Attraverso l'Immagine_In Ricordo Di Cesare Brandi

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Attraverso limmagine In ricordo di Cesare Brandia cura di Luigi Russo

Centro Internazionale Studi di Estetica

Aesthetica Preprint

Supplementa la collana editoriale pubblicata dal Centro Internazionale Studi di Estetica a integrazione del periodico Aesthetica Preprint . Viene inviata agli studiosi impegnati nelle problematiche estetiche, ai repertori bibliograci, alle maggiori biblioteche e istituzioni di cultura umanistica italiane e straniere.

Il Centro Internazionale Studi di Estetica un Istituto di Alta Cultura costituito nel novembre del 1980 per iniziativa di un gruppo di studiosi di Estetica. Con D.P.R. del 7 gennaio 1990 stato riconosciuto Ente Morale. Attivo nei campi della ricerca scientica e della promozione culturale, organizza regolarmente Convegni, Seminari, Giornate di Studio, Incontri, Tavole rotonde, Conferenze; cura la collana editoriale Aesthetica e pubblica il periodico Aesthetica Preprint con i suoi Supplementa. Ha sede presso lUniversit degli Studi di Palermo ed presieduto n dalla sua fondazione da Luigi Russo.

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19 Dicembre 2006

Centro Internazionale Studi di Estetica

Cesare Brandi, 1906-1988

Attraverso limmagine In ricordo di Cesare Brandia cura di Luigi Russo

Il presente volume raccoglie gli interventi presentati nellomonimo Seminario promosso dal Centro Internazionale Studi di Estetica in collaborazione con lUniversit degli Studi di Palermo e la Societ Italiana dEstetica (Palermo, 30 giugno e 1 luglio 2006), nella ricorrenza del centenario della nascita di Cesare Brandi e del bicentenario della fondazione dellUniversit di Palermo.

Il presente volume viene pubblicato col contributo della Facolt di Lettere e Filosoa e del Dipartimento di Filosoa, Storia e Critica dei Saperi (FIERI) dellUniversit degli Studi di Palermo.

Indice

Brandi-re limmagine di Luigi Russo Realt e immagine in Cesare Brandi di Paolo DAngelo Segno, simbolo e immagine di Elio Franzini Osservazioni sulla natura para-semiotica dellimmagine di Giovanni Matteucci Sul rapporto opera-coscienza-immagine di Roberto Diodato Unit oggettuale e unit immaginale dellopera d'arte di Fabrizio Desideri Larve dimmagine e di segni di Filippo Fimiani Le immagini fra segreto e comunicazione di Fabrizio Scrivano La sfera della gurativit: Brandi, Fiedler e il purovisibilismo di Andrea Pinotti Gombrich, Brandi e liconologia del Novecento di Silvia Ferretti Immagine e percezione in Cesare Brandi di Carmelo Cal Cesare Brandi e la teoria dellornamento di Elisabetta Di Stefano Cesare Brandi: schema e progetto di Michele Sbacchi Il cinema tra problema della forma e dinamica delle forze di Roberto De Gaetano Le vie del gurativo (partendo da Cesare Brandi) di Elena Tavani

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Al di l dellimmagine, dopo Brandi di Fulvio Carmagnola Cesare Brandi e i problemi dellarte contemporanea di Pietro Kobau Cesare Brandi nel mondo delle scatole Brillo di Tiziana Andina Cesare Brandi e limmagine poetica di Pina De Luca Dante eikonogrphos e il visibile parlare di Giovanni Lombardo Appendice Testo letterario e testo gurativo di Cesare Brandi

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Brandi-re limmaginedi Luigi Russo

Fu il 1939. Anno capitale per Cesare Brandi, n solo perch nato nel 1906 compiva trentatr anni. Quellanno infatti Brandi fond e prese a dirigere una delle pi importanti, anzi forse la pi importante istituzione di cultura umanistica, insieme allEnciclopedia Italiana, realizzata dal nostro Paese nel Novecento, lIstituto Centrale del Restauro. Il mondo dellarte, la possibilit stessa di vita, di sopravvivenza sica dellopera darte, l trovava ricettacolo e presidio, e, per la prima volta, unattivit nebulosa come quella del restauro, facendo piazza pulita delle tradizioni precettistiche arbitrarie, che lavevano relegata in una pratica di nicchia quasi sempre deleteria per la conservazione, nalmente conseguiva legittimazione scientica, acquisiva rigore critico e trasparente performativit, maturava un gradiente conoscitivo degno di partecipare allassise del pensiero. Limpresa propizi unopera, Teoria del restauro 1, che si staglia tetragona e solitaria come un monolito, che ha avuto una fortuna inimmaginabile, planetaria, tanto da ispirare la Carta del Restauro dellUnesco, e che continua ai nostri giorni a brillare e si coniuga in nuove lingue: dopo quella spagnola, francese, rumena, greca, portoghese, ceca, arrivata quella giapponese, e il mese scorso (maggio 2006) nanche la cinese. Insomma, se il nome dellItalia gira oggi per il mondo, si deve anche a Brandi e a quel lontano inizio del 1939. Ma quellanno Brandi comp un secondo passo di grande momento: entr in estetica e inizi la sua prima fondamentale opera teorica, Carmine o della Pittura 2. Fu un campo, questo della riessione teorica, che come un gemello siamese accompagn sempre le sue conclamate pratiche storico-critiche, e spesso guadagn il primato del suo lavoro scientico. Il Carmine apriva una esplorazione concettuale lievitata per decenni lungo un itinerario costellato da tante altre opere smaglianti, no alla Teoria generale della critica, s da conchiudere il disegno esaustivo dellartisticit 3. Non voglio certo nascondere che lestetica brandiana, sostanzialmente in ragione della sua originalit, e per il suo modo assolutamente atipico dinscriversi nel dibattito estetologico e nella specializzazione delle pratiche culturali della sua epoca, stent a farsi accreditare, e a lungo se ne equivocarono motivi e prospettive 4.7

Per oggi tutti sanno che Cesare Brandi stato un grande estetologo, fra i tre-quattro grandi estetologi italiani del secondo Novecento 5. E non io, ma uno studioso autorevole come Nicola Abbagnano arrivato a dire che la riessione brandiana segna una svolta nellorientamento dellestetica contemporanea 6. Ci torneremo. Diciamo intanto la terza polarit che qui ci tocca evocare. Sempre nel 1939, un mese prima dellinizio della seconda guerra mondiale, Brandi scopre la Sicilia. Di scoperta, in senso forte, si deve parlare: rivelazione e malia 7. Decenni dopo, nel 1984, impedito sulla sedia a rotelle, a conseguenza di un banale, ma devastante, episodio siciliano, il ricordo di quellevento si scioglier in rverie: Quanto ti ho amato, n da quando venni qua per prima volta nel 39 e [] fui avvelenato dal mal sottile di questo paese, da cui non per nulla si discende allInferno e se ne risale, con la primavera, che in nessun posto primavera come qui, dove incontri Persefone come vestita di ori di mandorlo e di violette, [] cos come anchio lho incontrata, col sole che le scorreva tra le dita della mano come il miele, e quegli occhi che hanno conosciuto, ma come in sogno, lInferno e la amma nera dellEtna 8. Questi sentimenti sono stati da lui effusi ripetute volte, ispezionati, illustrati, compongono unautentica geograa siciliana, affascinante periegesi che si dipana dalla notte dei tempi, dai sesi di Pantelleria e dalle gurazioni preistoriche di Levanzo e in mezzo Selinunte, Agrigento, Siracusa, Noto, Catania, Erice, Palermo, e Antonello e Caravaggio siciliano e Juvarra no ai umi di colore ribollente come la lava dellEtna 9 del suo grande amico Renato Guttuso. Se lattrazione della Sicilia possedeva il fondo del suo cuore, non si creda che i suoi pellegrinaggi patissero abbagli estetizzanti. Brandi fu persona mitissima, ma non conosceva accomodamenti sulle cose che contano, come la radice dellumanit delluomo, lepifania dellarte. Cos pagine eccezionalmente dure, parole scritte col fuoco, invettive dantesche, pot per esempio riservarle, nel 1948, alla derelizione di Palermo: Il nostro sangue, arrivando a Palermo, raggrumato come quello di San Gennaro: [] stanco di appelli a vuoto, agghiacciato dalle campagne elettorali, mitridizzato dai troppi veleni. Ma Palermo una capitale; [] Palermo divina fra tutte le citt della Sicilia. [] La citt, colpita amaramente nelle sue parti pi tenere, sanguina: sanguina lungo il rovinoso Corso, lungo la folta e squarciata via Maqueda; sanguina a via Alloro, a piazza Bologni, nella Cala. [] le macerie di Palermo ci opprimono. Signore Iddio, illuminateli i peninsulari che hanno dato lautonomia a Palermo e gli insulari che lhanno voluta! Signore Iddio, non abbiate nessuna piet per loro! Che le amme dellInferno brucino pi del solito, per chi ha permesso lo scempio della meravigliosa Palermo settecentesca 10. Certo, malgrado il furore, anzi in ragione dellintensit di un sentimento che arrivava a sublimarsi in furore, la Sicilia rimase per Brandi casa delezione, terra dellorigine,8

oasi dello spirito, luogo dove sentirsi come suona un suo titolo greci e italici. Forse non torner pi in Sicilia, o potr anche tornarci, ma non per questo sar pi viva nel mio antro scuro, dove, anche se non fu la terra della mia infanzia, fa rivivere la mia infanzia e si popola ugualmente di tutte le persone amate: [] e sempre ti offre lamore 11. Viene voglia di concludere che Brandi, se fu senese per nascita, moribus fu siciliano. Questi eventi che sbocciarono tutti insieme nel 1939, lesperienza dellarte nelle sue polivalenze fatto culturale da storicizzare, oggetto materiale da salvaguardare, essenza da decantare in teoria e lo scenario destinale della Sicilia, fusi in modo mercuriale, sono i li doro che hanno intessuto la personalit di Brandi. Almeno unaltra data tocca nominare, perch i giochi del caso vollero che, allimprovviso, nella vita di Brandi precipitassero Palermo e la sua Universit. Infatti nel 1960 dovette lasciare lIstituto Centrale del Restauro e per vincita concorsuale venire nellUniversit di Palermo a tenervi la cattedra di Storia dellarte medievale e moderna. Doveva essere solo stazione dei tre anni di straordinariato, invece rest sette anni, e fece scuola. Interpret con lode il suo ufcio accademico: veniva puntuale, a settimane alterne ma sostando lintera settimana, e la passava con gli allievi anche dopo lezione. Maestro, nella pienezza della parola. E si nutriva della sua nuova terra. Racconter degli anni lunghi di Palermo, quando, concluse le lezioni, salivo a quella sala sempre vuota [la sala delle metope del Museo Nazionale] e in quel silenzio di antico monastero, con quella luce mai violenta, facevo come uninfusione di Grecia e mi sentivo vicino a Parmenide e Zenone, greci e italici come erano ad Elea 12. Divenne un pilastro della Facolt di Lettere e Filosoa, accanto a studiosi del rango di Achille Adriani, larcheologo che aveva scoperto la tomba di Alessandro, lonniscente losofo Santino Caramella, il grande interprete della grecit Bruno Lavagnini e il sottile latinista Luigi Alfonsi, lacuto arabista Umberto Rizzitano e storici di fama come Eugenio Manni e Francesco Giunta, e senza dimenticare prestigiosi amici come lo psicologo Gastone Canziani e il musicologo Luigi Rognoni, e lo stesso preside della Facolt, leminente etnologo Giuseppe Cocchiara. Non sta a me, n questa loccasione, di celebrare il bicentenario dellUniversit di Palermo, che nel nostro programma abbiamo agglutinato al centenario brandiano. Lasciatemi tuttavia fare una veloce notazione sul soprendente insediamento che ben presto, gi nel 1815, qui avvenne dellEstetica. O meglio, non di quel nome, che a quei tempi, in Sicilia come nel resto dItalia, non trovava ancora fortuna e veniva riformulato in varie perifrasi. A Palermo simpose quella di Teorie losoche dellarte, quindi strettamente legata alla produttivit artistica, e afdata allenciclopedico scultore Valerio Villareale. Attraverso vicende la cui storia ancora da scrivere, un fatto che9

