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BLUENOCTURNE ISSN 2035 - 486X Periodico bimestrale n. 007 del 19/11/2009 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 118 del 16/3/2009 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 PARTE PRIMA 7 8 9 10

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Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: AT TWILIGHT

© 2002 Harlequin Books S.A. Beyond Twilight

© 1995 Margaret Benson Born in Twilight

© 1997 Margaret Benson Traduzione di Gigliola Foglia

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto

di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con

Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

persone della vita reale è puramente casuale.

© 2009 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Bluenocturne

novembre 2009

Questo volume è stato impresso nell'ottobre 2009 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd)

BLUENOCTURNE ISSN 2035 - 486X

Periodico bimestrale n. 007 del 19/11/2009 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi

Registrazione Tribunale di Milano n. 118 del 16/3/2009 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti

contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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PARTE PRIMA

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Si ritrasse, contorcendosi, ma le mani di lei erano ancora lì. Che lo bruciavano. Muovendosi sul suo petto come vento sul-l'acqua. Rabbrividì. Sudò. Boccheggiò in cerca d'aria ma inalò soltanto il profumo di lei. Si protese cercando di mantenere un barlume di lucidità, e trovò le proprie dita intrecciate tra corti capelli serici. Aprì gli occhi e fissò quelli di lei. Enormi, scuri, innocenti. Imploranti, ardenti, sensuali occhi che lo guardava-no mentre giaceva sul letto tremante di desiderio. E seppe di essere perduto. Sollevò le braccia, le fece scivolare attorno al suo corpo minuto per attirarla contro di sé. Schiuse le labbra per gustare la sua bocca succulenta... E lì non c'era niente. Era nel suo letto, ansimante e solo, il torace e il viso inondati di sudore, le braccia attorcigliate l'una all'altra. Si rizzò a sedere, battendo le palpebre nel crepuscolo che si addensava, afferrando la prima cosa su cui si chiuse il suo pugno e scagliandola contro la parete opposta. Si mise le mani nei capelli. Dannazione, stava ancora tremando, e tutto per una donna immaginaria; una fatina da mondo dei sogni che assomigliava più alla Campanellino di Peter Pan che a una ragazza copertina per una pubblicità di costumi da bagno. Che problema aveva, accidenti? «Troppo sotto pressione...» borbottò scivolando nudo fuori dal letto per la rituale doccia fredda. Erano mesi che faceva re-golarmente quei sogni. «Stress» aggiunse, entrando con passo

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pesante nella stanza da bagno dell'albergo, accendendo la lu-ce, girando i rubinetti. Era il lavoro. Accidenti, avrebbe snerva-to chiunque. Aveva fallito l'ultima missione, andando danna-tamente vicino a farsi ammazzare. L'ultimo incarico gli era stato affidato otto mesi prima, e ancora non l'aveva portato a termine. Così tanti passaggi rav-vicinati, altrettanti incontri mancati. Ogni volta che pensava di averla in mano, lei si sfilava un qualche asso dalla manica e gli sgusciava via tra le dita. Ci era mancato poco che lo mettesse in cattiva luce con il DPI. Un agente della Division of Para-normal Investigations della CIA doveva consegnare la merce. E lui era più vicino all'obiettivo di quanto lo fosse mai stato fino a quel momento. Lei era lì, in quella minuscola cittadina in mezzo al nulla, nel Maine settentrionale. Stephen Ramsey Bachman era una specie di cacciatore, ma la sua preda non era umana. Lei era un vampiro. Era casa sua, ed era finalmente tornata a rintanarsi lì. Il po-sto sembrava uscito da un vecchio film con Vincent Price. Grande, dall'atmosfera gotica e tristemente bisognoso di una mano di vernice. La porta principale non era chiusa a chiave. Era appena prima del crepuscolo. Alla fine lui l'aveva messa all'angolo, proprio nel suo corti-le. Lei era stata sulla Lista dei Principali Ricercati del DPI per più di un decennio. Lui non sapeva perché. Non era affar suo sa-perlo, doveva soltanto portarla dentro. E stava per farcela. Aveva in mano una piccola sacca di cuoio che conteneva tre siringhe, ciascuna caricata con una dose di tranquillante approntato dal leggendario ricercatore DPI Curtis Rogers. La sua formula originale era andata perduta quando lui era stato ucciso, probabilmente da uno di quelli, benché nessuno l'a-vesse mai dimostrato, ma Bachman non aveva bisogno di pro-ve. Erano tutti uguali, spietati assassini, predatori di innocenti. Gli scienziati del DPI avevano affannosamente lavorato per ricreare il tranquillante di Rogers e ritenevano di esserci final-

