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Brihadaranyaka Upanishad La Br. Up. appartiene al corpo dei Veda. Questi ultimi si dividono in quattro libri, conosciuti come Rigveda,Yajurveda,Samaveda,Atharvaveda. A seconda del contenuto e della forma letteraria, ognuno di questi libri a sua volta si distingue in: Samhita Brahmana Aranyaka Upanishad I Samhita consistono in una raccolta di inni impiegati, per la maggior parte, nei riti sacrificali e conosciuti più comunemente come Mantra. E’ ad essi che normalmente ci si riferisce quando si parla in generale dei Veda. Quindi i Samhita possono appartenere alla sezione del Rigveda, se sono espressi in versi; allo Yajurveda, se sono resi in prosa e al Samaveda se sono strutturati in canti. Il Rigveda Samhita si compone di 10.580 versi (mantra); il Samaveda Samhita contiene 1.549 versi e si tratta di canti intonati durante i sacrifici. Lo Yajurveda Samhita raggruppa due recensioni conosciute come Krishna Yajurveda (Y. nero) e Shukla Yajurveda (Y. bianco). L’Atharvaveda Samhita non è generalmente studiato come libro di preghiere ed il suo uso è limitato ad alcune forme di sacrificio. I Brahmana si occupano dell’uso pratico dei canti contemplati dai Samhita. Gli Aranyaka a loro volta, sviluppano alcune considerazioni simboliche ed esoteriche di ciò che costituisce la pratica contemplata dai Brahmana. Le Upanishad, infine, riprendono alcuni temi dei Brahmana, ma li sviluppano in senso mistico e filosofico. Le sezioni filosofiche dei Brahmana e degli Aranyaka vanno normalmente sotto il nome di Upanishad. La Brihadaranyaka Upanishad appartiene al gruppo dello Shukla Yajurveda (Y. bianco); è probailmente la più elaborata e una tra le più antiche. Si suddivide in tre libri: Madhu Kanda Yajnavalkya Kanda

Brihadaranyaka Upanishad

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Brihadaranyaka UpanishadLa Br. Up. appartiene al corpo dei Veda. Questi ultimi si dividono in quattro libri, conosciuti comeRigveda,Yajurveda,Samaveda,Atharvaveda.A seconda del contenuto e della forma letteraria, ognuno di questi libri a sua volta si distingue in:SamhitaBrahmanaAranyakaUpanishadI Samhita consistono in una raccolta di inni impiegati, per la maggior parte, nei riti sacrificali e conosciuti piùcomunemente come Mantra. E’ ad essi che normalmente ci si riferisce quando si parla in generale dei Veda.Quindi i Samhita possono appartenere alla sezione del Rigveda, se sono espressi in versi; allo Yajurveda, se sonoresi in prosa e al Samaveda se sono strutturati in canti.Il Rigveda Samhita si compone di 10.580 versi (mantra); il Samaveda Samhita contiene 1.549 versi e si trattadi canti intonati durante i sacrifici. Lo Yajurveda Samhita raggruppa due recensioni conosciute come KrishnaYajurveda (Y. nero) e Shukla Yajurveda (Y. bianco).L’Atharvaveda Samhita non è generalmente studiato come libro di preghiere ed il suo uso è limitato ad alcuneforme di sacrificio.I Brahmana si occupano dell’uso pratico dei canti contemplati dai Samhita.Gli Aranyaka a loro volta, sviluppano alcune considerazioni simboliche ed esoteriche di ciò che costituisce lapratica contemplata dai Brahmana.Le Upanishad, infine, riprendono alcuni temi dei Brahmana, ma li sviluppano in senso mistico e filosofico. Lesezioni filosofiche dei Brahmana e degli Aranyaka vanno normalmente sotto il nome di Upanishad.La Brihadaranyaka Upanishad appartiene al gruppo dello Shukla Yajurveda (Y. bianco); è probailmente la piùelaborata e una tra le più antiche.Si suddivide in tre libri:Madhu KandaYajnavalkya KandaKhila Kanda--------------------------------------------------------------------------------MADHU KANDA(libro del miele)Sezione I -Asvameda Brahmana.1.”Om. L’aurora è il capo del cavallo sacrificale, il sole è il suo occhio, il vento il suo respiro, il fuoco

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Vaishvanara le sue fauci spalancate, l’anno (0) il suo essere. Il cielo è il dorso del cavallo sacrificale, l’atmosferala sua pancia, la terra il basso ventre, i punti cardinali i fianchi, i punti intermedi i costati, le stagioni le membra,i mesi e le quindicine le articolazioni, i giorni e le notti le zampe, le costellazioni le ossa, le nuvole la carne, lasabbia il nutrimento, i fiumi gli intestini, le montagne il fegato e la milza, le piante e gli alberi il pelo; il sole chesi leva è la sua metà anteriore, il sole che tramonta quella posteriore; allorché apre la bocca lampeggia, allorchésbuffa tuona, allorché orina piove; il suo nitrito, invero. è la Voce stessa.”La prima sezione si apre con la meditazione sull’Asvameda yaga, il sacrificio del cavallo. Si tratta di unodei più importanti sacrifici dell’epoca vedica, attraverso il quale il sovrano riconfermava il suo potere e lagrandezza del suo regno.La Upanishad interiorizza simbolicamente tale sacrificio e ne fa oggetto di meditazione sul Purusha, nella formadi questo universo. La similitudine sulle varie parti del cavallo sacrificale sono abbastanza intuitive. Da notarela identificazione della testa del cavallo - parte più importante dell’animale - con l’alba, momento magico,con la quale inizia il giorno e, più specificatamente, con il brahma muhurta il momento più favorevole allameditazione.--------------------------------------------------------------------------------2. Il giorno, la cui matrice è nell’oceano orientale è il mahiman anteriore: esso è nato al seguito del cavallo;la notte, la cui matrice è nell’oceano occidentale, è il mahiman posteriore: essa è nata al seguito del cavallo.Essendo destriero portò i Deva, come stallone portò i Gandharva, come corsiero portò gli Asura, come cavallo(asva) portò gli uomini. Parente gli è l’oceano, l’oceano è la sua matrice.Nell’asvamedha yaga due recipienti - con i quali veniva effettuata la libagione - uno d’oro e l’altro d’argentovenivano collocati davanti e dietro l’animale sacrificale. Essendo la testa del cavallo assimilata all’alba, la qualecome è noto sorge ad est, necessariamente il mahiman anteriore deve essere collocato in tale direzione. Essoè d’oro in quanto il nobile metallo è il più idoneo a rappresentare la luminosità del giorno (ma anche, e nonsecondariamente) il carattere prezioso e sacro dell’alba o del Brahma muhurta).Il mahiman posteriore - che veniva forgiato con l’argento- (1) sarà necessariamente collocato ad Ovest,rappresentando il punto dove tramonta il sole. L’Universo o il Purusha o il cavallo sacrificale, nel nostro stato

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di veglia, è visibile nello spazio di tempo compreso tra l’alba ed il tramonto. Tutta la conoscenza successivasi fonda e parte dallo stato di veglia.Deva (i Risplendenti), Gandharva (esseri dimoranti nell’atmosfera, gerarchicamente inferiori ai Deva), Asura(forze della natura, successivamente identificate con i Demoni) e Uomini, tutti sono condotti (=sostenuti) dalcavallo nelle sue differenti tipologie: haya, vaji, arva, asva. L’Oceano è la matrice dell’esistenza. E’ il Séuniversale, non ancora espresso nella manifestazione.Fine della prima sezione

Sezione II - Agni Brahmana.1. Prima della creazione non esisteva nulla. Questo Universo si è sviluppato dalla morte e dalla fame, perchéla fame è morte. Egli pensò: “Possa io avere il ricordo” e così creò il ricordo. Ed Egli, adorando Sé stesso,entrò in attività. E durante questa attività fu creata l’acqua. Pensò: “l’acqua è stata prodotta mentre ero inadorazione; perciò è questo il cosidetto fuoco (poiché esso ha la natura dello splendore e del piacere). Coluiche così medita l’origine del fuoco, in verità per lui sopraggiunge la felicità.Prima della Creazione l’Universo è nella condizione non manifestata. Affinché un effetto possa manifestarsi,ha bisogno della sua causa. Anche la causa dell’Universo (il Principio) è, tuttavia, nella condizione nonmanifestata. Il totale vuoto di esistenza è, pertanto, la causa primaria dell’Esistenza o dell’Universo. L’autorelo paragona metaforicamente alla fame e alla morte. La fame è, nella sostanza, desiderio di esistenza, mal’esistenza stessa non può che basarsi sulla morte. (Ci si nutre di cose che, pertanto, vengono a morire; senon ci si nutre, si muore a nostra volta). Ma la morte (che corrisponde all’assenza di vita nel suo aspettomanifesto) non è capace di pensare, a meno che non esista un’altra causa che abbia in sé la proprietà delpensiero e della volontà.(2) E’ l’aspetto del desiderio creativo e dell’attività. Questo desiderio spinge lamorte a pensare: “possa io avere il ricordo”. La nostra esistenza è tutta basata sulla capacità di ricordare;capacità dalla quale scaturiscono i nomi e le forme delle cose esistenti. Da qui la possiblità di classificare edistinguere che sono alla base dello sviluppo del pensiero.La vita appare, quindi, come prima manifestazionedella volontà e dell’attività. (3)L’attività per eccellenza (kriya), secondo questa forma di pensiero, è quella sacra, dell’adorazione (arc). Da

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tale attività scaturiscono due risultati:La consapevolezza dell’attività del pensiero (o del ricordo) che è descritta come fuocoLa sensazione di felicità (kam) che scaturisce da tale atività e che viene descrita come acqua.La combinazione di queste due parole dà il termine arka (4)--------------------------------------------------------------------------------2. Le acque, in verità, sono arka (splendore). Ciò che spumò dalle acque si solidificò. La massa solidificatadivenne il Mondo. A causa di ciò Egli si affaticò ed il suo lustro e splendore si tramutarono in fuoco. (5)L’acqua è assimilata allegoricamente al fuoco, perché ha in esso la sua origine. Essa rappresenta il substrato di tutta la vita. Dall’acqua scaturisce la terra. Si tratta in realtà di una doppia creazione: quella,per così dire esteriore (fuoco, acqua, terra) e l’altra relativa al principio creatore: dalla fatica (=attività)nasce Agni. (6)Agni verrà associato a Prana, l’Energia vitale.--------------------------------------------------------------------------------3. Egli divise sé stesso in un triplice sviluppo, essendo il sole al terzo posto rispetto al fuoco ed all’aria el’aria come terza rispetto al fuoco ed al sole. Anche questo Prana divise sé stesso in tre aspetti. La direzioneorientale è la testa. Nord-est e sud-est le braccia. La direzione occidentale, la coda. Nord-ovest e sud-ovest lecosce. Sud e Nord i fianchi. Il cielo il dorso e l’atmosfera il ventre. Questa terra il suo petto. Egli è sospesosulle acque. Dovunque andrà, colui che così conosce, sempre avrà un ricovero. (7)Ritorna l’associazione tra il Principio assoluto (Prajapati), la Morte, Prana ed il cavallo sacrificale. Tuttie quattro esprimono il senso del sacrificio iniziale. L’Ashvamedha era, in realtà, il sacrificio cruento delcavallo; la Upanishad interiorizza il significato del sacrficio e dello smembramento con la meditazione(...colui che così conosce...).La triplice divisione è relativa ai principi che sono alla base dell’esistenza e della vita: il sole, l’aria, il fuoco.Così anche il prana divise sé stesso in un triplice sviluppo: Vita nel sole, Vita nel fuoco, Vita nell’aria.Colui che così conosce (cioè che l’intero universo altri non è che il corpo del Principio universale) troverà unsicuro rifugio ovunque egli vada. -Si intenda anche in senso metaforico, come rifugio dell’anima-.--------------------------------------------------------------------------------4. Egli desiderò:”Possa io avere un corpo”. E avendo ciò desiderato, divenne l’unione tra la parola ed il

