamente differente: 15+/-1 giorni per i pazienti sottoposti a TBI/CY e 33 +/-6 per l’altro gruppo. I livelli serici di TNF-alfa di 10 di questi pazienti sono stati analizzati in relazione ai differenti momenti di condizionamento (Tab.2): i pazienti trattati con TBI/CY mostrano un aumentato rilascio della citochina durante la TBI. Nei pazienti trattati con BUS/CY, il rilascio massimo avviene nel momento in cui è infusa la CY, suggerendo che sia quest’ultima più che il BUS coinvolta nell’attivazione delle citochine.Inoltre, le maggiori quantità di citochine rilasciate

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durante il condizionamento sono state signifi cativamente più alte nei pazienti che hanno sviluppato una forte GvHD o complicazioni trapiantologiche (TRC): 519+/-448 pg/mL contro 50+/-17 pg/mL nei pazienti che non hanno sviluppato eventi negativi, confermando così le ipotesi pubblicate precedentemente da Holler et all. Tav.2 Livelli massimali di TNF-alfa durante varie fasi di condizionamento pre trapianto in controlli storiciCondiziona-mento

N.ro pazientiStudiati

TNF-alfa ammissione

TNF-alfa durante TBI o BUS

TNF-alfa durante CY

TNF-alfa al giorno del trapianto

TBI/CYBUS/CY

46

105

7635

6282

3413

-Analisi dei Sieri nei pazienti che hanno ricevuto profi lassi con MAK 195F

Monitoraggio del trattamento MAK 195F. La farmacocinetica del MAK 195F è stata defi nita in uno studio precedente in cui il MAK 195F era stato utilizzato in pazienti con GvHD refrattaria e septicemia: si era dimostrata una cinetica bifasica con una prima emivita di 30 minuti e una seconda di 8 ore. Nell’attuale studio, i sieri per la ricerca dell’attività anti-TNF, sono stati raccolti quotidianamente e monitorati tramite un metodo indiretto (è stato studiato il ricovero del rhuTNF-alfa tritato): nella fi gura 2 si può vedere il ricovero di 3,500 pg/mL di rhuTNF-alfa e questo è stato quasi totalmente soppresso nei pazienti che hanno ricevuto 3,0 mg/Kg. Anche se l’infusione di TNF-alfa è stata terminata il giorno prima del trapianto, un’evidente neutralizzazione di rhuTNF-alfa (per esempio un ricovero <95%) può essere ritrovata sino ad 8 giorni dopo il BMT nei pazienti che hanno ricevuto 0,5mg/Kg, sino al giorno 12 dopo BMT in quelli che hanno ricevuto 10mg/Kg e oltre 20 giorni nei pazienti con 3,0mg/Kg. Gli anticorpi umani antimurini (HAMA) sono stati monitorati settimanalmente in tutti i pazienti che hanno ricevuto MAK195F fi no al giorno 30 dopo trapianto. Solo 1 paziente su 21 (ricevente una dose di mg/Kg di MAK 195F) ha sviluppato un’evidente aumento d’IgG e IgM-HAMA senza alcun’evidenza d’anticorpi anti-idiopatici e sintomatologia clinica specifi ca iniziando dal giorno 20 dopo il trapianto.

Monitoraggio dei livelli serici di TNF-alfa indicanti i complessi TNF-alfa in circolo. Durante la somministrazione di MAK195F, i livelli di TNF-alfa ritrovati tramite la metodica dell’ELISA competitiva sono aumentati fi no al giorno dell’ultima somministrazione e successivamente scesi. Questo fenomeno è stato osservato nei precedenti studi con MAK 195F come anche in altri studi dove erano utilizzati anticorpi per le citochine e può essere spiegato dalla formazione di complessi di anticorpi citochina-anticitochina. Per confermare quest’ipotesi, alcuni campioni scelti di 6 pazienti differenti nel periodo di massima immunoreattività, sono stati testati con tre diverse metodiche. Anche se la media dei livelli

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di TNF-alfa ritrovata tramite l’ELISA competitiva era 210+/-108 pg/mL, le analisi con una seconda ELISA non competitiva che utilizzava anticorpi policlonali per il TNF-alfa hanno dato come risultato 665+/-299 pg/mL negli stessi campioni.L’immunoreattività è stata in forte contrasto con i risultati della metodica L929 la quale dimostrava un’assenza totale di bioattività (tutti i campioni: <30 pg/mL): l’attività immunologica ritrovata nell’ELISA monoclonale e policlonale potrebbe essere quasi totalmente precipitata con un pre-trattamento dei campioni con IgG antitopo e successiva separazione con ultracentrifugazione facendo scendere i livelli di TNF-alfa nell’interfase sino a 35+/-19 pg/mL (5%), mentre negli esperimenti di controllo l’ultracentrifugazione dopo la preincubazione con un anticorpo di coniglio di controllo ha permesso un risultato di 392+/-160 pg/mL (59%) nella porzione di interfase. Questi risultati chiaramente indicano che il TNF-alfa ritrovato tramite le metodiche immunologiche è legato con l’anticorpo di topo per il TNF-alfa confermando così la presenza di complessi TNF-alfa-anti-TNF-alfa.

Cinetica dei complessi TNF-alfa-anti-TNF-alfa durante il condizionamento pre trapianto: infl uenza dei regimi di condizionamentoA causa della formazione di suddetti complessi nei pazienti trattati in profi lassi con MAK 195F, la breve emivita del TNF-alfa si adatta alla cinetica dell’anticorpo, prolungando e facilitando in questo modo la rivelazione del TNF-alfa rilasciato nell’organismo. Le cinetiche quotidiane di questi livelli hanno dato caratteristici modelli dipendenti dal tipo di condizionamento utilizzato nei singoli pazienti .I pazienti trattati con TBI hanno sviluppato il primo picco di incremento dei complessi TNF-alfa-anti- TNF-alfa dopo ogni frazione di TBI. L’attività regolarmente diminuiva fi no al mattino seguente (in accordo con la emivita di 8 ore in precedenza citata del MAK 195F). Successivi picchi sono stati osservati dopo l’infusione di CY. Questo modello è stato in forte contrasto con i pazienti trattati con BUS/CY: in questo sottogruppo vi è stato un minor accumulo di complessi durante il condizionamento con BUS ma, ancora, vi sono stati aumenti dovuti all’infusione con CY.Questi dati chiaramente dimostrano una differente induzione della produzione di TNF-alfa dai differenti trattamenti citotossici e mieloablativi.

Risultati clinici del trattamento con MAK 195F.-Complicazioni durante la fase aplastica.L’infusione di MAK 195F è stata ben tollerata in tutti i pazienti e gli effetti collaterali del condizionamento non hanno subito cambiamenti. Durante la fase aplastica, l’incidenza d’elevati livelli di bilirubina come anche evidenti VOD (1 nel gruppo di controllo e 1 nel gruppo trattato con MAK 195F) o ELS, non hanno avuto differenze signifi cative (Tav.3).Indipendentemente dal tipo di condizionamento, il trattamento con MAK 195F è stato associato con una diminuzione dell’incidenza d’episodi febbrili e, a causa del ritardo dello sviluppo della febbre, anche con una diminuzione della durata della stessa in questi pazienti; la riduzione della durata dei casi febbrili è stata principalmente osservata nei pazienti trattati con TBI/CY. La riduzione è stata anche accompagnata da un cambiamento del tipo di

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complicazioni da infezione. Le infezioni d’organo includevano 3 polmoniti batteriche e una da candida nei controlli storici, mentre nei pazienti trattati con MAK 195F si sono avuti 3 polmoniti batteriche e 1 da aspergillus, 1 sepsi da pseudomonas.

Attecchimento e chimerismo. L’attecchimento è stato inalterato dall’utilizzo di MAK 195F alle dosi di 0,5 e 1,0 mg/Kg, mentre sembra avere causato un ritardo nel gruppo con dosi maggiori (Tav.4).Le analisi citogenetiche del midollo osseo eseguite al giorno 30 dimostrano un residuo di cellule Philadelphia positive in 1 paziente del gruppo di controllo e 2 nel gruppo in studio sottoposto a 1,0 mg/Kg di MAK 195F. In 2 di loro, il cromosoma Philadelphia è scomparso nei controlli successivi, ma un paziente ricevente MAK 195F ha avuto una ricaduta ematologica al giorno+69 dal trapianto.

GvHD.A causa della forte incidenza dei regimi di condizionamento sullo sviluppo della GvHD osservato nel gruppo di controllo, gli effetti di MAK 195F sono stati attentamente analizzati. I pazienti suddivisi in base al tipo di condizionamento (Tav.5) mostrano una riduzione dello sviluppo precoce della GvHD, a causa del MAK 195F, maggiore se trattati TBI/CY rispetto a BUS/CY. Lo sviluppo della GvHD è stato mediamente prolungato dal giorno 15 al giorno 20 dopo trapianto nei pazienti trattati con BUS/CY e dal giorno 32 al 53 nel secondo gruppo.Indipendentemente dal tipo di condizionamento e dalla dose di MAK 195F lo sviluppo della GvHD cronica non ha subito cambiamenti; 8 dei 15 pazienti valutabili appartenenti al gruppo di controllo e 6 dei 15 riceventi MAK 195F hanno sviluppato una GvHD cronica tale da dover prolungare il trattamento con farmaci immunosopressivi. Inoltre non vi è stato un aumento delle infezioni virali nei primi 4 mesi dopo il trapianto (dati non presentati).Per escludere un ulteriore pregiudizio dato dal numero elevato di pazienti appartenenti al gruppo MAK 195F sottoposti ad una profi lassi con PGE2, lo sviluppo dell’aGvHD è stato studiato in relazione a quest’ultima. Nel controllo storico, tutti e quattro i pazienti che hanno ricevuto PEG2 hanno sviluppato GvHD, tre dei quali di grado III o IV, mentre due dei diciotto senza PGE2 non l’ hanno sviluppata. Nel gruppo MAK 195F, cinque dei sette (71%) senza PGE2 e nove dei quattordici (65%) con PGE2 sono stati sottoposti ad un trattamento immunosopressivo a causa della GvHD.La sopravvivenza a breve termine è stata simile nei pazienti trattati con BUS/CY ma può essere stata infl uenzata dal MAK 195F in quelli trattati con TBI/CY. Le morti precoci nel gruppo di controllo erano state quasi esclusivamente causate da GvHD e da polmonite interstiziale (32%) mentre nel gruppo di MAK 195F 2 dei 4 pazienti che hanno ricevuto 0,5mg/Kg, 1 di quelli che hanno ricevuto 3 mg/Kg e solo 2 su 14 (14%) del gruppo 1 mg/Kg sono morti a causa di GvHD. Tuttavia anche in ques’ultimo gruppo, la riduzione della mortalità precoce da trapianto non appare signifi cativamente differente poiché un ulteriore

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paziente è morto al giorno +40 in assenza di GvHD.Attualmente, 10 dei 22 pazienti del gruppo storico (45%) sono vivi con un follow up mediano di 60 mesi (range: 39-100 mesi): le cause di morte dopo 4 mesi dal trapianto sono state GvHD (n=1), encefalopatia (n=1), ricaduta (n=2), e bronchiolite (n=1). Nel gruppo 0,5mg/Kg MAK 195F 1 paziente è morto per un incidente vascocerebrale e 1 paziente è vivo (40 mesi). Nel secondo gruppo (1mg/Kg), 9 dei 14 pazienti sono vivi con un follow up mediano di 20 mesi (range:10-36 mesi). Nessuno dei 3 pazienti appartenenti al 3° gruppo è vivo.

Tav.3 Complicazioni durante la fase aplasticaComplicazione Controllo storico MAK 195F Profilassi P valueLivelli di bilirubina >13 mg/dl 7/22 (32%) 5/21 (24%) NSELS 13/22 (59%) 12/21 (57%) NSN.ro pazienti con febbre >38,5° 20/22 (91%) 12/21 (57%) <.01Mediana della durataTutti i pazienti 5,8 3,3 <.05TBI/CY 8,1 2,8 <.05BUS/CY 3,5 3,1 NSInfezioniColture ematologiche positive

8/22 (36%) 4/21 (19%) NS

Organo colture positive 4/22 (18%) 3/21 (14%) NS

Tav.4 Attecchimento e ChimerismoControllo storico MAK 195F

0,5 mg/KgMAK 195F1 mg/Kg

MAK 195F3 mg/Kg

Mediana di giorni per:ANC >500 20 19 20 26ANC >1,000 27 44 28 53PLT >20,000 30 39 23 52ChimerismoCompleto 21 4 12 3Misto 1 0 2 0Ultima ricaduta 0 0 0 2

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Tav.5 GvHD acuta e Sopravvivenza a breve termine Condizionamento e Profi lassi aggiuntiva con MAK 195F

Controllo Storico Profilassi MAK 195FIncidenza di GvHD acuta

BUS/CY TBI/CY BUS/CY TBI/CY

Grado II fino al giorno+ 30

4/11 (36%) 11/11 (100%) 3/15 (20%) 4/6 (66%)

Grado II fino al giorno+ 100

8/11 (82%) 11/11 (100%) 9/14 (64%) 5/6 (83%)

>Grado II fino al giorno +100

6/11 (55%) 6/11 (55%) 4/14 (28%) 2/6 (33%)

Sopravvivenza > 4 mesi

9/11 (82%) 6/11 (55%) 11/15 (73%) 5/6 (83%)

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DISCUSSIONEAnche se il ruolo patofi siologico del condizionamento sul rilascio delle citochine proinfi ammatorie, sulle complicazioni dopo trapianto e sulla GvHD dopo trapianto di midollo è stato comprovato su modelli sperimentali, questo è uno dei primi studi che fornisce dati indiretti e diretti sul reale modello clinico. (1) Indirettamente, il ritardo dello sviluppo della GvHD nei controlli storici e nei pazienti in

studio sottoposti a condizionamento con BUS/CY invece di TBI/CY e la diminuzione del rilascio di TNF-alfa nel periodo del trattamento con BUS indica un’associazione tra le citochine rilasciate del donatore e un’induzione della GvHD.

(2) Queste interazioni sono direttamente supportate dallo studio fase I/II del gruppo del GSF di Monaco di Baviera nel quale era utilizzato un Anticorpo monoclonale umano neutralizzante il TNF-alfa durante la fase prima del trapianto di midollo poiché i loro dati sottolineano fortemente che la neutralizzazione del TNF del donatore può posticipare la GvHD e ridurre gli effetti collaterali delle prime fasi del trapianto.