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mente riusciti. Deglutì a fatica. Quella notte il nuovo preparato sarebbe stato messo alla prova per la prima volta. L'enorme porta chiazzata di scuro gemette quando la spin-se per aprirla. I suoi passi echeggiarono sul polveroso parquet scurito dal tempo. Bachman ignorò il mobilio barocco, la pan-nellatura scura, le ragnatele, la polvere, e si diresse difilato alla scala a chiocciola. Cigolava a ogni passo. Aveva inquadrato quella casa in precedenza, non appena aveva appreso che lei ne era la proprietaria. Sapeva che la can-tina era incline ad allagarsi e che c'era una sola stanza senza finestre. Era lì che si stava dirigendo. Era vuota la prima volta che l'aveva vista, ma lui aveva la sensazione che non sarebbe stata deserta quella sera. Raggiunse la cima delle scale e si avviò lungo l'alto e stretto corridoio, oltrepassando deciso le file di stanze chiuse. Sapeva quale porta celava la sua nemesi. Quando la raggiunse si fermò con la mano sul pomello. Intuì immediatamente che qualcosa non era del tutto a po-sto quando girò la maniglia ed essa cedette senza resistenza. I piedi ben piantati per terra, rimase immobile per un momento, ascoltò, tastando l'aria stessa attorno a sé in cerca di un qua-lunque indizio, di un suono. Niente. Spinse la porta verso l'interno e lentamente entrò. La luce fioca delle candele creava un'atmosfera da incubo. Un centi-naio di fiammelle danzavano e ondeggiavano, gettando vivaci ombre sulle pareti, il soffitto, il pavimento. E c'era musica. Gli accordi melodrammatici di uno spettrale organo a canne flut-tuavano soavi nell'aria. Un brivido gli corse lungo la spina dor-sale. Non di paura, indotta dalla musica e dalle candele, quan-to piuttosto di presentimento, mentre si chiedeva che diavolo lei stesse combinando questa volta. La bara scintillava nera con lucide bordure d'ottone sopra un catafalco disseminato di fiori. Si avvicinò, notando le rose avvizzite alla testa e ai piedi. Tocco grazioso. Se l'avesse trova-

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ta, pensò che l'avrebbe strozzata prima ancora di guardarla. Era stanco di questo, stanco dei suoi giochetti e dei suoi scherzi, tutti apparentemente volti a farlo apparire un idiota. Si accostò alla bara, guardandosi alle spalle ogni secondo o due, giusto in caso. Una spessa cortina di ragnatele gli si appiccicò alla faccia e lui la spinse via con un gesto iroso. La musica montò un po' più forte, mentre posava le mani sul coperchio. A mascella serrata, l'aprì. Poi rimase lì, sbattendo le ciglia per lo shock mentre guar-dava la più orrenda creatura che avesse mai visto. Aveva capel-li simili a un arruffato nido di ratti, la pelle della faccia tirata e di colorito bluastro, con cerchi neri che circondavano gli occhi infossati, chiusi. Le guance erano incavate, emaciate. Le labbra erano ritratte in una smorfia quasi beffarda, snudando le punte aguzze di incisivi ingialliti. Poteva contare le ossa delle esili mani che le giacevano incrociate sul petto. La raccapricciante immagine, insieme alla sua, si rifletteva in uno specchio sul-l'interno del coperchio. Ramsey punzecchiò con un dito la pelle del braccio, poi lasciò ricadere il mento sul torace esalando ogni molecola d'a-ria dai polmoni. Lei gliel'aveva fatta di nuovo, accidenti! Il cor-po nel cofano era fatto di cera. E Cuyler Jade era probabilmente a un centinaio di chilometri da lì, ormai. Una morbida risata, simile ad acqua cristallina che gorgoglia su pietre lisce, risuonò nella stanza. Bachman si irrigidì e si vol-tò di scatto. La donna stava sulla soglia, la mano davanti alla bocca, gli occhi maliziosi che scintillavano al lume di candela, colmi di allegria. «Se avessi potuto vedere la tua faccia...» Rise ancora, chiu-dendo gli occhi e rovesciando la testa all'indietro. Era minuscola. I suoi lucidi capelli neri erano tagliati corti, con ciuffi irti sulla fronte e punte frastagliate aderenti sul collo. Riportò la testa in avanti e la inclinò leggermente mentre lo studiava. Sembrava la Campanellino di Peter Pan.

