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N°2 Giugno-Luglio 2013 Bonanni: Così la Cisl si rinnova Politica: il rebus delle riforme Come cambia la povertà Intervista: Vivere bene la terza età Estate: Trekking sui monti e cicloturismo Raffaele Bonanni

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N°2 Giugno-Luglio 2013

Bonanni:Così la Cisl si rinnova

Politica: il rebus delle riformeCome cambia la povertà

Intervista:Vivere bene la terza età

Estate:Trekking sui monti e

cicloturismo

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Sommariomemoria, attualità, futuro

Postatarget Magazine - tariffa pagata -DCB Centrale/PT Magazine ed/ aut.n.50/2004 - valida dal 07/04/2004 Contromano Magazine N° 2 Giugno-Luglio 2013Aut. Trib. Roma n 40 del 18/02/2013 Prezzo di copertina € 1,80 Abbonamento annuale € 9,048 Direttore responsabile: Gian Guido Folloni Proprietà: Federpensionati S.r.l. sede legale:Via Giovanni Nicotera 2900195 Roma Editore delegato:Edizioni Della Casa S.r.l.Via Emilia Ovest 101441123 ModenaStampa: tipografia ARBE s.p.a Via Emilia Ovest 1014 Modena

Redazione Coordinamento grafico: Edizioni Della Casa ArtWork: M. Barbieri Postproduzione immagini:Paolo Pignatti Comitato di redazione:Matteo De Gennaro Dino Della Casa Questo numero è stato chiuso il: 15/07/2013

A norma dell’art.7 della legge n.196/2003 il destinatario può avere accesso ai suoi dati chiedendone la modifica o la cancellazione oppure opporsi al loro utilizzo scivendo a: Federpensionati S.r.l. sede amministrativa: Via Castelfidardo, 47 00185 Roma

L’editore delegato è pronto a riconoscere eventuali diritti sul materiale fotografico di cui non è stato possibile risalire all’autore

Gian Guido Folloni è un politico e giornalista italiano, già Ministro della Repubblica per i Rapporti con il Parlamento.E’ stato direttore del quotidiano cattolico Avvenire dal 1983 al 1990. Successivamente ha lavorato alla Rai.Dal 2008 è Presidente di Isiamed (Istituto Italiano per l’Asia e il Mediterraneo).

3 Editoriale(Loreno Coli) 4 Hanno scritto per noi 5 Lettere al direttore 7 Idee e pensieri intorno al bisogno di futuro(Giobbe)POLITICA 8 Un sindacato nuovo per l’Italia delle responsabilità(Raffaele Bonanni)10 L’autoriforma come conquista di efficienza organizzativa(Roberto Muzi)11 Alla ricerca della grande riforma(Arturo Celletti)13 L’Italia però ha un’altra storia(Gianfranco Garancini)14 Una povertà che si trasforma(Francesco Marsico)17 La cessione del quinto da parte dei pensionati INPSATTUALITA’ E SOCIETA’18 Foto di gruppo dei Romeni in Italia(Alina Harja)20 Nascere in Italia senza essere Italiani(Stefano Della Casa)22 Cecile Kyenge,ministro per l’integrazione(Stefano Della Casa)24 Una banca per nemica(Dario Caselli)26 Portrait fotografico,il mondo Fnp Cisl28 Fare spesa con 10 Euro(Gian Paolo Galloni)30 Più a lungo ma più malati? (Mimmo Sacco)33 Sanità,rivedere le migrazioni al Nord(Marco Pederzoli)34 Pressione arteriosa,come e quando misurarla?(Alberto Costantini)ECONOMIA E FINANZA35 Brics e SCO varano nuove banche(Paolo Raimondi)36 L’America Latina cerca il suo futuro(Lorenzo Carrasco)CULTURA38 Papa Francesco e l’Italia(Aldo Maria Valli)40 Università della terza età(Marco Pederzoli)MAPPAMONDO42 Vacanze 2103 tra web,occasioni e tendenze43 Patente nella terza età,attenzione44 Viva la bicicletta(Umberto Folena)46 Andar per monti,più vicini al cielo49 Libri e web(Marco Pederzoli)51 Vagabolario(Dino Basili)

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EditorialeSommarioIl XVII percorso congressuale della CISL e del-la FNP, può senza dubbio essere annoverato fra quelli più importanti per l’intera organizzazione.È stato un percorso che nel corso dei mesi ha san-cito sempre di più il ruolo della Confederazione come Sindacato libero, autonomo e solidale, che si è confrontato con il Governo e le istituzioni - pur in un contesto politico sempre più complicato e in una fase di crisi che continua a “mordere” forte-mente il paese – con grande senso di responsabili-tà nel tentativo di dare risposte concrete ai bisogni di lavoratori e pensionati. Temi come lo sviluppo del lavoro, la riforma del fisco e più in generale la necessità di un welfare equo e solidale sono stati sempre più centrali e sempre più saranno sostenu-ti nel prossimo futuro. Inoltre, grande attenzione è stata posta alla necessità di una nuova democra-zia economica, all’interno della quale i lavoratori dovranno sempre più compartecipare allo svilup-po delle aziende. Si tratterà in sostanza di elimina-re il conflitto fra “ capitale e lavoratori” per passare ad un nuova fase in cui vi sia piena collaborazio-ne per la crescita delle imprese e di conseguenza una diversa redistribuzione della ricchezza da esse

prodotta a favore dei lavoratori.Come detto, temi importantissimi che vedranno la CISL fortemente impegnata nel prossimo futuro anche con iniziative di confronto e mobilitazio-ne. Prova ne è già stata la grande manifestazione unitaria del 22 Giugno scorso a P.zza S. Giovanni. Una grande giornata del mondo del lavoro, che è stata il primo passo verso una serrata “vertenza” con il Governo che proseguirà anche in autunno e fino a quando finalmente le richieste dei lavoratori e dei pensionati troveranno riscontri tangibili.Anche sul piano organizzativo, la CISL ha realiz-zato una grande riforma procedendo all’accor-pamento di numerose strutture orizzontali e di alcune categorie che consentirà un più razionale utilizzo delle risorse economiche e che, soprattut-to, si prefigge l’intento di rendere l’organizzazione sempre più capace di espletare il proprio ruolo , in special modo nei luoghi di lavoro e nelle comunità locali, attraverso la piena valorizzazione dei qua-dri sindacali delle RSA, delle RSU e delle strutture di base. Tale riforma , ovviamente, si è resa necessaria an-che alla luce del futuro assetto delle istituzioni e della conseguente riorganizzazione della pubblica amministrazione. Per parte sua la FNP, è stata altrettanto protago-nista sia sul piano sindacale sia su quello organiz-zativo. Infatti la Federazione grazie alla tenacia del

proprio gruppo dirigente è riuscita a sensibilizza-re sui propri temi rivendicativi (potere d’acquisto delle pensioni, fisco, non autosufficienza) tutta la CISL al punto che nella mozione conclusiva del XVII Congresso confederale tali aspetti sono sta-ti ripresi e resi prioritari all’interno delle politiche dell’intera CISL.Anche sul piano organizzativo la FNP ha effettuato una vera e propria “rivoluzione” istituendo le RLS ( Rappresentanze Sindacali Locali) in luogo delle vecchie leghe. Si è trattato di un processo lungo e difficile, poiché per certi aspetti determina anche la fine di posizioni di rendita, ma al tempo stesso di un processo ineludibile, teso a rendere le strut-ture di base della FNP sempre più operative, aper-te all’immissione di nuovi quadri e sempre più incisive in termini di vertenzialità locale e di pro-selitismo. Il tutto in una logica anche di gestione più finalizzata ed oculata delle risorse finanziarie.Come detto, quindi, un percorso congressuale, quello appena terminato, che ha testimoniato una volta di più come la CISL e la FNP, siano sempre vigili e attente ai mutamenti degli scenari socio- politici ed istituzionali e, perciò stesso, sempre pronte a mettersi in discussione e ad optare per un ulteriore cambiamento che possa rendere tutta l’organizzazione sempre più forte e protagonista nella società civile.

Loreno Coli

La nuova crescitasi chiamacompartecipazione

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Hanno scritto per noi

Aldo Maria ValliGiornalista e

scrittore, dal 2007 è vaticanista per

il TG1

Mimmo SaccoGiornalista RAI TV.

Condirettore de Il Domani d’Italia, mensile di politica

e cultura.

Arturo Celletticapo servizio politico del quotidiano L’Av-

venire.Da 15 anni cro-nista parlamentare.

Dario CaselliOdontoiatra, gior-nalista, consulente

odontoiatrico Unisalute.

Marco PederzoliGiornalista e colla-boratore di diverse

testate. Scrive per La Gazzetta

di Modena, Il Sole 24 ore.

Paolo RaimondiEconomista

Gianfranco Garanciniprofessore di storia del

diritto Italiano all’Univer-sità di Milano.Consiglie-

re dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani.

Roberto MuziDirettore sede nazionale

Fnp Cisl

Francesco MarsicoVice direttore della

Charitas Italiana

Lorenzo Carrasco Bazua

Messicano.Fondatore del Movimento di Solidarietà

Latino Americana.

Umberto Folena Editorialista del

quotidiano L’Avvenire.Consulente della CEI

Alberto CostantiniCardiologo.Ex

medico cardiologo della Camera dei

Deputati.

Alina HrjaGiornalista

professionista.Direttrice di Actualitatea

Magazine.

Gian Paolo GalloniPer 25 anni direttore della comunicazione

Michelin.Esperto gastro-nomo.

Loreno ColiSegretario nazionale Diparti-mento organizzativo, tessera-mento e proselitismo, infor-

matico. Politiche previdenziali, rapporti con enti e CIV

Raffaele BonanniSegretario generale

della CISL

Stefano Della CasaGiornalista

Freelance e Direttore della rivista

Jag Generation

Dino BasiliGiornalista e

scrittore, Direttore di Rai 2 e Capo

ufficio Stampa del Senato

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Lettere al DirettoreLibertà d’informazione Sono molto deluso, amareggiato e anche preoccu-pato sulla brutta piega che negli ultimi decenni ha preso l’informazione nel nostro paese. Mi riferisco soprattutto alla carta stampata e ai quotidiani, in particolare, anche se per le TV le cose non sono molto diverse.Ogni giorno io leggo due quotidiani e scorro anche una Rassegna Stampa: sono sconsolanti la faziosi-tà, le forzature, le strumentalizzazioni che si leggo-no. E’ un’informazione che privilegia le campagne scandalistiche, i tormentoni insopportabili, senza mai puntare sull’approfondimento, senza dare co-noscenza, dati e strumenti.Ho sperimentato anche in prima persona la fazio-sità di molti giornalisti e redattori, il settarismo, la mancanza di obiettività e di correttezza e l’uso strumentale del loro “potere” al fine di assecon-dare la “linea” del loro giornale. Esistono anco-ra quotidiani decenti (pochissimi secondo me) e giornalisti corretti, ma in generale sono molto sco-raggiato sulla possibilità di avere strumenti liberi e pluralisti. Eppure in gioventù (anni 70) abbiamo lottato per la “libertà e la democrazia “ nell’informazione.Gianni Vizio, TorinoGrazie, signor Vizio, per gli apprezzamenti espressi nella prima parte della sua lettera, prima

delle pertinenti osservazioni sull’involuzione del costume giornalistico italiano. Sono condivisibili. con le dovute e rare eccezioni che lei stesso segna-la. Pettegolezzo e faziosità hanno preso spesso il posto di quella qualità che la libera stampa do-vrebbe avere sommamente cara: informare con onestà il lettore e non – come purtroppo spesso accade – fare da megafono al potente di turno. Questo modo non abbiamo quasi più una stam-pa libera, ma una stampa schierata. Se è libera e indipendente è strumento di democrazia. In caso contrario, ahimè, diviene parte del teatrino in cui recitano le oligarchie dominanti. Va detto anche che nel degrado la stampa e l’informazione no viaggiano sole, ma accompagnano la caduta di qualità della politica troppe volte divenuta rissa, malcostume e perfino insulto e trivio. i diritti dei poveri…Credo sia veramente grave che un popolo “de-mocratico” possa accettare come sinonimo di bene le tantissime ufficiali associazioni che con l’intento della solidarietà ogni giorno sempre più si molti-plicano chiedendo l’obolo al popolo per i diritti dei cittadini. A livello privato si deve dare tutto il bene e l’amore. Ma a che serve il Governo se non sa e non conosce i problemi di scuole, ospedali, car-

Partenza sprint delle “Lettera al direttore”. Sono numerose le lettere subito arrivate, sia per posta ordinaria che elettronica. Buon segno. I lettori di Contromano hanno colto subito l’importanza di questo canale di comunicazione. E’ stato pertanto necessario dare subito uno spazio più ampio alla Rubrica, dedicandole fin da questo numero ben due pagine e iniziando, come esplicitamente richiesto, a rispondere ai quesiti posti. In qualche caso è stato necessario portare a sintesi, pur rispettandone il contenuto, le lettere troppo lunghe per la pubblicazione. Alcune sono giunte da lettori che hanno letto Contromano ma che non lo ricevono in abbonamento. Costoro ci hanno chiesto se è possibile abbonarsi individualmente, pagando il dovuto. Una decisione in questo senso non è ancora stata presa, ma se la richiesta dovesse crescere valuteremo attentamente la possibilità di ampliare la già ampia platea dei nostri abbonati. Una decisione che l’Editore dovrà prendere in sintonia con la FNP Cisl.Infine, qualche quesito riguarda non tanto il direttore ma la Federazione. In questi casi, cercheremo, nel limite del possibile, di essere all’altezza delle domande, anche, se necessario, rivolgendoci ai responsabili della FNP. Buona lettura a tutti.

Gian Guido Folloni

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ceri, aziende, natura: basti citare come esempio il problema ILVA TARANTO.…Basta con il buonismo e il populismo dei buo-ni, bisogna trovare il “bene comune” attraverso i diritti. E’ decisamente assurdo, offensivo, delete-rio sentire quotidianamente pronunciare la parole poveri come se ci preoccupasse realmente dell’Al-tro. Ma perché devono esistere i poveri? per ren-dere gloria e omaggio ai ricchi!?....

Rita Mello, Carmiano (LE)

Ringrazio Rita Mello della lunga e vibrante let-tera in cui tocca tanti temi: il rapporto tra le ge-nerazioni, la famiglia, l’individualismo dilagante. Ho dato spazio a una sua denuncia. In una nazio-ne dove sempre più cittadini finiscono sotto quel-la che viene chiamata la “soglia di povertà”, Rita Mello afferma che tale soglia andrebbe abolita. E che questo è il compito dei governanti: procurare per tutti una “vita dignitosa”. Che se non lo si fa, si rischia l’ipocrisia: si da per “carità” quel che si dovrebbe avere per diritto. Fatte salve ovviamen-te, le buone private azioni.

La corte e le pensioni d’oroVorrei fare alcune considerazioni sulla recente sentenza della Corte Costituzionale, in merito al prelievo fiscale sulle pensioni d’oro.La Corte ha bocciato la modalità di applicazione del contributo di solidarietà a carico delle pensioni d’oro perché discrimina una sola categoria rispet-to agli altri titolari di reddito: l’intervento riguarda solo i pensionati.Mi chiedo allora ed insieme a me se lo sono chiesto

altri moltissimi pensionati della mia Lega in una recente riunione nella quale abbiamo dibattuto questo argomento, anche il blocco delle indicizza-zioni delle pensioni è discriminante ed incostitu-zionale.Da tutto questo è auspicabile che il nostro sinda-cato ponga con forza e promuova un’azione seria nei confronti del governo in merito al blocco delle indicizzazioni delle pensioni, facendo recuperare, anche quanto è stato tolto, illegalmente, negli anni precedenti.Se non ci dovessero esserci fatti concreti da parte del nostro sindacato, ci attiveremo nelle sedi do-vute poiché dopo questa sentenza è giusto che la categoria venga tutelata, anche in nome di un pro-selitismo che non può essere solo a parole. Vincenzo Sando,

Segretario di lega FNP Cisl, Lamezia Terme

La sentenza della Corte fa riferimento ai principi costituzionali. Il primo è l’uguaglianza tra i cit-tadini di ogni categoria: non si possono imporre tasse o contributi fiscali diretti (altra cosa sono le tassazioni indirette) ai soli – ad esempio – macel-lai. Una discriminazione non accettabile. Il secondo è la proporzionalità della contribuzio-ne in base al reddito. Qui la Corte fa rilevare che il carico del contributo avrebbe dovuto essere spal-mato trasversalmente a tutti i redditi d’oro e non solo alla pensioni.

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IDEE E PENSIERIINTORNO

AL BISOGNODI FUTURO

La realtà quotidiana dimostra che viviamo tempi dominati dalla “provvisorietà” nel lavoro ( precarie-tà), nella vita sociale ( sopravvivenza nel disordine più completo), nella politica (rimozione del futuro), mentre attendiamo l’inverarsi di una profezia mes-sianica: i protagonisti, per deficit di idee e pensieri appaiono, costretti alla passiva coazione a ripetere.Per rafforzare il contrasto fra la visione prospettica della Fnp ed il lento declino socio-economico del Pa-ese, cerchiamo di analizzare la “ longevità” come un intreccio inestricabile fra una tenace voglia di vivere e di agire e un inesauribile crescendo di fragilità e di complessità esistenziali.Ma nella sua dimensione collettiva dobbiamo am-mettere e, di conseguenza, farci carico della mancan-za di una “ cultura della vecchiaia” che, come ogni stagione della vita, ha i suoi valori e la sua bellezza.Tuttavia la “provvisorietà” rappresenta una condi-zione esistenziale che richiede l’apertura di una sfida intellettuale per poter, in simili condizioni, immagi-nare un futuro credibile.Nelle more prevale la dimensione del presente.Un presente nel quale la società ci appare come un Paese bloccato e quindi provvisorio, dove si estende l’abitudine alla precarietà dei rapporti, alla lenta tra-sformazione della famiglia, al mutarsi delle scansio-ni per classi di età, dove nessuno accetta lo scorrere del tempo, dove tuttavia il futuro se ne sta fuggendo insieme ai giovani.

