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50 La “generazione zero” nell’Italia del dopoguerra Q uale è la “generazio- ne zero? Per genera- zione zero si deve in- tendere quella di coloro che sono nati fra il 1920 e il 1929, che vissuta la guerra, hanno poi contribuito alla rico- struzione della nazione e da- to vita al baby boom degli anni sessanta. I ricercatori hanno circo- scritto il campo, l’indagine riguarda i giovani vissuti e cresciuti a Milano e si aff i- da allo strumento dell’in- tervista: grazie alla colla- borazione di diverse asso- ciazioni tra cui l’ANPI, le ACLI, CGIL, CISL, è stata raccolta una batteria di in- terviste, (72) che hanno per- messo, nei diversi contribu- ti di cui si compone il volu- me, di delineare una foto- grafia di quei ragazzi e di quelle ragazze, che sulle macerie della guerra, hanno saputo dare un senso al com- plesso processo di costru- zione di un’Italia repubbli- cana e democratica. (Le in- terviste si possono trovare nel sito http://generazione- zero.memoro.org) L’idea di fondo dei ricerca- tori sembra essere proprio stata quella di capire quali sono stati i valori, quali i rap- porti familiari, quali gli sno- di della vita quotidiana, fra la scuola ed il fascismo di quei giovani, molti dei qua- li hanno poi fatto una preci- sa scelta di campo dopo l’8 settembre. Ma il libro non riguarda so- lo questo aspetto, l’approc- cio è molto più vasto e va- riegato e mira piuttosto a delineare un quadro ampio e variegato e non a soffermarsi su un singolo aspetto. Il volume si apre con un sag- gio di Luigi Ganapini, noto studioso del fascismo, in par- ticolare a Milano, che ci rac- conta che cosa è stata la guer- ra a Milano. Ganapini parte da una con- vincente descrizione della Milano fascista, si sofferma sulle realizzazioni architet- toniche, segnala la sostan- ziale adesione della città al regime, ma avverte che l’en- tusiasmo per la guerra era stato scarso, che parole di condanna nei confronti del- le leggi razziali si erano le- vate coraggiosamente da par- te del cardinale Ildefonso Schuster. Inoltre alle porte di Milano c’era un “vulcano”: non so- lo Sesto San Giovanni, ma complessivamente la con- centrazione di popolazione operaia che era situata alle porte della città: “E nella a cura di Alessandro Rosina e Giuseppe A. Micheli, Giovani nel ’43. “La generazione zero ” dell’Italia del secondo dopoguerra Bruno Mondadori, Milano 2011. BIBLIOTECA di Alessandra Chiappano città industriale si facevano strada segni di malumore, di insubordinazione e della vo- lontà di avanzare rivendi- cazioni salariali e normative malgrado il regime accen- tuasse la stretta disciplina- re (p. 11)”. Questo clima sfocia nel pri- mo grande sciopero del mar- zo 1943 che segnò un mo- mento fondamentale nel pro- cesso che avrebbe condotto alla liquidazione del fasci- smo di lì a pochi mesi. A q u e- sto clima pesante vanno ag- giunti i bombardamenti sem- pre più pesanti, i raziona- menti, le difficoltà, a cui il re- gime non seppe rispondere: da qui l’esultanza di massa alla notizia della caduta del fascismo nel luglio 1943. Ma questo non pose fine ai bombardamenti che anzi nel- l’agosto si fecero ancora più terribili. Con l’8 settembre prese av- vio una occupazione nazi- sta durissima, mentre si or- ganizzavano non senza dif- ficoltà le forze antifasciste e mentre nelle fabbriche pro- seguivano gli scioperi che culminarono nel marzo Un interessante studio sui giovani nati tra il 1920 e il 1929 Sempre nell’obiettivo di Patellani il bagno dei ragazzi nelle acque del canale Villoresi: il mare era di là da venire.

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La “generazionez e ro” nell’Italia del dopoguerra

Quale è la “generazio-ne zero? Per genera-zione zero si deve in-

tendere quella di coloro chesono nati fra il 1920 e il 1929,che vissuta la guerra, hannopoi contribuito alla rico-struzione della nazione e da-to vita al baby boom deglianni sessanta.I ricercatori hanno circo-scritto il campo, l’indagineriguarda i giovani vissuti ecresciuti a Milano e si aff i-da allo strumento dell’in-tervista: grazie alla colla-borazione di diverse asso-ciazioni tra cui l’ANPI, leACLI, CGIL, CISL, è stata

raccolta una batteria di in-terviste, (72) che hanno per-messo, nei diversi contribu-ti di cui si compone il volu-me, di delineare una foto-grafia di quei ragazzi e diquelle ragazze, che sullemacerie della guerra, hannosaputo dare un senso al com-plesso processo di costru-zione di un’Italia repubbli-cana e democratica. (Le in-terviste si possono trovarenel sito http://generazione-z e r o . m e m o r o . o rg )L’idea di fondo dei ricerca-tori sembra essere propriostata quella di capire qualisono stati i valori, quali i rap-

porti familiari, quali gli sno-di della vita quotidiana, frala scuola ed il fascismo diquei giovani, molti dei qua-li hanno poi fatto una preci-sa scelta di campo dopo l’8s e t t e m b r e .Ma il libro non riguarda so-lo questo aspetto, l’approc-cio è molto più vasto e va-riegato e mira piuttosto adelineare un quadro ampio evariegato e non a soff e r m a r s isu un singolo aspetto.Il volume si apre con un sag-gio di Luigi Ganapini, notostudioso del fascismo, in par-ticolare a Milano, che ci rac-conta che cosa è stata la guer-ra a Milano.Ganapini parte da una con-vincente descrizione dellaMilano fascista, si soff e r m asulle realizzazioni architet-toniche, segnala la sostan-ziale adesione della città alregime, ma avverte che l’en-tusiasmo per la guerra erastato scarso, che parole dicondanna nei confronti del-le leggi razziali si erano le-vate coraggiosamente da par-te del cardinale IldefonsoS c h u s t e r. Inoltre alle porte di Milanoc’era un “vulcano”: non so-lo Sesto San Giovanni, macomplessivamente la con-centrazione di popolazioneoperaia che era situata alleporte della città: “E nella

a cura di A l e s s a n d r oRosina e

Giuseppe A. Micheli, Giovani nel ’43. “La

generazione zero ”dell’Italia del secondo

d o p o g u e r r aBruno Mondadori,

Milano 2011 .

