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Stampa Lo straniero nella Bibbia di Pietro Bovati, sj Il rapporto con lo straniero è tema di grande attualità: presente nel dibattito politico, spesso drammatizzato dalla cronaca mediatica, è ora al centro di vivaci discussioni. Naturalmente anche le comunità cristiane si sentono provocate a discernere una situazione non semplice, che facilmente tende a polarizzare il giudizio e il comportamento nelle figure estreme dell'accettazione acritica e della chiusura. Il contributo che qui pubblichiamo, offre significativi punti di riferimento per la riflessione sul tema: padre Pietro Bovati sj, già docente di Esegesi dell'Antico Testamento presso il Pontificio Istituto Biblico di Roma, interroga l'esperienza di Israele, cercando nella Bibbia quegli elementi che possano aiutarci a «passare dalla paura alla sapienza», di cui avvertiamo un intenso bisogno a tutti i livelli. Per quanto attiene le modalità che dovrebbero caratterizzare il modo di operare dei credenti nei confronti dello straniero può essere utile riprendere seriamente in considerazione le linee operative indicate nel brano del Samaritano e in quel testo del vangelo di Matteo che ha aperto il cammino quaresimale.... Se in queste pagine ci dedichiamo a riflettere sullo straniero, è perché la realtà evocata da questo concetto costituisce ai nostri giorni un serio problema: le ondate migratorie talvolta pressanti ed estremamente bisognose suscitano sentimenti opposti di paura e di compassione; e l'uomo di buona volontà, anche in veste di legislatore, non sa dare una soddisfacente risposta a questa 'provocazione'. Quando lo straniero assume l'aspetto di una collettività numerosa e compatta, esso viene percepito come una presenza minacciosa, paragonata all'orda barbarica, che invade, distruggendo il patrimonio altrui, abbattendo equilibri già precari; quando invece si manifesta nella figura individuale o in entità minime, appare allora il suo aspetto di persona minacciata, potenziale oggetto di sopruso o già vittima di ingiustizie economiche e giuridiche. I sentimenti opposti di diffidenza e di benevolenza, che talvolta si alternano nelle stesse persone, vanno di pari passo con provvedimenti giuridici che oscillano da discipline repressive a dispositivi di fattivo rispetto. Per passare dalla paura alla sapienza è indispensabile far ricorso alla Bibbia; per i credenti è questo un testo ispirato e ispiratore, per i non credenti può comunque essere considerato come un libro altamente significativo della storia civile dell'umanità, soprattutto perché in esso la questione dello straniero ha grande rilievo tematico. Il ricorso alla Scrittura non deve comunque essere falsato dal desiderio di trovarvi Lo straniero nella Bibbia file:///C:/Documents and Settings/Utente/Desktop/pietro bovati sj strani... 1 di 26 08/09/2011 21.23

Bovati - Lo Straniero Nella Bibbia

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    Lo straniero nella Bibbia

    di Pietro Bovati, sj

    Il rapporto con lo straniero tema di grande attualit: presente nel dibattitopolitico, spesso drammatizzato dalla cronaca mediatica, ora al centro di vivacidiscussioni. Naturalmente anche le comunit cristiane si sentono provocate adiscernere una situazione non semplice, che facilmente tende a polarizzare ilgiudizio e il comportamento nelle figure estreme dell'accettazione acritica e dellachiusura. Il contributo che qui pubblichiamo, offre significativi punti diriferimento per la riflessione sul tema: padre Pietro Bovati sj, gi docente diEsegesi dell'Antico Testamento presso il Pontificio Istituto Biblico di Roma,interroga l'esperienza di Israele, cercando nella Bibbia quegli elementi chepossano aiutarci a passare dalla paura alla sapienza, di cui avvertiamo unintenso bisogno a tutti i livelli. Per quanto attiene le modalit che dovrebberocaratterizzare il modo di operare dei credenti nei confronti dello straniero puessere utile riprendere seriamente in considerazione le linee operative indicate nel brano del Samaritano e in quel testo del vangelo di Matteo che ha aperto ilcammino quaresimale....

    Se in queste pagine ci dedichiamo a riflettere sullo straniero, perch la realtevocata da questo concetto costituisce ai nostri giorni un serio problema: le ondatemigratorie talvolta pressanti ed estremamente bisognose suscitano sentimenti oppostidi paura e di compassione; e l'uomo di buona volont, anche in veste di legislatore,non sa dare una soddisfacente risposta a questa 'provocazione'. Quando lo stranieroassume l'aspetto di una collettivit numerosa e compatta, esso viene percepito comeuna presenza minacciosa, paragonata all'orda barbarica, che invade, distruggendo ilpatrimonio altrui, abbattendo equilibri gi precari; quando invece si manifesta nellafigura individuale o in entit minime, appare allora il suo aspetto di personaminacciata, potenziale oggetto di sopruso o gi vittima di ingiustizie economiche egiuridiche. I sentimenti opposti di diffidenza e di benevolenza, che talvolta sialternano nelle stesse persone, vanno di pari passo con provvedimenti giuridici cheoscillano da discipline repressive a dispositivi di fattivo rispetto.

    Per passare dalla paura alla sapienza indispensabile far ricorso alla Bibbia; per icredenti questo un testo ispirato e ispiratore, per i non credenti pu comunqueessere considerato come un libro altamente significativo della storia civiledell'umanit, soprattutto perch in esso la questione dello straniero ha grande rilievotematico.

    Il ricorso alla Scrittura non deve comunque essere falsato dal desiderio di trovarvi

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  • delle 'soluzioni' ai nostri problemi, nel senso di leggervi risposte pre-confezionate aiquesiti odierni. La Bibbia non vuole come lettori dei bambini, a cui sarebbesemplicemente chiesto di ripetere quanto scritto e di eseguire alla lettera il suodettato normativo; essa si rivolge invece a degli adulti, che hanno il dovere diinterpretare le potenti suggestioni che vengono dai suoi racconti e dalle sue paginenormative, cos da favorire orizzonti di accoglienza, prima di tutto come aperturamentale e poi come ospitalit nei confronti di chi si presenta, appunto, comestraniero.

    Lo straniero: elementi per unadefinizioneFra i popoli antichi, a nostra conoscenza, Israele stato quello che ha avuto la pi altaconsiderazione della sua peculiarit, della originalit e specificit culturale della suatradizione. E questo non perch la Scrittura - praticamente il solo testo antico cheparla di questo popolo - ne faccia un elogio quale nazione superiore a tutte le altre ounica nei suoi privilegi (in termini classici si direbbe in quanto popolo eletto), maperch la Bibbia ha incentrato essenzialmente ,lo discorso sul significato di questapiccola nazione, della sua assoluta rilevanza nel contesto delle genti e per le gentistesse. Si potrebbe dire che la Scrittura pone la diversit di Israele come valore.Contro i ripetuti e potenti tentativi di assimilazione ideologica e politica, operati dallegrandi potenze (Egitto, Babilonia, Ellenismo, Impero romano), il libro degli Ebreidifende il senso della particolarit di Israele, e ne fa uno stimolo a riconoscere, aproteggere e ad amare colui che nella storia umana si presenta come diverso e comestraniero. Israele quale figura emblematica dello straniero, di fronte alla coscienzadegli uomini: questa l'immagine che la Bibbia vuole comunicare.

    Perch Israele diverso? In che senso diverso? Siamo invitati da queste domande acercare come nel testo sacro viene rappresentata (capita, espressa) la differenza fra ipopoli. Non vi troviamo rigorose definizioni, piuttosto dei tratti, anche complessi, cheaiutano a introdurci nella tematica che ci interessa.

    Ci rifacciamo, in particolare, alla pagina importante di Gen 10, nella quale viene fattauna classificazione organica dell'umanit dopo il diluvio: vediamo qui apparire treelementi che contribuiscono a dare fisionomia particolare a ogni popolo. Questi sono:l'origine genetica (in termini biblici la 'genealogia', o il riferimento al 'padre'), unalingua particolare e un territorio proprio.

    Sappiamo che stilema abituale della lingua ebraica nominare un popolo mediante

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  • l'espressione i figli di (Ammon, Kosh, Israele, ecc.), e in Gen 10 si inizia appuntocon questa la genealogia dei figli di ... ai quali nacquero figli dopo il diluvio (Gen10,1). Naturalmente il lungo elenco che segue fondato sul fatto che, con ilsuccedersi delle generazioni, si opera un processo di continue differenziazioni, checreano un albero genealogico sempre pi complesso.

    In questa stessa pagina di Gen 10 si dice inoltre che i popoli si dispersero sullafaccia della terra (Gen 10,32); questa disseminazione avviene in funzione della linguapropria a ogni popolo e si concretizza nel rapporto con un determinato territorio,come recita il ritornello che conclude, con qualche variante, l'elenco dei trediscendenti di No: lafet, Cam e Sem: questi furono i figli di Seni [ascendenzagenetica] secondo le loro famiglie e le loro lingue [una traduzione pi adatta sarebbe:secondo le loro famiglie linguistiche], nei loro territori secondo i loro popoli [cheequivale a dire: nei territori nazionali] (Gen 10,31; cfr. anche vv. 5 e 20).

    La genealogiaIl primo elemento che secondo la Bibbia differenzia i popoli il fatto di avere undiverso padre: chi discende da Sera presenta delle peculiarit rispetto a chi statogenerato da lafet o da Cam; e poi, fra i figli di Sera, sar diverso chi viene daArpacsad o da Peleg, e cos via. Infatti, per introdurre la storia di Abramo, ilnarratore obbligato a tracciare l'albero genealogico di Sem per mostrare in chemodo si giunge fino al capostipite degli Ebrei (Gen 11,10-30); qui abbiamo lanotazione precisa che la genealogia termina proprio con Abramo poich, avendoquesti una moglie sterile (Gen 11,30), sembra interrompersi la catena genealogica.L'intrigo narrativo prende forma quando risuona la parola divina che promette aquesto uomo di diventare padre di una moltitudine, "padre di popoli" (Gen 12,2;17,4-5).

