88
Azerbaigian Una lunga storia A cura di Gabriele Natalizia e Daniel Pommier Vincelli Passigli Editori

Azerbaigian. Una lunga storia

Embed Size (px)

DESCRIPTION

Il volume Azerbaigian, una lunga storia rappresenta il risultato dell’interesse specifico di un gruppo di giovani studiosi impegnati negli ultimi anni ad approfondire la storia e le dinamiche politiche contemporanee dei Paesi caucasici, già al centro di numerosi incontri organizzati presso “La Sapienza” Università di Roma.

Citation preview

Page 1: Azerbaigian. Una lunga storia

Azerbaigian Una lunga storia

A cura diGabriele Natalizia e Daniel Pommier Vincelli

Passigli Editori

Page 2: Azerbaigian. Una lunga storia

INDICE

Presentazione di Giovanna Motta 7

Introduzione di Antonello Folco Biagini 9

Dalle origini al XIX secolodi Andrea Carteny 11

L’epoca zarista e la prima indipendenza (1722-1920)di Daniel Pommier Vincelli 21

L’epoca sovietica (1920-1991)di Alessandro Vagnini 45

Questioni e minoranze nazionali in Azerbaigian. Il Nagorno Karabakh di Andrea Carteny 81

La seconda indipendenza e il contesto internazionale (1991-2012)di Gabriele Natalizia 91

Cultura, religione e tradizioni di Martina Sargentini, Marzia Trovato 135

Scheda Paese 147

Mappe 151

Breve nota bibliografica di Alberto Becherelli 155

5

La serie “Imperi e nazioni in Europa dal XVIII al XX secolo” costituisce laprincipale sede di pubblicazione dei lavori scientifici, singoli e collettanei,dell’omonimo Progetto di ricerca di rilevante interesse nazionale (PRIN).Il progetto intende evidenziare il divenire storico, nel lungo periodo, dellediversi componenti che concorrono alla formazione delle identità nazio-nali europee, con particolare attenzione all’Europa orientale e ai territorieurasiatici, oggetto dell’espansionismo russo.

La serie adotta un sistema di valutazione dei testi paritaria e anonima at-traverso esperti esterni indipendenti scelti dal comitato di referaggio. I cri-teri di valutazione adottati riguardano: l’originalità e la significatività deltema proposto; la coerenza teorica e la pertinenza dei riferimenti rispettoagli ambiti di ricerca propri della collana; l’assetto metodologico e il rigorescientifico degli strumenti utilizzati; la chiarezza della composizione e lacompiutezza d’analisi.

Responsabile scientifico: Prof.ssa Giovanna Motta (Sapienza Università diRoma)

Comitato di referaggio:

Francesco Benvenuti (Università di Bologna)Antonello Biagini (Sapienza Università di Roma)Ivo Goldstein (Università di Zagabria – Croazia) Altay Goyushov (Università di Baku - Azerbaigian) Nevin Ozkan (Università di Ankara – Turchia) Jószef Pál (Università di Szeged – Ungheria)Péter Sárközy (Sapienza Università di Roma)Lapo Sestan (Napoli Orientale) Stanislaw Sierpowski (Università di Varsavia - Polonia)Corneliu Sigmirean (Università di Târgu Mure� - Romania)

ISSN: 2280-7403

Il presente volume è pubblicato nell’ambito del progetto PRIN 2009 “Im-peri e nazioni in Europa dal XVIII al XX secolo” – Unità di ricerca Sa-pienza università di Roma

© 2012 Passigli Editori srlvia Chiantigiana 62 – 50012 Bagno a Ripoli (Firenze)www.passiglieditori.it [email protected]

Page 3: Azerbaigian. Una lunga storia

GIOVANNA MOTTA

Presentazione

Il Dottorato di Storia d’Europa, nel suo divenire, ha accen-tuato il carattere interdisciplinare dando spazio a realtà menonote nella storiografia occidentale e aprendosi sempre più atemi multiculturali. Alla storia politica si è affiancata l’analisidei caratteri più originali di Paesi anche remoti, raccontati daiviaggiatori che a vario titolo hanno percorso le tortuose stradedell’età moderna. Diplomatici, mercanti, uomini d’arme o dichiesa, esploratori, studiosi, visitando terre lontane vi hannoportato la testimonianza della loro civiltà ma ne hanno assor-bito allo stesso tempo la cultura, comprensiva anche di quellamateriale.

Dopo il secolo del Grand Tour, rivolto essenzialmente all’I-talia fino a Roma, i viaggiatori vengono sempre più attratti damete affascinanti ed esotiche tanto da spingersi oltre i confinisicuri delle terre bagnate dal Mar Mediterraneo per avventu-rarsi in luoghi ancora avvolti dal mistero, il Caucaso e, più ingenerale, l’Asia e l’India. È un primo processo di integrazionenella cultura dei Paesi occidentali che, via via, si rivolgono aOriente, prima attraverso il fascino esercitato dalle tradizionidell’Impero ottomano, poi nell’Ottocento per mezzo dellacultura dell’esotismo.

Via via, nel corso della storia, quando si configura più pro-priamente la rete delle relazioni internazionali, sulla scenaprendono corpo nuovi attori politici globali – gli Imperi colo-niali europei, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica – le prime so-cietà multinazionali – De Beers, Rothschild, Rockefeller – e leinedite ideologie – liberalismo, nazionalismo, socialismo – checonosceranno il loro sviluppo tra XIX e XX secolo. Nell’am-bito di tale mutamento di contesto, la storia politica ed econo-mica, nonché le tradizioni del popolo azerbaigiano hanno co-

7

Indice dei nomi di Antonello Battaglia 171

Gli autori 176

I collaboratori 177

6

Page 4: Azerbaigian. Una lunga storia

ANTONELLO FOLCO BIAGINI

Introduzione

Il volume Azerbaigian, una lunga storia rappresenta il risul-tato dell’interesse specifico di un gruppo di giovani studiosiimpegnati negli ultimi anni ad approfondire la storia dei Paesicaucasici, già al centro di diversi incontri organizzati presso“Sapienza” Università di Roma.

Un primo momento è stato orientato alla realizzazione delprincipio della cosiddetta “internazionalizzazione” delle uni-versità italiane, ritenuto fondamentale da tutte le riforme chesi sono susseguite nell’ultimo ventennio. Nei confronti di taleobiettivo, la Sapienza ha sviluppato una forte attenzione, testi-moniata anche dal mio incarico di prorettore alla Coopera-zione e ai Rapporti internazionali. In occasione dei numerosiincontri organizzati in ambito universitario ho avuto modo diconoscere molti colleghi azerbaigiani, che si sono dimostratiinterlocutori disponibili ed efficaci nella partecipazione al di-battito accademico. La collaborazione che ne è conseguita hagarantito ai nostri studenti di avere un punto di osservazioneprivilegiato su una realtà tanto dinamica, soprattutto sotto ilprofilo delle opportunità lavorative, quanto poco conosciutain Italia, come quella dell’Azerbaigian.

Un altro criterio che è stato seguito nell’impegno comune, èstato quello della interdisciplinarietà del sapere che ha allar-gato l’orizzonte storiografico comprendendo non solo le dina-miche politiche proprie delle relazioni internazionali, ma af-frontando anche temi relativi all’economia e alla società del-l’Azerbaigian tra il XIX e il XXI secolo.

Il presente volume – frutto del lavoro di un gruppo di stu-diosi, affiatati e competenti, coordinati da Giovanna Motta –contiene in sé il percorso in qualche modo semplificato di unastoria complessa e articolata che tuttavia qui mette insieme va-

9

nosciuto una progressiva integrazione con le sorti del “si-stema-mondo”, così da assumere nell’ambito della ricercascientifica un valore sempre più rilevante.

In tale ottica, il Dottorato in Storia d’Europa si è avvicinatoalla storia e alla cultura dell’Azerbaigian, che pur avendo unapropria “alterità” costituisce tuttavia un significativo trait d’u-nion tra l’Europa e l’Asia. Il volume che segue si inserisce inun percorso di studio, di ricerca e di dibattito che ha trovatouna prima occasione di incontro nel seminario Azerbaigian: ladoppia indipendenza, svolto presso “Sapienza” Università diRoma, che ha visto la partecipazione di illustri studiosi, comeil prorettore dell’Ateneo Antonello Folco Biagini, Jamil Ha-sanli e Altay Goyushov dell’Università Statale di Baku e An-drea Carteny, Gabriele Natalizia, Daniel Pommier Vincelli eAlessandro Vagnini di “Sapienza” Università di Roma.

8

Page 5: Azerbaigian. Una lunga storia

ANDREA CARTENY

Dalle origini al XIX secolo

Elementi etno-culturali

La complessità della storia della regione del Caucaso e delMar Caspio ha come risultato di lungo periodo una civiltàricca di colori e sfumature – artistiche, culturali, linguistiche,religiose e spirituali – che si riflette nell’Azerbaigian odierno.La definizione di tale contesto continentale come limes ma an-che come “cerniera” (AA.VV., 1996) indica la contingenza e ilpassaggio di popoli e la contaminazione di civiltà ma nonrende adeguatamente l’avvenuta stabilità dei processi di ge-nesi culturale che si sono stratificati fondendosi nell’attuale ci-viltà azerbaigiana. Punto di incontro e di scontro tra Est eOvest (ma anche tra Nord e Sud), tra paganesimo, mazdei-smo, cristianesimo e islam (sciita e sunnita), l’Azerbaigian èanche dal punto di vista etnogenetico particolarmente ricco dielementi differenti, grazie alla presenza di stirpi indigene cau-casiche, iraniche, indoeuropee, semitiche e turche, che si ri-flette nella presenza – più o meno evidente – di elementi lin-guistici caucasici e albani, indoeuropei, persiano-iranici earabo-semitici, su una stabilizzata base etno-linguistica turco-azerbaigiana con influssi e forestierismi slavi e occidentali.

Più puntualmente, dal punto di vista etno-linguistico sonopresenti nella regione caucasica strutture ed elementi cauca-sici, indoeuropei, uralo-altaici: più in particolare nel territorioazerbaigiano odierno questi elementi etnici sono – nel conti-nuum storico – parti integranti delle formazioni politiche del-l’Albània-Aran-Azerbaigian (A. Ferrari, 2007). Il substratoetno-linguistico, quello caucasico, si riferisce alla popolazionedegli albani primariamente indigena nella regione azerbai-giana: insieme e in seguito all’influenza di elementi indoeuro-

DOI: 10.7348/imperienazioni02cartney 11

lidità scientifica e capacità di divulgazione. La sensibilità sto-rica di Andrea Carteny, Daniel Pommier Vincelli e AlessandroVagnini, autori di saggi propriamente storico politici, si arric-chisce grazie alla prospettiva politologica di Gabriele Natali-zia e all’approccio socio-antropologico di Martina Sargentini eMarzia Trovato, ulteriormente valorizzati da strumenti scienti-fici rappresentati da una sapiente nota bibliografica di AlbertoBecherelli, dagli indici di Antonello Battaglia e dall’attentoediting di Elena Dumitru.

Un’ulteriore considerazione ci porta a riflettere sugli effettilargamente positivi della sinergia tra la struttura del nostroAteneo e quella dell’Università Statale di Baku, tanto da ipo-tizzare una collaborazione di più ampio respiro per l’intensifi-cazione dei rapporti tra l’Italia e le regioni orientali che –come l’Azerbaigian – dopo aver guadagnato l’indipendenzacon la fine della Guerra fredda, si stanno imponendo qualiaree nevralgiche della politica internazionale contemporanea.

L’importanza di questo agile volume credo possa essere in-dividuata nella capacità di conciliare gli obiettivi fondamentalidi ogni struttura universitaria – ricerca, insegnamento e dibat-tito – con la volontà e la necessità di approfondire la storiaspecifica dell’Azerbaigian nell’ambito di una storia internazio-nale volta all’interpretazione e alla periodizzazione dei grandiprocessi politici, economici e sociali.

10

Page 6: Azerbaigian. Una lunga storia

La nazione azerbaigiana rientra però anche all’interno delpiù ampio quadro etno-centrico intercontinentale del “pan-turchismo turanico”. Il “turchismo”, nato dalla riscoperta de-gli studi sulla lingua e sulla storia delle stirpi turche in ambitoculturale ottomano, si sviluppa fortemente dalla “rivoluzionedei Giovani turchi” del 1908, postulando un “pan-turchismo”che, partendo dai turchi ottomani, propugnava la riscopertadi una fratellanza etnica con le altre stirpi turche dell’Eurasia,come quelle azerbaigiane. Personaggio chiave del turchismo estudioso delle culture e delle società di origine turca, ZiyaGökalp prospetta agli inizi del Novecento tre stadi di avanza-mento nazionalista: l’unificazione di tutti i turchi in un’unicanazione (Türkiyecilik); quindi la riunificazione delle popola-zioni turche Oguz (Oguzculuk), comprendenti così tra i varipopoli gli azerbaigiani, i gagauzi della Bessarabia, i turkmeni;infine l’unione di tutte le stirpi turaniche, dal ceppo ugrico aquello uralo-altaico, fino ai popoli mongolo e giapponese del-l’estremo oriente asiatico, sulla base del “pan-turanismo”: Tu-rancılık. Dal “pan-turchismo” si prospettò così il “pan-turani-smo”: in tale visione etno-centrica le popolazioni di stirpeturca presenti nell’Impero ottomano avrebbero dato corpoalla “nazione” pan-turca, proiettandosi poi oltre le frontiereottomane fino a ricomprendere nella Sublime porta imperialepopolazioni – come quelle azerbaigiane – che vivevano al di làdei confini. Fondamentale per lo sviluppo di tali idee è il ri-chiamo alla terra originaria e primigenia di “Turan”, da cuiprende il nome il “turanismo”. Questo riferimento al cro-giuolo di razze provenienti in tempi assai remoti dal basso-piano “turanico” dell’Asia occidentale costituisce un affasci-nante richiamo ad un ethos sovranazionale di un certo suc-cesso anche in culture già fortemente occidentalizzate, comequelle ungheresi (G. Cavaglià, 1987), e si fonda sui positivi ri-chiami alle “virtù turaniche” (forza d’animo, tenacia, capacitàdi sopportazione alle avversità del mondo). In tali prospettivei richiami ai fattori “biologici” e “razziali” sono evidenti: si co-

13

pei, iranici e semitici di ad-strato, si arricchisce di presenze in-doeuropee e uralo-altaiche. Soprattutto in seguito alla conqui-sta arabo-musulmana della Persia nel VII secolo, con l’inseri-mento di elementi iranici e arabi e attraverso una fase di isla-mizzazione della popolazione dell’area – allora chiamataAran, o Arran in persiano, o Al-Ran in arabo – si arriva alla so-vrapposizione per super-strato di popoli e tribù via via pre-senti nell’area, in particolare dall’XI secolo di popolazioniuralo-altaiche come quella turco-selgiuchide. Nei secoli suc-cessivi il profilo turco dell’odierno Azerbaigian e delle regionilimitrofe si consolida con l’arrivo di nuovi nuclei fino a risul-tare predominante, essendo gli azerbaigiani – risultato di que-sto complesso processo di integrazione etnica, difficilmentedefinibile per stratificazioni linguistiche – considerati in etàmoderna una popolazione dal punto di vista etno-culturale elinguistico di origine turca (A. Altsadt, 1992).

Anche nella caratterizzazione religiosa le confessioni prati-cate nella regione rientrano grosso modo nella grandi religionimonoteiste (cristianesimo, islam, ebraismo) con la presenza dinuclei mazdeisti e buddisti. In Azerbaigian la confessione reli-giosa più diffusa è l’islam sciita, condivisa con le popolazioniazerbaigiane e persiane dell’Iran (B. Shaffer, 2002).

Nella formazione della civiltà azerbaigiana, risulta dunquefortemente presente come elemento caratterizzante l’“etni-cità”, fattore trainante (soprattutto per le “nuove” nazioniorientali) pre-moderno dal forte valore culturale e simbolicoanche nel nazionalismo contemporaneo (A.D. Smith, 2009).Con la chiave di lettura etno-simbolista, il fattore linguistico ècosì fondante per l’identità azerbaigiana: sia per l’unicità cheuna lingua presenta nella propria dimensione simbolico-iden-titaria, come nella tradizione di studio del romanticismo tede-sco da Hamann a Herder (I. Berlin, 2001), sia per la strettaconnessione che un idioma, nella sua dimensione linguistica“esterna”, ha secondo termini saussuriani con l’etnologia e laciviltà (S. Traini, 2006).

12

Page 7: Azerbaigian. Una lunga storia

pei contigui ha fatto parlare di una “memoria indoeuropea”del Caucaso (A. Ferrari 2007; G. Charachidzé, 1987). Gira in-torno alle complesse relazioni di popolazioni protocaucasichee indoeuropee l’etnogenesi della regione intorno all’inizio delI millennio a.C., quando a est si segnalano tribù proto-geor-giane, mentre, in seguito, le invasioni provenienti dal nord, traVIII e VI secolo a.C., lasciano spazio all’istallazione di stirpi diorigine indoeuropea. In tale contesto etnico, negli ultimi se-coli a.C. si determinò la presenza nel Caucaso meridionale deiprincipali nuclei protonazionali e su queste aree si proietta-rono gli influssi occidentali (greci, particolarmente forti per lecolonie delle coste orientali del Mar Nero, seguiti da influenzelatino-romane), e soprattutto orientali (iranico-persiani). Levarie popolazioni che costituivano gli albani vengono menzio-nate nelle fonti greche con riferimento al IV secolo a.C. Solonel I secolo anche le tribù degli albani si avviano a costituireun regno unitario (M. Bais, 2001) che, insieme a quello geor-giano orientale (di Kartli, chiamato Iberia), viene sconfitto daRoma. L’emergere ad Oriente della potenza dei parti, tuttavia,avrebbe indotto le dinastie locali dell’intera regione a una po-litica alternante, ora alleandosi con i primi, ora con i secondi.

Dalla fine del II secolo, il consolidamento nell’intera re-gione di dinastie persiane diventa fattore di iranizzazione:inoltre il Caucaso orientale è altresì fortemente integrato nellaregione del Mar Caspio, dominata dalla Persia. La stessa in-fluenza iranica sugli albani, poi, nei secoli seguenti periodica-mente si è estesa anche ai territori caspici del Caucaso setten-trionale, tra cui l’odierno Daghestan (ricompreso nella defini-zione territoriale dell’Aran). Nell’intera regione verso la finedel IV secolo gli influssi religiosi greci e siriaci riuscirono aportare al cristianesimo e alla conversione di sovrani e popoliin Armenia, in Georgia e in Albania (A. Ferrari, 2007). Laforte competizione dei culti orientali (in primis lo zoroastri-smo, o mazdeismo) con la confessione cristiana, occidentale,avrebbe marcato fortemente la cultura dei popoli della re-

15

stituiscono “società turaniche” in varie nazioni d’Europa ed’Asia verso la metà dell’Ottocento (come fra i tatari dellaRussia) e soprattutto nel primo Novecento (come in Ungheriae in Giappone).

I riferimenti turanici si ritrovano nei nomi di persona ricor-renti in varie lingue e affondano le origini in antiche fonti checantano l’epopea delle tribù nomadi dell’Asia centrale e delprincipe Turaj (da cui Turan). Con il romanzo Yeni Turan (“Ilnuovo Turan”, del 1912), lo scrittore Halide Edib Adıvar cele-bra il leggendario passato e futuro della razza turca simboleg-giata dalla lupa della steppa, il “lupo grigio” (Bozkurt). Du-rante la prima guerra mondiale il “turchismo” diventa baseper la propaganda “pan-turchista”, finalizzata a suscitare sen-timenti di fratellanza nelle popolazioni di etnia turca (in pri-mis gli azerbaigiani) della Russia zarista, in guerra contro gliottomani. Lo spauracchio “turanista”, del “pan-turchismo”,continua a manifestarsi in Unione Sovietica anche dopo leguerre civili seguite alla Grande guerra. La condanna di taleideologia per “nazionalismo borghese” ancora negli anniTrenta del Novecento risulta un’accusa frequente del regimecontro tatari e turcomanni. Ancora oggi attraverso il turchi-smo rimane il richiamo al modello nazionale “turco-kemali-sta” come base per una visione sovranazionale basata sullaTurchia, con cui si è tentato – non sempre con successo – diesportare nelle repubbliche ex sovietiche di etnia turca i sim-boli ed i valori della modernizzazione turca (A.F. Biagini,2007).

Le popolazioni che più anticamente hanno abitato la re-gione del Caucaso alla fine dell’età del Bronzo risultano esseregli antenati degli attuali popoli indigeni caucasici. Le in-fluenze sulla regione meridionale e sulle popolazioni via viainsediatesi nel territorio, invece, provenivano da molteplici di-rezioni, trovandosi al centro delle linee di contatto e di com-mercio tra Mesopotamia, Mar Nero e Mar Mediterraneo: ilcontatto e la contaminazione continua con i popoli indoeuro-

14

Page 8: Azerbaigian. Una lunga storia

L’Azerbaigian nel lungo periodo (fino all’Ottocento)

Nei secoli XIII e XIV, le invasioni dei mongoli, nomadidalle steppe asiatiche che si convertono all’islam tra la fine delXIII e l’inizio del XIV secolo, determinano la caduta dell’in-tera regione che da quel momento è sotto il loro dominio,mentre a partire dal XV secolo, giungono altre popolazioni diorigine turca, le tribù turcomanne dei “montoni neri” e “bian-chi” (rispettivamente Gara Goyunlu e Ag Goyunlu). La de-strutturazione sociale ed economica che si realizza nelle re-gioni occidentali del Caucaso meridionale si riscontra menoad Est: l’Azerbaigian, già islamizzato, soffre con modalità mi-nori le devastazioni mongole, soprattutto a partire dall’isla-mizzazione della dinastia mongola dominante nelle regioniturco-azerbaigiane limitrofe. Il Paese conosce un periodo difioritura artistica e culturale con la dinastia Shirvanshah, chesi mantenne al potere nell’odierno Azerbaigian e regioni limi-trofe del Caucaso centrale – riconoscendo nella seconda metàdel XIV secolo la signoria di Tamerlano e poi agli inizi del XVsecolo quella di Yusuf Gara Goyunlu – fino verso la metà delXVI secolo.

In questo periodo si afferma il dominio della dinastia di ori-gine azerbaigiana dei safavidi, ascesi al potere in Persia tra lafine del XV e i primi anni del XVI secolo (A. Altstadt, 1992):si dà vita a un impero di origine musulmana e sciita che daoriente risulta il contraltare dell’Impero ottomano, musul-mano e sunnita. Gli ottomani, a loro volta, da ovest premonosul Caucaso e dominano ormai il Mar Nero. Le tribù turcheottomane si istallano nella penisola anatolica fin dal XIV se-colo e tra la metà e l’ultimo quarto del XVI secolo conquista-vano Costantinopoli, Trebisonda e la Crimea, oltre a diventareun player fondamentale nella competizione per l’egemoniasull’Europa sud-occidentale (G. Motta, 1998). La contesasulla regione caucasica oppone i due Imperi prima e dopo lapace di Amasia (1555), che attribuisce le regioni armene e

17

gione, con influenze occidentali (greco-romana e cristiana) eorientali (iranica e musulmana). Dal V secolo anche gli albanisi conformano per il progresso linguistico-culturale agli altripopoli della regione dotandosi di un alfabeto proprio (M.Bais, 2001). Sebbene sotto egemonia persiana, la “Caucasiacristiana” emerge esprimendo un’epoca di fulgore artistico espirituale, anche se in ambito teologico dalla metà del VI se-colo le chiese delle regioni centrali e orientali riaffermano leproprie posizioni monofisite senza accettare le tesi del Conci-lio di Calcedonia (del 451 d.C., tesi propugnate da cattolici eortodossi e accettate dai georgiani). Dalla seconda metà delVII secolo, poi, l’affermazione araba sulla regione segna lacrescente presenza dell’Islam e l’istituzione di un califfato.Nel nuovo contesto politico-culturale la regione albana, dettaanche “Aran”, avrebbe recepito maggiormente le politiche diislamizzazione, insieme alla sviluppo dato durante la domina-zione araba ai centri cittadini e portuali, come Baku, Barda,Derbent e Ganja.

Nella prima metà dell’XI ha inizio un nuovo periodo dellastoria della regione caucasica, con l’invasione di popolazionidi origine turca, in particolare i turchi selgiuchidi, costituiti datribù nomadi di grande valore militare (già islamizzate nel se-colo precedente). L’insediamento di queste tribù turche, so-prattutto nella parte centro-orientale del Caucaso meridio-nale, completa l’islamizzazione della popolazione che si deli-nea ormai nel moderno profilo etno-linguistico turco e azer-baigiano. Si determina così il contesto etnogenetico dell’o-dierno Azerbaigian, in cui emergono tra l’XI e il XIII secoloalcune dinastie importanti per la storia della regione, comequella dei kersanidi di Shirvan, si impongono alcuni poeti che– pur scrivendo in lingue culturalmente elevate, in primis ilpersiano, come il poeta Nizami Ganjavi – costituiscono l’ori-gine della cultura letteraria dell’Azerbaigian.

16

Page 9: Azerbaigian. Una lunga storia

mea permette ai soldati della zarina Caterina la Grande dispingersi oltre, con la firma del trattato di San Giorgio nel1783 che sancisce il “protettorato” sulla Georgia orientale.Tale accordo comporta non solo la costruzione della stradamilitare verso la “Transcaucasia” e la fondazione della città diVladikavkaz (letteralmente “signora del Caucaso”) per la pe-netrazione e il dominio oltre la catena montuosa del Caucaso.Costituisce anche uno dei momenti centrali delle “guerre cau-casiche” nel contesto dell’espansione coloniale dell’impero za-rista, per la volontà di San Pietroburgo di mostrare l’“antago-nismo” tra popoli cristiani e musulmani della regione (R. Risa-liti, 2007).

Con la fase bellica 1817-29 si entra nel pieno della “guerrecaucasiche”, anche secondo la storiografia sovietica che in-vece tende a non considerare la precedente espansione russacon prospettiva strategica. Questa fase del conflitto tra russi epersiani, in cui a fianco di questi ultimi partecipano i musul-mani azerbaigiani, si conclude nel 1826 ancora con la vittoriadi San Pietroburgo, mentre nel 1828 il trattato di Turkmen-chai determina la cessione ai russi di Erevan e del Nakhchi-van. Con il trattato di Adrianopoli, infine, nel 1829 le altrecittà e regioni ancora contese (come Poti e Anapa sul MarNero, nonché le province di Akhaltsikhe e Akhalkalaki) di-ventano russe (R. Risaliti, 2007). In Azerbaigian il potere russotenta – con qualche successo – di coinvolgere all’interno delcontesto aristocratico zarista le élite sciite dei khanati localipiù facilmente di quelle sunnite della regione. In generale,nella prospettiva russa questa regione è così considerata Tran-scaucasia (G. Suny, 1996), mentre in particolare gli azerbai-giani sciiti dai russi vengono spesso definiti “tatari” (come iturcofoni della Crimea).

19

georgiane agli ottomani e quelle azerbaigiane ai persiani. Leguerre turco-persiane portano un susseguirsi di periodi di do-minio ottomano e persiano, fino alla fine dei conflitti (1639)con cui si torna grosso modo alla precedente spartizione. Lapopolazione azerbaigiana, turcofona con presenze curde, ar-mene, ebraiche e lesghe, rimane sotto un pressocché continuodominio persiano e recepisce lo sciismo come variante confes-sionale dell’islam. Nella regione azerbaigiana si assiste al man-tenimento delle modalità di vita nomade di alcuni gruppi tri-bali, mentre durante il potere safavide assumono una certaimportanza le strutture urbane e cittadine (A. Ferrari, 2007),insieme con lo sviluppo dei khanati, tra cui Baku, Ganja eNakhchivan. Dalla metà del XVIII secolo, nel Karabakh,viene costituito un khanato turco.

Contemporaneamente, con la fine del potere safavide edelle lotte interne all’Impero persiano, nel corso del XVIII se-colo entra in gioco nella regione una nuova potenza in ascesa,la Russia, che, almeno fino alla Prima guerra mondiale,avrebbe via via assunto il ruolo di naturale protettore delle po-polazioni cristiane orientali sotto dominio musulmano (A.F.Biagini, 2010).

Strategicamente proiettato verso la regione caucasica set-tentrionale dalla seconda metà del XVI secolo, l’interesserusso per le regioni meridionali si articola attraverso le mis-sioni georgiane e le comunità armene in cerca di supportocontro il dominio ottomano. Con gli inizi del XVIII secolo e lastrategia dello zar Pietro il Grande di espandere l’Impero adest, i russi giungono nel 1722 sul litorale del Mar Caspio, oc-cupando per un decennio Derbent e Baku, lasciando agli Ot-tomani mano libera nelle regioni centro-occidentali. La diffi-coltà di penetrazione nel Caucaso settentrionale e le rivoltedelle tribù delle montagne del nord (in primis la grande rivoltadel 1785) ritardano la conquista e l’insediamento russo anchenelle regioni meridionali. A seguito del trattato di Kuciuk Kai-nargi (1774) la conquista del litorale del Mar Nero e della Cri-

18

Page 10: Azerbaigian. Una lunga storia

DANIEL POMMIER VINCELLI

L’epoca zarista e la prima indipendenza (1722-1920)

L’interesse della Russia imperiale nei confronti delle terreazerbaigiane e dell’intera regione transcaucasica risale all’ini-zio del XVIII secolo, quando per impulso di Pietro il Grandel’intera politica estera russa assume una nuova condotta, attivaed espansionistica. Lo Stato petrino sviluppa una “politica dipotenza coerente” (P. Chuvin, 2008) rivolta verso i confinimeridionali dell’Impero, perciò in successione la Russia siespande verso le coste del Mar Nero, nel Caucaso e infine nelTurkestan, in Asia centrale. A differenza della “grande guerradel Nord” che si conclude con la sconfitta della corona sve-dese e la netta affermazione russa, il confronto con le grandipotenze orientali (Impero ottomano e Impero persiano) nonporta a successi duraturi. La conquista russa del Caucaso sirealizza più avanti, nel corso di circa un secolo, ed è un pro-cesso segnato da forti discontinuità che si conclude definitiva-mente, almeno dal punto di vista militare, con il trattato russo-persiano del 1828. L’espansionismo russo, motivato soprat-tutto da ragioni economiche e strategiche, nel corso del XVIIIe del XIX secolo, assume anche una dimensione culturale eideologica. Nella lunga serie di conflitti con l’Impero otto-mano e con quello persiano e le popolazioni caucasiche, do-minate in Azerbaigian (dalla metà del Settecento secolo) dauna serie di khanati semi-indipendenti, i russi si rappresen-tano come avanguardia della civiltà europea moderna e cri-stiana contrapposta a un’Asia oscura e arretrata. Oltre alle esi-genze di conquista, vi è quindi una missione civilizzatrice. Unacorrelazione, quella tra esigenze economico-strategiche e di-mensione ideologica, che accompagna il costituirsi di tutti igrandi Imperi coloniali europei a partire dal XVIII secolo. Ladefinitiva occupazione del Caucaso e il consolidamento del

DOI: 10.7348/imperienazioni02pommiervincelli 2120

Page 11: Azerbaigian. Una lunga storia

luppo capitalistico legato soprattutto alla presenza di materieprime cambiano il panorama politico-sociale delle Transcau-casia rafforzando il dominio russo e favorendo il sorgere dinuove idee politico-sociali nelle popolazioni dell’area. Laterza fase, infine, va dal 1905 – data che coincide con il pro-cesso rivoluzionario russo e la sconfitta nella guerra col Giap-pone – al 1918 ( A.F. Biagini, 2012). Vi è nel 1905 un’esplo-sione delle tensioni etniche e religiose tra armeni e azerbai-giani le cui classi dirigenti stanno progressivamente spostandola propria identità etno-religiosa verso un’appartenenza nazio-nale, che si concretizzerà più tardi con la nascita delle repub-bliche indipendenti transcaucasiche nella primavera del 1918.

Nella seconda metà del XVI secolo, lo Stato moscovita gui-dato da Ivan IV, dopo la presa di Kazan (1552) e Astrachan’(1556) acquisisce una preminenza nel controllo della più im-portante via commerciale dall’Europa verso l’Asia centrale, ilfiume Volga. Il governo dello zar di Mosca è intenzionato arendere il commercio della seta un proprio monopolio. Forticoncorrenti nel commercio della seta rimangono gli ottomaniattestati a Derbent e che, fino alla fine del XVIII secolo, pos-siedono il Daghestan e il pieno controllo della costa occiden-tale del Mar Caspio. Gli interessi commerciali inducono il go-verno russo a indirizzare i propri interessi da Astrachan’ versosud. Vi è anche nello stesso periodo un’intensiva colonizza-zione del Caucaso settentrionale per mano dei Russi, attra-verso popolazioni che vi si trasferiscono – cioè i cosacchi delDon e del Volga. Già intorno al 1590 la popolazione cosacca ètalmente numerosa da costituire a Terek un nucleo russo tra lecittà di Azov e Derbent, entrambe sotto dominio ottomano.All’epoca dei torbidi (XVI – XVII secolo), l’esercito cosaccodi Terek propone un proprio aspirante al trono russo. Nellaseconda metà del Seicento, i cosacchi non risiedono solo a Te-rek, ma anche nella regione della Suncha (affluente destro delTerek da sud) e fondano un proprio insediamento nel Daghe-stan stesso. Mosca inizia a sostenere la colonizzazione dei pos-

23

dominio di Mosca producono nella cultura russa una sugge-stione caucasica, un trasporto verso una sorta di “oriente do-mestico” (A. Ferrari, 2004) che porta alla produzione lettera-ria di importanti autori come Lermontov, Pu�kin e Tolstoj cheambientano nel Caucaso alcune opere fondamentali delle loroproduzioni (Il prigioniero, Il prigioniero del Caucaso, I Cosac-chi). Dal punto di vista economico, l’approccio dell’Imperozarista nei confronti del Caucaso è di tipo coloniale, teso al-l’accaparramento di materie prime, alla ricerca di nuovi sboc-chi per le sue produzioni russe e all’insediamento di colonirussi nei territori caucasici. Significativo degli orientamenti dipolitica economica russa è il progetto di sfruttamento della re-gione, concepito dal diplomatico e scrittore Aleksandr Gri-boedov nel 1828, lo stesso anno del trattato di Turkmenchayche stabilisce il dominio russo sulle terre azerbaigiane, tesoalla creazione di una “compagnia transcaucasica” sul modellodelle esperienze politico-commerciali intraprese da altre po-tenze coloniali (P.G. Donini, 1979). La storia della presenzarussa nel Caucaso meridionale sino alla nascita dell’Unionesovietica – che va distinta dalla storia altrettanto tormentata epeculiare del Caucaso settentrionale, ancora all’interno delterritorio della Federazione Russa – si può suddividere in tregrandi fasi. La prima è quella della conquista che cominciacon Pietro il Grande e si conclude con l’affermazione di Ni-cola I, passando attraverso la ripresa della conquista con Cate-rina II e le prime vittorie all’inizio del XIX secolo. La secondafase copre tutto il XIX secolo e vede l’adattarsi del governorusso alla complessità etnica e religiosa dell’area, con una po-litica decisamente meno favorevole alla componente musul-mana – cioè alla maggioranza degli azerbaigiani – rispetto adarmeni e georgiani considerati invece più affini e fedeli al go-verno russo. Si succedono in questa fase diverse formule am-ministrative, improntate ora a una maggiore centralizzazione,ora a un più accentuato localismo. A partire dagli anni Ses-santa dell’Ottocento, i processi di modernizzazione e lo svi-

22

Page 12: Azerbaigian. Una lunga storia

dominio persiano, fino al 1736, le regioni dell’Azerbaigiansono divise in quattro beyliki, Shirvan, Karabakh (con capitaleGanja), Nakhchivan e Tabriz i cui reggenti, i beylerbey, sonocapi tribali diretti rappresentanti del sovrano safavide. Nel1747, con l’assassinio di Nadir Scià che aveva assunto il poteredopo la fine del secolare dominio della dinastia safavide, laPersia cade nella guerra civile e i leader tribali assumono unostatus semi-indipendente (S. Bolukbasi, 2011). I beyliki si tra-sformano in khanati e crescono di numero costituendo in unterritorio compreso tra l’attuale Azerbaigian e l’Armenia uninsieme di piccole e grandi unità politiche autonome, spessoin conflitto tra loro. I khanati musulmani comprendono nelNord della Transcaucasia tra gli altri, Karabakh, Sheki, Der-bent, Kuba, Nakhchivan, Talish e Erevan, mentre a sud i prin-cipali compendono Tabriz, Ardabil, Khoi, Maku e Maragin.Gli studiosi mettono in evidenza come in questa fase della sto-ria azerbaigiana, l’appartenenza tribale e territoriale superi lalealtà dei diversi khanati agli imperi multi-nazionali (persianoprima e russo dopo), che se ne contendono la sovranità. Sitratta di società agrarie che mancano di una vera e propria ari-stocrazia terriera, nelle quali il possesso delle terra – allostesso modo dell’Impero ottomano – deriva da una conces-sione, non ereditaria, del sovrano (il khan) per i servizi resi daidiversi bey o agha, amministratori locali e notabili (anche inquesti termini è evidente l’influenza ottomana). I khanati nonsi riconoscono in un impero sovranazionale, né tanto menoesprimono una coscienza nazionale o proto-nazionale. D’al-tronde anche i meliki cristiani (aristocratici locali con un rela-tivo grado di autonomia territoriale), che insistono sullo stessoterritorio, come il Karabakh, nutrono la medesima indiffe-renza nei confronti di un sentimento “nazionale” alleandosi (ocontrapponendosi) fra loro e con i khan musulmani attraversolegami territoriali o dinastici. Dal punto di vista etnico, lamaggioranza della popolazione appartiene alle tribù turco-manne (con numerose minoranze di diverse etnie) e vi è una

25

sedimenti ottomani da parte dei cosacchi, passando a una po-litica attiva nei primi anni del XVIII secolo. Ancora primadella fine della grande guerra del nord (1700-1721), Pietro ilGrande comincia ad aprirsi una via verso il Caucaso. Dopo lafine della guerra svedese, Mosca cerca un pretesto per unaguerra contro i persiani, che controllano i territori azerbai-giani. A Shamakhi, commercianti russi vengono assaliti e lamaggior parte di essi viene uccisa.

La conquista e il dominio della Russia imperiale

La campagna del Caucaso di Pietro il Grande ha inizio il 27luglio del 1722 e termina il 12 settembre 1723, con la sconfittadella Persia, che è impegnata con gli afghani e quindi in que-sto momento notevolmente indebolita. Gli afghani invadonoIsfahan, la capitale persiana. I safavidi, la dinastia di orgineturco-azerbaigiana che domina la Persia dall’inizio del XVIsecolo, concedono alla Russia l’intera costa caspica e le pro-vince di Derbent (tornata in mano persiana sin dal 1612),Baku, Giljan, Masandaran e Astrachan’. La crisi interna per-siana, che in questi anni vede la distruzione della dinastia adopera del generale Nadir Khan (destinato più tardi a divenirescià egli stesso), porta a un rafforzamento delle posizioni del-l’Impero ottomano che minacciano le conquiste russe. L’Im-pero ottomano sostiene gli abitanti musulmani delle regionimontuose del Daghestan e occupa con le proprie truppe laGeorgia. Pietro il Grande opta per una politica di compro-messo con la Porta e con la spartizione delle province persianein “sfere d’influenza”, secondo il Trattato di Costantinopolitra Russia e Impero ottomano del 12 giugno 1724. Senza l’ap-poggio della Georgia e dei persiani, la Russia non è in grado dimantenere le conquiste del 1722 e nel 1735 i russi abbando-nano non solo Derbent e Baku, ma si ritirano nella posizionirisalenti all’epoca precedente a Pietro il Grande. Durante il

24

Page 13: Azerbaigian. Una lunga storia

di Karabakh, che invade con un esercito di 85.000 uomini, co-mandati da ufficiali francesi. Dopo un assedio di oltre unmese, Shusha, difesa da 15.000 uomini del Karabakh, vieneoccupata. Contemporaneamente, quasi tutto l’Azerbaigiansettentrionale subisce l’attacco delle truppe persiane che di-struggono i villaggi e ne riducono in schiavitù gli abitanti. Laregione viene ulteriormente colpita dallo scoppio di epidemiealle quali segue una grande carestia. Il khan Javad di Ganja e ilmeliko armeno Mejlum di Jalaberd, alleati dei persiani, attac-cano Tbilisi che il 12 settembre del 1795 viene occupata dalletruppe di Aga Muhammad khan, che la saccheggiano e la bru-ciano quasi completamente. Durante l’inverno, le truppe delloscià si ritirano nella steppa del Mugan e si stabiliscono lungo ilfiume Araz, con lo scopo di riprendere la guerra appena pos-sibile. Intanto la Russia elabora un piano d’attacco contro ipersiani (nel febbraio 1796 Aga Muhammad lascia l’Azerbai-gian settentrionale) e invia, nel maggio del 1796, il generaleZubov per organizzare una campagna. Ancora prima dell’ar-rivo del caldo estivo, le truppe russe giungono a Shirvan eDerbent. Gli abitanti di Baku accolgono Zubov e lasciano vo-lontariamente la città. I khan di Baku, Sheki e Ganja si sotto-mettono anch’essi alla Russia. Ibrahim Khalil, al fine di impe-dire l’ingresso dei russi nel suo khanato, cerca di rassicurare lazarina Caterina II sulla sua affidabilità. Zubov però proseguenel suo disegno di annettere l’Azerbaigian settentrionale finoall’Araz nel sud. Nel novembre del 1796, con la morte di Ca-terina II, lo scenario cambia e il nuovo zar Paolo I si ritiradalla Transcaucasia, concentrando tutta la sua attenzione sullequestioni europee. All’inizio del 1797, il generale Zubov e lesue truppe, in base a un ordine del 4 dicembre 1796, vengonorichiamati in Russia. Aga Muhammad occupa di nuovo Shu-sha, capitale del khanato di Kharabakh. Intende intrapren-dere, dopo l’annientamento del khan Ibrahim del Karabakh,una grande campagna nel regno di Kartl-Kakheti (Georgiaorientale) e trasferire gli abitanti dei khanati Shamakhi, Sheki,

27

prevalenza religiosa dello sciismo, seguito dal sunnismo e dareligioni non islamiche. Nel sessantennio successivo al 1735, lapolitica russa nel Caucaso viene determinata dalla trasforma-zione dei rapporti di forza tra l’Impero ottomano e l’Imperopersiano. Durante la guerra russo-ottomana del 1768-1774, ilsultano Mustafa III invia una lettera ai khan azerbaigiani e da-ghestani per spronarli alla rivolta contro la Russia, senza suc-cesso. La stessa sorte ha anche il tentativo del sultano Abdul-Hamid I durante la successiva guerra russo-ottomana del1787-1791. Fatali-Khan del khanato di Kuba, infatti, non solorifiuta la proposta dell’emissario ottomano di ribellarsi controla Russia, ma fornisce aiuto a Iraclio II re di Georgia, controgli ottomani e cerca di porre Kuba sotto la protezione russa.Già nel 1783, il khan del Karabakh si era rivolto a Pietroburgoe agli inizi degli anni Novanta, in seguito a un minaccioso at-tacco persiano, anche i khan di Kuba, Baku, Talish, Shirvan,Sheki e Derbent seguono la stessa politica filo-russa. Verso lafine del 1794, lo scià Aga Muhammad Khan (1781-1797) delladinastia cagiara dopo aver conquistato il potere all’internodello Stato persiano, si propone la restaurazione del poterecentrale nei khanati che si erano progressivamente separatidall’Impero. Intorno al 1795, occupa tutti i khanati dell’Azer-baigian meridionale, mentre si rivela piuttosto difficile la sot-tomissione di quelli dell’Azerbaigian settentrionale. Ibrahimkhan, del Karabakh, invia una delegazione in Russia con la ri-chiesta di aiuto e dopo aver ricevuto una risposta positiva, di-strugge il ponte storico di Khudaferni sul fiume Araz e iniziale ostilità contro lo scià. Su sua iniziativa, nasce una coalizionedei khan azerbaigiani (Karabakh, Erevan, Talish) rivolta con-tro lo scià e tutti i meliki armeni che, ad eccezione di Mejlumdi Jalaberd, lo sostengono nell’iniziativa. Grazie ai buoni rap-porti con il re georgiano Iraclio II, Ibrahim Khalil khanstringe un’alleanza con il regno georgiano di Kartli-Kakheti(Georgia orientale). Nel 1795, Aga Muhammed Khan, intra-prende un secondo tentativo di “sottomissione” del khanato

26

Page 14: Azerbaigian. Una lunga storia

quistati dalla Russia e dal 1806 al 1813 seguono la stessa sortei khanati di Baku e Ganja, per opera dei generali Pavel Cicia-nov, Ivan Gudovic e Pëtr Kotljarevskij, oltre al khanato Kara-bakh (Ibrahim Khalil-Khan viene eliminato dai russi) e al kha-nato di Kuba. Dopo la guerra russo-persiana del 1804-1813,in base al trattato di pace di Gulistan, i russi annettono Der-bent e Talish, a sud est dell’attuale repubblica di Azerbaigian,sulla costa sudorientale del Mar Caspio.

