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OESAAS Osservatorio sull’Economia del Sistema AgroAlimentare della Sicilia Atti del convegno “Sicilia e Dieta Mediterranea” Palermo 26 novembre 2006

Atti del convegno “Sicilia e Dieta Mediterranea” · La dieta mediterranea non garantisce di per sé perfette condizioni di salute, va usata con sapienza, va usata con saggezza

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OESAASOsservatorio sull’Economia del Sistema AgroAlimentare della Sicilia

Atti del convegno

“Sicilia e Dieta Mediterranea” Palermo 26 novembre 2006

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OESAASOsservatorio sull’Economia del Sistema AgroAlimentare della Sicilia

Atti del convegno

“Sicilia e Dieta Mediterranea” Palermo 26 novembre 2006

RREEGGIIOONNEE SSIICCIILLIIAANNAAASSESSORATO AGRICOLTURA E FORESTE

CCOORREERRAASSCONSORZIO REGIONALE PER LA RICERCA

APPLICATA E LA SPERIMENTAZIONE

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Indice

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11.. AAppeerrttuurraa ddeeii llaavvoorrii

Prof. Giuseppe SilvestriMagnifico Rettore dell’Università degli Studi di Palermo

Prof. Antonino BacarellaPresidente del CORERAS

Prof. Salvatore TudiscaPreside della Facoltà di Agraria

22.. SSiicciilliiaa ee DDiieettaa MMeeddiitteerrrraanneeaa:: iinnttrroodduuzziioonnee aall tteemmaaProf. Antonino Bacarella

33.. DDiieettaa MMeeddiitteerrrraanneeaa:: ppaarrllaa uunn ppiioonniieerreeProf. Flaminio Fidanza

44.. TTrraaddiizziioonnii aalliimmeennttaarrii ee ddiieettaa mmeeddiitteerrrraanneeaa nneell mmoonnddoo aannttiiccooPesca, produzione e consumo del pesce e delle relative salse in Magna Grecia ed in SiciliaDott. Fabrizio Mollo

55.. SSiicciilliiaa ee ddiieettaa mmeeddiitteerrrraanneeaaProf. Fausto Cantarelli

66.. LLee ccaarraatttteerriissttiicchhee ddeellllaa DDiieettaa MMeeddiitteerrrraanneeaa IIttaalliiaannaa ddii RRiiffeerriimmeennttoo eedd ii ssuuooii eeffffeettttii ssaalluuttaarriiProf. Antonino De Lorenzo

77.. LLaa ddiieettaa mmeeddiitteerrrraanneeaa nneellll’’eerraa ppoosstt--ggeennoommiiccaaProf.ssa Laura Di Renzo

88.. DDiieettaa mmeeddiitteerrrraanneeaa:: ccoommee ddiiffeennddeerrllaa ee ccoommee aapppplliiccaarrllaa Prof.ssa Adalberta Alberti

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99.. GGllii aalliimmeennttii ccaarrddiinnee ddeellllaa ddiieettaa mmeeddiitteerrrraanneeaaProf. Santo GiammancoProf. Maurizio La Guardia

1100.. DDiieettaa mmeeddiitteerrrraanneeaa ee ttuummoorriiProf. Nicola Gebbia

1111.. AAnnttiiccaa ssaaggggeezzzzaa ccoonnttaaddiinnaa ee rreeaallttàà mmooddeerrnnaa:: iill vviinnoo rroossssoo ddii ssiicciilliiaa eedd ii ssuuooii bbeenneeffiiccii eeffffeettttii ssuullllaa ssaalluutteeProf. Domenico Campisi Prof. Gino Avellone

1122.. RRuuoolloo ddeellll’’oolliioo ddii oolliivvaa nneellllaa DDiieettaa MMeeddiitteerrrraanneeaaProf. Salvatore Chiricosta

1133.. CCiibboo ee ttuurriissmmoo llaa ““ddiieettaa mmeeddiitteerrrraanneeaa”” ccoommee ““rriissoorrssaa ttuurriissttiiccaa””Dott.ssa Maria Sabrina Leone

1144.. LLaa ddiieettaa mmeeddiitteerrrraanneeaa nneellllaa ppoolliittiiccaa ddii ssvviilluuppppoo ddeellll’’aaggrriiccoollttuurraa rreeggiioonnaalleeProf. Giovanni La Via

SSaalluuttii ffiinnaalliiProf. Antonino Bacarella

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1Apertura dei lavori

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Apertura dei lavori

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Prof. Giuseppe SilvestriMagnifico Rettore dell’Università degli Studi di Palermo

Il saluto, è un saluto veramente affettuoso per gli amici che sono quicon noi oggi, ai quali dò il benvenuto, agli ospiti, ai relatori di questo con-vegno. Un saluto a Giovanni La Via che è stato con noi tante volte, comecollega della Facoltà di Agraria dell’Università di Catania, e che oggi è quinella sua nuova veste di rappresentante dell’istituzione più importantedella nostra regione, che è il governo della Regione stessa. E come rappre-sentante del governo gli dò il benvenuto ed un ringraziamento, perchénon ci è mai mancata, come mondo universitario e non soltanto comeamici e colleghi, l’attenzione del governo della Regione in ambiti vitali,non soltanto per l’Università ma per la vita pubblica della regione stessa.Quindi, tramite te ringrazio veramente il Governo della Regione presen-te ma anche i governi precedenti perché abbiamo sempre avuto ottimi rap-porti di collaborazione e, dove era necessario, anche aiuto per la soluzio-ne di problemi che si andavano evidenziando.

Il tema di oggi “Sicilia e dieta mediterranea” è un tema attualissimo.Si parla di dieta mediterranea in tutto il mondo, se ne parla negli StatiUniti, se ne parla in Giappone, adesso se ne comincerà a parlare anche inCina perché già c’è attenzione da parte di quell’importante settore com-merciale. E per noi, che siamo un po’ la patria del meridione d’Italia, laSicilia, la tipizzazione delle nostre coltivazioni, la sedimentazione storicadi ciò che si coltiva e che si fa nella nostra regione, le metodologie di trat-tamento tradizionali dei prodotti agricoli sono sicuramente punti di rife-rimento sui quali contare per un’ulteriore implementazione, perché non cisi deve mai fermare sul risultato che si è raggiunto, bisogna sempre lavo-rare per migliorare soprattutto la nostra presenza sui mercati. Ricordavopoco fa al Prof. Bacarella, ma Giovanni La Via lo sa meglio di me, proprioqui a Palermo ci sarà un centro di competenza per l’agro-alimentare dellanostra regione. E questo centro di competenza vorremmo impegnarloinsieme al Governo regionale e, ovviamente, agli amici del CORERAS edei Consorzi che sono attivi e che nascono dalle nostre Università nelleFacoltà di Agraria di Palermo e Catania e nella Facoltà di Medicina Vete-rinaria di Messina. La dieta mediterranea non garantisce di per sé perfettecondizioni di salute, va usata con sapienza, va usata con saggezza. Io, peresempio, ero un grande mangiatore di pane e pasta e stavo diventando un

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obeso mediterraneo; quindi bisogna stare attenti a fare una proposta die-tetica che utilizzi gli strumenti della dieta mediterranea in modo virtuoso.Adesso, come vedete, sono dimagrito e posso parlarne con sufficienteserenità.

Però c’è un problema, e qui veramente parlo all’uomo di Governo cheè presente e non al collega. C’è un problema che riguarda la nostra capa-cità di essere realmente al centro del Mediterraneo per fare delle proposteche siano non soltanto culturalmente apprezzabili, ma anche economica-mente valide. Questo aspetto è assolutamente prioritario e deve esserepreso non soltanto in considerazione, ma affrontato e risolto dal Gover-no in termini propositivi forti. Faccio solo un esempio. Io venerdì sonostato a Tripoli per un incontro – i produttori libici sono molto interessatiad una collaborazione con noi per lo sviluppo di attività agricole e di col-tivazioni molto simili alle nostre, la Libia e la Sicilia hanno un ambientecomplessivamente molto simile – e per andare a Tripoli sono andato aRoma, e mi è andata bene, perché di solito si va a Malpensa per andare poia Tripoli, si fa Palermo-Malpensa, Malpensa-Tripoli. Per tornare, siccomeieri era domenica e volevo essere qui stamattina, non c’erano voli diretticon Malpensa o con Roma, e allora ho dovuto fare Tripoli-Zurigo, Zuri-go-Roma, Roma-Palermo. Vi cito questo episodio non per dirvi quanto hodovuto viaggiare ieri, ma per dirvi che quando si dice che la Sicilia è al cen-tro del Mediterraneo non è vero. Il centro del Mediterraneo è a Fiumici-no e a Malpensa perché è da lì che si parte per andare in giro per il mondo.La Sicilia ha bisogno di essere una presenza forte sul Mediterraneo, se nonla si fa resteremo sempre dipendenti da altri soggetti, i quali da Francofor-te, da Milano, da Roma, da Zurigo, ecc., si mettono in aereo e vanno dovegli pare nel Mediterraneo. Quelli sono i centri del Mediterraneo, anche sesono a Dusseldorf o a Francoforte perché è da lì che parte. Cito Bill Clin-ton che una volta disse “Volete promuovere un territorio? Metteteciun’Università e un aeroporto”. Università e aeroporto insieme perchél’Università fornisce un supporto allo sviluppo del territorio, l’aeroportomette quello sviluppo in contatto col resto del mondo. Questo è un puntoche io sottolineo ancora una volta – lo dissi un’altra volta presente il Pre-sidente Cuffaro – lo risottolineo perché se non si sblocca la situazione deitrasporti non diventeremo mai protagonisti. Non mi interessa un aero-porto a Palermo, mi interessa un aeroporto in Sicilia che si possa raggiun-gere rapidamente. Ma sto andando fuori tema, l’odierno convegno non è

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un convegno sui trasporti, però se non si parla anche di trasporti non siriesce a sbloccare la situazione delle nostre produzioni agricole, ancheperché uno dei nostri obiettivi non è quello della grande produzione, maè la produzione di nicchia, una produzione che dia valore aggiunto fortesul piano commerciale proprio perché ha una tipicità specifica, ma haanche una sedimentazione culturale e tradizionale forte che è fortementelegata alla sua storia, al suo vissuto, ad una partecipazione della collettivi-tà che è cultura prima che alimentazione. E di questo credo che oggi par-lerete, cioè più cultura che alimentazione perché è di questo che noi siamoportatori forti in questa regione, ma siamo portatori forti anche in Euro-pa e nel mondo.

Quindi complimenti, complimenti al CORERAS che ancora unavolta organizza una manifestazione scientifica dai risvolti applicativi digrande importanza. Complimenti e ringraziamenti a tutti i presenti, aigiovani che sono presenti. Guardate ragazzi che il tema di questo conve-gno riguarda anche voi, non solo per quello che mangiate, ma per quelloche insieme riusciremo a fare nel nostro contesto regionale. La sfida chesi è proposta è drammatica; il 2010 (l’avvio dell’aera di libero scambio nelMediterraneo) incombe, la speranza è che dal 2010 si passi al 2015 (già sene comincia a parlare) perché non siamo solo noi preoccupati, c’è tuttaEuropa e la sponda nord del Mediterraneo che è preoccupata di ciò chesuccederà. Perché siamo fortemente sbilanciati per quanto riguarda i costidi produzione, i costi della manodopera, la conservazione ambientale,ecc.; questo sbilanciamento ci crea grandissime difficoltà operative edeconomiche. Speriamo che le cose si possano aggiustare e si possano gesti-re; studi come questi affrontatinell’odierno convegno servono proprio aquesto. Grazie per la vostra attenzione.

Prof. Antonino BacarellaPresidente del CORERAS

Grazie, Magnifico, per i riconoscimenti ma l’Università di Palermo èsocia del CORERAS e quindi è questo che ci dà la carica. Passo la parolaal Preside, Prof. Salvatore Tudisca, per porgere il saluto a questo nostroconvegno.

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Prof. Salvatore TudiscaPreside della Facoltà di Agraria di Palermo

Ringrazio il Prof. Bacarella per avermi invitato a porgere il saluto miopersonale e della Facoltà di Agraria, che in questo momento rappresento.Quando il Prof. Bacarella mi parlò di questo convegno, ricordo che erava-mo a fine ottobre, e andavamo a Torino ad una importante manifestazio-ne internazionale per il settore agro-alimentare -“Il salone del gusto eTerra Madre”- organizzata e voluta da Carlo Petrini, padre di Slow-Food.Intanto, ero interessato dall’argomento e poi l’elenco dei relatori era dinotevole spessore. Si trattava e si tratta, comunque, di un tema che laFacoltà di Agraria ha messo ai primi posti, in questo momento di revisio-ne della propria offerta formativa, legata ad una fase di transizione e modi-ficazione delle classi didattiche, come da alcuni decreti ministeriali. Iltema della dieta, insieme al tema della sicurezza alimentare, ed a quellidella sostenibilità delle produzioni, costituiscono, del resto, problemi edobbiettivi alla cui soluzione la Facoltà di Agraria dà, da tempo, un contri-buto non indifferente nel quadro e nella prospettiva del miglioramentodell’agricoltura regionale e delle sue produzioni.

Mi ricordai, parlando con il Prof. Bacarella, di un incontro avutoall’inizio di gennaio, (in occasione della stesura del programma del terzociclo dei seminari intitolati a Gianpietro Ballatore) con Carlo Petrini perinvitarlo ad inaugurare il ciclo dei seminari.

In occasione di quell’incontro romano Carlo Petrini mi racconto unepisodio, importante della sua vita, da cui scaturiscono molte delle sue ini-ziative nel campo dell’enogastronomia. L’episodio viene anche riportatonel libro “Buono, pulito e giusto”.

Voglio ricordarlo oggi in occasione di questo convegno, perché credosia attinente ai temi che vengono dibattuti.

Scrive il Petrini. Un giorno del 1996 si trovava, come di consueto, aviaggiare lungo la statale che collega Cuneo ad Asti (una strada che glipermette di raggiungere Bra, la cittadina di provincia dove abita e dove,pure, ha sede il Movimento Internazionale di Slow-Food. Quel giorno glivenne il desiderio di riassaggiare un vecchio piatto, che da molti anni nonassaporava: una peperonata che un suo amico ristoratore cucinava inmodo sublime e che gli ritornava nella memoria con grande piacere richia-mando sapori antichi. Fatta una piccola deviazione andò a trovare questosuo amico ristoratore, dove consumò con suo sommo disappunto, una

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peperonata tremenda del tutto insapore. Non capiva il perché e chiesespiegazioni al suo amico. L’amico ristoratore gli spiegò che non utilizzavapiù la stessa materia prima i peperono quadrati d’Asti con cui faceva quel-la peperonata in passato, e che riecheggiava nella sua memoria gustosa-olfattiva ma importavano i peperoni dall’Olanda, perché meno costosi,coltivati in maniera intensiva, da una varietà ibrida un risultato ottimo allavista, con i colori sgargianti, ma drammaticamente insapore.

Carlo Petrini prese atto di questo fatto, che la favolosa peperonata erasparita e si rimise in macchina per Bra. Lungo il tragitto incontrò un con-tadino che lavorava in una di quelle serre dove si coltivavano i peperoniquadrati d’Asti e gli chiese cosa coltivassero al loro posto. Il contadinointerpellato rispose che ormai coltivavano dei bulbi di tulipano, che poispedivano in Olanda per farli fiorire.

In quel momento Carlo Petrini comprese il paradosso dell’agroindu-stria, che si combinava con la globalizzazione: peperoni che valicavanoconfini, attraversavano monti, in cambio di tulipani. Cioè, due prodottitipici e caratteristici di due zone particolari, che venivano coltivati a millechilometri di distanza l’uno dall’altro, in territori che non erano i loro, astravolgere due consuetudini agricole consolidate.

Petrini intuì che era necessario fare qualche cosa per questa nostraagricoltura, che bisognava porre con forza l’accento sulla conservazionedella tipicità dei nostri prodotti. Quel giorno segna la nascita dell’eco-gastronomia; perché per Petrini non basta parlare di agricoltura sostenibi-le e di biodiversità, ma dobbiamo conservare quelle che sono le tradizionilocali, la cultura gastronomica locale, i prodotti che hanno dato sicura-mente significato e alla nostra agricoltura e alla cultura e alla storia deinostri luoghi.

Concetti che si trovano nel il manifesto di Slow-Food, che poi lui hadiffuso in tutto il mondo e per il quale ha avuto sicuramente grossi rico-noscimenti. Slow-Food oggi è una realtà importante e significativa nonsolo in ambito nazionale ma anche in scala mondiale.

Tornando al convegno odierno, sulla “Dieta mediterranea”, essocostituisce uno dei grossi meriti che va riconosciuto al CORERAS e alsuo Presidente il Prof. Bacarella. Fra tutti i Consorzi di ricerca, il CORE-RAS è quello che, (questa è una mia idea personale) in questi ultimi anni,ha lavorato meglio e in modo più incisivo, come testimoniano i numerosiconvegni e volumi, delle ricerche che sono state effettuate nel corso degliultimi anni.

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Parlando, infine, di dieta, sicuramente dobbiamo dire che il cibo puòe dovrebbe essere un piacere al quale – come dice il Prof. Fausto Canta-relli – tutti abbiamo diritto. Ma se l’atto di nutrirsi, come ci dice CarloPetrini, è anzitutto un atto agricolo -il che significa scegliere cibi di buonaqualità prodotti con tecniche di coltivazione e criteri che salvaguardinol’ambiente, che proteggano la biodiversità e valorizzino un’agricolturaecosostenibile, esso è anche un atto gastronomico che deve essere legato,come dice lo stesso Petrini, a tre criteri essenziali: buono, giusto e pulito.Cioè, nel momento in cui noi riusciremo a realizzare queste condizioni,sicuramente avremo fatto e compiuto un atto di grande rilevanza per laproduzione dei beni primari, per l’agricoltura, per l’enogastronomia, pertutto ciò che sta a monte e a valle del processo agricolo.

E vorrei chiudere con pensiero che mi ero appuntato. Noi abbiamofame di cambiamenti, ma spesso questi convegni -belli e importanti- sonofine a se stessi. Oggi in questo luogo abbiamo la Politica (il Presidentedella Regione), il massimo esponente dell’Ateneo (il Rettore), Presidentidi Consorzi di Ricerca, abbiamo autorevoli esponenti del mondo del-l’Università, della cultura e della gastronomia; importanti relatori fra cuiFausto Cantarelli, che da anni lavora per propagandare e sviluppare unanuova cultura gastronomica nel nostro paese; però, … come si può dareseguito ai dibattiti? Spesso ci compiaciamo delle buone e belle relazioni equi finisce tutto senza dare un seguito. Nel nostro piccolo la Facoltàd’Agraria ha attivato un gruppo di lavoro al fine di ideare nuovi corsi dilaurea, che abbiano anche a che fare col cibo, con la dieta, con la salubri-tà, con la sicurezza alimentare, con la tracciabilità, tutto quello che oggi vadi moda ed è fondamentale per la vita di tutti: ma non basta, perché i corsidi laurea hanno i tempi che hanno. Venendo qua osservavo che non sareb-be peregrino pensare ad un Master pluridisciplinare interfacoltà ad esem-pio la Facoltà d’Agraria, la Facoltà di Medicina, coinvolgendo anche moltealtre professionalità (operatori del turismo, analisti, chimici, etc.) che nonsi limiti ad un anno, ma che abbia una vita di tre, quattro o cinque anni.Spesso il limite dei nostri Master è che dopo un anno chiudono per man-canza di finanziamenti. Noi avevamo attivato -siamo stati fra i primi nel-l’Ateneo- un Master sull’agricoltura biologica, finanziato dalla Provinciache ha dato buoni risultati, ma dopo un anno l’abbiamo chiuso perché nonavevamo più finanziamenti della Provincia. Probabilmente i Consorzi, edin specie il CORERAS, hanno una maggiore disponibilità finanziaririspetto alle Facoltà, possono veicolare e trainare dei Master sui problemiche oggi si dibattono. Formando faremo sicuramente un buon servizioalla nostra Regione. Grazie.

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2Sicilia e Dieta Mediterranea: introduzione al tema

Antonino BacarellaPresidente del CORERAS

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Le motivazioni che hanno indotto il CORERAS ad organizzarel’odierno convegno su Sicilia e Dieta Mediterranea hanno origine da diver-si fenomeni e fatti.

I fenomeni fanno riferimento alle grandi trasformazioni in essere daalmeno un decennio a questa parte nelle società dei paesi ad economiaavanzata e recentemente anche in quelle di alcuni grandi paesi in accelera-to processo di sviluppo.

Tra le grandi trasformazioni si può a pieno titolo annoverare quellariguardante il complesso sistema alimentare.

Numerose sono le cause e le spinte alla trasformazione di questosistema: la sempre più ampia apertura dei mercati e delle economie anuove aree geoeconomiche e geopolitiche;la crescente mobilità delle per-sone per turismo, lavoro, affari, studio, ecc.; i sempre più dinamici cam-biamenti nel comportamento dei consumatori riguardo alle abitudini ali-mentari, ai modelli di consumo, al modo salutistico, etico e culturale del-l’approccio all’alimento; la sempre più sentita esigenza di salvaguardia etutela dell’ambiente e delle risorse naturali e genetiche, dalla quale traeorigine il perseguimento dello sviluppo economico e sociale sostenibile; laaumentata attenzione delle politiche agricole, forestali, ambientali verso ilmiglioramento della qualità della vita umana e territoriale sia da parte deipaesi industrializzati che di quelli in via di sviluppo, come appunto hadimostrato il recente evento “Terra Madre”, incontro internazionale tra lecomunità del cibo (con la partecipazione ufficiale di 150 paesi), a latere delSalone del Gusto di Torino, organizzato dall’associazione Slow Food.

I fatti fanno riferimento alla ormai lunga, seppur indiretta, collabora-zione di studio fra chi vi parla e Fausto Cantarelli, che ha indotto neltempo Cantarelli a frequentare la Sicilia per studi e convegni ed a dare allestampe tre specifici lavori: Dal mito alla Storia: il pecorino siciliano; Ilprimo laboratorio alimentare di Europa; La primogenitura storica dellaSicilia alimentare.

L’occasione più recente è stata la presentazione dell’ultimo suo lavo-ro: I tempi alimentari del mediterraneo: cultura ed economia nella storiaalimentare dell’uomo, fatta da chi vi parla ed organizzata dal CORERASad Ispica (Ragusa) nel marzo scorso, con la partecipazione dell’AssessoreRegionale all’Agricoltura e Foreste, pro tempore, On.le Innocenzo Leon-tini.

Il filone di studio e culturale di Cantarelli sull’agroalimentare ha un

Sicilia e Dieta Mediterranea: introduzione al tema

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approccio ed una elaborazione profondamente diversi da quelli seguiti dalCORERAS, ma convergenti verso un unico obiettivo, che gli economistiagrari ed agroalimentari in gran parte perseguono con la propria opera edil proprio pensiero: lo sviluppo economico e sociale sostenibile.

Il CORERAS infatti, con i suoi studi e le sue ricerche, per statuto, hacome finalità, nel quadro degli indirizzi determinati dall’Assessore Regio-nale per l’Agricoltura e le Foreste, lo sviluppo e l’ammodernamento strut-turale ed organizzativo dei sistemi agroalimentare, agroindustriale, agro-ambientale della Sicilia.

E pertanto è impegnato ad esaltare e valorizzare il ricco patrimoniogenetico, naturale, ambientale, storico, tipico, tradizionale della Siciliaagroalimentare sia con studi economici che con sperimentazioni agrono-miche, nella sua azienda agricola Don Pietro, ricadente in quel di Ragusa,nei pressi di Comiso.

Riguardo a queste ultime piace evidenziare quella sullo zafferano,quale riscoperta di na specie che veniva coltivata in Sicilia già in epocagreco-romana, probabilmente portata in Sicilia dai soliti Fenici nel loroperegrinare commerciale nel bacino del Mediterraneo.

Nei pochi anni trascorsi (sette) dalla sua costituzione il CORERASha prodotto oltre 60 lavori; gli studi specifici sul tema agroalimentare con-tano ben 12 titoli a stampa su 30 della sua produzione editoriale, fra i qualipiace citare per significatività di conoscenza e di proposta i seguenti:Quale agricoltura per la Sicilia; Agroalimentare e flussi turistici in Sicilia;Le imprese agroalimentari marketing oriented in Sicilia; Prodotti tipicidella Regione Siciliana; Prodotti agricoli di qualità e Turismo in Sicilia; Laqualità certificata nel sistema agroalimentare siciliano.

Fra le motivazioni che hanno indotto il CORERAS ad organizzarel’odierno convegno ve ne è una che fa da cornice al nostro discorrere: lapolitica agricola ed agroalimentare perseguita, seppur con molte contrad-dizioni e ritardi, dal Governo Regionale e dall’Assessorato Agricoltura eForeste, nell’ambito della più complessa politica nazionale ed europea,mirata allo sviluppo economico e sociale sostenibile, attraverso la valoriz-zazione tecnica ed economica delle produzioni agricole tipiche e di quali-tà e della cultura enogastronomia del territorio, anche con una impegnata(finanziariamente) politica promozionale e comunicazionale nei principa-li e ricchi mercati dei paesi ad economia avanzata ed in quelli ad accelera-to processo di sviluppo economico.

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Con Cantarelli si è ravvisata la opportunità di dare un ulteriore con-tributo allo sviluppo economico e sociale sostenibile della Sicilia, utiliz-zando una risorsa concettuale rappresentata dalla cosiddetta Dieta Medi-terranea, che contiene in sé, attraverso le produzioni agricole ed agroali-mentari che la caratterizzano: cultura, storia, letteratura, archeologia,civiltà, filosofia, stile di vita, salute, paesaggio, ecc., e che è capace di viva-cizzare ed attrarre attività extragricole, costituite primariamente dallediverse tipologie di turismo, quale segno di un nuovo modo d’essere e divita della persona umana, in qualsiasi latitudine e longitudine abbia domi-cilio.

Come appunto dimostrano l’evoluzione finora e le previsioni deiflussi turistici, che nel 2010 dovrebbero coinvolgere un miliardo di perso-ne ed interessare in parte rilevante l’area mediterranea.

Per dare significato politico, economico, culturale e salutistico allaDieta Mediterranea, secondo l’obiettivo dello sviluppo sostenibile, si sonocoinvolti nella partecipazione di questo convegno studiosi appartenenti adiversi settori scientifico-disciplinari e soprattutto, uno dei protagonisti,il Prof. Flaminio Fidanza, che hanno individuato nella Dieta Mediterranea,o più esattamente nei prodotti agricoli che concorrono alla sua composi-zione, tutto l’aspetto che muove primariamente il consumatore nelmoderno approccio al cibo e all’alimento: quello cosciente nutrizionisti-co-salutistico e quello culturale del modo di vivere o dello stile di vita.

Il Prof. Flaminio Fidanza ha partecipato alla pianificazione dello Stu-dio Cooperativo Internazionale di Epidemiologia della Cardiopatia Coro-narica, meglio noto come Studio dei sette Paesi, coordinato da AncelKeys, ed ha condotto l’inchiesta di epidemiologia prospettiva delle malat-tie coronariche nel paese di Nicotera (in Calabria) nel 1960, individuandonelle abitudini alimentari e nello stile di vita della popolazione di questopaese un ruolo preventivo nelle patologie cronico-degenerative.

La dieta di Nicotera è stata così scelta come: Dieta Italiana di Riferi-mento.

In questa dieta prevalgono cerali, legumi, pesce, olio vergine di oliva,verdure, frutta, con abbondanza di erbe spontanee eduli, aglio, cipolla,peperoncino, erbe aromatiche (rosmarino, prezzemolo, basilico) e qualebevanda alcolica moderate quantità di vino, specialmente rosso.

In questa dieta limitato è il consumo di latte, formaggi, carni e grassidi origine animale.

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Nella Dieta Mediterranea c’è dunque la descrizione fedele della pro-duzione agricola siciliana che come tale, può diventare una risorsa strate-gica di marketing nella comunicazione e nella promozione dell’enogastro-nomia siciliana sul mercato internazionale, o per meglio dire sui segmen-ti di mercato a reddito medio-alto dei paesi ad economia avanzata , e nellacomunicazione e promozione del territorio siciliano nel turismo interna-zionale.

A dimostrazione della speculare corrispondenza della Dieta Mediter-ranea alla agricoltura siciliana basta il riferimento alla composizione pro-duttiva della superficie agricola utilizzata che è costituita:• nella superficie in asciutto dell’ampia area interna, dal seminativo

(dove si coltivano cereali- frumento duro essenzialmente-, legumino-se da granella, ortaggi invernali), dalla frutta secca (mandorlo, noc-ciolo, pistacchio), dall’olivo e dalla vite,

• nella superficie irrigua, ricadente prevalentemente nella fascia costie-ra, dagli agrumi, dagli ortaggi, dalla frutta fresca, dall’olivo e dalla vite.Gli allevamenti di bovini ed ovicaprini vengono effettuati allo stato

brado o semibrado nei pascoli naturali, nel seminativo a riposo o foraggi-colo (leguminose da foraggio ed erbai di cereali e leguminose da foraggio)e nei boschi; l’allevamento industriale stabulo di bovini, raramente disuini, viene tuttora poco praticato e solo in alcune zone dell’isola.

Le erbe spontanee eduli ed aromatiche si trovano disseminate in tuttoil territorio siciliano e specialmente nelle aree interne di collina e monta-gna.

La piccola pesca si esercita diffusamente nei numerosi piccoli portidell’area costiera, mentre la pesca d’altura viene effettuata con motope-scherecci nella quindicina di porti ubicati nei grossi centri abitati lungo lacosta dell’isola.

A spiegare l’importanza salutistica e culturale della Dieta Mediterra-nea e dei prodotti che la compongono sono, quali relatori del convegno:studiosi e ricercatori nella scienza dell’alimentazione e della nutrizione, iProff. Adalberta Alberti, Antonino De Lorenzo, Laura Di Renzo, nellamedicina interna, i Proff. Domenico Campisi e Gino Avellone, della fisio-logia umana i Proff. Santo Giammanco e Maurizio La Guardia, della medi-cina oncologica, il Prof. Nicola Gebbia.

Gli aspetti culturali ed originari della dieta mediterranea saranno trat-tati dall’archeologo-letterato Fabrizio Mollo.

Gli aspetti merceologici dell’olio d’oliva, alimento caratterizzante

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della dieta Mediterranea, saranno trattati dal Prof. Salvatore Chiricosta.Il Prof. Fausto Cantarelli affronterà il tema, ormai a lui assai familia-

re, sull’interesse e sull’opportunità per la Sicilia ed il suo sviluppo econo-mico della Dieta Mediterranea, mentre la Prof.ssa Sabrina Leone eviden-zierà il legame, oggi sempre più pregnante, fra cibo e turismo, nell’ambi-to del quale la Dieta Mediterranea può rappresentare una risorsa non soloper lo sviluppo dell’agricoltura, ma anche del territorio e dunque del siste-ma economico dell’isola.

A tutti i relatori va il mio personale ringraziamento e quello delCORERAS.

Dalla caratterizzazione scientifica e professionale dei relatori, tutti difama nazionale e molti di essi anche di fama internazionale, e dagli stessititoli delle relazioni si può evincere con chiarezza che la tematica del con-vegno viene dibattuta con approccio interdisciplinare, mirato allo svilup-po economico e sociale sostenibile.

La convinzione scientifica dell’utilità salutistica della Dieta Mediter-ranea ha indotto i Proff. De Lorenzo, Fidanza, Alberti, Di Renzo, Canta-relli a costituire l’Associazione INDIM (Istituto Nazionale per La DietaMediterranea e la Nutrigenomica) che ha sede legale a Reggio Calabria esede amministrativa a Roma. Il Prof. De Lorenzo è il Presidente, il Prof.Fidanza è Presidente onorario e consigliere.

Il CORERAS condividendo pienamente gli scopi dell’Associazioneha deliberato di chiederne l’ammissione come socio ordinario e partecipa-re a pieno titolo alle iniziative ed agli studi che l’Associazione proporrà erealizzerà.

L’adesione di organismi regionali all’INDIM potrebbe essere unabuona opportunità per la Sicilia per comunicare la ricchezza della sua agri-coltura, della sua storia, della sua cultura.

I diversi aspetti che saranno affrontati nelle relazioni ed i diversispunti di lavoro che emergeranno, consentiranno alla politica di meglioindirizzare le strategie di intervento pubblico mirate: alla evoluzione dellacatena del valore del sistema agroalimentare, attraverso la crescita nume-rica e dimensionale delle imprese orientate al marketing, a valorizzare ilterritorio nel suo insieme di produzione alimentare e di patrimonio stori-co, culturale ed ambientale, utilizzando, nelle strategie di marketing pro-mozionale e comunicazionale, la leva salutistica e nutrizionistica dei pro-dotti agroalimentari, specialmente in un mondo affetto da numerosemalattie cardiocircolatorie e sempre più da quelle derivanti dalla obesità, e

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la leva culturale ed immaginifica dell’enogastronomia e del territorio, spe-cialmente in un mondo sempre più curioso di conoscenza di popoli, di sitistorici, di risorse naturali.

L’Assessore Regionale all’Agricoltura ed alle Foreste Prof. GiovanniLa Via, illustre economista agrario della Facoltà di Agraria dell’Universitàdi Catania, e dunque collega mio e di Cantarelli, spero possa ricevere daquesto convegno ulteriori spunti per la elaborazione mirata della sua con-divisa politica sull’agroalimentare siciliano.

Sentiremo nelle sue considerazioni politiche ed economiche finali inche modo e quanto le riflessioni corali su una tematica sempre più attua-le possano incidere nel processo di accelerazione dello sviluppo economi-co e sociale sostenibile della Sicilia.

L’amico e collega Giovanni sa che nella ricerca economica lavoriamocon la stessa convinzione metodologica e con la stessa passione. L’areaeconomico-agraria di Palermo e Catania infatti ha sempre lavorato inpiena sintonia e tutte le ricerche finora condotte hanno avuto come obiet-tivo la conoscenza e la crescita del sistema agroalimentare regionale nellesue molteplici espressioni.

L’Assessore La Via sa per istituzione che il CORERAS, consorzioregionale, opera statutariamente seguendo le sue direttive sia nella sede diPalermo che in quella di Catania, e pertanto può contare sul patrimonio diconoscenza prodotto in aggiunta a quello che ci proviene dall’essere uni-versità.

Come Presidente ringrazio l’Assessore per l’attenzione che rivolge alCORERAS, come peraltro i suoi precedessori; il che spinge il CORERASa far sempre meglio.

Lo ringrazio anche personalmente per il pizzico di attenzione in più,rispetto a ieri, che rivolge al CORERAS, perché è servito a restituire sere-nità al lavoro ed all’impegno dei giovani ricercatori del Consorzio.

Ringrazio tutti per la partecipazione. Ringrazio il Magnifico RettoreProf. Giuseppe Silvestri, socio per l’Università di Palermo, come peraltrole Università di Catania e Messina, del CORERAS, per l’attenzionecostante che ci rivolge, e ringrazio il mio Preside Prof. Salvatore Tudisca,anch’egli economista agrario ed amico, per la sintonia d’impegno dellaFacoltà e del CORERAS.

Ed adesso iniziamo i lavori sulla Dieta Mediterranea.

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3Dieta Mediterranea:parla un pioniere

Flaminio FidanzaPresidente onorario dell’Istituto Nazionale per la Dieta Mediterranea e la Nutrigenomica

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Due premesse sono indispensabili: la definizione di Dieta Mediterra-nea di Riferimento (DMR) e la presentazione dell’Indice di AdeguatezzaMediterraneo (IAM).

La Dieta Mediterranea di Riferimento è un regime di vita, nella clas-sica accezione ippocratica, nel quale prevalgono alcuni gruppi di alimenticonsumati prevalentemente dai componenti le classi lavoratrici dei paesimediterranei intorno alla metà del secolo scorso. Questi gruppi di alimen-ti sono : cereali, legumi, ortaggi, frutta fresca e secca, olio vergine di oliva,prodotti della pesca, e come bevande alcoliche vino.

L’idonea combinazione qualitativa e quantitativa di questi alimentipermette di prevenire le inadeguatezze nutrizionali per eccesso e perdifetto e fornisce nutrienti e componenti alimentari dotati di elevati effet-ti protettivi grazie alla loro proprietà antiossidante.

L’Indice di Adeguatezza Mediterraneo è stato da noi elaborato pervalutare in modo obiettivo quanto una dieta liberamente scelta si avvicinio si allontani da una dieta mediterranea presa come riferimento (1).

L’Indice di Adeguatezza Mediterraneo (IAM) si ottiene dividendo ilpercento dell’energia fornita dagli alimenti che caratterizzano una dietamediterranea salutare (cereali, patate, legumi, ortaggi, frutta fresca e secca,prodotti della pesca, olio vergine di oliva, vino) per il percento dell’ener-gia fornita da alimenti pur mediterranei, ma che non debbono prevalere inquesto tipo di dieta (carne, latte, formaggi, uova, grassi di origine anima-le e margarine, dolci, bevande zuccherine). Lo IAM si può anche calcola-re utilizzando il peso in grammi degli alimenti sopra indicati. Il valore intal caso sarà differente per la diversa densità energetica di alcuni alimentie delle bevande. I valori dello IAM possono andare dallo 0 per una dieta abase di soli alimenti non mediterranei ad oltre 100 per una dieta stretta-mente vegetariana. I valori più comunemente da noi riscontrati vanno da0,6 per le due coorti del Seven Countries Study (SCS) finlandesi a 14,6per la coorte SCS di Tanushimaru in Giappone.

Come dieta mediterranea di riferimento abbiamo scelto quella rileva-ta in tre stagioni del 1960 nelle famiglie di Nicotera, un centro rurale dellaCalabria in provincia di Catanzaro.

Nicotera era la terza area rurale Italiana esaminata come studio pilo-ta nell’ambito dello Studio dei Sette Paesi. Per la scarsezza di fondi e perla similarità con le due aree rurali della Grecia (Creta e Corfù),non si èdato corso al riesame negli anni successivi.

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Nelle tabelle 1 e 2 è riportata la media del consumo giornaliero di ali-menti per le quattro classi di età dei maschi e delle femmine di Nicoteraesaminati nel 1960, Come già riportato in precedenti lavori i cereali eranomolto bene rappresentati e così pure i vegetali, i legumi ed il pescato.L’olio vergine di oliva era l’unico olio consumato. Il pane , in genere bigio,era preparato con farina di grano macinato a pietra nei 18 mulini disponi-bili a quell’epoca a Nicotera. Diffuso era il consumo di erbe selvatichecrude o cotte, particolarmente ricche di antiossidanti ed acidi grassiomega-3 (Tabelle 1 e 2).

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Tab. 1 - Media del consumo giornaliero di alimenti (g) dei maschi di Nicote-ra. (1960, media di tre stagioni)

Tutti gli adulti delle 35 famiglie esaminate svolgevano una attività fisi-ca moderata ed in alcuni casi essa era per gli uomini anche pesante.

Dall’indagine clinica condotta nel 1957 la prevalenza di infarto delmiocardio è risultata bassissima (solo 4 casi sui 578 uomini esaminati, di45-64 anni di età). L’ipertensione, il soprappeso ed il diabete erano pococomuni (2).

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Tab. 2 - Media del consumo giornaliero di alimenti (g) delle femmine diNicotera. (1960, media di tre stagioni)

Il ruolo salutare della dieta mediterranea è stato messo in evidenzadai nostri studi sui rapporti tra dieta e colesterolemia e dal nostro StudioCooperativo Internazionale della Cardiopatia Coronarica, meglio notocome Seven Countries Study (SCS = Studio dei Sette Paesi).

Nel febbraio 1952 insieme ad Ancel Keys abbiamo preso in esame irapporti tra dieta e colesterolemia. I vigili del fuoco napoletani presenta-vano una colesterolemia più bassa rispetto ai colleghi del Minnesota(USA). Ciò era da imputare al minor contenuto di grassi nella dieta (20%dell’energia totale nei napoletani contro il 40% dell’energia totale negliamericani), (3).

Nella figura 1 è riportato l’andamento con l’età dei valori medi dellacolesterolemia dei vigili del fuoco di Napoli e del Minnesota. I vigilinapoletani oltre a valori sempre più bassi, dopo il trentacinquesimo annopresentavano livelli praticamente stabili.

Dal 1958 al 1965 abbiamo esaminato i seguenti sei gruppi di cittadi-ni napoletani : operai leggeri (OP-LE), industriali e professionisti (PRO),uscieri dell’Università (US-UN), scalpellini (SCAL), disoccupati (DIS)ed impiegati comunali (IM-CO) (4).

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Il rilevamento dei consumi alimentari degli operai leggeri è stato ese-guito con la tecnica del ricordo delle precedenti 48 ore. Per gli industria-li e professionisti, gli uscieri dell’Università e gli scalpellini si è adoperatala tecnica della pesata individuale protratta per una settimana. Per i disoc-cupati è stata utilizzata la tecnica del ricordo delle precedenti 48 ore, asso-ciata al rilevamento delle abitudini alimentari relative ad un periodo ditempo più lungo. Per gli impiegati comunali si è adoperata la tecnica deldiario alimentare per una settimana (Tabella 3).

Il consumo di latte è trascurabile negli scalpellini, scarso negli operaileggeri e nei disoccupati, discreto negli altri gruppi. I formaggi abbonda-no nelle diete degli impiegati comunali e dei disoccupati, scarseggianoinvece in quelle degli operai leggeri. La carne è consumata scarsamente daparte degli operai leggeri e discretamente da parte degli uscieri dell’Uni-versità e degli scalpellini. Le uova assenti nella dieta dei disoccupati, sonopresenti in quantità modesta in quelle degli scalpellini e degli operai leg-geri ed in quantità apprezzabile in quella degli altri gruppi. Il pesce è con-sumato con una relativa uniformità nella maggioranza dei gruppi.

Fig. 1 - Andamento con l’età della media della colesterolemia dei vigili delfuoco di Napoli e del Minnesota. Per ogni area i valori sono espressi comepercento della media all’età di 35 anni.

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Nella dieta dei disoccupati i grassi di condimento e gli oli sono pre-senti in quantità ridotta, mentre sono decisamente abbondanti in quelladegli operai leggeri. I cereali sono consumati largamente da parte degliscalpellini ed in quantità ridotta da parte degli industriali e professionisti.I legumi abbondano nelle diete dei disoccupati, degli scalpellini e deglioperai leggeri e scarseggiano in quella degli uscieri dell’Università. I vege-tali sono presenti in quantità ridotta nella dieta dei disoccupati, mentreabbondano in quella degli industriali e dei professionisti. Per la frutta iconsumi più bassi si riscontrano nella dieta degli scalpellini; valori inter-medi si osservano nelle diete degli uscieri dell’Università e degli operaileggeri. Le bevande alcoliche abbondano nelle diete degli scalpellini e deidisoccupati, mentre sono presenti in quantità ridotta nella dieta degliindustriali e dei professionisti.

La dieta meno mediterranea è naturalmente quella degli industriali eprofessionisti (IAM = 1,5), quella simile alla DMR Italiana è risultataquella degli operai leggeri (IAM = 7,5).

Dopo una riunione di esperti internazionali nel marzo 1954 presso

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Tab. 3 - Percento dell’energia dei vari alimenti nella dieta di alcuni gruppidi napoletani. (Valori medi pro die e pro capite)

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l’Istituto di Fisiologia Umana a Napoli,coordinata da Ancel Keys e dal-l’autore, abbiamo dato corso nell’autunno 1957 allo studio pilota del SCSa Nicotera in Calabria e a Creta in Grecia. Dal 1958 lo studio è stato este-so a sedici coorti di uomini di 40-59 anni di età residenti in centri abitatiin Finlandia, Giappone, Grecia,Italia,ex Jugoslavia,Olanda e Stati Unitid’America.

Da questo studio è emerso che per quanto riguarda le nove coortirurali europee,quelle mediterranee (Creta e Corfù in Grecia, Crevalcore eMontegiorgio in Italia, e Dalmazia nella ex Jugoslavia), presentavano alquindicesimo anno di riesame un tasso di mortalità per cardiopatia coro-narica metà rispetto a quello delle quattro coorti non mediterranee (Fin-landia orientale ed occidentale, Slavonia e Velika Krsna nella ex Jugosla-via), (5).

Le diete dei due gruppi erano ben diverse.Nelle cinque coorti medi-terranee erano maggiormente presenti olio di oliva,cereali,frutta,ortaggi evino,mentre in quelle finlandesi e della ex Jugoslavia settentrionale carne,uova, formaggi, sostanze grasse di origine animale e margarine e le bevan-

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Tab. 4 - Corti rurali europee

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de alcoliche erano birra e superalcolici consumate in genere fuori pasto.Nelle due coorti rurali italiane di Crevalcore in Emilia e Montegior-

gio nelle Marche è stato valutato dopo 20 anni il tasso di mortalità pervarie cause, in rapporto alla dieta consumata nel 1965. I 1536 soggettisono stati classificati, utilizzando la tecnica dell’analisi K-cluster, in 4gruppi a seconda della densità dei nutrienti delle loro diete, prendendo inconsiderazione le proteine totali, gli acidi grassi saturi, monoinsaturi epolinsaturi, i carboidrati totali e l’alcol, espressi come percento dell’ener-gia totale (6).

Nella tabella 5 sono riportati i valori medi degli alimenti consumatidai 1536 uomini di 45-65 anni di età di Crevalcore e Montegiorgio.

IL cluster 1 è caratterizzato da un elevato consumo di alcol (1/3 del-l’energia totale), mentre i valori degli altri alimenti sono tra i più bassi. Ilcluster 2 presenta i più elevati consumi di oli di semi e conseguentementedi acidi grassi polinsaturi, mentre più bassi sono i consumi di insaccati,prodotti della pesca, ortaggi grassi ed uova. Il consumo di vino non è ele-vato. Per il cluster 3 il consumo di olio di oliva è tra i più elevati. Il cluster

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Tab. 5 - Valori medi degli alimenti consumati dai 1536 uomini di 45-65 annidi Crevalcore e Montegiorgio

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La mortalità più elevata per cardiopatia coronarica è per i cluster 1 e4, mentre per l’ictus cerebrale è per i cluster 1 e 3. La mortalità più bassaper cancro si osserva nei cluster 2 e 4. la mortalità per cirrosi epatica è unacaratteristica quasi esclusiva del cluster 1, al quale appartengono i granbevitori di vino.

Di conseguenza il gruppo più protetto per quanto riguarda la cardio-patia coronarica è quello che presenta il più elevato consumo di acidi gras-si polinsaturi. Nel complesso i gruppi più protetti per le altre cause di morterisultano quelli con un elevato consumo di carboidrati e di olio di oliva.

Le due coorti italiane SCS di Crevalcore (in provincia di Bologna) eMontegiorgio (nelle Marche in provincia di Ascoli Piceno) sono state rie-saminate ogni cinque o dieci anni sino al trentunesimo anno.

La dieta di tutti questi uomini è stata seguita utilizzando il metodosella storia dietetica dal 1965 al 1991.

4 mostra il massimo consumo di alimenti ricchi in carboidrati e di ortag-gi; il consumo di olio di oliva è basso e così pure quello delle uova, grassie vino. E’ quest’ultima le dieta tipica delle classi lavoratrici italiane neglianni cinquanta.

