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Bio è per tutti

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Viaggio nell'agricoltura biologica mediterranea

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Bio è per tuttifermo immagineviaggio nell’agricoltura biologica mediterranea

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questo libro è stato realizzato nell’ambito del progetto “OraBio 1” finanziato dall’Assessorato Regionale

Risorse Agricole e Alimentari

Regione Sicilia

“Sostegno alle associazioni di produttori

per attività di informazione e promozione

delle produzioni agricole di qualità”

Bando del 2009

Immagine di copertina e illustrazioni interne

olio su tela di Salvo Caramagno

immagini fotografiche

Archivio Humus

progettazione grafica e impaginazione

Studio Ruggieri Poggi

fotolito e stampa

tipografia moderna di Calogero Vitello

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Sommario

Prefazione 7

Il biologico in pillole 11Cos’è l’agricoltura biologica? 11

Il metodo di produzione 13

La nutrizione delle piante 14

La difesa delle colture 16

L’agricoltura Biodinamica 18

Una cultura dai sani principi 21I principi dell’Agricoltura Biologica 21

Tutti i numeri del bio 29Il biologico nel mondo 29

Andamento del volume d’affari

e della produzione nel settore biologico 32

Il panorama del Biologico in Italia 32

Il mercato del biologico in Italia 36

Il panorama produttivo in Sicilia 36

La domanda di prodotti biologici, qualche dato sui consumi 39

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Bio è certificato 43Il sistema dei controlli in agricoltura biologica 43La certificazione del prodotto 44L’etichettatura dei prodotti biologici 45

Bio è fondi strutturali 49Biologico e PSR regionali 49

Bio è ricerca 53L’agricoltura che guarda avanti 53

Bio è sostenibile 55Gli indicatori di sostenibilità 55

Bio è Giusto 61L’agricoltura sociale e il biologico 61L’agricoltura sociale nel nostro Paese 63I principali tratti distintivi delle fattorie bio-sociali 64Le attività produttive agricole e i servizi offerti 65

Bio è biodiversità 67Binomio vincente 67Il 2010 è stato l’anno mondiale della biodiversità 68La situazione italiana 68Foreste e mari: i grandi malati 69Le strategie per il futuro 70

Bio è ristorazione 73A tavola con il biologico 73La magia degli ingredienti 73Il biologico in cucina 74La ristorazione collettiva 75

Bio è filiera corta 79Che cosa è la filiera corta 79La qualità dei consumi 79Cento modi per dire “filiera corta” 79I vantaggi della filiera corta 80

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Bio è dieta mediterranea 83Il buon cibo allunga la vita 83Alle origini della dieta mediterranea. 85

Altri valori del bio 97La fattoria didattica biologica 97Gli acquisti verdi 98I valori ambientali dell’azienda biologica 101La sicurezza alimentare 103Il biologico nella civiltà contadina 105La formazione in agricoltura biologica 107

Invita un “Biologico a tavola” 111Dolci siciliani BIO…logici 111La pasta BIO…logica 113L’olio BIO…logico 114L’uva da tavola BIO…logica 115Gli agrumi BIO…logici 117Il vino da uve bio…logiche 118

Il cibo bio tra mito e storia 121I Legumi biologici nella dieta del terzo millennio 121Alla scoperta del caciocavallo biologico 124Pecorino bio: il formaggio dei Ciclopi 126Latte d’asina bio: un prodotto prezioso 128

Appendice 133La normativa di riferimento in agricoltura biologica 133Il campo di applicazione del regolamento (CE) n. 834/2007 135Cosa prescrive il regolamento (CE) n. 834/2007 136Le norme comunitarie per la produzione biologica 137Le norme nazionali per la produzione biologica 139La normativa regionale per lo sviluppo della produzione biologica 141Gli Organismi di Controllo autorizzati dal MiPAAF 144

Bibliografia 147

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Prefazione

“L’uomo è quello che mangia”. Sembra una frase logora ma esprimenella sua semplicità una verità profonda e sempre attuale. Le celluledi cui sono fatti i nostri tessuti, si rinnovano numerose volte durantela loro vita e lo fanno a carico dei “materiali di costruzione” che ilnostro corpo recupera dai prodotti di cui si alimenta. È chiaro quindiquanto importante sia la qualità della nostra alimentazione, non soloper l’apporto energetico necessario allo svolgimento delle funzionivitali della “macchina corpo umano” o per le “necessità ponderali,ma anche per il buon funzionamento dell’organismo. È notorio infattiche le funzioni metaboliche dell’organismo umano, si svolgono condifficoltà quando si trovano a trattare alimenti alterati o contaminatida agenti chimici di sintesi.Tutti gli alimenti delle filiere naturali, nel corso del processo digestivo,vengono metabolizzate, cedono i loro nutrimenti all’organismo e ciòche non viene trattenuto viene espulso come “scoria di produzione”.Tutti i prodotti che contengono sostanze estranee alle filiere naturaliinvece vengono metabolizzate con difficoltà e talvolta i loro residuirimangono imprigionati nell’organismo creando nel tempo problemial normale svolgimento delle funzioni vitali.Per questo i prodotti da agricoltura biologica rispondono alla neces-sità di nutrirsi in modo sano e naturale, mediante l’uso di prodottiottenuti nel rispetto di precise regole di produzione che vietano inmodo tassativo l’uso di prodotti di sintesi, indigesti al nostro orga-

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nismo, anche se ciò comporta la necessità da parte dei produttoridi dedicare maggiore attenzione in tutte le fasi della produzione equindi, talvolta maggiori sacrifici.Il nuovo consumatore italiano ed europeo peraltro, malgrado la crisi,è sempre più attento alla propria salute, anche se non trascura ilprezzo. Inoltre chiede che i prodotti abbiano la capacità di raccon-tarsi. Di raccontare la propria storia (del contadino) e del suo pae-saggio. Il nuovo consumatore è sempre più attento alla qualità deiconsumi, sopratutto rispetto all’aspetto salutistico. Il consumo re-sponsabile dovrà sostenere gli sforzi degli agricoltori instaurandocon essi una sorta di patto sociale: l‘impegno dei produttori di pro-durre cibi sani e genuini, rispettosi dell’uomo, delle piante e dell’am-biente contro la “scelta responsabile” e la preferenza del prodottosostenibile, con l’impegno non scritto di garantire un sicuro mercatoai produttori bio. Questa pubblicazione è allora un breve viaggio all’interno dell’affa-scinante mondo del biologico, per tentare di scoprire e presentare idiversi aspetti della sua cultura. Una guida per i consumatori e glioperatori dell’agro alimentare per aiutarci ad approfondire i diversiaspetti tecnici e normativi, e quindi, di apprezzare i tanti valori ag-giunti dell’agricoltura biologica. Per incentivarne la diffusione tra iconsumatori e le giovani generazioni.“Fermo immagine”, il titolo scelto per questa pubblicazione, vuole

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mutuare dal linguaggio televisivo un concetto che esprime un valoresimbolico molto forte: un frame, un frammento di pellicola, una soladelle centinaia di immagini che costruiscono il movimento, il diveniredel film. Una sola immagine per sintetizzare il senso dell’intero film.Il biologico è infatti una storia in continuo divenire, il cui esito puòdipendere dalla sensibilità che ciascuno di noi può esprimere in qua-lità di consumatore informato e responsabile. L’agricoltura biologica è anche la riscoperta dei valori della civiltàcontadina a cui la società moderna, e sopratutto la cultura mediter-ranea, deve molto.Ma non ultimo, il biologico è anche il modo sostenibile per eccel-lenza produrre cibo limitando al minimo l’impatto sull’ambiente el’impronta ecologica. Rappresenta la sintesi inclusiva della necessitàdi far fronte agli obblighi e alle esigenze rispetto al clima, alla biodi-versità e al presidio dei territori. Questo libro propone una rivisita-zione del rapporto con la risorsa terra, che risponda in modo direttoalla domanda di cibo, soprattutto a livello locale, dentro la respon-sabilità dei consumi e nell’ambito di una forte relazione solidale traproduttori e consumatori, in ossequio al postulato secondo cui “ilmondo che viviamo, non è una eredità dei nostri padri, ma unprestito dei nostri figli”.

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Il biologico in pillole

Cos’è l’agricoltura biologica?L’agricoltura biologica è un metodo di produzione definito e certifi-cato a livello comunitario dal Regolamento CEE 834/2007. Il termine “agricoltura biologica” indica un metodo di coltivazione edi allevamento che ammette solo l’impiego di sostanze naturali, pre-senti cioè in natura. Sono esclusi pertanto le sostanze di sintesi chi-mica (concimi, diserbanti, anticrittogamici, pesticidi).Agricoltura biologica significa quindi sviluppare un modello di pro-duzione che eviti lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, inparticolare del suolo, dell’acqua e dell’aria, utilizzando invece tali ri-sorse all’interno di un modello di sviluppo che possa durare neltempo mantenendo la fertilità dei suoli e la disponibilità delle risorse.L’agricoltura biologica è quindi un sistema di produzione sostenibile.Secondo la convenzione internazionale, “Lo sviluppo sostenibiledeve conciliare produzione alimentare, conservazione delle risorsenon rinnovabili e protezione dell’ambiente naturale, in modo da sod-disfare i bisogni della popolazione attuale senza compromettere lepossibilità delle popolazioni future di soddisfare i propri”.Questo è l’obiettivo prioritario a cui anche la Politica Agricola Co-mune (PAC) dell’Unione Europea si ispira. Secondo la normativa europea, “La produzione biologica è un si-stema globale di gestione dell’azienda agricola e di produzioneagroalimentare basato, sull’interazione tra le migliori pratiche am-

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bientali, un alto livello di biodiversità, la salvaguardia delle risorse na-turali, l’applicazione di criteri rigorosi in materia di benessere deglianimali e una produzione confacente alle preferenze di taluni con-sumatori per prodotti ottenuti con sostanze e procedimenti naturali“Con il regolamento (CE) n. 834/07, la UE si mostra sensibile anchealla percezione che il consumatore ha della produzione biologica. L’obiettivo principale dell’agricoltura biologica, così come sancitodall’Unione Europea, è stabilire un sistema di gestione sostenibileper l’agricoltura che:• rispetti i sistemi e i cicli naturali e mantenga e migliori la salute dei

suoli delle acque, delle piante e degli animali e l’equilibrio tra di essi;• assicuri un impiego responsabile dell’energia e delle risorse na-

turali come l’acqua, il suolo, la materia organica e l’aria;• rispetti criteri rigorosi in materia di benessere degli animali, sod-

disfacendo le loro specifiche esigenze comportamentali.La produzione biologica, sempre secondo il regolamento europeo,mira a produrre un’ampia varietà di alimenti di alta qualità con pro-cedimenti che non danneggino l’ambiente, la salute umana, la salutedei vegetali, la salute e il benessere degli animali.Nelle aziende agricole biologiche è escluso l’uso di OGM (OrganismiGeneticamente Modificati) e dei prodotti derivati ottenuti da OGM.Non si utilizzano fertilizzanti chimici di sintesi, ma si mantengono epotenziano la vita e la fertilità naturale del suolo con opportune pra-tiche agricole (rotazione e consociazione delle colture, sovesci, fer-tilizzazione con sostanza organica).Gli allevamenti devono essere legati alla terra: in agricoltura biolo-gica non sono ammessi allevamenti di tipo industriale con gli animalisempre chiusi nelle stalle: ogni azienda può ospitare un numero dicapi ben determinato in base alla superficie che l'azienda ha a di-sposizione. La salute degli animali è tutelata stimolando le loro di-fese naturali e non ricorrendo a farmaci preventivi (vaccini a parte),il loro benessere è perseguito grazie al rispetto delle esigenze spe-cifiche delle specie; in caso di necessità le cure si effettuano essen-zialmente con omeopatia e fitoterapia. Non ci sono né gabbie né

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batterie, gli animali hanno accesso al pascolo e la loro alimentazioneè a base di foraggi e mangimi biologici.

I principi dell’agricoltura biologica sono:• Esclusione dei prodotti chimici di sintesi• Rispetto della vocazionalità agricola dei luoghi di coltivazione• Valorizzazione della sostanza organica• Uso di fertilizzanti naturali• Utilizzo di piante resistenti• Uso di sistemi naturali per la difesa delle colture• Difesa dell’equilibrio del suolo e rotazioni agrarie• Sicurezza e qualità della vita degli operatori agricoli• Utilizzazione di tecniche a basso impatto ambientale e in un’ottica

di benessere complessivo. Anche nella trasformazione dei prodottiè rigorosamente escluso l’uso di coloranti, edulcoranti sintetici,esaltatori di sapidità e di altri additivi e ausiliari di fabbricazione.

Il metodo di produzioneLe due principali domande che un neo consumatore biologico si poneriguardo alla possibilità che tutti i cibi che consumiamo possano es-sere prodotti, in adeguate ed economiche quantità, senza uso di pre-sidi chimici riguardano: la nutrizione delle colture e la difesa delleproduzioni. Anche gli agricoltori convenzionali, quando invitati a con-siderare la possibilità di convertirsi al biologico, pongono, talvoltaanche con tono di sfida, delle domande analoghe: “quanto incide sulleproduzioni il non uso dei concimi di sintesi” e “come è possibile di-fendere le produzioni senza uso dei pesticidi”. Appare ovvio che lapresenza di tali “esistenziali dubbi” risiede principalmente nel fattoche l’agricoltore e di rimando anche il consumatore, nel corso dell’ul-timo mezzo secolo, orientato verso l’incremento delle produzioni el’uso di mezzi tecnici “facilitatori” ha trascurato via via il ricorso ai pro-pri saperi. Ai saperi della cultura e della civiltà contadina, basata suun rapporto simbiotico con la terra, le colture e gli ecosistemi locali.

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Prescindendo dalle motivazioni di tali comportamenti, talvolta in partegiustificati, rimane il fatto che l’approccio culturale corretto per la pra-tica dell’agricoltura biologica prevede necessariamente un ripensa-mento dei rapporti con la propria azienda, che deve principalmentetornare ad essere considerata materia vivente e complice di un per-corso creativo, non solo “luogo dove vengono organizzati i fattori dellaproduzione”. In agricoltura biologica, infatti, i fattori della produzionesono in prevalenza organismi viventi, fattori naturali come la terra, l’ac-qua, il sole, la biodiversità i microorganismi, l’entomofauna, le siepi ele erbe spontanee e per ultimo le piante coltivate, che in tale contestodebbono essere inserite per portare a compimento le loro produzionisenza la pretesa di essere le protagoniste assolute di quel frammentodi ecosistema che è appunto l’Azienda biologica”.

La nutrizione delle pianteL’esclusione dei presidi chimici e dei prodotti di sintesi durante tuttii processi produttivi con il metodo biologico, richiede un maggior ri-spetto di tutti gli aspetti ambientali, tecnici e agronomici che con-corrono alla fertilità generale del suolo e alla sanità ed efficienza delsistema ecologico dell’azienda.Il terreno, in agricoltura biologica, non è quindi visto come semplicesupporto fisico/meccanico su cui le piante possono sorreggersi otrarre nutrimento. Ma come un sistema vivente in continua evolu-zione. Il terreno agrario è un laboratorio microbiologico in continuatrasformazione, dotato si di una adeguata struttura fisica e di una ot-timale composizione tra le tre componenti fondamentali: sabbia, limoe argilla, ma sopratutto luogo armonioso di elaborazione della so-stanza organica ad opera della numerosissima fauna e flora tellurica.Questo fa pensare al lavoro incessante dei lombrichi, sino alle mi-gliaia di microorganismi che eseguono il processo di umificazionerendendo via via disponibili alle piante nuove sostanze nutritive a par-tire dalla sostanza organica. Il terreno agrario in agricoltura biologicaè quindi il luogo ideale dove le trasformazioni chimiche di mineraliz-

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zazione degli elementi nutritivi organici può avvenire nelle condizioniottimali, affinché le piante possano trarre benefici nutrizionali.È evidente allora che in agricoltura biologica non ci si pone solo il pro-blema della fertilità chimica dei suoli o della loro capacità di nutrire lepiante al fine di ottenere ad ogni costo la massima resa. Tema moltodibattuto nella prima fase della rivoluzione verde. Ma piuttosto quellodel mantenimento della fertilità generale dei terreni per garantire con-dizioni di produttività costante negli anni al minimo costo ambientaleed economico possibile. È questo infatti uno dei principali postulatidella sostenibilità: “provvedere tramite l’uso corretto delle risorsenaturali, al soddisfacimento delle generazioni attuali, senza pre-cludere o pregiudicare lo stesso diritto alle generazioni future”.Per salvaguardare la fertilità naturale del terreno nell’azienda biolo-gica vengono quindi utilizzati materiali organici e si fa uso di appro-priate tecniche agricole che non prevedano lo sfruttamento intensivodel suolo. L’azienda biologica ideale prevede la presenza di un alle-vamento, in maniera tale che venga chiuso quel ciclo, che riporta allepiante quanto queste hanno sottratto con le loro produzioni. Le de-iezioni animali, dopo una corretta maturazione in concimaia, permet-tono al terreno di mantenere la propria vitalità e lo rendono più fertile,mantenendone il naturale contenuto umico.Per le aziende non dotate di allevamenti fondamentale è la praticadella concimazione verde, tecnicamente chiamata sovescio, consi-stente nel seminare una o più di specie erbacee miste, con l’obiettivodi incorporare la biomassa verde nel suolo per aumentare e mante-nere la sua fertilità e introdurre i nutrimenti per le colture successive.Questa pratica è abbastanza semplice e da risultati efficienti, inoltreè quasi l’unica possibilità per quelle aziende che non hanno alleva-mento e coltivazioni in rotazione, dal momento che migliora le carat-teristiche chimico fisiche del suolo e può produrre grandi quantità diazoto ad un costo relativamente basso. L’esempio più comune diconcimazione verde è la semina di leguminose invernali (favino, vec-cia, etcc) per incorporarle al suolo al momento dell'incipiente fioritura,condizioni permettendo. È possibile anche utilizzare Graminacee,

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Crucifere, e altre specie erbacee come colture di copertura. L’inte-resse in questa tecnica non è limitato alla funzione fertilizzante ma siestende ai molteplici effetti che una coltura di copertura con specieerbacee selezionate pro duce in relazione alla protezione del suolo,al miglioramento della sua struttura, al controllo dei parassiti e delleerbe infestanti e infine, alla protezione delle acque di falda.In breve, le funzioni principali delle colture di copertura sono le seguenti:• miglioramento della struttura chimico-fisica del suolo;• protezione del suolo dall’erosione;• la protezione delle acque di falda;• aumento della disponibilità dei nutrienti;• stimolazione dell’attività microbiologica;• controllo delle infestanti;• azione Biocida;• contributo all’equilibrio umico.

La difesa delle coltureL’Agro ecosistema biologico è un luogo in cui si tende a raggiungereun equilibrio stabile fra tutte le componenti biotiche, in modo tale chenessuna di esse prevalga sull’altra. Il bio-contadino, in questo con-testo, svolge un’azione fondamentale, poiché è colui che fa di tuttoper mantenere questo equilibrio, agendo su delle leve ideali, quali laconcimazione, la potatura e il controllo di infestanti e fitofagi.Alla difesa delle colture si provvede innanzitutto in via preventiva,selezionando specie resistenti alle malattie e intervenendo con tec-niche di coltivazione appropriate come, per esempio:• la rotazione delle colture, evitando di coltivare per più stagioni

consecutive sullo stesso terreno la medesima pianta. In questomodo, da un lato si impedisce ai parassiti di trovare l’ambientefavorevole alla loro proliferazione, e dall’altro si utilizzano in modopiù razionale e meno intensivo le sostanze nutrienti del terreno;

• la consociazione, che consiste nel coltivare contemporaneamentepiante diverse, l’una sgradita ai parassiti dell’altra;

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• la piantumazione di siepi ed alberi, che ricreano il paesaggio,danno ospitalità ai predatori naturali dei parassiti e fungono dabarriera fisica a possibili inquinamenti esterni;

La difesa delle coltura, può basarsi sull’uso di antagonisti naturaliper contenere le popolazioni degli organismi dannosi. I primi impor-tanti successi di lotta biologica si ebbero nel secolo scorso, controinsetti esotici importati da altri ambienti, contro i quali furono intro-dotti degli entomofagi (insetti predatori e parassiti di insetti nocivi)prelevati dalle loro medesime aree. In caso di necessità, per la difesa delle colture si interviene con so-stanze naturali vegetali, animali o minerali: estratti di piante, insettiutili che predano i parassiti, batteri, funghi, farina di roccia o mineralinaturali per correggere struttura e caratteristiche chimiche del ter-reno e per difendere le coltivazioni dalle crittogame. L’agricoltorepuò fare quindi ricorso esclusivamente alle sostanze di origine na-turale espressamente autorizzate e dettagliate dal Regolamento eu-ropeo (con il criterio della cosiddetta “lista positiva”).

I prodotti ammessi dal Reg. 834 per la Lotta contro i Parassiti e le Malattie:• Preparati a base di piretri da Chrysanthemum cinerariaefolium;• Preparati da Derris elliptica;• Preparati da Quassia amara;• Preparati da Ryania speciosa;• Propolis;• Terra diatomea;• Polvere di pietra;• Zolfo;• Poltiglia boldolese;• Poltiglia borgognona;• Silicato di sodio;• Bicarbonato di sodio;• Sapone di potassio (sapone molle);• Preparati di feromoni;

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• Preparati di Bacillus thuringensis;• Oli vegetali e animali;• Olio di paraffina;• Preparati granulari di virus.

L’agricoltura BiodinamicaL’agricoltura Biodinamica o Steineriana: è l’agricoltura basata sulleteorie filosofiche dell’“antroposofia”, concepite dal Dott. Rudolf Stei-ner negli anni successivi alla prima guerra mondiale ed applicate adaziende di ogni estensione e tipologia. Essa parte dal fondamento chel’azienda agricola è un vero e proprio organismo vivente a ciclochiuso, inserito nel più grande organismo vivente cosmico, alle cui in-fluenze soggiace. L’agricoltore biodinamico conosce tali influenze econseguentemente adotta un metodo pratico che le favorisce, col ri-sultato di avere terreni fertili e vitali e prodotti salubri. È un apporto diconoscenze che si offre a integrazione della cultura agronomica uffi-ciale, determinandone il rinnovamento in uno spirito più etico ed este-tico e che favorisce una nuova professionalità dell’agricoltore,cosciente e corresponsabile. Dona un nuovo impulso cosmico pla-smatore per cui la pianta, da manifestazione di sole forze naturali,sempre più diventa espressione di intervento professionale umano.In definitiva si tende a raggiungere la massima autosufficienza internaaziendale. La fertilità del terreno deve essere naturale, e, inoltre, è pos-sibile utilizzare solo prodotti provenienti dall’azienda stessa che ven-gono “vivificati”, come il “cornosilice”, a base di quarzo macinato, eil “cornoletame”, a base di letame di vacca. Il contenitore che servealla loro preparazione è il corno di vacca, che viene svuotato e riem-pito con quarzo o letame, e sotterrato per sei mesi. Trascorso questoperiodo il preparato può essere conservato per diverso tempo. Il cor-nosilice viene spruzzato sulle piante e ne stimola la fruttificazione e iprocessi legati alla fotosintesi e alla luce. Il cornoletame viene spruz-zato sul suolo e ne aumenta il contenuto in humus, agendo di conse-guenza sullo sviluppo radicale e sulla nutrizione della pianta.

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I valori del bio• Genuinità dei prodotti;• Migliori qualità organolettiche dei cibi;• Maggiore contenuto di vitamine nelle verdure;• Assenza di residui di antibiotici nel latte;• Non uso di pesticidi;• Non uso degli OGM (Organismi Geneticamente Modificati);• Completa tracciabilità del prodotto e garanzia certificata;• Rispetto dell’ambiente;• Valorizzazione delle Varietà locali;• Rispetto e garanzia del benessere degli animali;• Valorizzazione delle razze locali;• Difesa della biodiversità;• Rispetto dei suoli agrari;• Riduzione dei consumi energetici;• Rispetto ed equa remunerazione del lavoro degli agricoltori;• Miglioramento del paesaggio, colore ed armonia dell’azienda;• Rispetto delle stagioni e dei suoi tempi;• Rispetto del territorio;• Rispetto delle tradizioni e dei saperi locali;• Valorizzazione della ricerca e delle innovazioni;• Cultura della solidarietà;• Rispetto della vita.

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Una cultura dai sani principi

I principi dell’Agricoltura BiologicaL’agricoltura biologica si distingue profondamente da quella con-venzionale, poiché è permeata da una particolare sensibilità versole tematiche ambientali, la natura, il benessere degli animali ecc..Una ennesima definizione di Agricoltura Biologica molto valida èquella proposta dal Nordic Ecological Associations:“L’agricoltura biologica può essere descritta come un agroecosistemain equilibrio, autosufficiente e stabile. Per quanto possibile, il sistemaè fondato su risorse locali e rinnovabili. Essa si basa su una visioneolistica che integra gli aspetti ecologici, economici e sociali della pro-duzione agricola, nelle prospettive locali e globali. In agricoltura bio-logica la natura è considerata come un tutt’uno con il proprio valoreinnato, e l’uomo ha l’obbligo morale di coltivare in modo che il pae-saggio rurale rappresenti un aspetto positivo della natura stessa”.Nello specifico le principali tematiche che fanno da pilastri della fi-losofia del pensiero biologico riguardano:• lavorare il più possibile in cicli chiusi e utilizzando le risorse locali;• preservare la naturale fertilità del suolo;• evitare tutte le forme di inquinamento derivanti dalle pratiche agri-

cole;• promuovere metodi di lavorazione del suolo che siano più adatte

a preservare l’ambiente e la natura;• produrre cibi ad elevato valore nutrizionale;

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• ridurre l’uso di risorse non rinnovabili in agricoltura, incluso i com-bustibili fossili;

• lavorare per garantire che i rifiuti prodotti dalle città e dalle indu-strie alimentari siano trasformati in maniera tale da consentire illoro riutilizzo come fertilizzanti in agricoltura;

• favorire le condizioni di vita degli animali in modo da soddisfare iloro modelli di comportamento naturali e le loro esigenze;

• fare tutto il possibile per assicurare che tutti gli organismi viventidiventino alleati dell’agricoltore (siano essi microrganismi, pianteo animali).

Principio di precauzioneUno dei concetti che a livello europeo è stato accettato dalle relativelegislazioni in materia di agricoltura, ambiente e salute, è il principiodi precauzione. Questo affonda le sue radici nel termine giuridicotedesco “Vorsorgeprinzip” (in italiano “principio di precauzione”), cheè stato utilizzato per la prima volta nel 1976. Secondo tale principio,la responsabilità che abbiamo nei confronti delle future generazionici obbliga a preservare la natura e ad evitare di provocarle danni ir-reversibili.Il principio di precauzione può, inoltre, avere altre sfaccettaturecome:• dimostrare in tempi brevi il rischio attraverso la ricerca globale;• ridurre la somministrazione di sostanze inquinanti e la promozione

di tecnologie più pulite;• agire prima di avere la prova scientifica di un possibile danno ir-

reversibile.L’uso di pesticidi e fertilizzanti prodotti dall’industria e altri componentidi origine non naturale, nonché degli Organismi Geneticamente Mo-dificati, non è consentito in agricoltura biologica. In virtù di questeproibizioni il rischio che i pesticidi contaminino, per esempio, il cibo,l’acqua da bere e l’ambiente, è minimo. Tali divieti, inoltre, possonoessere considerati come un desiderio diverso e più ampio per la cau-tela e l’attenzione nei nostri rapporti con la natura, rispetto al rischio

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che sottende l’uso di pesticidi in agricoltura convenzionale. La logicaalla base del principio di precauzione in agricoltura biologica viene in-terpretata dall’interazione tra natura e uomo. Come già anticipato unodegli obiettivi principali dell’agricoltura biologica si basa sul concettoche la natura è un insieme integrato che le persone hanno il doveremorale di rispettare, sia per il suo valore intrinseco, sia perché, utiliz-zando i suoi meccanismi di regolamentazione, si può stabilire unamaggiore auto-sostenibilità dell’agroecosistema. La natura è un si-stema molto complesso, di cui l’uomo comprende spesso una partelimitata, per apprezzare le conseguenze di azioni specifiche su diessa. Danni provocati alla natura e all’ambiente, in ultima analisi, dan-neggiano l’uomo. Il principio di precauzione in agricoltura biologicapuò quindi essere giustificato come il riconoscimento della nostra li-mitata comprensione della natura e il rischio di danneggiare qualcosadi cui noi stessi siamo parte. Questo può essere tradotto con il signi-ficato che la natura è un’entità organica, l’uomo deve fare attenzionea non esercitare troppa influenza sulle singole parti dell’ecosistema,in quanto tali azioni possono produrre conseguenze inaspettate.L’uomo (in particolare l’agricoltore) dovrebbe avvalersi della natura,piuttosto che cercare di controllarla e trasformarla con l’aggiunta diinput esterni. Questa interpretazione è sostenuta da espressioni come“conservare la naturale fertilità del suolo” e “assicurarsi che tutti gliorganismi viventi rimangono in equilibrio tra loro”. A differenza di altreforme di agricoltura, quindi, quella biologica si basa sul concetto chel’uomo deve agire in maniera prudente, in modo tale da apportare leminime modifiche possibile all’ecosistema, per evitare conseguenzenegative sulle generazioni future.Il settore agricolo gestisce gran parte dell’ambiente naturale, cosìl’applicazione del principio di precauzione nella pratica agricola èfondamentale per prevenire problemi ambientali che potrebbero mo-strarsi irreversibili. Le tecnologie utilizzate nella pratica agricola bio-logica e i loro effetti sono prevedibili e reversibili. Il movimentobiologico, quindi, sostiene che i problemi ambientali non si risolvonosolo tramite l’acquisizione di nuove conoscenze e tecnologie, ma

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anche attraverso la prevenzione di quelle a rischio e l’utilizzo di si-stemi produttivi che l’esperienza ha dimostrato essere sicuri.