    Questo modo di rappresentarsi la diversit fra i popoli non ha nessuna pretesa diverit scientifica; intende solo affermare, da una parte, che la diversit fra le nazioni reale, perch di fatto ci sono padri con "nomi" diversi, e quindi ciascuno con la suaidentit particolare, ma, d'altra parte, che tutto riconducibile all'unit. Infatti, veroche Abramo non Nacor, ma tutti e due sono figli di Sem, e questi, al pari di lafet eCam, sono figli di No, unico padre di tutta l'umanit post-diluviana. La stessa cosavale per la discendenza di Adamo. Quindi mentre si prospettano le varie genealogie,si introduce un principio correttivo di una possibile deriva razzista, perch la diversitfra le razze (in ebraico viene usato il termine "seme") non annulla il principio unitario,quel "mono-genismo" che significa la sostanziale fraternit fra gli uomini, e, intermini religiosi, afferma la figliolanza da Dio, che ha fatto l'uomo a propriaimmagine e somiglianza (Gen 1,26-27; 5,1), cos che a sua volta partorisse figli a sua

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  • immagine (Gen 5,3)

    Stupisce, in tale prospettiva, l'assenza del riferimento alla "madre", che in altregenealogie invece menzionata. Si dir che ci il riflesso della mentalit maschilistadegli antichi (Ebrei), ma questa non una spiegazione sufficiente. Sappiamo chel'incertezza biologica della paternit (maschile) ha indotto anzi gli Ebrei a identificareil discendente di Abramo piuttosto a partire dalla madre (semper certa). Ci che va inogni caso rilevato che non si fa solo riferimento a una discendenza biologica, ma alpadre come principio di identit giuridica, come rappresentante della legge e dellareligione. -L'aspetto culturale , nella tradizione antica, espressa dal riferimento alpadre; e con "culturale" intendiamo il riconoscimento legale del figlio, ed anche latrasmissione delle norme giuridiche e religiose. Le "leggi paterne", il "Dio di miopadre" sono espressioni che evocano aspetti importanti di differenziazione fra ipopoli, non quindi di tipo etnico, ma di tipo culturale (in senso lato). Laproblematicit del rapporto fra popoli di diversa ascendenza non viene quindi dasemplice ripugnanza istintiva per "razze" o stirpi diverse, ma dalla viva percezionedella diversit culturale, che richiede talvolta un elevato senso di tolleranza.

    In questa linea di pensiero, come Israele si "differenzia" dagli altri popoli? In chesenso diverso? Non certo per una immaginaria origine biologica diversa. Comeabbiamo gi detto, la genealogia di Abramo lo iscrive nella somiglianza delle genti;ma, di pi, fa parte delle attestazioni di fede del popolo ebraico la memoria del suoprovenire dalle nazioni. Infatti, il testo celebre chiamato dagli esegeti il Credostorico (cio una sintesi narrativa della fede ebraica) fa dire all'Israelita che giunge alsantuario per il rito delle primizie: Mio padre era un arammo errante (Dt 26,5); edEzechiele descrive in termini analoghi la parentela di Gerusalemme: Tu sei - ilprofeta si rivolge direttamente alla citt - per origine e nascita del paese dei Cananei:tuo padre era amorreo e tua madre hittita (Ez 16,3). Israele non sottolinea quindi ledifferenze "esterne" tra s e gli altri popoli; spesso fa piuttosto notare le grandidiversit interne, presentando un popolo nel quale la composizione in varie trib (amotivo di diversi padri e diversi madri) costituisce motivo di difficile coesione. In ognicaso, la particolarit di Israele non viene mai presentata come una superioritgenetica, razziale, alla stregua di certe rappresentazioni mitologiche dell'antichit, percui un popolo si vantava di avere come capostipite un semi-dio, di avere in s quindiqualche goccia di sangue divino (con una supposta vocazione a sottomettere gli altri,a motivo della sua ascendenza privilegiata). Troviamo al contrario la insistitaconsiderazione che Israele un popolo piccolo, diremmo insignificante agli occhidelle genti, ma, proprio per questa sua piccolezza e debolezza, amato dal Signore,dal Dio di suo padre. Basti citare un paio di testi. Dt 7,7-8 recita, per esempio: IlSignore si legato a voi e vi ha scelti, non perch siete pi numerosi di tutti gli altripopoli - siete infatti il pi piccolo di tutti i popoli-, ma perch il Signore vi ama eperch ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri padri, il Signore vi ha fatti

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  • uscire con mano potente e vi ha riscattati liberandovi dalla condizione servile, dallamano del faraone, re di Egitto: l'elezione e il privilegio di Israele (cfr. vc 6) vannoquindi pensati nell'articolazione tra la piccolezza del popolo e l'amore gratuito delSignore. Anche nel racconto dell'Esodo questa prospettiva emblematica per lacomprensione della liberazione dalla schiavit egiziana; parlando a Mos il Signore glirivela: Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio diGiacobbe E...]. Ho osservato la miseria del mio popolo [...], sono sceso per liberarlodalla mano dell'Egitto (Es 3,6.8; cfr. anche vv. 15-16).

    Vediamo allora apparire una particolarit significativa. Israele no popolo diversonon per la sua razza, ma per il riferimento a un padre che stato amato da Dio, unpadre errante, sofferente, schiavo, ma liberato ed esaltato dal Signore. Resistendo allepressioni da parte di molte entit etniche e politiche che volevano assimilare leminoranze, il minuscolo popolo di Israele si far carico di essere il simbolo concretodi questa verit, che Dio ama il piccolo, beneficandolo in modo straordinario. Israele,nella sua carne concreta, sar diverso da tutti, perch testimone privilegiato del Nomedel Signore e della sua azione nella storia, azione che ha come paradigma laglorificazione dellumile.

    La linguaL'esperienza della pluralit degli idiomi frequentemente ricordata nella Bibbia; inparticolare tematizzata dal racconto - che intende essere eziologico - dellacostruzione della citt di Babele, da cui consegue, per intervento divino, la confusionedelle lingue della terra. Qualcuno pu anche pensare che questa variet espressivacostituisca un evento positivo di ricchezza culturale, ma la Scrittura vi vede invece unelemento problematico. Concepito come freno a progetti di unificazione presuntuosi eprobabilmente blasfemi (Gen 11,6-7), il fenomeno della molteplicit linguistica percepito come un impedimento grave alla comunicazione e quindi alla concordia.

    Tutti noi, una volta o l'altra, abbiamo fatto l'esperienza sofferta di questa differenzalinguistica; pi che quando vediamo un volto con tratti somatici dissimili dai nostri,proviamo disagio quando ci troviamo di fronte a qualcuno che si esprime in modo pernoi incomprensibile (diciamo che parla turco, arabo, cinese... per dire che non si facapire, che ci estraneo); a partire da una lingua che risulta ermetica si tende poi adefinire barbaro chi cos si esprime. Quando infatti qualcuno, di razza diversa, parla(bene) la nostra lingua, noi lo riteniamo uno di casa, uno dei nostri; se invece unconcittadino parla una lingua diversa, risulta difficile riconoscergli una pienaappartenenza alla nostra comunit. In questa linea si capisce perch una delle minaccegravi che i profeti rivolgono a Israele quella di essere invasi da un popolo dallalingua sconosciuta, con il quale non si pu discutere e trovare intese (Is 33,19; Ger5,15).

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  • La lingua propria di un gruppo umano uno degli elementi pi significativi per la suaidentificazione e per la sua identit. La forza di questo elemento manifestata dalperdurare delle lingue particolari, anche sotto forme dialettali, che hanno resistito eresistono a potentissime forze di assimilazione linguistica. Basti pensare, nell'antichit,alla diffusione invasiva dell'aramaico, e poi del greco e del latino, e oggi dell'inglese;ma, nonostante questa straordinaria pressione colonizzatrice, persiste il fenomenodelle lingue particolari, perch ogni idioma un modo di 'parlare', di rappresentarecio il mondo e se stessi. Una lingua in realt il primo veicolo di una tradizioneculturale; ci che consente di esprimersi 'veramente' la lingua materna, la lingua deipadri, fatta non solo di suoni e tegole grammaticali, ma veicolo di simboli e proverbi,di poesie, racconti, canzoni. Private qualcuno della sua lingua materna, pretendendodi renderlo acculturato e pi disponibile allo scambio internazionale, quindi un attodi violenza, perch come tagliargli le radici della sua stessa parola e quindi della suaidentit.

    La considerazione statica della pluralit linguistica produce l'idea di unaframmentazione dell'umanit, costituita da blocchi isolati, quasi fossero una serie dimonadi incomunicabili fra loro. Le barriere linguistiche appaiono infatti talvolta piinsormontabili delle montagne che segnano i confini fra gli stati. Ma la realt non cos, perch esistono gli uomini ponte, perch gruppi umani oltrepassano le frontierelinguistiche e si fanno carico di mettere in relazione popoli diversi, o perch qualcunosi mette con pazienza a imparare il modo di esprimersi dell'altro, cos da farloproprio. Nasce cos il fenomeno della 'traduzione', che come trasportare unmateriale per collocarlo in forme diverse; e nasce il mestiere dell'interprete, di coluiche capace di far da mediatore fra due culture, perch partecipe di entrambe.L'interprete , pur nell'imperfezione del suo statuto, il segno di un incontro possibiletra individui, gruppi, popoli che non si intendono.

    Se applichiamo queste rapide considerazioni al popolo ebraico, naturale che questiabbia una sua lingua propria, con una sua specifica letteratura consegnata appunto neltesto della Scrittura. Al di l di scarsissimi reperti epigrafici e di qualche testoletterario trovato a Qumran, la totalit della lingua ebraica antica attestata nellaBibbia; e questo ci fa pensare che la cultura ebraica, ci che Israele lascia quindicome eredit al mondo, una cultura religiosa, un'interpretazione della storia fattaalla luce di quel Dio che si rivelato in questo popolo particolare.