La politica deve prendere atto che il fenomeno del-la protesta, non colto e non assunto come stimolo al cambiamento, è diventato un deserto di disinteresse, una ventata di disaffezione verso le stesse autonomie locali, in sostanza un ulteriore e traumatico divorzio dalla politica.Dopo le tragiche vicende d’avvio di legislatura i par-titi dovranno affrontare la questione nodale della mission, del ruolo, della forma- partito cercando una soluzione al problema delle correnti organizzate e della sopravvivenza delle appartenenze originarie, per quanto concerne il Pd, e della riformulazione del partito personale, del populismo, del principio della democrazia interna e della traduzione in classe diri-gente di una pletora di cortigiani servili, per quanto riguarda il centro-destra ed il M5S.Dai congressi Cisl e Fnp appena conclusi e’ emer-so con chiarezza che i partiti politici, come forma di partecipazione, devono recuperare il fine primario di prevedere, di progettare e di immaginare il futuro, con un briciolo di utopia, avviando una penetrante azione di rinnovamento essenziale per il futuro della nostra democrazia e per riportare la politica vicino alla gente.Sotto il profilo della provvisorietà, in necessaria sin-cronia, anche il Parlamento di scopo ed il Governo di servizio soffrono di un vincolo temporale e potran-no durare il tempo delle “ emergenze” e delle riforme strutturali, in linea con la pessimistica pensosità di Ennio Flaiano: “da noi la linea più breve fra due pun-ti è l’arabesco!”.I sindacati confederali Cisl e Fnp, appaiono, dopo la stagione congressuale, in pieno rilancio, frutto della loro capacità di autoanalisi e di autoriforma, e, nel mettere al centro la questione nodale del lavoro, in tutte le sue mutazioni, ampliano l’offerta della rap-presentanza che dovrà estendersi oltre i tradizionali confini dell’associazionismo e affrontare i nuovi bi-sogni, tradurre i conflitti generazionali in concreta

solidarietà, e, soprattutto, diventare inclusivi nei confronti di tutte le marginalità.Tuttavia questa grande transizione dalla provviso-rietà alla narrazione di lunga durata deve affrontare anche il nodo del nuovo europeismo, per ritrovare il senso dell’ Europa.Dopo la dissoluzione dell’ordine geo-politico, aper-ta, con la caduta del muro di Berlino, la nuova era di globalizzazione, si tratta di cambiare paradigma, di affrontare con coraggio l’odierna disunione euro-pea battendo antichi egoismi e nuovi risentimenti, trovando una via di uscita che e’ quella del’economia sociale di mercato, unendo equa austerità con effi-cienza e produttività per aprire il percorso di crea-zione della ricchezza, in un processo di unificazione politica non fittizia.Ci troviamo in una situazione di assoluta emergenza economica e sociale.I pensionati e i ceti popolari si sono rinsecchiti e sfrangiati.Bisogna evitare il pericolo che la società italiana fini-sca per stressarsi, esangue e scollata.La politica di austerità imposta da Bruxelles deve essere riequilibrata con una politica comunitaria an-tirecessiva e, sul piano nazionale, con un sferzante shock fiscale.Finita l’era dello sviluppo drogato, immersi nella cri-si che colpisce gli anziani e i giovani, la riflessione ri-mane disincantata. Ma anche coraggiosa.Prima di uscire dalla recessione vivremo ancora in una società nevrotica, spaventata dalla crisi del wel-fare, incapace di guardare al proprio avvenire.Ma come Fnp, in forza di una grande partecipazione, siamo in grado di reagire. Con un’azione di elabora-zione e di proposta, con una crescente fase di proget-tualità, con una lettura attenta dei bisogni, saremo i compagni di strada di una umanità che ricomincia a credere in se stessa.

Giobbe

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Il lungo percorso congressuale che si è concluso nelle scorse settimane, ha confermato una

straordinaria unità e compattezza della CISL di fronte all’esigenza, riconosciuta da tutti, di

riformare non solo il nostro paese ma anche la struttura organizzativa del sindacato. Ora,

però, bisogna passare dalle parole ai fatti. Noi vogliamo una Italia più sana, più equa, dove

tutti paghino le tasse in modo tale che tutti ne paghino meno. Vogliamo una Italia pulita,

onesta, rinnovata nelle istituzioni, con più donne nei ruoli chiave, dove ogni persona di

qualsiasi provenienza, colore, convinzione ed identità, abbia le stesse opportunità, gli stessi

diritti e gli stessi doveri. Una Italia dove i giovani possano vivere e contribuire alla crescita

assieme agli anziani, da considerare per quello che hanno dato e per la ricchezza di esperienza che possono ancora trasmettere ed esprimere. Vogliamo una Italia dove, come ha detto Papa

Francesco, “il vero potere è il servizio”. Ecco perché siamo disposti a collaborare fianco

a fianco con il governo politico delle ‘larghe intese’, perché questo avvenga.

Un Sindacato nuovo per l’Italia

delle responsabilità

costruire un sindacato nuovo per un nuovo paese: è questo l’importante obiettivo su cui tutta la cisl sarà impegnata nei prossimi mesi.

Raffa

ele

Bona

nni

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Ma così come la CISL è pronta ad assumersi la sua parte di responsabilità, lo stesso deve fare il Go-verno a cui chiediamo di avere coraggio, di passare dalle parole ai fatti, di attuare scelte concrete e du-rature. E’ il Paese che glielo chiede, sono le fami-glie, i lavoratori, i pensionati, i giovani, le donne, gli immigrati, i disoccupati, gli esodati, che non hanno più la voglia né la forza di attendere. Ecco perché ci aspettiamo nelle prossime settimane una discussione che punti a riattivare l’economia, abbassando le tasse, punendo con pene severe gli evasori, riducendo la spesa corrente, per quanto riguarda gli sprechi e le inefficienze. Ci aspettiamo che vengano aggrediti fortemente tutti i nodi che bloccano l’energia, le infrastrutture, una giustizia rapida e servizi comuni veramente attivi. Il paese è al collasso. È ora di rimediare agli errori del pas-sato, di essere propositivi, di garantire forme di protezione più estese rispetto ad oggi, comincian-do, ad esempio, con il contrattare nuove priorità e nuove misure di tutela sociale. Il welfare attuale va indubbiamente cambiato: le famiglie devono esse-re sostenute in termini di servizi socio-sanitari e di conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavo-ro. Dobbiamo mettere in cantiere una forma con-creta di lotta e protezione dalla povertà: ci sono situazioni drammatiche di indifferenza ed abban-dono soprattutto nelle grandi aree metropolitane del nostro Paese. Non possiamo e non dobbiamo più permetterlo. Ecco perché insistiamo per una legge sulla non auto-sufficienza. Ci sono ben 31 miliardi di fondi strutturali non spesi. Una cifra enorme. Perché non utilizziamo una parte di que-sti soldi per finanziare le misure per combattere la povertà? Perché non cominciamo proprio con lo stabilizzare le risorse del Fondo, anche utilizzan-do quelle risparmiate nella sanità, per tutelare e salvaguardare anziani e quanti versano in difficili situazioni di salute? La CISL ha più volte solleci-tato una riforma del welfare “rifondato” sulla sus-

sidiarietà sociale come prevede l’art.18 della Costi-tuzione. Un welfare sostenuto dalla contrattazione e dal rafforzamento della bilateralità, con agevo-lazioni fiscali che comprendano anche familiari e pensionati. Questa è la nuova frontiera anche per un sindacato partecipativo, capace di contrattare dai posti di lavoro ai territori, dalle aziende agli enti locali. Per questo dobbiamo cambiare anche il nostro modello organizzativo del sindacato. Ab-biamo accorpato quasi la metà delle unioni territo-riali, operazione di certo non facile, ma compiuta in piena concordia ed unità. Le categorie si sono configurate con le nuove unioni territoriali senza alcun problema. Tutto questo per permettere al sindacato di essere ancora più di ieri nei territori e nei posti di lavoro: è lì, infatti, che devono matura-re le risposte, il protagonismo diretto dei lavorato-ri e dei pensionati, uomini e donne che dobbiamo coinvolgere personalmente e da subito. In questo modo contribuiremo a ricostruire quelle relazioni virtuose, di partecipazione, che danno speranza ed energia rispetto ad una situazione sociale tanto

difficile e per tanti motivo di disperazione. E proprio perché siamo convinti che si possa sem-pre fare di più e meglio, proseguiremo nei pros-simi mesi alla integrazione ed alla unificazione delle categorie e lo faremo con la stessa solerzia ed efficacia avuta nella unificazione delle unioni territoriali. Con questo nuovo modello sindacale responsabile, partecipativo e popolare, ne siamo convinti, ritroveremo anche maggiore collabora-zione con Cgil e Uil. Un nuovo modello sindacale autonomo e capillarmente radicato, aiuterà anche le realtà politiche a carattere popolare perché po-tranno cogliere dalla vitalità dei corpi intermedi spunti e forza per dare un senso alla nostra demo-crazia. Questa è l’Italia che sogna la CISL! L’ Italia del ‘ fare’ e non solo del ‘dire’. Un’Italia che torni ad es-sere di nuovo protagonista e non semplice spetta-trice. E dipende da ciascuno e da tutti. Sappiamo che se ognuno cambia se stesso, cambia l’Italia.

Raffaele Bonanni

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Negli ultimi mesi, in concomitanza con il percorso congressuale, la CISL ha proceduto ad una signi-ficativa riforma della struttura organizzativa a livello orizzontale e verticale. Una riforma che ha determi-nato la riduzione di circa 40 UST CISL e l’accor-pamento di un significativo numero di categorie dei lavoratori dipendenti. Tale riforma si è resa necessa-ria non solo al fine di poter rappresentare al meglio le istanze dei lavoratori sul territorio e nei luoghi di lavoro, ma anche alla luce della esigenza di raziona-lizzare l’utilizzo delle risorse economiche ed umane. Allo stesso tempo il riassetto dovrà favorire anche un più proficuo confronto con le controparti istitu-zionali e con le associazioni dei datori di lavoro. E’ stato un processo , in alcuni casi, molto difficile e che senza dubbio è andato ad incidere su alcune situazioni ormai cristallizzate che anche nel Sinda-cato si erano venute a creare nel corso degli anni. Tuttavia, ancora una volta, la determinazione della segreteria confederale in primis, ma anche la forte coesione di tutte le strutture dell’organizzazione, ha reso possibile un cambiamento che proietta la CISL nel futuro e che la rende sempre più rappresentativa e al passo con i mutamenti sociali ,politici, istituzio-nali e del mercato del lavoro.In questo quadro anche la FNP non poteva che recitare un ruolo da protagonista. Infatti oltre ad adeguare le proprie strutture regionali e territoriali a

L’autoriforma come conquista di efficienza organizzativa

quelle della CISL, derivate dagli accorpamenti sud-detti - il che ancora una volta testimonia la grande attenzione della Federazione dei pensionati al valore della confederalità - la FNP ha provveduto a “ri-formare” in termini sostanziali le proprie strutture di base. In questo senso sono state istituite le RLS, ( Rappresentanze locali sindacali) che andranno a so-stituire le vecchie istanze congressuali delle Leghe e che si connoteranno come strutture totalmente operative sul piano sindacale, della vertenzialità e sul piano organizzativo.Di fatto la costituzione delle RLS non andrà a di-minuire i presidi sul territorio della FNP, ma ne fa-vorirà il coordinamento e la crescita. Inoltre con le nuove RLS si verificherà un incremento dell’attività sindacale ed organizzativa e, soprattutto, verran-no impegnati nuovi e numerosi quadri sindacali da utilizzare nelle comunità locali, anche al fine di un incremento del proselitismo. In questo contesto, va sottolineato un grande progetto che la FNP sta mettendo in campo, ovvero l’assunzione di opera-tori giovani, a carico del livello nazionale, regionale e territoriale, che lavoreranno presso le RLS ed in rac-cordo con il Patronato e i Caf proprio in direzione di un significativo sviluppo del tesseramento. Questo importante progetto che nei prossimi mesi vedrà la luce, chiaramente è anche frutto di quanto scatu-rito dal Festival delle Generazioni di Firenze e della

forte “vocazione” intergenerazionale che contrad-distingue la FNP. Ovviamente la riforma della FNP, non può prescindere dalle specifiche realtà locali. Per questo, pur all’interno di un disegno generale nazionale, sono stati decentrati poteri statutari e re-golamentari a livello regionale e territoriale, proprio per favorire l’attuazione del progetto, senza andare ad intaccare la necessaria autonomia organizzativa che deve caratterizzare le diverse aree del Paese.Inoltre, la FNP ha voluto dare un ulteriore segnale di rinnovamento, approvando nuove norme statutarie che sanciscono la permanenza nella segreteria della stessa struttura fino ad un massimo di 10 anni, an-zichè dei 12 anni precedentemente previsti. Anche in questo caso, non si tratta di “limitare” i gruppi diri-genti, bensì di favorire un loro rinnovamento , senza disperdere le esperienze dei numerosi quadri che da anni sono nell’organizzazione e che in futuro, in altre vesti o compiti, potranno continuare a dare il loro prezioso apporto alla Federazione. Queste dun-que le sfide organizzative che attendono la CISL e la FNP e che nei prossimi mesi andranno attuate con convinzione, perché dalle stesse, siamo certi, an-cora una volta ne deriveranno una CISL e una FNP sempre più protagoniste nel panorama del sindaca-lismo confederale italiano.

Roberto MuziDirettore Sede nazionale Fnp Cisl

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Gaetano Quagliariello è lapidario: «La Costitu-zione non è il Corano, va aggiornata». Una pau-sa leggera. Poi il ministro delle Riforme rafforza quel messaggio aggiungendo una parola: «Assolu-tamente aggiornata». Il governo ci crede, il Paese ci spera. Perché è vero che in questi mesi la testa della gente è su tasse e lavoro, ma è anche vero che se non si supera l’attuale bicameralismo qualsia-si legge per rilanciare l’occupazione e far calare le tasse rischia di non essere mai operativa. Lo sa il premier Enrico Letta. E lo sa il ministro per i Rap-porti con il Parlamento Dario Franceschini: «Così non si può andare più avanti. Le leggi si bloccano

ALLA RICERCA DELLA GRANDE RIFORMAil sistema è lento, spesso non funziona, spesso c’è paralisi. Ecco la priorità: la riforma delle regole. Superare il bicameralismo vuol dire cambiare il volto del Paese. Così si incide sulla vita delle fami-glie e delle imprese, così si mette in moto una vera rivoluzione».Da giugno ogni lunedì i 35 “saggi” nominati dal governo incontrano Quagliariello. Vertici forma-li e informali coinvolgono l’intero governo. Tutto con un limite temporale che Mario Mauro fissa quasi fosse una sfida: «La prossima primavera l’obiettivo sarà centrato». Centrato? Il ministro della Difesa annuisce: «Già, centrato. Perché o ag-giorneremo la Costituzione oppure finiremo tutti all’inferno». L’obiettivo è ambizioso e al tempo stesso terribil-mente complicato, ma forse ha ragione Mauro: se la politica fallisce perde l’ultima occasione per riacquistare una credibilità che oggi è ai minimi storici. Bisogna allora intervenire. Per cambiare la forma di governo. Per superare il bicameralismo. Per mettere a punto una nuova legge elettorale. Per ridurre i parlamentari. Insomma per dare li-nearità a un assetto costituzionale che sciagurati interventi costituzionali a colpi di maggioranza (la riforma del titolo V prima e la devolution poi) han-no complicato ulteriormente. Anche dietro le conversazioni più private tra gli uomini del governo prende forma la consapevo-lezza che fallire vuol dire andare a casa. Letta lo dice senza giri di parole e ragiona sui perni della riforma. Un pilastro è la forma di governo. «L’o-biettivo è un assetto che garantisca la formazione di esecutivi stabili, sorretti da maggioranze certe e durature, e in grado di assumere le decisioni ne-

cessarie per incidere con efficacia e risolutezza sul tessuto socio-economico del Paese», ripetono ai piani alti di Palazzo Chigi. Insomma, una rivoluzione che deve correre legata alla riforma della legge elettorale. «Non avrebbe alcun senso compiere oggi una opzione stabile in favore di questo o quel sistema di voto senza sape-re se la meta del percorso riformatore sarà Parigi, Londra o Berlino», ripete sottovoce Quagliariello.Il percorso è ancora lungo, le fibrillazioni scuoto-no il governo e la gente si chiede se esiste davvero il rischio di tornare a votare qualora la situazione precipitasse con il Porcellum o peggio con una sua brutta copia. Quagliariello capisce il rischio, ma nei colloqui più riservati è chiaro: «Io lavoro alla grande riforma, è l’unico scenario che ho in testa e non ho nessuna intenzione di consumarmi dentro lo sterile dibattito sulla clausola di salvaguardia». Insomma per il ministro delle Riforme, ma anche per l’intero governo «è doveroso cambiare il Por-cellum ma non può essere questo il punto d’arri-vo».

Arturo Celletti

Sistema elettorale, forma di governo,bicameralismo, riduzione dei parlamentari, rapporto Stato Regioni

il Governo al lavorocon i 35 saggi.

Franceschini: “il sistema è lento, le leggi si bloccano,

cambiare è unimperativo vitale”.

Mauro: “a primavera l’obiettivo sarà centrato” Dario Franceschini Mario Mauro

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Convegno ArgeAlpAnzianiNei giorni 6 e 7 giugno si è svolto a Lugano il XVII Sim-posio dell’Arge Alp. I lavori del giorno 6 sono stati dedi-cati ad un ampio dibattito sulla sostenibilità dello Stato Sociale, ovvero: “Come difendere lo Stato Sociale in una Europa senza frontiere”. Dopo una breve introdu-zione al tema da parte del Presidente Tino Fumagalli, si sono svolte tre relazioni. La prima ad opera del prof. Christian Marrazzi (economista svizzero) dedicata allo Welfare in generale, alla riorganizzazione del lavoro e della società in generale, la seconda ad opera del prof. Giovanni Frosti (Cergas Bocconi) ha riguardato il “Siste-ma di welfare in Europa ed in tale ambito approfondire le traiettorie evolutive per l’Italia”. La terza relazione è stata illustrata dal prof. Egidio Riva (università cattolica di Milano) ed ha riguardato: “Ripensare il welfare nell’ot-tica della sostenibilità”.

Celletti: Prof. Francesco Clementi perché il semi-presidenzialismo?Clementi: Perchè bisogna trovare una soluzione alla crisi del sistema politico-partitico e perchè serve governabilità. Nella Francia di allora ha fun-zionato, può funzionare anche quiCelletti: Perchè questo accostamento?Clementi: Almeno per tre punti. Un eviden-te stallo della politica, una palese debolezza dei partiti, i forti rischi di un populismo che scuote le stesse istituzioni. Questi ingredienti erano presen-ti anche allora, tra il 1958 e il 1962, in Francia. E la soluzione semi-presidenziale, nella sua flessibilità ed elasticità, è riuscita a dare la giusta soluzione democratica e pluralista, consentendo tanto alla sinistra, quanto alla destra di vincere. Garantendo il bipolarismo, senza imporre il bipartitismo.Celletti: Dovremmo anche considerare il sistema elettorale francese?Clementi: L’utilizzo del sistema elettorale mag-gioritario a doppio turno consente di valorizzare tanto il “voto del cuore” al primo turno, cioè il principio dell’identificazione valorial-rappresen-tativa dell’elettore con il “suo” partito; quanto, al secondo turno, quello “della ragione”, con il voto per la governabilità. Due dimensioni decisive del votare, oggi entrambe fortemente compresse dal porcellum.Celletti: Ma non c’è il rischio dell’uomo forte?Clementi: Non vedo questo rischio, non da ulti-mo perché in Francia hanno dotato quel sistema di garanzie e contrappesi all’altezza di una moderna democrazia. Come lo hanno fatto loro, lo dobbia-mo fare noi.Celletti: Se si sceglie il semipresidenzialismo cosa ci dobbiamo aspettare?Clementi: Un rinnovamento forte del sistema partitico che, poggiandosi su una leadership de-

mocratica, naturalmente troverebbe nuove ra-gioni di confronto e di dialogo con la società. Il cittadino tornerebbe ad essere arbitro delle scelte della politica. Tanto sul piano della rappresentan-za, attraverso il sistema elettorale maggioritario a doppio turno, quanto su quello della governabi-lità, eleggendo per cinque anni un leader ed una maggioranza, responsabili fino in fondo, nel bene e nel male, della nostra vita di comunità. Può ap-parire poco, ma è tanto. Anzi, per noi oggi, vorrei dire, tantissimo.

Celletti: Prof. Stefano Ceccanti un premierato forte quali vantaggi garantirebbe?Ceccanti: Il presidente del Consiglio avrebbe la possibilità di chiedere e ottenere lo scioglimento delle Camere…Celletti:Basta?Ceccanti: Beh, come basta? Intanto si superereb-be il bicameralismo paritarioCelletti: Spieghi ai non costituzionalisti.Ceccanti: Il governo dipenderebbe dalla maggio-ranza di una sola Camera. Che poi sarebbe quella che avrebbe l’ultima parola sulla votazione delle leggiCelletti: Questo vuol dire che le leggi procedereb-bero più rapidamente?Ceccanti: Assolutamente sì. Ma su questo punto non ci sarebbe nessuna differenza con il semipre-sidenzialismo.Celletti: E la differenza dove sarebbe?Ceccanti: Se scegliamo il semipresidenzialismo (modello francese) il capo del governo è il capo dello Stato che verrebbe eletto direttamente dai cittadini. Se puntiamo sul premierato forte (mo-dello tedesco) la novità sarebbe il rafforzamento dei poteri del presidente del Consiglio.