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di Alessandra Chiappano

città industriale si facevanostrada segni di malumore, diinsubordinazione e della vo-lontà di avanzare rivendi-cazioni salariali e normativemalgrado il regime accen-tuasse la stretta disciplina-re (p. 11 ) ” .Questo clima sfocia nel pri-mo grande sciopero del mar-zo 1943 che segnò un mo-mento fondamentale nel pro-cesso che avrebbe condottoalla liquidazione del fasci-smo di lì a pochi mesi. Aq u e-sto clima pesante vanno ag-giunti i bombardamenti sem-pre più pesanti, i raziona-menti, le difficoltà, a cui il re-gime non seppe rispondere:da qui l’esultanza di massaalla notizia della caduta delfascismo nel luglio 1943.Ma questo non pose fine aibombardamenti che anzi nel-l’agosto si fecero ancora piùterribili. Con l’8 settembre prese av-vio una occupazione nazi-sta durissima, mentre si or-ganizzavano non senza dif-ficoltà le forze antifascistee mentre nelle fabbriche pro-seguivano gli scioperi checulminarono nel marzo

Un interessante studio sui giovani nati tra il 1920 e il 1929

S e m p re nell’obiettivo di Patellani il bagno dei ragazzi nelleacque del canale Vi l l o resi: il mare era di là da venire .

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1944. Il clima in città era pe-santissimo, il nazifascismorispose alla lotta partigianacon una repressione duris-sima: “Imperava nella cittàla delazione e la calunnia”scrive Ganapini, le delazio-ni colpivano gli ebrei, ormaibraccati, ma anche i perse-guitati politici. La stagionepiù dura fu quella dell’in-verno 1944-1945.La fine della guerra e l’im-mediato dopo guerra sonosegnati, anche a Milano, daun notevole fermento, da und i ffuso desiderio di parteci-pazione e da una intensa vi-ta culturale, che tuttavia nonsempre si risolse in una cri-tica decisiva nei confrontidel fascismo e dei danni cheesso aveva provocato; gliorientamenti economici spin-gevano verso un sempre piùmarcato liberismo econo-mico e la Milano borg h e s eguardò con sempre maggiored i ffidenza al “vulcano” chestava alle porte della città:“Milano portò a lungo i se-gni dei conflitti innescati dalfascismo, moltiplicati dallaguerra e non sanati da unaadeguata riflessione etica ep o l i t i c a ” .Simonetta Piccone Stella ciracconta il punto di vista deigiovani prima della svoltadel 1943. Gli intervistati osservanocon grande candore ed one-stà intellettuale che per lo-ro, nati intorno agli anniVenti, il fascismo era tutto,anche perché non c’eranostate esperienze diverse acui potessero guardare. E an-che la scuola che gioca unruolo non certo secondarioera una scuola fortemente

fascistizzata, di cui i giova-ni non coglievano gli ele-menti deteriori: provavano,piuttosto, un certo piacereper essere in qualche modoi protagonisti delle adunan-ze, amavano la divisa e si di-spiacevano se i genitori nonsi potevano permettere dicomprarla. Le classi sociali erano lon-tane e divise: da una parte’era la borghesia colta e im-prenditoriale, dall’altra i fi-gli degli operai e dei conta-dini che al più potevano fre-quentare la scuola elemen-tare e l’avviamento. E por-tavano gli zoccoli: “iniziaile scuole elementari che nonavevo neppure le scarpe dacalzare nei piedi, famigliebenestanti ne regalavano amia madre che faceva la la-vandaia” (p. 32).Naturalmente accedere al-l’istruzione per le ragazzeera ancora più difficile, tan-to che paradossalmente cer-te attività del regime rivol-te alla socializzazione fem-minile furono molto ap-prezzate e hanno sicura-mente costituito un momentonon irrilevante nel cammi-no della emancipazione. La famiglia era ancora au-toritaria e patriarcale: l’au-torità del padre e dei fratel-li non era quasi mai posta indiscussione, ai genitori i fi-gli consegnavano parte del-lo stipendio se lavoravanoed erano controllati fino aquando non uscivano di ca-sa per dar vita ad una fami-glia propria. Le esperienze sentimentalierano frutto di racconti frapari, spicca nei racconti iltrauma di tante ragazze to-

P e r c o r re d a re il saggio diAlessandra Chiappanoabbiamo scelto alcune fotodi Federico Patellani( 1 9 11-1977) un milanesecolto ed entusiasta delp roprio lavoro che tro v anegli anni della guerra edella ricostruzione unt e r reno fertile su cuii n t r a p re n d e re la pro p r i a

carriera. Ecco nelleimmagini le ballerine dellarivista di Erminio Macariosul tetto del teatro Lirico.Una casa a ringhiera dallep a rti di piazza Gramsci,una pausa per un bocconedegli addetti ai tricicli diservizio pubblico e los g o m b e ro delle maceriedei bombardamenti.

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talmente impreparate di fron-te alle prime mestruazioni, allavoro si accedeva presto,soprattutto se i giovani ap-partenevano alle famiglieproletarie e sono numerosii racconti in cui ci si soff e r-ma sulla durezza di quellavita precocemente avviataverso il lavoro, soprattuttoper coloro che lavoravanonei campi. L’8 settembre e l’occupa-zione tedesca furono unospartiacque. Le situazioni incui si trovarono quei giova-ni furono le più variegate ecostrinsero molti di loro aduna scelta, li posero al cen-tro della scena, così c’è chiaderisce ai nascenti movi-menti partigiani e chi deci-de di difendere Salò, spes-so più per mantenersi coe-renti che per intima convin-zione. Giuseppe A. Micheli nel suointervento analizza il lessi-co familiare dei ragazzi del43 e nota continuità e di-scontinuità. Nelle storie divita alcuni elementi com-paiono con particolare insi-stenza: fame, povertà, ma-lattia e morte: “Eravamo vi-vi tutti era quello che con-tava. E per il resto, abbiamodetto, si porrà rimedio, cer-to con enormi sacrifici per-ché non c’era niente di nien-te” (p. 78).“a casa mia a ta-vola c’era sempre la minestradi verdura, io avevo la sco-della più piccola perché eroil più piccolo. Ogni sera simangiava sempre quella ro-ba” (p. 79).Anche la morte dei fratelli-ni a causa di infezioni o del-la TBC faceva parte di uno

