Beppe Severgnini

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photo Anna AnimelliBeppe Severgnini un columnist e un editorialista delCorriere della Sera, dove felicemente accasato dal 1995;e scrive perThe New York Timescome op-ed columnist (2013). Libro pi recente:Italiani di domani. Otto porte sul futuro(2012). Dal 1998 conduce il forum Italians (italians.corriere.it).Dal 2009 si diverte (e simpegna) suTwitter.I suoi libri, tutti pubblicati da Rizzoli, sono bestseller (= molti li hanno comprati, qualcuno li ha letti e magari graditi). Ha scritto quattro ritratti nazionali:Inglesi(1990),Un italiano in America(1995),La testa degli italiani(2005) eLa pancia degli italiani. Berlusconi spiegato ai posteri(2010). Due libri sulla lingua:Linglese. Lezioni semiserie(1992) eLitaliano. Lezioni semiserie(2007). Tre libri di viaggio:Italiani con valigia(1993, ediz. agg. 1997),Manuale dellimperfetto viaggiatore(2000),Italians. Giro del mondo in 80 pizze(2008). E lautobiografiaItaliani si diventa(1998) il suo preferito e, ovviamente, quello ha venduto meno.Un italiano in America, col titoloCiao, America(2002) diventato un National Bestseller negli USA.La testa degli italiani, col titoloLa Bella Figura(2006) stato New York Times Bestseller, ed tradotto in quindici lingue. Non accadeva a un libro italiano di saggistica da quarantanni; oggi Severgnini lautore italiano pi venduto negli USA.Ha scritto perThe Sunday Times(1992-1993),The Economist(per cui stato corrispondente dallItalia 1996-2003),The New York Times Syndicate(2007-2009),The Financial Times(2010-2012). Nel 2004, a Bruxelles, stato votato European Journalist of the Year. Ha vinto anche altri premi, ma il pi importante assicura rappresentato dalla stima e dallaffetto dei lettori.Appassionato di calcio, Beppe ha scritto per laGazzetta dello Sportdal 2001 al 2011, ed autore di una multipla dichiarazione damore alla squadra del cuore, raccontata dal disastro al trionfo:Interismi(2002),Altri interismi(2003),Tripli Interismi(2007) eEurointerismi(2010, dopo il Triplete). I quattro volumi sono raccolti nelManuale del Perfetto Interista(edizione definitiva), col quale si congedato dal racconto sportivo.Severgnini ha scritto e condotto le trasmissioni televisiveItalians, cio italiani(RaiTre 1997),Luoghi Comuni. Un viaggio in Italia(RaiTre 2001-2002). Dal 2004 al 2011 ha collaborato a Sky Tg24 (Severgnini alle 10,America 2008,Zona Severgnini). Nel 2011 e 2012, su La7, ha partecipato spesso aLe invasioni barbariche,Otto e mezzoeGDay, condotti dalle sue brillanti amiche Lilli, Daria e Geppi. Dal 2007 lo potete ascoltare su Radio Monte Carlo (RMC).Beppe Severgnini nato il 26 dicembre 1956 a Crema (Cremona), dove ha studiato fino alla maturit classica. Laureato in diritto internazionale a Pavia, dopo un periodo presso la Comunit Europea a Bruxelles stato corrispondente a Londra peril Giornaledi Montanelli (1984-1988), inviato in Europa Orientale, Russia e Cina (1988-1992), distaccato pressoThe Economista Londra (1993), corrispondente a Washington D.C. perla Voce(1994-1995).Ha tenuto un corso al master di giornalismo Walter Tobagi dellUniversit degli Studi di Milano/Ifg (2010-2012), stato Research Fellow/Writer in Residence al MIT/Massachusetts Institute of Technology (2009), ha insegnato a Middlebury College Vermont (2006), Milano-Bocconi (2003 e 2006), Parma (1998) e Pavia (2002), che lo ha scelto come laureato dellanno nel 1998 e 2011.Nel 2001 la Regina Elisabetta II gli ha conferito il titolo di Officer of the British Empire, O.B.E. e nel 2011 il Presidente Giorgio Napolitano lo ha nominato Commendatore della Repubblica italiana. presidente dellInter Club di Kabul (Afghanistan). sposato con Ortensia e ha un figlio, Antonio.

questa autobiografia diBeppe SevergniniIl libro racconta in modo ironico tutta linfanzia e ladolescenza diBeppe Severgnini, dalla nascita nel 1956 fino al servizio militare nel 1981, passando in rassegna tutte le tappe fondamentali della sua formazione: dalla scuola ai boy scout, dalle feste delle medie alluniversit, dalle ferie in Versilia o sulla Presolana fino al classico viaggio studio in Inghilterra.condo me il libro ha un pregio ed un difetto.Cominciamo dal difetto: lho trovato leggermente presuntuoso. Gi fare unautobiografia della propria infanzia mi sembra un po sopra le righe, farla poi assurgere ad esempio generale di Italianit, come si potrebbe desumere dal titolo, mi sembra un tantinello eccessivo. In fondo si tratta solo dellautobiografia del figlio di un notaio di Crema, ovvero del racconto sulla formazione di un rampollo della buona borghesia benestante di provincia Insomma una storia come tante ( e poi nemmeno tante in quegli anni cera chi stava molto peggio dei Severgnini)Arriviamo ora al pregio: il libro godibilissimo, ironico e divertente. Lo stile diSevergniniriesce a rendere piacevole anche quella che normalmente sarebbe una storia personale Si poteva cadere nella retorica ammuffita dei bei tempi andati (un po come le noiose trasmissioni di Carlo Conti sui Migliori Anni) e invece il libro vivace e divertente Alla fine dei conti, pi che la storia diBeppe Severgnini, il libro una lezione su come si scrive e su come, con stile, ironia e una bella forma, si possono rendere interessanti e avvincenti delle storie tutto sommato personaliSe dovessi concentrare il libro in una frase direi che a mio modesto avviso la storia simpaticamente inutile ma il libro insegna a scriver beneP.S. Lavreste mai detto che anche una persona seria comeSevergninipossa essere scaramantica? E come chiamereste uno che ha fatto tutti gli esami delluniversit indossando sempre lo stesso paio di pantaloni di velluto verde e mangiando prima di ogni esame, la stessa pastafrolla industriale, nello stesso bar?