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Impossibile. È la tua immaginazione, accidenti. Lei non è la donna che vedi nei tuoi sogni. Bachman non disse niente. Lei avanzò, fiera e sicura. «Sono un po' stufa di questa caccia senza fine, Ramsey.» Lui batté le palpebre. «Come mi hai chiamato?» «Ramsey. Non è così che ti soprannominavano i ragazzi all'Accademia militare? Stephen Bachman di Ramsey, Indiana, diventò Ramsey nel decimo anno, se ricordo correttamente.» Sorrise e si portò più vicino. «Non fare quella faccia così sor-presa. Non è la prima regola di tutti voi agenti segreti, cono-scere il vostro nemico?» La osservò avvicinarsi finché fu a pochi centimetri soltanto. Non era la donna a cui lui dava la caccia. Non poteva esserlo. Lei era il diavoletto uscito dai suoi sogni. L'erotico, sensuale demonio dagli occhi innocenti che sorrideva quando lui la toc-cava. Che lo faceva impazzire con la pura lussuria animale che trasudava. Lei non era un mostro. La donna gli porse una minuscola mano, e non appena lui vi chiuse attorno la propria, enorme, gli disse l'ultima cosa che lui voleva sentire. «Sono Cuyler Jade. Quella a cui hai dato la caccia attraverso tutto il paese negli ultimi otto mesi.» Bachman inghiottì il masso ricoperto di sabbia che sembra-va esserglisi piazzato in gola, e le lasciò andare la mano. «Così, eccomi qua» continuò lei. La luce di monelleria nei suoi occhi era temperata da un tocco d'incertezza, il sorriso sfacciato sulle sue labbra un tantino malfermo. «La questione è, Ramsey, che cosa intendi fare con me, adesso che mi hai in mano?» Lui irrigidì la schiena. Okay, lei era un vampiro. E lui aveva avuto sogni ricorrenti, selvaggiamente erotici, su quella creatu-ra per diversi mesi. Praticamente da quando aveva accettato l'incarico. E allora? Lui aveva un lavoro da fare, ed era quello la sua priorità... non la sua libidine sregolata. «Ho intenzione di arrestarla.» La sua voce risuonò fredda, aspra. Ottimo. «Lei adesso è una prigioniera federale, signora

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Jade. La riporterò a New York, al nostro quartier generale di White Plains.» «Davvero?» Dio, com'erano grandi i suoi occhi. E scuri. E quelle ciglia folte gli facevano pensare a Bambi, lo facevano sentire come il cacciatore senza cuore. «Temo di sì.» «E se io non volessi venire con te? Intendi sopraffarmi?» Lei sapeva che non avrebbe potuto farlo. Rimase immobile mentre lui apriva il sacchetto e ne toglieva una delle siringhe. «Posso sedarla.» La donna si accigliò davanti all'ipodermica. «Quella roba funziona?» Bachman si strinse nelle spalle. «C'è un solo modo per scoprirlo.» Tese la mano verso il suo braccio, ma lei si allontanò quasi danzando prima che potesse afferrarlo. Puntellandosi il mento con un dito dall'unghia color corallo, lo fronteggiò un'altra volta. «Supponiamo che io venga pacificamente?» Lui la scrutò, fin troppo consapevole della sua abilità nel giocare scherzi e burle. «Perché lo farebbe?» I neri occhi di lei si socchiusero. Tornò verso di lui, si spor-se fino ad arrivargli così vicina che il suo respiro gli sventagliò la gola. Una delle sue piccole mani salì e le punte delle dita gli danzarono sulla nuca. «Perché tu non potrai portare a termine la missione, Ramsey.» Lui deglutì di nuovo, sperando che lei non si avvicinasse di più e accidentalmente scoprisse l'effetto che aveva su di lui. Modificò la propria postura e cercò di rammentare a se stesso che cosa era in realtà. Anche se sembrava soltanto una donna. Perle di sudore gli spuntarono sulla fronte. Cercò di raccogliere la volontà per infilzarle l'ago nel braccio prima che lei potesse sgusciare via di nuovo. Invece riuscì solo a dire: «Che cosa glielo fa pensare?». La sua voce suonò roca. Niente affatto in-timidatoria come avrebbe dovuto.

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Le labbra di lei si incurvarono verso l'alto. «So dei sogni» bisbigliò. Bachman non permise a quell'affermazione di turbarlo. D'accordo, era sconvolgente, ma non lasciò trapelare le proprie emozioni. «Perché, li ha causati lei? Un altro dei suoi trucchi?» Lei scosse la testa. «Non so che cosa li abbia causati, Ram-sey. Ma ho continuato ad averli anch'io.» Cuyler Jade lo osservò, attese la sua reazione alle proprie parole. Credeva realmente in ciò che gli aveva detto, che non sarebbe stato in grado di prenderla con la forza. Tuttavia non credeva che lui ne fosse pienamente consapevole. Non ancora, almeno. Ramsey Bachman aveva una cosuccia o due da impa-rare su se stesso. E lei aveva deciso che era l'unica a potergliele insegnare. Bachman rimase in silenzio per un lungo momento. Poi scosse il capo, fissandola con i cauti, profondi occhi grigi. «Lei è una brava bugiarda, Cuyler. Ma non così brava. Non ha fatto nessun sogno su di me.» «No? Vuoi che te li descriva?» «No.» Lo disse con troppa prontezza. Lei sorrise. «Ti faccio un certo effetto, Ramsey. Sai che è così. Non è una gran sorpresa, in realtà. Anche tu mi fai un certo effetto. Non ho paura di ammetterlo.» «Lei vaneggia, Cuyler.» Sempre reggendo la siringa in una mano, le afferrò il braccio con l'altra e la fece voltare verso la porta. «Andiamo, se è così pronta ad arrendersi. La mia auto è qua fuori. Vuole prendere una borsa coi bagagli?» «Non ancora.» Lei resistette all'istinto di strappare via di nuovo il braccio. Non poteva farlo, non poteva lasciargli pen-sare che aveva in mente qualcosa. Ma i pezzi grossi del DPI si stavano facendo impazienti nell'attesa che Ramsey la portasse da loro. Ancora un po' e sarebbero venuti a cercarla loro stessi, e lei preferiva correre qualche rischio con Ramsey piuttosto che con loro. Doveva giocare le proprie carte in fretta, e bene.