    Non c' per l'idea, espressione di ingenuo fondamentalismo, che solo in ebraico sipossa conoscere Dio e la sua verit; la lingua Antico Testamento certo l'ebraico, ed questo un patrimonio da custodire con amore per accedere a una pi fedelerivelazione del Signore. Ma gi nella Bibbia antica alcuni libri sono stati parzialmentescritti in aramaico (come Daniele, Ester, Ezra, ecc.); esiste inoltre il PentateucoSamaritano, che una differente tradizione testuale rispetto a quella ebraica, evennero quindi prodotti i Targumim (aramaici), motivati, a quanto pare, dalla nuova

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  • situazione linguistica determinatasi a Babilonia fra i deportati e probabilmente anchein Giudea (cfr. Ne 8,1-8). In seguito il greco a diventare 'parte' della tradizionebiblica, anzitutto con la traduzione integrale del testo canonico (tra cui anche iSiracide, solo da poco riscoperto nella lingua ebraica), e poi con la creazione di nuovilibri (come il libro della Sapienza, Giuditta, Tobia), o aggiunte (come nel libro diEster). Fino ad arrivare al Nuovo Testamento, dove si opera una svolta, non di rigettodelle tradizioni antiche, ma di assunzione di un nuovo veicolo linguistico, il greco, cherappresentava l'apertura voluta di un messaggio esteso potenzialmente a tutte le genti.

    Rispettare la particolarit linguistica del popolo ebraico (e analogamente di ognipopolo) non equivale dunque alla difesa a oltranza del suo patrimonio linguistico,consiste piuttosto nel riconoscergli la capacit di dire qualcosa di molto specifico, apartire da questa stessa lingua (della quale fra l'altro, non si fa l'encomio).L'individualit di un popolo nella sua capacit di comunicare il suo specifico tesorospirituale, nelle modalit proprie del suo universo linguistico.

    Il territorioLe frontiere naturali, spesso consacrate (legalizzate) da trattati internazionali, sono dasempre ci che consente a un popolo di preservare la sua identit, di porsi quindicome diverso rispetto al vicino. L'omogeneit interna, sia etnica sia culturale, favorita se il paese risulta di piccole dimensioni, marginale e non particolarmenteattraente. Merita che venga sottolineato il vantaggio che proviene da condizioniapparentemente sfavorevoli; infatti, un territorio ampio e fertile, oppure nevralgicodal punto di vista strategico, non pu che essere sottoposto a vari fenomeni diinvasione, cio dall'attraversamento violento delle frontiere o addirittura da mutamentinei suoi confini. L'invasione prende la forma della migrazione (di gruppi isolatioppure di intere popolazioni), che sono per lo pi dettate da ragioni economiche,oppure assume la forma della conquista militare, con un nuovo assetto di naturapolitica, che spesso comporta alterazioni nell'equilibrio demografico (con deportazionie insediamenti) e quindi un profondo mutamento anche culturale, che pu mettereradicalmente in questione l'originalit (la diversit) di un determinato popolo.

    La storia, dall'antichit ai nostri giorni, mostra che le frontiere sono in realtestremamente fluide e non sempre significative; capita che i confini separino gruppiaffini e, viceversa, uniscano entit umane disomogenee. Il progetto unificatore deigrandi imperi ha sempre avuto come modello ideale l'allargamento e persinol'abolizione delle frontiere, cos che la variet dei popoli all'interno potesse percepirsicome portatrice di identit a motivo del confronto con i 'diversi' (e quindi nemici) chestanno al di fuori: l'identit qui puramente oppositiva (non propositiva) ed spessomenzognera. La realt delle 'province' comunque talmente forte da costituire unpermanente fattore sovversivo, che produce inarrestabili movimenti di indipendenza,

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  • in ordine a dare forma autonoma alle entit locali.

    Israele, popolo in se stesso molteplice (costituito da dodici trib e di etnie di varianatura), ma caratterizzato da una profonda consapevolezza della sua propria identit edifferenza dagli altri, si stanziato in un piccolo territorio, non certo prestigioso; lacollocazione generale chiara, ma le sue frontiere non sono mai state ben delimitate.I passi biblici che forniscono i limiti estremi del paese rivendicato da Israele orappresentano dichiarazioni utopiche (dall'Eufrate all'Egitto) oppure presentano daticontrastanti. La realt storica fu probabilmente complicata, con regioni perifericheconquistate e poi perse, con rivendicazioni puramente nominali, con frontiere interne(tra il Regno di Samaria e quello di Giuda) probabilmente pi stabili di quelle con iregni circostanti. Se vero allora che tutta la tradizione biblica collega il popoloebraico con una terra, chiamata terra di Canaan (il nome designa i precedentiabitanti), vero anche che questo paese non ha una chiara delimitazione geografica; esoprattutto si deve ricordare che questo medesimo popolo si riconosciuto comespeciale e diverso dagli altri anche senza configurazione territoriale, nella suacondizione di immigrato (in Egitto) e in quella di deportato o profugo (a Babilonia enella diaspora). Il rapporto alla terra, pur cos importante anche nel quadro dellapromessa divina, non sembra in realt decisivo, non risulta indispensabile per ladefinizione di Israele. Israele straniero per gli altri popoli, dovunque esso sia.

    Dalle considerazioni fatte finora siamo indotti a formulare un principio generale: visono dementi oggettivi che portano a qualificare un popolo come 'diverso'; manessuno ditali elementi decisivo per la definizione dello 'straniero. In una formula,volutamente provocatoria, diremmo che il diverso stesso, popolo o individuo chesia, a dichiararsi diverso, lo straniero a proclamarsi straniero. Non sono infatti lecaratteristiche genetiche (il padre comune), n il patrimonio culturale (la lingua), nuna determinata porzione territoriale (chiamata patria) a definire con certezza ilcittadino c/o lo straniero, anche se ognuno di questi elementi pu occasionalmentecontribuirvi. Quello che decisivo il vissuto di ognuno, ci che urta persona, ungruppo, un popolo percepisce di se stesso, e che si manifesta proprio nellacomunicazione, nell'atto attraverso il quale il 'diverso' si esprime nella sua naturaparticolare. Ricordo che un giorno un ebreo, convinto della impossibilit di definire lostatuto del suo popolo in base a caratteristiche genetiche, culturali o religiose, mi dissecandidamente: l'Ebreo quello che gli altri dicono che Ebreo. Io rovescio laprospettiva, e dico che l'Ebreo quello che si dice Ebreo (e questa figura pu essereestesa analogicamente anche ad altri gruppi o nazioni), e dicendolo chiede di essereascoltato nella sua individualit, nella sua diversit. Diversit e ascolto (quest'ultima la prima forma di accoglienza) costituiscono un binomio fondamentale per unacorretta antropologia anche in campo sociologico; l'ascolto indispensabile, perchnessuno sa cosa sia il diverso se non si lascia istruite, se non accoglie quello chel'altro, nella sua inassimilabile alterit, vuole manifestare.

    Lo straniero si rivela, per questo figura di Dio stesso. Israele, cosciente della sua

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  • particolarit, parla quindi agli altri di se stesso: questa la Scrittura, che andiamo aleggete per imparare ad accogliete lo straniero.

    Israele non parla per denigrare gli altri popoli. Certo, nella Bibbia vi sono testi dicondanna delle nazioni, ma non pi numerosi n pi severi di quelli che denunciano icrimini di Israele e lo minacciano. Anzi, non mancano figure di 'stranieri' che latradizione vetero-testamentana apprezza come giusti; basti citare i nomi diMelchisedeq, Balaam, Rut, Naaman, Ebed-Melech, Achior, Ciro, ecc. Se poiricorriamo al Nuovo Testamento l'atteggiamento di Ges nei confronti dei Samaritanie dei pagani (come la Cananea o come il Centurione romano di cui ha lodato la fede)ha dato il via a un progressivo riconoscimento, da parte della comunit apostolica, dicoloro che, pur non essendo ebrei, erano chiamati a formare un solo popolo, unavolta abbattuto dal Cristo il muro di separazione, l'inimicizia, frapposto fra Ebrei enazioni (Ef 2,14).

    Certo, si deve riconoscere che certe pagine dell'Antico Testamento, provenientidall'esperienza dell'esilio (frutto quindi della sofferta convivenza con lo straniero),hanno accentuato ed esasperato la separazione degli Ebrei dal resto delle genti,mediante una interpretazione del-concetto di 'santit' che si traduceva in disciplineesteriori di vistosa estraneit al mondo. L'intenzione del teologo e del legislatore dimarca sacerdotale era di preservare la peculiarit di quel popolo, che era 'speciale',non perch avesse un diverso modo di mangiare e di vestirsi, ma aveva talicomportamenti per ricordarsi che era santo, per la perfezione della fede e laesemplare obbedienza alla legge del suo Dio. II Nuovo Testamento, portando acompimento l'Antico, avr una analoga insistenza sul fatto che i Cristiani, pur essendonel mondo, non sono del mondo; tuttavia, invece di accentuare gli aspettidiscriminatori in campo sociologico e culturale, la comunit cristiana ha promossouna coraggiosa 'rivelazione' di s agli altri, facendosi ebrea con gli Ebrei e pagana coni pagani, cos da

    rendere tutti partecipi della medesima benedizione, nella diversit propria a ognuno, enella perfetta comunione della riconciliazione.

    Israele e la sua memoria di migrante

    Lo straniero si rivela, e Israele parla di s facendo memoria della sua storia. Non quindi la separatezza, la gestione protettiva del proprio privilegio a definire Israele,ma l'atto del farsi conoscere, in parole e gesti, agli altri: perch in questacomunicazione Israele rivela il suo Dio, che il Dio per tutti. Il racconto la primamodalit della rivelazione biblica, nella quale Israele locutore e protagonista.