scenario abbastanza con-sueto, così come l’avvio allavoro precoce: sono tantele storie di ragazzine che giàa dodici anni facevano lemondine o di ragazzini chefacevano gli apprendisti,l’età della scuola finiva pre-sto, tuttavia sembra essereassente nota Micheli l’ideadello sfruttamento del lavo-ro minorile, si coglie piut-tosto una certa soddisfazio-ne perché andare a lavoraresignificava entrare a far par-te del mondo degli adulti.Non poteva mancare nelleinterviste il riferimento allabicicletta che “costituisce lacinghia di trasmissione tracentro e periferia”. Naturalmente in un quadrodi povertà diffusa gli unicidivertimenti sono costituitidalle feste del paese, dallafrequentazione degli orato-ri, che permettevano una cer-ta socializzazione fra ragazzee ragazzi e qualche rara vol-ta il cinematografo. Il mondo di questi giovanisubisce un impatto dolorosocon la grande Storia quan-do la guerra si trasforma inguerra civile, quando il mon-do che avevano conosciutofino ad allora si disgrega esi percepisce l’inizio di qual-cosa di nuovo e completa-mente diverso. Le narrazio-ni della guerra si accompa-gnano a termini quali razio-namento, freddo, allarme,rifugi… Eppure la giovi-nezza permette loro di guar-dare a tutto questo con oc-chi diversi, in una sorta diincoscienza del pericolo: “Ditutto questo, dei rifugi, perme non c’era un’angoscia

La “generazione zero” nell’Italia del dopoguerra

come tante volte leggo neilibri. Si leggeva il rosario,ma per me il rifugio era unafesta. E’ una scemenza, maera una festa”.(p. 97).Naturalmente il clima sem-pre più rovente porta con séla necessità della scelta: ecosì la generazione zeroprende in mano il propriodestino e si forgia una propriai d e n t i t à .Infine il volume si chiudecon la riflessione di GiovanniScirocco sul nesso fra me-moria e testimonianza, te-ma cruciale ogniqualvoltasi decida di fare storia par-tendo dalla storia orale, co-me in questo caso. Ma piùche soffermarsi sulle grandiquestioni che sottendono aldibattito del nesso memo-ria, testimonianza, uso del-le storie di vita Scirocco sis o fferma su alcuni temi chein parte erano già stati toccatinei saggi che precedono, mache per la loro rilevanza ap-paiono centrali. Innanzi tutto molti degli in-tervistati non negano aff a t-to una adesione al fascismodurante gli anni della loroformazione e ammettono checerte manifestazioni del re-gime effettivamente crea-vano consenso e facilitava-no la socializzazione, tutta-via non mancano neppurestorie di vita di segno oppo-sto in cui si sottolinea la na-scita di un antifascismo giàin ambito familiare.La Milano che emerge dal-le interviste è molto diver-sa da quella che ci scorre difronte agli occhi, si viveva inuna sorta di comunità, il cuifulcro era rappresentato dal

quartiere: “Vivevo a SanSiro. C’era una comunità cheaveva una naturale solida-rietà, ci si conosceva tuttiquanti, ci si parlava, era unameraviglia essere ragazzi”.(p. 118). Poi nei racconti, ilpaesaggio muta radical-mente: i bombardamenti di-struggono tutto, ad essi siaccompagna la paura, i ri-fugi ora odiati, ora amati.E poi l’ora della scelta, mol-ti giovani “sia pure in pre-senza di zone grigie si tra-duce comunque in un rifiu-to del fascismo e della guer-ra, per la libertà e la pace”(p. 121). I racconti con il progrediredella guerra e l’occupazionenazista si fanno più tragici,gli scenari più cupi; cambiaradicalmente il ruolo delledonne che sono costrette aduscire dalle case e a com-piere scelte difficili e radi-cali. Se resta, nelle storie divita, l’eco delle brutture del-la guerra civile con l’inevi-tabile contrapposizione frafronti opposti, si coglie poila speranza della costruzio-ne di un mondo migliore, ri-vendicata con orgoglio an-che a distanza di quasi set-tanta anni: “Ancora adessoquando penso a quello cheho passato, sia pure un gra-nellino di sabbia, che ho po-tuto abbreviare la guerra, è lacosa di cui sono più org o-gliosa. E ’ una cosa di una gioia ta-le…E se dovessi tornare in-dietro lo rifarei, lo rifarei, lorifarei. E’ questo a mio av-viso il lascito morale della“generazione zero” che nondobbiamo dimenticare.

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Luigi Fonti,un socialistaitaliano in Ti c i n o

Nell’Ottobre del 1900un giovane militaredella Guardia di

Finanza, assieme ad un suoamico, abbandonò clande-stinamente l’Italia per an-dare a vivere in Svizzera. Sichiamava Luigi Fonti e ave-va compiuto una decisivascelta di vita per sottrarsi aquello che già allora consi-derava un clima oppressivonel nostro paese.Da allora, e per molti de-cenni, la casa di Luigi Fontia Lugano è stata all’inizioun centro di vita democrati-ca e successivamente un cen-tro di attività antifascistaaperto a chiunque venissedall’Italia in cerca di aiuto.Il calabrese Luigi Fonti, na-to nel 1877, da giovane fuun promettente suonatore dioboe, ma la miseria della suaterra lo costrinse ad arruo-larsi nella Guardia diFinanza. Era fin da giovanissimo diispirazione fortemente re-pubblicana e grande ammi-ratore di Giuseppe Mazziniancor prima di essere invia-to come finanziere a Genova.“Appena ebbi la possibilitàdi farlo – scrive in un suo li-bro di memorie pubblicatodi recente - mi recai aStaglieno a re n d e re omag -gio alla tomba di GiuseppeMazzini, una lastra di mar -