linsegnamento di Estetica sia una sorta di archetipo nellUniversit palermitana, e ancora negli anni di Brandi, pur se privo di titolare, cera consegna di tenerlo attivo per incarico, grazie a una staffetta di autorevoli cultori. Io la studiai un anno con Caramella e lanno successivo con Brandi, che tenne un corso bellissimo su Susanne Langer, e con cui mi laureai in estetica contemporanea nel 1965. Come ognuno sa, furono anni di grande tensione culturale, gli anni 60, anche a Palermo, dove si tennero manifestazioni importanti, come le Settimane di Nuova Musica e le riunioni del Gruppo 63. Brandi vi arriv con un libro fresco di stampa, appena pubblicato dal Saggiatore: Segno e Immagine 13. difcile, quasi mezzo secolo dopo, descrivere cosa rappresent questo libro. Mi limiter a sottolineare la nuova centralit che vi assumeva limmagine nei processi culturali e i nuovi, eccitanti orizzonti che si aprivano agli studi di estetica. Intendiamoci, limmagine aveva gi svolto un ruolo cruciale nella riessione estetica di Brandi, tanto da diventarne il monogramma. appena il caso di ricordare che il suo percorso teorico aveva da lungo tempo scavalcato la soglia standard della sua epoca e aveva dispiegato un nuovo scenario speculativo. Aveva tracciato un personalissimo asse problematico che, riattivato Fiedler i cui fondamentali Scritti sullarte gurativa, grazie a Pinotti e Scrivano, abbiamo il piacere di presentare in questa occasione 14 da un lato, aveva guadagnato una schietta rifondazione kantiana e, dallaltro, aveva dispiegato innovative modulazioni concettuali ispirate da Husserl, Heidegger e Sartre. Larte, geneticamente qualicata dal processo formativo di costituzione doggetto e formulazione dimmagine, era stata riconosciuta attivit peculiare che si decanta in immagine, realt pura. Del resto Brandi esplicitamente aveva informato a questa prospettiva anche limpegno culturale che, per esempio, fra il 1947 e il 50 gli aveva fatto dirigere una rivista di spicco dal titolo, proprio, LImmagine. Sono cose note. Mi limiter quindi a rimarcare come ad apertura dei travagliati anni 60, quando semiologia e strutturalismo erano ancora da venire, Segno e Immagine apriva a nuovo respiro il dibattito estetologico. Brandi, sempre in anticipo sul movimento delle idee, aveva gi letto e metabolizzato Saussure, che sarebbe solo in seguito divenuto unicona del pensiero. Fu quindi meditazione solitaria, quella brandiana, che tracciava una sua rotta maestra ai cui sviluppi si mantenne fermo, talvolta in sintonia (e fu il caso di Roland Barthes), talvolta in aperta polemica (e fu il caso di Umberto Eco), con gli accesi dibattiti degli anni successivi. Ha poca importanza dire che il tempo gli diede ragione, e lo stesso Eco fu costretto a palinodia. Qui importa sottolineare che, grazie a Brandi, limmagine consegu una potente investitura. Essa venne radicata allorigine dei processi della coscienza intenzionale e attraverso lo schema preconcettuale una sorta di bing-bang dellanthropos alimentava e deniva le dinamiche10

costitutive delle forme culturali. Diventava cio cifra epistemica che dava intelligenza delle epoche storiche, e parimenti strumento critico essibilissimo, che dava preziose chiavi daccesso a una comprensione capillare dei sempre pi contraddittori percorsi e disperanti avventure dellarte, che la contemporaneit andava dispiegando. Un modello, un modello per fare estetica nella nostra congerie di cultura: un classico che apre il nostro orizzonte. Ecco, cari amici, le poche parole con le quali ho interpretato il compito di ricordare Cesare Brandi nel centenario della sua nascita e lUniversit di Palermo nel bicentenario della sua fondazione. Non dispero, comunque, che pur nellintreccio sommario che ho tracciato siano venute a giorno anche le trame di fondo del nostro programma di lavoro. Attraverso Brandi e|o a partire da Brandi, lascio a voi la parola con la speranza di avere offerto unutile sponda di discussione.

1 C. Brandi, Teoria del restauro, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 1963; 2a ed. Einaudi, Torino, 1977, pi volte ristampata. Cfr. anche il volume C. Brandi, Il restauro. Teoria e pratica 1939-1986, Editori Riuniti, Roma, 1994, curato da M. Cordaro, che raccoglie ulteriori interventi brandiani, nonch gli Atti del Convegno Internazionale La teoria del restauro nel Novecento da Riegl a Brandi, curati da M. Andaloro, Firenze, Nardini, 2006, e il mio intervento Cesare Brandi e lestetica del restauro, ivi, pp. 301-14. 2 C. Brandi, Carmine o della Pittura, Enrico Scialoja Editore, Roma, 1945. Lopera ebbe effettiva circolazione con ledizione pubblicata due anni dopo (1947, Firenze, Vallecchi) e la successiva (1962, Torino, Einaudi). Lultima edizione stata pubblicata dagli Editori Riuniti (Roma, 1992) con una mia Prefazione. 3 Le principali opere estetologiche di Brandi, dopo il Carmine, furono: Celso o della Poesia (1957), Arcadio o della Scultura ed Eliante o dellArchitettura (1956), Segno e Immagine (1960), Teoria del restauro (1963), Le due vie (1966), Struttura e architettura (1967), Teoria generale della critica (1974). 4 Per un approfondimento dellestetica brandiana e delle relative questioni cui far riferimento, mi permetto di rimandare ai miei lavori: Itinerario dellestetica di Cesare Brandi. Da Carmine a Struttura e architettura, in Trimestre, 2, giugno 1969, e 3-4, settembre-dicembre 1969; Omaggio a Cesare Brandi, in L. Russo (a cura di), Brandi e lestetica, Palermo, 1986; e soprattutto la Prefazione alla riedizione di Carmine o della Pittura, Editori Riuniti, Roma, 1992, pp. IX-LIV, ristampata in Aa. Vv., I Dialoghi sulle Arti di Cesare Brandi, Aesthetica Preprint, 51, 1997, pp. 11-46. 5 Cfr. P. DAngelo, Lestetica italiana del Novecento, Laterza, Roma-Bari, 1997, part. pp. 211-18. 6 N. Abbagnano, Recensione a C. Brandi, Teoria generale della critica, in Il Giornale, 6 agosto 1974; ora in V. Rubiu (a cura di), Lestetica di Cesare Brandi: antologia critica, in Storia dellarte, 43, 1981, pp. 304-05. Ai nostri giorni gli ha fatto eco E. Garroni, Brandi e lestetica, in Aa. Vv., Cesare Brandi. Teoria ed esperienza dellarte, Silvana, Milano, 2001, pp. 67-68: La riessione estetica di Brandi va certo considerata tra le pi signicative, e non solo nellambito dellestetica postcrociana []. Anzi, se guardo allestetica della prima met del nostro secolo, in particolare italiana, non trovo molti autori che possano reggere il confronto con il successivo pensiero di Brandi. [] Nella seconda met del secolo, invece, molte posizioni signicative cominciano a emergere e a imporsi []. E tra queste riessioni quella di Cesare Brandi ha, in ogni caso, un posto di primaria importanza. 7 In una lettera del 27 febbraio 1944, indirizzata allamico Luigi Magnani che nel novembre 1939 laveva accompagnato alla scoperta della Sicilia, commenter: Quel viaggioche ci

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don il pi bel paese del mondo, in Cesare Brandi Luigi Magnani. Quattrocentoventi lettere inedite, a cura di L. Fornari Schianchi, Gli Ori, Siena-Prato, 2006, p. 74. 8 C. Brandi, Dove sentirsi greci e italici (1984), in Id., Sicilia mia, Palermo, Sellerio, 1989, p. 37. 9 Id., La lava dellEtna, in Corriere della Sera, 20 ottobre 1983, ora in F. Carapezza Guttuso, Brandi e Guttuso. Storia di unamicizia, Milano, Electa, 2006, p. 178. 10 Id., Derelizione di Palermo, in LImmagine, 2 (1948), ora in Id., Terre dItalia, Milano, Bompiani, 2006, pp. 541-44. 11 Id., Dove sentirsi greci e italici, cit., p. 37. 12 Ivi, p. 34. 13 Id., Segno e Immagine, Milano, Il Saggiatore, 1960; 4a ed. Palermo, Aesthetica, 2001. 14 K. Fiedler, Scritti sullarte gurativa, a cura di A. Pinotti e F. Scrivano, Palermo, Aesthetica, 2006.

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Realt e immagine in Cesare Brandidi Paolo DAngelo

Cercher in questo mio intervento di illustrare brevemente il ruolo che Brandi al quale il nostro seminario dedicato ha svolto nellestetica italiana del Novecento, e insieme mi interrogher sul valore che la sua opera assume oggi, nella presente congiuntura culturale. Ma il nostro incontro ha anche unaltra indicazione tematica, giacch si propone di riettere su di un tema tanto vasto e difcile come quello del rapporto, dei rapporti, tra immagine e realt, e mi dispiacerebbe lasciar completamente cadere un tema tanto arduo e stimolante. Nella seconda e parte del mio intervento cercher dunque di offrire qualche spunto alla discussione intorno a questo argomento. Ma, per evitare che il mio discorso assuma un carattere ancora pi rapsodico di quello che inevitabilmente avr, anche in questo caso ancorer il mio discorso a Cesare Brandi. Per farlo, mi auguro, non dovr ricorrere a nessuna forzatura, non dovr esercitare nessuna violenza interpretativa sui testi brandiani. Perch e credo dicendo questo di cominciare a sollevare dei temi che potranno essere discussi e integrati se, da un lato, quello dei rapporti tra immagine e realt, tra arte e realt, un problema che attraversa tutta lestetica, ed presente, oserei dire, in tutte le epoche della riessione e in ogni autore che abbia riettuto sullesperienza estetica e sullarte, daltro lato la questione del nesso tra immagine e realt , in buona misura, pi che uno dei tanti temi sui quali egli ha meditato, il problema di Brandi: quello da cui partito e quello sul quale ha continuato a meditare. Non si pu certo dire che il centenario brandiano si stia celebrando in tono minore. Tutti i maggiori quotidiani hanno dedicato grandi pagine al ricordo di Brandi. I convegni, gli incontri, i seminari si stano susseguendo in Italia e allestero. Per una fortunata circostanza, la ricorrenza centenaria ha coinciso con la pubblicazione di importanti traduzioni della Teoria del Restauro, dal tedesco al cinese, e questo ha fatto s che di Brandi si stia parlando anche in paesi nei quali la sua opera non era ancora stata veramente recepita. In questo fervore di iniziative, si sar notato che lattenzione andata in primo luogo al Brandi difensore di quelli che, con una locuzione che lui non amava13