Semipresidenzialismo:due turni, alla francese

Celletti: Rafforzamento che cosa significa?Ceccanti: Che il presidente del Consiglio potrà chiedere e ottenere lo scioglimento anticipato del-la Camera politica. E questo sarebbe un vantaggio perché i partiti di minoranza nella maggioranza non potrebbero più avere quel potere di veto che troppe volte, negli ultimi anni, ha paralizzato il presidente del Consiglio.Celletti: Cosa tra premierato o semipresidenziali-smo garantisce l’innovazione più forte?Ceccanti: Le due soluzioni garantirebbero un de-ciso scatto in avanti. Ci consentirebbero di uscire dalla confusione legata alle continue supplenze a cui è stato costretto il capo dello StatoCelletti: Qual è il sistema elettorale che si abbina meglio al premierato?Ceccanti: Può andare ancora bene un sistema a premio di maggioranza con due correzioni. La pri-ma è il ballottaggio nazionale tra le due coalizioni più votate qualora la prima non superi il 50 per cento. La seconda è la moltiplicazione delle circo-scrizioni per avvicinare eletti ed elettori con liste corte valutando a quel punto l’opportunità.

Premier forte alla tedesca e fiducia solo alla Camera

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Chissà se questa volta si riuscirà a por mano (ma poi a realizzare davvero) le riforme istituzionali necessarie, secondo quasi tutti, al nostro Paese.Però alcuni cominciano dalla parte sbagliata: invece che dal riconoscimento dei diritti e dagli strumenti più adatti per il loro esercizio, cominciano dalle istituzio-ni o, addirittura, dalla forma stessa dello Stato e dalla forma di governo.E invece si dovrebbe cominciare dai diritti (in questo caso dalla legge elettorale): perché, se la sovranità appartiene al popolo, questa è la strada per costruire quella “architettura dello Stato”, questo è altresì il pro-getto per dare una “forma” all’edificio delle istituzioni.Oggi la vera questione costituzionale è la legge eletto-rale: non che sia materia costituzionale (non bisogna cambiare la Costituzione per cambiare la legge eletto-rale), ma lo spazio dato al voto del cittadino, e altresì l’estensione dei suoi diritti (per esempio: il diritto a scegliere, con la preferenza sulle liste, la persona stessa del proprio rappresentante al Parlamento), influenza-no poi la gestione stessa delle istituzioni.Per questo si dice che prima di tutto, oggi, in Italia, occorre rifare la legge elettorale, per liberarci di un meccanismo perverso, fatto apposta – prima ancora che per bloccare qualsiasi scelta politica concreta con l’assurdo uso dei premi di maggioranza – per sottrarre al corpo elettorale ogni controllo, e metterlo tutto nelle mani dei partiti (là dove questo non succede – e cioè nelle autonomie locali – s’è visto bene che la gente sce-glie, decide, forma maggioranze e minoranze).Tutte le altre questioni vengono dopo, e rischiano di ri-solversi in chiacchiere inutili, o in inutili discussioni su quale tipo o foggia di abito si debba confezionare, prima di sapere i gusti e la taglia di chi dovrà indossarlo.La discussione sul (semi)presidenzialismo, per esempio.

a proposito di (semi)presidenzialismo

L’Italia però ha un’altra storia

Il (semi)presidenzialismo è una delle possibili forme di governo: chi deve governare il sistema delle istituzioni (nella specie quelle centrali) per realizzare i principi generali, i criteri per il riconoscimento e l’esercizio dei diritti e dei doveri dei cittadini, fra loro e (soprattut-to) nei confronti della pubblica amministrazione, delle istituzioni, dello Stato?La tradizione costituzionale italiana, raccolta poi e consacrata – anche alla luce delle nuove dottrine e dei nuovi pensieri che venivano da quelle parti d’Europa che non erano state toccate dal totalitarismo – nel-la nostra Costituzione repubblicana, è caratterizzata da una forma di governo nettamente parlamentare, il cui fondamento costituzionale sta nella costrutti-va separazione dei poteri, garantita – sul piano delle rappresentanze – da un Parlamento (appunto) demo-craticamente eletto e altresì – sul piano del diritto e della legittimità – da una parte da una magistratura autonoma e soggetta soltanto alla legge e, dall’altra, da un organo di garanzia costituzionale (da noi la Corte costituzionale) che possa regolare i conflitti interni all’ordinamento (fra leggi e Costituzione, p. es.), fra le istituzioni (Stato e Regioni, p. es.) e di attribuzione tra i vari “poteri” dello Stato.Il sistema parlamentare fa parte della nostra storia e della nostra cultura.Sul piano storico, basterà ricordare che tutte le volte che si è inteso togliere di mezzo democrazia e diritti, si principiò con il tarpare le ali, o con il togliere effet-tivamente voce e vita, al Parlamento (basterà pensa-re alla crisi istituzionale della fine dell’Ottocento; ma – soprattutto – basterà pensare al fascismo, che non sapeva che farsene di “quest’aula sorda e grigia”); ma anche che tutte le idee di novità, democrazia, sviluppo, innovazione – e non solo sul piano istituzionale – sono

nate nel Parlamento. Mi sembrerebbe imbarazzante, sul piano storico, una sorta di staffetta fascismo-demo-crazia parlamentare-(semi)presidenzialismo.Sul piano delle strutture del sistema istituzionale oc-correrebbe una riforma complessiva della Costituzio-ne, per evitare che l’innovazione, troppo incautamente introdotta, peggiori invece che migliorare la situazione su cui si vuole intervenire. L’Italia ha una Costituzione – ma altresì un sistema sociale e delle rappresentanze – in cui convivono diverse istituzioni, addirittura di-versi ordinamenti: la Costituzione e, più in generale, il diritto pubblico del nostro Paese sono stati tutti co-struiti per far funzionare un modello di governo parla-mentare di una “repubblica delle autonomie”, locali e sociali. Se non ha funzionato al meglio è proprio per-ché nei delicati meccanismi di questo sistema si è inse-rito un soggetto – il partito politico – che, nato come strumento di democrazia e partecipazione, si è venuto a poco a poco trasformando in titolare di un potere di occupazione e controllo delle istituzioni e della socie-tà stessa. Se questo sistema così come è oggi, invece che nel senso di una maggiore partecipazione, di un più diffuso controllo reciproco, di una più netta sepa-razione di funzioni e poteri fra le diverse istituzioni, si trasformasse in un governo di un uomo solo e del suo entourage, democrazia e partecipazione diminuirebbe-ro, a tutto favore di una democrazia (potrebbe ancora chiamarsi così?) plebiscitaria e meramente adesiva, fondata sulla propaganda personale e sulla concentra-zione dei poteri (e che diremmo del conflitto di inte-ressi?).

Gianfranco Garancini

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UNA POVERtàChE SI

tRASFORMAIl Presidente del Consiglio Enrico Letta nel suo discorso alla Camera del 29 aprile scorso ha affermato: “Il welfa-re tradizionale, schiacciato sul maschio adulto e su pen-sioni e sanità, non funziona più. Non stimola la crescita della persona e non basta a correggere le disuguaglian-ze. […] Occorre un cambiamento radicale: un welfare più universalistico e meno corporativo, che sostenga tutti i bisognosi, aiutandoli a rialzarsi e a riattivarsi. Per un welfare attivo, più giovane e al femminile, andranno migliorati gli ammortizzatori sociali, estendendoli a chi ne è privo, a partire dai precari; e si potranno studiare forme di reddito minimo, soprattutto per famiglie biso-gnose con figli.” Questa autorevole analisi conferma che nel corso degli ultimi anni, gli effetti della crisi non solo ha determina-to l’estensione dei fenomeni di impoverimento a settori sempre più ampi di popolazione, modificando il pano-rama del disagio, ma ha superato il tradizionale disin-teresse per la povertà di larghi settori del mondo della comunicazione e della politica.I mezzi di comunicazione prestano certamente una at-tenzione maggiore, ma spesso confusiva e selettiva. Il tema dell’impoverimento della classe media ha ormai codificato alcuni cliché, mentre minore attenzione è de-dicata – ad esempio - alle storie di povertà degli stra-nieri. La cronaca appare spesso alla ricerca di conferme di povertà spettacolari (famiglie italiane con figli piccoli in fila alla mensa Caritas, anziani che rovistano nei cas-sonetti, padri separati che dormono nelle automobili), piuttosto che impegnata nella ricerca delle situazioni più diffuse. Il sensazionale, piuttosto che l’analisi delle cause e la ricerca delle soluzioni, sono il triste lascito di almeno due decenni di eclissi comunicativa sul tema.Nelle pagine successive si cercherà di dare alcuni ele-menti di scenario sul tema delle trasformazioni delle po-vertà nel nostro paese, a partire dal Rapporto sul Benes-

sere equo e solidale e dai dati che forniscono le Caritas diocesane, grazie ai propri Centri di ascolto territoriali, per chiudere con alcune considerazioni su come stia cambiando non solo l’universo della povertà, ma la sua percezione sociale.

La statistica ufficiale: il Rapporto Benessere equo e solidale e la condizione delle famiglie italianeLo scorso 11 marzo il Cnel e l’Istat hanno presenta-to congiuntamente il 1° Rapporto sul Benessere equo e sostenibile. Il Rapporto evidenzia come le famiglie italiane siano tradizionalmente caratterizzate da un’e-levata propensione al risparmio, una diffusa proprietà dell’abitazione, un contenuto ricorso all’indebitamento e una significativa diseguaglianza della ricchezza. Con un sistema di welfare sbilanciato verso la componente previdenziale, la famiglia ha assolto una funzione di ammortizzatore sociale a difesa dei membri più deboli (minori, giovani e anziani), supplendo alle carenze di tutela e nascondendo le difficoltà di accesso all’indipen-denza economica dei giovani. Ma il Rapporto segnala come “La crisi economica degli ultimi cinque anni sta mostrando i limiti di questo mo-dello, accentuando le disuguaglianze tra classi sociali, le profonde differenze territoriali e riducendo ulterior-mente la già scarsa mobilità sociale. Il potere d’acquisto […] è diminuito del 5% tra il 2007 e il 2011, ma fino al 2009 ciò non si è tradotto in un significativo aumento degli indicatori di povertà e di deprivazione grave (…), grazie al potenziamento degli interventi di sostegno al reddito dei lavoratori (indennità di disoccupazione e as-segni di integrazione salariale) e al funzionamento delle reti di solidarietà familiare. Il Bes segnala non solo il peggioramento delle condizio-ni delle famiglie, ma un crescente fenomeno di erosione

delle risorse a loro disposizione – in termini di reddi-to, risparmio e patrimonio - che predice un rischio di allargamento delle condizioni di povertà, in assenza di un ciclo economico positivo o di un suo peggioramento.

alcune tendenze generali nei dati delle caritas diocesane: il rapporto caritas italianaMa quali sono, in base all’esperienza di ascolto delle Ca-ritas diocesane, le tendenze di trasformazione dei feno-meni di povertà ed esclusione sociale sul piano qualita-tivo, nel nostro paese?Ecco alcune indicazioni, emerse nel Rapporto Povertà ed esclusione sociale Caritas Italiana 2012:> cresce il numero di italiani che si rivolgono Centri di Ascolto e contestualmente cresce la multi problematici-tà delle persone prese in carico; > la fragilità occupazionale è molto evidente: cassa in-tegrazione, occupazioni saltuarie, lavoro nero, rendono estremamente difficile per molte famiglie coprire le ne-cessità, anche più elementari, del quotidiano;> aumentano, tra i richiedenti, gli anziani e le persone in età matura;> diminuiscono percentualmente i“senza reddito” e i “senza-tetto”: ormai dal 2010 sono calati in modo vi-stoso coloro che si dichiarano a “reddito zero” e vivono sulla strada;> la “normalizzazione sociale” nel profilo dell’utenza Caritas si accompagna ad un peggioramento di chi sta-va già male: aumentano in percentuale le situazioni di povertà estrema, che coesistono tuttavia con una vita apparentemente normale, magari vissuta all’interno di un’abitazione di proprietà.

Alcuni profili di disagioEmergono, inoltre, alcune nuove situazioni, che riguar-dano particolari situazioni e condizioni sociali.

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ANDAMENTO SOGLIA POVERTA’ RELATIVA-attualizzazione Harmonised Indices of Consumer Price (HICPs)-

2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011

1050

1000

950

900

850

soglia di povertà - euro correnti soglia di povertà - euro 2005

-11%

-13%

-12%

GUADAGNO MENSILE NETTO AD UN ANNO: VALORI RIVALUTATI**in base agli indici ISTAT dei prezzi al consumo

LAUREATI 2007 - 2010

2010200920082007

1.105 1.180 1.224 1.247

PRIMO LIVELLO

2010200920082007

1.105 1.180 1.224 1.247

SPECIALISTI

2010200920082007

1.105 1.180 1.224 1.247

SPECIALISTIA CICLO UNICO

Considerati soloi laureati non iscrittiad altro corso di laurea

valori medi espressi in euro

Sono sempre più numerose nel mondo Caritas le perso-ne senza figli che chiedono aiuto. A livello nazionale, il 26,9% degli utenti del 2011 non aveva figli (erano pari al 13,8% nel 2009). A livello locale, tale incidenza appa-re spesso di maggiore intensità, con punte del 40-43% delle persone che non hanno figli, o perché non vivono una relazione di coppia stabile, o perché celibi/nubili o perché separati/divorziati o perché vedovi. L’assenza di verifiche non consente di stabilire la pre-senza di una connessione diretta tra insorgenza di nuova povertà e riduzione della propensione alla maternità. È tuttavia innegabile che la presenza in Italia di una vasta fascia giovanile che non è ancora pervenuta a condizio-ni di stabilità socio-lavorativa, non può che influenzare alcuni tipi di percorsi esistenziali, tra cui anche le scelte familiari, procreative, ecc.

immigrati: poveri ma ricongiuntiSi assiste negli ultimi anni ad un progressivo peggiora-mento della condizione di vita delle famiglie immigrate. In generale, tra le varie fasce deboli della nostra società, ad essere più coinvolti dalla crisi sono stati proprio gli immigrati: il sopraggiungere della crisi ha colpito colo-ro che avevano acquisito da poco un relativo benessere, innescando dinamiche rapide ed incrementali di impo-verimento (perdita del lavoro, perdita dell’abitazione, caduta a volte repentina in stato di irregolarità ammi-nistrativa, ecc.).Come osservano alcuni operatori, paradossalmente, il licenziamento di molti immigrati è arrivato in prossi-mità del ricongiungimento familiare, un momento da lungo tempo atteso ma permeato di estrema fragilità sociale, relazionale ed economica.

i “working poor”Si assiste, rispetto al recente passato, al graduale decli-no dei cosiddetti “working poor”, una categoria sociolo-gica che comprendeva tutti coloro che pur in presenza di una posizione lavorativa e di un’entrata economica stabile, evidenziavano segnali di disagio economico e progressiva marginalità sociale. La stragrande maggio-ranza degli utenti Caritas vive in realtà una condizione

di occupazione fragile: anche se non sono totalmente privi di reddito, si trovano comunque in condizioni di lavoro instabile, irregolare, quantitativamente insoddi-sfacente, ecc.

i “ripartenti”Nonostante le tendenze di peggioramento, si registrano segni di speranza. Innanzitutto una vitalità delle comu-nità locali, che hanno avviato esperienze di ogni tipo per contrastare le tendenze della marginalità sociale. Allo stesso tempo, ascoltando le storie di chi vive condizio-ni di difficoltà emerge spesso un desiderio di ripartire espresso da molti utenti: affiora la volontà di rimettersi in gioco, l’aspirazione a migliorare la propria situazio-ne. Non si chiedono (solamente) sussidi economici, beni materiali o protezione per la notte, ma anche orienta-mento a servizi, riqualificazione professionale, forma-zione e recupero della scolarità perduta. Purtroppo, questo tipo di persone, che possiamo defini-re i “ripartenti”, non trovano sempre adeguato sostegno alla loro disponibilità a rimettersi in gioco. Da un lato, l’età non gioca sicuramente a loro favore: la maggior parte dei disoccupati che si rivolgono alla Caritas, oltre il 37% del totale, è nella fascia dell’età adulta. Inoltre, l’appiattimento verso il basso della qualità del mercato del lavoro provoca il fenomeno delle “false partenze”: accettare un’offerta di lavoro non determina sempre la risoluzione dai problemi, in quanto dietro un gran nu-mero di offerte si celano situazioni di evidente sfrutta-mento, sotto-retribuzione, condizioni di lavoro al limite del degrado. D’altro canto il sistema dei servizi - laddove presente – è più orientato alle marginalità gravi che alle condizioni di impoverimento.

percorso a ostacoli, tra veti incrociatiSul versante della risposta istituzionale si evidenzia l’e-vidente inadeguatezza dell’attuale sistema di welfare a farsi carico delle nuove forme di povertà, delle nuove emergenze sociali derivanti dalla crisi economico-finan-ziaria.Diversi i limiti evidenziati, di varia natura:la dispersione delle misure economiche su un gran nu-

mero di provvedimenti nazionali, regionali, locali, gesti-ti da enti e organismi di diversa natura, al di fuori da qualsiasi tipo di regia e coordinamento complessivo;l’estremo ritardo con cui vengono attivate le misure di sostegno economico, soprattutto quelle legate alla per-

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ANDAMENTO DELLA DISOCCUPAZIONEil tasso della disoccupazione in Italia dal 2004 a novembre 2012

%

10

9

8

7

6

52004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012

gennaio8,2%

maggio7,6%

luglio6,5%

giugno7,0 %

aprile5,8%

giugno7,8%

maggio8,6%

dicembre9,5%

ottobre11,1%

novembre9,4%

ottobre8,8%

2.870.000 il livello record di disoccupati raggiunto a novembre 2012

UOMINItasso di disoccupazione 10,4%tasso di occupazione 66,5%tasso di inattività 25,8%

DONNEtasso di disoccupazione 12,1%tasso di occupazione 47,5%tasso di inattività 46,1%

dita del lavoro e alla perdita di autonomia psico-fisica; la notevole varietà e le conseguenti sperequazioni nella definizione del livello di reddito della famiglia, necessa-rio per poter usufruire di determinate prestazioni; il forte carattere categoriale di gran parte delle misure di sostegno economico o di agevolazione tariffaria degli enti locali: tale meccanismo, che determina un fenome-no di selezione differenziata dei beneficiari, penalizza di volta in volta le persone che appartengono a determina-ti status sociali, residenziali, professionali, anagrafici, di cittadinanza, ecc. Le soglie e i criteri di accesso alle varie opportunità assistenziali sono estremamente diversifi-cate, creando dei vicoli ciechi spesso difficili da prevede-re all’avvio dell’iter di richiesta della misura;il progressivo restringimento delle disponibilità finan-ziarie degli enti locali nel settore socio-assistenziale, che sta determinando la contrazione delle prestazioni ad una serie di categorie sociali che, fino a poco tempo prima, erano state beneficiarie di forme di intervento.L’effetto complessivo di quanto sopradescritto è quel-lo di un vero e proprio percorso ad ostacoli in cui la presenza di barriere e veti incrociati rende ancora più difficile l’esigibilità dei diritti e la fruizione tempestiva dei servizi , anche in presenza di oggettive situazioni di bisogno.