Cosa vuol dire aver fatto il bambino nellItalia del boom economico, e il ragazzo negli anni Settanta? Ce lo spiega nelle pagine tenere ed esilaranti del suo ultimo libro Beppe Severgnini, classe 1956, una delle penne pi brillanti e seguite del nostro giornalismo. La sua collaudata ironia diventa autoironia; e lautobiografia diventa la biografia di una generazione cresciuta tra corsi dinglese e viaggi col plaid, minibasket e picnic, Vespe e traghetti, ciclostilati liceali e innamoramenti a raffica. Severgnini, che nei libri precedenti aveva esplorato gli inglesi e gli americani, ricostruisce la vicenda di quella immensa "classe di mezzo" che rappresenta la spina dorsale dItalia. Lo fa divertendosi e divertendoci, attraverso la storia di un bambino condotto a nascere su una Topolino blu, e riportato a casa pettinato come Elvis Presley. Un bambino che, come tanti altri, ha conosciuto i "riti di passaggio": vacanze di famiglia e battaglie con le pigne; gite scolastiche e giradischi rudimentali; soggiorni pi o meno di studio in Inghilterra ed esperimenti di moderata seduzione nelle "cantine", seguendo le istruzioni di Lucio Battisti. la vicenda della "generazione di latta": lultima che, alla fine degli anni Cinquanta, ha maneggiato giocattoli che arrugginivano e tagliavano (ma, scrive Severgnini, "producevano suoni interessanti"). Una generazione che aveva poco pi di dieci anni nel 1968, e tra una partita di calcio e un comizio, non ha mai avuto dubbi: meglio il pallone. Una generazione che ha saputo far tesoro delle prove cui stata sottoposta: dalla tenera durezza degli scout fino alla scoperta dellEuropa, passando per i riti esoterici delluniversit e della caserma.Beppe Severgnini che si dichiara "un bambino di lungo corso" mostra di avere buona memoria e un occhio affettuoso, ma implacabile. Chi ha intorno ai quarantanni, con questo libro, ripercorrer le tappe della propria formazione; gli adolescenti sorrideranno leggendo le gesta dei genitori; i meno giovani sfoglieranno lalbum di famiglia. E tutti insieme capiremo come la storia di un bambino italiano possa diventare anche storia dItalia. Una storia intima, ironica e godibilissima. Una storia che prova una cosa: italiani, si diventa.