Tuttavia entrambi i pensieri devono essere discussi sotto la luce di dati controversi riportati in letteratura. Anche se le differenti incidenze e cinetiche della GvHD tra i regimi di BUS/CY e di TBI/CY non sono stati riportati nei recenti studi riguardanti BUS/CY, le nostre osservazioni sono in linea con gli esperimenti di Xun et all. (4) e i risultati di uno studio randomizzato recente del gruppo di Seattle (9). In quello studio le probabilità dello sviluppo della GvHD erano molto differenti nei gruppi BUS/CY (35%) e TBI/CY (48%) e le cinetiche possono essere paragonate con quelle ottenute dallo studio di cui stiamo discutendo. I risultati sul TNF-alfa circolante e soprattutto la cinetica dei complessi TNF-alfa-anti TNF-alfa durante la fase pre trapianto hanno facilitato un’analisi più dettagliata sull’induzione della citochina da parte di terapie mieloablative e citotossiche. Anche se Xun et all. indicano una forte riduzione nell’induzione del TNF-alfa e dell’IL-6 da parte di BUS/CY paragonato con il regime TBI/CY, essi non segnalano una chiara differenza tra BUS e CY. I dati forniti da questo studio indicano un’assenza di un rilascio signifi cativo di TNF-alfa durante il trattamento con BUS ma sottolineano una forte induzione da parte di TBI e di CY. Tuttavia l’induzione di citochine tramite irradiazione è stata analizzata sino al livello molecolare e mancano i risultati sul CY. Le nostre osservazioni sono supportate da studi sull’incremento d’INF-gamma dopo condizionamento con CY (10). Poiché la diversa azione del BUS e TBI sull’induzione del TNF-alfa era sconosciuta prima di questo studio, la maggiore limitazione di quest’ultimo potrebbe essere data da una non compensazione dei regimi di condizionamento tra MAK 195F e il gruppo di controllo. Nonostante questa limitazione i risultati sono in linea con le ipotesi suggerite dagli studi sui sieri dei pazienti sottoposti a trapianto di midollo osseo. Il fatto che sia presente in entrambi le terapie la CY per l’induzione del TNF-alfa potrebbe spiegare l’osservazione che gli effetti della neutralizzazione profi lattica del TNF-alfa con MAK 195F è maggiore nei pazienti sottoposti a TBI/CY ma ritrovabile anche in quelli sottoposti a BUS/CY. Questo fenomeno si rispecchia nella riduzione di febbre durante la fase acuta aplastica che avviene in entrambi i casi di terapia. Tuttavia, la riduzione della durata della febbre è maggiore nei pazienti

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trattati con TBI/CY, risultato in linea con gli studi del gruppo di Seattle. Gli obiettivi maggiori di questo studio sono stati la defi nizione della dose ottimale di MAK 195F e le analisi degli effetti biologici sull’attecchimento e sulle infezioni durante la fase aplastica. Il TNF-alfa è la citochine maggiormente coinvolta nella difesa antibatterica e antifunginea e studi sperimentali sulla neutralizzazione del TNF-alfa hanno dimostrato un effetto negativo se questa avviene in un periodo molto prolungato. Nonostante la persistenza dell’esistenza d’anticorpi anti TNF-alfa sino alla seconda settimana dopo trapianto, i dati affermano che non è presente un’alterazione a livello d’infezioni batteriche o funginee.Un ulteriore fatto riguardante la neutralizzazione del TNF-alfa era la sua possibile infl uenza sull’emopoiesi anche se è stato dimostrato che questa citochina sopprima la crescita dei progenitori ematologici (18) e alcuni studi preclinici eseguiti nell’Università di Monaco di Baviera rilevino che non vi sia alcun effetto da parte di questa sulla crescita delle colonie di granulociti e macrofagi.Non vi è stato alcun rigetto acuto dopo il trapianto di midollo osseo durante lo studio. Vi sono stati 2 pazienti con un chimerismo misto dopo l’attecchimento nel gruppo che aveva ricevuto una dose di 1,0 mg/Kg di MAK 195F ma questo non può essere correlato con la profi lassi anti-TNF poiché entrambi avevano ricevuto un condizionamento con BUCY2 il quale si crede sia associato con un’eradicazione insuffi ciente dell’emopoiesi del ricevente (11) (9). Anche se uno studio recente suggerisce un ruolo costimolatorio del TNF-alfa nella proliferazione di CD 34+ (19), il contributo di un’alta dose (3 mg/Kg) di MAK 195F per una minore funzione di attecchimento dopo 3 o 4 mesi dal trapianto è speculativo poiché l’insuccesso dell’attecchimento può essere spiegato anche come conseguenza in 1 paziente di GvHD e da un danno a livello di midollo da uso prolungato di busulfano nell’altro. Tuttavia, poiché l’aumento delle dosi di MAK 195F non è stato suffi ciente per una completa prevenzione di aGvHD, i dati dello studio suggeriscono che 1 mg/Kg sia una dose maggiormente sicura.Recentemente sono stati pubblicati i risultati di uno studio randomizzato che utilizzava la pentoxifi lina come un’alternativa per una strategia per modulare il rilascio di citochine da parte del ricevente (12).La neutralizzazione del TNF-alfa tramite MoAbs è differente rispetto alla modulazione del rilascio di citochine con pentoxifi lina. Questo studio non è stato in grado di prevenire la GVHD murina utilizzando la pentoxifi lina negli stessi modelli in cui gli anticorpi monoclonali sono stati effi caci. Anche se questi risultati eterogenei ottenuti con differenti strategie di modulazione di TNF-alfa possono sembrare confusionali, la spiegazione più chiara è che i livelli clinici di PTX sono troppo bassi per sopprimere suffi cientemente il rilascio di TNF-alfa, mentre gli anticorpi anti-TNF-alfa possono essere in grado di svolgere quest’attività. Questo fenomeno è supportato da alcuni studi nei quali i livelli di TNF-alfa sono stati misurati durante la profi lassi con dosi dosaggi di 2 mg di PTX in pazienti poiché l’attività serica del TNF-alfa erano ancora ritrovabile nei pazienti sviluppanti GvHD.In fi ne, il concetto d’applicazione d’antagonisti di citochine durante la fase pre trapianto in

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e nei primi giorni dopo quest’ultimo come un approccio alternativo per migliorare i risultati del trapianto stesso deve essere discusso sotto vedute più ampie. Se l’approccio utilizzato in questo studio è defi nitivamente in grado di prevenire almeno l’aGvHD potrebbe essere interessante almeno sotto due punti di vista. In primo luogo il controllo dell’aGvHD in un periodo più tardivo è maggiormente diffi coltoso poiché i pazienti hanno già oltrepassato la fase del danno non specifi co ai tessuti. Questo fenomeno è suggerito dalle osservazioni fatte in cui una parte minore di pazienti riceventi anti-TNF-alfa hanno sviluppato una GvHD progressiva. In secondo luogo il moderato ritardo e la GvHD cronica possono ampliare il campo terapeutico nei trapianti di midollo osseo allogenico (il rigetto di leucemia può dare migliori risultati in questi pazienti che in quelli sottoposti ad una T deplezione) (13).Quindi non vi è alcun’evidenza di un aumento di ricaduta nel gruppo ad alto rischio, ma naturalmente un follow up riguardante un periodo più luogo è necessario per rispondere su quale sia il ruolo delle prime citochine rilasciate.Poiché l’aumento di numero di ricadute dopo la T deplezione potrebbe essere oltrepassato da un trapianto di cellule di donatore in un periodo più tardivo del trapianto (15) (20), gli antagonisti delle citochine dovranno competere con quest’approccio per migliorare i risultati a lungo termine del trapianto di midollo osseo allogenico.

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Trattamento dei pazienti affetti da leucemia linfatica cronica e linfomi non Hodgkin ad alto rischio tramite cellule leucemiche autologhe geneticamente manipolate con il gene per IL -2 e stimolate tramite il CD40

INTRODUCTION

The proposed research project was set to investigate the level of residual disease in patients

with NHL following chemotherapy or BMT. However, as the number of patients entered

in this study is still too limited to reach and statistical signifi cance in the short period of

time available, it was decided in agreement with the scientifi c supervisor at the Royal Free

Hospital (Dr Letizia Foroni) that my rescarch should more productively concentrate on the

application of the same research project to patients with acute lymphoblastic leukaemia

(ALL). A much larger number of patients and individual follow up samples are already

available for investigation in the laboratory, as they have been collected in the past 3

years.

PATIENTS AND METHODOLOGY

In this study we have prospectively examined the utility of MRD studies in a total of

55 patients (23 children and 32 adults) using FR1 and JH primers (fi ngerprinting with

a sensitivity 31:5x103) and CDR3-derived allele specifi c oligoprimers (ASO to achieve a

sensitivity between 1:104 and 1:105).

All samples have been assessed for residual disease on morphological and immunological

ground in the diagnostic laboratory at the Royal Free Hospital. Only samples which were

found to be in clinical and immunological remission were included in our study. The

methodology used has been previously published and it makes use of PCR amplifi cation of

IgH and TCR genes from DNA of patients presenting with B or T lineage ALL.

RESULTS

We have attempted to establish whether a test at any given point in time defi nes groups

with different survival characteristics and the utility of the test in terms of predicting

outcome. 95% of patients with B lineage ALL were investigated by at least one of the

techniques used on presentation material. All bone marrow samples were analysed by PCR

at specifi c time-points after diagnosis (i.e. 1, 2-3, 4-6, and 7-12 months).

Data collected to date indicates that the incidence of positive tests is greater in patients

destined to relapse than in patients destined to remain in clinical remissim. Among patients

staying in remission, a decrease in MRD positive tests occurred during the fi rst 12 months

irrespective of age. These data show that resolution of MRD in ALL occurs more rapidly

in children compared to adults parfi cularly within the fi rst six months. In adults a negative

test is a better indicator of continuing remission than a positive test is for relapse, while the

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opposite is true in children.

As part of my study I have also been involved in the identifi cation and sequence anaiysis

of Vd2/Dd3 gene rearrangement in acute lymphoblastic leukaemia with regards to their

incidence and molecular features.

Therefore, the incidence of TCRD gene rearrangement was investigated in 54 patients with

B lineage acute lymphoblastic leukaemia (5 1 patients at presentation and 3 patients in fi rst

relapse). Primers for the Vd2/Dd3 segments were used.

Rearrangement was detected in 23 patients (42.6 %). Four patients were Philadelphia

positive and 2 of them showed Vd2/Dd3 rearrangement. In 9 patients negative for the IgH

gene rearrangement by PCR, Vd2/Dd3 provided a clonal molecular marker in 6 patients.

The data collected to date suggest that Vd2/Dd3 rearrangement occurs in less than 50% of

ALL patients. Vd2/Dd3 occurs in 66.5% of ALL patients with failed lgH rearrangement and

therefore might provide a useful marker for minimal residual disease investigation in the

absence of other markers. Thirdly, we have evidence that Vd2/Dd3 rearrangement might

not be a clonal event and fi nding could certainly have important implications for MRD

investigation in ALL patients.

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Correlazione tra la risposta clinica alla terapia con interferone a ed i livelli intracellulari del trascritto chimerico bcr-abl, tipico della leucemia mieloide cronica

INTRODUZIONE

La Leucemia Mieloide Cronica (LMC) è una malattia neoplastica della cellula staminale

emopoietica caratterizzata sul piano citogenetico dalla presenza della traslocazione

reciproca t(9;22) che dà origine al cromosoma Philadeiphia (Ph) e, sul piano molecolare, dal

trascritto ibrido bcr-abl.

La storia naturale della malattia consiste in una fase cronica cui fa seguito una evoluzione

blastica che porta rapidamente all’exitus; mediamente tra la diagnosi e la fase terminale

della malattia passano quattro anni.

Attualmente il trapianto di midollo osseo (TMO) allogenico costituisce l’unica terapia

potenzialmente curativa per la LMC (ref 1). Nell’ambito di questa strategia terapeutica,

un ruolo preminente nell’eliminazione defi nitiva delle cellule leucemiche del ricevente,

sopravvissute al regime di condizionamento, è svolta dal sistema immunitario dei donatore

(ref. 2). Infatti vi è un riconoscimento di tipo non-self di alcuni antigeni cellulari del ricevente

da parte di cloni linfocitari dei donatore infusi con il midollo osseo trapiantato o da questo

successivamente generati nell’ospite; ha così origine un processo di autoaggressione che

prende il nome di malattia da trapianto verso l’ospite (in inglese “graft-versus-host disease”:

GVHD) e che ha i suoi principali bersagli nella cute, nel fegato e nel tubo digerente.

Nell’ambito della GVHD esiste una componente rivolta contro le cellule leucemiche,

responsabile dell’eradicazione defi nitiva dei clone neoplastico.

Questo fenomeno, chiamato nella letteratura anglosassone “graft-versus-leukemia”

(GVL), è di primaria importanza a tal punto da conferire un potere altamente curativo al

TMO allogenico. È stata infatti riscontrata una diretta correlazione tra l’entità della GVHD

e quella della GVL (ref 3-4), sottolineando ancora una volta come l’una sia espressione

dell’altra ed entrambe sottendano meccanismi patogenetici simili, dovuti al medesimo

mismatch antigenico. Riguardo a quest’ultimo punto, non sono stati completamente

chiariti i meccanismi con cui si esplica la GVL e, soprattutto, sono stati identifi cati solo in

parte gli antigeni che inducono queste risposte (ref. 5-6).

Osservazioni di immunologia generale permettono di ipotizzare che un ruolo centrale in

questo tipo di attivazione sia svolto dai linfociti T helper che, mediante la produzione di

particolari citochine, attivano gli effettori fi nali costituiti dai linfociti T killer. Nell’ambito

dei linfociti T helper è possibile individuare due distinte sottopopolazioni, indicate come

T helper 1 (Thl) e T helper 2 (Th2). In particolare i Th1, con la produzione di citochine

quali intericuchina 2 (IL2), interferone g e tumor necrosis factor a, agiscono attivando la

risposta cellulo-mediata e, quindi, in defi nitiva, stimolando la GVHD e la GVL. Viceversa la

sottopopolazione Th2 inibisce questi fenomeni, principalmente producendo interleuchína

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4 (IL4) ed Interleukina 10.

Allo scopo di intensifi care l’effetto terapeutico dei TMO allogenico, è stata identifi cata una

strategia di immunoterapia adottiva che consiste nella reinfusione nell’ospite di linfociti dei

donatore (in inglese “donor leukocyte infusion”: DLI). In questo modo, a seconda degli

studi, è possibile ottenere una risposta nel 54-86% di pazienti trattati con TMO allogenico

e successivamente ricaduti: la gran parte di queste risposte sono remissioni complete

molecolarmente documentate(ref. 7-8-9).