    Israele racconta, parla di s come di qualcuno che va incontro agli altri cercandoaccoglienza. La narrazione originaria infatti, quella che definisce l'essenza di questopopolo, verte sulla figura di Abramo, il migrante per eccellenza. Quando l'Israelita

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  • dice mio padre Abramo non evoca solo un fatto del passato, superato econtrapposto al presente, ma dice qualcosa che lo definisce, che ne spiega lo statutoessenziale (di figlio di Abramo). E infatti caratteristica di questo popolo non solo diavere prodotto una storia (ideale) delle sue origini, ma di essere chiamato a farnecostante memoria per capire la sua propria natura e in questo aiutare gli altri.

    Il racconto del migrante

    La storia di Abramo (e analogamente quella degli altri patriarchi, quindi quella diIsacco, di Giacobbe e anche di Giuseppe) si contrappone alla visione statica di Gen10, illustrata in precedenza, che prospetta una distribuzione dei popoli confinaticiascuno nel suo territorio; ma si contrappone anche alla modalit narrata in Gen 11,quella che parla di un tentativo di unificare tutte le genti in una sola citt, Babele. Lastoria di Abramo, infatti, una traversata delle frontiere, da una terra a un'altra, senzacogenti motivazioni economiche o politiche, senz'altra ragione che quella di assumerecoscientemente lo statuto dell'immigrato come la forma rivelatoria della benedizione.E questo il concetto che vogliamo ora illustrare.

    Abramo parte da Ur dei Caldei, in Mesopotamia. La migrazione, dice il testo biblico,era iniziata con suo padre, Terach, che si era portato fino a Carran, con l'intenzione direcarsi nel paese di Canaan (Gen 11,31). Alla morte del padre, Abramo ha unarivelazione (Gen 12,1-3), sente che il Signore gli parla, ingiungendogli di assumereconsapevolmente la condizione del migrante (vattene dal tuo paese, dalla tua patria[...] verso il paese che io ti indicher: Gen 12,1). Non vengono date motivazioni perquesta decisione. Certamente non si tratta di una spedizione di conquista, anche seAbramo - come risulta da Gen 14 - capace di dare battaglia e di procurarsi un largobottino. Non vengono nemmeno esplicitate o insinuate ragioni di ordine economico:non si parla di carestia (come avverr in seguito per il suo soggiorno in Egitto: Gen12,10), n della ricerca di lavoro o di maggiore benessere in una terra pi ricca (laMesopotamia sarebbe, al contrario, un paese pi prospero); Abramo d'altrondericco in bestiame e oro (Gen 13,2), e la pastorizia, pur esigendo un certo nomadismo,non obbligava certo a spostarsi in un paese lontano. La tradizione interpretativa(posteriore) dir che Abramo ha lasciato Ur dei Caldei per sottrarsi all'idolatria eseguire l'unico vero Dio; ma chiaro che questa spiegazione poco soddisfacente,perch il patriarca lascia una terra idolatrica per andare in un paese altrettantoidolatrico (cfr. Gs 24,14-15): nel paese si trovavano allora i Cananei (Gen 12,6).L'opzione religiosa senza dubbio significativa, ma va correttamente compresa:assumendo, per vocazione - cio come dono e obbligo al tempo stesso -, lo statutodel migrante, Abramo si metteva sotto la protezione dei Signore (YHWH), il Dio deimigranti, che diventava cos il suo Dio.

    Questa condizione non esclusiva del capostipite; come abbiamo detto, essa tipicadei patriarchi, che non hanno mai cessato di spostarsi, facendo soggiorni anche in

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  • Egitto, in terra filistea e presso gli Aramei. Tutti i discendenti di Giacobbe finisconopoi in Egitto, vivendovi da immigrati per, una durata di 430 anni (Es 12,40). Quandola Scrittura dice che l'Ebreo conosce l'anima dell'immigrato (Es 23,9) fariferimento appunto a questa esperienza, prolungata e fondatrice, che costituisce unaspecie di memoria genetica della stirpe, ma soprattutto una memoria dal valorespirituale: il cuore ebraico ha un'attenzione spontanea e privilegiata per chi minacciato nel suo diritto di esistenza e nella sua dignit di uomo.

    Lo statuto dell'immigrato

    Mio padre era un Arameo errante; scese in Egitto, vi soggiorn come immigrato conpoca gente e vi divent una nazione grande, forte e numerosa (Dt 26,5). Da questacelebre frase del Deuteronomio risulta come sia improprio parlare degli antichi Ebreicome dei nomadi che, per ragioni di lavoro, si spostano in varie localit; il testobiblico dice che essi si fissano invece in una determinata terra, chiedendo agliautoctoni un posto dove collocarsi (agli Ebrei in Egitto viene assegnato il paese diGoshen, Abramo si stanzia vicino a Ebron, e cos via). In questo modo viene a crearsiuna precisa relazione fra i diversi gruppi umani che risiedono nel medesimo luogo:Israele non pi semplicemente un popolo straniero (in ebraico nokri), che passa inun territorio per scopi commerciali o altre necessit contingenti; Israele invece unpopolo che ha lo statuto dell'immigrato o forestiero (in ebraico ger), che gode direlativa stabilit, dipendente dall'accoglienza o meno del gruppo che io ospita, dallepossibilit che gli vengono accordate di stabilirsi in mezzo alla popolazione residente.E naturale percepire questa situazione come problematica; chi arriva in un paese perrestarvi pu creare difficolt.

    Si soliti affermare, con tono nostalgico, che nell'antichit (presso gli antichi, nell'etdell'oro, ai bei tempi) l'ospitalit era sacra, espressione di un valore umanocomunemente recepito, frutto di una solidariet universale favorita dal bisogno diaiuto reciproco per sopravvivere in una natura ostile. Questa visione irenica delmondo antico per smentita da molti episodi narrati dalla Bibbia (e che possonotrovare riscontro anche in altre tradizioni culturali). Se ripercorriamo la storia delleorigini di Israele noi vediamo che i patriarchi sono frequentemente minacciati; invecedi essere accolti con rispetto, a essi viene fatta violenza. Un caso tipico quello del relocale che, vedendo la bellezza di Sara o di Rebecca, se la prende (Gen 12,11-20;26,114); sappiamo che Abramo fa passare Sara per sua sorella, e cos Isacco conRebecca, ma entrambi lo fanno... per non essere uccisi (Gen 12,12; 26,7), e questo un segno evidente che, in Canaan, non esiste affatto un consolidato rispetto per lostraniero. Qualcosa di analogo avviene a proposito dei pozzi (si noti che la moglie e ilpozzo costituiscono elementi fondamentali per la vita, per il futuro): gli immigratiscavano pozzi, ma vengono poi scacciati dai residenti che usurpano il lavoro altrui(Gen 21,25; 26,15-25), dicendo: l'acqua nostra (Gen 26,20).

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  • Emblema celeberrimo della non accoglienza nella storia patriarcale la citt diSodoma (e Gomorra). La storia raccontata in Gen 19 illustra la tragedia della citt cheviene maledetta perch rifiuta l'ospitalit alla gente che intende passarvi una notte:l'omosessualit, che pure vi denunciata, solo uno degli aspetti del sopruso attuatonei confronti del diverso, di colui che non cittadino, con una violenza che va finoalla volont di uccidere.

    E la medesima realt si ripete con i figli di Israele in Egitto; la Bibbia dice che gliEbrei, pur immigrati l da molti anni, mantengono uno statuto di grande precariet:sono costretti ai lavori forzati, subiscono misure repressive e umilianti, sono sottopostia decreti pubblici di sterminio.

    Questa esperienza, terribile, di essere in balia del re (dell'autorit) del posto, diventeril vissuto costante dell'Ebreo nella diaspora. Di questo fanno memoria certi raccontitardivi, come quelli del libro di Ester {Assuero decreta lo sterminio degli Ebrei intutto il suo regno (Est 3,8-9)], di Tobia [che per il fatto che seppellisce i suoi fratelliebrei uccisi e lasciati per strada, subisce la confisca dei beni (Tb 1,1720)], oppure diDaniele [che narra dei tre giovani gettati nella fornace ardente per non essersisottomessi alla legge religiosa del re pagano (Dan 3,8-23)], e di Daniele condannatoalla fossa dei leoni per lo stesso motivo (6,1-17)].

    Abramo, e al suo seguito il popolo dei figli di Abramo, ha assunto questa difficilecondizione, diventando la figura tipica dell'immigrato, non solo per nel suo latosofferente, ma anche nel suo risvolto benedicente. Ad Abramo il Signore promise:render grande il tuo nome e diventerai una benedizione; benedir coloro che tibenediranno e coloro che ti malediranno maledir, e in te si diranno benedette tutte lefamiglie della terra (Gen 12,3; cfr. anche Gen 18,18; 22,18; 28,14). Il benedettodiventa colui che porta a tutti la benedizione. Questa promessa si realizza veramentese l'emigrante mantiene, nei confronti del popolo presso cui dimora, un atteggiamentodi benevolenza, nonostante la diversit della cultura, e soprattutto nonostante leminacce o i soprusi di cui vittima.