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L'allerta non aveva mai abbandonato gli occhi di lui. Si era solo intensificata. «Sta cercando di giocarmi qualche tiro.» «Ho un patto da proporti. Prendere o lasciare, sta a te.» «Niente patti. Lei verrà con me. Adesso.» «No. Verrò con te tra pochi giorni. Senza batter ciglio. Niente trucchi, niente lotte, niente storie. Prometto.» «E io dovrei crederle?» «Vuoi che lo scriva col sangue?» Lui le lasciò andare il braccio, e la fissò così intensamente che lei poté sentire il tocco di quegli occhi. Più di questo: poté sentire la collera dietro di essi, e il dolore. E il braccio ancora le formicolava dove lui l'aveva stretto. La consapevolezza che vibrava tra loro due la sconcertava. Quell'attrazione. L'aveva sentita prima ancora di posare gli occhi su di lui. «Che cosa vuole in cambio?» «Mmm, un tipo grande e grosso con un cervello. Sei un e-semplare raro, Ramsey.» «Che cosa vuole?» ripeté lui, e l'impazienza conferì un che di tagliente alla sua voce. Cuyler inclinò la testa, alzò le spalle e fece qualche passo. Bachman stava vacillando, pensò. Non glielo avrebbe nemme-no chiesto, a meno che non stesse considerando di cedere. «Niente di che. Solo un po' del tuo tempo. Tre notti dovrebbe-ro essere abbastanza.» «Tre...» La donna si bloccò, girando sui tacchi e puntandogli contro l'indice. «Tu passa tre notti con me. All'imbrunire del quarto, sarò pronta a venire al quartier generale nazista con te. Okay?» Lui scosse il capo lentamente. «Tre notti... a fare cosa con lei?» Cuyler roteò gli occhi, sollevando in alto le mani. «Non quello, per dirlo ad alta voce. Cribbio, se quello fosse tutto ciò che volevo da te, avrei potuto averlo mesi fa!» «Col cavolo.» «Dimenticatene, Ramsey. Ho ragione e lo sai. Immaginate-

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lo. Ti svegli da uno di quei sogni roventi e pesanti, per trovare l'oggetto reale nudo tra le tue braccia. Mi stai dicendo che ti gireresti dall'altra parte e torneresti a dormire?» Gli si avvicinò mentre parlava, si sporse contro di lui, rizzandosi sulla punta dei piedi finché il suo naso quasi gli toccò il mento. «Io non credo.» «Non me ne frega un accidente di cosa crede.» Lei fece spallucce, ma indietreggiò e riprese a passeggiare in cerchio. «Dunque, se non vuole che dorma con lei, allora per cosa sono le tre notti?» «Io dormo, durante il giorno.» Si arruffò i capelli con en-trambe le mani. Quell'uomo era esasperante. Non si era aspet-tata che fosse così difficile. Gli voltò le spalle, tolse una sottile candela bianca dal reggimoccolo e accostò la fiamma a un piattino d'incenso, accendendo il cono al centro. Inspirò la fragranza dolce. Solo perché non si era aspettata delle difficol-tà, non significava che non vi fosse preparata. «Vedi, Ramsey, ho bisogno di trascorrere un po' di tempo con te per capire tutto questo, ecco. Voglio solo andare a fon-do di questa... questa cosa.» «Quale cosa?» Lei serrò i pugni, li tenne vicino alle tempie e strizzò forte gli occhi. L'avrebbe picchiato se non la smetteva di fare così l'ottuso. Fece un passo indietro, e lui avanzò di pari distanza. Era accanto all'incenso. Una spirale di fumo profumato si levò attorno alla sua testa. «Sai che avrei potuto ucciderti mesi fa, o ferirti così grave-mente che saresti stato fuori dal mio caso per molto tempo» gli disse. «Avrei potuto chiudere gli occhi e lanciare un solo grido mentale, per avere una mezza dozzina di amici più anziani e più forti che mi avrebbero aiutato a sbarazzarmi di te.» «Allora perché diavolo non l'ha fatto?» «Non lo so! Questa è la cosa a cui voglio andare a fondo! Non riesco neppure a pensare di farti del male. Accidenti, mi è