Un approccio alternativo alla DLI o ad esso complementare consiste nell’induzione della

GVL mediante l’impiego di citochine attive sul sistema immune. A questo scopo sono stati

impiegati principalmente interferone a ed IL2, che, seppure con meccanismi differenti,

agiscono entrambi attivando la risposta cellulo-mediata (ref. 9).

SCOPO E DISEGNO DELLO STUDIO

L’obiettivo della ricerca è stato stabilire se esista o meno una correlazione tra il livello di

attivazione del sistema immune e la taglia della malattia neoplastica in sette pazienti affetti

da LMC e trattati con DLI (4 casi) o DLI+IL2 (3 casi). Sono stati presi in esame alcuni controlli

(3 casi).

Sul piano metodologico quest’obiettivo è stato perseguito dosando i livelli di mRNA per IL2

ed IL4 e per il trascritto patologico bcr-abl, con cadenza mensile.

È stato scelto di dosare queste due particolari citochine per indagare sul contributo

reciproco dei Th1 e Th2 nell’attivazione dei sistema immune.

La valutazione quantitativa dell’mRNA dei gene bcr-abl ha infi ne consentito una stima

accurata della taglia neoplastica.

Infi ne, sempre tramite la quantifi cazione dell’espressione di IL2 ed IL4, si è voluto indagare

sulla risposta dei sistema immune nelle due differenti situazioni costituite dalla DLI e dalla

DLI+IL2.

MATERIALI E METODI

PAZIENTI

Sono stati studiati dieci pazienti affetti da LMC Ph1+ e positiva per il trascritto bcr-abl. Tutti

questi pazienti, che comprendevano sia il gruppo in studio che il gruppo di controllo, sono

stati sottoposti a TMO allogenico da donatore compatibile, condizionato con ciciofosfamide

60 mg/m^2 die i giorni -6 e -5 e con total body irradiation (12 Gy in sei frazioni) nei giorni

-4, -3 e -2 (ref 10)

In tutti i pazienti è stata eseguita una T deplezione in vivo, mediante l’anticorpo

monocionale Campath 1M e complemento, allo scopo di ridurre la GVHD. In seguito a

TMO, tutti i pazienti sono ricaduti a livello molecolare e sono stati trattati con almeno una

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somministrazione di DLI. Di questi, tre hanno avuto una scarsa risposta, per cui è stata

associata come rinforzo la somministrazione di IL2 ad un dosaggio di 1.8 x 10^6 U/m^2

per tre giorni alla settimana fi no al raggiungimento di una negativizzazione per il trascritto

bcr-abl.

Come controlli si sono considerati i valori relativi a tre pazienti a partire dall’ottavo mese

dall’ultima DLI.

Per i pazienti del gruppo di studio e per quelli del gruppo di controllo sono stati eseguiti

prelievi con una cadenza media di 31 giorni (deviazione standard: 9.5). Ad ogni controllo

si è effettuato emocromo con formula leucocitaria e si è quantifi cato il trascritto bcr-abl.

La valutazione dei livelli di IL2 e IL4 è avvenuta retrospettivamente su campioni di cDNA

conservati a –70°C.

ANALISI MOLECOLARE

L’estrazione dell’RNA, la retrotrascrizione a cDNA e la PCR qualitativa e quantitativa per abl

e bcr-abl sono stati eseguiti come descritto dal gruppo di J. M. Goldman (ref. 11).

L’ analisi quantitativa dell’mRNA per IL2 ed IL4 è stata eseguita impiegando un competitore

multispecifi co (ref 12) gentilmente fornito dal Prof Hans-Dieter Volk, dell’Università di

Berlino.

Il cDNA impiegato per l’amplifi cazione dei trascritti per le citochine in studio era stato

conservato a –70°C per un tempo non superiore ai dieci mesi ed era il medesimo in cui che

erano stati precedentemente quantifi cati i geni bcr-abl ed abl.

La mix di reazione era costituita da 1 ml di cDNA, 1 ml di competitore, 5 mI di PCR

buffer (Boerigher-Mannaim), 50 mmoli/litro di ciascun dNTP, 20 picomoli dei primer IL2s

(5’-CCTCAACTCCTGCCACAATG-3’) ed IL2as (5’-TTGCTGATTAAGTCCCTGGG-3’) per

l’amplifi cazione dei cDNA dell’IL2 e dei primer IL4s (5’-GCTTCCCCCTCTGTTCTTCC-3’) ed

ILAas (5’-TCTGGTTGGCTTCCTTCACA-3’) per l’IL4, 0.5 unità di Taq Polimerasi (GIBCO) ed

acqua distillata sterile fi no ad un volume fi nale di 50 ml. La soluzione era ricoperta da 50

ml di olio minerale (Sigma).

Le concentrazioni di competitore impiegate variavano da 1.7x10^5 ad 1.7x10 molecole/

ml.

L’amplifi cazione è stata eseguita impiegando un’apparecchiatura dell’MJ Rescarch

impiegando il seguente profi lo termico: 96°C per 1’, 96°C per 20”+ 67°C per 20”+ 72°C

per 30” ripetuto sette volte, 96°C per 20” + 65°C per 20” + 72°C per 30” ripetuto trenta

volte, seguito da un’estensione a 72°C per 2’.

La lunghezza in paia di basi del prodotto di amplifi cazione del templato IL2 era di 340,

quella del rispettivo competitore di 232. Riguardo ad IL4 l’amplifi cato era di 371 paia di basi

mentre il copetitore ne misurava 289.

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Del prodotto fi nale di reazione, 15 ml erano visualizzati su di un gel di Agar al 2% in TBE

0.5x.

ll confronto tra l’intensità relativa delle bande di templato e di competitore è stato

effettuato visivamente.

Lo studio iniziale di fattibilità è stato eseguito suddividendo 20 ml di sangue, prelevati da un

donatore sano, in tre aliquote di egual volume. La prima è stata trattata come un normale

campione di sangue. Nella seconda sono state isolate le cellule mononucleate mediante

gradiente di Ficoll. Nella terza, mediante la medesima procedura, si sono isolate cellule

mononucleate, che successivamente sono state cimentate con Fitoemoagglutinina allo

scopo di stimolare i linfociti. L’estrazione dell’mRNA, la sintesi del cDNA e l’amplifi cazione

del trascritto per IL2 ed IL4 sono state effettuate come riportato precedentemente.

ANALISI STATISTICA

i valori relativi ai livelli intracellulari dell’mRNA per abl, bcr-abl, IL2 ed IL4 sono espressi

come numero assoluto di molecole normalizzate per abl pari a 10^4, che rappresenta il

valore che più comunemente viene ottenuto nella quantifi cazione dell’mRNA per l’abl. I

valori riportati sono quindi da intendersi come numero di molecole dell’mRNA studiato per

10^4 molecole di abl.

Per ogni gruppo di dati è stata calcolata la media e la deviazione standard (ds) è stata

impiegata come parametro di dispersione rispetto ai valori centrali.

I confronti tra gruppi differenti sono stati eseguiti mediante l’impiego del test t secondo

Student, con il calcolo dei valore “P “ che esprime la signifi catìvità statistica. Come di

convenzione, sono stati considerati statisticamente signifi cativi solo i raffronti con P<0.05.

In generale sono stati utilizzati per l’analisi statistica tutti i dati ottenuti sperimentalmente;

solo nel caso del confronto tra i livelli di mRNA per bcr-abl ed IL4, nel gruppo di pazienti

trattati con IL2 e nel gruppo trattato con sola DLI, sono state escluse le osservazioni con

valori della concentrazione di bcr-abl superiore od uguale a 10^4. Questo ha portato

all’esclusione di un’osservazione nel primo gruppo e di quattro nel secondo. La logica di

questa scelta è stata l’assenza di informazioni attendibili che si sarebbero potute ottenere

da campioni di sangue in cui la quasi totalità di cellule era costituita dal clone leucemico,

come accade quando i valori di mRNA per bcr-abl erano maggiori od uguali a 10^4.

RISULTATI

La validità della metodica adottata nella quantifi cazione della concentrazione intracellulare

dell’mRNA per IL2 ed IL4 è stata testata studiando l’espressione di questi geni da parte di

linfociti ottenuti da donatore sano, come descritto nella parte relativa ai materiali e metodi.

I valori relativi all’mRNA dell’IL2 dei linfocitiari a riposo era 1.1x10^3, quello dei linfociti

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attivati 1.4x10^5, mentre nel sangue intero non stimolato non era possibile amplifi care

il trascritto dell’IL2. Per questo motivo si è deciso di abbandonare la quantifi cazione

dell’espressione di questo gene e continuare unicamente con IL4. I livelli di mRNA per

IL4 erano 5.6x10^2 nei linfociti a riposo, di 6x10^3 nei lifociti attivati e di 1.5x10^3 nel

soggetto normale. Tutte queste determinazioni sono state eseguite tre volte dando risultati

largamente sovrapponibili e confermando la riproducibilità della metodica.

Per valutare Ìesistenza di una differenza dei valori per IL4 nei due mesi che seguivano la

DLI rispetto al periodo successivo sono stati confrontati i livelli dell’mRNA relativo ad i due

periodi nei quattro pazienti trattati con sola DLI. Nel periodo a ridosso della reinfusione dei

linfociti, la media dei livelli di IL4 era 3829 (ds: 5736), mentre oltre i due mesi si è riscontrato

un valore medio di 2101 (ds: 2672). Il confronto tra i due gruppi era caratterizzato da un

P=0.4.

Si è poi voluto valutare se esistesse una correlazione tra i livelli di IL4 e quelli di bcr-abl. A

questo scopo, nell’ambito dei due gruppi in studio e del gruppo di controllo, sono stati

individuati i valori medi della concentrazione del trascritto per IL4, che corrispondevano

a 12406 per i pazienti trattati con IL2, a 3549 per quelli che avevano ricevuto la sola DLI

e 1755 per i controlli. All’interno di ciascun gruppo sono stati separate le osservazioni, a

seconda che avessero un valore di IL4 maggiore o minore della media, venendo a formare

due sottogruppi che sono stati poi confrontati.

Nell’ambito dei pazienti che avevano ricevuto IL2, la media della concentrazione di bcr-abl

per il sottogruppo con maggiore espressione dell’mRNA di IL4 era 181 (ds: 348), l’altro

sottogruppo aveva un valor medio di bcr-abl di 1158 (ds: 2658). Il confronto tra i due

sottogruppi non dimostrava una signifi catività statistica (P=O. 1).

Per quel che riguarda i pazienti trattati con sola DLI, il sottogruppo con concentrazioni più

alte di mRNA per IL4 aveva un media di bcr-abl pari a 1047 (ds: 1379) e quello con valori di

IL4 più bassi aveva una media di 318 (ds: 725). Non vi era signifi catività statistica tra i due

sottogruppi (P=O. 1).

Nel gruppo di controllo, il sottogruppo in cui vi era una maggiore espressione dell’mRNA

per IL4 aveva una media di bcr-abl pari a 75 (ds: 150), quello in cui l’espressione di IL4

era minore aveva una media di bcr-abl di 221 (ds: 800). Anche in questo caso non era

signifi cativo il confronto tra i due sottogruppi (P=0.6).

Si è poi confrontato il livello di espressione di IL4 nei pazienti trattati con IL2 ed in quelli

trattati con sola DLI rispetto al gruppo di controllo. I pazienti che avevano ricevuto IL2

avevano un valore media di mRNA di IL4 pari a 12406 (ds: 20747), quelli trattati con DLI

una media di 3549 (ds: 5179) ed i controlli una media di 1755 (ds: 3428). Il confronto tra

pazienti trattati con IL2 e controlli era statisticamente signifi cativo (P=O. 0 1), mentre quello

tra i pazienti che avevano ricevuto DLI ed i controlli non lo era (P=O. 1).

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Infi ne, gli emogrammi eseguiti in concomitanza con l’analisi molecolare hanno messo in

rilievo la presenza di una ipereosinofi lia nei pazienti trattati con IL2 (media: 5.9%, ds:

5.4) ed in quelli trattati con sola DLI (media: 3.3%, ds: 4.5) rispetto ai controlli (media:

1.3%, ds: 0.4). Le differenze erano statisticamente signifi cative: P=0.0001 e P=0.02,

rispettivamente.

DISCUSSIONE

Lo scopo principale dello studio è stato determinare una correlazione tra la risposta

laboratoristica alla DLI od all’IL2 in pazienti affetti da CML, espressa come livelli di mRNA

per bcr-abl, e Io stato di attivazione del sistema immune. Quest’ultimo parametro è stato

valutato dosando la concentrazione dell’mRNA per IL2 ed IL4. Purtroppo, tecnicamente è

stato possibile dosare solamente i livelli di mRNA per IL4, perchè la strategia di amplifi cazione

di single-step PCR utilizzata non era suffi cientemente sensibile per analizzare l’mRNA per

IL2. Soltanto in linfociti isolati è stato possibile identifi care ii trascritto per IL2 e questo può

essere legato da un lato alla scarsità del trascritto in linfociti non stimotati e dall’altro al

fatto che la vita media dell’mRNA per IL2, ma non per RA, è estremamente breve. L’estrema

labilità di questo trascritto è dovuta a strutture secondarie presenti all’estremo 3’ della

molecola di mRNA, che la rendono estremamente sensibile all’azione degradativa delle

rnasi (ref 13-14). Questi dati giungono a conferma di quanto osservato da Tanaka e coll (ref

15). Si è pertanto ritenuto opportuno procedere nell’analisi dei campioni soltanto dosando

i livelli di mRNA di IL4.

Sono stati studiati complessivamente dieci pazienti, di cui tre trattati con DLI seguita

da infusione di IL2, quattro con sola DLI e come controlli si sono impiegati tre pazienti

che avevano ricevuto l’uttima dose di DLI almeno sette mesi prima; in questo modo ci

si assicurava un gruppo di controllo del tutto simile al gruppo di studio per malattia e

trattamento ed in cui gli effetti dell’ultima DLI erano ormai svaniti.

Purtroppo non è stato possibile riscontrare una correlazione statisticamente signifi cative tra

i livelli di mRNA per bcr-abl, espressione della taglia di malattia, e quelli di IL4. Nonostante

il follow up sia stato assiduo, con un prelievo ematico mensile, le differenze sia pure

riscontrate tra i tre gruppi di pazienti non erano suffi cienti per avere dati signifi cative sul

piano statistico, anche in considerazione del ridotto numero di pazienti studiati. Non è

stato così possibile attribuire un sicuro valore prognostico al dosaggio dell’mRNA per IL4.