    Abramo non combatte contro Sodoma, non la maledice; al contrario, cosciente delladisgrazia che pesa sulla citt peccatrice, diventa intercessore per lei, perch, se vi ungerme, anche piccolo, di giustizia, tutta la comunit venga salvata (Gen 18,22-33).Giacobbe pi volte ingannato da Labano presso cui andato a stabilirsi, ma noncessa di badare al gregge del padrone con grande diligenza, arricchendolo con le suefatiche (Gen 31,38-42). Giuseppe, schiavo degli Egiziani, incarcerato per una falsaaccusa, mette a frutto il dono di sapienza che lo contraddistingue per fare il bene delFaraone e del suo popolo (Gen 41,1-49). Mardocheo, figlio dei deportati a Babilonia,salva il re da un complotto (Est 1,1m-p); e cos via. Paradossalmente, la figura pibella dell'emigrante che dimostra affetto per il popolo che lo accoglie non per un

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  • israelita, invece Rut, la Moabita, che per amore si lega indissolubilmente a unafamiglia di Ebrei, con una fedelt commovente; la sua dichiarazione alla suoceraNoemi che la invitava a ritornare nel suo paese dopo la morte dei marito, stupenda:

    Non insistere con me perch ti abbandoni e torni indietro senza dite; perch doveandrai tu andr anch'io; dove ti fermerai mi fermer; il tuo popolo sar il mio popoloe il tuo Dio sar il mio Dio; dove morirai tu, morir anch'io e vi sar sepolta. IlSignore mi punisca come vuole, se altra cosa che la morte mi separer da te. (Rt1,16-17)

    Sappiamo che questo amore di Rut per la gente di Israele la render madre di Obed,l'antenato di Davide, il Messia salvatore di Israele.

    Quando avviene l'incontro, nella reciproca benevolenza, si manifesta la vita. Questa la promessa, di cui garante il Dio di Israele, di cui Israele, fin dalle sue origini, testimone. Anche Abramo, l'immigrato benevolo, si dimostrato ospitale, quando,vedendo tre uomini presso la sua tenda, ha mobilitato tutta la sua famiglia per riceveredegnamente i viandanti (Gen 18,1-8). Il racconto dice che questo gesto stato illuogo di una promessa straordinaria, impossibile: Torner da te fra un anno a questadata e allora Sara, tua moglie, avr un figlio (Gen 18,10). Il significato del racconto questo: la sterilit vinta nell'accoglienza, chi accolto come bisognoso porta inrealt la vita.

    La legge a favore dell'immigrato

    Il racconto biblico dice il senso che il lettore chiamato ad assumere, credendo allaverit attestata dalla storia. Se uno crede, diventa figlio di Abramo.

    Ma la fede diventa operante e fattiva per mezzo della Legge, per mezzodell'obbedienza a norme che incarnano la benevolenza verso chi, venendo comestraniero, ricevuto come ospite, quale segno della presenza stessa di Dio nellavicenda umana: ero forestiero e mi avete ospitato (Mt 25,35).

    Parliamo qui della Legge di Mos, che concretizza per il popolo di Israele i valori dicui esso portatore a motivo proprio della sua storia di migrante. Le osservazioni chefaremo non hanno altra pretesa che suggerire degli spunti, utili per mettere in moto lanostra creativa saggezza: l'attenzione e il rispetto per l'immigrato non puaccontentarsi di una generica disposizione di simpatia, ma deve diventare sostanza,anche legale, del vivere civile, se vuole essere fedele al messaggio biblico.

    La legislazione biblica si esprime in una pluralit di norme, distribuite in tre Codiciprincipali (Es 20-23; Lev 17-26; Dt 12-26), che si differenziano fra loro non per lamateria, ma per l'epoca in cui furono redatti e di conseguenza per il taglio con cuiformulano e organizzano le singole prescrizioni. L'Antico Testamento mostra infatti,

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  • anche in altre pagine del Pentateuco, un'incessante attivit legislativa, che lungo isecoli, ha rivisto le medesime questioni, adattando e perfezionando la normativa. Sipu dire allora che la legge biblica viene presentata come emanata direttamente daDio, che comunica a Mos i suoi decreti; e ci significa che la Legge ha un'origine eun fondamento intrinsecamente sapiente e benefico. D'altra parte, il medesimo testoporta le tracce chiare dell'umana mediazione; si pu dire allora che le leggi vengonodall'esperienza umana, e questo in duplice senso: sono in primo luogo il frutto dellamemoria del passato, anzi di ci che venne vissuto nei momenti fondatori e quiIsraele traduce la sua acuta sensibilit a favore dei deboli e in particolaredell'immigrato, fondandola sui ricordo della schiavit egiziana-; d'altra parte, le leggipromanano dalla esperienza quotidiana, dal discernimento attento sull'utilit o menodi determinate prescrizioni, dalla constatazione della loro ambiguit, della derivainterpretativa che ne altera lo spirito, per cui necessitano costantemente di una nuovaveste, pi adatta a esprimerne il valore.

    La legge biblica, nei suoi precetti talvolta anche minuziosi e apparentementeinsignificanti, comunque sempre una direttiva 'aperta', nel senso che essa non vasemplicemente eseguita alla lettera, ma va capita, interpretata e applicata nel contestoe nei modi opportuni. I nostri Codici e le nostre procedure tendono a precisare gliobblighi in senso minimale, limitano quindi la libert del cittadino solo in funzione diun diritto ben preciso che vi si contrappone; la legge biblica invece un dispositivosapienziale, che intende favorire la massima disponibilit verso il bene, e, per laquestione che ci interessa, prospetta una totale attenzione alla questionedell'immigrato. Questo lo spirito della Legge, che osa parlare di amore per ilforestiero. E stupefacente il fatto che nell'Antico Testamento troviamo una sola voltail comando: amerai il tuo prossimo come te stesso (Lev 19,18), dove perprossimo, si intende chiaramente il fratello (v. 17), il figlio del tuo popolo (v.18) ; il comando di amare l'immigrato invece attestato in due diversi passi, chemeritano di essere citati a motivo anche del contesto teologicamente rilevante:

    Il Signore vostro Dio il Dio degli di, il Signore dei signori, il Dio grande, forte eterribile, che non usa parzialit e non accetta regali, rende giustizia all'orfano e allavedova, ama il forestiero e gli d pane e vestito. Amate dunque il forestiero, poichanche voi foste forestieri nel paese d'Egitto. (Dt 10,17-19)

    Come si vede, l'amore dell'israelita per l'immigrato imitazione di ci che Dio fa pertutti i forestieri (cfr. Sal 146,9) e in particolare per Israele.

    Quando un forestiero dimorer presso di voi nel vostro paese, non gli farete torto. Ilforestiero dimorante fra di voi lo tratterete come colui che nato fra di voi; tu loamerai come te stesso, perch anche voi siete stati forestieri nel paese d'Egitto. Iosono il Signore, vostro Dio. (Lev 19,33-34)

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  • Nello stesso capitolo in cui si invita all'amore per il prossimo (v. 18), si fa questastraordinaria assimilazione tra cittadino e forestiero, tra l'altro e se stessi. In questatradizione talmente consolidata l'attenzione rispettosa per l'immigrato che -rovesciando il punto di vista abituale - essa diventa la misura con cui trattare chiunquesia in difficolt, fosse questo un fratello; dice infatti il Levitico:

    Se il tuo fratello che presso dite cade in miseria ed privo di mezzi, aiutalo, comeun forestiero e inquilino, perch possa vivere presso di te. (Lev 25,35)

    Questo spirito di amore per il forestiero si concretizza in dispositivi legali, chepresentiamo brevemente, raggruppandoli in tre rubriche principali: la prima ingloba iprovvedimenti di natura squisitamente economica, la seconda riguarda invece gliaspetti di salvaguardia giuridica dei diritti dell'immigrato, e la terza infine tocca la suaintegrazione nella comunit civile e religiosa di Israele.

    Provvedimenti in campo economico

    L'immigrato, nella Legge di Israele, sempre considerato fra le categorie di personeeconomicamente sfavorite, menzionato spesso accinto alla vedova e all'orfano (prividi sostentamento e di tutela) e al Levia (il funzionario cultuale che, privo di terreni,vive sostanzialmente dell'assistenza pubblica). Certo, possibile che anche unimmigrato si arricchisca (Lev 25,47), ma la condizione abituale del forestiero quelladi una persona costretta a lavori umili, saltuari, scarsamente retribuiti, a professionicome quella del manovale, del bracciante, del facchino. Merita comunque di esseresottolineato il fatto che, inserendo il forestiero in una lista nella quale ci sono anche ipoveri del popolo ebraico, ii legislatore mette gi, in qualche modo, sullo stesso pianotutti gli indigenti che si trovano nel paese, considerandoli portatori di un medesimodiritto soggettivo: lo straniero, su questo punto, come uno di casa, l'altro come testesso.

    La Legge di Israele non raccomanda l'elemosina, pratica tradizionale del mondoantico e moderno a favore dei poveri, e certo non assente dal costume ebraico: ne famenzione Tobia (Tb 1,16), e nei testi del Nuovo Testamento se ne parla come di unaprassi comune. Il Pentateuco chiede piuttosto che la compassione verso la poveragente prenda forme pi organiche, meno occasionali, e salvi la dignit di colui che bisognoso. Tre sono i modi con cui il ricco chiamato a venire in aiuto del forestiero(indigente).

    Le regole del raccolto. I proventi dei campi sono la prima e pi fondamentaleforma di ricchezza, a nostro avviso da interpretare come metafora di tutto ci che si'raccoglie' come frutto del proprio lavoro e della benedizione divina: la Legge ebraicadomanda che essi non siano totalmente accaparrati dal proprietario dei terreni, mache una parte venga lasciata, come dimenticata, nel campo stesso, e quindi a

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  • disposizione dei poveri e specificamente degli immigrati. Quando mieti, dice infatti ilprecetto biblico, non preoccuparti di prendere tutto, e non tornare indietro aspigolare; la stessa cosa va fatta anche per la raccolta delle olive e per la vendemmia(Dt 24,19-22; Lev 19,10; 23,22). Si tratta, per chi sa leggere e interpretare, di unanorma di straordinario valore simbolico. Presa alla lettera, la prescrizione pusembrare meschina nei confronti del proprietario (l'immagine negata sarebbe quello diun avaro che mette via anche le poche spighe cadute da un covone) e offensiva per ilpovero (quasi fosse un animale a cui sono lasciati i resti del pasto del ricco); macorrettamente interpretata essa significa che la benedizione che Dio ha accordato alpossidente deve ricadere, senza degnazioni, e con 'discrezione' anche sui poveri, conun gesto di condivisione aperto, lasciato all'iniziativa del ricco, alla sua capacit diaprire le mani per far cadere la benedizione sugli altri. La legge dice che c' un'margine' di guadagno che deve essere lasciato ai poveri, come insegna appunto ilprecetto di Lev 19,9-10, che citiamo:

    Quando mieterete la messe della vostra terra, non mieterete fino ai margini delcampo, n raccoglierete ci che resta da spigolare della messe; quanto alla tua vigna,non coglierai i racimoli e non raccoglierai gli acini caduti; li lascerai per il povero eper il forestiero.