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venuta quest'improbabile idea che dovrei vegliare su di te, ma...» «Lei? Vegliare su di me? Questa è bella!» «Esatto, accidenti, soprattutto sapendo che hai in progetto di scaricarmi in un campo di sterminio.» «Non è...» «Non disturbarti, Ramsey. Le tecniche di ricerca del DPI so-no ben documentate. Senti, ti ho fatto un'offerta. Qual è la tua risposta?» Lui scosse lentamente la testa, poi si pizzicò l'attaccatura del naso con due dita e la scosse di nuovo, lanciando un'oc-chiata alla siringa che aveva in mano. «Spiacente, Cuyler. Sono stato lo zimbello di troppi suoi trucchi. Non sono disposto a crederle, e che siano tre notti da adesso oppure no, io la porte-rò dentro. Perché rimandare l'inevitabile?» Cuyler Jade chinò il capo, guardò il pavimento. «Ecco, di-spiace anche a me. Ma temo che tu non abbia scelta.» Bachman si tuffò verso di lei, ma Cuyler era pronta. Prima che l'agente potesse batter ciglio, gli strappò di mano la picco-la pericolosa ipodermica, spezzò l'ago con il pollice, la lasciò cadere a terra e la schiacciò sotto un piede. Fronteggiandolo, sollevò le mani. «Riproviamo?» «Accidenti...» La voce gli venne meno. Strizzò gli occhi, li riaprì, li chiuse di nuovo. Lei avanzò. «Che cosa... che cosa hai...» borbottò Bachman vacillando. Cuyler l'afferrò per le spalle, lo tenne saldo. «Faresti meglio a sederti, Ramsey.» Lui eseguì. Le gambe gli si piegarono e colpì violentemente il terreno, ma rimase ritto, una mano premuta sulla tempia si-nistra. Alzò la testa per guardarla, mentre lo scintillio della col-lera nei suoi occhi si smorzava. «Sapevo... che non potevo... fidarmi di uno di voi.» «Puoi, Ramsey. Giuro che puoi.» Si inginocchiò accanto a lui mentre gli occhi gli si chiudevano. Il suo corpo cadde al-

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l'indietro, ma lei lo afferrò e gli depose spalle e testa sul pavi-mento. Poi si chinò vicino al suo orecchio e bisbigliò: «Ve-drai». Si alzò in piedi e spense l'incenso drogato. Bachman aprì gli occhi lentamente, guardingo, e registrò la sorpresa di essere ancora in grado di farlo. Il pulsare nella sua testa era prova sufficiente che era ancora vivo. Dunque lei l'a-veva solo drogato. Ma a che scopo? Lottò per mettersi a sedere, solo per sentire sulle spalle le mani di lei che lo spingevano di nuovo giù. «Stai sdraiato fer-mo per un po'. Ecco, questo ti sarà d'aiuto.» Gli posò un pan-no caldo sulla fronte. Lui la mise a fuoco battendo le palpebre, poi si guardò in-torno. La stanza era semibuia, ma capì con un'occhiata che non erano nella sua casa cadente. Lui l'aveva percorsa tutta. Non c'era nessun letto a baldacchino circondato da tendaggi neri. Nessuna parete di pietra. Nessun fuoco che scoppiettava e crepitava nel caminetto. «Dove diavolo sono?» «Nel mio nascondiglio. Non posso dirti dove esattamente. Giusto in caso mi fossi sbagliata sul tuo senso di correttezza. Non vorrei che tornassi di corsa al DPI con indicazioni per il mio solo e unico porto sicuro.» Lui digrignò i denti. L'avrebbe strangolata non appena aves-se ripreso le forze, decise. Non credeva di potersi trattenere. Con uno sbuffo rabbioso si rizzò a sedere, spingendole via le mani di lei. Posò i piedi a terra e si alzò, vacillò un poco, si ri-prese. Poi camminò verso la finestra ad arco tagliata nella spessa parete di pietra. Si puntellò contro il davanzale e fissò attraverso lo spesso vetro dipinto. Tutto quello che vide fu neve. Dolci colline e vallate di ne-ve, che si srotolavano senza fine come un lenzuolo sotto un cielo stellato. Si voltò di nuovo verso di lei, stordito dall'incredulità. «Do-ve diavolo sono?» ripeté.