La seconda guerra russo-persiana (1826-1828), combattutaper l’espansione territoriale e per il controllo delle vantaggiosevie commerciali del Caucaso meridionale, termina il 10 feb-braio 1828, con la pace di Turkmenchay. In base a questo trat-tato, all’Impero russo spetta l’intero khanato Erevan sulle duesponde dell’Araz e il khanato Nakhchivan. La pace di Turk-menchay non solo segna la fine degli scontri militari fra la Rus-sia e la Persia, ma è anche l’inizio della nuova politica ammini-strativa di integrazione dei khanati azerbaigiani settentrionalinell’Impero russo, parte essenziale di tale politica di integra-zione è anche la cristianizzazione delle regioni conquistate (oannessesi volontariamente). Il trattato di Turkmenchay con-tiene speciali articoli che permettono il trasferimento di massaper gli armeni dalla Persia e dall’Impero ottomano nel Cau-caso o nella regione dei khanati, sultanati, principati e regniazerbaigiani e georgiani. La divisione confinaria del 1828 è an-cora attuale: i confini tra l’Azerbaigian russo (oggi Repubblicadell’Azerbaigian) e la Persia (oggi Repubblica Islamica dell’I-ran) corrispondono a quelli del trattato. La Russia ha conqui-stato dunque all’inizio del XIX secolo un terzo dei territoriazerbaigiani, mentre l’Azerbaigian meridionale è rimasto al-l’interno dello Stato persiano. Ancora oggi gli azerbaigianirappresentano il secondo gruppo etnico dello Stato iraniano.Con Turkmenchay l’Azerbaigian settentrionale viene definiti-vamente proiettato all’interno della sfera di influenza russa. Ildominio russo è nei primi decenni di carattere militare e ha,tra i primi e più importanti atti, la formazione di un oblast (di-

29

Salyan e Talish così come dei regni di Kartl-Kakheti nei suoipossedimenti in Masandaran e Astrabad. Shusha cade dopoaspri combattimenti. Nel massacro compiuto nella città dalletruppe dello scià, viene ucciso anche il poeta Molla Panah Va-gif (“il Sapiente”), uno dei maggiori intellettuali azerbaigianidell’epoca. Ma anche lo stesso scià Aga Muhammad viene uc-ciso nel maggio 1797, a Shusha, da alcuni suoi servitori in ri-volta. Il nuovo dominatore dell’Impero, scià Fatali (1797-1834), nipote di Aga Muhammad, tenta senza successo di sot-tomettere il khan ribelle. Ibrahim, in considerazione della si-tuazione difficile nella quale versa il suo Paese e dell’ostilitàdei khan oppositori, avendo a propria disposizione il cadaveredel defunto scià lo invia, con tutti gli onori, a Teheran dive-nuta la nuova capitale persiana. Fatali stringe una nuova al-leanza con Ibrahim che presto si troverà a rovesciare la poli-tica filo-russa adottata fino a quel momento.

Alla fine del XVIII, il fulcro della politica russa si spostanuovamente verso la Transcaucasia, tanto è vero che all’iniziodel secolo successivo riprende con vigore l’azione della Russianel Caucaso, sia politica che militare. Inizialmente, l’interesseprincipale è rivolto al regno di Kartl-Kakheti, poi più tardi siestende agli altri khanati dell’Azerbaigian. Kartl-Kakhetiviene annesso alla Russia dallo zar Alessandro I, il 12 settem-bre del 1801. Il conflitto con la Persia, sia pure con alcune in-terruzioni, per il controllo della Transcaucasia, continua finoal 1828, e malgrado il notevole aiuto militare e finanziariodella Francia (fino al 1807) e dell’Inghilterra (dal 1807 al1813), i persiani vengono sconfitti dalla Russia di Alessandro Iche conquista anche la Georgia orientale (1801) e una serie dikhanati azerbaigiani (1803-1813). Nel 1803, il khanato Avarnel Daghestan viene annesso e nel 1803-1804 è la volta dellaMingrelia e dell’Imerezia (Georgia occidentale). Nella stessaepoca, il khanato di Ganja, sotto la guida di Javad Khan, com-batte invece contro la Russia; nel 1805, il khanato di Shirvan,guidato dal Khan Mustafa, e il khanato di Sheki vengono con-

28

Page 15: Azerbaigian. Una lunga storia

mente e genericamente, dalle autorità di San Pietroburgo, ta-tari). A questa faticosa opera politica e amministrativa, va ag-giunto l’impegno militare in Ciscaucasia (Caucaso del Nord),dove la sollevazione della popolazione locale raggiunge conl’Imam Shamil (1797-1871) il carattere di una vera e propriaguerra santa contro la Russia (L. Sestan, 2004). Con la parzialeeccezione del principe Golicyn, viceré dal 1896 al 1904, i rap-presentanti dello zar adottano una decisa tendenza filo-ar-mena e filo-georgiana, penalizzante nei confronti degli azer-baigiani. Oltre al controllo sul clero islamico – molto più sog-getto rispetto ai rappresentanti delle confessioni cristiane –anche l’era delle riforme apertasi con Alessandro II (1855-1881) non lascia molto spazio per i musulmani. Un esempio ècostituito dalle prime leggi elettorali, varate nel 1870, per lascelta dei consigli delle amministrazioni cittadine, a suffragiolimitato basato sul censo. Nella città di Baku, nel periodo cheva tra il 1878 e il 1908, nonostante l’80% dei possibili elettorisia di etnia azerbaigiana e di religione musulmana, soltanto il50% dei seggi viene loro assegnato. Di conseguenza la Dumacittadina rimane così per decenni nelle mani dei russi e degliarmeni, per lo più grandi proprietari. Un altro aspetto in cuiemerge la politica anti-musulmana dello zarismo con conse-guenze molto più durature è il trasferimento di popolazioniarmene nei territori musulmani, a scopo di controllo politico(J. Rau, 2011). In seguito al già citato trattato di Turkmenchay,50.000 armeni (circa 9000 famiglie) provenienti dalla Persiavengono ricollocati in Transcaucasia, soprattutto a Erevan e inKarabakh, una seconda ondata giunge dall’Impero ottomanodopo la guerra di Crimea e il confitto del 1877, una terza in-fine arriva nel 1915 in seguito alle persecuzioni anti-armeneattuate dal governo ottomano. Tali flussi migratori favoriti dalgoverno russo cambiano definitivamente gli equilibri demo-grafici della regione in una forma che troverà le sue più dram-matiche conseguenze negli scontri etnici del 1905, in quelli del1918-1919 e soprattutto nella guerra del Nagorno Karabakh

31

stretto) armeno comprendente i disciolti khanati di Erevan eNakhchivan. Gli altri khanati vengono riorganizzati in pro-vince e amministrati da militari secondo una normativa cheunisce leggi russe e usanze locali. La politica del primo gover-natore russo del Caucaso, Aleksej Ermolov (1816-1827), attuaun “regionalismo” a senso unico, rivolto soprattutto alla so-cietà georgiana e non aperto in nessuna misura alle classi diri-genti musulmane, provocando un ampio risentimento cheporta all’esplosione delle popolazioni della Ciscaucasia. Il suc-cessore, Ivan Paskevi�, pone all’amministrazione russa unaforte impronta centralistica, provocando ulteriori risentimentinelle popolazioni musulmane. Nel 1841, l’amministrazione ci-vile sostituisce quella militare e la Transcaucasia viene divisain due tronconi: una parte imereto-georgiana e un oblast ca-spico, con capitale Shamakhi. Ganja – ribattezzata dai russiElizavetpol – e Nakhchivan vengono incorporate nel settoregeorgiano. Nel 1846, il vicerè (namestnik) Michail Semënovi�Voroncov introduce pienamente le istituzioni legali e ammini-strative dell’Impero, ridisegnando la struttura della Transcau-casia in quattro province: Tbilisi, Kurais, Shamakhi e Der-bent. La nuova divisione amministrativa intende evitare il pre-dominio di una etnia rispetto all’altra e si propone una certaomogeneità nella composizione territoriale delle popolazioni.La politica di Voroncov porta a un maggiore integrazione re-gionale e a un rafforzamento della presenza russa che intendelegare al trono le classi dirigenti armene, georgiane e azerbai-giane, preferendole all’impiego dei funzionari russi. Le scuolee le istituzioni religiose musulmane in questi anni vengonochiuse o espropriate. Voroncov attenua il carattere colonialedel dominio russo nella sua decennale attività di vicerè rifor-matore fino al 1854, riesce a realizzare una maggiore integra-zione della regione transcaucasica nell’Impero, anche se ilprocesso di sviluppo da lui disegnato ha maggiori e più ap-prezzabili risultati per le popolazioni georgiane e armene cheper gli azerbaigiani musulmani (allora chiamati semplice-

30

Page 16: Azerbaigian. Una lunga storia

Azerbaigian. Grazie all’industria petrolifera si realizzano im-portanti innovazioni tecnologiche come la prima nave petro-liera a vapore – la Zoroaster ideata e costruita proprio dai No-bel – che comincia a prestare servizio tra Baku e Astrachan’nel 1878. Baku diventa, all’inizio del XX secolo, il centro dimaggiore produzione petrolifera mondiale e arriva a fornire, il51% del petrolio utilizzato nel mondo (1901). La città cambiaaspetto diventando una metropoli industriale, fiorisconosplendide ville liberty degli industriali del petrolio e da tuttociò il governo imperiale russo realizza ampi profitti dalle con-cessioni petrolifere che privilegiano operatori russi e armeni.Pochi maggiorenti locali azerbaigiani (e musulmani) riesconoa emergere a causa della politica delle concessioni che li di-scrimina, tanto che, nel 1885, su 54 aziende private beneficia-rie della concessione per l’estrazione del petrolio, soltanto dueappartengono ad azerbaigiani ( S. Bolukbasi, 2011). Anche tragli operai addetti all’industria petrolifera, i lavoratori azerbai-giani non sono favoriti e per lo più hanno mansioni meno qua-lificate e di conseguenza paghe inferiori (T. Swietochowski,1995). Il dinamismo delle attività estrattive dà vita a una classeoperaia, concentrata in Transcacucasia, particolarmente neicentri di Baku, Tbilisi e Batum. Di conseguenza, cominciano adiffondersi le idee socialiste e le richieste sindacali si intrec-ciano con le rivendicazioni nazionali.

Nella Transcaucasia, tra XIX e XX secolo, la questione et-nica è strettamente legata a quella sociale, alla diffusione delleidee politiche e all’attività della socialdemocrazia russa. Baku,oltre che centro economico, diventa un luogo di agitazioni po-litiche e sociali. Per comprenderne l’importanza basti pensareche nel primo decennio del secolo un giovane militante bol-scevico georgiano, Iosif Vissarionovi� D�uga�vili – Stalin –trascorre lunghi periodi a Baku impegnato nell’organizzazionedelle attività rivoluzionarie soprattutto tra i lavoratori musul-mani. Gli anni che trascorre a Baku saranno fondamentali perla sua formazione politica e la futura carriera. La rivoluzione

33

nel 1988-1994. Gli anni Sessanta dell’Ottocento sono contras-segnati, in Russia, da tentativi di riforme giuridiche e ammini-strative dall’alto che avrebbero cancellato secoli di arretra-tezza, eliminando la servitù della gleba (1861) ancora presentenella Russia di Alessandro II. Sul piano della politica estera,superata la sconfitta nella guerra di Crimea, pacificato il Cau-caso del Nord (1864) e consolidate le conquiste in Asia cen-trale, l’Impero raggiunge la sua massima espansione territo-riale. Ceduta l’Alaska agli Stati Uniti nel 1867 l’impero cercadi consolidare il proprio dominio in Caucaso e nei possedi-menti asiatici. Questo periodo di relativa stabilizzazione ha ri-flessi anche in Transcaucasia dove – soprattutto nelle terreazerbaigiane – l’inizio dello sfruttamento dei giacimenti degliidrocarburi, a partire dal 1872, cambia completamente il pa-norama economico e sociale. La riforma agraria arriva in Tran-scaucasia nel 1870, ben nove anni dopo il manifesto dello zar,dunque nei territori azerbaigiani la struttura produttiva agra-ria non subisce gli effetti immediati della riforma del 1861. Unruolo centrale, invece, riveste l’industria estrattiva caspica cheancora oggi fa di Baku una delle realtà più importanti per laproduzione petrolifera mondiale. Baku cresce a livelli soste-nuti a partire dagli anni Settanta del XIX secolo, quando il ca-pitale privato investe massicciamente nell’estrazione e nellacommercializzazione del petrolio. Malgrado la presenza digiacimenti petroliferi sia ben conosciuta in ogni epoca, è soloa partire dalla conquista russa che si imposta una politicaestrattiva su base locale e completamente controllata dalloStato. Il petrolio diventa una componente fondamentale del-l’economia e nel giro di pochi anni il governo che ne aveva ilmonopolio inaugura una nuova stagione aprendosi ai capitaliprivati, concedendo (1872) i giacimenti di Baku a investitoriesterni (S. Levine, 2007). L’attività di estrazione petrolifera ne-cessita di forti investimenti e di una tecnologia sempre piùavanzata, dunque si aprono nuovi spazi per gli investitori stra-nieri, come accade per i fratelli Nobel, che operano a lungo in

32

Page 17: Azerbaigian. Una lunga storia

rottura, si infrange un equilibrio secolare nei rapporti tra laRussia e le popolazioni transcaucasiche. Soprattutto armeni eazerbaigiani aderiscono, almeno nella volontà dei gruppi piùpoliticizzati, a programmi nazionali rivolti all’indipendenza ea una radicale trasformazione sociale. Stimolate dal contrastocon gli armeni e ispirate dalla suggestione riformatrice prove-niente da Iran e Turchia, anche le élites azerbaigiane costrui-scono, dopo il 1905, una propria piattaforma nazionale e iden-titaria, che unisce le rivendicazioni nazionaliste, il costituzio-nalismo derivato da Persia e Turchia e la cultura politica so-cialista e anti-imperialista derivante dal marxismo europeo edalla socialdemocrazia russa. Gli intellettuali e dirigenti poli-tici azerbaigiani si riconoscono fortemente nel messaggio dimodernizzazione dei Giovani Turchi (1908) e lanciano unmessaggio che vuole unire in un unico progetto politico l’u-nità etnica turca (panturchismo), l’identità religiosa musul-mana e l’occidentalizzazione dei costumi e dell’economia. Unazerbaigiano, Ali Bey Huseynzada, raggiunge una posizionenel gruppo dirigente del comitato “Unione e Progresso” (laleadership del movimento dei Giovani Turchi) e lancia ai suoicompatrioti le parole d’ordine di “turchizzazione, islamizza-zione, europeizzazione”.

La prima indipendenza

La nascita del nazionalismo azerbaigiano – in particolare lasua mutazione da movimento culturale a movimento politico– è il risultato di fattori interni ed esterni quali: le politiche di-scriminatorie del governo zarista, la diffusione delle idee dellasocialdemocrazia russa, lo sviluppo socio-economico dell’areadi Baku, il grande conflitto etnico con gli armeni del 1905, lesuggestioni delle rivoluzioni costituzionali in Iran (1906) e inTurchia (1908). Fino alla fine del XIX secolo, l’identità cultu-rale e politica azerbaigiana non è definita con una chiara ap-

35

del 1905 assumerà, nel Caucaso meridionale, una molteplicevalenza in cui questione socio-politica e questione nazionale(soprattutto armeno-azerbaigiana) arrivano a deflagrare con-temporaneamente lasciando nella regione conseguenze (e la-cerazioni) che sarebbero riesplose nel corso della primaguerra mondiale e del periodo rivoluzionario post-1917. Dalpunto di vista azerbaigiano, la nascita di una coscienza nazio-nale è fortemente motivata dal costante antagonismo con gliarmeni, antagonismo sollecitato e guidato, per diverse ragioni,dal governo russo che, almeno sino alla fine del secolo XIX,favorisce la componente armena. Secondo una recente inter-pretazione, i russi vedono gli armeni come propri “surrogati”e ne stimolano la presenza nelle amministrazioni regionali,nell’esercito, nelle istituzioni educative, preservando l’autono-mia religiosa armena (S. Bolukbasi, 2011). Di diverso avviso,invece, un’altra parte della storiografia che ritiene che l’atteg-giamento russo nei confronti degli armeni cambi sin dagli anniOttanta dell’Ottocento, a causa dell’involuzione repressivadel governo zarista dopo la stagione riformatrice di Alessan-dro II. Nel 1885 vengono chiuse le scuole parrocchiali ar-mene, provocando una reazione da parte armena nei con-fronti della Russia (A. Ferrari, 2004). Ciò che è certo è che lapiù importante organizzazione politica, la Federazione rivolu-zionaria armena (Dashnaktsutyun), dopo un iniziale periododi contrapposizione – anche armata – alle popolazioni di etniaturca (sia esse ottomane o azerbaigiane), dal 1907 si rivolgeanche contro il governo zarista chiedendo un’Armenia auto-noma sia nei possedimenti ottomani che in quelli russi. L’anta-gonismo tra armeni e azerbaigiani, stimolato almeno inizial-mente dai russi, li induce a consolidare i rapporti delle popo-lazioni transcaucasiche con la Russia e i due popoli si schie-rano l’uno contro l’altro piuttosto che contro il governo di SanPietroburgo. Successivamente, nella stagione rivoluzionariadel 1905, quando i conflitti e le tensioni nazionali derivantidalla nuova realtà economica e sociale giungono a un punto di

34

Page 18: Azerbaigian. Una lunga storia

rale alla fine del 1904, ma gli scontri del febbraio successivoimpediscono la collaborazione interetnica fra la classe operaiapromossa dai socialdemocratici e dalle altre forze rivoluziona-rie. Un filone storiografico imputa alle autorità russe lo scop-pio del conflitto “tataro-armeno” (come viene definito all’e-poca) che sarebbe servito a distrarre le masse azerbaigiane earmene dal processo rivoluzionario in corso, negli stessi mesi,nello Stato russo. In realtà è più probabile che vi sia stata unasottovalutazione del problema anche a causa delle difficilicondizioni della Russia nell’anno della Rivoluzione. Il nuovoviceré, il principe Illarion Ivanovi� Voroncov-Da�kov (discen-dente del Voroncov già viceré a metà del secolo precedente),normalizza la situazione adottando una strategia di concilia-zione con gli elementi liberali e filo governativi delle tre etnietranscaucasiche. Il manifesto di Nicola II dell’ottobre e l’av-vento al potere del primo ministro riformatore Stolypin ripor-tano la tranquillità nella regione. Già dal 1903 un gruppo digiovani intellettuali azerbaigiani educati nelle università russeo a Istanbul cominciano a riunirsi sotto il patrocinio di Zeyna-labdin Tagiev, uno dei pochi “baroni del petrolio” di etniaazerbaigiana. Tra questi personaggi compaiono nomi destinatia segnare la storia politica dell’Azerbaigian nei decenni suc-cessivi (sia nello Stato indipendente sia nel periodo sovietico)come Mammad Emin Rasulzade o Nariman Narimanov.Dopo la rivoluzione del 1905, nasce il primo partito politicoazerbaigiano, lo Himmat (sforzo, impegno), formato sia da in-tellettuali di tendenza socialista (come Rasulzade) che da verie propri membri del Partito Operaio Socialdemocratico Russo(come Narimanov). La piattaforma dello Himmat prevede losviluppo dell’autonomia culturale azerbaigiana, riforme so-ciali, lotta al dominio zarista, Stato laico. Il Primo ministrorusso, Pëtr Arkad’evi� Stolypin, reprime ferocemente lo Him-mat che viene sciolto, mentre la maggior parte dei suoi mem-bri prende la via dell’esilio per Istanbul o Teheran. Nel 1911-1912, dalle ceneri dello Himmat (che tuttavia rinascerà dopo

37

partenenza nazionale e, ancora alla fine dell’Ottocento, gliazerbaigiani si sentono parte di un’identità plurima in cui con-vivono l’appartenenza religiosa, quella etnica (turca) e quellaregionale, considerandosi soprattutto turco-azerbaigiani di re-ligione islamica e sudditi dell’Impero russo piuttosto che azer-baigiani nel senso nazionale e moderno del termine. Stimolatedall’impressionante trasformazione socio-economica e soprat-tutto dallo scontro etnico con gli armeni, all’inizio del secolo,le cose cambiano. Attraverso la costruzione di un “nemico et-nico”, dall’identità protonazionale maggiormente fondata suifattori linguistico-culturali si giunge all’idea di una modernaidentità nazionale, in cui l’inversione di tendenza deriva daiviolentissimi scontri etnici con gli armeni dell’inizio del 1905.Nel febbraio di quell’anno militanti del Dashnak, la federa-zione rivoluzionaria armena, assassinano un musulmano aBaku provocando una violenta reazione della popolazioneazerbaigiana contro i quartieri armeni della città. Segue un pe-riodo di violenze etniche, scontri, saccheggi e incendi chesembrava portare la Transcaucasia sull’orlo della guerra civile,mentre nel resto dell’Impero la fase rivoluzionaria partita conla “domenica di sangue” raggiunge il suo apice. Dopo gliscontri di Baku, la violenza etnica si estende a Erevan, Shusha,Nakhchivan, Ganja e Tbilisi. Gli scontri hanno esiti alterni, avolte con prevalenza azerbaigiana e altre con successi armeni.Si realizza una proto-pulizia etnica che porta a una separa-zione, anche fisica, delle due comunità che nelle città e nei vil-laggi diventano sempre più distanti: nelle campagne vengonodistrutti circa 128 villaggi armeni e 158 villaggi azerbaigiani.L’intera stagione degli scontri, che cessano gradualmente nelcorso del 1906, ha un bilancio imprecisato di caduti cheoscilla tra i 3.000 e i 10.000 morti, con gravi danni a persone,abitazioni e strutture economiche. Gli scontri etnici paraliz-zano la vita economica e sociale della Transcaucasia che ri-mane indifferente alle agitazioni rivoluzionarie del resto del-l’Impero russo. Baku viene paralizzata da uno sciopero gene-

36

Page 19: Azerbaigian. Una lunga storia

sulmani, vittime di eccidi indiscriminati da parte di reparti ar-meni, unitisi alle truppe russe sul fronte caucasico (T. DeWaal, 2010). Non vanno pertanto dimenticate tutte le vittime,di ogni orientamento e appartenenza, all’interno del contestomilitare e politico nel quale la tragica vicenda è maturata.

Subito dopo la pace di Brest-Litovsk, nel marzo 1918, letruppe turche, appoggiate dai tedeschi, passano all’attacco inTranscaucasia, conquistando Ardahan, Kars, Batum. Nell’a-prile del 1918, il Sejm (la dieta formata dai rappresentanti ar-meni, azerbaigiani e georgiani) si dichiara organo legislativodella Transcaucasia, costituisce un governo, ratifica i trattatigià stipulati dal commissariato transcaucasico e proclama laRepubblica Federativa Democratica Transcaucasica. Spintodalla nuova invasione ottomana, il Sejm dichiara la Transcau-casia una repubblica federativa indipendente e forma unnuovo gabinetto di governo, costituito da una coalizione di trepartiti. L’unione georgiano-armeno-azerbaigiana ha una brevedurata, di poche settimane, a causa degli insanabili contrastifra le tre componenti nazionali. Azerbaigiani e georgiani sonoa favore dell’indipendenza, mentre gli armeni si sentono al si-curo, di fronte all’avanzata ottomana, soltanto all’interno econ la protezione dello Stato russo. Gli azerbaigiani ritengonodi poter guadagnare dall’avanzata ottomana e sperano nellacostituzione di uno Stato, dalla Persia settentrionale al Daghe-stan, che unisca tutti i musulmani del Caucaso e si associ inqualche forma con la Turchia ottomana. Di segno parallelo è ildesiderio armeno di unificare gli ex-territori russi e ottomani.Quando alla fine di maggio del 1918 il Sejm transcaucasicocessa di esistere, vengono proclamate a Tbilisi tre repubblicheindipendenti: Azerbaigian, Armenia e Georgia. Nasce così il28 maggio 1918 la Repubblica democratica di Azerbaigian, laprima repubblica al mondo in un paese islamico. L’indipen-denza viene proclamata dai deputati azerbaigiani costituitisi inConsiglio nazionale azerbaigiano. Gli ottomani promettonoassistenza alla neonata repubblica che deve fronteggiare

39

il febbraio 1917) nasce la più importante formazione politicaazerbaigiana dell’inizio del secolo: il Musavat (uguaglianza) oPartito democratico musulmano. È un partito orientato suuna posizione più nazionalista (sebbene non ripudi le posi-zioni socialiste) che assumerà un ruolo guida durante la vitadella Repubblica democratica dell’Azerbaigian nel 1918-1920.L’ideologia del Musavat è un misto di rivendicazioni etniche enazionali, istanze socialiste e sentimenti panturchisti. Rasul-zade, che nel 1905 pare avesse salvato il giovane Stalin dall’ar-resto, lascia Baku nel 1909 fuggendo in Iran. L’invasione con-giunta anglo-russa del 1911 e la fine della rivoluzione costitu-zionale iraniana lo portano a Istanbul, dove rimane fino al1913, quando grazie all’amnistia in occasione del trecentesimoanniversario della dinastia imperiale dei Romanov, può tor-nare a Baku dove assume la leadership del Musavat. Lo scop-pio della Prima guerra mondiale vede, nei primi mesi del con-flitto, la popolazione azerbaigiana e il Musavat schierarsi a so-stegno dell’Impero russo. L’ingresso dell’Impero ottomano afianco degli Imperi centrali contro l’Intesa anglo-franco-russa(a cui si aggiungono più tardi Italia e Romania) vede una pro-gressiva mutazione della lealtà degli azerbaigiani verso il soste-gno alla Turchia. Gli esuli azerbaigiani dall’Impero russo,come Yusuf Akçuraoglu, sostengono l’alleanza con la Germa-nia e il carattere anti-imperialista (anti-russo e anti britannico)della guerra (M. Aksakal, 2010). Il Caucaso, obiettivo strate-gico dell’Impero ottomano che vuole riconquistare i territoriperduti, è un teatro di guerra particolarmente delicato perchéarmeni e azerbaigiani rivivono il proprio antagonismo all’in-terno del conflitto russo-ottomano. Con lo scoppio dellaguerra, la situazione armena diventa drammatica. Parte dellapopolazione armena dell’Impero ottomano viene deportata inMesopotamia dalle autorità turche che la considerano fedelealla Russia e dunque un ostacolo alla riunificazione dei popolidi etnia turca (A.F. Biagini, 2005). Alle numerose vittime ar-mene di questa tragica circostanza vanno aggiunti i civili mu-

38

Page 20: Azerbaigian. Una lunga storia

dell’Intesa nella fase delle trattative di pace a Versailles, lacontraddizione tra il sostegno alle repubbliche autonomedella Transcaucasia e quello parallelo ai generali “bianchi” chesi oppongono ai sovietici (e che vogliono riannettere il Cau-caso alla Russia), l’inarrestabile avanzata dell’Armata rossa,sono tutti fattori che portano in breve tempo i britannici adabbandonare il Caucaso e a lasciare le repubbliche transcau-casiche, che nel frattempo combattono sia contro i russi sia fraloro, al proprio destino. In questo periodo, di fronte all’ogget-tiva difficoltà inglese (le forze del Regno Unito sono impe-gnate in moltissimi fronti dall’Europa, all’Asia, all’Africa) edopo il rifiuto di un impegno diretto statunitense, i “quattrograndi” pensano di affidare la stabilizzazione del Caucaso algoverno italiano. Una prima spedizione militare italiana, al co-mando del colonnello Melchiade Gabba, di carattere esplora-tivo, agisce nella regione dall’aprile 1919 ma i cambiamentidella politica interna italiana – il nuovo governo Nitti è menofavorevole all’impresa – e l’avanzata dei sovietici, non porte-ranno al compimento del progetto italiano di sostituirsi agliinglesi (I.M. Sale, 2007). Il corpo di spedizione britannico aBaku (5.000 uomini) è comandato dal generale Thomson chericonosce de facto la legittimità della nuova repubblica, gui-data dal primo ministro Fatali Khan Koyski. Thomson accettae sostiene la legittimità dello Stato azerbaigiano riconoscen-done la sovranità anche nei territori contesi del Karabakh edel Zangezur. Gli inglesi approvano la nomina del generaleazerbaigiano Khosrov bey Sultanov a governatore militaredelle due regioni e richiedono alle forze armene, guidate dalgenerale Andranik, di cessare le ostilità. La posizione britan-nica sui territori in questione è quella di congelare lo statusquo e attendere le deliberazioni della conferenza di pace. Dalpunto di vista interno, la Repubblica democratica dell’Azer-baigian adotta un profilo riformatore: viene garantita la libertàd’espressione, tutelata la rappresentanza delle minoranze etni-che (anche gli armeni del Karabakh) e avviata una serie di

41

un’insurrezione armata degli armeni nell’alto Karabakh. ABaku si fronteggiano, per il controllo del centro petrolifero,azerbaigiani, armeni, bolscevichi, menscevichi e, successiva-mente, truppe britanniche e ottomane. Nel marzo del 1918, ibolscevichi e gli armeni del Dashnak, loro alleati a Baku, at-taccano gli indipendentisti del Musavat. La popolazione mu-sulmana è costretta ad abbandonare la città. Secondo fonti ar-mene, 3.000 azerbaigiani muoiono nei violenti scontri. Loscontro tra bolscevichi e indipendentisti azerbaigiani si tra-sforma in un massacro indifferenziato della popolazione civilemusulmana ad opera dei nazionalisti armeni, che si scaglianocontro i musulmani di Baku senza tenere in alcun conto affi-liazioni politiche o condizioni sociali (F. Kazemzadeh, 1951).Ad aprile, viene proclamata la “Comune di Baku” guidata daun bolscevico armeno che governa la città fino al luglio del1918 quando entra in scena la cosiddetta “armata dell’islam”,un esercito eterogeneo formato da truppe ottomane al co-mando del fratello di Enver pascià, Nuri pascià, da truppeazerbaigiane guidate dal generale Ali-Agha Shikhlinski (giàgenerale dell’esercito zarista) e da volontari musulmani. Il 26luglio, le forze armene del Dashnak e i menscevichi rovescianoi bolscevichi e danno vita a una nuova formazione statale, la“dittatura centro-caspica”, presto raggiunta da una piccolaforza militare britannica proveniente dalla Persia. Il 16 set-tembre del 1918, Nuri Pascià entra a Baku e i britannici eva-cuano la città, dove faranno ritorno dopo l’armistizio di Mu-dros dell’ottobre 1918 che vede la resa della Turchia ottomanaalle forze dell’Intesa. Ma Baku è ora in mano azerbaigiana ediventa, dopo Ganja, la capitale della nuova repubblica. Conla fine della guerra mondiale, le forze britanniche tornano aBaku e in Transcaucasia. A causa delle importanti risorse pe-trolifere e dello scoppio della guerra civile in Russia, gli inglesiconsiderano necessario estendere la propria influenza in Azer-baigian e nell’intera regione. La debolezza del dispositivo mi-litare ed economico inglese, i contrasti con le altre potenze

40

Page 21: Azerbaigian. Una lunga storia

l’Intesa non prendono una posizione definita sulla questionedei confini, anche se gli alleati riconoscono formalmente l’in-dipendenza azerbaigiana all’inizio del 1920. Nell’agosto del1919 le truppe britanniche lasciano Baku e svanisce presto l’e-ventualità che vengano sostituite dai militari italiani. Il destinodella giovane repubblica azerbaigiana viene deciso dalla cre-scente pressione delle forze bolsceviche e dall’intesa che laRussia sovietica stringe con la Turchia di Mustafà Kemal. Ab-bandonato il panturchismo di Enver, la Turchia guidata daKemal, suo diretto rivale, è impegnata in una guerra di libera-zione contro i greci con l’obiettivo della revisione dei confinidati al Paese dalla pace di Sèvres (agosto 1920). La presenza diuno Stato indipendente filo-occidentale è un ostacolo ai dise-gni di Kemal che da Istanbul minaccia direttamente l’indipen-denza di Baku. L’unico alleato certo della Turchia kemalista èla Russia sovietica di Lenin, che ha una oggettiva convergenzastrategica con la Turchia, la quale riveste un ruolo decisivo inmerito alla fine dell’indipendenza azerbaigiana (T. Swieto-chowski, 1995). I sovietici, dall’estate del 1919, continuanonella loro pressione sulla repubblica arrivando a dividere ilpartito Himmat tra indipendentisti e filo-sovietici. Da talescissione, nel febbraio del 1920, nasce il Partito comunistaazerbaigiano (bolscevico). In questa fase i bolscevichi azerbai-giani sono convinti della necessità di un’intesa con i bolscevi-chi russi non comprendendo che ciò avrebbe minato l’indi-pendenza del Paese, essendo convinti solo di ricondurre l’A-zerbaigian sotto l’orbita russa e sovietica, preservandone l’au-tonomia statuale. Ne è certo il più importante bolscevico azer-baigiano, Nariman Narimanov, subito smentito dopo la con-quista sovietica dell’aprile del 1920. Il governo del Musavattenta, in extremis, di fermare i sovietici offrendo loro conces-sioni petrolifere. Ma la repubblica, così come tutta la Transca-cucasia indipendente, ha i giorni contati (stretta tra Russia eTurchia). In un’importante lettera del 26 aprile 1920 inviata algoverno bolscevico Kemal, appena eletto presidente della

43

riforme per la modernizzazione del Paese. È una repubblicaparlamentare, con una maggioranza relativa del Musavat edove siedono rappresentanti dello Himmat (socialisti), delloAhrar (liberali), dello Ittihad (islamisti) e delle minoranze et-niche. L’Azerbaigian affronta in questo periodo le tipichesfide di “un Paese post-coloniale” (S. Bolukbasi, 2011), conforti spinte verso la modernizzazione frenate tuttavia dall’arre-tratezza delle condizioni, dalla guerra, dalle tensioni etniche edalla corruzione. Si registra una grande attenzione alla forma-zione dei quadri politici e tecnici, una decisa tolleranza per ifunzionari russi dell’ex Impero (a differenza di quanto avvienein molti Stati “successori” in Europa centro-orientale), la dif-fusione della lingua azerbaigiana e il rispetto dei diritti delleminoranze etniche. Vengono fondate scuole superiori e nelsettembre del 1919 viene aperta l’Università statale di Baku.Malgrado la breve vita (meno di 24 mesi) della repubblica,l’importante lavoro riformatore costituisce un fondamentalepunto di riferimento per la seconda indipendenza del Paesedopo il 1991. Tra i più importanti risultati, da ricordare laconcessione del voto alle donne, deliberata dal Parlamento diBaku nel 1918: l’Azerbaigian è il primo paese musulmano agarantire un simile diritto, che anticipa persino le democraziepiù avanzate degli Stati Uniti e della Gran Bretagna. Lo Statoazerbaigiano, rispetto alle altre due repubbliche transcaucasi-che, rappresenta dunque l’esperienza più significativa, comeprima democrazia parlamentare nel mondo islamico (T. DeWaal, 2010). È un’esperienza di breve durata e pesantementecondizionata dal conflitto con le forze russe, sia bianchi siabolscevichi, dalle tensioni con l’Armenia e dall’atteggiamentooscillante delle forze britanniche di occupazione che impedi-scono, ad esempio, l’esportazione petrolifera verso la Russia.Nel corso della conferenza di pace di Parigi, delegazioni delletre repubbliche transcaucasiche pongono, alle quattro grandipotenze, rivendicazioni contrapposte in particolare per i terri-tori del Zangezur, Karabakh e Nakhchivan. Le potenze del-

42

Page 22: Azerbaigian. Una lunga storia

ALESSANDRO VAGNINI

L’epoca sovietica (1920-1991)

Il collasso dello zarismo, la pace di Brest-Litovsk e lo scop-pio della guerra civile segnano l’inizio di una fase particolar-mente confusa per tutto il Caucaso meridionale. Dopo la Ri-voluzione di febbraio, consapevole della particolare condi-zione del Caucaso e della sua valenza strategica per il prose-guimento del conflitto, il governo Provvisorio decide la crea-zione di un Comitato Speciale Transcaucasico (anche notocon l’acronimo Ozakom) incaricato di gestire il funziona-mento delle strutture amministrative nella regione e garantire,almeno formalmente, una qualche parvenza di autonomia. Inseguito agli sconvolgimenti causati dalla Rivoluzione di otto-bre il Comitato viene affiancato e poi sostituito dal nuovoCommissariato Transcaucasico. Creata nel novembre del 1917dal governo bolscevico, questa struttura nel 1918 sarebbestata a sua volta sostituita dalla neonata Repubblica Federa-tiva Democratica Transcaucasica. Le successive dinamichedella lotta nell’area caucasica tra le diverse fazioni e contro l’a-vanzata ottomana contribuiscono però a lasciare la questionedella forma statale ancora molto confusa. La mancata solu-zione delle molte questioni in sospeso porta alla ripresa del-l’offensiva ottomana, cui prendono parte anche unità azerbai-giane, ostili alla politica filo-bolscevica del soviet di Baku, altempo dominato dalla fazione armena. Violenze tra armeni eazeri, in cui si distinguono particolarmente i primi che tentanodi stabilire la propria egemonia su gran parte del Caucaso me-ridionale, favoriscono il rafforzamento della componente na-zionale azerbaigiana che opta per una stretta collaborazionecon le autorità militari turche. Nell’aprile del 1918, Baku cadeintanto sotto il controllo dei rivoluzionari armeni del Dashnakche, attraverso la “Comune di Baku”, cercano di imporre il

DOI: 10.7348/imperienazioni02vagnini 45

Grande Assemblea Nazionale turca, scrive chiaramente a Le-nin che: “il Governo turco si assume l’impegno di dirigereoperazioni militari contro il Governo imperialista armeno e diinserire anche il Governo azerbaigiano nel gruppo degli Statibolscevichi” (F. Grassi, 2008). Il 27 aprile 1920 le truppe bol-sceviche entrano a Baku ponendo fine all’esistenza della Re-pubblica democratica dell’Azerbaigian. Nariman Narimanovviene nominato presidente dello Azrevkom, il comitato rivolu-zionario dell’Azerbaigian che assume il potere nella ex-repub-blica.

44

Page 23: Azerbaigian. Una lunga storia

nanziario e militare impopolare ed economicamente costoso,il governo britannico comincia a orientarsi verso quello cheormai sembra un inevitabile disimpegno. La situazione nelCaucaso meridionale continua comunque a essere estrema-mente tesa per tutto il 1920 a causa dei violenti conflitti etnici.L’Azerbaigian in particolare deve confrontarsi anche con laminaccia bolscevica (T. Swietochowski, 1985). L’Armata rossaminaccia infatti i confini del Paese la cui stabilità interna èmessa a rischio anche dalle attività clandestine dei comunisti.Fin dal marzo 1920 sono ormai evidenti le mire sovietiche suBaku e sulle sue preziose risorse petrolifere. L’instaurazionedel regime sovietico avviene il 28 aprile 1920 dopo la resa delgoverno legittimo di fronte all’invasione da parte dell’11^ Ar-mata sovietica, appoggiata dalle locali forze bolsceviche gui-date da Mirza Davud e Nariman Narimanov. L’inevitabile resadelle piccole sacche di resistenza che ancora si oppongono al-l’occupazione segue di poco e favorisce momentaneamente leambizioni dell’Armenia dove nel frattempo è fallito un tenta-tivo insurrezionale comunista. In effetti, dalla fine di quelmese, gli armeni controllano la quasi totalità dell’Azerbaigianoccidentale inclusi il Karabakh, il Nakhchivan e gran parte deldistretto di Kazakh-Shamshadin.

Sono tre i principali eventi che condizionano le vicendecaucasiche. Si tratta della lotta tra azerbaigiani e armeni per ilcontrollo del Karabakh; della sovietizzazione dell’Azerbaigiannell’aprile del 1920; e infine dell’invasione della Georgia nelfebbraio 1921.