Non lho mai chiamato "il mio discepolo" per il semplice motivo che io non mi considero un "Maestro". Quando gli proposi di andare a fare il mio corrispondente da Londra, lui obiett: "Ma io non so linglese". "Bene gli risposi cos lo impari." Per confesso di non aver previsto che in poco tempo avrebbe imparato non solo a parlare inglese, ma adiventareun inglese. Perch questo attualmente Severgnini: un inglese che scrive in italiano, come dimostra anche questo suo ultimo libro. Di cui, visto che tutti ne parlano e ne scrivono bene, anzi benissimo, voglio cominciare io a dirne un po di male. Perch un errore lo ha commesso: il titoloItaliani si diventa".Qui Beppe si sbaglia in pieno. Inglesi si diventa come lui stesso dimostra col suo modo di essere. Italiani non si diventa, ma si nasce, e purtroppo si resta per tutta la vita.Questa non unautobiografia. la ricostruzione con tocchi rapidi e leggeri di unepoca che, sebbene a noi vicinissima nel tempo, ci sembra lontana come il regno di Saturno, tanto quella attuale in pochi anni cambiata, e non certamente in meglio. In mano a un memorialista italiano, questo libro sarebbe certamente diventato unde profundis. Sotto il pennello di un inglese come Severgnini, diventato una "esquisse" brillante e trillante come una tela di De Pisis. Grazie allhumour inglese, che non ha nulla a che fare con lumorismo italiano.Indro Montanelli,Corriere della SeraLa pi tenera, divertente, intima, graffiante, godibile, malinconica, ironica autobiografia che io ricordi. Un libro in cui mi ritrovo in pieno e ritrovo la mia giovinezza. Un racconto in cui tuffarsi: vi si trover la biografia di una generazione di italiani, nati negli Anni Cinquanta, con lItalia in odore di boom, e diventati adulti alla fine degli Anni Settanta, in un paese nervoso e malato. Una generazione che ha ricevuto "regali di latta e uneducazione di ferro da genitori con nervi dacciaio". Ragazzi normali, sani, con le loro giuste ambizioni, i loro riti, i loro vezzi, i loro riferimenti.Italiani si diventa la storia di un bambino dItalia che diventa storia dItalia. La storia di un quarantenne di oggi scritta con tale gusto da rimuovere la presunzione dellautobiografia. Un libro che ci regala un inedito Severgnini, malinconico, autoironico, che si fa sedurre dai ricordi ma senza restarne prigioniero.Marco Innocenti,Il Sole 24 OreAlla maniera di una famosa poesia di Ungaretti, con questo libroItaliani si diventaBeppe Severgnini potrebbe dire: "Ho ripassato / le epoche / della mia vita"... Se la collaudatissima ironia dellautore non funzionasse da freno si potrebbe anche parlare di autobiografia "di formazione", nel senso che questa illustre etichetta ebbe per la letteratura in tempi remoti. Il dato pi evidente il passaggio dallironia allautoironia, temperata dalle complici tenerezze di una memoria che, nel suo insieme, ostinata e inesorabile. Il percorso del "diventare italiani" prosegue ogni giorno, costa ogni giorno una fatica, un piacere, un confronto e, soprattutto, un ricordo. Il libro un album dove, pur essendo appena oltre i quarantanni, Severgnini ha un passato da mostrare. Lironia pu vivere anche in ci che perduto.Giulio Nascimbeni,Corriere della SeraRicordi come tanti, fatti di niente. Ricordi di Severgnini Beppe, nato in una clinica di Crema il 26 dicembre 1956, dopo una corsa in Topolino, alle due di notte, con molti peli sulle braccia. Ricordi, si sente, conservati con cura, tenuti ben piegati in fondo al cassetto della memoria, come il corredino di un primogenito, un vestito di nozze, un vecchio diploma. Con cura ma senza compiacimento. Tirati fuori a uno a uno, selezionati e poi ordinati con meticolosa ironia inItaliani si diventa, qualcosa di pi di una semplice autobiografia: una manciata di immagini, suoni, riti sospesi tra lautoritratto e lo schizzo di una generazione. Quella che non ha fatto il 68 n il 77, ma che ugualmente si divertita un mucchio. Bambini negli anni Cinquanta, ragazzi negli anni Settanta, improvvisamente quarantenni negli anni Novanta: strana gente fotografata su automobiline di latta con pettinature alla Elvis Presley, o su spiagge della Versilia con occhiali da sole a farfalla, stile Audrey Hepburn inVacanze romane. Gente che giura di aver fatto sparire per sempre quelle foto imbarazzanti. Giuramenti da prendere con le pinze: una bugia colossale, naturalmente.Nicoletta Melone,Il GiornaleI geometri progettavano case e le donne sfornavano marmocchi. Il mare solleticava le estasi dei borghesi mentre bambini inamidati si lasciavano ipnotizzare dal mirino di ingombranti macchine fotografiche.LUnione europea, ancora in embrione, cominciava a muovere i primi passi, dalle fossette della Ceca, cara vecchia rude concretezza di carbone e dellacciaio. Mentre frigoriferi panciuti, ferrosi e ingordi di benessere borbottavano dentro le cucine del boom economico. Anni senza nome, quelli l. Citati pi dai demografi che dagli storici. Epoca di mezzo, compressa tra i grumi di macerie dellultima guerra e il Sessantotto inquieto. Anni pacifici e lunghi, quando i bambini avevano ricominciato a fare i bambini. la pi comune delle storie, pubblicata da Rizzoli e raccontata da un inviato davvero speciale: Beppe Severgnini.Personalissimo album di fotografie: la sua autobiografia. E insieme la biografia della sua generazione e della cinghia di trasmissione dellItalia, di quella classe media che ha allevato i figli delleruzione dellanagrafe. il ritratto tenero e brillante di un interstizio di Storia. Che ha visto nascere bambini lontani, almeno un campo da calcio e il triennio tutto delle scuole medie inferiori e anche di pi, dal rosso e dal nero della politica masticata nelle piazze e ruminate nelle Universit. Una generazione sdeng, che fa il rumore della latta come i giocattoli ricevuti.Inviato speciale e cronista di se stesso, Severgnini rientrato con gli occhi del bambino, del ragazzo, dello studente universitario nei fotogrammi del suo filmino di ricordi. Dove fiorito il giornalista. Che arriva sempre per ripartire. E mai parte per arrivare.Francesca Dallatana,La Gazzetta di ParmaLautore, che vissuto tanto in Inghilterra, sa come si traduce lantica parola "umore" in quella lingua. E lumorismo serpeggia dappertutto, rompe la facile crosta del racconto autobiografico per diventare grazie a Severgnini la vera sostanza del libro. Ecco il bambino davanti alla tv, che aspetta il cantante preferito: "Domandavo: C Lentano?, e Lentano cera sempre. Quando non cera lui, cerano altri animali amici miei".Giorgio Calcagno, Tuttolibri,La StampaMa la domanda vera : perch risulta cos difficile e penoso qualificarsi come italiani? A un simile interrogativo possono rispondere legioni di storici, con tomi ponderosi. Oppure un giornalista come Beppe Severgnini, maestro riconosciuto della saggistica di costume. Il suoItaliani si diventa infatti unautobiografia ironica, oltre che lumoristica educazione sentimentale di un attuale quarantacinquenne, costretto a conquistarsi unidentit nazionale.Non si deve pensare, chiaro, a una seriosa Bildung in salsa padana, con tanto di maestri e letture canoniche. Non questo lo stile cui i lettori di Severgnini sono abituati: al contrario, il tono di fondo dato da un sottile umorismo vagamente britannico (gli anni londinesi come corrispondente del "Giornale" non sono trascorsi invano), dai racconti di croci e delizie familiari, il tutto temperato da una vena di pietas evidente, un sentimento generato dal ricordo delle cose belle e brutte che ugualmente passano, portandosi via ci che siamo stati.Dario Fertilio,Libreria di TabloidDalle pagine di Severgnini esce anche il gusto per la trasgressione: per carit, una trasgressione garbata, lontana da gesti eclatanti, da gesti drammatici di rottura. Una trasgressione vissuta prima di tutto dentro di s, sulla base della consapevolezza di ci che pu rendere eccitante unesperienza.Sergio Giulio Vicini,Mondo PadanoPer essere italiani basta avere cittadinanza e passaporto. Ma diventare italiani invece un processo pi complicato fatto di pappe, foto di gruppo e di famiglia in posa, di gite in montagna con i compagni di classe, di famiglie in partenza per il mare con la macchina stracarica alle prime luci dellalba, di cantine buie, di amori e di viaggi allestero sognando la California con lillusione di parlare inglese e la fretta di finire il servizio militare. Il percorso di formazione di una generazione, quella che adesso ha quarantanni, descritta con leggerezza e arguzia.Fabio Bonaccorso,il Cittadino(Lodi)Sono aneddoti, ma non solo. il tentativo di una storia minima dItalia. Dove, cammin facendo, si sorride e magari ci si commuove. Una storia dove anche un plaid di lana a quadrettoni multiuso (per i picnic sui prati, per i bambini in macchina destate, per tutta la famiglia davanti alle tv nelle sere invernali) potrebbe diventare la bandiera dItalia.Laura Frugoni,La Gazzetta di ParmaIl personaggio-Severgnini ha i suoi fans e potrebbe ormai diventare protagonista di una storia a fumetti (in parte lo gi). Potrebbe essere il fratello pi giovane di Bobo: altra generazione, altra sponda.Paola Carmignani,Giornale di BresciaUna lingua chiara e uno stile incisivo quelli di Beppe Severgnini, giornalista e scrittore arguto che resta nellorbita delle sue capacit di grande osservatore del costume: in questo genere dargomento lautore fa len plein. Il pregio pi grande del libro per quello daver dato la possibilit di tirar fuori dagli scatoloni abbandonati tra la polvere in soffitta i piccoli oggetti, le piccole manie e i piccoli segreti, ovvero la microstoria di ognuno di noi.Mariella Radaelli,Corriere del TicinoLo sguardo e la parola: queste le due coordinate lungo le quali Beppe Severgnini sta costruendo il suo successo. Uno sguardo limpido, profondo, disincantato, capace di arrivare allessenza senza farsi distrarre da banali luccichii. Una parola secca, mai fuori posto, tagliente e comica, capace di suscitare il riso, ma non quello vuoto e grasso, piuttosto saggio, ruvido, s anche amaro, ma sensato. Un ridere di s, che fa crescere, perch disvela il senso della vita attraverso i piccoli particolari, le manie, i sogni e i ricordi delluomo qualsiasi, quindi di tutti. In tutti i suoi lavori, la maggior parte dedicata alle societ di lingua inglese, Severgnini regala ai suoi lettori lessenzialit:castigat ridendo moresin certo qual senso.Paolo Pugni,Studi CattoliciCi ritroviamo appieno, noi nati a met degli anni Cinquanta, inItaliani si diventadi Beppe Severgnini. Storia dei primi 25 anni di una vita personale, quella dellautore, una delle penne pi brillanti del giornalismo italiano, che si trasforma, con stile leggero ma efficace, in una storia nazionale. Una storia vista da Crema, dalla provincia della Bassa. A Milano ci si perde come in un labirinto futuribile.Claudio Baroni,Giornale di BresciaFinora Beppe Severgnini ci aveva deliziato con la vita quotidiana di inglesi e americani, o descrivendo le goffaggini degli italiani allestero che tentano di imparar linglese. Nel libroItaliani si diventail 41enne giornalista-scrittore si lancia in un brillante amarcord, denso di autoironia, sugli anni che vanno dalla sua nascita al 1982. Ne risulta il godibilissimo ritratto di una generazione, con le buffe premure dei genitori negli anni Sessanta, le vacanze al mare e in montagna, i primi viaggi allestero, gli approcci con laltro sesso, il liceo e luniversit negli anni Settanta.Mauro Suttora,Oggi

