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SETTIMANALE DELLA FONDAZIONE CARPINETUM ANNO 13 - N° 43 / Domenica 22 ottobre 2017 Autonomia sì Indipendenza no di don Gianni Antoniazzi Domenica 22 ottobre potremo chie- dere più autonomia per il Veneto. Siamo perplessi perché abbiamo vi- sto la richiesta d’indipendenza della Catalogna finire in un vicolo cieco. Non è difficile capire che cosa cor- risponda per davvero al bene comu- ne. Riflettiamoci un istante. In ogni famiglia è necessario che i figli cre- scano e diventino autonomi, anche a livello economico. Così è per l’Italia: deve mantenere l’unità, ma anche favorire l’autonomia delle realtà lo- cali. Chiedere che lo Stato centrale rispetti la crescita delle singole re- gioni è un valore necessario al bene comune. L’Italia deve avere “figli” maturi perché solo allora ci sarà futuro e vita nuova. Detto questo, capiamo altrettanto bene i rischi di un’eccessivo isolamento. Basta sta- re alle porte della canonica per ca- pire che le persone sole, lontane da famigliari e amici, diventano fragili alla prima difficoltà. La separazione dagli altri è contraria alla nostra na- tura. Anche il Vangelo raccomanda lo stile di una vita concretamente fraterna. Così la scelta per il 22 ot- tobre diventa precisa: va bene chie- dere che il Veneto cresca nell’auto- nomia senza però pensare che esso debba diventare indipendente o, peggio ancora, debba uscire dalle relazioni sociali dell’Italia o dell’Eu- ropa. La strada dell’unità fra i po- poli è un valore compreso da tutti. Da ultimo: in qualunque famiglia far differenze tra fratelli crea gravi ten- sioni. Non sarebbe, dunque, oppor- tuno togliere i privilegi alle regioni a statuto speciale e obbligare gli enti locali a impiegare con la stes- sa efficacia le risorse disponibili?

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SETTIMANALE DELLA FONDAZIONE CARPINETUM ANNO 13 - N° 43 / Domenica 22 ottobre 2017

Autonomia sì

Indipendenza nodi don Gianni Antoniazzi

Domenica 22 ottobre potremo chie-dere più autonomia per il Veneto. Siamo perplessi perché abbiamo vi-sto la richiesta d’indipendenza della Catalogna fi nire in un vicolo cieco. Non è diffi cile capire che cosa cor-risponda per davvero al bene comu-ne. Rifl ettiamoci un istante. In ogni famiglia è necessario che i fi gli cre-scano e diventino autonomi, anche a livello economico. Così è per l’Italia: deve mantenere l’unità, ma anche favorire l’autonomia delle realtà lo-cali. Chiedere che lo Stato centrale rispetti la crescita delle singole re-gioni è un valore necessario al bene comune. L’Italia deve avere “fi gli” maturi perché solo allora ci sarà futuro e vita nuova. Detto questo, capiamo altrettanto bene i rischi di un’eccessivo isolamento. Basta sta-re alle porte della canonica per ca-pire che le persone sole, lontane da famigliari e amici, diventano fragili alla prima diffi coltà. La separazione dagli altri è contraria alla nostra na-tura. Anche il Vangelo raccomanda lo stile di una vita concretamente fraterna. Così la scelta per il 22 ot-tobre diventa precisa: va bene chie-dere che il Veneto cresca nell’auto-nomia senza però pensare che esso debba diventare indipendente o, peggio ancora, debba uscire dalle relazioni sociali dell’Italia o dell’Eu-ropa. La strada dell’unità fra i po-poli è un valore compreso da tutti.Da ultimo: in qualunque famiglia far diff erenze tra fratelli crea gravi ten-sioni. Non sarebbe, dunque, oppor-tuno togliere i privilegi alle regioni a statuto speciale e obbligare gli enti locali a impiegare con la stes-sa effi cacia le risorse disponibili?

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Il Presidente della Regione indica ragioni e obiettivi del voto referendario del 22 ottobre“Se il risultato non sarà in linea con le attese sarò io a chiudere il fascicolo sull’autonomia”

Zaia: “Opportunità storica per il Veneto”di Alvise Sperandio

Presidente Zaia, quello del 22 otto-bre è per il Veneto un appuntamen-to storico: come sta vivendo queste giornate che precedono il voto? “In vista del referendum sull’autono-mia vedo nel territorio numerose ini-ziative autogestite anche da chi non ha mai fatto politica. Giovani e anziani mostrano di aver preso molto a cuore la questione. La macchina del refe-rendum procede spedita: assemblee, slogan, video, social network. Mi au-guro che tutto ciò possa trasformar-si in una forte affl uenza alle urne”.

Il referendum è consultivo: quant’è importante dare un segnale politico forte allo Stato per aprire la tratta-tiva sul trasferimento di competen-ze e risorse? “Importantissimo. Un governatore singolo non ha la stessa forza che può avere un intero popolo. Per questo invito tutti i veneti ad anda-re alle urne il 22 ottobre. Maggio-re sarà l’affluenza, maggiore sarà il peso politico con cui presente-remo le nostre richieste a Roma”.

C’è chi sostiene che era meglio dia-logare con il Governo come adesso sta facendo l’Emilia Romagna... “Ci abbiamo provato in passato, per ben tre volte, ma il processo è sem-

pre stato bloccato dai niet dei centra-listi. Sia chiaro comunque che questo referendum non è di certo una gentile concessione del governo. Nel 2015 la Corte Costituzionale l’ha legittimato dopo che il Governo aveva impugnato la legge regionale. Prendo comunque atto che dal 2001 a oggi nessuna re-gione italiana ha avuto neppure una competenza di quelle previste dall’ar-ticolo 116 e seguenti della Costitu-zione: se non ci fossero stati i refe-rendum di Veneto e Lombardia forse neppure l’Emilia si sarebbe mossa”.

E chi parla di spreco di risorse pub-bliche (14 milioni di euro) per fi nan-ziare la consultazione...“Avremmo potuto risparmiare la spesa per il referendum se il gover-no avesse accettato di accorparlo in election day. Eravamo pronti per le amministrative del 2016 e per il refe-rendum costituzionale del 4 dicembre 2016, ma Roma ci ha sempre chiuso le porte in faccia. Comunque il costo per la consultazione è meno dell’1 per cento del residuo fi scale che ogni anno i veneti lasciano a Roma”.