alcune considerazioni conclusiveLa drammatica transizione che questa crisi rappresen-ta ha già operato alcune modifiche sia nei fenomeni di povertà che nella loro rappresentazione e nel discorso pubblico.Il dato più evidente è la maggiore visibilità del disagio delle famiglie, contestualmente alla cittadinanza me-diatica delle tematiche della precarietà del lavoro, del-la disoccupazione, della povertà, che tornano ad essere elementi del dibattito sociale e politico, dopo la grande eclissi degli anni ’90. Soprattutto la crisi economica, col-pendo le famiglie operaie e i ceti medi del centro-nord, ha reso la povertà economica una prospettiva reale, non solo per le fasce di povertà strutturale del paeseD’altro canto la crisi ha fatto riemergere il tema della di-suguaglianza e - conseguentemente - della giustizia so-ciale. Seppure in forme non strutturate e politicamente acerbe alcune polemiche contro i banchieri, i costi del-la politica, le baby-pensioni, hanno posto la questione etica della responsabilità dei più ricchi. Questa presa d’atto non genera per ora visioni sociali più comples-sive, limitandosi ad una indignazione esacerbata, ma politicamente sterile. L’unico risultato è che sul piano mediatico la ricchezza comincia a non essere percepita come un valore in se’, mentre i comportamenti solidari-stici non vengono etichettati come pratiche “buoniste”. Purtroppo il discorso pubblico si attarda su polariz-zazioni ancora sterili rispetto ad una idea sussidiaria falsamente ingenua – che sembra ignorare che gli assi fondamentali delle politiche sociali possono essere ga-rantiti solo dalla fiscalità generale – e ad una conce-zione dei diritti che confonde la loro titolarità – ovvia-mente statale – dalle forme effettive di esigibilità e di tutela – che possono essere garantiti da un mix virtuoso pubblico – privato – privato sociale. Il paese che verrà dovrà trovare nuove tipologie di diritti e – contestualmente – nuove modalità di garanzia de-gli stessi per le nuove forme di disagio. Appare d’altro canto ineludibile realizzare forme di sostegno al reddito per le famiglie in condizioni di povertà assoluta – pure in forme incrementali – tali da rispondere non solo ai

bisogni drammatici, ma ad una ragionevole idea di equi-tà.Tutto questo tenendo conto delle disparità territoriali in termini di servizi sociali effettivamente disponili, di-sparità che impongono un realismo sussidiario, capace di individuare oggi percorsi che sappiano valorizzare e integrare l’esistente e prefigurare per il domani una ade-guata copertura socio-assistenziale. La povertà si puo’ combattere interrompendo i circuiti che la generano attraverso un impegno effettivo contro l’abbandono e la dispersione scolastica, offrendo alle famiglie non solo reddito ma percorsi personalizzati, orientando al mercato del lavoro i soggetti svantaggiati con percorsi di accompagnamento che vedono associa-zioni di categoria, enti locali e privato sociale sviluppare partnership ragionevoli e innovative, costruendo un’i-dea di sviluppo territoriale che punti sull’innovazione e sulla coesione sociale. Nei prossimi anni non ci salveranno solo le grandi ri-forme, ma anche politiche possibili e coerenti, soste-nibili e incrementali, capaci di sviluppare responsabi-lità, competenze e coinvolgimento dei soggetti sociali, produttrici di valore, di coesione e di senso. Politiche, quindi, possibili, generative e valutabili: la povertà e il disagio, la loro dimensione quanti-qualitativa sono – in questo senso - un drammatico indicatore di insuccesso, in grado di aiutarci costantemente – se non ignorati - a migliorare e orientare gli interventi.

Francesco Marsico

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A seguito della Determinazione n. 76 del 5 aprile scorso, il Presidente dell’Inps ha sottoscritto uno schema di convenzione finalizzata alla concessione di finanzia-menti a pensionati Inps, allo scopo di far ottenere loro condizioni contrattuali più favorevoli rispetto a quelle medie di mer-cato.Secondo tale determinazione, possono essere cedute le pensioni e gli assegni di invalidità e di vecchiaia corrisposti dall’Inps, facendo sempre salvo l’importo corrispondente al trattamento minimo, di legge, che oggi è di 495,43 euro. Per i soggetti titolari di più trattamenti pen-sionistici, la salvaguardia del trattamento minimo va determinata sul complesso dei trattamenti stessi. Non possono invece formare oggetto della cessione le pensioni e gli assegni sociali, i trattamenti di inva-lidità civile, l’assegno mensile per l’assi-stenza personale e continuativa ai pensio-nati per inabilità, gli assegni straordinari di sostegno al reddito, gli assegni al nu-cleo familiare e le pensioni a carico degli Enti creditizi.Le richieste per l’erogazione dei prestiti

devono essere presentate dai richiedenti direttamente presso le banche o gli inter-mediari finanziari. I contratti sottoscritti dalle parti, saranno poi notificati all’Inps attraverso l’apposita procedura telemati-ca. Al fine di ottenere il prestito, non è ne-cessario che il destinatario sia titolare di un conto corrente o di un rapporto presso il soggetto che concede il finanziamento. L’Inps, infatti, effettuerà le trattenute en-tro il terzo mese successivo alla notifica del contratto.Le Banche o gli Intermediari finanziari, sottoscrittori della Convenzione, eroghe-ranno i finanziamenti alle proprie condi-zioni generali o particolari, che dovran-no sempre essere migliorative rispetto ai tassi annui effettivi globali (TAEG), com-prensivi di tutti i costi relativi al finan-ziamento; in particolare, i tassi soglia di riferimento della Convenzione INPS, per classe di età del pensionato e classe di im-porto del prestito, sono così distinti: fino a 59 anni, il tasso sarà del 9,12% per un pre-stito fino a 5.000 euro e di 9,33% per un prestito oltre 5.000 euro; da 60 a 69 anni il tasso sarà di 10,72% fino a 5.000 euro

e di 10,93% oltre tale somma; infine, da 70 a 79 anni il tasso sarà del 13,32% e del 13,53%, rispettivamente per un importo di euro 5.000 e superiore ad euro 5.000.La Convenzione prevede tra l’altro la co-pertura rischio in caso di premorienza, ovverosia i prestiti dovranno avere la ga-ranzia dell’assicurazione sulla vita, che ne assicuri il recupero del residuo in caso di decesso del mutuatario; questo perché dal 1° giugno 2013, non è più operativo il Fondo rischio Inpdap, per la copertura del medesimo rischio.

Cessione del quinto, cambiano le regolePiù chiarezza per chi chiede un prestito e obbligo dell’assicurazione sulla vita

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I cittadini romeni in Italia sono, secondo i dati ISTAT più aggiornati, oltre 968.000: il 21% del totale degli stranieri residenti nella penisola. Al-tri dati, comuni a diverse fonti, parlano di oltre 1 milione di residenti. Comunque una comunità nu-mericamente molto consistente, la più integrata tra tutte nel contesto della società italiana, distri-buita praticamente in ogni regione del Paese, seb-bene addensata maggiormente in Lazio, Piemon-te, in parte in Lombardia, in Veneto ed in Emilia Romagna.I bambini romeni costituiscono il gruppo più ri-levante tra gli scolari e gli allievi non italiani delle scuole di ogni ordine e grado, gli adolescenti ro-meni o figli di romeni sono il gruppo più signifi-cativo tra i figli di stranieri iscritti nelle università. Tra il 2000 e il 2011 sono nati in Italia comples-sivamente 89.093 bambini con madre romena e padre straniero, la prima leva di una ‘seconda generazione’ di italiani-romeni. I più giovani sono ben inseriti nelle istituzioni scolastiche: nell’anno 2011-2012 sono stati ben 141.050 gli iscritti rome-ni ai vari ordini scolastici - il doppio rispetto a cin-que anni fa. Circa 5.714 sono gli iscritti romeni alle varie Università italiane.I romeni da soli producono circa un punto del PIL italiano. Il loro lavoro si concentra in settori di base quali l’edilizia, altre attività industriali ad essa connesse, l’assistenza (specie quella domesti-ca agli anziani) e il piccolo commercio. Secondo una recente indagine delle ACLI (Acli-Medit) condotta in alcune regioni del Nord, la percentuale dei romeni occupati con regolare con-

Foto di gruppo dei romeni in Italia:una comunità importante

tratto sfiorava il 60% nel campione allora preso in considerazione (solo il 18% degli intervistati ACLI dichiarava di lavorare in nero, quota in netto calo tra i soggetti residenti in Italia da più tempo). La disoccupazione si aggirava sul 19%. I salari consi-stevano in media in circa 1000 euro al mese per i maschi, 850 euro per le donne. Il reddito medio dichiarato dai lavoratori intervistati era di 1.000 euro, con forti differenze però tra uomini e donne. I primi potevano vantare un salario medio mensile di 1.250 euro, le seconde di soli 850 euro. “Diffe-renze significative – accertava ancora l’inchiesta ACLI - si riscontrano anche analizzando i dati per settori economici d’impiego: a fronte dei 750 euro al mese di chi lavora in agricoltura, si hanno i 1.400 euro di chi è impiegato nell’edilizia. Altra variabile significativa è la regione di residenza. Chi lavora nel Meridione è penalizzato rispetto a chi è occupato nelle regioni del Nord: tra Puglia e Friuli Venezia Giulia ci sono 500 euro di differenza”.

i romeni “italiani” ela fede religiosa

Il sociologo torinese Massimo Introvigne, intervi-stato sul sito Vatican Insider, spiega: “La più gran-de comunità ortodossa presente in Italia è quella romena, con 163 parrocchie, e il numero cresce continuamente. L’ingresso della Romania nell’U-nione Europea nel 2007 ha reso più facile l’immi-grazione in Italia, che è favorita anche dal fatto che il romeno è una lingua neolatina e i romeni, specie i bambini e i giovani, apprendono l’italiano più ra-

pidamente di altri immigrati. Ci sono anche molti romeni cattolici, ma la maggioranza è ortodossa”.

romeni “italiani”:il difficile inserimento

Secondo dati recenti, nel 2012 la Romania, con ol-tre 2,5 milioni di cittadini residenti in altri paesi membri della Comunità, è stata, nell’Unione Euro-pea, la collettività nazionale con la maggiore pro-pensione alla mobilità interna intracomunitaria, avendo raggiunto quella turca e superato di gran lunga quelle marocchina, polacca e italiana. L’eso-do (la “diaspora”: esiste persino un ministro pre-posto a questo vasto “popolo” fuori dei confini na-zionali) è stato cioè di proporzioni bibliche, tale da investire la maggior parte delle famiglie romene, prevalentemente quelle dei ceti più disagiati (con una prevalenza almeno iniziale delle zone agricole periferiche della Romania sulle aree urbane). All’estero gli immigrati romeni hanno teso in un primo momento a raccogliersi secondo “catene migratorie” su basi regionali, condensandosi nelle varie zone di insediamento della provincia italiana secondo filiere di provenienza abbastanza solide. Poi, via via, si sono distribuiti, anche in relazione dell’offerta di lavoro, con criteri meno particolari-stici. Molti hanno cambiato più volte residenza, di-mostrando una certa propensione al cambiamento delle proprie abitudini.

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L’inserimento in Italia non è stato per i romeni privo di tensioni anche molto acute e dolorose. Un recente volume a cura di Giovanni Giulio Valto-lina, dedicato ai “figli migranti”, raccoglie i risul-tati di una ricerca finanziata dall’Unione Europea (Children’s rights in action. Improving children’s rights in migration across Europe. The Romanian case ), che ha coinvolto numerose famiglie rome-ne, con almeno un figlio minorenne, accomunate dall’avere lasciato la Romania per venire a lavora-re in Italia, per lo più insediandosi nelle aree me-tropolitane di Milano, Torino e Roma. Gli autori dei vari contributi raccolti nel volume analizzano l’esperienza di questi ragazzi (più spesso bambi-ni) sotto tre profili: la loro memoria del passato in Romania, il loro presente (cioè l’integrazione della famiglia nella società di accoglienza), il loro pos-sibile futuro (cioè le loro aspettative specie quel-le riposte sul destino che sarà riservato ai figli). Il libro, così come la ricerca che lo ha generato, dimostrano tra l’altro quanto sia problematico il reinserimento in patria dei minori nati o cresciuti fuori della Romania. Il tema, di grande rilevanza, rimanda alla vasta problematica dell’inclusione: questa generazione (parliamo di ragazzi e bambini nati in Italia dal 2000 in poi) ha vissuto la fase del-la campagna dei media contro i cittadini romeni e ne ha subito, a seconda delle età, un trauma mag-giore o minore. Tuttavia va detto che oggi molte di quelle tensioni sono in via di superamento.

La solidarietà familiare

Fondamentale, per lo meno in questi ultimi dieci anni, si è rivelata, accanto alla rete della comunità religiosa, quella della solidarietà familiare. Il tes-suto connettivo della famiglia (sia nei termini del persistente collegamento con i membri rimasti in Romania, sia in quelli della solidità e della mar-cata interrelazione persistente nella rete parentale

immigrata) resta decisivo. In media – è stato os-servato – “una famiglia con un membro romeno in Italia può contare su un reddito annuo di circa 15mila euro, a fronte di circa il doppio a disposi-zione di una famiglia composta da soli italiani. E non mancano situazioni anche più difficili: tra le famiglie con un componente romeno il 48,5% è a rischio povertà a causa di un reddito annuo infe-riore ai 9.382 euro, il 29,4% vive in condizioni di deprivazione materiale, ed ha difficoltà di accesso ad un insieme di beni durevoli, il 17%, invece, ha difficoltà ad arrivare a fine mese”. Ciononostante la famiglia romena in Italia regge, senza subire (ancora) gli effetti deleteri dell’atomismo che col-pisce spesso la famiglia italiana. Meno importan-te, anzi per lo più assente, è la solidarietà in termi-ni di identità politica.

conclusioni

Nel censimento del 2011 la popolazione italiana era di 61.261.254 abitanti. Di essi il 13,8% soltan-to nella fascia tra 0 e 14 anni. Il tasso di crescita risultava dello 0,38%. Solo la presenza di un con-sistente innesto dall’estero consente all’Italia di sfuggire, almeno per ora, al destino della depres-sione demografica.

L’immigrazione in Italia non è un fatto episodico, storicamente circoscrivibile a un’epoca limitata. E’ un fattore strutturale della società italiana dei prossimi anni. Perciò richiede da parte dell’au-torità pubblica piena intelligenza dei fenomeni in atto e acuta capacità di preveggenza rispetto a quelli futuri. Un investimento serio nel campo della inclusione dei “nuovi italiani” chiama dun-que in causa le istituzioni (quelle statali e quelle regionali e locali) e le loro specifiche politiche sul territorio. Il reclutamento e la valorizzazione della nuova figura del mediatore culturale, adeguata-

mente formata e preparata, capace di “tradurre” l’una cultura nell’altra, rispettandole entrambi e anzi insegnando il valore della armonizzazione tra culture diverse, costituisce per i prossimi anni un obiettivo irrinunciabile. Ciò implica anche una più stretta collaborazione tra Stati (le relazioni italo-romene sono eccellenti, ma ancora forse non pie-namente sviluppate in questa direzione) e una po-litica del governo di Bucarest che ponga al centro i problemi della “diaspora” non considerandola tanto una riserva elettorale (come pure è avvenu-to in passato e anche in occasioni recenti) ma una risorsa vitale per la Romania e per il suo pieno in-serimento in Europa.

Alina Harja

Alina Harja, giornalista, è cor-rispondente in Italia della tele-visione romena Antena 1 e del canale news  Antena 3  (affilia-to CNN). Per due anni è stata corrispondente in Italia di Reali-tatea Tv. Dirige il quidicinale Ac-tualitatea Magazin, il più impor-tante giornale in lingua romena ed italiana dedicato ai romeni che vivono in Italia. Ha anche lavorato per Parvapolis (Latina) e collaborato con  Metropoli, il giornale multietnico pubblicato da  Repubblica. Attiva da anni nell’associazionismo romeno in Italia, presiede l’Associazione Amici della Romania.

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La scena che si ripete, davanti agli sportelli de-gli Uffici Immigrazione è quasi sempre la stessa, facce di ragazzi con lineamenti diversi, africani, marocchini, filippini, bosniaci con una quantità di documenti impressionante fra le braccia, che parlano fra loro con un italiano corretto e cor-rente. Sono i figli di stranieri che sono nati in Italia, persone che sono cresciute con noi, han-no studiato o lo stanno ancora facendo nel no-stro paese e si sentono, a tutti gli effetti italiani. La legge italiana è chiara: per ottenere la citta-dinanza si fa riferimento alla legge 91 del 1992 che indica il principio dello “ius sanguinis” (si è cittadini italiani se i genitori sono italiani) come unico mezzo di acquisto della cittadinanza a se-guito della nascita, mentre l’acquisto automati-co della cittadinanza iure soli è limitato ai figli di ignoti, di apolidi o ai figli che non seguono la cittadinanza dei genitori. Altri modi per otte-nere la cittadinanza italiana sono la “iure com-municatio”, ossia la trasmissione all’interno della famiglia da un componente all’altro (ma-trimonio, riconoscimento o adozione) e, infine, la naturalizzazione. Proprio quest’ultima è la trafila più lunga, si deve dimostrare di essere residenti nel nostro paese da almeno 10 anni se extracomunitari, quattro se cittadini europei e, a causa della burocrazia italiana, i tempi per la verifica di queste condizioni comportano attese che possono durare anni.L’attuale sistema comporta quindi una vera e propria odissea per centinaia di migliaia di gio-vani che, come dicevamo, sono nati e cresciuti in Italia, si sentono italiani a tutti gli effetti ma non lo sono.

Nascere in Italiasenza essere italiani

Viaggio al centro di una cittadinanza impossibile

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Le cronache sono piene di queste storie, per-sone che avrebbero diritto, in quanto presenti nel nostro paese da ben più di dieci anni ma che non riescono ad ottenere la tanto agogna-ta cittadinanza a causa di svariati problemi, il primo sicuramente è quello di dimostrare la residenza continuativa. Spesso gli stranieri che arrivano in Italia devono adattarsi a situa-zioni non proprio limpide, ed una delle prati-che più diffuse, soprattutto negli anni scorsi, è quella dell’affitto “in nero”. Senza un con-tratto depositato è impossibile dimostrare la permanenza sul suolo italiano, anche in pre-senza di attestati scolastici e di vaccinazione. Altri casi limite sono quelli in cui i genitori ar-rivano in Italia con un figlio appena nato, ne-gli anni ottengono la cittadinanza italiana e, con loro, anche i figli nati successivamente sul nostro territorio ma il primo figlio, quello che risiede in Italia da più tempo, se non ha an-cora ottenuto la cittadinanza diventa, al com-pimento del diciottesimo anno di età, clande-stino e deve ripetere tutto l’iter burocratico, chiedendo inoltre permessi di soggiorno per studio o per lavoro per poter rimanere nel “suo” paese. Alle problematiche legate a leg-gi e burocrazia si aggiunge anche l’ignoranza,

non ammessa dalla legge, ma purtroppo esi-stente. Capita sovente che, anche se è in pos-sesso di tutti i requisiti legali, uno straniero non effettui tutti i passaggi richiesti, nei tempi e modi prestabiliti, vanificando la possibilità di arrivare ad una soluzione positiva in breve tempo, trasformando l’agognata cittadinanza in una vera e propria odissea di carte e uffici. Esistono agenzie che si sono specializzate pro-prio nelle domande di cittadinanza e, dietro compenso, si impegnano ad effettuare tutti quei passaggi richiesti dal nostro ordinamen-to. Purtroppo, come spesso accade, di fianco a strutture professionali ed oneste sorgono agenzie fittizie che incassano il denaro, dietro promessa di una facile e tempestiva risolu-zione della pratica, per poi svanire nel nulla. Il nuovo Governo, attraverso la Ministra per l’integrazione Cécile Kyenge (di cui pubbli-chiamo l’intervista nelle pagine seguenti), ha deciso di mettere mano alla legge, per snellire l’iter burocratico e successivamente, con un passaggio un po’ più lungo e tortuoso, modifi-care integralmente la legge attuale.