Si è inoltre indagato sui meccanismi immunologici responsabili dell’azione terapeutica della

DLI. Non è stato possibile identifi care una differenza importante dei livelli di IL4 nei due mesi

che seguivano la DLI rispetto al periodo successivo. Questo dato può essere interpretato in

modi differenti. Da un lato è possibile che un campionamento a cadenza mensile non sia di

per sè suffi ciente per l’analisi di fenomeni a rapida evoluzione come quelli che avvengono

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in seguito all’introduzione di linfociti del donatore in un ricevente immunologicamente

simile ma non identico: forse, per cogliere delle differenze, sarebbe necessario eseguire

dosaggi molto più numerosi e ravvicinati nel tempo. Dall’altro canto sembra diffi cile che

la DLI non determini delle modifi cazioni signifi cative nello stato di attivazione dei linfociti.

Quest’ultima possibilità è infatti esclusa da dati ottenuti da Tanaka e coll. (ref 15), che

mostrano come durante la GVHD si abbia un’attivazione dei linfociti del sangue periferico

con produzione di un particolare pattern citochinico. Dati simili sono stati mostrati nel topo

da Ferrara e coll (ref 16). Più di recente Imami e coll (ref 17). hanno dimostrato come alti

livelli circolanti di precursori di linfociti T citotossici alloreattivi, riscontrabili ad esempio nei

trapianti HLA-DR-mismatched, siano caratterizzati da un’elevata produzione di IL2, una

bassa sintesi di IL4 e da un’importante GVHD. Concentrazioni più basse di questi linfociti

autoreattivi, come si possono avere nei trapianti HLA-matched da donatore consanguineo

si accompagnavano a valori più bassi di IL2 con un notevole increments di IL4.

Il fatto che strategie di immunoterapia adottiva si traducano in modifi cazione dei pattern di

espressione citochinica sono dimostrate anche dal nostro studio. Abbiamo infatti osservato

come nei campioni di pazienti trattati con DLI seguita da IL2 vi fosse una concentrazione

di mRNA per IL4 signifi cativamente più alta rispetto ai controlli (P=0.01). Lo stesso non

si verifi cava per i pazienti trattati con sola DLI (P=O. 1). Evidentemente il trattamento

con DLI associato ad IL2 oppure l’IL2 da sola induceva un incremento nella produzione

di IL4. A differenza di quanto osservato da Imami e coll., nel nostro studio la produzione

di IL4 non si traduceva in un aumento della probabilità di ricaduta, anzi, l’associazione di

IL2 con DLI ha permesso di indurre una remissione completa molecolare in pazienti non

altrimenti responsivi alla sola DLI. Evidentemente l’incremento dell’espressione dei gene

di IL4 rappresenta un epifenomeno più che il meccanismo d’azione dell’IL2, considerato

che di per sè IL4 ha una azione depressiva della risposta cellulo-mediata, mentre in questi

pazienti è proprio l’azione dei linfocìti T killer che permettono una distruzione delle cellule

neoplastiche. A questo riguardo sarebbe stato interessante osservare lo stato di attività dei

Th1, ma la mancata amplifi cazione dell’mRNA per IL2 non ha permesso di fare confronti

tra i diversi stati funzionali delle branche Th1 e Th2 del sistema T helper.

Infi ne abbiamo osservato come, rispetto ai controlli, vi fosse un aumento dei numero

di granulociti eosinofi li nel sangue periferico sia nel gruppo trattato con DLI (P=O. 1 )

sia, soprattutto, nel gruppo trattato con DLI seguita da IL2 (P=0.001). Questa differenza

può rappresentare l’espressione di una modifi cata produzione di citochine che deriva

dall’attivazione dei Th2 durante le modifi cazioni immunologiche che hanno luogo in

seguito a DLI. In particolare è da notare come proprio IL4 rappresenti il principale fattore di

differenziazione della CFU-GEMM lungo la fi liera granulocitaria eosinofi la ed esiste quindi

una notevole concordanza tra gli alti valori di granulociti eosinofi li e i livelli di trascritto per

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IL4 nel gruppo di pazienti trattati con IL2. Probabilmente nel gruppo di pazienti trattati

con sola DLI l’aumento deil’mRNA per IL4 non era suffi cientemente elevato per avere una

signifi catività statistica con le osservazioni ottenute.

In conclusione, il nostro studio ha dimostrato come il dosaggio dell’mRNA per l’IL4

rappresenti un valido parametro per monitorare lo stato di attivazione dei Th2, mentre

l’mRNA per IL2 non costituisce un parametro altrettanto valido per studiare i Th 1 .

Evidentemente, a questo scopo, è necessario ricorrere al dosaggio dell’mRNA di altre

citochine, come, ad esempio, l’interferone g.

Studiando solamente IL4, non è stato possibile attribuire alla quantità dell’mRNA di

questa citochina un preciso signifi cato prognostico, essendo scarsamente signifi cativa la

correlazione con i livelli del trascritto patologico bcr-abl, pur con i limiti dovuti allo scarso

numero di campioni studiati. Infi ne si è dimostrata una stretta relazione tra il trattamento

con IL2 e livelli aumentati di trascritto per IL4. Questo dato era confermato dalla presenza

di una ipereosinofi lia, presente anche in pazienti trattati con sola DLI, ma particolarmente

elevata in quelli che avevano ricevuto anche IL2.

PROSPETTIVE FUTURE

Lo studio continuerà includendo un maggior numero di pazienti, almeno 20, e, soprattutto,

impiegando l’amplifi cazione dell’mRNA per l’interferone g per saggiare lo stato funzionale

dei linfociti Th1.

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INTRODUZIONELa Leucemia Mieloide Cronica (CML) è una malattia con decorso progressivo ed esito fatale. Nelle prime fasi di malattia I’emopoiesi è caratterizzata da uno stato chimerico di cellule staminali normali e neoplastiche. La possibilità di operare un “purging” per ottenere le cellule staminali normali del paziente libere da malattia è tuttora studiata in diversi istituti di fama internazionale. Nel nostro Istituto è stata messa a punto da Carella e co. una tecnica di “purging” in vivo che ha permesso di ottenere dal sangue periferico di pazienti con CML delle cellule staminali citogeneticamente normali e libere da cellule leucemiche, come rilevato tramite ricerca citogenetica del cromosoma Philadelphia (Ph).Tali cellule staminali sono state usate con successo per l’autotrapianto negli stessi pazienti.Numerosi studi hanno evidenziato che il numero di cellule leucemiche presenti nelle raccolte di staminali autologhe hanno un ruolo importante nella ricaduta di malattia, essendo il tempo di remissione citogenetica direttamente proporzionale al carico di malattia residua delle cellule reinfuse. Consci di questo, come della scarsa sensibilità della citogenetica, abbiamo cominciato nel febbraio dei 1997 un programma di studio con l’obiettivo di acquisire nuovi strumenti per la misurazione della malattia minima residua (MRD) che ci potessero permettere di selezionare meglio le cellule per l’autotrapianto. Fondamentale per tale programma è stata la nostra collaborazione con il gruppo del Prof. Goldman di Londra e particolarmente con il suo collaboratore Dr N Cross che ha messo a punto sofisticate tecniche di biologia molecolare come la RT-PCR quantitativa per competizione (QC-RT- PCR).

MESSA A PUNTO DELLA TECNICA DELLA RT-PCR QUALITATIVA.

La RT-PCR qualitativa per il trascritto per le p210 BCR-ABL e p190 BCR-ABL è stata messa a punto seguendo metodologie standard.

MESSA A PUNTO DELLA TECNICA DELLA RT-PCR QUANTITATIVA PER COMPETIZIONE

Per ottenere il DNA competitore per la reazione di QC-RT-PCR per p210 BCR-ABL, un amplificato proveniente da un paziente di CML (tipo b3a2), è stato digerito con un enzima di restrizione Ava II, ognuno dei due frammenti ottenuti è stato legato separatamente con un frammento di 222 paia di basi con estremità compatibili. I prodotti delle due reazioni sono stati poi riuniti e una reazione di ovelapping extension è stata effettuata. Brevemente, è stata effettuata una reazione di PCR in cui il templato era costituito dall’insieme dei due prodotti di legata, e i due primer erano gli stessi (1 e 5) con cui è stato ottenuto il frammento b3a2 originale (Fig 1).

Questo frammento (chiamato b3-St) è stato clonato nel vettore pCR ed il plasmide così ottenuto (pCR-b3-St) è stato prodotto in batteri ed utilizzato come DNA standard nelle reazioni di QC-RT-PCR per la p210 BCR-ABL. Per la quantificazione dei trascritti , numeri di molecole noti di DNA competitore sono stati amplificati in presenza di CDNA ottenuto dai campioni in esame. Dal punto di equivalenza tra l’amplificato ottenuto dal competitore e quello ottenuto dai trascritti BCR-ABL del campione si è risaliti alla quantità assoluta delle molecole di mRNA per BCR-ABL presenti nel campione. Tale quantificazione è stata considerata come una stima diretta della malattia residua minima (Fig 2)

Utilizzando la stessa procedura ma con i primer 1 e 9 è stata ottenuta anche la quantificazione dell’mRNA per ABL, gene di riferimento interno, la cui quantificazione è utile nello stabilire il rapporto BCR-ABL/ABL, cioè gene patologico/gene normale, che è un’altra stima attendibile per la quantificazione della malattia.

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PAZIENTI

Sono stati inclusi in questo studio 16 pazienti con CML mobilizzati dopo meno di 4 mesi dalla diagnosi di malattia. Campioni dalle collezioni di cellule staminali sono stati studiati per il contenuto di malattia residua minima attraverso QC-RT-PCR per BCR-ABL e ratio BCR-ABL/ABL.I risultati ottenuti (Fig 3 e 4) hanno mostrato che all’interno di una serie di campioni provenienti dallo stesso paziente è possibile rilevare differenze in MRD superiori anche a 10 volte, mostrando che questo tipo di studiopermettendo di selezionare le raccolte di cellule staminali con il più basso grado di contaminazione leucemica, permette di ridurre il numero di cellule neoplastiche reinfuse. Poiché è stato dimostrato che la malattia può originare anche da queste ultime, ci aspettiamo che i risultati clinici conseguenti aquesto processo di selezione delle cellule da reinfondere mostrino un aumento della sopravvivenza.

CINETICA DELLA MALATTIA MINIMA RESIDUA: IMPLICAZIONI PER LA CLINICA

Nella maggior parte di questi pazienti abbiamo dimostrato che le variazioni della malattia residua minima sembrano avvenire in modo non casuale.Infatti, nelle prime aferesi si ritrova sempre il carico minore di leucemia. Se consideriamo le mediane del numero di trascritti BCR-ABL per gruppi di leucaferesi (raggruppate secondo l’ordine di tempo in cui sono state effettuate), vediamo che esse sono più basse nelle prime raccolte (Tav. 1)

Analizzando questi dati in maniera statistica, in modo da studiare l’incremento della malattia residua minima nelle varie aferesi, abbiamo scoperto che tale incremento è distribuito in modo non casuale ma altamentesignificativo (Fig. 5).

UTIILITA’ DELLA COLLABORAZIONE CON NICK CROSS (HAMMERSMITH DI LONDRA)

La collaborazione con Nick Cross, dell’Hammermith di Londra, resa possibile dal generoso supporto dell’Associazione Cristina Bassi, è stata fondamentale per diversi aspetti, enumerati qui appresso:

1 - CONTROLLO DI QUALITA DEL SISTEMA DI QC-RT-PCR ALLESTITO NEI LABORATORI DI GENOVA.L’estrema sensibilità delle tecniche effettuate richiede un controllo di qualità rigoroso ed esteso a tutti gli stadi della procedura. Il confronto con ricercatori che da anni lavorano in questo campo è stato senz’altro utile da questo punto di vista. Particolarmente, la riconferma di risultati ottenuti a Genova ha definitivamente provato l’alto standard qualitativo delle analisi effettuate nel nostro laboratorio. Nick Cross ha inoltre gentilmente messo a disposizione i costruiti per il DNA competitore da lui assemblati, rendendo possibile anche la quantificazione della p190 BCR-ABL.

2 - MESSA A PUNTO DELLA QC-RT-PCR PER LA p190 BCR-ABL

Nella nostra clinica sono seguiti numerosi casi di Leucemia Linfoblastica con traslocazione Philadelphia. Inoltre, un certo numero di pazienti con CML presenta il trascritto per p190 BCR-

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ABL. In seguito alla permanenza nellaboratorio di Nick Cross è stato possibile utilizzare la QC-RT-PCR anche su questi pazienti.

3 - STANDARDIZZA IONE DELLE METODICHE A QUELLE PROPOSTE DAL CRUPPO EUROPEODI COOPERAZIONE PER LA MIELOIDE CRONICA.

La QC-RT-PCR è una delle novità più interessanti degli ultimi anni nel campo della biologia molecolare applicata alla clinica. Per alcuni aspetti però è una tecnica difficile da maneggiare e che richiede grande esperienza. Per poter ottenere risultati paragonabili nei diversi istituti, il Gruppo Europeo per la Leucemia Mieloide Cronica ha deciso che gli Istituti più rilevanti nel campo dovessero uniformare le metodologie in modo da avere la maggioreuniformità e comparabilità possibile. La metodica di riferimento è quella messa a punto da Nick Cross. Tale metodica è stata discussa ed applicata in tutti i suoi vari aspetti nel Laboratorio diretto da Nick Cross a Londra.

RINGRAZIAMENTI

Si ringrazia l’associazione “Cristina Bassi” di Genova per aver contribuito in modo particolarmente rilevante a questo progetto. Si ringraziano inoltre tutti i Colleghi della Il Divisione di Ematologia dell’Ospedale San Martino diGenova, ed in modo particolare il Prof. Angelo M. Carella, per la disponibilità e l’interesse mostrato per il mio lavoro.

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Metodiche di dimostrazione del chimerismo

INTRODUZIONE

Il trapianto di midollo allogenico costituisce una importante metodologia di trattamento per

molte patologie ematologiche quali: immunodefi cienza severa combinata (SCID), anemia

aplastica, leucemia. La dimostrazione della presenza del patrimonio genetico del donatore

nel ricevente è indice di una buona riuscita del trapianto, ed è per questo che si rende

necessaria una precoce valutazione del chimerismo dopo il trapianto. Per documentare il

chimerismo sono disponibili molti marcatori genetici diversi per sensibilità e informatività;

tra questi la tipizzazione citogenetica, utile quando sono presenti differenze autosomiche o

sessuali tra donatore e ricevente, quella eritrocitaria inutile fi no a quattro o più mesi dopo

il trapianto e quella HLA, spesso inutile perché la maggior parte dei trapianti allogenici si

esegue tra coppie HLA identiche.

Attualmente si considera più informativa e sensibile I’analisi svolta attraverso i polimorfi smi

del DNA. Molti loci polimorfi ci del DNA sono stati caratterizzati a questo scopo. Essi sono

i “Variable Number Tandem Repeats” o VNTRs e gli “Short Tandem Repeats” o STRs che

permettono di discriminare due individui indipendentemente dall’aplotipo HLA e dal sesso.