Quali sono le materie che la Regio-ne chiede di ottenere e che cosa può cambiare concretamente per i cittadini con l’autonomia? “Le competenze che chiediamo sono le 23 previste dalla Costitu-zione, tra cui la regionalizzazione di tutta l’istruzione pubblica, della sanità, dei fondi per le imprese, di alcune amministrazioni statali, ecc, ecc… Noi le chiederemo tutte”.

Il Veneto soff re sempre di più la concorrenza delle Regioni a Statuto speciale vicine, come dimostrano anche i tentativi dei Comuni di con-fi ne di andarsene dall’altra parte: ha ancora senso mantenere questo privilegio? “Se i Comuni di confi ne preferiscono passare a regioni a statuto speciale un

motivo sicuramente c’è. I cittadini ve-dono una sperequazione che è diven-tata insostenibile e discriminatoria”.

C’è chi teme che il referendum pos-sa aprire un varco alla secessione...“Noi ci muoviamo nell’ambito del-la Costituzione, legittimati da una sentenza della Consulta. Qui si par-la di autonomia garantita dalla Car-ta, nell’ambito dell’unità nazionale”.

Lo stesso Patriarca di Venezia Fran-cesco Moraglia ha detto che “l’au-tonomia è la grande sfi da delle de-mocrazie attuali”, ma non bisogna “scadere nella frammentazione”. Cosa ne pensa? “Autonomia non vuol dire che la so-lidarietà verso le altre regioni venga a mancare. L’11,4% del nostro valo-re aggiunto va al Paese ogni anno e siamo al terzo posto con un residuo fi scale di 15,4 miliardi annuali. Il Ve-neto è una delle regioni che tiene in piedi il Paese e continuerà a farlo, anche perché è stato calcolato che l’autonomia garantirà un aumento del Pil, che non potrà che rifl ettersi positivamente sul resto del Paese”.

Teme che quanto accaduto in Cata-logna, seppure per contesti molto diversi tra loro, possa condizionare l’esito della consultazione? “La Catalogna sta chiedendo l’indi-pendenza dalla Spagna, noi chiedia-mo invece l’autonomia. Come ho già detto, sono due cose ben diverse”.

Presidente Zaia, ritiene che il voto del 22 ottobre sia l’ultima spiaggia per il Veneto? “No. È una grandissima opportunità che tutti i veneti non devono lasciarsi scappare se vogliono un futuro miglio-re. Da sempre si dice “paroni a casa nostra”: è arrivato il momento di con-tarci. Se il risultato non sarà in linea con le attese, il 23 ottobre sarò io a chiudere defi nitivamente il fascicolo”.

L’intervista

Il governatore del Veneto Luca Zaia

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L’intervento

L’importanza di andare a votaredi Andrea Favaro *

Il referendum è l’istituto di democrazia diretta per defi nizione. Non è detto che il voto sull’autonomia porterà a un risultato concreto ma la partecipazione popolare è essenziale

Il 22 ottobre i veneti saranno chiama-ti alle urne per un Referendum. Se il quesito è semplice (“Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni partico-lari di autonomia?”) il referendum in sé costituisce un elemento importan-te, ma non suffi ciente, per vedere riconosciuta una maggiore autono-mia (per raggiungere tale risultato è necessaria, difatti, una legge del Parlamento, come prevede l’art. 116 della Costituzione). Ma di quale au-tonomia si parla? In Italia vi sono due tipi di autonomia: quella “a statuto speciale” e quella “diff erenziata”. L’autonomia garantita dallo statuto speciale oggi spetta solo a 5 regioni (Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige, Sardegna e Sici-lia); l’autonomia “diff erenziata” (en-trata in vigore nel 2001) non è fi nora stata applicata applicata a nessuna regione. Nessuna. In linea teorica al Veneto non potrà essere concessa l’autonomia garantita dallo statuto speciale, ma una particolare autono-mia relativa ad alcune materie pre-viste dall’art. 117 della Costituzione. Visto che il risultato potrebbe essere (solo) questo, qualcuno allora aff er-ma che il prossimo Referendum sia

un appuntamento dal valore limita-to. Personalmente credo di no. Sono sereno nell’aff ermare che il giorno dopo non avremo subito una Regione con maggiore responsabilità, ma sono altrettanto sereno nel ricordare che il diritto di espressione è troppo im-portante per non essere esercitato. La storia insegna che la mancanza di esercizio del voto, difatti, porta spes-so a mancanza di democrazia. Passo dopo passo. Non ritengo intelligente correre questo rischio e riterrei allo-ra fondamentale che il Popolo vene-to, così come riconosciuto già dallo Statuto Regionale del 1971, possa esercitare un proprio diritto. Difatti, e qui credo stia il valore più quali-fi cato dell’appuntamento, l’assicura-zione della libertà di manifestazione del pensiero trova una delle sue più alte espressioni nell’istituto del refe-rendum, che costituisce un momento fondamentale in cui una comunità può esprimere una decisione affi dan-do a ciascuno lo stesso potere-dove-re. Nel referendum non vi sono eletti e elettori, non esistono soggetti di serie A e soggetti di serie B. Tutti i voti hanno lo stesso valore. L’appun-tamento del 22 ottobre 2017 risulta essere così un espressione semplice,

e però effi cace, del diritto di autogo-verno del Popolo Veneto (già descrit-to dallo Statuto Regionale). D’altra parte l’andare a votare al Referen-dum è pure elemento fondamentale del diritto di manifestare liberamen-te il proprio pensiero, garantito pure dalla Costituzione italiana (art. 21). Se si sommano questi principi tra loro è facile intuire l’importanza di una scelta tra il chiedere (o meno) maggiore autonomia. Da ultimo, al cittadino spetta decidere se votare o astenersi. Tale facoltà rimane anche per il prossimo referendum. E pure credo sia signifi cativo esprimere un voto per assumersi, ciascuno, la re-sponsabilità all’interno di una comu-nità. Tale rifl essione proviene anche dal recente intervento del Vescovo di Milano, S.E. Mons. Delpini, che nell’ultima sua Lettera Pastorale ha dedicato uno spazio specifi co al tema (visto che si terrà un Referendum si-mile anche in Lombardia): “L’avvici-narsi di consultazioni importanti per le istituzioni politiche e amministra-tive off re una occasione per rifl et-tere, confrontarsi, esprimersi sugli aspetti istituzionali della società ci-vile (Referendum per l’autonomia)”.Ancora più importante credo sia l’elemento per il quale tale rifl es-sione altro non è che un semplice esempio della tradizione del Popolo Veneto che ha espresso, in forme di-verse nei secoli, due millenni di ci-viltà libera e autonoma. Sulla base dell’invito al confronto e della tra-dizione di una comunità millenaria, ritengo dunque importante il prossi-mo appuntamento referendario an-che per riconoscere quale e quanta assunzione di responsabilità e di au-tonomia desiderano cogliere i veneti. Alle urne, quindi, l’ardua sentenza!