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pensiero. Il principio che era lì presente diventò samvatsara, l’anno. Prima di lui non esisteva l’anno, ed eglieresse questo principio ad un anno. Dopo questo periodo creò sé stesso. Quando nacque, Morte spalancò lesue fauci per divorarlo ed Egli emise un suono: bhan. Questo suono, in realtà, divenne la parola.Questo secondo processo di creazione non riguarda, come può sembrare a prima vista, il corpo materiale insé (d’altronde la creazione è già stata avviata, come descritto dai mantra precedenti) ma gli strumenti checonsentono di realizzare la presenza di un corpo. In sostanza, quest’ultimo dovrà poter essere oggettivato.Pertanto, la seconda creazione si riferisce alla parola: vak.Vak è il mezzo, lo strumento dell’espressione, in quanto è il pensiero espresso dal suono. Per mezzo di essa,il Pricipio è capace di esprimere e, quindi, di conoscere la sua stessa esistenza. Prima dell’esistenza dellaparola, i pensieri debbono essere stati infiniti nella loro natura. E’ la parola che, proprio per la sua specificafunzione, fraziona un pensiero per farlo divenire intelligibile, creando così delle unità di tempo. Nasce ilfattore tempo, al quale si attribuisce convenzionalmente, ciò che noi chiamiamo un anno.(8)La creazione del fattore tempo, rende così intelligibile il concetto della nascita (tutto ciò che esiste devepur avere una origine, un inizio) la quale per l’Essere avviene dopo un anno.(9) Alla nascita il neonatoè minacciato dalla Morte. In realtà ogni forma di vita presuppone come sua origine una non esistenzaantecedente ed una non esistenza finale (o successiva, per la teoria del Samsara, il ciclo delle rinascite).--------------------------------------------------------------------------------5. Ed Egli così pensò: “Se lo uccido, ne ricaverò un pasto esiguo”. Attraverso tale riflessione, mediante laparola ed il pensiero creò tutto ciò che esiste: il RigVeda, lo YajurVeda, il SamaVeda, i metri, il sacrificio,gli uomini e gli animali. Qualunque cosa creò, tutto si risolse di mangiare. Perché la Morte, in realtà,fagogita tutto; è perciò che viene chiamata aditi. Colui che così conosce, di tutto si può nutrire, ogni cosadiventa il suo cibo.La creazione, in questa fase, concerne solamente il principio vitale (il neonato) e non ancora le entità create.Cibandosene, la Morte ne ricaverebbe un pasto misero. In realtà il neonato rappresenta cibo e, ancora di più,il produttore di cibo. L’Universo intero è cibo per la Morte.

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Attraverso il potere della volontà (10) e della conoscenza (11) essa crea (o manifesta sé stessa) Rig, Yajur eSama Veda (la triplice scrittura o Rivelazione) i sette metri poetici (12) i sacrifici, gli uomini e gli animali.La morte viene chiamata Aditi (l’origine) perché è da essa che scaturiscono tutte le forme (13)Il mantra termina con il consueto invito alla meditazione.--------------------------------------------------------------------------------6. Così desiderò: “Possa io eseguire il sacrficio con grande sacrificio”. A causa di ciò si affaticò, quindi ilsuo lustro ed il suo vigore si esurirono. I soffi vitali, in realtà, sono gloria e vigore (del corpo). Così dopo ladipartita dei prana, il corpo cominciò a crescere. Ma la sua mente, in realtà, era nel corpo.Lo schema della Creazione è stato delineato: dai Veda fino agli animali; cioè dalla conoscenza finoall’ignoranza (avidya). (14) Ora si trata di eseguire il sacrificio del cavallo (asvamedha) che la Upanishadinteriorizza in senso simbolico.All’inizio della Creazione, l’uomo nasce come soggetto di conoscenza; alla sua natura appartiene l’istintodella ricerca della Realtà ultima delle cose; il presente mantra ed i successivi esprimono questo concettoin termini di sacrificio.Anticamente il sacrificio del cavallo veniva rivolto dal sovrano alla divintà. La bestia veniva purficata permezzo di atti rituali e quindi lasciata libera per un anno. Allo stesso modo l’anima dell’individuo devepurificare sé stessa al fine di realizzare lo scopo finale: l’ultima Realtà.Indubbiamente il compito non è da poco. Questo impegno morale può causare l’indebolimentodell’organismo, che il mantra indica come la dipartita dei soffi vitali (prana). A causa di ciò il corpo sigonfia (asva).Qui riveste un ruolo importante il gioco di parole impiegato: asva significa anche cavallo (un veicolo). Ilcorpo di un individuo è il veicolo dell’anima, in sostanza il suo cavallo. Nel processo di purificazione,l’anima dovrà sacrificare il suo cavallo (il corpo o la materialità).--------------------------------------------------------------------------------7. Quindi desiderò: Possa questo (mio corpo) divenire adatto al sacrificio. Possa io essere incarnato attraversoesso. Siccome si gonfiò, fu conosciuto come cavallo e questo divenne adatto al sacrficio. Perciò questa,in realtà, è l’origine dall’asvamedha, il sacrificio del cavallo. Colui che conosce ciò, conosce l’asvamedha.

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Lasciandolo libero per un anno, meditò si ciò. Dopo un anno, egli sacrificò il cavallo per sé stesso,assegnando gli altri animali agli dei. E’ perciò che coloro (che eseguono sacrifici) sacrificano a Prajapati ilcavallo santificato, il quale è dedicato a tuti gli dei. Ciò che emette calore (15) questo è in realtà asvamedha.L’anno è il suo corpo.(16) Il fuoco terrestre è arka. Questi mondi (17) sono il suo corpo. Questi due (18) sonoarka e asvamedha. Entrambi, nuovamente, sono in realtà la stessa divinità: Morte. Colui che così conosce,conquista ulteriormente la morte. La morte non lo possiede. La morte diviene il suo sé. Egli diventa unocon questi dei.Questo lungo mantra chiude la seconda sezione - Agni brahmana - del primo libro - Madhu Kanda -, illibro del miele.Si noterà immediatamente una apparente contraddizione: l’incertezza del soggetto. Le prime battute loidentificano al cavallo sacrficale; poi esso diventa Morte, la condizione di non esistenza che precedel’esistenza e, successiamente, Prajapati, il primo essere, il macrantropo, progenitore di tutti gli esseri.L’evoluzione della scena condurrebbe di nuovo ad identificare quest’ultimo - Prajapati - al primo sacrificioe, quindi, al cavallo. In sostanza, il soggetto trascolora in figure successive che sembrano soddisfare sial’interpretazione logica [la non esistenza deve logicamente precedere l’esistenza] sia l’antica tradizioneregale dell’asvamedha [attraverso la quale il Re rinasceva per i suoi sudditi - ma anche per i suoi nemici -novello sovrano] sia l’interpretazione mitica [Pajapati è il progenitore di tutti gli esseri].Il sacrificio del cavallo, per la sua importanza, viene paragonato al sole che risplendendo, illumina tutte lecose. Arka è identificato al fuoco per i motivi esposti nei mantra precedenti. Il fuoco denota il sacrificioed il sole il risultato del sacrificio. Quest’ultima assimilazione verrà meglio compresa più avanti, quandocommenteremo il mantra relativo al destino post mortem dell’uomo.

Sezione III - Udgitha Brahmana.1. La discendenza di Prajapati fu, in realtà, duplice: dei e demoni. Gli dei erano inferiori di numero e idemoni superiori; essi rivaleggiavano gli uni con gli altri. perciò gli dei disssero: “sorpassiamo i demoninel sacrificio mediante l’ udgitha. (1)

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Dal primo momento della creazione, la vita appare sotto la prospettiva della dualità, dove la diversificazionetra soggetto ed oggetto rende possibile l’unico modo di esistenza che l’uomo può concepire. Con la dualità siprospettano le coppie degli opposti, quindi la discriminazione ed il libero arbitrio.La doppia discendenza cui si fa riferimento è immediatamente riconducibile al bene ed al male ma anche,e non secondariamente, ai mezzi di cui l’individuo può disporre per confrontarsi con la realtà delle cose:gli organi di senso. In una cultura dove gli atti rivolti verso la sacralità rivestono una importanza primariarispetto a tutto ciò che si riferisce al’attività profana, saranno considerate “buone” (gli dei) le inclinazioniverso la religiosità, il sacrificio ecc, mentre “cattive” (i demoni) tutte le altre. E siccome l’uomo, persua natura, è maggiormente incline alla esteriorizzazione dei sensi (le attività profane) i demoni sono,naturalmente, più numerosi rispetto agli dei.Nella mitologia indiana, questa rivalità tra dei e demoni viene chiamata devasura sangram. Può succedere,in alcune epoche, che gli dei vengano sopraffatti ed allora interviene quel principio chiamato Vishnu il qualeattraverso le sue manifestazioni (Avatara) riconduce il mondo verso la rettitudine originaria. (2)Il sacrificio e l’udgitha sono il mezzo, per eccellenza, attraverso il quale è possibile combattere il male, ossiala bassa natura dell’individuo. Qui l’udgitha sta, più che altro, per meditazione.--------------------------------------------------------------------------------2. Gli dei chiesero all’organo della parola: “Canta l’udgitha per noi”. “Così sia”, disse la parola, cantando.Qualunque piacere vi sia nella parola, essa la riservò agli dei, cantando e qualunque buona parola vi siaqui, la tenne per sé. I demoni riconobbero che sarebbero stati sopraffatti mediante il canto dell’udgitha.Realizzato ciò, le si scagliarono contro, colpendola con il male. Questo è in realtà il male, che parla con laparola ingiusta. Questo è, in realtà, il male.Qualunque commento a questo mantra ci risulterebbe superfluo, tranne che per questa precisazione: laparola, in questo contesto, è la parola sacra; quella, cioè, che recita i canti dei Veda.--------------------------------------------------------------------------------3. Quindi gli dei chiesero al naso: “Canta l’udgitha per noi”. “Così sia”, disse il naso cantando. Qualunquepiacere vi sia nel naso, esso lo riservò agli dei, cantando e qualunque buon odore sia qua, lo tenne per

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sé. I demoni riconobbero che sarebbero stati sopraffatti mediante il canto dell’udgitha. Realizzato ciò, glisi scagliarono contro, colpendolo con il male. Questo è in realtà il male, che fiuta ciò che è sbagliato,Questo è, in realtà, il male.Naturalmente, il naso non canta, né potrebbe considerarsi peccato fiutare un cattivo odore. Ciò che si intendestabilire in questo e nei mantra successivi, è che l’attitudine rivolta verso la sacralità va assunta con tuttoil proprio essere, nella profondià dell’animo e non solamente con un atto formale (recitare i Veda con laparola). Anche gli odori si distinguono in buoni e cattivi e fanno parte della comune esperienza; ma non siusa dire, spesso, che “il tale è in odore di santità” ?--------------------------------------------------------------------------------4. Allora gli dei dissero all’occhio: “Canta per noi”. “Così sia” disse l’occhio e cantò l’udgita per essi.Qualunque piacere sia nell’occhio, esso lo assicurò agli dei, cantando e qualsiasi bene produca la vista lolasciò per sé. I demoni realizzarono che così sarebbero stati sopraffatti mediante il canto dell’udgita. Cosìpensando, assalirono l’occhio con il male. Questo è, in realtà il male, che guarda ciò che è sbagliato.(3)Questo è, in verità, il male.L’occhio prosegue la parte di sacrificio iniziato dagli altri organi di senso.Valgono le stesse osservazionifatte nel mantra precedente.--------------------------------------------------------------------------------5. Quindi gli dei dissero all’orecchio: “Canta l’udgita per noi”. “Così sia” disse l’orecchio, cantando.Qualunque delizia sia nell’orecchio, esso lo assicurò agli dei, cantando e qualunque cosa buona vi sianell’ascolto, lo tenne per sé. I demoni realizzarono che così sarebbero stati sopraffatti mediante il cantodell’udgita. Pensando ciò, assalirono l’orecchio con il male. Questo è, in realtà, il male che ascolta ciò cheè '73bagliato. Questo è, in verità, il male.--------------------------------------------------------------------------------6. Quindi gli dei dissero alla mente: “Canta l’udgita per noi”. “Così sia” disse la mente e cantò l’udgitaper essi. Qualunque piacere sia nella mente, essa lo assicurò agli dei, cantando e qualunque cosa buonavi sia nel pensiero, la tenne per sé. I demoni realizzarono che così sarebbero stati sopraffatti attraverso ilcanto dell’udgita. Pensando ciò assalirono la mente con il male. Questo è, in realtà, il peccato che pensa