e noi non amiamo, si deniscono ormai i beni culturali: non solo il Brandi teorico del restauro, ma anche il Brandi impegnato nella difesa del paesaggio, dei centri storici, dei monumenti. Non c nulla di strano in tutto ci. Si tratta anzi di qualcosa di naturale, sia perch limpegno di Brandi in questo campo stato veramente straordinario per costanza e risultati, sia perch sono temi che stanno giustamente a cuore di ogni cittadino, almeno di ogni buon cittadino. Ma noi, oggi, in questa sede e in forza delle nostre competenza spetta, credo, un compito diverso. Dobbiamo in primo luogo ricordare che questi aspetti dellattivit brandiana si radicano e si legano a doppio lo con la sua riessione teorica, con la sua estetica, e non sono pensabili senza di essa. Nel caso della Teoria del Restauro sappiamo ormai che essa non solo , appunto, un teoria, quindi indisgiungibile dalle sue basi losoche, ma che essa cresciuta nel tempo in stretto parallelismo con lestetica stessa, della quale dunque non stata solo un frutto applicativo e tardivo, ma piuttosto, a pieno diritto, una delle componenti 1. E, in secondo luogo, dobbiamo ribadire che proprio questa componente teorica, proprio la presenza di una riessione estetica estesa e fondante, costituisce la cifra peculiare e la caratteristica pi propria della critica brandiana. Sarebbe assurdo dimenticarlo proprio oggi, proprio nei giorni in cui la critica artistica riette su se stessa, sui propri compiti e il proprio status, con un senso di smarrimento, e con la consapevolezza di una perdita di autorevolezza e di funzione culturale 2. Certo, c in giro molta buona critica accademica, lologicamente attrezzata. Ma dove sono oggi i critici capaci di accrescere veramente la nostra comprensione dellarte gurativa, di farci capire unopera? Di leggerla senza le dande dei metodi, ma nella sua essenza? Di rivolgersi a un pubblico non composto da soli studiosi? Inoltre, c in giro, e non so quanto questo faccia bene sperare, una forte assimilazione dei metodi di lettura dellimmagine a quelli di lettura del testo scritto: dagli studi iconologici, dalla voga warburghiana no ai visual studies, limmagine sempre pi letta come un messaggio, in qualche modo riformulabile attraverso il linguaggio. Dove sono, allora, i critici capaci di decifrare la forma dellopera, senza ridursi a sterili formalismi? Dove sono i critici capaci di leggere lopera darte dallinterno, ma senza tradurla in un linguaggio altro? Dove trovare un critico che sappia spaziare dallantico al contemporaneo, o che sappia parlare con eguale maestria di un dipinto e di unarchitettura, di una scultura e di una piazza? Questo critico a tutto tondo, questo critico capace di leggere lopera darte senza decrittarvi per forza un messaggio noi lo abbiamo avuto in Cesare Brandi. E lo abbiamo avuto in lui in forza del carattere profondamente, irriducibilmente losoco della sua critica. C, in critica letteraria come in critica darte, il critico-scrittore, il critico-scienziato,14

il critico-saggista. Brandi ha incarnato in pieno il tipo del critico-losofo, del critico che fonda il proprio giudizio e lintero proprio edicio interpretativo su di una teoria coerente dellarte su di unestetica. Ora, proprio questo punto di forza della critica brandiana si rivelato foriero di equivoci, dando forma a pi di un pregiudizio che si esercitato su entrambi i fronti della operosit brandiana: presso teorici dellestetica, concretandosi nel sospetto che lestetica brandiana scontasse in partenza la sua nascita troppo a ridosso di unesperienza artistica determinata; presso i critici e gli storici dellarte in quello speculare, che nella critica di Brandi vi fosse troppa teoria, ossia una teoria non richiesta e tale da distorcere il giudizio determinato. Il carattere losoco della critica brandiana ha poi propiziato un altro equivoco. Dato che di critici loso, una specie tutto sommato abbastanza rara nella storia della critica, il nostro Novecento ne aveva gi avuto uno, Benedetto Croce, si assimilato Brandi a Croce, lasciando credere che Brandi, come teorico, fosse rimasto soltanto un epigono di Croce. questo, credo, il primo sospetto che occorre dissipare. Quando nel 1945 usc la prima edizione del Carmine o della pittura il quasi ottantenne Croce fu il primo a recensirla, e non fu parco di elogi. Croce metteva in luce i meriti dellautore, ma al contempo cercava di ricondurlo nellorbita dei propri pensieri, di farne un discepolo e un continuatore. Lannessione crociana ci appare oggi certamente spiegabile, ma non condivisibile. Essa getta sulle teorie di Brandi unipoteca che rischia di impedire unadeguata valutazione della loro funzione e del loro signicato 3. Di fatto, anche se Brandi parla sempre con molto rispetto di Croce, ed evita di attaccarlo esplicitamente, lestetica brandiana non affatto appiattita su quella del grande predecessore, e si congura piuttosto come la prima estetica post-crociana che sia apparsa in Italia. Se, come ha scritto Contini, Riuscire post-crociani senza essere anticrociani fu lo sforzo della mia generazione dobbiamo riconoscere che Brandi stato uno dei pochissimi a realizzare questo intento. Anche se allepoca della pubblicazione del primo testo brandiano di estetica non era facile avvedersene, gli autori ai quali Brandi faceva riferimento non erano infatti nomi ovvi, in quegli anni e in Italia: in primo luogo Sartre, Husserl e Heidegger, ma poi soprattutto Kant, sottoposto a una rilettura destinata a rivelarsi tra le pi originali e produttive. In seguito, nel descrivere la natura delle proprie ricerche, Brandi parler della sua prima opera come di una fenomenologia della creazione artistica 4 e questa unindicazione da tenere nel dovuto conto, ma avvertendo che Brandi giungeva alla fenomenologia per vie totalmente diverse da quelle percorse da Ban e dai suoi allievi. Si trattava, poi, di una fenomenologia della creazione, dunque orientata verso la genesi, almeno ideale, dellopera. Se Croce vedeva15

nellopera essenzialmente una riuscita, e non una ricerca, e dunque muoveva dallespressione compiuta, Brandi scioglie lidentit di intuizione ed espressione e scandisce le tappe del processo artistico nelle due fasi della costituzione doggetto e della formulazione dimmagine, che non coincidono ma sono la prima antecedente alla seconda, con ci rimettendo in movimento, dalla parte della produzione dellopera, la ssit crociana. Lo sforzo di approfondimento e riorganizzazione massimo nel dialogo pi esoterico di Brandi, quello dedicato alla poesia, il Celso. Qui la distanza da Croce gi prima facie notevole, perch Brandi riuta lidenticazione di linguaggio e arte: La sintesi estetica? La sintesi estetica per chiamare un taxi? 5, riconosce la sua natura eminentemente comunicativa, ed pronto ad ammettere la presenza, e addirittura la preponderanza, in esso, di elementi schiettamente intellettuali. Che nella parola possa darsi la possibilit di evolvere da un lato verso il concetto empirico, privilegiando la sostanza conoscitiva, oppure dallaltro verso la pura gurativit dellimmagine, spiegato da Brandi attraverso una riconsiderazione della dottrina kantiana dello schematismo (della quale colse acutamente, e tra i primi, la portata anche linguistica), in quanto lo schema la radice di entrambi e al tempo stesso la mediazione tra i due. Lo schematismo agisce producendo una scelta dei tratti delloggetto, che non coincide affatto con quella che sar caratteristica del concetto: si tratta piuttosto di un riassunto fenomenologico della cosa, che appartiene a uno stadio preconcettuale e prelinguistico della conoscenza, e mantiene lapertura verso la gurativit. Lo schema aperto da un lato verso limmagine, dallaltro verso il concetto, e spiega il motivo per cui nella concettualit sviluppata, nel segno, permane pur sempre una traccia o un residuo della gurativit originaria, mentre nellimmagine alla quale giunge larte non interamente abolito ogni legame col contenuto di conoscenza 6. Il ripensamento della dottrina kantiana dello schematismo era messo a frutto anche nel dialogo sullarchitettura (le date di pubblicazione non debbono in proposito trarre in inganno, giacch la stesura del Celso anteriore a quella dell Eliante), ove serviva a superare la difcolt rappresentata dal fatto che larchitettura non sembra partire da un antecedente naturale sul quale possa operarsi la riduzione o la costituzione doggetto. Larchitettura, rispondeva Brandi, non muove dalloggetto, ma dallo schema in cui si ssato un bisogno pratico (quello di ripararsi, ad esempio), e come le altre arti evolve lo schema verso la gurativit. Qualche anno pi tardi, Brandi avrebbe poi impiegato la dottrina della biforcazione originaria dellimmagine e del segno dal ceppo primo dello schema trascendentale in uno dei suoi scritti pi originali, il volume Segno e immagine, dove i rapporti, e soprattutto le usurpazioni delluno sullaltro vengono utilizzati come16

indici di valutazione di concreti fenomeni culturali e storici (il disegno infantile, la pittura bizantina, il manierismo), nella convinzione che ogni qualvolta la distinzione strutturale fra segno e immagine si offusca, sintomo di una grave alterazione, che, per cos dire, minaccia e inceppa gli ingranaggi della civilt. Nel corso degli anni Sessanta queste idee saranno utilizzate da Brandi nel dibattito con le nuove teorie semiotiche, e il confronto porter non a una correzione ma a una riesposizione della teoria, con una terminologia in parte diversa. Piuttosto che di realt pura, Brandi parler di astanza per indicare la particolare forma di presenza realizzata dallopera darte, distinta sia dalla agranza dellesistenza comune, sia dalla natura del segno, che viene attraversato alla volta di altro. Se ci domandiamo che tipo di critico sia stato Brandi, quanto la presenza di un interesse forte per lestetica losoca concorra a dare, alla gura di Brandi critico delle arti, una collocazione cos rilevata e insieme cos particolare nellambito della critica artistica del Novecento, in Italia, saltano agli occhi, allora, due conseguenze fondamentali. La prima che proprio la riessione teorica ha consentito a Brandi di andare oltre le premesse purovisibilistiche dalle quali aveva preso le mosse, la seconda che la presenza di un interesse cos forte per lestetica rende Brandi lantitesi pi netta al tipo del conoscitore, ossia ad un tipo di studioso darte che ha una solida tradizione, particolarmente in Italia, e che spesso vene riproposto come vero modello di procedere critico nei confronti dellopera. Alle premesse purovisibilitche si vuole spesso ricondurre in senso riduttivo il metodo critico di Brandi 7. Ci ingiusto e unilaterale, perch se vero che il purovisibilismo, innestato di crocianesmo (ma piuttosto si dovrebbe parlare di reinnesto, perch lestetica di Croce, almeno la prima estetica, nasceva non lontana da presupposti edleriani) costitu lo sfondo di molta parte della migliore critica gurativa dei primi decenni del nostro secolo, vero anche che una delle esigenze pi forti che spingevano Brandi verso una teorizzazione autonoma fu il desiderio di superare, approfondire, le impostazioni di questa tradizione. Mi sembra che questo aspetto si possa isolare e mostrare con molta chiarezza nella concezione dello stile esposta nel Carmine e nella connessa teoria dellornato sviluppata nel dialogo sullarchitettura. Laltra conseguenza che, affermando decisamente la necessit di una riessione estetica per lesercizio della critica, Brandi veniva a opporsi a una tradizione di studi sullarte che in Italia ha, da Cavalcaselle a Morelli, attraverso Berenson no a Federico Zeri, una solida tradizione, e che si incarna nel tipo del conoscitore. Di fatto, il conoscitore rappresenta per molti versi lantitesi perfetta del critico-losofo. Se infatti cerchiamo di identicare le caratteristiche che individuano il tipo del conoscitore, incontriamo subito la difdenza, quando non la17