Stefano Della Casa

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E’ tEMPO DI “IUS SOLI”?Intervista esclusiva a Cécile Kyenge

“L’elezione di cécile Kyenge a Ministra per l’integrazione (prima

donna nera in un governo italiano) ha portato all’ordine del giorno del Governo Letta questioni sulle quali

si dibatte da anni - in primo luogo l’annosa diatriba tra ius soli e ius

sanguinis - senza che mai siano stati assunti specifici provvedimenti

in merito. ora, tuttavia, i tempi appaiono maturi affinché si lavori

per modificare concretamente l’attuale legislazione in termini di

immigrazione ed accoglienza.in questa intervista, la neo Ministra

Kyenge detta alcune linee guida.”

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Della Casa: Ministra, Lei è sotto i riflettori per la sua attività a favore della modifica delle leggi sulla cittadinanza italiana, facendo un bilancio dei suoi primi due mesi dall’incarico, che voto si dà?Kyenge: «Credo che la mia nomina abbia con-tribuito all’attuale dibattito sulla cittadinanza, che coinvolge ormai schieramenti politici di tutti i co-lori. Il Parlamento italiano ha all’attivo più di venti proposte di modifica della legge n. 91 del 1992 e questo risultato, che non è di certo solo mio o del Pd, mi rende fiduciosa sulla possibilità di raggiun-gere un accordo il più possibile condiviso. Come governo, abbiamo già introdotto, nel “dl Fare”, delle importanti semplificazioni per quei ragazzi di origine straniera che, nel richiedere la cittadi-nanza alla maggiore età, venivano penalizzati per colpa di errori burocratici o amministrativi di ter-zi. Intendo continuare su questa strada: il mio au-spicio è che le istituzioni e le leggi del nostro Paese si accordino al meglio con la nuova fotografia del Paese». Della Casa: Grazie a Lei milioni di italiani han-no imparato la differenza fra “ius soli” e “ius san-guinis”, termini che poche persone conoscevano fino a poco tempo fa. Non pensa che sia proprio l’i-gnoranza nei confronti delle attuali leggi il primo scoglio da superare per raggiungere una soluzione positiva e popolare?Kyenge: «Molte persone non sanno che i fi-gli di migranti nati e cresciuti in Italia vivono da stranieri nell’unico Paese che sentono proprio, e questo sicuramente ha pesato. Così come pesa l’equivoco sullo ius soli proposto dalle varie for-ze politiche, che non è di tipo “puro” come negli Stati Uniti, bensì “temperato”, e cioè vincolato ad alcuni requisiti quali ad esempio la permanenza regolare dei genitori per un determinato periodo di tempo al momento della nascita del bambino. Voglio però sottolineare che lo spettro politico a favore della modifica della legge sulla cittadinanza abbraccia tutto l’arco costituzionale, segno questo

di un’esigenza ampia e condivisa. Quella di cui c’è bisogno ora è una sintesi tra le varie proposte, così che si possa arrivare in tempi rapidi ad una solu-zione concreta». Della Casa: In alcune interviste che ha rilascia-to dichiara convintamente che il razzismo in Italia sia molto meno diffuso di quello che si voglia far credere, soprattutto fra le nuove generazioni. Ri-tiene che il fenomeno dell’odio razziale sia spesso una polemica montata ad arte da organi politici e di informazione per creare fenomeni di tensione?Kyenge: «Io credo che in Italia si verifichino epi-sodi di razzismo, ma che allo stesso tempo questi siano limitati ad una piccola porzione del Paese, anche se a volte rumorosa. L’Italia ha una lunga tradizione di accoglienza e anche ora, in un mo-mento di crisi come questo, sta dimostrando uma-nità e spirito solidale. A conferma di ciò, mentre in alcuni grandi Paesi europei partiti a guida xe-nofoba stanno aumentando i consensi, nel nostro Paese l’attenzione, le preoccupazioni sono rivolte su temi molto più concreti quali, ad esempio, la crisi occupazionale, la disoccupazione giovanile, la violenza sulle donne. Infine, è importante rilevare l’apertura della società civile nei confronti dei mi-granti e delle seconde generazioni».

Della Casa: Spesso il fenomeno della clande-stinità viene associato a episodi di delinquenza; ridurre i tempi per l’ottenimento del permesso di soggiorno potrebbe migliorare la situazione di chi,

costretto a vivere nell’ombra, è più soggetto al ri-schio di finire nella rete della malavita?Kyenge: «Migliorare, rendere meno rigide le procedure per l’ottenimento e il rilascio del per-messo di soggiorno sicuramente avrebbe ricadute positive anche sul sistema penale: per un migran-te irregolare è molto più facile cadere nelle maglie dell’illegalità rispetto ad uno che invece è riuscito a regolarizzarsi. Dobbiamo interrogarci sugli osta-coli di tipo burocratico e legislativo che si frappon-gono nella vita di un migrante e, così come recita l’articolo 3 della nostra Costituzione, impegnarci per la loro rimozione». Della Casa: Lei è Ministra in un Governo che, per aggregazione politica, è senza precedenti in Italia. Ritiene che possa essere un vantaggio per le sue proposte, con soluzioni bipartisan e di larga intesa, oppure uno scoglio?Kyenge: «Sono fiduciosa sulla possibilità di in-tavolare un dialogo proficuo; che si riesca a convi-vere, e ad operare, nonostante le diverse culture politiche di appartenenza. Se lavoreremo come una squadra, tenendo sempre fisso l’obiettivo -cioè il bene del Paese- io credo si possa fare della buo-na politica. Le semplificazioni introdotte con il “dl Fare”, così come le varie proposte di modifica del-la legge sulla cittadinanza, dimostrano che trovare un terreno di incontro non è poi così impossibile».

Stefano Della Casa

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Il gioco perverso a danno dei risparmiatori.

UNA BANCA PER NEMICA.Il rapporto sempre più difficile con lo sportello.

Gli interessi fantasma. il credito negato.

perché nonostante i mercati finanziari

salgano tutti, i poveri diventano più poveri

e i ricchi più ricchi? perché nonostante il

mondo sia sommerso dalla liquidità, privati e aziende non accedono al

credito e vi è una forte contrazione, ad esempio dei mutui per l’acquisto

delle case?

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Vediamo di farla semplice. I governi, in particolare USA, Giappone e Inghilterra, stampano moneta e la prestano a tassi prossimi allo zero alle banche commerciali, con la raccomandazione di prestarli a famiglie e aziende, per uscire dalla recessione e tagliare la disoccupazione, una mina difficile da gestire nel lungo tempo. Le banche, in cui è stata abolita la separazione tra banca tradizionale e finanziaria, essendo ancora piene di titoli spazzatura e crediti inesigibili, comprano titoli di Stato lucrando un guadagno piccolo, ma sicuro. Prestare denaro oggi non conviene, da un lato perché le aziende solvibili non ne richiedono e chi ne ha bisogno presenta un elevato profilo di rischio. Inoltre, poiché i tassi sono bassi, basta un singolo default a mangiarsi molto guadagno. Quindi l’economia non gira e chi vive di lavoro si impoverisce. Non solo: la grande massa monetaria fa scendere i rendimenti delle obbligazioni, anche a cinque anni, sotto il punto percentuale e impoverisce ulteriormente i piccoli risparmiatori, che incassando rendimenti inferiori all’inflazione perdono ricchezza, mentre i grandi operatori finanziari guadagnano senza rischi. Inoltre, riducendo la loro operatività tradizionale e ricorrendo alla tecnologia, possono pure tagliare le spese, licenziando migliaia di persone. Ora finché la bolla non esploderà, i ricchi continueranno a fare denaro a danno della moltitudine e, quando scoppierà, i poveri saranno danneggiati dalla perdita finanziaria e dalla caduta economica, come e più dei ricchi. Anzi, saranno chiamati a salvare le banche che non li hanno salvati. Purtroppo il potere delle banche è tale che non si riesce a tornare alla separazione tra commerciali e finanziarie, pertanto l’investimento finanziario

fa premio su quello commerciale, inoltre il meccanismo dei bonus induce i dirigenti a scegliere la via finanziaria, che garantisce guadagni più facili e, in caso di guai, scarica le spese sulla collettività. Il tutto avviene nel silenzio, perché le banche controllano i giornali direttamente o attraverso il credito agli imprenditori- editori, in uno dei mille perversi intrecci italiani. Le stesse norme di Basilea, nell’intento di rendere più solidi gli istituti, rendono difficile l’erogazione del credito, obbligando ad accantonamenti onerosi, rispetto a quelli degli impieghi finanziari. Del resto anche i governi giocano sporco, parlano di aiutare la ripresa, ma avendo contratto troppi debiti sono ben felici che le banche comprino i loro bond, ad un basso tasso e quindi concorrono a prosciugare lo stagno del credito ad imprese e privati. Può darsi che questa continua immissione di carta faccia ripartire l’economia, anche se per ora crea bolle. Le economie degli emergenti in crescita hanno borse in calo. Quelle dei Paesi industrializzati stagnanti hanno borse euforiche. Come dire: viaggiamo verso il burrone, nel frattempo facciamo denaro. Però se l’economia riparte e si ferma la stampa di moneta, cosa succederà? Una nuova crisi finanziaria che fermerà di nuovo tutto? La verità è che si è creato un mostro che nessuno sa più come imbrigliare. L’unica cosa probabile nel “delirio” della finanza globale è che ci sarà meno lavoro, soprattutto ai livelli bassi, meno salari e meno diritti e più divaricazioni tra chi vive di lavoro e chi vive di rendita finanziaria, anche perché chi è ricco può scegliere investimenti meno rischiosi di chi ha poco.

Dario Caselli

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portrait esclusivo

Immagini del mondo Fnp Cisl

Roma, 22 giugno 2013 - Manifestazione di Piazza San Giovanni“Il tempo dell’attesa è finito”

Grande partecipazione della FNPRiccione, 27-29 maggio 2013 - XVII Congresso Nazionale FNPImmagini della Segreteria nazionale

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portrait esclusivo

Immagini del mondo Fnp CislRoma, Palazzo dei Congressi, 12-15 giugno 2013 - XVII Congresso nazionale CISL

Gigi Bonfanti al tavolo della Presidenza

Roma, 22 giugno 2013 - Manifestazione di Piazza San Giovanni“Il tempo dell’attesa è finito”

Grande partecipazione della FnpRiccione, 27-29 maggio 2013 - XVII Congresso Nazionale FNPSala congressi

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Cucinare è diventato per molti, soprattutto uomini, la passione dei giorni di festa. Si sperimentano piatti e si mettono in pratica i consigli della nonna, della mamma e perfino della suocera. Si leggono libri di ricette di cuochi famosi e si guardano trasmissioni televisive d’arte culinaria. Per verificare il livello raggiunto si organizzano cene e pranzi, a cui s’invitano gli amici, che diventano cavie involontarie d’esperimenti spesso mal riusciti. I malcapitati ospiti si sentono rivolgere in continuazione la domanda: “Buono?”, a cui rispondono sempre positivamente, segnalando al massimo la mancanza di sale o che la pasta è “leggermente troppo al dente”, però con il terrore che gli sia chiesto ”Ne vuoi ancora?”Noi vogliamo occuparci della cucina di tutti i

Fare la spesacon 10 euro

Detto e fatto

giorni, quando rientrando la sera stanchi e provati da una giornata di lavoro abbiamo poco tempo e poca voglia di metterci a cucinare senza nessuna distinzione tra uomini e donne. La soluzione di mangiare una pizza o di andare al ristorante sotto casa non è salutare né per il portafoglio né per la salute. La prima operazione è di verificare cosa c’è nel frigo e cominciare ad organizzare un menù in collaborazione con la donna di casa o viceversa. Dopo un rapido esame, questa sera cucineremo spaghetti al pomodoro fresco e basilico, scaloppine di petto di pollo al limone con contorno di zucchine trifolate e insalata di frutta di stagione, il tutto accompagnato con un vino bianco fermo o mosso, che di solito teniamo pronto in frigo per la bisogna o se preferiamo il rosso faremo un salto in

cantina. Consiglio un Pinot nero Blauburgunder. Avendo in frigo pomodori troppo maturi e non più utilizzabili per un’insalata, li utilizzeremo per condire gli spaghetti. Preparazione del sugo: in una padella antiaderente mettiamo a soffriggere, in poco olio, una cipolla tagliata fine con uno spicco d’aglio intero, che poi toglieremo. Laviamo bene i pomodori, li tagliamo grossolanamente e li uniamo alla cipolla, che abbiamo lasciato rosolare a fuoco basso per 5 minuti. Aggiungiamo, per chi ama il gusto piccante, uno o due peperoncini calabresi interi, che poi toglieremo prima di servire. Ora occupiamoci delle zucchine trifolate. Mettiamo un’altra padella antiaderente sul fuoco con una cipolla tritata e uno spicchio d’aglio intero, che poi toglieremo, ad imbiondire con poco

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olio. Prepariamo le zucchine tagliate a cubetti e uniamole alla cipolla. Aggiustiamo di sale e lasciamo cuocere a fuoco vivace, avendo cura di girarle spesso. Puliamo la frutta più matura che abbiamo nel frigo: pesche, kiwi, pere, mele, ananas, melone, insomma chi più ne ha più ne metta, e dopo aver aggiunto un po’ di zucchero rimettiamola in frigo fino al momento di servirla. Nel frattempo abbiamo infarinato le fette di petto di pollo che metteremo a rosolare in una padella con poco olio e una noce di burro, che dà sapore e indora la scaloppa, a fuoco vivace inizialmente e poi a fuoco lento per terminare la cottura. Prendiamo un limone lo tagliamo a metà e lo mettiamo in padella tra le scaloppe. L’acqua bolle, aggiungiamo il sale grosso e “buttiamo” gli spaghetti, 80 grammi a testa, e stiamo attenti al tempo di cottura, la pasta scotta si digerisce meno bene ed è meno buona. Scoliamoli bene e mettiamoli direttamente nella padella con il sugo, e saltandoli per fargli prendere sapore e colore aggiungendo foglioline di basilico fresco. Serviamoli caldissimi e non dimentichiamoci di mettere in tavola abbondante parmigiano per chi lo gradisce. Tutto questo ha richiesto circa 45 minuti, ma se per motivi di dieta non vogliamo mangiare la pasta, sostituiamola con un pezzo di formaggio dopo le scaloppine. Non amiamo la carne? sostituiamola con le uova che potremmo cuocere insieme alle zucchine, ottime! Se vogliamo arricchire l’insalata di frutta aggiungiamo per esempio uno yogurt, delle scaglie di cioccolato o delle noci, insomma un po’ di fantasia in cucina non guasta mai. Il costo di questa cena per 4 persone non supera i dieci euro, inoltre abbiamo partecipato all’operazione “evitiamo gli sprechi”!

Gian Paolo Galloni

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Sacco: Professore, innanzitutto l’allungamento progressivo della durata della vita è un dato ormai acquisito a livello scientifico. Può dirmi, in breve sintesi, le chiavi della longevità, e cioè come si pos-sono irrobustire le radici dell’albero della vita?Franceschi: Le ragioni principali di questo pro-gressivo allungamento della vita, a partire da circa il 1800, sono da ricercarsi nel miglioramento delle condizioni di vita; quindi una maggiore igiene, un’a-limentazione più sana, completa, una diminuzione del carico di lavoro che spesso era pesantissimo, un miglioramento delle condizioni di vita (per esem-pio le case riscaldate sono una conquista abbastan-za moderna) e poi soprattutto nella sanità. Prima i sulfamidici e poi gli antibiotici, tutta la medicina in generale, la chirurgia e adesso anche la medicina preventiva e così via; messi tutte insieme questi fat-tori hanno fatto sì che l’aspettativa di vita è più che raddoppiata. Sacco: Quindi si può dire, in sintesi, che sia lo stile di vita quello che conta: alimentazione da una parte e, dall’altra, magari il movimento fisico.Franceschi: I due pilastri per vivere bene e a lun-go sono una nutrizione buona, adeguata per l’età, e un’attività fisica anche questa adeguata per l’età. Però non è che in questo modo tutti hanno una vita lunghissima. Ci sono delle persone che anche a pa-rità di queste buone condizioni ambientali, hanno una diversa durata di vita: c’è chi vive di più e chi vive di meno e quindi ci sono anche delle basi ge-

PIù A LUNGOMA NON PIU’ MALAtI

netiche.Sacco: E di questo Professore parleremo tra breve. Oltretutto, a questo proposito, mi viene in mente un’affermazione attribuita ad un medico america-no: “vuoi essere longevo?, trovati genitori longevi”.Ma i farmaci appropriati che aiuto possono dare per vivere più a lungo e in buona salute?Franceschi: Prima di tutto abbiamo detto che oggi la tendenza della medicina è quella di consi-derare la nutrizione adeguata e l’attività fisica delle vere e proprie medicine. Quindi se uno ha il diabete la prima cosa che deve fare è cercare di seguire i ca-noni di una nutrizione giusta, l’attività fisica e poi, eventualmente, ricorrere alle medicine. Lo stesso vale per l’ipertensione e così via. Se tutto questo non funziona, se una bonifica dello stile di vita non funziona allora bisogna prendere i farmaci, che vengono, ribadisco, in seconda battuta.Sacco: Da alcune ricerche risulta che il fattore ge-netico sembra prevalere nel sesso maschile, mentre le donne avrebbero maggiori capacità di trarre van-taggio da fattori esterni (regime alimentare e cure mediche). La sua esperienza le fa condividere que-sti risultati?Franceschi: Solo in parte, perché in effetti le donne pur avendo più malattie, prendendo più medicine, avendo più ricoveri ospedalieri, alla fine vivono più a lungo. Questo è un paradosso e que-sto paradosso però potrebbe avere delle basi gene-tiche. Quindi gli uomini vivono meglio, nel senso

più in salute anche in età avanzate - un centenario maschio spesso è in condizioni migliori di una cen-tenaria – però, in generale, le donne vivono più a lungo. Quindi ancora non abbiamo capito perché le donne hanno questo privilegio. Sacco: Quali sono le patologie più serie per una persona avanti negli anni?Franceschi: Le patologie più serie sono diverse. Il grande killer, come lei sa, sono le malattie car-diovascolari, però oggi l’attenzione maggiore è posta sull’Alzheimer e sulle demenze perché esse, compresa la malattia di Alzheimer, sono quelle che hanno un carico per la famiglia e per la società mag-giore. L’altro tipo di patologia che oggi pensiamo potrebbe mettere in dubbio questo continuo allun-gamento della vita è l’epidemia di malattie metabo-liche, tipo diabete e obesità.Sacco: Dopo gli ottant’anni la velocità della morta-lità diminuisce. A cosa è dovuto questo fenomeno?Franceschi: E’ dovuto al fatto che si selezionano le persone più robuste, che si adattano meglio ai cambiamenti e ai danni che si accumulano con l’età.Sacco: Professore, accanto all’anziano sano, e for-tunatamente ce ne sono tanti, va considerato anche un aspetto non positivo tipico di quest’età: la man-canza di autosufficienza. Potrebbe suggerire delle indicazioni fondamentali per alleviarla?Franceschi: L’autosufficienza è la fine di un per-corso. Quindi quello che si deve cercare di fare è far sì che le persone che hanno un maggiore rischio di fragilità o di altre patologie gravi è prenderle in tempo, cioè prevenirle. L’unico modo per attaccare l’autosufficienza è dare presidi adeguati a chi è au-tosufficiente, ma, va detto, che a livello di società bisogna prevenire il deficit di autosufficienza.Sacco: Nell’età avanzata va calcolato anche, pur-troppo, il rischio della solitudine. Si aggrava spesso con l’arrivo dei mesi estivi. Che consigli darebbe ai familiari?Franceschi: Tutta la geriatria è d’accordo che l’anziano deve vivere il più possibile in famiglia: più

Intervista esclusiva al professorClaudio Franceschi

responsabile del progetto integrato GEhA(genetic of healthy aging).