Principio della sostenibilitàLa presa di coscienza da parte della società riguardo la necessità ditutelare l’ambiente, si è sviluppata negli ultimi vent’anni. In questocontesto l’agricoltura biologica è stata elevata a pratica che, legitti-mamente, viene da tutti riconosciuta come sostenibile. Le azioni e le operazioni colturali utilizzate nella pratica biologica,quindi, sono tutte rivolte al raggiungimento dell’alto obiettivo della so-stenibilità ambientale. Il perseguimento di questo fine può essere con-dotto in differenti maniere tutte riconducibili ai concetti di sufficienzadelle risorse e dell’integrità funzionale. La sostenibilità come sufficienzadelle risorse si basa sull’analisi dell’uso delle stesse e la distribuzionidegli alimenti, attenzionando in maniera particolare il rapporto fra inpute output, che interessano l’agroecosistema, questo risulterà maggior-mente sostenibile se si riducono al minimo gli scambi con l’esterno.L’agricoltura biologica è una pratica che è volta a ridurre al minimo gliinput esterni, infatti tende ad implementare sistemi chiusi, nei qualiviene riutilizzato buona parte di ciò che viene prodotto in azienda,come ad esempio viene fatto con le pratiche della letamazione o delsovescio. Le aziende biologiche, infatti, per le concimazioni non pos-sono utilizzare prodotti chimici, che vengono principalmente ottenuticon l’utilizzo di elevati quantitativi di energia, ma si rivolgono in preva-lenza a risorse proprie o all’acquisto di concimi naturali, che solita-mente provengono dal riciclo di materiale organico, che altrimentiverrebbe gettato in discarica, come il compost o la farina d’ossa.La sostenibilità nel senso di integrità funzionale si basa sul concettoche l’agricoltura è un sistema complesso di valori e relazioni, quindila sua fragilità è legata dalla mancanza di comprensione di tutte leinterazioni esistenti fra i metodi di produzione e la sopravvivenzaecologica e sociale. Il sistema naturale è vulnerabile e alcuni dei suoielementi fondamentali si ripetono nel tempo con una velocità chedipende dalle condizioni del sistema stesso in un momento prece-

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dente. Le caratteristiche genetiche delle specie coltivate, per esem-pio, sono cruciali per le generazioni successive di colture, mentre itrattamenti che interferiscono con la fertilità del suolo influenzano leproduzioni nel lungo periodo.La cautela, quindi, è un approccio molto valido per evitare conse-guenze negative nei rapporti con la natura. Data la sua attenzioneriguardo la vulnerabilità dell’ecosistema e tramite la presa di co-scienza dei limiti della nostra conoscenza, la sostenibilità è stretta-mente associata all’idea dell’uomo come parte integrante dellanatura. I regolamenti che riguardano l’agricoltura biologica sono tuttitesi verso la sostenibilità ambientale, come ad esempio il divietonell’uso di fertilizzanti chimici, questo costringe l’agricoltore biolo-gico a lavorare assecondando i cicli dei nutrienti propri della natura,in maniera da creare dei sistemi autosufficienti, quindi sostenibili.

Principio del benessereIl benessere degli individui, siano essi vegetali o animali, e delle comu-nità da loro costituite non lo si può considerare separatamente daquello dell’ambiente in cui vivono. Un agroecosistema sano producecibi sani, che andranno a favorire il benessere di animali e persone. Ilbenessere non deve essere inteso come assenza di malattie, ma ilmantenimento di un equilibrio positivo dai punti di vista fisico, mentale,sociale e ambientale. Il benessere viene ad essere caratterizzato dallacapacità di ripresa e di rigenerazione. L’agricoltura biologica promuoveil concetto secondo cui a partire dalla produzione fino al consumo, pas-sando attraverso la trasformazione e la distribuzione, tutto deve essereteso ad ampliare il benessere degli ecosistemi e di tutti gli organismiviventi, dal più piccolo al più grande. Tutti i regolamenti europei sul-l’agricoltura biologica parlano dei principi generali riguardo la gestionedelle colture e degli allevamenti, questi sono tutti volti al concetto eticodi benessere colturale e animale. In agricoltura biologica, ad esempio,il raggiungimento del benessere animale è ottenuto favorendo il com-portamento naturale, che vuol dire, ad esempio, la libertà di accessoal pascolo. L’uomo, gli animali e le piante vengono visti come facenti

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parte di un unico ecosistema, quindi il malessere di una di queste particomporta la diminuzione del benessere delle altre due. L’uomo deveessere, quindi, colui che permette a tutto questo sistema di svilupparsiin armonia, questo consentirà di mantenerlo integro e in salute.

Principio dell’equitàLe questioni sociali assumono una posizione centrale in agricolturabiologica. I seguenti obiettivi sono estratti delle norme fondamentalistilate nel 2000 dall’IFOAM (International Federation of Organic Agri-culture Movenents), in cui ci si prefigge:• di trarre le conseguenze sociali ed ecologiche delle attività di pro-

duzione e trasformazione biologiche;• di garantire che tutti coloro i quali lavorano nel mondo del biolo-

gico debbano avere una qualità di vita che soddisfi i loro bisognifondamentali e offra rendimenti adeguati e soddisfacenti in rela-zione alle loro fatiche, di grande importanza è agire in un buonambiente di lavoro;

• di rendere la catena che va dalla produzione alla distribuzione so-cialmente e ecologicamente giustificabile.

Questi obiettivi mettono in evidenza la necessità che tutti coloro i qualisono impegnati nel mondo del biologico debbano intrecciare delle re-lazioni umane volte ad assicurare il raggiungimento di un livello di giu-stizia sociale adeguato a tutti i livelli e a tutte le parti interessate(agricoltori, lavoratori, trasformatori, distributori, commercianti e con-sumatori). Il biologico dovrà permettere una buona qualità di vita atutti coloro che ne sono coinvolti, contribuendo alla sovranità alimen-tare e alla riduzione della povertà. La produzione deve essere com-misurata alle necessità e tesa all’ottenimento di derrate di elevataqualità alle quali tutti debbano poter avere accesso. Le risorse naturalie ambientali dovrebbero essere gestite in modo socialmente e eco-logicamente giusto, nel rispetto e in considerazione delle generazionifuture. L’equità coinvolge anche i sistemi di produzione, di distribu-zione e di mercato, questi debbono essere trasparenti, giusti e tenerein considerazione i reali costi ambientali e sociali.

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ConclusioniL’agricoltura biologica, quindi, è una pratica che possiede un’anima,che non è rivolta alla mera produzione ma che affianca a questa con-cetti profondi. I produttori bio svolgono una missione che è quelladi produrre cibi di qualità e sicuri nel modo meno dannoso possibileper l’ambiente e più rispettoso per la vita di tutti gli esseri viventi. Lo sviluppo deve essere in armonia con la natura e per il suo otte-nimento bisogna operare tramite la versatilità e la variabilità delleproduzioni. Il contatto diretto fra produttore e consumatore riducel’alienazione che spesso caratterizza la società moderna. L’appren-dimento e la diffusione delle conoscenze acquisite sulla base delleesperienze locali e della ricerca, potrà essere un elemento centraleper la protezione dei valori sociali e culturali e il rapporto con la na-tura. L’acquisizione di informazioni e conoscenze sulla natura e letecniche colturali, infatti, può essere la base per un ulteriore sviluppodell’agricoltura biologica. In tutto questo, è di centrale importanzaavere un alto grado di certezza circa le possibili conseguenze sul-l’utilizzo di nuove tecnologie e la garanzia che lo sviluppo sia in ac-cordo con i valori culturali e sociali.

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Tutti i numeri del bio

Il biologico nel mondo La crescente richiesta di prodotti naturali e sicuri da parte dei con-sumatori e la fiducia nella qualità e nell’affidabilità del sistema dicontrollo sui prodotti biologici, hanno decretato una crescita co-stante della produzione nel mondo.

Distribuzione delle superfici coltivate a biologico1

Il fenomeno che meglio caratterizza l’agricoltura biologica, ormai dadiversi anni, è il suo elevato ritmo di crescita, espresso da un au-mento delle superfici biologiche complessive, che nel biennio 2008-2009 è stato pari al 6% (2 milioni di ettari), portando a 37 i milioni diettari la superficie coltiva e certificata in bioogico nel mondo (inclusele superfici in conversione). La quota europea della superficie biolo-gica totale è pari al 23%, corrispondente a 9,3 milioni di ettari cherappresentano l’1,9% della Superficie Agricola Utilizzabile (SAU) eu-ropea. Nell’area UE tale incidenza raggiunge i 4,7 punti percentuali(8,4 milioni di ettari; dati Eurostat). Per estensione del le superfici biologiche, l’Europa è dunque il se-condo continente Dopo l’Oceania, dove si contano 12 milioni di et-tari (2,8% della SAU).

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1 Fonte Rete Rurale Nazionale

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Evoluzione della superficie agricola biologica per continente

I dieci paesi con la più alta superficie ad agricoltura biologica - 2009

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0

2

4

6

8

10

12

14

Africa Asia Europa AmericaLatina

NordAmerica

Oceania

milioni di ettari

2007

2008

2009

0,9 0,9 1,0

2,93,3

3,6

7,6

8,2

9,3

6,4

8,18,6

2,22,5 2,7

12,112,112,2

milioni di ettari0 2 4 6 8 10 12 14

Italia

Germania

Uruguay 2006

India

Spagna

Brasile 2007

Cina 2008

USA 2008

Argentina

Australia 12,00

4,40

1,95

1,85

1,77

1,33

1,18

1,11

0,95

0,93

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Tra i primi 10 paesi al mondo con la superficie biologica più elevata,si colloca l’Italia con i suoi 1,1 milioni di ettari che, nel 2009, rappre-sentano l’8,7% della SAU totale nazionale. Con riferimento ai Paesidell’UE-15, il nostro Paese segue l’Austria e la Svezia nella gradua-toria dei paesi per la maggiore incidenza percentuale della SAU bio-logica sulla SAU totale, mentre risulta seconda alla Spagna perl’estensione della superficie biologica. Rispetto al 2008, gli incre-menti della superficie biologica più significativi si registrano in Spa-gna, Svezia, Francia e Belgio, confermando il trend positivo degliultimi anni diversamente da quanto avviene in Italia, dove il dato èsostanzialmente stazionario.L’Italia presenta nell’UE-15 il maggior numero di produttori biologici,con 43.029 unità. È interessante rilevare come, nel nostro paese, iproduttori incidano per l’89% sul totale degli operatori biologici cer-tificati, analogamente a quanto si verifica in Spagna (91,5%), carat-terizzata da un consumo interno di prodotti e alimenti biologicipiuttosto contenuto. In Francia e Germania, invece, dove sono fortile potenzialità commerciali del biologico, i preparatori sono relativa-mente più importanti, costituendo una quota pari, rispettivamente,al 33,6% e al 27,6%.Nell’UE-15, la superficie media delle aziende biologiche è maggioredi quella dell’universo agricolo. Nel complesso, i dati del settore bio-logico del 2009, confrontati con quelli dell’indagine strutturale del2007, indicano che le aziende biologiche gestiscono mediamente16 ettari in più rispetto all’azienda media (22 ha). A livello di singolipaesi, questa differenza può aumentare notevolmente, come nelcaso limite del Regno Unito, dove l’azienda biologica ha una super-ficie quasi tripla di quella dell’azienda media (140 ha contro 54); incasi limitati, il segno della differenza è negativo, come in Francia eLussemburgo, dove l’azienda media ha una superficie di 10 ha mag-giore di quella delle aziende biologiche. L’Italia si colloca piuttostovicino alla media, con una differenza di 18 ettari circa tra i due tipi diaziende.

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SAU Biologica per paese E-15 nel 2009

Andamento del volume d’affari e della produzione nel settore biologicoIl biologico a livello mondiale ha sviluppato un giro d’affari nel 2009 di54,9 miliardi di dollari (FIBL-IFOAM), con una crescita del 5% sul2008. Tale valore è realizzato per il 48% in Europa e per un altro 48%in Nord America, mentre il restante 4% riguarda gli altri continenti, chenegli ultimi anni stanno lentamente guadagnando quote di mercato.A livello europeo le vendite di prodotti bio confermano la crescitadegli ultimi anni, con un incremento del 4,5%, seppure con un tassolievemente più basso rispetto agli anni precedenti e pari a un valoredi circa 18,4 miliardi di euro.

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0

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1.33

0.77

4

1.10

6.68

4

947.

155

721.

726

677.

513

518.

757

391.

524

326.

292

209.

090

166.

171

156.

433

51.9

11

47.8

64

41.4

59

3.61

4

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Il panorama del Biologico in ItaliaDall’analisi degli ultimi dati disponibili (aggiornati al 31 dicembre2010) forniti al MIPAAF dagli organismi di controllo (OdC), sulla basedelle elaborazioni del SINAB, risulta che la superficie in conversioneo interamente convertita all’agricoltura biologica è pari a 1.113.742ettari, con un aumento rispetto all’anno precedente dell’1%.Il principale orientamento produttivo biologico nazionale è rappresen-tato dai prati e pascoli (188.562 ha, di cui 98.698 ha di pascoli magri),oltre che dalla cerealicoltura (194.974 ha). Un’ampia percentuale dellasuperficie biologica italiana è investita a foraggi (197.774 ha), seguiti,in ordine d’importanza, dalle superfici investite a olivicoltura (140.748ha) e a viticoltura (52.273 ha). Gli operatori notificati per l’agricolturabiologica in Italia sono 47.663 di cui 38.679 produttori esclusivi, 5.592preparatori (comprese le aziende che effettuano attività di vendita aldettaglio), 3.128 che effettuano sia attività di produzione che di tra-sformazione, 44 importatori esclusivi, 220 importatori che effettuanoanche attività di produzione o trasformazione. Nel 2009 la SAU media delle aziende biologiche raggiunge i 25,6 ha,valore notevolmente superiore a quello relativo alle aziende agricoleitaliane considerate nel loro complesso (7,6 ettari nel 2007; ISTAT,Indagine sulle Strutture). L’analisi territoriale mette in evidenza comel’agricoltura biologica si concentri nel Sud della penisola, con il piùalto numero di operatori in Sicilia, Calabria e Puglia e le maggiori su-perfici biologiche in Sicilia, Puglia e Basilicata.

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Totale 38.679 5.592 44 3.128 220 47.663 48.509 -1,7

Sicilia 7.632 482 0 184 13 8.311 7.417 12,1

Calabria 6.234 222 0 289 4 6.749 6.554 3,0

Puglia 4.501 454 0 356 8 5.319 6.280 -15,3

Emilia Romagna 2.465 772 10 244 49 3.540 3.449 2,6

ToTT scana 2.190 479 2 559 22 3.252 2.970 9,5

Lazio 2.490 320 1 154 4 2.969 2.971 -o,i

Marche 1.783 187 1 121 5 2.097 2.288 -8,3

Sardegna 1.862 66 0 57 0 1.985 1.351 46,9

Piemonte 1.369 376 8 179 14 1.946 2.237 -13,0

Campania 1.350 272 0 120 9 1.751 1.716 2,0

VeVV neto 951 549 8 124 33 1.665 1.553 7,2

Abruzzo 1.275 176 0 126 3 1.580 1.523 3,7

Basilicata 1.256 82 0 63 1 1.402 3.352 -58,2

PP.PP AAAA . TN e BZ 966 248 4 141 5 1.364 1.220 11,8

Lombardia 680 543 4 95 31 1.353 1.262 7,2

Umbria 977 116 0 222 6 1.321 1.346 -1,9

Liguria 232 104 5 47 8 396 404 -2,0

Friuli VeVV nezia Giulia 262 94 1 30 3 390 375 4,0

Molise 137 38 0 15 2 192 162 18,5

VaVV l d’Aosta 67 12 0 2 0 81 79 2,5

Fonte SINAB

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Pro

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È interessante notare anche la dislocazione geografica delle diversetipologie di operatori: il maggior numero di preparatori si concentrain Emilia-Romagna e in Lombardia, mentre la maggior parte delleimprese agricole è situata in Sicilia e Calabria. L’Italia del biologicosi caratterizza per un meridione prevalentemente agricolo e un set-tentrione con una maggiore concentrazione di imprese di trasforma-zione. Negli ultimi anni comunque si stanno registrando dinamicheche tendono a equilibrare tale dualismo, anche in virtù di una mag-giore strutturazione del mercato. In particolare, più recentemente siè rilevato un importante aumento delle superfici biologiche in Emi-lia-Romagna e un aumento parallelo dei preparatori in Sicilia. Dal-l’analisi della distribuzione delle diverse colture in ambito regionale,si evidenzia come il biologico nazionale sia un settore con una fortespecializzazione territoriale; basti pensare che solo tre regioni (Sicilia,Puglia e Basilicata) coltiva più del 50% dei cereali, e che in due re-gioni (Sicilia, Puglia) si localizza circa il 50% della superficie nazio-nale a ortaggi. Anche per le colture permanenti (frutta, agrumi, olivoe vite), a un limitato numero di regioni fa capo la maggior parte dellapercentuale nazionale di superficie coltivata.

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Il mercato del biologico in ItaliaLe vendite di prodotti bio nel mercato italiano sono aumentate anchenel 2010. Secondo i dati provenienti dal Panel delle Famiglie ISMEA,gli acquisti domestici di prodotti biologici confezionati nel canaledella grande distribuzione sono infatti cresciuti in termini monetaridell’11,6%, registrando l’incremento più elevato degli ultimi ottoanni. Infatti, solo nel 2002 gli acquisti di biologico erano cresciuti inmisura superiore (+20%). In riferimento, invece, ai dati dell’ortofruttafresca e sfusa bio si rileva un aumento del 6,3%.Continua, quindi, il buon andamento del comparto biologico, che siprotrae ormai dal 2005. L’incremento dei consumi di biologico con-fezionato è stato anche favorito da una discesa complessiva deiprezzi al dettaglio, che sono diminuiti di quasi il 4% nel 2010. Come sta accadendo ormai da alcuni anni, il biologico registra trendpiù favorevoli rispetto ai consumi alimentari nel complesso e ad altriprodotti a qualità certificata, che accusano una sostanziale stagna-zione dei consumi o addirittura cali degli acquisti in valore.

Il panorama produttivo in SiciliaIn Sicilia il settore biologico è rappresentato da 8.311 aziende (anno2010) su di una superficie certificata di 225.693 ettari. La tendenzadegli ultimi anni vede un aumento del numero di aziende e della su-perficie biologica totale.

La geografia del biologico in Sicilia Le aziende biologiche in Sicilia sono distribuiti su tutto il territorio re-gionale con una maggiore concentrazione nelle aree dell’agricolturaestensiva. Infatti, vede la sua massima concentrazione nel territorioennese (provincia di Enna) dove si concentra il 24% della superficie abiologico totale, qualificando quella provincia come la prima regionedel biologico Italiano. Seguono Catania e Siracusa (14%) e Palermo(12%). Le altre provincie si attestano su quote del 4 e 5%.Naturalmente fra gli operatori la maggioranza è rappresentata dai

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produttori, che nel 2008 erano 6.346, si distingue, comunque unabuona presenza di preparatori con 476 unità, senza contare coloroi quali svolgono contemporaneamente attività di produttori e prepa-ratori, che sono 155. I dati sono sintetizzati nella tabella sotto e sonotratti dalle statistiche del SINAB.

Operatori biologici siciliani divisi per categoria

Tipologia di operatore biologico Numero

Produttori 7.632

Preparatori 482

Importatori 1

Produttori/Preparatori 184

Produttori/Preparatori/Importatori 13

Totale 2008 7.632

Gli indirizzi produttivi del biologico sicilianoLa superficie biologica siciliana è suddivisa nei diversi indirizzi pro-duttivi con la prevalenza di una sulle altre a seconda delle peculiaritàdei diversi areali di produzione. Il settore prevalente Ripartizionesuperficiale dell’agricoltura biologica siciliana è quello dei semi-nativi, che rappresenta circa il 39% della superficie biologica totale,con 87.812 ettari. All’interno della categoria sono sopratutto rappre-sentate le colture foraggere e le cerealicole con circa un quarto dellasuperficie totale, mentre il grano duro rappresenta approssimativa-mente il 13%, concentrato nei comuni di Enna, Troina, Regalbuto,Agira e Piazza Armerina, in provincia di Enna, e nei comuni di Casteldi Judica, Vizzini, Ramacca, in provincia di Catania. La superficie in-vestita ad ortive rappresenta quasi il 2% del totale con 4.878 ettari,la maggior parte, naturalmente, in pieno campo, anche se le colturein serra aumentano ogni anno di più. Le colture più praticate sono:patate, zucchine, pomodoro e fragole. Il 70% della superficie è con-centrata tra le provincie di Ragusa e Siracusa nei comuni di Ispica,Ragusa, Siracusa, Vittoria, e Scicli, che rappresentano uno dei piùimportanti poli produttivi di ortaggi biologici d’Europa.

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Le colture arboree, che dal punto di vista economico, insieme aquelle orticole rivestono grande interesse soprattutto per le oppor-tunità di valorizzazione delle produzioni, occupano il 25% della su-perficie biologica isolana. La specie arborea biologica siciliana piùrappresentata è l’olivo per la produzione di olio extravergine, che siestende per poco più del 8% del totale, con circa 17.500 ettari, con-centrati nelle provincie di Palermo, Messina e Enna. Le superfici oli-vicole sono seguite da quelle viticole, che occupano 17.000 ettari.Con circa il 7,5% della superficie biologica totale, la coltivazione diuva biologica è concentrata soprattutto nelle provincie di Trapani ePalermo. L’agrumicoltura occupa circa il 5% della superficie biolo-gica totale con 12.000 ettari e si estende per più di tre quarti del to-tale sulle provincie di Siracusa, Catania e Agrigento.Le superfici investite a frutta fresca biologica (senza contare l’uvada tavola e gli agrumi), occupano poco oltre 3.000 ettari, si trovanoin prevalenza nelle due province di Siracusa e di Catania, e dannoluogo a produzioni di mele, pesche, pere, ciliegie, che sono desti-nate in gran parte al mercato locale, più raramente all’esportazione.La frutta secca (mandorle, nocciole, pistacchi e noci) si estende suuna superficie di 6.645 ettari concentrati soprattutto sui Nebrodi,sulle Madonie e nel parco dell’Etna.

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La domanda di prodotti biologici,

qualche dato sui consumi

La situazione dei consumi di prodotti biologico, pur mostrando evi-denti segni di incremento non è ancora ad un livello soddisfacente.Sin dai primi anni di entrata in vigore del regolamento europeo sul-l’agricoltura biologica, il Reg. CEE 2092 del 1991, l’Italia si è posi-zionata come primo paese Europeo e terzo al mondo, per superficieinvestita e numero di operatori controllati, ma non altrettanto è suc-cesso per i consumi interni, tale situazione è perdurata sino a pochianni fa quando finalmente c’è stata un’inversione di tendenza cheha portato la domanda di prodotti da agricoltura biologica ad unacrescita costante confermata anche dai dati pubblicati dal SINAB inun rilevamento condotto da ISMEA con la società ACNielsen, sugliacquisti di prodotti biologici confezionati, nel 2007 e primo semestre2008. Un rilevamento che ha riguardato quindi il biologico nelle di-verse forme di punti vendita organizzati ad eccezione dei negozispecializzati, che dà comunque spunti di riflessione importanti.Nel 2007 la crescita dei consumi domestici di prodotto biologico èstata del 10,2%, confermando la tendenza registrata nel 2006. Nel2008 e nel 2009 questa tendenza è stata ulteriormente confermatada una ulteriore crescita tra l’8 e il 10%, risultando, nel compartoagroalimentare, l’unico settore che non ha registrato cali in un pe-riodo di crisi.Risultano in forte crescita come nel 2007, i prodotti per l’infanzia, in-sieme all’ortofrutta e alle bevande. Anche per questi ultimi due settori,

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in cui si rileva una crescita a due cifre, la destinazione prevalente è an-cora verso i bambini, infatti la domanda di prodotti sani è prevalente-mente indirizzata verso l’alimentazione della prima infanzia, dato chesostanzia la necessità di sicurezza alimentare e la paura di presenzadi residui delle sostanze chimiche utilizzate nel processo produttivo.Aumenti più contenuti per gli altri prodotti, ma che confermano il set-tore lattiero caseario sempre al primo posto con latte latticini e yogurt.

Trend dei primi 10 prodotti del comparto orticolo biologico

dati Ismea/ACNielsen

Prodotti Variazione % Peso % sul totale bio

2006/2007 del comparto

Pomodoro + 5.5 14.4

Zucchine + 23.3 8.0

Lattuga + 12.5 5.4

Patate + 24.5 5.4

Fagiolini + 19.7 5.2

Peperoni + 5.8 4.7

Altre insalate + 5.5 4.7

Melanzane + 10.6 4.2

Carciofi - 19.7 3.8

Finocchi + 6.9 3.6

In relazione alla suddivisione degli acquisti per area geografica, sirileva come il consumo domestico di prodotti bio confezionati nel2007 si è concentrato maggiormente, come negli anni passati, nelleregioni settentrionali del paese (Nord Ovest 43,5%, Nord Est 28,9%),mentre il Centro e la Sardegna (19,2%) e in particolare il Sud e la Si-cilia (8,5%) rivestono un peso minore. Dato legato al costume, al-l’organizzazione sociale e, non ultimo alla rete distributiva, che mettein evidenza l’importanza di creare piattaforme locali in queste aree.Per il comparto orticolo, mentre non ci sono dati approfonditi sulprodotto confezionato, il panel Ismea/ACNielsen, offre un monito-

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raggio del prodotto sfuso che conferma la concentrazione del con-sumatore su alcuni prodotti, prevalentemente primaverili estivi. Infattii primi dieci per incidenza coprono il 60% del consumo totale di or-taggi. Prevalgono i pomodori, con un peso sul totale degli ortaggibio di oltre il 14% e zucchine, e si rileva anche qui una tendenza dicrescita del 5.5% che nel 2008 e primo semestre 2009 raggiunge il18% con un effetto traino per tutto il settore.

Trend dei primi 10 prodotti del comparto frutticolo biologico

dati Ismea/ACNielsen

Prodotti Variazione % Peso % sul totale bio

2006/2007 del comparto

Arance + 7.4 13.1

Mele + 15.9 9.3

Banane + 12.2 8.5

Pere + 10.1 6.9

Pesche - 7.5 6.4

Uva + 5.8 5.8

Limoni + 22.6 4.3

Kiwi + 13.2 4.4

Meloni + 3.0 4.0

Ciliege - 12.6 3.7

Relativamente alla frutta i dati rilevano un andamento molto similecon una copertura dei primi 10 prodotti di oltre il 66% del consumototale. I primi prodotti sono le mele, con un incremento a due cifre,arance e banane del commercio equo e solidale. In incremento si-gnificativo i limoni, mentre si registra un andamento opposto per pe-sche e ciliegie, legato probabilmente al prezzo di vendita.I dati ora riportati confermano una situazione di crescita generaliz-zata della domanda dei prodotti biologici che si registra anche neipunti vendita convenzionali che hanno anche linee di prodotti bioma sono i settori della vendita diretta e della ristorazione collettiva

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delle mense scolastiche, i veri motori della crescita, per la “vici-nanza” di domanda e offerta che si esalta nel rapporto con chi vendee nell’organizzazione diretta di un settore dedicato, prevalentementeai bambini.Secondo i dati di Bio Bank, la vendita diretta è cresciuta nel primosemestre 2008 del 17% che porta a un + 92% in cinque anni.Un segnale chiaro che cresce l’attenzione verso i prodotti biologici,a cui i consumatori non vogliono rinunciare anche in periodi difficili,scegliendo quelle forme che garantiscono i prezzi migliori.Tra le forme più sviluppate lo spaccio aziendale, prima prerogativadelle aziende con agriturismo, oggi scelta commerciale che riguardanon solo le piccole aziende, per le quali la vendita diretta è diventatavitale ma anche le medie aziende. Rilevante anche la risposta dei con-sumatori all’organizzazione dell’offerta con la consegna a domicilio.