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ciò che è sbagliato. Questo è, in verità, il peccato. Così essi infettarono gli altri dei (della pelle, ecc.)con il peccato.Alla mente è riservato lo stesso trattamento, nel momento in cui viene contaminata dal pensiero non retto.C’è da osservare che nella concezione indiana, la mente è un organo di senso (interno) al pari degli altricinque.--------------------------------------------------------------------------------7. Quindi gli dei chiesero alla forza vitale che risiede nella bocca: “Canta l’udgita per noi”. “Così sia”.E avendo ciò detto, la forza vitale cantò l’udgita per essi. I demoni realizzarono che così sarebbero statisopraffati mediante il canto dell’udgita. Pensando ciò, assalirono la forza vitale, desiderando colpirla con ilmale. Così come una zolla di terra, scagliata contro una roccia, viene sgretolata, frantumati e scagliati via intutte le direzioni, i demoni perirono. Quindi furono gli dei che divennero, mentre i demoni perirono. Coluiche così conosce, recupera il suo vero sé ed il suo invidioso parente viene sconfitto.Per comprendere appieno l’indefettibilità di Prana, occorre conoscere il valore che questo concetto rivestein tutta la speculazione filosofica indiana. Prana è, comunemente, la forza vitale, l’essenza delle cose, lavita o ciò che sostiene la vita. Ma, ancor di più, Prana viene associato allo stesso Principio divino. Essoè immanemte in tutto ciò che vive e, quindi, anche negli organi di senso, ma al tempo stesso trascendenterispetto alle vicende della vita stessa. La parola può esprimersi bene o male, così come la mente puòrivolgersi verso pensieri retti o malvagi; Prana è fuori dell’esperienza dei sensi. Non appena i demonivengono sconfitti, gli dei vengono immediatamente restaurati nel loro rango originario.--------------------------------------------------------------------------------8. Gli dei chiesero: “Dov’era colui che così si è unito a noi?” “Egli è nella bocca”. E’ chiamato ayasyaangirasa (4) in quanto è l’essenza delle membra.L’essenza-delle membra-nella bocca. Prana è, in realtà, in ogni parte essendo il sostegno della vita. Spessogli si attribuiscono sedi particolari, in rapporto allo specifico contesto. Si consideri la bocca cone luogoprivilegiato, non tanto perché viene assimilato anche con il cibo, quanto per l’importanza che la parola (vak)ha in questa cultura (naturalmente la parola sacra, cioè le Scritture).--------------------------------------------------------------------------------

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9. Questa divinità è conosciuta con il nome dur in quanto la morte resta distante da esso. Colui che cosìconosce, certamente ha distante la morte.La morte è, naturalmente, intesa come attaccamento all’esperienza sensoriale che priva del senso spiritualedella vita. E’ la condizione appartenente ai “demoni”, cioè ai sensi in quanto totalmente distratti dallarealizzazione spirituale.--------------------------------------------------------------------------------10. Questa divinità, in realtà, rimosse il male da quegli dei che erano morti portandolo là, al confine di questeregioni. Qui egli depositò i loro peccati. Non bisogna andare presso quella persona o quelle regioni, per paurache si venga impregnati del peccato, che è morte.Il confine delle regioni non è, naturalmente, territoriale bensì morale. Non bisogna tornare in quei luoghi,una volta che ci si è purificati dal male grazie alla disidentificazione con gli oggetti dei sensi. Non bisognaneanche associarsi a quegli individui che sono affetti dal male.(5)--------------------------------------------------------------------------------11. Questa divinità, dopo aver rimosso la morte, li condusse al di là della morte.Non è sufficiente rimuovere il male; occorre anche trascenderlo. L’uomo, per sua natura, è costantementesoggetto alla realtà sensoriale e questa rappresenta una potenziale minaccia alla condizione spirituale. Lapura attitudine della mente e degli altri organi conduce al di là della morte.--------------------------------------------------------------------------------12. In realtà Prana condusse prima di tutto l’organo della parola oltre la morte. Quando la parola ne fuliberata, divenne fuoco; questo fuoco, trascendendo la morte, risplende al di là di essa.La parola è il più potente mezzo di espressione e l’organo della parola è quello che può cantare l’udgita.Libera dalla morte essa diventa fuoco, in quanto ha il potere di purificare ed anche perché il retto parlarebrucia il male. Il fuoco è la potenza che presiede la parola.13. Quindi Prana condusse il naso oltre la morte. Quando e--------------------------------------------------------------------------------sso fu liberato dalla morte divenne aria. L’aria, trascendendo la morte, fluttuò al di là di essa.Si tratta della purificazione del senso dell’olfatto e l’aria è la forma di potenza (o, altrimenti, divinità) chesoprassiede ad esso.--------------------------------------------------------------------------------14. Prana condusse l’occhio oltre la morte. Quando esso fu liberato dalla morte, divenne il sole. Questo sole,trascendendo la morte, effulge al di là di essa.

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La luminosità che è nell’occhio e che consente la vista delle forme esterne è la sua potenza; la divinitàè il sole.--------------------------------------------------------------------------------15. Prana condusse l’orecchio oltre la morte. Quando esso fu liberato dalla morte, divenne queste direzioni.Esse, trascendendo la morte, restarono al di là di essa.L’orecchio è capace di percepire i suoni provenienti da tutte le direzioni dello spazio. Esse sono le divinitàche presiedono il senso dell’udito.--------------------------------------------------------------------------------16. Quindi esso condusse la mente. Quando la mente divenne libera dalla morte, diventò la luna. Essa,trascendendo la morte, splende al di là di essa. Colui che conosce ciò, questa divinità lo conduce al dilà della morte.Da notare che tale similitudine della mente (manas) con la luna (soma) ricorre abbastanza frequentementein tutta la speculazione filosofica indiana. Lo spirito è assimilato generalmente al sole, mentre la mente aquell’elemento che non brilla di luce propria come il sole, ma la riflette. In realtà la mente è riflessiva.--------------------------------------------------------------------------------17. Quindi la forza vitale assicurò per sé il cibo, cantando (l’udgita) perchè qualunque cibo venga consumato,è consumato proprio da esso ed esso rimane nel cibo.Prana è l’essenza della vita, quindi è contenuto anche nel cibo che si consuma. Dal momento che tale cibonutre gli organi, esso rimane nel corpo (che a sua volta è cibo). Ma non ci si faccia distrarre troppo da questainterpretazione, diciamo così, fisiologica. Ci stiamo muovendo nel campo della speculazione filosofica dovela metafora ed il simbolismo sono le uniche chiavi di interpretazione di questi testi.. Cibo non è solo ciòche si mangia, ma anche e soprattutto le idee che la nostra mente assimila. Cibo sono i nostri quotidianirapporti con il mondo, i comportamenti, le inclinazioni... Lo spirito, quindi, si nutre cantando l’udgita (ilcanto sacro)--------------------------------------------------------------------------------18. Allora gli dei (6) dissero a Prana: “Qualunque cibo vi sia, è tutto qui e tu lo hai riservato per te,cantando”. Prana rispose: “Sedete attorno a me”. Gli dei dissero: “E sia” e sederono attorno ad esso. Cosìqualunque cibo venga consumato attraverso esso, da esso questi dei sono soddisfatti. Colui che così conosce,

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in verità, i suoi parenti siedono attorno a lui; egli diviene il sostegno dei suoi parenti, il migliore tra essi.Chiunque tra essi voglia rivaleggiare con questo conoscitore, certamente diviene incapace di sostenere i suoisubalterni. Ma chiunque lo segua, certamente ne sarà capace.In questo mantra si ribadisce la priorità del principio spirituale nella scala gerarchica dei valori della vita.L’autorità di un uomo (e quindi il senso di rispetto che suscita nei suoi simili) non deriva dal prestigiomateriale conseguente alle ricchezze, alle alterne vicende, agli intrallazzi ecc., ma dal suo conformarsi aldharma universale, in una visione sacra della vita. Nella misura in cui egli rispetta questi valori universali,così sarà rispettato dagli altri.--------------------------------------------------------------------------------19. Esso è conosciuto come ayasya angirasa in quanto è l’essenza delle membra. In realtà Prana è l’essenzadelle membra. Perciò da qualsiasi membro esso si allontani, immediatamente questo si prosciuga perché, inverità, esso è l’essenza delle membra.Si ribadisce il concetto espresso nei mantra precedenti.--------------------------------------------------------------------------------20. Questo prana è, esso stesso, Brihaspati. La parola è, in realtà, brihaspati. Questo Prana è il Signore.Perciò esso è chiamato Brihaspati.Brihaspati, nella cultura vedica, rappresenta il principio di tutte le forme di conoscenza e, di conseguenza,del Rig, Yajur, Sama veda. E’ il principio dell’espressione. La parola stessa è espressione in quanto essa èinclusa in uno dei metri vedici (brihati). La superiorità della parola, rispetto a tutti gli altri organi, derivadal fatto che attraverso essa è possible esprimere i versi sacri. Quindi, Prana è il principio vitale, l’essenzadella vita e di ogni forma di espressione. Si veda ed ascolti il mantra vedico su Brihaspati (o Brahmanaspati)riferito a Ganesha.--------------------------------------------------------------------------------21. Questo prana è, esso stesso, Brahmanaspati. La parola è, in realtà, brahmanah. Questo Prana è il Signore.Perciò esso è chiamato Brahmanaspati.Continua l’esposizione del fondamento etimologico degli attributi di Prana. Brahman è ache conosciutocome yajus, forma discorsiva che rappresenta l’ossatura dello yajurveda. Pertanto, come principio di espressione,Prana è Brahmanaspati.--------------------------------------------------------------------------------

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22. Questo> prana è, esso stesso, Sama. In verità sa è la parola, ama è prana. Sa ed ama; questa è laragione per la quale questo essere è chiamato Sama. Oppure, questa forza vitale è simile ad una formicabianca, simile ad un moscerino, simile ad un elefante, simile a questi tre mondi (7) simile all’Universo;perciò esso è sama. Colui che così conosce questo sama, ottiene l’intima unone con il Sama e risiede nelmondo del sama.Ci si riferisce, ora, alla terza scrittura dei Veda: Samaveda. Ed interviene il consueto gioco etimologico ilquale risulta fondamentale alla comprensione del mantra. Sa è la parola, ama è la forza vitale: Sama è,quindi, la forza vitale che risiede nella parola; senza di essa nessun inno (Samaveda) può essere cantato.Il termine sama indica anche uniformità, omogeneità ecc. La forza vitale, in sé, non ha forma definita ed èidentica sia nella formica che nell’elefante; sia nel moscerino che nell’universo intero.--------------------------------------------------------------------------------23. Ancora, questa forza vitale è udgitha, Essa è ud, in quanto sostiene tutto ciò; la parola è githa. Perciòquesta forza vitale è conosciuta cone udgitha.Il termine è formato da ud (che indica sostenere, tenere in alto) e githa (parola, discorso). Perciò questaforza vitale è la parola che sostiene.--------------------------------------------------------------------------------24. In merito a ciò esiste una storia secondo la quale Brahmadatta che era il pronipote di Chikitana bevendoil succo del soma, disse: “Che questo soma mi faccia esplodere la testa se io sostengo che ayasya angirasacantò l’udgita mediante qualsiasi altro mezzo che non questa forza vitale e questa parola. Perché egli cantòl’udgita solo mediante la parola (vak) e questa forza vitale (prana).L’udgita viene cantato solo mediante la parola (mezzo di espressione) e la forza vitale (il principio divino).E’ pertanto espressione diretta della sacralità eterna e non ha bosogno di essere corroborata da altri elementiquali, ad es., la discorsività razionale dell’uomo, i sentimenti ecc.--------------------------------------------------------------------------------25. Colui che così conosce la ricchezza del saman, per lui in realtà è la ricchezza. La giusta intonazione è,in verità, ricchezza. Perciò un individuo volendo officiare come brahmino deve desiderare di aver la giustaintonazione. Attraverso la voce, arricchita del giusto tono, egli potrà ottemperare ai suoi doveri di brahmino.