vera e propria insofferenza, verso la teoria verso lestetica. Proprio il padre della moderna connoisseurship, Giovanni Morelli, in questo senso paradigmatico. Per lui lestetica serve solo a cibare gli uditori di generici luoghi comuni, a riempire i libri di magniche frasi, o meglio frasi piene di vento. Insomma: per capire larte non serve avere il cranio fornito di protuberanze losoche, ma intuizione, occhi buoni, e tanta esperienza. Il distacco di Brandi dal tipo del connaisseur si esprime con la massima chiarezza in alcuni tratti salienti e non comuni della sua attivit di critico. Il primo la sistematica estensione dellesercizio critico non solo alla pittura e alla scultura, ma anche alla architettura. Quando si traccer un bilancio complessivo della critica brandiana non si dovr dimenticare che essa ha raggiunto alcuni dei suoi risultati pi cospicui e duraturi proprio nellambito della critica architettonica. Ed notevole, anche dal mero punto di vista biograco, che la critica architettonica brandiana si mostri a livelli altissimi di riuscita gi nel dialogo Eliante che la fonda teoricamente. In quel dialogo, Brandi si mostrava subito capace non solo di emettere giudizi di grande autorevolezza, ma anche di ripensare su nuove basi lintera storia dellarchitettura. Ci avveniva grazie a una riconsiderazione radicale della problematica della spazialit dellarchitettura, che certamente propiziata dallimpianto teorico, ma non analiticamente contenuta in esso. Nel mostrare come si attuasse in architettura il passaggio dallo spazio esistenziale delloggetto a quello puro dellopera, Brandi si provvedeva di alcune delle pi caratteristiche tra le sue categorie critiche, quelle stesse che gli permetteranno di impostare la propria critica architettonica come scoperta e individuazione dello specico tema spaziale di una cultura o di un artista. Brandi puntava cos decisamente verso una critica come storia gurativa dellimmagine, rinunziando ad ogni sollecitazione o appiglio che potesse pervenirgli dalle intenzionalit programmatiche proiettate in architettura. Rispetto al metodo critico crociano, che conserva sempre qualcosa di tribunalizio e arido, quella brandiana una critica come attraversamento dellopera, come scoperta e partecipazione alla sua legge di formazione. una critica interna, ma non perch superstiziosamente chiusa a ci che fuori del testo. una critica quasi asceticamente proiettata verso la lettura del dato formale dellimmagine, ma non riducibile a rilevazione formalistica, perch tutta la strumentazione teorica brandiana, lo abbiamo visto, era tesa proprio ad evitare che lo stile venisse isolato come lacerto di supercie, inventariato senza riguardo alla genesi profonda dellopera. Un altro aspetto degno della massima attenzione lallargamento del concetto di critica dal puro giudizio valutativo allinsieme dei procedimenti di conservazione e restauro dellopera. In questo senso, il pionieristico riconoscimento del Carmine, secondo il quale Rientrano nella critica non solo la designazione e la promulgazione dellopera, ma18

anche tutti i procedimenti che assicurino e conservino lopera. Anche il restauro critica, anche la collocazione di unopera in un museo, e perno la illuminazione, il fondale su cui lopera, se sar un dipinto o una plastica, verr esposta alla pubblica cultura frutticher pi tardi nella Teoria del Restauro 8. Inne, un terzo punto degno di considerazione dato dallattenzione portata da Brandi verso larte contemporanea, dal primo studio su Morandi, a quello su Picasso che accompagnava la prima edizione del Carmine, no a moltissimi saggi della maturit. Linteresse per larte attuale segna in Brandi il distacco dal tipo dello storico dellarte lologo, e conferma la sua lontananza dal tipo del conoscitore, sempre caratterizzato dalla difdenza e dal disagio verso il contemporaneo. Credo che proprio limpegno teorico di Brandi richieda che la sua gura venga collocata, rispetto a quella degli altri critici gurativi che si confrontarono col crocianesimo, in una luce particolare. Se Carlo Lodovico Ragghianti dallorizzonte crociano propriamente non usc mai, Longhi oscill tra lortodossia e lapostasia ma pi per il suo grande temperamento di critico che per unordinata revisione teorica. Sia detto con cautela, ma quando per esempio Cesare Garboli nel suo saggio su Longhi sospetta unadesione inconfessata di questultimo allidealismo attuale, a proposito della concezione della storia, forse lecito chiedersi se Gentile centri davvero o se no si sia di fronte allemergere dellanimus del connaisseur, si sa quanto istintivamente presente in Longhi. E come la compresenza, anzi lo strettissimo legame, in Brandi, di teoria estetica e di concreto esercizio della critica, gli conferisce un ruolo inconfondibile nel panorama della critica darte del secolo passato, cos in essa troviamo raccolti insieme i motivi della inattualit di Brandi e della sua importanza nella situazione culturale di oggi. In tempi in cui la critica darte sembra stretta nellalternativa tra chiudersi nella lologia o evadere nella sociologia o nella storia delle idee, laltissima capacit brandiana di lettura dellopera darte incarna il modello stesso del critico-losofo, la specie pi rara nel panorama odierno e dunque quella della quale, nella presente congiuntura culturale, massimamente si avverte il bisogno. Veniamo ora alla seconda parte del mio intervento, nella quale vorrei avvicinarmi al tema del nostro colloquio: immagine e realt. In apertura avevo fatto due affermazioni: che il problema del nesso tra immagine e realt (o tra arte e realt: non esattamente la stessa cosa, ma in larghissime epoche della storia dellestetica lo stata) pressoch onnipresente; e che questo tema assume in Brandi una rilevanza notevolissima. Debbo dunque sostanziare queste due tesi. Per la prima, penso di poter procedere piuttosto rapidamente, dato che posso accennare a questioni che sono ben note. Non credo di andare lontano dal vero dicendo che tutta la storia dellestetica occidentale19

pu essere presentata come una sorta di variazione su questo tema. In fondo, essa si apre sul dissidio tra Gorgia e Platone: tra chi, cio, ritiene che lillusione prodotta dallarte sia un effetto positivo, e chi invece imputa il carattere illusionistico alla mimesi come suo difetto irrimediabile. Ma quello tra le celebri parole di Gorgia chi illude opera pi correttamente di chi non illude e chi si lascia illudere pi saggio di chi non si lascia illudere e quelle altrettanto celebri di Platone sul poeta tragico, che per natura terzo a partire dal re e dalla verit e sullarte imitativa che lungi dal vero e per questo eseguisce ogni cosa, per il fatto di cogliere una piccola parte di ciascun oggetto, una parte che copia, un conitto destinato in qualche modo a non avere ne. La teoria della mimesi lo porta inevitabilmente con s, ma nel corso dei due millenni lungo i quali essa ha regnato incontrastata la nozione stessa di mimesi stata pensata in modi molto diversi, e altrettanto diversamente stato concepito il suo oggetto: imitazione delle cose come sono e imitazione delle loro forme ideali, della natura come dovrebbe essere, imitazione di un modello ideale inarrivabile e selezione e fusione di esemplari empiricamente dati, imitazione di modelli artistici preesistenti o emulazione della loro capacit creativa; duplicazione illusionistica o rispecchiamento realistico, ecc. N il conitto termina con il superamento della teoria dellimitazione, nel corso del Settecento e poi soprattutto con la Romantik. Non solo perch si affaccia ora lidea di una imitazione formatrice, da Moritz a Schelling, dellarte come lampada che illumina il reale e lo fa vedere, piuttosto che come specchio, e non solo perch, ovviamente, la Wiederspiegelungstheorie ha continuato ad esistere nella riformulazione dellestetica marxista, ma soprattutto perch se larte viene pensata, modernamente, come modo di produzione e comprensione della realt, il problema del rapporto con la realt non si annulla ma si riformula. E cos avremo nuovamente un problema di arte e illusione, magari declinato, come accade nella nota opera omonima di Gombrich, dal lato delle forme e dei modi della rappresentabilit, insomma visto come problema del tasso di convenzionalit delle rappresentazioni stesse, oppure la discussione sulliconismo che si sviluppata in ambito semiotico, o ancora il dibattito attuale sulla realt virtuale, in fondo un termine che tiene assieme, paradossalmente, entrambi i corni del dilemma storico tra arte e nzione. Si licet parva componere magnis, mi ha colpito che la riessione di un giovane romanziere italiano, Antonio Scurati, sullo scrivere romanzi oggi, apparsa in queste settimane in appendice alla ripubblicazione del suo primo romanzo, metta in gioco esattamente i termini che abbiamo visto possedere una storia cos lunga. Quando Scurati parla di inesperienza come condizione trascendentale dellesperienza attuale, quando lamenta la perdita di contatto con la realt vera e la necessit per lartista di confrontarsi con lequivalenza di realt e nzione-rappre20

sentazione prodotta dalla straordinaria proliferazione dellimmagine 9, non forse ancora allopera quel dissidio bimillenario di cui abbiamo percorso le tappe, sia pure in uno scorcio rapidissimo? E, semplicazione per semplicazione, permettetemi di riassumere un ventaglio pressoch innito di posizioni in tre grandi rubriche. Direi che il modo in cui lestetica ha pensato il rapporto tra realt e arte pu sintetizzarsi in tre formule: arte come meno che realt; arte come realt; arte come pi che realt. La prima posizione ci gi chiara, perch quella di tutti coloro i quali condannano il carattere illusionistico dellarte, come Platone; ma anche quella, per esempio, di Manzoni quando condanna i romanzi storici ovvero i componimenti misti di storia e invenzione proprio per il carattere decettivo, ontologicamente inferiore della nzione rispetto al veramente accaduto. Non necessariamente essa si accompagna ad una condanna dellarte: un esempio in proposito pu essere costituito dal Sartre de lImaginaire, per il quale larte essenzialmente un irreale: lobjet esthtique est constitu et apprhhend par une conscience imageante qui le pose comme irrel 10, o anche dalla teoria freudiana dellarte come sogno ad occhi aperti. La terza posizione, arte come pi che realt, propria di tutte quelle teorie che vedono nellarte la strada per dischiudere unesperienza superiore, laccesso a un piano ulteriore di esperienza rispetto allesperienza ordinaria. In questa categoria rientrano di diritto il platonismo e molte estetiche romantiche. Il platonismo e non Platone, evidentemente, secondo una articolazione che stata magistralmente illustrata nello scritto cassireriano Eidos und eidolon: il platonismo, da Plotino a Ficino a Shaftesbury ha liberato larte dallipoteca platonica dadurch, dass [es] dem strengen Platonischen Begriff der Idee den schillernden und vieldeutigen Begriff des Ideals unterschob 11. E larte come conoscenza dellIdeale piuttosto che della misera e manchevole realt stata la parola dordine di tante estetiche romantiche, che hanno visto in essa la chiave daccesso ad un mondo superiore, chiuso e negato alle vie ordinarie della conoscenza. Cos in Solger, in cui larte lunica via che sia concessa alluomo per attingere, sia pure attraverso il paradosso tragico dellironia, lassoluto e il divino. Cos, notoriamente, in Schopenhauer, per il quale larte conoscenza non della realt illusoria e caduca della rappresentazione ma conoscenza degli eterni tipi ideali o rivelazione del segreto stesso del mondo, nella musica. La seconda possibilit quella sulla quale abbiamo detto di meno, ma forse la pi bisognosa di chiarimento. Perch dicendo arte come realt non si intende affatto la duplicazione del reale, la sua riproduzione come in uno specchio giusta ancora la metafora platonica o shakespeariana. Si intende piuttosto larte come via di accesso alla realt, come strumento della sua conoscenza o, nelle forme estreme,21