Tali polimorfi smi possono essere rilevati con alta sensibilità usando la “polymerase chain

reaction” (PCR) che amplifi ca regioni ipervariabili del DNA a partire anche da minime

quantità di materiale genico, situazione che si può verifi care comunemente dopo un

trapianto allogenico, soprattutto con i protocolli di miniallotrapianto.

Gli STRs o microsatelliti sono sequenze di 2-6 paia di basi di DNA ripetute un numero

variabile di volte che possono essere usate per documentare I’attecchimento di un

trapianto. Gli alleli sono differenziati e defi niti in base al numero di copie di sequenze

ripetute contenute nelle regioni amplifi cate.

Sono stati rilevati alti livelli di eterozigosità per i loci STR dipendenti dal grande numero di

alleli possibili e dalla distribuzione degli stessi nella popolazione.

Lo scopo dello studio è stato quello di valutare I’attecchimento del trapianto allogenico

mediante l’impiego di un metodo quantitativo per la determinazione del chimeiismo che

fornisse anche valide informazioni riguardanti il regime di condizionamento più adatto a

eradicare la linfoematopoiesi dell’ospite e a promuovere I’attecchimento del trapianto e

che permettesse anche di evídenziare precocemente eventuali cellule maligne residue e

quindi la ripresa della malattia.

MATERIALI E METODI

I pazienti valutati in questo studio presentavano diverse patologie ematologiche a diversi

stadi ed sono stati sottoposti a trapianto di midollo allogenico nella Il Divisione di Ematologia

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I dell’ Ospedale San Martino. Per ciascuno di essi si sono raccolti campioni di sangue del

ricevente e del donatore che sono stati tìpizzati prima del trapianto. Ad intervalli defi niti in

base al tipo di intervento terapeutico indicato nonché in base allo stato di salute, i pazienti

sono stati monitorati per valutare l’attecchimento del trapianto.

Per ogni campione si è proceduto dapprima all’ estrazione dei DNA mediante una

soluzione contenente agenti lisanti, alla sua purifi cazione con fenolo-cloroformio, alla

sua visualizzazione su minigel di agarosio al fi ne di garantire una esatta quantífi cazione e

quindi all’amplifi cazione di 13 loci del DNA mediante “Polymerase Chain Reaction” (PCR o

reazione polimerasica a catena che genera frammenti di DNA di lunghezza direttamente

proporzionali al numero di unità ripetute, impiegando inneschi marcati con fl uorocromi

diversi prodotti di PCR sono stati caricati su gel di acrilamide denaturante al 4% e separati

mediante corsa elettroforetica di 2 ore a 3000 V in sequenziatore automatico (1377 ABD

Automatic Sequencer) ed analizzati attraverso un software3.1 Genescan Analysis.

Il sequenziatore 377 ABD Automatic Sequencer garantisce una sensibile rilevazione dei

prodotti di amplifi cazione del DNA marcati con fl uorocromi differenti. Il software 3.1

Genescan Analysis è in grado di calcolare I’area del picco di un segnale fl uorescente

corrispondente ad una banda sul gel.

L’area del picco di una molecola fl uorescente è direttamente dipendente dall’energia di

emissione del fl uorocromo e dal numero di molecole presenti. Poiché ciascuna molecola dei

prodotti di PCR è coniugata ad una molecola di colorante, I’area del picco corrispondente

alla banda allelica STR è direttamente dipendente

dalla quantità di prodotto di amplifi cazione del DNA e indipendente dalla lunghezza.

Determinando I’area sottesa dagli alleli informativi del donatore e del ricevente si può,

mediante un rapporto, calcolare la percentuale di donatore nel chimerismo misto.

La formula matematica che permette di calcolare la percentuale di donatore presente in un

prelievo seguente al trapianto è la seguente:

%=[(Ad1+Ad2)/(Ad1+Ad2+Ar1+Ar2)] X 100

dove A sta per area del picco;

D1 e D2 rappresentano gli alleli del donatore;

R1 e R2 rappresentano gli alleli del ricevente.

Se un allele è condiviso allora il calcolo viene eseguito considerando soltanto I’allele

informativo.

La possibilità di analizzare 4 differenti fl uorocromi contemporaneamente, permette di

valutare più di un allele informativo nell’ambito di una stessa corsa elettroforetica.

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RISULTATI e DISCUSSIONE

Lo studio è stato condotto attraverso tre fasi costituite dalla ricerca dei marcatori più

informativi sia in senso assoluto, per i trapianti tra individui non correlati che relativo, per i

trapianti tra individui correlati; dalla valutazione delle differenze riscontrabili in un numero

elevato di trapianti tra individui correlati; dall’elaborazione dei dati valutabili nei rapporti

tra i prodotti di PCR che hanno permesso di defi nire con precisione i cloni cellulari differenti

nelle popolazioni miste. L’impiego della PCR ha permesso di analizzare, a partire da minime

quantità di DNA, il chimerismo nei pazienti sottoposti ad allotrapianto garantendo una

sensibilità di amplifi cazione elevata e quantifi cabile fi no al 1%. La coamplifi cazione di

diversi loci informativi mediante o I’uso di inneschi marcati con 4 differenti fl uorocromi

o mediante l’uso di inneschi marcati con lo stesso fl uorocromo ma che, per il diverso

peso molecolare migrano in modo diverso, ha permesso di analizzare molteplici

marcatori contemporaneamente, garantendo una maggiore sicurezza nella valutazione

dell’attecchimento del trapianto.

La separazione e la seguente analisi dei frammenti amplifi cati in PCR e marcati con

fl uorocromi differenti mediante corsa elettroforetica ed elaborazione con software

ha pennesso di ottenere una riproducibilità, una precisione delle misurazioni e una

standardizzazione dei dati che non erano garantite dai sistemi di rilevazione manuale

precedentemente impiegati.

L’analisi dei marcatori STR su un elevato numero di soggetti non correlati e confrontati tra

loro, ha consentito la creazione di database in grado di fornire la frequenza con la quale

gli alleli si manifestano nella popolazione con i quali sono stati confrontati i singoli sistemi

dei pazienti studiati per meglio valutare l’informatività di ciascuno dei singoli sistemi.

L’analisi delle coppie donatore/ricevente è stata eseguita dapprima mediante l’impiego di 9

marcatori poi, se questi non permettevano di distinguere chiaramente tra loro i 2 soggetti,

mediante l’aggiunta di 4 marcatori supplementari. In questo modo si è osservato che, delle

155 coppie donatore/ricevente analizzate nessuna era identica per tutti i loci dopo l’iniziale

amplifi cazione di 9 marcatori e che solo in 2 coppie il donatore e il ricevente differivano tra

loro per un unico marcatore.

L’analisi dei campioni prelevati da soggetti sottoposti ad allotrapianto è stata condotta in

periodi dfferenti, confrontando dati relativi alle caratteristiche genetiche del ricevente e del

donatore e valutando l’attecchimento in termini di presenza o meno di popolazioni cellulari

uniche o duplici, sia in termini qualitati, che quantitativi.

Sono attualmente in corso delle ricerche per valutare il chimerismo anche nella

sottopopolazione T linfocitaria CD3+, implicata in tutti i meccanismi di rigetto,

che sembrerebbe poter essere più precocemente e più sensibilmente predittivo

dell’attecchimeneto del trapianto.

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La valutazione della percentuale di cellule del donatore eseguita mediante una formula

matematica rende riproducibile e confrontabile il dato ottenuto. Questo calcolo ha

permesso di valutare nel tempo I’andamento dei trapianti allogenici e di evidenziare

anche minime variazioni percentuali nella composizione delle popolazioni cellulari che

non sarebbe possibile rilevare con altri metodi analitici, garantendo così un intervento

terapeutico pronto e mirato laddove questo si rendesse necessario.

CONCLUSIONI

Questo lavoro ha evidenziato l’importanza dell’analisi dei loci polimorfi ci del DNA o “STRs”

nella valutazione dell’attecchimento del trapianto allogenico. L’amplifi cazione di tali

loci mediante PCR, la separazione elettroforetica e I’analisi eseguita mediante software,

garantiscono accuratezza, riproducibilità e possibilità di confronto dei dati ottenuti e

forniscono un valido supporto all’azione terapeutica svolta dai clinici.

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“Utilizzo di Amifostina come fattore di crescita e agnete antimutageno nella terapia ad alte dosi seguita da trapianto di cellule periferiche (PBSCS)

In questi 11 mesi trascorsi nel Laboratorio di Farmacologia Clinica presso la Brown University ho avuto la possibilità di apprendere come si svolge un progetto di ricerca di base, partendo dalla stesura del protocollo, attraverso la realizzazione fi no alla discussione dei risultati. Proveniendo da un tipo di training dei tutto clinico, questo tipo di esperienza ha arrichito incredibilmente il mio background dandomi la possibilità di capire i vari steps attraverso i quali i risultati in laboratorio vengono ottenuti, interpretati e traslati negli studi clinici. In questo sono stata guidata dal Professor Calabresi e dal Dottor Damowski che mi hanno seguito e aiutato durante tutto il periodo. Il mio interesse in laboratorio si è concentrato inizialmete sul progetto sull’uso di Amifostina come fattore di crescita e agente antimutageno nella terapia ad alte dosi. Successivamente sono stata coinvolta in un altro progetto che ha riguardato lo studio di un nuovo farmaco, Taurolidine, nella terapia oncologica. In questo secondo progetto mi sono occupata principalmente di verifi care l’attività di Taurolidine nelle neoplasie ematologiche e specifi catamente su linee cellulari di leucemia umana (HL-60 e MDS), linfoma di Burkitt (Daudi) e mieloma multiplo (CMLL-155). Recentemente sono stata anche coinvolta in un progetto riguardante l’uso di Taurolidine come purging agent durante la terapia ad alte dosi. Ho inoltre avuto modo di partecipare al congresso dell’Associazione Americana di Ematologia a New Orleans lo scorso dicembre, e alla VII Worid Conference on Clinical Pharmacology and Therapeutics-Division of CIinical Pharmacology svoltosi a Firenze lo scorso luglio, e alla 5th International Conference on Geriatric Oncology a New York. In questi due ultimi meeting ho avuto occasione di presentare i risultati preliminari del progetto riguardante l’attività di Taurolidine sulle linee di leucemia umana HL-60 e MDS.

Inizialmente mi sono dedicata totalmente al progetto sull’uso di Amifostine nella terapia ad alte dosi. Dopo aver ottenuto l’approvazione del protocollo dal comitato etico, ho iniziato attivamente a lavorare con campioni di sangue periferico e aspirato midollare provenienti da pazienti sani. Questo primo set di esperimenti ha riguardato la messa a punto delle tecniche di citofl uorometria a fl usso e di analisi delle colonie di progenitoriematopoietici. Il reclutamento dei pazienti purtroppo non è stato così celere come si prevedeva. Infatti molti pazienti elegibili per questo protocollo sono stati reclutati in altri studi ad alte dosi riguardanti specifi che neoplasie. Attualmente 4 pazienti sono stati inseriti e i dati ottenuti non permettono di trarre conclusioni sull’attività di Amifostine.li numero delle PBSCs mobilizzate dai pazienti trattati con G-CSF + Amifostine durante il condizionamento non è signifi cativamente differente da quello ottenuto dai pazienti trattati con solo G-CSF. L’analisi al citofl uorimetro delle sottopopolazioni di cellule mononucleate (CD-34, CD-33, CD-3, CD-4, CD-8), ottenute da sangue periferico durante il condizionamento, non ha dimostrato signifi cative differenze in percentuale nei due bracci. Per quanto riguarda l’analisi delle colonie, i risultati iniziali hanno dimostrato un maggior numero di CFU-GEMM (+ 20%) e di CFU-GM (+ 18%) nel braccio trattato con Amifostine e G-CSF, rispetto a quello trattato solamente con G-CSF. Il numero delle BFU-E non ha dimostrato signifi cative differenze nei due bracci.Per quanto riguarda il test di mutagenesi, la messa a punto del metodo ha inizialmente creato qualche problema, riguardante principalmente la selezione dei controllo positivo. Attualmente la tecnica è stata ottimizzata e una valutazione del tasso di mutazione, sulle cellule provenienti da aspirato midollare, è stata determinata nei primi 4 pazienti. Risultati più consistenti verranno presentati dopo la rielaborazione dei dati ottenuti dai primi 10 pazienti.Durante questo progetto ho avuto l’opportunità di intereagire con numerose strutture quali la Divisione Trapianti di Midollo Osseo del Roger William Hospital di Providence, il Laboratorio di Biologia Molecolare

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della Brown University, la Divisione di Patologia del Rhode Island Hospital. L’atmosfera estremamente collaborativa e intereattiva fra le varie struttwe mi ha permesso di apprendere e applicare le tecniche in modo ottimale e in tempi brevi.Il secondo progetto ha riguardato lo studio dell’attività di un nuovo farmaco, Taurolidine, in campo oncologico. Inizialmente la molecola è stata sintetizzata negli anni ‘70 da una casa farmaceutica svizzera. Esperimenti in vitro avevano rivelato una potente attività non solo verso batteri Gram - e Gram+ e anaerobi ma anche verso funghi e alcuni virus.Queste proprietà avevano spinto la sperimentazione in campo infettivologico e specifi catamente come antibiotico anti-sepsi. Recentemente questo farmaco è stato riscoperto da alcuni oncologi fra cui il Prof. Calabresi, ed è stato iniziato un progetto multicentrico sulla valutazione di Taurolidine come farmaco antinoplastico. Questo farmaco esibisce il vantaggio di non essere tossico sulle cellule umane “normali” e, nello stesso tempo, di essere citotossico sulle cellule neoplastiche. Studi prelirninaii hanno infatti dimostrato una potente attività citotossica di Taurolidine in vitro su linee cellulari di carcinoma ovarico e di tumore celebrale (glioblastoma multiforme) e, in vivo, su noduli di carcinoma prostatico impiantati sottocute in topi nudi. Il mio progetto ha riguardato Io studio di Taurolidine su linee cellulari di leucemia, linfoma e mieloma. Inizialmente è stata determinata la concentrazione corrispondente al 50% di inibizione della crescita cellulare (IC50) sulle diverse linee cellulari. Taurolidine ha dimostrato possedere una potente attività citotossica a un basso dosaggio (< 20 �M). Successivamente la nostra attenzione si è concentrata sulla valutazione del meccanismo d’azione. Esperimenti riguardanti l’analisi del ciclo cellulare e la valutazione del tasso di apoptosi, successive all’esposizione di Taurolidine, si sono rivelati estremamente utili alla comprensione del meccanismo d’azione. Lo studio sta continuando sia con esperimenti in vitro sia con esperimenti pre-clinici su topi nudi per la determinazione di uno schema ottimale di somministrazione.Concludo ringraziando ancora l’Associazione “Cristina Bassi” che mi ha permesso di realizzare questa bellissima e intense esperienza. È stato per me un periodo di crescita sia umana che scientifi ca che mi ha incredibilmente arrichito. Spero di continuare a occuparmi di ricerca di base al mio ritomo.