Nei primi anni di dominazione sovietica, nonostante lostretto controllo esercitato dalle autorità moscovite, le disputeterritoriali tra Armenia e Azerbaigian non cessano del tutto. Ilcomitato rivoluzionario azerbaigiano (Asrevkom), pur nel-l’ambito delle esigenze del Partito, è infatti intenzionato a rap-presentare gli interessi “nazionali” dell’Azerbaigian e nel mag-gio 1920 richiede ufficialmente il ritiro delle bande armene dalNagorno-Karabakh e dal Zangezur. Queste richieste vengono

47

proprio controllo al Paese spingendo molti musulmani a rifu-giarsi a Ganja.

Alla fine di maggio, la Georgia si ritira dalla federazione edichiara la propria indipendenza incoraggiata dalla Germaniae ben presto seguita anche da Azerbaigian e Armenia. La suc-cessiva firma del trattato di Poti tra Georgia e Germania segnal’arrivo di una spedizione tedesca nel Caucaso mentre le forzenazionali azerbaigiane si concentrano presso Ganja in cercadel sostegno ottomano. I tentativi tedeschi di trovare un’intesacon i bolscevichi, impedendo un’ulteriore avanzata ottomanaverso l’Azerbaigian in cambio di garanzie sull’accesso alle ri-sorse petrolifere di Baku, si dimostrano alla lunga inconclu-denti mentre i diversi Stati caucasici cercano di trovare singo-larmente un definitivo accordo di pace.

La Repubblica Democratica dell’Azerbaigian viene ufficial-mente istituita il 28 maggio 1918, proprio nel momento in cuila crescente rivalità tra tedeschi e turchi per il controllo delCaucaso sta per raggiungere il suo picco. L’Azerbaigian, primarepubblica parlamentare musulmana al mondo, avrebbeavuto suo malgrado una vita piuttosto breve, resistendo allacostante minaccia sovietica appena due anni. Intanto il gio-vane Stato cerca di trovare una propria collocazione negli ul-timi convulsi mesi della Grande guerra. Il 4 giugno, Imperoottomano e Azerbaigian procedono alla stipula di un trattatodi amicizia e collaborazione che avrebbe di lì a poco permessodi riorganizzare le forze e procedere alla riconquista di Baku.Il fallimento militare delle forze bolsceviche rende infatti pos-sibile l’affermazione del primo Stato indipendente azerbai-giano che riesce a sopravvivere anche alla definitiva sconfittadell’Impero ottomano grazie al sostegno britannico.

Tuttavia, nell’autunno del 1919 si registra una svolta dram-matica nella guerra civile russa, con il progressivo indeboli-mento delle forze bianche. Di conseguenza, nel corso dell’in-verno, anche Londra inizia a ridisegnare le proprie prioritànell’area caucasica. Piuttosto che continuare in un impegno fi-

46

Page 24: Azerbaigian. Una lunga storia

mente rappresentato dall’espansione del fenomeno rivoluzio-nario negli altri Paesi. Già nel 1917, Lenin aveva sostenuto lanecessità di organizzare una Internazionale comunista (Co-mintern), poi costituita a Mosca nel marzo del 1919. Al suo se-condo congresso, che si tiene a Pietrogrado nel luglio del1920, cui partecipano circa 200 delegati, si stabiliscono i cri-teri di accesso al Comintern. Si crea un comitato esecutivo in-caricato di organizzare la diffusione della rivoluzione mon-diale e si pretende inoltre l’accettazione del principio del cen-tralismo democratico e della fedeltà alla Russia sovietica. A talfine il ruolo dell’Azerbaigian risulta di grande rilievo, visto ilsuo peso economico, la sua identità mussulmana e la sua col-locazione geografica, che ne fanno un ottimo punto di par-tenza per la diffusione del socialismo verso il Medio Oriente el’Asia centrale. Nel settembre del 1920, Baku ospita infatti ilprimo Congresso dei Popoli d’Oriente, un importante sep-pure vano tentativo di sviluppare un’azione politica da partedell’Unione Sovietica verso l’Asia. Dopo la sconfitta della Vi-stola però, i sovietici sono costretti a rivedere la propria strate-gia mentre diviene prioritaria la difesa dei confini dell’unicoStato socialista e tal fine, di primaria importanza, è anche lasoluzione della complessa questione delle autonomie nazio-nali, che coinvolge il centro così come l’immensa periferiadello Stato sovietico (F. Benvenuti, 1999; N. Werth, 2000; A.Graziosi, 2011). Inoltre, Georgia, Armenia e Azerbaigian nonpresentano una vera omogeneità sul piano etnico, poichécomprendono diverse minoranze al proprio interno, come an-che altre consistenti comunità appartenenti alle repubblichevicine. A tal proposito, la questione della delimitazione deiconfini interni si presenta ben presto come una priorità. Findal luglio del 1921, la dirigenza comunista caucasica aveva ap-provato l’idea di un’autonomia regionale, in considerazionedelle necessità economiche e del forte legame tra il Nagorno-Karabakh e l’Azerbaigian. Il 7 luglio, per decreto del comitatoesecutivo azerbaigiano dei Soviet della parte montuosa del

49

accolte dalle autorità di Erevan, anche se già in luglio nuoviscontri interetnici avvengono nel Karabakh, a Nakhchivan e aZangezur organizzati dai nazionalisti del Dashnak.

Nel novembre del 1920 la contesa tra Armenia e Azerbai-gian sembra chiudersi con l’occupazione della prima da partedell’Armata rossa. Questi avvenimenti segnano il consolida-mento del potere sovietico nel Caucaso meridionale.

La nascita della Repubblica Sovietica dell’Azerbaigian rap-presenta in effetti un momento decisivo per la stabilizzazioneregionale e assume al tempo stesso un valore ideologico e stra-tegico di primo piano. Baku rappresenta infatti un ottimopunto di partenza da cui, nelle speranze della dirigenza sovie-tica, sembra possibile sostenere l’espansione del comunismo eun’intensa attività di propaganda in direzione del MedioOriente e dell’Asia centrale.

Il 2 dicembre del 1920 i comunisti armeni assumono uffi-cialmente il potere a Erevan, benché le loro posizioni al difuori della capitale siano ancora piuttosto deboli. Per quantola componente comunista azerbaigiana, per bocca dello stessosegretario del Partito Narimanov, si dichiari fin da subito fa-vorevole alle “esigenze nazionali” e in particolare dei conta-dini, il problema dei confini con la nuova Repubblica Sovie-tica di Armenia rimane aperto.

La stabilizzazione del Caucaso meridionale

All’indomani della Rivoluzione, il grande obiettivo dei bol-scevichi è la costruzione del socialismo in un Paese dove peròil proletariato rappresenta solamente una piccola minoranzapoiché lo sviluppo industriale è ancora piuttosto arretrato. Laguerra civile e le difficoltà economiche costringono però Le-nin a ricorrere a misure d’emergenza che rendono necessarioil rinvio della costruzione di un nuovo sistema economico. Unaltro elemento centrale della strategia bolscevica è inizial-

48

Page 25: Azerbaigian. Una lunga storia

questo senso il principale strumento attraverso cui si affermail nuovo potere bolscevico che sul territorio può contare solodi scarsi sostegni dal punto di vista politico. In effetti, per quelche riguarda il Caucaso meridionale, anche se i sovietici nondevono confrontarsi con la resistenza armata che incontrano,per esempio nelle aree montane del nord, il confronto con lecomplesse e variegate realtà nazionali regionali rende comun-que la situazione particolarmente delicata.

Nelle tre repubbliche transcaucasiche, le autorità sovietichesi confrontano infatti con la necessità di cooptare o distrug-gere le élites locali, che nel caso dell’Azerbaigian si ricono-scono essenzialmente nel partito Musavat, che era stato ilprincipale ispiratore delle spinte indipendentiste. L’epura-zione della classe dirigente locale diviene quindi prioritaria,nonostante le numerose dichiarazioni nel senso di una colla-borazione pervenute da Mosca nel corso dei primi mesi deldominio sovietico. La fragilità del sostegno sovietico sul pianolocale – come l’assenza di quadri comunisti “autoctoni” – inqueste regioni crea un serio problema nella gestione del Par-tito.

Un aspetto prioritario dell’amministrazione sovietica conti-nua a essere rappresentato dalla questione delle nazionalità,che inizialmente i dirigenti bolscevichi ritenevano risolto “au-tomaticamente” con l’instaurazione dello Stato socialista. Lapolitica ufficiale sovietica nei confronti delle nazionalità avevaaffermato infatti il principio dell’autodeterminazione nel qua-dro complessivo di un sistema sovrannazionale socialista, cheperò non si era realmente attuato. La mancanza di quadri “na-zionali” adeguatamente preparati nonostante il ricorso perquanto possibile a dirigenti locali, soprattutto armeni e geor-giani, mette in luce le profonde difficoltà di una concreta rea-lizzazione del comunismo in tutte le aree del grande Stato so-cialista. I quadri comunisti azerbaigiani dunque rimanevanoancora assai limitati e perfino le stesse file operaie della repub-blica erano spesso di origine straniera. I successivi sviluppi sul

51

Karabakh, viene infatti creata la regione autonoma del Na-gorno-Karabakh (Oblast Nagorno-Karabaskaja Avtonomnaja– Nkao) nel quadro della Repubblica Socialista Sovietica del-l’Azerbaigian. In seguito vengono annesse al Nagorno-Kara-bakh anche altre aree di confine.

Il trattato di Kars del settembre 1922 – cui aderiscono i rap-presentanti di Turchia e delle repubbliche sovietiche di Azer-baigian, Armenia e Georgia, che due mesi dopo, entreranno afar parte dell’Unione Sovietica – segna la conclusione di unafase convulsa della storia del Caucaso. Il trattato stabilisce ladivisione del precedente distretto di Batumi, parte del gover-natorato di Kars, di cui l’area settentrionale viene unita allanuova Georgia sovietica e quella meridionale ceduta alla Tur-chia. Decide inoltre la nuova frontiera tra lo Stato sovietico ela Turchia, che si annette gran parte del vecchio governatoratodi Kars, con il monte Ararat e le città di Kars, Ardahan e Oltu.Si tratta di aree a quel punto saldamente sotto il controllo mi-litare turco e la modifica dei confini non fa altro che sanzio-nare un dato di fatto. Viene inoltre stabilito lo status delNakhchivan come territorio autonomo sotto la protezionedell’Azerbaigian. Questa linea era stata fortemente sostenutada �i�erin che già nel giugno del 1920 si era schierato a favoredell’autonomia di Karabakh, Zangezur e Nakhchivan. In baseal trattato, Turchia e Russia bolscevica avrebbero insieme ga-rantito l’autonomia del Nakhchivan che nel 1924 sarebbe di-venuta una exclave dell’Azerbaigian come Repubblica Sociali-sta Autonoma.

Con l’instaurazione del regime sovietico, si assiste a unadura repressione nei confronti di tutti gli oppositori politici,dai notabili del vecchio regime e dalle autorità religiose fino airappresentanti dei partiti che si sono formati a partire dal1917 e che, nel breve intervallo in cui la Transcaucasia ha go-duto di uno status di indipendenza, sono riusciti a consoli-darsi all’interno della complessa società locale. L’uso fre-quente della forza da parte dell’Armata rossa costituisce in

50

Page 26: Azerbaigian. Una lunga storia

l’organo principale dello Stato. Istituito con il secondo con-gresso dei Soviet, sotto la presidenza di Lenin, con la Costitu-zione del 1918 diviene responsabile di fronte al Congresso deiSoviet per l’amministrazione generale degli affari di Stato, an-che grazie alla possibilità di promulgare decreti con pieno di-ritto di legge quando il Congresso non fosse stato in sessione.Tra il 1921 e il 1922 però, le sue funzioni vengono progressi-vamente assunte dal Politburo del Comitato Centrale del Par-tito che prende in carico le responsabilità nella guida delloStato e soprattutto il suo sviluppo industriale.

Il 12 marzo 1922, a seguito di forti pressioni da parte diMosca, i governi di Azerbaigian, Armenia e Georgia si uni-scono per dare vita alla Repubblica Socialista Sovietica diTranscaucasia. Si tratta di un passaggio importante sulla via diuna definizione dei complessi rapporti all’interno delle repub-bliche sovietiche, che avviene prima della nascita formale del-l’Unione Sovietica e che è in parte giustificato anche dallascarsità di quadri locali che rendono consigliabile una qualche“razionalizzazione” delle risorse all’interno del Partito. IlConsiglio dell’Unione è composto dai rappresentanti delle trerepubbliche, che nel 1922 sono Nariman Narimanov (Azer-baigian), Polikarp Mdivani (Georgia) e Aleksandar Mia-snikyan (Armenia), mentre il posto di segretario del Partitocomunista della Transcaucasia è affidato a Ordzhonikidze.Negli anni successivi la repubblica svolge essenzialmente fun-zioni di controllo, dimostrandosi un utile strumento attra-verso il quale Mosca agisce con efficacia sul territorio. Il po-tere effettivo è generalmente nelle mani dei rappresentantigeorgiani che costituiscono la maggioranza all’interno del Pre-sidium e che spesso ne ottengono la presidenza.

Le nuove autorità sovietiche della Transcaucasia confer-mano, ancora una volta, la divisione amministrativa delle re-pubbliche della federazione. Comunque, né il trattato di Kars,né la costituzione contengono riferimenti ai cambiamenti rela-tivi alla zona montuosa del Karabakh dal momento che la sua

53

piano costituzionale e legislativo della politica delle naziona-lità avrebbero messo in luce le contraddizioni di uno Stato incui le numerose comunità nazionali avrebbero dovuto essereprima di tutto conquistate all’ideale socialista. Non stupiscedunque che all’interno delle entità amministrative locali ope-rasse il potere del Partito, strettamente vincolato per altro alledirettive del centro. Sul piano culturale molte sono le inizia-tive prese dai sovietici, come nel caso dell’alfabeto latino che,anche per recidere il legame con la cultura tradizionale, vieneadottato nel 1924. Il Caucaso è del resto un interessante labo-ratorio dove, grazie alla sua complessità etnica e religiosa, èpossibile sperimentare a tutti i livelli le politiche sulle naziona-lità.

Unione Sovietica, Stalinismo e Grande guerra patriottica

La presenza dell’Armata rossa in Azerbaigian permette laprogressiva riorganizzazione delle strutture statali e serve in-nanzi tutto a sostenere la costruzione in concreto del “sociali-smo”. Un Comitato rivoluzionario (Revkom) viene infatti isti-tuito con compiti amministrativi per affiancare proprio le au-torità militari nella prima fase di sovietizzazione.

Nella primavera del 1921 avviene un cambio decisivo sulpiano amministrativo con il passaggio dal Revkom ai Sovietveri e propri, inserendo dunque a pieno titolo l’Azerbaigiannell’apparato statale sovietico. Inoltre, nello stesso periodo, alfine di sostenere una piena ripresa del settore petrolifero, ilConsiglio supremo per l’economia nazionale (Vesenkha), isti-tuito fin dal 1917 per coordinare l’economia sovietica sotto lasupervisione del Consiglio dei Commissari del popolo (Sov-narkom), decide di canalizzare tutte le risorse disponibili ne-cessarie. L’impegno nel settore è in effetti massiccio. Vengonoscoperti e messi in funzione nuovi giacimenti nella baia diIlyich, a Lökbatan, Gala e Garachukur. Il Sovnarkom è infatti

52

Page 27: Azerbaigian. Una lunga storia

Zinovev – che viene definitivamente sconfitta solo nel 1927.Nel complesso, indipendentemente dai travagli del centro,

nelle aree periferiche del Caucaso gli anni Venti rappresen-tano un periodo di transizione, caratterizzato da numerosetrasformazioni sul piano politico, sociale ed economico. Nelquadro del nuovo Stato sovietico tutto il Caucaso meridionaleconosce infatti una costante evoluzione in netta contrapposi-zione con la precedente esperienza zarista, per quanto il pesodel centro nei confronti di questa lontana periferia si sarebbecontinuato a sentire anche negli anni successivi.

Sul piano economico, i primi anni Venti sono caratterizzatida numerose difficoltà. L’inizio dell’amministrazione sovieticacoincide con l’avvio della Nuova politica economica (Nep)che, con la sua attenzione alle esigenze dei contadini e la vi-sione tendenzialmente tollerante nei confronti della piccolaproprietà, facilita i contatti con la realtà contadina caucasica,nei confronti della quale lo stesso Lenin non esclude un ritmodi riforma più lento rispetto al resto dell’Unione Sovietica. Ineffetti, in tutto il Caucaso meridionale la stessa confisca delleproprietà terriere viene portata avanti con una certa cautela.D’altronde, nonostante le eccellenze petrolifere di Baku, l’A-zerbaigian, così come il resto del Caucaso meridionale, sonoessenzialmente aree a vocazione agricola e qui, come in Rus-sia, il processo di industrializzazione, per tutti gli anni Venti, èpiuttosto lento.

Nel 1929 Stalin avvia i grandi programmi di collettivizza-zione. La decisione di intervenire nel settore agricolo provocaperò molti malumori, poiché numerose sono le incognite le-gate ai progetti di sviluppo staliniano e alle possibilità per lasocietà sovietica di sostenere un simile sforzo. Si poneva infattiil problema sulla scelta industriale rischiosa per l’economiache avrebbe potuto provocare danni ulteriori e un netto peg-gioramento delle condizioni di vita della popolazione.

La massiccia campagna di collettivizzazione, che si sviluppain Urss fino al 1933, si trasforma inevitabilmente in una vio-

55

posizione amministrativa all’interno dell’Azerbaigian viene uf-ficialmente riconosciuta da tutti i membri della federazione.

Pochi mesi dopo, il 30 dicembre 1922, sempre in seguitoalle pressioni di Mosca, la Transcaucasia aderisce all’unionecon Russia, Bielorussia e Ucraina dando vita all’Unione Sovie-tica.

L’Urss deve ora affrontare una delle fasi più difficili dellasua storia, che passa attraverso la lotta interna per il potere e lasuccessione a Lenin e la costruzione di un’economia socialista.Nel corso degli anni Venti si manifesta infatti una spaccaturaall’interno della dirigenza bolscevica, da cui emergerà la figuradi Stalin, il quale ritiene centrale il primato del Partito e uti-lizza la sua posizione di segretario per favorire l’assegnazionedi posti di responsabilità nell’amministrazione, nei sindacati enei Soviet, a compagni di sua fiducia, creando così una vera epropria burocrazia di Partito. Nonostante l’opposizione dimolti esponenti di rilievo del Partito – primo tra tutti Trockij –dopo la morte di Lenin, la presa di Stalin sul Paese divienesempre più forte e gli permette di eliminare singolarmente e inmaniera definitiva qualsiasi alternativa al suo potere perso-nale.

Dopo la sconfitta di Trockij, l’opposizione a Stalin è rappre-sentata da Kamenev e Zinovev che vengono però rapidamentemessi in minoranza durante il XIV Congresso del Partito neldicembre 1925. In seguito a ciò, i due si alleano con l’opposi-zione di sinistra, ma anche in questo caso senza grandi risul-tati. Nel frattempo Stalin sostiene pubblicamente la necessitàdi costruire il socialismo all’interno dell’Unione Sovietica,mettendo da parte la rivoluzione mondiale, e propone di con-seguenza un massiccio sviluppo industriale basato sullo sfrut-tamento dei contadini al fine di reperire il surplus necessarioalla crescita industriale. Questa strategia comporta però con-seguenze gravissime sul piano sociale. In occasione del XVCongresso del 1926, Stalin assesta un ulteriore duro colpo al-l’opposizione interna – rappresentata da Trockij, Kamenev e

54

Page 28: Azerbaigian. Una lunga storia

ascesa, la sua riconosciuta capacità di garantire la stabilità po-litica elimina via via, e con grande decisione, ogni opposi-zione. Ha ormai il controllo assoluto sull’apparato del Partito,ha scelto direttamente la maggior parte dei funzionari chedunque sono legati a lui da vincoli di dipendenza personale,all’interno di un sistema che pone la nomenclatura del Partitoin ogni apparato dello Stato, con lui in posizione assoluta-mente dominante. Il controllo esercitato nei confronti dellasocietà civile e la razionalizzazione dei piani di sviluppo eco-nomico sono l’unico mezzo valido per garantire la sopravvi-venza del sistema socialista in un mondo ancora profonda-mente capitalista.

Il regime stalinista attua la feroce repressione di ogni formadi dissenso politico, inizia con l’eliminazione delle correnti in-terne e si intensifica con l’eliminazione dei kulaki e le Grandipurghe degli anni Trenta. Attraverso la deportazione digruppi sociali o nazionali ostili al regime – che vengono reclusiall’interno del Gulag in Siberia e nell’Asia centrale – il regimeesercita un notevole potere di coercizione e ottiene al tempostesso un’immensa riserva di manodopera.

L’apparato terroristico serve a mantenere il controllo sullasocietà eliminando qualsiasi forma di opposizione. Sotto Sta-lin la polizia politica, la �eka, poi Commissariato del Popoloper gli Affari Interni (Nkvd – Narodnyj Kommissariat Vnu-trennych Del), a partire dal 1934 diviene il principale stru-mento di repressione rendendo possibile la costruzione di unsistema di terrore e oppressione generalizzato. La Nkvd puòinoltre contare su un continuo flusso di denuncie che contri-buiscono a creare un’atmosfera di paura e di sospetto. Un ge-neralizzato ricorso alla tortura fisica e psicologica permette didistruggere gli imputati prima ancora che vengano inscenatibrevi processi farsa, benché la maggior parte degli accusativenga semplicemente eliminata senza alcun processo. Stalinriesce di fatto a eliminare ogni minaccia al proprio potere.

L’elemento centrale dei progetti di sviluppo è costituito dal

57

lenta azione repressiva ai danni della popolazione contadina,attraverso deportazioni verso la Siberia e il ricorso massiccioai lavori forzati. Molti saranno i contadini ridotti alla fame, co-stretti a consegnare quasi l’intero raccolto alle autorità. Laconseguenza immediata di quella collettivizzazione forzataporta infatti a una drastica riduzione della produzione di ce-reali, con una conseguente carestia, tra il 1932 e il 1933, checolpisce duramente soprattutto l’Ucraina. Le alte quote diproduzione richieste dalle autorità sovietiche lasciano infattiben poco a disposizione della popolazione agricola, causandofrequenti atti di ostruzionismo tra i contadini, che si spingonoin alcuni casi fino alla effettiva distruzione del raccolto e all’e-liminazione degli animali nelle fattorie.

L’inevitabile crisi del settore agricolo costringe la dirigenzasovietica a prendere misure drastiche nei confronti della po-polazione contadina, con requisizioni forzate e violenze. Talestrategia, però, porta a nuovi contrasti all’interno del Partito,dove una parte, capeggiata da Bucharin, chiede un rallenta-mento dei piani industriali considerati eccessivamente squili-brati e dannosi sul piano sociale. La strategia economica nonsubisce però modifiche significative e nell’inverno 1928-1929si registra una forte penuria di pane a Mosca e Leningrado. IlPartito si concentra negli obiettivi economici, accelerandol’industrializzazione e portando avanti una dura campagnacontro i kulaki, contadini benestanti, visti come nemici dellosviluppo economico voluto da Stalin. Bucharin viene a questopunto progressivamente emarginato e finisce in disgrazia, vit-tima della propaganda stalinista. È la definitiva vittoria di Sta-lin. Nell’aprile 1929 viene adottato il primo piano quinquen-nale, che segna il vero inizio del massiccio sviluppo industrialein Unione Sovietica. Nel dicembre dello stesso anno si avvia ilprocesso di “costruzione” del culto della personalità che nelgiro di alcuni anni trasformerà Stalin in padre e artefice unicodel socialismo sovietico. Il suo trionfo è completo. La sua abi-lità di moderare le diverse anime del Partito favorisce la sua

56

Page 29: Azerbaigian. Una lunga storia

strategici quali quello del carbone e del petrolio non vengonoraggiunti i livelli di produzione prestabiliti. Queste difficoltàsono legate sia a problemi strutturali che a un eccesso di slan-cio nella produzione quantitativa a discapito però dell’aspettoqualitativo, che tuttavia, soprattutto nel settore delle infra-strutture e nella costruzione di macchinari, ha un peso deter-minante. I tassi di crescita nel settore industriale si aggiranoattorno al 12-13% garantendo una crescita sostenuta per tuttigli anni Trenta.

Il ruolo dell’Azerbaigian nello sviluppo accelerato dell’in-dustria sovietica è determinante. Vengono rapidamente nazio-nalizzate le miniere e i giacimenti petroliferi e in seguito ancheil settore dei trasporti e la produzione cotoniera. L’economiadel Paese è sempre più incentrata sulla produzione di petrolioma anche nel settore agricolo vengono avviati grandi progettiche portano, nel 1929, all’istituzione di un vasto complesso dikolchoz che fa dell’Azerbaigian il secondo produttore di tè al-l’interno dell’Unione Sovietica. Inoltre, dopo una prima fasedi violenta repressione nei confronti di quanti si opponevanoalla collettivizzazione, nel corso dell’inverno 1929-1930, dopoun diretto intervento di Stalin, viene posto un momentaneofreno alle violenze, anche mettendo sotto accusa singoli fun-zionari. Questo breve periodo di tregua si chiude però nelfebbraio del 1931 con la ripresa delle collettivizzazioni cheprocedono a ritmo accelerato fino alla conclusione del Pianoquinquennale. In tutta l’area caucasica, Azerbaigian com-preso, la riorganizzazione del settore agricolo su base collet-tiva sia avvale comunque di un ricorso sistematico alla vio-lenza benché questa parte dell’Unione Sovietica registri nelcomplesso tassi di collettivizzazione inferiori alla media.

L’impegno profuso nella produzione durante i primi pianiquinquennali accresce ulteriormente il peso dell’Azerbaigiannell’economia sovietica. Nel 1931 infatti, la produzione petro-lifera azerbaigiana ha ormai raggiunto livelli superiori al 60%della produzione totale sovietica ottenendo anche nel marzo

59

piano quinquennale all’interno del quale si inseriscono informa più o meno razionale tutti gli sforzi sia per il settore in-dustriale che per quello agricolo. Il Primo piano quinquennaleè introdotto a partire dal 1929, l’organo responsabile dellapianificazione economica è la Commissione Statale per la Pia-nificazione (Gosudarstvennoe Planovij Komitet – Gosplan).Nel complesso si favorisce un enorme sviluppo dell’industriapesante a discapito della produzione di beni di consumo. Ven-gono inoltre avviate numerose opere pubbliche, canali, dighe,attivazione di miniere, finalizzate a trasformare in brevetempo l’Unione Sovietica in una grande potenza industriale.Molte sono comunque le pecche del sistema, che risentespesso di un eccesso di propaganda che se da un lato rappre-senta un’immensa risorsa per mobilitare la popolazione, altempo stesso provoca assurde contraddizioni in molti settorichiave. Il risultato principale però, ovvero l’aumento massic-cio della produzione, viene senz’altro raggiunto, tanto che ilPrimo piano quinquennale viene dichiarato ufficialmentechiuso con un anno di anticipo rispetto alle previsioni iniziali.Nello stesso periodo, al contempo, si assiste a un cambia-mento significativo nella struttura della società sovietica. Tra il1928 e il 1940 infatti, il numero dei lavoratori del settore in-dustriale, comprensivo dei trasporti e delle costruzioni, passada circa quattro milioni e mezzo a oltre dodici milioni, dimo-strando come di fatto l’Urss sia ormai divenuta una potenzaindustriale.

Nonostante il persistere di alcuni problemi l’economia pia-nificata si è dimostrata un valido strumento per una rapidacrescita produttiva e le autorità sovietiche decidono di avviareun Secondo piano quinquennale nel 1933, che si concentra inmodo ancora più marcato sull’aumento della produzione in-dustriale. La conseguenza di ciò è una spettacolare crescita nelsettore dell’acciaio che pone l’Unione Sovietica a livelli di pro-duzione simili a quelli della Germania. I risultati del nuovopiano non sono però uniformi, tanto che proprio in settori

58

Page 30: Azerbaigian. Una lunga storia

sommari ma ha anche una straordinaria componente “legale”attraverso i grandi processi a fini propagandistici che si svol-gono tra il 1936 e il 1938. Il primo grande processo si tiene aMosca nell’agosto del 1936 e viene comunemente ricordato, acausa del numero degli imputati, come “processo dei sedici”.I principali accusati sono Kamenev e Zinovev insieme ad altriimportanti esponenti del Partito, membri della cosiddetta op-posizione di sinistra. Tra i numerosi processi, quelli di mag-gior rilievo sono i tre grandi processi pubblici svoltisi davantial Tribunale del collegio militare della Corte Suprema dell’U-nione Sovietica a Mosca, oltre al grande processo segreto con-tro alcuni tra i più alti ufficiali dell’Armata rossa, il cosiddetto“processo dei diciassette”, che si svolge nel gennaio del 1937,in cui sono coinvolti molti esponenti del Partito (D.R. Shearer,2009). Nel giugno di quell’anno si tiene anche il “processo de-gli ufficiali”, nel quale l’imputato principale è il marescialloTucha�evskij, oltre ad altri sette generali, condannati e giusti-ziati con una sentenza che di fatto apre le persecuzioni nel-l’ambito delle forze armate.

All’inizio del 1938 si svolge a Mosca il terzo grande pro-cesso pubblico che colpisce i principali esponenti dell’opposi-zione di destra, tra i quali Bucharin, Rykov e Jagoda.

A differenza di altre zone dell’Unione Sovietica, l’Azerbai-gian è toccato solo marginalmente da tali eventi, anche se lepersecuzioni staliniane nella repubblica caucasica sono co-munque significative.

Infatti, anche nel Caucaso meridionale, a partire dal 1937,si sviluppa una violenta azione di repressione che colpiscetutti i livelli della società sovietica. La violenza coincide inparte con la ritrovata autonomia delle tre repubbliche delCaucaso meridionale e si rivolge in particolare ai rappresen-tanti delle élites locali. Prima ancora dell’avvio delle purghe,una dura repressione si abbatte sui membri locali del Partito,spesso accusati di generiche tendenze “nazionali”, che coin-volgono i rappresentanti armeni. In Azerbaigian il nuovo se-

61

di quell’anno l’Ordine di Lenin. Nel 1935 viene attribuito unsecondo riconoscimento confermando l’importante ruolo del-l’Azerbaigian che nel corso del Secondo piano quinquennalechiuso nel 1937 appare al terzo posto per livelli di capitale in-vestito all’interno dell’Unione Sovietica (M. McCauley, 2000).

Nel dicembre 1936, intanto, la Rssf di Transcaucasia vienedivisa in tre repubbliche distinte fra le quali anche la Repub-blica Sovietica Socialista dell’Azerbaigian. Un peso determi-nante in questa decisione deve essere sicuramente attribuito airitardi e alle dispute interne che avevano reso poco efficace ilfunzionamento della federazione. La decisione di ricostituiretre entità separate rispondeva dunque a un’esigenza di oppor-tunità politica. Dopo alcuni mesi di preparazione anche lanuova costituzione dell’Azerbaigian viene quindi varata nelmarzo del 1937 dal Congresso straordinario dei Soviet dell’A-zerbaigian.

Questi sono anche gli anni del grande terrore staliniano, ca-ratterizzati dai grandi processi farsa e da una forte azione re-pressiva, voluta e diretta da Stalin, che sconvolge l’Unione So-vietica della seconda metà degli anni Trenta. Sarà lo stesso Sta-lin, nel dicembre del 1934, ad approfittare dell’omicidio di Ki-rov per epurare il Partito dai presunti cospiratori e assicuran-dosi in tal modo la fedeltà dell’apparato. Le vittime delle pur-ghe, tuttavia, sono anche semplici cittadini che nelle mani delNkvd si trasformano in “pericolosi traditori”. Il biennio 1937-1938 è quello in cui più numerose sono le vittime della repres-sione. Per allestire i grandi processi politici viene utilizzato unampio campionario di false accuse, generalmente riguardantisabotaggi o attività spionistica, che in molti casi vengono con-fermate dagli stessi accusati, costretti nel corso di durissimi in-terrogatori (o per un malinteso senso di fedeltà alla causa so-cialista). Nello stesso periodo vengono colpiti i vertici dell’Ar-mata rossa, con l’eliminazione di gran parte degli ufficiali su-periori.

La repressione è eseguita per lo più attraverso procedimenti

60

Page 31: Azerbaigian. Una lunga storia

sco. La guerra coinvolge inevitabilmente anche il Caucaso.Nel corso dei primi mesi di guerra, l’Azerbaigian produce lacifra record di oltre venticinque milioni di tonnellate di petro-lio grazie allo sforzo di tutto l’apparato politico e delle mi-gliaia di lavoratori che si impegnano con grande slancio volon-tario.

Fino al 1942 tuttavia il fronte è ancora lontano e il valoredel contributo delle repubbliche caucasiche e dell’Azerbai-gian in particolare risiede essenzialmente nella fornitura di pe-trolio e di uomini per l’Armata rossa. La Germania è però in-teressata alle risorse del Caucaso e a Baku in particolare.Dopo le difficoltà affrontate nel primo inverno di guerra sulfronte orientale, i piani operativi tedeschi prevedono suespresso desiderio di Hitler, un’offensiva in direzione sudverso il Caucaso (Fall Blau). La conquista dei pozzi petroliferigarantirebbe ai tedeschi le risorse necessarie ad affrontare laminaccia degli Alleati mettendoli in condizione di resistere atempo indefinito. Gli obiettivi sono anche la conquista dellearee carbonifere del Donbass, il Kuban e il raggiungimento diuna linea stabile tra Don e Volga. Inizialmente, il fronte vienesfondato a est di Kursk con un’avanzata in direzione del Done Vorone�. I tedeschi procedono poi lungo la sponda occiden-tale del fiume prima di dirigersi su Rostov e Stalingrado (B.Liddell Hart, 1966). Assicuratisi i fianchi, le forze tedesche sidirigono quindi verso sud per raggiungere Maykop, Grozny einfine Baku. L’offensiva lanciata nell’estate del 1942 porta letruppe tedesche a occupare buona parte del Caucaso setten-trionale fino ai confini della Cecenia, ancora lontano quindidai grandi giacimenti petroliferi azerbaigiani. Questa azione sidimostrerà disastrosa per le forze tedesche aprendo la stradaalle devastanti controffensive sovietiche. Pur avendo rag-giunto le pendici del Caucaso infatti le forze tedesche, bloc-cate a Stalingrado e costrette a condurre una disperata batta-glia dopo essere state accerchiate dai sovietici, abbandonanoanche i territori occupati nel sud per evitare di rimanere ta-

63

gretario del Partito, Mir Jafar Baghirov, apre una fase di durarepressione – che non risparmia neanche i vecchi membri delPartito – nei confronti di intellettuali, di artisti e di quanti nelcomplesso sono ritenuti portatori di ideali nazionali. Nelcorso delle “grandi purghe” l’Azerbaigian, come le altre re-pubbliche caucasiche, subisce la perdita di numerosi espo-nenti dell’élite politica e culturale in percentuali anche supe-riori a quelle del resto dell’Unione Sovietica. I colpi inflitti amolti rappresentanti della cultura locale dimostrano senzaombra di dubbio l’intenzione di limitare qualsiasi pretesa diautonomia nazionale.

Il difficile contesto internazionale avrebbe ulteriormenteaccresciuto il valore dell’Azerbaigian. Il 1° settembre del 1939quando la Germania invade la Polonia dando inizio alla se-conda guerra mondiale, Mosca assume un ruolo decisivo inquesti eventi, avendo sottoscritto in precedenza un trattatocon Berlino che prevedeva la spartizione in zone d’influenzadell’Europa orientale e partecipando dunque nel concreto al-l’occupazione di una parte della Polonia. Fino alla primaveradel 1941, l’Urss è di fatto un alleato del Reich verso il qualeesporta tra l’altro ingenti quantità di materie prime. Il pattoRibbentrop-Molotov pone infatti concretamente l’Unione So-vietica a fianco dello sforzo bellico tedesco grazie alle im-mense partite di materie prime che Mosca garantisce alla Ger-mania. In tal senso anche il contributo dell’Azerbaigian è no-tevole, tanto che i comandi britannici in Medio Oriente arri-vano a considerare persino l’opportunità di un attacco pre-ventivo inteso a bloccare la produzione petrolifera della re-gione di Baku. L’attacco tedesco del giugno 1941 cambia ov-viamente la situazione, trasformando il petrolio azerbaigianoin un elemento essenziale per la lotta contro l’Asse, la cui di-fesa diviene quindi prioritaria anche per i britannici.

Nel giugno di quell’anno, però, Hitler dà il via all’opera-zione Barbarossa il cui obiettivo è la distruzione del bolscevi-smo e la conquista dello spazio vitale per il grande Reich tede-

62

Page 32: Azerbaigian. Una lunga storia

dalle forze sovietiche nell’agosto del 1941 per ragioni strategi-che e le autorità sovietiche, alla fine del conflitto, speravano dimantenere queste posizioni e di usarle per condizionare la po-litica iraniana a proprio vantaggio. La presenza delle forze so-vietiche nella regione porta anche a una parziale rinascita disentimenti nazionali azerbaigiani su entrambi i lati del con-fine, anche in prospettiva di una possibile annessione della re-gione all’Unione Sovietica. L’accordo raggiunto nel 1946 conil governo iraniano e il ritiro delle truppe sovietiche avrebbeperò posto fine a speranze in tal senso.

Al termine della guerra, si ripropone anche la questione delKarabakh. Nel novembre 1945, il Segretario del ComitatoCentrale dell’Armenia, Arutjunov, avanza ufficialmente la ri-chiesta di un’unione della Regione autonoma alla Repubblicasocialista sovietica armena. In risposta a tale iniziativa, Ma-lenkov, su ordine di Stalin, inizia a sondare le intenzioni delladirigenza azerbaigiana. La risposta del Segretario azerbai-giano Baghirov, è in linea di massima favorevole, in cambioperò di una cessione all’Azerbaigian di alcune aree di confine.Le trattative tuttavia non si concretizzeranno e la questioneverrà di conseguenza nuovamente messa da parte. Intanto,sulla base di una decisione del Consiglio dei ministri dell’Ursstra la fine del 1947 e il marzo 1948, Mosca organizza un par-ziale trasferimento della popolazione azerbaigiana nelle areedi confine tra Armenia e Azerbaigian, che dovrà concludersientro il 1950.

I primi anni del dopoguerra sono nel complesso un periododifficile in cui si risente le conseguenze dei sacrifici sostenutidurante il conflitto, soprattutto per quanto riguarda la scarsitàdi beni di consumo che perdura fino all’inizio degli anni Cin-quanta. La repressione riprende con vigore facendo ben pre-sto scomparire molte delle concessioni fatte da Mosca neglianni di guerra.

Sul piano economico, il periodo che segue la Secondaguerra mondiale vede una progressiva ripresa dei piani di svi-

65

gliate fuori e annientate. Approfittando del ripiegamento te-desco, il 17 gennaio il Fronte Transcaucasico lancia un attaccosu vasta scala, rallentato però dalle difficili condizioni del ter-reno. I tedeschi sono comunque costretti a ritirarsi definitiva-mente dal Caucaso.

Durante il conflitto l’intero Caucaso diviene un importantecentro produttivo al servizio dello sforzo bellico sovietico. Ol-tre al petrolio azerbaigiano, tutta la produzione industriale au-menta sensibilmente, come il settore agricolo che dà anche ungrande contributo. In Azerbaigian, a differenza di molte areedel Caucaso settentrionale, la fedeltà alla causa sovietica è ge-neralizzata e si registrano solo pochi, trascurabili episodi disostegno ai tedeschi. Nel complesso, su una popolazione dipoco superiore ai tre milioni, il contributo degli azerbaigianiallo sforzo bellico è considerevole. Si calcola infatti che quasiun quinto della popolazione abbia preso parte alla guerra,comprese molte donne, mentre i caduti raggiungono circa lametà degli arruolati. Questi dati spiegano perché l’Azerbai-gian non sia stato interessato dai fenomeni di repressione dellenazionalità che invece si sviluppano nelle aree del nord. Le re-pubbliche transcaucasiche vengono riconosciute fin da subitofedeli all’Unione Sovietica e ricompensate con numerose con-cessioni di carattere politico e culturale.

Dalla Guerra Fredda alla ritrovata indipendenza

La fine del conflitto segna una nuova fase per la storia del-l’Azerbaigian. La Repubblica ha infatti dato un contributoinestimabile alla vittoria sovietica e la nuova situazione dipace, così come la necessità di stabilizzare la posizione sovie-tica in Medio Oriente, contribuiscono a rafforzare il ruolo del-l’Azerbaigian nella strategia sovietica. Nel 1946, Mosca tentadi insediare un regime comunista separatista nelle regioniazerbaigiane del nord dell’Iran. La regione era stata occupata

64

Page 33: Azerbaigian. Una lunga storia

gani direttivi, con l’ampliamento del Comitato Centrale e delPresidium. Dopo la sua morte avvenuta nel marzo 1953, siscatena la lotta per la successione. Di fronte al rischio di unasuccessione a favore di Berija, gli altri vertici del Partito tra cuiMalenkov, Molotov e Bulganin decidono di sostenere NikitaChru��ëv. Berija viene quindi emarginato e imprigionato, peressere poi giustiziato nel dicembre di quell’anno.

Chru��ëv, ormai al potere, sorprende i delegati al XX Con-gresso del Pcus nel febbraio del 1956 denunciando pubblica-mente gli eccessi dello stalinismo e soprattutto il culto dellapersonalità. Il nuovo segretario del Partito intraprende quindiuna serie di interventi mirati a rivitalizzare l’economia sovie-tica e interviene con importanti decisioni in merito alle mino-ranze delle repubbliche non russe. Il Presidium del ComitatoCentrale stabilisce, per esempio, che il segretario di ogni re-pubblica deve essere un dirigente locale, favorendo in talmodo la formazione di una élite locale, fedele al Partito.

A partire dal 1958 il controllo di Chru��ëv sullo Stato ècompleto, anche se molti rimangono ancora dubbiosi sulle suecapacità, soprattutto per quanto riguarda la politica estera. Lasua visione degli Stati Uniti come una potenza rivale piuttostoche come nemico e le critiche allo stalinismo causano inevita-bilmente contrasti con la Cina di Mao.