come sua creazione. noto che la stessa nozione classica di mimesis, esemplarmente in Aristotele, non indica affatto una mera reduplicazione del reale ma piuttosto una trasposizione attiva del reale su di un piano rappresentativo. La grande via dellestetica moderna, superando denitivamente il paradigma mimetico nella sua accezione pi banale, metter al centro esattamene il carattere produttivo e costruttivo dellattivit artistica. Larte forma il mondo, nel senso che una delle vie attraverso le quali lo strutturiamo, lo plasmiamo, lo costruiamo. larte come forma simbolica, al pari del mito o della scienza; larte come sapienza poetica di Vico; larte come intuizione-espressione di Croce, ma anche larte come way of world-making di Nelson Goodman. Torniamo a Brandi, e concludiamo. Ho detto che in Brandi il problema del rapporto tra immagine e realt costitutivo, e forse addirittura il lo conduttore della sua riessione. A conferma di ci invoco qualche evidenza. La prima e principale opera di estetica di Brandi si apre con una sorta di locus classicus della questione, il problema del ritratto. E si chiude con una negazione, che a noi pu anche apparire sorprendente, quella del carattere artistico del cinema, argomentata sulla base del fatto che nel cinema il rapporto con la realt esistente non pu mai essere rescisso, che il cinema ci pone di fronte allesistente nella sua vita medesima 12. Potrei osservare che ognuna di queste due affermazioni ha dietro di s una storia complessa, dipanando la quale ci troveremmo a dibattere aspetti essenziali del rapporto tra immagine e realt: la questione della somiglianza nel caso del ritratto, o quella della aderenza alla realt del cinema, tema centrale in tante riessioni teoriche sul lm, da Bazin a Pasolini. Ma ai nostri ni pu forse bastare una constatazione: il problema sul quale il Carmine si apre, e quello sul quale si chiude sono, in fondo, lo stesso e unico problema, quello appunto del rapporto tra immagine e realt. il complesso della mummia al quale Bazin riportava lorigine delle arti gurative, e allora come non ricordare che un altro dialogo brandiano, quello sulla scultura, si apre con qualcosa di simile a una mummia, il calco in gesso dei morti in seguito alleruzione del Vesuvio? Tutto questo ci dice che lintero dialogo Carmine, e forse lintera estetica brandana, non cessa di aggirarsi intorno a questo problema fondamentale. La nozione capitale che Brandi mette in campo a questo proposito, la costituzione doggetto, riguarda precisamente lopera di selezione, di scelta, di accentuazione di alcuni aspetti a danno di altri, che lartista compie sul dato percettivo: il resultato loggetto costituito, ossia unimmagine che non affatto il duplicato delloggetto, ma in cui loggetto sostanza conoscitiva e gurativit, a seconda delluso stesso che dellimmagine far la coscienza 13. Immagino per che prima che io concluda ci si aspetti una risposta22

alla domanda: s, ma nella terna di posizioni prima individuate, arte come meno che realt, arte come realt, arte come pi che realt, Brandi dove si colloca? La risposta che immediatamente si presenta : nellultima di queste rubriche. Lo stesso termine di realt pura che Brandi sceglie per indicare lo status ontologico dellimmagine artistica sembra rendere obbligatoria questa risposta. E poi, non parla Brandi dellopera darte come di ci che ad una realt esistenziale perenta oppone la concretezza di una realt astante, in cui si riattiva allinnito quel presente che le dette vita? Non ne parla come del massimo sforzo che possa compiere luomo per trascendere la propria transeunte esistenza, togliendosi dal tempo conformandosi alleternit 14? Qui la vicinanza ad una romantica religione dellarte sembra massima, cos come nel concetto di astanza teorizzato successivamente da Brandi sembra di cogliere uneco nemmeno troppo lontana dellopposizione tra lesser opera dellopera darte da un lato e lesser-cosa della cosa e lesser-mezzo dellutensile, dallaltro, come Heidegger la teorizza nellUrsprung des Kunstwerkes. Non ho nessuna difcolt ad ammettere che questi accenti sembrano e sono datati, e che in generale questa sottolineatura enfatica della eccezionalit dellarte ci appare oggi poco condivisibile. Ma vorrei sottolineare che questo solo un aspetto, e per di pi superciale, della teoria brandiana, e che non solo lo stesso concetto di realt pura possiede anche una meno roboante caratterizzazione funzionale, presentandosi sostanzialmente come una riformulazione del disinteresse kantiano o della epoch husserliana, ma che in Brandi presente anche un altro modo di guardare allarte, che si esplicita in particolare in un testo come Segno e immagine, del 1960. Qui, Brandi riette sullo schema (in senso kantiano) come origine comune del segno e dellimmagine, e cos facendo presenta larte come uno dei possibili modi di organizzare la realt, alternativo ma non estraneo al segno, del quale condivide appunto la provenienza. Cos facendo, e apparentemente continuando a inseguire il fantasma della immagine pura, Brandi ci insegna a comprendere come limmagine possa fondersi, incrociarsi, collaborare col pensiero e con il segno 15.

1 Si vedano, in proposito: P. Petraroia, Genesi della Teoria del restauro, in L. Russo (a cura di), Brandi e lestetica, Supplemento agli Annali della Facolt di Lettere e Filosoa delluniversit di Palermo, 1986, pp. LXXVII-LXXXVII; L. Russo, Cesare Brandi e lestetica del restauro, in M. Andaloro (a cura di), La teoria del restauro nel Novecento da Riegl a Brandi, Atti del Convegno internazionale di studi di Viterbo, 12-15 Novembre 2003, Firenze, Nardini, 2006 pp. 301-14. 2 Si veda il recente volume di S. Pinto e M. Lanfranconi Gli storici dellarte e la peste, Milano, Electa, 2006. 3 Sulla interpretazione crociana si vedano le osservazioni di L. Russo nella Prefazione a C. Brandi, Carmine o della pittura, Roma, Editori Riuniti, 1992. 4 C. Brandi, Carmine, cit., p. LVII (Nota introduttiva di Brandi alla edizione 1962 del Carmine).

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Id., Celso o della Poesia, Roma, Editori Riuniti, 1991, p. 37. Sulla teoria brandiana dello schematismo fondamentale il saggio di E. Garroni, La denizione dellarte e lo statuto trascendentale dellestetica: immagine, segno, schema, nel volume Brandi e lestetica, cit. 7 Nella loro Presentazione agli Scritti sullarte gurativa di K. Fiedler (Palermo, Aesthetica, 2006), A. Pinotti e F. Scrivano hanno giustamente mostrato che il termine purovisibilismo improprio, ma credo che in riferimento alla ricezione italiana di Fiedler si possa continuare a usare, dato che appartiene a una tradizione ormai consolidata. 8 C. Brandi, Carmine, cit., p. 157. 9 Cfr. A. Scurati, La letteratura dellinesperienza, in Id., Il rumore sordo della battaglia Milano, Rizzoli, 2006, pp. 381-96. 10 J.-P. Sartre, Limaginaire. Psychologie phnomnologique de limagination, Gallimard, Paris, 1986, pp. 366-67. 11 E. Cassirer, Eidos und eidolon. Das Problem des Schnen und der Kunst in Platons Dialogen, in Vortrge der Bibliothek Warburg, II, 1922-1923, Teil I, p. 16; tr. it. Eidos ed eidolon. Il problema del bello e dellarte nei dialoghi di Platone, Milano, Cortina, 1998, p. 31. 12 C. Brandi, Carmine, cit., p. 194. 13 Ivi, p. 97. 14 Ivi, pp. 42 e 51. 15 Per un approfondimento di questa, come delle altre tesi esposte, mi sia consentito rinviare al mio volume Cesare Brandi. Critica darte e losoa, Macerata, Quodlibet, 2006.

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Segno, simbolo e immaginedi Elio Franzini

Una frase che si legge a conclusione del saggio Segno e immagine pu, a prima vista, stupire, o anche apparire come il prodotto di unepoca. Cos scrive Brandi: Solo lo sviluppo indipendente e conseguente dellimmagine come segno e dellimmagine come gurativit, possono assicurare un equilibrato sviluppo della civilt. Comunque e dovunque le vie dellimmagine e del segno si fondano, si accavallino o si intersechino, ci costituir sintomo di unalterazione della civilt nel suo sviluppo dallessere: della coscienza, e sintomo di una situazione storica in disequilibrio 1. Lo stupore potrebbe tuttavia essere un equivoco: le parole di Brandi, infatti, non devono affatto essere lette come lesigenza di una scissione che attraversa il mondo espressivo, separato in gurativit e in segno. La frattura, che peraltro Brandi testimonia allinterno di molteplici manifestazioni storico-artistiche, non necessariamente il risultato dellintervento di un diavolo o di un razionalistico genio maligno: pu essere anche unacuta osservazione fenomenologica sui differenti modi di espressione che hanno attraversato sia la storia sia la conoscenza, dichiarando al tempo stesso i pericoli delle contaminazioni tra i linguaggi, e gli equivoci pseudo-teorici che essi suscitano. In un momento fondamentale del Concilio di Nicea, accanto al Vangelo fu posta unIcona: i Padri conciliari desideravano certo mostrare la pari dignit di testimonianza del sacro della Parola e dellImmagine, ma intendevano anche ribadire esplicitamente la differenza, con ci sostenendo che la molteplicit espressiva una ricchezza quando se ne colgono le intrinseche, e differenti, potenzialit. E il valore simbolico di alcuni enti offerto non da una forzata identit, bens dallesibizione di unessenziale diversit: lesercizio della memoria, il signicato veritativo del messaggio cristiano unitario, ma deve essere detto in modi diversi, e ci proprio per salvaguardare la ricchezza della sua semanticit simbolica. Se il segno e limmagine si sovrappongono non solo se ne perde la specicit, ma si sovrappone un senso allaltro, con rischi di imperialismo reciproci, che concettualizzano la gura o enfatizzano il segno, dimenticando il diverso rapporto che signicato e signicante in essi intrattengono 2.25