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Bio è certificato

Il sistema dei controlli in agricoltura biologicaIl biologico è un sistema di produzione agricola e agroalimentarecontrollato, disciplinato da norme comunitarie e nazionali che sta-biliscono sia le regole di produzione che i principi del sistema di con-trollo. Come più volte anticipato i prodotti dell’agricoltura biologicasono normati dal Reg (CE) 834/2007 (ex Reg. CE 2092/91) che pre-vede regole per la coltivazione, l’allevamento, l’utilizzo dei mezzi tec-nici necessari e l’etichettatura dei prodotti.I regolamenti comunitari che normano il sistema di controllo preve-dono che ogni Stato membro designi una o più autorità competentiresponsabili dei controlli. Le autorità competenti possono, a lorovolta, individuare strutture di controllo che devono offrire adeguategaranzie di oggettività e imparzialità e disporre di personale qualifi-cato. In Italia tale compito è stato attribuito a organismi di controllo(OdC) privati autorizzati, ai sensi del d.lgs n. 220/1995, dall’Ispetto-rato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodottiagroalimentari (ICQRF) del MIPAAF.Gli OdC, ai sensi del regolamento (CE) n. 834/2007, devono essereaccreditati alla norma UNI CEI EN 45011 dall’Ente nazionale di ac-creditamento degli organismi di certificazione, Accredia in Italia, adecorrere dal 1° gennaio 2009.

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La certificazione del prodottoL’operatore che intende commercializzare la propria produzionecome “biologica” deve comunicarlo ufficialmente all’autorità com-petente (MIPAAF/Regioni e Province autonome), scegliendo unodegli OdC autorizzati. L’OdC, ricevuta la comunicazione (notifica) daparte dell’operatore, deve effettuare una serie di controlli documen-tali e una prima visita ispettiva presso l’azienda al fine di verificare ilrispetto dei requisiti previsti dalle norme comunitarie e nazionali re-lative al biologico. Se la verifica iniziale dell’OdC ha esito positivo,l’operatore viene inserito nel sistema di controllo e ha la responsa-bilità e l’obbligo di rispettare quanto stabilito dalla normativa e didocumentare tutte le operazioni svolte in azienda, anche attraversola tenuta di appositi registri. L’OdC, quindi, con l’obiettivo di garan-tire sia gli operatori delle filiere biologiche sia i consumatori finalicirca la conformità del processo produttivo dei prodotti certificati,ha l’obbligo di verificare l’idoneità e il processo produttivo delle im-prese assoggettate al sistema di controllo, effettuando visite ispet-tive e verifiche documentali. Annualmente l’OdC redige e trasmetteal MIPAAF e alle Regioni e alle Province autonome il Piano dei con-trolli con il quale, attraverso un sistema di valutazione che prevedela stima dei possibili rischi di non conformità associati all’operatoree ai punti critici del processo produttivo, determina la frequenza e ilnumero di visite ispettive da effettuare sugli operatori. In ogni caso

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tutti gli operatori devono essere sottoposti ad almeno una visitaispettiva all’anno.Le attività svolte dagli OdC sono vigilate dal MIPAAF a livello statalee dalle Regioni e dalle Province autonome per le strutture situate nelterritorio di propria competenza. Con legge n. 296/06 le competenzestatali in materia di vigilanza sono state affidate al Dipartimento del-l’ICQRF (Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressionefrodi dei prodotti agroalimentari). In particolare, l’ICQRF svolge unruolo di tutela dei consumatori e di salvaguardia dei produttori da fe-nomeni di sleale concorrenza lungo tutta la filiera produttiva dei pro-dotti agroalimentari (trasformazione, magazzinaggio, trasporto,commercio, somministrazione e importazione degli alimenti e deimangimi), inclusi quelli biologici, effettuando controlli ufficiali, essen-zialmente di tipo merceologico, sulla qualità, genuinità e identità deiprodotti agroalimentari e dei mezzi tecnici di produzione agricola (se-menti, mangimi, fertilizzanti e fitosanitari). Inoltre, svolge attività diautorizzazione delle strutture pubbliche e private operanti nell’ambitodei regimi di produzioni agroalimentari di qualità regolamentata, com-preso quello biologico, esercita le funzioni statali di vigilanza sull’at-tività di controllo delle suddette strutture e ha il potere di emanaresanzioni amministrative pecuniarie in materia agricola e agroalimen-tare di competenza statale.Le Regioni e le Provincie autonome svolgono attività di vigilanzasugli OdC situati sul territorio di propria competenza. Operano adot-tando proprie procedure e linee di programmazione che tengonoconto sia del numero degli OdC presenti sul proprio territorio sia infunzione del numero di operatori biologici attivi. Tale attività è basatasu visite ispettive presso le sedi regionali degli OdC e su visite acampione presso gli operatori biologici.

L’etichettatura dei prodotti biologiciIl termine “biologico” nonché i rispettivi derivati e abbreviazioni “bio”e “eco”, possono essere utilizzati, singolarmente o in abbinamento,

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nell’etichettatura e nella pubblicità dei prodotti biologici che soddi-sfano le prescrizioni previste dalla legislazione europea. Per prodottitrasformati il riferimento “biologico” può essere riportato:• direttamente nella denominazione di vendita (ad es. pasta da agri-

coltura biologica), purché gli alimenti trasformati siano stati pro-dotti conformemente alla normativa e almeno il 95% in peso degliingredienti di origine agricola sia biologico;

• per prodotti con meno del 95 % di componenti “bio”, l’indicazionedell’origine biologica è consentita soltanto nell’elenco degli ingre-dienti. Deve essere comunque indicata la percentuale totale di in-gredienti biologici;

• nell’elenco degli ingredienti e nello stesso campo visivo della de-nominazione di vendita, purché:- il principale ingrediente sia un prodotto della caccia o della pesca;- contenga altri ingredienti di origine agricola che siano tutti bio-

logici;- gli ingredienti biologici utilizzati nella preparazione devono es-

sere separati nel tempo e nello spazio dagli alimenti non biolo-gici, non devono cioè essere contenuti insieme o provenire daun ingrediente non biologico. Non debbono inoltre contenereadditivi non autorizzati.

Se in etichetta è utilizzato il termine “biologico” o le relative abbre-viazioni/derivazioni sopra citate, deve comparire il numero di codicedell’organismo di controllo, il logo comunitario (per gli alimenti pre-confezionati, obbligatorio dal 1° luglio 2010) e deve essere riportatal’indicazione del luogo in cui sono state coltivate le materie primeagricole di cui il prodotto è composto:• Stato membro dove sono state ottenute tutte le materie prime,

ad esempio “Italia”;• Agricoltura UE quando la materia prima agricola è stata coltivata

nell’Unione Europea;• Agricoltura non UE quando la materia prima agricola è stata col-

tivata in Paesi terzi;

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• Agricoltura UE/non UE quando parte della materia prima agricolaè stata coltivata nella Comunità e/o in un Paese terzo).

Per quanto concerne il “codice” identificativo dell’organismo checontrolla il produttore ed il prodotto, esso compare in etichetta vicinoal logo comunitario, e deve essere costituito da una sigla identifica-tiva dello Stato membro, da un termine che rinvia al metodo di pro-duzione biologico e da un numero di riferimento stabilito dall’autoritàcompetente.Inoltre, in etichetta deve comparire il numero di codice dell’opera-tore, che ha prodotto o effettuato la preparazione più recente delprodotto biologico, numero che viene attribuito all’operatore dall’Or-ganismo di Controllo. Di seguito un esempio di etichetta, che è pos-sibile riscontrare nei prodotti da agricoltura biologica.

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Bio è fondi strutturali

Biologico e PSR regionaliL’agricoltura biologica riceve un notevole contributo allo sviluppo,oltre che dalla politica comunitaria e nazionale, anche dalla politica disvilup po rurale, che, a partire dal periodo 2000-2006, include la pro-grammazione delle misure agro ambientali, pri ma attuate in base alregolamento (CEE) n. 2078/92. In particolare, nell’attuale periodo diprogrammazione, il principale strumento di sostegno all’agricolturabiologi ca è la misura 214, pagamenti agro ambientali (art. 39, regola-mento (CE) n. 1698/2005), diretta a compensare i maggiori costi e iminori redditi determinati dall’adozio ne di pratiche e metodi di produ-zione agricola e zootec nica maggiormente sostenibili da un punto divista am bientale rispetto a standard definiti a livello comunitario e tal-volta nazionale o regionale (condizionalità). La strategia della politicadi sviluppo rurale a favore dell’agricoltura biologica di cia scuna re-gione, inoltre, può essere rafforzata attribuendo la priorità sia alleaziende e alle produzioni biologiche per l’accesso ai finanziamentidelle altre misure dei tre assi del PSR regionale, sia ai pacchetti azien-dali e ai pro getti integrati di filiera incentrati sul biologico e a quelli ter-ritoriali che coinvolgono specificamente gli operatori del settore nellastrategia di sviluppo locale. Se, da un lato, è relativamente agevoleattivare l’azione agricoltura biologica nell’ambito della 214, che,trattan dosi di una misura a premio, è anche in grado di raffor zare lacapacità di spesa delle Regioni, dall’altro, l’attua zione di una strategia

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integrata che ponga lo sviluppo dell’agricoltura biologica come obiet-tivo trasversale a tutto il PSR, in virtù del suo minore impatto negativosull’ambiente e delle sue presumibili ricadute socio ecomiche positive,è più difficile in termini di program mazione e gestione degli strumentida attivare e richiede una scelta molto forte, non sempre condivisadagli sta keholder. Un altro importante elemento che rafforza la stra-tegia a favore del biologico è il requisito, tra le condizioni di am -missibilità, secondo cui tutta la SAU aziendale deve es sere investitaa biologico per accedere ai finanziamenti. tale condizione è stata fis-sata da 11 regioni e una provin cia autonoma. La fissazione di tale re-quisito è importan te sia perché si assicura una maggiore superficiesotto impegno e, quindi, una maggiore efficacia dell’intervento dalpunto di vista ambientale, sia perché presuppone una scelta più ra-dicale, da parte dell’agricoltore beneficiario, riducendo le probabilitàche questi esca dal regime bio logico una volta terminato il sostegno.Quasi la metà dei PSR stabilisce, inoltre, che l’azione agricoltura bio-logica possa essere cumulata con spe cifiche azioni della 214 con ri-ferimento alla medesima superficie, fino al raggiungimento della sogliamassima fissata nel regolamento sul sostegno allo sviluppo rura le,pari a 600 euro/ha per le colture annuali e a 900 euro/ha per le coltureperenni specializzate. Le azioni cumu labili più ricorrenti sono quellerelative alla tutela delle razze autoctone in pericolo di estinzione e dellecultivar locali soggette a erosione genetica, in linea generale adeguateai metodi di coltivazione e allevamento biolo gici, consentendo, in que-sto modo, di erogare pagamen ti più elevati. Il criterio stabilito nel regolamento sul sostegno allo svi luppo ruraleper la determinazione del pagamento è la compensazione dei costiaggiuntivi e dei mancati reddi ti nel passaggio dall’agricoltura conven-zionale a quella biologica, a cui si può aggiungere una maggiorazioneal massimo del 20% per includere i costi di transazio ne connessi allapresentazione e alla gestione della do manda, all’assistenza per l’in-troduzione della tecnica e, eventualmente, alla tenuta dei registri.Tra tutte le regioni italiane, solo l’Emilia-Romagna e la Sicilia hannostabilito la valorizzazione o lo sviluppo dell’agricoltura biologica

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come priorità trasversale agli assi, mentre il PSR della Regione Lazioprevede in numerose misure una priorità per le aziende biologiche,accanto a quelle che realizzano prodotti a marchio DOP e IGP. Im-portante è la priorità attribuita nell’ambito della misura 132 (soste-gno agli agricoltori che partecipano ai sistemi di qualità alimentari),visto che la maggior parte dei PSR escludo no il costo della certifi-cazione e dei relativi controlli dal calcolo del livello di pagamentoper l’azione agricoltura biologica (misura 214). con riguardo alla mi-sura 112 (insediamento dei giovani agricoltori), invece, Emilia-Ro-magna e Molise attribui scono un punteggio maggiore all’agricolturabiologica rispetto alle produzioni con DOP e IGP nella valutazionedei piani di sviluppo aziendale ai fini della determina zione dell’im-porto del sostegno. È interessante rilevare, inoltre, come Emilia-Ro-magna, Lazio e Basilicata attri buiscano la priorità ai progetti integratidi filiera per il biologico. Sempre in tema di integrazione, diverse Re-gioni inclu dono anche le misure 132 e 133 (sostegno alle associa -zioni di produttori per attività di informazione e promo zione riguardoai prodotti che rientrano nei sistemi di qualità alimentare) nei progettiintegrati di filiera e nei pacchetti aziendali, in quanto si tratta di mi-sure dirette allo sviluppo dei sistemi di qualità, biologico, con deno -minazione di origine e di quelli eventualmente ricono sciuti dai singoliStati membri o dalle relative Regioni, mentre altre prevedono espli-citamente progetti inte grati per le filiere di qualità o pacchetti qualità.

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Bio è ricerca

L’agricoltura che guarda avantiLa ricerca è alla base di una qualsivoglia attività produttiva, quindianche l’agricoltura biologica si caratterizza per una molteplicità disoggetti (istituzioni promotrici e soggetti attuatori), atti di program-mazione e iniziative/strumenti di coordinamento. Le istituzioni cherivestono il ruolo più importante nella programmazione e nel finan-ziamento della ricerca nel settore dell’agricoltura e dei prodotti bio-logici sono rappresentate dall’Unione europea, da alcuni Ministeri edalle Regioni, nonché in misura decisamente minore da alcuni entiterritoriali (province, comunità montane, ecc.).A livello nazionale, il MIPAAF è il principale ente finanziatore della ri-cerca in agricoltura biologica, in virtù delle competenze ad esso as-segnate dalla norma istitutiva e da quelle successive diriorganizzazione, la più recente rappresentata dal DPR del22/07/2009, nonché grazie alle dotazioni finanziarie assegnate an-nualmente attraverso i diversi strumenti normativi. Anche il Ministerodell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR), oltre che coni finanziamenti ordinari alle università ed enti vigilati, può intervenirecon strumenti di finanziamento di progetti di ricerca applicata, qualiil FISR (Fondo integrativo speciale ricerca), il quale ha consentitol’attivazione di progetti cofinanziati su temi agricoli, incluso il settorebiologico. Infine, le Regioni finanziano ricerca nel settore coinvol-gendo essenzialmente le strutture di ricerca localizzate nei rispettivi

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territori. Tali soggetti, pur essendo attivi già dagli anni novanta nelcampo dei finanziamenti alla ricerca agricola, agroalimentare, am-bientale, per la pesca e l’acquacoltura, hanno acquisito un ruolospecifico in tale ambito soprattutto in seguito alla Legge costituzio-nale n. 3/2001 che ha modificato il Titolo V della parte seconda dellaCostituzione, assegnando anche alle Regioni la potestà legislativain materia.Gli enti di ricerca che realizzano ricerca in campo biologico sono,oltre alle università (con le facoltà di agraria, veterinaria e scienze bio-logiche nella maggioranza dei casi), gli enti vigilati dal MIPAA F (CRA,INRAN e INEA) e altri enti pubblici, quali CNR, ENEA, centri regionalio delle province autonome, consorzi di ricerca pubblici o privati.La gestione e realizzazione della ricerca in agricoltura biologica ri-specchia quella più generale della ricerca agricola, che, in Italia, ri-sulta diffusa e frammentata presso molte istituzioni e in svariateiniziative. L’esigenza di mettere a sistema le diverse azioni e di fornireconcreti strumenti di conoscenza e innovazione agli agricoltori hafavorito, perciò, la nascita di strumenti volontari di raccordo sulla ri-cerca, specifici per il settore biologico, quali RIRAB (Rete italianaper la ricerca in agricoltura biologica) o vari gruppi di interesse te-matico presso le università e gli enti di ricerca, oppure a caratterepiù generale e in forma istituzionale, come la Rete interregionale deireferenti della ricerca agricola (struttura riconosciuta nel 2001 dallaConferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome).

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Bio è sostenibile

Gli indicatori di sostenibilità2

Nella definizione di agricoltura biologica viene posta grande atten-zione agli aspetti ambientali, come dimostra il primo dei “conside-randa” del regolamento (CE) n. 834/2007: “La produzione biologicaè un sistema globale di gestione dell’azienda agricola e di pro-duzione agroalimentare basato sull’interazione tra le miglioripratiche ambientali, un alto livello di biodiversità, la salvaguar-dia delle risorse naturali, l’applicazione di criteri rigorosi in ma-teria di benessere degli animali e una produzione confacentealle preferenze di taluni consumatori per prodotti ottenuti consostanze e procedimenti naturali.” A livello normativo, la più at-tenta gestione delle risorse ambientali accordata al metodo biolo-gico si riduce, però, alle prescrizioni che restringono il ricorso agliinput di natura chimica e che escludono l’uso di OGM, senza alcunaindicazione per l’effettiva misurazione degli impatti. Questi possonoessere calcolati, pertanto, facendo ricorso agli indicatori agro-am-bientali disponibili in letteratura e classificati secondo le diversecomponenti ambientali: suolo, acqua, aria, cambiamenti climatici,biodiversità. Sebbene siano ormai numerosi gli studi sul confrontotra l’impatto ambientale del metodo biologico rispetto a quello del-

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2 Dati SPA 2007

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l’agricoltura convenzionale, non sono ancora disponibili risultati va-lidi per tutto il territorio nazionale.La sostanziale carenza di dati utili all’implementazione a livello na-zionale o regionale di indicatori agro-ambientali specifici per l’agri-coltura biologica può essere parzialmente superata ricorrendo aindicatori più generali, con funzione di proxy della performance am-bientale. In particolare, la scelta degli indicatori allo scopo utilizzatiè stata basata sui criteri di semplicità, sinteticità, attendibilità del-l’informazione, numerosità del campione e, ovviamente, di disponi-bilità dei dati.Le elaborazioni sono state condotte a partire dall’Indagine sullastruttura e le produzioni delle aziende agricole (SPA) per il 2007, acura dell’ISTAT. Il valore degli indicatori è stato stimato sia per l’agri-coltura biologica che per quella convenzionale, in modo da consen-tire un confronto fra i differenti metodi di produzione agricola. Inoltre,i risultati sono stati disaggregati anche a livello di circoscrizioni(Nord-Ovest, Nord-Est, Centro, Sud, Isole), permettendo così di in-dividuare le differenze esistenti a livello territoriale. Il primo indicatoreè relativo al Carico di bestiame e riguarda principalmente la poten-ziale pressione ambientale dell’attività zootecnica. Il secondo, in-vece, fornisce indicazioni sul contributo dell’attività agricola allatutela della biodiversità. Esso misura la Biodiversità coltivata all’in-terno delle aziende agricole ed esprime la distanza dal modello diproduzione basato sulla monocoltura. L’indicatore si riferisce alla di-versità tra le specie, che rappresenta uno dei tre livelli di indaginedella biodiversità, insieme alla diversità genetica e alla diversità degliecosistemi, strettamente dipendenti l’uno dall’altro Il quadro com-plessivo dell’analisi conferma l’ipotesi secondo cui l’agricoltura bio-logica avrebbe un ridotto impatto ambientale, relativamente agliaspetti presi in considerazione dai due indicatori proposti, rispettoagli altri metodi di produzione agricola. Tale risultato viene confer-mato a livello sia nazionale che territoriale, sebbene esistano diffe-renze, anche considerevoli, tra le diverse circoscrizioni prese inesame.

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Carico di bestiameQuesto indicatore fornisce informazioni sulla potenziale pressione degliallevamenti su tre principali componenti ambientali: il suolo, sulla cuiqualità incide l’eccessivo calpestio e l’eccesso di effluenti zootecnici;l’acqua, dove si riversano gli effluenti e il percolato prodotto dagli alle-vamenti; l’atmosfera, infine, poiché le emissioni di gas serra dipendonoanche dalla fermentazione enterica e dalla gestione delle deiezioni ani-mali. A questo proposito, ad esempio, l’IPCC (Intergovernmental Panelon Climate Change) stima che il 5,1% delle emissioni mondiali di ori-gine antropica dipenda proprio dalle attività zootecniche. Il carico dibestiame è misurato come rapporto tra le UBA e la SAU foraggera edesprime la densità di capi rispetto alla superficie agricola. Data la sceltadella SAU foraggera, tale indicatore risulta significativo per tutte quellecategorie di allevamento che fanno utilizzo di pascoli e foraggio, percui il carico di bestiame così espresso può essere ritenuto valido pergli erbivori (bovini, bufalini, equini, ovini e caprini). Diversamente, seconsideriamo singolarmente suini, avicoli e cunicoli, tendenzialmenteallevati in spazi ridotti, l’indicatore perde di significatività. Nel calcolo,per evitare distorsioni, sono state considerate esclusivamente leaziende zootecniche. Più è alto il valore assunto dall’indicatore, mag-giore è la pressione esercitata sull’ambiente.A livello nazionale e di intero patrimonio zootecnico, l’impatto degliallevamenti biologici in termini di carico di bestiame è del 67% infe-riore rispetto a quelli non biologici. In tutte le circoscrizioni la presta-zione ambientale del biologico risulta migliore, sebbene si registrinodivari anche sensibili tra le diverse circoscrizioni. Il carico di bestiamedegli allevamenti non biologici oscilla da un massimo di 5,73 UBA/hanel Nord-Est a un minimo di 1,11 nelle Isole. Il biologico, invece, rag-giunge il punto di picco più elevato nel Nord-Ovest (4,92) mentre re-gistra il valore minimo nelle isole (0,64).In generale, la zootecnia delle regioni del Nord appare di natura piùintensiva che nel resto del paese, con valori che superano di moltoquelli nazionali. In queste circoscrizioni il divario tra biologico e con-venzionale si assottiglia e il carico di bestiame supera per entrambi

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il valore medio nazionale registrato per il non biologico (3,34). Ciò si-gnifica che, a prescindere dal metodo di produzione utilizzato, l’im-patto ambientale dell’allevamento dell’Italia settentrionale risultaassai maggiore che nel resto del paese. Inoltre, secondo quanto ri-levato dall’ISTAT, negli ultimi anni si starebbe affermando, da un lato,un sistema di allevamento che privilegia le grandi aziende, almenoper quanto riguarda bovini e suini e, dall’altro, una tendenza all’in-cremento del numero medio di capi per azienda, che passa, adesempio per le aziende con oltre 100 bovini, da 49 capi per aziendanel 1995, a 59,6 nel 2007. La tendenza sembra, quindi, procedereverso una maggiore pressione ambientale della zootecnia, per atte-nuare la quale potrebbe essere rilevante il contributo del metodo bio-logico. Analizzando il carico di bestiame dei soli erbivori si osservauna maggiore omogeneità della scala dei valori, che passano da unmassimo di 2,70 per il non biologico ad un minimo di 0,63 per il bio-logico. In questo caso, il carico di bestiame della zootecnia biologicaa livello nazionale risulta inferiore del 63% rispetto a quello del nonbiologico. Ancora una volta i valori più elevati sono quelli assunti dalleregioni settentrionali, sebbene anche il Sud mostri valori leggermentesuperiori alla media nazionale per quanto riguarda il non biologico.Se si scende nel dettaglio delle singole specie di erbivori, in generalela tendenza sin qui descritta viene confermata. Per i bovini, ad esem-pio, il carico di bestiame a livello nazionale è pari a 2,04 per il nonbiologico contro 0,62 per il biologico. Gli ovi-caprini mostrano, co-m’era ragionevolmente intuibile, valori assoluti di carico di bestiameassai più contenuti rispetto a quelli degli altri erbivori, che non supe-rano mai l’unità. Per gli ovini il biologico fa registrare un carico di be-stiame pari a 0,36 contro lo 0,58 del non biologico. È interessantesottolineare come nella circoscrizione del Nord-Est, sempre relativa-mente agli ovini, il non biologico (0,35) assuma valori leggermentemigliori di quelli del biologico (0,48). Si tratta dell’unica eccezione al-l’andamento sin qui delineato, assieme a quella, seppur minima, in-dividuata per i caprini nelle regioni del Nord-Ovest, dove il carico dibestiame del non biologico è pari a 0,12 contro lo 0,13 del biologico.

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Biodiversità coltivataL’agricoltura biologica sul territorio della nostra penisola presenta inmedia 3,82 colture per azienda, vale a dire il 64% di colture in più ri-spetto al non biologico (2,33), oscillando da un minimo di 3,61 a unmassimo di 4,6. Il non biologico, invece, è compreso all’interno diun intervallo che va da poco più di 2 colture nelle Isole a 2,65 al Cen-tro. A livello di circoscrizione, le migliori performance sono quelleche si registrano nel Nord-Ovest per il biologico (4,6 colture perazienda) e nel Centro per il convenzionale (2,65). La situazione peg-giore per entrambe le tecniche considerate è quella relativa alle Isole.Il quadro descritto, da un punto di vista più generale, si presentaprivo di grandi differenze tra le diverse circoscrizioni e mette in luceuna minore tendenza alla monocoltura per le aziende biologiche delnostro paese. Ad esempio, secondo stime OCSE, le varietà regi-strate e certificate per il mercato nel periodo 1990-2002 in Italia sa-rebbero diminuite in numero assoluto per le oleaginose e le pianteda tubero, mentre per tutti gli altri tipi di colture, sebbene con inten-sità diverse, sarebbe aumentata. Per avere un’idea delle relazioniche intercorrono tra biodiversità genetica e attività agricola (distin-guendo tra metodo biologico e non), sarebbe interessante disporredei dati necessari per implementare altri indicatori utilizzati a livelloOCSE, quali ad esempio la percentuale delle principali varietà colti-vate/razze allevate rispetto al totale della produzione per specie, ilnumero delle varietà/razze minacciate o a rischio di estinzione, il nu-mero di varietà/razze registrate o certificate per il mercato per spe-cie. In base ai due indicatori proposti è emerso che l’agricolturabiologica mostra, in tutte le circoscrizioni, una migliore performanceambientale rispetto a quella dell’agricoltura convenzionale. Questorisultato, piuttosto controverso in letteratura, andrebbe rafforzato at-traverso l’utilizzo di altri indicatori che prendano in considerazioneanche altre componenti ambientali.

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L’agricoltura sociale e il biologicoIl ruolo sociale dell’agricoltura è indubbio e sostanziale, la stessacostituzione italiana ne riconosce il ruolo strategico (art. 44). Il biso-gno di una dimensione sociale del lavoro e il senso di precarietà dif-fusa che caratterizza il primo secolo di questo terzo millennio, hafavorito la nascita di un concetto organizzato, quasi professionaliz-zato di agricoltura rivolta al sociale. Nasce l’agricoltura sociale.Per Agricoltura sociale si intende l’insieme di quelle attività, espe-rienze, programmi ed interventi, nei quali vengono condotte attivitàagricole, di coltivazione, di allevamento o di trasformazione di prodottiagroalimentari, che coinvolgono attivamente fasce deboli della popo-lazione favorendo i percorsi e i processi di integrazione sociale agendopositivamente sul livello individuale di autostima dei soggetti coinvolti.Uno dei cardini del biologico, peraltro è quello di rimettere l’uomo alcentro del processo produttivo:“L’agricoltura biologica rimette infatti al centro delle scelte aziendaliil produttore/contadino, cui è affidata la gestione del territorio, com-pito che esalta il ruolo di utilità sociale dell’azienda agricola e integraquello di operatore economico. Un operatore che deve percepire ungiusto reddito ed ottenere il riconoscimento, attribuito dalla colletti-

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3 Dati forniti da AIAB

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vità, per un’attività che ha un forte legame positivo con il territorio eche rispetta i ritmi e i tempi della natura e dell’uomo. Da qui il concetto di qualità del lavoro giusto. Concetti che nel-l’azienda agricola biologica vengono sviluppati e difesi. Fenomenicome sfruttamento e “alienazione” non possono e non debbono tro-vare casa nell’azienda biologica, dove il rispetto della personaumana e delle prerogative e regole del lavoro debbono rimanereprioritarie. Nell’azienda biologica, rimettere al centro l’uomo significadare a chiunque lavori la terra, piena responsabilità rispetto all’atti-vità che sta svolgendo; il processo tecnologico/produttivo è solo fi-glio delle scelte fatte in azienda e non deve dipendere dai“pacchetti” tecnologici che devono essere applicati. Per l’agricolturabiologia, è il sapere al centro del processo produttivo. È proprio que-sto l’elemento fondamentale per la costruzione di un propria auto-stima, base di qualsiasi percorso di inserimento. Peraltro, il metododell’agricoltura biologica permette, anche a chi in difficoltà, di lavo-rare in tutta sicurezza. L’uso di sostanze naturali e a tossicità ridottaper la difesa delle colture rende l’azienda biologica anche un luogosicuro, e dove la propria soggettività può esprimersi liberamente,trovando spesso nel rapporto con animali un proprio equilibrio inte-riore. L’azienda biologica è quindi già impostata per essere un luogodove la produzione agroalimentare è sempre associata alla fornituradi servizi alla collettività rendendola il luogo più appropriato per l’in-serimento di persone in difficoltà che hanno bisogno di una polie-dricità di obiettivi per poter dar spazio alle loro esigenze diespressione. Non sono ormai rari i casi in cui l’Agricoltura Biologicaè entrata in relazione con i Servizi sociali, vede riconosciuto questoruolo e opera attivamente all’interno del welfare di prossimità. Illuogo di questa collaborazione è la bio fattoria sociale di cui unaefficiente rete nazionale e regionale orienta le attività. Qualità del la-voro in agricoltura significa anche rimettere in discussione il rapportofra ambiente rurale ed urbano, ri-valorizzare l’ambiente rurale comeelemento qualificante del tessuto sociale cittadino, come luogo diintegrazione e fornitore di servizi a tutta la collettività.