In questi anni il Caucaso vive un periodo di relativa tran-quillità. Il potere del Partito si manifesta essenzialmente attra-verso burocrati locali, che eseguono gli ordini del centro,mantenendo però un contatto con la popolazione e una par-venza di “autonomia nazionale”. La crescita economica rendepossibile un miglioramento delle condizioni di vita e rafforzala presa del Partito sulla società. Tuttavia le condizioni dimolte aree dell’Azerbaigian, come molte altre del Caucaso set-tentrionale, rimangono sensibilmente inferiori alla media so-vietica. L’Azerbaigian, seppur importante per l’economia so-vietica, resta comunque marginale e dipendente dai rapporticon il centro che nel quadro di un’economia pianificata gene-

67

luppo per quanto l’attenzione continua a essere puntata sulleesigenze delle Forze armate. La ricostruzione assorbe comun-que una parte considerevole delle risorse disponibili, anche sel’Azerbaigian non figura tra le aree che hanno subito i dannidell’occupazione tedesca. La repubblica caucasica non condi-vide infatti le dure condizioni di vita imposte a gran partedella regioni europee dell’Unione Sovietica, dove gli anni dilotta contro l’invasore tedesco hanno portato alla distruzionedi un enorme capitale umano, agricolo e industriale. Le per-dite di macchinari e soprattutto di capi di bestiame hanno ri-dotto le capacità produttive di aree come l’Ucraina e la Russiacentrale, milioni di edifici, centinaia di ponti e stazioni ferro-viarie, migliaia di impianti industriali, grandi e piccoli, sonoandati distrutti.

La ricostruzione viene però ostacolata da una cronica man-canza di manodopera a causa delle perdite subite durante laguerra, tanto che i livelli di produzione in molti settori-chiavesono ancora insufficienti a rilanciare i grandi piani di sviluppodi Stalin. Nel 1946, una grave crisi nella produzione agricolapeggiora ulteriormente la situazione. Il Quarto Piano quin-quennale risente di molti di questi problemi, anche se a par-tire dal 1947 la situazione complessiva della popolazione regi-stra i primi significativi miglioramenti e molte aree urbane,come Baku, registrano anche un considerevole sviluppo.

Nel 1949, la nascita del Comecon che riunisce i vari Paesidel blocco socialista nel quadro di una programmazione eco-nomica segna l’inizio di una nuova fase nello sviluppo econo-mico dell’Urss. Nei primi anni Cinquanta viene messo in fun-zione il primo impianto offshore e inizia una nuova fase espan-siva nel campo petrolifero. Nel 1952 finalmente la produzioneagricola supera, anche se di poco, i livelli raggiunti nel 1940 ela produzione industriale nello stesso anno si raddoppia ri-spetto al 1940. All’inizio del 1953 l’Unione Sovietica è sul-l’orlo di una nuova fase di purghe. Alcuni mesi prima, Stalinaveva previsto profonde modifiche alla composizione degli or-

66

Page 34: Azerbaigian. Una lunga storia

il Paese diviene il primo produttore mondiale di petrolio e diacciaio. Progressivamente però la capacità di sviluppo dinuove tecnologie risulta compromessa, mentre l’Urss si avviaverso un’inesorabile collasso economico. La pianificazione in-fatti si dimostra molto rigida e non riesce a garantire un validosostegno ai piani delle autorità politiche. Anche per tali mo-tivi, l’Azerbaigian registra in questi anni un basso tasso di cre-scita economica rispetto al resto dell’Urss.

I rapporti tra le nazionalità rimangono invece piuttosto sta-bili, anche se esistono alcuni casi significativi come quello delNagorno-Karabakh il cui status, dopo Chru��ëv viene pro-gressivamente messo in discussione dagli armeni che nel corsodegli anni Sessanta protestano apertamente a Erevan. La finedello stalinismo ha permesso una parziale apertura sul temadelle nazionalità che però, soprattutto nelle repubbliche dovepiù forte è la tradizione culturale autoctona, prelude a un ac-ceso contrasto con l’ideologia ufficiale. A differenza delle areebaltiche o della stessa Armenia, l’Azerbaigian non esprimemarcati sentimenti nazionalisti e non vi è dunque traccia diparticolari rivendicazioni. Tuttavia la situazione non è dellemigliori e anche per tale motivo, nel 1969 Mosca decide di no-minare Heydar Aliyev alla guida del Partito in Azerbaigian.L’azione del nuovo Segretario si dimostra inizialmente efficacesoprattutto sostenendo altri settori industriali a discapito diquello petrolifero dove i margini di crescita sembrano ormaipiuttosto limitati. Sotto la sua guida si consolida inoltre ilruolo della componente locale del Partito.

I problemi economici riguardano però tutta l’Unione Sovie-tica. Infatti, se tra il 1956 e il 1970 la produzione agricola del-l’Unione Sovietica registra una discreta crescita per quanto inrealtà i livelli previsti dai piani di sviluppo siano spesso man-cati, nel corso degli anni Settanta, al contrario, le debolezzedella produzione agricola sovietica si accumulano fino a tra-sformare – per esempio – il Paese in un importatore netto digrano.

69

rano non pochi problemi allo sviluppo della repubblica cauca-sica.

La destalinizzazione porta un sensibile miglioramento nelsettore educativo e nelle condizioni di vita di buona partedella popolazione, per quanto questi risultati si accompagninoalla tendenza verso un’uniformità culturale nel quadro di una“identità sovietica” a discapito quindi delle peculiarità dellacultura locale.

Sul piano culturale, la gestione di Chru��ëv inaugura unafase di parziale apertura alle istanze nazionali che verrà mante-nuta negli anni successivi, soprattutto aumentando il peso deidirigenti locali all’interno del Partito. Tuttavia va anche consi-derato che spesso a un primo segretario locale esponente dellanazionalità maggioritaria è stato affiancato un vice di originerussa. Grandi risultati vengono ottenuti nel settore educativograzie ad un sensibile miglioramento delle condizioni scolasti-che in tutto l’Azerbaigian.

Nel 1964 Chru��ëv, considerato da molti responsabile diaver commesso gravi errori nel confronto con gli Stati Unitisulla questione di Cuba e di non aver saputo riorganizzare l’e-conomia sovietica, viene messo da parte. Leonid Bre�nev e al-tre figure di primo piano del Partito organizzano una cospira-zione che porta alle sue “dimissioni” dalle posizioni nel Par-tito e nel governo. In seguito, il Segretario del Partito Bre�neve Aleksej Kosygin divengono le figure più influenti di quellache si configura inizialmente come una dirigenza collettiva,tecnocratica.

L’Unione Sovietica è ormai una società pienamente indu-strializzata, dotata di un immenso arsenale militare, che necondiziona però lo sviluppo economico benché per tutti glianni Sessanta si registrino ancora discreti margini di crescita. Isensibili miglioramenti sul piano della produttività rendonopossibile l’avvio di una fase senza dubbio positiva, che si ri-flette anche nei successi tecnologici del primo decennio post-stalinista. La produzione industriale aumenta ulteriormente e

68

Page 35: Azerbaigian. Una lunga storia

del 1990 è eletto presidente dell’Unione Sovietica.Per quel che riguarda il Caucaso meridionale, in seguito al

Plenum del Comitato Centrale del Partito dell’Urss dell’aprile1985, sotto la spinta delle aperture legate alla fase della Pere-strojka la componente armena del Karabakh ricomincia a ma-nifestare i propri sentimenti unionisti nei confronti dell’Arme-nia. Glasnost e Perestrojka, su cui si basano i piani di riformadi Gorba�ëv, nonostante le aspettative di molti, producono unvero e proprio terremoto all’interno dell’Unione Sovietica,aprendo al tempo stesso una serie di questioni che il regimecomunista sembrava aver messo definitivamente da parte. Idifficili rapporti tra le nazionalità della federazione e la minac-cia del separatismo rappresentano forse il tema più delicato daaffrontare per i leader sovietici.

Il separatismo del Karabakh emerge pubblicamente a Pa-rigi durante il Congresso nazionale armeno del 1987, mentrestudiosi e intellettuali armeni e azerbaigiani aprono un’accesadisputa sui diritti “storici” delle rispettive comunità, che sitrascina per mesi nella stampa sovietica.

Nel 1987-1988, il Politburo, allarmato per il crescere dellacrisi nei rapporti tra le due nazionalità, introduce una sorta dimoratoria nei mezzi di comunicazione sul tema del Karabakh,sperando con ciò di riuscire a controllare la tensione nel Cau-caso meridionale. Verso la fine del 1987, con l’annuncio espli-cito delle pretese territoriali degli armeni sul Nagorno-Kara-bakh, ha inizio la “cacciata” degli azerbaigiani dalla Repub-blica Socialista Sovietica armena. Si tratta di un’azione che ap-pare pianificata a tavolino e che ha come fine quello di garan-tire la maggioranza armena nelle regioni contese. In Azerbai-gian cominciano quindi ad arrivare i primi profughi mentre sidiffondo le notizie delle violenze. In quell’anno sono in moltia perdere la vita, benché sia la stampa sovietica che quellamondiale prestino ancora scarsa attenzione a ciò che sta avve-nendo tra Armenia e Azerbaigian.

Il 12 luglio 1988, il Soviet del Nagorno-Karabakh, a mag-

71

Alla morte di Bre�nev nel 1982 segue un breve periodo incui alla guida dell’Urss si susseguono tre Segretari generali, Ju-rij Andropov, Konstantin �ernenko e infine MichailGorba�ëv. Nel 1982 inoltre Aliyev entra a far parte del Polit-buro accrescendo sensibilmente la rappresentatività dell’A-zerbaigian presso gli organi centrali.

Nel marzo del 1985, alla guida del Comitato Centrale vienenominato Gorba�ëv. La sua politica di riforme dà il via a nu-merosi processi di cambiamento basati su parole d’ordinequali Glasnost (trasparenza), Perestrojka (ristrutturazione) eUskorenie (accelerazione dello sviluppo economico). I propo-siti del nuovo Segretario generale sono resi pubblici in occa-sione del XXVII congresso del Pcus, nel febbraio del 1986. Sitratta di un momento decisivo per tutto il blocco orientale cheavrà significative ricadute anche negli altri Paesi socialisti(A.F. Biagini, 1997).

Tra le conseguenze di questa nuova stagione politica figuraanche il progressivo abbandono della competizione militare etecnologica con gli Stati Uniti, soprattutto nel campo degli ar-mamenti nucleari. Nell’ottobre del 1986, Gorba�ëv incontra aReykjavík il presidente statunitense Ronald Reagan per discu-tere la riduzione degli arsenali nucleari installati in Europa.Nel 1987 segue la firma di un trattato che prevede l’elimina-zione delle armi nucleari a medio raggio. Nello stesso anno,Aliyev è costretto a dimettersi dal Politburo a causa dei suoicontrasti con Gorba�ëv.

Nel 1988 Gorba�ëv annuncia la fine della dottrina Bre�nev,permettendo di fatto ai Paesi del blocco sovietico di riconqui-stare autonomia decisionale nelle politiche economiche e nellerelazioni internazionali, segnando la fine del sistema degli statisatelliti e liberando Mosca dai costi economici legati al mante-nimento di forze militari ormai insostenibili.

Nel settembre del 1988 Gorba�ëv assume anche la carica dicapo dello Stato rafforzando ulteriormente la propria posi-zione all’interno dell’apparato del Partito e infine il 15 marzo

70

Page 36: Azerbaigian. Una lunga storia

Verso la fine del 1988, il numero dei profughi provenientidall’Armenia e dai territori azerbaigiani occupati è già salito apiù di duecentomila. Nel settembre del 1989, il Soviet su-premo della Repubblica Socialista Sovietica azerbaigiana,sotto la pressione del Fronte popolare azerbaigiano, movi-mento da cui sarebbero nati in seguito i partiti del nuovoAzerbaigian indipendente, approva una legge sulla sovranitàeconomica statale, con la quale si confermano i diritti sul Na-gorno-Karabakh e su Nakhchivan, così come l’inviolabilità deiconfini della Repubblica. Di particolare interesse l’afferma-zione del diritto di secessione dall’Urss attraverso un referen-dum popolare, che ovviamente provoca la forte opposizionedi Mosca.

In Azerbaigian, la perestrojka non suscita reazioni imme-diate, ma rappresenta l’opportunità per avviare i primi timiditentativi di ricostruire una rappresentanza della società civile,spesso in risposta all’emergenza dei profughi provenienti dalKarabakh. Nell’estate del 1988 si costituisce il Fronte popo-lare dell’Azerbaigian, sotto la guida di Abulfaz Elchibey, cheinserisce nel proprio programma la democratizzazione delPaese, la fine della dipendenza politica ed economica da Mo-sca e una migliore distribuzione delle risorse economiche al-l’interno della repubblica. Il Fronte Popolare, cui aderisconoindividualmente numerosi cittadini, riunisce diverse organiz-zazioni sorte nel corso degli anni Ottanta e riesce rapidamentead affermarsi come principale forza politica del Paese, sosti-tuendo di fatto il Partito comunista. Tuttavia, alla fine del1989, si manifestano alcune spaccature tra le diverse compo-nenti del movimento. Le agitazioni interetniche rendono peròparticolarmente difficile controllare la situazione e creano lecondizioni per violente manifestazioni di piazza, represse condurezza dalle autorità sovietiche.

Tra il 1988 e il 1989 i primi moti nazionalisti nel Caucaso enei Paesi baltici sfociano in disordini e violenze interetniche.Di fronte a queste minacce all’integrità territoriale e politica

73

gioranza armena, proclama, in assenza dei deputati azerbai-giani, l’uscita della regione autonoma dalla Repubblica Socia-lista Sovietica azerbaigiana. Questo atto viene discusso nellaseduta del Soviet supremo dell’Urss nel luglio del 1988. Inbase alla costituzione sovietica, la decisione presa dal Sovietdel Nagorno-Karabakh risulta illegale, in quanto i confini am-ministrativi di una repubblica non possono essere modificatisenza approvazione delle istanze superiori. Un Comitato delKarabakh, guidato da Levon Ter Petrosian, si pone alla guidadel movimento separatista.

Tutti questi eventi non possono che suscitare un forte senti-mento antiarmeno e finiscono con il destabilizzare la regione,dove ormai le autorità sovietiche sembrano disinteressarsiapertamente della situazione. La tensione coinvolge a questopunto anche la popolazione azerbaigiana che nell’autunno del1988, a Ganja, mette in atto dimostrazioni contro gli armeni.

Allo scopo di allentare le tensioni fra le due repubbliche,Mosca decide di optare per un intervento diretto, seppur piut-tosto timido, approvando una serie di misure straordinarie.Nella regione arrivano i reparti dell’Armata rossa mentre Mo-sca assume il controllo diretto attraverso un Comitato specialesotto la guida di Arkadij Volskij. Viene quindi organizzato unprogramma di aiuti economici mentre il primo segretario azer-baigiano, Kamran Baghirov, e il primo segretario armeno, Ka-ren Demirchan, sono costretti alle dimissioni.

Grandi speranze sono a questo punto riposte nell’azionedel Comitato Speciale creato dal presidio del Soviet supremodell’Urss il cui compito consiste nel trovare una qualche solu-zione di mediazione tra le parti in causa. Privato di qualsiasireale potere d’intervento, così come delle risorse necessarie, ilComitato non è però in grado di modificare la situazione.

L’incapacità delle autorità sovietiche di gestire la crisi nelKarabakh contribuisce a innescare ulteriori violenze e a nullavale il tardivo intervento dello stesso Gorba�ëv che in dicem-bre ordina l’arresto dei membri del Comitato del Karabakh.

72

Page 37: Azerbaigian. Una lunga storia

mia delle Scienze azerbaigiana cominciano a rafforzarsi ten-denze autonomiste in favore di un recupero della cultura azer-baigiana, inclusa la proposta di tornare all’alfabeto latino. Il19 novembre, il Consiglio Supremo della Repubblica dell’A-zerbaigian decide di rimuovere i termini “socialista” e “sovie-tica” dal proprio nome e adotta una dichiarazione di sovra-nità, restaurando al contempo la bandiera della RepubblicaDemocratica come simbolo ufficiale del Paese.

In assenza di un potere centrale efficace, gli eventi precipi-tano nel gennaio del 1991 con la proclamazione dello stato diemergenza. Gli obiettivi del decreto sono la neutralizzazione eil disarmo di tutti i gruppi armati “illegali”, in maggioranza ar-meni, e il ripristino dell’ordine nel territorio sulla base del ri-spetto della costituzione. In primavera sale il livello delle vio-lenze tra armeni e azerbaigiani, in seguito a numerosi incidentilungo il confine che coinvolgono spesso civili inermi. Anche alfine di garantirsi un sostegno contro la minaccia armena, Mu-talibov continua a favorire uno stretto legame con Mosca chetuttavia si dimostra incapace di controllare il declino dell’U-nione Sovietica. Al contrario, cresce all’interno del Paese il so-stegno a una visione “nazionale” della cultura azerbaigiana,con un aperto richiamo all’esperienza della prima indipen-denza del Paese.

Mentre l’economia sovietica è in preda a una crisi irreversi-bile e i tentativi di liberalizzazione mostrano tutti i loro limiti,nell’estate del 1991 i conservatori tentano un colpo di Statoche fallisce, grazie all’opposizione popolare e alla leadership diBoris El’cin. In Azerbaigian si nota una netta presa di posi-zione di Heydar Aliyev, il quale accusa apertamente Mutali-bov di aver sostenuto il colpo di Stato di Mosca mettendo altempo stesso sotto accusa il ruolo del Partito. Il colpo di Statodi agosto sembra rimettere tutto in discussione, dando il viaalla fase conclusiva dell’esperienza sovietica. Il regime è ormaial collasso e le diverse forze nazionali non trovano più alcunfreno alla realizzazione delle proprie aspirazioni. Passato il pe-

75

dell’Urss, Gorba�ëv assume un atteggiamento ambiguo, nonreagisce prontamente e quindi permette che le agitazioni rag-giungano livelli difficilmente controllabili per poi ordinare ilricorso alla forza militare, che provoca inevitabilmente ulte-riori vittime e accresce il sentimento indipendentista in moltefrange della popolazione.

Il 1° dicembre 1989 il Soviet supremo della Repubblica So-cialista Sovietica armena decide l’annessione del Nagorno-Ka-rabakh, una delle ragioni per cui qualche settimana dopo, aBaku, si registrano violenti disordini che servono da pretestoper l’intervento delle truppe sovietiche nella capitale dell’A-zerbaigian, il cui fine ultimo pare essere però quello di impe-dire il crescere del movimento nazionale azerbaigiano. L’o-biettivo principale delle autorità sovietiche sembra infatti es-sere proprio la distruzione del Fronte popolare.

Nel febbraio del 1990, iniziano a Riga trattative dirette tra irappresentanti del Fronte popolare dei movimenti nazionaliazerbaigiano e armeno, che tuttavia non producono alcun ri-sultato tangibile. La situazione nel Caucaso si trascina senzache venga raggiunta una reale soluzione e nel gennaio 1990 aBaku si svolgono manifestazioni antiarmene. Le truppe sovie-tiche entrano a Baku e il 20 gennaio aprono il fuoco contro imanifestanti facendo numerose vittime (A. Ferrari, 2007). Sitratta di un evento dalle ampie conseguenze sul piano politicoe morale. La situazione sul piano politico rimane piuttostoconfusa fino all’elezione in maggio di Ayaz Mutalibov alla pre-sidenza del Soviet Supremo dell’Azerbaigian. Questi inizia asostenere apertamente tesi di ispirazione nazionalista prese inprestito dal Fronte popolare insistendo soprattutto in meritoalla questione dei diritti azerbaigiani sulla produzione petroli-fera, atteggiamento che non può essere definito propriamenteanti-sovietico in quanto si inserisce nel più ampio quadrodelle riforme sostenute e incoraggiate da Gorba�ëv. Al mo-mento, la fedeltà di Mutalibov a Mosca non è ancora in dub-bio, mentre al contrario soprattutto all’interno dell’Accade-

74

Page 38: Azerbaigian. Una lunga storia

avanti la mediazione, incidente che provoca una grave crisipolitica a Baku che porta il parlamento azerbaigiano a modifi-care lo statuto del Nagorno-Karabakh. Il 10 dicembre seguenella regione un referendum a cui partecipa solo la popola-zione armena che conferma l’indipendenza del Karabakh.Benché da un punto di vista giuridico il referendum sia nullo,la regione autonoma viene proclamata Repubblica indipen-dente il 6 gennaio 1992, non riconosciuta però dalla comunitàinternazionale e nemmeno dalla stessa Armenia.

Intanto, il 18 ottobre 1991, il Consiglio Supremo dell’Azer-baigian ha adottato una dichiarazione di indipendenza, con-fermata dal referendum del dicembre successivo, in cui si af-ferma che l’adesione dell’Azerbaigian al’Unione Sovietica èstata una conseguenza dell’azione dell’Armata rossa e che ilPaese ha quindi il pieno diritto di riappropriarsi della proprialibertà, dichiarando decadute tutte le leggi varate successiva-mente all’aprile del 1920.

Il 5 novembre, una delegazione azerbaigiana arriva in Tur-chia in cerca di un riconoscimento ufficiale dell’indipendenzadel Paese, tema cruciale questo nel momento di collasso defi-nitivo dell’Urss e nel bel mezzo della crisi militare con l’Arme-nia. Il 26 novembre invece Mutalibov favorisce la formazionedi un Consiglio nazionale incaricato di gestire la crisi istituzio-nale in atto (S. Bolukbasi, 2011), ma il giorno successivo l’ap-pello del governo di Mosca a fermare le violenze cade nelvuoto. Il 19 gennaio 1992, il Consiglio nazionale azerbaigianoadotta una legge sulla difesa dei confini, mentre le violenze in-teretniche subiscono un’escalation. Il 3 marzo il Consiglio na-zionale prende una nuova iniziativa agendo di fatto come unvero e proprio parlamento e si scontra con le resistenze di Mu-talibov che si appoggia ancora al Soviet Supremo azerbaigianoe sostiene apertamente l’adesione alla Comunità degli Stati In-dipendenti (Csi). A questo punto vari rappresentati dell’op-posizione richiedono la destituzione di Mutalibov, finché il 6marzo la forte opposizione, non solo politica ma anche della

77

ricolo golpista, in Unione Sovietica il Partito comunista vienemesso al bando e tutti i suoi beni confiscati, come anche inAzerbaigian, dove viene progressivamente messo da parte. Aquesto punto, Mutalibov sostiene ormai apertamente le cor-renti nazionali intervenendo per favorire il controllo azerbai-giano sulle aziende di Stato ed eliminando tutti i simboli delpotere sovietico.

L’8 dicembre 1991 i presidenti delle tre principali repubbli-che dell’Unione Sovietica, Russia (El’cin), Ucraina e Bielorus-sia firmano il trattato che sancisce la dissoluzione dell’Urss,ufficialmente recepita il 26 dicembre dal Soviet Supremo.Gorba�ëv, a questo punto, non può che rassegnare le sue di-missioni da capo di uno Stato che ormai ha cessato di esistere.

Intanto, già il 30 agosto, il parlamento di Baku si è orientatoapertamente verso l’indipendenza dell’Azerbaigian, mentrefin dall’aprile del 1991 sono in corso scontri armati nel Kara-bakh. Il colpo di Stato di agosto, che viene apertamente sup-portato anche dal presidente Mutalibov, porta alla momenta-nea sospensione del sostegno militare sovietico ai nazionalistiazerbaigiani, decisione che provoca una ripresa delle attivitàdelle milizie armene.

Lo statuto di autonomia del Nagorno-Karabakh viene abo-lito nel novembre 1991 dal Soviet supremo della RepubblicaSocialista Sovietica dell’Azerbaigian, poco prima quindi delcrollo definitivo dell’Unione Sovietica, in reazione alla dichia-razione di indipendenza del Nagorno-Karabakh, ormai ingran parte sotto il controllo delle bande armene.

Il 2 settembre del 1991, anche in conseguenza delle dichia-razioni indipendentiste del parlamento di Baku, i deputati ar-meni del Soviet regionale del Nagorno-Karabakh, sostenuti daErevan, avevano dichiarato repubblica indipendente la re-gione autonoma, provocando un’ulteriore escalation dellacrisi. Nel mese di novembre, in un villaggio del Karabakh,viene colpito un elicottero che trasporta alti funzionari azer-baigiani e alcuni ufficiali russi e kazaki incaricati di portare

76

Page 39: Azerbaigian. Una lunga storia

tre l’ormai deposto capo di Stato abbandona la capitale.Il ritorno di Aliyev porta nel Paese la necessaria stabilità. Il

nuovo presidente riesce infatti a migliorare le condizioni eco-nomiche dell’Azerbaigian, incoraggiando gli investimenti dal-l’estero e garantendo una significativa solidità sul piano in-terno. Heydar Aliyev ottiene infatti ottimi risultati in campoeconomico, attirando investimenti soprattutto nel settore pe-trolifero.

Nel 1993 viene fondato il partito Nuovo Azerbaigian chesostiene Aliyev, il quale riesce a essere eletto per due volte allacarica presidenziale, rispettivamente nel 1993 e nel 1998.

79

società civile, lo costringe alle dimissioni. In seguito, il Frontepopolare assume un ruolo dominante all’interno della politicaazerbaigiana senza riuscire però a risolvere i problemi struttu-rali legati soprattutto ai rapporti del Paese con gli altri Statiex-sovietici.

L’Azerbaigian ritrova la sua piena indipendenza in un mo-mento di grave crisi, dovendo affrontare non solo le conse-guenze del fallimento del sistema sovietico e le difficoltà eco-nomiche a esso connesse, ma anche la difficile crisi militare inatto con l’Armenia che condiziona la politica azerbaigiana ne-gli anni successivi.

Nel 1992, Abulfaz Elchibey vince le prime elezioni demo-cratiche e viene eletto presidente della repubblica. Si apre unafase di riforme interne che investe tutti i campi della vita delPaese, dall’economia alla pubblica amministrazione, dallastampa al settore dell’educazione, mentre prendono il via letrattative per il ritiro delle unità militari sovietiche, che si con-cretizzerà nell’aprile del 1993. L’Azerbaigian assume una posi-zione tendenzialmente liberale, avvia una nuova politica mo-netaria instaurando una propria moneta, definisce come pro-prio obiettivo la costruzione di una società civile dopo de-cenni di regime socialista. La posizione internazionale dell’A-zerbaigian è, invece, piuttosto complessa. Nonostante le ten-denze della sua classe dirigente, il Paese non può evitare diconsiderare anche il forte interesse della Russia nei suoi con-fronti e deve inoltre affrontare la spinosa questione dei terri-tori contesi con l’Armenia. Gli equilibri geopolitici rendonoinevitabile un cambio di rotta. Nel 1993 il presidente Elchi-bey, ormai molto contestato e incapace di gestire la crisi delNagorno-Karabakh, viene deposto da un’insurrezione guidatadal colonnello Surat Huseynov che apre la strada al ritorno diHeydar Aliyev, dal 1991 deputato nel parlamento di Baku, ilquale diviene presidente del Consiglio Supremo dell’Azerbai-gian nel giugno del 1993, pochi giorni prima di essere elettodall’Assemblea Nazionale presidente dell’Azerbaigian, men-

78

Page 40: Azerbaigian. Una lunga storia

ANDREA CARTENY

Questioni e minoranze nazionali in Azerbaigian. Il Nagorno Karabakh

La complessità etno-nazionale e confessional-culturale del-l’intera regione caucasica si riflette nelle tante questioni rela-tive alle minoranze nazionali, ancora aperte dentro e fuori l’A-zerbaigian odierno. Soprattutto tra la fine degli anni Ottanta ei primi anni Novanta del Novecento (E. Herzig, 1999), alcunepopolazioni e comunità rivendicano, con strategie ed esigenzedifferenti, maggiori autonomie culturali o territoriali, fino allasecessione. L’implosione dell’Unione Sovietica, infatti, ha pro-vocato un’immediata risposta delle questioni nazionali, conparticolare virulenza nelle province caucasiche del nord (in-terne alla Repubblica socialista sovietica federativa russa) edel sud (sovietiche ma non interne alla Federazione Russa).Tra queste, è emersa la questione della comunità di originicaucasiche dei Lezgi – forse stimabile in circa mezzo milionedi persone – presente anche nel Daghestan russo, che ha as-sunto un certo rilievo con le azioni sovversive e di lotta armatada parte di alcuni nuclei di estremisti nella prima metà deglianni Novanta. Si è palesata anche la questione della comunitàdi origini iraniche dei Talish, che hanno tentato di instaurareuna “repubblica autonoma” contro il potere centrale, che haportato, nel 1993, a tensioni esplose in scontri e proteste aBaku.

Nello stesso periodo raggiunge momenti di grande dram-maticità il conflitto ancora irrisolto relativo alla regione delNagorno-Karabakh e ai territori limitrofi. La questione, notacome un “conflitto freddo” (frozen conflict), è strettamenteconnessa alla storica presenza di una popolazione mista –azerbaigiana, armena e di altre etnie – non solo nel Karabakh,

DOI: 10.7348/imperienazioni02natalizia 8180

Page 41: Azerbaigian. Una lunga storia

vento delle forze di sicurezza di Mosca contro gli attivisti azer-baigiani che provoca, oltre ai feriti, la morte di oltre cento ci-vili.

Una cesura ulteriore è rappresentata dalle conseguenze delfallito golpe anti-gorbacioviano dell’agosto 1991 a Mosca,quando nonostante il fallimento del colpo di Stato, la leader-ship comunista azerbaigiana guidata da Mutalibov si sarebbedecisa a coinvolgere il Fronte nel processo di negoziato per ilraggiungimento dell’indipendenza dall’Unione Sovietica. Nelmese di novembre dello stesso anno, le manifestazioni dimassa degli azerbaigiani costringono il Soviet Supremo a deci-dere la propria dissoluzione, sostituendolo con un Consiglionazionale azerbaigiano. L’armamento e l’attacco su larga scalaeffettuati sul territorio azerbaigiano da parte delle ben armatee organizzate milizie armene porta però il governo di Baku aperdere il controllo delle regioni del Karabakh, nonché a su-bire l’uccisione di oltre 600 civili azerbaigiani nella località diKhojali, nel febbraio del 1992. L’escalation degli scontri con-duce al rafforzamento del controllo armeno sulla regione e an-che sulle province limitrofe, consolidando la continuità e lacompattezza territoriale del Karabakh, secessionista con l’Ar-menia. Alla fine del 1993, si contano migliaia di vittime civili emilitari da entrambe le parti in conflitto, e fino a un milione diazerbaigiani vengono espulsi a causa degli scontri dalle regioniarmene e dalle province azerbaigiane occupate dalle miliziearmene. I tentativi di mediazione tra le parti per un accordo di“cessate il fuoco” da parte degli Stati della regione – in parti-colare la Federazione Russa, l’Iran e il Turkmenistan – ven-gono affiancati dalle iniziative delle Nazioni Unite. Il Consi-glio di Sicurezza delle Nazioni Unite, infatti, nel 1993 approvaquattro risoluzioni per la cessazione degli scontri e il rispettodei confini internazionali. Sia le risoluzioni dell’Onu, sia le ini-ziative della Conferenza per la sicurezza e la cooperazione inEuropa (Csce, dal 1995 ribattezzata Ocse, Organizzazione perla cooperazione e la sicurezza in Europa) riescono a fermare

83

ma anche nelle regioni contigue con l’Azerbaigian sud-occi-dentale, nel Nakhchivan azerbaigiano e nello Zangezur ar-meno (regione meridionale dell’Armenia, confinante con l’I-ran).

La fase attuale del conflitto, ancora irrisolta, ha inizio il 20febbraio 1988, quando la maggioranza armena del Soviet dellaregione autonoma del Nagorno-Karabakh, parte integrantedella Repubblica Socialista Sovietica dell’Azerbaigian, deli-bera il passaggio dell’amministrazione del territorio alla Re-pubblica Socialista Sovietica di Armenia. La decisione pro-voca duri scontri, pare conseguenti all’uccisione di due poli-ziotti azerbaigiani da parte di un armeno, in seguito a cui sa-rebbero stati uccisi alcuni armeni nella città di Sumgait e diconseguenza sarebbe seguito il massacro di azerbaigiani. L’ini-ziativa armena si contestualizza all’interno di una più generalestrategia di Erevan finalizzata alla rivendicazione da partedella Repubblica Socialista Sovietica di Armenia, oltre chedella storica regione dell’Armenia occidentale (parte della Re-pubblica di Turchia), di territori abitati da armeni, come la re-gione di Javakheti in Georgia e il Karabakh in Azerbaigian. Laleadership gorbacioviana risponde prima con un atteggia-mento attendista, poi nel luglio del 1988 con la riaffermazionedello status quo per i confini interni alle repubbliche socialistesovietiche. La tensione in questa regione aumenta nei mesisuccessivi: da una parte si produce la radicalizzazione del mo-vimento secessionista armeno attraverso la formazione di unComitato armeno del Karabakh; dall’altra gli azerbaigiani simobilitano intorno al Fronte popolare dell’Azerbaigian. Al-l’arresto dei componenti del Comitato armeno, in dicembre,seguono dei tentativi di dialogo, culminati nel maggio del1989 con il rilascio degli esponenti armeni, mentre il riaccen-dersi della crisi e l’esplosione di scontri tra armeni e azerbai-giani provocano la dislocazione forzata dei due gruppi nazio-nali, sino all’escalation delle violenze dell’autunno del 1989. Aquesti scontri segue il 19 e il 20 gennaio 1990 il violento inter-

82

Page 42: Azerbaigian. Una lunga storia

Nagorno-Karabakh viene rigettata da Baku. Nel 2004, la questione del Karabakh viene rilanciata di

fronte all’opinione pubblica internazionale dal cosiddetto“processo di Praga”. Nella capitale della Repubblica Ceca, apartire dal 16 aprile 2004, si tengono infatti una serie di collo-qui tra le parti che vedono un rapporto diretto tra i governi diBaku e Erevan, senza la partecipazione del governo armenodel Karabakh. Nella seconda metà del primo decennio delnuovo secolo, dal 2005, prende corpo un negoziato fondatosui “principi base”, detti “principi di Madrid”, per mezzo deiquali ci si richiama al processo di mediazione e pace tra israe-liani e palestinesi nella conferenza del 1991, base di riferi-mento per agli accordi di Oslo del 1993. In quell’occasione, ilrisultato aveva portato all’istituzione – riconosciuta da TelAviv – di un’Autorità Nazionale Palestinese che avrebbe am-ministrato i territori dai quali sarebbe stato ritirato l’esercitoisraeliano, mentre si procedeva alla risoluzione delle questioniulteriori, come il rientro dei profughi, lo status di Gerusa-lemme etc., prevedendo per altro un lasso di tempo limitato,cioè entro il 1996. Allo stesso modo, Baku de facto avrebbenegoziato con il governo secessionista del Karabakh. (F.Ismailzade, 2011; T. Huseynov, 2009). La proposta di media-zione, fortemente sostenuta dalla presidenza del gruppo Ocse(Usa, Russia e Francia) e aggiornata sulla base di negoziati av-venuti anche in sede G8, viene presentata nel 2007 ricevendoil consenso azerbaigiano. La parte armena non prende unachiara posizione, neanche in seguito al vertice tra il presidenteazerbaigiano Ilham Aliyev e quello armeno Serj Sarkisyan. Ilnegoziato non si risolve neanche nei successivi summit Osce,tenuti ad Astana nel dicembre 2010 e a Kazan nel giugno2011. In quest’ultimo incontro, promosso dal presidenterusso Medvedev con la partecipazione dei presidenti azerbai-giano e armeno, la riformulazione della proposta dei “principibase” (con l’esclusione della prevista calendarizzazione del ri-tiro dell’esercito armeno dalle province azerbaigiane occu-

85

realmente il conflitto. L’accordo di Bishkek, firmato il 5 mag-gio 1994 in Kirghizistan, permette la cessazione delle ostilità el’avvio di negoziati fra i due Paesi, ancora in corso da quindicianni. La vicenda ha un ulteriore strascico internazionale conla decisione della Turchia di chiudere il confine con l’Armenianell’aprile del 1993, in seguito all’invasione armena del di-stretto azerbaigiano di Kelbajar.

La situazione sul campo si è cristallizzata su posizioni netta-mente favorevoli alla parte armena, che esercita un controllomilitare sul venti per cento circa del territorio azerbaigiano,comprendente oltre alla regione del Karabakh anche le re-gioni limitrofe dell’Azerbaigian sud-occidentale.

Rimane ancora irrisolto il negoziato sancito dal “cessate ilfuoco” che identifica come mediatori ufficiali il cosiddetto“Gruppo di Minsk”, che prende il nome della capitale bielo-russa dove si sarebbe dovuta tenere la conferenza internazio-nale di pace, che non è mai stata svolta. Gli undici Paesi Ocseche partecipano a tale gruppo sono guidati, a tal fine, da unapresidenza congiunta, attualmente detenuta dalla FederazioneRussa, dalla Francia e dagli Stati Uniti. La prima strategia pro-mossa dal “Gruppo di Minsk” prende il nome dal metododello step by step, cioè prevede prima l’evacuazione militarearmena delle regioni azerbaigiane – escluso il Karabakh – poiil loro ripopolamento da parte dei profughi azerbaigiani,quindi la definizione dello status del Nagorno-Karabakh. Taleproposta è stata prima accettata e successivamente rigettatadagli armeni. La proposta seguente, nota come package deal,tenta la soluzione contemporanea delle principali questioni,come per esempio quella dello status del Nagorno, che si sa-rebbe dovuto definire contestualmente al ritiro delle forzed’occupazione armene. Il package deal non soddisfa la parteazerbaigiana, che considera non sufficientemente tutelato ildiritto al ritorno dei suoi profughi, quali internal displacedpeople. Anche una terza mediazione avviata sulla proposta diuno “stato comune” come Stato federativo di Azerbaigian e

84

Page 43: Azerbaigian. Una lunga storia

ventuale secessione dall’Unione Sovietica della quale eranoparte integrante. Infatti, in seguito alla decisione del governoazerbaigiano di uscire dall’Unione Sovietica, avvenuta il 30agosto 1991, il Soviet locale risponde dichiarando l’autonomiadel Nagorno-Karabakh da Baku il 2 settembre.

La risposta non si fa attendere e il Consiglio supremo azer-baigiano delibera la soppressione dello statuto di autonomiadel Karabakh, il 26 novembre 1991 (decisione prevedibil-mente poi respinta dalla Corte costituzionale sovietica). Ces-sate le ostilità, la battaglia si trasferisce sul piano giuridico, an-che se continuano a verificarsi provocazioni e scaramucce tra iterritori controllati dagli armeni e dagli azerbaigiani. Per laparte armena, l’elemento più importante da dimostrare è il di-ritto all’autodeterminazione e all’indipendenza del popolo delNagorno-Karabakh, nel rispetto dei principi del diritto inter-nazionale (S. Avakian, 2005). Tale posizione si articola su datistorico-istituzionali relativi alla regione, ma anche sulla conte-stazione del carattere sovrano dell’Azerbaigian, come Stato al-l’interno del quale era compreso ab origine il Karabakh.

Le date di riferimento per la prospettiva indipendentista ar-mena sono: a) il 2 settembre 1991, quando il consiglio dell’o-blast autonoma a maggioranza armena adotta la “dichiara-zione di indipendenza della Repubblica del Nagorno-Kara-bakh”; b) i risultati del referendum sull’indipendenza del 10dicembre 1991, a cui partecipa la sola popolazione armena,che realizza de facto il nuovo nation building armeno del Ka-rabakh. Punto di riferimento per la visione legittimistico-isti-tuzionale dell’Azerbaigian è la dichiarazione del Soviet Su-premo della Repubblica Socialista Sovietica dell’Azerbaigiansul “ristabilimento dello Stato indipendente della Repubblicadell’Azerbaigian”, come costituitasi tra il 1918 e il 1920. Il 18ottobre l’assemblea azerbaigiana adotta la legge costituzionalesull’indipendenza dello Stato, atto di secessione dall’Unionedelle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Il 23 novembre 1991il Soviet Supremo azerbaigiano delibera la revoca dell’autono-

87

pate, richiesta dalla parte armena) provoca il rigetto della pro-posta da parte azerbaigiana. Tra gli scenari possibili prospet-tati in seguito al fallimento di Kazan, ci sarebbe: a) la prosecu-zione dei negoziati, resi complessi e difficili soprattutto dallerigide posizioni di entrambe le parti, (“nessun tipo di reinte-gro nell’Azerbaigian del Nagorno” da parte armena, “tuttofuorché l’indipendenza del Nagorno” da parte azerbaigiana);b) due prospettive verso un nuovo conflitto consistenti o inuna “graduale transizione verso la guerra” (con occasioni diviolazione del “cessate il fuoco” a livello locale ed eventualeescalation del conflitto a livello generale) oppure in una“guerra pianificata”, scenario prospettato da parte azerbai-giana. È difficile da giustificare, dopo circa un ventennio, l’oc-cupazione militare armena di un quinto del territorio nazio-nale azerbaigiano, oltre a mezzo milione di profughi interni daqueste regioni (F. Ismailzade, 2011).

L’aumento della spesa militare azerbaigiana, legata alla fortecrescita economica del Paese trainata dai prodotti energetici,sembra rendere credibile l’ipotesi del secondo scenario.

Per identificare i punti cardine del processo di secessionedegli armeni del Karabakh e l’inizio della fase più acuta degliscontri, è necessario fare riferimento al plebiscito del dicem-bre 1991, nel quale la popolazione armena della regione votamassicciamente a favore dell’auto-proclamazione di una “Re-pubblica armena dell’Arstakh”, ripristinando il nome armenodel territorio. Le forze armate azerbaigiane subiscono l’avan-zata e l’occupazione armena nella maggior parte dei territoricontesi. Il principio dell’autodeterminazione dei popoli èdunque il principale riferimento per il Karabakh armeno,aspirante al riconoscimento internazionale come nuovo Statosovrano.

Il 6 gennaio 1992 viene proclamata l’indipendenza. Giuri-dicamente, gli armeni del Karabakh fanno riferimento alla le-gislazione sovietica che nell’aprile del 1990 garantisce alle re-pubbliche autonome il diritto di decidere se procedere all’e-

86

Page 44: Azerbaigian. Una lunga storia

maggiore capacità di azione alle politiche europee nell’area,come il Partenariato orientale (Eastern Partnership) dell’Ue,ponendo in relazione diretta la stabilizzazione e l’allarga-mento ai Balcani con la regione del Mar Nero, del Caucaso edella regione del Mar Caspio.

Centrale in tale strategia è la politica della Turchia per una“piattaforma caucasica” di stabilità e cooperazione, capace dicoinvolgere tutti i Paesi dell’area nella prospettiva di una realeintegrazione delle istituzioni euro-atlantiche.

89

mia all’oblast del Nagorno-Karabakh. Intorno a queste date ealle decisioni prese in tali occasioni si articola la questionedella validità o meno del processo di secessione da parte delNagorno-Karabakh dal punto di vista giuridico.