(*) giurista e docente alla Facoltà di Diritto canonico San Pio X

del Marcianum a VeneziaPalazzo Balbi a Venezia, sede della Regione Veneto

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Fanale di codadi don Gianni Antoniazzi

In punta di piedi

L’autonomia della Chiesa

Visto che parliamo delle legittime autonomie locali spendo una parola su alcune dinamiche della Chiesa. Nella comunità cristiana, infatti, av-viene più o meno quello che accade

dino! Sempre ultima ruota del carro. Deve sorridere e sopportare in silenzio la mala sorte, perché le sue pro-teste risultano immature e disturbano la quiete pubbli-ca. Così andava il mondo anche al tempo di Gesù Cristo.

Ho visto un re...

Nel 1968 Enzo Jannacci aveva scritto una canzone pro-fetica. Parlava di un re, un vescovo e un ricco che pian-gono a dirotto perché derubati di un 32esimo del pa-trimonio. Essi si rifanno sul contadino al quale tolgono anche il maiale (pover purcel, nel senso del maiale). Ebbene: secondo la celebre canzone il contadino non può neanche piangere, perché il suo pianto renderebbe tristi i potenti. La storia qui si ripete: Roma si lamenta dell’Europa perché toglie spazi e risorse. Il Veneto fa altrettanto e sembra rispecchiare esattamente in tutto le dinamiche della capitale. Anche il Comune di Venezia e la stessa città di Mestre esprimono lo stesso tipo di preoccupazione nei confronti della Regione. Alla fi ne tutto pesa sul povero cittadino che si ritrova a pagare una quantità di tasse sempre superiore. Povero conta-

quando si va in guerra. Mi spiego. In tempo di pace contano i gradi: il generale comanda e il soldato ubbi-disce. Quando però si combatte di-venta importante chi mette in gioco la testa e porta a casa la vittoria. Così è per la Chiesa in questo tem-

po tormentato. Certa teologia si è sbracciata per chiarire le autorità e chi ha le competenze. Bene: tutto aiuta a fare chiarezza. Poi però la vita ha le sue strade e davanti al popolo assume il volto del pastore chi si prende a cuore il bene della gente e impegna la propria persona per il Vangelo. In questo periodo, di fatto, in trincea ci restano i preti che da tante parti vengono bistrat-tati. Sono loro, nella prima linea del fronte, a tirare la carretta. Il loro campanello è sempre disponibile, la canonica è aperta, il loro telefono è pubblicato ovunque, la loro persona è a disposizione. Talvolta salgono in montagna e, se serve, dormono a terra. Talvolta mangiano in piedi e vanno a letto tardi. Difendono con i denti i tempi della preghiera e subi-to devono essere disponibili alla ca-rità degli ultimi, vanno a visitare le famiglie e talora si vedono rifi utati. Dunque: è importante l’autorità del grado, altrettanto però il rispetto dell’autonomia e della competen-za guardagnata sul campo. (d.G.)

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Il bello della vita

Il valore dell’unità nell’autonomiadi Plinio Borghi

Mentre stiamo seguendo giorno per giorno i risvolti del referendum pseudo secessionista della Spagna (non è infatti in linea con la sua Co-stituzione), è quasi arrivato il mo-mento di quello del nostro Veneto, indetto regolarmente con lo scopo di ottenere un largo consenso da far pesare sul tavolo della tratta-tiva con il Governo, al quale si ri-vendica con forza una maggior au-tonomia. Qui il clima è ovviamente diverso da quello catalano. Sta di fatto, tuttavia, che dall’avvio delle Regioni a Statuto ordinario, avve-nuto nel 1970, di acqua ne è pas-sata sotto i ponti, le competenze si sono assestate e sono aumentate, ma non tanto quanto una snella ge-stione autonoma richiederebbe. Il disagio ha investito soprattutto le realtà limitrofe alle stesse Regioni a Statuto speciale, ingenerando qua e là spinte centrifughe fra le locali-tà confi nanti, inebriate da situazio-ni indubbiamente più favorevoli. I motivi per i quali quest’ultime ab-biano ottenuto ognuna un proprio specifi co trattamento hanno radici non solo nella loro storia, ma anche in trattati e intese a livello interna-zionale e tuttavia ciò non ha mai

fatto venir meno il senso di unità dello Stato. I detrattori del decen-tramento e delle autonomie, in si-mili circostanze, usano a sproposito e paventano strumentalmente ipo-tesi di separazione. Io ho sempre aborrito tale termine, benché sia favorevolissimo al decentramento dei poteri e alla ricerca dell’unità nella rispettiva autonomia. È stato, si può dire, il mio motto di vita, che ho applicato in tutti i miei rapporti, rifuggendo la sopraff azione l’uno dell’altro e favorendo il dialogo e il confronto. In conformità a questo principio, mi sono rapportato pure con l’altro sesso e mi sono con-frontato alla pari sulle rispettive problematiche, guadagnandomi la fi ducia e la stima anche all’inter-no dei movimenti femminili e fem-ministi; ma non gratuitamente: il medesimo criterio l’ho perseguito e applicato nell’ambito del lavoro e da subito nel matrimonio, con buoni risultati. Il rispetto della reciproca autonomia, pur attraverso le tante discussioni (mai rinunciare a discu-tere!), ha consolidato quell’unità indispensabile alla sopravvivenza della famiglia. Purtroppo, o per fortuna, anche i fi gli hanno assorbi-

to l’impostazione e rivendicato al-trettanta autonomia: è stata dura, ma in defi nitiva un bene. Sulle scelte non si è mai votato, perché tanto prevaleva comunque l’orien-tamento della mamma e moglie, ma anche questo corrisponde alla logica del focolare. In defi nitiva la contrapposizione, e ne so qualcosa anche per la lunga militanza sinda-cale e politica, porta prima o dopo allo scontro e l’esempio della Spa-gna ne è una dimostrazione anche oggi. C’è chi lo regge e chi non ha forza suffi ciente per opporvisi e subentra la separazione, cruenta o meno. Di solito la disgregazione è facilitata da un’economia debo-le. Non è il caso dell’Italia, che da qualsiasi scontro avrebbe tutto da rimetterci. Ho premesso questa divagazione molto autoreferenzia-le per manifestare chiaramente tutto il mio favore non solo alla consultazione in atto, ma anche all’obiettivo delle regioni che l’han-no promossa, se l’intento è quello di ricercare una più equilibrata convivenza fra le diverse realtà, per ottenere quella tranquillità che solo un’autonomia più forte e più rappresentativa può generare.