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L’agricoltura sociale nel nostro PaeseDa diversi anni si assiste, in Italia e altri paesi europei, a una crescitadi aziende agricole che, nel contesto della multifunzionalità, prati-cano attività di agricoltura sociale (AS). Pur non essendo ancora co-dificata, l’AS attiene a tutte quelle pratiche che utilizzano le attivitàagricole e il contesto rurale per generare benefici inclusivi e promuo-vere l’inserimento socio-lavorativo di soggetti svantaggiati a bassopotere contrattuale e a rischio di emarginazione (l.381/91).Lo spettro delle pratiche di AS è ampio e persegue diverse finalità:percorsi di riabilitazione e cura per persone con disabilità psico-fisicaattraverso attività terapeutiche o di co-terapia (ortoterapia, pet-the-rapy, onoterapia), svolte in collaborazione con i servizi socio-sanitaridel territorio; formazione e inserimento lavorativo di soggetti svantag-giati; attività “rigenerative”, didattiche e di accoglienza per personecon particolari esigenze (anziani, minori e giovani in difficoltà o a ri-schio di devianza, rifugiati, ecc.). Il fenomeno è andato crescendo incorrispondenza di due fattori concomitanti: da un lato, la crisi del wel-fare-state a seguito della crisi economica e finanziaria; dall’altro, lacrisi dell’agricoltura “industriale” e la necessità di affermare un mo-dello di impresa agricola diversificata e multifunzionale. L’AS inter-viene sui nuovi bisogni sociali, di protezione e di servizi alla personaprovenienti dalle aree rurali e da quelle urbane e sui processi organiz-zativi e di innovazione del mondo agricolo. Sull’entità del fenomenonon esistono dati statistici ufficiali; tuttavia, l’esperienza empirica e di-verse fonti, italiane ed europee, registrano alcuni tratti comuni delleaziende agri-sociali come la conduzione agricola estensiva e ad altoimpiego di manodopera, l’utilizzo del metodo di produzione biologica,il ricorso a canali di vendita di filiera corta, la propensione a lavorarein rete in stretto rapporto con il territorio. Il rapporto tra agricoltura so-ciale e agricoltura biologica è molto stretto, non solo per il contestodi maggiore sicurezza e livelli di benessere che l’agricoltura biologicaoffre agli operatori, ma anche e soprattutto per la condivisione di mo-tivazioni etiche e ambientali. Entrambe perseguono la difesa dei benicomuni e l’affermazione del valore sociale dell’agricoltura eco-soste-

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nibile. Tutte e due, peraltro, rappresentano i segmenti più dinamici einnovativi del settore primario a fronte della crisi che lo investe da annisul piano del reddito, del numero delle imprese e degli addetti.

I principali tratti distintivi delle fattorie bio-socialiNel 2010, l’indagine ha rilevato 221 aziende bio sociali, con una cre-scita considerevole rispetto alla precedente mappatura realizzatadall’AIAB nel 2007, che ne individuò 107. A determinare questo datopotrebbe aver influito anche il fenomeno dell’emersione rispetto allaprecedente rilevazione. Tuttavia, il trend positivo è testimoniato dalfatto che ben il 33% del totale delle realtà censite è sorto nell’ultimoquinquennio (2005-2010), come rilevato da una analisi più detta-gliata svolta su un campione di 36 aziende. La conferma viene ancheda una specifica indagine di AIAB Lombardia da cui emerge che 5aziende su 21 hanno iniziato la loro attività sociale nel 2010. Perquanto riguarda la dislocazione territoriale si registra una maggioreincidenza al Nord rispetto al Centro e al Sud.A livello regionale il primato è del Lazio con 29 fattorie bio sociali,seguita da Toscana e Sicilia, entrambe con 25, da Emilia-Romagna(23), Lombardia (21) e Veneto (19).Relativamente alla forma giuridica delle imprese si regista il primatodella cooperazione sociale che rappresenta il 57,4% del totale del campione, mentre l’imprenditoria agricola privata costituisce il28,7%, seguita da Onlus, associazioni varie, associazioni di promo-zione sociale (i terzo settore) con il 9,8% e cooperative agricole(4,2%). Sul totale censito, il settore agricolo (privato e cooperativo)rappresenta, quindi, il 32,9%, mentre l’incidenza percentuale dellacooperazione sociale e del Terzo settore (Onlus, Associazioni varie)ammonta al 67,2%. Rispetto al 2007, pertanto, cresce l’incidenzadel settore agricolo che passa dal 24,3% del 2007 a circa un terzonel 2010. Questo dato è particolarmente significativo e dimostra uninteresse crescente dell’imprenditoria agricola verso questo tipo diattività.

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Le attività produttive agricole e i servizi offertiLa gran parte delle fattorie censite è caratterizzata da una notevolediversificazione produttiva, realizzando una molteplicità di produ-zioni vegetali e animali e la trasformazione dei prodotti. Tra le attivitàagricole più della metà svolge attività di coltivazione, il 4% di alle-vamento, mentre il 38% si dedica sia alla coltivazione che all’alle-vamento. Tra le produzioni vegetali prevale l’ortofrutta, l’olio e icereali, mentre tra quelle zootecniche prevalgono gli allevamenti dianimali di taglia piccola: avicoli (22,2%) e ovicaprini (15,2%). Anchela produzione da apicoltura è discretamente rilevante, con il 21,1%.È interessante notare che una quota rilevante di fattorie (45%) svolgeanche attività di trasformazione e che la maggioranza (54%) svolgeanche attività connesse: il 43,4% delle realtà censite è anche fattoriadidattica, il 27% esercita attività di agriturismo e il 20% di ristora-zione; infine, una minima parte svolge turismo sociale (7,8%); è in-vece quasi inesistente l’attività di nido-asilo (1%).Per quanto riguarda i soggetti svantaggiati la ricerca evidenzia chela maggioranza delle fattorie (75% del campione) accoglie personecon diversi tipi di difficoltà. In particolare, pur considerando che lefattorie sociali intervistate hanno fornito più risposte, si evince cheil 32,2% delle realtà lavora con persone con disabilità mentale, il18,8% con disabilità fisica, il 17,2% accoglie persone con dipen-denza (10,7% tossicodipendenti e 6,5% alcol dipendenti) e il 9,3%minori e giovani a rischio. Per quanto riguarda la percentuale, piut-tosto significativa, di aziende (12,5%) che lavorano con detenuti edex detenuti, occorre considerare che su questo dato incide il numerodelle cooperative sociali che da alcuni anni operano all’interno degliistituti penitenziari, in base a una apposita legge che consente a im-prese esterne di operare all’interno degli istituti. A tale proposito sievidenzia che la pratica dell’agricoltura biologica risulta particolar-mente efficace anche ai fini riabilitativi di persone sottoposte a mi-sure penali, alle quali offre valide opportunità di riabilitazione e direinserimento socio-lavorativo utile anche per il fine pena. Le fattoriesociali offrono ai soggetti accolti una molteplicità di servizi che

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vanno dalla co-terapia alla formazione, dall’inserimento lavorativoalle varie forme di accoglienza residenziali e non. Nel complesso,una quota del 30% circa delle fattorie sociali offre inserimento lavo-rativo; una quota leggermente inferiore offre servizi di co-terapia edi formazione.Le attività in cui le aziende coinvolgono i diversi soggetti sono mol-teplici e vengono svolte in forma combinata. Prevale l’attività di col-tivazione e allevamento, segue l’attività di laboratorio e l’ortoterapia;degna di rilevanza anche la pet-therapy.

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Bio è biodiversità

Binomio vincenteBiodiversità è una parola che racchiude in sé un significato im-menso, infatti con essa è possibile comprendere tutte le forme divita: specie di animali, piante, funghi e batteri. Inoltre, vengono indi-cati i differenti habitat in cui vivono le specie, ecosistemi come ilbosco o le acque, nonché la diversità genetica all’interno delle spe-cie stesse: le sottospecie, le varietà e le razze.In definitiva la biodiversità è la vita esistente sulla terra in tutta la suadiversità. Rappresenta quindi la base e il potenziale di tutti i processivitali e le prestazioni degli ecosistemi sul nostro pianeta. La biodi-versità è il risultato di milioni di anni di evoluzione sotto l’influssodelle forme secolari di utilizzazione umana (attività di raccolta, dis-sodamenti, agricoltura, insediamenti ecc.).La biodiversità è la premessa per uno sviluppo sano e naturale ditutti gli esseri viventi e gli ecosistemi. È, inoltre, il patrimonio naturaleche lasciamo in eredità alle generazioni future, nei confronti dellequali la nostra società ha una responsabilità etica e morale.La biodiversità è un’assicurazione, infatti, il numero di specie a livellomondiale, stimato a 10-20 milioni, la loro variabilità genetica e il nu-mero quasi inclassificabile di biocenosi e interazioni differenti per-mette di adattarsi a un ampio ventaglio di condizioni ambientali.

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Il 2010 è stato l’anno mondiale della biodiversitàDa 100 a 1000 volte più veloce del normale. È il ritmo con cui la terrasta perdendo il suo patrimonio di diversità di specie animali e vegetali,secondo i dati divulgati in occasione della chiusura del Countdown2010, la campagna dell’IUCN (l’Unione Internazionale per la Conser-vazione della Natura) per arrestare l’estinzione delle specie e frenarela perdita di biodiversità. Il 2010, infatti, dichiarato Anno Internazionaledella Biodiversità, doveva essere l’anno decisivo per verificare l’effica-cia delle politiche di conservazione messe in atto a livello globale e siè invece chiuso con un altro bilancio negativo. La perdita di biodiversitànon si è arrestata e prosegue a ritmi allarmanti. Non intervenire subitopotrebbe costarci molto anche in termini puramente economici: se nonsi porrà un freno ai cambiamenti climatici, infatti, entro il 2050 la perditadi biodiversità sarebbe pari al 7% del PIL globale. Secondo la FAO,inoltre, il 60% degli ecosistemi mondiali sono ormai degradati o utiliz-zati secondo modalità non sostenibili, il 75% degli stock ittici sonotroppo sfruttati o impoveriti in modo eccessivo e dal 1990 abbiamoassistito alla perdita di circa il 75 % della diversità genetica delle coltureagricole a livello mondiale. Inoltre, il 20% delle barriere coralline tropi-cali è già scomparso a causa dei cambiamenti climatici e il 95% diquelle restanti rischia di scomparire entro il 2050. La situazione non èmigliore in Europa, dove soltanto il 17% delle specie e degli habitat el’11% degli ecosistemi principali protetti dalla legislazione sono inbuone condizioni, mentre il 25% circa delle specie animali, inclusimammiferi, anfibi, rettili, uccelli e farfalle sono a rischio di estinzione.Dal 1990, ad esempio, il numero delle specie comuni di uccelli è dimi-nuito di circa il 10%, raggiungendo il 15 e il 20% in meno per gli uccellicomuni dei terreni agricoli e le specie comuni che abitano i boschi.

La situazione italianaL’Italia, grazie alla notevole varietà di zone climatiche e paesaggi dif-ferenti, conserva circa un terzo della biodiversità attualmente pre-sente in Europa: circa 58.000 specie, di cui 55.000 invertebrati,

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1.812 protozoi e 1.258 vertebrati. Inoltre, il nostro paese ospita circala metà delle specie vegetali presenti nel territorio europeo: circa6.711 specie. Anche la flora biologica italiana, comprendente muschie licheni, è una delle più ricche d’Europa con 1.130 specie, di cui851 muschi e 279 licheni. Un patrimonio però gravemente minac-ciato: la metà dei vertebrati presenti in tutto il territorio è a rischio diestinzione, così come un quarto degli uccelli e oltre il 40% dei pescidei fiumi e dei laghi. Ma la situazione più critica è quella degli anfibi,dove la percentuale di specie endemiche minacciate sale a oltre il66%. Quanto alla flora sono in pericolo 1.020 specie vegetali supe-riori - circa il 15% del totale – e, tra le piante inferiori, il 40% dellealghe, licheni, muschi, felci.

Foreste e mari: i grandi malatiNel decennio 1990-2010 la perdita delle foreste è leggermente ral-lentata, ancora ogni anno vanno perduti tra 11 e 15 milioni di ettari acausa di deforestazione, cambiamenti climatici, incendi, conversionedella foresta in piantagioni industriali o pascoli, sfruttamento mine-rario o petrolifero e costruzione di strade o altre infrastrutture. Negliultimi 20 anni solamente in Italia a causa degli incendi sono andatidistrutti oltre 1.100.000 ettari di superficie boschiva, più o menol’estensione dell’Abruzzo. Se le foreste sono gravemente minacciate,i mari non stanno meglio. Secondo un Report presentato lo scorsoottobre dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP),senza un significativo intervento di conservazione la diversità biolo-gica marina andrà deteriorandosi nei prossimi 20 anni con gravi con-seguenze per tutte le nazioni costiere. Lo studio evidenzia l’urgentenecessità di affrontare i rischi derivanti dalle attività di pesca, dall’au-mento dei traffici marini (la cui crescita media annua è di circa il 9-10%), dai cambiamenti climatici e dall’acidificazione dei mari. Datipreoccupanti emergono anche per il Mar Mediterraneo dal ReportCensus of Marine Life secondo il quale oltre ad essere tra i mari piùricchi di biodiversità (è secondo solo ai mari del Giappone e dell’Au-

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stralia) con oltre 17.000 specie riscontrate, è anche quello più a ri-schio di perdere il suo patrimonio perché circondato da coste den-samente popolate e massicciamente coltivate e industrializzate.Inoltre, il Mediterraneo è anche la regione con il maggior numero dispecie invasive: 637, il 4% di tutte quelle che abitano il bacino, oltread essere la parte del mondo con più rotte marine commerciali.

Le strategie per il futuroPer il futuro l’impegno internazionale è arrivato dall’ultimo summitdelle Nazioni Unite svoltosi in Giappone, a Nagoya, nell’ottobre2010, nel quale i 193 Paesi aderenti alla CBD (Convenzione sulla Di-versità Biologica) hanno fatto il punto della situazione e sottoscrittola strategia per i prossimi anni. Nell’accordo raggiunto sono indicativenti target principali organizzati in cinque obiettivi strategici che mi-rano a evidenziare le cause che determinano la perdita di biodiver-sità, a ridurre le pressioni esercitate sulla biodiversità, a tutelare labiodiversità a tutti i livelli, ad aumentare i benefici derivanti e a so-stenere lo sviluppo delle competenze e delle capacità. Con questiobiettivi le parti hanno concordato almeno di dimezzare e, ove pos-sibile, di portare vicino allo zero il tasso di perdita degli habitat na-turali, comprese le foreste, di proteggere il 17% delle aree terrestrie delle acque interne e il 10% delle aree marine e costiere, di ripri-stinare almeno il 15% delle aree degradate e di compiere ulteriorisforzi per ridurre le pressioni subite dalle barriere coralline. Il Proto-collo di Nagoya dovrebbe entrare in vigore nel 2012 con un sostegnofinanziario di un milione di dollari fornito dal Global Environment Fa-cility e già da molti considerato insufficiente per raggiungere gliobiettivi. Anche l’Europa ha fatto la sua parte approvando recente-mente una nuova strategia, che andrà a coprire il periodo fino al2020 e che si concentra in particolare su sei obiettivi prioritari conle relative misure d’attuazione: attuare la normativa dell’UE sulla pro-tezione degli uccelli e degli habitat; preservare e migliorare gli eco-sistemi, ripristinando almeno il 15% delle aree danneggiate; ricorrere

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al settore agricolo e forestale per migliorare la biodiversità; assicu-rare l’uso sostenibile della pesca riducendo le catture ai limiti deter-minati scientificamente entro il 2015; contrastare le specie esoticheche invadono gli habitat e che oggi minacciano il 22% delle specieindigene dell’UE; intensificare l’azione dell’UE per scongiurare la per-dita di biodiversità a livello mondiale.La biodiversità è quindi un valore aggiunto di importanza strategicaper il territorio e per le contaminazioni che il biologico vi determina.Uno degli elementi fondativi dell’applicazione del metodo biologicoè sicuramente quello di valorizzare le razze le varietà e gli ecotipi lo-cali. Questi infatti rappresentano in genere la migliore soluzione diadattamento delle colture e delle popolazioni zootecniche al territo-rio e alle sue peculiarità. La Sicilia, cuore del mediterraneo meridio-nale è nel suo complesso un enorme, immenso giacimento dibiodiversità, naturale e coltivata. Ciò è dovuto a due motivi fonda-mentali. Il primo connesso alla elevata variabilità orografica e pedo-climatica dell’Isola mediterranea, il secondo alla stratificazionestorico culturale di cui questa terra meravigliosa è straordinario pal-coscenico. Per questo motivo, negli ultimi anni si è riscontrato l’in-teresse dei decisori istituzionali verso il sostegno tutte le forme diaiuto diretto e indiretto alla biodiversità coltivata, prevedendo incen-tivi e sostegno economico alle aziende che allevano o coltivanorazze, specie e varietà a rischio di estinzione o di abbandono.

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Bio è ristorazione

A tavola con il biologico“Come e cosa mangiare è una delle più importanti decisioni quoti-diane”, la cucina può anche essere il mezzo più efficace per veico-lare valori culturali, tra tutti quelli collegati alle produzioni biologichee del commercio equo e solidale. Mangiare è infatti un passaggioobbligato nella quotidianità domestica che ci rimanda, anche nostromalgrado, al rapporto con il cibo e con la terra che lo ha generato.Esiste la cucina bio, ma ancora più importante è la sensibilità diquanti indossando il “toque blanche” per lavorare i prodotti biologici,si soffermano a reinterpretare i piatti della già ricchissima tradizioneculinaria e più che inventare nuove ricette si sperimentano nel rap-porto con gli ingredienti per approfondire le tecniche di cottura e “ri-spettare” al meglio gli alimenti sia in fase di preparazione che diconservazione – uso del vapore, delle basse temperature, del sot-tovuoto etc.

La magia degli ingredientiSecondo i risultati di un recente progetto: Qlif (sigla che sta per “Mi-glioramento della qualità e della sicurezza e riduzione dei costi nellafiliera del biologico e dell’agricoltura a basso impatto”) promossodalla Commissione europea e durato ben 5 anni (www.qlif.org),“Esperimenti in diverse parti d’Europa provano che la qualità degli

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alimenti vegetali e animali provenienti dall’agricoltura biologica dif-ferisce considerevolmente da quella dei cibi convenzionali. Gli ali-menti biologici contengono quantità più elevate di compostinutrizionali desiderati (per esempio vitamine, antiossidanti, acidigrassi polinsaturi) e quantità inferiori di composti indesiderati comemetalli pesanti, micotossine, residui di pesticidi”.Ma il rapporto tra agricoltura biologica e salute non è legato soloalla presenza di specifiche qualità salutistiche, non sempre ancoradimostrate scientificamente, ma anche alla sicurezza e alla molto ri-dotta contaminazione da fitofarmaci. Sebbene sia vietato l’uso diquesti prodotti in agricoltura biologica infatti, è possibile trovare al-cune tracce dovute all’inquinamento diffuso nel suolo, nelle acquee nell’aria.Ritorna anche nella considerazione dei rischi da contaminazione lamancanza dell’approccio sistemico nell’agricoltura industriale. Il ri-schio della contaminazione da fitofarmaci, infatti non risiede tantonella quantità di residui di una singola sostanza, che generalmenteè entro i limiti stabiliti dalla legge, ma dalla combinazione di più so-stanze contaminanti presenti contemporaneamente nel nostro or-ganismo che possono essere contenute in un prodotto o in prodottidiversi.

Il biologico in cucinaL’agricoltura biologica, infine, è in grado di promuovere una dieta le-gata alla stagionalità dei prodotti locali e al consumo di prodottimeno trasformati e confezionati, favorendo anche la tutela della cu-cina tradizionale dei diversi territori. Dunque non diventeremo piùsani solo mangiando biologico, ma l’agricoltura biologica, basatasul ciclo naturale dei nutrienti permette di assumere le sostanze piùadatte alle diverse stagioni, favorendo una dieta sana ed equilibrataattraverso il consumo dei prodotti freschi, locali e di stagione. Laqualità dei cibi biologici deriva da un sistema di produzione che con-sidera a livello complessivo l’impatto del processo di produzione

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sulla salute, come combinazione di diversi elementi presenti nellescelte quotidiane dei consumatori, quali l’equilibrio tra quantità, qua-lità, prezzo, tradizione, igiene e gusto.Se i prodotti biologici sono l’esercizio cosciente di un ripetuto attodi amore verso la terra, la cucina bio deve valorizzarne al massimole sue qualità con “amorevoli carezze”, affinché oltre al palato gioi-sca anche l’anima e l’ambiente.

La ristorazione collettivaPer ristorazione collettiva si intende la preparazione di pasti in grandiquantità consumati fuori dalle mura domestiche e comprende le se-guenti tipologie principali:• Ristorazione Scolastica e universitaria;• Ristorazione Aziendale;• Ristorazione Socio-Sanitaria;• Self-service e Bar;• Ristorazione nel circuito della sicurezza e della difesa.Lo sviluppo sociale ed economico che interessa l’Italia e l’Europa,porta sempre più persone a consumare pasti fuori casa e di conse-guenza, da alcuni decenni, la ristorazione è un settore produttivo incostante espansione. Per rispondere alle crisi che hanno scosso du-ramente il mondo della produzione alimentare, il fenomeno dellamucca pazza, i cibi alla diossina, l’epidemia aviaria; o le problema-tiche legate ai prodotti OGM, l’Unione Europea ha sentito l’esigenzadi attuare una vasta riforma, con lo scopo di promuove la necessitàdi assicurare la somministrazione di cibi sani e di buona qualità, conla conseguenza del sempre maggiore utilizzo di prodotti d’originecontrollata e certificati, come quelli da agricoltura biologica. Questanecessità è ulteriormente rafforzata quando la ristorazione collettivaè gestita da enti pubblici. La Comunità Europea infatti allo scopo diorientare i consumi nella direzione della responsabilità verso l’am-biente e ela sicurezza alimentare, ha dato luogo ad un pacchetto dimisure incentivanti detto G.P.P. (Green Public Procurament) o acqui-

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sti pubblici verdi. In quest’ottica la scelta dei prodotti e dei servizida acquistare, dovrà prediligere materie prime con ridotti carichi am-bientali, come:• prodotti stagionali da agricoltura locale biologici;• prodotti biologici provenienti dal mercato nazionale o comunitario;• prodotti del mercato “equo e solidale”.L’utilizzo di prodotti locali freschi favorisce una più sana e correttaalimentazione non solo da un punto di vista squisitamente nutrizio-nale, ma anche sensoriale.La stima del valore annuo di mercato della ristorazione collettiva inItalia è di circa sette miliardi di euro e soddisfa la domanda di oltredue miliardi di pasti annui fruiti presso aziende, scuole, ospedali euniversità. Ogni giorno vengono serviti 5,5 milioni di pasti, di cui: 1milione nella sanità, 2,5 milioni nelle mense scolastiche, i rimanenticoprono il fabbisogno delle case di riposo e di altri gruppi riferiti aiservizi sociali. Va rilevato che di questi 5,5 milioni di pasti giornalieriben 1.400.000 sono “biologici”.Parlando di ristorazione biologica vi sono almeno due aspetti im-portanti da sottolineare. Il primo punto riguarda la percentuale dibiologico nei capitolati e quindi nel menù. La ristorazione biologicapuò infatti prevedere che il 10% dei prodotti utilizzati siano biologici,o che questa percentuale sia almeno del 50%. Attualmente dellestrutture operanti in Italia, solo un minima parte prevede il 100% diingredienti bio. Ciò è dovuto al fatto che non sempre i territori sonodotati delle necessarie strutture logistiche per assicurare le forniture.D’altra parte mette in evidenza il grande potenziale che i prodotti biohanno ancora sul mercato. In altre parole la mensa biologica è fruttodi scelte lungimiranti, capaci di ottimizzare i costi economici e socialiconnessi alla scelta del servizio di ristorazione collettiva e pubblica,con le tante ricadute salutistiche e ambientali proprie del consumodi qualità e biologico. Un approfondimento a parte merita la ristorazione ospedaliera sem-pre più orientata a fornire cibi di qualità (a marchio BIO, DOP, IGP, achilometro zero etcc.). L’obiettivo è quello di permettere che il cibo

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abbia un ruolo importante nel processo di guarigione del paziente.Dati concreti dimostrano come investire un euro in più per un pastodi qualità, faccia risparmiare un giorno di degenza su sei, traducen-dosi in un chiaro vantaggio economico.La ristorazione collettiva esercita, pertanto, un compito fondamen-tale nell’orientare i fruitori verso un’alimentazione sana e sostenibile,promuovendo la salute individuale, collettiva e ambientale.

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Bio è filiera corta

Che cosa è la filiera cortaLa filiera corta è una particolare modalità commerciale che permetteai consumatori di acquistare, sopratutto prodotti agricoli alimentari,direttamente dai produttori. Azzerando così i passaggi intermedi traproduttore e consumatore, o riducendoli al minimo indispensabile.La filiera corta nasce dall’esigenza di sperimentare nuove forme discambio per migliorare la redditività delle imprese e rafforzare il po-tere di acquisto dei consumatori. La filiera corta, inoltre, sostiene lacultura dei territori a favore dei prodotti tipici promuovendo il man-tenimento delle tradizioni gastronomiche e delle biodiversità.

La qualità dei consumi Fondamentale per la crescita di questo modello di commercio escambio è l’attenzione alla qualità e alla responsabilità dei consumi.Il concetto di qualità inteso nel senso generale del termine. E cioèl’alta qualità organolettica dei prodotti, l’assenza di residui chimici esopratutto l’adozione di tecniche di produzione biologica, rispettosedell’ambiente e dell’uomo vi abita.

Cento modi per dire “filiera corta”La filiera corta e quindi il percorso più breve dal campo alla tavola,

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si realizza in tanti modi. Dalle forme più semplici e immediate aquelle più complesse e organizzate:Vendita diretta in azienda – l’imprenditore agricolo apre, in generenella stessa azienda, uno spaccio per la vendita dei propri prodotti• Mercati del contadino (Farmers market) sono mercati dove i pro-

duttori agricoli svolgono la vendita diretta delle proprie produzioni• Punti vendita collettivi è una realtà che si sviluppa attorno ad un

gruppo di aziende che, in accorda tra loro, organizzano ed effet-tuano la vendita dei loro prodotti ad un alevato numero di consu-matori in un luogo identificato

• G. A. gruppi di acquisto sono organizzazioni di consumatori chedecidono di acquistare i prodotti direttamente dai produttori, dallecoop di produttori o dai Gruppi di Offerta Organizzata

• Consegne domicilio o bio Box è una forma distributiva organiz-zata dal produttore che rifornisce direttamente un gruppo di con-sumatori. Il produttore si impegna e recapitare al domicilio delconsumatore un determinato quantitativo di prodotti ad intervallisettimanali o ad intervalli concordati con il cliente

• Sagre e manifestazioni locali dove si organizzano mercatiniestemporanei

• E-commerce dove le aziende utilizzano il web per presentare evendere le proprie produzioni

• Distributori automatici vending machine• Raccolta diretta in azienda (pick up your own PY) – è una forma

di vendita che prevede la raccolta dei prodotti della terra perso-nalmente dal consumatore

I vantaggi della filiera cortaI vantaggi della filiera corta sono prevalentemente di tipo economicoe ambientale. Ma non sono da meno i vantaggi sociali. La filieracorta, infatti, propone e consolida il rapporto di collaborazione soli-dale tra agricoltura e territorio.I vantaggi economici consistono nella possibilità ad acquistare ad

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un prezzo finale al consumo trasparente e conveniente per chi ac-quista, remunerativo ed equo per chi produce. La riduzione dei pas-saggi intermedi, infatti, migliora la distribuzione dei vantaggi traproduttore e consumatore.I vantaggi ambientali consistono innanzitutto nella riduzione del con-sumo di energia, dell’inquinamento e del traffico sulle strade (menoimballaggi e trasporti). La filiera corta favorisce inoltre il consumo diprodotti locali e quindi tutela la biodiversità coltivata e il rispetto dellastagionalità riducendo l’impatto delle produzioni fuori stagione. Sul campo della sicurezza alimentare ed ella tracciabilità dei pro-dotti, la filiera corta riduce il rischio di contaminazione del cibo edagevola il controllo delle condizioni igieniche, la sicurezza alimentaree la tracciabilità.