    La regola, per noi piuttosto strana e forse difficilmente paticabile, dell'anno sabbaticodella terra un altro dei provvedimenti concreti, non senza valore simbolico, previstie imposti dalla Legge ebraica a favore degli indigenti. Viene prescritto che ogni setteanni la terra si riposi ( un'estensione quindi del riposo umano settimanale), nonvenga seminata n lavorata, ma sia lasciata produrre i frutti 'spontanei', i quali sarannoa disposizione di tutti, del proprietario e dei poveri, del cittadino e del forestiero (Es23,10-11; Lev 25,17). Al di l dell'efficacia pratica di tale provvedimento, resta ilvalore simbolico del 'mettere a disposizione' ci che si possiede, favorendo cos ilsenso di uguaglianza fra tutti, di fratellanza nel godimento dei frutti che Dio facrescere senza lo sforzo umano.

    Le regole della distribuzione del reddito. Il libro del Deuteronomio, il pi attento allacondizione dei deboli e il pi sensibile allo statuto dell'immigrato, va oltre la disciplinadella condivisione nel momento del raccolto. Immagina che il proprietario abbiaadesso in casa sua, nei suoi depositi, il frutto della terra e del suo lavoro; su questobene, che suo, il legislatore, a nome del Dio dei poveri, interviene per dischiuderesuccessive piste di condivisione.

    La legge delle primizie (Dt 26,1-11), a conclusione del Codice, dice che i primiproventi della terra devono essere messi in una cesta e portati dal sacerdote, cos daessere poi distribuiti al levita e al forestiero (v. 11). Solo se si capisce il valoreaccordato alle primizie, si pu capire quanto sia importante e coraggiosa questanorma: si chiede infatti all'erede della promessa di condividere con lo straniero i

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  • migliori prodotti della terra, i quali, nel momento in cui sono raccolti e distribuiti,sono gli unici a disposizione, dato che una qualche disgrazia potrebbe distruggere ilsuccessivo raccolto. Il povero immigrato non dunque colui che deve accontentarsidei resti lasciati nei campi, egli viene 'servito' con le prelibatezze che danno gioia esperanza ai proprietari ricchi.

    C' poi la legge della decima, che una decurtazione del prodotto finale, dato che ditutto ci che stato raccolto, una parte significativa deve essere destinata ai poveri.Annualmente la decima assegnata ai leviti (Di' 14,22-27), per il funzionamento delsistema cultuale e per il mantenimento dei funzionari che hanno il compito diricordare che il Signore il Dio dei poveri. Una decima speciale si raccoglie inveceogni tre anni, con una destinazione pi ampia, e cio per il levita, il forestiero,l'orfano e la vedova (Dt 14,28-29 e 26,12-13; cfr. anche Tb 1,8).

    Non sappiamo come concretamente funzionasse questo sistema di prelevamento deibeni e di ridistribuzione della ricchezza; in particolare non sappiamo quantol'esecuzione fosse obbligatoria e quindi esigibile dall'autorit competente; certo perche l'Ebreo ritiene 'cosa sacra' ci che appartiene ai poveri (Dt 26,13) e si riterrebbegravemente colpevole se non obbedisse a questa legge divina. Le moderne regole ditassazione della ricchezza, in ordine ad apprestare i necessari servizi pubblici esovvenire ai bisogni dei senza reddito, corrispondono all'intenzione del legislatorebiblico. Resta comunque un margine per la libera e coraggiosa iniziativa dei singoli(credenti) che, di fronte al grido dei poveri, sono chiamati a condividere il loropatrimonio secondo un spirito di fiduciosa generosit.

    La partecipazione alle feste. Le regole di cui abbiamo parlato hanno uno sfondoreligioso, per le motivazioni che le ispirano e per il contesto in cui sono inserite; essesuppongono come accertata la fede in Dio e nella sua provvidenza. Il legislatorebiblico aggiunge tuttavia un collegamento esplicito tra il mondo religioso e il mondodella condivisione, facendoli incontrare nel santuario, rendendo la celebrazioneliturgica un'occasione propizia per favorire i poveri. Il santuario, si sa, era il luogodove i credenti antichi si radunavano per ringraziare Dio e supplicano; l'espressioneconcreta di questa preghiera avveniva mediante offerte e sacrifici, molti dei qualiservivano per dar da mangiare ai sacerdoti e agli addetti al culto, ma anche ai tantipoveri che frequentavano i luoghi sacri (Dt 12,12). Il tempio era cos centro dellacelebrazione della vita, non solo in senso spirituale; specie in occasioni delle grandifeste agricole, nello spazio sacro venivano distribuiti gratuitamente pane, carne, vino ebevande inebrianti. La gioia della comunione con il Signore e della sua benedizioneveniva condivisa da tutta la comunit (Dt 16,11.14): l'offerente, con la sua famiglia, sifaceva padre dei poveri, fratello dello straniero. Il dono di ciascuno - dice ilDeuteronomio - sar in misura della benedizione che il Signore tuo Dio ti avr data(Dt 16,17).

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  • La tutela giuridica

    I provvedimenti importanti e particolarmente suggestivi a favore del forestieropovero, sono poi articolati, nella Legge biblica, ad altre norme che garantiscono ildiritto dell'immigrato, in altri settori del suo vivere, in altre dimensioni della suapersona. Due sono gli ambiti che ci sembrano pi rilevanti: la normativa sul lavoro eil diritto del forestiero tutelato dal giudice.

    La disciplina del lavoro. Abbiamo detto che l'immigrato appartiene alla classe deipoveri perch non ha risorse stabili provenienti dal possesso di terre, e il lavoroartigianale pi remunerativo non certo lasciato agli 'extra-comunitari'. C' un testotardivo che ci pare illuminante per illustrare il modo con cui la tradizione biblicaconcepisce l'organizzazione del lavoro per gli immigrati:

    Salomone cens tutti gli immigrati che erano nel paese di Israele: un nuovocensimento dopo quello effettuato dal padre Davide. Ne furono trovaticentocinquantatremilaseicento. Ne prese settantamila come portatori, ottantamilacome scalpellini perch lavorassero sulle montagne e tremilaseicento comesorveglianti perch facessero lavorare quella gente. Salomone cominci a costruire iltempio del Signore in Gerusalemme. (2Cr 2,16-18)

    Il censimento, aggiornato, misura amministrativa intelligente che consente alsovrano (il re Salomone, il sapiente per eccellenza) di calcolare la forza lavoro cos daprogrammare adeguatamente le opere pubbliche. Questi lavoratori devono esserepagati (e quindi si deve

    sapere a quanto ammonter la spesa) e devono essere inquadrati, in modo chel'ordine aumenti l'efficienza. L'opera da costruire il Tempio (si dice qualcosa delgenere anche per Davide, in 1Cr 22,2); secondo la teologia di Israele, questa la'casa' del Dio dei migranti, e, secondo la teologia sacerdotale, questo sar il luogo nelquale anche lo straniero verr ascoltato e beneficato (iRe 8,41-43). Gli immigratiquindi non sono sfruttati come mano d'opera al servizio di un progetto altrui, ma,rispettati nei diritti fondamentali, collaborano alla costruzione della casa comune,verso la quale affluiranno tutte le genti per un progetto di pace (Is 2,1-5; Zac8,20-23).

    La Legge di Israele non dice nulla sull'offerta di lavoro per gli immigrati;probabilmente non vennero trovate modalit concrete per disciplinare tale settore.Quello per che viene protetto la garanzia del salario, dato puntualmente:

    Non defrauderai il salariato povero e bisognoso, sia egli uno dei tuoi fratelli o uno deiforestieri che stanno nel tuo paese, nelle tue citt; gli darai il suo salario il giorno

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  • stesso, prima che tramonti il sole, perch egli povero e vi volge il desiderio; cos eglinon grider contro dite al Signore e tu non sarai in peccato. (Di' 24,25)

    Traspare da questa citazione tutta la precariet della vita dell'immigrato, e il rischiograve prodotto dalla mancanza di giustizia retributiva. Facciamo notare, ancora unavolta, come, su questo punto, fratello e straniero siano equiparati di fronte alla legge,e siano per Dio oggetto di identica attenzione.

    La Legge di Mos tutela inoltre il riposo del lavoratore dipendente: la tradizione delsabato anche per l'immigrato addirittura sancita nel Decalogo (Es 20,10 e Dt 5,14),ed poi ricordata nel Codice dell'alleanza (Es 23,12): nella formula come te,vediamo qui riapparire l'idea dell'uguaglianza tra padre e figlio, tra padrone e servo,tra autoctono e straniero, nella memoria del Dio Creatore di tutti, nel ricordo delSignore liberatore degli schiavi.

    Certo, il rispetto che oggi si richiede per il lavoratore immigrato non pu limitarsi aquesti punti; giova tuttavia l'ispirazione biblica di cercare di introdurre, l dove possibile, il principio di uguaglianza e di fraternit, per evitare quello che la Scritturadenuncia come peccato grave, e cio l'oppressione del forestiero.