Casa in venditaa Carpenedo

È in vendita un appartamento a Carpenedo, in via Trezzo, 20/A. L’alloggio si trova al terzo piano (senza ascensore) ed è composto da cucina, salotto, due camere, un bagno, due vani al piano supe-riore (mansarda) e il posto auto. È in buone condizioni ed è dota-to di infi ssi nuovi e riscaldamen-to autonomo. Inoltre è sempre esposto alla luce del sole ed è aff acciato sul parco di villa Fran-chin. Per informazioni contatta-re la segreteria della parrocchia di Carpenedo allo 0415352327.

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L’anniversario

persone piegate dalle fatiche e dai fallimenti, spesso soprattutto lavo-rativi, della vita. Memorabile fu la visita che già Giovanni Paolo II volle fare nel giugno del 1985, durante il suo viaggio apostolico a Venezia, en-trando a salutare volontari e astanti nella sala refettorio al piano terra di via Querini. Chissà che anche Fran-cesco, atteso in città l’anno prossi-mo, non decida di fare altrettanto. D’altronde quello è uno dei miglio-ri luoghi di osservazione di come è cambiata e cambia la povertà a Me-stre. Alle origini c’erano tanti italia-ni che non riuscivano a sfamarsi; poi venne l’epoca delle grandi migrazio-ni dall’Est; seguì la stagione delle “badanti”; oggi c’è un forte ritorno dei “nostrani”. Inutile negare che al-cuni utenti poco rispettosi provochi-no disturbo alla quiete pubblica della zona, spesso bivaccando e generan-do degrado nelle strade e nelle piaz-ze limitrofe. In proposito il Patriarca Francesco ha spiegato che l’ipotesi di un trasferimento non è all’ordi-ne del giorno perché Ca’ Letizia è e resterà un segno concreto di carità, in centro città, mezzo secolo dopo l’intuizione geniale di don Armando.

Cinquant’anni fa esatti, il 15 ottobre 1967, veniva servita la prima cena in quella che è stata una delle opere solidali più importanti volute da don Armando Trevisiol: la mensa di Ca’ Letizia. Al tempo il sacerdote era vi-cario, in Duomo, di monsignor Valen-tinto Vecchi, che ha segnato la storia sociale ed ecclesiale di Mestre e che don Armando ha sempre considera-to il suo maestro (non a caso tutti i centri per anziani sono intitolati alla sua memoria, dal primo inaugurato nel 1994 nel decennale della morte). Ca’ Letizia da allora è diventata un punto di riferimento dell’azione ca-ritativa della Diocesi, grazie alla San Vincenzo mestrina che giorno dopo giorno sforna centinaia di colazioni e cene per aiutare chi da mangiare non ha. Un luogo dove si può incon-trare l’umanità ferita dall’indigenza, spesso combattuta dal pudore di do-ver chiedere una mano, ma capace di mostrare come, non senza fatica eppure sempre con grande impegno, si possa costruire quella fratellanza che Cristo ha predicato. Ca’ Letizia oggi potrebbe essere defi nita come una di quelle “periferie esistenziali” di cui parla il Papa, fatta di tante

Il cinquantesimo di Ca’ Letizia

La vita ai Don Vecchi

di don Gianni Antoniazzi

Dal 1994 i Centri don Vecchi ser-vono questo territorio. Lo fanno con stabilità, costanza, senza di-scriminazioni di religione, razza, cultura o sesso. Il Comune di Ve-nezia sostiene questa iniziativa con poco più di un euro a notte per persona. Una cifra modestis-sima, ma pur sempre un segno di attenzione. La Regione Veneto in-vece non ha ancora fatto nulla. A suo tempo l’assessore Remo Ser-nagiotto ha prestato dei soldi per costruire il Don Vecchi 5 per le persone in perdita di autonomia. L’opera è stata realizzata, subito e bene, ma presto è emersa la lentezza burocratica degli uffi ci regionali. Volevamo infatti ini-ziare a restituire la cifra ricevuta ma sono servite telefonate, lette-re e mesi di pazienza per capire dove e come restituire il dovuto.Torniamo a noi. Dicevamo che la Fondazione spende energie per migliorare il territorio senza però il sostegno della regione. Un segnale positivo era giun-to dall’assessore alle politiche sociali Manuela Lanzarin, nella quale avevamo riposto alcune speranze. Sono passati gli anni ma nulla si è mosso da parte sua. Al rovescio: nella parrocchia di Carpenedo ella ha tolto il 18% del contributo per la scuola paritaria che da più di un secolo aiuta 150 bambini alla materna e del nido. Quando ho chiesto spiegazioni all’uffi cio, la dipendente mi ha risposto che la macchina della Regione è complessa e ci vuole tempo. Ecco: mi pare che proprio questo sia il rimprovero che Zaia muove a Roma. Il governatore dovrebbe insegnare la rapidità ai suoi prima di esigerla dagli altri.

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Il punto di vista

Testimoniare il Vangelodi don Fausto Bonini

Domenica prossima ricorre la Giornata missionaria mondiale. Quest’anno il Papa ci invita ad essere missionari nella nostra quotidianità affi nché “Gesù sia nostro contemporaneo”

Da novant’anni ormai nel mese di ottobre si celebra la Giornata missionaria mondiale. Anche quest’anno, dome-nica 22 ottobre la celebriamo per la 91esima volta. Ri-schiamo di annoiarci quando celebriamo ricorrenze che si ripetono tutti gli anni. Perché ogni anno si rischia di ripetere sempre le stesse cose. Che i missionari in giro per il mondo hanno bisogno del nostro aiuto. Che bisogna so-stenerli. Che bisogna raccogliere delle off erte per le loro opere. Che bisogna pregare perché il Signore mandi “ope-rai nella sua messe”. Come se fosse compito suo e non no-stro. Responsabilità sua e non nostra. E ogni anno la Gior-nata è accompagnata da un messaggio del Papa. Che noia!