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Bio è dieta mediterranea

Il buon cibo allunga la vitaLa Dieta Mediterranea, riconosciuta dall’UNESCO “patrimonioimmateriale dell’Umanità”, rappresenta un insieme di compe-tenze, conoscenze, pratiche e tradizioni che vanno dal paesaggioalla tavola, includendo le colture, la raccolta, la pesca, la conser-vazione, la trasformazione, la preparazione e, in particolare, ilconsumo di cibo. La Dieta Mediterranea è caratterizzata da unmodello nutrizionale rimasto costante nel tempo e nello spazio,costituito principalmente da olio di oliva, cereali, frutta fresca osecca, e verdure, una moderata quantità di pesce, latticini ecarne, e molti condimenti e spezie, il tutto accompagnato da vinoo infusi, sempre in rispetto delle tradizioni di ogni comunità. Tut-tavia, la Dieta Mediterranea è molto più che un semplice insiemedi alimenti e modello di consumo. Essa promuove l’interazionesociale, poiché il pasto in comune è alla base dei costumi socialie delle festività condivise da una data comunità e ha dato luogoa un notevole corpus di conoscenze, canzoni, massime, raccontie leggende. La Dieta si fonda nel rispetto per il territorio e la bio-diversità, e garantisce la conservazione e lo sviluppo delle attivitàtradizionali e dei mestieri collegati alla pesca e all’agricoltura nellecomunità del Mediterraneo.La ricchezza in sostanze antiossidanti è proprio una delle princi-pali caratteristiche della Dieta Mediterranea di riferimento, ricono-

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sciuta come uno dei fattori primari nella promozione e nel mante-nimento dello stato di salute. Per “Dieta Mediterranea Italiana Bio-logica” si intende una dieta equilibrata in cui prevalgono alcunigruppi di alimenti tipici mediterranei provenienti da agricoltura bio-logica: cereali, legumi, ortaggi, frutta fresca e secca, olio verginedi oliva, prodotti della pesca e bevande alcoliche come il vinorosso. L’idonea combinazione, qualitativa e quantitativa, di questialimenti permette di prevenire le inadeguatezze nutrizionali per ec-cesso e per difetto e fornisce componenti alimentari dotati di ele-vati effetti protettivi.I risultati ottenuti dalle ricerche indicano che il consumo di prodottibiologici, in un regime dietetico mediterraneo, può garantire un’effi-cace azione antiossidante in grado di contrastare gli effetti dei radi-cali liberi e diminuire i processi infiammatori, azioni importanti per laprevenzione di patologie cronico-degenerative. Un piano alimentareadeguato alla Dieta Mediterranea Italiana di riferimento, ben bilan-ciato e basato solo su alimenti biologici, oltre a preservarci dai con-cimi azotati, che determinano la diminuzione del valore biologicodelle proteine, dai concimi potassici, che abbassano il magnesio ei minerali, e dai concimi fosfatici, che danno una minore quantità divitamine, migliora alcuni parametri ematici rispetto ai prodotti con-venzionali: diminuisce i fattori infiammatori (citochine pro infiamma-torie), riduce i marker di stress ossidativo (lipidi idroperrosidi emetaboliti dell’ossido di azoto) e di rischio cardiovascolare (omoci-steina e profilo ipoproteico).La Dieta Mediterranea Italiana Biologica, inducendo un cambia-mento della composizione corporea e determinando l’aumento dellacapacità totale antiossidante plasmatica, della quantità di acido fo-lico e vitamina B12, e la riduzione dei livelli di fosforo e microalbu-minuria, garantisce un’efficace azione per la prevenzione dipatologie cronico-degenerative.Per tali ragioni è possibile affermare che la Dieta Mediterranea Ita-liana biologica svolga un ruolo fondamentale nella longevità e nellaqualità della vita.

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Alle origini della dieta mediterraneaParlare, dei cibi, dell’alimentazione mediterranea e delle tradizionisiciliane, significa, intraprendere un lungo viaggio nella storia del-l’isola; la storia stessa della gastronomia siciliana, è quella dei popoliche l’anno abitata, ed essa oltre ad essere frutto di ibridazione traculture, è tra le più antiche del mondo.Le tante dominazioni, che si sono avvicendate in Sicilia, non solohanno lasciato monumenti e ruderi a memoria del loro passatosplendore, ma hanno segnato profondamente il paesaggio con col-ture e abitudini di vita, ancora presenti ai nostri giorni, soprattuttonella nostra alimentazione.Greci, Fenici, Arabi, Normanni, Spagnoli, Francesi, hanno portato allaSicila, usanze e costumi, che, fondendosi con quelle esistenti, hannodato vita a tradizioni gastronomiche uniche al mondo. Per questi motivi,“l’isola di ciclopi”, si può definire simbolo di cultura e interculturalità.Intraprenderemo un viaggio storico-culturale, nella cucina sicilianaper conoscere le connessioni alimentari, con ricette e cibi prove-nienti da altre culture lontane, frutto di successive e lente elabora-zioni, dovute ad incontri di culture diverse.Un apparente paradosso dell’alimentazione mediterranea, e in ge-nere della cucina siciliana, consiste nel fatto, che, se pur basandosiessenzialmente su ingredienti poveri e limitati nel numero offre lapossibilità di realizzare una quantità incredibile di piatti gustosissimi,diversificati e soprattutto di sano valore energetico.La prima civiltà mediterranea ad aver lasciato molti influssi del suopassaggio in Sicilia è quella greca (già presente sin dal 735 a.C.), ci-viltà che, spesso faceva del simposio e del banchetto, rituale occa-sione del dialogo, o di partecipazione sociale e non casualmente diriflessione filosofica, come si evince da alcune citazioni a noi perve-nute da Platone o da altri scritti sulla Sicilia.Platone, operante alla corte del Tiranno di Siracusa, Dionisio, ricordanei suoi scritti, come i Siciliani amassero sedersi a tavola diversevolte al giorno, e che, tali abitudini, dovevano essere anche allora,abbastanza evolute e raffinate.

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Probabilmente, derivano dai Greci, i tre pasti quotidiani tipici del-l’alimentazione mediterranea in generale, e siciliana in particolare;anche la loro dieta si suddivideva, infatti, in tre pasti:1 l’Ariston: il pasto del mattino, più leggero di quelli successivi;2 il Defeion: il pasto di metà giornata (l’equivalente del nostro

pranzo;3 il Dorpon: alla fine della giornata (in pratica la nostra cena).

I prodotti giunti in Sicilia dalle coste greche sono ancora oggi visibilinella cucina siciliana, come si può constatare dal loro nome, tra i piùfrequenti ricordiamo:• agghia - aglio (aglis); • alivu - oliva (eloia); • amitu - amido (amylon); • basilicu - basilico (basilikòs); • chiapparu - cappero (kapparis); • riniu - origano (origanon); • cicoria - kichorion.

Tutti questi nomi, sono ancora oggi alla base della cucina siciliana.Uno dei doni più preziosi dei Greci, è stato senza dubbio l’oliod’oliva, in quanto furono i primi a coltivare gli olivi nell’isola. È pos-sibile attribuire la paternità greca, anche ad alcune preparazioni,come l’agnello alla brace, la ricotta salata e il miele.Durante il periodo greco, tra i cereali, spiccava l’uso dell’orzo, e suc-cessivamente con la coltivazione del frumento, si passò alla produ-zione del pane a pasta lievitata.Per quanto riguarda il periodo di dominazione romana, la Sicilia ri-mase greca anche durante il periodo romano, e greche rimasero lesue usanze. Il periodo romano fu per la icilia, più cruento e sicura-mente più difficile.I Romani, comunque si resero subito conto delle grosse potenzialitàdell’Isola, ed incrementarono a tal punto la produzione agraria, spe-cialmente quella del frumento, che la Sicilia, era diventata la prima

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provincia dell’Impero del III sec. d.C. e per l’abbondanza del rac-colto, era considerata il granaio di Roma.La povertà spingeva i contadini a vendere la carne e il pesce, ed èper questo motivo che i legumi e la frutta hanno da sempre caratte-rizzato la cucina popolare siciliana.I Romani ci hanno tramandato, il maccu, cioè, fave in purea insa-porite con erbe aromatiche, squisito sulla pasta o con una semplicefetta di pane. Nell’entroterra siciliano, dove si fa largo uso per for-tuna di legumi (considerato il loro valore nutritivo), verdure ed ancheortaggi, il maccu, è ancora oggi, una delle minestre più note, rea-lizzato con le fave secche, è condito in modi diversi a seconda dellezone dell’isola (con il finocchio selvatico e olio crudo oppure con lazucca gialla); esso per secoli è stato il pranzo del contadino e dellozolfataro, che, se lo portavano, dentro la “quartara”, cioè delle an-fore di terracotta, mentre la zuppa calda rappresentava la colazionedel mattino.Di derivazione romana, sono ancora le seppie ripiene, le cipolle alforno4, le salsicce, e il sanguinaccio, all’epoca protagonisti soltantodelle ricche tavole patrizie.È con la civiltà araba, che si trasformano notevolmente le abitudinialimentari dei siciliani; la cucina importata dagli Arabi era indirizzataverso un’alimentazione elaborata sull’ esempio di quella iranianaed indiana.Gli Arabi (sbarcati nel 827), alla stregua dei Greci, apportaronomolte novità; incrementarono l’agricoltura, e in cucina a seguitodell’introduzione di nuovi elementi, contribuirono ad arricchire lanostra cucina di piatti, che, ancora oggi rappresentano il vanto dellanostra isola.

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4 Il paese di Castrofilippo, è un luogo privilegiato di coltivazione

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Sono circa 300 le parole arabe, ancora oggi in uso nel dialetto sici-liano, soprattutto legate all’agricoltura e alle colture introdotte, necitiamo alcune:Aranciu arancia (dall’arabo naranj)Bercocu albicocca (da barquq)Carruba frutto del carrubo (dall’arabo harrub)Fastuca pistacchio (da fustuq)Giuggiulena seme di sesamo (da giulgiulàn)Lumia o limuna limone (da laymuna)Maidda legno usato per impastare (da maida- mensa)Zafarana zafferano (da za’faràn)Zagara fiore dell’arancio (da zahr, fiore; dall’arabo ispa-

nico azzahàr)Zibbibbu un tipo di uva (da zabìb uva passita)Tannura cucina in muratura (da tannur, forno)Tumminu misura agraria (da tumn)Spinacia Spinacio (da isfanag)Munneddu misura di terreno e di sementi (da mudd)Muddisa frutta secca (da mallasi)Cantaru cantaro, misura di peso (da qintar)Cacocciula carciofo (da harsufa)Azzarola lazzeruolo (da az-zu’rur)Giummarra palma nana (da gummara)Gebbia vasca d’acqua (gabiyah)Cuttuni cotone (da qutun)Coffa sporta (da quff)

Anche il riso, conosciuto già al tempo dei Romani, durante il periodoarabo è valorizzato, e questo grazie al miglioramento delle tecnicheirrigue introdotte; vorrei ricordare, che, la conoscenza del riso nelmondo Romano non fu quella di un cereale adatto all’alimentazioneumana, ma, piuttosto quella di un prodotto medicamentoso che,sotto forma di decotto, veniva prescritto dai medici ai pazienti piùricchi per curare le malattie del corpo.

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Pare, che, gli Arabi solevano mangiare delle polpette di carne tritata,mescolata con riso, salse a base di carne o verdure e zafferano; edanche se gli ingredienti non sono gli stessi si può attribuire agli Arabila paternità delle arancine.Non si ha la certezza, delle cause che impedirono il perpetuarsi dellacoltura del riso in Sicilia, ma, sicuramente il riso, veniva utilizzatonella cucina siciliana durante il periodo arabo.Oggi le arancine ripiene di ragout di carne o di prosciutto e formag-gio, sono diventate una sorta di emblema della cucina siciliana, senon addirittura, il primo incontro gastronomico di un qualunque viag-gio nell’Isola.È chiaramente derivato dalla tradizione araba il “cuscusu”, (la formapiù elementare e primitiva di pasta alimentare che, si conosca; cioèminutissime palline di farina di semola e acqua che vengono lasciatead asciugare, oggi è la zuppa di pesce, tipica della città di Trapani,a base di farina di semola: si tratta di una ricetta complessa, che,però con un po’ di esercizio diventa di facile preparazione. Il piatto,trae origine dal cous cous nordafricano, dal quale si differenzia pro-prio per l’uso del pesce.Amanti delle essenze, gli arabi realizzavano dolci profumati allafrutta, alla cannella e perfino agli odori dei fiori; è di origine araba, ilsorbetto, da cui discende pure il nome dall’arabo “scharbat”, questooriginariamente era preparato con neve ed essenze di fiori o succodi frutta; ed ancora araba, è la “cubbaìta di giugiulena” dall’arabo(qubbayt), il dolce fatto di miele, mandorle e semi di sesamo o giug-giulena, che, ancora oggi si prepara nel periodo natalizio.L’influsso Arabo, è evidente in pasticceria, arabo è uno dei dolci piùfamosi della nostra isola: la famosa cassata siciliana (dall’arabo qa-s’at che significa casseruola), questo all’inizio non era altro che uninvolucro di pasta frolla, farcito di ricotta zuccherata e poi infornato.In seguito, la cassata araba, subisce una magnifica evoluzione, gra-zie all’introduzione da parte degli Spagnoli del Pan di Spagna, e inepoca barocca vi si aggiungono anche i canditi ad opera pare dellesuore del Monastero di Valverde a Palermo.

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La leggenda vuole, che, anche il famoso cannolo sia stato creatodurante il periodo arabo anche se, nei secoli, esso ha subito diversirifacimenti; il suo antenato, sembra essere stato un dolce, a formadi banana, ripieno di mandorle e zucchero.Risale al periodo Normanno, la pasta reale o Martorana, creata aPalermo da una miscela di mandorle e zucchero, legata con albumed’uovo ed aromatizzata con fiori d’arancio e vaniglia; ad essa eradata allora, come oggi, la forma di frutta e verdura, talmente somi-gliante da sembrare vera. Il nome Martorana, deriva da quello di unconvento nelle vicinanze di Palermo, dove, le suore di clausura, pre-paravano dei dolci in occasione della commemorazione dei defunti.Nella nostra tradizione è usanza, in occasione della festa dei defunti,portare in regalo ai bambini, oltre ai giocattoli, la frutta di Martorana,e i Pupi di zucchero, ovvero zucchero liquefatto al fuoco in appositeforme di gesso, a forma di bambole o dei Paladini della rinomata“Opera dei Pupi”siciliana.È importante ricordare come la cucina siciliana, oltre ad essere col-legata a vicende storiche e culturali, è altresì strettamente collegataalla vita religiosa e spirituale dell’isola. Ancora oggi, si conservano inSicilia, feste religiose celebrative a dimostrazione dell’importanza delpane e del grano, e il senso delle feste, è quello originario del ringra-ziamento alla Madonna, o al Santo, per l’abbondanza del raccolto.Così accade per la festa della Madonna del Monte a Racalmuto,nella quale il sabato di luglio, i fedeli offrono per grazia ricevuta sac-chi di grano recandoli a dorso di mulo fin dentro la chiesa, insiemeai cìlia, ovvero grossi ceri addobbati con spighe di grano.La stessa cosa avviene, per le feste di San Calogero a Naro, (18 lu-glio) o ad Agrigento (seconda domenica di luglio). Tratto costitutivodi queste cerimonie sono le offerte di pane e grano; in particolare, ifedeli, recano ex voto antropomorfi di pane, che, poi benedetti dalsacerdote, dinanzi al santuario del Santo, saranno suddivisi tra gliofferenti e i fedeli.Il pane della festa, non è, però il pane di tutti i giorni, è un pane specialecon dentro semi di sesamo; ha una qualità altra e diventa segno im-

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prescindibile di quella festa. Il pane, assume dunque un ruolo prepon-derante nella tavola siciliana, esso, rientra nella simbologia propriadella festa, e viene utilizzato per adornare e decorare gli altari. Esempioemblematico sono gli Archi realizzati con il pane, ed altre leccornie,preparati per adornare il paese di San Biagio Platani, in occasione dellasettimana Santa. In alcuni paesi della Sicilia, vi è l’usanza ancora oggidurante il periodo pasquale, di preparare i cuddura, i panarieddi ccul’ova, i cudduredda o i palummeddi; questi vanno preparati con dellapasta del pane più o meno dolce, al cui interno vanno collocate delleuova sode con tutto il guscio; oppure ancora di derivazione araba, èlo spincione preparato per natale. Sempre con la pasta del pane vannopreparate a Racalmuto i “guasteddi”, in occasione della ricorrenzadella festa dell’Immacolata, a “guastedda”, cioè pane lievitato e fritto,ricoperto di zucchero. In sostanza, il pane nella tradizione siciliana haun valore magico - religioso, che, si manifesta anche, nella fase di pre-parazione; poiché la sua manipolazione, la sua cottura, il suo consumo,sono soggetti a prescrizioni rituali. Proprio per la sacralità attribuita alpane, esso non può essere infornato la domenica o nei giorni festivi,l’impasto e la cottura stessa, sono accompagnati dalla recitazione dipreghiere e segni di croce, il pane non va deposto sottosopra, il coltellonon vi deve essere infisso permanentemente, e se cade in terra deveessere immediatamente ripreso e baciato. Anche l’uso del frumento èritenuto propiziatorio; nel giorno di Santa Lucia in diversi paesi dell’isolaè diffusa la tradizione di preparare la “Cuccia, (frumento o ceci e fru-mento e fave secche cotti), conditi con miele o con ricotta dolcificata,crema di latte e cioccolata, con lardo di maiale oppure semplicementecon olio. La relazione con la Santa ed il frumento è istituita a partire daun miracolo: la leggenda narra, che, la Santa, avrebbe fatto approdarebattelli carichi di grano, nella città di Siracusa, stremata dalla carestia.Altro elemento fondamentale dell’alimentazione mediterranea, è lapasta, essa oltre al essere il cibo più consumato rappresenta quellopreferito dai Siciliani. La pasta oltre a contenere ferro, fosforo ed altricarboidrati complessi, dà energia e se, correttamente condita nonfa ingrassare; nella nostra tradizione la pasta viene combinata con

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altri elementi, come i legumi, e preparata in questo modo, fornisceun apporto proteico uguale o superiore a quello della carne.Le origini della pasta si perdono nella notte dei tempi, si trovanotracce di essa, sotto forma di strumenti, per la fabbricazione o lacottura, già al tempo degli Etruschi. Essa era conosciuta indubbia-mente sia dai Greci che, dai Romani; in quel tempo si parla di unasorta di spaghetto allargato chiamato in greco “laganon”, molto si-mile alla nostra lasagna, non cotta però al forno come le lasagne,ma arrostita su delle pietre calde o dei forni idonei; si direbbe, che,assomigliasse più al piatto, che ai nostri giorni, chiamiamo pizza.Furono probabilmente gli Arabi, per primi ad impastare la farina digrano con l’acqua ed essiccarla, in quanto era la soluzione idealeper conservare a lungo questo alimento, altrimenti deperibile, du-rante i lunghi viaggi delle carovane nel deserto. In seguito, dai PaesiArabi, la pasta così trattata è stata introdotta nei paesi del Mediter-raneo. Nel libro di Al-Idrisi, geografo arabo alla corte del re RuggeroII (anno 1154), intitolato “Il libro di chi si diletta a girare il mondo”, sihanno testimonianze di produzione artigianale- industriale di pastasecca, a forma di fili (in arabo “tria”), e del commercio di tale pro-dotto in grande quantità nel Mediterraneo.Viene ricondotta alla tradizione araba “a pasta chi sardi”, accompa-gnata con il finocchio selvatico, uva passa, pinoli e zafferano; questoè forse il piatto più originale della Sicilia, un tempo preparato solodurante il periodo della Quaresima; oggi è diffuso nella nostra Isoladurante tutto il periodo dell’anno. Ricorre nella nostra tradizione, ilcosiddetto piatto unico; esso consiste, nel cucinare la pasta in di-versi modi, arricchita con prodotti tipici del posto, divenendo cosìun sostanzioso piatto unico. Il motivo di questa caratteristica è daricercare nel fatto, che, una volta la pasta asciutta, rappresentava laportata principale se non l’unico piatto della giornata, della maggiorparte degli abitanti dell’Isola.Sono di origine araba, altri gustosi piatti, quali le panelle, i ceci es-siccati e abbrustoliti nella cenere, e “u paninu ca meusa”, ovvero ilpanino con la milza.

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La milza calda, è usata per farcire la pagnottella, impastata con ilsesamo, con strutto bollente e caciocavallo tagliato a scaglie.Parlando di influssi storici, saranno i normanni, che, faranno conoscereai Siciliani, la tecnica di essiccazione dello stoccafisso, e del baccalà,questa differisce perché, mentre il merluzzo, è disseccato al sole e al-l’aria su un bastone, il baccalà, viene pressato sotto il sale in barili.Gli agrumi sono il vero e proprio tesoro della Sicilia.Si vuole ricordare che, anche se l’introduzione degli agrumi nel Medi-terraneo risale seppure in forme sporadiche già al periodo romano, gliArabi, durante la loro permanenza in Sicilia, impiantarono estesi agru-meti introducendo le tecniche di coltivazione e di irrigazione: a partiredal X secolo, le fonti arabe, parlano per altre zone della dàr al-islàm(ovvero della Sicilia intesa come casa dell’Islàm), della coltivazione diuna specie di arance amare e di limoni, importati verso il X secolo dal-l’India e poi diffusi nel Mediterraneo; così come l’arancia dolce, chia-mata burtuqal, da Portogallo, probabilmente introdotta dai Portoghesi.Fu, quello arabo, il periodo in cui la Sicilia assunse ancora di piùl’aspetto di isola felice, profumata e lussureggiante come un giardino.Gli arabi, ci faranno conoscere molte colture, come: la canna da zuc-chero (lo zucchero in arabo è sùkkar), il cedro, il bergamotto, il man-darino, la mandorla, il pistacchio, il carrubo, la pesca, l’albicocca, ifichi d’india, ortaggi delicati come gli asparagi, il carciofo (che soloin Sicilia, si trova anche selvatico), la melanzana, e ancora il sesamoe le droghe come la cannella, e lo zafferano. L’influsso arabo, farà sìche, le stesse verdure, elaborate, rappresentino un piatto unico, esostanzioso; si pensi alle gustosissime caponate di melanzane o allaappetitosa parmigiana. Anche la nota agrodolce, che, caratterizzamolti piatti della tradizione isolana, come le preparazioni a base dicipolline e zucca, è di origine araba.Anche il cavolfiore, rientra nella nostra tradizione gastronomica; ilsuo nome deriva da due parole di origine latina “caulis” che vuol direfusto e “floris”(fiore), è anch’esso originario del Medio Oriente, ed èstato importato in Europa dagli Arabi intorno l’anno 1000, primadalla Spagna, e poi negli altri paesi del Mediterraneo.

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Questo ortaggio ricco di Sali minerali (fosforo, potassio e rame), vita-mina B e aminoacidi, si presta come contorno, lessato o condito conpasta, zuppe, frittate o gratinato al forno. Con il cavolfiore, è preparatanella nostra isola, la pasta ‘chi brocculi ‘rriminati; gli ingredienti esclusoil pesce ricordano quelli della “pasta chi sardi”, di conseguenza la suaattribuzione può essere riconducibile al connubio della cucina siculo-araba o a quella spagnola. Anche la lunga dominazione spagnola, dal1412 al 1713, caratterizza profondamente la storia dell’isola.Fra le caratteristiche derivate, dall’influenza spagnola sulla Sicilia,bisogna citare il largo utilizzo del pomodoro, che sulla scia del-l’esempio iberico si diffonde nell’isola, assieme alla magnificenzaper le preparazioni barocche delle pietanze. Il pomodoro, viene con-siderato il re della dieta mediterranea per la sua versatilità e capacitàdi associarsi ad altri elementi e Dopo le arance, è una fonte ricchis-sima di vitamina C; originario dall’America tropicale, venne introdottoin Europa dagli Spagnoli nel XVI secolo, divenendo alimento basedi tutta la popolazione mediterranea.Pare che in un primo tempo, il pomodoro veniva utilizzato solo comepianta ornamentale, ed era ritenuta addirittura tossica. Fu Dopo un se-colo dalla sua scoperta, che, il pomodoro divenne commestibile. Il suonome puramente di fantasia, tradotto in siciliano “pumu d’amuri”, è ri-conducibile alle sue presunte qualità afrodisiache, ma anche al nomeattribuitogli in principio dai botanici per il suo originario colore oro, poidivenuto rosso, a seguito di selezioni e innesti operati nella botanica.Grazie all’influsso spagnolo, subentrarono in Sicilia altri prodotti impor-tati dal nuovo mondo: come peperoni, granturco, patate, fagioli, cacao,vaniglia, il finocchietto selvatico proveniente dalle Canarie, la maggiorparte delle varietà di zucche, e tra i frutti l’avocado e l’ananas.Di derivazione spagnola, sono la zucca in agro dolce e la “mpanata”,questa è una torta salata, farcita con verdure, pesci o carni, simileall’empanada spagnola.In questo periodo i cuochi crearono il Pan di Spagna, che contribuìcome sappiamo alla rivisitazione della ricetta della cassata.I prodotti locali oggi di maggior consumo sono oltre il grano, le fave,

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gli ortaggi, le verdure, e ancora i formaggi e la ricotta: basta pensareal pecorino, dal sapore piccante, prodotto sin dall’epoca greca,chiamato anche tuma, se fresco e non salato, o primo sale, Dopo lasalatura, o ancora il piacintinu ennese, a base di latte di pecora aro-matizzato con pepe e zafferano, e al caciocavallo ragusano.Frutto dell’influenza dei popoli dominanti, il lessico gastronomicodella nostra tradizionale cucina siciliana, risulta caratterizzato da eti-mologie e origini linguistiche diverse, ne citiamo alcuni:1 il termine ragù per esempio deriva dal francese ragout, ovvero dal

verbo ragouter che significa “risvegliare l’appetito;2 caciucavaddu o cascavaddu, dal turco qàsqawàl, deriva dal

modo in cui il cacio veniva e viene tutt’ora lasciato stagionare acavallo di una trave;

3 nunnata deriva dal latino nunc nata, “appena nata, neonata” e siriferisce al novellame di sardine e acciughe;

4 il termine criu o crivu è di origine latina e deriva da cribrum “se-taccio”;

5 crispedda deriva dal latino crispum “arricciato, increspato” e si-gnifica frittella.

Per quanto riguarda le bevande è più difficile, elencare con esattezzale bevande alcoliche e non tipiche della tradizione siciliana.La tradizione vinicola è sicuramente di alto livello e risale all’anticaGrecia.Tra le bevande analcoliche il latte di mandorla è quella più nota, cosìcome le spremute di frutta che in passato rappresentavano anchedegli ottimi rimedi curativi.A proposito di formaggi possiamo gustare il caciocavallo piccantedi Ragusa o il nostro pecorino anche in questa maniera:tagliare a fette alte mezzo centimetro il caciocavallo ragusano o ilpecorino e friggerlo in olio fumante in padella, dove prima abbiamorosolato uno spicchio d’aglio: voltare le fettine, cospargere di ori-gano fresco, sale, pepe, (se si vuole spruzzare con aceto aromatico),e poi servire con il nostro squisito pane cotto nel forno di pietra e ilvino rosso delle nostre cantine.

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Altri valori del bio

La fattoria didattica biologicaNegli ultimi anni, in Italia, sono stati realizzati vari progetti finalizzati aduna modalità innovativa di educazione alla natura e all’alimentazionebiologica, con la nascita di organizzazioni ed enti che hanno dato vitaa diverse attività, fra cui le Fattorie Didattiche. Queste sono “impreseagricole singole o associate che oltre alle attività di produzione dei pro-dotti agricoli, svolgono anche attività didattiche rivolte ai diversi ciclidi istruzione scolastica”. Le finalità riguardano la conoscenza del ter-ritorio rurale, dell’agricoltura e dei suoi prodotti ed, in generale, del le-game esistente fra alimentazione e patrimonio storico-culturale. Sono,inoltre, finalizzate all’educazione al consumo consapevole attraversola comprensione delle relazioni esistenti tra produzione, consumi ali-mentari ed ambiente. Questo nella prospettiva di uno sviluppo coe-rente con la conoscenza dei cicli biologici animali e vegetali e ai variprocessi di produzione, trasformazione e conservazione dei prodottiagricoli locali relativi alle attività agricole praticate dall’azienda. Attual-mente in Italia le fattorie didattiche sono più di 1700, concentrate inparticolare nel Nord Italia, ma il loro numero è destinato a crescere. Lefattorie didattiche rispondono ad una diffusa esigenza nel mondo dellascuola di creare un ambiente pedagogico vivace, dove convivono pro-cessi formativi che possono essere osservati ed interpretati nelle loromolteplici valenze e dove l’ambiente diventa luogo di esplorazione di-retta e di esperienza per una educazione al “sapere”.