Nella tabella 6 è riportata la percentuale dei tassi di mortalità stan-dardizzati per l’età in ogni cluster per le diverse cause di morte al riesamedel venticinquesimo anno dei 1536 uomini di Crevalcore e Montegiorgio.

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Tab. 6 - Percentuali dei tassi di mortalita’, standardizzati per l’eta’ in ognicluster per le diverse cause di morte al riesame del ventesimo anno

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Tab. 7 - Distribuzione dei percentili dello IAM della dieta degli uomini dellecoorti rurali italiane del Seven Countries Study

Nella tabella 7 è riportata la distribuzione in percentili dello IAMdella loro dieta, insieme a quella degli uomini esaminati a Nicotera nel1960 (7).

A Crevalcore nel 1965 solo un modesto numero di uomini consuma-va una dieta mediterranea. Nel 1991 questo numero si è ulteriormenteridotto. I figli ed i nipoti degli uomini esaminati longitudinalmentemostravano consumi con le stesse caratteristiche degli anziani.

A Montegiorgio nel 1965 circa il 25% degli uomini consumava unadieta mediterranea , ma nel 1991 questa percentuale è significativamentediminuita. Per i figli ed i nipoti degli uomini esaminati longitudinalmentei valori erano vicini a quelli dei corrispondenti individui di Crevalcore.

Dopo 26 anni, pur tenendo conto dell’influenza dell’invecchiamentodi questi individui nei riguardi dei consumi alimentari, si è osservata inparticolare a Montegiorgio una netta modificazione delle scelte alimenta-ri con un avvicinamento dei consumi a quelli degli uomini di Crevalcore.Quindi per i soggetti di Montegirogio si à verificato un marcato allonta-namento dalla DMR. La mortalità per cardiopatia coronarica presentavaun andamento conseguente.

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Nel 1999 abbiamo dato corso al rilevamento dei consumi alimentaridi 49 famiglie residenti nel comune di Pollica (Salerno) già esaminate nel1967;tale rilevamento includeva anche i nuovi famigliari (figli e nipoti).Dopo 32 anni i giovani di 20-39 anni di Pollica si sono allontanati dalla tra-dizionale dieta mediterranea.Per le donne oltre i 40 anni questo allontana-mento è meno accentuato e per gli uomini oltre i 40 anni molto modesto(Tabelle 8 e 9).

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Tab. 8 - Distribuzione dei percentili dello I.A.M. Delle diete degli uomini diPollica (Cilento – Italia)

Tab. 9 - Distribuzione dei percentili dello I.A.M. delle diete delle donne diPollica (Cilento – Italia)

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Tab. 10 - Media del consumo giornaliero di alimenti (g) dei soggetti di Nico-ta esaminati nel 2002

Nel 1999 il Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano (Provinciadi Salerno) ha dato corso al rilevamento delle abitudini alimentari di cam-pioni di famiglie residenti in sette comunità montane.La media dello IAMper le 228 famiglie esaminate è risultata di 2,2, vicina a quella dei giovanidi Pollica esaminati nello stesso anno.

Anche la dieta dei soggetti di Nicotera esaminati nel 1960, considera-ta come dieta mediterranea di riferimento italiana, ha subito profondemodificazioni qualitative nel tempo. Per gli uomini nel 2002 il consumo dicereali e legumi è visibilmente diminuito. Aumentati invece sono i consu-mi di frutta, formaggi e latte. I dolciumi prima assenti sono ora presenti.Per le donne la situazione è quasi simile a quella degli uomini, maggiore èil consumo di latte, formaggi e dolciumi (Tabella 10).Di conseguenza nel2002,cioè dopo 42 anni, lo IAM della dieta dei figli e dei nipoti dei capifa-miglia esaminati nel 1960 è 3,5 per gli uomini e 2,6 per le donne.

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Fig. 2. - Correlazione del logaritmo naturale del MAI delle diete delle 16coorti del Seven Countries Study (ln MAI, dopo esclusione della birra e deisuperalcolici) con il tasso di mortalità per cardiopatia coronarica al 25° annodi riesame

I simboli sono: US-ferrovieri USA; EF-Finlandia orientale; WF-Finlandia occidentale; ZU-Zutphen,Olanda;CR-Crevalcore,Italia; MO-Montegiorgio,Italia; RR-Ferrovieri ,Roma,Italia; D-Dalmazia,Croazia-ex Jugosla-via; SL-Slavonia, ex Jugoslavia; VK-Velika Krsna,Serbia-ex Jugoslavia; ZR-Zrenjanin, Serbia-ex Jugoslavia; BE-Belgrado, Serbia-ex Jugoslavia; KT-Creta, Grecia; CO-Corfù, Grecia; TA-Tanushimaru, Giappone; U.

Per le 16 coorti dello Studio dei Sette Paesi abbiamo correlato lo IAMdelle diete dei campioni di uomini esaminati all’inizio dello studio con iltasso di mortalità per cardiopatia coronarica al 25° anno di riesame(8).

Dalla figura 2 possono essere identificati tre gruppi di coorti: il grup-po delle coorti di destra con il più elevato valore di MAI ed il più bassotasso di mortalità per cardiopatia coronarica che include le quattro coortimediterranee e le due giapponesi; il gruppo delle coorti di sinistra con ilpiù basso valore del MAI ed il più elevato tasso di mortalità che include lecoorti dell’Europa settentrionale e degli Stati Uniti d’America; il gruppodelle coorti di centro che comprende le coorti dell’Europa centrale e del-l’Italia settentrionale.

Da quanto sin qui esposto si può ritenere che lo Studio dei Sette Paesi(SCS) rappresenta uno dei più importanti studi ecologici in quanto è statoil primo a mostrare una significativa relazione tra abitudini alimentari dipopolazioni molto differenti tra loro e la rispettiva incidenza e mortalitàper cardiopatia coronarica. E la dieta mediterranea non solo assume unindiscutibile ruolo preventivo della cardiopatia coronarica, ma anche dimolte altre malattie cronico degenerative come evidenziato da altri autori.

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1) ALBERTI-FIDANZA A, FIDANZA F, CHIUCHIÙ MP, VER-DUCCI G, FRUTTINI D. Dietary studies on two rural Italianpopulation groups of the Seven Countries Study. 3. Trend of foodand nutrient intake from 1960 to 1991. Eur J Clin Nutr 1999;53:854-860.

2) FIDANZA F. LA DIETA DI NICOTERA NEL 1960. Dieta Medi-terranea Italiana di Riferimento. In De Lorenzo A, Fidanza F. DietaMediterranea Italiana di Riferimento, EMSI, Roma,2006 pp.25-34.

3) KEYS A, FIDANZA F, SCARDI V, BERGAMI G. The trend ofserum-cholesterol levels with age. The Lancet, 1952, August 2, p.209.

4) FIDANZA F, FIDANZA-ALBERTI A. Cento anni di storia deiconsumi alimentari a Napoli. Quaderni Nutrizione 1971;31:189-219.

5) KEYS A, MENOTTI A, KARVONEN MJ, et al. The diet and 15-year death rate in the Seven Countries Study. Am J Epidemiol1986;124:903-915.

6) FARCHI G, MARIOTTI S, MENOTTI A, FIDANZA F. Diet and20-y mortality in two rural poplation groups of middle-aged men inItaly. Am J Clin Nutr.1989;50:1095-1103.

7) ALBERTI-FIDANZA A, FIDANZA F. Mediterranean AdequacyIndex of Italian diets. Public Health Nutrition 2004;7:937-941.

8) FIDANZA F, ALBERTI A, LANTI M, MENOTTI A. Nutr MetabCardiovasc Dis 2004;14:254-258.

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4Tradizioni alimentari e dieta mediterranea nel mondo antico Pesca, produzione e consumo del pesce e delle relative salse in Magna Grecia ed in Sicilia

Fabrizio MolloUniversità degli Studi di Messina

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Gli studi di scienze dell’alimentazione, la tradizione letteraria e ladocumentazione archeologica in Magna Grecia e Sicilia restituiscono unquadro molto particolareggiato della tradizione culinaria e delle abitudinialimentari nel mondo antico in Italia meridionale.

Le fonti, ad esempio, non omettono di citare la ricchezza di risorseprovenienti da territori fertili come quello di Metaponto e, soprattutto, diSibari (la pece, il legname, la carne degli allevamenti, soprattutto la caroporcina, per la quale sappiamo che si pagavano alti dazi1) città che eraricordata per la tryphé, la mollezza dei suoi costumi e per l’uso smodato divino (proveniente addirittura dagli acquedotti alla città)2; a Roma, poi, eraproverbiale la produzione su larga scala dei cereali e del grano in Sicilia,vero e proprio granaio dell’urbs3.

In Magna Grecia e Sicilia è, dunque, riconoscibile quella che a poste-riori definiremmo una tradizione alimentare e culinaria assolutamente diprimo piano nel panorama del mondo antico.

Alla base di questo sistema c’è ciò che il prof. Cantarelli ha definito il“miracolo alimentare mediterraneo”, il portato di un modello culturaledominante che ha veicolato abitudini ed usi alimentari dalla Magna Greciae dalla Sicilia in tutte le aree del Mediterraneo, dapprima attraverso la cul-tura greca e magno-greca, poi attraverso l’espansione del dominio roma-no4. La dieta mediterranea, quale combinazione di tutti i prodotti vegeta-li, olio e vino, con pane e modiche quantità di carne e formaggio, inaggiunta al pesce, rappresenta per la Magna Grecia e per la Sicilia uno deipilastri della propria cultura, essendo tali prodotti consumi compatibilicon le capacità di produzione locale5.

Tradizioni alimentari e dieta mediterranea nel mondo antico

1 Importanti indicazioni provengono in generale dalla Mostra AA.Vv., L’uomo e gli animali: un rapportosenza tempo, in “Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Soprintendenza Archeologica della Calabria.IV Settimana della Cultura. 15-21 aprile 2002”, R. AGOSTINO (a cura di), Reggio C. 2002. Per quantoriguarda l’uso e l’allevamento nel mondo antico cfr. per tutti F. MASPERO, Bestiario antico. Gli animali-simbolo ed il loro significato nell’immaginario dei popoli antichi, Asti 1997. In generale cfr. E. BEVAN, Repre-sentation of Animals in Sanctuaries of Artemis and other olympian Deities, Oxford 1986; A. HOUGHTON,Animals in Archaeology, London 1972, D. KREKOUKIAS, Gli animali nella mitologia popolare degli antichiGreci, Romani, Bizantini, Firenze 1970; J. PRIEUR, Les animaux sacrés dans l’antiquité, art et religion dumonde mediterranée, Rennes 1988.

2 S. COLLIN-BOUFFIER, La cuisine des Grecs d’Occident, symbole d’une vie de tryphé?, in Paysage et alimen-tation dans le mond grec. Les innovations du premier millénaire av. J.C., Pallas, Revue d’études antiques,52, 2000, pp. 195-208

3 Per un quadro dell’alimentazione a Roma cfr. A. DOSI, SCHNELL, A tavola coi romani antichi, Roma 1984;AA. VV., L’alimentazione nel mondo antico. I Romani, Roma 1987.

4 F. CANTARELLI, I tempi alimentari del Mediterraneo. Cultura ed economia nella storia alimentare dell’uomo,Milano 2005, passim. R. AGOSTINO-R. SCHENAL PILEGGI (a cura di), Le pratiche alimentari nella Calabriaantica. Un percorso archeologico tra quotidianità e ritualità, Catalogo della mostra, Reggio Calabra 2004-2005.

5 G. RACE, La cucina del mondo classico, Napoli 1999, passim.

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Al centro di quest’alimentazione, che rappresenta a tutti gli effetti laprima affermazione della dieta mediterranea, ci sono due importanti pro-dotti principali, ovvero l’olio ed il vino, distribuiti in grande abbondanzain tutto il territorio dell’Italia meridionale e della Sicilia, come testimonia-no i contenitori per eccellenza deputati alla commercializzazione di essi,ovvero le anfore da trasporto, di produzione campana, calabrese e sicilia-na. Il primo rappresenta il principale condimento sulla tavola dei Greci,degli Indigeni e dei Romani; il secondo non solo la bevanda per eccellen-za del pasto, ma anche il principale attore del rituale del simposio greco edel banchetto, carico delle sue valenze religiose e misteriche ricollegabilial culto di Dioniso-Bacco6.

Altro alimento particolarmente apprezzato sulle antiche tavolemagno-greche e siceliote è il pesce, prodotto per il quale possediamoampie attestazioni relativamente alla pesca, al consumo, alla produzione ecommercializzazione sia attraverso le fonti letterarie (libri, ricette) siaattraverso le fonti iconografiche (ceramica figurata) sia, soprattutto, attra-verso la documentazione archeologica, ricca di testimonianze di conteni-tori ceramici atti alla preparazione di pasti a base di pesce, di strumenti dipesca e di aree per la sua produzione e lavorazione7.

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Mosaico con scene di pesca dalla Villa del Casale di Piazza Armerina

6 M.C. AMOURETTI, Le pain et l’huile dans la Grèce antique. De l’araire au moulin, Paris 1986 ; M.C. AMOU-RETTI-J.P. BRUN, La production du vin et de l’huile en Méditerranée orientale, Symposium international.Aix-Toulon 1991, B.C. H. Sup XXVI, EFA, 1993, pp. 463-476; M.C. AMOURETTI, La viticulture antiqueméditerranéenne et ses rapports avec la vinification, in El vi a l’Antiguitat. II colloqui internacional d’ar-quéologia romana, Badalona 1998, pp. 15-28. In ultimo cfr. F. Mollo, Wine consumption and the symposiumritual in native-Enotrio world: some examples from the gulf of Policastro and Tortora (CS) area, in N. Russo(a cura di), Il vino tra cultura, economia e scienza: Il caso Calabria, “Atti del Convegno di Nocera Terine-se (CZ) 30 marzo-1 aprile 2006”, c.s.

7 Per il pesce cfr. soprattutto J. MC PHEE-A.D. TRENDALL, Greek Red-figured Fish-plates, 14. Beiheft AntK,Basel 1987 e A. DONATI-P. PASINI, Pesca e pescatori nell’antichità, 1997.

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La pesca e le attività marinare erano tra le più importanti nel mondoantico e le buone quantità di pesce che ne derivavano erano consumatefresche oppure sottoposte a processi di lavorazione che ne permettevanosia la conservazione sia il trasporto come conserva (tarichos, salsamentum)sia come salsa da condimento (garum, liquamen, allec, muria).

Il pesce aveva un ruolo primario nell’alimentazione greca e magno-greca tanto che, per esempio, a Sibari erano esentati dalle tasse i pescato-ri ed i venditori di anguille; sempre a Sibari si ricordi una tradizione chevuole nel VI sec. a.C. Smindiride di Sibari alla corte del tiranno di SicioneClistene con circa mille cuochi al seguito: si tratta sicuramente di un toposletterario, legato alla fama di Sibari come realtà opulenta e smodata mache, comunque, conferma l’esistenza di una tradizione culinaria moltoforte nell’antica Calabria, sebbene legata alla tradizionale mollezza dellacittà fondata soprattutto sulla quantità e sulla sofisticatezza dei cibi con-sumati, piuttosto che sulla qualità dei prodotti8. La particolarità di talenotizia sta nel fatto che Smindiride pare avesse portato con sé anche bravipescatori, specializzati nella pesca marina e fluviale.

La pesca veniva condotta con sistemi abbastanza semplici e tradizio-nali, non dissimile da quelli della tradizione odierna: quello più comuneera sicuramente quello con ami innescati, come sembrerebbe dimostrare ilrinvenimento consueto nei contesti archeologici costieri di ami da pescain grandi quantità; si usavano anche le reti, in genere fatte con fibre vege-tali (lino), intrecciate a costituire un unico panno di rete rettangolare (lasagena), appesantito in basso da numerosi pesi fittili di forma circolare,sino a toccare il fondo o anche disposti a mezz’acqua.

Per la cattura dei pesci di taglia media si usavano arpioni e tridenti;nella pesca del pesce spada si poneva una rete in mare a formare un semi-cerchio e si colpivano i pesci a colpi di arpione.

Il pesce siciliano, soprattutto, era molto apprezzato sulle mense anti-che9. Molto prelibate erano le murene di Capo Peloro, il gamberone impe-riale di Catania, le conchiglie di Tindari e del Peloro, le sardelle di Liparie, soprattutto, il pesce spada ed il tonno10.

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8 S. COLLIN-BOUFFIER, La cuisine des Grecs d’Occident, symbole d’une vie de tryphé?, in Paysage et alimen-tation dans le mond grec. Les innovations du premier millénaire av. J.C., Pallas, Revue d’études antiques,52, 2000, pp. 195-208, in ptc. p. 198.

9 Si cfr. Archestrato, Hedypatheia, passim; Epicarmo, Comicorum Graecorum Fragmenta, citato, in Ath.,Deipnosophistae, XIII, 518.

10 G. PURPURA, Pesca e stabilimenti antichi per la lavorazione del pesce in Sicilia: S. Vito (Trapani), Cala Min-nola (Levanzo), in Sicilia Archeologica XV, 1982, 48, pp. 45-60, con tutte le attestazioni dalle fonti anti-che.

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Per questi ultimi, in particolare, disponiamo di una fonte, Eliano11,che ci parla sia della pesca sia dell’utilizzo di apposite tonnare12.

Altre fonti antiche, in particolare Ateneo, ci forniscono notizie sul-l’esistenza di tali tonnare a Pachino e, soprattutto, lungo la costa nord-occidentale, in particolare a Tindari, Cefalù e Cetaria (S. Vito lo Capo?13),oltre che a Solunto, come le monete ivi coniate nel V sec. a.C. ci testimo-niano abbastanza chiaramente14.

Particolarmente interessanti risultano essere proprio la conservazio-ne e la salagione del tonno, distinte per il grado della salatura, le modalitàdi presentazione e per l’utilizzo di diverse parti del pesce stesso. Il salato,ad esempio, poteva essere consumato così come era, oppure dissalato inacqua dolce o di mare, conservato in fette, a pezzi triangolari, quadrango-lari o cubici15.

Di un certo interesse anche la cattura del tonno, descritta dallefonti16, che avveniva in vari modi e soprattutto con l’avvistamento a terrada parte di vedette issate su posti di guardia; i tonni, stretti in grandi retioppure dalle barche affiancate, venivano uccisi con fiocina e bastone e tra-scinati sulle imbarcazioni sino a riva17.

Il pescato in genere veniva vendutodirettamente al mercato ed ai banchi, comeci ricorda la splendida iconografia del crate-re del Museo Mandralisca di Cefalù, prove-niente dalla necropoli di Lipari, oppure veni-va allevato nelle peschiere per essere poiappositamente lavorato, soprattutto nelperiodo romano.

Gli impianti per la lavorazione del pescee per la conservazione delle eccedenze più

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11 Strab., Geographia, I, 2, 24.12 Eliano, De natura animalium, XV, 5 6; Ath., Deipnosophistae, V, 44.13 G. PURPURA, Pesca e stabilimenti antichi per la lavorazione del pesce in Sicilia: S. Vito (Trapani), Cala Min-

nola (Levanzo), in Sicilia Archeologica XV, 1982, 48, pp. 45-60.14 G. PURPURA, Pesca e stabilimenti antichi per la lavorazione del pesce in Sicilia: S. Vito (Trapani), Cala Min-

nola (Levanzo), in Sicilia Archeologica XV, 1982, 48, pp. 45-60.15 I filetti di tonno salati e seccati erano detti da Pl. (Naturalis Historia, IX, 48) melàndrya. 16 Arist., De Animalium Historia, VIII, 12ss.; Esch., Persiane, 424; Eliano, De natura animalium, IX, 42; XV,

5; Fil., Imagines, I, 12; Op., Halieutica, IV, 504ss. 17 La descrizione sembra essere molto simile a quella della moderna mattanza, con reti fisse e percorsi obbli-

gati verso la « camera della morte ».

Cratere a figure rosse. Cefalù-Museo Mandralisca

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semplici prevedevano una serie di vasche disposte su di un unico allinea-mento, ma a quote diverse, con una serie di accorgimenti tecnici (tagli ecavi per paratie e setti murari) atti a creare vivai per l’allevamento di pescie per produrre salse e conserve di pesce stesso.

Il lusso e l’avidità dei guadagni furono alla base del grande interesseche gli aristocratici mostrarono per il commercio del pesce, le cui peschie-re, sul litorale laziale, nel golfo di Napoli e sulle coste della Penisola Ibe-rica rappresentavano monumenti veramente esclusivi18. Si tratta diimpianti intesi in genere come una manifestazione di lusso smodato,molto costoso ed alla moda, condiviso da pochi privilegiati appartenentialle classi superiori.

L’investimento rendeva tanto bene che, per fare qualche esempio, lafamiglia dei Licinii aveva al suo interno membri che si fregiavano delsoprannome “Murena” dal nome del pesce carnivoro; dalla pregiata orataprendeva nome Sergio Orata, il primo ad intraprendere la mitilicultura nellago di Lucrino, nei pressi di Baia: di esso scrissero Varrone19, Valerio Mas-simo20, Plinio il Vecchio21, Columella22 e Macrobio23; peschiere avevanoanche l’oratore Licinio Crasso e Lucio e Marco Lucullo, soprattutto dimurene, ingrassate con pesce pescato in mare aperto o, in alcuni casi,dando loro in pasto gli schiavi ribelli o disobbedienti24.

Per i vivai di Roma si facevano venire murene fin dallo Stretto di Mes-sina e dalla Spagna; quelle che provenivano da Reggio e Messina eranochiamate plotai dai Greci e flutae dai Latini perché, nuotando in superfi-cie, erano arse dal sole e non riuscivano ad incurvarsi per immergersi inprofondità e, per questo motivo, più facilmente catturate. In Sicilia, addi-rittura, le murene si prendevano con le mani, perché erano tanto grosseche galleggiavano25.

Asinio Celere, console suffectus nel 38 d.C., acquistò una triglia per ilprezzo di settemila sesterzi26. Le triglie erano tra i pesci più ricercati e

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18 X. LOFON, Piscinae et pisciculture dans le bassin occidental de la Méditerranée, JRA, 11, 1998, pp. 573-582.19 Varr., De re rustica, 1, 3.20 Val. Mass., Factorum et dictorum memorabilium libri, IX, 1, 1.21 Pl., Naturalis Historia, IX, 79.22 Col., De Re Rustica libri XII, VIII, 16, 5.23 Macr., Conviviorum primi diei Saturnaliorum libri VII, III, 15, 1.24 Sen., De ira, III, 40, 2; Id., De clementia, I, 18, 2; Pl., Naturalis Historia, IX, 23, 39.25 Pap., Logistoricon, fr. 55 Bolisani.26 Pl., Naturalis Historia, IX, 67.

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rinomati, celebrate dal racconto di Plinio il Vecchio al pari della terribilemurena e dei principali pesci, tra cui quelli senza lisca, le seppie ed i cala-mari, i polipi. Il IX libro della Naturalis Historia di Plinio il Vecchio è dedi-cato proprio ai pesci, tonni (18), sgombri (19), lo scaro (29), le triglie edil sarago (30), murene (39), molluschi (44), seppie, calamari, polipi (45-48), crostacei (50-52), aragoste (50), una delle regine dell’universo alimen-tare, cucinata con una moltitudine di ricette, accanto ai frutti di mare.

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27 Pl., Naturalis Historia, IX, 62.

Mosaico in opus vermiculatum con pesci. Pompei-Casa del Fauno

Il liberto Giulio Optato, comandante della flotta di Miseno sottoClaudio nel 52 d.C., introdusse il pesce scaro dalle coste dell’Egeo, amezzo di vivai artificiali allestiti sulle triremi27 e disseminando il novella-me lungo la costa tra Ostia e Miseno, vietandone per cinque anni la pesca.Tale pesce risultava particolarmente indicato per la preparazione delgarum.

La maggior parte delle peschiere veniva costruita nelle ville marine,ma nelle ville di campagna, a Pompei ad esempio, non mancavano piccolevasche dove si allevavano aragoste ed altri pesci pregiati.

Il pesce da alimento popolare conquistò col tempo i palati più raffi-

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nati nel mondo greco, magno-greco e romano, diventando prodotto pre-libato, da gustare più che da mangiare.

E sul consumo del pesce abbiamo numerosi dati iconografici oltreche tante fonti letterarie. Molta apprezzata, tra ques’ultime, l’opera diArchestrato di Gela, che già nel IV sec. a.C. scrisse un trattato in esame-tri, l’Hedypatheia, ovvero il piacere del gusto.

Il libro disserta sul pesce, ne illustra qualità e modi di preparazione,con particolare attenzione a crostacei, molluschi e pesci molto rinomati,ed ai mercati dove si poteva comprare tale pesce. Le ricette utilizzanocome condimento il formaggio, di capra o di pecora, caldo e filante, damettere sul pesce arrosto.

Una fonte altrettanto antica, quale quella di Ateneo di Naucrati, ci faapprezzare il consumo del pesce, con particolare attenzione proprio allaSicilia28.

Particolarmente rinomato il tonno, il cui consumo è molto diffuso inSicilia29 e le cui conserve magno-greche e siceliote erano conosciute erinomate:

Ath., Deipnosophistae, 34 (…) Nella sacra e magnifica Samo vedrai pescare il tonno,quello di grandi dimensioni, che chiamano qui Orcino(orkys) mentre altri lo chiamano Ceto (Ketos). A qualun-que prezzo compralo subito…Lo trovi in esemplari ottimianche a Bisanzio e Caristo; ma nella gloriosa isola di Sici-lia, trovi tonni superiori a questi. Difatti i tonni, che nutro-no la costa di Cefalù e Tindari sono tra i migliori. Se peròun giorno ti recherai a Ippona (Vibo Valentia), città illu-stre d’Italia, presso i Bruttii, circondati dalle acque, ne tro-verai i migliori, né vi sono altri che possono contendereloro la palma del primato. Quelli che arrivano dalle nostraparti si sono smarriti provenendo da questo paese, dopoaver superato lunghe distanze attraverso mari profondi etempestosi. Li catturiamo così quando non sono più buoni,perché ci vengono tutti fuori stagione. Del tonno è moltoapprezzato l’ipogastro o basso ventre…

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28 Ath., Deipnosophistae.29 Tra le altre cfr. anche Her., Historiae, I, 2, 62.

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Di un certo interesse anche Ath., Deipnosophistae, 3, frr. 116 f-117 ache riporta menzione specifica della salagione e dell’immissione in appo-siti contenitori dei tonni, forse le anfore Dressel 21/22, come dimostratoper l’impianto produttivo di Alcamo M.na.

Particolarmente interessante anche la notizia relativa alle anguille,molto conosciute, soprattutto quelle dello Stretto:

Ath., Deipnosophistae, 8 (…) Lodo ogni tipo di anguille, ma quelle che si prendonoa Reggio, nello stretto di mare, sono tutt’altra cosa. Tu, mes-sinese, sei avvantaggiato nei confronti degli altri mortali,perché puoi mangiare di questo cibo soave. (…) Ottima-mente le anguille si possono cuocere, e mangiare, dentrofoglie di bietola bianca. Lo Stretto di Scilla vede e nutrenelle sue acque, che bagnano l’Italia boschiva, il latos.Questo pesce è presente anche nel Nilo.

O ancora l’astaco:Ath., Deipnosophistae, 24Si fa un gran parlare, tra gli sciocchi, dell’astaco per propor-lo al confronto con l’aragosta. È tutto un discorso diverso.(…). Compra l’astaco dalle mani lunghe, che son tentaco-li pesanti, e i piedi invece minuscoli per muoversi lenta-mente a terra. Il maggior numero e i migliori di questi pescisi trovano a Lipari, molti si pescano anche nell’Ellesponto.

Soprattutto il pesce azzurro diventò la base del garum, salsa usata alposto del sale, costosissima e non facile a reperirsi. La salsa era compostada pesci piccoli, non eviscerati, aringhe, sgombri a pezzetti, ricciole, pesceazzurro (soprattutto spatole), completi di interiora e teste. Si aggiungeva-no erbe aromatiche (condimenta) e sale in quantità pari alla metà delpesce.

Tale proporzione evitava il deperimento del pesce durante il processodi fermentazione. Il liquido che ne derivava si raccoglieva in fondo allevasche man mano che si depositava e serviva a condire le pietanze, a insa-porire e a comporre ricette. Fu introdotto dai Greci, ma soltanto con iromani, in Spagna ed in Italia divenne famoso: la muria di Malaga ed ilgarum hispanuum, delicia deliciarum, soprattutto quello di Cartagena.

Mosaico in opus vermiculatum con pesci. Pompei-Casa del Fauno

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Quello spagnolo nasceva con l’aggiunta del tonno (aimàtion), pescerosso, e con l’aggiunta di numerose spezie, prodotto dalle genti cartagine-si e spagnole anche in epoca tarda, quando venivano usati soprattutto con-tenitori, anfore, di produzione africana. In Italia molto spesso il garumarrivava grezzo e veniva poi lavorato in appositi stabilimenti, dove venivainscatolato ed imbottigliato30.

Apicio lo usava al posto del sale e lo dolcificava con il miele, oppurelo inaspriva con aceto, lo arricchiva di erbe finissime a condire la caccia-gione. Si poteva usare anche per lenire le bruciature, come depurativo edisintossicante, curativo di otite, artrite e dolori muscolari.

Il liquamen era il fiore del garum, ottenuto facendo filtrare il liquidoattraverso un panno di canapa e lino. L’allec era il rimasuglio del garum,imperfetto e non filtrato, un intruglio di pesci residuati dopo la macera-zione e la scolatura. Esso veniva usato in cucina anche se il sapore era scia-pito ed il valore mediocre. Volgare leggenda che il garum fosse una polti-glia di pesci deteriorati, in realtà era un eccellente intingolo, con ingre-dienti altamente proteici e con grande contenuto di omega-3. Esso venivaconservato nelle anfore, sigillate e chiuse da tappi di sughero e pece ariempire gli interstizi.

Ad Apicio si devono numerose altre ricette di pesce: innanzi tuttol’utilizzo del garum e la creazione di polpette di mare fatte con gamberi,gamberoni, calamari e granchi, fritture di triglie, sogliole, dentici ed orate,tortini di acciughe, aragoste arrosto e lesse, seppie e calamari farciti ed integame, polipi in tegame, ostriche, conchiglie, ricci di mare, datteri, salse

Mosaico in opus vermiculatum con pesci. Pompei-Casa del Fauno

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30 Per il garum e le salse di pesce cfr. MONOD, GRIMAL, Sûr la veritable nature du garum, REA 54, 1952, pp.27ss.; BALIF, Un estudio sovre el garum, AEA 26, 1953, pp. 183ss.; C. JARDIN, Garum et sauces de poissonde l’antiquitè, Rivista di Studi Liguri, 1-4, 1961, pp. 70-96 ; M. PONSICH, Garum et industries antiques desalaisons dans la Méditerranée Occidentale, Paris 1965; A. FOUCHER, Note sûr l’industrie et le commerce dessalsamenta et garum, Actes du 93e Congrès National des societès savantes. Tours 1968, Paris 1970, pp.17ss.; R. ETIENNE, A propos du «garum sociorum», Latomus 29, 1970, pp. 297ss.; M. PONSICH, Aceite deoliva y salazones de pescado. Factores geo-econòmicos de Betica y Tingitania, Madrid 1988 ; J.C. EDMON-DSON, Le garum en Lusitanie urbaine et rurale: hiérarchies de demande et de production, in Les villes in Lusi-tanie romaine, Paris CNRS 1990, pp. 123-147; J. MARTINEZ MANGATO, Las tecnicas de pesca an la Antigue-dad y su implicacion economica en al abastecimiento de las industrias de salazon, Cursos de Prehistoria yAqueologia Universidad Autonoma de Madrid 19, 1992 ; P. TROUSSET, La pêche et ses techniques sur lescotês de l’Afrique, in Méditerranée Antique. Pêche, navigation, commerce, Congrès national des sociétéshistoriques et scientifiques, Paris, CTHS, 1998. Per alcune riflessioni sulla pesca nell’antichità nel Medi-terraneo ed in particolare in Calabria cfr. L. DE ROSE, I tesori del mare. L’arte alieutica nel Mediterraneoantico, in G.P. GIVIGLIANO (a cura di), In Calabria…Riflessi di una storia “minore” al centro del Mediter-raneo, Napoli 2006, pp. 39-68.

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per pesci lessati ed arrosto di vario genere, tra cui triglie, murene, palami-ti, pesci persico31.

Per concludere questa carrellata, sembra interessante segnalare unaltro aspetto della cultura relativa al consumo del pesce, quello che emer-ge osservando l’iconografia delle ceramiche figurate, ovvero tutta la tradi-zione relativa alle rappresentazioni di pesci sui tipici piatti da portata peril consumo di produzione greca ed italica, siceliota, lucana, apula e paesta-na32.

Si tratta di una produzione molto diffusa in ambito magnogreco,soprattutto lungo il versante costiero tirrenico, attestata prevalentementein contesto funerario e legata inscindibilmente al consumo del pesce. Ipiatti da pesce presentano una tipica forma con orlo ricurvo ed incavo-omphalos per contenere il condimento al centro della vasca; nel mondogreco sicuramente hanno una lunga tradizione, presenti in Attica già allafine del V sec. a.C.

Gli studi di Trendall e Mc Phee hanno evidenziato una larga diffusio-ne di questo manufatto anche nella Magna Grecia e nella Sicilia, già nelcorso del IV sec. a.C., secondo una linea di produzione che imita stretta-mente i prodotti attici, che sarebbe iniziata in Sicilia e poi si sarebbe dif-fusa in Campania, a Paestum, in particolare con le officine di Asteas ePython, ed in Puglia.

Questa particolare classe di manufatti tende a rappresentare i pescimaggiormente presenti sulle tavole magno-greche e siciliane tra IV e IIIsec. a.C.: in particolare saraghi, triglie, sogliole, polipi, seppie, orate, den-tici, cernie, spigole, ombrine, scorfani e pesci di scoglio, come si può vede-re sia per il cosiddetto Gruppo di Morgantina sia per l’Agrigento PyxisGroup, i due principali ateliers produttivi della Sicilia33.

Mosaico in opus vermiculatum con pesci. Pompei-Casa del Fauno

31 Per quanto concerne l’opera di Apicio cfr. APICIO, L’arte culinaria, G. CORAZZALI (a cura di), Bompiani,Milano; APICIO, De re coquinaria, C. VESCO (a cura di), Scipioni, Roma; APICIO, La cucina dell’anticaRoma, C. VESCO (a cura di), Newton 1994.

32 Per la tradizione iconografica relativa al pesce nel mondo antico cfr. J. MC PHEE-A.D. TRENDALL, GreekRed-figured Fish-plates, 14. Beiheft AntK, Basel 1987; A. D. TRENDALL, Fish-plates and Other South ItalianVases in private Collections in Sorengo e Curiglia (Ticino), NAC, 17, 1988, pp. 141-157; N. KUNISCH, Grie-chische Fishteller. Natur und Bild, Berlin 1989; J. MC PHEE-A.D. TRENDALL, Addenda to greek Red-figuredFish-plates, in Antike Kunts 33, 1990, fieft I, pp. 31-51; A. D. TRENDALL, New South Italian Fish-plates inSorengo e Curiglia (Ticino), NAC, 21, 1992, pp. 105-109; L. BERNABÒ BREA-M. CAVALIER, La ceramicafigurata della Sicilia e della Magna Grecia nella Lipàra del IV sec. a.C., Milano-Muggiò 1997; C. ZINDEL,Meeresleben und Jenseitsfhart. Die fischteller der sammlung Florence Gottet, Zürich 1998.

33 Per i pesci e le relative specie cfr. A. DAVIDSON, Mediterranean Seafood, 1972 e J. DELORME-C. ROUX,Guide illustré de la faune aquatique dans l’art grec,

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Si tratta, anche in questo caso, di una rappresentazione artistica e digusto pittorico che rappresenta la vera identità culturale delle popolazio-ni magno-greche e siceliote, legate al consumo del pesce ed alla tradizio-ne alimentare della dieta mediterranea.

Mosaico in opus vermiculatum con pesci. Pompei-Casa del Fauno

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Piatti da pesce di produzione siceliota

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5Sicilia e dieta mediterranea

Fausto CantarelliOrdinario di economia agroalimentare nell’Università di Parma Presidente dell’Accademia Alimentare Italiana e Presidente della Società Italiana di Scienze Alimentari e Gastronomiche

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11.. PPrreemmeessssaa

Il biologo americano Ancel Keys mezzo secolo fa ha offerto nuoveopportunità alla Sicilia e al territorio della Magna Grecia, dichiarando,dopo lunghe ricerche, che questi territori hanno costituito il supportoideale della vita dell’uomo e lo hanno reso migliore, una sorta di paradisoterrestre a garanzia della sua salute e della sua longevità; a seguito di que-sta constatazione è sorto, nella primavera dell’anno scorso, in accordo conla Regione Calabria l’“Istituto Nazionale per la Dieta Mediterranea” consede a Reggio Calabria, che, per iniziativa del Coreras, oggi presentiamoin questa sede prestigiosa.

I primordi del fenomeno risalgono a ottomila anni fa circa, quando,per la prima volta, in Sicilia sono stati moltiplicati i semi e si sono ripro-dotti gli animali, appena arrivati dal Medio Oriente (Mezzaluna Fertile),dove erano stati domesticati da duemila anni circa. Queste materie primealimentari, nuove per l’Occidente (tranne quelle del maiale), sono entratein produzione e nel consumo in Sicilia, dove vivevano gli Elimi d’origineTroiana, i Sicani di stirpe ligure e i Siculi arrivati dalla Penisola e dovehanno dato corpo a quella che lo stesso Ancel Keys, molto più tardi, hadefinito “dieta mediterranea”, la nuova espressione territoriale delle abitu-dini alimentari dell’isola, in sostituzione delle risorse cacciate, pescate eraccolte in precedenza.

Essere stata la prima destinataria, insieme alla Calabria, di vegetali eanimali di origine medio-orientale e averli potuti inserire nei primi proces-si agricolo-zootecnici hanno costituito due opportunità straordinarie perl’isola e i suoi abitanti tanto da provocare una forte spinta qualitativa cheha fatto arrivare gli alimenti e la cucina locale, attorno al IV secolo a.C. aivertici della qualità nel mondo allora conosciuto e tale sarebbe rimasta sela potenza di Roma non avesse tarpato le ali al sogno siciliano, al terminedella seconda guerra punica, riducendo l’isola a propria provincia.

La seconda occasione straordinaria, vissuta dall’isola e dai suoi abitan-ti, è l’arrivo dei Greci, che, non essendo in grado di coprire il fabbisognoalimentare, aumentato a seguito dei successi artistico-culturali, ha lasciatoche ciò avvenisse senza potere contare su possibili aumenti di offertainterna, ma riferendosi a maggiori importazioni.

Sono state le favorevoli condizioni ambientali dell’isola più grandedel Mediterraneo, naturale spartiacque da quando l’uomo ha cominciato

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a navigare, a fare distribuire i suoi alimenti sui litorali del bacino, avendopotenziato molto presto la produttività primaria dell’isola con il favore delclima e delle specificità del territorio, indipendentemente dalla domandalocale. L’osservazione è valida tanto per le produzioni vegetali quanto perquelle di origine animale che, in Sicilia, provenivano da luoghi diversi, dal-l’incolto la prima e dalle aree più fertili la seconda, ritrovandosi poi a fareparte insieme del ricco patrimonio di alimenti di qualità, che ancora oggiè presente in gran parte dell’isola, dove sta cercando una corretta valoriz-zazione commerciale di cui non ha mai beneficiato in passato.

22.. IIll ccoonntteessttoo

Nella Sicilia e nella Magna Grecia si trova ancora oggi questo riccopatrimonio di antiche ricchezze e di antiche culture che oggi stanno tor-nando in auge per la fortuna di questo territorio.

Mai c’è stata tanta certezza nel mondo come in questo periodo. Ilmomento è certamente favorevole. Nonostante che il problema alimenta-re non sia esclusivo né prevalente, almeno in questa parte del mondo, iconsumi stanno invertendo le tendenze degli ultimi due secoli, sia purecon diversa intensità nei diversi luoghi; a Seattle, si sono verificate le ulti-me reazioni dei consumatori rivolte a rivalutare, tra l’altro, anche le anti-che tradizioni alimentari di stampo locale e a rifiutare gli alimenti standar-dizzati dei grandi gruppi internazionali che difettano di sapore, di odore,di colore. La conferma più evidente del nuovo atteggiamento è riscontra-bile negli alimenti tipici che non sono mai stati tanto in auge come oggi,nonostante che qualche decennio prima gran parte degli economisti neavessero decretato la scomparsa per l’incapacità di competere in un mer-cato tendente alla globalizzazione. La mancanza di prospettive dipendevaessenzialmente dal basso volume di offerta di questi prodotti che, nonconsentendo di sostenere gli oneri della comunicazione, portava gli ali-menti al mercato senza che avessero le carte in regola per potersi assicu-rare la preferenza dei consumatori.

Gli obiettivi perseguiti nell’Ottocento e nel Novecento sono statiquantitativi e hanno rinunciato alla qualità in favore della domanda prove-niente da una popolazione in forte aumento (5,5 miliardi l’aumento deiconsumatori in due secoli).

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Oggi le cose sono cambiate; le variazioni non erano previste da partedell’uomo il quale ha rinunciato a seguire la strada percorsa negli ultimidue secoli perché non gli garantiva né la salute né la gioia di vivere, ma soloil profitto. Da questa insoddisfazione al recupero delle tradizioni e dellacultura alimentari il passo è stato breve; così facendo si sono recuperate leantiche scelte, quelle che erano state suggerite dall’istinto e che la culturaaccumulata successivamente dall’uomo aveva ampiamente confermato evalorizzato. È stato l’istinto, in particolare quello delle donne, a selezio-nare le piante da coltivare, i frutti da consumare e gli animali da allevare,riscontrandone gli effetti benefici sugli uomini e sulla salute dei figli.Quando è subentrata la razionalità, è stata utile per introdurre nuovi arri-vi, compresi i prodotti giunti in Europa dopo la scoperta dell’America,come il pomodoro, la patata, il mais e tanti altri, il cui uso non ha peròsovvertito le abitudini precedenti, ma le ha solo integrate, mantenendo ilcarattere fondamentale della “dieta mediterranea” che è quello di rispetta-re i principi originari dell’uomo biologico, riservandogli prodotti preva-lentemente vegetali, l’olio vergine di oliva e il vino. Questi consumi nel-l’area mediterranea si sono imposti spontaneamente e oggi trovano aper-te molte altre strade verso il resto del mondo.

La novità di allora, oggi ampiamente riconosciuta, ha riportato a gallala storia alimentare dell’uomo, mettendone in luce la culla più antica e lescelte più significative che si trovano in Sicilia, in Grecia e nella MagnaGrecia, dove sono state fatte le prime scelte sulla base dei nuovi vegetali edei prodotti di origine animale importati dalla Mezzaluna Fertile ed elabo-rati in loco, dove sono stati ricavati i primi prodotti tipici, con lo scopo direndere conservabili alimenti facilmente deperibili. Gli stessi consumi, siapure integrati con i nuovi alimenti come gli agrumi e quelli arrivati dopola scoperta dell’America, sono presenti tuttora nell’area mediterranea e, inparte, anche in aree celtiche, che sono state invase dall’olio vergine d’oli-va, dai prodotti ortofrutticoli e dal vino; questi prodotti hanno invaso laPianura Padana e sono andati anche oltre (la vite è arrivata fino alla valledel Reno, modificando anche i consumi di popolazioni non mediterranee;idem per l’olio vergine di oliva).

La recente riscoperta della cultura e delle tradizioni antiche ci ha sug-gerito il termine di “Umanesimo di ritorno”, con il quale, senza scomoda-re i corsi e i ricorsi storici di Gian Battista Vico, abbiano ritenuto che l’uo-mo fosse stato rimesso al centro del mondo, rivalutandone il ruolo e l’in-

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telligenza; ne è conseguenza diretta la riscoperta di un sistema storico-cul-turale antico, fatto di piccole imprese, che sta dimostrando di essere unarisorsa di grande portata, essendo coerente con la qualità alimentare. Lapiccola impresa ha i requisiti per essere riproposta, in contrapposizionealla grande, per l’elasticità di gestione e la più alta qualità nei prodotti, cheè la vera forza che garantisce la continuità produttiva. Tutt’altra è la realtàdella grande impresa internazionale, la cui produzione è standardizzata ela gestione molto più rigida

Nello scenario sommariamente descritto, si stanno verificando deifenomeni straordinari, il più importante dei quali consiste nella stagnazio-ne della domanda che si è verificata da alcuni anni nei paesi ad economiaavanzata, quali gli Usa e l’Europa centrosettentrionale. Le cause vannoricercate nella caduta del tasso di aumento della popolazione, che non èstato compensato dal prolungamento dell’età degli anziani i quali, come ènoto, incidono poco sulla domanda. Il fenomeno anticipa l’inizio dellaregressione della popolazione che è prevista nel 2010 per l’Italia e nel 2050per il mondo. Il fenomeno è in netta contrapposizione con le tendenzedegli ultimi due secoli da noi già citate, per cui lo slancio economico cheaveva caratterizzato quel periodo è destinato a soccombere e a trasformar-si in ulteriore flessione di domanda che metterà in difficoltà specialmentele grandi imprese per i motivi indicati. Vi sono altri ostacoli da considera-re come la forte competitività del sud-est asiatico, il cui costo del lavoro ècirca un venticinquesimo di quello italiano.

Un altro fenomeno ormai consolidato nel mondo, che può esseremolto utile per l’economia del Paese, è l’espansione accelerata del turismointernazionale. Tutte queste opportunità rientrano nel marketing territo-riale, il cui riferimento fondamentale sta nella specificità di queste terrerispetto a quelle di altre aree; in campo alimentare è specifica la cosiddet-ta “dieta mediterranea”, intesa anche sommariamente come preminenteconsumo di prodotti vegetali e uso esclusivo di olio vergine di oliva comecondimento, in contrapposizione alla cosiddetta “dieta celtica” che utiliz-za prevalentemente prodotti di origine animale e il burro come condimen-to. Sono note altre differenze, non altrettanto importanti e significative.

Questo principio esclude il rilievo, che è stato avanzato più volte dapiù parti circa l’esistenza di più “diete mediterranee”, specifiche per sin-goli territori (spagnola, cretese, cipriota ecc.).

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33.. II pprrooddrroommii ddeell ssiisstteemmaa aaggrrooaalliimmeennttaarree ssiicciilliiaannoo

La Sicilia oggi si distingue, all’interno del bacino del Mediterraneo,per la varietà dei microambienti, per le risorse biogenetiche, per la qualitàorganolettica degli alimenti e per le specificità produttive, espressioni diuna biodiversità che raramente trova riscontro altrove; oggi, inoltre,cominciano ad apparire le prime forme di collaborazione tra uomini e traimprese e a sorgere nuove società di giovani che entrano nel comparto ali-mentare per realizzare momenti di concertazione e concentrazione oriz-zontale e verticale dell’offerta con effetti positivi che potranno tradursinella valorizzazione dell’immagine dell’isola e nell’aumento dei profittidei produttori. In queste condizioni, è il territorio ad avere bisogno dimaggiore progettualità e di mostrare una particolare sensibilità per i temialimentari emergenti e fornire agli operatori degli strumenti idonei al loroprogredire.