Clau

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vive in famiglia, più vive a contatto con i giovani meglio è. E la cosa grave è appunto quella che dice-va lei: molte persone anziane sono sole. La solitudi-ne deve essere colmata, “coperta” sia dalla famiglia, ma anche dalla rete sociale. Sacco: Alcuni noti ricercatori, e mi pare sia anche la sua posizione scientifica, attribuiscono all’attività culturale (lettura, musica, teatro e viaggi) il benefi-cio di contrastare o per lo meno, di diluire, l’aggres-sività di alcune gravi patologie collegate con questa età della vita. E’ così?Franceschi: Si è certamente così. Per due moti-vi. Il primo è perché questo tipo di attività stimola il cervello che va tenuto in azione; più si tiene in azione e meglio è. L’altro motivo è che l’attività cul-turale avviene, in genere, all’interno di circuiti, ad una rete sociale che, come abbiamo detto, aiuta ad invecchiare meglio.Sacco: Quali sono i nemici della longevità e, in particolare, del sistema immunitario delle persone anziane?Franceschi: Questo stato infiammatorio croni-co che ho chiamato inflammaging, una parola che mette insieme ‘infiammazione’ e aging che in ingle-se vuol dire invecchiamento. In particolare ci sono delle infezioni persistenti, per esempio del cavo orale, l’infezione persistente del cytomegalovirus, infezioni persistenti della vagina, infezioni persi-

stenti a livello intestinale. Ecco tutti questi focolai di infezioni croniche persistenti devono essere bo-nificati. Sacco: Il grande medico Paracelso scriveva: “la natura conosce i limiti del suo corso” ma l’ingresso della scienza non sta modificando questo concetto? Franceschi: Ma certo, noi stiamo per modificare la natura. Da quando esiste l’homo Sapiens pos-siamo dire che il concetto di natura non va visto in senso statico ma dinamico.Sacco: Professore per finire questa nostra conver-sazione si può concretamente supporre, con sano ottimismo, che si sta avvicinando il giorno in cui l’anziano più che un problema lo si potrà conside-rare una risorsa per la società?Franceschi: Siamo ancora lontani, c’è molto da fare sia dal punto di vista sociale, medico ma anche dal punto di vista culturale. L’anziano purtroppo spesso non viene visto in questa prospettiva po-sitiva, anche se tutti notiamo alcuni loro apporti. Nell’attuale sistema di vita l’anziano può diventare e diventa una risorsa per la famiglia, e quindi per la società, a cominciare dalla cura e rapporto con i ni-potini (in casa e fuori accompagnandoli per esem-pio a scuola) compensando così le assenze quoti-diane per lavoro e impegni dei genitori. Sacco: La figura dell’anziano si associa all’imma-gine della saggezza. Tale era nelle civiltà ebraica, greca e romana e oggi, nella società attuale, per esempio in Africa. Franceschi: Condivido i suoi riferimenti storico-culturali; bisognerebbe arrivare a prendere oggi quello che c’è di meglio nella tradizione e calarlo nelle nuove prospettive che si offrono all’anziano.

Mimmo Sacco

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E ogni problema va in pensione

“Ho la sensazione che, andando avanti così, il Si-stema Sanitario non possa continuare a garantire la gratuità delle prestazioni”. Così Danilo Morini, relatore della Riforma Sanitaria del 1978, prende posizione sullo stato delle cose per quanto ri-guarda la sanità italiana. Oggi il Sistema Sanitario Nazionale – spiega Morini – soffre di due grandi problemi: da un lato c’è quello che vede tutti gli ospedali italiani da Roma in giù, con poche ec-cezioni, essere sostanzialmente dei distributori di stipendi; dall’altro, la grande migrazione in dire-zione sud – nord per farsi curare in strutture del centro nord Italia. Questa è un’esperienza che ho vissuto tra l’altro personalmente, quando dal 2001 al 2006 ho amministrato l’ospedale di Rizzoli di Bologna. Solo qui, ad esempio, l’8% dei pazienti erano siciliani, il che significa 1200 casi. Di que-sti, coloro che potevano avere effettive ragioni per essere curati al Rizzoli, un ospedale molto avan-zato nell’oncologia scheletrica, erano soltanto un centinaio. Per il resto, gli altri ricoveri erano del tutto inappropriati. Ad esempio, molti pazienti ve-nivano per protesi all’anca, un’operazione sostan-zialmente semplice, che dovrebbe sapere affron-tare qualsiasi ospedale. Tale situazione ha creato appunto le basi per un grave dissesto finanziario, dal momento che si genera una doppia spesa da

“Sanità, occorre rivederele migrazioni al Nord e chiuderei piccoli ospedali”Danilo Morini, relatore della Riforma Sanitaria del 1978,indica le maggiori sofferenze del SSN

parte dello Stato. Un altro aspetto da rivedere nella sanità italiana – ha proseguito Morini – è la questione dei piccoli ospedali: è vero che ci sono resistenze per cercare di mantenerli, ma ormai bi-sogna ragionare in una logica di grandi strutture ospedaliere, da 500 – 600 posti letto, se si vuole mantenere un sistema sanitario efficiente. La me-dicina moderna consente infatti un allungamento della vita, ma a prezzi sempre più alti. Contestual-mente, assieme alla chiusura dei piccoli ospedali, bisognerebbe costringere i medici di famiglia, o perlomeno molti di loro, a lavorare insieme nel-le cosiddette “Case della salute”, in modo che si possano decongestionare effettivamente i Pronto Soccorso degli ospedali da tutte quelle prestazio-ni che non richiedono effettivamente questo tipo di intervento”.

Marco Pederzoli

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E ogni problema va in pensione

La pressione arte-riosa costituisce una delle più frequenti cause di mortalità nelle persone adulte e anziane.Può provocare gravi complicazioni come l’ictus cerebrale, con paralisi degli arti,

perdita della parola, danni alle coronarie, all’aorta, alla retina degli occhi, ai reni. Cosa che compor-ta anche una spesa sanitaria non indifferente per farmaci, assistenza, ricoveri, etc. Troppo spesso manca nelle persone la consapevolezza di essere ipertese perché l’ipertensione, quasi sempre, non provoca sintomi allarmanti.Oggi ci sono moltissime possibilità di controllare i valori pressori: in quasi tutte le farmacie (spes-so gratuitamente), dal proprio medico di famiglia, addirittura in casa di amici o parenti che hanno un apparecchio elettronico facile da usare alimenta-to da piccole batterie. Questi apparecchi infatti si stanno rapidamente diffondendo.È bene sapere che i valori pressori, spesso, posso-no essere influenzati da svariate circostanze: un po’ di tensione dalla presenza del medico, uno stato di agitazione, di affaticamento, etc. L’automisurazio-ne la possiamo eseguire in casa nei momenti più opportuni, ovvero quando siamo sereni e in un am-biente sufficientemente confortevole, così avremo una risposta più veritiera e attendibile. Dovremo

Pressione arteriosa, come e quando misurarla?a cura di Dr. Alberto Costantini, cardiologo

essere distesi o seduti da almeno cinque minuti con una sedia con schienale, il braccio appoggiato e ben disteso all’altezza del cuore, non aver preso caffé, fumato o usato decongestionanti nasali da almeno un’ora. Inoltre, non dovremo avere indu-menti che costringano il braccio. Il bracciale che misura la pressione deve essere posizionato 2 - 4 centimetri al di sopra del gomito; i bracciali usa-ti al livello del polso, infatti, danno valori pressori molto differenti (inferiori) rispetto a quelli abitua-li. È consigliabile ripetere la misurazione una o due volte e fare la media. In genere, al primo mattino i valori pressori risultano più elevati. Con l’avanzare dell’età la pressione arteriosa tende gradualmente ad aumentare ed è presente in circa il 40-50% della popolazione, specie in chi ha una familiarità. Nelle donne, ciò avviene spesso verso i 50 anni, a causa degli squilibri ormonali del climaterio.

Massima MinimaOttimali < 120 < 80Normali 130 85Ai limiti 130-140 85-90

Questi i valori di riferimento

Oltre questi limitiil soggetto è consideratoiperteso lieve,moderato o grave.

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MAPPAMONDOECONOMIA E FINANZA

Da tempo i Paesi Brics lavorano alacremente e unita-mente per “creare un nuovo asse di sviluppo globale”, ipotizzando profondi cambiamenti dell’ordine economi-co e dei poteri mondiali.Il quinto summit dei Brics tenutosi a Durban in Sud Africa lo scorso febbraio potrebbe essere definito sto-rico perché ha posto per la prima volta lo sviluppo in-dipendente delle infrastrutture, delle manifatture e dell’agricoltura del continente africano al centro delle discussioni. Vi è stata una discontinuità profonda rispetto alle vec-chie politiche di stampo neo coloniale. Per i partecipanti al summit, l’Africa è e deve essere lo spartiacque morale del mondo moderno.A Durban si è deciso di istituire una Banca di Sviluppo per finanziare grandi infrastrutture e altri progetti di sviluppo, con il contributo iniziale di 10 miliardi di dol-lari di capitale da parte di ciascun Paese. Sarà un ente indipendente e sganciato dalle logiche e dai controlli del Fmi e della Banca Mondiale.E’ stato anche creato un Fondo di riserva di 100 miliar-di di dollari per le emergenze che dovrebbe garantire

Il Brics elo sco

varano nuove Banche per lo

sviluppola stabilità finanziaria dei Brics contro le speculazioni sulle commodity e contro gli effetti recessivi della crisi globale. Nella logica di un mondo multilaterale e multipolare i Brics affermano che l’attuale architettura della gover-nance globale dominante è obsoleta, per cui essi “esplo-rano nuovi modelli di sviluppo più equo”. Si ricordi che ormai rappresentano il 20% del Pil mondiale. La Cina è il primo esportatore mondiale e nel 2020 diventerà la prima economia del globo. Il Brasile è l’a-zienda agricola più grande del mondo”. La Russia, come noto, è ricchissima di petrolio e gas. L’India è diventata la “centrale” della tecnologia informatica. Il Sud Africa è la miniera di tutte le risorse: le sue materie prime sono oggi stimate intorno a 2,5 trilioni di dollari. Ma la loro principale ricchezza ovviamente sta in una popolazione di circa 3 miliardi di cittadini, in maggio-ranza giovani.Sul fronte monetario e commerciale, la dichiarazione finale di Durban contesta apertamente le decisioni del-le banche centrali delle cosiddette economie avanzate. Afferma che, di fronte al proseguire della crisi, esse “hanno risposto con azioni di politica monetaria non convenzionale che hanno aumentato la liquidità mon-diale…la quale a sua volta ha accresciuto la volatilità dei movimenti dei capitali, delle monete e dei prezzi delle commodity con effetti negativi sulle altre economie, in particolare su quelle dei Paesi in via di sviluppo”.

I paesi Brics ribadiscono ancora una volta “il sostegno alla riforma del sistema monetario internazionale con un paniere allargato di monete di riserva”; riaffermano la necessità di un ruolo più forte dei Diritti Speciali di Prelievo e anche il cambiamento nella composizione del paniere di monete dei Dsp. Richiedono inoltre “un si-stema di commercio multilaterale basato sull’apertura, sulla trasparenza e sulle regole”.Cina e Brasile, per esempio, hanno già accordi monetari che permettono loro di effettuare scambi nelle loro mo-nete per 300 miliardi di dollari. Anche i governi dello Shanghai Cooperation Organiza-tion (SCO) stanno da tempo lavorando per la creazione di una Banca di Sviluppo per grandi progetti infrastrut-turali locali e regionali sui territori dei Paesi aderenti e per aiutare i settori economici più deboli. Lo SCO com-prende la China, il Kazakhstan, il Kyrgyzstan, la Russia, il Tajikistan e l’Uzbekistan. Il Primo ministro russo Dmitrij Medvedev ha recente-mente ribadito la volontà di Mosca di accelerare la re-alizzazione dei meccanismi finanziari per lo sviluppo di progetti congiunti. Da parte loro i rappresentanti cinesi hanno sottolineato che l’operato della Banca di Sviluppo potrebbe aiutare a superare gli effetti recessivi della crisi globale e a creare un nuovo sistema finanziario interna-zionale.

Paolo Raimondi

Da sinistra, Presidente India: Pranab MukherjeePresidente Cina: Xi Jinping

Presidente Sud Africa: Jacob ZumaPresidente Brasile: Dilma Rousseff

Presidente Russia: Vladimir Putin

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Chiamato dal Papa Paolo VI il “Continente della Speranza”, l’America Latina è stata sempre in at-tesa di un’occasione storica per giocare un ruolo di primo piano, non solo per il mondo cristiano, ma anche all’interno dell’ordine politico ed econo-mico globale. Fin dalla sua origine, con l’emerge-re di diverse nazioni indipendenti nel XIX secolo, l’America Latina è vissuta emarginata da parte dell’Impero britannico che lavorava per la “bal-canizzazione continentale”, fratturando gli stati dell’ex Impero spagnolo in una serie di repubbli-che, molte delle quali erano chiaramente imper-corribili. A tale operazione contribuirono le classi dirigenti, che si sottomisero a una visione piccola, da parrocchia o da quartiere. L’eccezione è stata il Brasile, che mantenendo la sua unità territoriale fino al presente, lo ha posto in una situazione di vantaggio strategico sul resto delle nazioni latino-americane.Dopodiché è stato il turno degli Stati Uniti d’Ame-rica, che sotto la guida della filosofia del “Destino Manifesto” hanno usurpato più della metà del ter-ritorio del Messico e ascritto con sprezzo il con-tinente sudamericano nella categoria del proprio “cortile di casa”, ovvero di una regione cattolica che doveva diventare protestante per entrare nella modernità liberale, secondo le idee di Max Weber e la potenza della famiglia Rockefeller. Questa vi-

L’America Latina cerca il suo futuroAvviato con UNASUR il processo di integrazione politica ed economica. Il ruolo del Brasile nel contesto dei BRICS. La disastrosa esperienza del Messico nell’accordo commerciale con gli USA (Nafta).

sione esiste ancora, peraltro, in certi ambienti di potere negli Stati Uniti, come affermato recente-mente dal Segretario di Stato John Kerry.L’Accordo Nordamericano per il Libero Scambio (NAFTA), in vigore dal gennaio 1994, includendo il Messico con l’illusione che l’accordo sarebbe sta-to un passaporto per il primo mondo, ha fratturato l’America Latina. Il professor Samuel Huntington, nel suo famoso libro “Scontro di civiltà”, è arrivato a salutare euforicamente l’ingresso di Messico nel-la “civiltà occidentale”. Ricordiamo che per l’illu-stre professore, l’America Latina è stata solo l’ul-timo e marginale occidente. In seguito, lo stesso professor Huntington, nel suo ultimo lavoro “Chi siamo (Chi siamo? Le sfide per l’identità nazionale americana)”, ha avvertito che i messicani (“ispa-nici” li chiama), in fuga dagli effetti disastrosi del NAFTA, stavano occupando l’ex territorio del Messico, senza accettare i modelli di etica prote-stante. La sua paura si trasformò nell’avviso che questo fenomeno sarebbe diventato in futuro la più grande minaccia strategica per gli Stati Uniti.Inoltre, con l’entrata nel NAFTA, il Messico si illu-se che sarebbe diventato un interlocutore privile-giato nelle relazioni tra gli Stati Uniti e l’America Latina, con un ruolo particolare nell’attuazione di un accordo di libero scambio ben più ampio, con tutto l’emisfero occidentale (ALCA). L’effetto

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delle istituzioni del FMI e della Banca mondiale, un sistema alternativo per implementare progetti di infrastrutture fisiche volti a rinvigorire il com-mercio tra questi blocchi economici. La visita del ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov in Brasile durante la seconda settimana di giugno, ha sigilla-to un’alleanza strategica che mira a culminare nel-la creazione di una Banca del BRICS, in occasione della prossima riunione del gruppo nei primi mesi del 2014, che si terrà in Brasile.A tale situazione si è aggiunta l’elezione a sor-presa di Papa Francesco, il cui pensiero si è for-mato sull’idea di costruire la “grande nazione” latinoamericana. Nella prefazione al libro “Una scommessa per l’America Latina” del Dr. Guzman Carriquiry, l’allora cardinale Bergoglio, nell’aprile 2005, ha scritto: “Questo è un tempo per gli edu-catori e i costruttori. Noi possiamo continuare a rimanere impantanati nel rimpianto, nella litania delle lamentele, nei circoli viziosi dei rancori, delle contrazioni e del confronto permanente. ..... Prima di tutto si tratta di percorrere le vie dell’integra-zione per formare un’Unione Sudamericana e la Grande Patria latino americana”.

E più avanti, dice: “Il destino dei popoli dell’A-merica Latina e il destino del cattolicesimo sono intimamente legati. La peculiarità cattolica latino americana si fonda sulla sua evangelizzazione co-stituente, si manifesta anche in percentuali mol-to elevate di battezzati, è tradizione viva nei suoi popoli, nutre giudizio verso la vita, permea tutta la realtà e viene ad essere, all’inizio del terzo mil-lennio, quasi il 50% dei cattolici di tutto il mondo”.L’America Latina non sarà mai più la stessa

Lorenzo Carrasco

è stato esattamente il contrario. L’atteggiamen-to del Messico fu visto come un tradimento delle proprie tradizioni diplomatiche indipendenti, che tanto orgoglio avevano suscitato dentro e fuori il paese. E, di conseguenza, si è smesso di parlare di America Latina per concentrarsi sull’integrazio-ne dell’America del Sud. Queste nazioni, guidate principalmente dal Brasile, intesero che il NAFTA era solo un tentativo per cercare di “congelare” il continente sudamericano in un’area di controllo anglo-americano.La crisi del 2008, segnata dal fallimento del Grup-po Lehman Brothers, ha posto fine a questo ten-tativo. Tale quadro di crisi acuta nel sistema eco-nomico e finanziario e nel potere egemonico, ha aperto la possibilità per l’ascesa nella scena inter-nazionale del Sud America, ora riunito in Unione delle Nazioni Sudamericane (UNASUR), creata come corpo di integrazione politica ed economica. L’importanza del Sud America nella scena politi-ca mondiale è ulteriormente rafforzata dall’alle-anza tra Brasile, Russia, Cina, India e Sudafrica (BRICS), il cui incontro più recente a Durban, ha confermato la decisione di costruire, al di fuori

La matrice culturale del

continente è il fattore

unificante: vive qui quasi

il 50% dei cattolici del

mondo.