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I ragazzi hanno sempre meno possibilità di avere rapporti con ilmondo rurale e molto spesso sono abituati ad una fruizione distrattae superficiale, quasi consumistica dell’ambiente naturale. Inoltresulle nostre tavole arrivano ogni giorno una grande varietà di pro-dotti, frutta, verdure, di cui spesso ignoriamo la provenienza e la sta-gionalità. La fattoria didattica offre la possibilità di ricucire lo strappotra la vita quotidiana e la ruralità dando ai giovani l’opportunità di vi-vere un’esperienza diretta con il mondo agricolo, di riappropriarsidel senso delle stagioni, dei ritmi naturali...I percorsi didattici sono strutturati in modo da stimolare il ragazzoall’osservazione, alla scoperta, al rispetto per l’ambiente. Le visitealle fattorie hanno, tra gli altri, l’obiettivo di far conoscere l’originedei prodotti alimentari con il metodo di produzione biologico ed edu-care ad una corretta alimentazione.La Fattoria didattica biologica è la sede naturale per promuoverel’educazione alla natura in quanto in azienda si adottano tecnichedi coltivazione rispettose per l’ambiente. Non si utilizzano sostanzechimiche di sintesi potenzialmente molto inquinanti, ottenendo diconseguenza prodotti sani e privi di residui tossici. Ecco perché que-ste strutture sono efficaci negli interventi di educazione ambientalema sono anche un ottimo strumento didattico per l’educazione ali-mentare. Tutto ciò fa della fattoria didattica biologica un eccellentepartner per le istituzioni scolastiche che vogliano aggiungere, nellapropria offerta formativa, metodologie basate sull’osservazione,sull’esperienza diretta ed su un approccio sensoriale con la realtà.

Gli acquisti verdiIl Green Public Procurement è definito dalla Commissione Europeacome “... l’approccio in base al quale le Amministrazioni Pubblicheintegrano i criteri ambientali in tutte le fasi del processo di acquisto,incoraggiando la diffusione di tecnologie ambientali e lo sviluppo diprodotti validi sotto il profilo ambientale, attraverso la ricerca e lascelta dei risultati e delle soluzioni che hanno il minore impatto pos-

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sibile sull’ambiente lungo l’intero ciclo di vita”. La Commissione Eu-ropea ha introdotto i GPP, già nel 2001, con il “libro verde” sulla po-litica integrata del consumo responsabile dei prodotti. Invitando, difatto, le Amministrazioni a dare il buon esempio nel consumo re-sponsabile e nella valorizzazione dei prodotti locali. Si tratta di unostrumento di politica ambientale e volontario che intende favorire losviluppo di un mercato di prodotti e servizi, a ridotto impatto am-bientale, attraverso la leva della domanda pubblica.Le Pubbliche Amministrazioni che intendono seguire i principi delloSviluppo Sostenibile attraverso il Green Public Procurement hannola possibilità di scegliere beni e servizi tenendo conto dell’impattoambientale che questi possono generare nel corso del loro interociclo di vita (produzione, uso e smaltimento). Attuare il GPP significaanche rivedere le procedure per l’acquisto dei beni e servizi inse-rendo, tra i criteri di aggiudicazione, anche quelli ecologici, etici esociali al fine di salvaguardare l’ambiente e la salute pubblica. In par-ticolare per il servizio di mensa/ ristorazione collettiva nella proce-dura di gara tra i vari criteri si può anche richiedere che i cibi e lebevande provengano dall’agricoltura biologica promuovendo la bio-diversità dell’ambiente e escludendo prodotti di sintesi e OGM.Le autorità pubbliche e le amministrazioni locali che intraprendonoazioni di Green Public Procurement si impegnano sia a razionalizzareacquisti e consumi che ad incrementare la qualità ambientale delleproprie forniture ed affidamenti.I prodotti “ambientalmente preferibili” sono per esempio quelli menoenergivori, tra questi in primo luogo i prodotti biologici, e quelli co-stituiti da materiale riciclato e/o privi di sostanze nocive, di maggiordurata o output di processi produttivi meno impattanti, meno volu-minosi, di facile riciclabilità. I benefici ambientali sono rilevanti giàsolo considerando i volumi di spesa - in base alle stime della Com-missione Europea, la spesa pubblica nei paesi membri per beni, ser-vizi e lavori ammonta, annualmente, circa il 16% del relativo PIL –ma lo sono ancor di più se si valuta l’effetto leva che queste pratichecomportano nel sistema produttivo.

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In Italia esistono alcune norme che sollecitano l’introduzione deiGreen Public Procurement stabilendo dei requisiti specifici o degliobiettivi per l’acquisto e/o utilizzo di determinati prodotti o servizi.Nell’aprile 2006 in attuazione delle direttive europee è stato pubbli-cato il Codice dei contratti pubblici a lavori servizi e forniture. Il Co-dice Appalti, pur non rendendo obbligatoria la pratica degli acquistiverdi, lascia la possibilità a tutte le amministrazioni ed agli Enti Localidi effettuare scelte ambientalmente e socialmente preferibili dero-gando al principio di economicità a vantaggio dei criteri previsti dalbando ispirati ad esigenze sociali nonché alla tutela della salute edell’ambiente ed alla promozione dello sviluppo sostenibile”.Le Pubbliche Amministrazioni oggi possono praticare gli acquistiverdi intervenendo nelle 5 fasi previste dalla normativa sugli appalti:

1 Definizione dell’oggetto dell’appaltoLe direttive sugli appalti pubblici non contengono alcuna prescri-zione riguardo le caratteristiche degli acquisti, sono quindi “neu-trali”. Gli enti hanno piena facoltà di decidere cosa serve e cosae come comprare. Gli enti hanno quindi una ampia possibilità ditener conto di considerazioni ambientali nella scelta.

2 Definizione di specifiche tecnicheIl capitolato può contenere indicazioni in termini di norme tecnichecontenute in leggi o normative tecniche di settore.

3 Selezione dei candidatiL’Ente pubblico può motivatamente escludere dalla partecipa-zione alla gara soggetti fisici e giuridici di accertato comporta-mento antietico.

4 Aggiudicazione dell’appaltoL’aggiudicazione dell’appalto può essere effettuata con il criteriodell’offerta economicamente più vantaggiosa considerando nelbando le caratteristiche ambientali.

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5 Esecuzione dell’appaltoLe stazioni appaltanti possono esigere condizioni particolari perl’esecuzione che attengano in particolare, a esigenze ambientalie sociali.

I valori ambientali dell’azienda biologicaL’agricoltura biologica è un’alternativa a quella convenzionale anchedal punto di vista dei problemi posti dai cambiamenti climatici. Infattiil medoto biologico esercita una minore pressione sull’ambiente. Ciòè dovuto sia ad una minore emissione di gas serra che ai più bassiimput energetici che questa richiede e per ultimo alla maggiore ca-pacità di questa ad adattarsi ai cambiamenti del clima e dell’ambiente.Tra i vantaggi derivati dalla applicazione del metodo e dei principidell’agricoltura biologica vi è quello relativo all’incremento della so-stanza organica, nonché alla capacità di accumulo di Co2 nel terreno.L’incremento della sostanza organica infatti è il caposaldo del me-todo di agricoltura biologica, da una ricerca condotta dal Fibl (auto-revole istituto internazionale di ricerca sull’agricoltura biologica) nel2008, emerge che è proprio la fertilità organica la chiave d’adatta-mento al cambiamento, per i diversi ruoli che essa svolge nel suolo.Infatti, la diversità dell’organizzazione dei sistemi aziendali biologici,caratterizzata proprio da un alto livello di diversità nelle colture, au-menta il livello di resilenza, termine con cui si indica l’adattabilità allediverse condizioni, incluso il cambiamento climatico. Inoltre, un la-voro fatto negli Usa da ricercatori dell’Usda (Dipartimento d’agricol-tura degli Stati Uniti), conclude che il biologico contribuisceall’accumulo di carbonio nel terreno – evitando così la liberazione inaria di anidride carbonica – e a un minore consumo di energia.

Minor consumo energeticoRispetto al consumo energetico, poi, il confronto tra sistema con-venzionale e biologico, entrambi lavorati o non lavorati, fa emergerecome l’applicazione del metodo bio influenzi positivamente il con-

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sumo energetico più di quanto riesca a fare la non lavorazione. In-fatti, coltivare un campo dedicato all’agricoltura convenzionale,senza lavorare il terreno, fa risparmiare appena il 21,1% dell’energiaemessa (misurata in millicalorie all’ettaro). Dal punto i vista del bi-lancio energetico conviene lavorarlo a biologico: in questo caso sirisparmia il 48,7%, che arriva al 67,3% nel caso in cui si seminisenza lavorazione del terreno.

Meno gas serraInteressante anche uno studio realizzato in Austria da Freyer e Weik,dell’Università di Vienna – Boku, su come i differenti sistemi agricolie i diversi modelli alimentari influenzano l’emissione di gas serra. Gliautori ipotizzano quattro scenari incrociando modello agricolo (con-venzionale e bio) e stile alimentare della popolazione (corrente e cor-retto secondo le direttive dell’Oms), calcolando la relativa emissionedi CO2 equivalente.E questo senza calcolare l’ulteriore riduzione di emissioni che com-porta un’alimentazione basata sulla filiera corta e sulla stagionalitàdei prodotti.Il consumo largamente superiore da parte delle colture tradizionalideriva proprio dall’uso massiccio di sostanze chimiche. In termini diprodotti per concimare il terreno e difendere il raccolto dai parassiti,l’agricoltura convenzionale utilizza il corrispondente di 14.103 MJall’anno per ettaro, mentre nel biologico si registra un consumo disolo 5.279 MJ: quest’ultimo, dunque, risparmia il 60%.

Le produzioni bio-energeticheLe bio-agro-energie rappresentano per le nostre realtà rurali la nuovafrontiera dell’agricoltura, e per l’azienda biologica una scelta obbli-gata oltre che una valida alternativa alla coltura cerealicola, oggi resaantieconomica dalle regole del mercato globale. La produzione dibiomassa, la coltivazione di piante oleaginose e di sistemi che pos-sano consentire la produzione di bio-etanolo, anche a partire daiprodotti agricoli di scarto, rappresenta, una grande opportunità per

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la nostra agricoltura e per difendere il territorio dai rischi dell’abban-dono. Nel caso del bio-diesel, sono disponibili sul mercato dellemacchine aziendali, in grado di produrre carburante direttamente apartire dai semi di piante oleaginose.In altre parole, la pratica dell’agricoltura biologica è dunque solo unospicchio di un sistema di produzione, distribuzione e consumo cheva totalmente ripensato e organizzato in termini più efficienti. In al-cuni casi, del resto, la povertà e la fame sono prodotte dal sistemaeconomico attuale, che pone i carburanti fossili al centro di scontripolitici e troppo spesso di conflitti armati.

La sicurezza alimentareLa sicurezza alimentare è la possibilità di garantire in modo costantee generalizzato acqua ed alimenti per soddisfare il fabbisogno ener-getico di cui l’organismo necessita per la sopravvivenza e la vita,con la consapevolezza della qualità igienico-sanitaria, nutrizionalee organolettica degli alimenti, e della qualità ambientale dei processidi produzione, trasformazione, preparazione e consumo dei cibi.L’adozione di prassi idonee a cogliere questo obiettivo compete aiproduttori dei generi alimentari, ma anche a tutti coloro che interven-gono nei successivi passaggi e intermediazioni che l’alimento subiscefino all’acquisto da parte del consumatore finale, con l’obiettivo di sal-vaguardare i necessari requisiti di salubrità del prodotto.Nell’ambito della costituenda “Società della Economia della Cono-scenza”, la ricerca di un rapporto ottimale tra “sapere e salute ali-mentare”, diviene una necessaria norma di prevenzione delbenessere dei cittadini, e pertanto la “Sicurezza Alimentare” è con-siderata una delle priorità principali dell’Unione Europea, volta ancheal fine di limitare le spese sanitarie, che grandemente incidono sulbilancio di ciascuna nazione. Inoltre, la certezza di mangiare alimentiche non hanno subito trattamenti chimici è per molti un piacere im-pagabile, purché si tratti veramente di cibo ottenuto nel pieno ri-spetto dei principi dell’agricoltura biologica. Per questo i prodotti

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ottenuti da agricoltura biologica, si avvalgono di un sistema di eti-chettatura molto dettagliato.Per essere sicuri, quindi, di acquistare alimenti coltivati in manieranaturale è necessario leggere con attenzione le etichette, le qualidevono riportare la dicitura “proveniente da agricoltura biologica”.L’etichetta rassicura in questo modo il consumatore che si tratta diun prodotto coltivato nel rispetto dei regolamenti volti a disciplinarein maniera dettagliata il mondo del biologico al fine di consentireesclusivamente a prodotti selezionati di fregiarsi dell’ambito marchio.Nell’etichetta non è però presente solo il marchio che contraddistin-gue il biologico, ma viene indicata anche l’origine del prodotto ed inquesto caso la sigla IT ci garantisce che l’alimento in questione ènato in Italia.I numeri e le lettere che seguono la sigla IT sull’etichetta fornisconoaltre informazioni utili, fra le quali le indicazioni sull’azienda produt-trice e sugli organismi di controllo che ne hanno accertato la con-sonanza tra la coltivazione ed il rispetto dei principi dell’agricolturabiologica.Il regime alimentare, oltre ad essere sicuro dal punto di vista igienico,deve essere in grado di influire, anche in modo sensibile, sul benes-sere degli individui e delle comunità. L’alimentazione sana includediversi significati: si parla di alimentazione equilibrata, variata, sicuraper l’organismo e per l’ambiente. Alimentazione sana significa anchericca di nutrienti e priva di sostanze nocive. Per “qualità nutrizionale”si intende l’insieme delle proprietà e delle caratteristiche di un pro-dotto che conferiscono ad esso le capacità di soddisfare varie esi-genze. In questo contesto è importante introdurre il concetto dimangiare cibo biologico: la scelta di alimenti biologici inseriti in unregime alimentare è una strada percorribile per tutelare la salute delsingolo e della collettività.Studi recenti dimostrano che il consumo di prodotti biologici puògarantire un’efficace azione antiossidante, in grado di contrastaregli effetti dei radicali liberi e diminuire i processi infiammatori, azioniimportanti per la prevenzione di patologie cronico-degenerative.

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L’idonea combinazione, qualitativa e quantitativa, di questi alimentipermette di prevenire le inadeguatezze nutrizionali, per eccesso eper difetto, e fornisce nutrienti e componenti alimentari dotati di ele-vati effetti protettivi nei riguardi delle malattie cronico-degenerative.L’informazione e l’educazione alimentare, a partire dai più piccoli,rappresentano uno strumento fondamentale nella strategia preven-tiva. Il patrimonio informativo diventa allora un’eredità culturale chepuò portare ad un cambiamento nel modo di pensare e di agire, perdare alla corretta alimentazione un posto in prima linea per le gene-razioni future.

Il biologico nella civiltà contadinaIl termine Civiltà contadina ci rimanda quasi direttamente ad una di-mensione del mondo rurale molto romantica, ad un tempo passatodove la campagna era più che oggi popolata di uomini e animali,dove i ritmi delle stagioni erano fortemente connesse alle attivitàdell’uomo e al pulsare del paesaggio. Il territorio evocava serenitàperché non ancora compromesso dei resti di una presenza talvoltatroppo invasiva dell’uomo sui sistemi rurali. Oggi, in un’epoca in cuisi parla tanto di crisi dei valori sociali del territorio, della perdita dellasua identità del territorio e di sistemi produttivi energivori, oggi chel’attenzione dei decisori istituzionali europei è attento al principio eai valori della sostenibilità, la riscoperta di dei valori della memoriae talvolta l’attualità dei suoi sistemi, può aiutarci a comprendere l’im-portanza dei sistemi territoriali maturi e la necessità di strutturare si-stemi vitali ed autosufficienti. Capaci di creare le premesse di unanuova ruralità più consapevole magari proprio a partire dai valori delpassato.Da tempi antichissimi, da quanto cioè l’uomo ha smesso di viveredi caccia e frutti selvatici è ha inventato l’agricoltura dando luogoalle società stanziali, ha rivisto e organizzato la propria vita in fun-zione delle stagioni e ha dato il via allo sviluppo delle civiltà. La storiadell’uomo e la sua capacità di sfuggire alle carestie è scandita dalle

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grandi innovazioni in campo agricolo. La selezione massale dei fru-menti, la scoperta del valore del maggese, sino alle rotazioni agrarie.E così via con le tecniche irrigue, l’adozione dei porta innesti, le tec-niche di conservazione dei foraggi e delle granaglie etcc. Grandi in-novazioni culturali che tramite la semplicità dei gesti quotidiani e lacapacità di interpretare gli elementi fondamentali della natura: terra,acqua e fuoco; hanno consentito nel corso dei millenni di trarre concrescente margine di sicurezza, dalla terra tutto ciò serviva all’uomo.La civiltà contadina del mediterraneo è stata tra l’altro espressionedi un modello sociale basato sulla famiglia contadina, talvolta ma-triarcale, sempre legata da un forte patto di solidarietà e di mutualitàtra i diversi nuclei.Nel meridione di Italia, laddove la struttura feudale e il latifondohanno lasciato spazio a delle forme di sviluppo indipendente del-l’unità terriera, si sono distinte delle categorie di agricoltori (conta-dini) evoluti ed emancipati. Nel ‘900 detti borgesi. Una classe dicoltivatori diretti, piccoli proprietari e mezzadri, fieri della loro posi-zione economica che grazie al proprio lavoro gli garantiva sicurezzaeconomica e relativo benessere per le loro famiglie. L’organizzazionedel lavoro nei campi in tali periodo (preindustriale) richiedeva lo svi-luppo della mutualità e della cooperazione spontanea tra i soggettie talvolta i loro gruppi familiari. Non era raro allora che i lavori piùfaticosi e complessi come la pesatura del grano (trebbiatura), la ven-demmia o la semina, venissero fatte in collaborazione, per cooperarenel lavoro di squadra riducendo il ricorso agli avventizi (braccianti).È un’epoca questa, dove gli attrezzi agricoli erano autoprodotti cosìcome i principali monili domestici. La dieta era strettamente medi-terranea, e si seguiva con severa attenzione il principio della stagio-nalità nell’alimentazione. La possibilità di avere cibo in adeguatequantità dipendeva sopratutto dalla capacità di interpretare gli ele-menti, di comprendere la vocazione del territorio, di valorizzare lamassima biodiversità, animale e vegetale. Ciò consentiva un’ade-guata dotazione di elementi nutritivi pregiate e di vitamine in tuttol’arco dell’anno.

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La civiltà contadina è quindi l’antefatto storico dell’agricoltura bio-logica che nasce come risposta ad un modello di produzione agri-cola che, dal secondo dopoguerra ad oggi, ha via via sostituito isaperi della civiltà e della cultura del territorio con l‘uso di surrogatitecnici, chimici e meccanici che hanno dato per molti anni l’illusionedella supremazia dell’uomo sulla natura. Malgrado ciò in parte tro-vava giustificazione nella necessità di produrre derrate in maniera inquantità sempre maggiore per assecondare il boom demografico edeconomico del periodo dal 1950 al 1970, ciò ha finito per destruttu-rare il sistema rurale, indebolendolo dal punto di vista culturale e so-ciale e sopratutto rendendolo dipendente dalle fonti energetichefossili.La riscoperta dei valori della civiltà contadina è oggi una opportunitàche il territorio ha di riconciliarsi con la sua storia, e sopratutto ungrande giacimento di valori esperienziali per ricercare l’utile com-promesso tra la modernità dei sistemi sostenibili e biologici di pro-duzione e la forza delle tradizioni del territorio.

La formazione in agricoltura biologicaIl concetto di formazione permanente è quello per cui non si do-vrebbe smettere mai di studiare perché il mondo va avanti, le cosecambiano, la tecnologia progredisce, le emozioni sono sempre di-verse, la politica si trasforma, e il campo dello scibile umano èenorme rispetto alla nostra capacità di immagazzinare e di memo-rizzare. In virtù di questo esiste un vecchio adagio che dice: non sifinisce mai di imparare.Obiettivo generale dell’attività di formazione in agricoltura dovrebbeessere quello di promuovere un modello sostenibile di conversionee conservazione del territorio che comporta scelte informate e re-sponsabili da parte dei consumatori. Il modello di sviluppo ruraleche propone l’agricoltura biologica si basa su dei precisi presuppostiin cui tutti gli attori (i produttori, i trasformatori, i distributori, i con-sumatori, i tecnici, i ricercatori) hanno un ruolo specifico. Questo

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ruolo non può essere pienamente giocato se alla base non c’è unaomnicomprensiva attività formativa che sostenga un modello di svi-luppo rurale che è altro da quello oggi dominante nelle nostre cam-pagne. I produttori sono i primi responsabili del governo del territorio, anchese per anni sono stati defraudati da questo ruolo da discutibili sceltepolitiche, in questo vanno sostenuti per riconquistare questo ruolofondamentale. Tale attività di sostegno va effettuata tramite azionimirate di formazioni che rendano consapevoli il contadini del ruolofondamentale da loro svolto nella salvaguardia del territorio e dellasalute, due beni fondamentali per la vita dell’uomo. Il produttoredeve riappropriarsi delle sue conoscenze fondamentali di gestoredel proprio territorio. È chiaro che un produttore biologico non vendemateria prima, il cui prezzo non è più competitivo, ma vende un va-lore aggiunto che è il proprio sapere che determina una caratteristicaunica al prodotto ed al territorio da cui proviene.Risulta a tutti evidente che una conversione dei nostri territori passaanche dall’affermarsi di modelli di consumo altri da quelli attuali. Iprogrammi formativi diretti ai consumatori devono prevedere la pos-sibilità di contaminazione del pensiero, perché è essenziale arrivaread una forte alleanza fra produttori e consumatori per promuovereun processo di conversione dei nostri territori rurali. Questo incontro,potrebbe essere favorito da attività di formazione in aziende biolo-giche in modo da permettere ai consumatori di vedere con i propriocchi come operano i contadini biologici e quali sono i processi cheportano dal campo alla tavola il cibo biologico. I principali ambiti for-mativi potrebbero essere:1 educazione alimentare;2 percorsi del gusto;3 formazione per la Terza età;4 formazione per i gruppi di acquisto.Infine, la base per il raggiungimento di buoni risultati nel campodell’agricoltura biologica passa attraverso la strada obbligate dellaformazione di tecnici, che possano supportare gli operatori e seguirli

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durante tutte le fasi produttive, in modo da trasferire sul campo i ri-sultati della ricerca scientifica. i tecnici che operano nel campo del-l’agricoltura biologica, infatti, sono degli esperti che riescono afondere tecniche antiche con le più moderne, sempre nell’ottica delrispetto dell’ambiente e della salute dell’uomo.«Per affrontare le “cose nuove in agricoltura biologica” occorre,quindi, una forte politica di formazione di tutti i portatori di inte-ressi al fine di innalzare il loro livello di preparazione, solo in questamaniera sarà possibile creare un circolo virtuoso che permetta di ot-tenere una svolta decisa verso modelli di consumo di qualità che ri-spettino la salute dell’ambiente e delle persone, perché mangiarbene senza ripercussioni su salute e ambiente è un diritto di tutti.

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Invita un “Biologico a tavola”

Dolci siciliani BIO…logici

La cassata, regina dei dolciI dolci biologici hanno marcato, nella storia, la loro presenza nellacultura mediterranea ancora prima che la definizione stessa di bio-logico fosse coniata, rappresentando la naturale evoluzione degli in-gredienti di cui si compongono. Sicuramente la cassata è il dolcepiù conosciuto nel mondo per il suo sapore unico e la fantasia delladecorazione, che sintetizza un miscuglio d’arte e fantasia cromaticadei pasticceri, che hanno trasmesso in questo dolce l’influenzaaraba e barocca. Una complessa architettura in marzapane e pandi spagna, ricoperta di glassa (zucchero lavorato) e frutta candita,racchiude un cuore di crema di ricotta e pezzi di cioccolato.Un’esplosione di gusto storia e cultura che raggiunge l’apoteosi conla massima qualità di ogni ingrediente.Altro importantissimo dolce tipico è il cannolo, formato dalla“scorza” e dal “riempimento”. La crema di ricotta biologica di pecoracostituisce la vera chiave del successo gastronomico del dolce.Completa l’opera del pasticcere la decorazione fatta con scorzettadi arancia candita o la ciliegia candita e per finire una spolverata dizucchero a velo.Variante del cannolo è il “cialdone” una cialda di pasta frolla tempe-stata di mandorla trita, cotta al forno e ripiena di crema di ricotta.

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Discorso a parte merita la “pasta di mandorle” che apre un capitoloa parte della storia dolciaria mediterranea, ricercando le origini dellasua antica ricetta ci si imbatte in quella che era ed è ancora chiamatain Sicilia “ pasta reale”, ad indicarne la regalità tra i dolci.

La dolcezza che nutreI dolci biologici sono realizzati a partire da ingredienti certificati ematerie prime di alta qualità e in buona parte proveniente dal mer-cato equosolidale. I dolci di mandorla, oltre ad essere utilizzati tal quale, costituisconoa loro volta ingrediente per altre composizioni. Il segreto della suabontà risiede nella semplicità di preparazione che avviene seguendosempre lo stesso procedimento di base, dove il tempo non deve maiessere un problema.La pasta di mandorle, viene realizzata a partire da mandorle coltivatein biologico, che verranno sbucciate a caldo in acqua bollente, la-sciate riposare ed asciugare. In un secondo momento verrà lavorataed impastata con altri ingredienti (zucchero, albume,vanillina etcc.),quindi, ridotta in formelle da cuocere al forno o utilizzare come baseper altre composizioni.

Proprietà della mandorlaLe mandorle sono un’ottima fonte di grassi “buoni”, poiché benl’83% delle calorie di questo alimento provengono da questo nu-triente e di questi, la maggior parte sono monoinsaturi, il che lerende benefiche per l’apparato cardiocircolatorio. Le mandorle sonoanche un’ottima fonte di magnesio e vitamina E e sono il tipo difrutta secca con il più elevato contenuto di fibre.

La bontà che viene da lontano La più antica testimonianza sull’uso delle mandorle per l’alimentazionesi trova nel Vecchio Testamento (Gen 43,11): il patriarca ISRAELE ordinòai suoi figli di portare a Giuseppe, in Egitto, un regale costituito da pro-dotti tipici della Palestina nel quale erano presenti anche le mandorle.

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La pasta BIO…logica

Gusto ed energiaLa pasta biologica è ottenuta esclusivamente con farina di grani duricoltivati con metodo biologico, esalta i valori nutrizionali della pastatradizionale mantenendo un elevato valore energetico e un discretocontenuto di proteine. La pasta biologica viene essiccata a bassatemperatura, solitamente non superiore ai 50° e con tempi di essic-cazione molto lunghi, sempre superiori alle 8 ore, ciò per mantenerenella pasta tutti i principi nutritivi ed organolettici presenti nel granoa partire dal colore e dal sapore. La selezione di spighe di grano edi cereali coltivati con metodi di agricoltura biologica, sono il primoimportante passo per garantire alta qualità con una digeribilità chenel biologico risulta assai migliorata, il suo contenuto in amido ele-vato e un valore calorico che si aggira attorno alle 350 Kcal per 100grammi. Il limitato contenuto di grassi (anche meno dell’1%) per-mette di sbizzarrirsi nella scelta dei condimenti.

Una bontà per ogni esigenzaEsistono in biologico diversi tipi di pasta, la più diffusa è sicuramentela bianca, prodotta con semola di grano duro. La semola è la parteinterna e più raffinata del grano, pertanto è facilmente assimilabilein particolare da chi ha difficoltà a digerire le fibre grezze. Questapasta rappresenta il biglietto da visita della cucina italiana, presentein tutte le tavole abbinata ai più svariati condimenti. Segue la Pastadi semola integrale: prodotta utilizzando una semola ottenuta dauna speciale molitura che priva il chicco di grano del solo stratocorticale più esterno. Vi sono poi delle paste particolari come laPasta kamut: prodotta con il grano kamut dal suo straordinario pa-trimonio energetico, inalterato da millenni e la Pasta di farro,realizzata appunto con il farro, un grano che ha la caratteristica diun glutine facilmente assimilabile e digeribile.

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Mille modi di dire pastaLa pasta di grano biologico, la regina della pasta italiana, e di altri ce-reali (farro e il kamut), conferisce ai primi piatti delle dieta mediterraneafascino e sapore, ed è alla base di un’alimentazione sana e di qualità.Tramontata l’era che demonizzava la pasta nella dieta in nome dellalinea, oggi ritorna ad essere la base della nuova “piramide ali-mentare”. Appare ovvio che i risultati migliori si ottengono con ma-teria prima di qualità, come la pura semola di grano duro. La versatilità della pasta biologica, secca o anche fresca, è tale chela nostra buona cucina italiana prevede un numero illimitato di ricettedi pasta asciutta, insalate di pasta fredda e zuppe. Ma come per tuttele cose, la semplicità premia sempre e allora importante avere in casouna buona scorta di pasta biologica. Pennette, fusilli o maccheroni,cotti al dente, conditi con salsa bio di pomodoro siccagno al profumodi basilico e una spolverata di pecorino. E la serata e servita.

L’olio BIO…logico

L’olio extravergine d’oliva amico delle celluleL’olio extravergine d’oliva è il simbolo della dieta mediterranea nelMondo ed è riconosciuto per le sue qualità salutari e sensoriali. Di-versi studi hanno confermato che molte sostanze utili per la nostrasalute sono fissate all’interno dell’olio extravergine d’oliva. Esso con-tiene acidi grassi simili a quelli presenti nel corpo umano e un’elevataquantità di vitamine. Difende il corpo da alterazioni cutanee, da di-sturbi digestivi e da fenomeni di invecchiamento cellulare e aiuta amigliorare il benessere e la qualità della vita. Per questo preservarlodai residui chimici diventa più che un obbligo una grande opportu-nità. Olio Biologico è solo l’olio ottenuto e prodotto con olive prove-nienti da agricoltura biologica. Inoltre per essere extravergine, deveessere ottenuto esclusivamente dalla spremitura meccanica delleolive fresche e avere un’acidità inferiore all1%. Per potersi fregiaredel marchio con l’indicazione “Prodotto ottenuto da agricoltura bio-

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logica” è necessario che tutti gli operatori coinvolti (olivicoltori, fran-toiani, imbottigliatori e commercianti) siano assoggettati al regimedi controllo di un organismo riconosciuto dal MiPAAF (Ministero dellePolitiche Agricole, Alimentari e Forestali).