Senza dubbio possono esistere commistioni, e la storia delle arti novecentesche potrebbe fornire un ampio repertorio di esempi. Ma lindicazione di Brandi importante in primo luogo a livello metodologico: il sapere costituito da forme, e ciascuna di esse possiede signicati che assumono pienezza soltanto allinterno di contesti loro propri, tali da evitare confusioni, spesso attraversate da afati magici e misterici. Tanto pi nel momento in cui Brandi avverte che la fenomenologia del segno e dellimmagine non va ridotta a un sso repertorio di tipi, bens soltanto ricondotta alla considerazione di un autonomo svilupparsi delle vie del segno e dellimmagine: perch in questa autonomia ma soprattutto nella consapevolezza della differenza che si produce autentica civilt 3. Al di l dellindicazione metodologica, le parole di Brandi dimostrano come, gi negli anni Sessanta, egli avesse ben chiari i pericoli che si annidano in alcune ambigue comunioni teoriche tra arte e losoa: Brandi insegna che il simbolo ha un fondamentale ruolo storico e gnoseologico, che pu essere afferrato cogliendone la pluralit degli autonomi stili espressivi. Ci signica che i contenuti simbolici, al di l delle variabili denominazioni, sono nelle cose stesse, e ci impone uneducazione dello sguardo, e non unenfasi della pura teoria. In questo contesto larte un luogo, forse non esclusivo, ma essenziale, per comprendere i processi di simbolizzazione: una funzione diacronica che, nella variet degli stili, mantiene, nel suo manifestare unesigenza antropologica, il potere conoscitivo proprio al segno e allimmagine. Questi valori sono dunque empatici, esistenziali, gnoseologici e si disperderebbero se allespressivit del simbolo subentrasse la vuotezza dei simulacri: appunto, se limmagine come gurativit diventasse soltanto vuoto segno, che pone sul medesimo piano espressione e signicato. Non esistono probabilmente risposte univoche alle domande che Brandi induce a formulare. Ma a partire dalle sue parole, e pur consapevoli della molteplicit di tradizioni che si intersecano l dove si parla di simbolico, si pu scorgere nel simbolo linterrogazione sul senso delle cose, delle funzioni conoscitive, sulle possibilit degli sguardi, sulle esperienze e sui modi in cui la loro straticazione rappresentata. Simbolo come gioco che non si riduce a scambi tra segni linguistici e contingenti forme di vita, bens illustra una strada che apre a una fondazione, alla ricerca delle sue stesse condizioni di possibilit. Ricerca, dunque, che non ermeneutica, non sfuma nel misticismo e nei suoi misteri messianici e neppure, daltra parte, riduce i processi alla storia, sia essa dei fatti, dei frammenti, delle idee, della percezione. Simbolo come processo, funzione, formazione, come sapere precategoriale che induce a interrogare le forme, e che diviene sapere epistemologico che tali forme costruisce, che rende possibile sia il concetto stesso di forma sia linterrogazione che su di esso sempre si rinnova. Si mira, certo, alla verit: ma il compito del losofo non n sminuire la verit n26

esaltarla, n negarla n difenderla perch abbiamo bisogno del concetto di verit e di che cosa vuol dire possederla 4. Interrogazione, dunque, sul senso delle cose e del nostro rapporto con la loro straticata variet. Nella frantumazione del mondo, dellarte, del senso, nella ne delle ideologie, nella desacralizzazione delle cose, che coincide con le banalit di una secolarizzazione che ha perso il suo originario senso illuminato, lesigenza simbolica pu creare dubbi in relazione alla sua legittimit: forse perch, come sottolinea Wunenberger 5, essa stessa dimensione del dubbio, sempre troppo vicina allermeneutica o alla relativit contingente e soggettiva dellinterpretazione. Per mostrare dunque come la posizione di Brandi abbia un valore metodologico profondo, che si articola su vari piani, bisogna partire, almeno in apparenza, da lontano. La distinzione stessa tra segno e immagine , per cos dire, molto sottile, come ammette Brandi allavvio del suo saggio. Ma signicativo che, sempre allavvio, e proprio per allontanarsi da una spiegazione semiotica del problema, egli sottolinei come entrambi, segno e immagine, siano in riferimento a, comportino cio un traslato, un investimento simbolico. Vorrei cos pormi su questa linea, interrogandomi sulle differenze di investimento che si realizzano nel segno e nellimmagine, portando, quasi per prova, il primo investimento, quello segnico, verso lallegorico e il secondo vicino al simbolico. Confrontandosi con le altre forme del trasferimento di senso, in primo luogo metafora, metonimia e allegoria, il simbolo accresce, o confonde, il suo gi ambiguo spettro semantico. Il problema, peraltro non ignoto alla Logica di Port-Royal, notoriamente ripreso da Benjamin sulla scia di Goethe e Creuzer per sottolineare la differenza tra un moderno allegorismo barocco e una nostalgia simbolica. Qui Benjamin coglie con lancinante profondit la legittimazione dellimpotenza che il simbolico, specie attraverso alcune sue degenerazioni romantiche, ha determinato nella losoa dellarte, autorizzando una domanda che forse la stessa di Brandi, anche se ben diversa la risposta: perch, nellarte, limmagine e non il segno? Perch, oggi, il simbolo, e non, piuttosto, lallegoria? Non esiste una risposta, e comunque non pu essere cercata nella storia della retorica o della semiologia. Senza dubbio, alle spalle della scelta a favore del simbolo, cio di unimmagine che si pone come signicato pieno e non di un segno che indica un frammento linguistico, vi una losoa della storia potente quanto quella benjaminiana, che vuole per mantenere laura del simbolico anche nella frammentazione e nella rovina del moderno. Si conoscono sino alla noia (e oltre) le pur letterariamente affascinanti pagine dellangelo benjaminiano e appare tuttavia impossibile leggerle come terapia: sono una diagnosi acuta di alcuni guasti del materialismo storico e a esso, paradossalmente, vanno ricondotte; sparare contro gli orologi, conclusa lemozione della lettura, non solo non basta a fermare il tempo, ma lascia solo orologi rotti.27

Il messianesimo delle rovine pi unantica icona che una moderna allegoria. Daltra parte, malgrado i suoi aspetti ideologici, il problema sollevato da Benjamin non va neppure sottovalutato o ignorato. La storia, suggerisce, oggetto di una costruzione il cui luogo non costituito dal tempo omogeneo e vuoto, ma da quello pieno di attualit 6. Il simbolo rischia dunque di essere un richiamo vuoto, che si riempie solo nel Jetztzeit, nelladesso: e i simboli, le immagini che lattualit si costruisce, sono, in denitiva, sempre delle allegorie, dei segni. Ricondurre il tempo allora certo un modo per allegorizzare il simbolo, ponendo dubbi sulla sua aura, che viene ridotta alla storicit della percezione, sottolineando che se certe immagini simboliche hanno perso tale aura, storicizzandosi in allegoria, questo non signica uccidere il senso: anche se abbiamo a che fare con stracci e riuti dovremo rendere loro giustizia nellunico modo possibile: usandoli 7. Al tempo del simbolo subentra cos il tempo del montaggio segnico e il concetto di traccia trova la sua determinazione losoca in opposizione a quello di aura 8. La riessione di Benjamin, nel suo paradossale messianesimo dellistante, ha certo un valore intrinseco, peraltro facilmente storicizzabile in un quadro di storia delle idee. Ma anche una posizione i cui limiti permettono forse di rispondere a favore del simbolo, pur senza dimenticare le sue storicizzazioni allegoriche: e ci non soltanto per ladagio aristotelico che del particolare non si d scienza, ma in quanto si ritiene che il pensiero, pur non riducibile ai suoi schemi, li costruisce proprio per non disperdersi nei fatti, nella loro folla e, soprattutto, nella categorizzazione del fattuale e dello storico, trasformando le loro immagini contingenti in categorie, che valgono per solo per chi di esse scrive, e per qualcuno che vuol seguirne le profezie. Per cui il concetto di traccia e quello di aura non soltanto non sono contrapposti, come vorrebbe far credere Benjamin, bens, semplicemente, non sono assimilabili: le tracce, le rovine sono per dirla con Goethe esperimenti, quindi realt storiche e contingenti, che non possono tradurre il senso teorico e generale dellesperienza, che li utilizza soltanto quali occasioni di pensiero e di indagine per risalire, dalla loro descrizione, alla loro condizione di possibilit, cio a quei processi morfogenetici che rendono possibile, nella traccia, nella rovina, nellora, la permanenza di un senso, rispettoso della loro storicit. Costruire i simboli e la loro storia con gli stracci della storia stessa, come avrebbe fatto, prima di Benjamin, anche Aby Warburg 9, solo il risultato di quella medesima ideologia storicistica, di matrice fondamentalmente empirica, che crede che il processo di decomposizione sia insieme anche un processo di cristallizzazione 10 e che tali frammenti si possano confondere con lorganicit genetica che guida i goetheani esperimenti sui fenomeni originari. Vero simbolismo, scrive Goethe, mostrando implicitamente quanto28

parziali siano le interpretazioni benjaminiane, quello in cui lelemento particolare rappresenta quello pi generale, non come sogno o ombra, ma come rivelazione viva, istantanea dellimperscrutabile 11. Lo Jetztzeit, appunto, pu avere una sua aura se se ne cercano, e descrivono, le condizioni di possibilit. Questa forza del presente, commenta Cassirer, dunque di una temporalit che sa espandersi senza diventare vuota e indistinta durata, non solo non pu limitarsi a unimmediatezza, ma si adatta soltanto alle autentiche creazioni simboliche: a queste soltanto dato di ssare lattimo, di immergersi semplicemente in esso, e tuttavia di andare innitamente oltre quello come mero attimo 12. Cos, in analogia, per rispondere alliniziale domanda, non solo il simbolo, e non lallegoria, ma anche limmagine, e non il segno, pur senza creare steccati e divisioni che sono solo stanco residuo di ormai antiche losoa della storia. In questo senso, e proprio sul piano metodologico, per comprendere cio come certe distinzioni siano soltanto il risultato di epoche storiche, che tuttavia non permettono di comprendere la straticata complessit del rapporto tra immagine e segno, tra gurale e linguistico, tra espressione e signicato, lopera di Brandi di notevole importanza metodica. Paolo DAngelo ha mostrato come vi siano in Brandi specici legami con la tradizione fenomenologica e, in primo luogo, con gli scritti di Sartre sullimmaginazione; forse anche perch in questi lavori sartriani vi un paradossale e inconsapevole crocianesimo, che rende tuttavia al tempo stesso facile allontanarsi da Croce senza tradirlo. Ma vi anche, come sempre sottolinea DAngelo 13, un forte punto di distacco da Sartre, l dove Brandi riuta di considerare lopera darte-immagine come un irreale. Non si vuole, a questo punto, tornare sulle polemiche relative alla valutazione dellarte contemporanea e dellastrattismo (ma non si potrebbe rileggere la polemica di Brandi come un timore che larte diventi unallegoria segnica che perde la forza simbolica dellimmagine? E si pu davvero, cinquantanni dopo, non ritenere almeno legittimo il dubbio di Brandi?), polemiche che forse non avevano ragion dessere neppure negli anni Sessanta e che sono oggi difcilmente comprensibili, bens sottolineare che Brandi insegna come alle distinzioni ontologiche e storicistiche tra simbolo e allegoria o tra immagine e segno vada opposta una visione funzionale, attenta tuttavia alla loro comune radice intenzionale. Ha infatti ragione Gadamer quando afferma che noi ancora viviamo nella grande vicenda dellarte occidentale iniziata con larte cristiana del Medioevo: per cui segno e immagine sono sempre strutture di rinvio, portano cio su qualcosa che non si esaurisce nella mera presenza. Vi dunque sempre un investimento simbolico nei processi che si riferiscono al mondo dellimmagine, accompagnato per dalla convinzione che, come sostiene Brandi, la distinzione tra le diverse funzioni dellimmagine, pur nella comune radice intenzionale,29