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CULTURA

Papa Francesco ricorda sempre con simpatia e senso di gra-titudine le sue origini italiane. Ma non lo fa solo per moti-vi sentimentali. A più riprese, infatti, sia da cardinale sia da papa, ha preso spunto dalle radici familiari per sviluppare argomentazioni centrali nel suo insegnamento. Ricordiamo quanto ha detto nel suo primo discorso di natu-ra geopolitica, al corpo diplomatico riunito in Vaticano, il 22 marzo 2013: «Uno dei titoli del vescovo di Roma è pontefice, cioè colui che costruisce ponti, con Dio e tra gli uomini. De-sidero proprio che il dialogo tra noi aiuti a costruire ponti fra tutti gli uomini, così che ognuno possa trovare nell’altro non un nemico, non un concorrente, ma un fratello da accogliere ed abbracciare! Le mie stesse origini poi mi spingono a lavo-rare per edificare ponti. Infatti, come sapete, la mia famiglia è di origini italiane; e così in me è sempre vivo questo dialogo tra luoghi e culture fra loro distanti, tra un capo del mondo e l’altro, oggi sempre più vicini, interdipendenti, bisognosi di incontrarsi e di creare spazi reali di autentica fraternità». Per il papa arrivato «dalla fine del mondo», l’origine italia-na è un decisivo dato culturale e spirituale. Lo ha spiegato

lui stesso ricordando che la fede gli fu trasmessa in famiglia, soprattutto dalla nonna Rosa, originaria della provincia di Savona, che gli insegnò la pietà popolare e il gusto per le for-mule che in poche parole dicono tutto, come l’espressione «il sudario non ha tasche», che papa Bergoglio ha utilizzato, parlando a braccio, nell’omelia tenuta durante la messa nella domenica delle palme.Ma che cosa pensa Francesco dell’Italia attuale e di suoi pro-blemi? E come intende rapportarsi con il mondo politico e istituzionale italiano?Una prima, importante indicazione è arrivata il 23 maggio 2013, quando, ricevendo nella basilica vaticana i vescovi ita-liani riuniti per l’assemblea generale della Cei, ha detto loro che «il dialogo con le istituzioni culturali, sociali e politiche è un compito vostro, e non è facile». Per Francesco, dun-que, non è la Santa Sede a dover gestire direttamente questo dialogo, ma è la Chiesa italiana presente nel territorio. Una Chiesa chiamata a comportarsi in modo coerente rispetto al messaggio evangelico, camminando accanto alle persone, specialmente a quelle più povere e svantaggiate, ed evitan-

PAPA FRANCESCO E L’ItALIA

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do a ogni livello la tentazione del carrierismo e la lusinga del denaro. Un compito per niente scontato, perché «anche l’amore più grande, quando non è continuamente alimenta-to, si affievolisce e si spegne». Di qui la richiesta di vigilare sempre: «La mancata vigilanza rende tiepido il pastore; lo fa distratto, dimentico e persino insofferente; lo seduce con la prospettiva della carriera, la lusinga del denaro e i compro-messi con lo spirito del mondo; lo impigrisce, trasforman-dolo in un funzionario, un chierico di stato preoccupato più di sé, dell’organizzazione e delle strutture, che del vero bene del popolo di Dio». «Essere pastori», ha continuato il Papa, «vuol dire disporsi a camminare in mezzo e dietro al gregge, capaci di ascoltare il silenzioso racconto di chi soffre e di so-stenere il passo di chi teme di non farcela».Riflessioni altrettanto nette, e decisive per capire la sua va-lutazione circa la fase storica attraversata dal nostro paese, sono poi arrivate da papa Francesco l’8 giugno 2013, quando ha ricevuto in Vaticano il presidente della Repubblica Gior-gio Napolitano.Rivolto al capo dello Stato da poco rieletto per il secondo mandato, Francesco non solo ha sottolineato gli ottimi rap-porti tra il Vaticano e il Quirinale, ma ha chiesto che la colla-borazione continui per il bene del popolo e della società, ed ha tracciato un quadro lucido dei problemi con i quali l’Italia deve fare i conti: «Il momento storico che stiamo vivendo è segnato anche in Italia, come in molti altri Paesi, da una crisi globale profonda e persistente, che accentua i problemi eco-nomici e sociali, gravando soprattutto sulla parte più debole della società. Preoccupanti appaiono soprattutto i fenomeni quali l’indebolimento della famiglia e dei legami sociali, la decrescita demografica, la prevalenza di logiche che privile-giano il profitto rispetto al lavoro, l’insufficiente attenzione alle generazioni più giovani e alla loro formazione, in vista anche di un futuro sereno e sicuro».Di qui alcune richieste che il papa ha formulato in modo esplicito: «In questo contesto, certo non facile, è fondamen-tale garantire e sviluppare l’impianto complessivo delle isti-tuzioni democratiche, alle quali nei decenni trascorsi hanno contribuito in modo determinante, leale e creativo i cattolici italiani. In un momento di crisi come l’attuale è dunque ur-

gente che possa crescere, soprattutto tra i giovani, una nuova considerazione dell’impegno politico, e che credenti e non credenti insieme collaborino nella promozione di una socie-tà dove le ingiustizie possano essere superate e ogni persona venga accolta e possa contribuire al bene comune secondo la propria dignità e mettendo a frutto le proprie capacità. La distanza tra la lettera e lo spirito degli ordinamenti e delle istituzioni democratiche è sempre da riconoscere ed occorre l’impegno di tutti i soggetti coinvolti per colmarla ogni vol-ta di nuovo. Anche noi, cattolici, abbiamo il dovere di im-pegnarci sempre di più in un serio cammino di conversione spirituale affinché ci avviciniamo ogni giorno al Vangelo, che ci spinge ad un servizio concreto ed efficace alle persone e alla società».Non sono davvero parole di circostanza. E ugualmente ap-passionate sono risultate le espressioni sulla libertà religiosa, la cui tutela, ha detto, è un dovere di tutti, perché «nella tute-la condivisa di tale bene morale si trova anche una garanzia di crescita e di sviluppo dell’intera comunità».Parlando al presidente Napolitano il papa non ha mancato di ricordare, come fa spesso, che la fede insegna a coltiva-re la speranza, e anche in questo caso ha ricordato l’esem-pio arrivato dai genitori e dai nonni, chiamati ad affrontare problemi ancor più complessi e drammatici di quelli odierni. Le risorse non mancano. Il popolo italiano «può e deve su-perare ogni divisione e crescere nella giustizia e nella pace, continuando così a svolgere il suo ruolo peculiare nel con-testo europeo e nella famiglia dei popoli». Si tratta di creare «una cultura dell’incontro» e per fare questo è importante che l’Italia attinga «con fiducia e creatività dalla sua ricchis-sima tradizione cristiana e dagli esempi dei suoi santi patroni Francesco d’Assisi e Caterina da Siena, come pure di nume-rose figure religiose e laiche, e dalla testimonianza silenziosa di tante donne e tanti uomini». «L’affetto degli italiani mi ha fatto sentire di nuovo a casa», ha rivelato papa Bergoglio al presidente della Repubblica. La speranza di Francesco è che l’Italia sappia essere accogliente con tutti.

Aldo Maria Valli

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CULTURA

Università della terza Età, una grande realtà italianaIn una realtà dove ciò che si sa non è mai abba-stanza e l’esigenza di imparare cose nuove è sem-pre all’ordine del giorno, è ormai da anni diffusa in tutta Italia un’istituzione che, nel proprio statuto, si propone di portare avanti il concetto di istruzio-ne permanente. Si tratta delle cosiddette “univer-sità della libera età” o della “terza età”, ovvero as-sociazioni culturali di volontariato senza soglie di ingresso e quindi aperte a tutti, in particolar modo a chi è fuori dall’attività lavorativa, che si pongono come finalità ultima la formazione e l’educazione permanente degli adulti. In altri termini queste istituzioni, spesso registrate come “associazioni di promozione sociale”, puntano al “pieno sviluppo

della personalità e alla partecipazione consapevo-le di ciascun cittadino”.Le università della libera età organizzano corsi in molteplici discipline e ambiti di apprendimento, che vanno dalle lingue all’informatica, dalla filo-sofia all’economia, senza trascurare sociologia, scienze naturali e storia dell’arte. Accanto a tutto ciò, sono previsti spesso anche corsi pensati spe-cificatamente per la terza età. Sovente numerosi sono pure i progetti culturali come conferenze, seminari, dibattiti e viaggi, organizzati magari in collaborazione con altre associazioni radicate sul territorio.Le università della terza età, peraltro, sono istitu-

zioni abbastanza recenti. La prima fu costituita in-fatti a Torino nel 1975, con l’obiettivo di accogliere e motivare le persone di qualunque età, emargina-te o espulse dal ciclo produttivo. In breve questa idea conobbe un successo enorme e fu replicata lungo tutta la Penisola. Ancora oggi, inoltre, il ca-poluogo piemontese è sede di Unitre (www.unitre.net), associazione nazionale delle università della terza età. “Due – spiegano da Unitre - sono le linee portan-ti con le quali Unitre persegue i propri obiettivi: quella della cultura in mano ai Docenti e quella dell’Accademia d’Umanità in mano agli studen-ti, i quali non sono utenti passivi che ascoltano le

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L’attività formativa nel quadriennio 2009-2012Nel quadriennio in questione l’attività formativa nazionale, presso la Scuola permanente di Firenze, ha interessato 291 dirigenti Fnp (per un numero complessivo di 476 presenze), di cui 159 donne. Le giornate d’aula sono raggruppabili in corsi e seminari di ag-giornamento che hanno avuto diverse tipologie di destinatari. In particolare:I nuovi dirigenti regionali e territoriali. A chiusura del XVI Congresso Fnp dell’aprile del 2009, abbiamo programmato due percorsi pa-ralleli, di cinque moduli ciascuno, rivolti rispettivamente ai nuovi segretari generali territoriali e ai nuovi segretari regionali (tot. 32 nuovi dirigenti, di cui 11 donne), entrambi preceduti da giornate di orientamento propedeutiche alla formazione. Questi i temi affron-tati: l’identità organizzativa; il ruolo del dirigente; la confederalità; le politiche del welfare e la contrattazione locale (compresa l’ana-lisi e la lettura dei bilanci degli Enti locali); i servizi alla persona e il proselitismo; le politiche amministrative.I segretari regionali con delega alle politiche sociosanitarie. Sono stati progettati e realizzati, insieme al Dipartimento politiche socio sanitarie, un seminario di aggiornamento sulla spesa sociale e due corsi-laboratori sull’Osservatorio sociale territoriale e concertazio-ne, uno per il centro nord l’altro per il centro sud, rivolti anche ai referenti operativi regionali dell’Osservatorio sociale. Le responsabili regionali e di area metropolitana del coordinamen-to donne Fnp, sui temi della rappresentanza e della comunicazione organizzativa; dello sviluppo della capacità progettuale in relazione al ruolo; dell’etica, della responsabilità e competenza nell’esercizio dei ruoli.I nuovi formatori. Uno spazio formativo rilevante, ben sette moduli, è stato dedicato alla formazione formatori fnp regionali e territo-riali, i cui partecipanti sono stati accompagnati in un percorso che va dall’analisi dei bisogni alla valutazione dei risultati, attraverso lo studio e la pratica delle principali metodologie di gestione di gruppi di adulti in formazione.

CORSO PER RESPONSABILI REGIONALI COORDINAMENTO DONNE FNP CISL 2013 : n.19 partecipantiFirenze, 21-23 gennaio 2013FORMAZIONE NAZIONALE FNP Siamo agli inizi degli anni novanta quando la Segreteria naziona-le dà vita alla Scuola sindacale permanente della Fnp, presso il

Centro Studi di Firenze, per formare il proprio gruppo dirigente a tutti i livelli, dalle diverse provenienze regionali e categoriali, ad ulteriore supporto e qualificazione dell’identità organizzativa della Federazione.L’adesione, fin dal principio, ad una politica volta ad incrementare e qualificare la presenza Fnp sul territorio, è testimoniata dai nume-rosi corsi per segretari territoriali, agenti sociali, operatori di lega, che hanno animato la Scuola fin dai primi anni di attività, insieme alle iniziative rivolte alle donne, così come ai corsi per formatori che nel tempo hanno contribuito a potenziare la formazione a li-vello regionale.Quello della Fnp vuol essere un sistema, a rete, articolato su più livelli, nazionale, regionale, territoriale, in cui ogni struttura è chia-mata a rappresentare le proprie specificità anche attraverso la pro-mozione e gestione di attività formative autonomamente pensate e definite, all’interno comunque di un quadro nazionale di riferimen-to. La formazione nazionale può, infatti, rappresentare un canale importante di raccordo e sintonizzazione delle politiche formati-ve territoriali con quella nazionale, oltre ad essere un’occasione di scambio e di conoscenza, tra le diverse strutture, della varietà della proposta formativa nel suo complesso. La sistematicità di tale scambio è finalizzata a promuovere e sviluppare una formazione nella quale ogni livello organizzativo possa riconoscersi e alla quale possa, al tempo stesso, portare il proprio contributo.La formazione, oltre a rappresentare una dimensione permanente della vita organizzativa, agisce su più versanti, collegati tra loro: quello delle conoscenze (sapere), quello delle competenze profes-sionali (saper fare) e quello della motivazione e degli atteggiamenti (saper essere) insieme alla trasmissione di modelli culturali e di valori dell’organizzazione. La formazione è anche un luogo privilegiato di socializzazione e valorizzazione delle esperienze che nella loro interazione e nel loro riconoscimento contribuiscono a formare l’identità organizzativa. Il territorio è il livello in cui può massimamente esprimersi una for-mazione così intesa; è proprio lì, infatti, che la formazione può me-glio misurarsi con il cambiamento, fuori e dentro l’organizzazione, e che può accompagnare, in modo capillare, la crescita di tutto il gruppo dirigente. Non è un caso che negli anni si sia incrementata la formazione decentrata e che molte regioni abbiano ormai una programmazione autonoma. L’obiettivo è, allora, tenere insieme e mantenere vivo il raccordo e lo scambio tra i vari livelli in cui si realizza l’intervento formativo, fare rete, appunto, che significa rac-contare quello che si fa, confrontarlo con gli altri, diffondere buone pratiche, stare dentro un sistema che, come si diceva, parte pro-prio dal livello nazionale, dove si può andare oltre la somma delle singole parti e dove si può pensare di governare e riequilibrare le differenze.

La formazione FNP alla scuola di Firenze

lezioni e tornano la volta dopo, ma sono persone che vengono sollecitate ed educate a partecipare alla vita dell’Unitre, sia come assistenti ai Cor-si sia come coordinatori, o addetti alle Segrete-rie dell’Accademia d’Umanità, che è la struttura operativa dell’Unitre. Gli studenti, debitamente preparati attraverso la partecipazione ai Corsi, si aprono al sociale e al territorio donando a loro volta agli altri parte del loro tempo libero e della loro professionalità. Gli studenti Unitre che fanno parte dell’Accademia d’Umanità sono presenti ne-gli ospedali, nelle case di riposo, presso i disabili. I nostri volontari sono inoltre presenti in diversi luoghi sensibili: nei musei come monitori per pre-stare un servizio culturale e di accompagnamento per avvicinare i musei ai cittadini; nelle basiliche, nelle parrocchie e nei palazzi storici per inventa-riare, con un servizio fotografico particolarmente curato, oggetti di culto o di interesse artistico; in alcune biblioteche per la loro gestione. Fra i nostri obiettivi vi sono inoltre quelli di lavorare in équi-pe con altre associazioni presenti sui diversi ter-ritori e di collaborare con le istituzioni pubbliche nell’ambito delle nostre competenze”.

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MAPPAMONDO

Quali mete scegliere per l’estate 2013? E, soprat-tutto, come andare in vacanza senza spendere una fortuna? Contrariamente rispetto a quanto si po-trebbe immaginare, esiste la possibilità di visitare tutte le principali località italiane di villeggiatura senza mettere una mano pesante sul portafoglio, dal momento che la difficile situazione economi-ca da una parte e la grande concorrenza dall’altra hanno contribuito insieme a fare emergere propo-ste interessanti per diverse località. Lo sviluppo della prenotazione tramite internet, poi, negli ul-timi anni ha fatto il resto, consentendo di scova-re vere e proprie occasioni. Premesso che quando si prenota via web occorre comunque prestare la massima attenzione alle condizioni espresse e che è sempre meglio farlo solo se si è navigatori abi-tuali delle rete (quindi, in caso contrario, è consi-gliato l’aiuto di una persona esperta), ecco alcuni suggerimenti utili e disinteressati per orientarsi su vacanze a basso costo in tutta Italia.Il sito HomeAway.it, ad esempio, è uno dei pro-tagonisti nel settore degli affitti vacanze di case e appartamenti per vacanza. La sua “mission” è quella di fornire una piattaforma completa, sicura e semplice da utilizzare sia per i proprietari di case vacanza sia per chi cerca una sistemazione per il proprio viaggio. Questo portale rappresenta un mezzo efficace sia per i proprietari immobiliari che desiderano affittare la propria casa, sia per gli af-fittuari interessati a organizzare la propria vacan-za all’insegna di comodità, privacy e risparmio. At-tualmente il sito contiene più di 450.000 annunci in 140 paesi del mondo. Parlando di prezzi, alcune proposte sono davvero allettanti, perché si parte da offerte attorno ai 400 euro per trascorrere una

settimana in Sicilia, Cilento o Trentino. Nello stes-so sito sono contenute anche utili indicazioni su quando prenotare, come prenotare e quali periodi evitare per potere risparmiare al massimo ma go-dersi al contempo un felice periodo di ferie.Un altro grande e affidabile sito internet al quale fare affidamento prima di partire per un viaggio, di lavoro o di vacanza che sia, è indubbiamente TripAdvisor, che negli ultimi anni ha acquisito una grande autorevolezza, grazie alla pubblicazione di recensioni su hotel, ristoranti e voli scritte diretta-mente da chi ci è stato. Altri portali da consultare possono essere senza dubbio “edreams” e “triva-go”, anch’essi molto gettonati negli ultimi anni. Indicazioni utili per andare in vacanza con chi ha difficoltà motorie, infine, possono essere ritrovate sul sito specializzato www.compagniadeiviaggia-tori.it, realizzato da persone che hanno conoscen-za personale e vicinanza umana alle problematiche legate a diverse situazioni di disabilità motoria.Ultimo ma non per importanza, ecco alcune locali-tà di “tendenza” per trascorrere sereni periodi va-canzieri. Tra i luoghi più in voga quest’anno c’è la Sicilia, senza escludere naturalmente anche la bel-lissima Lampedusa. Quotazioni in risalita anche per la Puglia, in località come Polignano a mare. I “caraibi” italiani sono come sempre assicurati dal-la Sardegna, che non smette mai di sorprendere. Comodità e ricchezza dei servizi riconfermano ai vertici la riviera romagnola. Per quanto riguarda invece la montagna, le preferenze continuano a premiare l’Alto Adige, ma ottime occasioni e sce-nari incantevoli si possono trovare anche in Val d’Aosta o lungo la catena appenninica di tutta la Penisola.

Vacanze 2013 tra web, occasioni e tendenze cosa propongono i tour operator?

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Secondo il Pubblico Registro Automobilistico, sono oltre 3 milioni gli italiani con più di 70 anni che han-no ancora la patente. Tuttavia, una ricerca effettuata dalle università Milano-Bicocca e Roma-Tor Verga-ta, mette in evidenza che la metà di essi ha buone probabilità di venire coinvolto in un incidente strada-le, con una percentuale 16 volte maggiore rispetto agli adulti di età inferiore. Tale studio, in particolare, ha analizzato le funzioni cognitive e lo stato funzio-nale di un campione di ultrasettantenni, rilevando che il 50% degli over 70 ha deficit nelle funzioni ese-cutive e riflessi inadeguati, il 25% qualche deficit di attenzione che tuttavia pregiudica la guida sicura, 1 su 6 ha qualche carenza visiva e 1 su 10 consu-ma troppo alcol. Da tale ricerca, inoltre, è emerso che solo il 62% degli anziani ultrasettantenni guida nel traffico, e che 1 su 5 percorre in media meno di 40 chilometri alla settimana. Si tratta quindi nella grande maggioranza dei casi di tratti molto brevi, che comunque possono presentare numerose in-sidie per se stessi e per gli altri se non si utilizzano le dovute precauzioni. In linea generale, è sempre bene prestare la massima attenzione ai farmaci che vengono assunti, dal momento che molti di essi possono pregiudicare anche notevolmente i tempi di reazione alla guida.Da tenere sempre presente, in ogni caso, è il fatto che le patenti devono essere periodicamente rinno-vate, ovvero confermate nella loro validità. Per alcu-ne di esse, è sufficiente una visita medica per accer-tare la persistenza dei requisiti fisici, mentre per altre - quelle professionali - sono previsti appositi esami per accertare la persistenza anche dei requisiti tec-nici (conoscenze).