Gli oliveti biologici del MediterraneoL’oliveto biologico è un agroecosistema, in cui il compito dell’agri-coltore è quello di mantenerne in equilibrio tutte le componenti, ab-binando le tecniche antiche, tramandate nel tempo, alle più moderneacquisizioni. Un oliveto biologico è condotto in modo tale da man-tenere un corretto equilibrio vegeto-produttivo, in modo che lepiante godano di buona salute senza l’ausilio di prodotti di sintesi.

Dal campo alla tavolaAlcuni oli biologici vengono ottenuta con sistemi tradizionali, in oleificiin cui si sente ancora il rumore che accompagna l’incedere delle mo-lazze. In tutti i casi, la lavorazione, esclusivamente meccanica, vienesvolta senza l’aggiunta di acqua calda, in un processo che viene ap-punto definito “a freddo”. Solo così è possibile mantenere inalterate lecaratteristiche nutrizionali e organolettiche dell’olio biologico, che devepassare dall’oliva alla bottiglia nel modo meno traumatico possibile.

L’uva da tavola BIO…logica

Il frutto dell’abbondanzaL’uva è il frutto a cui da sempre si affiancano i significati di feconditàe abbondanza. Le proprietà dell’uva sono note sin dall’antichità.Ogni chicco racchiude un concentrato di sostanze rivitalizzanti ingrado di contrastare l’invecchiamento della pelle e di proteggeredalla fragilità capillare.Negli ultimi decenni, l’obiettivo quasi ossessivo di legare all’aspettoestetico il concetto di qualità, ha indotto al’uso esagerato di concimichimici e fitofarmaci.

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L’agricoltura biologica ha invece dimostrato come sia possibile co-niugare estetica e sicurezza alimentare.Le uve da tavola biologiche sono realizzate senza l’ausilio di prodottichimici di sintesi, utilizzando tecniche antiche e moderne sapiente-mente mescolate e improntate al rispetto delle regole del biologico.I viticoltori biologici sono gli artefici di un modo alternativo di con-cepire la conduzione del vigneto in cui la biocenosi raggiunga unequilibrio tale da non temere avversità e patogeni e garantire pro-duzioni adeguate. Il segreto di questo successo è la grande dedi-zione dei viticultori biologici all’agricoltura e la loro competenza.

L’uva insacchettataLa viticoltura biologica è anche fucina di sperimentazione di tecnichenuove. Tra le tecniche più particolari vi è quella dell’insacchetta-mento dei grappoli. In sostanza l’uva viene insacchettata sullapianta, già nella prima decade di luglio e viene così protetta sino allamaturazione. Il sacchetto forma una barriera fisica contro qualsiasiagente patogeno o anche sostanze inquinanti di qualunque natura.Con questa tecnica si ottiene un prodotto completamente sano eintegro. L’insacchettamento produce inoltre effetti positivi sul fruttoche si mantiene croccante e delicato.

Oltre al gusto c’è di piùL’uva disseta, purifica, nutre e da energia. È una preziosa fonte di saliminerali, soprattutto di ferro, calcio e potassio. Dato il suo scarso con-tenuto di cloruro di sodio favorisce la diuresi e, fa bene agli ipertesi. Isuoi sali hanno azione antiurica, stimolano e favoriscono la digestione. Gli acini ed in particolare la buccia e i semi contenuti al loro interno,risultano essere tra i più potenti anti-radicali liberi presenti in natura.L’uva da tavola biologica è una grande amica della bellezza, soprat-tutto femminile ma non solo: migliora il metabolismo degli zuccheri,svolge un’ azione antiossidante generale proteggendo e rendendola pelle luminosa e giovane.

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Una vera amica in cucinaOltre a gustarla come squisita frutta, l’uva arricchisce molte ricette.Dai primi piatti più sfiziosi ai dolci di panna e ricotta, alle crostate.Delizioso, soprattutto in estate, il succo d’uva fresco. semplice dapreparare e di sicuro effetto lo spiedino con l’uva. Realizzato infil-zando su uno spiedino di legno dadini di formaggio dolce, frutta distagione e grossi acini di uva bianca, biologica ovviamente.

Gli agrumi BIO…logici

Il frutto della salute e della bellezzaGli agrumi appartengono alla famiglia delle Rutacee, genere Citrus.Il frutto si chiama Esperidio. Circa il 60% degli agrumi prodotti in Ita-lia è siciliano. Le arance sono tra gli agrumi il frutto più diffuso e pos-sono essere bionde e rosse. Le prime si distinguono in ombelicate(varietà Washington Navel, Naveline, Navelate) e non ombelicatecome (varietà Valencia,...). Le arance rosse, dette anche pigmentate, sono ricche in antocianiche conferiscono al succo il caratteristico colore rosso. Le arancerosse (varietà più nota: tarocco) sono tipicamente siciliane e trovanonella parte orientale dell’Isola le caratteristiche ideali per il loro svi-luppo. Altri agrumi molto diffusi sono il mandarino comune e gli ibridi(chiamati anche “mandaranci”) clementine.

Qualità nutritiveTutti gli agrumi sono ricchi di vitamina C (Acido Ascorbico). La vita-mina c è importante perché:• potenzia le difese immunitarie;• blocca la formazione di alcune sostanze cancerogene;• favorisce la deposizione di calcio e fosforo nelle ossa e nei denti;• favorisce l’assorbimento del ferro, indispensabile nella formazione

dei globuli rossi.

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Come nascono gli agrumi biologiciL’agrumeto biologico viene nutrito dal sovescio di leguminose e daiconcimi organici. La presenza sui campi e ai bordi di essi di siepi fioriteed erbe spontanee, distoglie gli insetti antagonisti dai frutti di agrumi.Si interviene sporadicamente e solo in casi eccezionali per contrastarele cocciniglie e la mosca degli agrumi. Dove possibile si fa ricorso allalotta fotocromatica. Si pongono su ogni pianta dei piattini di coloregiallo cosparsi di colla. Le mosche, pronte a depositare le uova sugliagrumi, vengono attratte dal giallo e catturate. Anche la coccinigliaviene contrastata con prodotti naturali innocui verso gli altri insetti.

Un prodotto dai mille usiGli agrumi si prestano a mille usi. Consumati come frutta fresca, dannoun carico di gusto e di energia. I frutti o le bucce candite, sono la baseper pregiati dolciumi. Freschi compongono squisite insalate con olio,porri e finocchi o semplicemente con la cannella. È poi gelatina, cremedi limone, risotti e liquori: limoncello e mandarinetto in testa.

Il vino da uve bio…logiche

Un percorso 100 vantaggiIl percorso che dal vigneto porta al vino, è costellato di atti di amoreverso le colture e l’ambiente circostante. La cura delle piante, la loronutrizione naturale mediante il sovescio, adeguate potature e profilassi,ecc.. consentono ai vigneti biologici, esclusivamente condotti in zonevocate di portare a compimento le proprie uve, giustamente dotate dizuccheri e acidità. Per limitare l’insorgenza delle principale malattiedella vite è necessario che si faciliti l’arieggiamento della piante e lagiusta vigoria. Le avversità più temute dalla vite sono l’oidio, la pero-nospora e la tignoletta vengono controllate con lo zolfo e i Sali di rame.I rari attacchi di tignoletta vengono controllati attraverso l’utilizzo dalbatterio Bacillus thuringiensis, un prodotto naturale o mediante l’usodi trappole a feromone per il monitoraggio e la confusione sessuale.

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Anche la vendemmia è un atto di amore verso l’uva e la pianta che l’hagenerata. Nella gran parte dei casi condotta a mano, nelle prime oredel mattino, talvolta anche durante le ore notturne. Durante la raccoltavengono scelti solo i grappoli integri e ben maturi. La trasformazionedelle uve in vino avviene con lavorazioni leggere e poco invasive. Ilmosto, viene lasciato o meno a macerare e quindi a fermentare pertrasformare gli zuccheri in alcol e il mosto in vino.

Nella cantine biologicaNelle cantine biologiche la parola d’ordine è igiene e pulizia. Tutti ilocali adibiti alla lavorazione e allo stoccaggio sono curati nei minimiparticolari dal punto di vista igienico, ciò preserva il prodotto da in-quinamenti e alterazioni. La fase di affinamento e di invecchiamentoavviene in modo adeguato alla tipologia di vino. In silos di acciaio oin botti di pregiato rovere.

Un vino che non da alla testaIl vino da uve biologiche punta alla riduzione a limiti bassissimi di ani-dride solforosa, un antisettico che svolge anche funzione antiossi-dante. In vitivinicoltura biologica la riduzione di anidride solforosa (cheda alla testa) si ottiene attraverso tecniche particolari e impegnative,quali fermentazione a temperatura controllata, filtrazioni, iperossige-nazione dei mosti, tutto ciò consente in generale di produrre vini conbassissimo valore di solfiti aggiunti e pertanto che non danno alla testa.

Bontà che proteggeIl vino contiene una complessa miscela di composti bioattivi, tra cuii flavonoli, le antocianine, oltre agli acidi fenolici, quali i polifenoli e ilresveratrolo.Un moderato consumo di vino può ridurre, dunque, il rischio di ma-lattie cardiovascolari, oltre a svolgere un effetto positivo sulla pre-venzione dell’arteriosclerosi e delle patologie coronariche.

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Il cibo bio tra mito e storia

I Legumi biologici nella dieta del terzo millennio.

Grazie al biologico la riscoperta dei legumiDa circa vent’anni, grazie all’avvento del metodo biologico moltiagricoltori sono tornati sui propri passi, reinserendo nelle rotazioniagrarie i legumi come parte fondamentale, per le loro azioni benefi-che sulla struttura e sulla ricchezza dei terreni. L’avvento dell’Agri-coltura Biologica ha così permesso di riscoprire molte varietà dilegumi quasi dimenticati, che oggi vengono coltivati con grande suc-cesso, vista anche l’attenzione ad essi rivolta da un gruppo di con-sumatori, che vanno alla ricerca di un’alimentazione più equilibrata.La storia della Terra, almeno fino alla metà del secolo scorso (e percerti popoli anche quella odierna), non sarebbe stata la stessa senzai legumi, infatti, il loro consumo, insieme a quello dei cereali, ha as-sicurato un sicuro rifornimento di proteine. L’uomo ha da sempre im-piegato i legumi nelle rotazioni agrarie come piante miglioratricifondamentali, poiché contribuiscono ad arricchire di azoto il terreno,grazie all’azione degli azotobacter che vivono in simbiosi con le lororadici. Nel bacino del Mediterraneo le prime notizie sui legumi si pos-sono ricavare dal ritrovamento di alcuni semi all’interno delle tombedei Faraoni, ai tempi dei quali erano apprezzati ceci, lenticchie e pi-selli. Un fatto curioso riguarda Pitagora e la sua idiosincrasia versole fave, poiché oltre a non nutrirsene ne evitava anche il contatto,

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tanto che, inseguito dagli Scherani di Cilone di Crotone, preferì es-sere catturato e ucciso anziché attraversare un campo di fave. I fa-gioli erano, invece, considerati cibo per poveri, anche se eranopresenti nella grande opera “De Re Coquinaria” di Apicio al tempodei romani. In Europa l’incremento delle superfici coltivate a legumisi ebbe nel X secolo, quando, la ripresa dei traffici commerciali, per-mise di migliorare la dieta alimentare dei popoli europei. Nel XVI se-colo vi fu un ulteriore salto di qualità dietetica con l’arrivo delle varietàesotiche di fagioli americani, portati in Europa dagli spagnoli. Legumiche in questo periodo riuscirono ad ispirare Annibale Caracci che di-pinse “Il mangiafagioli”, che ritrae un uomo che porta alla bocca conappetito un bel cucchiaio di fagioli. I legumi, comunque erano con-siderati cibi poveri tanto che non comparivano mai nelle tavole degliaristocratici, che consumavano quasi esclusivamente carne.Un calo delle produzioni dei legumi dal Dopoguerra, soprattutto neiPaesi occidentali, è avvenuto per due ragioni. La prima la si deve al-l’avvento dei concimi chimici, con i quali si pensava si potesse surro-gare l’azione benefica delle rotazioni e dei concimi naturali, garantendoun aumento delle produzioni a prezzi sempre più bassi. La secondaper la diffusione degli allevamenti da carne, che hanno permesso allamaggior parte della popolazione di mutare la propria dieta introdu-cendo una sempre maggiore quantità di proteine animali.

Proprietà nutritive5

I legumi sono caratterizzati dalla capacità di accumulare una grandequantità di proteine all’interno dei semi. Questa proprietà è dovutaagli azotobacter che catturano l’azoto dall’atmosfera e lo fissanoscambiandolo con la pianta attraverso le radici. I semi dei legumisono i vegetali con la più elevata percentuale di proteine (dal 21%dei piselli al 36% della soia). Il valore biologico di tali proteine non èelevatissimo, poiché sono carenti di alcuni amminoacidi solforati e

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5 Fonte: “I legumi alimenti plastici ed energetici" Istituto Nazionale della Nutrizione, 1992

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il triptofano, anche se sono ricchi di lisina. Comunque, consuman-doli in maniera combinata con i cereali si eleva tantissimo il valorebiologico delle proteine, perché gli uni compensano le carenze am-minoacidiche degli altri. Infatti, molti piatti della cucina mediterraneasono a base di legumi e cereali, che garantiscono un equilibrata as-sunzione di proteine. I fagioli, i piselli e le fave possono essere con-sumati anche freschi, mentre ceci e lenticchie possono esserereperiti solo secchi. Naturalmente i prodotti freschi contenendo unagrande quantità di acqua hanno un tasso proteico, glucidico e ca-lorico più basso. I legumi presentano una buona quantità di fosforo,calcio, potassio e soprattutto di ferro. Gli zuccheri sono rappresen-tati principalmente da amido e oligosaccaridi, responsabili della fla-tulenza. I lipidi sono solitamente scarsi, tranne nelle arachidi e neiceci. Le vitamine sono molto scarse e la cottura ne distrugge quasila totalità. Ragguardevole è, infine, il contenuto di fibra, sia quellainsolubile che aiuta la peristalsi intestinale, sia quella solubile checontrasta l’accumulo di glucosio e di colesterolo nel sangue.

Legumi e agricoltura biologicaGli agricoltori che operano in biologico fanno largo uso dei leguminelle rotazioni, sia quelli destinati all’alimentazione umana che daforaggio. Il loro utilizzo è essenziale per favorire l’equilibrio del ter-reno dal punto di vista del contenuto di azoto e di sostanza organica.Buona parte dei legumi prodotti vengono utilizzati per la nutrizionedegli animali allevati, sempre in biologico, specialmente nei periodiin cui il pascolo è scarso, integrando in questo modo, la nutrizione,assicurando le sostanze proteiche essenziali.I consumatori di prodotti biologici, notoriamente alla continua risco-perta dei “sapori antichi” e molto attenti a condurre un’alimentazionesana ed equilibrata; apprezzano molto i legumi e ne fanno largo con-sumo nella propria dieta. Infatti, il consumatore bio, utilizza annual-mente almeno il doppio di legumi rispetto al suo omologo medio.Queste motivazioni hanno permesso la crescita del mercato dei le-gumi biologici, soprattutto secchi, che vengono commercializzati in

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confezioni sottovuoto e che spesso interessano anche antiche va-rietà, che sono state valorizzate dal mercato, come il caso della ci-cerchia. I legumi, quindi, da alimento dei poveri camminando “abraccetto” con il biologico, e grazie alla loro naturali qualità nutritive,si avviano a rientrare nelle diete alimentari del terzo millennio.

Alla scoperta del caciocavallo biologico

Il formaggio di IppocrateIl centro-sud d’Italia racchiude in sé una miriade di tesori gastrono-mici, fra questi un posto di rilievo è occupato sicuramente dal ca-ciocavallo, un formaggio a pasta filata, prodotto dalla Toscana allaSicilia, con l’utilizzo di latte vaccino ottenuto da razze appartenential gruppo delle podoliche allevate allo stato brado o semibrado. Iltermine “caciocavallo” si pensa derivi dal fatto che i formaggi, ap-pena prodotti, venissero legati e fatti stagionare a coppie su di unbastone orizzontale. Altra ipotesi è quella che lo fa derivare dalla pa-rola turca “qasqawal”, che identifica un tipo di formaggio.La storia del caciocavallo ha inizio quando, al tempo in cui l’arte ca-searia del cacio era diffusa nella Grecia classica. Ippocrate nel 500a.C., infatti, ne descriveva le tecniche e il gusto. Il salto di qualità siebbe quando i mandriani del meridione d’Italia perfezionarono la tec-nica utilizzata dai colleghi achei, ottenendo un formaggio detto a“pasta filata”, che era uno dei modi possibili per permettere la con-servabilità del latte vaccino. Nel medioevo, sempre nel meridione, ilcaciocavallo era annoverato fra gli alimenti più preziosi, nel ‘400 eragià considerato un prodotto di gran lunga superiore al semplicecacio, con un prezzo naturalmente più elevato. Era, inoltre, presentenelle tavole dei nobili e dei conventi, ed era utilizzato come merceper il pagamento degli affitti. La massima diffusione del caciocavallosi ebbe durante il Regno delle Due Sicilie, tanto che ispirò alcuni dettipopolari, come “far la fine del caciocavallo”, che voleva dire morireimpiccato, poiché aveva una forma strozzata nella parte superiore;

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prova ne sia che il re Ferdinando IV, chiedendo al cardinale Ruffo diuccidere i liberali, usò la frase “Famme truvà tante casecavalle”.

Sua maestà il CaciocavalloL’agricoltura biologica, come ampiamente risaputo, riesce a coniu-gare al meglio le tradizioni manifatturiere con le esigenze di avere unprodotto sano e microbiologicamente equilibrato. Tale affermazionevale sicuramente per gli allevatori e i casari che producono cacioca-vallo con il metodo biologico. Nel corso di circa vent’anni, infatti, sisono diffusi nel centro e nel meridione diversi operatori che hannocreduto nell’applicazione di un metodo “nuovo“, che potesse stra-volgere la filosofia che imponeva aumenti produttivi spropositati ascapito della preservazione delle tradizioni casearie, del benessereanimale e della salvaguardia delle razze autoctone, con la conse-guenza di un generale appiattimento del gusto e una sempre decre-scente sicurezza alimentare. Il metodo biologico ha contribuito ascongiurare tutto questo, tramite una più corretta gestione degli al-levamenti, non più visti come centri di produzione industriale, macome patrimonio biologico utile al mantenimento dell’equilibrio eco-logico dell’agrosistema. Grazie al primo regolamento europeo sulbiologico il 2091/92 e al successivo 1804/99, che ha introdotto dal2000 la zootecnia biologica, infatti, si è innescato un circolo virtuosoche ha coinvolto sempre un numero maggiore di allevatori che hannocreduto nel mantenimento allo stato brado o semibrado delle man-drie, alla riscoperta di quelle razze autoctone, sicuramente meno pro-duttive di altre, ma che riescono a dare un prodotto, che nel proprioterritorio di origine non ha eguali. Un prodotto, in generale, molto ap-prezzato dai consumatori per la sua genuinità e soprattutto per lacertezza del fatto che non contiene alcun inquinante chimico.I produttori biologici di caciocavallo, in generale, operano per la sal-vaguardia dei metodi tradizionali di produzione, lavorando con tantacura e passione, senza arrendersi e combattendo giorno dopogiorno per la salvaguardia di tradizioni e di sapori, che si tramandanoda secoli. Gli allevatori, che hanno abbracciato di buon grado la fi-

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losofia del biologico, hanno così valorizzato ancor di più il proprioprodotto e conquistato un posto di pregio all’interno del mercato deiformaggi tipici, che già da molto tempo riceve grandi attenzioni daconsumatori consapevoli che alla base di un’alimentazione sana visono i principi del rispetto dell’ambiente, che permette di coniugaretradizione, qualità e sicurezza alimentare.

Pecorino bio: il formaggio dei Ciclopi

Il pecorino nella storia del MediterraneoL’origine del pecorino ha origine quando l’uomo riuscì, nel neolitico, aaddomesticare gli ovini. Nel tempo in cui un grande ma lento processodi migrazione, portò delle popolazioni dedite alla pastorizia dall’Africae dal Medio Oriente verso il Mediterraneo, dove nacquero le primegrandi civiltà. Facendo un salto avanti di diversi secoli, popoli come iFenici prima e i Greci successivamente fondarono diverse coloniesparse in tutto il Nord Africa e l’Europa meridionale, questi luoghi fu-rono “contagiati” dai loro usi e costumi, uno fra questi era la praticadella pastorizia, che ebbe una grandissima diffusioni a partire dal sudItalia, l’allora “Magna Grecia”. Un esempio tangibile è contenuto nellescritture omeriche, quando nell’Odissea si fa riferimento a Polifemoche utilizzava i canestri come contenitori di latte cagliato delle propriepecore. Tanti storici greci, inoltre, hanno scritto di come i formaggi dipecora siciliani e calabresi, fossero una leccornia presso la madre pa-tria. Al tempo dei Romani, successivamente, si deve il perfeziona-mento dell’arte casearia, grazie alle conquiste che permisero unproficuo scambio di tecniche con i popoli di tutta Europa, del NordAfrica e del Medio Oriente. Da allora ad oggi il pecorino ha incontratoi gusti di diversi grandi personaggi della storia come Carlo Magno, cheaddirittura fece un editto per regolamentarne la diffusione in Europa.Oggi il pecorino è una delle grandi specialità casearie del centro-sudItalia, dove da secoli si producono formaggi ovini dalle varie sfumature,ognuno dei quali riflette la storia della propria terra di origine.

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La diffusione del pecorino biologicoIl pecorino biologico è prodotto, quindi, in molte Regioni italiane delcentro-sud, che producono dei formaggi con caratteristiche diffe-renti e ognuno con delle particolarità proprie. Quello che li accomunaè l’utilizzo di latte crudo di pecora e una filosofia, che mette alla baseuna tipologia di allevamento che predilige il mantenimento dellegreggi al pascolo per un periodo dell’anno il più lungo possibile,avendo cura del mantenimento di un elevato benessere degli ani-mali, come base dalla quale partire per limitare il diffondersi di ma-lattie e per ottenere un prodotto sano e genuino.Data la grande varietà di pecorini, porremo la nostra attenzione suquello prodotto in Sicilia, in quanto possiede una tradizione produt-tiva più antica rispetto agl’altri, dato che la Sicilia è stata ed è la“porta” utilizzata fin dall’antichità dai popoli che sono arrivati in Eu-ropa dal Mediterraneo.

L’antenato di tutti i pecoriniIl Pecorino siciliano biologico può fregiarsi anche del marchio D.O.P.e viene prodotto a partire da latte intero di pecora, da cui si ottieneun formaggio a pasta dura, consumato fresco o stagionato per unperiodo variabile dai 4 ai 18 mesi. L’ambito produttivo ideale è quellodella collina interna siciliana, dove vi è la presenza di diverse piccolee medie aziende ovine, che da generazioni si occupano della casei-ficazione e che riescono a conciliare l’allevamento semi-brado dellepecore, con un’attività di produzione di foraggi biologici di alta qua-lità. Le pecore allevate sono le eredi di quelle razze ancestrali chehanno attraversato il Mediterraneo e si sono stabilite e diffuse in tuttaEuropa, l’allevatore biologico, infatti, pone alla base della propria at-tività anche la salvaguardia della biodiversità animale e, quindi, pre-dilige allevare le razze autoctone siciliane come: la Comisana, laValle del Belice, la Barbaresca e la Pinzirita. Ognuna di essa è fruttodi secoli di selezione massale, lenta ma inesorabile, condotte dasvariate generazioni di allevatori, il ché le rende particolarmenteadatte al territorio siciliano e resistenti ai più comuni stress.

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Il pecorino siciliano tipico ha forma cilindrica a facce piane, il tutto“decorato” dalle impronte lasciate dalle “fascedde” i tipici canestridi giunco utilizzati per la fase di pressatura. Le forme ottenute pos-sono avere un peso variabile da 4 a 12 kg. Spesso vengono mi-schiati dei grani di pepe nero. Se viene consumato fresco prende ilnome di “Tuma”, che ha un gusto molto dolce e una grande ric-chezza in lattosio. Il “Primosale”, invece, si ottiene con una brevestagionatura di 10 giorni, in questa fase il pecorino perde buonaparte dei liquidi mantenendo un sapore dolce e delicato. Il “Secon-dosale”, invece si ottiene con una stagionatura di 45-90, nel qualeacquisisce una leggera sapidità. Il pecorino stagionato, acquisisceun gusto piccante e salato, con un colore giallo paglierino. Ma lapossibilità di caseificazione del pecorino non si limita a queste tipo-logie, infatti abbiamo diverse tipologie di formaggi ottenibili. Il “Ca-nestrato” si ottiene dalla mescita di latte ovino con quello caprinoe/o vaccino. Il “Maiorchino” è quello a lunghissima stagionatura, finoa 18 mesi, raggiungendo così un gusto eccezionale. Il “Piacentino”è quello ottenuto con l’aggiunta di grani di pepe e zafferano. La “Va-stedda” infine è l’unica tipologia di pecorino a pasta filata.Il Pecorino siciliano, quindi ci fa comprendere come questo alimentosi sia diffuso e abbia accompagnato l’alimentazione dei popoli chesi sono susseguiti nel territorio isolano. Un esempio della grande va-rietà di formaggi pecorini presenti nel sud Italia dove la tradizionecasearia si lega ormai sempre di più con la filosofia del biologico,che vuole la salvaguardia del gusto dei prodotti tradizionali, coniu-gandola con il benessere animale, in un binomio inscindibile for-maggi ovini.

Latte d’asina bio: un prodotto prezioso

Un latte dal sapore anticoLa storia del latte d’asina si perde nella notte dei tempi, si pensi chegià gli antichi egizi ritraevano nei loro bassorilievi degli allevamenti

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di asini, utilizzati per la produzione del latte, della carne e come be-stie da lavoro. Al tempo dei romani grandi regine come Cleopatra oPoppea utilizzavano il latte d’asina per immergersi in bagni beneficiper la loro pelle, mentre Plinio il Vecchio realizzava delle ricette perla preparazione di unguenti a base di cipolla, piante palustri e latted’asina. Il Medioevo non è un periodo positivo per l’asino, che eravisto come un animale negativo, addirittura additato come incarna-zione del diavolo e quindi fustigato in chiesa davanti all’altare. Il redi Francia Francesco I nel Rinascimento decantò le numerose virtùdel latte d’asina, poiché l’avevano guarito da una lunga malattia. NelXIX secolo il dottor Parrot dell’Hôpital des Enfants Assistes di Parigidiffuse la pratica di avvicinare i neonati orfani direttamente al capez-zolo delle asine, dove potevano suggere il latte; in assenza di balie,quindi i bambini venivano allattati dalle asine.Oggi il latte d’asina, per le sue caratteristiche nutrizionali, è univer-salmente riconosciuto come il più valido surrogato del latte materno.

L’allevamento di asini in biologicoNegl’ultimi anni gli allevamenti di asini si vanno sempre più diffon-dendo in ogni parte d’Italia, in particolar modo nelle regioni del sud,molti dei quali abbracciano appieno la filosofia dell’agricoltura biolo-gica. Secondo uno studio della Coldiretti il numero di allevamenti asi-nini è aumentato del 30% dal 2000 al 2009, anche grazie allasensibilità delle istituzioni che ne hanno incoraggiato la diffusione. Trale Regioni italiane la Sicilia è quella che ha saputo conservare megliodelle altre la tradizione dell’asino, la maggior parte dei quali è destinataalla produzione del latte. Solitamente un allevamento di asine anno-vera in media da 20 a 25 capi. Le razze più diffuse sono quelle mag-giormente indicate per la produzione del latte, la ragusana e la MartinaFranca, vale a dire quelle che raggiungono un peso maggiore. L’asinoè un animale rustico, che riesce ad adattarsi alle condizioni piùestreme essendo poco esigente, quindi è possibile utilizzare una tec-nica di allevamento semi-brado. La mungitura può essere effettuatamanualmente o con l’utilizzo di sistemi meccanici adoperati comune-

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mente negli allevamenti ovi-caprini. La mammella dell’asina è diffe-rente da quella bovina, per la mancanza di “cisterna”, una cavità confunzione di raccolta del latte, la quantità di secreto ottenuta ad ognimungitura è, quindi inferiore rispetto ai ruminanti, arrivando a circa500 ml, con picchi di 1200 ml nel caso di esemplari con mole elevata.Gli allevatori di asini si sono mostrati, da sempre, molto sensibili ri-guardo i temi del rispetto dell’ambiente, infatti, buona parte di essi èin possesso della certificazione biologica. Gli asini vengono, quindi, al-levati in un numero massimo di due capi per ettaro di superficie azien-dale, come da regolamento 834/2007; vengono alimentati per buonaparte dell’anno al pascolo o con fieno prodotto in azienda o acquistatoda aziende biologiche limitrofe e naturalmente viene fatto di tutto perlimitare lo stress e porre al centro del tutto il benessere degli animali,in modo da ottenere un latte con un elevato valore biologico.