Con la rivalutazione della qualità, il territorio può beneficiare, in pro-spettiva, di ricadute di valore aggiunto e di occupazione in quello che è daconsiderare il primo giacimento alimentare per importanza del Belpaesecon produzioni in parte esclusive e in parte comuni ad altri territori, otte-nute con la sapienza della tradizione locale e con la modernità dei nuovioperatori. Il mosaico produttivo costituisce, inoltre, uno straordinarioelemento di attrazione, come il laboratorio che ha saputo dare un ruolopreminente alla cultura alimentare locale, migliorando prodotti e immagi-ne del luogo che li produce. Non dimentichiamo che la Sicilia è deposita-ria di grandi valori storici, che accreditano una particolare immagine di cuiè testimone la tradizione popolare che da anni sta aspettando di esseremeglio conosciuta e più apprezzata.

Quando, nell’VIII secolo a.C., è cominciato il massiccio arrivo deiGreci, già allora hanno trovato che l’agricoltura e la pastorizia prospereper opera specialmente di Sicani e Siculi1. La coltivazione più importante,quasi un simbolo per l’isola, è sempre stata quella del grano la cui qualità,in Sicilia, riceveva riconoscimenti da diversi luoghi tanto che i Greci e iRomani non hanno commesso errori, quando hanno confermato la valen-za di questa produzione locale. Lo scenario siciliano, in quel periodo, oltre

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1 I nomi delle due popolazioni derivano da “sica” e “sicula” che indicano rispettivamente la falce e il mieti-tore.

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al grano si completava con pendici boscose e coste ricoperte da ulivi, vitie mandorli; le colture ortive erano ancora limitate.

I coloni greci, che erano molto attivi, hanno finito con il fondere lapropria civiltà con quella dell’isola, dando origine a una terza civiltà,molto avanzata, divenuta ben presto il punto di riferimento per tutti ipopoli del Mediterraneo.

Altro imponente contributo è venuto più tardi dagli Arabi, la cuiciviltà era molto avanti, i quali hanno perfezionato le tecniche agrarie indiversi comparti produttivi, specie occupandosi di irrigazione, facendorifiorire l’economia dell’isola grazie anche all’intensificarsi delle attivitàcommerciali. Altro ruolo importante lo hanno avuto la coltivazione delbanano, del riso, del lino, della canna da zucchero e del cotone.

Con l’arrivo dei Normanni, più tardi, l’agricoltura ha vissuto, invece,un momento involutivo con l’estensivazione delle coltivazioni in contra-sto con l’intensità produttiva precedente; il nuovo sistema ha finito conridurre la superficie delle colture arboree e degli ortaggi con forti ripercus-sioni sull’occupazione e sui redditi locali.

Il contesto attuale, alla fine del secondo millennio, prevede che leproduzioni tipiche, anche quelle cosiddette di nicchia, alcune delle qualigià riconosciute dall’Ue con la Dop e l’Igp (Pecorino Siciliano, Ragusano,vari Oli extravergine di oliva, Arancia Rossa, Cappero di Pantelleria, Fico-dindia dell’Etna, Pomodoro di pachino, Uva da tavola di Canicattì e diMazzarrone) ed altre in attesa di riconoscimento, rappresentino il puntodi forza su cui costruire un nuovo sistema, qualificandolo con la certifica-zione di qualità in ogni fase della produzione e trasformazione delle mate-rie prime.

Negli ultimi due secoli, l’Ottocento e il Novecento, la maggiore pre-occupazione dell’uomo è stata rivolta ovunque al massimo profitto,approfittando della caduta del rischio economico delle imprese e anchedella sottovalutazione dell’etica; oggi, nel tentativo di rimettere un po’d’ordine, preferiamo fare riferimento alle nuove politiche agroalimentari,alimentari e ambientali anziché affidarci alla vecchia politica agraria, cheha qualche responsabilità nell’avere provocato le preesistenti forzatureproduttive, che la società umana sembra essere finalmente sul punto diabbandonare per puntare sul benessere in senso lato, attraverso la sicurez-za alimentare, la maggiore longevità della gente e il recupero dei valorietici.

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Nei tempi più recenti sono ricomparsi, come altrettante rivelazioni, ilrischio economico delle imprese e la nuova apertura alla storia e alla cul-tura; anche le agricolture integrate, biologiche, biodinamiche ecc. sonostate ampiamente rivalutate con un primo recupero della salubrità deglialimenti, con la riduzione delle contaminazioni del cibo e dell’ambiente,con la rinuncia a furbizie e inganni e, infine, con il ripristino di situazionimolto simili a quelle storiche.

Quanto alla produzione alimentare, nell’ultimo dopo guerra, haaumentato i mezzi tecnici di sintesi chimica, gli interventi genetici permigliorare la produttività e i pesticidi per consentire agli alimenti di sfa-mare l’intera popolazione; tutto questo ha portato a un peggioramentodella situazione ambientale, provocato anche e specialmente dalla selezio-ne dei ceppi delle specie patogene che, aumentando la resistenza ai pesti-cidi, hanno avuto bisogno di dosi crescenti di antiparassitari sempre piùpotenti e dannosi.

Durante gli ultimi due secoli di caccia ostinata al profitto, i sistemialimentari e ambientali hanno rischiato il tracollo, come si deduce dallalettura del Millenium Ecosystem Assesment, una sorta di documento conl’imponente monitoraggio dell’ecosistema, svolto tra il 2001 e il 2005 da1.365 tra scienziati ed esperti per conto dell’Onu. L’enorme lavoro, pre-sentato nelle principali capitali del mondo nel marzo del 2005, fa pensarea una sorta di tardivo ravvedimento dell’umanità che, finalmente, si pre-occupa di chiarire le condizioni dell’ecosistema e del sistema agroalimen-tare che, nell’ultimo mezzo secolo, hanno subito cambiamenti ancora piùrapidi ed estesi, coinvolgendo anche l’Italia, ormai entrata nel novero deipaesi più avanzati con danni superiori a quelli dell’intera storia dell’uma-nità.

Di fronte all’aggravarsi dei rischi provocati dallo sviluppo intensivodegli ultimi due secoli, una piccola parte dell’umanità aveva sentito ildovere di reagire per tempo, correndo ai ripari con l’intento di teneresotto controllo la situazione e garantire la compatibilità delle azioni del-l’uomo con la sua stessa esistenza e con quella degli altri organismi viven-ti, mentre la parte di gran lunga preminente non reagiva. Oggi, per fortu-na, parchi e boschi hanno aumentato in Italia e in Sicilia le rispettivesuperfici (l’1% in più ogni anno negli ultimi vent’anni in Italia), l’agricol-tura biologica nazionale ha raggiunto il primato in Europa, i rifiuti ricicla-ti, previa raccolta differenziata, sono più che triplicati, l’inquinamento

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nelle aree urbane sta scendendo, mentre la spese dello Stato a favore del-l’ambiente ha raggiunto i sette miliardi di euro.

Il grafico della pagina seguente chiarisce che, nonostante i due secolidi agribusiness, l’80% circa dei consumi alimentari dei cinque continenti èrimasto legato alla tradizione e che l’agribusiness, nonostante il successo didue secoli e la forte spinta demografica, ha fatto molta strada soltanto neipaesi che più di altri ne hanno saputo trarre vantaggio, a cominciare dagliUsa, per finire al Canada, al Giappone e ad alcuni paesi del centro-nordeuropeo, senza riuscire ad eliminare la concorrenza, che oggi sta rialzan-do la testa e recuperando spazi. Le vicende alimentari dalle origini a oggisono riassunte in questo grafico.

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Fig. 1 - I comportamenti alimentari dell’uomo nella storia

Fonte: nostre stime

L’attuale modello di consumo ha ancora alti contenuti energetici perla forte incidenza delle calorie di origine animale, aumentate specialmen-te nel nord d’Italia, e per l’utilizzo dell’energia meccanica che, insieme,hanno fatto decollare i costi sociali per il confezionamento dei prodottialimentari, per l’incorporazione e l’aggiunta di servizi, per l’espansionedella ristorazione commerciale e per la sostituzione del lavoro domesticofemminile con il lavoro extra moenia; infine, il modello di consumo è spes-so considerato insoddisfacente sul piano nutrizionale e qualitativo, speciese confrontato con i criteri che hanno ispirato la “dieta mediterranea”.

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La sazietà alimentare rende il cibo meno attraente per cui l’uomo,quando si nutre, tende a tenere in maggiore conto la salute e la qualità,scegliendo i prodotti più sicuri, preferibilmente quelli biologici, chehanno raggiunto successi produttivi e di consumo impensabili, con rico-noscimenti ufficiali giunti da ogni parte. Se è vero che la fase di intensacrescita della produzione biologica è arrivata al capolinea, come conferme-rebbero le ultime rilevazioni statistiche, - di fronte al calo dei consumi diortofrutta, vi sono aumenti nella drogheria e nei latticini – è vero ancheche, nel 2005, vi è stato un aumento complessivo del consumo del 4,5%.

Con l’evoluzione della società, anche in Sicilia si è fatta più pressantela ricerca di garanzie per la propria salute da parte dei consumatori, oggiritenuta a rischio per ciò che si mangia, per il poco movimento, per il lavo-ro svolto spesso in luoghi chiusi con emissioni nocive ecc.

Il tempo del profitto ad ogni costo, sostenuto dal forte e continuoincremento demografico nel terzo millennio, sta perdendo molto dellosmalto del tempo passato e ha allentato la presa, come dimostrano le dif-ficoltà emergenti nella gestione dei più importanti gruppi dell’industriainternazionale e i sempre più numerosi e convinti riferimenti a motiviestranei, come la storia, la cultura, l’arte, i monumenti ecc. di piccole aree,e al modo di renderli attivi nel tempo libero, che è la conquista più recen-te e importante dell’uomo moderno.

Si stanno così aprendo nuove prospettive favorevoli alle aree più ric-che di qualità alimentare e ambientale, storia, cultura, paesaggio e special-mente delle risorse che hanno contribuito a far nascere la più antica cul-tura alimentare e sono arrivate a produrre cibi e gastronomie d’autore.

La Sicilia e le regioni del sud della Penisola, dove è nata e si è conso-lidata la prima civiltà alimentare dell’Occidente, hanno ancora molto dadire e da fare in proposito; se leggessimo le aspirazioni dell’uomo in que-sti termini, come sta imparando a fare il consumatore, il ricco patrimoniodella Sicilia non permetterebbe di escludere nulla, neppure le prospettivepiù favorevoli, compresa l’accelerazione dello sviluppo economico nellelocalità più impegnate, quando l’uomo fosse riuscito a valorizzare piena-mente le ricche risorse storico-culturali e paesaggistiche dell’isola, la qua-lità alimentare e gastronomica della tradizione e la qualità della vita del-l’uomo e degli animali.

Arrivati al terzo millennio, di fronte al nuovo rapporto dell’uomo conil cibo e di fronte al peggioramento della situazione ambientale, aumenta

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il numero dei consumatori siciliani scontenti dell’andazzo generale, iquali, con una determinazione mai vista prima, si dimostrano decisi a darefiducia alle antiche prassi e alla qualità esistenziale, cominciando a rinun-ciare alle forzature di ogni tipo e genere e agli eccessi nella protezione deiprodotti, per assicurare maggiore salubrità e qualità alimentari e ambien-tali al cibo; sono riflessioni che hanno coinvolto anche la produzione bio-logica, che è diventata la via più apprezzata per disporre di alimenti sicurie puliti; questa scelta, che ha le sue timide radici all’inizio dell’Ottocento,in corrispondenza con l’avvio dell’agribusiness, ha segnato un percorso,che oggi è seguito anche dalle normative comunitaria e nazionale, che locontrappongono ai processi produttivi convenzionali.

Con il nuovo approccio sta ricomparendo all’orizzonte anche l’etica,la scienza dei doveri, come l’ha definita Aristotele, con il compito di gesti-re con cognizione di causa i nuovi obiettivi che l’uomo intende persegui-re, senza intaccare la libertà di ognuno e senza affossare le responsabilitàdi tutti; così l’etica non è solo responsabilità verso se stessi, ma diventaanche solidarietà verso gli altri, l’intera comunità e le generazioni future.

È compito dell’etica prendere le mosse dai fenomeni per arrivare aidoveri e alla tutela dei valori su cui fondare la convivenza civile, come lo èil modo di rapportarsi alla natura, cioè a tutto ciò che è destinato a nasce-re2.

Nell’affrontare il rapporto tra umanità e ambiente, spetta all’eticaassumere la responsabilità del ricomporre gli equilibri biologici, salvaguar-dando le risorse materiali che rischiano di essere compromesse continua-mente da uno sviluppo sconsiderato della tecnica, nel convincimento chela natura è un bene prezioso con funzioni ben precise, indipendentemen-te dalla presenza dell’uomo, e che l’ambiente non ne implica necessaria-mente la sola presenza, ma anche un rapporto corretto con tutti gli altriorganismi viventi. Su questi concetti si reggono le teorie del biocentrismoe dell’antropomorfismo, dove il primo si fa carico di un diritto utile all’uo-mo, alla natura e all’ambiente, mentre il secondo contempla le regole delvivere civile che sono scritte dall’uomo per sé stesso, per cui la disciplinanon sempre tutela l’ambiente, riconoscendone le esigenze.

Dal biocentrismo tuttavia emergono anche i diritti altrui, animali,

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2 Natura significa “ciò che sta per nascere”, cioè che nasce e vive, cioè la vita. Natura, infatti, proviene danatura, participio futuro del verbo nascor ed indica la vita nel momento in cui sta per manifestarsi e lo fa.

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piante, obiettori di coscienza, biodiversità, generazioni future ecc., di cuispesso l’uomo si dimentica. È la connessione tra uomo, natura e ambien-te a generare il diritto dell’ambiente, le cui esigenze non sono solo quelleumane, ma anche i diritti della natura stessa, considerata nell’insieme deisuoi rapporti e delle sue manifestazioni.

44.. IIll rruuoolloo ddeellllaa SSiicciilliiaa nneellllaa ssttoorriiaa aalliimmeennttaarree iittaalliiaannaa

Il ruolo rivestito dalla Sicilia nella cultura alimentare italiana è di tuttaevidenza; si è affermato quando è nato il sistema agroalimentare dell’isolacon le nuove produzioni medio-orientali riprodotte in loco. Meravigliache la conoscenza di una realtà storica così evidente abbia potuto sfuggi-re all’attenzione del mondo e della cultura se non altro per le implicazio-ni positive che si porta dietro, che avrebbero consentito di presentareun’immagine dell’isola più fedele e prestigiosa con effetti utili di grandeportata. L’unica spiegazione plausibile può essere la volontà degli storici difare decollare la civiltà occidentale dalle società greca e romana, assegnan-do loro tutti i meriti senza riferimento alcuno a tutto ciò che è avvenutoprima, quando, invece, i prodromi hanno avuto un grande significatosotto il profilo della cultura alimentare.

Sono tre i motivi che hanno assegnato alla Sicilia un ruolo dominan-te che, nei tempi successivi, l’hanno fatta salire nella graduatoria deimigliori sistemi agroalimentari occidentali: il precoce arrivo nell’isola deivegetali e degli animali, da poco domesticati in Medio-Oriente rispetto adaltri territori; la colonizzazione fenicia e greca, con i flussi demografici, isuccessivi scambi commerciali che hanno trasferito all’isola culture anti-che e capitali che hanno arricchito i produttori con la vendita alla Greciadi forti quantità di cereali e di altri beni alimentari, permettendo all’isoladi raggiungere rapidamente la maggiore agiatezza. Il contesto favorevoleha permesso alla Sicilia di fare salire rapidamente la cucina agli alti livelli,che nessuna altra area del Mediterraneo è riuscita a raggiungere in queltempo; la promozione, infine, è arrivata alla “dolce vita”, che ha condivi-so questo prestigioso traguardo con poche altre città mediterranee.

Il contesto del tempo antico è stato elaborato sulla base dei modellialimentari siciliani, nati e consolidati sulle coste, specie nella parte sudorientale dell’isola, dove si sono via via consolidate le più alte espressioni

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di civiltà non solo alimentare e di benessere del tempo. Dai successi raggiunti dalla cultura siciliana è dipeso l’alto grado di

benessere dell’isola che non coincide con l’arrivo della neonata agricoltu-ra medio-orientale nell’isola ottomila anni fa, ma arriva con settemila annidi ritardo, quando, con la fondazione delle colonie greche, gli autoctoni,Siculi, Sicani ed Elimi, si sono accorti di possedere alte potenzialità pro-duttive per la fertilità delle pianure litoranee e per la densità della popola-zione, e ampie potenzialità commerciali che la domanda della Grecia e dialtre popolazioni mediorientali rendevano in concreto. Lo storico Diodo-ro, nato nella Sicilia centrale ad Agirio (primo secolo a.C.), presenta lamigliore sintesi della situazione presente nell’isola nel IV secolo a.C.:“All’isola, che è stata chiamata Trinacria per la sua forma, Sicania dai Sica-ni e, infine, Sicilia dai Siculi, che vi erano arrivati dalla Penisola, risale ilprimato delle tradizioni mediterranee”; inoltre, Tucidide, che è vissutoquattrocento anni prima di Diodoro, considera i Sicani e gli Elimi le popo-lazioni più antiche: i primi, ritenuti autoctoni, sarebbero arrivati primadella guerra di Troia, mentre gli Elimi li avrebbero seguiti dopo la distru-zione della città.

Gli ultimi arrivati, i Siculi, cacciati dalla Penisola italica dagli Opicinella metà del XIII secolo a.C., hanno trovato nell’isola i Sicani, che eranola popolazione più antica, e gli Elimi, abitatori di un’area ristretta a ovest,tra Segesta ed Erice, e più tardi, nella seconda metà del IX secolo a.C.,hanno incontrato anche i Fenici, che hanno occupato, prima della fonda-zione di Cartagine, alcune alture vicino alla costa occidentale e le isole piùvicine per commerciare con i Siculi.

Poi sono arrivati i Fenici e i Greci, nell’ottavo secolo a.C., sorpren-dendo i Siculi nella parte orientale, i Sicani nella parte occidentale e gliElimi in una piccola area nord-occidentale.

Ancora prima erano arrivati alla spicciolata marinai e commerciantitardo-micenei e greci, che avevano stabilito i primi timidi commerci occa-sionali con gli indigeni della costa; ancora più tardi sono arrivati i primiemigranti, sempre alla spicciolata, che, per ristrettezze alimentari o diffi-coltà politiche, cercavano un nuovo luogo dove ricostruire la loro esisten-za. Infine, prima delle colonie, si sono costituiti alcuni emporium cheerano luoghi di incontro che facilitavano i commerci.

È ai Siciliani autoctoni che si deve, grazie alle risorse dell’isola, laprima e più significativa svolta della produzione alimentare italiana, pro-

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vocata dalle nuove coltivazioni e dei nuovi allevamenti e dalla cucina cheha elaborato le nuove materie prime mediorientali per farne cibi, che fos-sero la risultante della valenza delle materie prime e della grande abilità deicuochi.

Grazie alla precocità delle attività agricole e all’abbondanza e qualitàdei prodotti, di cui non mancano ampie testimonianze, la Sicilia è diven-tata, insieme con altre zone costiere particolarmente fertili del Mezzo-giorno d’Italia (la Grecia non brillava per la produzione agricola a causadella poca terra di pianura), il primo e più importante laboratorio alimen-tare che ha dovuto farsi carico della conservazione degli alimenti, resanecessaria per la loro naturale deperibilità; il problema è stato affrontatoe risolto a livello familiare, dove le nuove materie prime sono state elabo-rate per la produzione di alimenti tipici stagionati (vino, olio, formaggio esalumi).

Oggi la Sicilia è nota nel mondo per questi suoi alimenti più antichi eper la tradizione alimentare che li accompagna, di cui possiede il più ricco,vario e prestigioso patrimonio regionale, dovuto alla creatività di tantefamiglie dell’epoca e alla successiva selezione storica di ciò che avevanoprodotto.

La collocazione geografica della Sicilia è stata determinante per il suc-cesso, insieme alle correnti marine e alla presenza e disponibilità degliautoctoni, che risiedevano lungo le coste, dove erano ubicati i principalicentri abitati e maggiore era la fertilità del suolo, mentre, nelle aree inter-ne, la densità degli abitanti si attenuava e l’agricoltura diventava estensiva.Era una Sicilia, in quel tempo, che doveva apparire agli occhi dei suoi abi-tanti e degli ospiti come una specie di paradiso terrestre per il lussureggia-mento della vegetazione e per la varietà e la sapidità dei frutti della terra,non diversamente da come appare anche a noi oggi tutte le volte cheabbiamo la fortuna di tornarvi. Deve essere stato proprio il lussureggia-mento della vegetazione, quella dell’epoca naturalmente, a rendere fre-quente l’arrivo dei Mesopotamici e, più tardi, dei Micenei, dei Fenici e deiGreci. In precedenza Siculi, Sicani ed Elimi non avevano mostrato alcuninteresse per la navigazione, almeno fino ai tempi storici, quando hannoassunto la denominazione di Sicelioti.

Concludendo, possiamo chiarire che i Siciliani sono rimasti sostan-zialmente dei vegetariani, come lo erano stati i loro avi fin dalle origini, equesto è stato possibile per la presenza tutto l’anno di prodotti vegetali

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allo stato fresco grazie al clima favorevole; quindi, la maggiore parte del-l’apporto calorico delle popolazioni dell’isola proveniva dal mondo vege-tale, che non ha lasciato tracce archeologiche significative.

Quanto agli alimenti che andavano per la maggiore in Sicilia, al primoposto troviamo i derivati dei cereali a cominciare dai diversi tipi di pane,per arrivare al cous cous, e ai legumi e, infine, a quelli di origine animale,formaggi, salumi e carni fresche ovicaprine e suine. La preferenza per ilgrano e altri cereali è dipesa dalle proprietà nutritive, che rendono alcunicereali, come il grano, idonei a sostituire anche carne e pesce, che eranopiù costosi e difficili da reperire.

Con queste vicende alle spalle, l’isola può essere considerata, a buondiritto, anche per la dimensione territoriale, il primo e più importanteintermediario che ha agevolato il consolidarsi di un nuovo sistema produ-zione-consumo alimentari, nella fase di passaggio dell’agricoltura dalMedio Oriente all’Europa; il posizionamento ambientale delle zonecostiere siciliane e delle altre piccole isole era privilegiato e, quindi, parti-colarmente adatto ad essere raggiunto; nonostante l’isola presentasse lecondizioni locali più adatte all’allevamento, la sua fortuna alimentare èlegata essenzialmente ai cereali e, in particolare, al grano, che, oltre a con-tenere carboidrati e proteine, godeva di un alto indice di conservabilitàanche rispetto allo stesso prodotto ottenuto altrove. I semi, una volta rac-colti, venivano sistemati in pozzetti scavati per terra e rivestiti di argillaall’interno delle capanne per garantirne la conservazione; con l’invenzio-ne della ceramica la conservazione dei cereali è stata ulteriormente facili-tata per la possibilità di contenere e di trattare gli alimenti, facilitando ilpassaggio dai prodotti freschi e dai semi abbrustoliti alla preparazione dicibi a base di farina.

55.. LLaa ddiieettaa mmeeddiitteerrrraanneeaa

Rispetto ai consumi iniziali del primo ominide siciliano, che era vege-tariano e tale è rimasto per lungo tempo, prima di diventare onnivoro, leprincipali varianti, comparse nel corso della storia, non potevano fare altroche cercare altri alimenti in altri territori, specialmente dall’Oriente perdiverse vie, compresi quelli arrivati più tardi in Occidente a seguito dellascoperta dell’America; inoltre, a partire dagli anni Cinquanta del secolo

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scorso, i Siciliani hanno cominciato, a seguito del nuovo benessere rag-giunto, a consumare più carne. Nel prendere atto del divenire della situa-zione alimentare nell’isola e nel Mezzogiorno d’Italia, il biologo america-no Ancel Keys ha svolto, con inizio nel 1957, approfondite ricerche sullemalattie metaboliche in Calabria, a Nicotera, più tardi in Grecia, a Creta,ed estese infine nel 1958-61 a Finlandia, Giappone, ex-Iugoslavia, Olandae Usa.

In proposito desideriamo precisare, a scanso di equivoci, che ritenia-mo l’uso del termine dieta improprio, perché il termine corretto dovreb-be essere costume o abitudine alimentare, la cui stabilità dipende da quel-la dell’uomo sul territorio e dai rapporti che ha instaurato con la produ-zione. Le ricerche condotte a Nicotera, le cui abitudini alimentari sonosimili a quelle dell’isola (in proposito i Siculi erano Calabresi trapiantati inSicilia)…

Secondo queste logiche, si impone anche l’analisi comparativa tracostume mediterraneo e quello dell’Italia centro-settentrionale, che sononotoriamente molto diversi: il primo si è distinto sostanzialmente all’ori-gine per avere mantenuto il prevalente consumo di prodotti vegetali con-sumati, con l’olio d’oliva, mentre il secondo si avvaleva, secondo il costu-me dei nomadi, del prevalente consumo di prodotti d’origine animale conlo strutto e il burro come condimenti.

Partendo da questi presupposti, le ricerche del Keys e della sua équi-pe, proseguite per quasi mezzo secolo, ci hanno informati che i primiuomini delle terre mediterranee, più per istinto che per conoscenze acqui-site, avevano visto giusto quando hanno scelto le materie prime medio-orientali per coprire le proprie esigenze nutrizionali, vista la confermaottenuta con le successive verifiche scientifiche; secondo le ricerche cita-te, i decessi per cardiopatia coronarica sono risultati novecentosettantot-to ogni diecimila persone nelle terre mediterranee contro i millenovecen-toquarantasette degli altri territori (Finlandia, Slovenia e Velika Krsnanella ex Iugoslavia).

Senza addentrarci ulteriormente nei risultati di queste ricerche, chesono assai complesse, ma avvalendoci di quanto ha scritto e ci ha perso-nalmente illustrato lo stesso Flaminio Fidanza, collaboratore di AncelKeys, e del parere di altri uomini della scienza medica, ne abbiamo registra-to alcune conclusioni, secondo le quali l’alimentazione più salubre, oggiancora più di ieri, la si troverebbe nel complesso degli alimenti tipicamen-

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te mediterranei, olio d’oliva, ortofrutta, cereali, legumi e pesce anche perquesti motivi singolarmente presi:• olio vergine d’oliva perché contiene diverse sostanze antiossidanti

(tirosolo e idrossitirosolo) e loro derivati idrolizzabili, tocoferoli, ‚-carotene, lignani;

• frutta, verdure, pane scuro, pasta, cereali integrali, legumi secchi per-ché provocano diversi effetti fisiologici (in particolare mettono adisposizione composti fenolici con spiccata azione antiossidante);pesce, perché apporta acidi grassi Omega3.La prevalenza di questi alimenti nel costume alimentare mediterraneo

fa si che la loro associazione e l’integrazione con altri vegetali riduca ilrischio delle malattie cosiddette da benessere.

Sulla base dei risultati delle ricerche di Keys e collaboratori e delnuovo orientamento dei consumi è stato completato il concetto di “dietamediterranea”, con il termine di “riferimento”, con il quale si intende pre-cisare che gli alimenti indicati devono essere ripartiti durante la giornatacon particolari criteri per ottimizzarne gli effetti. Gli stessi ricercatorihanno messo a punto anche l’indice di adeguatezza mediterranea (Iam),che corrisponde al rapporto tra la percentuale di alimenti mediterranei(cereali, legumi secchi e freschi, ortaggi, frutta, pesce, olio d’oliva e disemi e vino) e gli altri alimenti consumati (latte, formaggi, carni, uova,grassi animali e margarine, bevande zuccherine, dolciumi, zucchero).

La tradizione alimentare della gente mediterranea è frutto dell’incon-tro, in Sicilia, in modo più fedele di quanto non sia avvenuto altrove, delleculture alimentari di Oriente e Occidente, con l’integrazione di risorselocali, in un connubio che si è collocato alla radice dell’intera civiltà occi-dentale.

Tutto ha avuto inizio con l’arrivo in Sicilia dei cereali e dei legumi edegli animali (pecore, capre, bovini, cani e suini), appena domesticatinella Mezzaluna Fertile; una volta arrivati in Sicilia, i semi vegetali e iriproduttori animali, dove erano del tutto sconosciuti, eccetto il suino,che è autoctono anche in Occidente, insieme con le prime tecniche agro-nomiche e di allevamento, hanno avuto origine i nuovi processi produtti-vi e il nuovo costume alimentare, sulla base di scelte ancora del tutto istin-tive; neppure la lunga e qualche volta travagliata evoluzione dei tempi suc-cessivi è riuscita a mettere da parte l’imprinting iniziale e il frutto dell’in-gegno e dell’abilità dell’uomo, con i quali ha prodotto, lavorato e trasfor-

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mato le materie prime agricole e quelle di origine animale, avvalendosi delprezioso apporto del sale mediterraneo a garanzia della conservazione,intervenuto anch’esso a condizionare il costume alimentare di questeterre; con il sale e la stagionatura è nata la tipicità mediterranea, che anco-ra oggi esprime, in Italia, varietà e pregi particolari, spesso superiori aquelli presenti in ogni altra parte del mondo.

Dall’antica Magna Grecia e dalla Sicilia quella che continuiamo a chia-mare impropriamente “dieta mediterranea” ha mantenuto solo qualcherapporto del tutto marginale con il costume alimentare delle genti padanee del centro Italia, dove i Celti usavano altre preparazioni e altri alimenti;da questi rapporti, più tardi, i territori continentali hanno ricevuto anchel’ortofrutta, in sostituzione parziale dei prodotti di origine animale, l’oliovergine di oliva, che ha sostituito lo strutto e, in parte, anche il burro e ilvino che ha preso il posto della birra quasi ovunque.

La continuità tutta mediterranea del consumo di alimenti tradiziona-li non è fatto straordinario in sé, visto che circa il 75% della popolazionemondiale rimane legata alle proprie tradizioni, nonostante l’arrivo del-l’agribusiness e la diffusione degli alimenti standardizzati dell’America delnord, del Giappone e nell’Europa centro-settentrionale; gli altri paesi delmondo ne sono stati coinvolti in misura marginale, per non più del 10%circa (crackers, patate fritte, hamburger, Coca cola, popcorn, salse varieecc.) per circa un miliardo di consumatori equivalenti su un complessomondiale di 6,4 miliardi.

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Fig. 2 - Popolazione mondiale per aree alimentari

Fonte: nostre stime

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Nonostante tutto, la cultura dell’agribusiness non demorde e, in alcu-ni paesi, come gli Usa, lo stato non ha ancora rinunciato al profitto, otte-nibile continuando a perseguire i propri obiettivi e a insistere nel volerepercorrere e fare percorrere al mondo intero la strada degli Ogm, escogi-tata per poter proseguire nell’aumento demografico e dei consumi, nono-stante i non pochi problemi che creerebbe a carico dell’ambiente, oltre aquelli già esistenti. Anche questa insistenza ha contribuito a provocarel’attuale reazione a favore di quello che abbiamo chiamato l’”Umanesimodi ritorno” con recupero e accentuazione del ruolo della cultura riferitaalla qualità della vita e alla qualità alimentare e al corredo di storia e cultu-ra, a cui l’uomo sta aprendo nuovi spazi e nuovi mercati nel localismo eco-nomico-sociale-culturale all’interno di una globalizzazione che, purrestando tale, per alcuni prodotti, più riferibili alle commodities che aglialimenti, non riesce ad esprimere molta efficacia.

Nella contrapposizione di J. Rifkin tra sogno americano e sognoeuropeo non potrà non rendersi disponibile nel tempo un più ampio spa-zio per il Vecchio Continente, che si sta aprendo, come sostiene l’econo-mista americano, nel localismo economico che è destinato a diventare il“top” nel promuovere qualità della vita e qualità alimentare; tutto questoall’interno dell’Ue, che sta crescendo di dimensione e presto avrà la nuovacostituzione, che prevede, fra l’altro, di riconoscere ai principi della Cartadei diritti fondamentali un valore superiore a quello delle legislazioni deisingoli stati membri, confermando il rispetto per la dignità umana e per ildiritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza, comprendendo anche il campoalimentare.

Arrivati ai tempi a noi prossimi, dobbiamo riconoscere che l’alimen-tazione italiana ha sempre espresso due modi di essere ben distinti findalle origini, che permangono tutt’ora, nonostante la comune originemedio-orientale che risale molto indietro nel tempo, quando la neonataagricoltura, diecimila anni fa circa, in Medio-Oriente (Mezzaluna Fertile),ha cominciato ad ampliare il proprio campo di azione sotto la spinta delgap tecnologico tra Medio-Oriente e Occidente e dell’aumento dellapopolazione. L’ampliamento dell’area sottesa è avvenuto per mare, rag-giungendo la Sicilia e il sud della Penisola italica, dove gli alimenti impor-tati si sono sostituiti ai preesistenti, mantenendosi fino ad oggi, salvoqualche modesta variante.

Altri orientali, e sono i più, si sono spostati per terra, imboccando

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altre strade, come il corridoio danubiano e vie alternative, fino ad arrivareal mare del nord con qualche migliaio d’anni di ritardo, da dove la nuovacultura alimentare è ridiscesa per irradiarsi in tutta l’area non mediterra-nea del continente, compresa l’Italia centrosettentrionale; questi sono iCelti che, con una miriade di piccole tribù, hanno dato origine alla popo-lazione che i Romani hanno chiamato Galli, senza che raggiungessero maila compattezza di una nazione. Costoro, non potendo coltivare la terra inquanto nomadi, hanno vissuto per alcune migliaia di anni, abituandosi adattingere gli alimenti dal bestiame che seguiva la tribù negli spostamenti ead avvalersi dei prodotti agricoli, previo baratto con le popolazioni incon-trate. In questo modo, è comparsa e si è consolidata la seconda faccia dellamedaglia alimentare italiana, quella dell’Italia centro-settentrionale, carat-terizzata dal prevalente consumo di prodotti di origine animale, dallostrutto e dal burro utilizzati come condimento e dalla birra come bevan-da, mentre l’originaria alimentazione della Mezzaluna Fertile, trasferita inSicilia e nel sud della Penisola italica, rimaneva sempre quella medio-orien-tale con prevalenti alimenti vegetali, olio vergine d’oliva per condimento evino per bevanda.

Rispetto a questa prima “dieta mediterranea”, rimasta sempre moltovicina al vegetarismo, la “dieta continentale” è stata più esposta e ha accol-to nel tempo alcune correzioni non di poco conto per esigenze di adatta-mento e arrivo di alimenti da terre lontane, compresi quelli arrivati dopola scoperta delle Americhe. L’integrazione principale però è quella piùrecente che ha introdotto alimenti tradizionali, per rispondere al crescen-te interesse per la tutela della salute, che ha fatto preferire a taluni “tocca-sana” della “dieta mediterranea”, inseriti nel consumo abituale continen-tale. Si tratta, innanzitutto, dell’olio vergine di oliva, che ormai ha invasol’intero territorio nazionale e viene prodotto fino ai piedi delle Alpi conun successo che va oltre e sta coinvolgendo l’intero pianeta, seguito dal-l’ortofrutta che, dalla Val d’Adige alla Romagna e a parte dell’Emilia, delterritorio di Cuneo, della Versilia ecc., occupa crescenti spazi produttivi edi consumo, e, infine, dal vino che ha sostituito quasi ovunque nel mondola birra.

L’inserimento nella “dieta continentale” dei nuovi alimenti, scelti trai più protettivi della “dieta mediterranea”, ne ha aumentato il grado disalubrità, senza nulla togliere ai prodotti tipici di origine animale che,numerosi e straordinari, sono rimasti prevalenti e sono sempre molto

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apprezzati, perché più vari di quelli dell’area mediterranea, essendo nume-rose le specie animali, diversi i tagli della carne e possibile l’uso di aromi espezie; ci riferiamo anche ai numerosi salumi e formaggi che, insieme aivini e agli oli vergini di oliva italiani, costituiscono il più ricco patrimoniodi prodotti tipici di alta qualità del mondo.

La presa di coscienza che ha provocato questi benefici arricchimentiè stata suggerita dagli studi del biologo americano Ancel Keys, la cui inda-gine ha il merito di avere aperto nuovi orizzonti, chiarendo che i consumialimentari delle terre mediterranee, scelti fin dai tempi più antichi più peristinto che per conoscenze acquisite, sono risultati i più appropriati, comeha dimostrato la successiva verifica scientifica; infatti, secondo le ricerche,i decessi per cardiopatia coronaria, ad esempio, sono risultati meno dellametà nelle terre mediterranee rispetto a quelli di altri territori (Finlandia,Slovenia e Velika Krsna nella ex Iugoslavia).

Senza addentrarci ulteriormente nei risultati di queste ricerche, chesono assai complessi, ma confortati da quanto ha scritto e ci ha personal-mente illustrato lo stesso Flaminio Fidanza, che vi ha partecipato attiva-mente, e dal parere di altri uomini di scienza, siamo arrivati a condividerela conclusione che considera l’alimentazione mediterranea la più salubretra quelle attuali e la più capace di prolungare la longevità dell’uomo, gra-zie alla protezione di olio vergine d’oliva, ortofrutta, cereali, legumi epesce per i seguenti motivi:• olio vergine d’oliva contiene diverse sostanze antiossidanti (tirosolo

e idrossitirosolo) e loro derivati idrolizzabili, tocoferoli, ‚-carotene,lignani;

• frutta, verdure, pane scuro, pasta, cereali integrali, legumi secchi per-ché provocano diversi effetti fisiologici (in particolare mettono adisposizione composti fenolici con spiccata azione antiossidante);pesce, perché apporta acidi grassi Omega3.La Sicilia è una terra fortunata perché possiede il più ricco, vario e

pregiato patrimonio di prodotti tipici, equamente distribuiti tra le provin-ce, di cui citiamo il Pecorino Siciliano, probabilmente il primo formaggioeuropeo, l’olio, il vino, e la salumeria.

La cultura alimentare oggi emergente agisce sul mercato che si trovain una fase delicata a causa del ristagno della domanda, che prosegue ormaida più di un lustro con intensità maggiori nelle aree ad economia più avan-zata, e quindi, anche nell’area non mediterranea; ultimamente la popola-

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zione, pur continuando ad aumentare, ha assunto ritmi molto più blandidi quelli del passato, a causa delle nascite, che erano troppo poche per farelievitare la domanda, mentre la maggiore longevità dell’uomo ha fattoaumentare la popolazione, senza che i consumi ne risentissero.

Sulla scorta di questa analisi e in previsione di ulteriori flessionidemografiche, le prospettive dei paesi più sviluppati non sono favorevolie richiedono di correre ai ripari.

Per la Sicilia esiste una doppia scappatoia: la prima si avvale dell’altaqualità gastronomica e passa attraverso il marketing territoriale, facendoleva sulla “dieta mediterranea”, sulla storia e sulle fonti della cultura ali-mentare mediterranea, che costituisce la prima delle due facce della stessamedaglia nazionale; la seconda riguarda il turismo internazionale. Ambe-due le attività vanno perseguite prontamente.

La valorizzazione dei prodotti alimentari siciliani e delle altre risorsedell’isola oggi è opera del marketing territoriale, la cui immagine moltoefficace si rifà ai prodromi del momento alimentare occidentale, potendospiegare molte cose su come è avvenuto, sui tempi, sugli effetti ecc.

La Sicilia si avvantaggia per essere un’isola grande e per trovarsi inposizione strategica con un’evoluzione multiculturale ad opera di piùetnie, ognuna delle quali ha lasciato il proprio contributo al suo arricchi-mento.

66.. RRuuoolloo ddeellllaa ccuullttuurraa aalliimmeennttaarree ssiicciilliiaannaa

In un contesto attivo nell’antichità, come quello siciliano, ricco dipotenzialità inespresse, è possibile conquistare all’isola nuove posizioni dimercato, ricostruendo “diete” e vicende storiche, seguendo la logicavichiana e facendo chiarezza sugli albori della cultura alimentare sicilianae occidentale e sui successivi sviluppi che sono noti a pochi a causa dell’in-segnamento ufficiale che ha lasciato nel buio preistoria e protostoria. Soloda poco tempo, segnatamente dopo l’ultimo conflitto mondiale, si ècominciato a prendere in considerazione anche quanto è avvenuto prima,facendo emergere così anche le vicende iniziali dell’alimentazione occi-dentale e facendo conoscere i benefici di antiche scelte istintive, che spes-so si sono perpetuate nella “dieta mediterranea”. Questa dieta, rivalutatamezzo secolo fa, considera che il migliore modo di alimentarsi è quello

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delle origini, quando la Sicilia e le altre isole mediterranee hanno benefi-ciato di una sorta di parziale resistenza alle malattie più gravi e dell’allun-gamento della vita. Nell’ Italia centro-settentrionale, invece, come nel-l’Europa continentale, vige un’altra “dieta” alimentare, che abbiamo chia-mato continentale o celtica, diversa dalla prima e di più ampia diffusione,in buona parte assimilabile a quella dell’Europa non mediterranea, retag-gio delle popolazioni celtiche (i Galli per i Romani, i Galati per i Greci),che avevano dovuto adattare il loro modo di alimentarsi in lunghi perioditrascorsi viaggiando.

La stessa dieta originaria della Mezzaluna Fertile la ritroviamo ancheoggi nell’isola mediterranea più grande, integrata dalle successive acquisi-zioni che hanno riguardato, inizialmente, olivo e agrumi, e, più tardi, altrialimenti compresi quelli numerosi, arrivati dopo la scoperta delle Ameri-che. Nonostante il numero e l’importanza delle nuove acquisizioni, que-ste non hanno mai influito più di tanto sulle abitudini alimentari origina-rie, decretando la continuità dei consumi originari, nonostante la biodi-versità diffusa, giustificata dal clima locale che, consentendo la disponibi-lità di prodotti vegetali freschi tutto l’anno, ne ha fatto il presuppostoprincipale della dieta, che è stata completata con poche carni ovicaprine,prodotte con la transumanza, pesce e formaggio.

Mentre, in passato, per i motivi esposti, non si era mai parlato speci-ficamente dei particolari consumi alimentari delle popolazioni in areemediterranee, da qualche tempo l’argomento è uscito enfatizzato dallescoperte di Ancel Keys, il quale ha ottenuto dei risultati che attestano lavalenza delle abitudini alimentari di queste popolazioni. Non tutti sonod’accordo su questo tipo di analisi, a cominciare da Piero Camporesi, chepoggia le sue teorie su una specie di minimo comune denominatore chesarebbe risultato più a favore delle carni che dei vegetali. Noi, al contra-rio, riteniamo che solo l’analisi delle vicende storiche può spiegare i tra-guardi raggiunti; la realtà è che chi ne esce premiato è il consumo dei vege-tali tant’è che oggi è in ripresa in tutto il mondo, come stanno aumentan-do anche i vegetariani di tutti i tipi.

Concludendo, quando oggi confermiamo la distinzione dei consumialimentari delle due aree citate, dobbiamo tenere presente che la differen-za originaria è stata attenuata nel tempo in conseguenza degli aggiusta-menti richiesti dalle esigenze salutistiche dell’uomo, mentre è rimastonettamente superiore il livello gastronomico della seconda “dieta”. Per-

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tanto la distinzione oggi ha finalità più culturali e gratificanti che salutarie risulta utile per fare finalmente un po’ di cultura alimentare anche nelBelpaese e spiegare ai connazionali e agli ospiti stranieri le ragioni per lequali il territorio siciliano possiede ancora una biodiversità diffusa che fasì che non si possa parlare di una cucina dell’isola, ma di una moltitudinedi cucine tutte diverse nei microambienti.

77.. LLaa ssttrraatteeggiiaa ddeeii tteemmppii nnuuoovvii

Nel momento attuale è evidente che la Sicilia e il suo versante alimen-tare debbano giocare le loro carte sul tavolo della qualità, che è il riferi-mento più recente della biodiversità, traendo la maggiore utilità possibiledalle piccole e medie imprese, oltre che da quelle grandi, che non sonomolte, ma di maggiore utilità. Per risolvere le contraddizioni tra globale elocale, i percorsi possono essere i seguenti:• accrescere ovunque si produca cibo la spinta in direzione della quali-

tà e della riorganizzazione commerciale della produzione e dellaristorazione in chiave culturale, facendone un esempio per il restodell’Italia e del mondo;

• spingere i produttori, grandi e piccoli, a collaborare, specialmente svi-luppando più costumi alimentari e distinti per territorio, nel rispettodella specificità mediterranea e nella prospettiva di espansione delturismo internazionale.Se la Sicilia non sviluppasse nel prossimo futuro la spinta al cambia-

mento o fosse troppo lenta nel farlo, le difficoltà moltiplicherebbero iparadossi del passato, quelli ancora presenti, che rallentano i ritmi evolu-tivi con l’aggravamento delle attività commerciali, specie quelle riferite aiprodotti più prestigiosi. Quanto è avvenuto in passato con i paradossicitati, che sono tuttora presenti, rende inutili i tentativi di mantenere atti-va la domanda e di retribuire i produttori con prezzi adeguati al sacrificiorichiesto per produrre. Non c’è da illudersi; il futuro degli alimenti, anchedi quelli di più alta qualità, se venisse lasciato alla mercé delle parole, anzi-ché affidarlo ad azioni di marketing concretamente utili, risulterebbe pocoo niente soddisfacente; così ogni scelta, se rimanesse soltanto vincolataall’empirismo del passato, non farebbe che procrastinare lo stato di crisisine die.

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Oggi, nell’attuale contesto e con la concorrenza acuta provocata dalladomanda stagnante, il mercato sta dimostrando chiaramente che vi sonodifficoltà a riconoscere e valorizzare la storia, l’empirismo e il pregio sicet simpliciter, ma di avere bisogno di immagini accattivanti e di certifica-zioni convincenti; occorrono nuove strade, che, come avviene per ognibene economico, siano coerenti con politiche mirate ed efficaci e coninterventi di tutela seri ed utili, specie se si vuole che siano attivati nuovipercorsi e venga sollecitato ogni singolo territorio ad evolvere e a rinno-vare, se del caso, le proprie performance, a garanzia del futuro delle giova-ni generazioni; le sole varianti da accettare sono quelle che contribuisco-no a razionalizzare e a modernizzare il sistema. Non più ideologia, masolo pragmatismo.

Le scelte del futuro localismo verrebbero così esaltate, dando vita aun’epoca di sicuro successo, i cui prodromi sono già visibili, nonostante laglobalizzazione, ma ancora incompleti, per non essere riusciti a formula-re strategie specifiche e a coinvolgere l’opinione pubblica, residenti e tem-poraneamente residenti all’interno del territorio, valorizzando al meglio ilcomplesso delle risorse, specie di quelle legate al tempo libero, che è ilnuovo asso nella manica che da solo può dare vita a un nuovo localismo,più ricco e completo, nel quale, oltre ai paesaggi, sono presenti storia,monumenti, cultura, arte, sport, caccia, pesca, i passatempo degli anima-tori turistici ecc.; dall’organizzazione di un sano e significativo tempolibero uscirà condizionato il futuro di molti territori italiani, nonostanteil blocco demografico e la futura flessione di giovani, che saranno peròsostituiti da temporanee, continue migrazioni interne.