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«A nord. Sei decisamente a nord.» «A nord di che?» «Praticamente di tutto» terminò lei con una breve risata, gli occhi scintillanti di malizia. «Dannazione, Cuyler...» «Guarda, tutto ciò che ti occorre sapere è che sei a molti chilometri di distanza da un altro essere umano. Non ci sono strade, niente trasporti, niente telefoni. Niente. Solo tu e io, insieme per le prossime tre notti. Esattamente come ti avevo detto.» Lasciando cadere la testa all'indietro, Ramsey fissò il soffitto a volta, le luci a gas che ardevano nel lampadario. «Non fare quella faccia così contrariata. Ti riporterò indietro quando saprò ciò che mi serve sapere.» Lui scosse la testa, incrociò il suo sguardo. «Se non ci sono mezzi di trasporto, come diavolo siamo arrivati qui?» «Questo non ha importanza.» Bachman si passò una mano tra i capelli, esaminò la stan-za, individuò la porta e la lasciò lì in piedi. Lei lo seguì. Lui udì i suoi passi sulle piastrelle di ceramica del pavimento mentre si muoveva rapido lungo il corridoio, lanciando occhiate dentro stanze arredate come per una principessa da fiaba. Rasi e volant e merletti. Cianfrusaglie che non si prese il tempo di esaminare ricoprivano ogni superficie. Trovò la scala, ampia, di pietra, con un lucido corrimano di legno massello, e si affrettò a scenderla. Un altro caminetto. Altre lampade a gas, altra pietra. Altro mobilio antico dall'aria costosa. La porta principale era enorme e a doppio battente, con pannelli di vetro piombato a disegni stellati al centro di ognu-no. Non era chiusa a chiave. La spalancò e uscì nel vento pungente, gelido. Non c'era niente. Per quanto lui potesse ve-dere, non c'era proprio niente. Un senso di catastrofe gli gravò sulle spalle come un pilastro da mille libbre. Lei lo toccò di nuovo. Le sue piccole mani si chiusero sulla

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parte alta del suo braccio e lo tirarono dentro. «Torna in casa, Ramsey. Andrà tutto bene, te lo prometto.» Lui chinò il capo. Il vento gli pungeva il viso, le orecchie. Lasciò che Cuyler lo tirasse dentro di nuovo, ma scuoteva la testa. «Non è così.» «Sarà così.» Lei chiuse la porta, si voltò a fronteggiarlo. «Ci sono cose di cui ho bisogno...» «Lo so. L'insulina.» La testa di Ramsey si alzò di scatto. «Come fai a...» «Ho portato tutto dalla tua camera d'albergo. I tuoi vestiti, la medicina, tutto. L'unica cosa che non ho portato è stata quella schifosa droga che progettavi di iniettarmi.» Chiuse gli occhi, scosse lentamente il capo. «Questo mi ha davvero delu-so, Ramsey. Non pensavo che mi avresti fatto questo, e invece stavi per farlo.» «Immorale bastardo che sono, vero? Noto che non hai esi-tato a fare lo stesso a me.» Lei alzò le sopracciglia, poi sorrise e scrollò le spalle. «Im-magino che tu mi abbia colto in fallo su quest'unica cosa. Ma, onestamente, l'incenso è innocuo. Dura solo poche ore e l'u-nico effetto collaterale è un brutto mal di testa.» Lui si massaggiò con l'indice una tempia. «Dillo a me.» «Vuoi qualcosa? Aspirina o...» «Non voglio un accidente di niente tranne che uscire di qui.» Era in collera. Odiava sentirsi intrappolato, costretto in una situazione che non gli piaceva. Essere rinchiuso lontano da tutto, in un castello in miniatura con l'oggetto delle sue più vivide fantasie. Sapere di non poter posare una mano su di lei. All'inferno. Ecco cos'era quello. L'inferno sulla terra. «E lo farai. Presto. Ma ci sono cose che devo sapere.» «Se credi di potermi spillare i segreti del DPI...» «Non sulla tua preziosa organizzazione. Su di te.» Si prote-se verso di lui, gli prese la mano, lo attirò dentro il grande sa-lone e lo spinse in una poltrona vicino al fuoco. «Rilassati, Ramsey. Ti prego, cerca di accettare il fatto che dovrai stare qui

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per pochi giorni, così che possiamo sbrogliare la matassa. Pen-sa a questa come a una mini-vacanza.» Lui guardò i suoi occhi innocenti, stupendosi che sapessero celare tanta falsità. «Una vacanza?» «È caldo e sicuro. C'è cibo in abbondanza. Ho anche del vino. Il tuo preferito. Ne vuoi un po'?» «Così puoi stordirmi di nuovo?» «Non ho bisogno di stordirti di nuovo.» Cuyler si voltò e si allontanò da lui, pescando una bottiglia di White Zinfandel da un secchiello del ghiaccio su un vicino tavolo a piedistallo. Ne versò un po' in un bicchiere di cristallo intagliato e glielo portò. Lui aveva avuto tempo per alzarsi e scappare, ma a quale scopo? Non c'era nessun posto dove andare. Lei si inginocchiò di fronte alla sua poltrona, posandogli le mani sulle ginocchia, e lo fissò con intensità. Ramsey si fece forza per resistere a quello sguardo. Non aveva intenzione di credere a una sola parola che uscisse da quelle labbra piene e tumide. E non aveva intenzione di nutrire un singolo pensiero erotico sulla posizione attuale della ragazza. «Voglio dirti una cosa, e voglio che mi ascolti. Sono a corto di trucchetti e stanca di giochi. Tutto ciò che ti dirò da ora in avanti non sarà altro che la verità. Mi piacerebbe che tu ricam-biassi il favore.» Fece una pausa, in attesa. Lui non disse niente. «Ramsey, se mi porterai a quel laboratorio di ricerca a Whi-te Plains, morirò. E non sarò la prima.» «Balle. Il DPI non ha l'abitudine di assassinare...» «Loro sì.» Ramsey scosse energicamente la testa. «Sono scienziati. Vogliono apprendere tutto su di voi...» «Vogliono eliminarci dalla faccia della terra.» «Sì» sospirò Bachman, ammettendo almeno questo. «Sì, ma non uccidendovi. Trovando una cura.» Gli occhi di Cuyler lampeggiarono d'ira e per un secondo lui