Caratteristiche nutrizionali del latte d’asinaIl latte d’asina oggi viene impiegato nell’alimentazione di quei neo-nati allergici alle proteine del latte vaccino (circa 15.000 ogni annoin Italia) o che, non possono disporre del latte materno. Il latted’asina ha, quindi, un elevato potere ipoallergenico e, come già sot-tolineato, una buona sovrapponibilità con quello umano, le unichedifferenze riguardano il basso contenuto in grassi, che, però, puòessere agevolmente compensato. Il sapore dolce lo rende gradevoleal palato dei neonati, a differenza di quello vaccino che possiede unretrogusto amaro. La ricchezza di lattosio permette una migliore ca-pacità di assorbimento intestinale del calcio, favorendo così la mi-neralizzazione delle ossa dei bambini. La presenza, inoltre, disostanze ad azione probiotica (che regolano l’azione della flora in-testinale), di fattori di rilascio ormonale, di anticorpi e composti azo-tati ad azione antibatterica, rendono il latte d’asina molto utile anchenell’alimentazione delle persone anziane e debilitate.Lo spettro di impiego del latte d’asina non è limitato al solo campopediatrico, infatti, viene adoperato con successo nell’alimentazionegeriatrica e nella cosmesi. La composizione biochimica di questo

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latte caratterizzata dalla presenza di siero proteine, biopeptidi attivi,acidi grassi come il linoleico e linolenico appartenenti alla classeomega 3 e omega 6 e grandi quantità di lattosio, lo rendono parti-colarmente adatto a questi impieghi.L’unica difficoltà per la diffusione del latte d’asina è la normativa cheè ferma al regio Decreto 994 del 1929, che permette di venderlo soloin appositi locali allestiti presso il luogo di produzione. Questo per-mette solo acquisti a “km 0”, il ché non è proprio negativo, anchese non tutti possono avere un asino sotto casa.

Composizione media del latte di varie specie e valore energetico Polidori

1994

Tipo di latte Residuo Grasso Proteine Lattosio Ceneri Valore

secco energetico

% % % % % KJ/Kg

Donna 12.43 3.38 1.64 6.69 0.22 2855.6

Asina 9.61 1.21 1.74 6.23 0.43 1939.4

Cavalla 9.52 0.85 2.06 6.26 0.35 1877.8

Bovina 12.38 3.46 3.43 4.71 0.78 2983.0

Capra 13.23 4.62 3.41 4.47 0.73 3399.5

Pecora 19.52 7.54 6.17 4.89 0.92 5289.4

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Appendice

La normativa di riferimento in agricoltura biologica

La normativa comunitariaIl regolamento (CE) n. 834/2007 relativo alla produzione biologica e all’eti-

chettatura dei prodotti biologici, in vigore dal 1° gennaio 2009, ha fornito

basi giuridiche di maggiore chiarezza per la produzione biologica, semplifi-

cando la materia per produttori e consumatori, divenuta particolarmente

complessa a seguito dei numerosi provvedimenti di adeguamento succe-

dutisi dal 1991, anno di entrata in vigore del primo regolamento, ora abro-

gato (reg. CEE n. 2092/91).

Il regolamento stabilisce i principi e i criteri generali dell’agricoltura biologica,

fissa le norme di produzione, il funzionamento del sistema di controllo, le

modalità di Il regolamento lascia agli Stati membri la possibilità di applicare

norme nazionali oltre che su acquacoltura (settore poi normato con il reg.

(CE) n. 710/09), su talune specie animali e su vitivinicoltura (settore di forte

interesse sul quale si sta muovendo l’Italia), in attesa di norme comunitarie

dettagliate di produzione; intanto, fino a luglio 2012, è ammessa in etichetta

la dicitura “vino da uve biologiche” (reg. UE n. 344/2011). Restano fuori dal

campo di applicazione del regolamento, oltre ai prodotti della ristorazione

collettiva – per i quali si annuncia un riesame comunitario in materia entro il

2011 e si concede facoltà agli Stati membri di regolamentare il comparto

(art. 42) -, gli alimenti per animali da compagnia (pet-food), per i quali è pos-

sibile applicare norme nazionali (art. 95, reg. CE n. 889/08), i mangimi ad

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uso professionale, i prodotti tessili, i prodotti cosmetici e le alghe coltivate

diverse dalle alghe marine.

Il successivo regolamento (CE) n. 889/2008, recante modalità di ap-plicazione, dettaglia le norme tecniche e i criteri di controllo per laproduzione agricola, l’allevamento e la preparazione alimentare.I regolamenti (CE) n. 834/07 e n. 889/08 disciplinano tutte le fasi, dalla pro-

duzione, alla preparazione e distribuzione dei prodotti biologici, compresa

l’etichettatura e le altre forme di pubblicità, integrandosi con tutte le altre re-

gole riguardanti il settore agro-alimentare. Norme specifiche sono state suc-

cessivamente dettate per (l’elenco delle norme UE è riportato nel riquadro):

• l’importazione di prodotti biologici da Paesi terzi (regg. CE nn. 1235/08,

537/09, 471/10) - la smi di controllo dei Paesi terzi avviene sulla base del

giudizio di equivalenza oppure della piena “conformità” alla norma euro-

pea. A tutti gli enti è richiesto l’accreditamento ai sensi della norma tec-

nica ISO 65, mente l’equivalenza dei disciplinari tecnici è valutata

assumendo come livello minimo le Linee guida 32-199 “Guidelines for

the production, processing, labelling and marketing of organically pro-

duced foods” del Codex Alimentarius.

• la produzione di lievito biologico e prodotti a base di lievito (reg. CE n.

1254/08), i quali saranno considerati ingredienti di origine agricola solo

a partire dal 31/12/2013 (art. 27, reg. CE n. 889/08);

• la produzione di animali e alghe marine dell’acquacoltura biologica (reg.

CE n. 710/09), che è disciplinata nell’ottica di uno sviluppo sostenibile,

con riguardo all’ambiente e alle specie animali, con l’individuazione di si-

stemi di produzione e cattura che siano rispettosi degli equilibri naturali.

A tal fine, per le unità che producono oltre le 20 tonnellate è richiesta una

valutazione ambientale. Per i pesci d’acqua dolce sono vietati gli impianti

a ricircolo chiuso e almeno il 5% della superficie perimetrale deve essere

coperto da vegetazione naturale. L’utilizzo di novellame non biologico è

ammesso fino al 31 dicembre 2015 in percentuale decrescente; gli ani-

mali devono passare almeno gli ultimi due terzi del ciclo di produzione in

regime biologico; il logo obbligatorio di produzione biologica dell’UE (reg.

CE n. 967/08 e UE n. 271/10).

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Il campo di applicazione del regolamento (CE) n. 834/2007

• Il regolamento riguarda la produzione vegetale e animale, i prodotti agri-

coli e zootecnici freschi e trasformati destinati a essere utilizzati come

alimenti, i mangimi, il materiale di propagazione vegetativa e le sementi.

• Il campo di applicazione è esteso ai prodotti dell’acquacoltura, vitivini-

coltura, lieviti e alghe marine.

• Il vino rientra immediatamente nel campo di applicazione del regola-

mento, mentre è rimandata a norme successive la definizione delle tec-

niche di vinificazione, additivi e coadiuvanti tecnologici, in mancanza

delle quali vigono le attuali norme di etichettatura che ammettono solo

la seguente indicazione: “vino ottenuto con uve biologiche”.

• Il regolamento lascia una certa flessibilità agli Stati membri per tenere

conto delle condizioni locali e dei vari stadi di sviluppo del settore; tutta-

via, «gli Stati membri possono applicare nel loro territorio norme più ri-

gorose alla produzione biologica vegetale e a quella animale, purché tali

norme siano applicabili anche alla produzione non biologica, siano con-

formi alla normativa comunitaria e non vietino o limitino la commercializ-

zazione di prodotti biologici prodotti al di fuori del territorio dello Stato

membro interessato (art.34, reg. CE n. 834/2007)».

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Cosa prescrive il regolamento (CE) n. 834/2007

• Conferma il divieto di utilizzare OGM nella produzione biologica ma pre-

cisa che il limite generale dello 0,9% per la presenza accidentale di OGM

autorizzati negli alimenti si applica anche ai prodotti biologici;

• lascia invariato l’elenco delle sostanze autorizzate in agricoltura biolo-

gica, prescrive la pubblicazione delle richieste di autorizzazione di nuove

sostanze e sottopone a un sistema centralizzato la concessione di ec-

cezioni;

• introduce l’obbligatorietà del logo UE per i prodotti biologici di origine

comunitaria, consentendo l’uso complementare di loghi nazionali o pri-

vati;

• rende possibile etichettare come prodotti biologici soltanto gli alimenti

contenenti almeno il 95% di ingredienti biologici e autorizza l’indicazione

degli ingredienti biologici nella composizione dei prodotti non biologici;

• istituisce un nuovo regime permanente d’importazione, in virtù del quale

i Paesi terzi possono esportare sul mercato comunitario a condizioni

identiche o equivalenti a quelle applicabili ai produttori UE;

• rende obbligatoria l’indicazione del luogo di provenienza delle materie

prime in etichetta, anche per i prodotti biologici importati che recano, fa-

coltativamente, il logo UE;

• potenzia l’approccio basato sull’analisi del rischio e migliora il sistema

di controllo, allineandolo a quello comunitario vigente per le derrate ali-

mentari e i mangimi (reg. CE n. 882/04), mantenendo controlli specifici

per la produzione biologica;

• basa la natura e la frequenza delle attività di controllo sulla valutazione

dei rischi di infrazione delle norme previste dal regolamento.

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Le norme comunitarie per la produzione biologica

• Reg. di esecuzione (UE) n. 590/11 della Commissione del 20 giugno 2011

che modifica il reg. (CE) n. 1235/08 con riguardo all’elenco dei paesi terzi

di cui determinati prodotti agricoli ottenuti con metodi biologici devono

essere originari per poter essere commercializzati all’interno dell’UE;

• reg. di esecuzione (UE) n. 344/11 della Commissione dell’8 aprile 2011,

che modifica il reg. (CE) n. 889/08 recante modalità di applicazione del

reg. (CE) n. 834/07 del Consiglio.. Riguardo all’utilizzo del logo biologico

dell’UE, il regolamento rende più esplicita la necessità per gli operatori

di essere sottoposti al sistema di controllo; esso, inoltre, posticipa al

31/07/2012 la possibilità di utilizzare la dicitura “vino da uve biologiche”

e dispone l’inserimento degli “estratti di rosmarino” tra gli additivi alimen-

tari dell’Allegato VIII parte A;

• reg. (UE) n. 471/10 della Commissione del 31 maggio 2010 recante mo-

difica del reg. (CE) n. 1235/08, con riguardo all’elenco dei paesi terzi di

cui determinati prodotti agricoli ottenuti con metodi biologici devono es-

sere originari per poter essere commercializzati all’interno dell’Unione

europea;

• reg. (UE) n. 271/10 della Commissione del 24 marzo 2010 recante modi-

fica del reg. (CE) n. 889/08, recante modalità di applicazione del reg. (CE)

n. 834/07 del Consiglio, per quanto riguarda il logo di produzione biolo-

gica dell’UE;

• reg. (CE) n. 710/09 della Commissione del 5 agosto 2009 che modifica il

reg. (CE) n. 889/08 recante modalità di applicazione del reg. (CE) n.

834/07 del Consiglio per quanto riguarda l’introduzione di modalità di

applicazione relative alla produzione di animali e di alghe marine dell’ac-

quacoltura biologica;

• reg. (CE) n. 537/09 della Commissione del 19 giugno 2009 recante modi-

fica del reg. (CE) n. 1235/08, con riguardo all’elenco dei Paesi terzi di cui

determinati prodotti agricoli ottenuti con metodi biologici devono essere

originari per poter essere commercializzati all’interno della Comunità;

• reg. (CE) n. 1254/08 della Commissione del 15 dicembre 2008 che mo-

difica il reg. (CE) n. 889/08 recante modalità di applicazione del reg. (CE)

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n. 834/07 del Consiglio relativo alla produzione biologica e all’etichetta-

tura dei prodotti biologici, per quanto riguarda la produzione biologica,

l’etichettatura e i controlli;

• reg. (CE) n. 1235/08 della Commissione dell’8 dicembre 2008 recante

modalità di applicazione del reg. (CE) n. 834/07 del Consiglio per quanto

riguarda il regime di importazione di prodotti biologici dai Paesi terzi;

• reg. (CE) n. 967/08 del Consiglio del 29 settembre 2008 recante modifica

del reg. (CE) n. 834/07 relativo alla produzione biologica e all’etichettatura

dei prodotti biologici;

• reg. (CE) n. 889/08 della Commissione del 5 settembre 2008 recante mo-

dalità di applicazione del reg. (CE) n. 834/07 del Consiglio relativo alla

produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici, per quanto

riguarda la produzione biologica, l’etichettatura e i controlli;

• reg. (CE) n. 834/07 del Consiglio del 28 giugno 2007, relativo alla produ-

zione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici, che abroga il reg.

(CEE) n. 2092/91.

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Le norme nazionali per la produzione biologica

• d.m. 13 gennaio 2011, riguardo alle contaminazioni accidentali e tecni-

camente inevitabili di prodotti fitosanitari in agricoltura biologica (con ri-

ferimento ai prodotti fitosanitari non presenti nell’allegato II del reg. (CE)

n. 889/08 ma il cui uso è autorizzato in agricoltura convenzionale, il de-

creto considera lo 0,01 mg/kg quale limite inferiore, inteso come «soglia

numerica» al di sopra della quale non è concedibile la certificazione di

prodotto biologico, anche in caso di contaminazione accidentale e tec-

nicamente inevitabile, a meno che non siano previsti limiti inferiori dalla

legislazione applicabile per particolari categorie di prodotto);

• d.m. 29 ottobre 2010, n. 16954, recante disposizioni per l’individuazione

dei requisiti minimi delle procedure di prelievo di campioni di prodotti

biologici da analizzare in attuazione dei regg. (CE) n. 834/07, n. 889/08,

n. 1235/08 e successive modifiche riguardanti la produzione biologica e

l’etichettatura dei prodotti biologici;

• d.m. 30 luglio 2010, n. 11954, recante disposizioni per l’attuazione del reg.

(CE) n. 710/09 che modifica il reg. (CE) n. 889/08 recante modalità di appli-

cazione del reg. (CE) n. 834/07 del Consiglio per quanto riguarda l’introdu-

zione di modalità di applicazione relative alla produzione di animali e di

alghe marine dell’acquacoltura biologica Al fine di garantire un’applicazione

omogenea sul territorio nazionale delle disposizioni comunitarie, il decreto

si sofferma sull’idoneità del mezzo acquatico e sul piano di gestione so-

stenibile. Il piano, da aggiornare annualmente, deve essere presentato dal-

l’operatore, contestualmente alla notifica, e deve contenere i seguenti

elementi: il piano di monitoraggio ambientale (qualità dell’acqua e rilascio

nutrienti); i protocolli delle varie fasi del ciclo produttivo; la capacità produt-

tiva dell’impianto; il rilascio di nutrienti; l’attività di manutenzione degli im-

pianti; la gestione dei rifiuti; la gestione della documentazione; la gestione

della salute degli animali; le misure di difesa e prevenzione dai predatori; le

misure per minimizzare il rischio di fughe e gli impatti sull’ecosistema;

• d.m. 30 luglio 2010, n.11955 relativo alla notifica per l’attività di produ-

zione di animali e alghe marine d’acquacoltura biologica ai sensi del reg.

(CE) n. 710/09;

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• d.m. 28 maggio 2010, n. 8515, recante modifica del decreto ministeriale

27 novembre 2009, n. 18354 (articoli 8 e 11 relativamente alle indicazioni

obbligatorie in materia di etichettatura e alle modalità di rilascio dell’au-

torizzazione all’importazione di prodotti biologici da Paesi terzi – art. 19

del reg. CE n. 1235/08);

• comunicato MIPAAF n. 750 del 22 gennaio 2010, relativo al d.m,

18354/09 che integra la prescrizione relativa alle rotazioni poliennali;

• d.m. 27 novembre 2009, n. 18354, contenente le disposizioni per l’attua-

zione dei regg. (CE) n. 834/07, n. 889/08, n. 1235/08 riguardanti la pro-

duzione biologica e l’etichettatura dei prodotti biologici, definendo alcuni

parametri fondamentali che il legislatore comunitario ha demandato agli

Stati membri;

• circolare MIPAAF 11 novembre 2009, n. 17281, chiarimenti sul reg. (CE)

n. 834/107 e relativi regolamenti di attuazione (distributori a marchio ed

etichettatura);

• circolare MIPAAF del 23 ottobre 2009, n. 23117, comunicazione attribu-

zione numero di riferimento attribuito dall’Autorità competente agli orga-

nismi di controllo ai sensi dell’art. 58 del reg. (CE) n. 889/08.

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La normativa regionale per lo sviluppo della produzione biologica

• Piemonte Legge regionale n. 13 del 25/06/1999, Norme per lo sviluppo

dell’agricoltura biologica e successive modifiche e integrazioni;

• Valle d’Aosta Legge regionale n. 8 del 17/04/2001, Disposizioni in materia

di allevamento bovino, ovino e caprino e di prodotti derivati, ottenuti me-

diante metodi biologici (sostituisce l.r. n. 36 del 16/11/99).

• Lombardia Legge regionale n. 7 del 07/02/2000, Norme per gli interventi

regionali in agricoltura; Delibera g.r. n. 15533 del 12/12/03, Approvazione

programma di interventi per lo sviluppo dell’agricoltura biologica

• P.A. Bolzano Legge provinciale del 20/01/2003, Norme per l’agricoltura

biologica (sostituisce legge provinciale del 30/04/1991)

• P.A. Trento Legge provinciale n. 4 del 28 marzo 2003, Sostegno dell’eco-

nomia agricola, disciplina dell’agricoltura biologica e della contrassegna-

zione di prodotti geneticamente non modificati e successive norme

attuative (sostituisce legge provinciale n. 13 del 10/06/1991)

• Veneto Legge regionale n. 24 del 06/04/1990, Norme relative all’agricol-

tura biologica e all’incentivazione della lotta fitopatologica.

• Friuli-Venezia Giulia Legge regionale n. 36 del 06/12/1999, Interventi per

la valorizzazione e la promozione dell’agricoltura di qualità e norme sul

metodo di produzione biologico; legge regionale n. 32 del 24/07/1995,

Disciplina e promozione dell’agricoltura biologica (sostituisce legge re-

gionale n. 59 del 29/12/90)

• Liguria Legge regionale n. 36 del 6/12/1999, Interventi per la valorizza-

zione e la promozione dell’agricoltura di qualità e norme sul metodo di

produzione biologico (sostituisce l.r. n. 5 del 1/02/94 e successive modi-

fiche e integrazioni)

• Emilia-Romagna Legge regionale n. 28 del 2/08/1997, Norme per il set-

tore agro-alimentare biologico (sostituisce l.r. n. 36 del 26/10/93 e suc-

cessive modifiche e integrazioni)

• Toscana Delibera n. 1057 del 13/12/2010 relativa all’applicazione del d.m.

30 luglio 2010; Legge regionale n. 31 del 19/04/1994, Norme per l’agri-

coltura biologica e successive modifiche e integrazioni

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• Umbria Legge regionale n. 57 del 20/08/2001, Disposizioni in materia di

coltivazione, allevamento, sperimentazione, commercializzazione e con-

sumo di organismi geneticamente modificati e per la promozione di pro-

dotti biologici e tipici; Legge regionale n. 39 del 28/08/1995, Norme per

la produzione ed il controllo dei prodotti biologici (sostituisce l.r. n. 46 del

28/12/90)

• Marche Legge regionale n.5 del 4/03/2004, Disposizioni in materia di sal-

vaguardia delle produzioni agricole, tipiche, di qualità e biologiche; legge

regionale n. 4 del 3/04/2002, Disciplina dell’agricoltura biologica (modi-

fica l.r. n. 76 del 29/12/1997 che sostituisce l.r. n. 44/92 che a sua volta

sostituisce l.r. n. 57/90)

• Lazio Legge regionale n. 21 del 30/06/1998, Norme per l’agricoltura bio-

logica (sostituisce l.r. n. 51 del 27/07/89)

• Abruzzo Legge regionale n. 53 del 30/05/1997, Interventi nel settore agri-

colo e agro-alimentare

• Molise Legge regionale n. 38 dell’11/11/2005, Norme per l’agricoltura

biologica (sostituisce l.r. n. 17 del 13/03/1996)

• Campania Legge regionale n. 24 del 12/08/1993, Disciplina, promozione

e valorizzazione dell’agricoltura biologica

• Puglia Legge regionale n. 21 del 20 agosto 2001, Disposizioni in materia

di coltivazione, allevamento, sperimentazione, commercializzazione e

consumo di organismi geneticamente modificati e per la promozione di

prodotti biologici e tipici

• Basilicata Legge regionale n. 14 del 27/04/1999, Disciplina delle produ-

zioni biologiche regionali (sostituisce l.r. n. 12 del 16/03/93)

• Sardegna Legge regionale n. 9 del 04/03/1994, Norme per la promozione

e la valorizzazione dell’agricoltura biologica.

Bio è per tutti fermo immagine

viaggio nell’agricoltura biologica mediterranea142

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Gli Organismi di Controllo autorizzati dal MiPAAF

Bio è per tutti fermo immagine

viaggio nell’agricoltura biologica mediterranea144

denomiinaziione OOrganiismo,estremi autorizz.MiPAPP AAA Fe accreditamenti vari

codiice CCE iindiiriizzo sede raziionale

CODEX SrlDM 18 dicembre 1996, n. 9697170(GU n. 19 del 24 gennaio 1997)

IT BIO 002 Via Don Milam. 495048 Scordia (CT)Tel.: 095 650634 -650716Fax: 095 650356

Istituto Mediterraneo di Certificazione (IMC)DM 18 dicembre 1996. n. 9697172(GU n 19 del 24 gennaio 1997)

IT BIO 003 Via C. Pisacane 3260019 - Senigallia (AN)tel.: 071 7930179 - fax. 071 7910043e-mail [email protected]

Associazione Suolo e Salute SrlDM 30 dicembre 1996. n 9697232(GU n 19 del 24 gennaio 1997)

IT BIO 004 Via Paolo Borsellino, 12/b61032 - Fano (PU)tel.: 0721.860543 - fax:0721 869679e-mail [email protected]

BIOS SrlDM 2 aprile 1999, n. 9990587(GU n. 93 del 22 aprile 1999)

IT BIO 005 Via M. Grappa 37/C36063 Marostica (VI)tel.: 0424 471125 - fax: 0424.476947e-mail [email protected]

Istituto per la Certificazione Etica e Ambientale (ICEA) Consorzio con attività esternaDM 18 luglio 2002. n. 91737(GU n. 171 del 23-7-2002)

IT BIO 006 Via Nazario Sauro, 240121 - Bologna (BO)Ttel. 051.272986 - fax 051.232011e-mail: [email protected]

Bioagricert SrlDM 29 luglio 2002, n. 91822(GU n. 200 del 27-8-2002)

IT BIO 007 Via dei Macabraccia. 8 40133 Casalecchio Di Reno (BO)tel. 051.562158 - fax. 051.564294e-mail [email protected]

Associazione Ecogruppo Italia S.r.l.DM. 29 luglio 2010 n. 17340

IT BIO 008 Via Pietro Mascagni 7995127- Catania (CT)Tel. 0957470006 – 7465353Fax 095 7465342e-mail: [email protected]

Consorzio Controllo Prodotti Biologici S.r.l. (CCPB)DDG 28 dicembre 2007, n 0026023

IT BIO 009 Via Jacopo Barozzi 840126 - Bologna (BO)tel.: 051.6089811- fax: 051.254842e-mail [email protected].ìt

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Consorzio Isola Bio Sicilia 145

denomiinaziione OOrganiismo,estremi autorizz.MiPAPP AAA Fe accreditamenti vari

codiice CCE iindiiriizzo sede raziionale

BIOZOO SrlDM n. 13778 del 28 giugno 2009(G.U. n. 158 del 10.07 2009)

IT BIO 010 Via Chironi 907100 Sassari (SS)tel.: 079.276537 - fax: 079 2853527e-mail: [email protected]

Sidel S.p.A.DM n 20856 del 24 settembre 2009

IT BIO 012 Via Larga. 34/240138 Bologna (BO)tel.: 051 6026611 - fax: 051 6012227e-mail: [email protected]

ABCERT S.r.LDM n 20859 del 24 settembre 2009

IT BIO 013 Via Enzenberg 3S39018 - Terlano (BZ)Tel. e fax 0471.235042e-mail: [email protected] abcert it

Q CERTIFICAZIONI S.r.l,DM n. 26740 del 04 dicembre 2009

IT BIO 014 Villa PariginiLocalità Basciano55035 Monteriggioni (SItel.: 0577.327234 - fax. 0577.329907Email: [email protected]

IMO - Institut für Marktökologie *

IT-BZ/IMO Obere Laube 51/53D-78462 KONSTANZTel.: +49.7531.813010Fax: +49.7531.8130129e-mail: [email protected]

QC&IGesellschaft für kontrolle und zertifizierung von Qualitätssicherungssystemen GmbH *

IT-BZ/QCI Gleuelerstrasse. 286D-5Q678 – KOELNTel.: +49.221.94392 -09Fax: +49.221.94392- 11e-mail: [email protected] www.qci.de

BIKO TIROLVerband KoutrolIservice Tirol *

IT-BZ-BKT Wilbelm-Greil-Strasse. 9A-6020 InnsbruckTel.: +43 (0)5/92 92-3100Fax: +43 (0)5'92 92-3199e-mail [email protected]

* OdC autorizzati ad operare in Italia nella sola Provincia Autonoma di Bolzano

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• AA.VV., Orto e frutteto biologico, Giunti Demetra, 2005

• AA.VV., Tutto Bio 2006. Annuario del biologico, Egaf Edizioni srl, 2005

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• Del Fabro A., Orto biologico, Gribaudo editore, 2004

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gricole, 2006

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golamenti, Edagricole, 2006

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• Vizioli V., Conversione al biologico, Edizioni Aiab, 2003

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il Consorzio Isola Bio ringrazia i tanti amici del biologico che con i loro consigli,

i loro contributi scritti e verbali e il loro impegno quotidiano ciascuno nel proprio ambito

di competenza, hanno contribuito in modo sostanziale alla realizzazione di questa

pubblicazione.

Teresa Lazzana esperta di cultura araba,

Marcella La Placa produttrice bio,

Giorgio Salamone produttore Bio,

Lillo Alaimo Di Loro agronomo,

Giuseppe Simone Craparo agronomo,

Luca Perseo poeta,

Filippo Leonardi picoltore,

Vito Badaglialacqua produttore io,

Salvatore Miceli alledoro,

Tommaso Alessi oop. Rinascita,

Coop. L’Arcobaleno produttrice io,

Calogero Girgenti docente,

Francesco Loria allevatore bio,

Giovanni Latino produttore bio,

Francesco D’agosta operatore bio,

Walter Tropea operatore bio,

Dario Brucculeri agronomo,

Vito Bagliesi viticultore Bio,

Eugenio Sciabbarrasi architetto,

Associazione Culturale Humus,

Coop. Valdibella azienda io,

Ass Utile Dulce,

Massimo Brucato esperto enogastronomico,

Mimmo Alaimo veterinario,

Sergio Rizzo giornalista,

Studio 98 emittente TV,

Sergio Scimè blogger,

Giuseppe Licata veterinario,

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Giuseppe Licata architetto,

Giuseppe Guagliano animatore culturale,

Rosaria Di Sano nsegnante,

Giovanna Grisafi sindacalista,

Elio Di Bella giornalista,

Giovanni Giardina enologo,

Salvatore Vella operatore bio,

Mariangela Alaimo dietista,

Irene Iannello giornalista,

Calogero Carlisi operatore televisivo,

Massimo Mattina cameramen,

Calogero e Maurizio Sferrazza editori,

Salvatore Picone gionalista,

Nicola Giangreco giornalista,

Salvo Caramagno pittore,

Lelio lunetta esperto enogastronomico,

Ignazio Vassallo esperto enogastronomico,

Achille Ribolla Coldiretti,

Alfio Panebianco produttore bio,

Luca Cammarata produttore bio,

Calogero Manno agronomo,

Antonina Fontanazza bio agriturismo Geraci,

Rosalba Alaimo Di Loro e Angelo Rizzo oop. Il Melograno,

Eliana Cannavò operatrice io,

Salvatore Mancuso produttore bio.

Che sono riportati in elenco in modo casuale.

Ci appelliamo inoltre alla benevolenza di quanti altri pur avendo contribuito in modo

significativo al presente lavoro, per umana disattenzione non risultano inseriti.

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