Un messaggio diverso dai soliti

Quest’anno però papa Francesco ci consegna un messag-gio scritto a modo suo. Che ci sorprende, come sempre. Parla delle missioni in senso tradizionale solo nelle ultime righe. Tutto il resto del messaggio è invece articolato su altre lunghezze d’onda. Anzitutto ci ricorda che “la Chie-sa è missionaria per natura e che se non lo fosse, non sarebbe più la Chiesa di Cristo, ma un’associazione fra molte altre”. Mentre la Chiesa, e dentro ci sono anch’io e anche voi, è fondata sul Vangelo, cioè su una Buona Notizia “che porta in sé una gioia contagiosa”. Una gio-ia tanto esplosiva che non può non contagiare le perso-ne che avviciniamo. Ed ecco che si apre il circuito della missionarietà per i genitori verso i fi gli, per gli insegnanti verso i propri allievi, per gli sposi verso altre coppie, per i giovani verso i propri amici, per noi nei confronti dei mondi che frequentiamo. Ma bisogna parlarne, imparare

le parole della fede per poterle dire, leggere i Vangeli e le altre Scritture per poter raccontare e far diventare Gesù “nostro contemporaneo”. Dice proprio così, Papa Francesco: “Far diventare Gesù nostro contemporaneo”.

Raccontare il Vangelo a chi ci sta vicino

Bel compito e bella avventura. Insomma la missione più diffi cile per me cristiano e per voi cristiani non è quella di partire lontano, ma quella di raccontare il Vangelo a chi mi sta e ci sta vicino. Ma non avete l’impressione che il Dio in cui io credo e voi credete sia diventato totalmente estra-neo al nostro mondo? Estraneo perché inutile. Si può vive-re bene lo stesso. Almeno così si crede. E intanto diminu-iscono i battesimi, crescono i matrimoni e i funerali civili. È una diserzione quasi generalizzata. Qualche tempo fa si cantava “Dio è morto” e non era vero perché le nostre chiese erano ancora piene. Ora non lo si canta più e invece è vero. Le nostre chiese sono sempre più deserte. Sarebbe da scoraggiarsi. E invece, ci ricorda il Papa, “il mondo ha essenzialmente bisogno del Vangelo di Gesù Cristo”, e ha bisogno della nostra voce per raccontare “di come il Van-gelo aiuta a superare le chiusure, i confl itti, il razzismo, il tribalismo, promuovendo dovunque e fra tutti la riconci-liazione, la fraternità e la condivisione”. Un modo nuovo di celebrare la Giornata missionaria mondiale. Mi piace e mi sento impegnato a pregare perché quanto appena detto diventi vero anche nel mio e nostro piccolo mondo. Si tratta di “uscire dalla propria comodità e avere il co-raggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo”. Anche le periferie di casa nostra.

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Continua il nostro viaggio alla risco-perta delle scuole storiche di Mestre.

I numerosi insediamenti industriali, che continuavano a crescere soprat-tutto nella seconda metà degli anni Trenta del Novecento nell’area di Porto Marghera, indussero ben pre-sto la necessità di poter disporre di tecnici professionalmente prepara-ti nei vari rami in cui operavano le fabbriche più diverse. Non potevano più bastare gli operai specializzati che uscivano dall’istituto Berna. I nuovi cicli di produzione nel cam-po elettromeccanico e chimico, in-centivati dall’economia di guerra, che avevano portato alla massima occupazione nei più grandi stabili-menti come i cantieri Breda, l’Ilva, la Vetrocke, la Sava, gli Azotati, la Montecatini, richiedevano tecnici di nuova generazione. Fu così che il 27 ottobre 1941 iniziò la sua attività il Regio Istituto Tecnico Industriale, che di lì a poco fu intitolato Conte Volpi di Misurata, nella stessa Mar-ghera da lui voluta. Fu ricavato in un’ala dell’Istituto Veneto del Lavo-ro in via Fratelli Bandiera, dove po-teva disporre di due aule, un capan-none per l’offi cina aggiustaggio, la presidenza, la segreteria e l’uffi cio tecnico. Gli studenti, in quel primo

anno scolastico, erano 96 e poteva-no disporre di due specializzazioni, meccanica ed elettrotecnica, cui si sarebbero aggiunte, nell’anno se-guente, anche metallurgia e chimi-ca. I bombardamenti del 28 marzo e 7 aprile 1944 danneggiarono pe-santemente il fabbricato causando la perdita quasi totale del materiale didattico e la morte di un capo of-fi cina fonditore e di due alunni. Di-venne così naturale trasferirsi nella più sicura Venezia, a palazzo Car-minati a San Stae, dove le lezioni ri-presero regolarmente dal 13 aprile 1944. Dopo la liberazione, nel 1945, la sede fu intitolata Istituto Antonio Pacinotti. Intanto era già maturata la coscienza della necessità di una struttura nuova e ampia, capace di ospitare numerose classi con i laboratori per le varie discipline, la palestra e l’aula magna. L’Am-ministrazione provinciale aveva in eff etti già predisposto, nel 1942, un progetto che ne contemplava la costruzione su un’area, già di sua proprietà, a ridosso del centro di Mestre, all’angolo tra via Spalti e via Ca’ Rossa. Gli eventi bellici avevano poi frenato ogni iniziativa. I lavori cominciarono nel 1951 e già dall’anno scolastico 1952-53, quan-do gli iscritti erano 581, alcuni cor-

L’istituto tecnico Pacinottidi Sergio Barizza

La facciata principale dell’istituto Pacinotti

Aiutateci a fare del bene

La Fondazione Carpinetum ha come suo unico scopo il supporto alle persone anziane e l’aiuto ai bisognosi. Vive esclusivamente di off erte e dei contributi del-le persone di buona volontà. È possibile anche fare testamento in favore della Fondazione: chi non avesse eredi o comunque volesse lasciare un legato, sap-pia che il suo gesto di generosi-tà si tradurrà in carità concreta.