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Perché, nel sacrificio, la gente desidera fortemente colui che officia il rito con il giusto tono. Ricco è coluiche conosce la ricchezza del saman.E’ ribadita la necessità della giusta intonazione nella recita dei versi sacri. I mantra recitati ed i gesti eseguiti(mudra) debbono essere ben calcolati per ottenerne i risultati. La giusta recitazione del canto e la correttagestualità, fatta esattamente come prescritto dal testo Brahmana senza la benché minima deviazione, sonodi grande importanza nel sacrificio.--------------------------------------------------------------------------------26. Colui che conosce la giusta intonazione e la corretta articolazione del Saman possiede, in realtà, oro.L’enfasi cade sulla correta pronuncia. La giusta intonazione e la corretta pronuncia rappresentano una veraricchezza per colui che officia il rito. E’ il tono che deriva da un certo senso di ditacco dall’apprensionedei sensi. Si ricordi, a tal proposito, quanto affermato nel mantra 24: l’udgitha viene cantato solo mediantela parola e la forza vitale.--------------------------------------------------------------------------------27. Colui che conosce il sostegno di questo saman è, a sua volta, sostenuto. La parola è, in realtà, il suosostegno; perché solo esistendo nella parola questo prana può cantare. Altri sostengono: “esso canta solomediante il cibo”.La parola rappresenta il potere dell’auto espressione. Risiedendo in essa, prana si esprime nella parolacome conoscenza (sacra). Altri sostengono che la conoscenza derivi, invece, dall’esperienza del corpo (ilcibo) e quindi dei sensi. Ma abbiamo visto come i sensi (udito, olfatto ecc.) possano essre attaccati dalmale e perdere il loro potere (la caduta delle divinità). Solo Prana è inattaccabile, perché rappresenta ilprincipio divino.--------------------------------------------------------------------------------28. Ora, l’edificante recita degli inni del pavamana. Il prastota canta, in verità, questo saman. E nel momentoin cui inizia a cantare, può intonare questi mantra: “Dal non essre conducimi all’essere (a-sato ma sadgamaya); dalla tenebra conducimi alla luce (tamaso ma jotyr gamaya); dalla morte conducimi all’immortalità(mrityor ma amritam gamaya)”. Quando l’inno dice: “dal non essere conducimi all’essere”, il non essereè in verità la morte; l’essere è l’immortalità. Conducimi dalla morte all’immortalità; rendimi immortale.Questo in realtà esso afferma.

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Quando l’inno dice:”dalla tenebra conducimi alla luce”, le tenebre sono in realtà la morte e la lucel’immortalità. Dalla morte conducimi all’immortalità; rendimi immortale. Questo in realtà esso afferma.Quando l’inno dice:”dalla morte conducimi all’immortalità”, non vi è più nulla di nascosto nel significato:tutto è chiaro.Ora gli altri inni che restano da cantare. Cantandoli può ottenere l’alimento. Allorché li canta, deve porvil’intenzione di ottenerli. Perché il cantore che così conosca, può ottenere qualunque cosa per sé e per ilsacrificante. Questa, in realtà, è la conquista del mondo. Colui che così conosce questo sama, non può temereche questo mondo non sia per sé.Gli specialisti delle tre (e successivamente, quattro) raccolte di inni vedici [Rig, Yajur, Sama e Atharva]i quali svolgono la funzione di preti officianti sono denominati Ritvik, così chiamati perché propizianocerimonialmente gli dei (ritau yajati iti) e sono esperti nel preparare il fuoco sacro e nella conduzionedelle altre forme del sacrificio. Sono scelti dalla persona che sponsorizza il sacrificio stesso (il sacrificante)chiamato yajamana. Sono pagati in denaro o con doni (dakshina) alla fine del rito. Essi sono considerati,solo in tal senso, come assunti dal sacrificante. Agiscono indipendentemente, sebbene ciascuno di essi seguauna sua propria tradizione, cooperando con gli altri in modo tale che il rito prosegua nel modo prescritto.Nel RigVeda (2, 5, 4) la conduzione del sacrificio viene paragonata allo sviluppo di un albero, i cui ramiappaiono uno dopo l’altro, secondo il naturale sviluppo della pianta.Un sacrificio prevede quattro classi di Ritvik:Hotri, che invoca gli dei durante il canto e canta gli inni del RigVeda, quando richiesto dal prete-capo(adhvaryu).Udgatri, il quale innalza la sua voce durante gli inni del SamaVeda solamente nella parte del rito in cuigli dei debbono essere invitati.Advaryu, il capo che rappresenta il diretto responsabile della conduzione del sacrificio. E’ il prete cheeffettivamente offre le oblazioni sul fuoco. Il suo libro specifico è lo YajurVeda, diretto esclusivamente alsacrificio.Brahma, il maestro del cerimoniale. Deve essere ben versato nei tre Veda e verificare che tutti gli inni sianocantati e recitati appropriatamente. E’ uno specialista dell’AtharvaVeda.

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I sacrifici (yajna) sono di svariati tipi e dipendono da molteplici elementi, quali il proposito per il qualevengono eseguiti, la complessità del rituale, il numero dei preti che officiano, la casta e lo stato delloyajamana (il sacrificante), la durata, il tipo dell’oblazione offerta, le divinità che sono invocate e propiziate.L’asvamedha durava solamente tre giorni, ma richiedeva una elaborata preparazione che durava un annointero. Il sacrificante aspirava a divenire un sovrano incontrastato in tutto il regno. Il cavallo simbolizzavail potere ed il valore del sacrificante.Nel rito al quale si riferisce il mantra che stiamo commentando (jyotistoma) l’udgatri canta dodici inni, deiquali il risultato dei primi tre (pavamana) va a beneficio del sacrificante e gli altri nove a quello del prete.Gli inni pavamana sono formule purificatrici. Il buio rappresenta la condizione di morte (nella misura in cuila luce è conoscenza). Le ombre della nescienza ostruiscono la visione dell’immortalità. Il prete, dopo avercantato i tre pavamana, intona gli altri nove ed ottiene cibo per sé stesso. A causa della sua identificazionecon la forza vitale (Prana) egli può ottenere l’oggetto dei suoi desideri.Fine della terza sezione

Sezione IV - Purushavidha Brahmana1. In principio tutto ciò era il Sé, nella forma di una persona. Guardandosi attorno, egli non vide altri che séstesso. Disse, allora:”Io sono” (1). E’ per questo motivo che venne chiamato Io. Perciò anche ai nostri giorni,quando una persona viene chiamata, essa risponde:”Sono io”, e dopo aver detto ciò egli dichiara il nome chepossiede. Siccome Egli fu il primo, venne ad essere conosciuto come Purusha. Colui che così conosce, bruciachiunque desideri anticiparlo (sopraffarlo).Si è giunti ad una fase dove la Creazione comprende tutta la conoscenza (simbolizzata dai tre Veda) ed ilmezzo per raggiungerla (l’udgitha). Non è stato ancora delineato chiaramente il soggetto o i soggetti chetale realtà possono percepire. A questo punto si giungerà ad una inevitabile diversificazione nella visionedel mondo. Ma ciò che l’autore, in questa sezione, mette in risalto è la comune origine di tutti gli uomini:Purusha. Esso è la “persona” o, se vogliamo, “ l’in-dividuo”, nel senso della personalità non divisa oframmentata.Ecco perché chiunque di noi venga chiamato, risponde dapprima: “io sono...” ribadendo così la comune

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origine, e solo successivamente dichiara il nome proprio, che lo diversifica da tutti gli altri. L’etimologiastessa del termine Purusha conduce a questo significato. (2)--------------------------------------------------------------------------------2. Egli ebbe paura; è per tale motivo che quando si è soli si ha paura. Pensò:”Dal momento che non c’ènessun altro tranne me, di chi posso aver paura?”. E’ solamente a causa di ciò (di questa riflessione) che talepaura si allontanò. Essa, certamente, sorge solo a causa di un secondo.Il mantra mette in risalto l’ ignoranza che sottende la condizione di “dualità”. Tale separatività (3) ci permettedi sperimentare la vita umana nella sua realtà quotidiana ma, al tempo stesso, ci priva inesorabilmente diquel senso di pienezza che può scaturire solo dalla consapevolezza di essere un tutt’uno con il principiouniversale dal quale deriva tutto l’Universo.La maggior parte dei sistemi filosofici indiani tendono a sottolineare questa condizione dell’uomo edattraverso le varie discipline (tra le quali lo yoga) a ripristinare la condizione originaria di pienezza (4).--------------------------------------------------------------------------------3. In realtà, Egli non si sentiva pienamente soddisfatto; perciò nessuno si sente felice quando è solo. Desideròun secondo a sé stesso. E cominciò a crescere diventando grande quanto un uomo e una donna intimamenteabbracciati. Quindi divise questo corpo in due: perciò vennero ad esistenza lo sposo e la sposa. E’ così cheYajnavalkya, successivamente, dichiarò: “Il corpo di ciascuno è simile alla metà di un seme. Perciò questospazio (vuoto) è colmato dalla sposa. Egli si unì ad essa e nacquero gli esseri umani”.L’uomo è abituato a sperimentare la felicità solo attraverso il possesso di ciò che rappresenta l’oggettodel desiderio: cose o persone, affetti...ecc. Se è vero questo assunto, allora, alla mancanza di desideriocorrisponde un senso di insoddisfazione. E’ l’eterno destino dell’uomo, quello di dover continuamentecercare fuori di sé. Il primo uomo colma questa lacuna esteriorizzando e, diciamo così, materializzando ildesiderio. E’ così che nasce la dualità e, con essa, la visione duale del mondo. A partire da questa dualità(necessaria per vivere il mondo) l’uomo farà di tutto per affrancarsi da quel senso di incompletezza oattraverso il possesso di beni o mediante il tentativo di ricongiungersi (non di identificarsi) con l’origine dallaquale deriva, tipico delle relgioni monoteiste. Tale realtà, per quanto “fagogitata” rimarrà pur sempre esterna

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e diversa dall’individuo come eterna condizione di dipendenza.--------------------------------------------------------------------------------4. Ella (la metà femminile) pensò:”Avendomi originata da Sé stesso, come potrà mai accoppiarsi a me?”Sarà necessario che mi nasconda. Avendo pensato ciò si trasformò in una vacca, l’altro divenne un toro esi accoppiò ad essa. Da ciò scaturì la discendenza. Lei diventò una giumenta, lui uno stallone e si accoppiòad essa. Una divenne un’asina, l’altro un asino e si unì ad essa. Da questa unione nacquero gli animali congli zoccoli. Una diventò una capra, l’altro un becco accoppiandosi ad essa. Lei diventò una pecora, lui unmontone, unendosi ad essa. Da ciò nacquero capre e pecore. Così, in verità, fu creato tutto ciò che esiste nelladuplice forma di una coppia, giù fino alle formiche.L’origine incestuosa della prima coppia è l’argomento centrale di questo mantra. Il tema viene ripresofrequentemente nella produzione filosofica e religiosa dell’India.--------------------------------------------------------------------------------5 .Egli pensò:” In verità io sono la creazione, in quanto ho creato tutto ciò”. Perciò venne ad essereconosciuto come Creazione. Colui che così conosce diviene il creatore di questa creazione.Il mantra rappresenta un ulteriore spunto riflessivo verso il ripristino morale della condizione originariadell’uomo.--------------------------------------------------------------------------------6. Quindi procedette alla zangolatura. Creò il fuoco dal suo utero - la bocca e le mani. E’ per tale motivoche queste due non hanno peli all’interno, in quanto l’utero non ha peli al suo interno. Perciò, durante ilsacrificio, quando viene detto:”Sacrifica a questa divinità; sacrifica a quella divinità” rivolgendosi ad ognidivinità separatamente, Egli solamente rappresenta questa multipla creazione, perché Egli stesso è tutti questidei. E, ancora, qualunque cosa sia liquida qui (in questa terra) Egli la produsse dal seme che è il soma (5).Questo rappresenta, in verità, tutto ciò: il cibo ed il consumatore di cibo. La luna è il cibo, il fuoco è ilconsumatore del cibo. Questa è la super-creazione del Brahman, nella quale creò gli dei, superiori a lui;quindi creò gli immortali, essendo esso stesso un mortale. Perciò questa è una super creazione. Colui checosì conosce diviene un creatore nella super creazione.La zangolatura è un procedimento attraverso il quale dal latte si ricava la sua essenza: il burro. Questa