non pu cercarsi nella natura di quel qualche cosa di cui rispettivamente il segno e limmagine costituite in oggetto si pongono a simbolo, ma nella funzione diversa che il simbolo del segno chiamato ad esplicare nella coscienza rispetto al simbolo delloggetto costituito 14. Siamo cos di fronte, in virt di questa distinzione funzionalistica, a due fondamentali conclusioni. In primo luogo, ricordando ancora una volta Kant, va detto che schemi e simboli non sono immagini in quanto si pongono come loro condizione di possibilit, condizione radicata nelle possibilit stessa dellintuizione sensibile. Ci signica che limmagine e il segno rinviano a una comune origine schematico-simbolica, e si differenziano in virt di una funzione conoscitiva specica che svolgono nella nostra esperienza, incarnandosi in particolari esemplicazioni, che non vanno di conseguenza assolutizzate. Da questo ceppo originario, come ben sintetizza Brandi, discendono due rami, che nellimmagine veicolano un sapere segnico-linguistico e una conoscenza gurale, senza per questo porle in una radicale eterogeneit. Ed su questo piano che, in modo profondo, ed il secondo punto, Brandi incontra la fenomenologia, nella sua volont di non cadere vittima, nella ricerca del senso, dellimpero dei segni, delle rovine e delle tracce. La fenomenologia certo stata, nel secolo scorso, in particolare quando ha incontrato il mondo dellarte, molte cose diverse, non sempre unicate da concilianti koin. Ma, al di l delle etichette, e delle commistioni, in primo luogo sartriane, fenomenologia in prima istanza capacit di chiaricare orizzonti, anche particolari, ma avendo sempre di mira, nella loro mobilit, il senso essenziale delle cose, in modo da sottrarre lo sguardo alla contingenza, comprendendo in prima istanza le genesi processuali, gli atti di esperienza allinterno dei quali si muove, in primo luogo nellarte, il nostro rapporto rappresentativo e conoscitivo con il mondo circostante. Va allora sottolineato che in pagine straordinarie di Arte, Dino Formaggio va in una direzione che potremmo accostare a quella di Brandi. Non dunque in questione un problema interpretativo (anche i segni, infatti, vanno interpretati), n quello di determinare unontologia dellimmagine, bens un orizzonte funzionale, che in prima istanza si volge a cogliere dellimmagine il valore motivazionale e comunicativo. Quel che scrive Formaggio in Arte, distinguendo tra segni informativi (plurisituazionali e univoci) e segni comunicativi (unisituazionali e plurivoci), serve a ben denire il senso dellimmagine-simbolo: un orizzonte iconico e motivazionale, dove lo spazio per linterpretazione si connette alla realt estetica del rappresentato, pur eccedendone la forma. Nel momento in cui, quindi, le organizzazioni segniche si rivelano plurime e straticate, invece di discorsi generali e ideologici, necessario operare attraverso descrizioni funzionali. In questo modo si coglie, come osserva Formaggio, e come abbiamo desunto anche in Brandi, che segno e immagine hanno una medesima condizione30

di possibilit e che quando limmagine assume una funzione simbolico-intuitiva, trovando nellarte la propria ontologia regionale, non sta costruendo una sintassi assoluta, un linguaggio fatto di regole determinate, bens mette in gioco una legge che diviene insieme allopera, che si fa nel divenire dellopera e non mai trasferibile tale e quale: signicante e signicato sono nellarte in stretta immanenza sensibile bloccata e non in arbitraria trascendenza reciproca come nella lingua 15. In questo modo si comprende che quei segni che nellarte chiamiamo immagini sono appunto gure che si sviluppano a dominante comunicativa, dove comunicazione non termine generico, sociologico, enfatico, bens quella capacit segnico-espressiva che da sempre ha voluto dire mettere in comune, per atti pi che per parole, nel silenzio degli atti e dei gesti, pi che nella descrizione o nel discorso a modello scientico informativo, un sentimento o una prassi consentanea, compossibile e cosensibile, del mondo 16. quindi un atto, e non una teorizzazione segnica degli atti, ovvero un modo di agire implicitamente e inventivamente il senso e i segni nella prassi, e non di discorrere il senso tra i segni e di esplicitarlo in concatenazioni preordinate 17. Il corpo qui, ed forse lelemento non presente in Brandi, il soggetto fungente, la condizione di possibilit, di questa funzione simbolico-intuitiva che dellimmagine simbolica dellarte: un corpo che fa segno mentre si fa segno, e di un segno che si fa carne e corpo 18. Brandi non ha senza dubbio limpostazione teorica derivante dalla fenomenologia, in particolare di quella sua forma che attraversava la cultura italiana degli anni Sessanta. Daltra parte ha, con quella tradizione fenomenologica che in Italia discesa da Ban a Formaggio e in Francia da Merleau-Ponty a Dufrenne, la volont di non confondere la lingua con cui le arti parlano con la specicit del suo linguaggio. Vi sono senza dubbio, in questo comune atteggiamento, retaggi kantiani che rendono pi agevole il dialogo. Ma, al di l di essi, vi anche lesigenza di guardare allarte come un pensiero che usa, nelle varie lingue in cui si esprime, un linguaggio che ha nellimmagine e nel suo valore simbolico il suo centro focale. Per cui Brandi pu scoprire, al di l dei suoi stessi ondeggiamenti valutativi su alcuni fenomeni dellarte contemporanea, che nellartistico va recuperata limmagine nel suo pieno valore di immagine 19 e Formaggio, nei medesimi anni, e pur partendo da diverse basi losoche, cogliere il carattere sui generis della struttura intuitiva dellimmagine fantastica. Infatti, nella Idea di artisticit, opera pubblicata nel 1962, pu scrivere, con parole che forse Brandi non avrebbe stigmatizzato, che loggettivit e la specicit dellimmagine fantastica offerta da una pura strumentazione del possibile: ogni concreto dellimmaginazione, ogni immagine di fantasia, porta dentro di s n dalla nascita il disegno di oggettivit ideale, di una ideale societ, di un ideale mondo della vita 20. E, per31

entrambi gli autori, al di l delle differenze, discutere sullarte e i suoi linguaggi non mai discorso autoreferenziale, bens si riferisce sia al destino spirituale della civilt sia al ruolo che un discorso teorico sullarte pu avere in essa. Senza dubbio Brandi e Formaggio, in relazione alla funzionalit dellarte e alle arti funzionali, hanno punti di vista diversi. Ma, per entrambi, il problema non quello di analizzare i meccanismi del consumo dellarte, scoprendo chiss quali magici legami tra leconomia politica e leconomia politica del segno, ma risalire alla destinazione antropologica dellarte stessa, perch l che si racchiude il suo senso cognitivo. Ed l che si comprende, per usare parole di Brandi, che pu essere antropologicamente inaccettabile una vita che catena di montaggio che porta luomo a costruire delle macchine che non arriva a capire 21. La contemporaneit artistica porta senza dubbio con s la frantumazione e sembra e si sottolinea sembra rendere inadeguati quegli apparati categoriali allinterno dei quali, per secoli, si sono incontrati il mondo dellartisticit e quello del pensiero, originando poi nel Settecento la disciplina chiamata Estetica. Ma Brandi e Formaggio sanno, ed questa consapevolezza che ha reso possibile che mai il loro pensiero cedesse alle mode e ai loro simulacri, che il senso cognitivo dellartistico non riducibile alle psicologie, alle sociologie, alle frammentazioni poetiche, a discorsi empirici la cui tracotanza disegna il particolare come se si trattasse delluniversale e come se ogni nuovo segno, magari a met tra il concettuale e il gurativo, portasse con s unassoluta rivoluzione dei linguaggi dellarte. O come se eventi storici di grande entit e di altrettanto rilievo emotivo stravolgessero le regole generali della rappresentazione 22. Cos, Formaggio pu scrivere: una fenomenologia dellesperienza artistica non pu non portare in evidenza la legge genetica e costitutiva (e dissolutiva anche) di quei particolari campi di artisticit esistenziale che sono le singole arti ed i singoli generi letterari e artistici 23. E Brandi: lorigine del segno, come dellimmagine, andr cercata alla radice stessa del conoscere, appunto perch il divaricarsi dellimmagine come segno dallimmagine come immagine induce un ceppo comune, una disponibilit originaria, e uno stadio preconcettuale della conoscenza 24. Si pu allora affermare, per concludere, e per cogliere il senso di quei semi comuni lanciati quasi cinquantanni fa, che unesclusiva attenzione per i segni, le tracce, per ci che ha il suo referente nellallegorico, nega proprio le possibilit espressive del segnico in quanto condizione di possibilit di una straticazione del senso delle forme, nega cio quella capacit morfogenetica che nel legame tra listante dellapparire e le altre dimensioni della temporalit. Interrogarsi invece sulle immagini simboliche signica cercare di comprendere la complessa trama temporale delle immagini, come cio siano la memoria, il ricordo, la percezione a mantenere in vita unesistenza32

spirituale sulla cui base si comprende la capacit trascendentale di costruire forme espressive, quelle forme essenzialmente temporali che si esibiscono sempre di nuovo nella vita delle scienze e delle arti. I simboli-immagine rinviano a unesperienza che si rinnova attraverso le forme, da costruire, da interpretare, da descrivere, da tradurre in sempre nuove immagini, mentre lallegoria un segno che, dopo Goethe, indica un complesso di signicati che deve gi essere conosciuto in precedenza 25. Quando invece il simbolo non rimanda soltanto al signicato, quanto piuttosto lo fa essere presente: esso rappresenta il signicato 26, in un contesto in cui rappresentazione non banalmente contrapposta a presenza, bens in s integra la duplicit e le straticazioni dellintero processo del farsi segno. In questo modo si ripresenta quello che un originario problema dellestetica: limitazione artistica ha valore espressivo e simbolico perch, attraverso forme particolari, non riproduce qualcosa che gi conosciamo, come accade nei segni fotograci che sono le foto tessera sui nostri documenti di identit, utili soltanto per il riconoscimento, bens producono la rappresentazione di qualcosa e la offrono sensibilmente. Come ben scrive Gadamer: la rappresentazione simbolica che opera dellarte non ha alcun bisogno di una precisa dipendenza da cose gi date in precedenza, in quanto indica un compito, che quello di imparare ad ascoltare ci che vuole parlare 27. Queste parole portano ancora nel cuore del pensiero di Brandi e della fenomenologia in cui, per usare unespressione di Kandinsky, la pittura non denita come soggettiva e astratta, ma in quanto oggettiva e concreta 28, che apre un orizzonte in cui scorgiamo un universo reale, completo, vale a dire concreto, racchiuso in se stesso e bastante a se stesso 29. O, come diceva Boulez parlando di Klee, un principio che insegna la potenza della deduzione e, partendo da un unico soggetto, trae conseguenze molteplici, che proliferano 30. Uscire in questo modo dalle sterili contrapposizioni o dallelogio storicistico e decostruttivo delle tracce, signica restituire al gioco simbolico, in quanto gioco delle immagini nel tempo e nella memoria, istante come punto di avvio per la costruzione di un intero, e quindi posto nel contesto di dinamiche associative, la sua forza morfogenetica. Le ultime pagine della Recherche proustiana mostrano per esempio che alcuni segni particolari, pur essendo linguaggio, hanno senso solo nella loro tensione alluniversale (L dove io cercavo leggi universali, mi chiamavano rovistatore di particolari) e, soprattutto autentico senso simbolico della forma artistica possibilit di attraversare il Tempo, in modo da acquisire un posto ben altrimenti considerevole accanto a quello cos angusto che riservato loro nello spazio: un posto, al contrario, prolungato a dismisura, poich simultaneamente essi toccano, giganti immersi negli anni, epoche da loro vissute a tanta distanza luna dallaltra e tra le quali tanti giorni sono venuti a interporsi nel Tempo.33