Particolare interesse riveste, nel nuovo corso, il turismo internazio-nale che, avendo recuperato la preminente vocazione culturale durante lasua crescita, sta rimettendo in gioco le città della provincia italiana e dialtre aree rimaste in ombra, nonostante la dovizia di gioielli architettoni-ci, di opere d’arte, di testimonianze storiche, di paesaggi prestigiosi, oltreche di alimenti tipici e tradizionali di pregio e di gastronomie d’autore. Latendenza è stata confermata dalla accresciuta presenza di visitatori neimusei, nelle pinacoteche, nei parchi archeologici, nelle città d’arte ecc.; viè poi una recente ricerca, presentata al Bit di Milano, secondo la quale,accanto alla conferma delle grandi città d’arte, si ritrova spesso la presen-za di città minori che sono diventate i nuovi centri di attrazione turisti-ca; è già accaduto con il “Festival della mente” a Sarzana, a Carpi con il

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“Festival della filosofia”, a Ferrara con il raduno di acrobati, giocolieri esaltimbanchi, a Parma con il “Festival Verdi” e con il “Festival di lettera-tura per ragazzi”, a Mantova con il “Festivaletteratura” e con il “Mantova-musicafestival” ecc.

Nel 2005 i flussi turistici internazionali hanno coinvolto complessi-vamente 808 milioni di persone, di cui 37 milioni sono venute in Italia.Con queste dimensioni, l’attività è diventata ormai la più grossa industriadel mondo e, come tale, merita grande attenzione per la sua capacità diportare nuovi capitali e di mantenere la domanda alimentare o addiritturadi aumentarla, superando i tempi della stagnazione e della regressione.

88.. AAllccuunnee ccoonncclluussiioonnii

La Sicilia si è presentata all’appuntamento del terzo millennio con laprimogenitura alimentare in Occidente, con il prestigio di una storiamolto articolata e complessa e con una cultura del comparto straordina-ria, da cui discende un patrimonio ricco e vario di prodotti tipici e tradi-zionali di alta qualità e di gastronomie d’autore che nessun altro territorioal mondo possiede in uguale misura, senza che sia mai riuscita a valorizza-re pienamente le molte risorse che possiede. Oggi le prospettive sonodiventate più favorevoli a causa dei nuovi obiettivi qualitativi della doman-da a cui è affidato il compito di valorizzare i prodotti aziendali nel territo-rio e con il territorio sostiene alla geografia, alla storia e al paesaggio, aglialimenti e alla cucina e, infine, alle nuove prospettive del turismo che,all’interno del bacino del Mediterraneo, posseggono nuove fruibilità.

La competitività alimentare delle imprese mediterranee nel passato èstata quasi sempre bassa o molto bassa a causa della polverizzazione del-l’offerta e della scarsa disponibilità a dare vita ad aggregazioni culturali peraumentare il potere contrattuale dei produttori.

Negli scenari più recenti, sono migliorate le opportunità, quando ècaduta l’antica conflittualità tra piccola e grande industria alimentare daparte dei produttori più importanti che hanno capito l’inutilità di contra-stare i deboli prodotti tipici, quando dalla contrapposizione non arrivava-no effetti utili. Con la fine della conflittualità storica è diventato più faci-le ricorrere all’integrazione per cercare di recuperare la leadership di untempo, ormai vecchia di due millenni e mezzo attraverso il revival dellaqualità trascorsa, che ha toccato i vertici globali nella protostoria.

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L’Italia di oggi si ritrova con due facce alimentari, molto vicino allanatura, quella mediterranea, e una frutto di adattamenti che, essendo statacorretta, può permettersi ugualmente di arricchire e valorizzare la propriacultura storica, reinventando delle cose, purché coerenti con la qualità ali-mentare, per puntare ai vertici, quelli del Rinascimento. La rivalutazionequalitativa di carattere storico, se condotta in modo pacifico, dalle duerealtà territoriali, specie qui, in Sicilia, dove sopravvivono i prodromi del-l’agricoltura occidentale, può essere molto utile e significativa tanto dapotere rappresentare la nuova immagine del territorio, potenziando in talmodo la competitività del luogo sui mercati interno ed internazionaleattraverso un’azione culturale, come hanno fatto i Francesi, abbinando ivini alle portate, inventando l’esistenza di Dom Perignon ecc.

La debolezza che presentano le piccole imprese agroalimentari e ali-mentari di fronte al mercato richiede di modificare l’approccio fare entra-re in gioco le ricche risorse dell’isola nella quantità massima possibile. Incampo nazionale sono state delimitate o si stanno delimitando numerosearee-parco per conservare l’ambiente e per promuovere il territorio e leaziende attraverso il territorio per riceverne un maggiore potere contrat-tuale attraverso l’insieme delle risorse che, nel caso della Sicilia, sononotevoli. Questo tipo di approccio è ormai consolidato per le riserve natu-rali, ma oggi si sta allargando anche ad altri settori e comparti, come èavvenuto, ad esempio, nei Parchi delle acque, dell’aria (sull’Appennino, traArezzo e L’Aquila), della pace ecc. che fanno riferimento ad aree interco-munali, distretti o bioregioni particolari, o ad altre aggregazioni di comu-ni per accumulare un’immagine nuova e complessiva delle risorse deimicroambienti (le terre verdiane in provincia di Parma ne sono un esem-pio, un altro esempio è Mozartland, in Austria). Sulla base di questi nuoviorientamenti, fra l’altro condivisi, noi, ad esempio, abbiamo proposto diattivare a Parma il Parco Storico dell’Alta Cucina Rinascimentale, con ilquale vorremmo calare sulla città e sulle quattro province coinvolte (Cre-mona, Mantova, Piacenza e Reggio Emilia) un’immagine che dia voce alterritorio e sia capace di sviluppare nuove strategie per mantenere in cre-scita la domanda di beni alimentari e non, nonostante l’attuale stagnazio-ne e le prospettive di inversione di tendenza e per far leva sull’attrattivitàdell’insieme, costituito da ricchi patrimoni locali, storici, artistici, cultura-li, monumentali, alimentari ecc. e sull’orgoglio della popolazione per ilproprio passato che oggi può dare ulteriori soddisfazioni, realizzando una

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o più idee-progetto per attrarre il turismo interno e internazionale e perdare una maggiore spinta contrattuale alle produzioni locali.

Riflettendo su ciò che sta avvenendo, non è difficile rendersi contoche la stessa teoria neoclassica dell’economia è rimasta per troppo tempoal palo, senza mai aggiornare il paradigma che, dopo quasi due secoli, sipresenta debole e incapace di spinte innovative di fronte alle emergenzeche scorrono continuamente davanti agli occhi di tutti e non possonoessere abbandonate a se stesse. Le attività delle imprese alimentari grandie piccole si sono dipanate per molto tempo – quasi due secoli - con stra-ordinaria facilità, comodità e utilità, in conseguenza della continua e fortecrescita demografica che rendeva accettabile anche l’inerzia, non essendonecessario procurarsi una nuova domanda né nuovi prodotti; bastavano eavanzavano tipicità e tradizione. Oggi le vicende alimentari sono cambia-te profondamente e hanno mutato la loro condizione mercantile, privile-giando la qualità e solo quella, per cui l’uomo sente il bisogno di rivederei principi e le applicazioni dell’economia neoclassica, adeguando la teoria,con l’aiuto della ricerca scientifica, ai cambiamenti in essere e individuan-do nuovi modelli in sostituzione di quelli obsoleti perché non più compe-titivi.

Nel contesto attuale, in assenza di innovazioni, i beni alimentari sto-rici si sono ridotti a ricevere prezzi inadeguati per qualità e costi, mentresi è visto che scattano gli effetti utili, quando i produttori apportano deimiglioramenti, come è avvenuto per il Culatello di Zibello che oggi si pre-ferisce produrlo partendo dalle cosce posteriori del suino nero romagno-lo che permette di raggiungere un prezzo maggiorato rispetto a quello delprodotto precedente; si può uscire dalle difficoltà solo migliorando einnovando con intelligenza le singole filiere e l’intero sistema, appoggian-do le tecniche alla ricerca scientifica, per arrivare all’adozione di nuoviassetti commerciali e all’uso di nuovo metodologie promozionali, chesiano funzionali e coerenti con la qualità dei prodotti, con l’attuale statodella conoscenza e con le finalità economiche.

Non è tutto qui; poiché l’Italia oggi ha mostrato di avere raggiunto ilpunto più alto della crisi per molti prodotti tipici e, poiché la crisi haassunto caratteri strutturali, e, quindi, continuativi nel tempo, il problemanon è più quello di attendere il tempo della ripresa, ma di eliminare lecause che hanno provocato la debacle. Se volessimo adeguare i prodottitipici e tradizionali delle piccole e medie imprese alle nuove esigenze del

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mercato, dovremmo cambiare l’approccio, ponendoli sotto l’ombrelloprotettivo di un’unica immagine agroalimentare del prodotto italiano, dafare emergere, con un unico intervento di marketing territoriale; è unodegli obiettivi che stiamo caldeggiando da diverso tempo dalle pagine dei“Rapporti sullo stato dell’agroalimentare in Italia”, come futuro approc-cio per rilanciare con maggiori dignità ed efficacia ogni prodotto e ogniarea produttiva nel mercato moderno.

Se è vero che le piccole imprese, pur essendo portatrici di qualità etipicità, continueranno a incontrare delle difficoltà a reggere la concorren-za sui mercati e ad attrarre i consumatori e tanto meno i visitatori inter-nazionali, la causa va ricercata in un’inerzia persistente che ha congelatoda tempo la realtà dei prodotti tipici e tradizionali, che, invece, avrebberodovuto rimanere flessibili nella forma e nella sostanza, per garantirne l’ap-prezzamento. Dovendo superare l’inerzia, evitando le ipocrisie, serve unanuova immagine della Sicilia, previa intesa dei produttori grandi e piccoli,per esaltarne la biodiversità e l’alta qualità che apparirebbe, questa volta,in forma univoca, col supporto di un’organizzazione capace di espanderel’export; è il principio che abbiamo richiamato più volte, ritenendo neces-sario fare nuove proposte per andare incontro al turismo internazionale,di cui si cominciano a sentire i primi effetti e come da un paio di anni circaha cominciato a fare anche il grande capitale interno con la cordata Ifil,Marcegaglia, Banca Intesa, a cui di recente si è aggregata anche Pirelli RealEstate alla pari con gli altri partner. La nuova società “Turismo e immobi-liare”, che ha acquistato il 49% del capitale sociale di Sviluppo Italia Turi-smo, che diventerà il 65% entro il 2009, è diventata proprietaria di settecomprensori localizzati in Puglia (Otranto), Calabria (Sibari-Simari Cri-chi), Campania (Acropoli), Basilicata (Pisticci) e Sicilia (Sciacca) e di duevillaggi, uno sito nel comprensorio di Alimini e l’altro (Villaggio Floriana)nel comprensorio di Sieri Crichi, entrambi gestiti da Alpitour (GruppoIfil); fanno capo a Sit inoltre numerose imprese che gestiscono villaggituristici e strutture alberghiere in Puglia, Calabria, Basilicata, Sicilia e Sar-degna. L’operazione, che è esogena, consente di fare decollare il primo epiù importante operatore pubblico-privato del Paese nell’attività turisticamediterranea, che è in forte espansione, facendo entrare l’Italia fra i primiconcorrenti del mondo. Questa iniziativa va dunque intesa come la primarisposta effettiva alla necessità di dotare il territorio di operatori adeguatiper scala e competitivi sul mercato, di destagionalizzare l’offerta, di indi-

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viduare nuovi flussi turistici e di predisporre i conseguenti circuiti speci-fici.

È il grande capitale interno che finalmente si sta aprendo all’area piùpovera di iniziative, ma più ricca di storia antica, in coerenza con l’”Uma-nesimo di ritorno”, facendo leva sulla dovizia delle proprie risorse stori-co-culturali, sulla biodiversità e sulla rivalutazione della qualità alimenta-re che qui ha mantenuto le sue radici più salde. Non va trascurato tuttaviail pericolo che il modello di investimento turistico in Sicilia si avvalga sol-tanto dei villaggi, che tendono, per loro natura, a chiudersi in se stessi, evi-tando i rapporti con la popolazione locale, trasformandosi così in piccoleisole sviluppate all’interno di un territorio sottosviluppato. Occorre quin-di che contemporaneamente decollino anche iniziative dal basso fattedagli operatori locali che si organizzano per sviluppare il turismo interna-zionale. Ricordiamo, inoltre, che lo sviluppo del turismo internazionalerichiede il miglioramento delle infrastrutture e dei servizi e l’aumentodella ricettività in catene di grandi alberghi che sono gli unici compatibilicon il turismo internazionale.

Nel nuovo contesto, sta venendo avanti anche l’utilità di mettere ingioco il business alimentare italiano ancora prima di quello delle imprese,a cominciare dalle città di provincia e dai territori di produzione dellematerie prime e degli alimenti più noti, distretti o bioregioni, fino a scen-dere ai comuni.

Nella “riprogettazione“ dell’assetto terziario, alla Sicilia potrebberospettare compiti di apripista, per avanzare analisi e proposte, come abbia-mo sempre cercato di suggerire con questa e altre iniziative, nonostante ilbasso ascolto e le censure che le città di provincia non mancano di eserci-tare. Anche il presente Convegno costituisce un contributo nella direzio-ne di una più moderna ed efficace identità dell’isola, che va costruita,come quella di altri territori, con un pragmatismo che guardi al futurosenza dimenticare il passato.

L’Italia, come gli altri Paesi dell’Ue, si trova oggi di fronte, dopo tantotempo, a una nuova sfida che, facendo leva sulle risorse interne, intendesostenere la concorrenza dei paesi leader dell’economia, come Usa eGiappone, e dei paesi emergenti, come Cina e India, che, in passato, sierano retti sull’alto impiego di manodopera, mentre ora stanno accumu-lando e investendo capitali e conoscenze. Se oggi l’Ue supera con poco piùdel 20% della produzione globale il 19% di Cina e India, si prevede che,

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nel 2015, tali incidenze assumeranno rispettivamente i valori del 17% perl’Europa e del 27% per i due paesi asiatici. È una prospettiva che appesan-tisce con nuove difficoltà l’economia dei paesi più sviluppati che dovran-no aumentare la loro competitività collegiale e individuale, utilizzandotecnologie, sinergie e innovazioni, compresa la “dieta mediterranea” equella “continentale”. Anche l’Italia sarà chiamata a portare avanti i proprisaperi attraverso i propri prodotti e le proprie tecnologie, indipendente-mente dai confini geografici, amministrativi, settoriali, pubblici e privati.

Tutto ciò comporta la necessità del rinnovamento, che mostri capaci-tà di fare ricerca e innovazione; non è sufficiente che il Paese riesca a pro-durre tecnologie avanzate, se non è in grado poi di utilizzarle pienamen-te; così la sfida di oggi, se vuole privilegiare la creatività, non può fare ameno della ricerca, né di velocizzare l’informazione e la comunicazione nédi valorizzare ogni risorsa del territorio, tra cui prevalgono le eccellenzealimentari insieme a storia, cultura, arte e tradizione, che sono le stesserisorse che avevano raggiunto, nell’Italia mediterranea, il vertice mondia-le nel periodo dal VII al III secolo a.C., una civiltà che è stata all’avanguar-dia con la migliore produzione alimentare del mondo e che ancora oggipossiede qualità inimitabili, che l’Italia non è riuscita a collocare sui mer-cati internazionali a prezzi adeguati.

Queste risorse, che, nel passato, hanno dimostrato di non essere suf-ficienti per risollevare l’economia di un territorio o di un Paese, oggi siripresentano con maggiori chances, specialmente nei territori più ricchi dicultura e tradizione e dove sono maggiormente presenti le aspettative del-l’opinione pubblica; la risposta può essere l’esistenza e il funzionamentodi uno o più parchi o distretti o bioregioni, in analogia a quanto l’uomo hafatto per conservare e valorizzare natura e ambiente; il modello, questavolta, è nuovo e predisposto per esternare, in base creativa, le espressionimigliori di una biodiversità storico-culturale ed ambientale ad ampio rag-gio, più presente nella culla della civiltà occidentale che altrove, tanto dapotere mettere a punto nuovi modelli riguardanti tempo e spazio. La pro-spettiva prevede il recupero di cultura e tradizioni da offrire attraverso unanuova immagine del territorio al turismo, interpretandone l’attività e l’ar-monia in modo e in misura coerente con il coacervo delle risorse da impie-gare, senza rinnegare mai il passato, ma aggiornandolo e rinvigorendolonelle strategie, oggi carenti, quando non sono assenti del tutto. È un saltodi qualità che il nuovo modello può far fare alla cultura d’impresa, all’eco-

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nomia del territorio, alle istituzioni e alla società degli uomini; per affron-tare in modo deciso e preciso tale compito può essere assolto dalle Fieresiciliane.

Alcuni mesi fa abbiamo partecipato alla costituzione dell’”IstitutoNazionale per la Dieta Mediterranea e la Nutrigenomica” che, avvalendo-si della fortunata scoperta del biologo americano Ancel Keys, permette dicondividere l’eccezionalità di un momento storico che è diventato occa-sione di marketing territoriale per il turismo internazionale e quello inter-no che sono in espansione. Se venisse costituito analogo istituto, questavolta dedicato alla “dieta continentale” e i due istituti agissero insieme,avremmo l’opportunità di riflettere e fare riflettere sulle origini della civil-tà alimentare dell’Occidente e valorizzare ancora di più e meglio la nostraantica cultura tipica, facendola entrare con successo nei mercati modernigrazie a una nuova immagine, superando in tal modo il confine ravvicina-to di una concorrenza che è sempre più agguerrita.

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6Le caratteristiche della Dieta Mediterranea Italiana di Riferimento ed i suoi effetti salutari

Antonino De LorenzoDirettore della Scuola di Specializzazione in Scienza dell’Alimentazione,Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico “Tor Vergata” ,Presidente dell’Istituto Nazionale per la Dieta Mediterranea e la Nutrigenomica

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La ricerca epidemiologica e biologica condotta negli ultimi decenniha dimostrato precise correlazioni fra comportamenti alimentari e rischiodi patologie cronico degenerative. Evidenze scientifiche molto significati-ve vengono dagli studi effettuati nei Paesi del bacino Mediterraneo, dovevari aspetti della Dieta Mediterranea sono apparsi assai favorevoli nel pre-venire il rischio di rischio oncologico in termini più generali, così comedelle malattie cardiovascolari.

I risultati emersi dagli studi condotti nel 1960 a Nicotera,(l’area rura-le pilota del Seven Countries Study), costituiscono un patrimonio scien-tifico di grande pregio. Tali studi, coordinati dal Prof. Flaminio Fidanza,hanno evidenziato quanto le abitudini alimentari e lo stile di vita dellapopolazione adulta di Nicotera di allora erano tali da assumere un ruolopreventivo nei riguardi di varie patologie. La dieta di Nicotera degli anni’60 è stata perciò scelta come Dieta Mediterranea Italiana di Riferimento.In essa prevalevano cereali, legumi, pesce, olio vergine d’oliva, verdure,frutta, mentre era limitato il consumo di latte, formaggi, carni e grassi diorigine animale. Abbondavano le spezie, erbe selvatiche ed erbe aromati-che con spiccate proprietà salutari. Come bevande alcoliche erano consu-mate moderate quantità di vino, prevalentemente rosso. L’attività fisicaera svolta in modo soddisfacente.

Nella seconda metà del secolo scorso la società italiana è passata dauna tipologia prevalentemente agro-famigliare ad una prevalentementeindustriale-collettiva. Le modificazioni indotte nello stile di vita sonostate notevoli, con un forte impatto sul comportamento nutrizionale.L’apporto di energia giornaliero ha superato di circa 400 kcal il livello rac-comandato in gran parte per l’aumentato consumo di grassi, carni e ali-menti dolci. Gli alimenti di origine animale hanno subito un incrementodi consumo notevole, specialmente le carni e tra queste in particolare lacarne bovina per la quale si è registrato un aumento costante, con una fles-sione solo negli ultimi anni. Anche il consumo di carne suina, di pollamee di carne di coniglio ha raggiunto un sensibile incremento. Per i prodot-ti della pesca si osserva pure un consumo più elevato, mentre è diminuitoquello dei prodotti della pesca conservati. Per quanto riguarda gli alimen-ti di origine vegetale i consumi sono aumentati moderatamente per il fru-mento e sono diminuiti per i cereali minori e per il riso. I legumi secchi ealcuni ortaggi (patate, cavoli e cavolfiori) hanno mostrato un incrementoiniziale al quale ha fatto seguito una inversione di tendenza. Per tutti gli

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altri ortaggi si è verificato inizialmente un costante aumento dei consumiseguito da una contrazione nell’ultimo periodo che ha riguardato mele,pere, pesche e uva. Per tutta l’altra frutta, e in particolare per gli agrumi efrutta d’importazione, si è registrata una costante ascesa nei consumi. Igrassi da condimento si sono stabilizzati negli anni più recenti, dopo laforte crescita nel consumo nel ventennio ’52-’72; in questo periodo si èavuto un aumento soprattutto per gli oli di semi, mentre incrementi piùmodesti sono stati registrati per l’olio d’oliva e ancora meno marcati peri grassi animali (burro, lardo, strutto). Per quanto riguarda le bevandealcoliche il consumo di vino, dopo un moderato aumento iniziale, è dimi-nuito decisamente negli ultimi anni. In forte e costante crescita è il con-sumo di birra e di super-alcolici. L’attività fisica sia lavorativa, sia ricreati-va si è ridotta drasticamente. Tutte queste modificazioni unite all’inquina-mento ambientale e allo stress, che lo stile di vita attuale comporta, rap-presentano fattori di rischio per varie malattie cronico-degenerative.

Tra il 1960 ed il 1996 a Nicotera, secondo quanto emerso in uno stu-dio comparativo, il consumo di lipidi espresso come percento dell’energiaè aumentato dal 23 al 43,6 per cento, mentre il consumo di carboidrati èsceso dal 64 al 44,2 per cento. L’apporto di proteine è rimasto costantementre è aumentata la quota proteica derivante dalle carni. L’energia tota-le della dieta è aumentata del 20% e ciò in associazione ad una ridotta atti-vità fisica. L’Indice di Adeguatezza Mediterranea di 7,2 nel 1960 è scesonel 1996 per gli uomini a 2,2 e per le donne a 2,7.

La dieta mediterranea di riferimento italiana si può quindi definirecome una dieta moderata in cui alcuni alimenti caratteristici dell’areamediterranea, occupano sapientemente un posto preminente nel rispettodell’adeguatezza energetica, sia come apporto sia come dispendio

Innanzitutto va messo in evidenza l’appropriato bilancio tra apportoe dispendio energetico e ciò vale per tutte le età. I rapporti tra i macronu-trienti energetici rispondono a quelli riconosciuti come adeguati, cioè 12-15% dell’energia totale da proteine, 25-30% da lipidi e la restante quota dacarboidrati. L’energia da alcol etilico, fornito principalmente dal consumodi vino durante i pasti rientra nei valori accettabili: per l’uomo 2-3 bicchie-ri al giorno e per la donna 1-2 bicchieri.

Definito il valore della Dite Mediterranea di riferimento, è necessariointrodurre il concetto di “qualità” nutrizionale, intendendo l’insieme delleproprietà e delle caratteristiche di un prodotto che conferiscono ad esso

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le capacità di soddisfare varie esigenze. Nel settore alimentare la definizio-ne di “qualità” fa riferimento ai requisiti specifici delle derrate alimentari.Il “Codex Alimentarius” è un insieme di norme, stilate da apposite com-missioni istituite dalla FAO, che hanno valore a livello del commerciomondiale e che rappresentano delle “raccomandazioni” piuttosto che deiveri e propri decreti legislativi. Tuttavia, le norme, pur prendendo in con-siderazione le derrate alimentari ritenute fondamentali a risolvere i pro-blemi nutrizionali di alcuni paesi o i prodotti più interessanti del mercatomondiale, definiscono criteri di classificazione degli alimenti e di igienedegli stessi. In Italia l’organo preposto alla vigilanza di queste norme è ilMinistero dell’Agricoltura che conformemente alle norme suddette e aquelle ulteriormente erogate dalla CEE prevede per ogni alimento messoin commercio le seguenti norme: descrizione e presentazione del prodot-to, composizione chimica (% limite di H2O), definizione dei difetti, con-taminanti e aspetti igienici, etichettatura.

Dal punto di vista puramente igienico-sanitario-commerciale, lenorme suddette, rispondono sufficientemente all’esigenza di conoscere ilprodotto in termini qualitativi e quantitativi, tuttavia, dal punto di vistanutrizionale, nessuna informazione specifica viene data. D’altro canto, pergli stessi nutrizionisti sussiste l’esigenza di classificare gli alimenti secon-do proprietà più attinenti ai principi nutritivi, in termini di macro e micronutrienti, alla loro tipologia e alla bio-disponibilità di questi ultimi. Allo-ra, sulla base delle quantità definite dalle analisi bromatologiche di ognisingolo alimento e delle sostanze che lo compongono, si possono utiliz-zare degli indici capaci di definire la “qualità nutrizionale” di ciascun ali-mento, all’occorrenza, dell’intera dieta. D’altra parte non va dimenticatala complessità di fornire diete bilanciate secondo il modello mediterraneoe personalizzate secondo i fabbisogni calorici individuali. Comporre dieteche presentino la variabilità alimentare necessaria a fornire i nutrienti e lafibra nelle opportune dosi a soddisfare il dispendio energetico non è affat-to facile! Ancora meno facile risulterà definire diete equilibrate per sog-getti patologici dove la stessa dieta è da considerarsi un “atto medico”,spesso da associare alla terapia farmacologica. Allora ben vengano gli indi-ci nutrizionali in quanto capaci di caratterizzare e sintetizzare i principisalutistici e nutrizionali di ciascuna dieta.

Di seguito viene riportato un elenco degli indici nutrizionali: L’Indi-ce di Qualità Nutrizionale (INQ). Tale indice rappresenta il rapporto tra

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la percentuale di copertura del fabbisogno di nutrienti e la percentuale dicopertura del fabbisogno calorico per la porzione di alimento considera-to. L’INQ è una misura delle qualità nutrizionali dei singoli macronutrien-ti o dei micronutruienti contenuti nella pietanza rispetto ai valori standar-dizzati e di riferimento di una dieta bilanciata con importo calorico mediodi 2400 kcalorie (Larn). Esisteranno quindi tanti Indici di Qualità Nutri-zionale quanti sono le classi di macro e micronutrienti (INQprotidi,INQglucidi, ecc.) e ciò per ciascun alimento, per ciascuna pietanza o perl’intera dieta. I valori maggiori di 1 indicano che l’alimento preso in esameè una buona fonte del nutriente considerato, mentre valori inferiori ad 1indicano che l’alimento non contiene una quantità adeguata del nutrientedato. Si potrà quindi integrare la quota mancante di nutriente mediantel’assunzione di altri prodotti alimentari ricchi del nutriente in questione,in modo da ottenere una cosiddetta “razione bilanciata”.

Il Rapporto tra Protidi (V/A). Come già detto, una Dieta Mediterra-nea prevede una percentuale di protidi totali che può variare dal 10 al 15%,mentre l’apporto dei protidi vegetali deve essere doppio rispetto all’ap-porto dei protidi di origine animale. Il rapporto V/A dovrà attestarsiintorno a 2.

L’Indice Glicemico (IG). Oltre ai protidi è possibile caratterizzareanche la classe dei glucidi presenti in una particolare dieta e verificare seessa è composta da circa il 60% di tale specie. Gli alimenti più ricchi inglucidi o carboidrati sono il pane, la pasta, il riso e i dolci in generale. Èpossibile distinguere tra carboidrati semplici e carboidrati complessi ed illoro indice nutrizionale è rappresentato dall’indice glicemico (IG). Que-sto indice non è altro che il rapporto espresso in percentuale tra l’incre-mento della risposta glicemica post-prandiale di un certo alimento e quel-la che si ha da un alimento standard (pane bianco) che è consumato inquantità isoglucidica e che viene preso come riferimento. In pratica ciòche più interessa è la capacità che ha un alimento di innalzare il livello diglucosio nel sangue in un certo periodo di tempo, e sono già disponibilitabelle dove alcuni alimenti vengono classificati per range di IG, ossia pervelocità di assorbimento.

I rapporti tra acidi grassi. I grassi alimentari rappresentano un utilemagazzino energetico e la Dieta Mediterranea ne prescrive una percentua-le del 30%. Tuttavia se assunti in grandi quantità e in maniera continuatai grassi possono essere causa di malattie cronico-degenerative. La qualità

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nutrizionale dei lipidi contenuti nei vari cibi è strettamente connessa allaloro composizione in acidi grassi a diverso grado di insaturazione. È ormairisaputo che esiste una forte correlazione tra il numero dei doppi legaminegli acidi grassi e l’aumento del rischio cardio-vascolare. Su questa base,i nutrizionisti hanno elaborato due semplici criteri di valutazione:• IL RAPPORTO TRA GRASSI MONOINSATURI/SATURI (M/S) -- Una dieta

mediterranea ha generalmente un rapporto tra la quantità in grammidi acidi monoinsaturi rispetto a quelli saturi che dovrebbe essereuguale o maggiore di 2 al fine di presentare acidi meno condizionan-ti la colesterolemia.

• IL RAPPORTO TRA GRASSI POLINSATURI/SATURI (P/S) -- Analogamenteal rapporto precedente, una dieta mediterranea ha generalmente unrapporto tra la quantità in grammi di acidi polinsaturi rispetto a quel-li saturi, che potrebbe variare da 0.4 a 1. Proprio perché gli acidi gras-si hanno effetti differenti sul nostro organismo, i nutrizionisti trova-no utile differenziare più accuratamente la tipologia degli acidi grassi.Gli acidi a lunga catena, come ad esempio l’acido stearico e l’acidopalmitico hanno un effetto trombogenico maggiore degli acidi a cate-na corta risultando ulteriore causa di rischio cardiovascolare. Vicever-sa, acidi corti, come l’acido oleico, si dimostrano meno trombogeni-ci e pertanto vengono preferiti ai grassi a catena lunga.

Al fine, quindi, di controllare tali aspetti, è stato introdotto, dappri-ma: • L’INDICE DI ATEROGENICITÀ (IA) - L’IA prende in considerazione i

grassi monoinsaturi e distingue anche tra differenti tipi di acidi gras-si nel calcolare il potenziale aterogenico della dieta. E di seguito:

• L’INDICE DI TROMBOGENICITÀ (IT) - L’ IT attribuisce differentepeso ai diversi acidi grassi w-3 e w-6 in accordo con il loro potereantitrombogenico e include anche acidi grassi monoinsaturi. L’iper-colesterolemia, quale possibile causa di malattie cronico-degenerati-ve, può essere controllata mediante due parametri: il ColesteroloEsogeno, ossia il colesterolo introdotto con i vari alimenti; il Cole-sterolo Endogeno, ossia il colesterolo prodotto naturalmente dall’or-ganismo e di norma visto nella sua forma ossidata. Ovviamente, ilcolesterolo totale all’interno dell’organismo si somma e può portarsia livelli di rischio. Pertanto, sia nelle condizioni fisiologiche, tanto più

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nelle condizioni patologiche, dovrà essere tenuto sotto controllol’apporto di colesterolo proveniente dalla dieta. A tal fine alcuni ricer-catori americani individuano nel Cholesterol Saturated-Fat Index(CSI) un indice aderente ai valori metabolici.

• CHOLESTEROL/SATURATED FAT INDEX (CSI) - Il CSI viene usato percomparare differenti cibi e ricette e per valutare l’introito giornalierodi grassi. Esso esprime la qualità lipidica degli alimenti o dei menù efornisce nel contempo un valido indicatore per l’individuazione delrischio aterogenico. Il valore del CSI viene espresso in scala da 1 a1000. Il potenziale aterogenico del cibo si riferisce al colesterolo e aigrassi saturi in esso contenuti; minore è questo indice, più basse sonole probabilità di incidenza di malattie cardiovascolari.

Come è stato riportato si assiste oggi in Italia ad un deciso allontana-mento dalla tradizionale Dieta Mediterranea di riferimento italiana. E’indispensabile una profonda inversione di tendenza. Le malattie cronichesono nella maggior parte dei casi prevedibili, come dimostrano i numero-si studi epidemiologico-nutrizionali finora svolti. L’età, il sesso e la suscet-tibilità genetica non sono modificabili, ma possono esserlo molti fattori dirischio associati all’età ed al sesso. Tali fattori di rischio comprendono fat-tori comportamentali, come abitudini alimentari inadeguate, scarsa attivi-tà fisica, abitudine al fumo; fattori biologici, come dislipidemie, iperten-sione arteriosa, sovrappeso, obesità, iperinsulinemia e fattori socio-eco-nomici, culturali e ambientali.

Quanto sapientemente fanno osservare Iossa e Mancini, di seguitointegralmente riportato, costituisce motivo di profonda riflessione perl’intera società a tutti i livelli: “recentemente si è tentato di stimare ilrischio attribuibile a fattori dietetici sia per la patologia oncologica che perquella metabolico-vascolare. La riduzione dei grassi di origine animale el’aumento dei vegetali nella dieta può ridurre l’incidenza dei tumori delcolon e della mammella rispettivamente del 50% e del 27%, con un’effica-cia reale di circa il 75% rispetto a quella teorica. Una sostanziale riduzio-ne della prevalenza di obesità nelle donne in postmenopausa, comporta unulteriore 12% di riduzione del tumore mammario. Inoltre, riducendol’obesità nelle donne, si potrebbe anche ottenere una diminuzione del30% dell’incidenza di tumori dell’endometrio. Se al miglioramento delleabitudini alimentari si accompagna l’abolizione del fumo di sigaretta, si

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potrebbe ottenere una riduzione di circa l’80% dei tumori polmonari, del60% dei tumori vescicali, del 50% di quelli pancreatici. Un ridotto consu-mo di alcol associato all’abolizione del fumo di sigaretta, potrebbe addi-rittura produrre una diminuzione di circa il 90% dei tumori orofaringei edelle vie aeree superiori. Per quanto riguarda le malattie cardiovascolari, segli uomini e le donne italiane tra i 20 ed i 59 anni, in maggioranza abitua-ti ad alti consumi di grassi saturi e bassi consumi di mono e polinsaturi,modificassero le loro abitudini orientandosi verso la tradizionale alimen-tazione mediterranea, si potrebbe conseguire in 25 anni una riduzionedella mortalità cardiovascolare di circa il 18% (20% in meno di mortalitàcoronarica e 12% in meno di mortalità da ictus cerebrale). La diminuzio-ne di soli 3g del consumo quotidiano di sale, comporterebbe una riduzio-ne del 5% della mortalità cardiovascolare”.

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7La dieta mediterranea nell’era post-genomica

Laura Di RenzoBiologa molecolareUniversità degli Studi di Roma “Tor Vergata” e dirigente di Ricerca dell’Istituto Nazionale per la Dieta Mediterranea e la Nutrigenomica

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Il successo del progetto Genoma Umano e gli ormai affinati stru-menti della Biologia Molecolare hanno condotto la Nutrizione Umana ela Medicina in generale in una nuova era di ricerca e di applicazione clini-ca, assistendo nel campo della biologia molecolare ad una rivoluzione chepotremmo definire “Copernicana” con al centro le basi molecolari nellaorganizzazione di una nuova disciplina: la Nutrizione Molecolare. Fino adoggi farmaci e cure sono stati prescritti seguendo una “fortuita casualità”.Da oggi in poi affinché si possa cambiare qualcosa nella prevenzione, dia-gnosi e terapia delle malattie bisognerà partire dai fondamenti della malat-tia stessa, dalla reale profonda conoscenza, e quindi, dai meccanismi fisio-logici che ne sono alla base, già prima che se ne manifestino i sintomi, chese ne manifesti l’insorgenza.

Le interazioni che sussistono fra geni-proteine e nutrienti sono ormaiquasi del tutto prossime ad essere chiarite: le nuove discipline, Nutrigene-tica, Nutrigenomica, Metabolomica e le discipline associate, Epigenetica eProteomica, saranno materia di intensi studi nel prossimo futuro in quan-to in queste risiede la speranza di trasformare realmente le potenzialità diun nutriente rendendolo capace di giocare il ruolo di primo elemento nellaprevenzione e cura delle malattie, con particolare riguardo alle patologiecronico-degenerative, tumorali e dismetaboliche.

L’integrazione fra queste nuove discipline porterà ad un enorme svi-luppo delle conoscenze sulla Nutrizione, senza dimenticare il parallelosviluppo delle tecnologie, le biotecnologie, di supporto.

L’obiettivo innanzitutto è quello di scoprire come può esacerbarsiuna malattia a partire da una predisposizione genetica individuale, per poiandare oltre ed arrivare alle interrelazioni gene - proteina, gene - nutrien-te e quindi gene - metabolica, ed infine capire come l’accumulo (o lacarenza) di taluni metaboliti possa portare all’estrinsecarsi della condi-zione patologica definibile come malattia .

Il futuro sarà nella capacità di prevenzione dell’evento patologico,partendo dalla possibilità di dare i nutrienti e così i medicinali non più sumere basi empiriche, ma sulla profonda conoscenza dell’individuo, a par-tire dallo studio della sua struttura molecolare, ovvero da ciò che realmen-te lo differenzia dal resto: cibo e farmaci non più rimedi di una situazionedi dissesto biofisico ormai instauratasi, bensì essi stessi facenti parte di undiscorso globale di profilassi della malattia.

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Quanto esposto dovrà portare a risultati che potremo così riassu-mere: a) La necessità di esplorare il ruolo ed il meccanismo d’azione dei

nutrienti; b) Stabilire valori precisi, quantitativi, di fabbisogno di nutrienti e inter-

pretare le basi molecolari e cellulari delle variazioni individuali delfabbisogno stesso;

c) Capire, con maggiore accuratezza, la natura delle interazioni genoti-po - ambiente, focalizzando l’attenzione sulle relazioni intercorrentifra malattia cronico - degenerativa e anamnesi nutrizionale; d) Otti-mizzare la produzione del cibo, in particolar modo il suo contenutoin nutrienti ad elevato valore biologico, per determinati contestisociali individuabili geneticamente, etnicamente, economicamente eculturalmente .Un nutriente come potrebbe essere definito? Di sicuro a questa

domanda un paio di decenni fa si poteva rispondere molto più facilmente,mentre ora ha assunto diverse sfumature che lo caratterizzano, a comin-ciare dall’essere un’entità complessa, “un costituente perfettamente carat-terizzato (chimicamente, fisicamente e fisiologicamente) di una dieta, chepuò servire come fornitore di energia in termini di calorie, o come sub-strato, o come precursore per la sintesi di macromolecole, o di altri com-posti per la normale differenziazione, crescita, rinnovo, riparo difesa e/omantenimento della cellula, o ancora come una molecola segnale, uncofattore, un determinante della normale struttura molecolare e/o un pro-motore dell’integrità della cellula e dell’organismo”. Da questo si evincel’innumerevole quantità di azioni e funzioni che può svolgere un nutrien-te a cominciare dall’essere catalizzatore per determinate reazioni e gioca-re il ruolo di cofattore, dallo svolgere ed eseguire sequenze di istruzionipartecipando come molecola segnale, dal fornire substrati per macromo-lecole con una straordinaria varietà di funzioni, quali acidi nucleici, ami-noacidi per le proteine, dall’alterare la struttura molecolare e promuoverel’assemblaggio di altre strutture cellulari.

Dallo studio dei geni, tramite la Genomica e la Genetica, integratedal supporto fondamentale delle Nanotecnologie, della Bioinformatica ecorrelate alla Proteomica ed alla Metabolomica, potremo sicuramenteavere più nozioni su queste interrelazioni cellula-ambiente e quindi, orga-nismo-nutriente .

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Tutti ciò andrà ad influenzare in maniera determinante il fenotipo,che risulterà dalla somma di tutte le caratteristiche funzionali correlatecon lo stato di salute, ovvero “le caratteristiche fisiche e biochimicheosservabili di un organismo”. Il genotipo, da cui dipenderà in primo luogoil fenotipo, lo andiamo a descrivere come la sequenza genetica di un orga-nismo, mentre l’ambiente sarà la somma di tutte le variabili esterne, inte-grando conseguentemente la dieta, lo stile di vita, nonché ogni organismocoesistente. Le variazioni individuali saranno frutto delle differenze bio-logiche nel corredo genetico di ogni persona, nell’ambiente in cui si tro-veranno a vivere e nella memoria metabolica accumulata.

Le direzioni che verranno prese tengono tutte in considerazione ilfatto che ogni passaggio è influenzato, anzi è dipendente, dalle compo-nenti bioattive degli alimenti, e si rivolgono verso lo studio dell’originedella memoria cellulare, il DNA, tramite la Nutrigenetica, continuandocon il trascritto, l’mRNA e quindi la Nutrigenomica, non tralasciando lemodificazioni pre-trascrizionali che può subire il DNA (metilazioni, ilmetiloma, acetilazioni, in particolar modo) dunque l’Epigenetica per arri-vare alle proteine, alla stabilità dell’mRNA, e quindi al metaboloma con laMetabolomica andando a considerare le strutture enzimatiche, le modifi-cazioni subite da una proteina quali fosforilazioni, tiolazioni, glicosilazio-ni post-traduzionali.

Ogni studio andrà effettuato senza scordare l’importanza di fornireuna dieta che comunque tenga conto dell’RDA (Recommended DietaryAllowance), riducendo l’introito calorico giornaliero e mantenendolo alivelli stabiliti geneticamente e dettati dallo stile di vita di ciascuno.

E’ proprio in questa ottica della nuova frontiera della NutrizioneUmana che ben si inserisce la possibilità di seguire una dieta basata suidettami della Dieta Mediterranea, quale strumento di prevenzione prima-ria, di malattie cronico degenerative, per migliorare la qualità di vita.

Le raccomandazioni basate sulla Dieta Mediterranea dovrebbero por-tare a un aumento del consumo di frutta e verdura e di pesce e a modifi-care la qualità dei grassi e degli oli, così come la quantità di zuccheri e diamido.

Il consumo preferenziale di frutta, verdura, pesce così come l’atti-vità fisica e un’assunzione di alcool bassa o moderata, rappresentano con-dizioni per le quali esistono evidenze scientifiche convincenti a favore diun loro effetto nel ridurre il rischio per malattie cardiovascolari (CVD).

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Sostituendo gli acidi grassi saturi sia con gli acidi grassi monoinsaturi siacon gli acidi grassi poliinsaturi n-6, n-3 (PUFA), si ottiene una riduzionedel colesterolo plasmatico totale e lipoproteine a bassa densità (LDL). Glieffetti biologici dei PUFA n-3 sono ad ampio spettro, poiché agiscono alivello di lipidi e lipoproteine, pressione arteriosa, funzione cardiaca, com-pliance arteriosa, funzione endoteliale, reattività vascolare e elettrofisiolo-gia cardiaca, inoltre esplicano effetti antiaggreganti e antinfiammatori. Lefibre alimentari, una miscela eterogenea di polisaccaridi e lignina nondigeribili, riducono il colesterolo totale e le LDL. La relazione fra folati eCVD è stata esplorata soprattutto considerando gli effetti sull’omocistei-na, che può essa stessa rappresentare un fattore di rischio indipendenteper la malattia coronarica e probabilmente anche per l’ictus. L’acido folicoè necessario per la metilazione dell’omocisteina a metionina. Ridotti livel-li plasmatici di folati sono stati significativamente associati con elevatilivelli plasmatici di omocisteina ed è stato dimostrato che una supplemen-tazione di folati determina una riduzione di questi livelli . I flavonoidisono composti polifenolici che si trovano in numerosi alimenti di originevegetale, come the, cipolle e mele. Dati ottenuti da molti studi prospetti-ci documentano un’associazione inversa fra flavonoidi della dieta e malat-tia coronarica .

Lo scopo è dunque quello di poter avere diete realmente personaliz-zate adatte alle differenze individuali, seguendo la Dieta Mediterranea diriferimento.

La dieta sarà momento fondamentale della vita di una persona inquanto le componenti bioattive degli alimenti, scelti tra tutti quelli di pro-duzione locale mediterranei, freschi e secondo la stagionalità, tra il pesca-to delle nostre coste e gli allevamenti di animali locali per la produzione dicarne e derivati, saranno strumento medico nella lotta alle malattie edavvicineranno la funzione del nutriente a quella di un farmaco, anzi, faran-no sì che gli alimenti divengano essi stessi farmaci. Inizierà così l’era dellaNutraceutica.

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8Dieta mediterranea:come difenderla e come applicarla

Adalberta Alberti Vice Presidente dell’Istituto Nazionale per la Dieta Mediterranea e la Nutrigenomica

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Jacopo Bartolomeo Beccari,lo scopritore del glutine,vissuto nellaprima metà del 1700, così si esprimeva nei riguardi del modo di alimentar-si dell’uomo: Quid aliud sumus nisi id unde alimur? Questa sentenza vainterpretata nel senso che lo stato del nostro organismo non è altro chel’effetto biologico delle nostre abitudini alimentari . Dopo circa trecentoanni ci permettiamo di estendere il significato delle parole “unde alimur”al nostro comportamento nutrizionale o dieta.

Per “dieta” (dal greco diaita),si intende il regime di vita in rapportoal processo nutritivo, quindi la quantità e la qualità degli alimenti “consu-mati abitualmente e tutte le consuetudini collegate alla introduzione delcibo ed alla sua utilizzazione.

L’insieme degli alimenti che l’uomo liberamente sceglie o crede discegliere,che trova per la sopravvivenza o che gli viene prescritto nelladietetica fisiologica o terapeutica costituisce il punto in cui due categoriedi fattori convergono e nello stesso tempo si intersecano determinando-ne l’effetto biologico: da una parte fattori di natura digestiva, assorbitiva,ormonale, nervosa, dall’altra fattori legati alla ripartizione dei pasti duran-te la giornata, alle modalità di preparazione e di assunzione degli alimen-ti, all’entità del dispendio energetico, alle condizioni ambientali (1).

La nostra dieta, anche quando esiste una sufficiente disponibilità dialimenti, può non coincidere con le nostre reali esigenze nutrizionali.dalle quali essa purtroppo se ne allontana spesso e notevolmente. Eppuresiamo dotati di raffinati sistemi di controllo che regolano l’introduzionedi cibo e la percezione della sazietà. Tali sistemi, pur normalmente funzio-nanti,sono sopraffatti da fattori interferenti molto forti di carattere emo-tivo-simbolico,sociale,psicologico. (gli animali allo stato selvaggio, il cuicomportamento nutrizionale è governato da impulsi esclusivamente istin-tuali, non sono afflitti da obesità. Non così avviene per gli animali addo-mesticati o domestici , vittime di un’offerta di cibo che esula dalle lorofisiologiche necessità). Tali fattori portano alla adozione di abitudini ali-mentari e stili di vita che costituiscono fattori di rischio per gravi malattiecronico-degenerative, come cardiovasculopatie, diabete, neoplasie.