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percepì la forza della sua rabbia. «Una cura. Dove prendi que-sta roba, Ramsey? Non è una malattia. Non ci serve una cura per ciò che siamo, non più di quanto ne serva una a te perché sei alto o perché hai gli occhi grigi.» Lui era scettico. «Non ti piacerebbe essere di nuovo umana, avere di nuovo dei sentimenti?» «Io sono umana quanto te, maledizione. E che cosa ti fa pensare che non provi sentimenti?» Lo fissò negli occhi dal basso in alto, i suoi che traboccava-no di tanta emozione che Bachman quasi si chiese se lei non potesse in qualche modo essere un'eccezione alla regola. Ma quegli occhi si socchiusero e lei guardò il pavimento. «Il buon vecchio manuale del DPI, vero, Ramsey? Siamo tutti animali. Privi di emozioni, assassini a sangue freddo.» Lui inghiottì il nodo che aveva in gola. «Non lo siete?» Non era una domanda. Non proprio. Sapeva esattamente che cosa erano. Cuyler si morse il labbro inferiore, batté rapidamente le pal-pebre. «No. Ma loro sì. Hai idea di quanti di noi siano morti per mano loro, nel nome della loro cosiddetta ricerca?» «Eppure hai promesso di venire là con me, volontariamente, dopo queste tre notti» commentò, scettico. Non era credulone come apparentemente lei lo considerava. «Sì. Se ancora vorrai portarmi laggiù.» «Perché?» «Perché so che non vorrai. Sono sicura di questo come del mio nome, Ramsey. Non so perché, ma lo so.» Lui scosse lentamente la testa. «Questo non ha più senso dell'avermi trascinato qui.» «Io penso che l'abbia.» Cuyler chiuse la mano attorno alla sua, e lui sentì il calore di lei fluire in sé, passargli attraverso. Una formicolante consapevolezza gli scivolò lungo la nuca e su per la spina dorsale. Gli accadde qualcosa di strano. Si sentì invaso, come se la stessa anima di lei gli stesse filtrando den-tro, o la sua in lei, o qualcosa di analogo.

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«Lo senti?» bisbigliò Cuyler. «C'è qualcosa tra noi, Ramsey. Lo sai che c'è.» Lui scosse la testa per negare e strappò la mano dalla sua. Non era niente più che un altro dei suoi trucchi. «È più potente del legame che sento con uno dei Prescelti» sussurrò Cuyler, a occhi bassi. «I Prescelti... è quello il termine che usate per riferirvi agli umani con il raro antigene Belladonna nel sangue?» Bachman si sporse un po'in avanti, pensando che forse avrebbe ricavato qualcosa da quella carcerazione forzata, qualche nocciolo di conoscenza da riportare indietro con sé. Se mai fosse tornato indietro. Lei annuì. «Loro sono gli unici che possono essere trasfor-mati. Avevamo tutti questo antigene da mortali. Ma tu non ce l'hai. L'avrei saputo subito se tu l'avessi avuto.» «Come?» La donna si alzò, mordendosi il labbro inferiore con i denti bianchi e regolari. «Noi li percepiamo. Non so spiegarlo, ma sappiamo sempre dove sono, come stanno... Proviamo un i-stintivo bisogno di vegliare su di loro, di proteggerli.» «Di trasformarli in ciò che voi siete?» Lei scosse la testa. «No. Mai, a meno che non lo desiderino anche loro e noi siamo sicuri che sappiano affrontarlo. La maggior parte non saprebbero venire a patti con una simile trasformazione, credo.» Bachman si appoggiò di nuovo allo schienale della poltro-na, studiando il suo viso per lungo tempo. Gli stava raccon-tando cose che non era tenuta a dirgli. Ed era sincera. Lui ave-va letto del legame tra certi umani e i vampiri. Ciò che lei dice-va concordava con la ricerca che il DPI aveva portato avanti sull'argomento. Dunque diceva sul serio, a proposito del non mentirgli, oppure stava solo cercando di guadagnarsi la sua fiducia? Sarebbe stato stupido anche solo prendere in considerazio-ne l'idea che fosse sincera. Stava solo agitando l'esca per la