    Il diritto difeso in tribunale. Un diritto, anche se riconosciuto dal costume, non veramente tutelato se non assunto dall'istituzione giurisdizionale. Quindi il dirittodell'immigrato a un salario, al riposo settimanale, ma anche alla libert dispostamento, alla libera iniziativa commerciale, al matrimonio, e cos via, fino alladifesa giuridica presso un tribunale, tutto questo sostanzialmente assunto dallaLegge di Israele ed esplicitato a pi riprese nei suoi Codici.

    Talvolta, come nel Codice dell'Alleanza, abbiamo formulazioni generiche, checondannano qualsiasi forma di sfruttamento o di malversazione nei confrontidell'immigrato; non si tratta per solo di pii auspici, ma di principi che il magistratodovr applicare, con saggezza e determinazione, quando venisse portato in sedegiudiziaria un caso di violazione di tale diritto.

    Non molesterai il forestiero n lo opprimerai, perch voi siete stati forestieri nel paesed'Egitto. (Es 22,20)

    Non opprimerai il forestiero: anche voi conoscete l'animo del forestiero, perch sietestati forestieri nel paese d'Egitto. (Es 23,9)

    Israele fa leva sulla memoria della sua stessa sofferta esperienza di emigre-o perinculcare una condotta rispettosa nei confronti dei forestieri residenti nel paese. Iltesto di Es 23,9 viene a conclusione di un paragrafo consacrato a illustrare i principidel corretto funzionamento dell'istituzione giudiziaria; ne consegue, a nostro avviso,che la non oppressione dell'immigrato equivale (anche) a rendergli giustizia in

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  • tribunale.

    Il Deuteronomio il libro che pi esplicitamente sottolinea la questione del dirittodell'immigrato. Nel racconto dell'istituzione giudiziaria, Mos prescrive ai giudiciun'assoluta imparzialit ed equit nel giudicare: Ascoltate le cause dei vostri fratelli egiudicate con giustizia le questioni che uno pu avere con il fratello o con il forestieroche sta presso di lui (Dt 1,16). Non si tutela quindi esclusivamente il cittadino, machiunque abbia ragione, poich chi giudica ha il dovere di dare ascolto al piccolocome al grande senza temere nessuno, poich il giudizio appartiene Dio (Dt1,17). Ci che preoccupa il Deuteronomio la distorsione del dirittodell'immigrato: in Dt 24,17 nel contesto dei doveri salariali, il legislatore dice che iltribunale deve vigilare perch non sia falsata c/o impedita la procedura di giustarivendicazione eventualmente introdotta presso il tribunale. Il Deuteronomio prevedeaddirittura un impegno giurato da parte di tutto Israele su questo punto (Dt 27,19); inuna cerimonia solenne viene affidato alla maledizione divina chi alterasse il dirittodell'immigrato.

    In Lev 19,33-34, citato gi a proposito dell'amore verso l'immigrato, si ritorna sultema del non opprimere il forestiero; la legge non domanda tanto dei sentimentiquanto dei gesti di giustizia e di rispetto, garantiti al forestiero come al residenteautoctono.

    L'accoglienza religiosa

    Persistono naturalmente numerosi elementi di differenza economica e civile (inquanto a statuto di cittadinanza) tra l'ebreo (fratello) e l'immigrato (straniero); proprioper questa ragione la Legge fissa delle norme che tendono a mitigare talesperequazione, e introduce principi correttivi che favoriscono l'uguaglianza e lafraternit.

    Quello che colpisce che non si parla degli immigrati come di una realt marginale,confinata in ghetti, ma di gente che abita in mezzo a Israele. Questa notazione serveper far capire che l'accoglienza raggiunge la sua perfezione quando riesce a integrarelo straniero, a incorporarlo, a renderlo parte della comunit. Immaginiamo facilmenteche i forestieri in Israele (da qualunque parte venissero) cercassero di inserirsi nelpaese mediante l'apprendimento della lingua e mediante anche l'accettazione deicostumi del popolo che li accoglieva (pensiamo all'esempio perfetto di Rut). Giabbiamo visto che io straniero partecipava alle feste del raccolto e al sabato,adattandosi ai ritmi della produzione e del riposo tipici di Israele.

    Ci sembra chiaro tuttavia che l'immigrato, specie se trovava accoglienza generosa,tendeva a sposare i valori giuridici e religiosi del popolo ospite, non solo per unamigliore intesa, ma anche perch vi riconosceva l'ideale morale a cui egli stessoaspirava, anche perch veniva a 'conoscere' un Dio a cui era bello potersi affidare.

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  • Non ci fu, durante la storia vetero-testamentaria, un movimento significativo diproselitismo; ma se Israele non cercava adepti, vi erano per coloro che, vivendo inmezzo a loro, chiedevano di far parte del popolo in maniera pi stretta, con vincoli dimaggiore solidariet. Si spiega cos il fatto che il termine ger, che per molto tempo hasignificato solo immigrato, assuma in testi tardivi (e specie nella versione dellaLXX) il valore di proselito, cio di colui che non solo abita con Israele, ma che siassimila a lui religiosamente con la accettazione della medesima Legge.

    Di particolare valore l'ammissione del ger alla celebrazione della Pasqua, se perquesti circonciso (Es 12,47-49): si tratta di una possibilit, non di un obbligo, sullabase di una richiesta a cui Israele deve consentire senza rinchiudersi in unisolazionismo etnico. Non stupisce che l'immigrato voglia celebrare la festa dellaliberazione degli schiavi, degli oppressi che il Signore ha liberato e a cui ha offertouna legge di libert e dignit. Non stupisce neppure che l'immigrato chieda lacirconcisione, il segno di Abramo il migrante (Gen 17); meraviglier forsequalcuno che l'Ebreo accetti di donare allo straniero il segno della sua privilegiataalleanza e della sua speciale benedizione.

    Celebrare la Pasqua, assieme, non un atto staccato dal resto dell'esistenza; in questogesto, infatti, viene significata una perdurante comunione di vita. Questo possibile eprogressivo fenomeno di integrazione religiosa sembra trovare figura ideale in untesto tardivo del Deuteronomio, che, elencando i membri componenti il popolodell'alleanza nuova (quella che va oltre l'alleanza sinaitica: Dt 28,69), vi includeanche il forestiero:

    Oggi voi state tutti davanti al Signore vostro Dio, i vostri capi, le vostre trib, i vostrianziani, i vostri scribi, tutti gli Israeliti, i vostri bambini, le vostre mogli, il forestieroche sta in mezzo al tuo accampamento, da chi ti spacca la legna a chi ti attingel'acqua, per entrare nell'alleanza del Signore tuo Dio. (Dt29,9-11)

    L'idea qui espressa che il vero Israele quello che accoglie al suo interno ilnon-Israele per renderlo partecipe della benedizione di cui gode, della relazione con ilvero Dio, della saggezza della Legge.

    Lo stesso Deuteronomio, al capitolo 23, detta alcune regole per l'incorporazione dellostraniero nella comunit; alcuni popoli vi sono ammessi, altri esclusi. Se interpretiamobene, la legge dice che viene escluso chi non pratica l'accoglienza (come gli Ammonitie i Moabiti, che hanno rifiutato di soccorrere Israele nel deserto; vv. 4-7), mentreinvece viene reso partecipe dell'assemblea - dopo un certo tempo, magari alla terzagenerazione -chi ha in qualche modo accolto il popolo di Dio (come gli Egiziani)(vv. 8-9). In sintesi si direbbe che pu essere integrato in una comunit chi fadell'accoglienza il principio normativo del suo comportamento.

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  • Conclusione

    A pi riprese, la Legge biblica insiste sul fatto che vi una sola Legge che vale perl'Ebreo e per il non-Ebreo immigrato. Questo principio si applica a precise regolereligiose, come il rituale dei sacrifici (Lev 17,8; Num 15,14-16; ecc), il rispetto delnome del Signore (Lev 24,16), il divieto di mangiare il sangue (Lev 17,12), ecc.; maviene ribadito anche per provvedimenti di natura sociale e di protezione della vita(Lev 24,22), come la legge sulle citt di rifugio (Num 19,10; Gs 20,9) o il divieto didare i figli a Moloch (Lev 20,2); ecc. Questo modo di concepire la norma mostra che nel riferimento alla mediazione legale, uguale per tutti, che i cittadini trovano leforme, proporzionate e perfettibili, della loro fraternit.

    Come il padre trasmette la Legge ai figli perch vi sia unit nella casa e giusto rispettoper ognuna delle diverse individualit, cos, analogamente, l'Ebreo trasmette la leggeall'immigrato, non obbligandolo su tutto, ma facendolo partecipe sui punti essenzialidi convivenza, perch vi sia pace, perch venga tutelato il rispetto reciproco, e vengapromossa la qualit della vita. L'Ebreo dona la Legge come strumento di comunione.Questo dono infatti rende l'altro simile a s, lo rende a propria immagine esomiglianza. Abbiamo allora, a conclusione del nostro percorso, una specie diribaltamento della prospettiva presentata all'inizio: si diceva che l'Ebreo ha origini daun pagano (Amorreo, Cananeo, Hittita: cfr. Di' 26,5; Ez 16,3); ebbene, qui si profilal'idea che l'Ebreo dia nascita ai pagani, non in senso genetico, ma in senso spirituale, amotivo del dono della parola della Legge. La citt di Gerusalemme, da cui viene laparola del Signore e la Legge (Is 2,3), infatti la citt in cui tutti sono nati (Sal87,4): Babilonesi, Filistei, Fenici ed Egiziani hanno lo stesso registro anagrafico delfiglio di Abramo, non certo come se si avesse una nuova Babele, ma, perch la Legge per tutti principio di vita, perch essa guida al riconoscimento dell'Unico Signore, ilDio dei poveri, il Dio di tutti gli uomini.