mo col nome che sfida cieloe mare ”. Sempre a Genova il giovaneFonti scoprì il livello di con-sapevolezza e di combatti-vità della classe operaia. “I lgenovese – scrive – non è ilreietto ma il lavoratore chelotta diritti pari a quelli delp a d rone. E’ un lavoratoreintelligente col quale si di -scute volentieri perché co -nosce i problemi politici me -glio di qualsiasi altro lavo -r a t o re delle altre part id ’ I t a l i a ” .E ’ attraverso questi contat-ti che si rafforza in Fontil’impegno socialista il sem-pre più forte desiderio la-sciare l’Italia scegliendo lastrada di quella diserzioneche lui definisce “una libe-razione morale”.A Lugano casa Fonti diven-ta un punto di incontro perogni democratico italiano.Fin dai primi tempi prendecontatto con il periodico“L’ Av v e n i re del lavoratore”e sviluppa i suoi rapporti coni principali esponenti del so-cialismo italiano di allora,da Guido Podrecca, a FilippoTurati, da Giuseppe Rensi,ad Angelica Balabanoff, aGiacinto Menotti Serrati.Anche Benito Mussolini tro-va temporanea ospitalità nel-la casa luganese di LuigiFonti, “un giovane senza

N e l l ’ O t t o b re del 1900 il giovane finanziere abbandonò clandestinamente l’Italia

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Vincenzina Fonti, una dellefiglie di Luigi, a Barc e l l o n aalla fine del ’38 conl’antifascista Aldo Morandi.

Wanda Fonti con il maritoVincenzo Gigante a Bruxelles nel 1931.

educazione che – s c r i v eFonti – divenne socialistaper necessità e alla primaoccasione lo tradì”.E ’ soprattutto con la presadel potere in Itala da partedel fascismo che la casa el’attività di Luigi Fonti di-ventano di massima impor-tanza per gli antifascisti ita-liani. Lo sta a dimostrare la vi-cenda delle sue due figlieVincenzina e Wanda. La pri-ma si unisce ad un valorosogaribaldino di Spagna, men-tre Wanda sposa A n t o n i oVincenzo Gigante, un pro-tagonista di primo piano del-la lotta clandestina del PCI. Dopo essere stato rinchiusonella galere fascista, Giganteavrà un ruolo di grande im-portanza nella lotta diLiberazione fino a quando,arrestato dai nazisti a Tr i e s t ein quanto dirigente del CLNclandestino, sarà trucidatonella Risiera di San Sabba.Luigi Fonti muore all’iniziodel 1949, dopo ave scritto lesue memorie che sono stateora amorevolmente raccol-te dalla nipote Miuccia.

Luigi Fonti – Un socialista italiano

in Ticino – A cura diMiuccia Gigante e

Sergio GiuntiniMimesis edizioni

14 euro

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Inediti ricordi diPrimo Levi suglio r rori di A u s c h w i t z

In un libro pubblicato da Einaudi un sorprendente “Galateo del campo”. I diff i c i l i

La strada che collegaWe i m a r, la bella città del-la Turingia dove visseroGoethe e Schiller, a unpoggio che si chiamaBuchenwald , venne co-struita dai deportati, ac o m i n c i a re dal 1937.Hitler era arrivato al pote-re quattro anni prima e giài lager della morte si sta-vano riempendo di uomi-ni e donne della sinistra esoprattutto di ebrei. La lun-ghezza della strada era didieci chilometri e dieci-mila furono le persone che

morirono per costruirla, uncadavere per ogni metro.Ma poi i morti aumentaro-no a dismisura perchèBuchenwald, come è noto,divenne uno dei campi disterminio nazisti, dove chientrava aveva scarse pos-sibilità di uscirne vivo. Al suo interno furono at-tuati anche esperimentipseudo scientifici, utiliz-zando come cavie i pri-gionieri: cavie che in tem-pi rigorosamente pro-grammati si trasformava-no in cadaveri.

Con queste notazioni inizial’intervista inedita di PrimoLevi, pubblicata da Einau-di, a cura di Anna Bravo eFederico Cereja, rilasciatanel gennaio del 1983, quat-tro anni prima della mor-te per suicidio avvenutal ’ 11 aprile del 1987.Rispetto al più famoso li-bro “Se questo è un uo-mo”, che resta il più for-midabile at to di accusacontro la barbarie nazista,l’intervista presenta moti-

vi di notevole interesse perle più minute osservazionisulla vita nel lager e suicomportamenti quotidianidei deportati, tralasciate osoltanto accennate in altreopere perchè ritenute mar-ginali. Nel colloquio con i due au-tori, per esempio, PrimoLevi parla di un comples-so di precetti e di divieti,imposti dai nazisti conspietata ferocia, ma anchedi un codice di comporta-

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mento spontaneo da lui de-finito con voluto sarcasmo“galateo del campo”, le cuiregole proibivano di af-frontare argomenti che ri-guardavano gli aspetti piùorrendi del campo, quali,per esempio, il crematorioo la camera a gas o la mor-te. Se capitava che qual-cuno ne parlasse, venivafatto tacere, si cambiavadiscorso. Levi parla puredi un atto di sabotaggio edei difficili e inattesi rap-porti della minoranza de-gli ebrei italiani con quel-li dell’Est. Fra le situa-zioni del tutto imprevisteanche quella della genera-le corruzione dei nazisti. Aquest’ultimo proposito,Primo Levi osserva che lacorruzione era dominantenel lager: “una cosa cheaveva molto stupito tutti,perchè noi, per lo meno noiebrei italiani, ci eravamofatti l’immagine uff i c i a l edei tedeschi, cioè crudelima incorruttibili; inveceerano estremamente cor-ruttibili”. Circa la possibilità di potercompiere qualche minu-scolo atto di sabotaggio,Levi ricorda di avere sfa-sciato un vagone: “L’ h ofatto, cioè ho continuato aspingere un vagone sa-pendo che lo scambio eratirato dalla parte sbagliatae che finiva contro un al-tro vagone. Ho fatto que-sto facendo finta di sba-gliarmi, ero con altri e l’ab-biamo fatto tutti insieme,più o meno consapevol-mente ho cercato di sfre-