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Comparison of allogeneic bone marrow and peripheral blood stem cell

transplantation for Aplastic Anemia: Collaborative Study of European Blood and

Marrow Transplant Group (EBMT) and International Bone Marrow Transplant

Registry (IBMTR)

H.Schrezenmeier 1, C. Bredeson 2, B. Bruno 1, F.Loberiza 2, B.Camitta 3, R. Oneto 4, G.Socie 5, A.Bacigalupo 6, R.Pasquini 7, J.Passweg 8, J.Marsh 9 for the EBMT Aplastic Anaemia

Working Party and the IBMTR Aplastic Anemia Working Committee

1Department of Transfusion Medicine, University of Ulm, Ulm Germany

The use of peripheral blood stem cells (PBSC) as an alternative stem cell source to

bone marrow (BM) for allogeneic transplantation is increasing. Most studies of PBSC

transplantation have included patients with malignancies. To date, limited data exist

regarding the relative merits of PB versus BM as a graft source in transplantation of non-

malignant marrow disorders. We compared results of 151 HLA-identical sibling PBSCTs

with results of 722 HLA-identical sibling BMTs for acquired aplastic anemia. Transplants

were performed between 1995 and 2000 in 240 centers. The two patient groups were

similar in age at transplantation, sex, Karnofsky performance score, use of growth factors

posttranplant, and type of graft-versus-host disease (GvHD) prophylaxis. PBSC recipients

were more likely than BM recipients to receive TBI-based conditioning (12% vs 5%) and

tended to have a longer interval between diagnosis and transplantation (median 4 vs 2

mos). Recovery of neutrophils and platelets was signifi cantly faster after PBSCT than after

BMT (median time to �0.5x109/L neutrophils 13 vs 19 days, p<0.001; median time to

�20x109/L platelets 25 vs 15 days, p<0.001). The cumulative incidences of acute GvHD at

100 days posttransplant were 22% (95% Confi dence Interval, (15-30%) vs 17% (14-21%)

with PBSC and BM, respectively (p=0.22). The 2-year cumulative incidences of chronic

GVHD were 29% (20-38%) vs 16% (13-19%) with PBSC and BM, respectively (p < 0.01).

The 2-year probabilities of survival after PBSC and BM transplantation were 67% (58-74%)

and 80% (76-82%), respectively (p < 0.05). In conclusion, other than early hematopoietic

recovery, our study suggests no advantage of PBSCT over BM for HLA-identical sibling

transplantation in acquired aplastic anemia and raises concern about possibly poorer long-

term outcomes with this graft source. Further evaluation of PBSC transplantation for AA

should be done in the context of controlled clinical trials.

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Caratterizzazione di antigeni minori di istocompatibilità e il loro ruolo funzionale nel trapianto di midollo osseo allogenico

INTRODUZIONEIl trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche (CSE) è la terapia di prima scelta in numerose neoplasie ematologiche quali ad esempio le leucemie, i linfomi e il mieloma multiplo, ed è di recente stato anche utilizzato in pazienti affetti da tumori solidi. L’effetto terapeutico del trapianto di CSE è dovuto non solo alla possibilità di somministrare alte dosi di chemioterapici, ma soprattutto alla capacità dei linfociti del donatore di mediare una risposta immune contro le cellule tumorali (effetto graft versus leukemia: GvL e graft versus tumor: GvT). Il ruolo svolto dai linfociti del donatore nell’eradicazione della neoplasia è stato ampiamente documentato in studi preclinici e clinici. L’infusione di linfociti da donatore (DLI) è infatti in grado di curare recidive di malattia clinicamente documentate, sia nelle neoplasie ematologiche che nei tumori solidi (1). Tuttavia, i linfociti T del donatore possono causare la malattia del trapianto contro l’ospite (GvHD) che può portare a compromissione grave di diversi organi vitali. Inoltre, linfociti T del paziente residui dopo il condizionarnento possono mediare il rigetto del trapianto stesso. Due sono i tipi principali di antigeni bersaglio della risposta GvL, GvHD e rigetto: 1) gli antigeni minori di istocompatibilità (mHag) ovvero peptidi derivati da proteine polimorfi che, cioè con una sequenza aminoacidica diversa fra i due individui, e presentati nella tasca antigenica delle molecole HLA di classe I o Il ai linfociti T del sistema immunitario. La maggioranza dei (mHag) caratterizzati ad oggi sono presentati da HLA di classe I. Di questi, gli mHag HA-1 e HA-2 hanno suscitato notevole interesse in quanto sono espressi esclusivamente su cellule di origine ematopoietica e quindi sono un possibile bersaglio della risposta GvL (2). Solo di recente, sono anche stati identifi cati linfociti T CD4+ specifi ci per un mHag presentato da HLA di classe Il (3, 4).2) Gli antigeni maggiori di istocompatibilità (MHC) non compatibili fra donatore e ricevente. La scelta del donatore si basa infatti sull’identità degli antigeni MHC codifi cati dai loci A, B, C, DR e DQ, mentre ad oggi viene preso poco in considerazione la compatibilità per gli antigeni codifi cati dal locus DP, in quanto sono considerati poco immunogenici (5, 6, 7, 8).

Scopo del progettoScopo di questo progetto è stato la caratterizzazione molecolare degli antigeni bersaglio degli effetti GvL/GvHD/Rigetto in pazienti dopo trapianto di CSE. Sono stati studiati linfociti T di due pazienti che avevano presentato un rigetto di CSE dopo trapianto da donatore compatibile per HLA-A, B, C, DR e DQ. E’ stato dimostrato che l’antigene bersaglio era rappresentato rispettivamente da diversi mHag, di cui alcuni codifi cati dal cromosoma Y(4), e dall’HLA-DPB1*0901 (9).

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Risultati1) Rigetto di un trapianto di CSE mediato da linfociti T specifi ci per mHagUna paziente affetta da anemia aplastica severa è stata trapiantata con CSE da suo padre HLA-identico. Gli unici antigeni di istocompatibilità diversi fra donatore e ricevente erano quindi costituiti dai mHag.Cellule mononucleate periferiche (PBMC) della paziente post-rigetto sono state stimolate con PBMC irradiati del donatore. Sono stati isolati diversi cloni specifi ci per mHag presentati da molecole HLA di classe I (10). Di recente, dalla stessa paziente sono stati anche isolati linfociti T tipo helper CD4+ specifi ci per un peptide codifi cato dal cromosoma Y - quindi importante per i trapianti sex-mismatched - presentato da HLA di classe Il (4). Questo peptide è corrispondente ad un altro mHag riconosciuto da linfociti T citotossici CD8+ ristretti in classe I. Si è quindi tentato di verifi care se anche altri epitopi di mHag presentati in HLA di classe I possono essere riconosciuti da linfociti T CD4+ ristretti in HLA di classe II. L’interesse per l’ottenimento di linfociti T CD4+ mHag-specifi ci deriva dal fatto che questi sono più facilmente coltivatili in vitro rispetto ai linfociti T CD8+ e quindi possono essere utilizzati con più facilità in protocolli di immunoterapia adottiva.I PBMCs della paziente sono stati stimolati con il peptide rilevante e dopo 10 giorni, si è ottenuta una linea T che riconosceva in modo specifi co la linea B linfoblasotide trasformata da virus di Epstein Barr (EBV-BLCL) autologa in presenza ma non in assenza del peptide, e la EBV-BLCL del donatore che esprime il mHag in modo endogeno. La linea T è stata clonata e si è ottenuto un solo clone con forte reattività nei confronti della EBV-BLCL autologa in presenza ma non in assenza del peptide. Tuttavia, questo alone non riconosceva la EBV-BLCL del donatore, suggerendo che la quantità di peptide espressa in modo endogeno dalla EBV-BLCL non era suffi ciente per il riconoscimento da questo clone.Si è anche cercato una risposta contro questo mHag in prelievi di follow-up della paziente che coprivano un periodo di circa 15 anni, mediante metodica ELISPOT per IFN-g. Sono stati trovati linfociti specifi ci per questo mHag a 5 anni dopo il trapianto. Questo suggerisce che questi linfociti hanno effettivamente partecipato al processo di rigetto, e che persistono in maniera cospicua nel pool di linfociti T memoria anche a distanza di anni dal trapianto.Per poter studiare il ruolo di mHag ematopoietici HA-1 e HA-2 nella risposta GvL/GvHD, è stata allestita la tipizzazione per questi mHag mediante PCR. Sia HA-1 che HA-2 sono riconosciuti da linfociti T CD8+ ristretti in HLA-A2, e quindi la tipizzazione si applica solo a coppie donatore-ricevente esprimente questo antigene HLA, che tuttavia è presente in circa 50% della popolazione (11). La tipizzazione per HA-1 e HA-2 è stata allestita secondo un protocollo pubblicato (12, 13).Questo protocollo è stato migliorato tramite introduzione in ogni reazione di PCR di primers specifi ci per un gene di controllo presente in tutte le cellule, l’HLA-DRb. Il prodotto di PCR risultante dall’amplifi cazione dell’HLA-DRb ha una lunghezza facilmente discriminabile da quella di HA-1 e HA-2. E’ in corso l’analisi retrospettiva di dieci pazienti IHLA-A2+ che hanno ricevuto un trapianto di CSE da donatore BLA-identico con successivo trattamento DLI, per corredare l’incidenza di GvL/GvHD dopo DLI con la tipizzazione per i mHag HA-1

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e HA-2. 2) Rigetto di un trapianto di CSE mediato da linfociti T specifi ci per HLA-DPBI *0901Una paziente affetta da CML è stata trapiantata nel 1998 dal padre. Dopo attecchimento, il trapianto è stato rigettato e, inizialmente, è stata ipotizzata la responsabilità un mHag in quanto la paziente era HLA identica, a livello molecolare, in senso rigetto per tutti i loci HLA tranne che per l’HLA-DP. Per identifi care la natura molecolare di questo mHag, linfociti della paziente circolanti durante la fase del rigetto sono stati stimolati in vitro con PBMCs irradiati del donatore.E’ stata ottenuta una linea T CD4+ , dopo una sola stimolazione, che riconosceva in modo specifi co la BLCL del donatore ma non quella della paziente. Il riconoscimento era mediato dal TCR in quanto inibito dall’anticorpo monoclonale (mAb) aCD3. Non veniva invece inibita da mAbs specifi ci per i loci ALA-A, B, C, DR e DQ, escludendo così la possibilità della presentazione di un mHag da parte degli antigeni HLA di Classe I o elementi di restrizione più comuni di classe II.Soltanto un mAb specifi co per l’HLA-DP era in grado di inibire la lisi; il donatore infatti esprime l’HLA-DP9 non condiviso dalla paziente. L’HLA-DP9 è stato clonato in un vettore retrovirale e trasferito nella linea BLCL autologa della paziente. Questo è stato suffi ciente per ripristinare il riconoscimento suggerendo due spiegazioni possibili:1) alloreattività indiretta: il DP9 si potrebbe comportare come mHag in quanto un peptide specifi co del DP9 potrebbe essere presentato da un antigene MHC self condiviso tra paziente e donatore;2) alloreattività diretta: il DP9 potrebbe essere riconosciuto come antigene HLA non-self da linfociti T alloreattivi.Nella prima ipotesi dovrebbe essere suffi ciente esprimere la parte polimorfi ca del DP9 all’interno della cellula per permettere il suo processamento, mentre nella seconda ipotesi, sarebbe necessario che il DP9 sia espresso sulla superfi cie cellulare. Per discriminare le due possibilità si è quindi costruito un vettore retrovirale che contiene tutta la parte polimorfi ca del DP9, ma manca della regione transmembranaria, necessaria per l’espressione delle molecole in membrana. La trasduzione delle cellule della paziente con questo gene troncato non permette il riconoscimento da parte della linea T donatore-specifi ca, dimostrando la validità della seconda ipotesi dell’alloreattività diretta.Utilizzando la linea T e diversi cloni ottenuti da essa, si è osservato che l’epitopo riconosciuto da questi linfociti è condiviso da altri alleli HLA-DP, che potrebbero quindi costituire un insieme di alleli immunogenici e potenzialmente non permissivi per la compatibilità nel trapianto di CSE.Queste osservazioni in vitro sembrano correlare con l’esito clinico del trapianto di CSE in coppie mismatch solamente per l’HLA-DP. Questa potrebbe essere una possibile soluzione alle osservazioni controverse riguardanti l’importanza clinica dell’incompatibilità per il locus DP.(7) E’ in fase di stesura un manoscritto con i dati ottenuti. (14)

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RiassuntoScopo di questo progetto è stata la caratterizzazione molecolare di antigeni bersaglio degli effetti GvL/GvHD/Rigetto in coppie di pazienti/donatori di trapianto di CSE, con particolare riguardo ai MHag.Linfociti T medianti due episodi di rigetto di CSE in due pazienti diversi sono stati studiati.In un caso linfociti T diretti contro diversi mHag sono stati riscontrati a distanza di anni dal trapianto, dimostrando come tali linfociti diventano parte del pool di cellule T memoria in questi pazienti. Il tentativo di ottenere linfociti T CD4+ specifi ci per un nuovo ipotetico epitopo di mHag non ha invece dato riscontri positivi.Per studiare l’effetto clinico dell’incompatibilità per i mHags HA-1 e HA-2 in termini di GvL/GvH dopo DLI, è stata migliorato il metodo di tipizzazione per questi mHag con l’introduzione di un controllo positivo interno della PCR.

Nel secondo caso di rigetto di CSE, i linfociti T erano diretti contro un mismatch isolato per HLA-DP9, che veniva riconosciuto in maniera diretta. Cross reattività di questi linfociti con altri alleli HLA-DP ha permesso di identifi care un gruppo di alleli HLA-DP immunogenici e quindi potenzialmente non permissivi per il trapianto di CSE.