ANNI CINQUANTA (1956)Degli anni Cinquanta, che ho frequentato per tre anni e sei giorni, so abbastanza poco. Non ho mai fatto molte domande ai genitori, che in questi casi tendono ad abbellire la realt (questo sarebbe niente), e soprattutto ad abbellire i figli (e questo pi grave). Ho sempre preferito le fotografie e i libri di storia, da cui risultano alcune verit indiscutibili: 1) I bambini degli anni Cinquanta devono ringraziare il cielo: hanno potuto crescere senza scoprire che in famiglia qualcuno stava per andare in guerra 2) I bambini degli anni Cinquanta venivano pettinati in maniera agghiacciante 3) I bambini degli anni Cinquanta non sapevano di essere pettinati in maniera agghiacciante. Nelle fotografie, infatti, sorridono 4) I bambini degli anni Cinquanta sono stati gli ultimi a maneggiare giocattoli che arrugginivano e tagliavano, ma producevano suoni interessanti. Di unautomobile a pedali di latta, ricevuta per il secondo compleanno, ricordo il rumore eccitante che emetteva quando veniva percossa con un birillo di legno. Nessuna automobile di plastica produce lo stesso effetto.LA TVLa televisione, in quegli anni, era uno zoo in bianco e nero: spariva il monoscopio, e arrivavano le bestie. Cerano il pulcino Calimero, topo Gigio, la mucca Carolina e Braccobaldo (nome) Bau (cognome). LoZecchino doroera un andirivieni di passerotti dal petto rosso, moscerini che danzavano il valzer e gatti inquadrati militarmente (anche quarantaquattro per volta). Cera il pastore tedesco Rin Tin Tin, amico dellorfano Rusty, una sorta di soldato blu tascabile. Cera Lassie, una collie che nei deserti dellOvest americano mi sembrava fuori posto come un coyote nel nostro salotto, ma mi ha introdotto ai misteri della lingua inglese (se il nome si fosse scritto come si pronunciava Lessi lo avremmo confuso con il bollito). Mi incuriosivano sempre per motivi naturalistici Mina e Milva, che chiamavano la tigre e la pantera; e mi piaceva Don Lurio, che sembrava il grillo di Pinocchio.Lamico del giaguaro stato invece una delusione. Il nome prometteva bene; di felini, per, nemmeno lombra. Cerano soltanto uomini in abito da sera che ridevano delle loro battute. Se avessi immaginato che quello era il prototipo della televisione del futuro, avrei cambiato pianeta.CORSI (1964)Come molti nella mia generazione, sono stato un bambino di lungo corso. Ho infatti frequentato, oltre le normali scuole elementari, lezioni di inglese e di francese, scuole di musica, catechismo, corsi di minibasket e di pittura, scuole di sci di ogni ordine e grado. Non ero il solo: la borghesia italiana di quegli anni sognava di scoprire i talenti nascosti nei propri figli, e a volte doveva cercare a lungo. Molti di noi venivano sottoposti a una serie di esperimenti, che sopportavamo di buon grado anche perch ne intravedevamo il lato comico. Non sto dicendo che un bambino di sette anni si sbellicasse dalle risate davanti a uninsegnante dinglese che non sapeva parlare inglese. Intuiva per che cera qualcosa di bizzarro nellaria. Anche perch veniva condotto a studiare inglese vestito da ginnastica, e a ginnastica con la chitarra (questo perch i corsi si succedevano freneticamente, e non cera tempo di cambiarsi).SCILa mia generazione stata quella che, nello sci come nel sesso, ha vissuto i grandi mutamenti: nello sci, per, abbiamo ottenuto risultati migliori. Abbiamo cominciato a esibirci sopra attrezzi di legno con attacchi a molla, come quelli che oggi si trovano appesi ai muri nei rifugi alpini. La differenza con i pionieri degli sport invernali era che i nostri sci venivano colorati: la prima volta dalla fabbrica, la seconda e la terza dai genitori, che passavano lo stesso paio da fratello a sorella, dalla sorella a unamichetta, dallamichetta della sorella al fratellino della medesima e volevano che ogni volta sembrasse nuovo. Era un riciclaggio frenetico, in seguito al quale gli sci si appesantivano continuamente. I miei si chiamavano Meteor. Quando, alla fine di una gloriosa carriera, sono arrivati ai piedi di mio fratello Francesco, erano sempre lunghi un metro e dieci, ma spessi cinque centimetri.SCI 2I pullman che ci portavano al passo della Presolana potrei riconoscerli dallodore: arance e mandarini, consumati in quantit industriale, alla faccia dei due o tre bambini che soffrivano il mal dauto, e viaggiavano in una specie di ghetto di fianco allautista. I viaggi novanta chilometri, due ore di pullman erano piacevoli perch non erano ancora turbati dalle ansie sentimentali che avrebbero condizionato le future gite scolastiche. Erano invece segnati da quella che i francesi definisconocamaraderiee noi, non conoscendo il francese, chiamavamo caos. Nellultimo sedile in fondo, lungo come un divano, sedeva loligarchia dei bambini pi grandi, che facevano le boccacce alle auto che seguivano, e non avrebbero sofferto di mal dauto nemmeno se li avessero fatti penzolare sopra il tubo di scappamento per tutto il viaggio. Noi piccoli occupavamo le posizioni di mezzo, e scrivevamo le nostre prime parolacce sui vetri appannati. Cera sempre qualche accompagnatore che intonava canti di montagna. Ma era un piccolo prezzo da pagare, per tanta felicit.LE FIGURINEIncollarle sullalbum era un optional. Quello che ci interessava era il gioco dazzardo. Nelle specialit conosciute come "in piedi" (la figurina veniva lanciata e doveva restare appoggiata al muro) e "sopra" (una figurina doveva coprirne unaltra), il vincitore conquistava infatti tutte le figurine sul terreno. Il gioco pi affascinante era per "lungo", ovvero chi arrivava pi lontano. Afferrando alcuni principi di aerodinamica, avevamo capito che, pi pesante era la figurina, meglio tagliava laria, e pi lontano andava. Questa scoperta portava i meno corretti di noi tutti, dopo la prima elementare a incollare pi figurine tra loro. Ci era sleale, ma spettacolare. Al momento della sfida, estraevamo figurine cubiche e, masticando legno dolce, le tiravamo con il gesto dei lanciatori di peso. Gli insegnanti ci lasciavano fare. Probabilmente, la consideravano una forma di ginnastica.LA PARTENZA PER LE VACANZE (1966)Lasciavamo casa due ore prima dellalba. Non ho mai saputo perch. La scusa ufficiale era che, in quel modo, avremmo evitato il caldo (ai tempi laria condizionata esisteva soltanto sulle automobili di James Bond). Ripensandoci, credo invece che la partenza nel buio fosse un modo di celebrare lavvenimento, e dargli limportanza che meritava. Alle dieci si parte per una gita; alle otto, per un fine settimana. Per le vacanze estive con pap, mamma, sorella, fratellino, tata, valigie, provviste e plaid le quattro del mattino erano lunica ora possibile. Immota, drammatica. Se Shakespeare fosse andato in vacanza in Versilia, senza dubbio, sarebbe partito alle quattro del mattino.VACANZE AL MARECon il cono gelato in mano, talvolta venivamo condotti trattamento speciale, preceduto