giare certi rulli che sapevoche erano importanti, e so-no stato …. per poco nonmi processavano per que-sto. Ho fatto finta di cadercisopra. Non ho fatto altroio. Né ho notizie di altrisabotaggi importanti. In

di Ibio Paolucci

Vivere o morire poteva dipendere dal caso.Il caso era un fattore dominante

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Vita dura ed esaltantedi un funzionario del PCI

r a p p o rti con gli ebrei deportati dall’Est Un libro di Augusto Campari

Augusto Campari ora haquasi novant’anni. E’ n a-to e vive a Bagnolo inPiano, provincia diReggio Emilia.Nella sua vita è stato: gar-zone di fornaio, apprendi-sta tornitore, militare inIstria, partigiano combat-tente, operaio alla Reg-giane e giornalista di fab-brica con articoli su “Vo c eoperaia”, l’Unità e altrepubblicazioni. Dal 1951 fi-no alla pensione è stato unfunzionario del PCI. Si deve a lui l’org a n i z z a-zione e lo sviluppo dellarete dei giornali di fabbri-ca che per almeno due de-cenni è stata una strutturafondamentale per la vita ela propaganda del PCI. Dal1951 è a Milano al quoti-diano Stasera e quindiall’Unità e per 15 anni hafatto parte del Consigliodi amministrazione di al-cune delle principali strut-ture ospedaliere milanesi.Campari ha raccontato lasua vita, certo non comune,in un libro che aiuta a ca-pire anche quale fosse larealtà del nostro paese neidecenni passati.“Nel pieno della guerra –scrive – eravamo sette fra -

telli: Alcide, il più vecchiodel 1916, si trovava al fro n -te in Grecia; Gianni del’19 prigioniero degliInglesi in Africa; A n s e l m odel ’21 nella FranciaMeridionale, io del ’22 nel25° Fanteria a Pisinod’Istria. A casa erano ri -

A cura di Anna Bravo eFederico Cereja,

Intervista a Primo Levi,

ex deport a t o,Einaudi, 2011,

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Augusto CampariIl tornio e la penna

La vita di un ragazzo dip rovincia, operaio nella

grande città,che incontra la politica

e scopre la storiaVittoria Maselli editore

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fabbrica predominava lapaura”. Con l’ebraismo dell’Est ilcontatto – in prima battu-ta - è stato addirittura trau-matico: “Venivamo rifiu-tati, noi ebrei sefarditi ocomunque italiani, perchènon parlavamo j iddish,eravamo stranieri per gliebrei dell’Est, in quantonon dei loro (…) moltiebrei polacchi di bassaestrazione erano infasti-diti da questo fatto: ’Mache ebreo sei?’. Siccomejiddisch è l’aggettivo chederiva da jid, jid vuol di-re jude, vuol dire ebreo, èquasi un sillogismo, è co-me dire un francese chenon parla francese. Unfrancese che non parlafrancese non è francese.Un jid che non parla jid-dish non è jid. Il contatto è stato questo,con qualche eccezione na-turalmente, qualche figu-ra che aveva conservatouna certa nobiltà, un cer-to discernimento, che sirendeva conto di quantoindifesi noi fossimo”.Indifesi, peraltro, eranotutti di fronte alla spieta t aferocia dei nazisti, con for-me di indicibile sadismo.Bastava un niente, non to-gliersi il berretto al momentogiusto, per essere assassi-nato. Vivere o morire pote-va dipendere dal caso. Il ca-so era un fattore dominante.“Per esempio nel mio caso– dice Primo Levi – io chenon avevo una salute parti-colarmente solida, sono sta-to un anno intero senza am-

malarmi, neanche di cosebanali, che potevano esseremolto pericolose. Mi sonoammalato quando era unafortuna ammalarsi, perché itedeschi imprevedibilmen-te hanno abbandonato i ma-lati al loro destino”. Così Primo Levi rimase adAuschwitz il giorno in cui,causa l’avvicinarsi dell’Ar-mata Rossa, i nazisti lascia-rono il campo, portandosidietro i deportati non mala-ti, destinati ad una marciaforzata, che, per la maggiorparte, equivalse alla morte.Altra “fortuna” poteva es-sere l’ambiente dove si e r adeportati. Il lager dove era Levi erastato pagato, finanziato,costruito, dalla I.G. FarbenIndustrie, alla quale nonimportava assolutamentenulla che i prigionieri ve-nissero uccisi, però inte-ressava che tutto ciò nonintralciasse il lavoro. Di conseguenza uno comePrimo Levi, che era un chi-mico e che, per di più, co-nosceva il tedesco, è pro-babile che una parte dellasua sopravvivenza la deb-ba a questa sua specialità.

di Bruno Enriotti

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BIBLIOTECASuggerimenti di lettura

a cura di Franco Giannantoni

Una delegazione di Reggio Emilia con Togliatti in visita a Botteghe oscure nel 1954. Alcide Cervi, il padre dei settefratelli fucilati dai fascisti il 28 dicembre 1943 è accanto aTogliatti: tra i due si intravvede Augusto Campari.

Giornale al tempo di guerraIl Mulino, Bologna, pp 316, euro 22,00Ci voleva il Premio Pieve Santo Stefano per scoprire que-sto straordinario diario di Magda Ceccarelli De Grada, mo-glie del pittore Raffaele De Grada, madre dell’amatoR a ffaellino, partigiano combattente nel Fronte della Gioventùa Milano e poi a Firenze e di Lidia, sposa di Ernesto Tr e c c a n idegli Alfieri, pittore insigne e partigiano gappista al Politecnico,scritto giorno dopo giorno per quasi cinque anni dal 12 giu-gno 1940, l’entrata in guerra, al maggio 1945, la Liberazione.E ’un’opera che lascia senza fiato. Limpida, forte, ammaliante.Si racconta della “vita allegra, litigiosa e turbolenta” di unafamiglia italiana che pur nelle asprezze del tempo, sa tene-re alta e ferma la barra dei valori fondamentali, senza smar-rimenti. C’è la Storia grossa che pesa su tutti gli italiani,quella di un fascismo che porta il Paese alla rovina, e c’è lastoria parallela di Magda che matura come donna nelle pri-vazioni, intransigente, dura con chi non sa schierarsi anchenella cerchia ristretta degli amici, lei madre, sposa, poetes-sa, scrittrice, comunista militante, vivandiera della Resistenza.Al centro della scena la Milano massacrata dalle bombe e dal-la fame, eppure coraggiosa e solidale come sa essere la gen-te che crede nella libertà.