Prendiamo in esame la situazione italiana.Oggi gli errori più comuni della dieta degli italiani sono i seguenti:

• Eccessivo apporto di energia.• Squilibrio nella ripartizione dell’energia tra i nutrienti energetici• Eccessivi consumi di grassi saturi, carni, dolci, alcol etilico

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• Modesti consumi di verdura, frutta, prodotti della pesca, legumi sec-chi, cereali integrali.

• Prima colazione omessa o troppo scarsa.• Ridotta attività fisica

La dieta attuale è quindi lontana dalla “Dieta Mediterranea di Riferi-mento”, un tipo di dieta in cui prevale la moderazione e che è associata aduno stato di salute soddisfacente (2).

Ma gli italiani non si sono comportati sempre così dal punto di vistanutrizionale,anche se l’Italia per tradizione dovrebbe essere la terra delladieta mediterranea da seguire.

A questo punto è importante ricordare che non tutta la cucina tradi-zionale italiana riflette la tipica dieta mediterranea italiana con caratteri-stiche salutari. Così abbiamo ricette ricche, come tortellini al ragù, lasagnaal forno, sartù di riso, pappardelle al sugo di lepre, una volta riservate adoccasioni particolari, il cui effetto gustativo purtroppo raggiunge livellialtissimi e ricette più semplici che erano consumate abitualmente, comeminestroni, pasta e legumi, pasta con prodotti della pesca, pasta e brocco-li, il cui importante significato: nutrizionale ben si associa ad una notevo-le gratificazione sensoriale.

Prendiamo brevemente in esame quanto è avvenuto dal punto di vistanutrizionale nella società italiana dopo la Seconda Guerra Mondiale. Ilmiglioramento dello stile di vita, grazie alle rivendicazioni sociali, ha avutoimportanti ripercussioni sul comportamento nutrizionale.

La dieta dei lavoratori agricoli, dei pescatori, degli operai, delle fasce,cioè che rappresentavano la maggior parte della popolazione, si modificòmigliorandosi progressivamente, sostanzialmente per un aumentato con-sumo di alimenti di origine animale e per una riduzione del dispendioenergetico giornaliero. Nel contesto di queste modificazioni la dieta perun certo periodo di tempo mantenne molti degli aspetti positivi preceden-ti fino a raggiungere una fase di massimo miglioramento con i più adegua-ti aggiustamenti coincidenti con le caratteristiche della salutare DietaMediterranea e con un più basso rischio di mortalità e di morbilità perpatologie cronico degenerative su base nutrizionale.

Ma all’acme del miglioramento ha fatto seguito l’inizio di un proces-so inverso con graduale aumento dell’abituale apporto totale di energiadella dieta, eccessivo consumo di carni e derivati del latte e riduzione dialimenti di origine vegetale. Il dispendio energetico non ha compensato

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l’apporto di energia della dieta e l’organismo ha manifestato le sue rispo-ste negative.

Tutto ciò non ha riguardato soltanto gli adulti. Fin dall’età evolutiva,a livelli anche molto precoci, si sono osservate analoghe tendenze.

I consumi alimentari e lo stile di vita dei giovani sono diventati deci-samente meno salutari rispetto a quelli dei loro genitori e dei lorononni,come abbiamo rilevato dalle nostre indagini epidemiologiche (3).

La salutare dieta mediterranea va quindi difesa seriamente.Esistono valide ragioni scientifiche per tale difesa:

• Rapporto ottimale tra i nutrienti energetici.• I carboidrati sono rappresentati prevalentemente da amido, fornito in

gran parte da frumento e in quantità più moderata da legumi secchi,mentre la quota di saccaroso è notevolmente al di sotto della quanti-tà tollerata dagli esperti.

• La quota lipidica è ripartita tra acidi grassi saturi, mono e poliinsatu-ri in modo da rispettare i valori suggeriti, intorno al 7,5 % dell’ener-gia da saturi, 7,5% da poliinsaturi e 15% da monoinsaturi.

• La presenza di prodotti della pesca e dell’olio d’oliva assicura l’appor-to di acidi grassi essenziali (in particolare omega 3) e di acido oleico.Gli acidi grassi omega 3, come è noto, svolgono un’azione marcata di

prevenzione e controllo non solo nei riguardi delle malattie cardiovasco-lari, ma anche di varie altre patologie come cancro, artrite reumatoide,psoriasi, cataratta.

Da studi molto recenti (giugno 2006) emerge che una maggior ade-sione alla Dieta Mediterranea è associata ad una riduzione del rischio dimorbo di Alzheimer.

L’abbondanza di frutta e verdura assicura minerali e vitamine e nel-l’ambito di quest’ultime vitamine antiossidanti, inoltre offre compostifenolici con spiccata azione antiossidante (presenti anche nell’olio extra-vergine d’oliva e nel vino rosso) e fibra.

Perché oggi il problema degli antiossidanti è tanto preoccupante?Perché la dieta attuale non offre in quantità adeguate gli alimenti por-

tatori di sostanze antiossidanti e inoltre perché nell’epoca in cui viviamoil rischio di aggressioni ossidanti da parte dell’ambiente che ci circonda èpiù alto rispetto ad una volta; basti pensare al fumo di sigaretta, ai lipidiossidati della dieta; all’esposizione a pro-ossidanti, come ozono dellosmog, biossido d’azoto, alle radiazioni ionizzanti.

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E’ importante assicurare al nostro organismo, fin dalla più tenera età,già dalla vita intrauterina, la giusta disponibilità di componenti antiossi-danti.

Da una nostra recente ricerca su gestanti in condizioni fisiologiche èemerso che la capacità totale plasmatica antiossidante diminuisce con ilprogredire della gravidanza e raggiunge il valore più basso al parto, che ladiminuzione dal secondo al terzo trimestre è significativa e che esiste unacorrelazione positiva tra valori della madre al terzo trimestre e al parto evalori del funicolo ombelicale del rispettivo neonato (4).

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Fig. 1 - Valori dell’ORAC del sangue di donne durante la gravidanza ed alparto e del cordone ombelicale dei rispettivi neonati

A breve distanza di tempo è stato svolto uno studio il cui scopo eraquello di valutare la capacità antiossidante del colostro, latte di transizio-ne e latte maturo prelevato da donne in condizioni fisiologiche. Per ilcolostro e latte di transizione, i cui valori sono risultati leggermente piùelevati del latte maturo, si osserva una correlazione positiva con l’apportodelle provitamine e vitamine antiossidanti da parte della madre durantela gravidanza, mentre l’apporto di tali nutrienti durante il periodo delcolostro e latte di transizione erano correlati rispettivamente con i valoridella capacità antiossidante del latte di transizione e latte maturo (5).Questi risultati suggeriscono uno stretta relazione tra apporto di antios-sidanti durante la gravidanza e l’allattamento e la capacità antiossidante

* p> 0.05 rispetto al primo, secondo e terzo trimestre

*

*

Firsttrimester

5.7

5.5

5.3

5.1

4.9

4.7

4.5

ORA

C (m

mol

tro

lox

ep.)

Secondtrimester

Thirdtrimester

Delivery Umbilicalcord

V

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del latte di donna. Inoltre essi indicano che gli alimenti con elevato con-tenuto di antiossidanti (frutta e verdura) dovrebbero essere generosamen-te consumati durante la gravidanza e l’allattamento per consentire un sod-disfacente stato antiossidante della gestante e della nutrice e di riflessouna capacità antiossidante altrettanto soddisfacente del latte secreto.

Ancora una volta si ha conferma dell’utilità dell’adozione di una salu-tare dieta mediterranea

La migliore via da perseguire per difenderla ed applicarla è l’attuazio-ne di mirati interventi di nutrizione applicata, specifici per fasce differen-ti della popolazione: età evolutiva, genitori, anziani, gestanti, etc .E’necessario che la gente riceva messaggi scientificamente corretti e che lemodalità utilizzate siano adeguate ai tempi che viviamo. E’ difficile farcambiare le abitudini alimentari e lo stile di vita, far capire che anche pic-cole modificazioni (senza mai frustrare l’aspetto gustativo) possonomigliorare notevolmente lo stato di nutrizione e di salute .

Gli interventi di nutrizione applicata devono essere pianificati e svol-ti da equipes di esperti con la collaborazione di operatori che hanno segui-to seri corsi di formazione ad hoc. E’ insomma necessario un notevolerigore scientifico e grande impegno. Non si creda che è sufficiente unaconferenza o un rapido ed occasionale messaggio televisivo o la diffusio-ne di opuscoli noiosi e scritti a caratteri minuti. Occorre un lavoro mas-siccio e continuo che preveda la valutazione dell’efficacia degli interventi.

Che cosa si fa in Italia al riguardo? Poco e il poco è malfatto.I responsabili della salute pubblica devono sapere che esiste una

scienza: “l’Educazione Nutrizionale”, che purtroppo è calpestata, violatada improvvisatori, i quali, con grande disinvoltura, senza alcuna prepara-zione in materia, danno consigli nutrizionali attraverso i mass media allagente, allarmata e disorientata per quanto avviene oggi nel settore alimen-tare in Italia e nel mondo.

Il problema è complesso.Un utile mezzo da adottare a livello di popolazione per stimolare alla

riflessione sull’importanza della salutare Dieta Mediterranea è la diffusio-ne continua ed insistente di messaggi elaborati su base scientifica sia dalpunto di vista nutrizionale che di comunicazione. La famosa Piramide Ali-mentare, nata negli Stati Uniti svariati anni fa e diffusa ampiamente, nonha sortito effetti soddisfacenti. Le informazioni sono complicate e offer-te in modo impositivo per cui l’applicazione diventa difficile.

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Un esempio di nuovo approccio di guida nutrizionale a livello dipopolazione è il “TEMPIO DELLA DIETA MEDITERRANEA SALU-TARE”, proposto per l’adulto e presentato in occasione del ConvegnoInternazionale sulle Diete Mediterranee Europee (organizzato dal Prof.A. De Lorenzo presso l’Università di Roma Tor Vergata nel gennaio2003,(6).

Nel TEMPIO gli alimenti sono indicati con parole anziché con dise-gni, onde evitare l’eventuale influenza sulla soggettiva interpretazione delmessaggio. Il messaggio è presentato in modo non impositivo, semplice echiaro.

Nei primi due gradini alla base del Tempio (crepidoma) sono riporta-te due regole fondamentali di comportamento: “stile di vita più salutarepossibile” e”dispendio energetico della stessa entità dell’apporto energeti-co”. Il terzo gradino è riservato in gran parte all’olio vergine d’oliva,con-dimento di base della Dieta Mediterranea Italiana di Riferimento, ed inpiccola parte al vino (rosso). Nelle colonne esterne, più grandi delle cen-trali, sono indicati con caratteri di differente grandezza, in rapporto alledifferenti quantità da consumare, alcuni alimenti caratterizzanti la nostraDieta Mediterranea di Riferimento. Le due colonne centrali sono riserva-te ai legumi e al pesce, e ciò ne fa intuire facilmente l’importanza. Nelle

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Fig. 2 - Tempio della Dieta Mediterranea Salutare

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metope, situate in alto sotto al timpano, sono indicati gli alimenti noncaratterizzanti la nostra Dieta Mediterranea di Riferimento. Lo spazioriservato a ciascuno di essi è molto minore rispetto allo spazio dove sonoriportati gli alimenti caratterizzanti.

Nel timpano sovrasta la parola” Moderazione” ad indicare l’impor-tanza di non cadere in una dieta sbilanciata per difetto o per eccesso.

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BBiibblliiooggrraaffiiaa

1) ALBERTI A. Nutrizione applicata. Idelson-Gnocchi, Napoli , 2002.2) ALBERTI A. Do we need more adequate quality control indices for

the Referencee Mediterranean Diet. Diab Nutr Metab.2001;14:179-180.

3) ALBERTI-FIDANZA A, FIDANZA F, CHIUCHIÙ MP, VER-DUCCI G, FRUTTINI D. Dietary studies on two rural Italianpopulation groups of the SevenCountries Study. 3.Trend of food andnutrient intake from 1960 to 1991. Eur J Clin Nutr 1999;53:854-860.

4) ALBERTI-FIDANZA A, DI RENZO GC, BURINI G, ANTO-NELLI G, PERRIELO G. Diet during pregnancy and total antioxi-dant capacity in maternal and umbilical cord blood.J Mater Neo Med.2002;12:59-63.

5) ALBERTI-FIDANZA A, BURINI G, PERRIELLO G. Total anto-xidant capacity of colostrum, and transitional and mature humanmilk. J Mater Neo Med. 2002;11:275-279.

6) FIDANZA F, ALBERTI A. The Healthy Italian Medietranean DietTemple Food Guide. NutritionToday.2005;40:71-77.

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9Gli alimenti cardine della dieta mediterranea

Santo GiammancoDirettore dell’Istituto di Fisiologia e Nutrizione UmanaUniversità degli Studi di Palermo

Maurizio La GuardiaRicercatoreIstituto di Fisiologia e Nutrizione UmanaUniversità degli Studi di Palermo

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Gli effetti benefici dell’alimentazione mediterranea, basata sul consu-mo di olio di oliva, pane, ortaggi e frutta, ed arricchita dal consumo divino, erano noti fin dai tempi della Scuola Medica Salernitana (XI-XIIIsecolo). Grazie agli studi di Ancel Keys, l’alimentazione mediterranea haricevuto, nella seconda metà del secolo scorso, la consacrazione scientifi-ca come fonte di benessere. Infatti, i suoi studi, ai quali ne sono seguitimolti altri, hanno dimostrato una minor incidenza di patologie quali ate-rosclerosi, malattie cardiovascolari e tumori nell’area del Mediterraneo,rispetto al Nord Europa ed agli Stati Uniti. Questa minore incidenza sem-bra essere dovuta alla dieta mediterranea i cui alimenti cardine sono cerea-li, legumi, frutta, ortaggi, pesce, vino e olio di oliva (Ferro-Luzzi e Bran-ca, 1995).

Oggi, questi alimenti sono considerati la base dell’alimentazioneumana (figure 1 e 2).

Gli alimenti cardine della dieta mediterranea

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GGrraassssii,, OOllii,, DDoollcciiUSARE CON PARSIMONIA

LLaattttee,, YYoogguurrtt ee ffoorrmmaaggggii2-3 PORTATE

CCaarrnnee,, PPoollllaammee,, PPeessccee,, FFaaggiioollii sseecccchhiiUUoovvee ee nnoocccciioolliinnee

2-3 PORTATE

FFrruuttttaa2-4 PORTATE

PPaannee,, CCeerreeaallii,,RRiissoo ee PPaassttss

6-11 PORTATE

VVeeggeettaallii3-5 PORTATE

LLeeggggeennddaa

Questi simboli mostrano i grasi e gli zuccheri aggiunti nei cibi

Grassi naturali ed aggiunti Zuccheri aggiunti

Fig. 1 - “Piramide alimentare” diffusa dall’U.S. Departmentof Agriculture .U.S. Department of Healthand Human Services

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11.. CCeerreeaallii

Secondo le Linee Guida per una sana alimentazione Italiana, più dellametà (60%) delle calorie giornaliere deve provenire da carboidrati. Diquesto 60%, il 75% (quindi il 45% del totale) deve provenire da amido.Inoltre, è opportuno assumere ogni giorno circa 30 g di fibra alimentare.La base della nostra alimentazione deve essere dunque rappresentata daalimenti che contengono amido e fibra;::cereali e derivati, legumi, patate.

Tradizionalmente, i cereali più utilizzati in Italia sono rappresentatidal frumento e dai suoi derivati classici, il pane e la pasta.

Il pane presenta una proporzione in proteine e carboidrati che riflet-te grosso modo la proporzione della distribuzione raccomandata dalleLinee Guida (figura 3). A causa del ridotto contenuto lipidico non è pos-sibile considerarlo, di per sé, un alimento ben equilibrato; tuttavia, pro-prio per questa caratteristica, ben si presta ad equilibrare alimenti che con-tengono grassi.

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Fig. 2 - “Piramide alimentare” diffusa dall’U.S. Department of Agriculture.U.S. Department of Health and Human Services

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Nelle parti “cruscali” della cariosside del frumento sono presentibuone quantità di vitamine, sali minerali e di “fibra alimentare”, nei cerea-li rappresentata prevalentemente dalla cellulosa, importante per la regola-zione della motilità intestinale e, quindi per la prevenzione di patologiaquali stipsi, diverticolosi e carcinoma del colon. Se la cariosside non vieneutilizzata integralmente, nella farina sarà ridotto il contenuto in cellulosa,vitamine e sali minerali, con conseguente riduzione del valore nutriziona-le del pane (Fidanza e Liguori, 1984). Con una normale assunzione di paneintegrale, si copre una buona percentuale dei Livelli di Assunzione Racco-mandati di numerosi nutrienti: fibra, ferro, acido folico, vitamine B1, B6, PP(figura 4) (La Guardia e Giammanco, 2005).

Gli alimenti cardine della dieta mediterranea

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Fig. 3 - Confronto tra le percentuali di assunzione di nu-trienti energeticisuggerite dalle Linee Guida per una sana alimentazione ed il loro relativocontenuto percentuale nel pane

Fig. 4 - Percentuale del Livello di Assunzione Raccomandato di nutrientecoperto con gr. 200 (gr. 100 per il bambino) di pane integrale

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Anche la pasta scondita di per sé non è un alimento equilibrato; man-cano infatti quasi completamente i lipidi ed inoltre il valore biologico delleproteine è limitato. La pasta comunque viene sempre consumata cotta e incombinazione con altri alimenti. Una delle più comuni integrazioni èquella rappresentata dal condimento che prevede solitamente prodottivegetali (olio d’oliva, pomodoro) e formaggio tipo grana. Così, non solosi eleva sensibilmente il valore qualitativo e quantitativo delle proteine, masi ha una ripartizione dell’apporto calorico del tutto confrontabile conquello che una dieta equilibrata dovrebbe possedere (figura 5).

Inoltre, in questo modo, viene soddisfatta una buona percentuale deiLivelli di Assunzione Raccomandati di alcuni nutrienti (sali minerali evitamina A: figura 6) (La Guardia e Giammanco, 2005).

Gli alimenti cardine della dieta mediterranea

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Fig. 5 - Percentuali di assunzione di nutrienti energetici suggerite dalle LineeGuida per una corretta alimen-tazione e loro relative quantità (g) nella pastacruda, nella pasta cotta, nella pasta cotta condita con salsa di pomodoro, olioe grana

22.. LLeegguummii

Si tratta di alimenti poveri in grassi (eccetto la soia e le arachidi), ric-chi in proteine, amido e fibra alimentare. Per tale caratteristica sono con-siderati anch’essi “equilibratori della razione alimentare”.

La fibra alimentare presente nei legumi è rappresentata prevalente-mente dalla lignina e dalla pectina, piuttosto che dalla cellulosa; pertanto,essa è molto importante per l’insorgenza della sensazione di sazietà, piut-

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tosto che per l’aumento della motilità intestinale. Una porzione di legumisecchi assicura la copertura di quasi il 100% della quantità di assunzioneraccomandata di fibra (La Guardia e Giammanco, 2005).

33.. FFrruuttttaa ee OOrrttaaggggii

Gli effetti benefici di frutta e ortaggi sono legati non solo alla presen-za di fibra alimentare, sali minerali e vitamine, ma anche diversi compostiad attività antiossidante “phytochemical substances”. Studi epidemiologicihanno dimostrato una correlazione inversa tra assunzione di tali compo-sti, malattie cardiovascolari e tumori (Willett e Trichopoulos, 1996;Howard e Kritchevsky, 1997; La Vecchia, et al, 2001).

Ad esempio, negli agrumi questi composti sono rappresentati soprat-tutto da oltre 60 tipi diversi di flavonoidi (flavoni, flavanoni, flavonoli eantociani) (Horowitz e Gentili, 1977). I più abbondanti sono i FFLLAAVVAA--NNOONNII, sia nnoonn gglliiccoossiillaattii (NNAARRIINNGGEENNIINNAA ed EESSPPEERREETTIINNAA), sia gglliiccoossiillaattii(NNEEOOEESSPPEERRIIDDOOSSIIDDII, più abbondanti nell’arancia amara e nel bergamotto:naringina, neoesperidina, neoeriocitrina; RRUUTTIINNOOSSIIDDII, più abbondanti nellimone: esperidina, narirutina, didimina) (Macheix, et al, 1990; Gionfrid-do, et al, 1996; Di Majo, et al, 2005). Ciascuno di questi composti presen-ta una sua propria capacità antiossidante, strettamente legata alla struttu-ra chimica (coniugazione con il neoesperidosio, numero e posizione deigruppi idrossilici, O-metilazione, O-glicosilazione: Di Majo, et al, 2005).

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Fig. 6 - Percentuale del Livello di Assunzione Raccomandato di nutrientecoperto con g 300 (g 200 per il bambino) di pasta cotta e condita con olio,salsa di pomodoro e grana

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44.. PPeessccee

Un’osservazione epidemiologica degli anni ’70 evidenziò che popola-zioni della Groenlandia avevano una ridotta incidenza di mortalità perinfarto del miocardio, rispetto ad altre popolazioni europee, nonostanteuna alimentazione caratterizzata da un elevato consumo di grassi e di cole-sterolo e da un basso consumo di ortaggi e frutta (“Paradosso degli Eschi-mesi”: Bang, et al, 1971).

L’effetto protettivo venne messo in relazione con la presenza di acidigrassi della serie w-3 (acido eicosapentaenoico: EPA; acido docosaesae-noico: DHA) (Dyerberg e Bang, 1979). Inizialmente si suppose che taleeffetto fosse legato alla loro attività antiaggregante piastrinica, ma quandosi osservò che i soggetti che utilizzavano abitualmente pesce due volte asettimana non erano protetti dal primo infarto (Ascherio, et al, 1995;Guallar, et al, 1995), ma avevano una riduzione della mortalità postinfar-tule da aritmie ventricolari postischemiche (Albert, et al, 1998), si com-prese che questi acidi grassi dovevano svolgere altre attività.

Oggi gli acidi grassi w-3 sono considerati ipotrigliceridemizzanti(Eritsland, et al, 1995; Connor e Connor, 1997; Harris, 1997) e antiarit-mici (Kang e Leaf, 1996; Connor e Connor, 1997; Simopoulos, 1997).Infatti, la morte cardiaca improvvisa è spesso causata da aritmie ventrico-lari maggiori in pazienti con malattia cardiovascolare nota, anche se puòverificarsi anche nei soggetti sani.

Recentemente, è stato osservato che una ridotta variabilità della fre-quenza cardiaca tra la notte ed il giorno (la frequenza cardiaca si riducenormalmente durante il sonno) è indice di una eccessiva sensibilità delcuore ai fattori che ne influenzano l’eccitamento. La riduzione della varia-bilità della frequenza cardiaca (HRV) è associata ad un aumento dellamortalità nei pazienti postinfartuati (Copie, et al, 1996; Bauer, et al, 2006).

Gli acidi grassi w-3 possono aumentare la variabilità della frequenzacardiaca determinando così un innalzamento della soglia di fibrillazioneventricolare che si traduce in un effetto di protezione nei confronti delmiocardio contro aritmie ventricolari (Christensen, et al, 1996; Villa, et al,2002; Christensen, 2003).

55.. OOlliioo dd’’oolliivvaa

L’olio di oliva è la principale fonte di grasso della dieta mediterraneaed è costituito da una fazione saponificabile (95%-99%) e da una frazio-ne non saponificabile (0,4%-5%). La frazione saponificabile è costituita

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da trigliceridi, acidi grassi saturi, mono- e polinsaturi; la frazione nonsaponificabile dell’olio extra vergine di oliva è costituito principalmenteda tocoferoli e polifenoli.

L’acido grasso maggiormente rappresentato è l’acido oleico (65-80%), acido grasso monoinsaturo a 18 atomi di carbonio, w-9.

Un maggior consumo di acidi grassi monoinsaturi, anziché polinsa-turi, riduce il rischio di aterosclerosi, in quanto le lipoproteine circolantisono meno sensibili alla perossidazione (Reaven, et al, 1991; Bonanome,et al, 1992; Moreno e Mitjavila, 2003). Inoltre, l’acido oleico riduce i livel-li di colesterolo e di colesterolo LDL, senza ridurre quelli di colesteroloHDL; anche il contenuto in colesterolo delle small-LDL è ridotto (Matt-son e Grundy, 1985; Grundy, 1986; Mensink e Katan, 1989; Thomsen, etal, 1999; Archer, et al, 2003). Al contrario, gli acidi grassi polinsaturi, purriducendo il livelli di colesterolo totale, riducono i livelli di colesteroloHDL (Shepherd, et al, 1978; Vega, et al, 1982; Jackson, et al, 1984; deBruin, et al, 1993). Pertanto, la sostituzione dell’acido linoleico nella dietacon acido oleico riduce i livelli di LDL e aumenta quelli di HDL (Madi-gan, et al, 2005) e un apporto nella dieta (di circa il 15% delle calorie tota-li) di acido oleico diminuisce i livelli plasmatici di colesterolo-LDL eincrementa quelli di colesterolo-HDL (Reaven, et al, 1993).

Tuttavia, gli effetti dell’olio d’oliva non possono essere ascritti sem-plicemente alla composizione in acidi grassi. Tali effetti sono collegabilianche alla presenza di sostanze ad attività antiossidante, identificate neicomposti fenolici (Mancini e Rubba, 2000).

La classe dei fenoli include numerose sostanze, tra cui composti feno-lici sseemmpplliiccii come l’acido vanillico, l’acido gallico, l’acido cumarico, l’aci-do caffeico, il tirosolo e l’idrossitirosolo e composti più complessi come iSSEECCOOIIRRIIDDOOIIDDII (oleuropeina e ligstroside), e i LLIIGGNNAANNII (1-acetossipinoresi-nolo e pinoresinolo) (Vasquez Roncero, 1978; Tsimidou, et al, 1996; Tri-poli, et al, 2005). La quantità di queste sostanze dipende da numerosi fat-tori: cultivar, condizioni pedo-climatiche, sistemi di coltivazione, grado dimaturazione, tipo di terreno, etc).

L’oleuropeina è un estere dell’idrossitirosolo con lo scheletro oleosi-dico comune ai glucosidi secoiridoidi delle Oleaceae. Impartisce all’olioquel suo caratteristico gusto piccante e amaro, e possiede una spiccataproprietà antiossidante, dimostratasi superiore a quella della vitamina E(Visioli, et al, 1998; Owen, et al, 2000a; Keceli e Gordon, 2001).

La loro capacità antiossidante è associata alla capacità di neutralizza-re i lipoperossidi, con formazione di composti più stabili (Visioli & Galli,

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1998); inoltre, sono in grado di chelare ioni metallici, evitando il lorocoinvolgimento nella reazione di Fenton, dalla quale si generano radicaliidrossilici (Halliwell e Gutterige, 1990; Halliwell et al, 1995).

L’olio extravergine d’oliva, grazie all’alto rapporto tra acidi grassimonoinsaturi e acidi grassi saturi, alle vitamine, ai flavonoidi fenolici e aipolifenoli, gioca un ruolo importante nella prevenzione di alcuni tumoriin particolare esplica un effetto preventivo sui tumori dell’endometrio edelle ovaie, della mammella, della prostata, del colon-retto (Hertog, et al,1995; Willett e Trichopoulos, 1996; World Cancer Fund and AmericanInstitute for Cancer Prevention, 1997; Trichopoulou, et al, 2000; Owen,et al, 2000b). A tal proposito, studi in vitro hanno evidenziato che i poli-fenoli dell’olio di oliva possiedono un effetto citotossico su linee cellula-ri tumorali, probabilmente per induzione dell’apoptosi, e che sono ingrado di indurre differenziazione. Inoltre, la presenza di idrossitirosoloriduce, in vitro, gli effetti biochimici dei perossinitriti, come la deamina-zione dell’adenina e della guanina in alcune linee cellulari (Deiana, et al,1999). Infine, i lignani hanno anche attività antiestrogenica ed inibisconola proliferazione indotta da estrogeni di cellule umane di carcinoma mam-mario (Mousavi e Adlercreutz, 1992).

Numerosi studi epidemiologici hanno messo in evidenza che il con-sumo di olio extravergine di oliva ha un’efficacia preventiva nei confrontidell’aterosclerosi e delle patologie cardiovascolari (Hertog, et al, 1995;Trichopoulou, et al, 1999). Gli studi in vitro hanno evidenziato che i poli-fenoli dell’olio extravergine di oliva sono capaci di inibire l’ossidazionedelle LDL (Scaccini, et al, 1992; Visioli, et al, 1995 e 2000; Rice-Evans, etal, 1996; Wiseman, et al, 1996; Cao, et al, 1997; Masella, et al, 1999; More-no e Mitjavila, 2003; Nicolosi, et al, 2004), di diminuire i livelli plasmati-ci del complesso LDL-colesterolo ed incrementare quelli di HDL-coleste-rolo (Reaven, et al, 1993a), di inibire l’aggregazione piastrinica (Srivasta-va e Awasthi, 1983; Sato, et al, 1987; Kwon, et al, 1991; Petroni, et al,1995; de La Puerta, et al, 2000) e l’attività della lipossigenasi (Kohyama, etal, 1997; de la Puerta, et al, 1999; Martinez-Dominguez, et al, 2001), diinibire la produzione di radicali liberi sia attraverso un meccanismo di che-lazione che attraverso un’azione antiossidante di tipo diretta (Halliwell eGutterige, 1990; Halliwell, et al, 1995; Visioli e Galli, 1998b; Tripoli, et al,2005).

In collaborazione con l’Agenzia delle Dogane di Palermo, abbiamo

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eseguito un confronto del contenuto in composti fenolici in campioni diolio proveniente dalla cultivar Nocellara del Belice di due annate diverse(2003-04 e 2004-05) e da una cultivar cretese (Koroneiki) del 2004-05,considerate le notevoli analogie morfologiche, climatiche, di coltivazionee di metodologia di raccolta delle olive.

Il contenuto in acido oleico è maggiore nella cultivar cretese, anchese la differenza è debolmente significativa (figura 7). Anche il contenutoin tocoferoli tende ad essere maggiore nella Koroneiki (figura 8); pertan-to, si può ragionevolmente supporre che sia maggiore la sua capacitàantiossidante totale.

Gli alimenti cardine della dieta mediterranea

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Fig. 7 - Percentuale di acido oleico in oli provenienti da olive Nocellara delBelice (annate 2003-2004 e 2004-2005 e Koroneiki (annata 2004-2005)

Fig. 8 - Contenuto in tocoferoli (espressi in mg/kg di alfa-tocoferolo) in oliprovenienti daolive Nocellara del Belice (annate 2003-2004 e 2004-2005)e Koroneiki (annata 2004-2005)

Figure 8 e 9 - Da: Composizione dell’olio d’oliva. Confronto tra oli ottenuti da cultivar del bacino Mediterraneo:Nocellara del Belice (Sicilia) e Koroneiki (Creta). Tesi di Laurea Specialistica in Farmacia di Monica Konstan-tulaki

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Fig. 8 - Contenuto in polifenoli (espressi in mg/kg di acido caffeico) in oliprovenienti daolive Nocellara del Belice (annate 2003-2004 e 2004-2005)e Koroneiki (annata 2004-2005)

Da: Composizione dell’olio d’oliva. Confronto tra oli ottenuti da cultivar del bacino Mediterraneo: Nocellara delBelice (Sicilia) e Koroneiki (Creta). Tesi di Laurea Specialistica in Farmacia di Monica Konstantulaki

Per quanto riguarda il contenuto in polifenoli, le differenze nellacomposizione degli oli del 2003-2004 e del 2004-2005 sottolineano l’im-portanza dell’annata. Infatti, il contenuto in polifenoli nelle due diversecultivar della stessa annata è molto simile, ed è inferiore a quello dellaNocellara del Belice del 2003-04 (figura 9). Questo è spiegabile conside-rando che entrambe le cultivar hanno subito, nel 2004-2005, l’infestazio-ne della mosca olearia. I polifenoli sono sostanze che le piante utilizzanocome difesa nei confronti dei parassiti; pertanto, le piante infestate nemostrano un contenuto minore.

Mentre la maggior parte degli studi condotti sulle linee tumoralihanno sottolineato l’importanza di queste sostanze nella prevenzione delcancro, pochi sono gli studi sulle loro potenzialità nella terapia dei tumo-ri. Alcuni recenti studi da noi condotti hanno valutato l’effetto di questemolecole su linee cellulari tumorali che acquisiscono una resistenza alleterapie convenzionali (multi drug resistance: MDR); tale resistenza simanifesta dopo pochi cicli di terapia ed è considerata la principale causa difallimento della terapia nei pazienti affetti da cancro.

Abbiamo valutato la sensibilità di cellule della leucemia promielociti-ca HL60 nelle varianti sensibile e resistente alle antracicline con fenotipodi tipo MDR ad una miscela di polifenoli (estratto crudo) contenuti edestratti dall’olio extravergine “Moraiolo”. È stato scelto l’estratto crudopiuttosto che le singole molecole, per rappresentare meglio la miscela

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Fig. 10 - Effetto dell’estratto grezzo sulla crescita di cellule di leucemiaHL60/S e HL60/R esposte per 48 ore. I risultati sono la media di quattroesperimenti indipendenti

polifenolica assunta con la dieta e per sfruttare un’eventuale azione siner-gica di questi composti (figure 10, 11, 12, 13: Crescimanno, et al, 2006).

La variante sensibile ha mostrato una buona sensibilità alla miscela dipolifenoli così come è stato descritto da altri Autori (Della Ragione, et al,2000; Fabiani, et al, 2002; Gill, et al, 2005).

La variante resistente ha mostrato di essere sensibile all’effetto del-l’estratto grezzo quasi come la variante sensibile (figura 10), mostrandocosì che l’uso di questi polifenoli è in grado di abbattere una grossa quotadi resistenza che si oppone all’efficacia di un trattamento convenzionalecon doxorubicina, antraciclina verso la quale la stessa linea cellularemostra una resistenza pari a 27 volte.

Poiché è stato riportato che uno dei meccanismi che stanno alla basedell’effetto antiproliferativo di questi composti è mediata dall’induzionedell’apoptosi (Fabiani, et al, 2002), la buona sensibilità delle due varianticellulari ci ha indotto a verificare se la minore sensibilità della varianteresistente all’estratto grezzo fosse dovuta ad un resistenza all’apoptosi.Altri Autori hanno indicato che l’idrossitirosolo, polifenolo contenutonell’olio extravergine di oliva, agisce inducendo apoptosi nel 65% di cel-lule trattate con una dose pari a 100 µM dopo 24 ore di esposizione e che

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l’induzione dell’apoptosi sembrerebbe essere mediata da un aumentatorilascio di citocromo c (Della Ragione, et al, 2000).

I risultati sperimentali da noi ottenuti indicano che l’estratto grezzoè particolarmente attivo nell’induzione dell’apoptosi sulla variante resi-stente (figure 11 e 12) dove la doxorubicina ed altri farmaci antitumoralio non sono in grado di indurre apoptosi o la inducono in percentualimolto basse e a dosi che sono particolarmente tossiche.

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Fig. 11/12 - Effetto dell’estratto grezzo sull’induzione dell’apoptosi in celluleHL60/S e HL60/R esposte per 24 ore. I dati si riferiscono a tre esperimentiindipendenti

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È da puntualizzare che alcune cellule di leucemia HL60 resistentimantengono un meccanismo residuo di resistenza all’induzione dell’apop-tosi dopo esposizione all’estratto grezzo. Tuttavia, in queste cellule siosserva una induzione della differenziazione. Infatti i risultati ottenutinegli esperimenti di differenziazione indicano che il composto grezzo ècapace di indurre differenziazione monocitica sia nella variante sensibileche nella variante resistente (figura 13).

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Fig. 13 - Le cellule HL-60 S ed R esposte per 4 giorni all’estratto crudomostrano una MORFOLO-GIA MONOCITARIA distinguibile da quellablastica delle linee cellulari non trattateA: controllo HL60/SB: controllo HL60/RC: differenziazione monocitaria delle cellule HL60/S dopo 4 giorni di espo-

sizione all’estratto crudoD: differenziazione monocitaria delle cellule HL60/R dopo 4 giorni di espo-

sizione all’estratto crudo

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66.. VViinnoo

L’interesse per gli effetti benefici del consumo di moderate quantitàdi vino nasce anche in questo caso da un’osservazione epidemiologica. InFrancia, la prevalenza di patologie legate all’aterosclerosi è minore rispet-to a quella di altri Paesi che hanno pari livelli di consumo di grassi conacidi grassi saturi e colesterolo (“Paradosso francese”: Renaud e De Lor-geril, 1992). Dapprima l’effetto protettivo venne attribuito all’alcol, mapoiché tale effetto non si osservava nei gruppi di popolazione che assume-vano abitualmente bevande alcoliche diverse dal vino (Gronbaek et al,1995; Jepson, et al, 1995; Ticca, 1995; Ghiselli, et al, 1998; Wollin e Jones,2001), mentre si osservava in seguito a somministrazione di estratti deal-colati di vino ad animali da laboratorio (Serafini, et al, 1998), si compreseche era legato alla presenza di componenti “minori”, i composti fenolici(Landrault, et al, 2001).

Le sostanze ad attività antiossidante nel vino si classificano in ffllaavvoo--nnooiiddii (FFLLAAVVAANNOOLLII: miricetina, quercetine, canferolo, ramnetina, isoram-netina; FFLLAAVVAANN--33--OOLLII: epicatechine, catechina, leucoantociani; AANNTTOOCCIIAA--NNIINNEE) e nnoonn ffllaavvoonnooiiddii (DDEERRIIVVAATTII DDEELLLL’’AACCIIDDOO BBEENNZZOOIICCOO: acidi gallico,protocatecuico, vanillico, siringico; DDEERRIIVVAATTII DDEELLLL’’AACCIIDDOO IIDDRROOSSSSIICCIINN--NNAAMMMMIICCOO: acidi caffeico, ferulico, p-cumarico; SSTTIILLBBEENNII: resveratrolo,piceatannolo) (Minussi, et al, 2003).

Anche in questo caso, la quantità di queste sostanze dipende da fat-tori molto diversi. È fondamentale il tipo di vinificazione; infatti, poichémolti composti fenolici sono presenti nella buccia dell’acino, e poiché lavinificazione “in rosso” non prevede l’allontanamento delle bucce primadella fermentazione, la quantità dei composti fenolici nei vini rossi è mag-giore (Bravo, 1998).

Oltre che la tecnica di vinificazione, vi sono diversi altri fattori cheinfluiscono sulla quantità di polifenoli del vino. Ad esempio, anche lemodalità di conservazione possono avere un loro ruolo. In collaborazionecon l’Institut Universitaire de la Vigne et du Vin “Jules Guyot”, Universitéde Bourgogne, (Dr. David Chassagne), abbiamo osservato che il contenu-to in resveratrolo e malvidina si riduce se il vino viene conservato in bottidi legno; infatti, parallelamente alla riduzione del contenuto di questi poli-fenoli, si assiste ad un aumento della loro presenza nel legno delle botti(figure 14, 15, 16, 17).

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Fig. 14 - Cinetica di decadimento della concentrazione di malvidina-3-O-glucoside dopo 35 giorni di contatto con il legno di rovere

Fig. 15 - Cinetica di assorbimento della malvidina-3-O-glucoside da partedel legno di rovere dopo 35 giorni di contatto

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Fig. 16 - Cinetica di decadimento della concentrazione di resveratrolo dopo35 giorni di contatto con il legno di rovere

Fig. 17 - Cinetica di assorbimento del resveratrolo dopo 35 giorni di contat-to con il legno di rovere

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Tuttavia, non è detto che la capacità antiossidante di un vino sia lega-ta alla quantità assoluta in composti fenolici. Infatti, nei nostri laboratoriabbiamo riscontrato che non esiste alcuna relazione tra il contenuto inpolifenoli dei vini rossi e la loro capacità antiossidante (figura 18). Eviden-temente, la capacità antiossidante totale dipende anche da altri fattori,come potrebbe essere il grado di aggregazione delle molecole polifenoli-che nel vino (Di Majo, et al, 2006).

Infine, in collaborazione con il Centre d’Oenologie, della Facoltà diFarmacia di Montpellier (Prof. P.L. Teissedre), abbiamo valutato, nei ratti,l’effetto correttivo delle molecole fenoliche più rappresentative suglieffetti metabolici associati alla sindrome metabolica indotta da fruttosio.L’acido gallico si è dimostrato il più efficace nel ridurre la pressione arte-

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Fig. 18 - Confronto tra contenuto il polifenoli totali e capacità antiossidantedi vini rossi provenienti da diverse cultivar siciliane

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riosa (figura 19); l’indice HOMA (Homeostatic Model Assessment: Gluco-sio Plasmatico ** Insulina del siero // 22,5) di insulinoresistenza è stato cor-retto da acido gallico e delfinidina (figura 20); la produzione di anionesuperossido e la sovraespressione delle subunità “p22phox” e “gp01phox”della NADPH ossidasi (parametri di valutazione dello stress ossidativo)da acido gallico, delfinidina, catechina e resveratrolo (figure 21 e 22). Nes-sun effetto abbiamo riscontrato su glicemia, insulinemia, assetto lipidico,indice di massa cardiaca, livelli degli Advanced Oxidative Protein Products(prodotti di ossidazione degli aminoacidi solforati ed aromatici delle pro-teine, considerati marcatori protidici dello stress ossidativo, responsabilidella formazione di dimeri della tirosina).

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Fig. 19 - Valori di pressione arteriosa negli animali a fine trattamento

Fig. 20- Valori dell’indice HOMA di insulino-resistenza negli animali a finetrattamento

F= lotto alimentato con fruttosio; FC= lotto alimentato con fruttosio e catechina; FAG= lotto alimentato con frut-tosio e acido gallico; FR= lotto alimentato con fruttosio e resvera-trolo; FD= lotto alimentato con fruttosio e delfi-nidina; FMél= lotto alimentato con fruttosio e miscela al 25% di catechina, acido gallico, delfinidina e resveratrolo

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Fig. 21 - Valutazione della produzione cardiaca di anione superossido neglianimali a fine trattamento

Fig. 22 - Valutazione della sovraespressione delle subunità “p22phox” e“gp01phox” della NADPH ossidasi negli animali a fine trattamento

77.. CCoonncclluussiioonnii

L’opinione, basata soprattutto sui dati epidemiologici, secondo laquale la Dieta mediterranea è utile nella prevenzione di diverse patologiedegenerative, è ormai diffusa e considerata scientificamente valida.

Oggi è tuttavia indispensabile proseguire nella ricerca, sia al fine diidentificare i componenti chimici responsabili degli effetti benefici pre-senti nei diversi alimenti tipici della Dieta mediterranea, sia per determi-narne il meccanismo d’azione.

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10Dieta mediterranea e tumori

Nicola GebbiaPrimario dell’U.O. Complessadi Oncologia Medica del PoliclinicoUniversitario di Palermo

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Approfitto dei momenti di approntamento informatico per ringrazia-re Nino Bacarella, un caro amico che mi ha voluto coinvolgere.

Naturalmente delle cose che dico in buona parte avrete magari giàsentito parlare questa mattina, ma forse dette dal punto di vista del medi-co qualche differenza ci può essere.

Una decina di giorni fa sono stato invitato a fare un seminario suiprodotti tipici dell’alimentazione mediterranea presso la Facoltà di Agra-ria e ho scelto di dare il titolo: “Rapporto tra alimentazione e malattieneoplastiche: dall’aneddotica ai dati scientifici”. Perché se è pur vero che itumori rappresentano 1/4 in assoluto delle morti che colpiscono i nostripaesi industrializzati – cioè una persona su quattro muore di tumore – èanche vero che il tipo di alimentazione rappresenta indubbiamente lacausa di circa 1/3 dei tumori, che è poi la stessa percentuale di tumori chesi ritiene siano causati dal fumo del tabacco. I dati che vedete (Fig.1) sonodrammatici, perché ci dicono che in realtà il 60-70% dei tumori ce lo cau-siamo noi stessi attraverso una cattiva alimentazione o attraverso l’uso deltabacco.

Quando si parla di alimentazione e di cancro ci troviamo di fronte adun problema che ha due facce, vale a dire una specie di Giano nel quale daun lato bisogna prendere in considerazione il fatto che alcune sostanze

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Fig. 1

Willett W.C.,(2001), Cancer Epidemiol. Biomarkers Prev. 10, 3.

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che introduciamo con la dieta possono avere un effetto protettivo, men-tre altre sostanze invece possono causare il cancro. Sappiamo infatti chealcune sostanze presenti negli alimenti sono sicuramente cancerogene edobbiamo cercare di evitarle. Tra esse le prime che vengono in mente sononaturalmente i contaminanti, (Fig.2) ma attenzione, non tutti gli inqui-nanti sono cancerogeni, e questo elenco (Fig.3) individua quelli che sicu-ramente lo sono. E’ però interessante vedere, per così dire, l’altra facciadella medaglia, vale a dire ciò che è presente nel cibo e che invece ha un

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Fig. 2

Fig. 3

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effetto protettivo. L’effetto di protezione viene accreditato con moltafacilità, direi in maniera decisamente eccessiva per la voglia di promuove-re un determinato alimento. Ma, come già detto, se vogliamo passare dal-l’aneddotica ai fatti concreti scientificamente provati, solo alcune cosesono accertate, per esempio è assolutamente certo che le fibre funzioninoin senso protettivo; ma altre cose che si dicono su agrumi, uve, e così viaper un’infinita serie di alimenti, sono spesso ancora da convalidare scien-tificamente. Non è infatti sufficiente ipotizzare un qualche meccanismod’azione in laboratorio per accreditare, a questo ipotetico meccanismod’azione, un effetto protettivo che vediamo epidemiologicamente nellenostre popolazioni. Le cose sono molto più complicate ed è necessario,per comprenderle, delineare come si valutano scientificamente i rapportitra epidemiologia del cancro ed alimentazione.

Guardiamo la situazione a livello europeo (Fig.4). Quelli che vedetein rosso sono i tassi per centomila di mortalità per uomo e per donna. Iltriste record della maggiore mortalità per cancro appartiene alla Franciaper gli uomini, alla Danimarca per le donne, mentre la Grecia ha l’invidia-bile primato di essere il posto dove meno si muore di cancro.

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Fig. 4

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L’Italia, come vedete, è collocata in una situazione intermedia ma,come è rilevabile da questi altri dati (Fig.5) presenta nelle sue regionisituazioni estremamente diverse. Nel grafico vengono mostrate insieme lemortalità per tumori, in rosso, o per malattie del sistema circolatorio, ingiallo-arancio, e vedete come dal Nord verso il Sud si ha una grossa pro-gressiva riduzione della mortalità per tumori, delineando quindi scenariestremamente diversi.

Cosa si fa quando si vuole fare un rapporto scientificamente correttofra alimentazione e tumori? Dobbiamo naturalmente identificare i com-posti cancerogeni presenti nei cibi caratteristici di una certa alimentazio-ne, ma anche quelli che hanno un’azione protettiva. Dobbiamo poi iden-tificare i meccanismi con cui essi esplicano queste loro azioni, per giunge-re infine al punto finale d’arrivo che è quello della messa a punto di dietein cui vengono utilizzate queste conoscenze.