La strategia armena assume poi nuove posizioni in seguitoall’indipendenza unilaterale del Kosovo (febbraio 2008) e allaadvisory opinion (22 luglio 2010) della Corte Internazionale diGiustizia in seguito alla richiesta di parere presentata nel 2009dalla Serbia sulla presunta violazione del diritto internazionalenel caso dell’indipendenza kosovara. Alti esponenti armeni,della Repubblica di Armenia e dell’autoproclamata Repub-blica del Nagorno-Karabakh, hanno infatti dichiarato e auspi-cato l’applicabilità del medesimo modello anche al Karabakh.Secondo la parte azerbaigiana, l’ordinamento giuridico e la le-gittimità dello Stato sovietico garantiscono invece l’integritàdelle repubbliche costituenti l’Unione delle Repubbliche So-cialiste Sovietiche, dunque anche dell’Azerbaigian (I. Mam-madov, T.F. Musayev, 2008). In quest’ottica il caso kosovaronon è applicabile al caso del Karabakh in quanto mancantedelle condizioni preliminari perché si avvii un processo di au-todeterminazione (T.F. Musayev, 2011).

La stabilizzazione e l’avvio alla soluzione dei cosidetti fro-zen conflicts è altresì interesse di tutti i Paesi dell’area e delleistituzioni internazionali per il progresso e la pace della re-gione. Come emerso in vari incontri internazionali – si fa quiriferimento al paper di O.F. Tanrisever “Nagorno-KarabaghConflict and Regional Stability in the Caspian Basin”, presen-tato all’incontro sul tema “Political and Security Cooperationin Europe’s Four Sea Basins’ EU4 Seas FP& Project Seminar”organizzato a Roma dall’Istituto Affari Internazionali il 3-4aprile 2009 – la questione non riguarda soltanto i rapporti ar-meno-azerbaigiani ma l’intera regione del bacino caspico. Intale contesto, la collaborazione tra istituzioni europee e occi-dentali e organizzazioni di cooperazione regionale (come laBlack Sea Economic Cooperation Organization, Bsec) dà

88

Page 45: Azerbaigian. Una lunga storia

GABRIELE NATALIZIA

La seconda indipendenza e il contesto internazionale (1991-2012)

Il sistema internazionale dopo la fine del bipolarismo

Nella disciplina delle Relazioni internazionali, per una mi-gliore comprensione dell’interazione tra gli Stati, può risultarenecessaria l’integrazione tra diversi livelli di analisi: in primoluogo, il contesto generale all’interno del quale agiscono leunità politiche, il cosiddetto “sistema internazionale”; in se-condo luogo, le rappresentazioni strategiche delle principalipotenze in merito a un contesto di azione specifico; infine, ilruolo che ricoprono e i rapporti che intrattengono le unità po-litiche nell’ambito del loro spazio. Tale rapporto tra sistemainternazionale, dottrine politiche e contesto locale, assume aigiorni nostri una rilevanza ancor maggiore che nel passato, ri-sultando più controversa la definizione del sistema internazio-nale attraverso i tradizionali concetti di multipolarismo, bipo-larismo e unipolarismo. Non a caso nell’ultimo ventennio, nonappena è svanita l’euforia provocata dalla vittoria del bloccooccidentale sull’Unione Sovietica, si è sviluppato a livello ac-cademico un vivace dibattito sul tema che, pur trovando deiprecedenti anche durante la Guerra fredda, sembra connotatoda una maggiore problematicità (C. Krauthammer, 1991; F.Fukuyama, 1992; C. Layne, 1993; Z. Brzezinski, 1993; S.P.Huntington, 1993; Id. 1999; W.C. Wohlforth, 1999; G.J. Iken-berry; C. Krauthammer, 2002; R.L. Schweller, 2004; C. Layne2006; S.G. Brooks, W.C. Wohlforth, 2008; R.N. Haass, 2008).

Tali considerazioni preliminari non rappresentano un cedi-mento rispetto alle sirene sul declinismo americano, né sonovolte a negare il primato che gli Stati Uniti incontrovertibil-mente detengono sia nella sfera dell’hard power che in quella

DOI: 10.7348/imperienazioni02natalizia01 9190

Page 46: Azerbaigian. Una lunga storia

lista, che sosterrebbe un mutamento della stessa intensità e di-rezione nella sfera politica e culturale; 3) un’egemonia ameri-cana garantita da quell’interdipendenza complessa generatadalla centralità assunta dagli Stati Uniti nelle organizzazioniinternazionali, principalmente quelle con una mission econo-mica. Con un quadro di riferimento simile, le scelte della Re-pubblica dell’Azerbaigian, fatta eccezione di quelle prese nellasfera di congiunzione tra politica ed economia, potrebbero es-sere considerate scarsamente rilevanti al cospetto di un flussodi eventi tanto ampio e univoco da travolgere qualsiasi anda-mento in controtendenza.

Il framework di analisi utilizzato per comprendere il ruolointernazionale di Baku, al contrario, è fondato su una tesi di-versa: pur accogliendo l’affermazione secondo cui il sistemaeconomico mondiale ha raggiunto un’interdipendenza forsemai conosciuta prima d’ora e accettando l’idea del primato in-ternazionale americano, sostiene che il sistema politico inter-nazionale contemporaneo risulti meno “globalizzato” diquanto lo sia stato durante il XX secolo. In tale prospettivasono stati individuati due fattori principali che stanno eviden-ziando la non coestensività della dimensione politica e diquella economica, tanto da rendere impossibile quella correla-zione direttamente proporzionale tra i mutamenti nella sferaeconomica globale e le dinamiche politiche internazionali cheha costituito l’asse portante del mainstream sulla globalizza-zione (A. Colombo, 2010).

Il primo fattore è la scomparsa dei principali vettori di in-terconnessione politica del secolo precedente. Il Novecento,da un lato è stato segnato dall’esistenza di due o più attori glo-bali in conflitto permanente per l’egemonia mondiale che sitrovavano posizionati al centro di sistemi di alleanza transre-gionali, dall’altro è stato caratterizzato dall’influenza di ideo-logie capaci di contaminare sia la sfera pubblica internazio-nale che le singole sfere pubbliche domestiche. L’odierno si-stema internazionale, viceversa, è privo di un qualsiasi antago-

93

del soft power. Washington resta l’unico attore capace diproiettare la propria potenza e far valere il proprio prestigio inogni angolo del mondo, tanto da essere generalmente conside-rato quale prestatore d’ordine di ultima istanza, ossia come ilgarante della stabilità delle diverse macro-aree geopolitiche.Di conseguenza non si desidera sostenere la tesi relativa all’e-sistenza di un concreto tentativo di bilanciamento della lea-dership mondiale americana. Non appare ancora presente,d’altronde, uno Stato o una coalizione di Stati che abbianoelaborato in maniera consapevole, coesa e omogenea una stra-tegia volta a riequilibrare su scala globale quella distribuzioneasimmetrica del potere internazionale che ha fatto parlare delperdurare del “momento unipolare” (C. Krauthammer, 2002).Si tratta, al contrario, di riflessioni funzionali al tentativo dicomprendere il mutamento del raggio di azione e le possibilichance da cogliere per un’unità politica con le caratteristichedell’Azerbaigian all’interno del sistema internazionale sortosulle ceneri di quello bipolare.

In riferimento al primo livello di analisi, relativo alla com-prensione della natura della cornice internazionale, occorrenotare che a seconda della percezione prevalente sulla polaritàdel sistema contemporaneo il peso delle azioni dell’Azerbai-gian può esser fatto variare, anche in misura significativa,tanto da influenzare l’atteggiamento delle altre unità nei suoiconfronti. A partire dagli anni Novanta, il sistema internazio-nale è stato descritto attraverso l’ormai popolare concetto di“globalizzazione”. Con questo termine è stata sostenuta la na-scita di un sistema internazionale “nuovo” (nel senso di senzaprecedenti), i cui aspetti caratterizzanti sarebbero: 1) l’incre-mento delle interconnessioni tra le diverse regioni del mondo,in quanto ogni processo (politico, economico e culturale) sitroverebbe in rapporto di causazione con quanto avviene al-trove in proporzione superiore, sia quantitativamente chequalitativamente, rispetto al passato; 2) un’integrazione eco-nomica progressiva, derivata dalla sconfitta del modello socia-

92

Page 47: Azerbaigian. Una lunga storia

dove sono esplose, con la sola eccezione degli Stati Uniti e deiloro eventuali alleati. Sono rimaste, dunque, circoscritte adaree limitate (www.pcr.uu.se). I numerosi conflitti scoppiatinel Caucaso costituiscono una prova significativa dell’incapa-cità di “contaminazione” globale del fenomeno-guerra nell’ul-timo ventennio (M.M. Bliev, V.V. Digoev, 2004; V. Avioutskii,2005). La Guerra del Nagorno-Karabakh, la Prima e la Se-conda guerra di Cecenia, la Guerra russo-georgiana, per nonparlare delle numerose forme di violenza perpetrate dai movi-menti separatisti attivi in tutta la regione, non hanno mai ri-schiato di minare la stabilità degli equilibri mondiali, né di in-nescare quella spirale di violenza prodromica al contagio di al-tri contesti e, quindi, a un evento politico globale: il rischiodell’escalation di un conflitto è apparsa – e appare – molto piùaleatoria che in passato.

In questa prospettiva risulta possibile parlare di un muta-mento nel rapporto tra le dinamiche politiche regionali e le di-namiche politiche globali, in quanto le percezioni e le pratichedi sicurezza degli attori sono tornate a organizzarsi, in viapressoché esclusiva, intorno all’idea di vicinanza e lontananzageografica, secondo le formule “il mio vicino è il mio nemico”e “il nemico del mio nemico è il mio amico” (M. Wight, 2004).Si verificherebbe così una crisi di connessione tra i diversi si-stemi regionali. Se, infatti, durante la Guerra fredda la sicu-rezza di ciascun attore era legata in ultima istanza al confrontotra risorse e intenzioni del proprio blocco internazionale equelle del blocco avversario, nel contesto odierno gli Stati ri-tornano a formulare le proprie prospettive di pace e di guerrain un rapporto privilegiato con le intenzioni e le risorse degliattori operanti nella loro regione. A differenza di allora, inol-tre, non esisterebbe più un sistema globale dominante ingrado di abbracciare e, nel caso critico, di neutralizzare questedifferenze per ricondurle a una vicenda narrativa comune. Sa-rebbe possibile, in tal senso, parlare di una tendenza verso la“regionalizzazione” del sistema senza entrare in contraddi-

95

nismo universale in grado di tenere insieme i diversi complessiregionali, così come di un sistema di alleanze omogeneo e diun paradigma narrativo condiviso. L’unico tentativo effettuatoin tal senso – l’idea di una global war on terrorism con cuil’Amministrazione Bush jr. ha cercato di aggregare gli Stati ac-comunati dall’interesse nel contrastare i movimenti riconduci-bili al radicalismo islamico – ha svelato il suo carattere effi-mero a causa dell’inconsistenza e della frammentarietà di unacategoria che non poteva essere elevata a elemento unificantedella vita politica internazionale (A. Colombo, 2010). La vel-leità di tale tentativo è risultata ancor più palese in una re-gione, come quella caucasica, dove fratture religiose e politi-che hanno spesso finito per coincidere, ma che proprio per laloro natura intimamente collegata al territorio non potevanoessere ricondotte a una matrice unica, universalmente condi-visibile e capace di determinare sistemi di alleanza intelligibili.

Il secondo fattore è il tramonto della possibilità, presentedurante tutto il XX secolo, che i conflitti regionali, ricollegan-dosi alla vicenda “performativa” della propria epoca, possanocostituire la causa di una guerra generale, determinando cosìun rapporto di complementarità tra il livello sistemico e i di-versi livelli regionali. Se fino al 1989 i rapporti di potere intutte le regioni del mondo erano stati contraddistinti dallaloro interdipendenza, come dimostrato da tre eventi politiciglobali ante litteram quali la Prima e la Seconda guerra mon-diale e la Guerra fredda, oggi non ci troviamo di fronte ad al-cun evento veramente globale, ossia capace di produrre lestesse conseguenze, con la medesima tempistica e in nome de-gli stessi principi di legittimazione in ogni parte del mondo (A.Colombo, 2010). A sostegno di tale ipotesi occorre notare che,superato il triennio 1989-1991, la maggioranza delle guerre èstata di carattere intrastatale. Sia quante tra queste hanno co-nosciuto un’internazionalizzazione, che quelle poche guerredi natura interstatale, hanno coinvolto, in modo più o menodiretto, solo gli attori territorialmente prossimi allo spazio

94

Page 48: Azerbaigian. Una lunga storia

La rappresentazione strategica del Caucaso dalla “geopoliticaclassica” alla Guerra fredda

Per quanto riguarda il secondo livello di analisi – le rappre-sentazioni strategiche delle principali potenze in relazione agliassetti di potere nel Caucaso – è necessario sottolineare che,senza assecondare gli eccessi deterministici di alcuni studiosidi geopolitica le cui riflessioni risultano sempre orientate dallasuggestione napoleonica per cui “la politica degli Stati è nellaloro geografia” (Y. Lacoste, 1993), è imprescindibile una ri-flessione sulla particolare collocazione territoriale dell’Azer-baigian, che ne ha provocato spesso la chiamata in causa nelleprincipali dottrine di politica internazionale del passato e delpresente. La regione caucasica in virtù della sua funzione di“cerniera” tra l’Europa e l’Asia, a dispetto del variare deitempi e della distribuzione internazionale del potere, ha as-sunto una rilevanza strategica tale da attirare l’attenzione degliuomini politici e degli intellettuali sia a causa delle proprie di-namiche politiche interne, che per la sua immediata prossi-mità ad altre “aree calde”.

L’Azerbaigian è stato definito “la quintessenza della terra diconfine”, costituendo un punto di incontro, nonché di scon-tro, tra turchi e iraniani, sciiti e sunniti, musulmani e cristiani,russi e mediorientali, europei e asiatici (T. Swietochowski,1995). È così divenuto sistematicamente parte delle più cele-bri rappresentazioni geopolitiche, tanto che, a dispetto dellediverse prospettive e dei momenti storici presi in considera-zione, gli attori internazionali più importanti lo hanno inseritoin strategie eterogenee e, non di rado, contrastanti (M.Edwards, 2003).

Nell’ambito delle cosiddette “teorie del potere continen-tale”, il territorio azerbaigiano è stato incluso da sir JohnHalford Mackinder in quella pivot area (J.H. Mackinder,1904), successivamente ribattezzata heartland (Id., 1919), chericomprendeva il Caucaso orientale, l’Asia centrale e la Sibe-

97

zione con la tesi sulla presenza di un solo polo di potere mon-diale, gli Stati Uniti, che ne costituirebbe l’imprescindibileelemento di connessione (A. Colombo, 2010).

Questa impostazione presenta molti elementi di conver-genza con la teoria del “Regional Security Complex”, secondocui la sicurezza degli Stati non può più essere collegata a dina-miche politiche che prendono forma in contesti spazialmentedistanti, ma solo agli scenari regionali di appartenenza. La si-curezza di ogni unità politica, quindi, dipende dalla posizioneassunta dagli altri attori della stessa regione e dalla loro perce-zione di sicurezza. Ne deriva un quadro politico in cui si svi-luppa una massima interdipendenza tra gli attori della stessaregione, mentre l’interazione tra sistemi regionali differenti ri-sulta ridotta al minimo (B. Buzan, O. Waever, 2003). L’emer-gere dei sistemi regionali di sicurezza, in questa prospettiva,dev’essere collegato ad una serie di minimi comuni denomina-tori come l’ideologia, la prossimità geografica, amicizie ed ini-micizie etniche e precedenti storici (B. Buzan, 1991).

Di conseguenza i sistemi regionali in cui appare scompostoil sistema internazionale sembrano molto differenti non solonei termini degli attori presenti, ma anche per il grado di sta-bilità che li connota. Quelli formati da Stati ormai consolidati,come l’europeo e l’americano, risultano maggiormente “ordi-nati”, mentre quelli composti da Stati di recente formazione,in cui gli elementi della sovranità e dell’identità nazionale nonhanno avuto ancora il tempo di consolidarsi, appaiono più“disordinati”. La Repubblica dell’Azerbaigian è calata in que-sto secondo tipo di contesto e, di conseguenza, la gestione deisuoi affari interni e, soprattutto, la direzione dei suoi affariesteri acquista, rispetto alle dinamiche del suo contesto regio-nale, una notevole rilevanza, nonché un certo grado di auto-nomia.

96

Page 49: Azerbaigian. Una lunga storia

cui l’Azerbaigian rappresentava il traguardo finale costi-tuendo il lembo meridionale della “Russia europea”. Le ideedi Haushofer si concretizzarono per una breve stagione nelTrattato di non aggressione Ribbentrop-Molotov dell’agosto1939, che fece paventare la possibilità di una sinergia sovie-tico-tedesca (G. Parker, 1985). Non appena stracciato l’ac-cordo con l’avvio dell’operazione “Barbarossa” nel giugno1941, il mito dell’area perno del mondo tornò a materializzarsinelle operazioni “Fall Blau” ed “Edelweiss”. A partire dal1942, lo sforzo più consistente della Wehrmacht, infatti, nonfu concentrato verso i centri politico-amministrativi dell’U-nione Sovietica – Mosca e Leningrado – bensì su Stalingrado ela costa del Mar Nero, che rappresentavano delle tappe for-zate sulla strada per Baku e il Mar Caspio. La sconfitta tedescasul fronte meridionale non ebbe così solo una valenza tattica,ma fu connotata anche da un’importanza strategica decisiva.La presenza di petrolio sul territorio azerbaigiano era stata ri-levata anche nell’antichità, tanto da essere la fonte del cultodel fuoco nello zoroastrismo, e la sua commercializzazione alivello mondiale si sviluppò durante l’epoca zarista per essereinterrotta solo con la creazione della Repubblica Socialista So-vietica Federata Transcaucasica nel 1920. Sino a quell’anno,Baku era stata la “capitale” mondiale del petrolio: nel 1901 icampi inshore di Sabunchy e Surakhany provvedevano a sod-disfare più della metà della domanda mondiale di greggio eavevano permesso la nascita delle fortune economiche dellefamiglie Nobel e Rothschild. Un aspetto veritiero della tesidell’autore tedesco va riscontrato proprio nel fatto che il man-cato raggiungimento delle risorse energetiche azerbaigianerappresentò un momento di svolta nella Seconda guerra mon-diale, tanto da poter essere noverato tra i principali fattori cheportarono alla disfatta degli Stati dell’Asse (W. Tieke, 1996).

Se queste teorie hanno trovato nell’Azerbaigian uno dei ter-ritori-simbolo in grado di ispirare, almeno parzialmente, lescelte politiche internazionali, le strategie militari e il dibattito

99

ria. Il suo controllo, secondo l’autore inglese, sarebbe statodecisivo ai fini di quella che considerava l’eterna lotta tra lepotenze “talassocratiche” e le potenze “telluriche” per il do-minio sul mondo. Sulla base di un’evidente forzatura storica,Mackinder sosteneva che la “terra centrale” avrebbe costi-tuito un’area inaccessibile per una potenza marittima e dallaquale, a partire dal XIV secolo, si sarebbero irradiate le prin-cipali ondate di invasione verso l’inner crescent, ossia l’areache ricomprende l’Europa, il Medio Oriente, l’India e la Cina.La potenza che all’alba del XX secolo fosse stata in grado diunire le capacità tecnico-militari garantite dai risultati delledue rivoluzioni industriali al dominio sulla “regione perno”avrebbe ottenuto il controllo dell’intero continente euroasia-tico e, di conseguenza, si sarebbe trovata nella condizione ot-timale per lanciare la sfida al primato politico mondiale del-l’Impero britannico. Questa tesi, immortalata da Mackindernella formula “chi controlla l’Europa orientale comandal’heartland; chi controlla l’heartland comanda l’isola-mondo;chi controlla l’isola-mondo comanda il mondo” (Ivi), era stru-mentale a denunciare il pericolo del declino del potere britan-nico in favore di una potenza emergente sul continente euro-peo (Germania o Russia). Grazie alla notorietà riscossa in pa-tria, questa tesi ha esercitato una discreta influenza sui lavoridella Conferenza di Parigi del 1919, in particolare sulla sceltabritannica di rileggere in chiave realista il principio di autode-terminazione dei popoli. Londra sostenne il frazionamentodelle regioni limitrofe all’Unione Sovietica in una molteplicitàdi piccoli Stati indipendenti, con l’obiettivo, nel breve ter-mine, di impedire il contagio rivoluzionario, e, nel medio ter-mine, di porre il maggior numero possibile di ostacoli a qual-siasi tentativo di unificazione di questi territori (Id., 1943).

La suggestività di tale tesi è stata colta e ribaltata tra gli anniVenti e Quaranta dal tedesco Karl Haushofer che, al contra-rio, auspicava una rinascita tedesca e l’allargamento, per viediplomatiche o militari, della Germania nel suo Großraum, di

98

Page 50: Azerbaigian. Una lunga storia

sere riempito da elementi ostili ai nostri valori e amichevoli neiconfronti dei nostri avversari”. La prospettiva del politologodi origine polacca è complementare a quella dello storico in-glese Bernard Lewis secondo cui, nei territori sottoposti al-l’autorità sovietica e in quelli dei Paesi nemici dell’Occidentericompresi nell’arco di crisi, gli Stati Uniti avrebbero dovutosostenere un processo di “libanizzazione”, ossia di divisionedell’unità politica lungo i cleavage etnici e religiosi presenti sulcampo, considerati più forti di qualsiasi legame fondato suuna base ideologica. Il dissolvimento dell’Urss e l’indipen-denza ottenuta dall’Azerbaigian e dalle altre due Repubblichecaucasiche nel 1991 ha contribuito immediatamente alla rifor-mulazione della cosiddetta “dottrina Carter”, provocandol’allargamento ufficiale dell’arco di crisi fino al Caucaso e l’op-portunità di comprimere al massimo la zona meridionale d’in-fluenza russa (B. Lewis, 1992).

L’Azerbaigian nelle dottrine politiche delle grandi potenze con-temporanee

Le gravi incertezze che hanno avvolto, e avvolgono, in unaspirale di tensione e di violenza le aree circostanti il Caucaso,hanno sostenuto l’interpretazione americana delle sue dinami-che politiche non più solo nell’ottica del “prisma russo”, maanche in una nuova prospettiva (C. Stefanachi, 2006). GliStati Uniti, di fronte al mutamento di scenario intercorso,sono tornati a riformulare in termini innovativi le idee fon-danti della teoria dell’arco di crisi. Nei documenti ufficiali delGoverno di Washington, così come in quelli del G8, si è par-lato sempre più frequentemente dell’esistenza di una macro-regione definita “Grande Medio Oriente” (Greater MiddleEast o The New Middle East). Questa rappresentazione è ser-vita a ricomprendere all’interno di un unico spazio politico ol-tre al Medio Oriente e al Maghreb, le Repubbliche del Cau-

101

accademico nella prima metà del XX secolo, altrettante se nesono formate nella sua seconda metà, nonché nel primo de-cennio del XXI secolo. La teoria del “potere continentale” èstata riformulata all’indomani dell’inizio della Guerra freddain concomitanza con l’assetto bipolare assunto dal sistema in-ternazionale e la sostituzione nell’ambito della cosiddetta “an-glosfera” del potere britannico con quello statunitense (L.Bellocchio, 2006). Con la sua teoria del “potere peninsulare”Nicholas J. Spykman ha sostenuto come non fosse l’heartlandbensì il rimland, cioè la fascia peninsulare e insulare che cir-conda la massa eurasiatica che parte dall’Europa orientale epassando per il Caucaso, l’Iran, l’India e l’Indocina arriva finoin Corea, a costituire il vero strumento di controllo degli equi-libri mondiali. Gli Stati Uniti, in questa prospettiva, avreb-bero dovuto scongiurare la possibilità dell’assorbimento diquesti territori nella zona d’influenza di una potenza ostile,l’Unione Sovietica, rafforzando la propria presenza militare infunzione di containment (N.J. Spykman, 1942). La nuova for-mula proposta dal politologo di origine olandese suona: “chidomina il rimland controlla l’Eurasia; chi domina l’Eurasiacontrolla i destini del mondo” (C. Jean, 2003). Successiva-mente, tale impostazione è stata parzialmente mutuata nella“teoria dell’arco di crisi” di Zbigniew Brzezinski, Consigliereper la Sicurezza nazionale americana dell’AmministrazioneCarter (1977-1981). Ogni tentativo di incremento dell’in-fluenza da parte delle potenze ostili agli Stati Uniti sui “Paesiche si estendono lungo il fianco meridionale dell’Unione So-vietica dal subcontinente indiano alla Turchia, e verso sud at-traverso la Penisola arabica fino al Corno d’Africa” sarebbestato considerato a Washington alla stregua di un attacco allasicurezza nazionale degli Stati Uniti. Già nel 1978, d’altronde,Brzezinski sosteneva che “lungo le coste dell’Oceano Indianosi estende un arco di crisi, con fragili strutture politiche e so-ciali che rischiano la frammentazione in una regione per noi diimportanza vitale. Il conseguente caos politico potrebbe es-

100

Page 51: Azerbaigian. Una lunga storia

litiche e la difformità di vedute sulla Guerra del Nagorno-Ka-rabakh tra la Casa Bianca e il Pentagono, inclini ad assecon-dare la posizione azerbaigiana anche in funzione di conteni-mento della Russia, e il Congresso, sul quale la lobby armeno-americana esercita un forte ascendente nonostante Erevan sitrovi politicamente inserita nell’asse informale con Mosca eTeheran. In seguito alle pressioni di quest’ultima nel 1992, ilCongresso ha votato la “sezione 907” del Freedom Support Act,con cui veniva sospesa ogni attività di sostegno alla stabilizza-zione democratica e alla trasformazione economica nei con-fronti del Governo azerbaigiano, nonostante l’opposizione siadel presidente George H.W. Bush che del presidente Bill Clin-ton (Z. Brzezinski, 1998).

L’11 settembre 2001, tuttavia, ha costituito un momento disvolta anche per gli equilibri nel Caucaso. La contemporaneanecessità di porre argini di natura statuale al proliferare del ra-dicalismo islamico nell’ambito della global war on terrorism,di usufruire di un maggiore supporto logistico per le opera-zioni militari in Afghanistan e Iraq e di sopperire al rallenta-mento delle esportazioni di petrolio e gas dal Golfo persicocon nuove fonti di approvvigionamento, ha fatto sì che la po-litica statunitense nei confronti di Baku subisse una modificaradicale. Nel gennaio 2002, infatti, è stato concesso al presi-dente degli Stati Uniti di procedere alla disapplicazione della“sezione 907” del Freedom Support Act, cui ha fatto ricorsodapprima George W. Bush e, successivamente, BarackObama, evidenziando il mutamento di status dell’Azerbaigianall’interno dei piani strategici americani.

La prospettiva americana relativa alla regione geopoliticadell’Azerbaigian, tuttavia, si sovrappone ad altre dottrine stra-tegiche che in alcuni casi le risultano complementari, o co-munque non necessariamente antagoniste, ma che in altri casisono connotate da una competitività fisiologica rispetto adessa.

Per quanto riguarda le prime, l’esempio più importante

103

caso (Azerbaigian, Georgia e Armenia), la Turchia e l’Iran, ilCorno d’Africa (Gibuti e Somalia) e i cosiddetti Stancountries(Turkmenistan, Kazakistan, Uzbekistan, Tagikistan, Kirghizi-stan, Afghanistan e Pakistan). Anche nei documenti ufficialiamericani, d’altronde, è sempre più frequente il riferimento auna somma di poli regionali eterogenei e autonomi, piuttostoche ad un sistema internazionale effettivamente omogeneo.L’immagine di “Grande Medio Oriente” evidenzia la presenzadi un gruppo di Stati, territorialmente contigui, che formanouna macro-regione politica omogenea in quanto la distribu-zione del potere e del prestigio, i simboli, i miti e la dialetticapolitica, nonché la tendenza all’equilibrio, possono essere ri-compresi in una vicenda narrativa comune (AA.VV., 2002). Inquesto ambito gli Stati del Caucaso hanno acquisito un valorestrategico maggiore rispetto al passato per via dell’incertezzapolitica che affligge gli Stati arabi e per l’estendersi del campodi intervento diretto americano, che lo ha imposto sia comeun luogo di accesso strategico al Medio Oriente, che come uncorridoio di uscita per le risorse energetiche del Mar Caspio(C. Stefanachi, 2006).

Per tale ragione Washington, all’indomani della fine dellaGuerra fredda, ha scelto di sostenere attivamente nel breve ter-mine la piena integrazione dell’area nel sistema dell’economiadi mercato e, nel medio, il suo processo di democratizzazione,provvedendo a stanziare ingenti fondi attraverso il FreedomSupport Act. Si tratta di una strategia ispirata dalla cosiddetta“teoria della pace democratica”, secondo cui l’affermazionedei regimi democratici e la creazione di rapporti di interdipen-denza economica favorirebbe l’integrazione dei Paesi coinvoltida questo duplice mutamento all’interno di un’area internazio-nale “securizzata”, il cui capofila sarebbe la potenza che tradi-zionalmente si è identificata nei modelli politici, economici esociali liberali: gli Stati Uniti (M.W. Doyle, 1983; B. Russett,1993; R. Rummel, 1995; A. Panebianco, 1997). A tale imposta-zione generale, tuttavia, si sono sovrapposte le contingenze po-

102

Page 52: Azerbaigian. Una lunga storia

nente imprescindibile per la nascita di questo spazio politico-culturale, costituendo una vera e propria testa di ponte tra laTurchia e i Paesi turcofoni che si trovano sulla sponda oppo-sta del Mar Caspio. Queste idee sono state sistematizzate sottoil profilo teorico nel 2002 da Ahmet Davutoglu in un saggiodal titolo Profondità strategica: la posizione internazionale dellaTurchia (A. Davutoglu, 2001), per poi divenire una compo-nente ufficiale della politica estera turca nel 2009 con la no-mina dello stesso Davutoglu alla carica di Ministro degli Af-fari esteri della Repubblica Turca e con la creazione del Consi-glio di Cooperazione dei Paesi turcofoni. Tale organizzazione,cui hanno aderito Turchia, Azerbaigian, Kazakistan e Kirghi-zistan e che attende di allargarsi anche a Turkmenistan e Uz-bekistan, ha l’obiettivo di emulare il modello della Lega arabanell’area ricompresa tra l’Anatolia, il Caucaso e l’Asia cen-trale. L’importanza attribuita da Ankara all’Azerbaigian èstata pubblicamente evidenziata dalla sottoscrizione del trat-tato costitutivo dell’organizzazione nell’exclave turcofona delNakhchivan. Rappresenta, d’altronde, il principale territoriodi collegamento verso una macro-regione da cento milioni diabitanti, dove è ubicata una porzione consistente delle risorseenergetiche mondiali e i cui Paesi vantano un Pil complessivoda 375 miliardi di dollari e una crescita media annuale supe-riore al 10% (A. Murinson, 2006).

Fra le strategie politiche che, viceversa, presentano diversipunti di criticità in relazione ai disegni geopolitici americanisulla macro-regione, la più significativa appare quella russa.Dopo aver perso il controllo diretto su buona parte dei terri-tori che un tempo costituivano la “periferia” dell’Urss, la Fe-derazione Russa ha riformulato la sua politica estera attra-verso il paradigma del cosiddetto “estero vicino”, ossia quellafascia di Paesi divenuti indipendenti dopo il 1991 nei con-fronti dei quali il Cremlino desidera mantenere rapporti di“buon vicinato” (C.M. Santoro, 1995). Il concetto di NearAbroad, coniato dall’ex ministro degli Affari Esteri Andrey

105

sembra essere quello della Turchia, che sta riequilibrando l’at-teggiamento rigidamente western oriented della sua politicaestera, almeno per come si era affermata nel passaggio dal-l’Impero ottomano alla Repubblica (A.F. Biagini, 2002). So-prattutto nella seconda fase del Governo di Recep Tayyip Er-dogan, infatti, è stata attribuita una nuova importanza ai rap-porti con i Paesi i cui territori un tempo erano soggetti al do-minio o all’influenza della Sublime Porta, anche a causa dellebattute d’arresto subite dal processo di integrazione nell’U-nione Europea, ai dissapori con gli Stati Uniti sull’utilizzo dibasi turche per la missione in Iraq e alle tensioni con Israelecausate dall’intensificazione dei suoi rapporti con la Repub-blica di Cipro e dall’incidente del Mavi Marmara. L’obiettivodi lungo corso della Turchia guidata dall’Akp sembra essere lacreazione di uno spazio politico, linguistico e culturale tra lepopolazioni di etnia turca in cui viga una condizione di stabi-lità garantita da Ankara. Tale strategia, che in Occidente èstata impropriamente definita “neo-ottomana” (G.E. Fuller,2007), risulta legittimata dalla democraticità del regime turco,che per questo gode di un’elevata “rispettabilità” internazio-nale, e dal suo potere economico, che le assicura un discretomargine di trattativa con gli Stati occidentali e una posizionedi forza nel Grande Medio Oriente (L. Ozzano, 2009). Conquesto orizzonte di sfondo la Turchia sembra battere tre “cor-ridoi”: 1) Siria-Libano-Giordania-Egitto; 2) Iraq-Paesi delGolfo Persico; 3) Azerbaigian-Asia centrale. Ankara trova nel-l’affermazione del principio “zero problemi” una politica co-mune ai tre corridoi, però mentre rispetto ai primi due fa ri-corso a una rivisitazione moderata del “pan-islamismo”, con-siderando la religione musulmana uno degli aspetti caratteriz-zanti della cultura di questi popoli, rispetto al terzo la formulapolitica utilizzata è quella del “pan-turchismo”, sostenendoche la comunanza di origine dei popoli di lingua turca costi-tuisca un vettore di unità politica (A. Davutoglu, 1993). L’A-zerbaigian è considerato dal Governo Erdogan una compo-

104

Page 53: Azerbaigian. Una lunga storia

stesso tempo, il rapporto con l’Azerbaigian rappresenta per ilCremlino il tassello più importante nel mosaico del Caucaso“non russo”, trattandosi dello Stato più popolato, territorial-mente più ampio ed economicamente più dinamico della re-gione. Sulla scorta di tali considerazioni la posizione sbilan-ciata a favore dell’Armenia degli anni della presidenza di BorisEl’cin, è stata moderatamente riequilibrata durante il corsopolitico guidato da Vladimir Putin e Dmitrij Medvedev (A.Vitale, G. Romeo, 2009).

L’ultima grande formula geopolitica all’interno della qualel’Azerbaigian, suo malgrado, si trova inserito è quella iraniana,definita “mezzaluna sciita” dal re di Giordania Abdullah II,che ne intendeva denunciare il pericolo, e poi ripresa ampia-mente negli studi sulle relazioni internazionali (V. Nasr, 2007).Dopo la fine della Guerra fredda, a causa dell’assenza di unasuperpotenza globale antagonista al potere americano in Me-dio Oriente e nelle aree ad esso adiacenti, la naturale tendenzaal bilanciamento è stata attivata su scala regionale dall’Iran,che ha cercato di guadagnare lo status di potenza leader ricer-cando nella politicizzazione dell’Islam e nell’opposizioneideologica all’Occidente la propria fonte di legittimità interna-zionale e nello sviluppo del suo programma nucleare la provadella sua capacità offensiva. Tuttavia la doppia frattura che lodivide da gran parte delle popolazioni della regione, quellaconfessionale tra sunniti e sciiti e quella etnica tra arabi e per-siani, ha solitamente circoscritto il soft power di Teheran ai solifedeli della shia, che si trovano ricompresi in un fazzoletto diterra somigliante a una mezzaluna che abbraccia l’Arabia Sau-dita orientale, il Bahrein, il centro e il sud dell’Iraq, il Libanomeridionale, alcune città strategiche della Siria, lo Yemennord-occidentale e l’Azerbaigian. In virtù di questo minimocomun denominatore, Teheran sostiene gli Stati guidati daleader riconducibili alla galassia sciita (Siria, Iraq), i partiti cherappresentano questa componente religiosa nei Paesi multi-confessionali caratterizzati da un discreto grado di libertà po-

107

Kozyrev nei primi anni Novanta e ampiamente utilizzato nelcorso degli anni Duemila, pur segnando la rinuncia a unaproiezione globale degli interessi del Paese, ribadisce la vo-lontà di restaurazione di una “zona d’influenza russa” sullearee che un tempo costituivano parte integrante dello spaziosovietico: la sua declinazione concreta passa per la rivendica-zione di Mosca delle funzioni di peacekeeping e di manteni-mento della stabilità politica in questi territori, di cui la crea-zione della Comunità degli Stati Indipendenti (Csi) e dell’Or-ganizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (Csto) costi-tuiscono un tentativo di istituzionalizzazione. In questa pro-spettiva, le tre Repubbliche del Caucaso meridionale vengonocollocate all’interno di un sistema di sicurezza ed economicoomogeneo di cui fanno parte anche le regioni del Caucaso set-tentrionale, che tuttora si trovano sotto l’autorità di Mosca, esu cui ogni “attenzione” esterna viene considerata alla streguadi una violazione al principio di non ingerenza (M. Laruelle,2008). Tale impostazione trova conferma nelle parole di Vla-dimir Degoev, professore dell’Istituto di relazioni internazio-nali dell’Università Statale di Mosca, secondo cui “l’Occi-dente deve sapere che la Russia ha, ed avrà sempre, alcuni in-teressi vitali in Transcaucasia, che non pretendono un ricono-scimento verbale ma una stretta osservanza. Esistono, infatti,circostanze storiche, geografiche e d’altro tipo che non con-sentono alla Russia di essere indifferente a quanto accade inAzerbaigian, Georgia e Armenia … In linea di principio sia laRussia che l’Occidente hanno lo stesso obiettivo nel Caucasomeridionale, vale a dire il conseguimento di pace, stabilità ebenessere … Tuttavia si presenta un paradosso: se nel Cau-caso la Russia avrà come vicini meridionali l’Unione Europeae la Nato, allora in questa regione non ci sarà tranquillità” (A.Ferrari, 2010). Il Caucaso, d’altronde, più di altre aree vienepercepito da Mosca come un banco di prova del suo ritrovatostatus internazionale di grande potenza e, in quanto tale, dellasua capacità di difendere l’interesse nazionale del Paese. Allo

106

Page 54: Azerbaigian. Una lunga storia

zioni erano a loro volta condizionate dall’azione esterna del-l’Impero britannico.

Fattori di fragilità dell’Azerbaigian indipendente

Le considerazioni sulle condizioni sistemiche internazionalie sugli scenari geopolitici regionali in cui è collocato l’Azer-baigian, permettono di passare al terzo livello di analisi, in cuisi tenterà di delineare le tendenze generali che stanno con-traddistinguendo il ruolo e l’azione politica di Baku. Ripren-dendo le categorie definitorie di Martin Wight, nell’ambitodel sistema internazionale contemporaneo l’Azerbaigian puòessere considerato una minor power, ossia uno Stato le cui di-mensioni impongono il perseguimento di un numero limitatodi obiettivi e la cui azione internazionale è condizionata dall’e-sistenza di dispute territoriali in sospeso con gli Stati limitrofi,alle quali risulta intimamente collegata la questione della sicu-rezza nazionale (M. Wight, 2004). A tal proposito, va sottoli-neato che nell’ambito del sistema bipolare le minor power go-devano nei confronti delle due superpotenze di un elevato po-tenziale di ricatto, derivante da una condizione strutturale chepermetteva loro di contrattare il posizionamento internazio-nale a un prezzo maggiore in virtù del timore del cosiddetto“effetto domino” (per tale ragione Wight ha utilizzato la defi-nizione di minor power in luogo di “Stati deboli” o “Stati mi-nori”). Non appena stretto l’accordo, tuttavia, questi Paesi ac-cettavano di partecipare a un sistema di alleanze bloccato, lad-dove essendo “la coalizione a dettare la missione” risultava ne-cessaria una tacita rinuncia a porzioni di sovranità nella di-mensione internazionale (queste dinamiche non interessaronocomunque l’Azerbaigian che era una Repubblica Socialistadell’Unione Sovietica). Oggi, al contrario, una simile tipologiadi Stati deve confrontarsi con la svalutazione del suo peso spe-cifico in termini assoluti. A questa fa da contraltare il recupero

109

litica (Libano) e le comunità sciite che subiscono un clima didiscriminazione e sono impegnate in uno scontro extra-istitu-zionale con il potere costituito (Arabia Saudita, Bahrein e Ye-men) (G.E. Fuller, R.R. Francke, 1999). Il disegno finale èquello della creazione di un blocco politico sciita che prenda ilpotere negli Stati dove è presente, creando un’alleanza inter-nazionale in nome dell’identità dei regimi politici interni. Aquesto blocco spetterà il compito di bilanciare l’egemonia sta-tunitense in Medio Oriente, contrastare il primato militare diIsraele e arrestare l’ascesa dei “campioni politici” del sunni-smo (in particolare dell’Egitto e dell’Arabia Saudita), le cui leélites sono accusate da Teheran e dai suoi sodali di una sostan-ziale connivenza con l’Occidente. Anche l’Azerbaigian rientraa pieno titolo nella mezzaluna tracciata da Teheran, in quantoil 67% dei suoi circa 8 milioni di abitanti appartiene allo scii-smo tanto che gli azerbaigiani, prendendo in considerazione ilrapporto tra confessione religiosa e popolazione totale, si atte-stano a livello mondiale come la seconda nazione sciita dopol’Iran (www.ice.gov.it).

In virtù della sua posizione geografica, quindi, è possibileaffermare che l’Azerbaigian è calato in una regione chiamatacontemporaneamente in causa da ben quattro diverse dottrinestrategiche, che ispirano l’azione internazionale di una super-potenza (l’arco di crisi degli Stati Uniti), di una grande po-tenza (l’estero vicino della Russia), nonché quella di due me-die potenze in ascesa nella regione del Grande Medio Oriente(il neo-ottomanismo della Turchia e la mezzaluna sciita dell’I-ran). Il suo valore politico piuttosto che essere intrinseco ap-pare estrinseco, in quanto il dominio su quest’area è conside-rato in grado di produrre effetti dirimenti sulle aree circo-stanti (M. Desch, 1989). Tale condizione, tuttavia, non può es-sere considerata esclusivamente frutto delle dinamiche geopo-litiche del XX e del XXI secolo, ma costituisce un’evoluzionedello scontro per il controllo della regione nei secoli XVIII-XIX tra Impero zarista, Impero ottomano e Persia, le cui rela-

108

Page 55: Azerbaigian. Una lunga storia

(1994-1996; 1999-2009), dalle turbolenze indipendentiste inOssezia, Inguscezia e Abcasia e dalla Guerra russo-georgianadel 2008 (Y. Breault, P. Jolicoeur, J. Lévesque, 2003). Per nonparlare di due eventi potenzialmente vettori di fenomeni de-stabilizzanti che hanno preso forma a poca distanza dall’Azer-baigian: l’abbattimento del regime dei talebani in Afghanistannel 2001 e di quello baathista in Iraq nel 2003, con i relativistrascichi di violenza che continuano a perdurare.