Magda Ceccarelli De Grada

P i e ro Messina

P rotezione incivileB u r, Rizzoli, Milano 2011, pp. 317, euro 10,50L’Aquila è come era allora dopo la tragedia. A b b a n d o n a t a .Resta scolpita nella memoria la storica frase pronunciatada Guido Bertolaso, allora capo della Protezione Civile, il31 marzo 2009, sei giorni prima del terribile sisma: “Lescosse di terremoto che continuano a scuotere l’Abruzzonon sono tali da preoccupare ma purtroppo a causa di im-becilli che si divertono a diffondere notizie false siamocostretti a mobilitare la comunità scientifica per rassicu-rare i cittadini”. Credo che questo splendido, tragico librodebba entrare per forza nelle biblioteche di tutti gli italia-ni per farci capire come la Protezione Civile, nata per pro-teggere gli italiani in situazioni di emergenza, sia statasvuotata di ogni reale funzione, diventando una voracemacchina di interessi finanziari che ci costa la bellezza didue miliardi l’anno. E ’ da allora noto come “budget Bertolaso”. La gestioneprivatistica dei grandi eventi, il disprezzo totale per le nor-me comunitarie, il rapporto esclusivo con Berlusconi eLetta, il fallito tentativo di farne una società per azioni.All’interno della “storiaccia”, un groviglio di imprendi-tori assattanati di denaro, appalti truccati, tangenti (anchesessuali), sordidi affari alla faccia della collettività.

masti Venanzio di 18 anni,Nello che frequentava leelementari e Sergio appe -na nato”. Quattro fratelliin guerra e tutti per fortu-na tornati sani e salvi.Partendo da queste con-dizione Campari sviluppala sua storia di combatten-te nella Resistenza prima,di operaio poi e infine difunzionario del PCI. E ’questa la parte più origina-le del racconto di Campari,il suo lavoro a Bottegheoscure, i contatti quotidia-ni con Ingrao, A m e n d o l a ,Pajetta, le riunioni con DiVittorio e Longo, il suo con-tinuo spostarsi per l’Italia(Milano, Torino, Genova, icentri del Meridione) perstimolare la nascita e lo svi-luppo dei giornali di fab-brica scritti dai lavoratori ecreando in tal modo una re-te di giornalisti operai al-cuni dei quali si sono im-posti a livello nazionale in

questa professione.Dopo l’esperienza all’Uni-tà di Milano, Campari ter-mina il suo impegno comeprotagonista, all’internodei Consigli di ammini-strazione di alcuni grandiistituti ospedalieri nellalotta contro la corruzione,allora (come forse ancoroggi) spaventosamente di-l a g a n t e .Una vita tutt’altro che ba-nale, quella di A u g u s t oCampari descritta in questolibro. Come scrive Aldo To r-torella in una lettera al-l’autore: “Tu dai conto del -la vita di un operaio e diun funzionario comunistaitaliano; e questa è oggimateria non solo poco no -ta, ma spesso dispre z z a t a .Si vede dal tuo libro di qua -le umanità fosse fatto quelmovimento operaio e co -munista cui insieme ab -biamo partecipato”.

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I Neri e i Rossi. Tentativi di conciliazione tra fascisti esocialisti nella Repubblica di MussoliniMursia, Milano 2011, pp. 460, euro 22,00

Conoscevamo solo brandelli di questa vicenda, nata e tra-montata in pochi giorni, quando l’effimera e sanguinariaRepubblica di Salò stava spegnendosi e cioè il “sogno” diMussolini di lasciare questa tragica realtà politica nelle ma-ni dei socialisti e non ai “borghesi” e soprattutto non ai “mo-narchici”. L’idea faceva parte di una proposta, espressa a meno di unasettimana dalla fine. Stefano Fabei, studioso del fasci-smo, docente a Perugia, ripercorre in ogni dettaglio que-sta operazione sulla base di una ricca documentazione. Il progetto, presentato dal duce all’amico giornalista del“Corriere della Sera” Carlo Silvestri perchè lo facessecircolare, dà per scontato che Milano possa essere salvae in mani sicure. Alle spalle del “sogno” miseramente fallito, un percorsodi mesi con il tentativo del filosofo napoletano EdmondoCione “’o vaccarr i e l l o ” di proporre con l’operazione “ilPonte” un passaggio non traumatico della Rsi all’ala piùmorbida del Psi clandestino, quella di Corrado Bonfantini,comandante militare delle brigate Matteotti e di una cer-chia di improbabili anarchici. Ci sono confusione e velletarismo spazzati via dall’indi-sponibilità degli intransigenti Lelio Basso e Sandro Pertinipronti a fare piazza pulita di quello che era rimasto dellaRepubblica del duce, fucilazione del duce compresa.

Stefano Fabei

Il caso Battisti. Un terrorista omicida o un perseguita-to politico?Garzanti, Milano, pp 176, euro 16,60

E ’ il giudice istruttore Giuliano Turone che rilegge sè stes-so cioè le migliaia di carte dell’indagine compiuta 30 an-ni fa per scacciare lontane le ombre che da qualche partesi vuol ancora sollevare su un uomo, il Battisti che alla te-sta dei Pac, i Proletari Armati per il Comunismo, formazioneche dal 1978 fu attiva per circa un anno in Italia e soprat-tutto a Milano, ha ucciso più volte, è stato giudicato in mo-do definitivo e che solo il Brasile per ragioni incompren-sibili ritiene di dovere salvare per evirare che, consegna-to all’Italia, sia in qualche modo perseguitato. Se il saggiostoriografico serve a rinfrescarsi la memoria su quello cheè stato, compiendo una sorta di viaggio fra morti innocentie deliri rivoluzionari, conferma come se i processi fosse-ro fatti anche oggi con le leggi eccezionali, al netto del cli-ma emergenziale, i risultati sarebbero identici. Il bello èche in certe aree pseudo intellettualoidi, con certi distinguo,ci sono personaggi del tipo di Rossana Rossanda, Erri DeLuca, Piero Sansonetti, Toni Negri per restare ai nostri piùillustri commentatori politici che vagheggiano di forzatu-re processuali, errori e pene gratuite. Andassero a legge-re i fascicoli. Vale la pena di ricordare cosa disse il PresidentePertini: “L’Italia è un esempio grande perchè noi abbiamocombattuto il terrorismo usando la legge e la democrazia”.Per Battisti (evaso dal carcere di Frosinone, riparato inMessico, Francia, Brasile) compreso.