Patente nella terza età, attenzione ai rischiLe visite mediche vanno effettuate presso i medici autorizzati (ASL o presso autoscuole o enti con-venzionati) e presso le CML, Commissioni Mediche Locali. Il rinnovo non va confuso inoltre con la revisione della patente. Il rinnovo è infatti una prassi ordina-ria; tutti devono rinnovare la patente dopo un certo numero di anni. La revisione, invece, è un provvedi-mento imposto dalle autorità quando si hanno dub-bi sulla persistenza dei requisiti psicofisici o tecnici della persona. La data di scadenza della patente è riportata sul documento. I tempi di rinnovo variano da patente a patente e prevedono un periodo di 10 anni di validità fino ai 50 anni di età, 5 anni di validità dai 50 ai 70 anni, 3 anni dai 70 agli 80 e 2 anni dopo gli 80 anni.Infine una curiosità, prima di concludere. Per quanto riguarda la storia della patente, furono la Francia e la Prussia i primi Paesi che, sul finire del XIX seco-lo, pretesero una licenza di guida per i conducenti di veicoli a motore. In Italia, il primo regolamento nazionale in tal senso fu promulgato nel 1901 e la prima patente italiana fu conseguita da un tale Bar-tolomeo Tonietto, chauffeur di Casa Savoia. Il pri-mo stato nordamericano a richiedere una patente di guida fu invece il New Jersey, soltanto nel 1913.

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Viva la bicicletta Li vedi arrivare in fila indiana, ordinati, sui loro mezzi solidi

e lucidi. Non silenziosi; ma, se parlano, è per scambiarsi

informazioni ed esclamazioni secche: detestano la chiacchiera

vana, come pure ogni sforzo superfluo. Calano da nord, dal

Brennero. Penetrano rapidi dentro Bolzano, il tempo di un «oooh!» di ammirazione al Duomo brunito dedicato

all’Assunta Dom Maria himmelfahrt e via verso trento

tra uva e mele, mele e uva e infido vento di traverso; e qui,

dopo la visita al Castello del Buonconsiglio con il suo magico

ciclo di affreschi dei Mesi del maestro boemo Venceslao, le

colonne si dividono: chi scivola verso Verona alla conquista di Mantova e del Po, chi in treno sale a Pergine e da qui, lungo

la Valsugana, raggiungono Bassano e infine Venezia e la

magica laguna…

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Qualcuno avrà i brividi: ci stanno di nuovo in-vadendo? Loro, i tedeschi? Sì, ma non di avidi Lanzichenecchi o di truppe corazzate si tratta, bensì di aitanti pensionati in sella a biciclet-te cariche di borse e borsoni. Si va dalle ro-mantiche coppiette attempate, ma quanto si amano! ai plotoni perfettamente inquadrati. Amano il sole ma la pioggia non li sgomenta: si coprono e, giunti alla meta, si scuotono di dosso le gocce residue come cagnolini.Da aprile a ottobre innumerevoli piste italiane vengono percorse da pensionati tedeschi, ma anche olandesi, belgi e scandinavi. Le rare ci-clovie e le stradine secondarie sono il filo che si srotola e rivela loro l’Italia; e un territorio, qualunque territorio, visto non dal finestrino di un pullman o di un’automobile in corsa, ma osservato, respirato, assaporato in sella a una lentissima bici ha tutto un altro fascino. Vedi quello che non avevi mai visto; e ti vengono pensieri che mai avresti pensato potessero af-facciarsi alla mente.Facciamoci un pensierino. Crociere? Per chi ama le serate di gala, rimpinzarsi tre volte al dì, danzare… Vacanze in bus mordi-e-fuggi? Per i collezionisti di immagini e suoni, per chi non ama corteggiare un paesaggio ma si ac-contenta di catturarlo e consumarlo.La bicicletta, invece, vi rivela un mondo nuo-vo. La fatica? Basta scegliere un itinerario ade-guato al proprio fisico. Tappe in pianura di 40 chilometri sono alla portata di tutti. E mentre i pensionati del nord vengono ad assaporare i nostri viottoli, noi possiamo andare alla con-quista del nord. Si può pedalare lungo il Da-

nubio, in compagnia di famiglie con bambini piccoli, “conquistando” Vienna dolcemente; danzare attorno al Lago di Costanza; visitare i celebri castelli della Loira; osare salire più su, in Olanda e nelle Fiandre, abbinando la bici alla barca; e per chi non teme la pioggia, anzi la ama, e il medico non gli sconsiglia qualche sana bevuta di birra scura in autentici pub, c’è la verde Irlanda, che in bici è verdissima e, pe-dalando, scoprirete perché sia così verde: un acquazzone al giorno è garantito.La bicicletta vi permetterà di raccogliere im-magini che nessun altro mezzo vi rende pos-sibile. Mentre voi pedalerete alla scoperta di terre remote e misteriose, i nipotini riceve-ranno i vostri mms con biciclette impolverate e nonni sorridenti dallo sguardo determinato, e piatti con cibi terribili e nuvole dall’aspet-to alieno e casupole come quelle degli orchi e delle fate e penseranno: i miei nonni sono capitani coraggiosi! E al ritorno berranno i vostri racconti che saranno reali… fino a un certo punto. Perché chi va in pensione ha an-che più tempo per coltivare la virtù della fan-tasia, che non è fandonia, non è inganno, ma è il dolce cullarsi sulle onde dell’immaginazio-ne, che dà sapore alla realtà.(Per chi vuol viaggiare assistito, facendosi tra-sportare i bagagli da albergo ad albergo, esi-stono tour operator specializzati che offrono anche bici a noleggio e assicurazione. In Italia, suggeriamo Girolibero e Dueruotenelvento).

Umberto Folena

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L’ultima diavoleria elettronica l’ho scoperta quest’estate:

il palmarino gps con mappa dei sentieri.

alessandro lo teneva nella tasca esterna dello zaino. con uno sguardo veloce azzeccava

strada, quota, distanza percorsa, tempo previsto per

arrivare alla meta.con lui lo scorso agosto,

in Val di Fassa, tra i monti appena dichiarati patrimonio

dell’umanità, ho camminato con più sicurezza su prati

fioriti e rocce d’incanto.come ogni anno.

Andar per monti, più vicini al cielo

Appennino Reggiano. il lago Barcettana nei pressi del rifugio Battisti

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L’andar per monti, anziché cuocersi al sole del-la spiaggia, è un salutare esercizio che ritempra corpo e spirito. Si va in compagnia, ovviamente: scarpe e vestiario adeguati, misurando l’impresa alle proprie energie, ma con la sicurezza che pas-so dopo passo non c’è meta che non possa essere raggiunta.Con la guida, se ci si vuol cimentare con quelle più ardite. Con gli amici e la vecchia e sempre valida carta al 25 mila (o il tecnologico gps) per tutti i sentieri del mondo. Ho cominciato negli anni ’50 e non mi sono ancora stancato. Un consiglio a chi, novizio, volesse provare, anche se avanti con gli anni, questo salutare, autentico godimento: in montagna si va con gli scarponi ma anche con la testa. Quella serve sempre, ma qui di più. La testa è necessaria per sapere cosa è alla nostra portata; per scegliere luogo, ora, meteo, itinerario: decidere quando cominciare e quando fermarsi e, se del caso, tornare indietro.Ognuno è il miglior giudice di se stesso, ma fatevi consigliare: dalle guide, dalla pro loco, dall’alber-gatore. Poi decidete.Certo, non potete salire il Cervino, dopo undici mesi di poltrona. Ma se non siete pigri e tutti i san-ti giorni muovete le gambe (3000 passi al giorno tolgono il medico di torno) e il vostro dottore di fi-ducia non segnala contro indicazioni i più bei trek-king di Alpi ed Appennini sono tutti per voi. Sei o sette ore di cammino al giorno vi permettono di arrivare praticamente ovunque. Con questo spiri-to (senza dimenticare la testa) sono andato anche sulle Ande peruviane (Cordillera Blanca), con gui-da ed arriero (si curava degli asini e delle tende) , fino a seimila metri di quota. Da dove cominciare? Da casa vostra! L’Italia ha monti in ogni regione. Tutti belli e traversati da

sentieri segnalati e solitamente ben curati dal CAI.Quelli censiti sviluppano 60mila chilometri.Quando andare? Ogni stagione buona, ma l’estate è ottima. Volete qualche suggerimento per iniziare? Vi pro-pongo tre facili uscite da programmare alla giusta stagione (primavera inoltrata, estate, primo au-tunno).In Val d’Aosta, sciolta la neve, andate ad ammirare le Grand Jorasses dall’Alpe superiore del Malatrà. (internet)L’auto la lasciate a metà della Val Ferret, in loca-lità La Vachey. Lo zaino mettetelo in spalla e per comodo sentiero (segnaletica abbondante) in due ore (a metà strada il rifugio Bonatti) arrivate in un Appennino Reggiano ,il monte Cusna

Escursionisti al rifugio Vallaccia

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angolo di Paradiso: un immenso vallone pianeg-giante, verde e fiorito, dove scorre, serpeggiando, un ruscello. Di fronte a voi il massiccio del Mon-te Bianco affascina ed invita. Prima o poi vorrete cedere al suo richiamo, ma ora godetevi lo scena-rio fatto di roccia, neve e ghiaccio che a nord fian-cheggia l’intera valle. Non abbiate fretta. Se avete gambe salite ancora verso destra, al Passo. Fate colazione. Magari con il latte e il formaggio dell’al-peggio che avete incontrato. Meglio di un tre stelle Michelin. In Trentino: salite sul Sasso delle Undici (così su internet), a picco sulla Val di Fassa ma lontano dai percorsi dove si va in coda come sull’autostrada nei giorni da bollino rosso. Vedrete uno dei più aperti ed appaganti panorami delle Dolomiti a portata di tutte le gambe. L’escursione parte dal rifugio Baita Monzoni (1792 m.), raggiungibile con bus navetta dalla Malga Crocifisso in Val di San Nicolò (si imbocca da Pozza di Fassa). Da qui in 1 ora e 30 si arriva al rifugio Vallaccia (2275 m.). Lasciato a sinistra il sentiero per la Punta Vallaccia si sale a destra per tornanti su pendii erbosi. Giun-ti alla cresta sud della montagna si percorre verso

nord il crinale e si raggiunge il Sasso delle Undici (2557 m.; un’altra ora). Il pranzo? Tornate al Rifugio Vallaccia, non ve ne pentirete.In Appennino, la più impegnativa: il monte Cusna, tra Emilia e Garfagnana. In auto da Reggio nell’E-milia raggiungete Civago, paese ai confini del Parco Naturale. Da qui un’ampia mulattiera traversa l’A-betina reale, dove il duca di Modena si riforniva di legname. Una prima sosta fatela al Rifugio dell’an-tica Segheria (1 ora, 20 min.). Poi salite fin oltre il bosco, al passo di Lama Lite, transito di pastori e valligiani, dove sorge il Rifugio Battisti (1 ora, 15 min). Sosta breve e altro cammino lungo il ben visi-bile crinale che per prati, brughiere e roccette porta alla seconda cima dell’Appennino Tosco emiliano (2121): oltre un’ora in cresta erbosa, con il vento che vi accarezza. Se l’aria è limpida vedrete le Apuane, il Tirreno, la Corsica. Si torna per la stessa strada e al Battisti il pranzo è succulento.Col fuoristrada risparmiate almeno un’ora, ma ...Cosa aspettate? Camminare è fatica? Andar per monti non stanca mai. La stagione non è propizia? Tre chilometri al giorno, finché non è il tempo giu-sto.

***

Dolomiti Trentine,da sinistra il Sassolungo e il Gruppo Sella

Le Grand Jorasses dall’Alpe superiore del Malatrà

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Prosegue in questo numero diContromano la consueta rubrica

“Libri e web” alla scoperta di novità edi-toriali e di nuovi siti internet.

Borgomeo Carlo“L’equivoco del Sud.Sviluppo e coesione sociale”Laterza, 2013.

L’autore, profondo conoscitore della realtà non solo economica del Mezzogiorno, sottolinea come certamente il Sud è meno ricco del Nord, ma “la distanza più grave è nei diritti di cittadinanza, nella scuola, nei servizi sociali, nella cultura della legalità. È da qui che bisogna ripartire convincen-dosi che la coesione sociale è una premessa, non un effetto dello sviluppo”. Riecheggiano in que-ste parole le idee della politica meridionalistica di Giulio Pastore, purtroppo abbandonate prima che le azioni messe in campo potessero dare tutti i loro frutti.

Maurizio Ferrera,Valeria Fargion,Matteo Jessoula,“Alle radici del welfareall’ italiana. Origini e futurodi un modello squilibrato”Marsilio, 2012.

Tramite un’analisi storico-evolutiva di lungo pe-riodo, gli autori individuano negli Anni Cinquanta e Sessanta del XX secolo la fase cruciale per lo sbi-lanciamento del “welfare state” italiano. In questo periodo, sullo sfondo di una “eredità di politica sociale” già favorevole all’emergere di distorsioni funzionali e distributive, fattori culturali e soprat-tutto le peculiari caratteristiche della competizio-ne politica (nel contesto di un “pluralismo pola-rizzato” e di una “democrazia bloccata”) sono stati decisivi nell’orientare verso lo squilibrio il welfare state italiano.

Dario Bressanini“Le bugie nel carrello.Le leggende e i trucchidel marketing sul ciboche compriamo”Chiare Lettere, 2013.

Le suggestioni e i trucchi che l’industria alimenta-re usa per pubblicizzare i propri prodotti. Le storie di alcuni prodotti presentati come “antichi” o “eso-tici”. Il “naturale” è sempre “bene”? Perché nutrir-si di alimenti a cui sono stati aggiunti integratori? Queste e altre le domande a cui il libro cerca di rispondere, ovvero questioni che i consumatori si pongono normalmente di fronte agli scaffali dei supermercati.

Tiziano Treu (a cura di),“L’importanza diessere vecchi.Politiche attive perla terza età”Il Mulino, 2012.

Il volume consente una panoramica sulle acqui-sizioni più recenti intorno alla questione del-l’“invecchiamento attivo”. Vi contribuiscono decisori politici e studiosi di tutte le discipline in-teressate alla tematica: dalla demografia alle poli-tiche sociali, dagli studi di sociologia del mercato del lavoro e dell’impresa alle scienze mediche. Il filo conduttore dei contributi raccolti è rappre-sentato dalla convinzione che il dato demografico dell’invecchiamento della popolazione vada tra-sformato in opportunità.

Giulio Sapelli“Elogio dellapiccola impresa”Il Mulino, 2013.

La piccola impresa artigiana e dei servizi è, come è noto, una realtà caratterizzante della struttura produttiva italiana. Giulio Sapelli, nel suo ultimo

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lavoro, le dedica un elogio, perché vi trova inscritti elementi culturali come i legami familiari, la fidu-cia, l’affettività, etc. Di derivazione pre-moderna, questi ingredienti si mescolano necessariamente, nell’esperienza del piccolo imprenditore, alle mo-dalità di relazione tipiche dell’ambiente economi-co come il mercato e la burocrazia. Questa qualità essenziale della piccola impresa va preservata, se-condo Sapelli, in contrasto con coloro che pensano alla grande dimensione come l’unica in grado di sopravvivere nei contesti competitivi di oggi.

Angelo Scola “Non dimentichiamocidi Dio”Rizzoli, 2013.

A partire dal XVII centenario dell’Editto di Mila-no, il cardinale Scola indaga sul pensiero e sulla pratica della libertà religiosa. Dopo aver ripercor-so, per sommi capi, il cammino travagliato della li-bertà religiosa dall’initium mancato di Costantino e Licinio fino al Concilio Vaticano II, a Giovanni Paolo II e a Benedetto XVI, l’autore si sofferma su vari “nodi” del problema, in particolare sulla liber-tà di fedi e di culture nella società plurale. E parla del valore irrinunciabile della aconfessionalità del-lo Stato: per l’arcivescovo di Milano è necessario uno Stato che, senza far propria una specifica vi-sione, non interpreti la sua aconfessionalità come “distacco”, ma apra spazi in cui ciascun soggetto, personale e sociale, possa portare il proprio con-tributo all’edificazione del bene comune.

Francesco Maria Provenzano“Francesco, il papadella povertà edel cambiamento”Pellegrini editore, 2013.

Fondendo abilmente cronaca, storia e spiritualità, il testo costruisce un profilo composito e comple-to di Papa Francesco. Le testimonianze di politici, giornalisti e di Don Marino Poggi, direttore della Caritas di Genova e grande conoscitore dell’Ame-rica latina, rendono ancor più vibrante e coinvol-gente la narrazione.

www.politopolis.comPolitopolis è il social network di democrazia par-tecipativa ideato e realizzato dalla Software Evo-lution, azienda napoletana specializzata nello svi-luppo di soluzioni software innovative.

www.coolsocial.netCool Social è un originale servizio per valutare la popolarità dei siti Web sulle reti sociali.

www.babyloncafe.euIl Babylon Café, l’agenzia letteraria più seguita del web, cambia veste grafica e si arricchisce di conte-nuti, servizi per autori e lettori. Continuano, inol-tre, le selezioni rivolte a scrittori, poeti e saggisti per entrare a far parte delle Edizioni Digitali Bab-ylon Café.

www.piattitipici.orgIl sito nasce con la voglia di raccontare l’Italia e le sue tradizioni enogastronomiche attraverso i pre-sidi del gusto di Slow Food, i ristoranti, manifesta-zioni culinarie, i prodotti differenti e naturalmente anche la cucina regionale.

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contropelo alle parole di “moda” di Dino Basili

Agenda. È importante “dettarla”, ma non basta.

Deriva dal latino agĕre, cioè fare. Davvero.

Bar. Segnalate coppie che bevono mezzo caffè lei

e mezzo lui nella medesima tazzina. Risparmio o

eccesso di nervosismo. Chissà, affezione.

tweet. Cinguettiamo in italiano, scriviamo tuìt.

Abbondano i precedenti d’inglese taroccato.

Yale. Le parole-chiave, così esposte ai furti, van-

no protette con serrature di sicurezza.

Duello. Capita che l’invincibile capataz tema di

scontrarsi col ridicolo capo-tafaz.

Ex veto. Testimoniano il ripudio di pregiudizi,

antagonismi, boicottaggi. Sono esposti in apposi-

te teche parlamentari, come se fossero ex voto.

Finali. Bene gli accordi, evitare gli accordoni.

La coda-regalo, oltretutto al plurale, può essere

velenosa.

Giurare. La verità detta con un semplice “sì”

equivale a un grande giuramento (dagli atti del

martirio di S. Apollonio).

Intese. Spesso non sono larghe o strette: soltan-

to in tensione, come un elastico.

Corridoi. Sono chiamati così gli ambulacri in cui

corrono solitamente pettegolezzi kafkiani.

Lapalissiano. Quando la politica diventa show,

all’inizio, è assai avvantaggiato lo showman. Poi, è

ovvio, anche gli altri imparano.

Metafore. “Fare spogliatoio” non significa necessa-

riamente complicità, stimolo, messa a punto. Negli

spogliatoi si litiga di brutto.

Nepotismo. Gli schemi si complicano. Metti: A

assume il pargolo di B, B il cugino di C, C il figlioccio

di D, D il rampollo di A. In automatico, con noncha-

lance.

Onomatopea. Nell’evocazione delle “barricate”,

chissà per quale confusione sonora, viene in mente lo

spaventevole urlo dell’elefante: il “barrito”.

Riccio. Se mancano gli aculei, è inutile rinchiudersi

a riccio.

Sospetto. Scavando un po’, affiora una lontana pa-

rentela tra il retropensiero e la dietrologia.

Uomo-lincia. Non è un refuso di lince, proprio “lin-

cia”: non distingue la satira dal linciaggio.

Voce. Una richiesta forte può essere scambiata per

una minaccia. Nelle aule con la “a” maiuscola le tona-

lità vanno modulate con molta cura.

Zoccolo. Ogni partito desidera averne uno duro,

infrangibile. Pazienza se fa chiasso appena si muove.