da promesse e fantasie a guidare un calesse tirato da un somarello, sul quale prendeva posto tutta la famiglia. Le redini in mano a un bambino di nove anni (o anche di tre) non costituivano un rischio: il somarello, una bestiola dallaria rassegnata, non si sarebbe scomposto neppure in caso di attacco nucleare. Ogni tanto un fotografo balzava davanti a noi, scattava a raffica, e porgeva il biglietto da visita. Ho ancora alcune di quelle fotografie: un asino abbagliato dal flash, un bambino abbagliato dallasino, un pap e una mamma abbagliati dal loro bambino. Erano serate abbaglianti, peccato che alle dieci fossero gi finite.VACANZE AL MARE 2Il tempo, alla pensione Pineta al Mare, trascorreva lento: un mese durava parecchio, nel 1966. Le cose da fare venivano diluite sapientemente lungo le giornate, in modo da occupare le ore che non trascorrevamo ai Bagni Paola. Ricordo interminabili prime colazioni, conversazioni al rallentatore e pomeriggi dietro le persiane, in un silenzio imposto ma non spiacevole. Insieme allorario per il bagno (tre ore dopo i pasti), quelle sieste pomeridiane sono state la mia scuola dattesa. Non voglio dire, con questo, che i bambini di oggi non sappiano pi aspettare. Dico solo che noi eravamo dei professionisti, e sapevamo distillare piacere dalle nostre vigilie. O, almeno, questa limpressione che mi rimasta. Cosa ci volete fare: non mai troppo tardi per avere uninfanzia felice.BOY SCOUT (1969)Sopra ogni zaino, attraverso un complesso giro di cinghie, stava legato il sacco a pelo, che nel 1969 era fedele al proprio nome: conteneva tanto pelo, e somigliava molto a un sacco. Nessuno credeva ai tessuti caldi e leggeri, anche perch non cerano: la qualit di un articolo si misurava in chili e centimetri. Il modello pi popolare era color senape, a forma di mummia: una volta chiuso, sbucava soltanto il volto sbalordito delloccupante. Letichetta assicurava che quel tipo disleeping bagera in dotazione alle forze armate americane. Francamente, ne dubito. Anche arrotolato, il sacco a pelo a mummia teneva infatti uno spazio spropositato. Se i marines americani lavessero adottato, avrebbero occupato lintera giungla del Sud-est asiatico, per il divertimento dei vietcong.RAGAZZE (1970)Tra un compito in classe e un altro, contava soprattutto la vita sentimentale. Era finito il tempo delle scuole medie, quando lobiettivo era un ballo lento, classificato secondo la lunghezza (LEternitdei Camaleonti, nonostante il nome promettente, era di gran lunga troppo corto: solo tre minuti e venti secondi). Al ginnasio avevamo desideri pi corposi: il problema che non sapevamo esattamente quali fossero. Lobiettivo non era tanto un bottone o una cerniera, ma la sensazione di reciproco possesso esclusivo, se possibile. Non a caso, ogni strategia amorosa doveva condurre a pronunciare la frase magica, una delle pi sciocche che mente umana possa concepire: "Vuoi diventare la mia ragazza?". Non era una dichiarazione damore: se Romeo lavesse pronunciata, Giulietta sarebbe cascata oltre il balcone dal ridere. Era la chiusura di un contratto, la fine dellapprensione: se una ragazza diventava la tua ragazza, per qualche giorno potevi pensare ad altro.MOTOLa nostra generazione non sognava la Vespa, come quella che ci aveva preceduto e quella che ci avrebbe seguito. Difficilmente accettava di condurre bidet ambulanti come la Motorella e il Minibike. Noi volevamo la moto da cross e, prima o poi, la ottenevamo. Fin qui, niente di male. Purtroppo, pretendevamo di modificarla, manometterla e modernizzarla: allargavamo la corona, riducevamo il pignone, cambiavamo la sella, svuotavamo la marmitta che poi, per evitare rappresaglie da parte di genitori e vigili, dovevamo richiudere con un cilindro lurido dolio chiamato "chiusino". Compiuto il misfatto, ci esibivamo in una parodia di motocross tra i campi, saltando qua e l come grilli impazziti. Nessuna coppia poteva pi distendersi in pace nella campagna cremasca: troppo alto il rischio di trovarsi una ruota nello stomaco.I nostri mezzi meccanici aprivano squarci interessanti sulla nostra psiche (talvolta, nella nostra carne: un compagno di classe abile a moltiplicare il numero dei denti del pignone per i giri del motore, e ricavare cifre esoteriche atterrato su un ceppo dalbero, e ci ha rimesso un gluteo). Il primo oggetto dei desideri, per molti di noi, stato il Malaguti Cavalcone, un nome che allora ci sembrava normale. Poi il Testi, piccolo e tozzo. Quindi il Beta, il cui progettista doveva essersi ispirato a uno spermatozoo; lirraggiungibile Zundapp (costava molto, e aveva un telaio gigantesco); e linsidioso Mondial, con uno sbalzo di quindici centimetri tra sella e serbatoio, che rendeva necessaria lapplicazione di una speciale, umiliante protezione. Cera, infine, lAspes, che subiva frequenti mutazioni: prima aveva parafanghi di plexiglass alti e lunghi, che si rompevano subito; poi parafanghi di plexiglass corti e bassi, che si spaccavano in fretta. Il motorino con il nome pi ridicolo era per il Caballero. Un amico lo aveva comprato e, sorprendendo tutti, aveva trovato la ragazza. Ricordo di aver meditato a lungo sullepisodio: non mi ha rivelato niente sui motorini, ma mi ha insegnato qualcosa sulle ragazze.MACCHINE DEPOCA (1971)Avevamo addirittura cambiato automobile: la Lancia Appia era stata collocata a riposo, e sostituita da una Lancia Flavia. Le due macchine avevano in comune soltanto la marca e il colore: un grigio topo pre-metallizzato, che oggi si vede solo nella periferia delle citt del Magreb. Per il resto, erano diverse come il giorno e la notte. LAppia, per cominciare, aveva un bel nome: solo le grandi strade e le buone macchine potevano fregiarsene. Flavia era un nome troppo umano: una professoressa poteva chiamarsi cos. LAppia era sinuosa e allegramente rumorosa; la Flavia sembrava un frigorifero orizzontale, e ne riproduceva il ronzio sinistro. I divani dellAppia erano di panno, ricoperti da un telo affinch non si rovinassero (infatti, in quarantanni, non si sono rovinati). I sedili della Flavia erano di similpelle color carpaccio, e destate si incollavano alle gambe nude. Allarrivo pap poteva sapere, senza voltarsi, quanti figli erano scesi dalla macchina: bastava contare i rumori laceranti prodotti dalle cosce sudate che si scollavano. Mosso a piet, un giorno comparso con una serie di coprisedili di paglia: ma gli elastici che dovevano fissarli si sganciavano senza preavviso, schizzando qua e l. Dal nostro punto di vista, perci, si trattava di un semplice cambio di tortura (dallo scorticamento alla fustigazione), ma non avevamo cuore di dirlo.VACANZE-STUDIO IN INGHILTERRA (1972)Abitavamo in casette modeste, lesemidetached houses(bifamiliari) che costituiscono il marchio dellInghilterra. La giornata-tipo si apriva con la prima colazione, in compagnia della famiglia ospitante. La padrona di casa (landlady) si chiamava