Giuliano Tu ro n e

Karim Mezran, Silvia Colombo, Saskia van Genugten

L’Africa Mediterranea. Storia e futuroDonzelli, pp. 222, euro 17, 50

Nessuno lo aveva previsto, neppure il più abile politologo,eppure nel giro di pochi mesi la sponda nord del conti-nente africano (Egitto, Tunisia, Libia) è esplosa in unacatena inarrestabile di ribaltamenti politici che ora ri-schia di trascinare il Medio Oriente (Siria per prima) inuna spirale che potrebbe modificare il quadro geopoliticouscito dal secondo conflitto mondiale e dagli anni dellaGuerra Fredda. Questo agile libro aiuta a capire il retro-terra di questo tema cruciale, partendo dal colonialismoeuropeo e soffermandosi sulle tirannie successive, ac-colte senza battere ciglio dall’Europa impegnata a strin-gere affari miliardari. Se la distrazione era in parte spiegata ma non giustificata,ora è importante cambiare la prospettiva dell’analisi po-litica per comprendere il significato e i possibili svilup-pi delle rivolte, non semplici manifestazioni di males-sere prodotte da un malanno passeggero ma profonde

spinte al cambiamento che affondano le loro radici nel pas-sato anche recente. E ’ tempo per noi di cessare con le ambiguità. Favorire fe-nomeni democratici significa battersi con le armi dellasolidarietà economica e culturale ponendo freno a even-tuali nuovi imperi coloniali. La guerra in Libia, per re-stare al caso più recente e tuttora irrisolto, è l’esempio piùe c l a t a n t e .

P ro f u g h isulle costeafricane delM e d i t e r-r a n e o .

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BIBLIOTECASuggerimenti di lettura

a cura di Franco Giannantoni

M a rtina Antonietta Serci e Marco Seniga (a cura di)

C redevo nel Part i t oBfs Edizioni, pp. 235, euro 14,00

Giulio Seniga, l’ex partigiano gari-baldino, vice responsabile dellaCommissione di Vigilanza del Pci, fug-gito tra il 24 e il 25 luglio 1954 dallacasa romana di Pietro Secchia, il po-tente membro della SegreteriaNazionale, ex capo partigiano, con lacassa “in nero” del partito (421 miladollari, confidò a Carlo Feltrinelli inSenior Serv i c e) non fu un ladro in sen-so stretto. L’operazione che gettò nel terrore ilpartito di Togliatti, sollevando le ipo-tesi più incredibili, compresa quelladi un ruolo attivo dei servizi segreti di un Paese occiden-tale, viene ricostruita nelle “memorie” postume di “Nino”(il nome di battaglia) curate dal figlio Marco e dalla Serci. Il gesto, una sorta di applicazione in modo istintivo di uncriterio di analisi marxista, rappresentò il tentativo di farleva su Secchia per perseguire la stretta rivoluzionariamessa in cantina senz’appello dal segretario generale. Un gesto ingenuo di “generosità politica” di un combat-tente che credeva profondamente nel partito. Custode di cose segrete del Pci (ne parlò nel suo ultimolibro Giovanni Pesce che per l’atteggiamento disinvoltodel compagnò lasciò Roma e il compito di custode diTogliatti), sempre armato con pistola in bella vista allacintura, molto guascone, rimasto isolato da tutti senza es-sere riuscito a smuovere Secchia, Seniga iniziò da quel momento una vasta attività editorialesu posizioni di un socialismo libertario.

P i e ro Francini. un operaio nella storia del NovecentoEdizioni LiberEtà, Milano, pp. 126, euro 12,00

Vengono i brividi a scorrere queste pagine dove A l b e r t oMagnani, rigoroso studioso del mondo operaio, ricostrui-sce la vicenda di Piero Francini, 1908, lodigiano, simbo-lo cristallino fra i tantissimi di quella lunga marcia demo-cratica, fra privazioni e rinunce, lotte e rischi mortali, cheportò il Paese alla libertà. I brividi sono presto spiegati e sono il frutto della mise-randa condizione della odierna società dove ben altri, pur-troppo, sono i valori che contano, successo, potere, dena-ro, spettacolo. Il ritratto che esce è quello di un tempo incui la scelta politica era militanza, desiderio di aff e r m a r eonestà, coerenza, impegno sociale. Francini, uomo delNovecento, è un testimone di primo piano di quella epo-pea. Contadino, studente, operaio, musicista, partigiano“Remo” di quella “Terza Gap” milanese di Egisto Rubinie poi di Giovanni Pesce, nelle vesti di collegatore fra il di-rettivo del Pci e il Comando regionale (Luigi Grassi, Vi t t o r i oBardini, Cesare Roda), dirigente po-litico comunista, sindacalista sin da-gli anni in cui parlare ai lavoratori eraun’impresa assoluta come progettare lad i ffusione de “Il Grido di Spartaco” lavoce clandestina della classe operaia. “La madre- ricorda Maria Sciancati,segretario generale della Fiom diMilano-sognava per il figlio un futuroda operaio ed è proprio la fabbrica il luo-go che “segna” l’intera vita di Francini”.Gli scioperi del ’43 furono una tappadecisiva, l’indomito desiderio di schiac-ciare il fascismo.

A l b e rto Magnani

L’Idiota in politicaFeltrinelli, Milano, pp. 268, euro 16,00

Francese, scrittrice d’assalto, Lynda Dematteo per “capi-re” la Lega, ha preso la strada più corretta ma certo più fa-ticosa. Per un anno si è infilata nel branco “verde” calpe-stando il territorio dove raccoglie più voti, la provincia diB e rgamo. Ha seguito capi e capetti, ha frequentato le feste con glielmetti e le spade, ha ascoltato le urla e i rutti padani, ha as-sistito imperterrita ai riti tribali. Ne è uscita un’analisi an-tropologica (non un saggio politico) stimolante, imperdi-bile. Una perfetta radiografia dell’uomo-leghista, la sualingua, la sua cultura, la sua sessualità, l’habitat, le ragio-ni profonde del successo.