A fronte di tale situazione, il coefficiente di persuasione del-l’Azerbaigian appare ridotto sebbene non trascurabile, risul-tando incentrato sulla formula politica della “nazione azerbai-giana” rivolta principalmente agli azerbaigiani che vivono neiterritori occupati dall’Armenia e a quelli che abitano in Iran(oltre 25 milioni) e in Russia (oltre 2 milioni). Al contrario nonvi viene fatto ricorso rispetto ai residenti in Turchia (1 mi-lione), sia per non urtare i buoni uffici che intercorrono conquesto Paese, che per non contraddire gli assunti del pan-tur-chismo (AA.VV., 2012). Anche il suo coefficiente di potere dicoercizione è soggetto a una condizione simile. In virtù di unesercito composto da 66.940 effettivi e 300.000 riservisti e conun rapporto tra spesa militare e Pil pari al 3,5%, appare po-tenzialmente esercitabile nei confronti delle unità politicheminori della regione, ma non con le medie e grandi potenze dacui il Paese è circondato (Ivi). L’eventualità di una guerra ap-pare verosimile nei confronti dell’Armenia a causa della que-stione pendente del Nagorno-Karabakh, mentre può essereconsiderata altamente improbabile nei confronti della Geor-gia, con cui intercorre una stretta alleanza ed esiste un solocontenzioso relativo al controllo del monastero David Gareja.Al contrario è da escludere qualsiasi azione di forza nei con-fronti degli altri due Stati con i quali l’Azerbaigian condivideuna linea di confine, la Russia e l’Iran. Va ricordato che Moscae Teheran storicamente si sono contese il dominio sul territo-rio azerbaigiano, sprovvisto di difese naturali, tanto che nellamentalità delle rispettive classi dirigenti appare radicata la

111

di una maggiore libertà di azione e, a seconda delle singolecondizioni e peculiarità, la possibilità di incrementare il pro-prio peso specifico, il cui valore si è relativizzato, grazie ad unagestione sapiente delle mosse sullo scacchiere internazionale.L’Azerbaigian, grazie alla valenza strategica della sua colloca-zione geografica e alla ricchezza delle risorse energetiche insuo possesso, si trova a gestire un capitale politico che, afronte di alcuni non trascurabili rischi, potrebbe essere forierodi grandi opportunità. In tal senso è necessario mettere in re-lazione la costante rappresentata dalla posizione strategica diBaku, con le variabili costituite dalle risorse energetiche edalle posizioni assunte dalla Repubblica dell’Azerbaigiandopo l’indipendenza del 1991.

La condizione di minor power della Repubblica caucasicasembra confermata dall’assenza di velleità espansionistiche diBaku e dalla contemporanea fermezza mantenuta dal governodi Ilham Aliyev sulla principale questione internazionale che,sin dal 1992, la trova suo malgrado protagonista: il possessodella regione del Nagorno-Karabakh. Tra i principali fattori difragilità che gravano sull’Azerbaigian è necessario, anzitutto,ricordare le condizioni eccezionali che il Paese si è trovato afronteggiare sin dalla sua nascita. La guerra con l’Armenia hadeterminato la morte di circa 30.000 uomini, l’occupazione dicirca il 20% del suo territorio e lo status di profugo per 1/8della sua popolazione. Indirettamente, inoltre, ha contribuitoa peggiorare le condizioni della Repubblica autonoma delNakhchivan, il cui territorio è privo di continuità rispetto allaMadrepatria e vive in un sostanziale isolamento trovandosi in-cuneato tra l’Armenia e l’Iran, in quanto il suo unico punto dicontatto con una potenza amica sono i nove chilometri di con-fine con la Turchia lungo il fiume Araz sul quale è stato co-struito il ponte Umid (“speranza”) (AA.VV., 2012). A renderepiù complesso il quadro, sono intervenute le conseguenze in-dirette ma comunque importanti sul piano della stabilità poli-tica ed economica, prodotte dalle due Guerre russo-cecene

110

Page 56: Azerbaigian. Una lunga storia

tare sul sostegno militare dei Paesi della Nato che, similmentea quanto avvenuto con la Georgia, non metterebbero a repen-taglio la stabilità mondiale per proteggere un loro alleato cau-casico. Il tradizionale timore di “abbandono” (G.H. Snyder,1986; M. Cesa, 2007) da parte degli alleati ha fatto sì che l’A-zerbaigian da un lato abbia optato per l’incremento delle suespese militari annue, che hanno superato il miliardo di dollari,e dall’altro abbia compreso che con la Russia deve necessaria-mente intrattenere dei rapporti di buon vicinato. Non a caso,differentemente dalla Georgia, è rimasto all’interno della Csipur senza aderire alla Csto (S.E. Cornell, 2011).

Il capitolo dei rapporti con l’Iran, dal canto suo, non èmeno complesso. È possibile affermare che, almeno per il mo-mento, il progetto di Teheran di costituire una “mezzalunasciita” non abbia trovato sponda in Azerbaigian. La comuneidentità confessionale delle popolazioni dei due Paesi si scon-tra con la frattura etnica tra iraniani e azerbaigiani, poiché i se-condi costituiscono un quinto della popolazione complessivadell’Iran. La parte più cospicua della nazione azerbaigiana,anche a causa della divisione del 1828 tra la Russia e l’Iran deiterritori da essa popolati, si trova oltreconfine. Con il venirmeno della rigidità delle frontiere dell’Unione Sovietica e ilconseguimento dell’indipendenza da parte dell’Azerbaigian, irapporti tra le due comunità azerbaigiane hanno registratoun’intensificazione. Questa ha suscitato molti malumori inIran, anche a causa del sostegno fornito da Baku alle rivendi-cazioni politiche e sociali degli azerbaigiani che risiedononella Repubblica Islamica. Per tale ragione, Teheran accusa lacontroparte di interferire nelle sua sfera politica interna, ali-mentando gli aneliti indipendentisti del cosiddetto “Azerbai-gian iraniano” e di cercare contatti con politici iraniani di et-nia azerbaigiana (nelle presidenziali del 2009 il principale sfi-dante di Mahmud Ahmadinejad è stato Mir-Hosein Musavi,appartenente per nascita alla “nazione azerbaigiana”). Un’ac-cusa uguale e contraria è stata mossa dalle autorità di Baku,

113

percezione dell’Azerbaigian come di un’area cuscinetto tra laRussia, l’Iran e la Turchia.

L’analisi dei rapporti con la Russia deve prendere le mossedalla considerazione che, dopo la prova di forza del Cremlinocontro i movimenti separatisti nel Caucaso settentrionale neglianni Duemila e quella contro la Georgia nell’agosto del 2008,la transizione egemonica sull’area da Mosca a Washington,che era sembrata prossima dopo il 1991, non appare attual-mente né certa, né, tanto meno, immediata (A. Ferrari, 2006).È, tuttavia, altrettanto importante sottolineare che la politicaestera russa, soprattutto quando ripone gli strumenti dell’hardpower per utilizzare quelli del soft power, non risulta esente dapassi falsi. L’azione in Georgia sebbene abbia costituito unsuccesso militare, ha contemporaneamente indebolito il tenta-tivo di rilanciare il prestigio della Russia attraverso un’operadi mediazione tra il presidente azerbaigiano I. Aliyev e quelloarmeno Sarkisyan sul raggiungimento di una pace duratura inNagorno-Karabakh, anche a causa dei timori suscitati nellaclasse dirigente azerbaigiana. I negoziati attivati non stannoproducendo i risultati auspicati da Mosca, perché la base ditrattativa proposta dal Cremlino, secondo le autorità azerbai-giane, sarebbe costituita da una loro rinuncia implicita al re-cupero della sovranità sulla regione. Baku è assolutamentecontraria anche all’offerta del Cremlino di inviare dei pea-cekeeper russi nell’area, essendo peraltro già presenti le forzemilitari di Mosca nella base armena di Gyumri. La proposta èstata accusata di celare un tentativo di ripristino del controllomilitare russo sul Caucaso meridionale sotto l’etichetta della“missione di pace”, ostacolando i progetti della Nato in que-sta regione. L’umiliazione di Tbilisi, inoltre, ha alimentato inAzerbaigian il sospetto che, nel caso gli eventi precipitasseroin Nagorno-Karabakh, l’esercito di Mosca potrebbe interve-nire con facilità per ristabilire un ordine favorevole all’Arme-nia. Allo stesso tempo, la “lezione georgiana” ha insegnato aBaku che in caso di attacco russo difficilmente potrebbe con-

112

Page 57: Azerbaigian. Una lunga storia

e quella della Federazione Russa. Mosca, in un primo tempoorientata all’applicazione di un regime di condivisione dellasovranità per lo spazio esterno alle acque territoriali – ipotesiche a norma del diritto internazionale avrebbe equiparato ilMar Caspio a un qualsiasi mare esterno – riconosce attual-mente il principio della completa spartizione della piat-taforma continentale. Il riconoscimento secondo l’opinionedel Cremlino, anche a fronte dell’accordo russo-azero del1998 sulla spartizione della parte occidentale del bacino, siestenderebbe solo al sottosuolo caspico, escludendo di conse-guenza la complessità della superficie acquatica che reste-rebbe res communis dei cinque Stati rivieraschi. L’argomenta-zione formale russa alla base di tale posizione è determinatadalla necessità di difendere il naturale continuum ecologicodel mare, non suscettibile di artificiose spartizioni politiche. Ilprincipio non è mai stato accolto da Baku che, viceversa, ri-tiene necessario procedere verso una chiara definizione deiconfini marittimi, rigettando tout court una giustificazioneecologica mal supportata e disapplicata dalla stessa Russia nelcaso parallelo del Mar Nero. Il criterio russo, d’altronde, sem-bra assumere sotto diversi aspetti una natura pretestuosa,strumentale alle necessità del Cremlino di preservare un vetoinformale sulla realizzazione di progetti infrastrutturali tral’Azerbaigian e le ex Repubbliche Sovietiche dell’Asia Cen-trale. In altri termini, il concreto rinvio della ripartizione sullasovranità del Mar Caspio permette a Mosca di imporre unveto informale sulla prospettiva della costruzione di un oleo-dotto per collegare i giacimenti di greggio kazaki all’hub diBaku, ipotesi che potrebbe minare l’utilità della Caspian Pipe-lines, che dal 2001 conduce le risorse di Astana fino al portorusso di Novorossiysk, sul Mar Nero. La problematica appareancora oggi lontana da una soluzione condivisa e definitiva,ma potrebbe trovare una conclusione relativamente rapida at-traverso un rafforzamento dell’approccio multilaterale alletrattative diplomatiche: un accordo sottoscritto da tutti gli

115

secondo cui l’Iran sostiene dal 1991 le attività dell’IslamicParty of Azerbaigian, messo fuori legge nel 1995, il cui leader –Movsum Samadov – è stato recentemente condannato a do-dici anni di carcere per attività sovversive. La formazione, cheha continuato ad agire in clandestinità, si oppone alla secola-rizzazione della società azerbaigiana, è radicalmente contrariaal progetto del pan-turchismo, si dichiara ostile alla presenzadi qualsiasi organizzazione non governativa occidentale nelPaese, richiede esplicitamente la soluzione militare nel Na-gorno-Karabakh e invoca la trasformazione dell’Azerbaigianin una repubblica islamica alleata dell’Iran (S.E. Cornell,2011). Le relazioni tra i due Stati, inoltre, sono inasprite dal-l’intenso legame stretto da Baku con Gerusalemme negli ul-timi anni. Questa, dopo Ankara, è stata tra le prime capitali ariconoscerne l’indipendenza anche in virtù della presenza diuna consistente comunità ebraica che da secoli vive in Azer-baijan in un clima di tolleranza. Proprio in funzione anti-ira-niana, Israele sta sostenendo la modernizzazione delle forzearmate azerbaigiane, di cui è divenuto il principale fornitoredi strumentazione bellica (A. Murinson, 2009).

Un ulteriore capitolo irrisolto della politica estera azerbai-giana è quello concernente la sua naturale proiezione nellospazio caspico e i rapporti con gli Stati rivieraschi, il cui nu-mero è salito considerevolmente in seguito alla dissoluzionedell’Unione Sovietica (Azerbaigian, Russia, Kazakistan, Turk-menistan, oltre all’Iran). La piattaforma continentale del piùvasto mare interno del pianeta risulta ancora oggi priva di unastabile ripartizione politica, presupposto indispensabile per ilcorretto sfruttamento delle sue abbondanti materie prime.Tale problematica è oggetto di trattative e vertenze diplomati-che tra i cinque Paesi fin dai primi anni Novanta. Le difficoltàin proposito non si sostanziano nella concreta demarcazionedei confini marittimi, quanto piuttosto nei presupposti gene-rali che dovrebbero guidarne la spartizione, punto sul quale siregistra una forte divergenza tra la posizione dell’Azerbaigian

114

Page 58: Azerbaigian. Una lunga storia

punti di forza. Anzitutto va sottolineato come l’economiaazerbaigiana sia la più dinamica tra quelle della regione cauca-sica. Superati gli inevitabili problemi legati alla transizione dalsistema collettivista a quello di mercato, la Repubblica ha regi-strato un significativo sviluppo economico. Il prodotto in-terno lordo si è triplicato con tassi di crescita che nel biennio2006-2007 hanno raggiunto mediamente i trenta punti per-centuali, come neanche nei Paesi appartenenti al cosiddettogruppo “Bric’s” è mai accaduto, mentre il Pil pro capite a pa-rità di potere d’acquisto è passato dai circa 3.000 dollari annuidel 1992 agli attuali 10.000 e l’indice della disoccupazione, inprogressivo calo, si attesta oggi intorno al 6%. Comparativa-mente gli azerbaigiani godono di un livello di benessere supe-riore a quello dei vicini più prossimi, i georgiani e gli armeni,nonché a quello dei cittadini delle ben più arretrate repubbli-che del Caucaso settentrionale, parte integrante della Federa-zione Russa. L’alto tasso di sviluppo ha contribuito a raffor-zare agli occhi dei cittadini dell’Azerbaigian la legittimità dellaneonata Repubblica e della classe dirigente guidata dal presi-dente I. Aliyev, consolidando così l’autorità dello Stato in unafase di transizione dagli esiti potenzialmente incerti (S. O’-Lear, 2007). Nell’arco di questi primi venti anni di indipen-denza, la crescita economica dell’Azerbaigian ha viaggiato dipari passo con l’ottimizzazione dello sfruttamento delle sue ri-sorse energetiche che, anche grazie alla stabilità politica delPaese, gli ha permesso di attirare un consistente afflusso di in-vestimenti diretti esteri. Dopo la Seconda guerra mondiale,l’esaurimento delle riserve energetiche sulla terraferma causòuna parziale stagnazione del settore, ma quest’ultimo, già ne-gli anni Novanta, ha conosciuto un vero e proprio rilancio. Iltrend economico di segno positivo che sta contraddistin-guendo la storia azerbaigiana più recente, infatti, può esserespiegato principalmente facendo riferimento ai successi del-l’industria estrattiva nazionale, ridestatasi dopo l’empasse so-vietica. Il Paese dispone di riserve ingenti di idrocarburi ubi-

117

Stati rivieraschi assumerebbe una leggittimità maggiore ri-spetto alle singole intese bilaterali. Si tratta di una opzione cherichiede una decisa volontà di concertazione tra i soggetti in-teressati, i cui rapporti si dimostrano ancora saltuariamentecaratterizzati da forti criticità. La sovranità sul Mar Caspio, in-fatti, è stata anche la causa di un breve, ma preoccupante, in-cidente diplomatico tra Baku e Teheran. Nel luglio del 2001,infatti, una squadra di caccia iraniani, violando lo spazio aereodella Repubblica caucasica, ha attaccato alcune navi azerbai-giane che stavano sondando le acque dell’area contesa diSharg-Araz-Alov. L’evento non ha causato un’escalation inquanto nei giorni immediatamente successivi numerosi jet dacombattimento turchi sono stati inviati a Baku, ufficialmenteper partecipare a una parata, lanciando un chiaro messaggiointimidatorio a Teheran che ha preferito stemperare la ten-sione. Un’ulteriore questione pendente è quella sulle attivitàdi trivellazione dei campi offshore di Kapaz e di Alov che, di-versamente dalle altre aree petrolifere azerbaigiane, soffronouna posizione distante dalla costa del Paese, tale da porre indiscussione la sovranità di Baku sul loro fondale marino. Que-sti pozzi, infatti, sono stati rivendicati anche dal vicino Turk-menistan che, al pari dell’Azerbaigian, ha già provveduto allafirma di concessioni per lo sfruttamento dell’area (S. LeVine,2007).

Fattori di forza dell’Azerbaigian indipendente

Nonostante il contesto micro-regionale nel quale l’Azerbai-gian è calato registri la presenza di alcune questioni interna-zionali aperte in cui lo spirito competitivo degli Stati prevalenettamente su quello cooperativo, imponendo a Baku una po-litica estera più che equilibrata laddove non veda messi in di-scussione i propri interessi vitali, non si può dire che l’unità-oggetto della presente analisi sia una minor power priva di

116

Page 59: Azerbaigian. Una lunga storia

consorzio, di cui sono soci anche la compagnia azerbaigianaSocar (10%), le americane Chevron Texaco (10%), DevonEnergy (5%), Exxon Mobil (8%) e Amerada Hess (2%), legiapponesi Inpex (10%) e Itochu (4%), la norvegese Statoil(8%) e la turca Tpao (6%) (R. Forsythe, 1996).

Il settore energetico azerbaigiano, inoltre, non si esauriscenell’estrazione del petrolio, ma è attivo anche in quella del gasnaturale. La produzione per questo secondo settore, storica-mente meno affermato del comparto del greggio, è concen-trata intorno al campo di Shah Deniz, ad appena 70 chilome-tri dalla costa, dove, a partire dal 1999 – l’anno della sua sco-perta – sono stati riscontrati ingenti quantitativi di combusti-bili fossili: oltre ai circa 1.200 miliardi di metri cubi di gas at-tualmente in fase di sfruttamento, il sito presenta un pozzo dipetrolio mai sfruttato la cui valutazione si aggira tra i 1,5 e i 3miliardi di barili. Anche in questo caso le operazioni di estra-zione sono state affidate a un gruppo di imprese guidate dallaBp e dalla norvegese Statoil, che dispongono entrambe del25,5% delle quote, cui si affiancano, in qualità di soci di mi-noranza, la Socar (10%), la società mista italo-russo Lukagip(10%), la francese Total (10%), l’iraniana Nioc (10%) e laTpao (9%). La costruzione delle infrastrutture, terminate nel2006, ha richiesto un investimento complessivo di circa 10 mi-liardi di dollari, una cifra che potrebbe aumentare considere-volmente nei prossimi anni in ragione delle rilevanti potenzia-lità del sito. Shah Deniz e i depositi di Nakhchivan e Ashrafi,meno ricchi ma con potenzialità non per questo trascurabili,potrebbero rappresentare solo una parte delle risorse gassosedella regione caspico-azerbaigiana (M. Verda, 2011).

La centralità assunta dal settore energetico ha comportato,contemporaneamente, sia un rischio che un’opportunità. Lesue enormi potenzialità hanno attirato l’interesse politico, gliinvestimenti interni ed esterni e le migliori professionalità,mentre altri settori che potrebbero risultare interessanti nel-l’ambito di un’economia con barriere sempre minori, anche in

119

cate a pochi chilometri di distanza dalle sue coste, lungo lequali si affacciano la capitale e i suoi principali centri abitati.Grazie ai suoi pozzi offshore, l’Azerbaigian si trova alla dician-novesima posizione nella speciale classifica mondiale delle ri-sorse di petrolio accertate per Stato. Il pozzo maggiore è de-nominato Azeri-Chirag-Guneshli e si trova in prossimità dellapenisola di Absheron, sulla quale sorge Baku. Secondo le pre-visioni più recenti è stimato che abbia un potenziale da circa 6miliardi di barili, tanto da farlo attestare tra i maggiori pozzi ditutta l’area centro-asiatica (il terzo per dimensioni su scala glo-bale). La gestione dei pozzi, dalle operazioni di sondaggio al-l’estrazione, passando per il trasferimento del petrolio sullegrandi “autostrade” energetiche della regione, è condotta daun consorzio di dieci imprese denominato Azerbaigian inter-national operating company (Aioc). Questa è stata fondata nelsettembre del 1994 come risultato di un accordo siglato da un-dici compagnie straniere con le autorità di Baku, rappresen-tate dalla compagnia pubblica State oil company of Azer-baijan Republic (Socar), per creare una struttura permanenteincaricata di gestire l’attivazione di joint venture e la conces-sione dei diritti di sfruttamento sui pozzi attraverso il sistemadei Production sharing agreements (Psa). Una simile tipologiadi contratto permette alle autorità azerbaigiane di affidare ilcomplesso degli oneri e dei rischi del trivellamento alle solemultinazionali, senza rinunciare a una forma di controllo sulleattività gestionali, soprattutto in materia di assunzioni: unaquota-parte di queste deve essere necessariamente riservataagli azerbaigiani. Il vero margine di guadagno, tuttavia, è rica-vato tramite l’imposizione di royalties. Il più importante Psa èstato sottoscritto nel settembre 1994 tra la Socar e l’Aioc, pro-prio in relazione alle risorse dei pozzi offshore di Azeri-Chi-rag-Guneshli, ed è stato definito “il contratto del secolo” pervia dell’enorme giro di investimenti che ha stimolato (7,4 mi-liardi di dollari in trent’anni). La britannica Bp, che controllail 34% delle quote è l’azionista di maggioranza dell’intero

118

Page 60: Azerbaigian. Una lunga storia

legittimità domestica e internazionale della Repubblica dell’A-zerbaigian (www.oilfund.az).

Un secondo punto di forza di Baku è stato la sua veloce am-missione alle organizzazioni che costituiscono il “salottobuono” della politica internazionale, di cui oltre gli StatiUniti, anche l’Italia è stata un importante sponsor. L’Azerbai-gian, oltre a essere membro dell’Organizzazione delle NazioniUnite dal 2 marzo del 1992 ed essere stato eletto quale mem-bro non permanente al Consiglio di Sicurezza per il biennio2012-2013, ha completato anche l’iter di adesione a una seriedi organizzazioni internazionali tra cui il Consiglio d’Europa,la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo e l’Orga-nizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa. Nel-l’ambito di quest’ultima, è stato attivato già nel 1992 il cosid-detto “gruppo di Minsk”, guidato da Stati Uniti, Russia eFrancia, nato con lo scopo, per il momento disatteso, di inco-raggiare una soluzione pacifica e negoziata del conflitto sulNagorno-Karabakh. Il Paese è, inoltre, membro del Fondomonetario internazionale (Fmi) e della Banca mondiale (Bm),mentre si trova ancora nello status di osservatore nell’ambitodell’Organizzazione mondiale per il commercio (Omc). Lacompleta adesione a quest’ultima organizzazione rappresentauno dei più importanti obiettivi della politica estera del presi-dente della Repubblica I. Aliyev, in quanto implementerebbele opportunità di sviluppo dell’Azerbaigian sancendone con-temporaneamente il definitivo ingresso nell’economia di mer-cato globale. Sebbene la domanda di ammissione sia stata for-malizzata già nel 1997, l’acquisizione della membership è statacongelata per tutto il decennio successivo a causa delle lacunelegislative che gravavano sull’adesione di Baku in materia didifesa dei diritti sulla proprietà intellettuale e della regolamen-tazione del mercato degli investimenti. Tali carenze, così comele problematiche sollevate dall’accusa di scarsa trasparenzadei pubblici uffici e del livello ancora troppo alto delle tariffedoganali, nell’ultimo quinquennio sono state al centro di di-

121

virtù del basso costo della manodopera locale, stentano a de-collare o perdono di competitività (agricoltura e servizi in par-ticolare). Se questo andamento proseguisse, l’Azerbaigian di-penderebbe sempre di più dall’esportazione di petrolio e gas,finendo per importare la gran parte degli altri beni necessarialla vita del Paese: finirebbe per imbattersi, come molti “pe-tro-Stati”, nella cosiddetta “malattia olandese”, ossia in unacondizione di de-industrializzazione e di bilancia commercialein rosso causata dall’appiattimento dell’economia nazionale suun solo settore economico (T.L. Karl, 1997; M. Verda, 2011).Pur correndo tale rischio, l’Azerbaigian sta sfruttando ancheun’importante possibilità fornita dalla grande espansione delsuo settore energetico. Una quota-parte dei suoi proventi, in-fatti, viene utilizzata per ridurre le distorsioni macro-economi-che e assicurare l’equità intergenerazionale (E. Mamedyarov,2005). In quest’ottica va inquadrata la creazione, nel dicembre1999 dello State oil fund of Azerbaigian (Sofaz), una strutturaindipendente e responsabile esclusivamente di fronte al presi-dente della Repubblica, cui spetta il compito di impiegare i ca-pitali che le vengono affidati per scopi di progresso sociale. Ilfondo promuove progetti quali il rafforzamento della rete fer-roviaria nazionale, la costruzione di impianti di irrigazione, ilsostegno al settore agricolo e manifatturiero e il supporto eco-nomico ai rifugiati del conflitto nel Nagorno-Karabakh. Tragli indicatori del funzionamento del Sofaz vanno menzionati ilpotenziamento del servizio di assistenza sanitaria nazionale(per la quale l’Azerbaigian destina oggi il 5,8% del proprioprodotto interno lordo), quello delle infrastrutture scolastiche(nel 2011 il 2,8% del Pil è stato speso per programmi d’istru-zione) e il sostanziale abbattimento del tasso di povertà asso-luta (dal 27% al 2%). Il principale risultato politico prodottodall’istituzione di questo fondo, cui contribuisce anche l’ade-sione a un progetto internazionale di monitoraggio sulla ge-stione dei capitali generati dal settore energetico (Extractiveindustries transparency initiative), è il consolidamento della

120

Page 61: Azerbaigian. Una lunga storia

popolo azerbaigiano e le popolazioni cristiane confinanti dacui ha assimilato alcuni dei principi politici, economici e so-ciali dell’Occidente, sia la laicizzazione forzata della sferapubblica nel periodo sovietico. La Repubblica dell’Azerbai-gian ha tratto giovamento dal processo di secolarizzazione siaper la sua stabilità interna, che l’ha posta al riparo dal fonda-mentalismo islamico e dalle esplosioni di violenza tra comu-nità confessionali, che per la sua legittimità internazionale,presentandosi come un modello di realizzazione della comple-mentarità tra laicità dello Stato e religiosità della popolazionenell’ambito del mondo islamico (S.E. Cornell, 2011). Talecondizione, tuttavia, non ha costituito un fattore di impedi-mento per il suo ingresso nel 1991 nell’Organizzazione dellaconferenza islamica (Oic), di cui l’Azerbaigian è stato il primoattore politico sorto dalle ceneri dell’ex Unione Sovietica aprendere ufficialmente parte. Status che si è rivelato fonda-mentale soprattutto durante la guerra con l’Armenia, quandol’Oic ha garantito un supporto politico, diplomatico ed eco-nomico che è risultato indispensabile per l’Azerbaigian al finedi evitare che le sorti del conflitto precipitassero (www.oic-oci.org).

Le relazioni internazionali della Repubblica dell’Azerbaigian

La questione del Nagorno-Karabakh risulta dirimente dalpunto di vista di Baku per i suoi rapporti internazionali. Neglianni Novanta, l’Azerbaigian ha raffreddato le relazioni con laRussia, che durante la guerra aveva preso una posizione aper-tamente filo-armena, sebbene in seguito sia H. Aliyev che I.Aliyev abbiano evitato la rottura con Mosca attraverso unapolitica estera molto equilibrata, mantenendo il Paese nellaCsi e instaurando rapporti cordiali tanto con Putin, quantocon Medvedev. Con l’Iran, al contrario, i margini di dialogo sisono progressivamente assottigliati. L’appoggio di Teheran a

123

versi interventi di riforma che stanno gradualmente garan-tendo l’avvicinamento del Paese agli standard dell’Omc. Laprospettiva di un ulteriore miglioramento potrebbe far con-cretizzare l’ipotesi di un più rapido accoglimento della richie-sta di adesione di Baku, che, verosimilmente, potrebbe verifi-carsi in un periodo compreso fra i tre e i cinque anni.

L’Azerbaigian, inoltre, è uno dei cinque Stati fondatori del-l’Organizzazione per la democrazia e lo sviluppo economico,meglio nota come Guam, dall’acronimo dei sottoscrittori dellacarta costitutiva del giugno 2001: Georgia, Ucraina, Azerbai-gian e Moldova (fino al 2005 anche l’Uzbekistan ne facevaparte). L’obiettivo ufficiale dell’Organizzazione è quello diistituzionalizzare l’alleanza tra i Paesi membri incrementan-done la cooperazione nel processo di democratizzazione, nellasicurezza regionale, nella creazione dello Stato di diritto enelle relazioni con le strutture della Nato, dell’Osce e del-l’Onu. L’obiettivo sostanziale, tuttavia, è quello di creare unblocco di ex Repubbliche sovietiche che tenti di arginare l’e-spansione dell’influenza di Mosca oltre i confini attuali dellaRussia, gettando le premesse per una progressiva integrazionedi questi Paesi nel sistema di alleanza euro-atlantico(www.guam-organization.org).

Come terzo fattore di forza è necessario ricordare come l’A-zerbaigian costituisce una terra di confine anche sotto il pro-filo religioso, condizione che altrove ha causato, e continua acausare, tensioni significative. A fronte di una popolazione lacui stragrande maggioranza è di fede musulmana (sciiti 67%,sunniti 26%, cristiani 5%), la giovane Repubblica ha assuntoun carattere spiccatamente laico, anche per merito di un’ap-plicazione cum grano salis dell’articolo 48 della sua Costitu-zione, la cui lettera nega l’imposizione di una “religione diStato” e garantisce un clima di tolleranza verso le minoranzereligiose (www.cia.gov). Si tratta di un risultato a cui hannoconcorso sia la tradizionale interazione, maggiore per intensitàdi quella conosciuta da altre popolazioni di fede islamica, tra il

122

Page 62: Azerbaigian. Una lunga storia

Su impulso dell’Unione Europea, è stata creata, nel 1998, laCommissione intergovernativa Transport Corridor Europe-Caucasus-Asia (Traceca) il cui segretariato permanente dalmarzo del 2000 ha sede a Baku. Vi prendono parte quattordiciStati dell’Europa orientale, del Caucaso e della regione dell’A-sia centrale (Armenia, Azerbaigian, Bulgaria, Georgia, Ka-zakistan, Kirghizistan, Iran, Moldova, Romania, Turchia,Ucraina, Uzbekistan, Tagikistan, Turkmenistan). L’Organizza-zione si prefigge di porre le basi per la costituzione di una “viadella seta del terzo millennio”, promuovendo gli scambi com-merciali attraverso l’implementazione e la messa in sicurezzadelle reti di trasporto che collegano l’Europa al Caucaso e al-l’Asia centrale. La politica europea nei confronti dell’Azerbai-gian e, più in generale, della regione caucasica appare troppocircoscritta alla dimensione economica e sostanzialmente di-sinteressata all’intensificazione delle relazioni politiche, tantoda sostenere la ripresa dell’influenza russa che risulta favoritadai legami nel sistema amministrativo, infrastrutturale e indu-striale creati appositamente in epoca staliniana per disincenti-vare le spinte indipendentiste (A. Vitale, 2006).

Il rapporto con la Turchia è quello che si è dimostrato piùintenso e duraturo sia sotto il profilo culturale – grazie ad unacomunanza linguistica e di tradizioni capace di far passare insecondo piano la differenza religiosa tra sunniti (i turchi) esciiti (gli azerbaigiani) – sia sotto il profilo politico, tanto cheH. Aliyev amava ripetere che i due popoli formavano “unasola nazione con due Stati”. Nonostante questa immagine co-stituisca più una formula politica che l’effettiva descrizionedelle relazioni tra due Paesi che perseguono obiettivi diversianche se talvolta complementari, i buoni uffici tra Ankara eBaku sono diventati evidenti in relazione alla guerra del Na-gorno-Karabakh con l’embargo imposto dalla Turchia all’Ar-menia finché quest’ultima non avesse ritirato le sue truppe dalterritorio dell’Azerbaigian. Ankara, inoltre, ha provveduto al-l’addestramento del neonato esercito azerbaigiano, ha fornito

125

Erevan è diventato sempre più esplicito in seguito all’intensifi-carsi degli uffici tra Baku e Washington, nonostante l’Azerbai-gian abbia sostanzialmente ceduto alla Georgia la chance di di-venire il Paese-chiave della penetrazione militare degli StatiUniti nel Grande Medio Oriente dopo l’invasione dell’Iraq(A. Ferrari, 2006). Oltre all’Oic, infatti, sono stati principal-mente la Turchia e gli Stati Uniti a sostenere le ragioni di Bakua livello internazionale, mentre i Paesi europei hanno mante-nuto generalmente una posizione di equidistanza, con l’ecce-zione della Francia dove la forza della comunità armena hafatto interessare l’Eliseo soprattutto alle sorti degli armeni.

Baku vanta una rete di ottimi rapporti economico-diploma-tici con le principali capitali europee, tra le quali Berlino, Lon-dra e soprattutto Roma, che rappresenta il più importantepartner commerciale della Repubblica caucasica. L’Italia, se-condo le stime più recenti dell’Istituto nazionale per il com-mercio estero (Ice), è attualmente la prima meta di destina-zione delle merci prodotte in Azerbaigian, per un valore di19.220.144.000 $ su una quota complessiva di 47.756.229.000$, seguita dagli Stati Uniti dove arrivano merci azerbaigianeper 6.014.258.000 $ e Israele che si attesta sui 3.605.830.000 $(www.actea.ice.it). A partire dal 1998 sono stati formalizzatianche i rapporti con l’Unione Europea, con la creazione di uninviato speciale europeo a Baku e, nel 2000, con quella di unamissione permanente azerbaigiana a Bruxelles. Questo rap-porto ha registrato un’ulteriore intensificazione nel giugno del1999, in seguito all’entrata in vigore dell’Accordo di partena-riato e cooperazione firmato tre anni prima con l’obiettivo di:1) istituzionalizzare la cornice di dialogo politico tra le parti invista dello sviluppo delle relazioni tra i Paesi-membri della Uee l’Azerbaigian; 2) sostenere gli sforzi dell’Azerbaigian nelconsolidamento della democrazia e nella transizione versoun’economia di mercato; 3) promuovere il commercio, gli in-vestimenti e l’armoniosità della cooperazione economica, so-ciale, finanziaria, scientifica, tecnologica e culturale.

124

Page 63: Azerbaigian. Una lunga storia

national Security Assistant Force (Isaf) in Afghanistan, cuiBaku contribuisce attualmente con 90 uomini. L’Azerbaigianha preso parte anche a un’ulteriore missione internazionale, aldi fuori della cornice Nato ma fortemente voluta da Washing-ton: l’operazione Iraqi Freedom (Oif) in Iraq, cui è arrivato apartecipare con un picco massimo di 250 soldati, dispiegatinell’ambito della forza multinazionale presente sul teatro bel-lico nel 2004 e ritirati nel 2008 (www.mfa.gov.az). Rispetto allamissioni Isaf e Oif, inoltre, l’Azerbaigian si è rivelato determi-nante sotto il profilo logistico, avendo concesso insieme allaGeorgia il diritto di transito e di sorvolo e l’uso delle strutturedi rifornimento agli arei delle forze militari occidentali impe-gnate nelle operazioni militari (S.E. Cornell, 2011).

La politica energetica di Baku tra stabilità regionale e tendenzaall’equilibrio

Un capitolo speciale è quello della politica energetica, che siè attestata quale principale strumento di pressione internazio-nale dell’Azerbaigian per consolidare la propria indipen-denza, rafforzare la sua posizione sulla questione del Na-gorno-Karabakh e trasformarsi da Paese senza sbocco sulmare in una terra di transito nevralgica. In altre parole, per ac-quistare un ruolo specifico nello scacchiere geopolitico con-temporaneo.

La posizione geografica dell’Azerbaigian, d’altronde, risultastrategica anche nell’ambito della cosiddetta geoeconomia,trovandosi nell’intersezione dei corridoi “nord-sud” ed “est-ovest” e costituendo una valida alternativa per le rotte di tran-sito, di trasporto e di uscita verso i mercati mondiali ad areeinstabili come il Medio Oriente, il Caucaso russo e l’Iran, non-ché un importante fattore di diversificazione delle fonti di ap-provvigionamento energetico. L’abbondanza di risorse natu-rali nella regione e l’ingresso di quest’ultima nell’economia di

127

l’assistenza umanitaria ai rifugiati e, a differenza dell’Iran, hachiaramente etichettato come “aggressione” l’operazione ar-mena nella regione contesa. Per tali motivazioni, tuttavia, l’av-vio del processo di normalizzazione dei rapporti tra Ankara eErevan, siglato nell’ottobre del 2009 a Zurigo, non è stato gra-dito a Baku, soprattutto a fronte dell’assenza di passi in avanticompiuti proprio sul Nagorno-Karabakh (S.E. Cornell, 2011).

Per concludere occorre sottolineare che i rapporti con gliStati Uniti nell’arco di venti anni sono diventati sempre più in-tensi, sia nella dimensione politico-militare, sia in quella eco-nomica, soprattutto dopo la svolta dell’11 settembre e la di-sapplicazione della “sezione 907” del Freedom support act.L’obiettivo prioritario di Washington nei confronti di Baku èstato quello di sottrarla al tentativo di Mosca e di Teheran ditrasformarla in una loro “zona d’influenza”, tanto che, nelcorso di una visita alla Casa Bianca del presidente H. Aliyev,George W. Bush ha definito l’Azerbaigian un “alleato chiave”degli Stati Uniti. L’attivazione di una partnership tra l’Azer-baijan e la Nato è stato lo strumento principale con cui gliStati Uniti hanno perseguito l’obiettivo di integrare il Paesecaucasico nelle strutture politico-militari euro-atlantiche. Dal1992 Baku è stata così inclusa nel programma North AtlanticCooperation Council (Nacc), poi trasformato nel 1997 inEuro-Atlantic Partnership Council (Eapc), destinato a favo-rire la cooperazione tra i Paesi partner nel settore della sicu-rezza, lavorare per la stabilizzazione politica del Caucaso ecollaborare nel campo della politica energetica. Il principalerisultato ottenuto è stata la partecipazione di piccoli, ma signi-ficativi, contingenti azerbaigiani alle operazioni militari dellaNato con l’invio dal settembre 1999 di soldati nell’ambitodella missione Kosovo Force (Kfor), da cui, tuttavia, sono statiritirati nel marzo 2008 in contestazione alla scelta di numerosiStati del mondo occidentale di riconoscere l’indipendenza delKosovo, considerata un precedente pericoloso per le evolu-zioni politiche in Nagorno-Karabakh. Altra missione è l’Inter-

126

Page 64: Azerbaigian. Una lunga storia

giorno nei depositi dell’hub turco un quantitativo di petroliovicino al milione di barili. Il Btc rappresenta, quindi, unafonte stabile di introiti per tutti e tre i Paesi di transito e unagaranzia per la loro emancipazione energetica dalla Russia(che ha prodotto effetti positivi anche sul consolidamentodella loro sovranità) (S.F. Starr, S.E. Cornell, 2005).

La virtuosità degli effetti economici diretti e indiretti pro-dotti dal Btc e la conferma delle potenzialità dei depositi off-shore di idrocarburi scoperti nell’ultimo ventennio hanno in-coraggiato la costruzione di nuove pipeline che ricalcano, par-zialmente o completamente, il percorso inaugurato nel 2005.Per quanto concerne il trasporto di gas naturale, si è giunti nel2006 alla costruzione della cosiddetta South Caucaus pipelineche parte dalla capitale azerbaigiana e, passando per quellageorgiana, trasporta il gas estratto nel campo di Shah Denizfino a Erzurum, nella Turchia orientale, dal quale viene poismistato attraverso la rete nazionale turca. Il Baku-Tbilisi-Er-zurum (Bte), in futuro, potrebbe contribuire anche a rifornirele condutture dell’imponente progetto Nabucco, una rete digasdotti che, qualora fosse realizzata, contribuirebbe alla di-versificazione delle fonti di approvvigionamento degli Statidell’Europa centrale e balcanica rendendoli più indipendentida Mosca. La realizzazione del progetto, tuttavia, è legata allastabilizzazione dell’Iraq e agli equilibri politici con l’Iran, inquanto i campi azerbaigiani e turkmeni non sarebbero ingrado di fornire il volume di gas necessario per giustificare icosti della sua realizzazione (M. Verda, 2011).

Occorre sottolineare, inoltre, che Baku è attraversata da al-tre tre pipeline che conducono gli idrocarburi del Paese inIran e in Russia. È diretto verso Teheran il gasdotto Gazimam-mad-Astara-Abadan, che costituisce il principale risultato diun trattato commerciale stipulato tra l’Unione Sovietica e l’I-ran dello Scià Reza Pahlevi nel 1965 e rappresenta oggi il piùobsoleto corridoio energetico ancora in funzione in Azerbai-gian. Il flusso di gas, interrotto dopo la rivoluzione khomeini-

129

mercato hanno stimolato nel corso degli ultimi due decenni lacostruzione di una significativa rete di oleodotti e gasdotti at-traverso i quali gli idrocarburi caucasico-caspici sono in gradodi raggiungere i più ricchi, oltre che più “affamati”, mercatieuropei. Si tratta prevalentemente di infrastrutture sorte in se-guito all’apertura dell’Azerbaigian ai capitali delle grandi im-prese riunite nell’Aioc, sebbene la pianificazione delle primepipeline da parte di Baku risalga agli anni immediatamentesuccessivi al conseguimento dell’indipendenza, di cui va sotto-lineato il valore tanto sotto il profilo economico, che sottoquello politico.