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Fig. 5

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I tumori nascono con una progressione che ormai conosciamo(Fig.6). C’è un danno iniziale nel DNA da parte di sostanze che sono disolito dei mutageni. Caratteristico agente mutageno sono le radiazioni,per esempio. Questo primo danno viene fissato successivamente, in unafase che viene detta di promozione, da sostanze che in gran parte di per sénon sarebbero cancerogene, non sono cioè direttamente in grado di dan-neggiare il DNA. Poi c’è la fase di progressione che dura circa un anno incui questa crescita neoplastica dà origine ad un franco tumore maligno.

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Fig. 6

Ci sono due cose importanti da ricordare nel campo della prevenzio-ne dei tumori. La prima è che l’oncogenesi – quello che vi ho appenadescritto – è un processo multifasico, con molti punti d’attacco sui quali sipuò intervenire, la seconda è che l’oncogenesi dura molto a lungo e quin-di c’è anche un largo lasso di tempo durante il quale si può intervenire.

Vi prego di notare come la tempistica della cancerogenesi sia vera-mente complessa (Fig.7). Guardiamo il colon, per esempio, in cui il pas-saggio da mucosa normale ad adenoma prende sino a 20 anni di tempo,dall’adenoma al cancro ci arriviamo in altri 5-20 anni. Non sempre vedia-mo queste fasi di pre-cancerosi, perché, per esempio, a livello del polmo-ne, e sappiamo bene quanto sia diffuso il cancro polmonare, non abbiamola possibilità di rilevarle. Queste differenze dipendono anche dalle nostrepossibilità di esaminare, dal punto di vista morfologico e del campiona-

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mento, il tessuto nel quale il tumore si presenta.Noi sappiamo che il cibo influenza largamente l’incidenza dei tumo-

ri. Prendiamo l’esempio del colon retto perché è uno di quei tumori in cuiovviamente il rapporto tra cibo e insorgenza delle neoplasie è più stretto.È possibile fare studi di livello scientifico per la prevenzione a livello delcolon retto, che pigliamo come modello ideale? Senz’altro sì, per varimotivi. Conosciamo molto bene la sequenza di eventi genetici che porta-no al cancro, vi è un’ampia finestra temporale nella quale intervenire, pos-siamo agevolmente e facilmente ripetere il controllo sull’organo target,c’è una popolazione a rischio ben identificata; possiamo anche identifica-re le persone che hanno, per caratteristiche genetiche ereditarie un’eleva-tissima probabilità di ammalare, soggetti che devono essere esclusi datutte queste sperimentazioni perchè confonderebbero le casistiche. Infinec’è l’adenoma come end-point surrogato (Fig.8).

Tutto ciò necessita di qualche spiegazione. E allora cominciamo coldire che noi sappiamo ormai esattamente, in quello che è il passaggio dal-

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Fig. 7

Da: O’Shaughnessy et Al., Clin Can Res 2002

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l’epitelio normale sino al carcinoma colorettale, quali sono le alterazionigenetiche che si accompagnano alle tappe di questa marcia verso il cancro(Fig.9). Abbiamo anche la possibilità, con le colonscopie, di andare a ispe-zionare il colon delle persone che mettiamo sotto controllo epidemiolo-gico. Come vedete l’aspetto istologico normale, quello dell’adenoma equello del carcinoma sono quadri nettamente diversi, sicuramente rileva-bili e distinguibili con facilità purchè ci sia un minimo di esperienza daparte dell’operatore (Fig.10).

Un problema particolare è quello che nella popolazione generale laprobabilità di sviluppare un carcinoma colorettale non è elevatissima, percui se vogliamo fare un lavoro di prevenzione sul carcinoma dobbiamoprendere in considerazione almeno 10.000 persone e seguirle per 10 anni,il che significa un lavoro immenso. E non bisogna trascurare che una spe-rimentazione che ha bisogno di 10 anni di osservazione in realtà duramolto di più, perché dobbiamo sommare ai 10 anni di osservazione iltempo necessario ad arruolare le 10.000 persone in studio.

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Fig. 8

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Fig. 9

Fig. 10

Ilyas M. Eur J Cancer 1999

Needieman P. J Rheumatology 1997

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C’è modo di abbreviare anche considerevolmente i tempi delle nostreosservazioni, studiando non la prevenzione del cancro ma la prevenzionedi quella formazione ancora benigna, l’adenoma, che in realtà è la primatappa obbligatoria verso il cancro, anche se non tutti gli adenomi si tra-sformano poi in neoplasie maligne. Con questo stratagemma riusciamo adavere dati di sicura affidabilità utilizzando un massimo di 3.000 pazienti,quindi riducendo al 30% il numero di soggetti da arruolare e con un fol-low-up estremamente più ridotto.

L’adenoma è un ottimo end-point surrogato per valutare il rischio dicancro, in quanto i fattori di rischio e le alterazioni genetiche sono comu-ni: infatti, come già detto, la prima alterazione del processo che porta alcancro è la comparsa di un adenoma. C’è poi un dato sperimentale digrande rilievo: se con molta pazienza e costanza in una persona asportia-mo tutti gli adenomi che si vanno eventualmente manifestando negli anni,questa persona non si ammalerà di cancro del colonretto. Un altro datosperimentale comprovato è che tutto ciò che riesce a ridurre l’incidenzadegli adenomi riduce anche l’incidenza del cancro. Quindi, come vedete,un sistema molto affidabile. Esistono numerosi studi fatti da Istituzionidel massimo livello mondiale, tra cui l’N.C.I. (National Cancer Institute)di Bethesda, in cui la comparsa di adenomi è stato utilizzata, dal punto divista della prevenzione alimentare, per controllare che una certa dietariducesse l’incidenza di cancro. La stessa metodologia è stata applicata atanti altri importanti studi di prevenzione, come , per esempio, quello cheè nato dall’osservazione che chi assumeva almeno in una certa quantitàmensile aspirine o altri antinfiammatori aveva una consistente riduzionedel numero di carcinomi.

I greci sono spesso sotto osservazione perché, come detto, sono lapopolazione mediterranea che in realtà ha conservato di più una dietamediterranea vera e propria. Un recente grosso lavoro, 22.000 pazientipresi in considerazione, dimostra che effettivamente almeno in sensogenerico la dieta funziona, cioè riduce la mortalità; ma siccome sappiamoche la mortalità per 1/4 dipende dal cancro, tiriamo fuori la conclusioneche probabilmente funziona anche nel senso della riduzione del tumore.Se questo risultato lo associamo al dato epidemiologico che nei greci l’in-cidenza di neoplasie è veramente molto più bassa che altrove, direi che ilconto è presto fatto.

Però alcuni studi sono stati ancora più completi e più focalizzati sulcancro.

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Lo studio EPIC, che è partito all’inizio degli anni novanta (Fig.11),studio immenso con mezzo milione di persone arruolate e seguite inmaniera assolutamente completa (i paesi interessati sono quelli che vede-te a colori nella carta geografica europea), ha permesso di dimostrare tan-tissime cose nel rapporto fra alimentazione e cancro. Per restare al solocarcinoma del colon (Fig.12), che è uno dei più importanti anche per lafrequenza con cui questa malattia si presenta, in questo studio l’ipotesiche le fibre alimentari funzionano in senso protettivo ha ricevuto unaconferma assoluta, non solo, ma si è anche potuto osservare che qualsiasitipo di fibra in realtà funziona. Poi si è potuto anche dimostrare con asso-luta certezza che il consumo di carni rosse è decisamente aggravativo dellaprobabilità di contrarre il carcinoma colorettale, mentre il consumo dipesce ha un sicuro effetto preventivo. Questo, naturalmente, era qualchecosa che ci aspettavamo, perché sappiamo, questi nella figura 13 sono datinotissimi, che tutte le nazioni dove c’è un’alta incidenza di carcinomacolon rettale (in rosso) sono tutte nazioni ricche, ad alto consumo dicarni vaccine; l’unica eccezione è l’Argentina, che non è certo una nazio-ne ricca, specie in questi ultimi anni, ma che carni rosse ne consuma inabbondanza per il semplice motivo che le produce.

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Fig. 11

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Fig. 12

Fig. 13

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Ma passiamo ad altri studi. Tutti conosciamo il famoso paradossofrancese, vale a dire dell’azione protettiva di una dieta non mediterranea,ma con l’unica similitudine del consumo di vino rosso. Il Resveratrolocontenuto in esso rimane il più importante indiziato per spiegare que-st’azione protettiva, che dapprima è stato evidenziata per le malattie car-diovascolari, ma che in seguito ha dimostrato di estendersi anche ai tumo-ri. Se vogliamo avere un’idea dell’interesse suscitato dal rapporto traresveratrolo e cancro possiamo consultare su Internet il sito Medline, ilpiù grosso archivio esistente per la produzione scientifica biomedica.Come vedete (Fig.14), da anni si assiste ad un incremento davvero espo-nenziale dei lavori, che testimonia il grande interesse attuale dell’argo-mento. Il resveratrolo e tante altre sostanze (più genericamente stilbeni)presenti nel vino sono delle fitoalessine, che sono ciò che sostituisce nellepiante il nostro sistema immunitario, che le piante non posseggono. Mada che cosa viene la certezza che il resveratrolo, o è più esatto dire il vinorosso, prevenga il cancro? Da alcuni dati epidemiologici. Questo splendi-do lavoro, riassunto nella figura 15, è stato fatto su 30.000 statunitensi.Gli Stati Uniti si prestano molto bene a questi lavori perché è una delle

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Fig. 14

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poche nazioni nelle quali possiamo con facilità distinguere quella parte dipopolazione che beve vino rosso, da quella che non lo beve, mentre da noiun po’ di vino rosso lo beviamo tutti. Da questi dati si vede che il Linfo-ma non-Hodgkin, che è fra l’altro considerato una neoplasia segno ingenere di inquinamento o di esposizione ad agenti cancerogeni, ha un’in-cidenza pari a circa la metà nei soggetti che bevono abitualmente vinorosso. Ancora, da quest’altro lavoro riassunto nella figura 16, le donne chebevono vino rosso hanno un rischio di carcinoma ovarico che è di circa il40% inferiore a quelle che non bevono vino rosso o assumono altre

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Fig. 15

Fig. 16

Obstet Gynecol. 2003 Jun;101(6):1221-8

Am J Epidemiol 2002;156:454-462

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bevande alcoliche. Il vino rosso protegge anche dall’insorgenza di carcino-ma polmonare (Fig.17). Sto citando non dei “si dice”, ma degli studi epi-demiologici di alta serietà. Addirittura quest’altro studio (Fig.18) è riusci-to a calcolare che ogni bicchiere di vino rosso abitualmente consumato

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Fig. 17

Thorax. 2004 Nov;59(11):981-5

Fig. 18

Int J Cancer 2005;113:133-140

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ogni settimana, riduce del 6% la probabilità d’insorgenza del carcinomaprostatico. Anche per il carcinoma colon rettale c’è indubbiamenteun’azione protettiva del vino rosso (Fig.19).

Tutto questo ha smosso l’interesse di tantissimi ricercatori. Il Con-sorzio CORIBIA, che ho l’onore di presiedere, ha lavorato lungamentesul contenuto di stilbeni in differenti vini siciliani, con un’indagine moltoimpegnativa, in quanto non solo abbiamo valutato, per alcune centinaia divitigni, il contenuto in stilbeni nel vino che se ne otteneva, ma abbiamoanche messo a punto delle schede per dare poi successive indicazioni ainostri viticultori, perché potessero utilizzare opportune modalità di colti-vazione per massimizzare il contenuto di resveratrolo. Questa tipologia diricerca non è qualche cosa che abbiamo inventato noi, in questo momen-to negli Stati Uniti, dove vi è un grossissimo interesse verso questo tipodi vinificazione, vi sono addirittura in vendita – lo cito sempre perché èuna cosa che mi ha molto colpito – delle attrezzature che non sono altroche una modifica dei lettini ad UV originariamente nati per abbronzarsi.In essi, invece che il soggetto umano, si mettono i grappoli da sottoporrepoi a vinificazione, dato che l’esposizione agli UV è uno dei fattori che sti-molano potentemente la produzione di stilbeni. Sembra incredibile, ma di

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Fig. 19

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certo non meraviglierà chi conosce il pragmatismo statunitense.Abbiamo anche scoperto che c’è un vecchio vitigno siciliano, il Perri-

cone, in cui i contenuti di stilbeni sono da 5 a 6 volte superiori a quellidella media degli altri vitigni. Quindi una specie di piccolo stabilimento diproduzione del resveratrolo e degli altri stilbeni.

Abbiamo anche scoperto che nel vino siciliano – chissà perché solonel vino siciliano, e non riusciamo a trovarlo altrove – c’è un altro stilbe-ne, il piceatannolo, la cui presenza ha colpito particolarmente un oncolo-go come me, perché da circa 20 anni il piceatannolo viene indagato comeagente sperimentale per il trattamento della leucemia. Come vedete dallafigura 20, questo primo lavoro, in cui si parla della possibilità di utilizza-zione del piceatannolo è addirittura del 1984.

Ma dopo tanti anni e dopo tanti dati di assoluta certezza del rappor-to tra vino rosso e cancro, restano alcune cose importanti da chiarire. Ilresveratrolo, che è lo stilbene che viene di solito accreditato per le piùimportanti funzioni anticancro, viene assorbito in quantità sufficiente? Iprimi dati sembrano dire che l’assorbimento è davvero minimale. Bisognaperò dire che le tecniche di farmacocinetica, di dosaggio, che solitamenteutilizziamo sono tarate per i farmaci di comune impiego, dei quali nonfacciamo un uso per 20 anni, che è il periodo per cui bisogna assumere ilresveratrolo perché si abbia un’azione protettiva. Quindi, è probabile chebisognerebbe andare a cercare nei tessuti se il resveratrolo si deposita nellecellule che poi vengono protette successivamente dal cancro. Poi, ad agireè il resveratrolo o un suo metabolita, o altri stilbeni che sono presenti nelvino rosso? Bisogna lavorarci sopra.

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Fig. 20

J Nat Prod. 1984 Mar-Apr;47(2):347-52

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Infine, qual è il meccanismo biologico dell’azione protettiva delresveratrolo o degli altri stilbeni? E’ possibile vedere dal comunicatostampa di questa Agenzia (Fig.21) come questi problemi abbiano suscita-to tanto interesse che americani e inglesi si sono consorziati insieme perstudiare qual è l’assorbimento del resveratrolo e qual è il suo assorbimen-to quando non viene preso in veicolo alcolico. Queste ricerche trovanola loro ragione di essere in una moda che si va diffondendo oltreoceano:in questo momento negli Stati Uniti sono in vendita come integratori ali-mentari una larga messe di prodotti che contengono resveratrolo in pasti-glie (Fig.22) e non sappiamo se di questi qualche cosa si assorbe o meno.Come avrete notato da alcune etichette, la moda, come abitualmente suc-cede, si va diffondendo anche in Italia.

Il resveratrolo (e molti altri stilbeni similari) ha un numero enormedi attività biologiche, cioè è quella che di solito viene chiamata una strut-tura privilegiata, vale a dire una struttura chimica naturale che ha la capa-cità di interagire con un gran numero di sistemi biologici. Parecchie delleinterazioni riscontrate per il Resveratrolo interessano sistemi cui vieneaccreditata un’azione preventiva sul cancro: fra questi l’induzione del-l’apoptosi è quello che viene di solito indicato come il più probabile deimeccanismi messi in moto dal resveratrolo che porta a protezione del can-cro. In pratica nelle nostre cellule – è un fatto che si sa da alcuni anni –

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Fig. 21

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esiste un meccanismo di autodistruzione che fa sì che quando le cellulevengono lese oltre un certo limite di danneggiamento che l’organismogiudica antieconomico riparare, si procede alla distruzione della cellula. E’suggestivo dire che questo sistema non è altro che la rottamazione appli-cata alle nostre cellule. Questo tipo di meccanismo è estremamenteimportante perché, per fare un esempio, quando c’è un’infezione virale oun danneggiamento del DNA che può essere il preludio del cancro, moltedelle cellule vengono distrutte grazie a questo meccanismo, con il risulta-to che viene bloccata l’infezione virale o la progressione verso il cancro.E questo, fra l’altro, ci fornisce un dato interessante, cioè quello di vede-re come una molecola funzioni allo stesso modo nelle cellule delle piantee nelle nostre cellule.

Il meccanismo è assolutamente identico, la cellula della pianta va inapoptosi perché è stata infettata da virus, come fa la nostra cellula. Ed èun meccanismo immunologico che, per così dire, apparenta le nostre cel-lule e quelle delle piante. Questa che vediamo nella figura 23 è una sche-

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Fig. 22

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matica descrizione dell’apoptosi che è, fra l’altro, di gran lunga il modopiù comune in cui muore una cellula. Normalmente cioè o una cellula ladistruggiamo molto rapidamente con qualche mezzo fisico, oppuremuore per apoptosi. Fra l’altro è un meccanismo estremamente interes-sante – nella figura sono elencati alcuni lavori che abbiamo fatto nelnostro gruppo – perché si è potuto osservare che questa induzione del-l’apoptosi riesce a bloccare un meccanismo di resistenza molto importan-te e molto comune nei confronti delle sostanze antitumorali. Molti tumo-ri diventano resistenti al trattamento delle sostanze antitumorali perchéperdono la capacità di fare apoptosi, ma con queste molecole possiamorestaurare il meccanismo riportando alla sensibilità le cellule. Questomeccanismo di ripristino è già arrivato alla sperimentazione in campoumano.

Confesso che l’argomento ci ha molto affascinati, tanto che ci siamomessi con i chimici farmaceutici a modificare la molecola del piceatanno-

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Fig. 23

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Fig. 24

Fig. 25

lo e del resveratrolo, ottenendo dei composti nei quali questa attività era50-100 volte più attiva e sembra invitante per l’impiego umano. Le Fig.24e 25 riportano le ricerche più significative fatte dal CORIBIA.

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Ma andiamo alle conclusioni. I rapporti tra alimentazioni e patologieneoplastiche esistono sicuramente, ma è necessario capire esattamente checosa, nell’enorme varietà di sostanze contenute in un cibo sia responsabi-le dell’effetto inducente o protettivo in senso oncologico. Poi, natural-mente, si consideri che tutto ciò non è facile da calcolare su una popola-zione umana che cambia con rapidità le proprie abitudini di vita, speciequelle alimentari, e cambia anche l’ambiente nel quale viviamo: tutta que-sto è e quindi una ricerca che deve essere integrata in maniera olistica intutto quello che è il nostro stile di vita. E naturalmente, ancora, al giornod’oggi, quando abbiamo ormai acquisito grande capacità di valutare lecaratteristiche genetiche che ci differenziano l’uno dall’altro, è da valuta-re il ruolo giocato dalla costituzione genetica di ciascuno di noi, modifi-cando il modo in cui metabolizziamo i farmaci, gli alimenti o quant’altrocon cui veniamo in contatto.

Io spero che le raccomandazioni alimentari, che finora sono statefatte su una base fortemente empirica, possano finalmente passare nel-l’ambito delle raccomandazioni in cui vi è una solidissima base scientifica.

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11Antica saggezza contadina e realtà moderna: il vino rosso di sicilia ed i suoi benefici effetti sulla salute

Domenico Campisi Gino AvelloneProff. Associati di Medicina Interna Dipartimento Biomedico di Medicina Interna e Specialistica - Università di Palermo

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11.. AAnnttiiccaa ssaaggggeezzzzaa ccoonnttaaddiinnaa:: ttrreennttaammiillaa aannnnii ddii ssttoorriiaa

La data della scoperta della vinificazione è così remota che è impossi-bile arrivare a conoscerla con esattezza. Si ritiene possa essere avvenutanel periodo neolitico, iniziato circa 30.000 anni fa. I ritrovamenti di cumo-li di vinaccie nei pressi di insediamenti preistorici risalenti a quell’epocafanno supporre questa allocazione cronologica. Ritrovamenti fossili risa-lenti a più di tre milioni di anni, di varietà di vite selvatica, nel bacino delMediterraneo fanno pensare ad epoche più antiche.

Si ritiene comunque che la viticoltura sia nata in Mesopotamia, nel-l’antica Persia, dove sono stati rinvenuti orci di terracotta datati 7000 anniprima di Cristo e contenenti tracce di vino.

Nelle più svariate tradizioni il vino si colloca, sin dal suo primo appa-rire come bevanda dagli effetti ambivalenti, punto di giunzione dell’uomocon il sacro, “sacer et terribilis”. Se per Aristofane: “Quando gli uominibevono, allora sì che diventano ricchi, riescono negli affari, vincono lacause, sono felici e aiutano gli amici”, persino per lo stoico Seneca “l’ub-briachezza eccita e porta alla luce tutti i vizi, togliendo quel senso di pudo-re che costituisce un freno agli istinti cattivi”.

Per i Sumeri, la vite ed il vino erano simboli di immortalità.Nella Bibbia la vigna viene citata più di 500 volte ed il vino è sempre

associato alla gioia di vivere, come, ad esempio, si riscontra nell’episodiodelle nozze di Cana e nel Cantico dei Cantici, nel poco posteriore Talmud,sacro gli Ebrei, “non c’è gioia senza vino”.

Le prime pozioni medicinali a base di vino furono allestite dai medi-ci di Babilonia e successivamente passaro a far parte dei trattameni curati-vi dei medici dell’Egitto dei Faraoni: risultati discutibili per contenere lacalvizie, più efficaci per purificare l’acqua e per il processo di mummifi-cazione.

Nel 460 a.C. con Ippocrate, la medicina inizia il cammino di libera-zione dalla magia e dalla stregoneria, che l’avrebbe portata attraverso isecoli a diventare la scienza riconosciuta e articolata che è oggi. In alcuniscritti Ippocrate consigliava il vino per combattere la febbre, come diure-tico, come antisettico, di aiuto alle convalescenze.

Nella cultura medica etrusca, il vino era ampiamente utilizzato, insie-me al cavolo, sia come impiastro da apporre sulle ferite, sulle tumefazionie le lussazioni, oltre che in caso di ascessi, per favorirne l’apertura con fuo-

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riuscita del liquido infetto. Galeno, nel suo “De Rimediis”, dedicava unlungo capitolo alla terapia con ricette a base di vino. A Roma il vino diven-ta popolare come cultura e come bevanda ed è utilizzato come disinfet-tatte. Plinio spiega le proprietà anestetiche del vino attribuendone l’azio-ne dell’aceto sul carbonato di calcio, con formazione di acido carbonico,dalle leggere proprietà anestetiche locali. Racconta dell’utilizzo di bricio-le di pane imbevute di vino aromatizzato, come svezzamento per i bam-bini di un anno e mezzo. Plinio consigliava pure l’utilizzo del piombo peraddolcire le uve aspre ed immature; un metodo caratteristico dell’anticaRoma, che si sarebbe scoperto velenoso a seguito delle ricerche del medi-co seicentesco Eberhard Gockel di Ulm. In una Epistola San Paolo ammo-nisce Timoteo a smettere di bere acqua ed a ricorrere al vino “perché cure-rà lo stomaco e gli altri mali”.

Nel Medioevo i medici della scuola di Bologna, erano convinti cheuna fasciatura imbevuta di vino portasse alla cicatrizzazione ed alla guari-gione della ferita.

Nel 1600 il vino veniva utilizzato per curare la melanconia, il tremo-re di cuore, la rogna, la lebbra; per liberare il paziente dai vermi intestina-li si usava il vino alla borragine ed alla melissa; mentre per la tisi e la feb-bre quartana il vino al rosmarino. Piranelli , medico del 1611, nel trattato“della natura dei cibi e del bere” raccomanda il vino bianco per purgare levene dagli umori corrotti.

Si racconta che Luigi XIV immergesse la propria gamba ingangrenitain una vasca piena di vino aromatizzato per alleviare il dolore.

La pastorizzazione, oggi pratica corrente, fu scoperta da LuigiPasteur studiando i vini ed i loro inacidimenti, per incarico di Luigi Napo-leone, preoccupato per il deterioramento dei suoi vini. Pasteur evidenziòche il vino in provetta tappata bloccava la proliferazione dei batteri, men-tre quello aperto all’aria ne favoriva la proliferazione, ed inoltre che il vinoriscaldato a 60 gradi distruggeva il 99% dei batteri.

Il medico Costantino Africano di scuola salernitana nel suo “De floredietorum” afferma che: il vino ,moderatamente bevuto, conforta edaumenta il calore corporeo naturale, espelle la bile gialla col sudore e leurine, riscaldando ed inumidendo la bile nera, ammorbidisce le membrairrigidite, indurite e secche per la fatica e l’eccessiva stanchezza; toglie laspossatezza e ridona le forze ai malati, ingrassa i corpi, rinforza l’energiae l’appetito.

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A metà degli anni del 1700, un medico diventato famoso nato a Graz,in Austria, Leopold Auenbrugger, imparando a stimare la quantità di vinocontenuta nelle botti picchettando con le nocche sulle doghe della botte-ga paterna , utilizzò lo stesso metodo per esaminare gli organi interni delcorpo umano (addome e torace) elaborando così un metodo di diagnosichiamato “percussione”, ancora oggi adottato: semeiotica fisica.

E’ possibile dire che la saggezza popolare conserva il frutto della suamillenaria esperienza nel sostenere che “buon vino fa buon sangue”, che“il vino è il latte dei vecchi”, che “il vino allunga la vita”, oggi infatti, gra-zie alle recenti scoperte nel campo della scienza biochimica, possiamoaffermare che non vi nulla di più veritiero.

Recentemente, si sono cominciate ad individuare con accurate analisile 650 sostanze presenti nel vino, valutandone le caratteristiche nutrizio-nali ed evidenziandone le attività di tipo farmacologico.

Si sono verificate importanti funzioni di stimolante del metabolismoe supporto alla digestione (per la presenza di acido tartarico, malico ecitrico), di attività antisettica esercitata dai tannini presenti nel vino sunumerose specie batteriche, e quella ansiolitica ed antistress promossa dapiccole quantità di vino durante il pasto (per la presenza nel vino delmesoinositolo); inoltre è stata documentata un’azione diuretica per la pre-senza di potassio e magnesio (confermando l’indicazione di Ippocrateche consigliava il vino nella idropsia)

Inoltre la rilevante azione antiossidante ritarda l’invecchiamento tis-sutale, ed ha una azione cardioprotettiva.

Serge Renaud (Università di Tolosa) e Curt Ellison (Università diBoston) documentarono che l’uso moderato di vino in soggetti sani puòridurre di oltre il 25% il rischio di cardiopatie,evidenziando il cosiddetto“paradosso francese”: i francesi pur seguendo una dieta alimentare favo-rente le cardiopatie e l’infarto, poiché la accompagnavano con piccoledosi di vino ai pasti, registravano un basso numero di cardiopatie rispet-to al campione di soggetti americani esaminato.

I dati di questa ricerca ebbero una diffusione non solo in ambientescientifico ma anche a livello mass-mediatico, giacchè furono pubblicizza-ti nel 1991 dal programma televisivo “Sixty Minutes”, negli Stati Uniti,determinando l’immediato svuotamento degli scaffali dei supermercatidelle scorte di vino.

Numerose sono le ricerche e sperimentazioni, presenti nella lettera-

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tura medica, i cui risultati confermano l’effetto positivo del vino sull’ap-parato circolatorio e soprattutto l’abbassamento delle lipoproteine LDLed il potenziamento dell’attività antiaggregante. Desiro concludere que-sta parte di relazione ricordando che Eubulus, intorno al 375 a.C., in unasumma si saggezza popolare greca, in fatto di vino, scriveva: “Tre tazze iopreparo per gli uomini temperati, una per la salute, che essi vuotano perprima, la seconda per l’amore ed il piacere, la terza per il sonno. Quandoquesta tazza è vuota, gli ospiti saggi vanno a casa. La quarta appartiene allaviolenza”.

22.. RReeaallttàà mmooddeerrnnaa:: iill vviinnoo rroossssoo ddii ssiicciilliiaa eedd ii ssuuooii eeffffeettttii ssuullllaa ssaalluuttee

Il Vino è la bevanda alcolica che non solo rappresenta da secoli, nellacultura mediterranea, un importante completamento del pasto, ma giuocaun ruolo importante (insieme all’impiego dell’olio di oliva e all’ampio usodi vegetali) negli effetti protettivi della dieta mediterranea sulle malattiecardiovascolari. Infatti la complessa relazione che lega il consumo dibevande alcoliche e la salute si è arricchita negli ultimi anni di aspetti percerti versi inattesi. Studi recenti oltre a confermare gli effetti negativi diconsumi elevati di bevante alcoliche, hanno dimostrato come il consumoquotidiano ma moderato di questa bevanda possa ridurre l’incidenza dellemalattie coronariche e, più in generale, cardiovascolari.

Uno degli impulsi maggiori per lo studio scientifico del vino èstata la messa in evidenza del cosiddetto “Paradosso francese”. Le eviden-ze cliniche, che scaturiscono dagli studi epidemiologici sulla cardiopatiaischemica e sulle abitudini alimentari, hanno messo in luce una correlazio-ne diretta tra assunzione di acidi grassi saturi con la dieta e incidenza dicardiopatia ischemica, che presenta un trend decrescente dai paesi delNord Europa a quelli che si affacciano sul mar Mediterraneo. Tuttavia èstata rilevata un’anomalia in questo trend, poiché in Francia, nonostantela presenza di elevate quote di grassi saturi nella dieta, esiste una bassaincidenza di cardiopatia ischemica che sembra essere correlata all’assun-zione di alcol e in particolare di vino rosso.

Nell’ambito del vino, quello rosso sembra infatti avere maggiorieffetti protettivi, in quanto in esso sono contenute sostanze antiossidantiche vengono liberate dalle bucce degli acini e dai semi, che come è noto

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nella vinificazione in bianco vengono separate immediatamente dal mostoche è lasciato fermentare senza le parti solide dell’uva. L’analisi chimicasvolta sui vini ha consentito di identificare alcune sostanze ritenuteresponsabili di questo effetto protettivo: i polifenoli in particolare e traquesti la epicatechina e la quercetina e minore misura il trans-resveratro-lo perchè contenuto in quantità poco significative e comunque limitatarispetto ai due precedenti.

Sulla base di questi elementi e considerando la qualità dei vini e deivitigni della Sicilia10, ipotizziamo che anche i nostri vini rossi possanosvolgere un ruolo protettivo nella prevenzione delle malattie cardiovasco-lari. I meccanismi protettivi sarebbero indipendenti dall’effetto di quoteequivalenti di alcool contenute nel vino ma riconducibili alle caratteristi-che del vitigno e al contenuto di polifenoli le cui concentrazioni dipendo-no molto dalla tecnica di vinificazione (flavonoidi, trans-resveratrolo etannini polimerici). Per questo motivo prenderemo in considerazione l’ef-fetto sui principali fattori di rischio cardiovascolari indotto dall’ assunzio-ne di circa 250 ml al giorno suddiviso nei due pasti principali di due tipi divino rosso Siciliani (Nero d’Avola o Etna Torrepalino).

Sono stati arruolati 48 soggetti sani di entrambi i sessi, di età compre-sa tra i 35 e 65 anni, non bevitori o bevitori occasionali di modeste quan-tità di vino rosso afferenti al Centro delle Dislipidemie e del Rischiotrombotico della Clinica Medica dell’Università di Palermo. Sono statiesclusi dallo studio i soggetti dediti ad attività sportiva di tipo agonistico,obesi (BMI >30) e con abitudini alimentari errate (squilibrate neinutrienti). Questa valutazione è stata svolta mediante intervista alimenta-re eseguita da dietisti e dalla scomposizione in nutrienti delle abitudini ali-mentari mediante diario settimanale. Sono stati esclusi inoltre dallo studiotutti i pazienti affetti da malattie cardiovascolari, da gravi forme di pato-logie epatiche o renali, da alterazioni del metabolismo glucidico o lipidico(colesterolo >250 mg %, trigliceridi >200 mg%), soggetti affetti da pato-logie croniche in terapia con antiaggreganti-coagulanti, ipolipidemizzanti,cortisonici, donne in trattamento con estroprogestinici, soggetti ipero-mocisteinemici, forti fumatori, soggetti con carenza di vitamina B12 e/ofolati, soggetti forti bevitori di bevande alcoliche. In accordo con ladichiarazione di Helsinki, tutti i soggetti, dopo essere stati informati dellefinalità dello studio, hanno dato il loro consenso a parteciparvi.

I soggetti arruolati, dopo essere stati sottoposti ad un esame clinico e

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strumentale (pressione arteriosa, E.C.G. basale e sotto sforzo, ecocolor-doppler carotideo e degli arti inferiori), sono stati suddivisi in due gruppi,destinati a ricevere con un disegno in cross-over, due diversi tipi di vinorosso siciliano (Nero d’Avola-Rallo 1999 o Etna Torrepalino-Rosso Solic-chiata 1999) dall’Ente di Sviluppo Agricolo della Regione Sicilia (ESA). Ilgruppo A (n=24) è stato suddiviso in due sottogruppi: A1 (n=12) a cuiè stato chiesto di assumere regolarmente per 4 settimane 250 ml di vinorosso Nero d’Avola suddiviso ai pasti principali e per le successive 4 setti-mane di tornare ai loro abituali consumi di vino (cioè sono tornati a nonbere o bere vino solo in maniera occasionale) e A2 (n=12) a cui è statochiesto per 4 settimane di conservare i loro abituali consumi di vino (cioèhanno continuato a non bere o bere vino solo in maniera occasionale) eper le successive 4 settimane di assumere regolarmente 250 ml di vinorosso Nero d’Avola suddiviso ai pasti principali. Parimenti il gruppo B(n=24) è stato suddiviso in due sottogruppi: B1 (n=12) a cui è stato chie-sto di assumere regolarmente per 4 settimane 250 ml di vino rosso EtnaTorrepalino suddiviso ai pasti principali e per le successive 4 settimane ditornare ai loro abituali consumi di vino (cioè sono tornati a non bere obere vino solo in maniera occasionale) e B2 (n=12) a cui è stato chiestooper 4 settimane di conservare i loro abituali consumi di vino (cioè hannocontinuato a non bere o bere vino solo in maniera occasionale) e per lesuccessive 4 settimane di assumere regolarmente 250 ml di vino rossoEtna Torrepalino suddiviso ai pasti principali.

In tutti i soggetti arruolati sono stati determinati diversi parametridi laboratorio l’assetto metabolico lipidico, coagulativo e fibrinolitici,parametri dell’infimmazione eil potere antiossidante del plasma. Le carat-teristiche dei vini sono riportate in Tab. I. Gli effetti sui parametri meta-bolici dei vini Nero D’Avola e Etna Torrepalino sono riportati nelle Tab.II e III rispettivamente. .

Nel Gruppo A (Tab. II) l’aggiunta alla dieta di vino Nero D’Avo-la determina sia nel sottogruppo A1 (al tempo + 4 settimane) che nel sot-togruppo A2 (al tempo + 8 settimane) un aumento statisticamente signi-ficativo dei livelli di HDL (p <0.01) e Apolipoproteina A1 (p <0.05).Non è stata messa in evidenza nessuna variazione significativa degli altriparametri, tranne per il rapporto LDL/HDL, in cui si evidenza una ridu-zione significativa (p <0.05) sia nel sottogruppo A1 (al tempo + 4 setti-mane) che nel sottogruppo A2 (al tempo + 8 settimane).

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Nel Gruppo B (Tab. III) l’aggiunta alla dieta di vino Etna Torrepali-no determina sia nel sottogruppo B1 (al tempo + 4 settimane) che nelsottogruppo B2 (al tempo + 8 settimane) un aumento statisticamentesignificativo dei livelli di HDL (p <0.01). Non è stata messa in evidenzanessuna variazione significativa degli altri parametri, tranne per il rappor-to LDL/HDL, in cui si evidenza una riduzione significativa (p <0.05) sianel sottogruppo B1 (al tempo + 4 settimane) che nel sottogruppo B2 (altempo + 8 settimane).

Gli effetti sui parametri coagulativi-fibrinolitici, infiammatori eantiossidanti dei vini Nero D’Avola e Etna Torrepalino sono riportatinelle Tab. IV e V.

Nel Gruppo A (Tab. IV) l’aggiunta alla dieta di vino Nero D’Avoladetermina sia nel sottogruppo A1 (al tempo + 4 settimane) che nel sot-togruppo A2 (al tempo + 8 settimane) una riduzione significativa deilivelli di Fibrinogeno (p < 0.01), Fattore VII (p <0.01), PCR (p <0.005)e degli anticorpi anti LDL-ossidate (p < 0.05) e un aumento significativodei livelli di t-PA (p <0.005), PAI (p <0.005) e del potere antiossidanteplasmatico totale (p <0.005). Non è stata messa in evidenza nessunavariazione significativa dei livelli di D-D.

Nel Gruppo B (Tab. V) l’aggiunta alla dieta di vino Etna Torrepalinodetermina sia nel sottogruppo B1 (al tempo + 4 settimane) che nel sotto-gruppo B2 (al tempo + 8 settimane) una riduzione significativa dei livel-li di Fibrinogeno (p <0.005), Fattore VII (p <0.05), PCR (p <0.05) edegli anticorpi anti LDL-ossidate (p < 0,05) e un aumento significativodei livelli di t-PA (p <0.005), PAI (p <0.005) e del potere antiossidanteplasmatico totale (p <0.005). Non è stata messa in evidenza nessunavariazione significativa dei livelli di D-D.

Durante lo studio (dati non mostrati) in entrambi i gruppi non sonostate evidenziate variazione del peso corporeo, della pressione arteriosa edella dieta, che è risultata equilibrata in tutte le fasi dello studio (glucidi55%, lipidi 30%, protidi 15%) (tranne un incremento delle calorie totali(+7%) durante l’assunzione regolare di vino).

Studi recenti hanno messo in evidenza una ridotta mortalità cardio-vascolare tra i soggetti che consumano moderate dosi quotidiane di alco-ol rispetto ai soggetti astemi, sia tra i pazienti con storia pregressa dimalattia coronarica sia tra i soggetti senza storia di malattia. Nello stessostudio la valutazione della mortalità per tutte le cause ha messo in eviden-

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za una correlazione, tra consumo di alcool ed eventi, non di tipo continuoma con una forma ad “U”, con un minimo di mortalità per consumimoderati di alcool, attorno a un drink al giorno. Albert ha inoltre osser-vato una riduzione del rischio di morte improvvisa correlato al consumodi alcool con un andamento, anche in questo caso, ad “U”. L’incidenza dimorte improvvisa è risultata, infatti, elevata nei soggetti astemi, tende adiminuire nei consumatori di un drink al giorno circa e torna ad aumenta-re per i consumatori di 2 o più drink al giorno. Diversi studi recenti hannoinoltre evidenziato, valutando in maniera separata i consumatori di vino,birra e liquori, che la riduzione di rischio di sviluppare un infarto o unictus è inferiore di circa il 50% tra i consumatori regolari di qualunquetipo di bevanda alcolica.

Alcuni effetti benefici di un consumo moderato di alcool nella pre-venzione della CHD sono suffragati da evidenza scientifica. E’ noto datempo infatti come esista una correlazione diretta tra consumo di alcooled il valore del colesterolo legato alla frazione delle lipoproteine antiate-rogene, le HDL. La correlazione tra i due parametri è sostanzialmente ditipo lineare, passando dai soggetti astemi ai consumatori di forti quantitàdi bevande alcoliche (più di 6 drinks al giorno). Anche i livelli di Apo A1,la principale Apolipoproteina delle HDL, rispondono favorevolmenteall’assunzione quotidiana di alcool. I risultati del nostro studio sulle fra-zioni lipoproteiche sono in linea con i dati della letteratura. Entrambi ivini in esame mostrano infatti di determinare un aumento significativo deilivelli di HDL-Colesterolo e una riduzione non significativa dei livelli dicolesterolemia totale e LDL-Colesterolo. Ne risulta una riduzione signi-ficativa del rapporto LDL-C/HDL-C, che è un importante marker dirischio cardiovascolare. Solo l’aggiunta alla dieta di vino Nero D’Avoladetermina invece un aumento statisticamente significativo dei livelli diApolipoproteina A1.

L’alcool non influenza solamente alcuni parametri lipidici, maanche alcuni meccanismi della coagulazione e della trombosi. Sul versantecoagulativo, nel nostro studio entrambi i vini nostrano una riduzione deilivelli di fibrinogeno e fattore VII, che sono oggi considerati marker dirischio cardiovascolare. Per quanto riguarda il fibrinogeno, che rappresen-ta un fattore di rischio indipendente di malattie cardiovascolari, Mennenha dimostrato infatti una correlazione inversa nelle donne tra consumo dialcool e livelli di fibrinogeno, mentre nei soggetti di sesso maschile la cor-

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relazione assume una chiara conformazione ad “U”, cioè con un minimodi fibrinogenemia che si osserva tra i 20 e i 60 grammi di consumo di alco-ol, che sono quelli per il quali è massima la protezione cardiovascolare.

L’alcool, a dosi moderate, è in grado di influenzare favorevolmenteanche l’aggregazione piastrinica, svolgendo una azione “aspirino simile”.A dosi elevate tuttavia, l’alcool svolge una azione pro-trombotica. Infattil’escrezione urinaria di trombossano aumenta significativamente dopouna assunzione di notevole quantità serale di alcool. Questo studio sem-bra fornire una possibile spiegazione della riduzione degli eventi cardiova-scolari indotta dal moderato consumo di alcool. E’ da notare inoltre chedifferenze significative sull’aggregazione piastrinica sono state evidenzia-te tra il vino rosso e bianco, con una risposta minore all’induttore collage-no in soggetti in trattamento con vino rosso, probabilmente a causa delcontenuto differente dei polifenoli presenti nei due tipi di vini.

Sul versante fibrinolitico, è noto che il vino abbia una azione positi-va, determinando un aumento delle concentrazioni dell’attivatore tissuta-le del plasminogeno (t-PA). Nel lavoro di Ridker, esiste una correlazionelineare tra i livelli di t-PA e il consumo di alcool. Infatti. passando dai con-sumatori giornalieri di qualunque bevanda alcolica ai consumatori setti-manali o mensili, e quindi ai soggetti astemi, la concentrazione di t-PA siriduce del 30%, determinando una maggiore tendenza alla stabilizzazionedel trombo e quindi alla trombosi. Nel nostro studio entrambi i vinimostrano un aumento sia di t-PA che di PAI. Tuttavia, poiché l’aumentodel t-PA (+80.8 % e 74.9% dopo l’assunzione rispettivamente dei viniNero D’Avola e Etna Torrepalino) è molto più marcata dell’aumento delPAI (+51.6 % e 59.5% rispettivamente), ne risulta una attivazione globa-le della fibrinolisi. Ciò viene confermato dalla riduzione significativa deilivelli di fibrinogeno e dall’aumento (anche se non significativo) dei livel-li di D-dimero.

Accanto alle proprietà dell’etanolo è opinione corrente che il ruoloprotettivo del vino sia in gran parte ascrivibile alla sua componente nonalcolica, cioè ai composti fenolici non vitaminici a documentata azioneantiossidante. In numerosi studi in vitro, è stato dimostrato che i compo-sti fenolici del vino sono in grado di modulare la resistenza all’ossidazio-ne di LDL umane ed è opinione corrente che la modifica ossidativa delleLDL rappresenta una delle basi patogenetiche dell’aterosclerosi. In vivo,nello studio di Cartron l’effetto protettivo del vino rosso, del vino bian-

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co e dello Champagne francesi sembra legato alle modifiche dei parame-tri lipidici, ma non alle caratteristiche antiossidanti plasmatiche che nonpresentano variazioni significative sia dopo assunzione di una singoladose, che dopo una somministrazione a lungo termine (3 settimane). Incontrasto con questi risultati, nel nostro studio dopo 4 settimane diassunzione regolare di vino rosso abbiamo riscontrato una riduzione deglianticorpi anti LDL-ossidate e un incremento della capacità ossidativa glo-bale. Questo significativo risultato, ottenuto con entrambi i vini siciliani(ricchi di polifenoli), sembra dimostrarne un ruolo protettivo sui mecca-nismi patogenetici dell’aterosclerosi.

E’ da sottolineare infine, che entrambi i vini mostrano una riduzio-ne della PCR che, tra markers della infiammazione, viene oggi considera-ta un fattore di rischio indipendente per lo sviluppo di eventi aterotrom-botici. Infatti da diversi anni si identifica l’infiammazione come unmomento cruciale nello sviluppo e nella progressione dei processi arterio-sclerotici, poiché oltre a favorire lo sviluppo della placca, potrebbe deter-minarne la rottura. Ed è ben noto che la rottura della placca rappresenta ilmomento chiave nello sviluppo della sindrome coronarica acuta.

In conclusione, anche se lo studio è stato condotto a breve terminee la numerosità non è elevata, i nostri risultati mostrano un effetto positi-vo di entrambi i vini rossi siciliani presi in considerazione su numerosi fat-tori di rischio cardiovascolari, suggerendo che l’uso moderato di vinorosso deve essere incoraggiato nella popolazione adulta (senza patologieepatiche o nelle quali l’alcool non risulta controindicato) come parte inte-grante della dieta mediterranea.

La ricerca è stata finanziata dall’Ente di Sviluppo Agricolo dellaRegione Sicilia (ESA) a seguito di atto di Convenzione con l’Università diPalermo - Istituto di Clinica Medica Repertorio n° 17 del 09.11.2000

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12Ruolo dell’olio di olivanella Dieta Mediterranea

Salvatore ChiricostaDipartimento di Studi su Risorse, Impresa, Ambiente e Metodologie quantitative (RIAM)Facoltà di Economia, Università degli Studi di Messina

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11.. IInnttrroodduuzziioonnee

L’olivo, albero da frutto tra i più antichi nel Mondo, è stato, da mil-lenni, ritenuto un albero sacro e l’olio, estratto dai suoi frutti, utilizzatonon solo come alimento ma anche a scopo religioso e rituale.

La pianta dell’olivo, appartenente alla famiglia delle Oleaceae, è diffu-sa in tutte le regioni che si affacciano sul Mar Mediterraneo dove è diven-tata un elemento caratteristico del paesaggio, della cultura, del costume,dell’alimentazione e dell’economia.

All’interno del genere Olea vi sono ben 35 specie; la più importantedelle quali è, certamente, l’Olea Europeae che è divisa in due sottospecie,delle quali una, la O. europeae sativa, è quella coltivata, mentre l’altra, l’O.europeae sylvestris, è il tipo selvatico.

L’olivo coltivato è un albero sempreverde ad accrescimento lento chepuò raggiungere grandi dimensioni, anche se, in coltura, si cerca di conte-nerne lo sviluppo per aumentarne la produttività (1, 2).

22.. VVaalloorriizzzzaazziioonnee nnuuttrriizziioonnaallee ddeellll’’oolliioo ddii oolliivvaa

Dal punto di vista nutrizionale la valorizzazione dell’olio di olivaprende avvio dagli interessanti studi condotti, per la prima volta, intornoagli anni ’50, dal nutrizionista americano Dott. Ancel Keys che, nel por-tare avanti ricerche sulla prevenzione delle malattie cardiovascolari, avevaosservato come le popolazioni del bacino del Mediterraneo fossero menoesposti a problemi cardiocoronarici proprio perché la loro dieta era, aprima vista, povera di grassi (3).