    Sul tema dell'ospitalit, specie in prospettiva cristiana, cfr. J. Koenig, New Testament

    Hospitality. Partnership with Strangers as Promise and Mission, Overtures to BiblicalTheology 17, Philadelphia 1985; S. Garofalo, Spiritualit biblica dell'accoglienza, in:Migrazioni e accoglienza nella Sacra Scrittura, Padova 1987, pp. 131-290.

    Cfr. A. Wnin, Israel, diranger et migrant. Re'fleseaons apropos de l'immigri dans laBible,

    MSR 52 (1995), p. 282.

    Ci non equivale a nn etnocentrismo, che il ripiegamento narcisistico di un popolo

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  • su se stesso; Israele cosciente del suo ruolo a favore delle nazioni, in una chiaraprospettiva di rivelazione del Dio di tutta la terra

    Come noto, non disponiamo di materiale iconografico di origine ebraica(probabilmente a motivo della legge dell'aniconismo), da cui - come avviene per ibassorilievi antichi delle culture circostanti .- si potrebbe dedurre come Israeleidentificava se stesso e gli 'stranieri', mediante caratteristici tratti somatici, tuaparticolare abbigliamento o altri dettagli tipici di una certa cultura; in questo tipo dirappresentazioni si pu facilmente insinuare la forma caricaturale, con sfumaturederisone e razzistiche (di cui gli Ebrei stessi sono stati vittima, in tante raffigurazionianche di matrice cristiana).

    Molte tradizioni moderne sostituiscono questa particolarit della lingua ebraica con ilmorfema affisso -ita, cos che abbiamo gli Ammoniti, i Kushiti, gli Israeliti, ecc., conun identico valore di riferimento all'antenato patronimico.

    Legittima risulta cos l'interpretazione cristiana che identifica il vero figlio di Abramocon colui che riconosce i valori spirituali della sua 'discendenza da Abramo' al di ldella pura appartenenza biologica.

    Cfr: A, Passoni dell'Acqua, Versioni antiche e moderne della Bibbia, in:Introduzionegenerale alla Bibbia, Logos 1, Leumann (Torino) 1994, p. 348

    Nella traduzione traspare chiaramente il desiderio di comunicare agli altri popoli i1proprio tesoro culturale; importante constatare che questo movimento ha presocorpo nell'antico Israele, molti secoli prima della sollecitazione cristiana a trasmettereil messaggio evangelico fino agli estremi confini della terra.

    La Chiesa cristiana porter a compimento questa linea 'interpretativa', questo ruolocio di mediazione fra culture diverse, assumendo lo spirito di Pentecoste, che quella capacita di comunicare che consente a tutti di capire, nella propria lingua,l'unica Parola di salvezza.

    La pratica amministrativa di spostare una parte della popolazione da un territorioall'altro -per ragioni economiche, belliche o di sicurezza politica - creava importantifenomeni di immigrazione', si veda, al proposito, B. Oded, Mars Deportation andDeportees in the Neo-A Assyrian Empire, Wiesbaden 1979; P. Garelli, Lesdiplacements de personnes dane l'empire assyrien, in: Immigration and Emigrationwithin the Ancient Near East, Fs, E. Lipaski, OLA 65, ILeuven 1995, pp. 79-82.

    L'imperialismo estremo quello che pensa di unire turn l'umanit in un'unica confi-gurazione politica, cos che la frontiera esiste solo dove si dice: hic sunt leones,

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  • Scrive G.L. Prato: il giudizio sull'altro che lo crea tome straniero o lo pone in rappeno dialettico con l'elemento dominante (Straniero', terso una defznezioneanalogica del concetto in riferimento al territorio sito-Palestinese del TB-Fl eall'Israele delle origini, in: Lo 'straniero' nella Bibbia, Aspetti storici e teologici,Ricerche Storico Bibliche?, Boingus 1996, p. 33).

    Scrive infatti S. Paolo: mi sono fatto Giudeo con i Giudei, per guadagnare i Giudei;con col.. che anno sotto la legge sono diventato come uno che sotto la legge, purnon essendo sotto la legge, allo scopo di guadagnare coloro che anno sotto la legge.Con coloro che non hanno legge sono diventato come uno che senza legge, pur nonessendo senza la legge di Dio, anzi essendo nella legge di Cristo, per guadagnarecoloro che sono senza legge (1 Cor 9,20-21).

    Usiamo il termine 'forestiero' (usato abitualmente dalla traduzione della CEI perl'ebraico ger) come sinonimo di 'immigrato'.

    II fatto poi che la Legge, come vedremo, ribadisce in molti modi il dovere di tutelarel'immigrato dimostra che ci non era prassi comune e scontata.

    Che vi venga condannata la non ospitalit, piuttosto che l'omosessualit, risultadall'episodio parallelo del beniaminita che in Gibea si vede violentare e uccidere lapropria donna Gdc 19): in Israele avviene purtroppo la stessa infamia che a Sodoma.

    Gli Ebrei manterranno lo statuto del popolo 'diverso' in terra straniera anche nellastoria seguente, fino ai nostri giorni; questa loro caratteristica, difficile da definire, mariconosciuta sia dai figli di Israele sia da quelli che non lo sono, marcher la storia dicrimini terribili, rappresentati da pogrom, malversazioni, sequestri ed espulsioni, finoalla tragedia dell'Olocausto.

    L'opposizione che certi interpreti prospettano tra la fede di Abramo e la Legge diMos il frutto di una inadeguata intelligenza della Scrittura; ne consegue unaantropologia distorta, e di conseguenza una teologia inaccettabile.

    La maggior parte degli esegeti ritiene che il ger di cui parla la Legge sia uno straniero,immigrato in terra di Israele, per ragioni economiche o come profugo: cfr. adesempio, D. Kellermann, gli, ThWAT I, pp. 979-991; C. van Houten, The Alien inIsraelite Law, JSOT.S 107, Sheffield 1991, pp. 19-20. Si distanziano da questaopinione M. Cohen, Le 'ger' biblique et son statut socio-religieux, RIILR 207 (1990)pp. 131-158; e soprattutto C. BULTMANN, Der Fremde im antiken Juda. EineUntersuchung zum sozialen Typenbegriff ger and seinem Bedeutungswandel in deralttestamentlichen Gesetzgebung, FRLANT 153, Gttingen 1992, il quale escludeche si possa identificare il ger con un non-israelita, dato che

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  • il termine designa piuttosto un tipo sociale (colui che non vive nel suo luogo diorigine, e che privo della terra) prescindendo dal fatto che sia straniero o meno. Ladifferenza per che viene fatta tra 'fratello' ('ah?) e 'immigrato' (ger) (cfr. Dt 1,16;24,14) induce piuttosto a ritenere che quest'ultimo sia per lo pi uno straniero (cosA. Spreafico, Lo straniero e la difesa delle categorie pi deboli come simbolo digiustizia e di civilt nell'opera deuteronomico-deuteronomistica, in: Lo 'straniero'nella Bibbia, cit., pp. 118-120).

    Probabilmente a motivo di questa originale esperienza fondatrice, la legislazionebiblica sul forestiero non ha equivalenti in tutto il Vicino Oriente Antico [G. Barbiero,Lo straniero nel Codice dell'Alleanza e nel Codice di Santit: tra separazione eaccoglienza, in: Lo straniero nella Bibbia. Aspetti storici, istituzionali e teologici,Ricerche Storico Bibliche 7, Bologna 1996, 69].

    Il termine prossimo, usato nel Decalogo in s aperto a diverse interpretazioni; sipensi alla domanda rivolta a Ges: ma chi il mio prossimo? (Lc 10,29).

    Questa frase, nel Testo Masoretico, ha una diversa punteggiatura e quindi un diversosignificato (se tuo fratello [...] aiutalo; il forestiero e l'inquilino vivono presso dite);secondo I. Cardellini, questo genere di correzione a opera degli scribi masoretici (dicui egli fornisce diversi esempi) serviva per eliminare ogni possibile offesa alsentimento nazionalistico degli Ebrei (Prolegomenon alla XXXIII settimana biblica(Roma, 12 - 16 settembre 1994) Lo 'straniero' nella Bibbia. Aspetti storici istituzionalie teologici, in: Lo 'straniero' nella Bibbia, cit., pp. 9-10.

    Compassione il senso etimologico della parola greca da cui deriva 'elemosina';l'ebraico userebbe piuttosto il termine tsdaq che equivale a giustizia.

    Viene in mente il detto evangelico riguardante l'elemosina, che dice: non sappia latua sinistra ci che fa la tua destra (Mt 6,3).

    Questa norma non si trova nel Codice deuteronomico, forse perch percepita comesfavorevole ai piccoli proprietari, che rischiavano la fame se avessero cessato dilavorare per un anno intero; la carestia come conseguenza dell'anno sabbatico menzionata nel libro dei Maccabei (Mac 6,49.53).

    E assurdo pensare che questa lista sia esaustiva, e sarebbe quindi escluso un poveroche non appartenesse a queste categorie.

    La traduzione CEI omette per errore la menzione del forestiero al v. 29.

    Anche in Dt 16,11 la versione CEI omette erroneamente la menzione del forestiero.

    La CEI rende con 'straniero' il termine ebraico ger.

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  • L'espressione tecnica, usata specialmente dal Deuteronomio, parla dell'immigrato chesta nelle tue porte (cfr. Dt5,14-15; 16,11.14; 29,9; 31,12; ecc.).

    Cfr. W. Vogels, L'immigrant days la maison d'Isral, in: O demeures-tu? (Jn1,38).

    La maison depuis le monde biblique, cit., pp. 238-239.

    Cfr. P. Bovati, La missione nella religione dell'Antico Israele, in: La missione nelmondo antico e nella Bibbia, Ricerche Storico Bibliche 1, Bologna 1990, pp.25-44.

    Su questo punto cfr. I. Cardellini, Stranieri ed 'emigrati-residenti' in una sintesi di teo-logia storico-biblica, Rivista Biblica, 40 (1992), pp. 129-181.

    Cfr. anche Gs 8,33.35.

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