Il principale risultato di questa strategia è costituito dall’o-leodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan (Btc) che trasporta il petroliodel campo Azeri-Chirag-Guneshli, passando per la capitaledella Georgia, fino a terminare il suo percorso nel principaleporto della costa sud-orientale turca da cui il petrolio vienesmistato sui mercati europei. Parallelamente al Btc, un altrooleodotto, il Baku-Supsa, rifornisce quotidianamente il mer-cato georgiano garantendo un’alternativa provvisoria in casodi malfunzionamento o arresto della pipeline principale(www.azbtc.com). La scelta di sostenere il progetto del Btc hacostituito un vero e proprio momento di svolta nella politicaestera dell’Azerbaigian: nonostante l’ascesa al potere di H.Aliyev (1993-2003) – che durante l’era Bre�nev aveva rico-perto la carica di primo segretario del Comitato centrale delPartito comunista azerbaigiano – avesse fatto pensare a unprogressivo riavvicinamento tra Baku e Mosca, la nuova presi-denza, al contrario, ha collocato fermamente il Paese nel si-stema di alleanza degli Stati Uniti. Scelta poi confermata an-che da I. Aliyev, di cui la messa in opera del Btc costituisceuno tra i maggiori successi diplomatico-economici. È così chedal maggio del 2005 Azerbaigian, Georgia e Turchia dispon-gono di una sorta di “autostrada” del greggio, che per lun-ghezza risulta seconda solo al sistema russo-europeo Drujba(meglio noto come “oleodotto dell’amicizia”) e conduce ogni

128

Page 65: Azerbaigian. Una lunga storia

quanto la Baku-Grozny-Novorossiyk attraversano territoripotenzialmente soggetti a crisi politiche che, da un momentoall’altro, possono compromettere il regolare flusso di greggioe gas naturale verso le rispettive destinazioni commerciali. LaRepubblica Cecena in particolare, ma anche le altre Repubbli-che caucasiche della Federazione Russa, da molti anni sonoteatro di forti tensioni generate dalla presenza di movimentiseparatisti collegati alla galassia del fondamentalismo islamicointernazionale e impegnati in una lotta senza quartiere controMosca.

Sembrano, al contrario, meno esposte a simili rischi le strut-ture orientate verso i mercati georgiani e turchi, sebbene an-ch’esse non siano completamente in sicurezza. I due grandioleodotti che mettono in rete Azerbaigian, Georgia e Turchianell’agosto del 2008 hanno subito un’interruzione forzatadelle proprie attività. Il Baku-Tbilisi-Ceyhan per via di un sa-botaggio messo a segno dai ribelli del Partiya Karkerên Kurdi-stan, una formazione più nota con l’acronimo di Pkk e inseritada Stati Uniti ed Unione Europea nella black list delle orga-nizzazioni terroristiche poiché responsabile di una trentennalecampagna di attentati ai danni dello Stato turco. Il Baku-Su-psa, che nel breve periodo di inattività della vicina pipelineavrebbe dovuto provvedere ad assicurare i rifornimenti digreggio verso i Paesi-partner dell’Azerbaigian, ha registratoinvece un arresto del flusso di petrolio a causa della guerra cheera contemporaneamente scoppiata tra la Georgia e la Russiaa causa della dichiarazione unilaterale di indipendenza del-l’Abcasia e dell’Ossezia del Sud (creando un certo dissaporetra Baku e Tbilisi, il cui presidente Mikhail Saakashvili è statoaccusato di avventurismo per le modalità di gestione dellacrisi). Occorre notare, tuttavia, che sia l’attacco al Baku-Tbi-lisi-Ceyhan del 2008 – che lambisce solo parzialmente le pro-vince turche teatro d’azione abituale per gli uomini del Pkk –sia la possibilità di significative esplosioni di violenza nel terri-torio georgiano costituiscono finora degli eventi caratterizzati

131

sta del 1979, è stato ripristinato grazie a una nuova intesa rag-giunta nel 2006 tra la Repubblica dell’Azerbaigian e la Repub-blica Islamica dell’Iran. L’accordo risponde prevalentementeall’esigenza di Baku di garantire un flusso stabile di idrocar-buri verso la Repubblica autonoma del Nakhchivan, non es-sendo possibile farvi giungere i rifornimenti attraverso il terri-torio armeno. La sua riattivazione rappresenta una dupliceopportunità per Teheran, che, da un lato, dispone del gasestratto nel campo di Shah Deniz per il proprio fabbisognoenergetico, dall’altro gode dei vantaggi strategici dovuti alpossesso di una vera e propria ipoteca sulla sopravvivenza del-l’exclave azerbaigiana che pone Baku in una posizione politi-camente scomoda.

Sono, invece, dirette in Russia le pipeline Baku-Grozny-No-vorossiysk e Baku-Novo Filiya. La prima infrastruttura, attivadal 1997, è adibita al trasporto del greggio azerbaigiano nelCaucaso settentrionale fino al porto russo di Novorossiyk,crocevia nevralgico per i traffici energetici di Mosca. La Baku-Nova Filiya costituisce, al contrario, il terzo gasdotto alimen-tato dai campi di Shah Deniz. Prima della scoperta di questiultimi, la supposta assenza di grandi quantità di gas naturalein Azerbaigian aveva spinto l’amministrazione sovietica ad av-viare la costruzione di una rete di rifornimento energeticotranscaucasica. A tal fine, Mosca promosse la realizzazione delprogetto, ultimato nel 1982, ma poi sospese le sue erogazioninel 1987, per riprenderle solo nel 2007 in seguito alla sotto-scrizione di un accordo ad hoc con Baku. La ritrovata auto-sufficienza energetica del Paese, tuttavia, ha fatto sì che la ri-strutturazione di questo gasdotto abbia perseguito una finalitàuguale e contraria a quella delle sue origini: il suo traffico èstato riconvertito nella direzione opposta, trasformandolo innuovo canale di esportazione per le riserve dei campi offshoreazerbaigiani. La politica energetica dell’Azerbaigian nel Cau-caso settentrionale, tuttavia, risulta legata alla precaria stabi-lità politica di questa regione. Tanto la Baku-Nova Filiya,

130

Page 66: Azerbaigian. Una lunga storia

In conclusione, è possibile affermare che la creazione di un“corridoio meridionale” di pipeline abbia assolto una fun-zione strategica fondamentale: permettere al petrolio del MarCaspio di oltrepassare le Repubbliche caucasiche della Fede-razione Russa (Cecenia, Inguscezia, Daghestan, Ossezia delNord, Cabardino-Balcaria, Circassia), la cui instabilità politicaavrebbe trasformato il nuovo oleodotto in un obiettivo sensi-bile rendendo i suoi costi insostenibili, e l’Iran, che avrebbepotuto utilizzare un’infrastruttura tanto importante in unostrumento di pressione nei confronti dei Paesi occidentali. Alcontempo, ha evitato i lunghi negoziati che sarebbero interve-nuti qualora si fosse optato per il passaggio delle condutturesul territorio dell’Armenia, cui è stato inferto anche un colpogeopolitico essendo Erevan completamente dipendente dal-l’approvvigionamento esterno di petrolio e gas (H. Peimani,2001). Occorre anche considerare il Btc come la definitivaconsacrazione dell’esistenza di un asse trilaterale di Paesi al-leati degli Stati Uniti nel Caucaso, composto da Azerbaigian,Georgia e Turchia, che bilancia il potere del terzetto formatoda Russia, Iran e Armenia. Sebbene al Baku-Tbilisi-Ceyhan eal Baku-Tbilisi-Erzurum sia stata rivolta l’accusa di servireuna strategia energetica “anti-russa” e i suoi padri politici ab-biano risposto che la sua funzione piuttosto è “anti-monopo-lio” e “pro-competizione”, appare evidente l’intenzione di co-struire un sistema di pipeline non controllato da Mosca. Que-sta, non detenendo più l’esclusività del transito delle risorseenergetiche del Mar Caspio verso i mercati mondiali, ha persoparte della sua influenza politica sugli Stati del Caucaso e del-l’Asia centrale (S.F. Starr, S.E. Cornell, 2005).

Gli accordi stretti con le compagnie straniere per lo sfrutta-mento dei pozzi di petrolio e gas e il tracciato delle pipelineche partono dall’Azerbaigian, dunque, non possono essereconsiderati neutri, ma sembrano seguire un chiaro disegnopolitico. Se la concessione dei diritti di sfruttamento sui campidi Azeri-Chirag-Guneshli e di Shah Deniz rispecchiano la po-

133

dall’eccezionalità, cosicché il sistema di condutture che con-giunge il Mar Caspio con il territorio turco può comunque es-sere considerato sostanzialmente sicuro.

Non va dimenticato, infine, che la crescita economica in-dotta dalle esportazioni di combustibili fossili e l’abbondanzadelle risorse dell’intero bacino caspico ha stimolato la stesuradi nuovi progetti infrastrutturali volti a trasformare l’Azerbai-gian nello snodo fondamentale dei traffici energetici dell’in-tera macroregione centro-asiatica. La presenza di una già co-spicua rete di gasdotti nel Paese è alla base dell’interesse delKazakistan per la realizzazione di una pipeline offshore, laTrans-Caspian Gas Pipeline, che dovrebbe congiungere le dueex-Repubbliche sovietiche passando attraverso il Turkmeni-stan e aggirando sia la Russia che l’Iran. Il collegamento per-metterebbe di trasportare fino all’hub di Baku il petrolio deipozzi kazaki di Tengiz e Kashagan le cui riserve, stimate com-plessivamente ben oltre 10 miliardi di barili di greggio, sonocomparabili, se non superiori, a quelle del campo di Azeri-Chirag-Guneshli. Le trattative intergovernative iniziate nel2006 hanno condotto nel novembre 2009 alla firma di un me-morandum d’intesa che ha confermato la reciproca disponibi-lità ad avviare la costruzione dell’opera. Il suo stallo è, al con-trario, collegato alla mancata risoluzione della questione rela-tiva allo status internazionale del Mar Caspio e all’aperta op-posizione al progetto di Mosca e Teheran, che preferirebberoveder transitare il petrolio di Astana sui loro territori. Il Crem-lino, inoltre, interpreta la possibile concretizzazione di questoprogetto come una minaccia diretta agli introiti della CaspianPipeline, che dal 2001 trasporta il petrolio dei pozzi di Tengizfino al porto di Novorossiysk. Questo sospetto è stato confer-mato dal sostegno ufficiale fornito dall’Unione Europea allaTrans-Caspian Gas Pipeline, considerata parte integrante delprogetto Nabucco per cui Bruxelles ha aperto un tavolo ditrattative con il governo azerbaigiano e turkmeno a partire dalsettembre del 2011.

132

Page 67: Azerbaigian. Una lunga storia

MARTINA SARGENTINI, MARZIA TROVATO

Cultura, religione e tradizioni

La nazione azerbaigiana è il risultato di una fertile combina-zione di culture, costumi e tradizioni differenti. Il susseguirsidi popoli e dominatori, la cristianizzazione dell’Albania cau-casica intorno al IV secolo d.C. e la successiva islamizzazionedel VII secolo d.C., hanno profondamente segnato non sologli aspetti socio-culturali, ma anche le strutture politico-eco-nomiche del Paese.

A partire dal dominio della dinastia achemenide (550 a.C),lo Zoroastrismo ha conosciuto un’ampia diffusione entrandodefinitivamente a far parte del tessuto culturale azerbaigiano.Questa religione, fondata dal profeta Zoroastro (Zarathustra,Zardusht secondo la versione azerbaigiana), è nata nei terri-tori tra Iran e Azerbaigian e si è diffusa nella maggior partedell’Asia centrale, del Pakistan e dell’Arabia Saudita dall’etàachemenide (VII secolo a.C.) alla conquista araba del VII se-colo d.C.

Al di là delle costruzioni posteriori e delle leggende sulla fi-gura di Zarathustra, al quale sono stati attribuiti poteri so-vrannaturali, miracoli e rivelazioni, sembra indubitabile la ve-ridicità della sua figura storica, collocabile tra l’XI e il VII se-colo a.C. A prescindere dall’immagine mitica che è andata co-struendosi nel tempo, non v’è dubbio che Zarathustra fu l’au-tore di una delle più grandi rivoluzioni in ambito religioso e fi-losofico di tutti i tempi, influenzando alla base non solo legrandi fedi monoteiste, ma anche le filosofie orientali. La na-scita dello Zoroastrismo va collocata, secondo gli studiosi, inun’ampia trasformazione socio-culturale che ha visto il pas-saggio dal nomadismo a uno stile di vita sedentario con lo svi-luppo dell’agricoltura e della pastorizia. È in tale ottica che vainterpretata la ridefinizione dei rapporti tra uomo, natura e

135

sizione western oriented assunta dal Paese nell’ultimo venten-nio, laddove le società americane, britanniche, giapponesi eturche detengono le quote più cospicue, la rete di oleodotti egasdotti costruita dopo l’indipendenza non è da meno. Le in-frastrutture energetiche più recenti, infatti, sono volte a ren-dere più indipendenti dalla Russia, sia sotto il profilo politicoche sotto quello economico, i Paesi alleati degli Stati Uniti(Azerbaigian, Georgia, Turchia, Ungheria, Romania e Bulga-ria, oltre agli Stati dell’Europa occidentale) e a marginalizzaredalle loro rotte quelli con cui le relazioni di Washington sonopiù competitive (Russia, Iran e, in misura minore, Armenia)(H. Peimani, 2001).

Nel Caucaso, quindi, la politica energetica tende a ripro-durre quel modello di alleanze che vede le unità politiche coa-lizzarsi secondo il principio dell’alternanza dei colori delle ca-selle di una scacchiera (M. Wight, 2004). L’alleanza nel campoenergetico stretta tra gli Stati filo-occidentali della regione ècosì divenuta il più importante strumento nel tentativo di rie-quilibrare una distribuzione del potere nell’area che, altri-menti, avrebbe visto favorita la Russia e i suoi alleati grazie allaloro prossimità geografica: l’equilibrio di potenza, ancora unavolta, è stato garantito dal sorgere di due sistemi di alleanzaantagonisti (M. Cesa, 2007).

134

Page 68: Azerbaigian. Una lunga storia

contribuì alla diffusione della cultura greca, all’ellenizzazionedelle élites politiche e allo sviluppo dei commerci lungo la viadella seta. La cultura iranica, tuttavia, non scomparve mai deltutto, ma venne assimilata da quella greca e da quella autoc-tona dando vita a un amalgama spesso contraddittorio.

Dopo la morte di Alessandro Magno, il suo grande Imperofu spartito e l’attuale territorio dell’Azerbaigian fu diviso indue Stati sotto il controllo della dinastia ellenistica dei Seleu-cidi: a nord l’Albania Caucasica e a sud l’Atropatene, asse-gnata al satrapo Atropate ed estesa sulla riva meridionale delfiume Araz.

Dopo il declino della dinastia Seleucide, intorno al 250 a.C.i persiani Sasanidi lo resero uno Stato vassallo. Sotto la dina-stia persiana, lo zoroastrismo tornò all’antico vigore subendoun processo di istituzionalizzazione. La commistione con ilpotere politico e l’irrigidimento dell’ortodossia furono le prin-cipali cause della persecuzione dei cristiani in Persia, dovutaessenzialmente ai loro legami con l’Impero romano d’Oriente.I Sasanidi furono l’ultima dinastia persiana a governare il ter-ritorio della Sub-caucasia prima dell’invasione araba del VIIsecolo, che diede inizio a un nuovo periodo storico per la Per-sia in cui, sia lo zoroastrismo che il cristianesimo, diffusosigrazie ai romani e all’opera del re Urnayr, decaddero repenti-namente di fronte a una intensiva islamizzazione. Il libro sacrodell’Avesta fu così proibito e gli zoroastriani ottennero sì lostatus di “popolo del libro”, che ne sancì l’importanza storica,ma il diritto di culto fu, di fatto, interdetto. In seguito al di-vieto di professione della fede, gli zoroastriani furono costrettiall’emigrazione verso l’India e la Cina, dove subirono il bandodi proselitismo e l’obbligo di endogamia.

Tra il VII e l’VIII secolo, con l’adozione della religione e deiprecetti islamici, emerse una nuova cultura in cui l’educa-zione, le scienze matematiche, mediche e astronomiche mu-sulmane si svilupparono in tutto il Paese. Considerato daglistorici come il periodo di rinascita dell’Azerbaigian, quello

137

mondo animale e l’abbandono di una visione antropocentricache collocava l’uomo all’interno di una natura con valore in-trinseco e non strumentale, quindi indipendente dall’utilitàche l’uomo stesso era in grado di ricavarne. Il pensiero delprofeta è raccolto nelle Gatha, attribuite allo stesso Zarathu-stra, che insieme agli Yasht e ai Videvdat (inni agli dei minori eai demoni), costituiscono il testo sacro dell’Avesta, traman-dato per via orale nei secoli e messo per iscritto intorno al IIIsecolo a.C., come raccolta di disposizioni morali e di precettireligiosi.

Nucleo centrale dello zoroastrismo è la devozione ad AhuraMazda, puro intelletto, principio di tutte le cose, accanto alquale operano i due spiriti antagonisti, Spenta Mainyu e An-gra Mainyu, protagonisti sul piano spirituale dell’eterna lottatra il bene e il male e capaci di modificare l’esistenza materialee l’ordine delle cose. Lo Zoroastrismo è, dunque, un monotei-smo dualista in cui uno è il Dio saggio Ahura Mazda, creatoredel tutto, e due gli spiriti rivali che lottano fra loro, Spenta (ilbene) e Angra (il distruttore). Tale dualismo, congiunto alledottrine del corso lineare della storia, della rinascita e dellafine del mondo, hanno avuto un significativo peso storico e in-fluenzato i più importanti dogmi religiosi delle principali fedimonoteiste.

Sul piano etico e gnoseologico, lo Zoroastrismo si traducein principi fondamentali quali l’uguaglianza tra tutti gli esserisenza distinzione di sesso, razza o credo religioso, la tolle-ranza, l’antiritualismo e una particolare attenzione alla natura,elementi teorici che andarono ad affievolirsi nel corso dei se-coli, quando la dottrina originale si fuse con il potere politico,diventando un’istituzione vera e propria. Basti pensare allasua incredibile diffusione tra i popoli iranici e persiani, tantoda divenire religione di Stato già sotto gli Achemenidi. L’affer-mazione della cultura ellenistica in seguito alla conquista diAlessandro Magno nel 330 a.C., determinò il temporaneoeclissamento dello Zoroastrismo. La sua grandiosa impresa

136

Page 69: Azerbaigian. Una lunga storia

poemi, i mathnavi, chiamati i cinque tesori, riuniti tutti sotto ilnome di Khamse (quintetto). Le principali linee tematiche rin-tracciabili nella poetica del saggio persiano sono riconducibilia tre filoni: amore, rispetto e venerazione verso la donna; nonviolenza; conoscenza di sè.

È importante sottolineare il posto che la donna occupa neisuoi mathnavi, ossia quello di saggia, consigliera e guru. Intutti i poemi una donna ammonisce le autorità maschili esor-tandole ad abbandonare la violenza e la tirannia per intra-prendere un percorso risolutivo di pace e giustizia. Ne è unesempio il primo mathnavi – Il tesoro dei segreti – in cui Ni-zami tratta temi di ingiustizia sociale del suo tempo. L’anzianadonna affronta il sovrano selgiuchide Sanjar, al potere dal1118 al 1157, affinché abbandoni la sua politica violenta, ti-rannica e iniqua nei confronti del popolo. In Iskander-name,poema interamente dedicato alla leggendaria figura di Ales-sandro il Macedone, dei suoi frequenti incontri con donne al-meno due risultano particolarmente significativi: il primo ri-guarda quello con Nushabe, regina della città di Barda inAzerbaigian che, riconoscendo il conquistatore presentatosisotto le spoglie di messaggero, lo ammonisce dall’essere asse-tato di potere e portatore di violenza. A fronte del rifiuto diAlessandro di mangiare una scodella di pietre preziose offer-tagli dalla regina come simbolo dell’inutile avidità della con-quista, l’autocoscienza di Iskander viene sollecitata dalle sueparole: “ma perché allora tu vai a caccia di queste pietre?”.L’incontro seguente vede protagonista una schiava che gli èstata data in dono dall’imperatore della Cina che, trattata conindifferenza, riuscirà ad attirare l’attenzione di Alessandro tra-vestendosi da guerriera e combattendo contro i Bulgari delVolga. La sua forza e il suo coraggio, fondamentali per la vit-toria furono, infine, premiati con amore e considerazione.

Nell’ultimo dei cinque mahtnavi, come precedentementeaccennato, Nizami si dedica alla ricerca di fonti sulla figura diAlessandro Magno, raffigurato in Iskandar-name (o Alessan-

139

compreso tra XI e XV secolo, vide un’importante fiorituradell’architettura e della sensibilità artistica: quest’epoca fu, in-fatti, contraddistinta dall’intenso fermento culturale che ruo-tava intorno a pensatori, filosofi, storici e importanti poeti.Nell’XI secolo l’invasione dei selgiuchidi, dinastia dei turchiOghuz di religione musulmana sunnita, rovesciò il dominioarabo cambiando radicalmente la composizione etno-lingui-stica della popolazione e facendo prevalere il ceppo lingui-stico turco, sopravvissuto fino a oggi, da cui deriva l’odiernalingua azerbaigiana.

Gli Oghuz, turchi nomadi che si diffusero dall’Asia Cen-trale alla Cina creando un vastissimo Impero dell’Asia sud-oc-cidentale, imposero delle scelte fondamentali per la composi-zione demografica e sociale dei popoli sudditi. Il visir Nizam-ul-Muk, saggio e restauratore dell’ortodossia sunnita, tra-sformò e disciplinò le genti turche degli Oghuz che, da orde diguerrieri nomadi si trasformarono in sudditi e agricoltori, pos-sessori di feudi e poderi.

La figura letteraria di Mahasati Ganjavi, ricoprì un ruolosociale di grande importanza storica per l’epoca: poetessaazerbaigiana del XII secolo, nata a Ganja in una famiglia diumili origini, ottenne il titolo di poetessa “laureata” alla cortedi Mahmud (1118-1131) e di suo zio Ahmed Sanjar, ultimosultano della dinastia selgiuchide (1131-1157). Tale impor-tante titolo derivò, secondo le fonti storiche, da un’improvvi-sazione in versi in omaggio del sultano, anche se la sua poeticaverteva principalmente su tematiche di critica sociale che ri-vendicavano con coraggio l’indipendenza morale dagli uo-mini, il rifiuto del pregiudizio religioso e del conservatorismo.

Elyas Abu Muhammad Nizami Ganjavi è, invece, conside-rato il più importante e famoso poeta epico romanzesco dellaletteratura azerbaigiana. Nato nel 1141 e morto nel 1204 aGanja – al tempo piccolo Regno del Califfato islamico – è con-siderato uno dei poeti e filosofi più importanti dell’Orientemusulmano. La sua principale opera consiste in cinque

138

Page 70: Azerbaigian. Una lunga storia

itinerante tramandava nel Paese la storia dei popoli, le gestadegli eroi e le conquiste dei dominatori, costituendo un im-portante strumento di conservazione e trasmissione della lin-gua, della letteratura e delle tradizioni. L’arte degli ashiq è at-tualmente considerata come una delle forme d’espressionepopolare più rappresentative del popolo azerbaigiano e delsuo eterogeneo patrimonio culturale.

L’ashiq non solo è un poeta, un compositore e un musicista,ma è anche un cantante, danzatore e narratore la cui arte puòessere trasmessa solo oralmente di generazione in genera-zione. Secondo la letteratura, l’Azerbaigian conta oggi circa400 ashiq anche se, secondo il parere degli specialisti, il nu-mero diventa maggiore se si considerano anche gli altri artistisparsi nel mondo. La tradizione ashiq in Azerbaigian ha ori-gini molto remote e legate all’arte degli Oghuz turchi il cui ca-polavoro, Il Libro di Dede Gorgud, risalente al XIV-XV secolo,conserva le tradizioni tramandate oralmente per secoli. Que-sto importante poema epico, testimone della ricca culturaorale azerbaigiana, rappresenta la più rilevante raccolta di rac-conti in prosa delle epopee dei turchi Oghuz. Questi suona-tori e cantori erano considerati i guardiani della lingua e del-l’anima turca e godevano di una grande autorità spirituale trale antiche tribù.

La musica classica azerbaigiana del mugam, considerataoggi dall’Unesco patrimonio dell’eredità culturale immaterialee orale dell’umanità, rappresenta forse la forma più pura del-l’auto-identificazione azerbaigiana e dell’auto-coscienza diquesta nazione. Secondo alcune ipotesi, nonostante nella sto-ria la sua origine venga associata alla diffusione della religioneislamica nel VII secolo, il mugam ha radici pre-islamichemolto più lontane e legate a un preciso periodo storico, quellodei Medi, in cui l’odierno territorio dell’Azerbaigian risultavadiviso in due Stati: a sud Atropatene, in cui la religione di Zo-roastro era ufficiale, e a nord l’Albania caucasica. L’etimologiadella parola mugam potrebbe derivare proprio da mag, o

141

dreide) come il conquistatore e il signore del mondo che ri-porta una versione romanzata e spesso anacronistica delle suegesta eroiche. Gli incontri che lo mettono continuamente allaprova sollecitando la propria coscienza, insieme ai continui ri-chiami alla morale e al giusto rapporto con il potere e il desi-derio, fanno di questa importante opera un vero e proprio ro-manzo di formazione, in cui il protagonista da spietato guer-riero si trasforma in un uomo saggio, cosciente dei propri li-miti. A questo proposito, una famosa scena, quella della fontedell’immortalità, esemplifica la parabola della sua crescita mo-rale: Iskander, infatti, giunto dopo una lunga ricerca alla fontedell’acqua della vita a Shirvan in Azerbaigian, esita di frontealle sagge parole di un anziano, divenuto immortale, che loesorta a non bere dalla coppa e, dunque, a rinunciare a unavita senza fine, ma priva di affetti e significati.

L’incredibile fioritura artistica, culturale e architettonicacoltivata nei secoli di dominazione islamica fu bruscamentearrestata dalla sanguinosa e distruttiva incursione mongola del1227 che pose fine al dominio dei turchi Oghuz. L’invasione,che si manifestò come una furia violenta e distruttrice, videtribù di nomadi guerrieri impadronirsi, sotto la guida di Gen-gis Khan, di gran parte dell’Asia Centrale, della Cina, dellaRussia, del Medio Oriente e di parte dell’Europa orientale,tanto da formare un impero che si estendeva dal Pacifico alMar Caspio. Se le scorrerie mongole distrussero parte del tes-suto artistico perpetuato nei secoli, le tradizioni musicali del-l’Azerbaigian sopravvissero integrandosi e adattandosi alle in-numerevoli trasformazioni sociali e culturali ripetutamentesubite. Risultato di una storica commistione di lingue, popolie costumi, la cultura musicale azerbaigiana si è sviluppataprincipalmente attraverso due tradizioni: la musica classica eprofessionale del mugam e il canto poetico ashiq. Le più anti-che memorie musicali azerbaigiane vengono fatte risalire agliashiq, cantori nomadi dediti a racconti di argomento storico esuonatori di saz, strumento a corde simile al liuto. La loro arte

140

Page 71: Azerbaigian. Una lunga storia

della tradizione folkloristica dell’intero Caucaso, il tar azerbai-giano a undici corde prende la forma di un liuto a doppiacassa armonica, scavato in un unico pezzo di legno di gelso ericoperto da una pelle fatta con il cuore dei bovini. Ognicorda, come spiega Fakhraddin Gafarov, uno dei più impor-tanti suonatori di tar ed ex direttore del conservatorio diBaku, rappresenta un simbolo in base al suo colore: quellebianche simboleggiano l’acqua che scorre, quelle gialle ilfuoco che brucia, i toni bassi e quelli alti sono rispettivamentelegati alla terra e al canto del vento. Fondamentale influenzaper il “pensiero teorico musicale” azerbaigiano ha avuto la fi-gura del grande musicista, compositore e musicologo Abd ul-Qâdir Marâghî, nato nell’Azerbaigian meridionale nel 1360circa e definito nel decreto di Tamerlano del 1397, “lo scià ditutti i conoscitori della musica”.

Un posto rilevante occupa nel folklore azerbaigiano la festatradizionale del Novruz, antico rito sacro legato allo zoroastri-smo ed elemento di raccordo fra tradizione e contempora-neità. Il Novruz celebra il primo giorno dell’anno, nonché ilprimo giorno di primavera coincidente con l’equinozio. I fe-steggiamenti, che iniziano quattro settimane prima, hannoluogo ogni martedì, ciascuno dei quali rappresenta un ele-mento naturale differente: il vento, l’acqua, il fuoco e la terra.Il Novruz costituisce una delle poche festività dell’antica Per-sia che sopravvissero all’avvento dell’Islam nel VII secolo. Imusulmani incorporarono infatti la ricorrenza all’interno delloro calendario religioso, pur eliminando gli aspetti più stret-tamente legati allo Zoroastrismo. La tradizione è arrivata pres-soché immutata fino a oggi, tanto da essere elevata nel 2002 afesta nazionale azerbaigiana.

Il tradizionale culto del fuoco, considerato come la più puradelle cose create, rappresenta nello Zoroastrismo il percorsosimbolico dell’“illuminazione”, che conduce alla scelta dellavia del bene. Non è un caso che l’iconografia tradizionale rap-presenti il Profeta con una torcia accesa in mano. La compo-

143

magi, saggi e musicisti, seguaci del culto zoroastriano. A par-tire dal VII secolo, momento di diffusione dell’islamismo edelle conquiste arabe, l’arte del mugam ebbe la sua evoluzionee il suo sviluppo storico più importante. Gli arabi si avvicina-rono a essa favorendo la diffusione professionale di questamusica colta servendosene come strumento di interpretazionecoranica.

Parte imprescindibile della cultura azerbaigiana, il mugam èpresente anche in numerose aree del Medio Oriente sia asia-tico che africano, ma solo nei territori dell’Azerbaigian ha rag-giunto quella perfezione professionale che lo ha reso unico almondo. I khanenda, artisti di musica colta e cantanti mugam,sfoggiando un altissimo timbro di voce, piangono oggi il per-duto Karabakh e raccontano le poesie classiche e gli antichipoemi lirici. Maqam per gli iracheni, raqa per gli indiani emakam per i turchi, questo antichissimo canto mistico-reli-gioso, diffusosi in tutto il Medio Oriente, innalza l’uomo e loavvicina a Dio, in sospensione estatica. È una musica a basemodale che alterna brani musicali classici a improvvisazioni,manifesta la sua dimensione mistica anche nello stretto legamecon la filosofia e in particolare con il movimento sufi. Il sufi-smo è un’arcaica corrente di mistica musulmana che lega isuoi riti alla musica colta del mugam, in cui grazie alla danza eai canti, gli adepti raggiungono i diversi stati dell’estasi. Arti-colato in sette diverse partiture, ognuna delle quali rappre-senta sentimenti differenti, il mugam esprime nelle diversenote con il rast il diritto e la verità, con shoor la morale, segahamore e passione, shushtar la nostalgia, chahargah l’emozione,bayat-shiraz a malinconia e la tristezza, mentre con humayun lamorte.

Gli strumenti musicali tradizionali utilizzati in Azerbaigiansono più di sessanta, tra i quali più celebri sono il tar e il saz. Ilprimo, che in persiano prende il significato di corda, è unostrumento musicale presente fin dall’antichità in molte regionidella Persia, compreso l’Azerbaigian. Importante strumento

142

Page 72: Azerbaigian. Una lunga storia

L’abbondante fonte a cui Marco Polo si riferisce è quella diBaku, da cui sgorga un olio buono da ardere e utile per curarele infezioni cutanee soprattutto dei cammelli, nonché motivodi richiamo di fedeli e viaggiatori da luoghi lontani.

La maggior parte dei templi sacri veniva costruita in prossi-mità di pozzi naturali e fughe di gas che alimentavano i cosid-detti “fuochi eterni”, simbolo di venerazione secolare di zo-roastriani e pellegrini indù. Utilizzato dagli arabi sia come un-guento curativo che per la fabbricazione di pallottole incen-diarie, l’olio combustibile rappresentò un’importante risorsaanche per i persiani che, nel XV secolo, edificarono circa cin-quecento pozzi da cui si estraeva il petrolio e grazie al qualevenivano illuminate le strade e le abitazioni di tutto l’Impero.

L’appellativo “Terra del Fuoco” si deve a una risorsa che haassunto nei secoli significati e simbologie differenti. Un tempoimportante meta spirituale di milioni di pellegrini provenientidall’India per rendere omaggio ai “fuochi sacri”, l’Azerbai-gian è oggi uno dei serbatoi di petrolio più importanti delCaucaso, attrazione economica per uomini d’affari e oggettodi contese politico-diplomatiche.

145

nente della scelta umana rispetto alla via del bene e del male,assume nella dottrina zoroastriana un carattere fondante, nelcui nucleo va ricercata la natura escatologica del rinnova-mento, intesa come possibilità o potere di modificare volonta-riamente gli eventi. Il male, Angra Mainyu, è una forza neces-sariamente esistente, calcolata e pensata come direttamentederivante dal Dio Ahura Mazda. Si rintraccia nella teoria delladualità e nel concetto di male, l’impostazione fondante sia del-l’islam sia dell’ebraismo che del cristianesimo, il quale porteràalle sue estreme conseguenze il dualismo, assegnando alla ma-teria lo status di male e alla ragione quello di bene.

La simbologia del fuoco, nella teoria zoroastriana, appare instretta correlazione al concetto di dualità, in cui la purezzadelle fiamme diventa il simbolo di avvicinamento al bene e delcammino dell’anima nel suo percorso ultraterreno. L’atten-zione al destino delle anime, all’aldilà e al giudizio universale,è un altro elemento rintracciabile nelle religioni monoteiste.

L’adorazione zoroastriana del fuoco appare senza dubbiolegata ai frequenti fenomeni naturali di fuoriuscita di petrolioe gas, nel territorio azerbaigiano. Per secoli furono consideratisacri due importanti luoghi nei dintorni di Baku: Yanar dag(monte che brucia), dove il fuoco arde incessantemente ali-mentato dalle naturali fuoriuscite dei gas dal sottosuolo, e Ate-shgah, tempio del fuoco sacro, presumibilmente risalente alXVII secolo e situato a Surakhani.

Anche Marco Polo, in cammino sulla Via della Seta, de-scrive ne Il Milione i ricchi giacimenti petroliferi azerbaigiani:

“...e in queste confine è una fontana, ove sorge tanto olio e in tantaabbondanza che cento navi se ne caricherebbero a la volta. Ma eglinon è buono a mangiare, ma sì da ardere, è buono da rogna e da al-tre cose; e vengono gli uomini molto da la lunga per quest’olio; e pertutta quella contrada non s’arde altr’olio”.

144

Page 73: Azerbaigian. Una lunga storia

Scheda Paese

L’Azerbaigian moderno ottiene per la prima volta l’indipen-denza dall’Impero russo nel 1918 (il 28 maggio, festa nazio-nale della proclamazione della Repubblica democratica del-l’Azerbaigian), restando uno Stato sovrano fino al 1920,quando il territorio cade nuovamente sotto l’autorità di Mo-sca.

Torna all’indipendenza nel 1991 (30 agosto), ottenendol’autodeterminazione dall’Unione Sovietica. L’attuale costitu-zione, adottata il 12 novembre 1995 e modificata con appro-vazione del referendum popolare del 24 agosto 2002, pro-clama l’Azerbaigian una Repubblica presidenziale (Az rbay-can Respublikası), fondata sullo Stato di diritto con libere ele-zioni a suffragio universale. Il capo dello Stato è dal 31 ottobre2003 il presidente Ilham Aliyev, confermato alla guida delPaese dopo le consultazioni del 15 ottobre 2008 con circa il90% dei consensi. Il mandato presidenziale ha durata quin-quennale e non prevede alcuna limitazione per quanto con-cerne il numero di mandati. Il presidente nomina anche ilcapo del governo, che deve sottoporsi con i suoi ministri alvoto di fiducia all’Assemblea nazionale (Milli Mejlis). Que-st’ultima è un organo unicamerale, costituito da 125 seggi perla durata di cinque anni. Le ultime elezioni si sono svolte il 7novembre 2010 e il partito del presidente Aliyev, lo Yeni Azar-baycan, ha conseguito la maggioranza relativa raccogliendooltre il 45% dei voti.

La Repubblica dell’Azerbaigian è riconosciuta sul piano in-ternazionale e ha per capitale Baku (Baky), estendendosi suun territorio di circa 86.600 mila km2 (inclusi quasi 4.000 km2

di acque). Per quanto riguarda l’organizzazione amministra-tiva, il Paese è diviso in 11 città (sahar), 59 regioni (rayon) eun’exclave costituita come repubblica autonoma (Nakhchi-van).

147146

e

Page 74: Azerbaigian. Una lunga storia

l’agricoltura è ferma al 5,5%, malgrado nel settore agricolo ri-sulti ancora impiegato il 38% della popolazione attiva, mentreil 50% risulta impiegato nel settore terziario. L’Azerbaigianesporta per il 90% gas e prodotti petroliferi, ma anche beniindustriali e agricoli (in particolare cotone), per un totale di23,5 miliardi di dollari. Presenta, inoltre, un profilo relativo alsettore della telecomunicazione in notevole espansione, conoltre 9 milioni di telefoni mobili e circa 2,5 milioni di utentiinternet.

L’Italia è il primo partner commerciale per l’export azerbai-giano, con quasi il 27% del totale, seguita da Stati Uniti(8,4%), Germania (7%), Francia (6,7%), Repubblica Ceca(quasi il 5%) e Russia (con il 4,4%). Le importazioni (percirca 7 miliardi di dollari) riguardano macchinari, generi ali-mentari e prodotti plastici finiti. Il primo partner per le im-portazioni azerbaigiane è la Turchia, con il 17,7%, seguito daRussia (14,5%), Germania (con quasi il 10%), Cina (9,6%),Gran Bretagna (7,2%) e Ucraina (7%).

Nell’ambito di tale contesto – connotato da dinamichecomplesse secondo quanto emerge dai principali report suiPaesi del mondo, come il World Factbook disponibile sul sitowww.cia.gov – oltre alla criticità rappresentata dalla corru-zione, secondo le classifiche internazionali sulle libertà econo-miche – come il 2012 Index of Economic Freedom diffuso dalthink tank conservatore Heritage Foundation – l’Azerbaigianspicca per un elevato posizionamento in merito alla libertà fi-scale, commerciale, monetaria e del lavoro.

149

La popolazione, secondo il censimento del 1999, è compo-sta sotto il profilo etno-linguistico da azerbaigiani (90%), da-ghestani (2%), lezgi (2%), russi (1,8%), armeni (1,5%) e altrenazionalità. Dal punto di vista religioso, secondo le stime del1995, la maggioranza è musulmana (93%), pur essendo pre-senti le comunità russo-ortodossa (2,5%) e armena ortodossa(2,3%), nonché altre confessioni (1,8%). Secondo le ultimestime (luglio 2011), la popolazione ammonta a quasi 8 milionie 400 mila persone (con una crescita annua dello 0,8%),quella urbana raggiunge circa la metà del totale, con 2 milionidi abitanti nella capitale. La quasi totalità degli azerbaigiani èalfabetizzata, mentre il tasso di disoccupazione nella fasciagiovanile (15-24 anni) è del 14,4% (media del tasso maschile:18,7%; media del tasso femminile: 9,8%).

Con i suoi 2.000 km di frontiere ufficiali confina a nord conla Russia, a nord-ovest con la Georgia, a ovest con l’Armenia(e dal Nakhchivan per una sottile striscia di 9 km con la Tur-chia), a sud con l’Iran, mentre a est l’Azerbaigian si affacciaper oltre 700 km di costa sul Mar Caspio. È caratterizzato daun clima secco e, di conseguenza, dalla presenza diffusa sulsuo territorio di steppa. Ha il 20% circa di terre coltivabili eun sottosuolo, sia terrestre che marino, ricco di petrolio e gas,ma anche di diversi minerali come il ferro e la bauxite. Lavetta più alta è il monte Bazarduzu Dagi, la cui altezza rag-giunge i 4.485 m.

Il settore trainante per l’economia nazionale è senza dubbioquello energetico, con una crescita annua costante del 9%circa. L’esportazione petrolifera avviene soprattutto attraversola linea Baku-Tbilisi-Ceyhan, che costituisce la spina dorsaledel percorso del greggio dal Caucaso verso l’Europa. Secondola stima ufficiale del 2011, il Pil raggiunge ufficialmente i 68,5bilioni di dollari, con un reddito pro capite di oltre 10 miladollari. Il 2,6% del Pil è destinato alle spese militari, anche acausa della forte tensione in Karabakh e nei territori limitrofi.