Prendendo le mosse da quelle osservazioni e sulla base delle prime evi-denze epidemiologiche e sperimentali, le quali mettevano in risalto la stret-ta relazione tra contenuto lipidico della dieta e malattie cardiovascolari, ilDipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (USDA), nel 1992, elabo-rò una guida destinata ad orientare la popolazione ad operare delle sceltedietetiche in grado di mantenere un buono stato di salute e di ridurre ilrischio di malattie croniche.

La guida divenne nota come “La piramide alimentare”, in quanto i cibida preferire occupavano la base della piramide, dato che se ne potevanoconsumare più porzioni al giorno, mentre quelli da adoperare con maggio-

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re moderazione erano, via via, disposti verso l’apice (Figura 1).Ed in effetti:

• In cima si trovano zuccheri, dolci, oli e grassi, ossia alimenti da con-sumare con parsimonia;

• Più in basso vi sono carne, pesce, pollame, uova, legumi, latte, for-maggi, yogurt e frutta secca, il cui consumo quotidiano consigliato èdi 2-3 porzioni;

• Al centro sono collocati ortaggi, frutta e verdura, il cui consumo è di3-5 porzioni al giorno;

• Alla base vi sono pane, cereali, pasta, riso, il cui consumo deve essereabbondante, ossia da 6 a 11 porzioni al giorno.Questo tipo di piramide sostanzialmente raccomandava alla gente di

evitare i grassi ma di preferire abbondanti quantità di alimenti ricchi incarboidrati come pane, cereali, riso e pasta.

Nacque così lo slogan “I grassi fanno male” che portò direttamente alcorollario “i carboidrati fanno bene”.

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Fig 1 - La piramide alimentare proposta dal Dipartimento dell’Agricolturadegli Stati Uniti nel 1992

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Per questo motivo, per un periodo di tempo, i grassi, in generale e, traquesti, anche gli oli vegetali, furono “demonizzati”.

Ben presto, però, ci si rese conto che quella piramide, in realtà, erauna guida ingannevole.

Se, infatti, lo scopo era quello di ridurre il consumo dei grassi, chefanno innalzare i livelli di colesterolo, bisogna, però, ammettere che nontutti i grassi sono nocivi né che tutti i carboidrati complessi giovano allasalute.

Infatti, nelle aree geografiche dove si fa largo uso di grassi nella dietacome, per esempio, nella Finlandia Orientale, il tasso di malattie cardiacheè molto più alto rispetto a quelle aree dove prevale il consumo di olio dioliva, come nell’Isola di Creta (Figura 2).

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Fig 2 - Il confronto tra diete differenti di Paesi, appartenenti ad aree geogra-fiche diverse, mette in risalto come la Dieta Mediterranea, basata sull’usoquotidiano dell’olio di oliva, sia la più vantaggiosa per il controllo dellemalattie cardiache

Qui, benché la quota lipidica costituisca il 40% dell’apporto caloricogiornaliero, l’incidenza delle malattie cardiache è più bassa persino diquella riscontrata in Giappone, dove il contenuto totale di grassi noncopre più del 10% della dieta.

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Recenti progressi scientifici, in tema di nutrizione, hanno portato aduna sostanziale revisione della prima piramide alimentare, soppiantata dauna nuova piramide proposta, dodici anni più tardi, nel 2004, sempre negliUSA, sulla base degli studi condotti da due autorevoli epidemiologi e die-tologi americani W.C.Willet e M.J. Stamper, della Harward Medical Scho-ol of Public Health (4). Loro hanno potuto dimostrare che un alto appor-to di carboidrati raffinati come il pane bianco ed il riso brillato può avereun effetto devastante sui livelli di glucosio e di insulina nell’organismo. E,pertanto, hanno proposto una nuova piramide che incoraggia, ponendoliproprio alla base, tanto il consumo di cereali integrali quanto quello digrassi salutari, come gli oli vegetali, ricchi di acidi grassi mono e polinsa-turi, ma sconsiglia categoricamente l’uso di carboidrati raffinati (inclusi ilpane bianco, il riso e la pasta prodotta con farina non integrale), di grassisaturi ( contenuti in burro, strutto, lardo, panna) nonché di patate, zuc-chero, dolci e carne rossa (Figura 3).

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Fig 3 - La nuova piramide alimentare proposta da W.C.Willet e M.J. Stamper

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La nuova piramide è integrata da uno zoccolo inferiore che sottolineal’esigenza di svolgere un regolare e giornaliero esercizio fisico e presenta,come suggerimento esterno, l’indicazione ad un moderato consumo dialcool, preferibilmente vino rosso, e ad una supplementazione vitaminica,oltre che il controllo periodico del peso ed un moderato consumo totale dicalorie.

Il modello di alimentazione proposto da questa seconda piramide siavvicina molto alla “Dieta mediterranea” che si ricollega alle secolari abi-tudini alimentari dei popoli del bacino del Mediterraneo ed è caratterizza-ta da una abbondanza di alimenti di origine vegetale provenienti da cerea-li, legumi, frutta, ortaggi, da alimenti prevalentemente di origine marinaquali il pesce e da un tipo di grasso, molto diffuso, come l’olio di oliva.

Questa dieta contiene pochi acidi grassi saturi, è ricca di carboidraticomplessi e fibre, ha un elevato contenuto di acidi grassi monoinsaturi chederivano essenzialmente dall’assunzione dell’olio di oliva. Gli stessi panee pasta, che rappresentano gli alimenti fondamentali di questa dieta,rispondono a questi requisiti se ottenuti con farine integrali che apporta-no un consistente quantitativo di fibre in grado di soddisfare il senso difame, influenzare l’assorbimento dei principi nutritivi, diminuire il tempodi transito intestinale e ridurre il rischio di malattie come la diverticolite ela sindrome del colon irritabile.

La disponibilità, poi, nel bacino del Mediterraneo, di molte piantearomatiche quali rosmarino, origano, salvia, basilico, cappero, prezzemo-lo, menta, aglio e cipolla, permette di arricchire le varie pietanze di saporigradevoli che stimolano fisiologicamente la secrezione dei succhi digesti-vi e contribuiscono a ridurre al minimo necessario la quantità di condi-menti (5).

In Italia, già dal 2002, l’illustre nutrizionista Prof. F. Fidanza, con loscopo di rendere più chiaro ed immediato il messaggio nutrizionale, haproposto, al posto delle piramidi, il “Tempio della Dieta Mediterranea salu-tare” (Figura 4). Esso è formato da tre gradini di base, il crepidoma, neiquali sono riportati, nei primi due, le regole fondamentali di comporta-mento, ossia ““ lloo ssttiillee ddii ddii vviittaa ppiiùù ssaalluuttaarree ppoossssiibbiillee”” ed ““iill ddiissppeennddiiooeenneerrggeettiiccoo ddeellllaa sstteessssaa eennttiittàà ddeellll’’aappppoorrttoo eenneerrggeettiiccoo””; gran parte del terzogradino è riservato all’oolliioo vveerrggiinnee ddii oolliivvaa, a voler sottolineare che essorappresenta l’alimento basilare della Dieta Mediterranea. Accanto a que-sto, sempre nello stesso gradino, una modica quantità di vino rosso.

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Nelle metope, situate in alto, sotto il timpano, sono indicati gli ali-menti non caratterizzanti la Dieta Mediterranea salutare ed esattamente:latte e derivati, carni, uova, grassi, dolciumi e zucchero. Questi sonosovrastati dalla scritta “Moderazione”, riportata nel timpano, a voler rimar-care l’importanza di non cadere in una dieta sbilanciata o per difetto o pereccesso.(6)

Più sopra, campeggiano due grandi colonne esterne, nelle quali sonoindicati, con caratteri di differente grandezza, in rapporto alle diversequantità da consumare, alcuni alimenti caratterizzanti la Dieta Mediterra-nea salutare. In particolare, in una colonna trovano collocazione paneintegrale, cereali ed, in minor misura, patate, mentre nell’altra, verdurafresca, frutta di stagione ed, in porzioni ridotte, frutta secca (noci, man-dorle, nocciole).

Nelle due colonnine centrali spiccano rispettivamente le scritte “legu-mi” e “pesce” e ciò ne fa subito intuire l’importanza.

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Fig 4 - Il tempio della Dieta Mediterranea salutare

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Con la dieta Mediterranea, è possibile raggiungere, pur con l’ingestio-ne di una soddisfacente quantità di alimenti a valore calorico limitato, uncerto senso di sazietà, riuscendo a contrastare l’obesità. Fibre solubili,come quelle presenti in molti legumi, possono aiutare a ridurre il coleste-rolo nel sangue. I cereali integrali, inoltre, sono altamente protettivi neiconfronti del tumore del colon, del seno, dell’endometrio e della prosta-ta. Si raccomanda un limitato consumo di prodotti caseari, come latteintero, panna e formaggio, di carne, principalmente di quella rossa, e carniinsaccate, di uova e cibi salati, affumicati o contenenti nitrati.

In termini di grassi da condimento bisogna prediligere l’olio verginedi oliva, anche per le fritture, con la raccomandazione, comunque, di nonesagerare con i consumi e di evitare le alte temperature ed i lunghi tempidi cottura.

Va posta, inoltre, attenzione nel limitare al massimo l’uso di cibi pre-confezionati, come i prodotti da bar, pasticcerie e rosticcerie (cornetti,brioche, pizzette, piadine, ecc.), che sono un pericoloso veicolo di elevatequantità di grassi saturi.

La dieta deve, inoltre, assicurare un adeguato apporto di sali mineralie vitamine, mediante l’assunzione abbondante di frutta e verdura.

La salubrità di un siffatto tipo di alimentazione è ampiamente docu-mentata (7).

Fig 5 - Ripartizione consigliata di principi nutritivi per una dieta equilibrata

Più recenti progressi scientifici, in tema di fisiologia della nutrizione,indicano che, per godere di un ottimale stato di salute e vivere in benesse-re, è necessario che i principi nutritivi presenti nella nostra dieta proven-gano in ragione del 65% da alimenti di natura glucidica, del 25% di natu-ra lipidica e del 10% di natura proteica (Figura 5).

La parte preponderante della quota lipidica dovrà provenire da olivegetali e, preferibilmente, da oli di oliva (8).

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33.. DDeennoommiinnaazziioonnii ccoommmmeerrcciiaallii ddeeggllii oollii ddii oolliivvaa

Come è noto l’olio di oliva rappresenta, per tradizione alimentare elegame col territorio, uno dei prodotti fondamentali dell’agricoltura edindiscusso protagonista della “Dieta Mediterranea”.

Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea

Fig 6 - Schema di lavorazione delle olive per ottenere le principali categoriedi oli

200

Esso è prodotto dalla spremitura a freddo delle olive semplicementelavate e sottoposte a processi meccanici di molitura e gramolatura, segui-ti da altri procedimenti fisici, comprendenti la decantazione, la centrifu-gazione e la filtrazione (Figura 6).

Il termine “olio di oliva” è usato in maniera generica per definire tuttigli oli derivanti dalla lavorazione delle olive; in realtà questo termine rac-chiude una gamma di prodotti diversi per qualità e caratteristiche. Infatti,gli oli del commercio, conformemente a quanto disposto dal regolamen-to della C.E., debbono riportare, già dal 1° Novembre 2003, in funzionedella categoria di appartenenza, le seguenti denominazioni (9):

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Ruolo dell’olio di oliva nella Dieta Mediterranea

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• OOlliioo eexxttrraavveerrggiinnee di oliva, di gusto “assolutamente perfetto”, con aci-dità, espressa in acido oleico, inferiore o uguale allo 0,8%, ottenutodal frutto dell’olivo solo mediante mezzi meccanici o fisici e senzasubire alcun trattamento diverso dal lavaggio, dalla decantazione,dalla centrifugazione e dalla filtrazione;

• OOlliioo vveerrggiinnee di oliva, di gusto “perfetto”, con acidità inferiore o ugua-le al 2%, ottenuto sempre col solo utilizzo di mezzi meccanici o fisi-ci;

• OOlliioo ddii oolliivvaa composto da una miscela di oli di oliva rettificati, ossiavergini lampanti (con acidità iniziale > 2%) che hanno subito un pro-cesso di raffinazione, con oli vergini d’oliva, diversi da quello lampan-te, ed avente acidità finale inferiore o uguale all’1,5%. Non è previstoun contenuto minimo di oli vergini da addizionare;

• OOlliioo ddii ssaannssaa ddii oolliivvaa composto da una miscela di oli di sansa rettifi-cati con oli vergini d’oliva, diversi da quello lampante, ed avente aci-dità finale inferiore o uguale all’1,5%; anche in questo caso non è pre-visto un contenuto minimo di oli vergini da addizionare.

Gli oli vergini ed extra-vergini di oliva, quando siano in possesso diparticolari requisiti derivanti da fattori naturali, dalle modalità di produ-zione e di lavorazione, possono ottenere il riconoscimento della Denomi-nazione di origine controllata (DOC).

Il marchio DOP (Denominazione di Origine Protetta) identifica ladenominazione di un prodotto strettamente correlato alla zona di produ-zione garantendo la zona di origine di un olio extra-vergine. Questo mar-chio garantisce che tutti i procedimenti di produzione sono stati effettua-ti nell’ambiente geografico del luogo di origine.

La DOP tutela, quindi, la tipicità del prodotto essendo conferito soloagli oli extra-vergini di oliva prodotti nel pieno rispetto della tradizionedella propria zona d’origine(10).

Prodotti DOP(Denominazione d’Origine Protetta)

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Infine la denominazione “Biologico” viene assegnata all’olio verginedi oliva prodotto da piante coltivate senza l’uso di diserbanti, pesticidi,fertilizzanti sintetici.

Per questi tipi di oli è previsto esclusivamente l’impiego di tecniche dicoltivazione ed allevamento rispettose dell’ambiente; per rendere fertili iterreni si utilizzano concimi organici e minerali naturali, mentre per difen-dere le coltivazioni dai parassiti si adottano prodotti e tecniche che nonhanno alcun impatto sull’ambiente(12).

Molti sono gli oli extra vergini di oliva italiani che hanno ottenutoquesta denominazione ( Val di Mazara, Valli Trapanesi , Monti Iblei,Monte Etna, Bruzio, Lametia, Sabina, Cilento, Alto Crotonese, AprutinoPescarese, ecc.).

Il Marchio IGP (Indicazione Geografica Protetta) viene assegnatoquando il legame col territorio è presente in almeno uno degli stadi di pro-duzione, della trasformazione o dell’elaborazione del prodotto che godedi una certa fama ( ad esempio l’olio extravergine di oliva Toscano) (11).

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Prodotti IGP(Indicazione Geografica Tipica)

Prodotti Agricoltura Biologica

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44.. CCoommppoossiizziioonnee cchhiimmiiccaa ddeellll’’oolliioo ddii oolliivvaa

I componenti dell’olio di oliva possono essere suddivisi in due frazio-ni:n una prevalente, gglliicceerriiddiiccaa,, saponificabile, che ne rappresenta dal 95

al 99,5% ;n una minoritaria, nnoonn gglliicceerriiddiiccaa e, quindi, insaponificabile compresa

tra lo 0,5 ed il 5%.La frazione gliceridica, derivante dalla combinazione di glicerina con

gli acidi grassi, è composta, principalmente, da:• trigliceridi (96,4-95,8%);• digliceridi (2,0-3,0%);• una bassissima concentrazione di acidi grassi liberi.

I trigliceridi, oltre ad essere un’importante fonte di energia per l’or-ganismo, forniscono, infatti, 9 Cal./g , hanno molteplici prerogative, qualiad esempio:• apportare acidi grassi e, soprattutto, quelli cosiddetti “essenziali”;• favorire l’assorbimento delle vitamine liposolubili;• svolgere azione plastica nella strutturazione delle membrane cellula-

ri;• manifestare un’azione funzionale come precursori delle prostaglandi-

ne;• possedere un’azione protettiva nei confronti della colesterolemia.

Una caratteristica peculiare che accomuna tutti gli acidi grassi di ori-gine naturale è che essi:• sono sempre formati da un numero pari di atomi di carbonio;• se, polinsaturi, presentano doppi legami non coniugati (i dieni ed i

trieni si trovano solo negli oli che hanno subito un processo di retti-ficazione);

• hanno un’isomeria del doppio legame CIS e mai TRANS (questi ulti-mi si trovano soli nei grassi idrogenati);

• le posizioni 1 e 3 della glicerina sono, di preferenza, esterificate conacidi grassi saturi;

• l’acido oleico e linolenico si distribuiscono equamente in tutte leposizioni del trigliceride;

• l’acido linoleico prevale nella posizione 2 della molecola della gliceri-na (13).

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Gli acidi grassi monoinsaturi riescono a coniugare i vantaggi dientrambi; infatti, sono dotati di buona stabilità termica, fruiscono di otti-me proprietà biologiche ma non sono facilmente esposti all’evento ossi-dativo.

L’equilibrata composizione in acidi grassi dell’olio di oliva con ungrado di insaturazione non troppo elevato, rispetto a tutti gli altri oli egrassi, e la contemporanea presenza di numerose sostanze anti-ossidanti,come la vitamina E ed i polifenoli, consentono a questo alimento di farcoesistere i vantaggi di una particolare stabilità con quelli di un miglioremetabolismo e, quindi, di una migliore digeribilità (Tabella I).

L’olio di oliva è caratterizzato, nella frazione saponificabile (Figura8), da una netta prevalenza, intorno al 70-75%, di acido oleico (18:1, n-9),

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Gli acidi grassi saturi sono termicamente molto stabili ma si accumu-lano facilmente nel nostro organismo, viceversa gli acidi grassi polinsatu-ri possiedono interessanti qualità biologiche ma la presenza di legami insa-turi li rende anche più facilmente attaccabili dall’ossigeno (Figura 7).

Il fenomeno ossidativo procede con una velocità proporzionale alnumero dei doppi legami esistenti ed è contrastato dalla natura e dallaconcentrazione delle sostanze antiossidanti.

Fig 7 - Andamento della stabilità termica, dell’ossidabilità, della capacità diaccumulo nell’organismo degli acidi grassi saturi, monoinsaturi e polinsatu-ri, in funzi ne dei livelli di insaturazione crescente (—) o decrescente (—)

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un acido grasso monoinsaturo; una minore percentuale di acidi grassisaturi , come il palmitico (16:0) e lo stearico (18:0), complessivamenteintorno al 17%, ed una quota ottimale di acidi grassi polinsaturi, quali illinoleico (18:2, n-6) (8%) ed il linolenico (18:3, n-3) (0,9%), che rappre-senta la quantità necessaria e sufficiente per mantenere l’omeostasi nel-l’organismo (14).

Tab. 1 Composizione in acidi grassi dei principali oli e grassi

(Fonte - Dati Unaprol)

Fig. 8 Composizione percentuale acidica della frazione saponificabile degli oli

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Se non subentrano azioni chimico-fisiche che alterino il prodotto, lacomposizione chimica dell’olio può essere influenzata da numerosi fatto-ri (Figura 10), quali:• La varietà delle olive ed il loro grado di maturazione;• Le condizioni ambientali e climatiche; • Le tecniche di allevamento delle piante;• Le procedure di raccolta, stoccaggio e trasporto del prodotto;• I procedimenti di lavorazione del frutto;• Le modalità ed i tempi di conservazione dell’olio.

Mentre la frazione gliceridica è pressocchè uguale in quasi tutti gli olidi oliva, salvo alcune variazioni quantitative, i costituenti minori presenta-no differenze qualitative e quantitative, a volte rilevanti, che influenzano lecaratteristiche organolettiche, nutrizionali, dietetiche e merceologiche.

Nella frazione insaponificabile dell’olio di oliva si annoverano alcoli,steroli, idrocarburi e composti con una forte attività antiossidante comepolifenoli e tocoferoli (Figura 9).

Tutte queste sostanze conferiscono all’olio di oliva caratteristicheproprietà organolettiche quali il profumo (fruttato, mela, carciofo, man-dorla, pinolo, erba, foglia, ecc.) e il gusto tipico (amaro, piccante), nonchéproprietà biologiche particolari.

Alcune di queste sostanze (alcoli, steroli, idrocarburi) rappresentanoanche, dal punto di vista analitico, dei marker, ossia delle sostanze guida,per svelare la presenza di eventuali frodi (15).

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Fig. 9 Composizione percentuale della frazione insaponificabile degli oli dioliva

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55.. LL’’iimmppoorrttaannzzaa nnuuttrriizziioonnaallee ddeeggllii aacciiddii ggrraassssii ddeellll’’oolliioo ddii oolliivvaa

Gli studi sui rapporti esistenti tra alimentazione ed incidenza dimalattie cardiovascolari e tumori hanno messo in evidenza il ruolo fonda-mentale della dieta quale possibile concausa nell’insorgenza di tali proces-si morbosi.

In Europa la mortalità per tumore al polmone ed al seno e per malat-tie cardiovascolari è considerevolmente più bassa in quei Paesi dove siconsuma, soprattutto, olio di oliva come grasso alimentare (Italia, Greciae Spagna), rispetto ai Paesi del Nord Europa o degli Stati Uniti dove taleconsumo è basso (16).

Tuttavia, recenti ricerche epidemiologiche hanno dimostrato che,pure in Italia, il 35% di tutti i tumori diagnosticati ed il 40% circa dimalattie cardiovascolari sono legati ad abitudini alimentari squilibrate ederrate (17).

Fino a poco tempo fa i grassi e gli oli di origine vegetale erano consi-derati ininfluenti per quanto riguarda il rischio oncogeno. Tuttavia, anali-si recenti suggeriscono la possibilità che l’olio di oliva produca un effettoprotettivo nei confronti di alcuni tipi di neoplasia ed, in particolare, deltumore alla mammella.

Le proprietà nutrizionali dell’olio di oliva sono determinate dalle suecaratteristiche di composizione acidica mirabilmente equilibrate e la sua

Fig. 10 Fattori che influenzano la composizione chimica e le caratteristichequalitative dell’olio di oliva (14)

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utilizzazione, come principale fonte di grassi alimentari, nell’ambito deilimiti raccomandati di assunzione della quota lipidica, gioca un ruoloimportante nel fornire una protezione dietetica alla salute dei consumato-ri di tutte le età. Per i bambini, per il grande apporto di acido oleico pre-sente anche nel latte materno; per gli sportivi, perché rappresenta un’in-sostituibile fonte di energia prontamente digeribile e, nell’età senile, inquanto limita la perdita di calcio dalle ossa.

La fama dell’olio di oliva, come prodotto mediterraneo con potenzia-li benefici per la salute, ha, ormai, varcato i confini delle malattie cardio-vascolari ed oncologiche per arrivare ad essere studiato, persino, comerimedio o prevenzione in molte altre condizioni.

Si vanno facendo, infatti, sempre più numerosi gli studi che dimostra-no effetti favorevoli dovuti al consumo di olio di oliva nei confronti del-l’ipertensione, del diabete, dell’obesità, dell’ulcera gastro-duodenale, dellacalcolosi biliare, dell’artrite reumatoide, fino ad arrivare ai deficit cogniti-vi cerebrali.

Già nel lontano 1886 era stato notato che l’aggiunta di olio di olivanei pasti inibisce la secrezione di acido gastrico (18). Studi successivihanno confermato i risultati di questa pioneristica ricerca mediante speri-mentazioni effettuate prima sui cani (19), dopo sui ratti (20) ed, ultima-mente, sull’uomo (21, 22).

L’olio di oliva esplica, anche, un’azione positiva sul tono e sull’attivi-tà della cistifellea, poiché ha proprietà colagoghe e colecistocinetiche, chesono responsabili della motilità e dello svuotamento della cistifellea. Esi-ste, infatti, una correlazione inversa tra consumo di grassi vegetali e l’in-cidenza di calcoli biliari. Dalle ricerche condotte in questo campo è emer-so il ruolo opposto degli acidi grassi saturi e degli acidi grassi insaturi: iprimi stimolano la formazione di calcoli biliari, mentre i secondi la ridu-cono (23,24).

L’uso regolare dell’olio di oliva pare che riesca ad esplicare un’azionepositiva nel ridurre, al di là, ovviamente, della predisposizione genetica, ilrischio di insorgenza del diabete mellito (insulino-dipendente). La resi-stenza periferica all’insulina è un fenomeno dovuto alla riduzione dell’at-tività dei recettori insulinici localizzati nelle membrane cellulari che com-porta un innalzamento della glicemia e della insulinemia.

L’iperinsulinemia determina, a sua volta, a livello epatico, un aumen-to della sintesi degli acidi grassi e del colesterolo e, quindi, una loro mag-giore incorporazione nelle membrane cellulari che tendono, pertanto, adirrigidirsi ulteriormente (aterosclerosi).

In tale ottica, le misure dietetiche adottate non sono importanti solo

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per la prevenzione del diabete, ma costituiscono anche la base della tera-pia di tale patologia. Infatti, la riduzione del consumo di acidi grassi satu-ri e la loro sostituzione con acidi grassi monoinsaturi (acido oleico), deri-vanti anche dall’impiego di olio di oliva, costituisce una misura di fonda-mentale necessità, dal momento che i pazienti diabetici sono notevolmen-te soggetti all’aterosclerosi.

Recenti indagini hanno, ulteriormente, confermato che tanto il con-trollo glicemico quanto i profili lipoproteici traggono vantaggio da unadieta ricca di acidi grassi monoinsaturi (25).

Nel corso degli anni, si sono moltiplicati gli studi epidemiologici chehanno messo in risalto le conseguenze benefiche del consumo di olio dioliva ed, in particolare, l’effetto preventivo, dell’acido oleico sui tumoridell’endometrio e delle ovaie (26, 27), della mammella (28), della prosta-ta (29) e del colon-retto (30).

L’olio di oliva potrebbe divenire un prezioso alleato per combattere ilcancro al seno.

È la nuova prospettiva terapeutica offerta dai risultati degli esperi-menti di Javier Menendez della Northwestern University Feinberg Scho-ol of Medicine di Chicago che hanno svelato il meccanismo dell’azioneanticancro dell’olio.

Gli esperti hanno studiato l’effetto dell’acido oleico su cellule malatecoltivate in laboratorio. L’acido oleico ha effetto contro le cellule tumora-li perché riduce del 46% l’attività del gene Her-2/neu, un oncogene che èrovinosamente iperattivo in un caso su cinque di carcinoma mammario ela cui iperattività è legata a tumori con prognosi più delicata.

Ciò spiega il minor rischio per questa neoplasia tipico delle donne deiPaesi mediterranei, come dimostrato in passato con numerose indaginiepidemiologiche su campioni di popolazione femminile. I ricercatori, arri-vati per primi a queste spiegazioni biochimiche, adesso puntano a svilup-pare nuove indagini epidemiologiche per vedere se le donne malate cheusano l’olio extra-vergine a tavola rispondono meglio alle terapie oncolo-giche. In un secondo tempo, si potrà anche pensare di inserire le moleco-le di base dell’olio come adiuvanti delle terapie stesse.

Acido oleico

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Inoltre, i ricercatori si sono accorti che l’acido oleico può, anche,migliorare l’efficacia del trattamento col farmaco trastuzumab (“hercep-tin”), un anticorpo monoclonale che riconosce e lega, intrappolandola, laproteina prodotta proprio dal gene Her-2/neu e che consente di prolun-gare la vita di molti pazienti con un tumore al seno. E se ciò non bastassesi è visto che l’acido oleico stimola l’attività di un gene oncosoppressore,ovvero un freno naturale della crescita del tumore, che serve a produrre laproteina p27Kip1. Questa molecola è, a sua volta, importante perchéimpedisce alla paziente di diventare resistente alla erceptina.

In un secondo momento i ricercatori, con test su animali da labora-torio, potranno sviluppare le premesse per l’aggiunta di acido oleico nelleterapie farmacologiche contro il cancro al seno, per rendere le terapie stes-se più efficaci e per ridurre il rischio di resistenza farmacologica (31).

Inoltre, studi biochimici e clinici condotti da numerosi studiosi ame-ricani ed europei su diverse popolazioni hanno dimostrato che, una dietacon un alto contenuto in grassi saturi, comune in molti Paesi dell’EuropaOccidentale e Settentrionale, eleva il colesterolo LDL; al di là del ruoloaterogeno, i grassi saturi peggiorano il “catabolic rate” del colesterolo efavoriscono l’insorgenza dell’ipertensione, la tendenza alla trombosi, non-ché una moltiplicazione cellulare che caratterizza la lesione arteriosa.Viceversa, una dieta ricca di carboidrati complessi e fibre ed in cui la fontedi grassi sia principalmente costituita da acidi grassi monoinsaturi, comesi ha nella dieta Mediterranea, riduce il livello di colesterolo LDL.

Viene, generalmente, accettata la teoria secondo la quale l’aumentodei livelli di lipoproteine a bassa densità (LDL) abbia un ruolo eziologiconell’insorgenza dell’arteriosclerosi e delle patologie ad essa associate(ischemia, infarto, ictus).

È stato provato, in particolare, che la quantità e la composizione degliacidi grassi saturi assunti con la dieta, con il consumo di grassi di origineanimale (burro, strutto, lardo, panna, ecc.), proprio perché più facilmen-te immagazzinati dalle cellule, ma più difficilmente smaltiti, concorrono afar aumentare la quantità di queste lipoproteine all’interno della paretearteriosa. Com’è noto queste lipoproteine sono particelle sferiche compo-ste da grassi e proteine e formate da un monostrato esterno contenente laproteina denominata “apolipoproteina B”, detta Apo B, disposta attornoad un nucleo centrale contenente trigliceridi e/o esteri del colesterolo(grassi non polari). Una particella di queste lipoproteine contiene circa

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3600 acidi grassi, di cui almeno la metà è di tipo polinsaturo. Orbene, si èpotuto constatare che dette lipoproteine sono, praticamente, innocue allostato “originario” ma rappresentano un vero pericolo qualora vengonoalterate da un processo di ossidazione. È molto probabile che l’ossidazio-ne di queste lipoproteine si verifichi a livello della parete arteriosa, piutto-sto che nel circolo ematico, quando vengono intrappolate nell’intima esottoposte a modificazioni di tipo ossidativo. I macrofagi, cellule che siformano quando i monociti, provenienti dal circolo, passano attraverso laparete dell’arteria, fagocitano avidamente queste LDL contribuendo allaloro trasformazione in cellule schiumose. L’accumulo di queste, nell’inti-ma, determina la formazione di strie lipidiche. Queste, con un meccani-smo simile a quello delle formazioni delle cicatrici, vengono gradualmen-te convertite in placche fibrose. Tali placche, man mano che si ingrandi-scono, restringono il lume dei vasi, impedendo il normale flusso ematico,e causano la maggior parte degli eventi clinicamente rilevabili (Figura 11).

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Fig. 11 Ostruzione arteriale dovuta alla progressiva crescita della placcafibrosa ateromatosa

Se ciò avviene a carico delle coronarie può portare a ischemia miocar-dica e infarto, se, invece, si verifica nei vasi che portano il sangue al cervel-lo si può arrivare all’ictus (32).

Il processo ossidativo si pensa possa essere inibito dalla presenza nelplasma di antiossidanti (come le vitamine C ed E) e che si verifichi soloquando queste difese sono scarse e, soprattutto, se c’è carenza di ·-toco-ferolo (33).

È stato provato che la graduale sostituzione dei grassi saturi alimen-tari con grassi monoinsaturi, come si verifica con l’assunzione quotidiana

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di olio di oliva, riduce i livelli di LDL, diminuendo, quindi, la quantità diqueste particelle nella parete dell’arteria e, di conseguenza, la quantità e lacomposizione delle lipoproteine disponibili per l’ossidazione. Inoltre,grazie al contenuto in Vitamina E e composti fenolici, dotati di potenteazione antiossidante, l’olio di oliva offre un’ulteriore valida protezioneall’ossidazione delle LDL. Ciò favorisce la riduzione delle concentrazionidi colesterolo totale e LDL senza ridurre i livelli di HDL, migliorandocosi il profilo lipidico ed aiutando a prevenire l’iperlipidemia.

Questa sostanziale differenza tra i due tipi di alimentazione, malgra-do le similitudini tra i classici fattori di rischio per le patologie cardiocir-colatorie, è stata associata ad un più basso pericolo di insorgenza dellepatologie stesse (34-40).

L’olio di oliva potrebbe esplicare, proprio grazie ad un elevato conte-nuto di acido oleico ed alla contemporanea presenza di sostanze antiossi-danti, un ruolo protettivo nei confronti di patologie neurodegenerativecome l’Alzheimer ed il Parkinson (41-43).

È stato dimostrato, tramite uno studio epidemiologico condotto suuna popolazione anziana del Sud Italia, che elevati introiti di acidi grassimonoinsaturi proteggono dal declino cognitivo correlato all’età.

Infatti, nel corso dell’indagine, svolta su un gruppo di 704 soggettipugliesi di età compresa tra i 65 e gli 84 anni, seguiti, nel tempo, per 9 annipresso il Comune di Casamassima, è stato possibile valutare il ruolo delleabitudini alimentari sulla mortalità ed, in particolare, l’azione di una dietaad alto contenuto di acidi grassi mono e polinsaturi. I soggetti esaminatiassumevano una tipica dieta Mediterranea di cui i grassi rappresentavanoil 29% (17,6% monoinsaturi, 3% polinsaturi e 8,4% saturi) degli introitienergetici totali. L’olio extra vergine di oliva rappresentava l’85% del con-sumo totale di grassi. I risultati dello studio hanno messo in evidenza chegli acidi grassi monoinsaturi si associano ad una ridotta mortalità per tuttele cause. In particolare 15 g/die di acidi grassi monoinsaturi si associanoad una riduzione del 20% di mortalità della popolazione ultrasessantacin-quenne (44).

L’olio extra vergine d’oliva diventa, quindi, un vero e proprio “elisir dilunga vita” perché, grazie all’importante patrimonio di sostanze dotate dielevata azione antiossidante, previene e combatte molte malattie cronicheche si manifestano con l’avanzare degli anni.

Queste relazioni favorevoli non sono, però, ancora conclusive ed

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occorrerà del tempo prima che si consolidino i risultati raggiunti che, almomento, rimangono soltanto come ipotesi suggestive.

Ma l’olio vergine di oliva non è solo acido oleico.

Anche l’acido linoleico, il cui contenuto è circa l’8%, pare che riescaa svolgere azioni molto interessanti soprattutto nel caso di malattieautoimmuni.

In tali malattie la risposta immunitaria di tipo 1 è caratterizzata dauna iperproduzione di interleuchina 1 (IL-1), interleuchina 2 (IL-2),interferone –gamma (IFN-gamma) e di Tumor Necrosis Factor-alfa(TNF-alfa). Questo meccanismo è alla base di alcune malattie come pso-riasi, alopecia, artrite reumatoide, malattia di Crohn, sclerosi multipla,diabete mellito insulino-dipendente, uveite.

L’acido linoleico riuscirebbe ad inibire tale meccanismo portando allasoppressione della risposta immunitaria di tipo 1 (45).

Tale acido, assieme al linolenico, vengono, inoltre, definiti acidi gras-si essenziali perché non possono essere sintetizzati dall’organismo e deb-bono necessariamente venire introdotti con la dieta, pena il manifestarsidi carenze. Esiste un’abbondante documentazione sperimentale, epide-miologica e clinica sui danni nello sviluppo cerebrale e psichico in caso dicarenze di acidi grassi polinsaturi essenziali; tali condizioni, peraltro, sem-brano rare nel Mondo Occidentale ed in Italia e sono facilmente correttecon l’allattamento al seno, con l’uso successivo o sostitutivo delle piùcomuni formulazioni alimentari pediatriche in commercio e con la dietausualmente suggerita in fase di svezzamento. Il problema della carenza, inquesto settore, sembra sostanzialmente confinato, oggi, ad alcuni Paesi invia di sviluppo.

Gli acidi grassi polinsaturi essenziali, essendo, come già ricordato,

Acido linoleico (c9, c12 - 18:2)

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precursori di fattori protettivi quali le prostaglandine nonché di altri eico-sanoidi, sostanze ormono-simili, come i trombossani, i leucotrieni, ecc.,risultano particolarmente importanti, dal punto di vista biologico, perchèsvolgono le seguenti funzioni:• influenzano l’aggregazione piastrinica;• controllano la vasodilatazione e la vasocostrizione delle arterie coro-

nariche;• sovrintendono alla regolazione della pressione del sangue.

Sembra, tuttavia, chiaro che gli effetti benefici dell’olio di oliva sianodovuti, almeno per quel che riguarda i suoi componenti principali,all’equilibrio tra acidi grassi saturi, monoinsaturi e polinsaturi, nonché traquesti ultimi e gli agenti antiossidanti.

In particolare, i saturi non dovrebbero superare il 10% della quotacalorica totale per il rischio di rallentare il metabolismo del colesterolo eprovocare la rigidità delle membrane biologiche, ma lo stesso livello nondovrebbe essere superato dai polinsaturi per il rischio delle perossidazio-ni biologiche.

Alcuni Autori ritengono, oggi, preferibile un rapporto tra acidi gras-si saturi, monoinsaturi e polinsaturi rispettivamente di 6:14:10 con un’ul-teriore suddivisione, tra i polinsaturi, di 8:2 tra la serie w-6 e la serie w-3(46).

66.. IImmppoorrttaannzzaa nnuuttrriizziioonnaallee ddeeii ccoommppoonneennttii mmiinnoorrii ddeellll’’oolliioo ddii oolliivvaa

Come già detto, i componenti minori dell’olio di oliva sono costitui-ti, in ordine decrescente di concentrazione, da idrocarburi saturi ed insa-turi, alcoli alifatici superiori, alcoli di-triterpenici, comprendendo tra que-sti anche gli steroli ed i metil-steroli, polifenoli, pigmenti colorati (Caro-tenoidi e Clorofille) e vitamine liposolubili.

Gli iiddrrooccaarrbbuurrii sono composti esclusivamente da carbonio ed idroge-no e costituiscono, in media, circa il 50-60% del contenuto totale dell’in-saponificabile di un olio di oliva.

Il principale idrocarburo è lo squalene, presente in quantità compresetra 125-800 mg/100 g di olio; esso è un triterpene polinsaturo, intermediodella biosintesi del colesterolo, dei fitosteroli e di tutti gli ormoni steroi-dei, con azione fisiologica nel ricambio umano (crescita).

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Squalene

Alcune evidenze sperimentali fanno avanzare l’ipotesi che l’elevatocontenuto di squalene nell’olio di oliva sia il principale fattore dell’effettodi riduzione del rischio del cancro della mammella e del pancreas. Sembrache detta sostanza svolga, anche, un’attività chemiopreventiva, per quan-to riguarda la formazione di tumori del colon.

Inoltre, lo squalene è utilizzato, in campo medico/terapeutico, pernutrire la pelle, per alleviare il dolore e l’infiammazione delle articolazio-ni, per la difesa contro virus comuni, per mantenere sani i sistemi schele-trico e circolatorio, come potenziante delle masse muscolari, al posto dellacreatina, per la terapia della cartilagine ricostruita dopo interventi di chi-rurgia (47).

Gli aallccoollii aalliiffaattiiccii costituiscono il 20-35% della frazione non saponi-ficabile dell’olio. Sono molecole generalmente molto volatili che, evapo-rando a basse temperature, contribuiscono, assieme ad aldeidi , chetoni edeteri, a caratterizzare il tipico profumo emanato dagli oli vergini di oliva.Si percepiscono olfattivamente in quantità esigue dell’ordine dei Ìg/kg.

Alcoli triterpenici possono essere presenti sia liberi che esterificaticon acidi grassi.

Di particolare interesse sono il cicloartenolo, il metil-cicloartenolo, ilcitrostadienolo, ecc. che agiscono favorendo l’eliminazione di colesteroloin seguito ad un aumento della secrezione di acidi biliari (15).

Citrostadienolo

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Gli steroli, infatti, si sostituiscono al colesterolo nelle particelle chepermettono l’assorbimento dei grassi nell’intestino in modo tale che que-st’ultimo non venga assorbito e, pertanto, non potendo arrivare nel flus-so ematico viene eliminato dall’organismo attraverso le feci.

Gli sstteerroollii, denominati anche fitosteroli, sono alcoli ciclici monova-lenti insaturi presenti negli oli, sia in forma libera che esterificata con acidigrassi.

Sono stati identificati nell’olio extravergine di oliva più di 40 steroliin quantità compresa tra 113-265 mg/100 g; di questi oltre il 90% è rap-presentato dal b-sitosterolo; valori più bassi sono indicativi della presen-za di sostanze grasse di origine diversa (oli di semi).

Studi sperimentali ed epidemiologici hanno dimostrato che una dietaricca in fitosteroli offre una buona protezione verso i tumori del colon-retto e della prostata.

Numerose sono le ipotesi per quanto riguarda il meccanismo d’azio-ne di queste molecole verso la proliferazione delle cellule tumorali.

In particolare, l’azione del‚ sitosterolo sulle cellule neoplastiche simanifesterebbe mediante un aumento dell’apoptosi, cioè della morte pro-grammata delle cellule.

Infine, recentemente, è stata evidenziata una funzione di stimolo daparte del‚ sitosterolo sulle funzioni del sistema immunitario anche se,ancora, non è noto il meccanismo d’azione.

L’importanza degli steroli vegetali sta, anche, nel fatto che studi clini-ci hanno dimostrato un loro effetto ipocolesterolemizzante, legato allaloro capacità di ridurre l’assorbimento intestinale del colesterolo.

Ciò si spiega mediante un meccanismo che si basa sulla loro somi-glianza strutturale con il colesterolo.

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b - sitosterolo colesterolo

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Il risultato finale consiste in una sensibile riduzione della coleterole-mia (8-14%) ottenibile in seguito all’assunzione di alimenti arricchiti insteroli vegetali (almeno 1,6-2 g/die).

La capacità di inibire l’assorbimento intestinale di colesterolo LDL,senza alterare la concentrazione di colesterolo HDL, si traduce anche inun’azione protettiva verso le malattie cardiovascolari (48).

I ppoolliiffeennoollii sono composti chimici aromatici, dotati di nuclei fenoli-ci legati a gruppi radicalici di varia natura, che contribuiscono a conferireall’olio il caratteristico aroma fruttato ed il gusto piccante-amaro. Essirappresentano, pertanto, un’insieme di composti eterogenei tra cui si pos-sono riconoscere le sei diverse classi molecolari indicate nella Tabella II.

Gli oli extraverginei di oliva contengono mediamente una concentra-

Tab. 2 Composti fenolici dell’olio di oliva

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zione di polifenoli compresa tra 150-300 mg/kg.Secondo alcuni Autori le classi preponderanti della frazione fenolica

degli oli vergini di oliva sono i secoiridoidi ed i lignani (70-95%) negli oliappena prodotti, mentre è stato osservato un aumento delle altre classidurante la conservazione; ciò, probabilmente, è dovuto a processi idroli-tici che si verificano a carico dei primi.

La frazione fenolica dell’olio vergine di oliva rappresenta quella mag-giormente protettiva nei confronti dei processi ossidativi. Però non tutti icomposti hanno evidenziato la stessa attività antiossidante. Ciò è impor-tante alla luce dell’ampio numero di molecole identificate nell’olio vergi-ne di oliva (49).

Tra i diversi composti è stata individuata una maggiore attività antios-sidante per quelli dotati di due ossidrili in posizione orto, in virtù di unamaggiore capacità di delocalizzazione della forma radicalica, grazie al mec-canismo illustrato in Figura 11.

In pratica, i composti fenolici tendono a cedere idrogeno al substra-to da ridurre formando, dapprima, un legame idrogeno intramolecolare edossidandosi, successivamente, a composti ortochinonici. Essi contribui-scono alla rigenerazione della Vitamina E e sono in grado di chelare gliioni ferro capaci, a loro volta, di iniziare e propagare la perossidazione lipi-dica.

La capacità antiossidante dei composti fenolici è legata, quindi, allaloro attività come “radical scavanger” (50).

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Fig. 11Attività antiossidante dei composti fenolici dell’olio di oliva legata alla loro capacità di “radical scavanger”

(LOO=radicale di un acido grasso,LOOH=acido grasso)

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In questo senso i due composti più importanti sono l’oleoeuropeinae l’idrossitirosolo, caratterizzati entrambi da una struttura catecolica(orto-difenoli).

Pertanto, grazie a questi composti, di cui l’olio vergine di oliva è l’uni-co, tra i grassi vegetali, a esserne ricco, la qualità ed il valore biologico del-l’olio stesso sono meglio preservati nel tempo.

Queste sostanze antiossidanti manifestano una duplice azione pro-tettiva, non solo nei confronti dell’olio ma anche sull’uomo che se nenutre.

La loro ampia gamma di attività biologiche, attribuibile alla loro natu-ra chimica, è dovuta al fatto che sono molecole amfifiliche ossia, in parte,liofile, con conseguente azione antiossidante lipidica, paragonabile a quel-la posseduta anche dai Tocoferoli (Vitamina E) ed, in parte, idrofile, cioècon possibilità di interazione con gli enzimi, al pari della capacità antios-sidante mostrata dalla Vitamina C (51).

Oltre alla già ricordata attività nei confronti delle lipoproteine LDL,i polifenoli hanno dimostrato di poter svolgere varie altre importanti azio-ni biologiche, come ad esempio:• provocare l’inibizione di cellule coinvolte in processi fisiopatologici

quali le piastrine, responsabili di processi trombotici, e i leucociti,coinvolti in processi infiammatori;

• modulare enzimi che regolano funzioni cellulari; infatti, vieneaumentata la sintesi dell’ossido nitrico (NO), potente vasodilatatore,capace di produrre nell’Uomo un abbassamento della pressione arte-riosa sia sistolica che diastolica (52);

• essere in grado di bloccare i radicali liberi, evitando la loro azioneossidante su macromolecole biologiche (danneggiamento dell’elicadel DNA, di strutture protidiche e lipidiche) che provoca delle alte-razioni spesso coinvolte nella genesi dei tumori.I radicali liberi sono atomi o molecole (anione superossido O2-,

idrossile OH-, diossido di azoto NO2, ossido nitrico NO-, idrogeno H-,ossigeno O+, ossigeno singoletto O2+,ecc.) che contengono un solo elet-trone spaiato nell’orbitale più periferico.

Questa caratteristica conferisce loro una elevata reattività legata allanecessità, per raggiungere un livello energetico più stabile, di cedere o diassumere un elettrone da altre molecole con le quali vengono a contatto,molecole che, a loro volta, diventano instabili, innescando così un mecca-nismo di “instabilità a catena”.

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Se sono in quantità minima, i radicali liberi aiutano il sistema immu-nitario nell’eliminazione dei germi e nella difesa dai batteri; ma quando sene formano in grandi quantità, producono una molteplicità di danni irre-parabili (figura 13).

L’azione distruttiva è indirizzata, soprattutto, sulle cellule, in parti-colare sui lipidi che sono i costituenti principali delle membrane cellulari(lipoperossidazione) (Figura 14), sugli zuccheri, sulle proteine, sugli enzi-mi e, specialmente, sul DNA, dove vengono alterate le informazioni gene-tiche. L’azione continua dei radicali liberi si evidenzia, in modo più accen-

La serie di reazioni che ne scaturisce può durare da una frazione disecondo ad alcune ore e può essere ridimensionata o arrestata dalla pre-senza di vari agenti antiossidanti.

Le reazioni radicaliche sono ubiquitarie negli organismi viventi e iradicali liberi si possono formare da fattori endogeni o esogeni all’organi-smo umano (Figura 12), come ad esempio, composti organici, metaboliti,alimenti, fattori ambientali, ecc.(53).