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immagine è ripresa spesso anche nei Purana dove gli dei frullando le acque dell’oceano, ne ricavano itesori quali principi universali. In questo mantra il Purusha,dalla “zangolatura” della sua bocca e delle suemani crea il principio del fuoco, consciuto anche come Agni. Questa figura divina riveste un’importanzaparticolare nella gerarchia delle caste sociali. E’ il principio che governa la prima casta: quella dei Brahmanie invocato spesso durante lo svolgimento dei riti. Così i Brahmani hanno origine dalla bocca di Brahma (odalla sua parola, i Veda). E’ la parte più pura dove non crescono peli. I testi continuano, sostenendo chedalle braccia di Brahma fu creato Indra, che governa la casta degli kshatriya. Dalle sue cosce originano gliotto Vasu (6) che governano i vaishya . Dai suoi piedi nacque Pushan che presiede alla casta degli shudra.Conoscendo ciò, non ha senso sacrificare a quella o quell’altra divinità, in quanto Egli le rappresenta tutte. Sitratta di una super creazione in quanto in questa opera vengono ad esistenza non solamente quegli elementiche compongono il mondo, ma anche i principi - immortali - che lo governano. E tutto ciò origina proprio daLui che è “mortale” (le sezioni precedenti del testo affermano che sua origine è Morte).Recita la Taittiriya Upanishad: “Io sono cibo, sono cibo, sono cibo! Io mangio il cibo, mangio il cibo, mangioil cibo!...Dal cibo nascono le creature che sono sulla terra e unicamente di cibo vivono e alla fine ad essoritornano”. Il cibo, naturalmete, non è solo quello che mastichiamo, ma anche e soprattutto quello di cui sinutre la nostra mente, quello che è “mangiato” con gli occhi, con le orecchie e che può avvelenarci ancorpiù degli alimenti corrotti.. Nella specificità del mantra, l’acqua rappresenta il principio vitale per eccellenza;la luna (soma) lo simbolizza in quanto governa le acque. Il fuoco è tutto ciò che consuma (si pensi al fuocogastrico che consente di digerire ed assimilare gli alimenti). Da un punto di vista più interiore e adoperandola frequente simbologia: luna----->mente e fuoco--->spirito, possiamo affernmare, nuovamente, che la lunaè il cibo di cui si nutre il fuoco.--------------------------------------------------------------------------------7. Tutto ciò era nello stato immanifesto. Egli differenziò sé stesso in nome e forma (7) : questo si chiamacosì; quest’altro ha tale forma. Così anche oggi ogni cosa è differenziata dal nome e dalla forma: questo si

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chiama così; quest’altro ha tale forma. Questo Sé entrò nel mondo fino alla punta delle unghie, così come unrasoio nella sua custodia o il fuoco nel legno. Non lo si vede perché, diversamente, apparirebbe incompleto.Quando respira lo si chiama prana; quando parla lo si chiama parola; quando vede, occhio; quando ascolta,orecchio; quando pensa, pensiero. Tutti questi sono semplicemente nomi dei suoi atti. Perciò chiunque adorisolamente quello o quell’altro dei suoi aspetti, egli non conosce, perché venendo qualificato solamente dauno di questi aspetti, esso appare incompleto. Occorre adorarlo solamente come il Sé, perché in lui è l’unitàdi tutte le cose. E’ questo Sé, che è il Sé di tutto, che deve essere conosciuto perché attraverso esso tutto siconosce, così come attraverso l’impronta di un piede si può rintracciare l’animale smarrito. Colui che cosìconosce ottiene fama e liberazione.E’ una accorata filippica contro la visione parziale e settaria della realtà. Lo slancio monistico del mantraporta a riflettere sulla natura sacra della vita, in tutti i suoi aspetti. Ogni cosa che vediamo, che ascoltiamo,che fiutiamo, bella o brutta che sia, rappresenta un Suo aspetto. Quando ci scagliamo con veemenza controqualcuno o qualcosa lo facciamo, senza saperlo, anche contro di noi: perché condividiamo la stessa nascita.Ma attenzione! Il mantra non ispira, seppur indirettamente, all’apatia totale. Il discernimento è simbolizzatoproprio dalle Creazione distinta in nome e forma. Il libero arbitrio consente all’uomo di scegliere il bene (selo vuole) e allontanare il male, così come fece prana con gli organi di senso nei precedenti mantra. Lo stessoinsegnamento di Krishna, nella Bhagavad Gita, invita Arjuna a combattere contro i suoi parenti, rivali inbattaglia, in quanto quello è il suo dharma (di guerriero), ma senza acredine e odio.--------------------------------------------------------------------------------8. Questo Sé è più caro di un figlio, più caro di un tesoro, più caro di qualsiasi altra cosa, perché è ilpiù intimo. Colui che così lo considera, in tal modo deve risponedere a chi afferma il contrario: “Quellacara cosa perirà”. Certamente avverrà questo fatto, ecco perché può affermarlo con certezza.. Occorre tenercaro solamente il Sé ed occorre meditare su di Lui come il più caro. Colui che così riflette non dipenderàdalle cose periture.Comincia ad affiorare il leit-motiv di questo pensiero filosofico: l’identità del Brahman con l’Atman. Tutto

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ciò che forma la creazione nel suo aspetto duale e separativo è perituro: ha un inizio ed una fine proprioperché, come si è visto, non è altro che una esteriorizzazione del creatore nella contingenza tipicamenteumana: la paura della solitudine. L’unica cosa che resta è il Sé (Brahman) e la sua presenza nell’uomo(Atman).--------------------------------------------------------------------------------9. Tutti i saggi affermano che l’uomo pensa: “Mediante la conoscenza del Brahman, diventerò il tutto”. Cosa,in realtà, il Brahman ha conosciuto ed in virtù del quale è diventato il tutto?Qual’è l’oggetto di conoscenza che può accomunarmi al Brahman, visto che esso è in me? (Atman) Non sitratta certamente di una conoscenza discorsiva o enciclopedica. Ci viene in mente la profonda conoscenza ditanti santi cristiani dalle umili origini... E’ una comune esperienza, che nella meditazione profonda si entrain una condizione di totale assorbimento non traducibile in argomenti logici e discorsivi; è ciò che il Guénonchiama “intuizione intellettuale” dove intelletto non è la comune intelligenza e intuizione non ha nulla ache vedere con il presentimento o la perspicacia. Il mantra precedente afferma che l’impronta dello zoccoloaiuta a ritrovare la bestia perduta. Il Brahman è immanente al mondo e, al tempo stesso, è trascendente,non limitato da esso. La realtà che l’uomo vive è maya, ma questa illusione è l’unica realtà di cui puòdisporre per ritrovare il Brahman.--------------------------------------------------------------------------------10. All’inizio questo Sé era il Brahman. Egli conosceva solamente sé stesso: “Io sono Brahman” ed Essofu il tutto. Tra gli dei, chiunque realizzò questa identità, Lo divenne. Così tra i saggi (8) e tra gli uomini.Realizzando ciò, il saggio Vamadeva disse:”Io divenni Manu ed anche Surya”. Ancora oggi, chiunquerealizzi ciò (io sono il Brahman) lo diventa. Persino gli dei non possono impedirglielo, in quanto egli diventail loro sé. Colui che adora altra divinità, pensando:”esso è differente, io sono differente”, costui non conosce.Egli è come una bestia per essi (gli dei). Così come le bestie sono necessarie all’uomo, egli è necessarioagli dei. Se una singola bestia, quando viene perduta, causa dispiacere, figuriamoci molte! Perciò agli deinon piace che l’uomo realizzi questo Sé.Prende sempre più corpo l’idea dell’identità tra Atman (il Sé incarnato nell’essere individuale) ed il Brahman

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(il principio universale, origine di tutto). Questa possibilità di “metamorfosi”, che agli occhi del profanoappare assurda, è identica sia per gli dei che per gli uomini. Questo mantra, pertanto, non è che la naturaleconseguenza di quello precedente, dove ci si chiede come si possa diventare il Brahman: attraverso unsemplice atto di consapevolezza. La “semplicità”, certamente, non è sinonimo di “banalità”. Realizzare nonvuol dire semplicemente pensare.Questo semplice atto di realizzazione contiene in sé, per la verità, tutto quel processo di affrancamentodal peccato che le religioni monoteiste descrivono in termini di penitenza, martirio, dolore, supplica ecc.Evidentemente, questa realizzazione presume che l’individuo abbia, quanto meno, compiuto il superamentodella visione ordinaria della vita. Il rishi Vamadeva, realizzando ciò, poté affermare: “io ero Manu (ilprogenitore) ed anche il sole (Surya)” ottenendo l’identità con il Tutto. Diversamente, quando ancora non sirealizza tale condizione, si è come animali aggiogati al potere dei sensi (gli dei).--------------------------------------------------------------------------------11. All’inizio il Brahman era l’unico (ad esistere). Essendo solo, Egli creò una forma superiore, il governo.I governatori fra gli dei sono Indra (9) - Varuna (10) - Soma (11) - Rudra (12) - Parjanya (13) - Yama (14)- Mrityu (15) e Ishana (16). Perciò non c’è nulla che sia superiore a colui che governa. E’ per tale motivoche nel rajasuya (17) il brahmano, dalla sua posizione inferiore, onora colui che governa (l’imperatore) econferisce tale onore solo a questi. L’origine dell’imperatore è il brahmano. Perciò sebbene egli conseguauna posizione di supremazia, alla fine del sacrificio prende rifugio solamente presso la sua origine. Chiunquedisprezzi questi, distrugge la sua propria origine. Egli si macchia di un grave peccato, come colui chetrasgredisce, ingiuriando il proprio superiore.Questo mantra affronta la questione sul rapporto di supremazia tra la funzione sacerdotale e quella regale.Una questione che vide contrapposti l’Evola ed il Guénon, rispettivamente per l’imperatore e per ilbrahmano. Di conseguenza, la società si fonda sulla distinzione dei ruoli esercitati dalle quattro casteprincipali: Brahmani che detengono il potere spirituale; Kshatrya, che governano la società stessa; Vaishya,i quali producono la ricchezza e Shudra, una classe operaia ed artigianale. Tradizionalmente, questa suddivisione