Lynda Dematteo

L’Idiota del titolo non è Bossi. E’ il leghista nel linguag-gio usuale, uno scemo, un incolto, un maleducato che,giunto alla corte del re nella “Roma ladrona”, non muta dipelle né di abitudini. Urla e strepita, parla come si può fa-re a un picnic, se ne frega. Applaude al capo che alza il “medio” al cielo in segno disfida. Ma attenzione: il leghista non è il nazista o il fasci-sta ma piuttosto un giocoso personaggio che avendo po-tere (un pezzettino) condiziona il potere del Berlusca. Mal’occhio è vigile e il partito-famiglia si ingrossa, si infilanei posti giusti e guadagna bene. Cosa accadde la nottedel famoso “coccolone”? La Dematteo butta lì un’ipotesiche va controccorrente come quando tratteggia la figura del“ Trota”, il figlio del Senatur. Sarà lui il futuro condottie-ro dell’immaginaria Padania?

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Luisa Steiner e Mauro Begozzi (a cura di)

Un libro per Lica. Lica Covo Steiner ( 1 9 1 4 - 2 0 0 8 )Istituto storico della Resistenza e della SocietàContemporanea nel Novarese e nel Ve r b a n o - C u s i o -Ossola “Piero Fornara”, pp.281, euro 10, 00.

Un libro affascinante costruito come un edificio, in-trecciato di memorie, testimonianze, ricordi, immaginifotografiche singolari per offrire la storia esemplare diLica Covo Steiner (1914-2008), figlia di una ricca famigliab o rghese cosmopolita e antifascista, “donna del mondo”,“fragile e infrangibile come tutte le donne guerriere”.Al fianco di Albe Steiner, il marito, uno dei pionieri deldesign, maestro della grafica, commissario politico del-la Divisione “Valdossola” di Dionigi Superti, combattènella Resistenza con il valore e l’orgoglio di centinaiadi altre donne, dopo essere sfuggita nel settembre del’43 (non così il padre e due familiari) alla retata antise-mita nella fascia del lago di Mergozzo dove abitava.L’ideale comunista e libertario la guiderà per sempre, ami-ca della pace, della giustizia, della democrazia e del pro-gresso per la libertà. Conclusa la parentesi bellica, si trasferì con il marito inMessico presso i fratelli operando a favore degli ultimiin un Paese poverissimo. Un impegno che dal 1948, al rientro a Milano, prose-guì al Convitto Scuola Rinascita coi corsi di grafica. Ma c’è molto altro in questa raffinata edizione non fa-cile da maneggiare per i continui ricorsi dei nomi e del-le storie: la pagina della donna sull’Unità (1957-58);gli studi per il Museo Monumento di Fossoli-Carpi(1973); la creazione con le figlie Anna e Luisadell’Associazione “Albe Steiner per la comunicazionevisiva” e tante altre iniziative nel segno della passioneper l’arte e la memoria.

Maria Roberta Schranz, Luigi Zanzi (a cura di)

Giuseppe Oberto. Un Wa l s e r Guida alpinaFondazione Arch. Enrico Monti, Fondazione GiussaniBernasconi, pp. 147, euro 20,00

E ’ l’ultimo dei Wa l s e r, i “colonizzatori” nei secoli del-le Alpi, la più famosa guida del Monte Rosa dalla par-te della parete Est, quella hymalaiana. Giuseppe Oberto, 88 anni, di Macugnaga, un uomo mi-te, silenzioso, l’occhio eternamente fissato sul biancodelle sue cime, equilibrato e severo con sè stesso e conl’aggressione brutale all’equiibrio naturale e ai costu-mi locali, “custode fedele della propria terra”, è statoanche altro negli anni oltre che “inventore” di nuovevie sul Rosa percorso centinaia di volte: spallone e con-trabbandiere nel periodo di guerra per sfamare la fa-miglia, passatore di ebrei in fuga dal Monte Moro ver-so la Svizzera, minatore, manovratore alle funivie, por-tatore, guardiano alla Capanna Marinelli, conquistato-re con Cassin e Bonatti nel 1958 del Gasherbrum IV. Il libro a cui ha concorso anche Teresio Valsesia, pre-sidente nazionale del CAI, sfugge alla regola classicadei libri di montagna retorico-celebrativi e racconta diun uomo legato a valori fondamentali, la vocazione diguida (non un mestiere), la povertà non la miseria, diun’esistenza densa di ricchezza morale e di silenziopensante, che ne hanno fatto la stella cometa della suavita. Scrive il professor Luigi Zanzi dell’Università di Pavia:“Si è tentato con questo libro di presentare anzitutto ilritratto di un uomo “di montagna” cioè il ritratto di unaspecie sempre più rara, che rischia l’estinzione”. Leggendo queste pagine, l’emozione per tante cose an-date in questi ultimi anni perdute, soggioga.

Lica Steiner e Albe in una foto negli anni ’60, ad unap resentazione dei marchio Coop.

Il decano Giuseppe Oberto posa con una giovane guida alpinatra le vie di Macugnaga.

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Una meraviglia questo ritrattino di Alice. L’avesse visto Lewis Carro l ,a v remmo detto che l’ispirazione per il titolo del suo capolavoro l’ebbeg u a rdando questa bella foto.

Non è così, naturalmente, visto che lo scrittore inglese nacque oltre unsecolo fa, ma la meraviglia rimane e, anzi, resta più che mai attraente.

Questa stupenda bambina, con i suoi occhioni aperti al mondo, non èun personaggio ’nonsense’ che attraversa come la più celebre Alice glispecchi, ma è una creatura vera che guarda tutti noi con delizioso can -d o re, impugnando con mani ben ferme la nostra rivista, con l’invito aleggerla e a diffonderla.

Un invito che viene da una incantevole lettrice del Triangolo Rosso, daa c c o g l i e re senza indugio. .

A l i c e