Referenze1) Roush KS, Hillyer CD.Donor lymphocyte infusion therapy.Transfus Med Rev. 2002 Apr;16(2):161-76.2) Goulmy E.Human minor bistocompatibility antigens: new concepts for marrow transplantation and adoptive immunotherapy.Immunol Rev. 1997 Jun;157:125-40.3) Vogt MH, van den Muijsenberg JW, Goulmy E, Spierings E, Kluck P, Kester MG, van Soest RA, Drijfhout JW, Willemze R, Falkenburg JH.The DBY gene codes for an HLA-DQ5-restrieted human male-specifi c minor histocompatibility antigen involved in graft-versus-host disease.Blood. 2002 Apr 15;99(8):3027-32.4) Spierings E, Vermeulen C, Vogt M, Falkenburg F, Mutis T, Goulmy E.Complete anti HOY immune response clarifi es poorer graft outcome of sex-mismatched transplants.Manuscipt in preparation5) Odum N, Platz P, Jakobsen B, Petersen C, Jacobsen N, Moller J, Ryder LP, Lamm L, Svejgaard A.HLA-DP and bone marrow transplantation: DP-incompatibility and severe acute graft versus hostdisease.Tissue Antigens. 1987 Nov;30(5):213-6.

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Valutazione dell’espressione genica nelle leucemie acute linfoidi dell’adulto

utilizzando la tecnica dei microarrays

INTRODUZIONE

Il progressivo mappaggio del genoma umano, ormai completato(1), sta aprendo nuove

prospettive di studio nel campo delle varie patologie, ed in particolar modo, nel campo

dell’oncologia. Un enorme contributo è stato inoltre rappresentato dallo sviluppo della

tecnica dei microarrays: tale metodica consente di valutare contemporaneamente

l’espressione quantitativa di migliaia di geni in un singolo campione, partendo da piccole

quantita’ di RNA. I risultati possono essere confrontati con molteplici parametri clinico-

biologici della patologia in esame.

IL GINEMA (Gruppo Italiano Malattie Ematologiche dell’Adulto), gruppo cooperativo a cui

aderiscono oltre 80 centri di Ematologia operanti da oltre 15 anni e coordinato dal prof. F.

Mandelli, ha lo scopo di migliorare le conoscenze nell’ambito della diagnosi e della terapia

delle malattie ematologiche. Nell’ambito delle leucemie acute linfoidi (LAL), dal 1/10/96 è

stato attivato un programma di centralizzazione del materiale biologico (sangue midollare

e periferico) alla diagnosi, durante il follow-up ed alla ricaduta di malattia di tutti i pazienti

che entrano nel protocollo GINEMA 0496. Il programma di centralizzazione, coordinato

dal Prof. R. Foà, ha come fi nalità una dettagliata caratterizzazione dei campioni di pazienti

trattati con lo stesso protocollo di terapia al fi ne di identifi care parametri biologici con

rilevanza prognostica. Il programma di centralizzazione relativo al protocollo GIMEMA

0496, ha pennesso la creazione di una banca biologica nella quale sono inclusi circa

400 campioni di pazienti affetti da LAL: la sede dalla banca di centralizzazione è c/o il

Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia dell’ Università “La Sapienza” di

Roma. In questo studio, circa 100 campioni criopreservati alla diagnosi e provenienti dalla

suddetta banca, sono stati analizzati con la tecnica dei microarrays al fi ne di valutarne il

profi lo di espressione genica.

Il progetto è stato svolto c/o il Dana Farber Cancer Institute (DFCI) di Boston, dove è

disponibile l’apparecchiatura; i risultati sono stati analizzati dal gruppo biostatistico del

DFCI, che già ha lavorato con progetti relativi a questa tecnica.

MATERIALI E METODI

Il profi lo dell’epressione genica è stato valutato in 94 pazienti con una diagnosi di LAL,

prima dell’inizio del trattamento. I campioni, inviati dai centri periferici, sono stati processati

c/o il Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia dell’Università “La Sapienza”

di Roma. Gli studi immunofenotipici, citogenetici, e di biologia molecolare sono stati

effettuati su tutti i campioni.

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Il consenso scritto informato è stato richiesto ed ottenuto da tutti i pazienti.

Al fi ne di evitare contaminazioni da parte di cellule non leucemiche che possano infi ciare

i risultati, solo i campioni la cui percentuale di blasti leucemici era >90%, sono stati

impiegati.

L’RNA è stato estratto usando il Trizol (GIBCO BRL, Life technologies, Grand Island, NY) e

ulteriormente purifi cato utilizzando il SV Total RNA Isolation System (Promega, Madison,

WI).

In questo studio, per la valutazione dell’espressione genica sono stati utilizzati i gene chips

U9SA prodotti da Affymetrix (Santa Clara, CA). Questi chips consentono di analizzare

l’espressione di ~12000 geni, provenienti da Gen bank, già caratterizzati per funzione o

associazione con spefi ciche patologie(2)

Brevemente, 5µg di RNA totale sono utilizzati per la sintesi di DNA complentare (cDNA).

Il cDNA è utilizzato per una reazione di trascrizione in vitro (IVT) al fi ne di generare RNA

complentare (cRNA) biotinilato. Il cRNA viene quindi frammentato e 15 µg di esso vengono

impiegati per l’ibridazzizione del chip U95A. Il processo di ibridizzazione richiede 16 ore

a 45°C; dopo l’ibridazzizione, il gene chip viene “lavato” e marcato con streptavidina in

un apposita fl uidifi cs station; il gene chip viene quindi scannerizzato con un raggio laser

confocale.

Uno dei ostacoli maggiori riscontrati nell’applicazione della tecnologia dei genechips, è

l’analisi dei dati. Numerosi lavori hanno già riportato i problemi relativi all’interpretazione

dei dati (3,4,5).

Prima di procedere all’analisi dei campioni inseriti in questo studio, al fi ne di valutare la

ripetibilità dei risultati, numerosi esperimenti in replicato sono stati effettuati.

L’analisi statistica è stata condotta dal gruppo biostatistico del DFCI, impiegando il

programma D-Chip(6) . Questo software calcola il livello di espressione genica ed esegue

una normalizzazione dei valori ottenuti in tutti i campioni.

L’analisi statistica si è basata principalmente sull’uso dei clusters (7) , dopo che, come si è

detto, i valori erano stati normalizzati nell’intera coorte di campioni.

In breve, in prima analisi è stato effettuato un “unsupervised hierarchical clustering”, nel

quale tutti i 94 campioni sono stati raggruppati dal software a seconda delle differenze e

delle affi nita’ riscontrate: i campioni che presentano un profi lo genico simile sono situati

vicini, e d’altro canto i campioni le cui caratteristiche geniche sono diverse saranno lontani.

È importante sottolineare che questo tipo di analisi non contempla alcuna manipolazione e

l’analisi è condotta esclusivamente dal software.

Successivamente i campioni sono stati suddivisi in due gruppi in base alle caratteristiche

immunofenotipiche (il primo gruppo comprende i pazienti affetti da LAL le cui cellule

leucemiche appartenengono alla linea T, il secondo i pazienti affetti da B-LAL) ed è stata

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eseguita nuovamente una clusterizzazione dei campioni, al fi ne di identifi care delle

differenze nell’ambito dei due gruppi prinicpali.

Si è proceduto infi ne ad analizzare il profi lo genomico di pazienti a prognosi differente. In

questo caso, è stata effettuata una selezione di 100 geni derivanti da una lista ordinata in

base alla diversa espressione in gruppi con prognosi differente, e nuovamente i campioni

sono stati clusterizzati facendo un paragone tra pazienti che hanno ottenuto la remissione

completa (RC) vs quelli che sono risultati resistenti alla terapia di induzione, e tra quelli che

sono in prima remissione completa continua (RCC) da almeno 2 anni e quelli che hanno

presentato una recidiva di malattia. La decisione di utilizzare in questo caso un lista ordinata

di geni è nata dalla forte differenza riscontrata (vd. oltre) tra campioni con una diagnosi di

T-LAL e quelli con una diagnosi di B-LAL. Tale differenza ha, dapprincipio, infi ciato l’analisi

di altri sottogruppi. Per tale motivo, si è dovuto sviluppare un metodo statistico che tenesse

conto e risolvesse queste differenze.

RISULTATI

CARATTERISTICHE CLINICHE E BIOLOGICHE

L’età mediana della popolazione è di 30 anni (range 14-58); 33 pazienti erano maschi e 61

erano femmine. Per quanto riguarda la risposta alla terapia di induzione, 6 sono deceduti,

12 sono risultati resistenti, e 70 hanno ottenuto la RC. Nell’ambito di quest’ultimo gruppo,

42 sono recidivati durante il primo anno dall’ottenimento della RC, e 23 sono in RCC, 14 dei

quali da almeno 2 anni. Sette pazienti sono stati sottoposti a procedure trapiantologiche (5

da donatore correlato, 1 da donatore non correlato, e 1 da cellule staminali autologhe).

Il 32% (30) dei pazienti analizzati in questo studio era rappresentato da LAL-T ed il 68%(64)

da LAL pre-B. I pazienti con diagnosi di LAL-B matura erano esclusi dal protocollo.

I risultati dell’analisi citogenetica centralizzata sono i seguenti: nel 36% (34) il cariotipe

non presentava alterazioni, il 20% (19) presentava la t(9;22), il 6% (6) la t(4;1 1), nel

6%(6) sono stati riscontrate altre anomalie, più specifi camente 4 pazienti presentavano

una del(6q) e 2 una del(7q), ed infi ne il 31% (29) dei casi non aveva metafasi suffi cienti per

l’analisi citogenetica. L’analisi molecolare mostrava il riarrangiamento BCR/ABL nel 31%

(29) dei casi e il riarrangiamento ALL1/AF4 nell’8.5% dei casi.

UNSUPERVISED HIERARCHICAL CLUSTERING

Il primo approccio nell’analisi dei risultati è consistito nell’effettuare un unsupervised

hierarchical clustering dei 94 campioni: abbiamo trovato due gruppi che erano strettamente

correlati con le caratteristiche immunofenotipiche. Nell’ambito dei due gruppi, uno

conteneva tutti i pazienti affetti da LAL-T, e l’altro tutti i pazienti con una diagnosi di pre-

B-LAL. Mentre il gruppo di pazienti affetti da LAL-T è omogeneo nell’espressione genica,

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nel secondo gruppo è possibile identifi care dei sottogruppi. I geni: i geni noti per essere

espressi nei linfociti T, i geni per il T-cell receptor e i geni che codifi cano per gli antigeni T,

sono overespressi preferenzialmente nel gruppo che contiene le LAL-T; in maniera analoga,

i geni che codifi cano per le immunoglobuline, per gli antigeni della linea B, e i geni per

l’HLA di II classe sono overespressi nel secondo gruppo (Fig. 1).

ANALISI DEI PAZIENTI AFFETTI DA LAL-T

Si è quindi proceduto all’analisi dei 30 pazienti affetti da LAL-T: l’analisi ha messo una

differenza che si correla con il diverso grado di differenziazione. In un gruppo sono infatti

presenti tutti i campioni con una T-LAL scarsamente differenziata, e nell’altro tutti i pazienti

il cui immunofenotipo è più differenziato (Fig.2).

ANALISI DEI PAZIENTI AFFETTI DA PRE-B-LAL

In modo simile, abbiamo separatamente analizzato i 64 pazienti con una diagnosi di pre-

B-LAL. Centoottantotto geni sono stati presi in considerazione, e sono stati identifi cati

diversi gruppi. I pazienti con la t(4;11) e/o con il correspettivo riarrangiamento molecolare

presentano un profi lo genico del tutto peculiare, non condiviso dagli altri campioni.

Nell’ambito dei campioni la cui citogenetica era positiva per la t(9;22), o il cui studio

molecolare mostrava il prodotto di fusione BCR/ABL, un gruppo di geni è risultato essere

omogeneamente espresso, ed è stato inoltre possibile identifi care nel loro interno due

sottogruppi, con una differente espressione di un altro gruppo di geni. Nell’ambito dei

pazienti la cui citogenetica era risultata normale, è interessante notare che, a differenza di

quanto si potesse immaginare, non si forma un gruppo, ma i campioni sono posti alcuni

vicino ai pazienti con t(9;22), alcuni tra la t(9;22) e la t(4; 11) ed alcuni vicino ai campioni

con la t(4; 11). (Fig 3)

ANALISI DEI PAZIENTI CON DIVERSA PROGNOSIIn questo caso, viste le differenze riscontrate nei gruppi con diverso immunofenotipo, è stato sviluppato un metodo statistico che escludesse tutti i geni che risultavano essere differenzialmente espressi nei due gruppi (T-LAL e B-LAL). Due analisi separate sono state condotte: la prima paragonava i pz che erano refrattari alla terapia di induzione con quelli che hanno ottenuto la RC, e la seconda analisi paragonava i pz che hanno presentato una ricaduta di malattia con quelli sono in RCC da almeno 2 aa. Nell’ambito di entrambe le analisi è stato possibile identifi care un gruppo di geni che è differenzialmente espresso nell’ambito dei gruppi con diversa prognosi. Il signifi cato clinico-biologico di questi geni è attualmente in via di approfondimento (Fig. 4 e 5).

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CONCLUSIONI

Gli scopi che questo studio si prefi ggeva erano i seguenti:

1) Caratterizzare dettagliatamente l’etereogeneità genetica delle leucemie acute linfoidi

dell’adulto

2) Correlare le informazioni biologiche già note con il profi lo di espressione genica

3) Individuare gruppi con una prognosi particolarmente sfavorevole

L’analisi di questi pazienti, realizzata principalmente grazie alla presenza di una banca di

materiale biologico di pazienti uniformemente trattati con lo stesso regime terapeutico, ha

consentito di sviluppare e di rispondere a diversi punti. Prima di tutto, è risultato evidente

come i pazienti affetti da T-LAL presentino un profi lo di espressione genica completamente

diverso dai pazienti che abbiano una pre-B-LAL. Questa differenza, che ha anche

rappresentato una controllo interno della metodica, fa rifl ettere su come, probabilmente,

questa differenza sia relativa alla cellula di origine sulla quale si instaurano i meccanismi che

conducono allo sviluppo della patologia in esame.

D’altro canto, l’analisi separata dei due pricipali gruppi, in particolar modo per ciò che

riguarda i pazienti con note alterazioni genetiche, fa vedere che in questo caso il differente

profi lo di espressione genica sia frutto di un diverso meccanismo patologico che porta

all’evento leucemico. Più diffi cile è interpretare i dati inerenti i pz il cui cariotipo era risultato

normale: sembra quasi che questo gruppo condivida, in maniera comunque non omogenea,

gli stessi meccanismi che si sviluppano nell’ambito delle alterazioni citogenetiche già note.

Infi ne, con tale metodica è stato possibile identifi care degli specifi ci profi li di espressione

genica che sembrano correlati con la risposta alla terapia e con la prognosi. Questi risultati

dimostrano che la tecnologia dei microarrays, ancora in via di sviluppo, soprattutto per ciò

che concerne l’interpretazione dei dati, generano informazioni che possono portare ad una

migliore conoscenza dei meccanismi sottostanti le diverse patologie.