Non si tratta, dunque, di opporre segno e immagine, simbolo e allegoria, universale e particolare, tempo e spazio, bens di comprendere, descrivendoli, i processi che mostrano quelle funzioni che permettono di accedere al complesso senso temporale del nostro mondo circostante e delle sue forme. Merleau-Ponty osserva che questa concezione del tempo che tempo oggettivo della nostra esperienza, costruito da nessi sensibili ad essere Stiftung, fondazione, intesa tuttavia non come istante messianico, bens in quanto sistema di indici temporali. Tempo, quindi, come modello di matrici simboliche 31. Si pu discutere se tali matrici siano o meno apertura allessere: ma si pu tuttavia cogliere in tale essere il senso straticato dellesperienza, appunto il paradigma simbolico di un intero sistema di indici temporali da indagare. Per cui ed la ripresa del lo conduttore che ha guidato queste pagine ogni quadro, ogni azione, ogni impresa umana una cristallizzazione del tempo, una cifra della trascendenza 32. Ma questa cifra non una traccia, un mero segno, proprio perch in essa il tempo non si ferma ai limiti del visibile, cogliendovi piuttosto la tensione verso una morfogenesi simbolica, che , come deve essere nellarte, costruzione di una Urstiftung simultanea di tempo e spazio, che fa s che ci sia un paesaggio storico e una iscrizione quasi geograca della storia: il simbolo artistico mette in gioco, con le sue reti temporali, i temi fondamentali della sedimentazione e della riattivazione 33. Che sono appunto quei nuclei di signicato che permettono, attraverso i segni e le immagini, di cercare i sensi delle cose del mondo. La volont di un percorso simbolico, in conclusione, non ontologica: quel che importa non il ricomporre alcuni frammenti in intero, nel senso dellessere intero delle cose nel mondo, ma concepire lessere-intero nel mondo proprio come frammento 34. Il simbolo costituisce quindi una sorta di ontologia regionale che si osserva per prospezioni particolari, in cui tali immagini presentano la loro nitezza come inerenza al mondo 35. E, di conseguenza, a uno sguardo descrittivo che permetta di afferrare la profondit cosmica delle cose: limmagine appare qui come gioco, in cui cio la rappresentazione ha il carattere dellincantesimo 36. Il gioco introduce a una irrealt che, come caratteristica del linguaggio fenomenologico, e non di Sartre, ma di Brandi, Formaggio, Dufrenne, non il contrario del reale, bens la sua essenza. Tale irrealt , come sostiene Fink, il carattere fondamentale della rappresentazione simbolica, cio una rappresentazione che vede il tutto in un ente del mondo, senza che nessuno dei due termini perda la propria specicit: per cui, conclude, con parole che forse anche Cassirer avrebbe sottoscritto, il gioco cultuale, cio una rappresentazione, unimmagine che vuole salvare la propria aura, la sua simbolica sacralit, rappresenta il senso del nesso universale dellesistenza primitiva, una espressione del suo rapporto col mondo. Il mondo in esso diviene visibile, il gioco qui veramente visione del34

mondo 37. Un mondo sedimentato, che il nostro sguardo deve, attraverso le immagini che di s offre, sempre di nuovo riattivare.

1 C. Brandi, Segno e Immagine, postfazione di P. DAngelo, Aesthetica, Palermo 20014, p. 15. Ci si riferisce in queste pagine essenzialmente al saggio brandiano che offre il suo titolo allintero volume. 2 in denitiva questo timore a costituire il punto di partenza del volume di J. F. Lyotard, Discorso, gura, a cura di E. Franzini e F. Mariani, Unicopli, Milano 1988. 3 C. Brandi, cit., p. 15. 4 M. Dummett, Verit e passato, Cortina, Milano 2006, p. 132. 5 J. J. Wunenberger, Filosoa delle immagini, Einaudi, Torino 199, p. 63 ss. 6 W. Benjamin, Angelus Novus, Einaudi, Torino 1982, p. 83. 7 Id., Parigi capitale del XX secolo, Einaudi, Torino 1986, p. 595. 8 Id., Lettere, Einaudi, Torino 1978, p. 280. 9 Si veda G. Didi-Huberman, Limmagine insepolta. Aby Warburg, la memoria dei fantasmi e la storia dellarte, Bollati Boringhieri, Torino 2006, p. 386. 10 H. Arendt, Il futuro alle spalle, Il Mulino, Bologna 1981, p. 170. 11 W. Goethe, Massime e riessioni, Tea, Milano 1988, n. 314, p. 74. 12 E. Cassirer, Goethe e il mondo storico, a cura di R. Pettoello, Morcelliana, Brescia 1995, p. 93. 13 Oltre alla postfazione nella citata edizione Segno e Immagine, si veda di P. DAngelo, Cesare Brandi. Critica darte e losoa, Quodlibet Studio, Macerata 2006. 14 C. Brandi, Segno e immagine, cit., p. 10. 15 D. Formaggio, Arte, Mondadori, Milano 1981, p. 173. 16 Ibidem. 17 Ibidem. 18 Ibidem. 19 C. Brandi, cit., p. 88. 20 D. Formaggio, Lidea di artisticit, Ceschina, Milano 1962, p. 316. 21 C. Brandi, cit., p. 92 22 Tra le varie, e non sempre edicanti, esternazioni teorico-artistiche, in cui la commistione dei linguaggi ha toccato vertici di banalit assoluta, relativi allevento dell11 settembre 2001, neppure ci si resi conto che molto spesso si ripercorrevano, nelle rappresentazioni dellevento, o nelle sue rimemorazioni teoriche, schemi tragici gi presenti nella Poetica di Aristotele. 23 D. Formaggio, Lidea di artisticit, cit., p. 321. 24 C. Brandi, cit., p. 11. 25 H. G. Gadamer, Attualit del bello, Marietti, Genova 1986, p. 35. 26 Ivi, p. 37. 27 Ivi, p. 39. 28 A. Kojeve, Le pitture concrete di Kandinsky, Abscondita, Milano 2004, p. 38. 29 Ivi, p. 42. 30 P. Boulez, Il paese fertile. Paul Klee e la musica, Abscondita, Milano 2004, p. 16. 31 M. Merleau-Ponty, Il visibile e linvisibile, a cura di M. Carbone, Bompiani, Milano 1993, p. 191. 32 Ivi, p. 223. 33 Ivi, p. 270. 34 E. Fink, Il gioco come simbolo del mondo, Lerici, Milano 1969, p. 147. 35 Ibidem. 36 Ivi, p. 151. 37 Ibidem.

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Osservazioni sulla natura para-semiotica dellimmaginedi Giovanni Matteucci

1. In questo intervento mi occuper di alcuni aspetti del tema esposto nelle pagine iniziali di Segno e immagine di Brandi, e in particolare della delimitazione che vi si traccia tra i due concetti che formano il titolo del volume. Credo che la questione affrontata da Brandi resti cruciale, e che dunque ci che egli scriveva nel 1960 abbia mantenuto intatta la sua rilevanza per chi si ponga il problema di capire in quali modi si possa parlare di immagini spiegandole, descrivendole, giudicandole, malgrado lesperienza odierna delle immagini si sia straordinariamente ampliata rispetto al bagaglio di mezzo secolo fa, sia in termini di quantit che in termini di registri e veicoli di fruizione. Dico questo anche perch, a mio parere, largomento trattato da Brandi nelle pagine indicate non tanto la distinzione in s tra segno e immagine, quanto piuttosto la loro distinzione in quanto inerente alla funzione del senso. Ovvero, mi sembra che a Brandi, pi che stabilire lo statuto ontologico dellimmagine di contro allo statuto ontologico del segno, prema cogliere quale nesso sussiste, o possa sussistere, tra limmagine e il senso, ed essenzialmente a questo ne che egli imposta la questione della eccentricit dellimmagine rispetto al paradigma semiotico. Cercher di mostrare come le questioni sollevate in Segno e immagine conducano a scorgere la natura para-semiotica dellimmagine, sebbene a costo di forzare alcuni capisaldi brandiani. Ci vorrebbe andare a vantaggio di una futura messa a fuoco di difcolt e peculiarit che segnano la descrizione (dellesperienza) di un dipinto, come pure le relative spiegazioni e valutazioni. E potrebbe in prospettiva rendere lecito anche accostare le riessioni di Brandi a tentativi intrapresi poi da altri autori volti a comprendere come si compongono registro iconico e registro verbale quando parliamo del contenuto visivo e delle propriet di unimmagine, e pi in particolare di un dipinto considerato opera darte. Questo ulteriore sviluppo, tuttavia, verr qui trascurato. 2. Si potrebbe discutere senza ne sulla differenza fra segno e immagine, ove questa differenza si voglia desumere a posteriori. E intanto impugnare la distinzione medesima, sostenendo che il segno 37

anchesso unimmagine, o che ogni immagine un segno 1. Cos si apre il saggio di Brandi. La prima indicazione che emerge da queste parole che il confronto tra segno e immagine non va incontro ad esiti felici e fruttuosi se viene condotto a posteriori, ossia empiricamente e induttivamente. La distinzione, se c, per Brandi sembra dover essere una distinzione di principio, il che presumibilmente signica che essa potrebbe essere dettata soltanto o dalla natura delle cose o dalle condizioni che ne rendono possibile lesperienza. Questo rilievo indirizza lattenzione sulla struttura e sulla dinamica dellesperienza del segno e dellimmagine piuttosto che su alcune sue occorrenze contingenti, ma anche piuttosto che sulla sua genesi fattuale (come prescrive il 21a dei Prolegomeni di Kant: qui non si tratta di vedere come sorge lesperienza, ma quali sono gli elementi che la costituiscono 2). La seconda parte del passo citato illustra buone ragioni per attenersi con rigore a unimpostazione che, appunto, non sia n induttiva n genetica. Seguire una qualche via assolutamente a posteriori vorrebbe dire trovarsi nellimbarazzo di non saper dove collocare il conne tra segno e immagine dal momento che nulla di fattuale impedisce di prendere tanto una qualsiasi immagine per un segno, quanto un qualsiasi segno per unimmagine. Questa sarebbe la spiacevole conseguenza dellimpugnare la distinzione medesima, scivolando di fatto in una prospettiva che Kant etichetterebbe come di psicologia empirica. Su entrambi i versanti la confusione che si rischia dovuta allo scadimento dellesperienza relativa: unimmagine presa per segno sar meramente un segno (sollecitando contestazioni come: Non vedi che un dipinto, non un cartello?); e, ugualmente, un segno preso per immagine sar meramente unimmagine (sollecitando contestazioni come: Non vedi che un segnale di pericolo, non una decorazione?). Tutto sommato, difcile immaginarsi una circostanza che risponda al principio dellassoluta aposteriorit. Uno dei pochi modi ricorrere alla cervellotica rappresentazione della questi