Amarcord

si poterono trasferirsi da Venezia a Mestre. Per successivi stralci conti-nuarono poi negli anni seguenti: solo nel 1959, quando gli iscritti erano saliti a 1374, provenienti in ampia percentuale dai paesi dell’hinter-land mestrino, l’istituto venne defi -nitivamente completato. Nel 1967 si sarebbe ulteriormente ampliato con la costruzione della sezione riserva-ta alla chimica industriale. (3/segue)

Cercasi custodi per il Centro don Vecchi 6

Al Centro don Vecchi 6 degli Ar-zeroni avremmo bisogno di due coniugi per presidiare la struttura dal momento che la signorina che la dirige è una maestra che lavora ancora. A questi coniugi off riamo un appartamento gratis in questo complesso signorile e la possibili-tà di vivere la loro anzianità in un modo positivo facendo del bene. Molto probabilmente nostro Signo-re garantirà loro il Paradiso quando a 100 anni smetteranno di presta-re il prezioso servizio. Per infor-mazioni telefonare alla segreteria del Centro don Vecchi, al numero 041/5353000 o a me personalmen-te al numero 3349741275. (d.A.)

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con competenza e buona capacità di analisi e di sintesi. Penso fosse genti-le e in altre circostanze e forse altri tempi perfi no raffi nato, come lo sono le persone perbene, oneste e abitua-te a trattare con la gente. Soprattut-to Fabio aveva un cuore! Un cuore buono, come hanno testimoniato le tante persone, i tanti giovani, che al funerale gli hanno voluto dire addio. Un cuore nascosto ma non troppo da quelle immagini di sé diverse e lon-tane che, forse inconsapevolmente, off riva agli altri. Fabio aveva sempre aiutato chi poteva: si sa che spesso dal dolore nasce la generosità verso gli altri e la solidarietà a chi è ferito dalla vita trae alimento dalle pro-prie ferite. Era di compagnia, amico di tutti: uno che non puoi volergli male e, se gli fai uno sgarbo, ti ri-mane attaccato alla coscienza fi nché non riesci a rappacifi carti. Fabio ri-deva molto e faceva ridere molto gli altri, ma non sorrideva mai… Come il pagliaccio che nasconde sotto la parrucca, il trucco e il colore sgar-giante dei vestiti il suo male di vi-vere. Così era Fabio, uno che si dava fi no ad apparire qualche volta inge-nuo. Garantista come dev’essere un

Lo ricordo così… con quel suo fare un po’ dimesso, anzi, a volte molto! Come se la vita gli scivolasse attor-no senza importargli più di tanto, senza incrociarlo troppo. Lo ricor-do con quelle sue felpe sganghera-te che spesso non arrivavano a co-prirgli il sottopancia, l’immancabile medaglione di sugo sul petto memo-ria dell’ultimo pranzo o dell’ultima cena, la stanghetta degli occhiali at-taccata con lo scotch. Lo ricordo con la sua dieta da incominciare sempre un’altra volta e le barzellette (anche quelle più piccanti che in bocca d’al-tri sarebbero risultate volgari) rac-contate con savoir faire, come se il fatto non fosse suo. A volte pareva vestire l’abito di uno di quei bambini obesi che sembrano così abituati alle prese in giro dei compagni di scuo-la da non farci più alcun caso. Altre volte di un vecchio ormai rassegnato agli anni, per il quale non vale più la pena di prendersi sul serio, di anda-re avanti a testa alta: basta lasciarsi trasportare dalla corrente che prima o poi da qualche parte s’arriverà. Ep-pure Fabio non era banale, tutt’altro. Era intelligente e colto. Leggeva mol-to e conversava volentieri, sempre

Il povero Fabiodi don Sandro Vigani

Il posto degli ultimi

buon avvocato, gli stavano strette certe regole della vita comunitaria e lo diceva. Gli pareva un poco tale-bano chi demonizzava l’alcol: ubria-carsi no, ma mezzo bicchiere non lo si può negare a chi per cultura o per sete vuole bere. Lo rivedo nei mesi che abbiamo trascorso assieme e mi pare di capire oggi il motivo di quel dubbio che mi prendeva quando lo ascoltavo. Era l’ombra di un pessi-mismo che non lo abbandonava mai, qualcosa di irrisolto che lo mangiava dentro da tanto tempo. Qualcosa che veniva da lontano e non lo lasciava in pace: a volte, d’improvviso, tor-nava fuori fi no a costringerlo a farsi male. Nelle ultime settimane che ha trascorso con noi, dopo che ormai la moglie gli aveva dato il benservito, la sua inquietudine era cresciuta e una costante insoff erenza la lasciava trasparire. Il diaframma che nascon-deva il suo dolore si era incrinato e forse fi nalmente lasciava intravve-dere il vero Fabio: in molti pensa-vamo che per lui fosse il momento peggiore per lasciare la comunità e glielo dicemmo. Non ascoltò! Quan-do, qualche settimana dopo, tornò per salutarci, con un vassoio di dolci in mano e la solita vernice di fi nta allegria sul volto, lo vedemmo gon-fi o, stanco e imbarazzato, e capim-mo subito che aveva ricominciato. Probabilmente quando, fi nito il pro-gramma, gli regalammo un bavaglio di quelli che si mettono ai bambini quando mangiano, è perché senza rendercene conto avevamo intravvi-sto il bambino incapace di prendere in mano la vita, di domarla per non farsi sopraff are da essa, che c’era dentro di lui. Fabio si è lasciato an-dare: penso si sia buttato nel fi ume proprio per annegare. Non un fi ume d’acqua sincera e trasparente, ma di un altro liquido, furbo e bugiardo, ca-pace di ingannare per qualche istan-te il male di vivere e poi per qualche istante ancora e ancora e poi anco-ra… Fino ad ingannarlo per sempre.