Ciò che risulta particolarmente interessante è l’identifi cazione di geni che correlano con

il diverso andamento clinico: questi geni sono al momento in via di approfondimento e

possono rappresentare, in un futuro molto prossimo, potenziali target di terapie mirate.

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FIG.2 Analisi dei pazienti affetti da T-LAL

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FIG.3 Analisi dei pazienti affetti da Pre-B-LAL

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FIG.4 Paragone tra i pazienti che sono risultati refrattari alla terapia vs rispondenti

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FIG.5 Paragone tra i pazienti che sono recedivati vs RCC

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Gene expression profi ling nelle leucemie acute linfoidi (LAL) dell’adulto: risultati

e studi futuri

INTRODUZIONE

Nell’ambito di un progetto cominciato 2 anni fa circa, nato dalla collaborazione tra il

Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia dell’Università “La Sapienza” di

Roma e il Dana Farber Cancer Institute di Boston, la candidata ha svolto un’analisi del

profi lo di espressione genica di ~110 campioni di pazienti adulti affetti da Leucemia Acuta

Linfoide (LAL) alla diagnosi di malattia, e 11 campioni alla recidiva ematologica.

Gli scopi che lo studio si prefi ggeva erano basati essenzialmente sull’identifi cazione di un

profi lo genetico strettamente associato ad alterazioni citogenetiche/molecolari specifi che

(i.e. BCR/ABL, E2A/PBX, ALL1/AF4), e sull’identifi cazione di un profi lo di espressione genica

che fosse associato alla risposta alla chemioterapia d’induzione, e alla sopravvivenza a

lungo termine.

Quest’ultimo punto si rivela di particolare importanza per 2 ragioni: 1) la possibilità di

identifi care, sin dall’esordio di malattia, pazienti (pz) che necessitino di un trattamento più

aggressivo consentirebbe di indirizzare questi pz a regimi chemoterapeutici più forti che

prevedano, ad esempio, procedure trapiantologiche, e d’altra parte ridurrebbe il rischio

complicanze causate dalla chemoterapia in pz che potrebbero rispondere a trattamenti

più blandi; 2) I’identifi cazione di geni strettamente associati con un fenotipo di malattia

particolarmente aggressivo, può portare alla scoperta di nuovi bersagli terapeutici e alla

produzione di nuovi composti farmacologici.

MATERIALI E METODI

Pazienti

Tutti i pz studiati per gene expression profi ling sono stati arruolati nel protocollo

multicentrico italiano GIMEMA 0496; il consenso informato e’ stato richiesto ed ottenuto

da tutti i pz.

I campioni di midollo osseo e/o sangue venoso periferico sono stati processati e criopreservati

con il 10% dimethylsulfoxide in azoto liquido presso il Dipartimento di Biotecnologie

Cellulari ed Ematologia dell’Università “La Sapienza” di Roma; ogni campione è stato

precedentemente caratterizzato con tecniche immunofenotipiche convenzionali, e valutato

per la presenza di alterazioni genetiche/molecolari.

Informazioni cliniche relative alla risposta alla chemoterapia di induzione e alla risposta a

lungo tennine erano disponibili.

Trentatre pazienti erano affetti da LAL-T: secondo i criteri EGIL, 2 pz sono stati classifi cati

come T1, 15 come T2, 10 come T3, 2 come T4 e 4 non sono stati ulterionnente cartterizzati.

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Tre pz avevano alterazioni citogenetiche, 2 presentando una del(6q) e 1 uno del(7q), e in

un paziente e’ stato evidenziato un riarrangiamento a livello dei Nup-98 tramite di tecniche

di biologia molecolare. Sei pz sono risultati refrattari alla chemoterapia di induzione, 2

sono deceduti durante la chemioterapia di induzione, e 25 hanno ottenuto la remissione

completa (RC); di questi ultimi, 16 hanno presentato una ricaduta di malattia in un periodo

mediano di 12.5 mesi (range 3-43) e 8 sono in remissione completa continua (RCC). Un

paziente e’ stato escluso dall’analisi perché sottoposto a procedure trapiantologiche.

Ottantaquattro pz erano affetti da LAL pre-B: 13 pz presentavano un cariotipo normale,

un cariotipo con alterazioni semplici e complesse e’ stato riscontrato in 14 campioni (7

con alt. semplici e 7 alt. complesse), 24 presentavano la t(9;22), 7 la t(4;11) e 1 la t(1;

19), una del(6q) e del(7q) e’ stato riscontrata in 2 e 1 campione rispettivamente, e l’analisi

citogenetica non è risultata valutabile in 22 campioni. Il prodotto di fusione BCR/ABL è

stato riscontrato in 33, ALL1/AF4 in 10, e E2A/PBX in 4 campioni.

Sei pz sono deceduti durante la chemioterapia d’induzione, 7 sono risultati refrattari e 67

hanno ottenuto la RC. Sedici sono a tuttora in RCC, 40 hanno presentato una ricaduta

di malattia, 9 sono stati sottoposti a procedure trapiantologiche, e 2 sono deceduti dopo

l’ottenimento della RC.

Tutti i campioni contenevano >90% di blasti leucemici.

Preparazione dell’RNA e dei microarray chips

L’RNA totale è stato estratto dai campioni da analizzare, usando il Trizolo (Gibco BRL) e

ulteriormente purifi cato usando il SV Total Rna Isolation System (Promega).

Cinque microgrammi sono stati impiegati per la sintesi di DNA complementare a doppia

catena, che serve da template per la sintesi di RNA complementare biotinilato: quest’ultimo

passaggio viene effettuato per incrementare la quantità del prodotto fi nale, e per

introdurre una porzione di biotina che verrà poi a legarsi con un anticorpo fl uoresceinato

(www.affymetrix.com).

Infi ne, L’RNA complementare è stato frammentato per favorire l’adesione ai probes

presenti sul genechip HGU95Av2. Il chip viene ibridizzato per ~16 ore, lavato e coniugato

con anticorpi fl uoresceinati, ed infi ne “letto” da un apposito scanner.

I risultati così ottenuti sono stati analizzati in collaborazione con il gruppo biostatistitico

del Dana Farber Cancer Institute (DFCI). I programmi più spesso impiegati sono dChip

(www.dchip.org) e R language (www.r-project.org).

Con tali metodi è stato possibile analizzare i campioni impiegando due metodi prinicipali:

1) unsupervised hierarchical clustering, e 2) supervised clustering.

Nel primo caso i campioni vengono “posizionati” tanto vicino quanto è la loro somiglianza

nell’espressione genica. Tale processo viene esclusivamente effettuato dal software senza

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I’apporto di alcuna informazione clinico/biologica.

Nel secondo caso, i campioni vengono suddivisi a priori a seconda di ciò che si vuole

investigare in due o più gruppi (es. Pz refrattari alla terapia di induzione vs rispondenti),

e successivamente il software seleziona i geni più signifi cativamente differenti tra i due

gruppi.

Successivamente, i geni considerati di interesse particolare sono stati confermati usando

tecniche di real-time quantitative PCR, usando ABI PRISM 7700 Sequence Detection System

e il SYBR green I dye, al fi ne di ottenere una quantifi cazione dell’RNA messaggero, e di

confermare i risultati ottenuti con la tecnica dei microarrays.

RISULTATI

Unsupervised bierachical clustering

Il primo approccio nell’analisi dei dati è consistito nell’effettuare un unsupervised

hierarchical clustering dei 117 campioni: tale esperimento ha portato all’identifi cazione di

due gruppi nettamente distinti, di cui il primo corrisponde ai pz affetti da leucemia acuta

(LAL) a derivazione dalle cellule T, ed il secondo gruppo corrsiponde ai pz affetti dal LAL

pre-B (Figura 1). Questi risultati confermano e sono il rifl esso dell’impatto della differente

cellula d’origine.

Infatti, tra i geni identifi cati nel gruppo delle LAL-T si riscontra la presenza del CD3, e

numerosi membri della famiglia dei T cell receptor, mentre nei geni preferenzialmente

espressi nelle LAL-Pre B si sono trovati il CD19 e alcuni geni appartententi alla famiglia

delle immunoglobuline.

Comunque, mentre il gruppo delle LAL-T appare omogeno nel profi lo genico, nell’ambito

delle LAL pre-B è stato possibile identifi care numerosi subclusters, suggerendo la presenza

di sottogruppi specifi ci.

Dati i risultati ottenuti da questo primo approccio, l’analisi è stata suddivisa in due gruppi,

LAL-T e LAL Pre-B, a seconda delle caratteristiche immunofenotipiche dei pz.

Leucemie acute linfoidi T

Nelle leucemie acute linfoidi T l’unsupervised hierarchical clustering ha identifi cato la

presenza di due gruppi, che sembrano essere strettamente correlati con il grado di

differenziazione maturativa: infatti un gruppo contiene la maggior parte di campioni

scarsamente differenziati (T1 e T2 secondo la classifi cazione EGIL), mentre l’altro contiene

campioni che sono già andati incontro alla selezione timica (T3 e T4).

Si è conseguentemente proceduto a confrontare questi due gruppi: tale analisi ha

evidenziato 93 geni differenzialmente espressi. Tra questi, nel gruppo più immaturo si è

evidenziata la presenza di alcuni geni coinvolti nel normale sviluppo emopoietico (HHEX),

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così come altri che sembrano giocare un ruolo nel processo leucemogenico (LM02).

Anche nel gruppo più differenziato si è evidenziata la presenza di due geni, Notch3 e pTa,

recentemente implicati nel processo leucemogenico. Questi risultati confermano l’abilità di

questa metodologia nel provvedere informazione sull’origine cellulare e sul meccanismo di

trasformazione.

Successivamente si è proceduto al paragone tra pz refrattari alla chemioterapia d’induzione

vs coloro che hanno ottenuto la RC: sono stati identifi cati 34 geni differenzialmente

espressi (Figura 2). Di questi solo un gene, l’interleukina 8, è overespresso nei pz refrattari,

mentre i rimanenti, la maggior parte dei quali svolgono un ruolo nella progressione del

ciclo cellulare, sono più espressi nel gruppo di pz che ha ottenuto la RC, suggerendo che

la tendenza a entrare nel ciclo cellulare favorisce una maggiore propensione delle cellule

leucemiche a rispondere al trattamento chemioterapico.

Infi ne, il confronto tra pz che hanno presentato una ricaduta di malattia vs quelli che

sono in RCC ha evidenziato 19 geni differenzialmente espressi (Figura 3). Numerosi geni

overespressi nei pz in RCC hanno un ruolo nella formazione del fuso mitotico e nel corretto

posizionamento cromosomico.

Nell’ambito dei 19 geni identifi cati, 3 -AHNAK, TTK e CD2-, sono altamente predittivi della

risposta a lungo termine, e saranno valutati in una casistica più estesa di pz.

Leucemie aute linfoidi Pre-B

Nell’ambito degli 84 pazienti affetti da LAL Pre-B, l’analisi ha messo in evidenza un profi lo

di espressione genica specifi camente associato ad alterazioni molecolari, più in particolare

ad ALL1/AF4, E2A/PBX e BCR/ABL (Figura 4).

ALL1/AF4 è caratterizzato dalla presenza di circa 100 geni fortemente ed unicamente

overespressi, tra i quali si trovano numerosi membri della famiglia degli homeobox

genes (HOX), fi siologicamente coinvolti in processi di sviluppo e maturazione, e altri geni

rappresentati da fattori di trascrizione, come ad esempio Meis1, che sembra svolgere un

ruolo importante nel processo leucemogenico in questo sottotipo.

In modo simile, E2A/PBX è caratterizzato da una “signature” specifi ca, con un

overespressione di circa 20 geni: tra questi, è importante menzionare l’overespressione di

PBX, ma anche altri geni che hanno funzione di fattori di trascrizione.

In entrambi queste alterazioni molecolari, i geni che codifi cano per gli antigeni del sistema

HLA di I e Il classe, erano omogeneamente downregulati.

I pazienti positivi per BCR/ABL presentano un profi lo meno omogeneo, caratterizzato dalla

overepressione di ABL, da altre numerose tirosin kinase e geni coinvolti nel controllo del

ciclo cellulare. Comunque, a differenza di ALL1/AF4 e E2A/PBX, dove il profi lo genico è

fortemente omogeneo, BCR/ABL presenta una variabilità molto più spiccata. Questi risultati

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suggeriscono che, laddove l’alterazione molecolare induca/attivi un fattore di trascrizione,

il profi lo genetico sarà tipico, mentre ove, come nel caso di BCR/ABL, ci sia una attivazione

tirosin kinasica il profi lo genico sarà meno specifi co e molto più variabile tra i pazienti.

Per ciò che concerne infi ne i pz che non presentano alcuna alterazione molecolare, è

diffi cile trarre conclusioni, in quanto vi è una forte variabilità nei campioni anlizzati.

Comunque, sembra che tali pz abbiano un profi lo genico molto simile a quelli positivi per

BCR/ABL, suggerendo che anche in questo caso l’alterazione alla base della trasformazione

leucemica sia data da un’incrementata attività tirosin kinasica, e probabilmente tali sottotipi

leucemici si distinguano solo per il primo evento oncogenico.

STUDI FUTURI

Al momento attuale, la candidata sta continuando ad analizzare i pz affeti da LAL Pre-B che

non presentano alterazioni molecolari, nel tentativo di identifi care sottogruppi che abbiano

anche signifi cato prognostico.

Nel fare ciò, si utilizzeranno anche i campioni provenienti dalla ricaduta di malattia.

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FIG.2 Paragone, nell’ambito delle LAL-T, tra pz refrattari e quelli che hanno ottenuto la RC

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FIG.4 Profi lo di espressione genica delle leucemie acute linfoidi pre-B e delle più fre-quenti alterazioni molecolari

FIG.3 Paragone, nell’ambito LAL-T tra pz con ricaduta di malattia e pz in RCC

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D I B AT T I T O

A s s o c i a z i o n e v o l o n t a r i a c r i s t i n a b a s s i o n l u s C o n t r o l e L e u c e m i e A c u t e d e l l ’ A d u l t o

TAVOLA ROTONDA

La terapia delle leucemie oggiApporto alla cultura del “far ricerca” delle Borse di Studio

Associazione “Cristina Bassi” Contro le Leucemie Acute dell’Adulto Sala conferenze della Fondazione Cassa di Risparmio di Genova e lmperia venerdì 27 febbraio 2004

con il patrocinio di:REGIONE LIGURIA

con il contributo di: ERREDI GRAFICHE EDITORIALI di A. Pizzighello & C. S.n.c.

COMUNE DI GENOVA Università degli Studi di Genova

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