Mrs Potter e viveva in Susans Road, una via che dalla ferrovia scendeva verso il mare, passando vicino al deposito dei bus, al Post Office e a un luogo chiamato Picturedrome. La signora Potter andava a letto alle dieci di sera, e si presentava perci in forma smagliante al rito spartano delbreakfastche, com noto, consiste nellaffrontare appena svegli cibi che solo la sera, dopo accurata preparazione psicologica, noi stranieri ci sentiamo di considerare: pomodori affranti, salsicce con segni di rigor mortis,bacone uova al burro. Davanti a questi piatti e alle domande tecniche che comportavano (Doyou want them over?Le uova, le vuoi in camicia?), noi ospiti complici le poche ore di sonno assumevamo unaria dolente e patita. Sono convinto che lerockstarsdel tempo da Alice Cooper (che era un uomo) a Rod Stewart abbiano adottato il proprio look emaciato dopo aver osservato le facce dei ragazzi italiani in vacanza-studio (ovvero: prima vacanza, poi studio. Lordine delle precedenze era chiaro nelle nostre menti).LA DISCOTECASe riuscivamo a superare i ceffi allingresso eravamo in paradiso. Subito cercavamo le teste bionde delle coetanee svedesi, che si muovevano in branchi, come le aringhe: se ne vedevi una, potevi star certo che ce nerano quaranta. Le nostre tattiche erano infantili, la nostra timidezza commovente. Aspettavamo ore prima di avvicinarci, e quando lo facevamo chiedevamo"Where do you come from?"(Da dove vieni?), anche se lo sapevamo benissimo. Se la reazione non era un muro di silenzio, passavamo a commentare i successi musicali del momento:Rubber Bulletsdei 10 cc e una canzoncina maniacale chiamataPopcorn. Helena, Katarina e Birgita rispondevano mescolando sorrisi e suoni gutturali; noi le guardavamo, ed eravamo gi perdutamente innamorati.Questa era la regola. Ogni studente non che studiassimo: uso il vocabolo per comodit di esposizione aveva poi elaborato proprie tattiche dabbordaggio, sulle quali gli altri dissentivano. Cera chi tentava col maglioncino annodato in vita (lo portavano solo gli italiani; era come mostrare il passaporto). Chi ostentava unaria strafottente. E chi, come il mio amico Franco, compagno davventure fin dai tempi dellasilo, entrava in discussioni metafisiche per poi accorgersi di non possedere vocabolario sufficiente. A quel punto, correva verso di me chiedendo di tradurre " un delicato problema di coscienza". Quando gli dicevo di arrangiarsi, tornava dalla ragazza e ricorreva a una perifrasi. Alcune perifrasi duravano tutta la notte.CICLOSTILE (1974)Discutevamo su tutto, con passione talmudica. Litigavamo con la sinistra che ci irritava perch era intollerante, petulante e attirava le ragazze pi carine. Diffidavamo della destra, che ciclostilava "Il Ghibellino" e riuniva alcuni tipi fin troppo sportivi. Stuzzicavamo i cattolici militanti, sperando di farli sorridere almeno a Pasqua e a Natale. E dibattevamo con i professori, alcuni dei quali ci davano ragione, soprattutto quando non la volevamo. Per una questione di dignit, dovevamo perci ricorrere a una certa dose di indisciplina. Questo richiedeva impegno. Ricordo che un mattino abbiamo chiuso a chiave nel gabinetto (maschile) la gigantesca macchina dei panini un modo per mostrare la nostra insoddisfazione verso la qualit dei medesimi. stato uno sforzo collettivo che anche la polizia, quand arrivata, non ha mancato di apprezzare.VACANZE IN SARDEGNA (1975)In quanto a scomodit, i traghetti degli anni Settanta erano imbattibili. Non erano disastrosi: solo spartani, igienicamente approssimativi, e del tutto disinteressati al comfort dei passeggeri. I quali non dovevano protestare, bens ringraziare il cielo di aver trovato posto: per andare in Sardegna da Genova, ventanni fa, esisteva poca scelta (Tirrenia, Canguro) e il personale di bordo lo sapeva. Nella tavola calda "tiepida" sarebbe stato un aggettivo pi appropriato ragazzotte irascibili servivano insalate di frutti di mare dallaspetto gommoso. Nel bar-discoteca, turgido di velluto rosso, le famiglie tedesche prendevano posizione unora prima della partenza; dietro il banco, camerieri bellicosi producevano acqua scura e gridavano "Caff!". Allalba, individui misteriosi, con grazia da secondini, picchiavano sulle porte delle cabine con tale violenza da svegliare anche chi dormiva sul ponte. La Tirrenia del 1975 era industria di stato galleggiante: non si poteva protestare; semmai, rallegrarsi che galleggiasse.LUNIVERSIT (1976)Ci ho messo poco ad accorgermi che Pavia non era Berkeley. Non escludo che nei collegi cadesse qualche malinconico gavettone. Forse le mie compagne di corso sognavano di essere perseguitate dai ragazzi del quarto anno. Ogni tanto, la notte, qualcuno metteva le mutande alla statua della Minerva convenientemente posta in piazza della Minerva, affinch anche il fuoricorso pi tonto non potesse mancarla. Perfino noi matricole, tuttavia, capivamo che non cera entusiasmo, in quei rimasugli goliardici. Scherzi e dispetti erano diventati un dovere. Non tutti se la sentivano: nel tempo libero, preferivano divertirsi.VIAGGIO IN USA (1977)Avevamo due ossessioni, entrambe pericolose il "costa-a-costa" e gli acquisti e cercavamo di combinarle. In altre parole, viaggiavamo come camionisti (da est a ovest lungo la Interstate 80, da ovest a est lungo la Interstate 40); e, favoriti dal cambio del dollaro (880 lire), svaligiavamo i negozi doverano esposti oggetti che al ritorno potessero dimostrare che eravamo stati in America. Ibookstoresdelle universit, per esempio, ci piacevano, ma le felpe con scritto YALE e UCLA le vendevano anche al mercato di Crema. Occorrevano prove inequivocabili: magliette insolite, fotografie con sfondi indiscutibili, introvabili monete da un dollaro. Dai ristoranti McDonalds allora sconosciuti in Italia ripartivamo carichi di cucchiaini di plastica e contenitori di polistirolo, che ci sembravano strepitosi souvenir. Devono aver pensato che eravamo matti, ma simpatici. Non cpita tutti i giorni che i clienti si portino via la spazzatura per ricordo.FOTOGRAFIAAbbiamo una fotografia color seppia, scattata su una panchina di Boulder. Quattro di noi guardano nellobiettivo; due seguono qualcosa con gli occhi. Sembra la copertina di un disco, e tutti noi labbiamo appesa a qualche muro, perch perfetta: chi lha scattata riuscito a cogliere il momento irripetibile in cui i nostri ventanni si intersecavano, e volevamo tutti le stesse cose. un autoscatto, naturalmente.COMMIATO (1981)Perdermi mi dava tempo per pensare; ma pensare mi portava a perdermi. Mentre vagavo ad un passo dalla caserma, convinto di essere da tuttaltra parte, mi capitava spesso di riflettere su quello che avrei fatto dopo aver riconsegnato la divisa. Avrei avuto venticinque anni: unet in cui perfino un italiano ha il sospetto di esser diventato adulto.BEPPE SPIEGA IL LIBROIntervista di Paolo Pugni apparsa su "Studi Cattolici" (aprile/maggio 1999)