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non è arbitraria ma riflette sin dall’antichità le predisposizioni naturali di ogni individuo le quali,nel corso del tempo vengono consolidate all’interno delle famiglie e dei clan. E’ per tale motivo chel’istituzione venne chiamata Varnashrama Dharma, ossia la legge che regola le qualità e le predisposizionidegli individui in seno alla società. Se inizialmente l’accento venne posto non tanto sulla separazionedelle funzioni individuali, quanto sulla identificazione dei principi che regolano ogni società: un’autoritàintellettuale: brahmana; un potere esecutivo: kshatra; un potere finanziario: Visha ed una funzione coesivaoperaia ed artigianale: shudra, con il passare del tempo e a causa dell’imbarbarimento di tali principi,l’istituzione venne ad essere inevitabilmente fonte di sopruso ed ingiustizia sociale. Va tenuto presente,comunque, che nel corso degli anni l’India a dispetto delle diversità etniche e geografiche, delle numeroseconquiste, incursioni e razzie subite da parte di oriente ed occidente, ha saputo mantenere una sua unitàmorale e politica ed oggi vanta ancora il primato della più grande democrazia mondiale.I Purana parlano di una età dell’oro, Satya yuga, dove le differenze non esistevano ancora e gli uomini eranotutti brahmani. A causa della esteriorizzazione della coscienza e di un graduale decadimento del dharma, lasemplice funzione intellettuale non fu più sufficiente a garantire l’armonia.--------------------------------------------------------------------------------12. Egli non era ancora in grado di manifestarsi. Creò visha; quegli dei che sono menzionati in gruppo:vasu, rudra, aditya, vishvedeva, marut.La funzione imperiale non è ancora sufficiente, da sé, a garantire l’ordine sociale, per cui viene creato ilprincipio economico, per garantire la collettiva acquisizione della riccheza. E’ per tale motivo che le potenzeche presiedono a questo principio sono nominate a gruppi. I Vasu sono otto; i Rudra undici; gli Adityadodici; i Visvedeva tredici; i Marut quarantanove. Si tratta di divinità secondarie del pantheon vedico, caresoprattutto al popolo.--------------------------------------------------------------------------------13. Quindi creò lo shudra, nella forma di pushan. Questa terra, in verità, è Pushan in quanto nutre tuttele cose.Pushan è una divinità vedica; il suo nome significa: colui che nutre. Siccome la nutrice universale è la

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terra, essa viene denominata pushan. Si tratta della quarta casta la cui funzione, nonostante appaia la piùumile, in realtà nutre il tessuto sociale attraverso la sua azione coesiva.In sostanza, vengono create le risorsedel lavoro.--------------------------------------------------------------------------------14. Non essendo ancora in grado (da sé) di portare a termine questo grande impegno [della totale manifestazione],creò un principio superiore: dharma. Questa è la giustizia; è ciò che governa i governanti. Perciòniente è più grande della giustizia. Così un uomo indifeso può desiderare di aver ragione di uno potentemediante la giustzia, (come vien fatto) attraverso il sovrano. Ciò che è giusto è, altrettanto, vero. Perciò gliuomini dicono di uno che si esprime attraverso la verità: “Egli dice ciò che è giusto”, o di un uomo che parlacon giustizia:”Egli dice il vero”. Perché solo questo dharma può essere, insieme, giustizia e verità.Come può, questo mantra, nella sua incantevole spontaneità, non suscitare un leggero turbamentodell’animo? E come sarebbe possibile commentare queste righe, senza correre il rischio di brutalizzarle?--------------------------------------------------------------------------------15. Questo esiste: il brahmana, lo kshatrya, il vaishya, lo shudra. Egli attraverso il fuoco (Agni) vennead essere brahmana tra gli dei ed attraverso il principio stesso del brahmana, venne ad essere tale tra gliuomini. Mediante il principio del governo [kshatra] venne ad essere uno kshatrya; mediante il visha unvaishya; mediante lo shudra [il principio] uno shudra. Perciò ciascuno persegue i propri obiettivi tra glidei mediante il fuoco e tra gli uomini attraverso il brahmana; perché è attraverso queste due forme cheil creatore manifestò Sé stesso. Perciò chiunque abbandoni questo mondo senza aver realizzato il proprioobiettivo, questo (essendo rimasto sconosciuto) non potrà aiutarlo così come nel caso dei Veda non recitati odi una buona azione non compiuta. Senza conoscere ciò, anche un atto di grande merito, alla fine non darài suoi frutti. E’ per questo che occorre adorare il proprio sé (atman) come l’unico obiettivo. Colui che fadell’adorazione del proprio atman il suo vero scopo, avrà sempre il merito delle proprie azioni; qualunquecosa desideri, la otterrà.Questo mantra ruota tutto attorno al concetto del dharma. Il creatore stesso, deve la sua origine al

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dharma e così tutta l’umanità, la quale viene concepita secondo la tradizionale struttura sociale dellecaste. Quest’ultimo termine, purtroppo, nella nostra lingua non rende appieno il significato che gli indianiattribuiscono alla parola varna. Varnashramadharma [ Varna+ashrama+dharma = l’istituzione che si basasulla regola della propria origine] garantiva nell’antichità il rapporto arminioso ed equilibrato tra i membridel tessuto sociale.Il termine varna si traduce comunemente con colore, ma se ci si limita a quello della pelle,allora l’interpretazione di varnashramadharma assume una caratterizzazzione schiettamente razzista. Seinvece a questa parola si conferisce (come dovrebbe essere) un significato molto più ampio interpretandolacome l’elemento che distingue le cose tra di loro, così come un fiore non è una vacca ed una personariflessiva e mite non ha niente a che vedere con una impulsiva ed iraconda, allora il significato di dharmacomincia a delinearsi meglio nella nostra mente. Si pensi ad un’arancia: dharmi è il frutto e dharma è lasua forma sferica, il colore, il sapore ecc.;tutte qualità che sono inseparabili dall’arancia. Esso è il gene checontiene in sé un programma di espansione evolutiva ed insieme il potere dinamico che conduce lo sviluppoda uno stadio all’altro. Il comportamento di un individuo, che chiamiamo comunemente karma, non è altroche la naturale scaturigine di ciò che quell’individuo è. Quindi, secondo questo pensiero, il brahmano è ilbrahmano (perchè il principio del brahmana è il suo dharma) lo kshatrya è lo kshatrya [cioè, non lo diventa]perché ha lo kshatra come dharma, il vaishya è il vaishya, ecc. Se questa regola, che è identica per tutti ipiani dell’esistenza può essere, nel caso degli individui, stravolta da istanze sociali, politiche ecc.come nelcaso della società attuale, essa resta immutata nell’ordine universale, dando luogo a quello che chiamiamouniverso (ciò che scorre sempre in uno stesso verso); diversamente sarebbe il caos. In tal caso possiamodefinire dharma come: legge, regola, sostegno (dalla radice dhar=sostenere) ecc.Questi principi di diversificazione che daranno origine alle caste sono simultaneamente presenti nel Purushae restano latenti in esso, finché la creazione non si sviluppa. Successivamente, nel passaggio dalla potenzaall’atto, essi rappresentano il lato psicologico del desiderio di manifestarsi.Mediante il principio igneo (il fuoco purificatore) che è il suo dharma, il Creatore venne ad essere Agni tra

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gli dei e il brahmano tra gli uomini. Oppure: gli individui perseguono il loro obiettivo fra gli dei attraversoil fuoco (rituale, quindi Agni) e tra gli uomini mediante una nascita come brahmano. Si comprende cosìla figura di estremo rilievo che i brahmini ricoprono nella società indù. E così fu, è e sarà per tutti gliindividui che nascono in questo mondo. Coloro che spendono la propria vita senza realizzare la loro insitanatura (cercando di diventare quello che non sono) non avranno, nel processo evolutivo dopo la morte, alcunsostegno (dhar) dal loro dharma in quanto lo hanno disconosciuto. Così come i Veda mai recitati (e quindinon conosciuti a memoria) non possono aiutare nella esecuzione di un rito, oppure un atto di magnanimitànon dà effetti morali se non è supportato da uno spirito caritatevole.--------------------------------------------------------------------------------16. Questo sé è il sostegno di tutti gli esseri. Qualsiasi offerta egli faccia nel fuoco e qualsiasi sacrificio eglicompia, egli per ciò diviene il sostegno degli dei. Per qualsiasi cosa venga recitata o studiata, egli diviene ilsostegno dei Rishi. Per qualunque offerta egli faccia ai Mani o per il desiderio di una posterità, egli diventa ilsostegno di questi. E’ il sostegno degli uomini per le elemosine e le offerte di cibo. Per il foraggio e l’acquaegli diviene il sostegno degli animali. Nella sua casa bestie, uccelli e persino le formiche trovano riparo: perquesto motivo egli diventa il loro sostegno. Così come si desidera sicurezza per sé stessi, altrettanto tutti gliesseri la desiderano per colui che così conosce. Tutto ciò è stato conosciuto e realizzato.Viene introdotta l’istituzione della famiglia. Il sé si riferisce al capo famiglia che ha raggiunto l’unionecon l’atman. Egli riconosce l’atman in tutto ciò che esiste; persino i riti ai quali potrebbe sottrarsi, avendoraggiunto un alto grado di realizzazione, gli appaiono in una diversa prospettiva. Si fa riferimento ai cinquesacrifici (18 ) : agli dei, ai rischi, ai mani, agli uomini, agli animali. Gli dei sussistono nella misura in cuivengono loro fatti dei sacrifici. Altrettanto i rishi (antichi saggi) si perpetuano per la continuità nell’impegnodello studio dei testi sacri. Attraverso le offerte di pinda (palle di riso) ai mani si perpetua la memoriadegli antenati psichici, ecc.--------------------------------------------------------------------------------17. In origine questo sé era solo. Egli desiderò: “Possa io avere una sposa e quindi procreare, quindi avere

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ricchezza e compiere gli atti rituali”. Tutto ciò è quanto si desidera. Non si potrebbe avere desiderio piùgrande. Per tale motivo chi è solo ancora oggi desidera:” Possa io avere una sposa e procreare; conseguirela ricchezza e compiere gli atti rituali”. E finché gli manca una sola di queste cose, egli si sente incompleto.Ecco, in verità la sua ricchezza: il pensiero è il suo sé, la parola la sua sposa, la forza vitale la sua progenie.La vista è la ricchezza mondana, perché è con essa che la si gode. L’udito la ricchezza divina, perché questiinsegnamenti sono ottenuti attraverso di esso. Il corpo è il suo karma, perché è con esso che lo si compie.Questi sono i cinque sacrifici, queste le cinque vittime, questi i cinque modi di essere uomo. Colui il qualecosì conosce ottiene il tutto.Il mantra inizia con la descrizione dell’uomo comune che spende la propria esistenza alla ricerca dellastabilità economica e sociale. Ma siccome lo studio di questa Upanishad è indirizzato a colui che haintrapreso una via differente, si delinea immediatamente la visione spirituale della vita. Il pensiero,o la mente(manas) è il capo-famiglia e la parola la sua sposa, giacché essa segue sempre il pensiero, così come fa lasposa con lo sposo (nella società tradizionale). La forza vitale simbolizza la progenie; è il risultato dellacollaborazione tra il pensiero e la parola, è la sua personalità espressa. Le meraviglie di questo mondo sonofruite, soprattutto, attraverso la vista e questa è la vera ricchezza mondana, non il loro possesso. La ricchezzadivina, infine, deriva dalla possibilità di percezione dei sacri suoni: i Veda.Fine della quarta sezione

Sezione V - Saptanna Brahmana1. Dei sette alimenti che il padre produsse in virtù di conoscenza ed azione (1) uno di essi fu comunea tutti gli esseri; due furono ripartiti fra gli dei; tre trattenne per sé stesso ed uno ne concesse aglianimali. Tutti gli esseri, animati e non, sono sostenuti solamente da questo cibo. Perché esso, anche secontinuamente consumato, non si esaurisce? Colui che conosce l’inesauribilità di questo cibo, costui ottienepreminentemente il cibo; egli ottiene gli dei; egli è sostenuto dal nettare. Tali sono i versi.L’ordine cosmico e sociale è stato delineato dal Creatore. Tale progetto prevede non solamente la differenteripartizione delle funzioni e del ruolo svolto da ciascun elemento della creazione stessa, ma anche una