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sua trappola. «C'è solitamente una persona in particolare per cui un vampiro sente il legame più forte» disse lui, citando pressoché alla lettera gli studi che aveva letto. «È esatto?» Lei si allontanò di qualche passo, annuendo. «Allora, chi è il tuo cucciolo mortale?» Lei stava in piedi proprio davanti al fuoco, voltandogli la schiena. «Tu.» Ramsey batté le palpebre, poi tenne a bada lo shock e cercò di mantenere una disposizione mentale logica, analitica. «Non ha alcun senso, Cuyler. Io non ho l'antigene.» «Pensi che io non lo sappia, questo?» Lo urlò, mentre rote-ava su se stessa per fronteggiarlo. Lui si alzò e si mosse lentamente verso di lei, scrutandole il viso in cerca di un segno che stesse mentendo. Vide solo tu-multo e frustrazione nei suoi occhi, reali come se lei stesse davvero sperimentando quelle sensazioni. L'aveva totalmente confuso, e questo non gli piaceva. «Allora perché pensi...» «Io sogno di te, Ramsey. Penso a te quando sono sveglia. So quando sei arrabbiato, quando sei ammalato, quando provi dolore.» Lo afferrò per le spalle, e lui non riusciva a credere che ci fossero lacrime nei suoi occhi. «Ti desidero al punto della follia, ma è più di questo.» Lei lo desiderava. E questo avrebbe dovuto spaventarlo a morte, perché Ramsey sapeva che nella sua razza il desiderio sessuale era così strettamente intrecciato con la sete di sangue, che i due diventavano inseparabili. Se lei lo voleva, non lo vo-leva soltanto a letto. Probabilmente voleva anche prosciugarlo. Altra ragione per mantenere sotto controllo il proprio mon-tante desiderio. Diavolo, se avesse ceduto, sarebbe finito stec-chito. «Tu mi dai la caccia per distruggermi» proseguì Cuyler, la voce che le si fermava in gola. «Dovrei fuggire da te a gambe levate. Invece, tutto ciò che provo è questo desiderio di starti vicina.»

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Lo lasciò andare, guardò il pavimento, e lui si accorse che le tremavano le labbra. «Il mio riposo è tormento. Mi sveglio frustrata e confusa anziché riposata e forte. Mi sta facendo impazzire, Ramsey. Tutto ciò che vorrei è capire perché. Puoi davvero biasimarmi per questo?» Ramsey ebbe difficoltà a inghiottire quando una solitaria lacrima le stillò sulla guancia. Non era prefabbricata. Rapida-mente lei gli voltò le spalle, passandosi sul viso il dorso di una mano per asciugarla. Per qualche ragione, lui provò l'istinto di passare le braccia attorno a quella silfide sofferente e raddrizza-re tutto quanto per lei. Digrignò i denti, si irrigidì contro la de-bolezza che minacciava di rammollirlo. Lei era il nemico. Era una maestra di menzogne. Aveva l'omicidio in mente; il suo omicidio. Doveva ricordarlo. Non sapeva che cosa lei potesse guadagnare convincendolo di tutte quelle balle, ma doveva esserci qualcosa. In un ufficio privato al quinto piano di un edificio a White Plains, N.Y., tre uomini fissavano un piccolo schermo illumina-to, osservando il minuscolo cursore rosso lampeggiare inces-santemente. «Dev'essere un malfunzionamento» disse Stiles. «No. No, ha perfettamente senso. Là è buio per diciotto ore filate, in questa stagione dell'anno» obiettò Whaley. «Perfetto per uno di loro.» «Ma perché l'avrebbe portato là?» Il terzo uomo non aveva ancora parlato. Si tolse la pipa dai denti e versò il tabacco bruciato in un posacenere di plastica sulla scrivania. «Sapevo che si sarebbe rivoltato contro di noi. Diavolo, era un dato di fatto. Questione di tempo. Sono sol-tanto lieto che abbiamo nascosto il microchip nella sua vali-gia.» «Questione di tempo?» Stiles si accigliò, perplesso. «Sembra quasi che lei se lo aspettasse.»

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«Infatti» rispose Fuller. «Ma, signor Fuller, io non...» «Fino a che non ti occorrerà sapere, non disturbarti a chie-dere.» Stiles sospirò, ma annuì in segno di accettazione. «Dunque, che cosa facciamo?» Wes Fuller percorse per un momento la stanza con passi pesanti. Poi con calma cominciò a riempire di nuovo la pipa. «Raccogliamo alcune mappe, alcune informazioni in più, un po' di equipaggiamento, e andiamo lassù. Procurandoci due soggetti di ricerca al prezzo di uno.»

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