Il settore industriale contribuisce per il 63% del Pil, mentre

148

Page 75: Azerbaigian. Una lunga storia

151150

MAPPE

In n

ero

i co

nfin

i de

l N

agor

no-K

arab

ach,

nel

la p

arte

tra

tteg

giat

a gl

i al

tri

terr

itor

i az

erba

i-gi

ani s

otto

occ

upaz

ione

arm

ena

Page 76: Azerbaigian. Una lunga storia

153152

Divisione am

ministrativa

Div

isio

ne a

mm

inis

trat

iva

uffic

iale

(inc

lusi

i te

rrit

ori s

otto

occ

upaz

ione

arm

ena)

Page 77: Azerbaigian. Una lunga storia

154

Breve Nota Bibliografica

AA.VV., Kolonial’naja politika Rossijskogo carizma v Arzebajd�ane v 20-60-ch gg. XIX veka, vol. I, Mosvka-Leningrad, Izdatel’stvo AN SSSR, 1936;

AA.VV., Il Caucaso. Cerniera tra culture dal Mediterraneo alla Persia. Se-coli IV-XI, Atti della XVIII settimana di Studio del Centro Italiano diStudi sull’Alto Medioevo, 20-26 aprile 1995, Spoleto, 2 voll., 1996;

AA.VV., Geopolitica della crisi. Balcani, Caucaso e Asia centrale nelnuovo scenario internazionale, Milano, Egea, 2001;

AA.VV., Il Grande medio oriente. Il nuovo arco dell’instabilità, Milano,Egea, 2002;

AA.VV., Atlante geopolitico 2012, Treccani – Istituto della EnciclopediaItaliana, Roma, 2012;

Allen W.E.D., Muratoff P., Caucasian Battlefields. A History of the Warson the Turco-Caucasian Border, London-New York, Routledge-Curzon,1999;

Afanasyan S., L’Armenie, l’Azerbaidjan et la Géorgie. de l’indépendanceà l’instauration du pouvoir soviétique (1917-1923), Paris, L’Harmattan,1983;

Aksakal M., The Ottoman Road to War in 1914. The Ottoman Empireand the First World War, Cambridge, University Press, 2010;

Altstadt A.L., Baku City Duma. Arena for Elite Conflict, in “CentralAsian Survey”, n. 5, 1986, pp. 49-66;

Id., Nagorno-Karabagh. Apple of Discord in the Azerbaijani SSR, in Cen-tral Asian Survey, 7, 1988, pp. 63-78;

Id., The Azerbaijani Turks. Power and Identity under Russian Rule,Stanford, Hoover Institution Press, 1992;

155

Le principali pipeline che da B

aku si irradiano verso i mercati occidentali

Page 78: Azerbaigian. Una lunga storia

Bellocchio L., Anglosfera. Forma e forza del nuovo Pan-Anglismo, Ge-nova, Il Melangolo, 2006;

Bennigsen A., Lemercier-Quelquejay C., Islam in the Soviet Union,New York, Praeger, 1967;

Bennigsen Broxup M. (edited by), The North Caucasus Barrier. TheRussian Advance towards the Muslim World, London, Hurst & Company,1992;

Bensi G., Allah contro Gorbaciov. Azerbaigian, Afghanistan e Asia cen-trale: la spina nel fianco dell’Unione Sovietica, Gardolo di Trento, L. Rever-dito, 1988;

Id., La Cecenia e la polveriera del Caucaso. Popoli, lingue, culture, reli-gioni, guerre e petrolio fra il Mar Nero e il Mar Caspio, Rovereto, Nicolodi,2005;

Benvenuti F., Storia della Russia contemporanea, 1853-1996, Roma, La-terza, 1999;

Berlin I., Le radici del Romanticismo, Milano, Adelphi, 2001;

Bertolissi S., Magarotto L. (a cura di), La Russia verso Oriente. Il croce-via del Caucaso, Napoli, M. D’Auria, 2004;

Bianchini S., Woodward S.L. (edited by), From the Adriatic to the Cau-casus. Viable Dynamics of Stabilization, Ravenna, Longo Editore, 2003;

Biagini A.F., In Russia tra guerra e rivoluzione. La missione militare ita-liana (1915-1918), Roma, Ufficio Storico SME, 1983;

Id., Storia della Turchia contemporanea, Milano, Bompiani, 2005;

Id., La guerra russo-giapponese, Roma, Nuova Cultura, 2012;

Biagini A.F., Guida F., Mezzo secolo di socialismo reale, Torino, Giappi-chelli, 1997;

Bliev M.M., Digoev V.V, La guerre du Caucase, Moscou, Rosset, 1994;

157

Id., O Patria Mia. National Conflict in Mountainous Karabagh, in Dun-can R., Holman P. Jr. (edited by), Ethnic Nationalism & Regional Conflict:The Former Soviet Union and Yugoslavia, Boulder, Westview, 1994;

Id., Azerbaijan’s Struggle toward Democracy, in K. Dawisha, B. Parrot(edited by), Conflict, Cleavage and Change in Central Asia and the Cauca-sus, Cambridge, University Press, 1997;

Antonsich M. et al., Geopolitica della crisi. Balcani, Caucaso e Asia Cen-trale nel nuovo scenario internazionale, Milano, Egea, 2001;

Atabaki T., Azerbaijan. Ethnicity and Autonomy in Twentieth-CenturyIran, London, British Academic Press, 1993;

Atkin M., Russian Expansion in the Caucasus to 1813, in M. Rywkin(edited by), Russian Colonial Expansion to 1917, New York, Mansell,1988, pp. 139-187;

Ausiello A., La lotta intorno al petrolio dell’Azerbaigian, Roma, Casa ed.Cappelli, 1942;

Avakian S., Nagorno-Karabagh. Legal Aspects, s.l., French University ofArmenia, 2005;

Avioutskii V., Géopolitique du Caucase, Paris, Armand Colin, 2005;

Azarsina H., An Independent Azerbaijan. Does It Pose a Question forIran, in Azerbaijan International, 1, 1993;

Baddeley J.F, The Russian Conquest of the Caucasus, Longmans, Lon-don, Green and Co., 1908;

Bais M., Albania Caucasica. Ethnos, storia, territorio attraverso le fontigreche, latine e armene, Milano, Mimesis, 2001;

Balci B., Motika R., Religion et politique dans le Caucase post-soviétique,Paris, Maisonneuve & Larose, 2007;

Barbiellini Amidei B., Elementi per uno studio linguistico e politico delCaucaso, Napoli, R. Istituto Superiore Orientale, 1938;

156

Page 79: Azerbaigian. Una lunga storia

Id., Azerbaycan’da Politika ve Milliyetçilik, (Politics and Nationalism inAzerbaijan), Istanbul, Baglam Yayinlari, 2002;

Id. (edited by), The Caucasian Challenge. Interests, Conflicts, Identities,Istanbul, Obiv/YTU Publications, 2008;

Id., Azerbaycan’da Siyaset’in Yüzyili (Hundred Years of Politics inAzerbaijan), in “Avrasya Çali˛malari-1” (Works on Eurasia) ›stanbul Üni-versitesi Avrasya Enst≥tüsü Yayini, ›stanbul, 2010, pp. 1-14;

Carr E.H., La rivoluzione bolscevica 1917-1923, Torino, Einaudi, 1964;

Id., La Rivoluzione russa. Da Lenin a Stalin 1917-1929, Torino, Ei-naudi, 1980;

Cavaglià G., Gli eroi dei miraggi, Bologna, Cappelli, 1987;

Cesa M., Alleati ma rivali. Teoria delle alleanze e politica estera settecen-tesca, Bologna, Il Mulino, 2007;

Charachidzé G., La mémoire indo-européenne du Caucase, Paris, Ha-chette, 1987;

Id., Prometeo o il Caucaso, Milano, Feltrinelli, 1988;

Cheterian V., War and Peace in the Caucasus. Ethnic Conflict and theNew Geopolitics, New York, Columbia University Press, 2008;

Chuvin P. et al. Histoire de l’Asie Centrale Contemporaine, Paris,Fayard, 2008;

Colombo A. (a cura di), La sfida americana. Europa, Medio Oriente eAsia orientale di fronte all’egemonia globale degli Stati Uniti, Milano, Ce-MISS/Ispi, 2006;

Id., La disunità del mondo. Dopo il secolo globale, Milano, Feltrinelli,2010;

Coppitiers B. (edited by), Contested Borders in the Caucasus, Brussels,Vub University Press, 1996;

159

Bolukbasi S., Azerbaijan. A Political History, London-New York, I.B.Taurus, 2011;

Breault Y., Jolicoeur P., Lévesque J., La Russie et son ex-empire. Recon-figuration géopolitique de l’ancien espace soviétique, Paris, Presses deSciences Po, 2003;

Breyfogle N.B., Heretics and Colonizers. Forging Russia’s Empire in theSouth Caucasus, Ithaca, Cornell University Press, 2005;

Brzezinski Z., Il mondo fuori controllo. Gli sconvolgimenti planetari al-l’alba del XXI secolo, Milano, Longanesi, 1993;

Id., La grande scacchiera, Milano, Longanesi, 1998;

Brooks S.G., Wohlforth W.C., World Out of Balance. International Re-lations and the Challenge of American Primacy, Princeton, UniversityPress, 2008;

Burdett A.L., Caucasian Boundaries. Documents and Maps, 1802-1946, 2voll., Oxford, Archive Editions, 1996;

Burney CH., Lang D.M., The Peoples of the Hills. Ancient Ararat andthe Caucasus, London, Phoenix Press, 2001;

Buzan B., People, States & Fear. An Agenda for International Security inPost-Cold War Era, Hemel Hempstead, Harvester, 1991;

Buzan B., Waever O., Regions and Powers. The Structure of Internatio-nal Security, Cambridge, Cambridge University Press, 2003;

Çagla Cengiz, Les Fondements Historiques de l’Etat-Nation en Azer-baidjan, in “Cemoti (Cahiers d’Etudes sur la Méditerranée Orientale et leMonde Turco-Iranien)”, n. 31, janvier-juin 2001, p. 89-109;

Id., The Azerbaijani Nationalism and Armenians. 1905-1920, Trakya Üni-versitesi Dergisi Sosyal Bilimler C Serisi, vol. 1, n. 2, June 2001, pp.19-25;

Id., The Liberal and Socialist Influences on Azerbaijani Nationalism inthe Beginning of the XXth Century, in “Central Asian Survey”, vol. 21, n. 1,2002, pp. 107-122;

158

Page 80: Azerbaigian. Una lunga storia

De Waal T., Black Garden. Armenia and Azerbaijan through peace andwar, New York, University Press, 2004;

Donini P.G., Sulla “Compagnia transcaucasica” di Griboedov, in L. Ma-garotto, P.G. Donini, G. Scarcia, Incontri tra Occidente e Oriente, Univer-sità di Venezia, 1979, pp. 5-26;

Dreano B., Dépression sur le Sud-Caucase, voyage entre guerre et paix,Paris, Paris-MeÏditerraneÏe, 2003;

Emami-Yeganeh J., Iran vs. Azerbaijan (1945-46). Divorce, Separation orReconciliation, in “Central Asian Survey’, 3, 1984, pp. 1-27;

Ferrari A., Il Caucaso. Popoli e conflitti di una frontiera europea, Roma,Edizioni Lavoro, 2005;

Id., Georgia, Armenia e Azerbaigian. Pedine del nuovo “GrandeGioco”?, in “Ispi - Quaderni di relazioni internazionali”, n. 1, Aprile 2006,pp. 15-26;

Id., Breve storia del Caucaso, Roma, Carrocci, 2007;

Id. (a cura di), I conflitti del Caucaso meridionale: un momento favore-vole?, Venezia, Ispi e Università Ca’ Foscari, 2010;

Id., L’irrisolto nodo caucasico della Russia, in “Ispi Policy Brief”, n. 178,Marzo 2010, pp. 15-26;

Forsythe R., The Politics of Oil in the Caucasus and Central Asia, in“Adelphi Paper”, n. 300, 1996;

Fuller G.E. The New Turkish Republic. Turkey as a Pivotal State in theMuslim World, United States Institute of Peace Press, Washington DC,2007;

Id., Francke R.R., The Arab Shi’a. The Forgotten Muslims, New York,St. Martin’s, 1999;

Fukuyama F., The End of History and the Last Man, New York, FreePress, 1992;

161

Cornell S.E., Small Nations and Great Powers. A Study of EthnopoliticalConflicts in the Caucasus, Richmond, Curzon Press, 2001;

Id., Azerbaijan since Independence, New York, M.E. Sharpe, 2011;

Costant A., L’Azerbaïdjan, Paris, Karthala, 2002;

Croissant M.P., The Armenia-Azerbaijan Conflict. Causes and Implica-tion, Westport, Praeger Publishers, 1998;

Dadrian V.N., Storia del genocidio armeno. Conflitti nazionali dai Bal-cani al Caucaso (edizione italiana a cura di Arslan A. e Zekiyan B.L.), Mi-lano, Guerini, 2003;

Davutoglu A., Alternative Paradigms. The Impact of Islamic and We-stern Weltanschauungs on Political Theory, Lanham, University Press ofAmerica, 1993;

Id., Stratejik derinlik. Türkiye’nin uluslararas˝ konumu, Istanbul, KüreYay˝nlar˝, 2001;

Denber R., Goldman R.K., Bloodshed in the Caucasus. Escalation of theArmed Conflict in Nagorno Karabakh, New York, NY, 1992;

Djalali M.R. (éd.), Le Caucase postsoviétique: La transition dans le con-flit, Brussels-Paris, Bruylant-LGDJ, 1995;

De Matteo L., Alla ricerca di materie prime e nuovi mercati nella crisi po-stbellica. L’Italia e la Transcaucasia 1919-1921, Napoli, Istituto di Studi Filo-sofici, 1990;

Id., L’Economia della Transcaucasia nelle relazioni della Missione militareitaliana Gabba (1919), in “Nuova Rivista Storica”, Perugia, Vol. LXXIII,1989;

De Waal T., Caucasus. An Introduction, New York, Oxford UniversityPress, 2010;

Desch M., The Keys that Lock Up the World. Identifying American Intere-sts in the Periphery, in “International Security”, vol. 14, n. 1/1989, pp. 86-121;

160

Page 81: Azerbaigian. Una lunga storia

Huntington S.P., The Clash of Civilization?, in “Foreign Affairs”, vol.72, n. 3, Summer 1993, pp. 22-49;

Id., The Lonely Superpower, in “Foreign Affairs”, vol. 78, n. 2, 1999;

Huseynov T., Karabakh 2014. The Day after Tomorrow. An AgreementReached on the Basic Principles, what Next?, in Karabakh 2014. Six analystson the future of the Nagorny Karabakh peace process, London, ConciliationResources, 2009;

Ikenberry G.J., America Unrivaled. The Future of the Balance ofPower, Ithaca, Cornell University Press, 2002;

Ismailzade F., The Nagorno-Karabakh Conflict. Current Trends and Fu-ture Scenarios, Roma, in “Iai Working Papers” 11/29, 2011;

Ivekovi� I., Ethnic and regional conflicts in Yugoslavia and Transcauca-sia. A Political Economy of Contemporary Ethnonational Mobilization, Ra-venna, Longo Editore, 2000;

Jean C., Manuale di Geopolitica, Laterza, Roma-Bari, 2003;

Juneau T., Hervouet G., Las F. (sous la direction de), Asia centrale etCaucase, 2004;

Karl T.L., The Paradox of Plenty. Oil Booms and Petro-States, Berkeley,University of California Press, 1997;

Kazemzadeh F., The Struggle for Transcaucasia (1917-1921), New York-Oxford, Philosophical Library, 1951;

Krauthammer C., The Unipolar Moment, in “Foreign affairs”, vol. 70,n. 1, 1991, pp. 23-33;

Id., The Unipolar Moment Revisited, in “National Interest”, vol. 70, n.1, 2002, pp. 5-17;

Lacoste Y., Che cos’è la Geopolitica?, in “Limes – Rivista italiana di geo-politica”, n. 1, 1993;

163

Gabashvili N., Caucaso, Iugoslavia. Guerre dimenticate e paci precarie,Roma, Stango Editore, 2001;

Geiger B., Halasi-Kun T., Kuipers S., Menges K., Peoples and Langua-ges of the Caucasus. A Synopsis, The Hague, Mouton & Co., 1959;

Gibellino Krascennikova M., Il Caucaso. Studio storico-archeologico,Roma, Fratelli Palombi, 1957;

Goldenberg S., Pride of Small Nations. The Caucasus and Post-Soviet Di-sorder, London, Zed, 1994;

Goltz T., Azerbaijan Diary. A Rogue Reporter’s Adventures in an Oil-Rich, War-Torn, post-Soviet Republic, New York, Armonk, 1998;

Gòrecki W., Pianeta Caucaso, Milano, Mondadori, 2003;

Govi, S., Transcaucasia, Firenze, 1921;

Grassi F., Atatürk. Il fondatore della Turchia moderna, Roma, Salernoeditrice, 2008;

Graziosi A., L’Unione Sovietica 1914-1991, Bologna, Il Mulino, 2011;

Guliev J.B., Istoriia Azerbaijana, Baku, Elm Publications, 1979;

Gusejnov I.A. et al., Istorija Azerbajd�ana, Baku, Izdatel’stvo AkademiiNauk Azerbajd�anskoj SSR, 1958;

Haass R.N., The Age of Non Polarity, in “Foreign Affairs”, vol. 87, n. 3,2008;

Held D., McGrew A., Globalismo e antiglobalismo, Bologna, Il Mulino,2003;

Herzig E., The New Caucasus, London, Institute of International Af-fairs, 1999;

Høiris O., Yürükel S.M. (edited by), Contrasts and Solutions in the Cau-casus, Aahrus, University Press, 1998;

162

Page 82: Azerbaigian. Una lunga storia

Minorsky V., Studies in Caucasian History, London, Taylor’s ForeignPress, 1953;

Mostashari F., On the Religious Frontier. Tsarist Russia and Islam in theCaucasus, London-New York, I.B Tauris, 2006;

Motika R., Ursinus M. (edited by), Caucasia between the Ottoman Em-pire and Iran, 1555-1914, Wiesbaden, Reichert, 2000;

Motta G. (a cura di), I Turchi, Il Mediterraneo, l’Europa, Milano, FrancoAngeli, 1998

Murinson A., The Strategic Depth Doctrine of Turkish Foreign Policy, in“Middle Eastern Studies”, vol. 42, n. 6, 2006, pp. 945-964;

Id., Turkey’s Entente with Israel and Azerbaijan. State Identity and Secu-rity in the Middle East and Caucasus, London, Routledge, 2009;

Musayev T.F., Parere consultivo della Corte Internazionale di giustiziasul Kosovo e il conflitto del Nagorno-Karabakh. Analisi comparativa, s.l.,Classis Editore, 2011;

Nasr V., La rivincita sciita. Iran, Iraq, Libano. La nuova mezzaluna, Mi-lano, Egea – Università Bocconi Editore, 2007;

Nissman D., The Soviet Union and Iranian Azerbaijan. The Use of Na-tionalism for Political Penetration, Boulder, Westview, 1987;

O’Ballance E., Wars in the Caucasus, 1990-1995, London, Macmillan,1997;

O’Lear S., Azerbaijan’s Resource Wealth. Political Legitimacy and PublicOpinion, in “The Geographical Journal”, vol. 173, n. 3, September 2007,pp. 207-223;

Ozzano L., Fondamentalismo e democrazia. La destra religiosa alla con-quista della sfera pubblica in India, Israele e Turchia, Bologna, Il Mulino,2009;

Panebianco A., Guerrieri democratici. Le democrazie e la politica di po-tenza, Bologna, Il Mulino, 1997;

165

La Mantia C., La Missione Militare Italiana in Caucaso (1861-1866). Lefonti archivistiche dell’Ufficio Storico, Roma, Ufficio Storico SME, 1997;

Laruelle M., Russian Eurasianism. An Ideology of Empire, WashingtonD.C., Woodrow Wilson Press/Johns Hopkins University Press, 2008;

Layne C., The Unipolar Illusion. Why New Great Powers Will Rise, in“International Security”, vol. 17, n. 4, 1993;

Id., The Unipolar Illusion Revisited. The Coming End of the United Sta-tes’ Unipolar Moment, in “International Security”, vol. 31, n. 2, 2006, pp.7-41;

Levine S., Il petrolio e la gloria. La corsa al dominio e alle ricchezze dellaregione del Mar Caspio, Fagnano Alto, Il sirente, 2009;

Lewis B., Rethinking the Middle East, in “Foreign Affairs”, vol. 71, n. 4,1992, pp. 99-120;

Mackinder H.J., The Geographical Pivot of History, in “The Geographi-cal Journal”, vol. XXIII, n.4, 1904, pp. 421-444

Id., Democratic Ideals and Reality. A Study in the Politics of Reconstruc-tion, London, Constable, 1919;

Id., The Round World and the Winning of the Peace, in “Foreign Af-fairs”, vol. 21, 1943, pp. 595-605;

Magarotto M., L’annessione della Georgia alla Russia (1783-1801),Udine, Campanotto Editore, 2004;

Mamedyarov E., Azerbaijan’s Foreign Policy Agenda, in “Carnegie En-dowment for International Peace”, 2005, carnegieendowment.org/-2005/08/04/Azerbaijan-s-foreign-policy-agenda/imq;

Mammadov I., Musayev T.F., Armenia-Azerbaijan Conflict. History,Law, Mediation, Baku, Grif & K, 2008;

Matveeva A., The South Caucasus. Nationalism, Conflict and Minorities,London, Minority Rights Group International, 2002;

164

Page 83: Azerbaigian. Una lunga storia

Sabahi S.F., La pecora e il tappeto. I nomadi Shahsevan nell’Azerbaigianiraniano, Milano, Ariele, 2000;

Sale I.M., La missione militare italiana in Transcaucasia 1919-1920,Roma, Stato Maggiore dell’Esercito Ufficio Storico, 2007;

Salvi S., La mezzaluna con la stella rossa. Origini, storia e destino dell’i-slam sovietico, Genova, Marietti, 1993;

Santoro C.M. (a cura di), Nazionalismo e sviluppo politico nell’ex-Urss,Milano, Spai, 1995;

Schweller R.L., Unanswered Threats. A Neoclassical Realist Theory of Un-derbalancing, in “International Security”, vol. 29, n. 2, 2004, pp. 159-201;

Schwartz D., Panossian R. (edited by), Nationalism and History. ThePolitics of Nation Building in Post-Soviet Armenia, Azerbaijan and Georgia,Toronto, University Press, 1994;

Shaffer B., Borders and Brethren. Iran and the challenge of Azerbaijaniidentity, Cambridge-London, MIT Press, 2002;

Sidani F., L’Inghilterra e il mandato italiano sul Caucaso nella Guerra ci-vile russa: 1919, Padova, Cedam, 1970;

Sinatti P. (a cura di), La Russia e i conflitti nel Caucaso, Torino, Fonda-zione Giovanni Agnelli, 2000;

Snyder G.H., Il dilemma della sicurezza nella politica delle alleanze, in L.Bonanate, C.M. Santoro (a cura di), Teoria e analisi nelle relazioni interna-zionali, Il Mulino, Bologna, 1986;

Spykman N.J., America’s Strategy in World Politics. The United Statesand the Balance of Power, New York, Harcourt Brace, 1942;

Starr S.F., Cornell S.E., The Baku-Tbilisi-Ceyhan Pipeline. Oil Windowto the West, Uppsala, Central Asia-Caucasus Institute, Silk Road StudiesProgram, 2005;

Stefanachi C., Il Caucaso nell’orizzonte strategico americano, in “Ispi –Quaderni di Relazioni internazionali”, n. 1, 2006, pp. 27-36;

167

Parker G., Western Geopolitical. Thought in the Twentieth Century,London, Croom Helm, 1985;

Peimani H., The Caspian Pipeline Dilemma. Political Games and Econo-mic Losses, Westport, Praeger Publishers, 2001;

Petricioli M., L’occupazione italiana del Caucaso. Un ingrato servizio darendere a Londra, Milano, Giuffrè, 1972 o in “Il Politico”, Pavia, fasc. IV,1971; fasc. I, 1972;

Randazzo F., Alle origini dello Stato sovietico. Missioni militari e Corpidi spedizione italiani in Russia (1917-1921), Roma, Stato Maggiore dell’E-sercito Ufficio Storico, 2008;

Rau J., Il Nagorno-Karabakh nella storia dell’Azerbaigian (ed. it. a curadi Daniel Pommier Vincelli, prefazione Antonello Biagini), Roma, NuovaCultura, 2011;

Riasanovsky, Storia della Russia. Dalle origini ai giorni nostri, Milano,Bompiani, 1993;

Riddell J. (edited by), To See the Dawn. Baku 1920. First Congress of thePeoples of the East, New York, Pathfinder Press, 1993;

Risaliti R., La Russia. Dalle guerre coloniali alla disgregazione dell’Urss,Milano, Bruno Mondadori, 2007;

Rosenau J.N., Change, Complexity and Governance in GlobalizingSpace, in J. Pierre, Debating Governance. Authority, Steering and Demo-cracy, Oxford, University Press, 2000;

Rudra R., Globalization and the Strengthening of Democracy in the De-veloping World, in “American Journal of Political Science”, vol. 47, n. 4,2005, pp. 457-479;

Rummel R., Democracies Are Less Warlike than Other Regimes, in “Eu-ropean Journal of International Relations”, vol. 1, n. 4, 1995, pp. 457-479;

Russett B., Grasping the Democratic Peace. Principles for a Post-ColdWar World, Princeton, University Press, 1993;

166

Page 84: Azerbaigian. Una lunga storia

Verda M., Una politica a tutto gas. Sicurezza energetica europea e rela-zioni internazionali, Milano, Egea, 2011;

Vitale A., La politica estera russa e il Caucaso, in “Ispi – Quaderni di Re-lazioni internazionali”, n. 1, 2006, pp. 40-50;

Vitale A., Romeo G., La Russia post-imperiale. La tentazione di potenza,Rubbettino, Soveria Mannelli, 2009;

Vucinich S.W. (edited by), Russia and Asia. Essays on the Influence ofRussia on the Asian Peoples, Stanford, Hoover Institution Press, 1972;

Wight M. (edited by Bull H., Holbraad C.) , Power Politics, London,Continuum, 2004;

Winrow G.M., Turkey and the Caucasus, London, Chamelon Press Li-mited, 2000;

Wohlforth W.C., The Stability of a Unipolar World, in “International Se-curity”, vol. 24, n. 1, 1999, pp. 5-41;

Wright J.F.R., Goldenberg S., Schofield R. (edited by), TranscaucasianBoudaries, London, Ucl Press, 1996;

Zarrilli L. (a cura di), La grande regione del Caspio. Percorsi storici e pro-spettive geopolitiche, Milano, Franco Angeli, 2004;

Zürcher C., The post-Soviet Wars. Rebellion, Ethnic Conflict, and Na-tionhood in the Caucasus, New York, University Press, 2007.

169

Strange S., Chi governa l’economia mondiale? Crisi dello Stato e disper-sione del potere, Bologna, Il Mulino, 1998;

Strazzari F., Ucraina, Caucaso, Urali: chiese dopo l’89, Bologna, Edb,2011;

Suny R.G., The Baku Commune, 1917-1918. Class and Nationality inthe Russian Revolution, Princeton, University Press, 1972;

Id. (edited by), Transcaucasia, Nationalism and Social Change. Essays inthe History of Armenia, Azerbaijan and Georgia, Michigan, UniversityPress, 1996;

Swietochowski T., Russian Azerbaijan, 1905-1920. The Shaping of Na-tional Identity in a Muslim Community, Cambridge, University Press,1983;

Id., Russia and Azerbaijan. A borderland in transition, New York, Co-lumbia University Press, 1995;

Id., Russia’s Transcaucasian Policies and Azerbaijan. Ethnic Conflict andRegional Unity, in M. Buttino, (edited by), In a Collapsing Empire. Under-development, Ethnic Conflicts and Nationalism in the Soviet Union, Mi-lano, Feltrinelli, 1992, pp. 189-196;

Swietochowski T., Collins B.C., Historical Dictionary of Azerbaijan,Lanham Maryland, Scarecrow Press, 1999;

Thompson J.M., Russia, Bolshevism and the Versailles Peace, Princeton,University Press, 1966;

Thual F., Géopolitique des Caucases, Paris, Ellipses, 2004;

Tieke W., The Caucasus and the Oil. The German-Soviet War in the Cau-casus, 1942/1943, Winnipeg, J.J. Fedorowicz Publishing Inc., 1996;

Traini S., Le due vie della semiotica. Teorie strutturali e interpretative,Milano, Bompiani, 2006;

Van der Leeuw C., Azerbaijan. A Quest for Identity, Richmond, Cur-zon, 1999;

168

Page 85: Azerbaigian. Una lunga storia

Abcasia, 110-113Abdul-Hamid I (1725-1789), 26Abdullah II (1962), 107Absheron, 118Adıvar Edib Halide (1884-1964),

14Afghanistan, 101, 103, 127Aga Muhammad khan (1742-

1797), 26, 27Ahmadinejad Mahmud (1956),

113Ahmed Sanjar (1085-1157), 139Akçuraoglu Yusuf (1876-1935), 38Akhaltsikhe, 19Akhalkalaki, 19Albania caucasica, 135, 137, 142Alessandro I (1777-1825), 28Alessandro II (1818-1881), 31Alessandro Magno (356 a.c. – 323

a.c.), 137, 140Aliyev Heydar (1923-2003), 69, 70,

75, 78, 79, 123, 147Aliyev Ilham (1961), 85, 110, 112,

117, 121, 123, 147Alov, 116Anapa, 19Anatolia, 105Andranik Ozanian (1865-1927), 41Andropov Jurij Vladimirovi�

(1914-1984), 70Arabia Saudita, 107. 136Aran, 11, 12, 15, 16Araz, fiume, 26, 27, 110, 116, 137Ardabil, 25Ardahan, 39, 50Armenia, 15, 25, 34, 39, 42, 46, 47,

48, 49, 50, 51, 65, 69, 73, 77, 78,82, 83, 84, 88, 101, 106, 110, 11,112, 123, 126, 133, 134, 148

Arstakh, 86Arutjunov Grigory (1900-1957),

65Ashrafi, 119Astana, 85, 115, 132Astrabad, 27Astrachan’, 23, 24, 33Atropate (IV sec. a.C.), 137Atropatene, 137, 142Azov, 23

Baghirov Kamran (1933-2000), 72Baghirov Mir Jafar (1896-1956),

62, 65Bahrein, 107Barda, 16, 140Batumi, 50Berija Lavrentij Pavlovi� (1899-

1953), 67Berlino, 62, 124Bre�nev Leonid Il’i� (1906-1982),

68, 70, 128Bruxelles, 132Brzezinski Zbigniew (1928), 50,

55, 56Bucharin Nikolaj Ivanovi� (1888-

1938), 60, 61Bulganin Nikolaj Aleksandrovi�

(1895-1975), 67Bulgaria, 134Bush George Herbert Walker

(1924), 102Bush George Walker (1946), 94,

103, 126

Caspio, mare, 11, 15, 18, 23, 29,89, 99, 102, 104, 114, 115, 116,131, 132, 133, 141, 141, 148

Caterina II (1729-1796), 19, 22, 27

171170

Indice dei nomi e dei luoghi

Page 86: Azerbaigian. Una lunga storia

28Ilyich, 52Imam Shamil (1797-1871), 31Imerezia, 28Impero ottomano, 7, 13, 17, 21,

24, 25, 29, 31, 38, 46, 108India, 7, 97, 99, 138, 146Indiano, oceano, 100Inguscezia, 110, 133Iraclio II (1721-1798), 26Iran, 12, 29, 35, 38, 64, 82, 83, 99,

101, 107, 108, 110, 111, 113,114, 123, 125, 126, 127, 129,130, 133, 134, 136, 148

Isfahan, 24Istanbul, 37, 38, 43Ivan IV, (1530-1584), 23

Jalaberd, 26, 27Javakheti, 82

Kamenev Lev Borisovi� (1883-1936), 54, 61

Kapaz, 116Kars, 39, 50Kartli-Kakheti, 15, 26Kashagan, 132Kazakh-Shamshadin, 47Kazakistan, 101, 105, 114, 125,

132Kazan, 23, 85, 86Kemal Mustafà (1881-1938), 43Khoi, 25Khojali, 83Kirghizistan, 84, 101, 105, 125Kirov Sergej Mironovi� (1886-

1934), 60Kosygin Aleksej Nikolaevi� (1904-

1980), 68Kotljarevskij Pëtr (1782-1851), 23Koyski Fatali Khan (1875-1920), p.

41

Kozyrev Andrey (1951), 105Kuba, 25, 26, 29Kuban, 63Kurais, 30Kursk, 63

Lenin Vladimir Il’i� Ul’janov(1870-1924), 43, 48, 49, 53, 54,55, 60

Leningrado, 56, 98Lewis Bernard (1916), 100Libano, 104, 107Lökbatan, 52Londra, 104, 107

Mackinder John Halford (1861-1947), 97, 98

Mahsati Ganjavi (1089- 1159), 139Maku, 25Malenkov Georgij Maksimilianovi�

(1902-1988), 65, 67Marâghî Abd ul-Qâdir (1360-

1435), 143Maragin, 25Masandaran, 24, 27Maykop, 63Mdivani Polikarp (1877-1937), 53Mediterraneo, mare, 7, 14, 133Medvedev Dmitrij Anatol’evi�

(1965), 85, 106, 123Mejlum di Jalaberd (? - 1796), 26,

27Mesopotamia, 14, 38Miasnikyan Aleksandar Fyodoro-

vich (1886 -1925), 53Mingrelia, 28Moldova, 122, 125Molotov Vja�eslav Michajlovi�

(1890-1986), 67, 98Mosca, 22, 23, 24, 49, 51, 53, 54,

56, 61, 62, 64, 65, 69, 70, 72, 74,75, 77, 83, 98, 102, 105, 106,

173

Cecenia, 63�ernenko Konstantin Ustinovi�

(1911-1985), 70Chru��ëv Nikita Sergeevi� (1894-

1971), 67, 68, 69�i�erin Georgij Vasil’jevi� (1872-

1936), 50Cicianov Pavel (1754-1806), 28Circassia, 133Ciscaucasia, 30, 31Clinton William Jefferson Blythe

III (1946), 103Corea, 100Costantinopoli, 17Crimea, 17, 19, 31, 32

Daghestan, 15, 81, 133, 148Dashnak, 36, 39, 40, 45, 48Davud Mirza (1894-1938), 47Davutoglu Ahmet (1959), 104Degoev Vladimir (1951), 106Demirchan Karen (1932-1999), 72Derbent, 16, 18, 23, 24, 25, 26, 27,

29, 30Donbass, 63Don, fiume, 23, 63

Egitto, 104, 107El’cin Boris Nikolaevi� (1931-

2007), 75, 76, 106Elchibey Abulfaz (1938-2000), 73,

78Elizavetpol, 30Enver Ismail Pascià (1881-1922),

40, 43Erdogan Recep Tayyip (1954), 103,

104Erevan, 19, 25, 29, 31, 31, 36, 48,

69, 76, 82, 85, 102, 124, 126,133

Ermolov Aleksej (1816-1827), 30Erzurum, 129,133

Fatali Scià (1772-1834), 126, 28Federazione Russa, 22, 81, 83, 84,

105, 115, 117, 131, 133Francia, 28, 84, 85, 121,124, 149

Gabba Melchiade (1874-1952), 41Gafarov Fakhraddin (1964), 143Ganja, 16, 18, 24, 27, 28, 36, 40,

46, 72, 139Garachukur, 52Gareja David, 111Gengis Khan (1162-1227), 141Georgia, 15, 19, 24, 26, 27, 28, 39,

46, 47, 49, 50, 53, 82, 101, 105,111, 112, 122, 124,125, 127,128, 131, 133, 134, 148

Germania, 38, 46, 58, 62, 63, 98,149

Gerusalemme, 85, 114Giappone, 14, 23Giljan, 24Giordania, 104, 107Gökalp Ziya (1876-1924), 31Gorba�ëv Michail Sergeevi�

(1931), 70, 71, 72, 74, 76Gran Bretagna, 42, 149Griboedov Aleksandr (1795-1829),

22Grozny, 63, 130Gyumri, 112

Hamann Johann Georg (1730-1788), 12

Haushofer Karl (1869-1946), 98Herder Gottfried Johann (1744-

1803), 12Hitler Adolf (1889-1945), 62, 63Huseynov Surat (1959), 78, 85

Huseynzada, Ali Bey (1864-1940), 35

Ibrahim khan (1730-1806), 26, 27,

172

Page 87: Azerbaigian. Una lunga storia

Shamakhi, 24, 27, 30Sheki, 25, 26, 27, 28Shikhlinski Ali-Agha (1865-1943),

40Shirvan, 16, 24, 26, 27, 28, 140Shusha, 26, 27, 28, 36Siberia, 56, 57, 97Siria, 104, 107Spykman Nicholas John (1893-

1943), 99Stalin, Iosif Vissarionovi� D�uga��

vili (1879-1953), 33, 38, 54, 55,56, 57, 59, 60, 65, 66,

Stalingrado, 63, 98Stolypin Pëtr Arkad’evi� (1862-

1911), 37Sultanov Khosrov bey (1879-

1947), 41Sumgait, 82Suncha, 23Surakhani, 101, 125

Tabriz, 24, 25 Tagikistan, 101, 125Tagiev Zeynalabdin (1823-1924),

37Talish, 25, 26, 27, 29, 81Tamerlano (1336-1405), 17, 143Tbilisi, 27, 30, 33, 36, 39, 112, 128,

129, 131, 133, 148Teheran, 28, 37, 107, 108, 111,

113, 115, 116, 124, 126, 129,132

Tengiz, 132Ter Petrosian Levon (1945), 72Terek, 23Thomson William (1878-1963), 41Tolstoj Lev Nikolàevi� (1828-

1910), 22Trebisonda, 17Trockij Lev (1879-1940), 54Tse-tung Mao (1893-1976), 67

Tucha�evskij Michail Nikolaevi�(1893-1937), 61

Turchia, 14, 35, 39, 38, 39, 43, 50,77, 82, 84, 89, 100, 101, 103,104, 105, 108, 110, 111, 124,125, 128, 129, 131, 133, 134,148, 149

Turkestan, 21Turkmenistan, 83, 101, 105, 114,

116, 125, 132

Ucraina, 54, 56, 66, 76, 122, 125,149

Urnayr (313-371), 138Uzbekistan, 101, 105, 122, 125

Vagif Molla Panah (1717-1797), 28Versailles, 40Vistola, fiume, 49Vladikavkaz, 19Volga, fiume, 23, 63, 140Volskij Arkadij (1932-2006), 72Voroncov Michail Semënovi�

(1782-1856), 30Voroncov-Da�kov Illarion Ivanovi�

(1837-1918), 37Vorone�, 63

Washington, 92, 100, 102, 111,124, 126, 127, 134

Wight Martin (1913-1972), 108Yemen, 107

Zangezur, 41, 42, 47, 48, 50, 82Zarathustra (XI -VII), 136Zinovev Grigorij Evseevi� (1883-

1936), 54, 55, 61Ziyad Javad khan (1786-1804), 27,

28Zubov Valerian (1771-1804), 27Zurigo, 126

175

111, 114, 115, 122, 123, 126,128, 129, 130, 132, 133, 147

Mugan, 27Mustafa III (1717-1774), 26Mutalibov Ayaz (1938), 74, 75, 76,

77, 83

Nadir Scià Afshar (1692-1747), 24,25

Nagorno-Karabakh, 31, 47, 49, 50,69, 71, 72, 73, 74, 76, 77, 78, 81,82, 84, 85, 86, 87, 88, 95, 102,110, 111, 112, 113, 120, 121,123, 125, 126, 127

Nakhchivan, 48, 50, 73, 82, 105,110, 119, 130, 147, 148

Narimanov Nariman (1870-1925),37, 43, 47, 48, 53

Nero, mare, 14, 15, 17, 18, 19, 21,89

Nicola I (1796-1855), 22Nicola II (1868-1918), 37Nitti Francesco Saverio (1868-

1953), 41Nizami Elyas Abu Muhammad

(1141-1204), 6, 139, 140Nobel, famiglia, 32, 33, 99Novorossiysk, 115, 130, 132Nuri Osman pascià (1832-1900),

40

Obama Barack (1961), 103Oltu, 50Ordzhonikidze Grigory (1886-

1937), 53Ossezia, 110Ossezia del Nord, 133Ossezia del Sud, 131

Pacifico, oceano, 141Pakistan, 101, 136Pahlevi Reza Scià (1877-1944), 129

Paolo I (1754-1801), 27Parigi, 42, 71, 98Paskevi� Ivan Fëdorovi� (1782-

1856), 30Persia, 12, 15, 17, 21, 24, 25, 28,

29, 31, 35, 39, 40, 108, 138, 143,144

Pietro I (1672-1725), 18, 20, 22, 24Pietroburgo, 26Pietrogrado, 49Polo Marco (1254-1324), 145Polonia, 62Poti, 19, 46Pu�kin Aleksandr Sergeevi� (1799-

1837), 22Putin Vladimir (1952), 106, 123

Rasulzade, Mammad Emin (1884-1955), 37, 38

Reagan Ronald (1911-2004), 70Reykjavík, 70Riga, 74Roma, 7, 8, 9, 15, 88, 124, 135Romania, 38, 125, 134Rostov, 63Rothschild, famiglia, 7, 99Russia, 14, 18, 20, 24, 26, 27, 28,

29, 31, 32, 34, 37, 38, 40, 42, 43,49, 50, 54, 55, 76, 78, 85, 98,102, 106, 108, 111, 112, 113,114, 115, 121, 122, 123, 129,130, 131, 132, 133, 134, 141,148, 149

Rykov Aleksej Ivanovi� (1881-1938), 61

Saakashvili Mikhail (1967), 131Sabunchy, 99Samadov Movsum (1965), 113San Pietroburgo, 19, 30, 34Sarkisyan Serj (1954), 85, 112Shah Deniz, 119, 129, 130, 134

174

Page 88: Azerbaigian. Una lunga storia

I collaboratori

Antonello Battaglia, Dottorando di ricerca in Storia d’Europa di “Sa-pienza” Università di Roma e cultore di Storia moderna nello stesso Ate-neo.

Alberto Becherelli, Dottore di ricerca in Storia d’Europa di “Sapienza”Università di Roma.

Elena Dumitru, Dottore di ricerca in Storia d’Europa di “Sapienza” Uni-versità di Roma.

Martina Sargentini, Laureata in Filosofia e conoscenza di “Sapienza” Uni-versità di Roma e laureanda del corso magistrale in Studi teorico-criticinello stesso Ateneo.

Marzia Trovato, Dottoranda di ricerca in Metodi di sviluppo per l’analisidel mutamento socio-economico di “Sapienza” Università di Roma.

Collana “Imperi e nazioni in Europa dal XVIII al XX secolo”Elenco delle pubblicazioni:

1 – G. Motta (a cura di), Studi sull’Europa Orientale. Un bilancio storiogra-fico. Una nuova generazione di storici (1970-2010) (ISSN: 2280-7403).

177

Gli autori

Antonello Biagini, Professore ordinario di Storia dell’Europa orientale di“Sapienza” Università di Roma, dove dirige il Centro di ricerca “Coopera-zione con l’Eurasia, il Mediterraneo e l’Africa sub-sahariana” (Cemas). Dal2008 è Prorettore per la Cooperazione e i rapporti internazionali nellostesso Ateneo.

Andrea Carteny, Ricercatore confermato di Storia dell’Europa orientale di“Sapienza” Università di Roma e docente di Regimi socialisti e minoranzenazionali in Europa nello stesso Ateneo.

Giovanna Motta, Professore ordinario di Storia moderna di “Sapienza”Università di Roma. Si occupa in particolare di storia economica e di storiadi genere in età moderna. Coordinatrice del Dottorato di ricerca in Storiad’Europa nello stesso Ateneo.

Gabriele Natalizia, Assegnista di ricerca di Relazioni internazionali di “Sa-pienza” Università di Roma. È docente a contratto di History of politicaldevelopment nello stesso Ateneo e coordina il sito www.geopolitica.info.

Daniel Pommier Vincelli, Assegnista di ricerca di Storia dell’Europaorientale di “Sapienza” Università di Roma, nel Progetto di rilevante inte-resse nazionale “Imperi e nazioni in Europa dal XVIII al XX secolo”. Èdocente a contratto di Modern History nello stesso Ateneo.

Alessandro Vagnini, Ricercatore di Storia dell’Europa orientale di “Sa-pienza” Università di Roma e docente di Storia dell’Eurasia nello stessoAteneo.

176