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diversificazione degli esseri stessi: dei, antenati, uomini ecc. E’ ovvio che il cibo non può essere il medesimoper tutti, indistintamente. Gli dei non si cibano, certamente, di alimento materiale, bensì dell’intenzionenell’offerta di tale alimento; ossia le oblazioni ed i sacrifici. Gli antenati, non diversamente, avranno coomesostentamento il ricordo di essi, concretizzato attraverso gli opportuni riti funebri. I Rishi, a loro volta, sonosostenuti attraverso lo studio e la trasmissione della conoscenza sacra.Quindi, il cibo non è solamente ciò che mastichiamo, come è stato osservato precedentemente, ma tuttociò che rappresenta oggetto di esperienza e che viene differentemente acquisito ed assimilato dall’individuo.Possiamo affermare, dunque, che l’Universo intero è cibo. Di conseguenza, ciascuno di noi a causa dellemolteplici relazioni con il mondo, è al tempo stesso causa ed effetto: cibo e consumatore di cibo. Latotalità della causa di questi sette tipi di alimento è definita, dal mantra, “il padre”: non il Purusha, bensìl’uomo stesso.--------------------------------------------------------------------------------2. Dei sette tipi di alimento che il padre produsse con la conoscenza e l’azione - realmente il padre produsseciò con la conoscenza e l’azione - “uno fu comune a tutti”, quel cibo che si mangia quaggiù. Colui che tienein considerazione solo questo cibo non si libera dal male, in quanto esso è comune. “Due assegnò agli dei”,significa fare libagioni nel fuoco e offerte agli dei. E’ per questo che si compiono offerte e libagioni aglidei. Ma alcuni sostengono che ciò significhi fare sacrifici a novilunio e plenilunio. Non si tratta, perciò, disacrifici compiuti per un fine materiale. “Uno ne accordò agli animali”, si tratta del latte per gli umani e perle bestie, perché è attraverso esso che si comincia a vivere. Infatti ad un neonato si fa suggere il latte oleccare burro fuso e di un vitello appena nato si dice che non mangia ancora l’erba. “Tutti gli esseri animatie non, sono sostenuti da questo cibo”, significa che tutti gli esseri, sia che respirino, che non, si fondanosu ciò. Però alcuni sostengono che compiendo offerte di latte sul fuoco per un anno, si sfugge alla mortesuccessiva. Non bisogna prestargli fede. Egli sfugge alla morte successiva solamente il giorno in cui questaofferta viene compiuta in quanto, in realtà, offre agli dei ogni cibo di cui si nutre. “Perché questo cibo, anchese continuamente consumato, non si esaurisce?”, significa che l’uomo [colui che consuma] è in realtà la

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causa di tale inesauribilità, in quanto produce in continuazione tale cibo attraverso la conoscenza e l’azione.“Colui che conosce l’inesauribilità di questo cibo” significa che l’uomo rappresenta l’inesauribilità di questocibo, in quanto se così non fosse, l’alimento si esaurirebbe. Quanto all’affermazione: “Colui che conoscetale inesauribilità, costui ottiene preminentemente il cibo”, il termine pratika significa preminenetemente,quindi il significato è: preminentemente. Così ottiene l’identità con gli dei; in tal modo è sostenuto dalnettare: questo è l’elogio.In questa sezione risuona ancora l’eco della affermazione iniziale: il mondo nasce dalla morte, e la morteè fame. Il cibo, pertanto, è il naturale sostentamento del mondo, ed esso proviene da Prajapati stesso.Ripercorriamone rapidamente l’evoluzione.Inizialmente Prajapati è visto come il principio di individuazione che avvia l’intero processo dellaminifestazione universale. Il gravoso compito crea, oggettivamente, gli elementi materiali che ne rappresentanola struttura fondamentale e sono descritti attraverso una disincantata allegoria: il sudore èl’elemento acqueo, dal quale nasce la vita biologica. Possiede, al tempo stesso, la qualità ignea del calore chesottende a qualsiasi impegno, sia esso fisico che mentale (2). L’aspetto organico viene integrato dal principiobiologico dell’energia vitale: prana. Allorché intervengono la mente e la facoltà raziocinante, Prajapatidiviene Brihaspati o Brahmanaspati, il signore delle schiere, delle categorie. Le categorie sottendonoalla successiva discorsività del pensiero logico. L’organizzazione della società sarà realizzata, quindi, dalprimo legislatore: Manu, che rappresenta l’ulteriore aspetto dello stesso principio evolutivo. Prajapati è,ora, il padre universale che procura i sette tipi di alimento. Questo cibo è detto e ribadito essere creatoattraverso medha e tapas. Si tratta di due termini sanscriti che potremmo tradurre, il primo, con intelligenza,conoscenza ed il secondo con attività, atto (rituale). Conoscenza ed azione, quindi, cioè Jnana shakti eKriya shakti. Conoscenza ed azione sono, in sostanza, i due poli attorno ai quali ruota tutta l’esperienzadell’individuo.Il primo di questi alimenti è comune a tutti gli esseri. Si tratta, evidentemente, del cibo che sostiene ilcorpo fisico dell’individuo. Essendo il medesimo per tutti gli esseri, accomuna questi ultimi ad un medesimo

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destino: nascita, crescita, morte. Il mantra, tuttavia, lascia intravvedere, il significato più profondo del “cibocomune”. Si tratta del frutto che le azioni, nelle precedenti esistenze, hanno prodotto e che viene consumatonella vita presente. Stabilito già che l’uomo non vive di solo cibo materiale, ma anche di tutto ciò cle lapsiche “assimila”, questo nutrimento sottile accomuna tutti gli esseri ad uno stesso destino: il samsara, laruota perenne delle esistenze.Due ne riservò agli dei. Si tratta delle libagioni nel fuoco (hutam) e le offerte agli dei (prahutam). Alcuni,prosegue il mantra, sostengono che questi due termini si riferiscano, più propriamente, ai sacrifici fatti nelperiodo della luna nuova e della luna piena. Secondo la tradizione questi due sacrifici rappresentano ilprincipale modello di tutti gli altri tipi di sacrificio (ishti) compiuti esclusivamente per la gloria degli deie non per un fine materiale.Un alimento fu accordato al bestiame. Questo termine si riferisce tanto al neonato dell’uomo che dellabestia. Entrambi si cibano di latte. Tuttavia “il latte” non va preso nel suo senso letterale. Per esso siintende l’origine dell’esistenza in generale. In tal caso, paya (latte) può significare aria ed acqua, se questerappresentano l’origine dell’esistenza per le piante ecc. E’ così che sia gli esseri che respirino, che quelli chenon respirino “si nutrono di latte”. Perciò non è corretto sostenere, come spesso si fa, che solamente offrendolatte per un anno intero si ottiene la vincita sulla morte successiva. (Si noti che la “morte successiva” è quellache viene dopo la morte fisica, cioè la morte dell’anima). Ottiene l’immortalità (nel senso detto) solo chirealizza il vero significato di “alimento” (ed è sufficiente che si realizzi una sola volta nella vita!).Perché questo alimento, perennemente consumato, non si esurisce? La risposta è che l’uomo stesso è la causadi qusta inesauribilità. Le impressioni e le esperienze di ogni individuo vengono impresse nei livelli incoscioe subconscio della mente (chitta). Esse creano, a loro volta, uno stimolo che si manifesta a livello conscio inuna determinata forma di comportamento, la quale conduce ad ulteriori esperienze. Queste, a loro volta, sidepositano nei livelli inconscio e subconscio per riproporsi, successivamente, a livello razionale. E’ l’eternaruota della vita che, nellottica della filosofia indiana, giustifica il samsara.--------------------------------------------------------------------------------

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3. Tenne per sé tre alimenti. La mente, la parola e l’energia vitale sono i tre che tenne per sé stesso. “Lamia mente era altrove, perciò non ho visto; la mia mente era altrove, perciò non ho udito”. In verità è solocon la mente che si vede; è solo con la mente che si ode. Desiderio, risoluzione o determinazione, dubbio oincertezza, fede o incredulità, fermezza e titubanza, modestia, intelligenza e paura, tutto ciò è mente. Perciòquando si è toccati da dietro, ci si accorge di ciò attraverso la mente. Qualunque suono è, in realtà, solamenteparola in quanto essa è alla base della rivelazione delle cose, ma essa stessa non è soggetto di rivelazione.Prana, apana, vyana, udana, samana e ama, tutti questi sono solamente forza vitale. Questo corpo è in realtàcomposto di questi tre: parola, mente, forza vitale.Durante lo stato di veglia, l’uomo è in continuo contatto con la realtà esterna.Vediamo, udiamo, percepiamotutto simultaneamente, ma diveniamo consapevoli solamente di un evento alla volta. Se sono immerso in unaprofonda riflessione, probabilmente non mi accorgo di un amico che mi sta passando davanti, anche se i mieiocchi lo hanno perfettamente messo a fuoco. Oppure, se sto fissando intensamente una scena posso non udirequalcuno che mi sta chiamando.Tra l’individuo e gli organi di senso è necessario un coordinamento: questafunzione è svolta dalla mente (o, allo stile indiano, da manas - l’organo interno). Essa assicura ogni tipo diconoscenza e rende manifesta la creazione in tutti i suoi aspetti. Trasferita sul piano macrocosmico, la menteuniversale è ciò di di cui si nutre il Creatore.Il secondo alimento è la parola. Essa rappresenta il secondo supporto della creazione. In quanto mezzo diespressione, la parola traduce i pensieri in suoni comunicabili ed interpretabili dalla mente. Essa rappresentala base dei pensieri stessi, in quanto li articola in ordine sintattico, dando loro una forma logica. La parolaè alla base della rivelazione delle cose, ma al tempo stesso non è soggetto di rivelazione. Per comprenderequesta affermazione, occorre rifarsi alla struttura del pensiero secondo l’ottica della filosofia indiana. Illinguaggio articolato, che la laringe manifesta, è solamente l’ultimo stadio di un processo evolutivo, chenasce molto più in profondità, ancor prima di quella dimensione che, in Occidente, chiamiamo psiche. Essorappresenta il frutto della limitazione spontanea di un fenomeno eterno, di una vocalità a-convenzionale, di

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quel pensiero creativo di Colui che pensa il mondo. Alcuni lo chiamano riverbero perenne della Om, altriPotenza o Shakti. In ogni momento noi siamo soggetti a numerose influenze che si riversano su di noi datutte le parti dell’universo. Raggiungono però la nostra coscienza - come abbiamo visto - solamente quelleche attirano la nostra attenzione, ossia solamente quelle che sono scelte dal manas, la mente. Quando unoggetto è presentato alla mente e viene percepito, essa ne assume la forma; è ciò che viene chiamato vritti- ossia modificazione temporanea della mente. Il mentale, quale vritti, è una rappresentazione dell’oggettopercepito; ma in tal modo diviene “oggetto”, esattamente come quello esterno. Quindi il mentale ha dueaspetti, in uno dei quali è l’osservatore e nell’altro l’oggetto osservato, nella forma della temporaneamodificazione mentale. Ad esempio, prima della creazione di un’opera d’arte, essa è già presente nell’artista- sotto forma di ispirazione (vritti) prima ancora che veda la luce nel mondo reale. L’impressione mentale el’oggetto fisico corrispondono esattamente, perché quest’ultimo non è che la proiezione dell’immaginazioneed è tanto reale quanto lo è il mentale. Tale discorso interiore, costituito dalle voci infinite in cui le immaginidella nostra coscienza si esprimono, è un unico principio vitale che si esprimerà verso l’esterno, per gradi.Param è la condizione causale. E’ la realtà omogenea delle cose non ancora frammentata dalla discorsivitàdel pensiero. E’ la sorgente di ciò che, successivamente, diventerà idea e linguaggio. E’ questa che il mantraidentifica quale base della rivelazione delle cose.Madhyama è l’assegnazione dell’identità dell’oggetto ad opera della mente, nel suo processo cognitivo.Insieme a Param, fa parte dell’eloquio interiore.Vaikhari è il linguaggio proferito, che risuona nella laringe e si esprime all’esterno. Differisce da uomoa uomo in quanto è condizionato non solamente dalla lingua e dall’idioma, ma anche e soprattutto dalladifferente interpretazione della realtà. Esso non è soggetto di rivelazioneLa sorgente di energia per l’articolazione dei pensieri è Prana. Esso rappresenta il terzo alimento e sostienela vita sia attraverso il sistema autonomo o vegetativo, sia attraverso quello volontario. Le sue particolarispecificazioni governano i differenti settori dell’organismo.Prana è presente nella fase inspiratoriaApana in quella espiratoriaVyana è l’energia che governa il sistema circolatorio