La prima domanda su come sia nato un libro di memorie personali ma anche collettive.

Be, potrei rispondere che a quarantanni un uomo fa sempre qualcosa di strano: c chi compra unauto rossa, chi intrattiene con troppo entusiasmo la baby-sitter della figlia; e chi scrive unautobiografia. Fra le stranezze, le mogli quarantenni perdonano pi volentieri questultima. Seriamente: ho scritto Italiani si diventa perch sono convinto che la mia storia sia quella della "classe di mezzo" italiana. Abbiamo attraversato gli stessi riti di passaggio: asili e scuole coi soffitti troppo alti, una TV bruttina ma comprensibile, catechismo e boy-scout, bar e oratori, partite di calcio, vacanze in Vespa, goffi tentativi di seduzione nelle "cantine", seguendo le istruzioni di Lucio Battisti. Questa storia, secondo me, andava raccontata. Non vero che tutti i quarantenni dItalia sono cresciuti mangiando "pane e politica". vero, invece, che attraverso queste esperienze comuni siamo "diventati italiani". Credo che sia giusto e utile raccontarle, con ironia (molta) e malinconia (un po).

Nel suo libro ripercorre la storia degli italiani attraverso i suoi ricordi: quale ritiene sia il periodo che pi ha "formato" gli italiani quarantenni di oggi?