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Quante volte mi veniva da perdere la pazienza. Noi Euro-pei vogliamo le cose fatte subito e bene. Non tolleriamo i ritardi, le scuse o quant’altro. Ma quando devi lavorare con i fratelli dell’Africa, devi armarti di pazienza (e anche loro lo fanno nei tuoi confronti). C’è un proverbio che dice “pole pole, ndiyo mwendo” (“piano piano è il modo di cammina-re”) e un altro “haraka haraka, haina baraka” (“la fretta

L’arte di pazientaredi Padre Oliviero Ferro, missionario saveriano

non è benedetta”). E così ti devi rassegnare, cioè iniziare a capire che è un mondo diverso e se vuoi restarci, devi co-minciare a ragionare in un modo diff erente. Probabilmente hanno ragione loro. Noi viviamo nella fretta. Loro rifl ettono un po’ di più. E quindi bisogna comincia ad avere pazienza. È un po’ come quando cominci ad imparare la lingua locale. Vorresti parlare subito, ma capisci che ci vuole pazienza. Loro ti aiutano ad esercitarla e alla fi ne, se non la perdi, riesci ad esprimerti meglio. Una volta, mia madre ha vi-sto due nostri operai che tagliavano un tronco di legno. Li vedeva che lavoravano con calma. Le era venuto voglia di dire di accelerare un po’ le operazioni. L’hanno guardata come per dirle che poi non c’era proprio fretta. Morale della favola: alla sera non avevano ancora terminato. Lo avrebbero fatto il giorno dopo. Quando chiedi qualcosa, ti dicono di sì, che hanno capito. Ma poi la realizzazio-ne sarà dilazionata nel tempo. Cosa vuoi farci. Anche loro hanno tanta pazienza con noi. In conclusione: non basta sognare di avere pazienza, bisogna ogni giorno prenderla a piccole dosi così diventeremo più robusti… Nella pazienza.

Kennedydi Adriana Cercato

John Fitzgerald Kennedy fu il pre-sidente più giovane degli Stati Uniti d’America. Eletto come candidato del Partito democratico nel novem-bre 1960, prese le redini del Paese il 20 gennaio 1961. L’insediamento del 35esimo presidente americano alla Casa Bianca segnò l’avvento di tempi nuovi e di una grande svolta politica degli Usa. Egli, infatti, fu il presiden-te delle nuove libertà, della “nuova frontiera”, che espresse con un gran-de desiderio di integrazione e con l’abolizione di ogni tipo di discrimina-zione razziale. Kennedy prospettò il futuro dell’America quale guardiano della pace e delle libertà di tutti i popoli della terra. Nel discorso di ac-cettazione della candidatura alla Pre-sidenza degli Stati Uniti, egli – fra l’al-tro – dichiarò: “È sicuramente tempo di mutar rotta. È tempo… di destarsi,

di stare all’erta, di non rimasticare più le stesse frasi fatte, di non pesta-re più le stesse tracce.” Il suo discorso più famoso, quello della “Nuova fron-tiera”, comprendeva 12 punti-chiave: nell’ambito di questa politica, par-ticolare rilievo ebbe il piano di aiuti per lo sviluppo economico e sociale dell’America latina. Nei confronti del problema razziale, Kennedy assunse un atteggiamento nettamente pro-gressista, favorendo l’integrazione della gente di colore nelle Università degli Stati del Sud. All’indomani del-la “marcia della libertà”, durante la

quale più di 200 mila persone di colo-re manifestarono per i diritti civili, il presidente propose al Congresso una legislazione diretta ad abolire la di-scriminazione nei luoghi pubblici, su-scitando negli ambienti conservatori, forti reazioni. La situazione sembrò tuttavia risolta, tanto che decise di partire per un viaggio a Dallas, dove venne accolto con applausi e grida di incitamento. Ma improvvisamente, mentre salutava la folla dalla sua auto scoperta, fu assassinato con alcuni colpi di fucile. A tutt’oggi, malgrado sia stato arrestato l’esecutore mate-riale dell’omicidio, nessuno sa ancora con precisione chi siano stati i suoi probabili mandanti occulti. Di Ken-nedy, ci resta il ricordo di un uomo che ha saputo coniugare - con lungi-miranza ed onestà - politica e giusti-zia sociale, applicando quel principio di uguaglianza fra gli uomini che è garante della pace a livello mondia-le. Detto con le sue parole: “L’uma-nità deve mettere fi ne alla guerra o la guerra metterà fi ne all’umanità”.

Gli uomini di pace

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Per trasparenza

La Cittadella della solidarietàSottoscrizione cittadina a favore della costruzione della nuova opera di bene

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La signora Casamatti ha sottoscritto un’azione, pari a € 50, in memoria del marito Franco e della madre Franca.

La signora Turchetto ha sottoscritto quasi mezza azione, pari a € 20, in memoria dei defunti della sua famiglia: Norma, Ida e Luigi.

È stata sottoscritta mezza azione abbondante, pari a € 30, per ricordare i defunti: Maria, Gino, Solidea, Antonio, Stefano e Pippo.

La fi glia della defunta Amelia ha sottoscritto quasi mezza azione, pari a € 20, per onorare la memoria di sua madre.

Il signor Maranpon ha sottoscritto quasi un’azione e mezza, pari a € 70, in memoria dei defunti delle famiglie Faggian e Maranpon e del defunto Giuliano.

La fi glia del defunto Franco ha sottoscritto quasi mezza azione, pari a € 20, in ricordo di suo padre.

È stata sottoscritta quasi mezza azione, pari a € 20, in ricordo di Iginio e dei defunti della famiglia Marino.

I coniugi Pinelli hanno sottoscritto quasi mezza azione, pari a € 20, per ricordare le defunte Giuliana e Laura che appartenevano al Coro S. Cecilia che la domenica anima la S. Messa che si celebra nella chiesa del cimitero.

Il fi glio del defunto Marcello, in occasione del 10° anniversario della morte di suo padre, ha sottoscritto un’azione, pari a € 50, per onorarne la memoria.

È stata sottoscritta quasi mezza azione, pari a € 20, in ricordo dei defunti: Fernanda, Angelo e di tutti i defunti delle famiglie Agostini e Giurin.

La signora Caterina Gavasino ha

sottoscritto quasi mezza azione, pari a € 20, in memoria dei defunti: Gilda e Luna.

La famiglia delle defunte Marinella e Fernanda ha sottoscritto quasi mezza azione, pari a € 20, in loro ricordo.

È stata sottoscritta quasi mezza azione, pari a € 20, in ricordo dei defunti: Gabriella, Emilio, Elio, Ada, Mario e Giuseppe.

È stata sottoscritta mezza azione, pari a € 25, in memoria di Gabriella e di tutti i defunti della famiglia Celant.

È stata sottoscritta quasi mezza azione, pari a € 20, in memoria dei defunti Maria e Giuseppe.

I signori Rosy e Italo Bettin, residenti in Israele, hanno sottoscritto quasi mezza azione, pari a € 20, per ricordare la loro cara Rosy De Collibus Bettin.

La signora Adriana Giovannone ha sottoscritto mezza azione abbondante, pari a € 30.