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Fig. 12 Serie di reazioni, provocate da fattori endogeni ed esogeni all’organi-smo umano, scatenanti la formazione di radicali liberi che provocano il dan-neggiamento del DNA

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tuato, nel precoce invecchiamento delle cellule e nell’insorgere di variepatologie gravi come le malattie dell’apparato cardiovascolare, diabete,sclerosi multipla, artrite reumatoide, neoplasie, enfisema polmonare, cata-ratta, morbo di Parkinson e Alzheimer, dermatiti, ecc..

Fig. 14 Danno prodotto dai radicali liberi sulle membrane cellulari.A sinistra una rappresentazione di una membrana non danneggiata, a destraquella di una membrana danneggiata che ha perso fluidità e funzionalità

Fig. 13 Danni indotti dall’azione dei radicali liberi

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L’organismo umano si difende naturalmente dai radicali liberi produ-cendo degli antiossidanti endogeni , ossia degli enzimi citoplasmatici omitocondriali, come la superossidodismutasi (SOD, zinco dipendente), lacatalasi (CAT) e la glutation-perossidasi (GSAPX, selenio dipendente).Durante il metabolismo cellulare, i radicali liberi prodotti vengono tra-sformati, per azione della SOD in acqua ossigenata, ancora tossica e dan-nosa per le strutture cellulari. A sua volta, però, l’acqua ossigenata vieneridotta, dalla CAT e dalla GSAPX, in ossigeno ed acqua che vengonoescreti dall’organismo tramite le urine, il sudore e la respirazione.

Superata, però, una certa soglia di radicali liberi è necessario unapporto esterno di antiossidanti. I principali sono i polifenoli, i bioflavo-noidi, alcune vitamine (A, C, E) ed alcuni micronutrienti ed enzimi (Sele-nio, Rame, Zinco, glutatione, coenzima Q10, melatonina, ecc.). Gli agentiantiossidanti possono agire singolarmente o interagire, proteggendosi avicenda nel momento in cui vengono ossidati.

Va tenuto presente che ciascun antiossidante ha un campo di azionelimitato ad uno o due radicali liberi. Pertanto, solo un’alimentazione com-pleta ed equilibrata può garantire un’efficace azione antiossidante.

Per assicurarsi un sufficiente apporto giornaliero di antiossidanti gliesperti consigliano un’alimentazione equilibrata ed un consumo giornalie-ro di almeno 5-6 etti di frutta di stagione e verdura fresca ( due etti di frut-ta e tre etti di verdura) (54).

I radicali liberi vengono bloccati, oltre che dai suddetti enzimi, dameccanismi di difesa che coinvolgono polifenoli, Vitamina E, vitaminaC, il‚ b-carotene, ecc.

Tra i composti fenolici quelli più studiati sono stati l’oleuropeina el’idrossitirosolo.

L’oleoeuropeina è un principio amaro di struttura‚ b-glucosidica chepossiede, tra l’altro, un’attività blandamente ipoglicemizzante. Infatti,nelle persone affette da questa patologia agisce migliorando la tolleranzaal glucosio, facendo abbassare i livelli di glucosio a digiuno e riducendo ipicchi di risposta glicemica.

Altri effetti attribuibili all’oleuropeina sono l’inibizione dell’aggrega-zione piastrinica ed il potenziamento della protezione cellulare e dell’or-ganismo intero attraverso la risposta mediata dai macrofagi. Questo effet-to si integra armoniosamente con l’azione antimicrobica contro virus, bat-teri, lieviti, funghi, muffe ed altri parassiti (55). All’oleouropeina è stata

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riconosciuta, da alcuni ricercatori, una capacità antitumorale con azione indiverse fasi del processo cancerogeno (56).

Spesso, durante il ciclo di lavorazione, l’oleouropeina si idrolizzascindendosi in glucosio, acido elenoico ed in 3,4-diidrossifeniletanolo(3,4-DHPEA) o idrossitirosolo.

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oleuropeina Acido elenoico idrossitirosolo

Quest’ultimo è un composto interessante in quanto esplica un’azio-ne antiherpes, ipotensiva, antiaggregante piastrinica ed, in vitro, effettiantitumorali, inibendo la proliferazione sia sulle linee cellulari di leucemiapromielocitica che dell’adenocarcinoma del colon (57).

Recentemente è stata scoperta una notevole attività farmacologica inun derivato dell’oleuropeina aglicone, responsabile del sapore pungenteche si avverte in gola quando si gusta dell’olio extravergine di oliva, che èstato denominato ““OOlleeooccaannttaallee””. Il nome sta ad indicare che si tratta di uncomposto aldeidico (“ale”), che deriva dall’olio di oliva (“oleo”) e che haun sapore pungente (“canth”) (58).

Struttura dell’oleocantale (a sinistra) e dell’ibuprofene (a destra)

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Per verificare che veramente l’oleocantale fosse responsabile del sapo-re pungente del condimento gli scienziati hanno testato diverse qualitàd’olio di oliva verificando che maggiore era il contenuto di oleocantale inciascuna, più forte diventava il gusto pungente dell’olio. Tale sensazioneera simile a quella determinata dall’assunzione di un farmaco antinfiam-matorio quale l’ibuprofene.

Partendo da questa considerazione e ricostruendo in laboratorio laforma sintetica della molecola si è potuto constatare che essa manifestavala stessa azione inibente e dose dipendente sulle ciclossigenasi 1 e 2(COX-1 e COX-2), ossia nei confronti dei medesimi bersagli dell’ibupro-fene. Il meccanismo d’azione, tuttora allo studio, pare sia da collegarsi alfatto che detti enzimi danno luogo alla produzione di prostaglandinePGE2, dotate di spiccata azione pro-infiammatoria e che, pertanto, ini-bendo i primi si spegne anche l’effetto dolorifico prodotto dalle seconde.

Pertanto l’azione dell’oleocantale dovrebbe essere del tutto simile aquello manifestato dai farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) conl’inibizione, come detto prima, delle COX-1 e COX-2, ed, a livello delsistema nervoso centrale, delle COX-3, e il conseguente blocco dellacascata che dall’acido arachidonico porta alle PGE2.

Tale riscontro indurrebbe ad ipotizzare che il consumo costante diolio vergine di oliva e, quindi, di oleocantale, possa svolgere un’azionepreventiva su alcune patologie infiammatorie.

Anche se la quantità di oleocantale presente in 50 g di olio extraver-gine di oliva corrisponde alla decima parte della dose raccomandata per unadulto per ottenere un effetto terapeutico simil-ibuprofene sul dolore(59), si deve rilevare, tuttavia, che dosi inferiori ai 100 mg/die di aspirina,inizialmente ritenute non terapeutiche, sono risultate efficaci, se assunteper un lungo periodo di tempo. Anche a bassi dosaggi si è potuto riscon-trare, infatti, un’azione come antiaggregante piastrinica nella prevenzio-ne di alcune patologie cardiovascolari ed una riduzione del rischio diinsorgenza di varie neoplasie (63% per i tumori del colon, 39% per quellidel seno, 36% per quelli del polmone, 39% per quelli della prostata, 73%per quelli dell’esofago, 62% per quelli dello stomaco e 47% per quelli delleovaie) (60).

Vi è, ancora, da segnalare che ,tra le sostanze ad attività anticancero-gena, sono da tenere in notevole considerazione i lignani, composti feno-lici presenti anche nel nocciolo dell’oliva e che, spesso, nel corso dellafrangitura delle olive passano nell’olio.

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È stato, infatti, dimostrato che essi inibiscono la crescita di diversitipi di tumori: cutanei, mammari, del colon, polmonari (61).

Negli animali la somministrazione di semi di lino, notevole fonte dilignani, previene l’insorgenza di carcinoma mammario (62,63). Il mecca-nismo proposto per spiegare come i lignani agiscano nel bloccare la carci-nogenesi include l’attività antivirale ed antiossidante propria di questicomposti.

Inoltre, le similitudini strutturali con l’estradiolo e l’antiestrogenosintetico tamoxifene, inducono a ritenere che i lignani possano agire,almeno in parte, anche come antiestrogeni.

Essi, infatti, sono in grado di inibire la sintesi di estradiolo nella pla-centa e nel tessuto adiposo, la proliferazione indotta da estrogeni di cellu-le umane di carcinoma mammario, nonché di aumentare i livelli di SexHormone-Binding Globulin (SHBG: proteina plasmatica vettrice deglisteroidi sessuali), con conseguente riduzione dei livelli liberi, biologica-mente attivi, di estrogeni (64).

Secondo ricerche svolte presso l’Istituto Superiore di Sanità i polife-noli, e, precisamente, l’acido protocatechico e l’oleuropeina, sono in gradodi funzionare non solo come antiossidanti in senso stretto, ma anche distimolare, attraverso un effetto diretto sul DNA, la produzione di enzimiantiossidanti cellulari endogeni, rafforzando, in tal modo, le difese inter-ne proprie dell’organismo nei confronti dei fenomeni ossidativi (65).

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I II III

Lignani: 1-acetoxipineresinolo (I), pinoresinolo (II) e idrossipinoresinolo (III)

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I ppiiggmmeennttii ccoolloorraattii che si trovano nell’olio di oliva sono i Carotenoi-di e le clorofille.

I primi sono formati, in maniera preponderante, da b-carotene (da 0,5a 10 mg/kg) e minoritaria da luteina e xantofille, e conferiscono all’olio lacaratteristica colorazione gialla; le seconde, contenute nell’olio nellaquantità massima di 2,5 mg/kg, sono costituite da Clorofilla A e B e dafeofitina A e B ed impartiscono all’olio una colorazione verde, più inten-sa per le olive poco mature.

Anche il b-carotene può essere considerato un “quencher” dell’ossi-geno singoletto che è, in vivo, una delle forme più reattive dell’ossigeno.Inoltre, il‚ b-carotene viene definito pro-vitamina A in quanto, ad operadell’enzima carotenasi, presente nel fegato, si trasforma in Vitamina A.Questa esplica un’azione specifica nel processo della visione, impedisce lasecchezza delle mucose ed è necessaria per il mantenimento dell’integritàdella pelle, di cui ne promuove la crescita e ne rallenta l’invecchiamento.

I bisogni nutrizionali di Vitamina A per un individuo adulto sonovalutati in 600-700 µg/die (66).

Le clorofille ed i loro derivati (feofitine e feoforbidi) sono pigmentipresenti nell’olio vergine di oliva che, in presenza di luce, mostrano atti-vità pro-ossidante: possono, infatti, catalizzare la fotossidazione.

Il meccanismo di reazione è basato sul trasferimento di energia dallaluce ai pigmenti indicati. Questi composti, così attivati, possono reagiredirettamente con gli acidi grassi formando radicali che vanno a promuo-vere l’autossidazione. Le clorofille eccitate possono anche reagire conl’ossigeno tripletto trasformandolo in ossigeno singoletto; questo è ingrado di ossidare gli acidi grassi insaturi formando idroperossidi.

La fotossidazione è, pertanto, un fenomeno degradativo la cui conse-guenza diretta è la progressiva scolorazione dell’olio extravergine di olivacon viraggio del colore dal verde al giallo paglierino molto tenue.

Le clorofille, invece, in assenza di luce si comportano da antiossidan-ti insieme con i polifenoli (67).

Il termine VViittaammiinnaa EE viene usato per indicare sia i tocoferoli che itocotrienoli.

I Tocoferoli sono contenuti nell’olio in quantità comprese tra 5 e 300mg/kg (ppm) e si distinguono, inoltre, nelle forme a, b, g e d.

Di queste, la forma biologicamente più attiva è quella “a” considera-ta, perciò, la vera Vitamina E, mentre le altre, pur possedendo, in vitro,

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un’ottima attività antiossidante, agiscono limitatamente in vivo essendoscarsamente assorbite dall’intestino e rapidamente eliminate dall’organi-smo.

Nell’olio vergine di oliva i tocoferoli presenti sono tutti nella forma ·ed in concentrazioni comprese tra 150-300 mg/kg, mentre negli oli disemi, ad eccezione del girasole, sono presenti prevalentemente nelleforme g e d.

Le forme b, g e d non superano, nel loro insieme, il 10% del conte-nuto di a-tocoferolo (68).

Secondo la Food and Drug Administration (FDA) il livello di assun-zione di Vitamina E dovrebbe corrispondere a 8 mg/die, per gli uomini, eda 10 mg/die, per le donne, ma tale fabbisogno aumenta con l’apporto diacidi grassi polinsaturi fino al 200%.

Deve essere anche considerato che i tocoferoli naturali non sonomolto stabili e, spesso, si verificano negli alimenti perdite, anche rilevan-ti, col magazzinaggio e con le cotture. Sembra, quindi, dubbio che l’appor-to di vitamina E con l’alimentazione sia sempre sufficiente a compensarei bisogni dell’organismo ed è, perciò, possibile che si possa verificare ilcaso che non venga rispettato in vivo un adeguato rapporto tra mg di a-tocoferolo // g di acidi grassi polinsaturi (E/PUFA) con conseguente rischio

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Alcune forme diverse di Vitamina E in funzione della differente posizionedei sostituenti metilici

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senta anche una notevole quantità di acidi grassi polinsaturi.Sotto questo punto di vista l’olio di oliva si presenta in una situazio-

ne di privilegio per il non elevato contenuto in acidi grassi polinsaturi, perla presenza di una buona quantità di Tocoferolo nella forma ·, nonché peruna serie di acidi fenolici e di fenoli dotati di attività antiossidanti. L’insie-me di queste ultime sostanze determina un fenomeno di esaltazione dellastabilizzazione contro l’ossidazione e ciò spiega come mai l’olio di olivasia una delle sostanze grasse che meglio resiste ai fenomeni ossidativi siaa temperatura ambiente che nei trattamenti a caldo come le fritture.

La Vitamina E protegge dall’ossidazione le strutture lipidiche, salva-guarda le membrane biologiche e difende dai radicali liberi che si formanonelle cellule.

I processi tecnici di lavorazione, specie la raffinazione dell’olio, ridu-cono inevitabilmente la quantità di questa sostanza con perdite nelleacque di vegetazione durante l’estrazione.

perossidativo.Come si può notare nella tabella III, l’olio extravergine di oliva pre-

senta un rapporto Vitamina E/PUFA più elevato anche dell’olio di germedi grano, riconosciuto come principale fonte di detta vitamina ma che pre-

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Tab. 3 Rapporto tra contenuto in vitamina E e in acidi grassi polinsaturi(PUFA) di oli e grassi

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Alcuni studi epidemiologici hanno dimostrato che dosi elevate di vita-mina E, assunte regolarmente per un periodo di almeno due anni, riduco-no significativamente il rischio di malattie cardiocoronariche (31-65 %).

Questi dati non hanno trovato, tuttora, riscontro in esperimenti abreve termine con dosaggi inferiori. Per adesso è stato completato solo lostudio denominato Cambridge Heart Antioxidant Study (CHAOS). Irisultati di questa indagine in doppio cieco, controllata con placebo, su2000 pazienti con patologia cardiocoronarica documentata, hanno indica-to che l’assunzione di vitamina E ad alte dosi può ridurre significativa-mente l’incidenza di eventi cardiaci non fatali ma non ha alcun impattosulla mortalità globale (33).

Bisogna, infine, ricordare che l’olio extravergine di oliva contiene,anche, significativi livelli di VViittaammiinnaa DD che pare riesca a migliorare l’as-sorbimento intestinale del calcio ed a svolgere, conseguentemente, unabuona attività contro la decalcificazione ossea negli anziani.

Si conoscono parecchi composti con attività vitaminica D; ma i piùimportanti sono:• vitamina D2 o ergocalciferolo, unicamente di origine esogena;• vitamina D3 o colecalciferolo, di origine sia esogena che endogena,

quest’ultima proveniente dall’irradiazione con raggi U.V. del 7-dei-drocolesterolo presente nella pelle.

Il fabbisogno di Vitamina D, nell’adulto, varia da 0 a 15 µg/die (69).

77.. CCoonncclluussiioonnii

Da quanto fin qui detto si evince che l’olio vergine di oliva è l’unicoolio che viene ottenuto per estrazione a freddo da un frutto con soli mezzimeccanici e può essere consumato non raffinato; esso non è solo una deli-zia per il palato ma rappresenta un alimento insostituibile nella dietaMediterranea.

Ricco in giusta misura di acidi grassi insaturi, con una elevata percen-tuale di acido oleico ed un ottimale rapporto tra acido oleico e linoleico,così come richiesto dalla moderna dietologia, l’olio vergine di oliva con-tiene una miriade di costituenti minori, ma non per questo meno impor-tanti, che esplicano, come si è detto, svariate ed importantissime azioniprotettive, soprattutto antiossidanti, nei confronti del nostro organismo.

Nessuno, però, ad oggi, consiglia l’uso di supplementi od estratti di

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olio vergine di oliva in sostituzione del consumo nella sua forma natura-le, forse perché sostanze non ancora note o la giusta miscela di compostigià noti potrebbe essere il segreto delle sue meravigliose virtù salutari.Tanto che definire l’olio vergine di oliva semplicemente un “condimento”può apparire sicuramente riduttivo dato che le sue proprietà nutrizionalied i suoi effetti benefici vanno ben al di là di quelli attribuibili ai singolicomponenti che lo caratterizzano. Si può, pertanto, a ragione affermareche l’olio extravergine di oliva rappresenti un naturale “functional food”,ovvero un “nutraceutico”, benevolmente offertoci dalla Natura per porreil nostro organismo al riparo dalle continue offese cui la nostra freneticavita, quotidianamente, lo espone.

Nel 1997, in una riunione promossa dalla Comunità Europea, aRoma, presso il CNR, specialisti europei hanno concordato che vi è unaforte evidenza che la Dieta Mediterranea, con l’olio vergine di oliva qualeprincipale fonte di grassi, gioca un ruolo chiave nella prevenzione di fat-tori di rischio cardiovascolare quali dislipemie, ipertensione, diabete edobesità e, di conseguenza, nella prevenzione primaria e secondaria dellacardiopatia coronaria. Inoltre, ci sono evidenze che suggeriscono un pos-sibile ruolo preventivo dell’olio di oliva nei confronti di alcuni tipi di neo-plasia ed, in particolare, del tumore alla mammella.

Non meraviglia, pertanto, la decisione della LLiilltt (Lega italiana per lalotta contro i tumori) di scegliere proprio l’olio extra-vergine di oliva comeprodotto simbolo per la prevenzione e la lotta contro i tumori.

Per tutti i suoi innumerevoli pregi nutrizionali e salutari, l’olio extravergine di oliva ha ottenuto, recentemente, uno dei più importanti rico-noscimenti internazionali, direttamente dalla Food and Drug Administra-tion (FDA), il “QQuuaalliiffiieedd HHeeaalltthh CCllaaiimm””.. Grazie a questo riconoscimen-to, l’olio extravergine di oliva ed i prodotti alimentari che lo contengonopossono beneficiare in etichetta della seguente dizione:

“Limited and not conclusive scientific evidence suggest that eating about2 tablespoon (23 grammi, circa 3-5 cucchiai al giorno) of olive oil daily mayreduce the risck of coronary heart disease” .

Da millenni protagonista nella tavola mediterranea l’olio di oliva è unutile presidio per il contenimento di svariate tipologie di malattie per cuisi rende necessaria una corretta informazione rivolta sia ai produttori, alfine di migliorare la qualità del loro prodotto, sia ai consumatori che nondovrebbero mai smettere di considerarlo come un alimento di notevoleimportanza, sicuramente un alleato prezioso per la loro salute.

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13Cibo e turismola “dieta mediterranea” come “risorsa turistica”

Maria Sabrina LeoneConsulente turisticoT&T S.r.l. Territorio e Turismo

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Ringrazio come sempre il Prof. Bacarella ed il Coreras per l’opportu-nità offertami di potere ancora una volta trattare un argomento a memolto caro, ovvero quello che riguarda le relazioni economiche e di mer-cato tra l’universo turismo ed il mondo agricolo.

Argomento già affrontato dallo stesso Coreras in una precedentericerca relativa a “turismo e prodotti agricoli di qualità”, e che ha vistoquali protagonisti nella realizzazione me e la mia società. Ricerca cheauspico venga riproposta nei prossimi anni, visto che tutti i prodotti ana-lizzati sono pezzi forti proprio della Dieta Mediterranea.

Oggi con questo convegno, un’altra occasione per diffonderne nuo-vamente gli importanti risultati, affiancandomi ad altri relatori che oggihanno parlato di dieta mediterranea affrontandone gli aspetti di valenzasalutistica ed eno-gastromica (penso alla cucina mediterranea e al suo suc-cesso nutrizionale e dietologico), lasciando a me lo spazio per soffermar-mi sulla valenza economica e di marketing ovvero su come la dieta medi-terranea possa considerarsi una “risorsa turistica”.

Ovviamente mi riferisco alla visione di dieta mediterranea sia comeopportunità di sviluppo economico, sia di promozione dei territori e deiprodotti locali attraverso gli stimoli dati alla crescita della qualità, alla dife-sa della cultura locale, ecc..

Il mio intervento si propone quindi di svelare i forti rapporti tra cuci-na mediterranea, prodotti agricoli di qualità e turismo, ma anche di stimo-lare, laddove mi sarà possibile, data la sede, il Palazzo della “politica”, edin presenza dell’Assessore, una nuova azione regionale con piani, strate-gie ed iniziative di co-marketing fra agricoltura e turismo. L’unica, a mioavviso, finalizzata a raggiungere importanti risultati di sviluppo economi-co attraverso la valorizzazione delle risorse enogastronomiche locali.

Questa nella slide la struttura del mio intervento ovveron il rapporto turismo e cibo, soffermandomi su

• il legame economico ed i fattori determinanti• il mercato turistico e la cucina mediterranea• il cibo risorsa turistica (offerta)

n Un breve focus sulla realtà sicilianan Alcune proposte operative

Sulle relazioni economiche tra mondo agricolo e mondo turistico, ereciproci vantaggi, si può sinteticamente fare riferimento in primo luogoalla valenza economica che la domanda turistica rappresenta per il com-parto agricolo, costituendo un atto di consumo AGGIUNTIVO che si

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manifesta direttamente nei luoghi di produzione. Anche per il comparto turistico, l’agricoltura se espressa attraverso

produzione di qualità ed offerta eno-gastronomica, rappresenta una for-tissima leva economica e di marketing.

Per meglio comprendere tale affermazione occorre aprire una paren-tesi sulle caratteristiche della domanda e dell’offerta “turistica”.

Nel primo caso ci si riferisce ai rapporti che il turista può nutrire neiriguardi della dieta mediterranea e dei prodotti agricoli di qualità. Nellaricerca Coreras già citata, abbiamo avuto modo di delineare tre tipologiedi turista, l’indifferente, il sensibile, ed il vero “enoturista o turista enoga-stronomico” a secondo del grado di importanza attribuito che lo stessoturista attribuisce al prodotto agricolo e/o alla cucina locale per la sceltadella destinazione di vacanza.

La stima dei numeri e della valenza economica dei sensibili e deglieno-turisti, sono naturalmente difficili da effettuare, anche se autorevolifonti rivelano che nel 2004, in Italia, quasi 2 dei circa 87 miliardi di consu-mi turistici complessivi, italiani e stranieri, siano stati spesi nel settoreagricolo, mentre il valore aggiunto che i consumi turistici hanno attivatodirettamente nel comparto, è stato valutato pari a 11..338833 mmiilliioonnii ddii eeuurroo,,oollttrree 44..000000 mmiilliioonnii ddii eeuurroo se si considerano anche i consumi turistici ditipo indiretto.

Passando a considerare il mercato turistico europeo, l’eno-gastrono-mia è risultata all’8º posto nei criteri di scelta delle destinazioni di vacan-za e l’Italia, paese principe della dieta mediterranea, al primo posto inEuropa per notorietà della cucina tra i vacanzieri europei. Ancora piùsignificativo il dato derivato da un sondaggio Doxa molto recente (2006),secondo cui l’associazione di idee “gastronomia-prodotti locali” è la primache viene fatta dagli stranieri quando si parla di vacanze nel Sud Italia.Uno sguardo, infine, alle proposte dei Tour Operator stranieri con offer-ta Italia, rivela che il 13,1% dei Tour Operator europei e ben il 69% deiTour Operator USA con destinazione Italia inseriscono nei loro pacchet-ti proposte eno-gastronomiche.

L’analisi del mercato turistico in Italia svela che sono oltre 14 milionii turisti eno-gastronomici in Italia, di cui più della metà stranieri. Tra gliitaliani, che ammontano a 5.436.000, l’11% consuma prodotti tipici locali.

Nel 2005 sono stati 408 mila i vacanzieri che hanno scelto la destina-zione di vacanza per motivi eno-gastronomici, ben il 20,7% in più rispet-to al 2004.

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Un ruolo di fondamentale importanza nell’ambito del turismo eno-gastronomico viene rivestito dal vino. Nelle sole Strade del Vino, sono 4milioni gli enoturisti e la spesa turistica è risultata pari a circa 2 miliardi di?. Si tratta si un mercato in crescita esponenziale, il cui trend di svilupponei prossimi 5 anni si prevede che sia pari al 100%. I vini italiani rappre-sentano un forte attrattore soprattutto per gli stranieri. Nel 2006, gli eno-turisti stranieri in Italia provengono soprattutto dai paesi dell’area germa-nica, in particolare Germania (33%) e Austria (12%), anche se nell’ultimoanno sono diminuiti. Sono aumentati, invece, gli enoturisti americani, maanche i francesi e i giapponesi.

D’altra parte, l’offerta eno-gastronomica italiana appare piuttostoricca e attrattiva, con 112 Strade del Vino e dei prodotti tipici, circa 200presidi Slow Food e numerosissime Associazioni Città del Vino, del-l’Olio, del Castagno, del Pane, del Miele, delle Ciliegie, etc.

Passando ad analizzare il contesto regionale siciliano, sono moltointeressanti i dati relativi all’indagine sulla notorietà della Marca Sicilia siain Italia che all’estero, che rivelano un ruolo importante di cucina e pro-dotti agricoli locali.

Come evidenziato dai grafici nelle slides, l’indagine rivela si una Sici-lia conosciuta e ricordata soprattutto come “luogo di vacanza” e di “artee cultura”, ma che inizia a veicolare anche all’estero immagini importantilegate alla “buona cucina”, al “vino” e alla “qualità dei prodotti”, che con-quistano insieme il quarto posto con il 6,4% di preferenze.

Maggiore il successo registrato sul mercato interno nazionale, dove laMarca Sicilia mostra una notorietà ancora più forte, e dove la cucina, insie-me con i vini e i dolci, ottiene quasi il 15% delle preferenze.

Va aggiunto, infine, che tra le regioni italiane la Sicilia è risultata al 3ºposto come luogo preferito dagli italiani per cucina e vino, dopo Toscanaed Emilia-Romagna.

Anche l’offerta eno-gastronomica siciliana appare ricca e variegata,con 45 Comuni siciliani che fanno parte dell’Associazione Città del Vino,13 Strade del Vino, ben 29 presidi Slow Food, 1 Club di Prodotto Enoga-stronomia, oltre 200 sagre nei 390 comuni dell’Isola.

A fronte di tale variegata offerta di tipo turistico, il comparto agro-ali-mentare siciliano può vantare un mercato di riferimento potenziale moltoampio. Il mercato obiettivo o target per il comparto è infatti rappresenta-to dagli oltre 4 milioni gli arrivi turistici registrati nell’Isola.

Secondo la nostra indagine sul campo realizzata per il Coreras nel

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2003, attraverso interviste ad un campione di oltre 1.000 turisti sull’Isola,il turismo enogastronomico pesa ben il 12% sull’intera domanda turisticaregionale, ovvero 12 turisti su 100, sono stati influenzati da motivazionieno-gastronomiche per la scelta di vacanza nell’Isola.

Interessantissime, le stime di tipo economico derivanti dalla stessaindagine: si è stimato che nel solo anno 2003, siano stati spesi oltre 100milioni di euro per prodotti agricoli di qualità e che la spesa media delvacanziere-tipo in Sicilia, per i soli prodotti agricoli di qualità, appena 15del totale paniere regionale, sia stata pari a 20 euro.

Per meglio chiarire il valore dei risultati riporto alcuni dati sul Marsa-la, uno dei prodotti più noti, consumati ed acquistati dai turisti nell’Isola:11 euro la spesa media, per oltre 350 mila acquirenti, per un totale fattu-rato annuo stimato di quasi 4 milioni di euro, pari, a detta degli esperti disettore, a circa il 10% del totale fatturato del Marsala nello stesso anno.Sfido con questi numeri a non parlare di turismo come opportunità eco-nomica per il comparto agricolo ed agro-alimentare siciliano, se si pensapoi che tali risultati giungono in assenza di qualsiasi iniziativa di marke-ting mirata sul target di riferimento !!!!

E che non vi sia alcuna politica di marketing in atto per raggiungereil target è venuto fuori anche dalle altre ricerche di marketing portateavanti all’interno della stessa indagine.

Non contenti di sondare il mercato, si è infatti indagato presso quel-li che sono stati ritenuti i canali di vendita delle produzioni agricole regio-nali sul mercato turistico, ovvero il settore del Food and Beverage, risto-razione e hotellerie, nonché gli esercizi commerciali di vendita delle pro-duzioni alimentari, localizzati nelle principali località e zone turistichedell’Isola (Taormina, Agrigento, Palermo e Siracusa).

Abbiamo scoperto così che le migliori vetrine dei prodotti agricoli diqualità, seppure con molti punti neri, sono soprattutto gli esercizi delF&B; ma si tratta soprattutto dei vini del paniere che godono una presen-za media elevata soprattutto nei menù e/o carta dei vini e più raramentenegli spazi espositivi e ancor meno all’interno dei depliant. Sicuramentepeggiore la capacità media di comunicare e presentarsi dei prodotti regio-nali nei tradizionali canali di vendita commerciali. Come rivela la tabella,solo 4 tra formaggi e vini sono presenti in più della metà degli esercizicommerciali visitati. A ciò si aggiunge che sono solo pochissimi a vantareuna buona visibilità e capacità attrattiva, in termini di presentazione e/opackaging.

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Ma a ribadire comunque le forti opportunità di marketing per i pro-dotti di qualità della dieta mediterranea nella regione, altre informazioniraccolte sulla notorietà degli stessi sia a livello regionale che dai turisti nel-l’Isola. Nell’anno dell’indagine, nei principali quotidiani nazionali, come ilCorriere della Sera e Repubblica, per citarne alcuni, sono state rilevate unamedia di 6 citazioni mensili per un totale di oltre 200 riferimenti, tra arti-coli, trafiletti o semplici citazioni.

Anche i turisti in Sicilia, italiani e stranieri, conoscono le nostre pro-duzioni, con una netta prevalenza per i prodotti così detti “immagine”come il ficodindia ed il Marsala per gli stranieri. Tra i prodotti più consu-mati durante il proprio soggiorno prevalgono invece quelli da cucina, qualipecorino siciliano ed i pomodorini di Pachino, mentre tra gli acquisti a cuinon rinuncia quasi un turista su 2 in Sicilia, prevalgono i vini con il prima-to, che ho già citato, del Marsala, preferito soprattutto negli acquisti deglistranieri.

Alla luce di tali dati, giungo alla conclusione del mio intervento,tenendo fede all’impegno preso con il prof. Bagarella, ovvero di produrrein questa sede e alla presenza di esperti ed autorità di settore, alcune pro-poste operative per una reale valorizzazione della dieta mediterranea e delrelativo comparto agro-alimentare di riferimento . Ne ho individuate due:1. costituire al più presto una task force che veda insieme esperti agri-

coli a fianco di esperti di marketing turistico. Si tratta di uno stru-mento di azione, in realtà come l’Irlanda già attive da decenni;

2. predisporre un organico piano strategico di interventi, con la defini-zione e la realizzazione di ricerche di marketing continue, ma anchedi azioni operative di “aggressione” del mercato. Rispetto alle ricerche, mi riferisco alla possibilità di rendere perma-

nenti le indagini prima illustrate. Ideale potrebbe essere in tal senso l’isti-tuzione di un osservatorio permanente, magari presso lo stesso Coreras.

Ma le ricerche non bastano se non sono seguite da una divulgazionemirata presso i produttori e da precise azioni di assistenza tecnica finaliz-zate alla creazioni di reti di promozione e alla formulazione di adeguatecampagne di comunicazione e marketing diretto.

Mi auguro pertanto, ancora una volta, che questo incontro sia da sti-molo per l’attuazione di tali orientamenti, e che presto si possano trasfor-mare le parole in fatti concreti in favore dello sviluppo economico dellanostra regione.

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14La dieta mediterranea nella politica di sviluppo dell’agricoltura regionale

Giovanni La ViaAssessore Regionale Agricoltura e Foreste

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La giornata odierna, come del resto tutte le iniziative convegnistichepromosse dal CORERAS, costituisce l’occasione per anticipare temi digrande interesse portandoli all’attenzione di un pubblico vasto. Già inpassato, infatti, le ricerche svolte dal CORERAS, attinenti allo svilupporurale ed alle imprese marketing oriented, avevano di fatto precorso dibat-titi che poi sono divenuti centrali anche nell’agenda politica.

Un ringraziamento va, quindi, al CORERAS per il tema scelto cheoffre la possibilità attraverso un approccio multidisciplinare di acquisireuna serie di elementi d’indubbia utilità per l’azione politica.

La dieta mediterranea è sicuramente uno strumento straordinario divalorizzazione dei nostri prodotti isolani. L’efficacia e le potenzialità ditale inevitabile connubio emerge in tutta la sua evidenza in quei casi in cuiconstatiamo lacune nell’attività di comunicazione con riferimento ai sin-goli prodotti, assolutamente colmabili se facessimo un più marcato riferi-mento alla dieta mediterranea.

In realtà, sempre più nelle nostre azioni di comunicazione, e, soprat-tutto in quelle sostenute dalle risorse pubbliche, abbiamo difficoltà a pro-muovere singoli prodotti in quanto le iniziative della Regione verrebberoa turbare le regole sulla concorrenza, quella cioè esistente sui mercati traproduttori di paesi diversi. Ci è sempre più difficile sostenere, in terminidi comunicazione, un singolo prodotto. È evidente che invece comunica-re le caratteristiche di una dieta in termini di azioni che tendono a preve-nire effetti negativi sulla salute dei consumatori, è qualcosa che oggi pos-siamo fare e possiamo indirettamente utilizzare come strumento di sup-porto alle produzioni agro-alimentari e tipiche della Sicilia.

Per fare ciò, bisogna definire una strategia per la competizione deinostri prodotti sui mercati, ma preliminarmente occorre chiaramenteindividuare lo scenario competitivo unitamente alle problematiche ed alleprospettive che esso pone.

Oggi lo scenario competitivo internazionale è caratterizzato dallapresenza di una molteplicità di produttori che, operando in aree nellequali il costo dei fattori produttivi è sensibilmente più basso, si affaccianosul mercato con prezzi dei prodotti ovviamente improponibili per nostrilivelli di redditività aziendale.

La competizione, così come più volte evidenziato, basata sul prezzonon è una competizione nemmeno lontanamente sostenibile per i nostriproduttori

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È una competizione che ci vede perdenti in partenza, sia per le ridot-te dimensioni economiche delle nostre strutture produttive, sia per i costidei fattori produttivi che nel nostro territorio sono sensibilmente più altirispetto a quelli di altre aree produttive. Ed oggi, nella prospettiva di unulteriore allargamento dei mercati, in realtà già in buona parte avvenuto,operiamo per i prodotti agro-alimentari in un mercato libero senza barrie-re alla circolazione delle merci.

E’ evidente che questa prospettiva competitiva è ancor meno allettan-te, e d’altro canto non è proponibile viste le regole internazionali del com-mercio, vista la possibilità unica che hanno questi paesi in via di sviluppodi affacciarsi al mercato vendendo gli unici prodotti che realizzano, i pro-dotti agricoli appunto; non riuscendo, dunque, in alcun modo a frenarequesta spinta alla libera circolazione delle merci.

Quindi, dobbiamo trovare modelli competitivi nuovi, dobbiamo pen-sare a come rendere possibile la sopravvivenza, da un lato e dall’altro lato,lo sviluppo del sistema agro-alimentare siciliano.

Su questo oggi sono emerse una mole di indicazioni utili così come inaltre iniziative; penso, ad esempio, a quella organizzata dal CORERASsulle imprese marketing oriented, nell’ambito della quale sono stati postispunti interessanti, a dimostrazione del fatto che la ricerca, la buona ricer-ca è un utile strumento per la messa a punto e lo sviluppo di politiche diintervento per il sistema agro-alimentare.

È evidente che una strategia che sia di valorizzazione ed al contempodi supporto del nostro sistema agro-alimentare deve fondarsi sulla possi-bilità di differenziare i nostri prodotti rispetto a quelli della concorrenza.E qui abbiamo uno strumento di differenziazione di grande valenza, cosìcome dimostrano le ricerche iniziate su Nicotera e continuate in questoquarantennio. Sussistono ormai risultati scientifici provati e reiterati incontesti diversi che evidenziano come la dieta mediterranea, così comeoggi abbiamo avuto modo di analizzarla nelle sue diverse articolazioni,costituisca un importante elemento al fine di prevenire l’insorgenza dimalattie dalla forte rilevanza sociale.

Abbiamo la necessità di riflettere su tale tema, ma soprattutto forte èla necessità di utilizzare queste informazioni come elementi per l’elabora-zione di una politica di marketing e di valorizzazione dei nostri prodottie del nostro territorio. Verso tali obiettivi possiamo agire attraverso varistrumenti. In alcuni casi abbiamo già avviato delle azioni, ancora in corso,

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in altri casi invece stiamo ancora predisponendo le più opportune lineed’intervento.

La Regione Siciliana, tramite l’Assessorato per Agricoltura e le Fore-ste, ha già da diversi anni in atto un programma di educazione alimentareche si sviluppa attraverso le scuole, elementari e medie, con interventiespletati all’interno dei percorsi formativi e volti in prevalenza all’infor-mazione delle caratteristiche che possiedono i prodotti tipici della dietamediterranea. Questo è un percorso che è stato avviato e probabilmentepoteva essere migliorato.

Qualcuno parlava prima della necessità di una formazione dei forma-tori, e in tale ambito ritengo che bisogna certamente integrare quantoabbiamo fatto sino adesso, per migliorare non solo la capacità di comuni-cazione ma anche, e soprattutto, alcuni contenuti specifici del messaggioche viene trasferito.

Abbiamo poi avviato alcune attività di promozione istituzionale deiprodotti, in quanto quelle finora svolte si sono rilevate episodiche, nonsistemiche e slegate da una strategia univoca.

I risultati della debolezza della nostra comunicazione istituzionale civiene non sono certo favorevoli ove si consideri ad esempio, alcuni sloganprovenienti da imprese industriali che nell’ultimo periodo ci informanoche, in termini di alcuni nutrienti, alcuni prodotti messi in commercio dal-l’industria forniscono più elementi vitaminici e minerali rispetto a quellidi 26 arance messe insieme!

È evidente che ogniqualvolta vediamo quel messaggio, subiamo unulteriore oltraggio alla nostra incapacità di comunicare le caratteristichedei nostri prodotti. E su questo abbiamo cominciato un percorso cercan-do di mettere insieme soggetti istituzionali, imprenditori, ricerca, sogget-ti ed enti operanti sul territorio, pur con le difficoltà riscontrabili in taleambito.

Così come sa il Prof. Bacarella, abbiamo voluto iniziare un’attività dicomunicazione istituzionale con riferimento all’ ”Arancia Rossa di SiciliaIGP”, perché pensavamo che si prestasse bene come modello di comuni-cazione di un prodotto che pur possedendo caratteristiche peculiari in ter-mini di antiossidanti, in termini di nutrienti, ecc., risulta ancora scarsa-mente valorizzato. E rispetto a questo abbiamo cercato di mettere insie-me tutti i soggetti che operano sul territorio dell’arancia rossa: 3 Provin-ce, 38 Comuni, 3 Camere di commercio, gli imprenditori agrumicoli ed il

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Consorzio di tutela, certi della disponibilità nei loro bilanci, in termini dienti pubblici, di cospicue risorse sul capitolo della promozione.

Da un’analisi più puntuale, da una verifica della destinazione di que-ste risorse, ci siamo resi conto che queste risorse venivano ad essere uti-lizzate per alcune iniziative sul piano locale (squadra di calcio e spettaco-li di piazza) che non ad un’effettiva e reale promozione istituzionale delprodotto. Quindi, abbiamo stipulato e realizzato un protocollo d’intesatra tutte le amministrazioni pubbliche, il Consorzio di tutela, la RegioneSiciliana, per realizzare un’iniziativa unica di comunicazione istituzionale.Abbiamo affrontato le difficoltà di tutti gli enti locali che sono estrema-mente restii a spogliarsi delle proprie risorse per realizzare azioni dicomunicazione sulle caratteristiche dei prodotti, deviando purtroppo daun percorso di vera e propria comunicazione istituzionale sui mercatidove poi il prodotto deve essere venduto e valorizzato.

Ma anche su questo insisteremo, perché dobbiamo cambiare anche lacultura delle amministrazioni. Deve necessariamente maturare la consape-volezza che non potranno più continuare ad attivare iniziative con sup-porti pubblici, quando non risultano in grado di realizzare azioni sinergi-che con coloro che stanno accanto.

E ciò che abbiamo visto prima, con riferimento al marketing turisti-co e al livello di conoscenza che i consumatori hanno dei singoli prodot-ti, mi stimolava qualche altra riflessione dalla quale, evidentemente, pos-sono derivare linee di azione politica. Nell’elenco dei prodotti conosciuti,sia a livello nazionale che internazionale, ritrovavamo agli ultimi postisempre gli oli, non perché gli oli – tanto cari al nostro Prof. Chiricosta –siano scarsamente conosciuti, ma perché l’abbinamento olio-territorioviene fatto rispetto a comprensori che evidentemente al di fuori del terri-torio siciliano sono scarsamente noti. Pensate che negli Stati Uniti o inGiappone abbiano conoscenza di dove siano le colline ennesi o le collinenissene, dov’è la val di Mazara o dove sono i monti Iblei? È evidente chequeste denominazioni al di fuori del nostro territorio regionale perdonouna valenza di riferimento territoriale.

Risulta, quindi, necessario ridare a questi un abbinamento al territo-rio che in questo modo decisamente non è efficace quando, invece, i pro-dotti che sono noti sono quelli riferiti all’intero territorio regionale.Quando si parla del vino siciliano o di altri prodotti agroalimentari isola-ni, la Sicilia è evidentemente nota, e anche se molto spesso alla parola

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“siciliani” ci abbinano qualche altra cosa di meno piacevole, sicuramenteconoscono la localizzazione territoriale della Sicilia, e questo è un elemen-to certamente sfruttabile in un’ottica di marketing. Allora, per l’olio, per-ché al posto di tante DOP non un IGP dell’olio d’oliva siciliano? Perchéper tanti altri prodotti dove cerchiamo di fare la DOP col Comune delluogo di produzione, non la facciamo invece relativa al territorio piùampio?

Non esiste un violetto di Ramacca e un violetto di Niscemi, esiste unvioletto siciliano – per parlare di carciofi –, ma se cambio ambito e faccioriferimento ad altre produzioni il discorso cambia di poco. Citando, anco-ra, i ficodindia, esistono differenze significative tra quello di San Cono equello di Belpasso? Tra quello di S. Margherita Belice e quello della Siciliaorientale? Certamente non si tratta di differenze sostanziali.

Quindi, è evidente che i pochi strumenti per dare notorietà e origineterritoriale ai nostri prodotti li possiamo individuare nell’elemento che liunisce e che è dato dall’estrema notorietà della Sicilia.

D’altro canto, anche l’esperienza del vino ci ha insegnato che leDOC, che si chiamino Faro o Eloro, hanno avuto scarso rilievo. Cosa haavuto invece importanza in termini esterni se non l’IGT della Sicilia, caroProf. Bacarella?

È evidente che il riferimento al territorio regionale è un riferimentoche dobbiamo utilizzare. E oggi vi ringrazio perché ci avete fornito alcu-ne indicazioni cardine per impostare politiche di valorizzazione dei pro-dotti.

Su questo evidentemente ci studieremo con il Prof. Bacarella che,anche per altri aspetti, è un anticipatore dei tempi in quanto oggi più volteavete parlato di specie eduli minori, e penso alla ricerca che già da diversianni il CORERAS ha messo in campo sulle piante aromatiche eduli spon-tanee in Sicilia, appunto per venire incontro a quello che, in varie riprese,oggi è emerso. Il CORERAS su questo tema ha, infatti, una ricerca, cosìcome ha provato e sta provando a mettere in coltivazione alcune speciespontanee di asparago, ecc.

È evidente che disponiamo di una ricerca buona dalla quale dobbiamotrarre gli elementi significativi per portarli all’interno delle iniziative dipromozione e valorizzazione dei prodotti tipici del nostro territorio. Eoggi sicuramente, nell’ambito della giornata, sono maturate riflessioni perazioni di comunicazione, partendo dal presupposto che nelle aree ricche e

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nei paesi contraddistinti da un elevato reddito pro-capite, la disponibilitàa spendere per prodotti che hanno una finalità salutistica è crescente.

I consumatori ricchi hanno già perfettamente appagato le loro esigen-ze e cercano nel prodotto alcuni effetti collaterali benefici che la dietamediterranea è in grado di dare. Quindi, tutti i nostri prodotti presenti neltempio, che il Prof. Fidanza ci ha illustrato alla fine, sono tutti prodottiche ben si prestano ad essere valorizzati.

Mi avvio a concludere il mio intervento con un invito a coloro cheoperano nel campo della ricerca, a fare tutto il possibile per trasferireall’esterno i risultati della ricerca e a non lasciarli giacere all’interno di pre-gevolissime riviste o in ottimi volumi, dimenticando magari che proprioquei i risultati possono essere invece utili ai soggetti pubblici - tra l’altrospesso finanziatori delle ricerche - ma soprattutto a imprese e territori chehanno la necessità di avere un supporto di attività di ricerca per poteraumentare la propria capacità competitiva.

Ciò al fine soprattutto, di trovare reddito e occupazione per attivitàche altrimenti verrebbero ad essere travolte in un mercato sempre piùampio nel quale la differenziazione di prodotto, diviene strumento percompetere, e la ricerca in tal senso deve e può tradursi in concrete azioniper i nostri territori, i nostri imprenditori, i nostri prodotti.

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Qualcuno dice “è un economista agrario”, nonpuò essere diversamente, ha una visione sistemica dellecose. La complessità del sistema viene visto con ottichemolto ampie dagli economisti.

Io vi ringrazio, perché questa è stata una giornatamolto produttiva e spero che ci sia un seguito attraver-so l’Istituto per la dieta mediterranea e nutrigenomicaa cui il CORERAS partecipa e, spero abbastanza pre-sto, anche l’Assessorato agricoltura per continuarequesta attività di promozione della Sicilia agro-alimen-tare ai fini dello sviluppo sostenibile.

Vi ringrazio veramente tutti quanti.PPrrooff.. AAnnttoonniinnoo BBaaccaarreellllaa

Presidente CORERAS

Saluti finali

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Finito di stampare nel dicembre 2007Publisicula

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ISBN 978-88-95376-16-5