Il liceo, direi. Il periodo tredici/diciotto anni, vivendo insieme (scuola, pomeriggi, sport, vacanze) quello che ci ha formato. Il mio era un liceo classico: credo mi abbia insegnato a ragionare e a vivere con gli altri. Ero pi bravo a scovare un ablativo assoluto che a crossare di sinistro, ma mi piaceva pi crossare di sinistro (possibilmente, quando una certa ragazzina bruna stava a guardare) che scovare gli ablativi assoluti. Ero normale, insomma.

Questi ultimi anni sono dominati dal revival: da Fazio in poi in TV si disserta sugli anni Settanta e dintorni, si richiamano i divi di allora e si ripropongono i telefilm del periodo, Happy days in primis: che cosa spinge, secondo lei, questa rincorsa al passato: nostalgia o altro?

Questo un paese senza memoria. Il ricordo diventa retorica e melassa. Oppure questa la specialit dei quarantenni unoccasione per rivangare vecchie beghe politiche, che interessano diecimila persone (sempre quelle). Credo che uno sguardo allindietro, quando fresco e onesto, possa far bene. Con Italiani di diventa siamo a otto edizioni: vuol dire che sono in parecchi a pensarla come me.

In che modo si pu trarre profitto dai propri ricordi e quando invece diventano una sorta di "realt virtuale" personale?

Quando i ricordi sono quelli di una generazione, di un luogo, di un pezzo di societ. Sono convinto che in questo racconto si riconosceranno in molti. I miei coetanei, che rivedranno le tappe della propria formazione. Gli adolescenti (i nostri figli e nipoti), che avranno armi per prenderci in giro. E i meno giovani, che sfoglieranno lalbum di famiglia: questo libro anche un modo per dire "grazie". In fondo, hanno rimesso in piedi lItalia, e ci hanno tirato su abbastanza bene.

Tra i molti che elenca, quali dei suoi ricordi il pi allegro e quale il pi triste e perch?

I ricordi allegri sono molti: guardi, per esempio, come mi hanno conciato nella foto di copertina (Forte dei Marmi, 1959). I ricordi tristi sono gli stessi: passato tempo, e qualcuno non c pi.

Ha descritto con angosciante ironia la Comunit europea di Bruxelles: questa lEuropa che ci aspetta?

No, quella era lEuropa artigianale del 79, che non sapeva bene cosa fare di se stessa. Oggi diventata una cosa diversa e importante. Non ci sono gli europei, invece; n ci devono essere. Ci sono italiani, inglesi, tedeschi e spagnoli che in Europa si sentono a casa. E io sono tra questi. Quei sei mesi a Bruxelles (preparavo la tesi di laurea) mi hanno permesso di capire una cosa fondamentale: tutti i popoli hanno torto. Quindi, il nazionalismo fa ridere.

Perch noi italiani siamo cos affascinati dalla realt americana? Oggi va tutto ancora come ai tempi del vostro "mitico" viaggio?

Perch lAmerica il futuro, e ci fa paura. Come tutte le cose che fanno paura, attira. Nel 1977 eravamo spaesati, ma curiosi. La tecnologia, per esempio, ci affascinava: ricordo che abbiamo passato i primi tre giorni a giocare con laria condizionata del camper.

In che misura il suo passato comune agli italiani, cos da diventare archetipo dei ricordi di ogni persona: detto in altre parole, da che cosa deriva lindubbio successo del suo libro?

Se devo riconoscere al libro qualche merito e non toccherebbe a me direi che non retorico, divertente e colma una lacuna. La "classe di mezzo" racconta la sua versione dei fatti, finalmente.

Di quale aspetto del suo passato sente pi nostalgia, nel senso che potrebbe esserle daiuto anche oggi?

Non ho grandi nostalgie. Ho bei ricordi. diverso.

Per concludere ritorniamo al titolo Italiani si diventa. Che cos per lei l"italianit"? Che cosa significa essere italiani?

Essere italiani vuol dire riconoscere di avere "alcune cose" in comune con altre persone. Nel libro ne ho elencate parecchie, mi sembra.

Scusi, ma lei nella vita altrettanto spiritoso e brillante come quando scrive?

Bisogna chiederlo a mia moglie Ortensia. Ma non rilascia interviste, per fortuna.