È stata sottoscritta quasi mezza azione, pari a € 20, in memoria di Flora Gasparin.

Il marito della defunta Rosita ha sottoscritto un’azione, pari a € 50, per onorare la memoria di sua moglie.

La moglie e i tre fi gli del defunto Carlo Beniamin hanno sottoscritto tre azioni, pari a € 150, in memoria del loro caro congiunto.

Il signor A. ha sottoscritto un’azione, pari a € 50, per ricordare al Signore i defunti: Aldo, Norma, Irma, Luigi, Antonia e Lamberto.

La signora Elsa Palamenghi ha sottoscritto un’azione, pari a € 50, in memoria del marito Vincenzo e della defunta Amadina.

Suor Adelaide, a nome delle suore Serve di Maria, ha sottoscritto due azioni, pari a € 100.

Il fi glio Giorgio Fosco e i familiari della defunta Maria Amandonico hanno sottoscritto due azioni, pari a € 100, per onorare la memoria della loro cara estinta.

La signora Caterina ha sottoscritto due azioni, pari a € 100, per onorare la memoria della sua carissima fi glia Alessandrina.

Il dottor Giancarlo Florio ha sottoscritto la sua azione mensile, pari a € 50, in ricordo dell’amata moglie dottoressa Chiara.

Il signor Sergio Bologno ha sottoscritto un’azione, pari a € 50, in memoria della defunta Annamaria.

Una persona, rimasta sconosciuta, ha sottoscritto quasi mezza azione, pari a € 20, in suff ragio delle anime del purgatorio.

I nipoti della defunta Vera Virit hanno sottoscritto un’azione, pari a € 50, in memoria della vecchia zia.

La signora Anna Schenal ha sottoscritto mezza azione molto abbondante, pari a € 35.

In occasione del 1° anno dalla scomparsa di Roberto Favaro, la moglie e le due fi glie hanno sottoscritto due azioni, pari a € 100, per onorarne la cara memoria.

L’ingegnere … ha sottoscritto un’azione, pari a € 50, in ricordo dei suoi genitori.

Le fi glie della defunta Maria Salvador hanno sottoscritto mezza azione abbondante, pari a € 30, in memoria della loro madre.

La signora Maria ha sottoscritto quasi mezza azione, pari a € 20, in ricordo del marito Giovanni.

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Pubblicazione settimanale della Fondazione Carpinetum dei Centri don Vecchi di Mestre e del polo solidale in favore di chi versa in disagio economico - Autorizzazione del Tribunale di Ve del 5/2/1979Direttore responsabile don Gianni Antoniazzi; coordinamento di Alvise Sperandio; grafi ca di Maurizio Nardi Conto Corrente Postale n. 12534301 - www.fondazionecarpinetum.org - [email protected]

quadrati di esposizione, 200 volon-tari, 6 furgoni bianchi con la scrit-ta rossa “Servizio per i poveri”, dei quali un furgone frigo e di un Doblo’.

Numeri telefonici:- 041/5353210 per i vestiti - 041/5353204 per tutto il resto

Ubicazione:Via dei 300 campi n.6 Carpenedo (Ve), presso il Centro don Vecchi.

Orario di apertura:Da lunedi a venerdì: 15.00-18.00

Contatti: 60 mila all’anno.

Progetti: apertura di un supermercato solidale nel quale raggruppare in ma-niera razionale tutte queste attività.

L’Associazione “Il Prossimo” ha un suo statuto e un suo regolamento che assi-cura a tutti i settori una certa autono-mia di esercizio pur con delle regole chiare e uguali per tutti, necessarie a garantire l’unità della struttura e la forza dell’ente di fronte alle realtà di questo mondo. L’Associazione è lieta, nel limite del possibile, di accogliere anche altre realtà locali di servizio

L’associazione solidale Il Prossimo

Ci pare opportuno informare la citta-dinanza sull’organigramma dell’Ente No Profi t “Il Prossimo”, che è diven-tato a Mestre la più importante ed ef-fi ciente agenzia caritativa per l’aiuto ai cittadini italiani o extracomunita-ri in diffi coltà di ordine economico.

Ecco l’organigramma.

CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE

Presidente: Edoardo RivolaDirettore: Suor Teresa del Buff a Consigliere: don Armando Trevisiol Consigliere: Andrea Groppo Consigliere: don Gianni Antoniazzi

RESPONSABILI DI SETTORE

Settore generi alimentari in scaden-za: Alfi o Paladini

Settore Frutta e Verdura: Eugenio Alemanno / Alfi o Paladini

Settore mobili - arredo per la casa e supporti per l’infermità: Luciana Ribon / Nico Pettenò (aiuto)

Generi alimentari: Giuliano Rocco

Economo: Rolando CandianiSegreteria: Graziella CandianiServizio furgoni: Giancarlo Canziani

Addetto alla stampa e rapporti con i fornitori: don Armando Trevisiol

Settore Vestiti: Danilo Bagaggia

Quest’ultimo settore è ancora gesti-to da un’associazione Onlus a par-te della quale è presidente Suor Teresa del Buff a e Consiglieri Dani-lo Bagaggia, Barbara Navarra, Ugo Bembo e don Armando Trevisiol.

L’ente ha a disposizione 1.800 metri

alle persone bisognose: tutti possono trovare qui una qualche dimora. Anzi: il sogno si spinge oltre. C’è il deside-rio di creare poco per volta una rete aperta, in dialogo anche con le asso-ciazioni del territorio che da molti decenni lavorano a favore dei biso-gnosi. Attenzione bene, però, perché chi volesse in futuro entrare in questa specifi ca associazione può di certo mantenere una autonomia di azione, ma dovrà rispettate le regole e le indicazioni uniformi. È stato annun-ciato più volte l’intento di costruire un “Ipermercato solidale” che possa accogliere in sicurezza e con ordine la grande struttura di cui anche don Armando nelle indicazioni fornite qui accanto. Se Dio vuole cercheremo di portare a termine quest’opera nell’ar-co di un anno ancora, poco più. Qui bisogna chiarire che in quella realtà potranno trovare piena accoglienza soltanto le attività inserite pienamen-te nell’Associazione “Il Prossimo”. È una condizione che dobbiamo porre: man mano infatti che l’opera prende forma nella nostra mente, capiamo la necessità di difendere l’unità pur nell’autonomia, così come è spiega-to nell’articolo della prima facciata.

don Gianni Antoniazzi

La novità