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Udana è presente nella regione glotto-faringea e consente l’emissione dei suoniSamana è responsabile della funzione digestiva.Ana è la forma generale di tutte queste funzioni ed è responsabile di tutte le attività del corpo.--------------------------------------------------------------------------------4. Questi tre (la mente, la parola e l’energia vitale) sono in verità i tre mondi. La parola è questo mondo; lamente è il mondo intermedio - l’atmosfera - ; il prana è il mondo celeste.Viene presentata l’identità tra macrocosmo (l’Universo) e microcosmo (l’individuo). Questa identificazionesottende a tutta la produzione filosofica indiana e su di essa si basano le dottrine che conducono verso larealizzazione spirituale dell’uomo - compreso lo yoga. Su questa suddivisione tripartita si fonda tutta larealtà sia del macrocosmo che del microcosmo. Il primo è composto da tre livelli di esistenza: Bhur - questomondo (3) ; Bhuvar - il mondo intermedio, l’atmosfera; Svarga - il cielo, la dimensione ultraterrena. Questitre nomi rappresentano la prima invocazione (Bhur, bhuvar, svar) del Gayatri mantra (4). Similmente, tuttal’esperienza del microcosmo - l’uomo - è basata sull’attività della parola, della mente, dell’energia vitale.--------------------------------------------------------------------------------5. Questi tre sono, in verità, i tre Veda. La parola è RigVeda, la mente è Yajurveda, prana è Samaveda.E’ l’identificazione dei tre alimenti con la conoscenza sacra. Il RigVeda è composto di mantra che vengonoproferiti attraverso la parola. Si tratta, in sostanza di una collezione di inni indirizzati alle varie divinità.Lo Yajur è una guida per l’adhvaryu (vedi commento al mantra 28 della III sezione. Per cercarlo adoperal’apposita icona) e la relazione di questo (lo YajurVeda) con il RigVeda è simile a quella che esiste tra laparola e la mente. Il Samaveda è un libro di canti sacri e rappresenta l’essenza del RigVeda, così comeprana è l’essenza della vita.--------------------------------------------------------------------------------6. Questi tre sono gli dei, i mani e gli uomini. La parola è, in verità, la divinità; la mente gli avi ed ilprana, l’uomo.Nella gerarchia tripartita, gli dei occupano il primo posto, così come la parola nella sfera del microcosmo. Imani, gli antenati, sono identificati alla mente perché essi esistono solo in base al ricordo ed ai riti connessi(Sraddha). Il prana nel microcosmo rappresenta anche l’attività organica della vita.--------------------------------------------------------------------------------

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7. Questi tre sono il padre, la madre e la prole. La mente è il padre, la parola la madre e prana la prole.Fin troppo semplice da comprendere questa assimilazione e saremmo tentati di astenerci dal commentarla atutto rispetto della capacità intuitiva del ricercatore. Lo facciamo solo per una forma di debolezza umana!La mente guida l’attività dell’individuo così come il padre guida la famiglia. La parola la segue nellamanifestazione del pensiero, così come la madre segue le decisioni del capo famiglia (nella societàtradizionale !!!). Il prana , cioè l’attività vitale, è l’elemento che realizza il passaggio dalla potenza all’atto,così come i figli sono la diretta conseguenza (anche nella sfera educativa e sociale!) dell’armonia familiare.--------------------------------------------------------------------------------8. Questi tre sono tutto ciò che è stato conosciuto, ciò che è ancora da conoscere e ciò che non è possibileconoscere. Ciò che è conosciuto è della natura della parola. Ciò in quanto la parola stessa è il conoscitore.Essa favorisce l’uomo.La realtà in tutti i suoi aspetti (conosciuta, incognita e insondabile) è assimilata ai tre alimenti. La parola, persua natura, rappresenta il veicolo della conoscenza trasmessa.--------------------------------------------------------------------------------9. Tutto ciò che è da conoscere è della stessa natura della mente, perché essa èciò che non si conosce.Perciò essa è utile all’uomo.La natura insondabile della mente è quasi proverbiale. Essa, d’altra parte, rappresenta il desiderio diconoscere la realtà delle cose e perciò è utile all’uomo.--------------------------------------------------------------------------------10. Tutto ciò che è insondabile è della natura di prana. Essendo tale, è utile all’uomo.Prana, nel microcosmo, si manifesta attraverso la vita biologica, ma non è essenzialmente la somma deiprocessi biologici. E’ il mistero della vita. E per questo motivo, nel tentativo di penetrarlo, l’uomo ricorrea quei procedimenti che si sottraggono alla comprensione razionale e discorsiva. In sostanza, ricorre allameditazione. Per tale motivo è utile .--------------------------------------------------------------------------------11. Questa terra è il corpo della parola. Il fuoco è la sua natura luminosa. Perciò, per quanto si estenda laparola, altrettanto lo sarà la terra e così il fuoco.Anche ciò che è conosciuto ha un aspetto palese comune a tutti gli uomini, indistintamente, ed un aspetto

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interiore la cui conoscenza è frutto della ricerca - nella fattispecie, della meditazione. La parola rappresentatutto ciò che è conosciuto (vedi mantra 8) ed il suo corpo esteriore è la terra, cioè il mondo dei nomi e delleforme esteriori. Il suo aaspetto intrinseco è il fuoco, l’elemento che con la sua azione riduce tutto ad essenzae che, inoltre, purifica. Si rammenti l’azione purificatrice del verbo sacro.--------------------------------------------------------------------------------12. Ora, il cielo è il corpo della mente. Il sole la sua natura luminosa. Perciò, per quanto si estenda lamente, altrettanto lo saranno il cielo ed il sole. Entrambi si accoppiarono. Da questa unione nacque prana.Questi è Indra. Egli è senza rivale. Una seconda entità rappresenterebbe un rivale. Egli non ha rivali; cosìè conosciuto.Per tentare di comprendere il senso di questo mantra occorre riferirsi al rapporto che esiste tra la menteriflessiva e l’intelletto. La prima, manas, esprime il normale coordinamento dell’ “organo interno” nellasua funzione di apprensione della realtà comune. Il secondo, buddhi, rappresenta il superiore aspettodell’intuizione intellettuale, sulla quale abbiamo già avuto modo di soffermarci nel commento ai mantraprecedenti. Da un punto di vista interiore, la mente riflessiva, “riflette” la luce dell’intuizione intellettuale,così come il cielo riflette una luce diffusa ricevuta dal sole.Per “entrambi si accoppiarono...” occorre intendere, naturalmente, la parola e la mente.--------------------------------------------------------------------------------13. Le acque sono il corpo di prana. La luna è la sua natura luminosa. Perciò, per quanto si estendano leacque, così lo sarà la luna. In verità tutti questi [la parola, la mente e prana] sono uguali. Tutti e tre sonoinfiniti. Colui che medita sui tre come enti limitati, ottiene un mondo limitato. Colui che li medita comeinfiniti, ottiene un mondo infinito.Prana, nel microcosmo, è l’aspetto vitale dell’individuo. Le acque, nel senso esoterico, rappresentano ildominio delle forme (Guénon).Quindi, l’aspetto formale dell’umanità. La luna è, quasi, lo spirito delleacque. Si pensi, ad esempio, alla sua azione attrattiva rispetto alle maree. Tutta la cultura orientale (il calendario,i riti ecc.) ruota intorno alle differenti fasi lunari. Così è stato anche per la nostra cultura tradizionale,soprattutto contadina, della quale oggi non restano che semplici spressioni proverbiali, apparentemente privedi significato.

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Per quanto concerne l’ultima affermazione di questo mantra, potremmo commentarla semplicemente inquesto modo: sei ciò che pensi.--------------------------------------------------------------------------------14. Prajapati, che è anche conosciuto come l’anno, possiede sedici kala. Le notti rappresentano solamente isuoi quindici kala. Il sedicesimo kala è fisso. Esso cresce e decresce per mezzo delle notti. Penetrando in tuttigli esseri viventi attraverso il suo sedicesimo kala, esso rinasce al mattino. Perciò, in onore di questa divinità,in quella notte non si deve offendere la vita di alcun essere vivente, fosse anche una lucertola.Prajapati è qui descritto come l’anno (rituale) e quindi come fattore tempo. E’ formato da sedici unità cherappresntano altrettanti suoi aspetti, così come la quindicina lunare è visibile in cielo attraverso la differentegrandezza dell’astro. Nel Vishnu Purana la superficie visibile della luna viene suddivisa in sedici gradi oKala ed è considerata il contenitore del nettare che cresce e decresce in corrispondenza delle rispettivequindicine o lunazioni. Quindici giorni per crescere, quindici giorni per calare, durante i quali gli dei bevonoamrita. La quindicesima porzione è bevuta dai Pitri (gli antenati). Al centro il grado fisso della luna nuova:è il sedicesimo kala.Kala è l’antica unità di misura del tempo. Kalamana rappresenta il procedimento per il calcolo. I passaggidalla più piccola unità di misura alla più grande (kalpa, che coincide pressappoco con il nostro concetto dieternità) sono circa una trentina. Ne riportiamo solamente alcuni:Il tempo occorrente per bucare una foglia con un ago __ 1 Alpakala30 Alpakala_____________________________________ 1 Truti30 Truti________________________________________ 1 Kala30 Kala________________________________________ 1 Kastha30 Kastha______________________________________ 1 Nimisha (matra)4 Nimisha______________________________________ 1 Ganita10 Ganita______________________________________ 1 Netuvirpu (durata di un sospiro profondo)6 Netuvirpu____________________________________ 1 Vinazhika6 Vinazhika____________________________________ 1 Ghatika60 Ghatika_____________________________________ 1 Ahoratra (giorno)...(Devi Bhagavata)I sistemi per il calcolo sono diversi, a seconda della fonte scritturale (Purana) da cui provengono. Un’altrasuddivisione, probabilmente più recente perché seguita attualmente dall’indù per i riti quotidiani è la

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seguente:1 ora e mezza__________________________ 1 Yamardha2 Yamarda____________________________ 1 Yama o Prahara8 Yama oppure 16 Yamardha_____________ 1 giorno e 1 notteIl 16° Yamardha inizia alle 4,30 e dura fino alle ore 6. E’ l’ora del risveglio e della meditazione. Questoperiodo di tempo viene chiamato Brahma muhurta. Il resto della giornata viene suddiviso in 1 ora e trentaminuti ciscuno (Yamardha).Nell’ordine macrocosmico la Upanishad ripropone la figura del Creatore nel suo aspetto immutabile - ilsedicesimo grado, fisso, del novilunio - attorno al quale si svolge l’evoluzione (e l’ivoluzione) dei ciclicosmici: Kalpa e Pralaya, manifestazione e dissolvimento. E’ per tale motivo che nel rispetto di questafigura, nella notte del novilunio non bisogna recare offesa ad alcun essere vivente, fosse pure una lucertola,considerata inauspiziosa.--------------------------------------------------------------------------------15. Questo Prajapati che possiede le sedici parti ed è conosciuto come “samvatsara” è egli stesso la personache conosce ciò. La ricchezza, in realtà, rappresenta i suoi quindici aspetti (kala), il corpo il sedicesimokala. In virtù della sua ricchezza egli cresce e decresce. Il corpo è come il mozzo di una ruota; la ricchezzarappresenta il cerchio. Perciò anche se uno perde tutti i suoi beni ed il corpo rimane (ma vive fisicamente), diesso si dice: “ha perduto solamente il cerchio”.L’analogia si sposta sul piano microcosmico, umano; ecco perché i valori sono prettamente mondani: lericchezze ed il corpo (non l’anima!). Il rapporto è tra ciò che è variabile: i quindici kala e ciò che è fisso:il sedicesimo; tra la ruota ed il mozzo. Nell’ordine macrocosmico il valore è l’eternità, ossia Prajapati; nelmicrocosmo il valore è la longevità, ossia il corpo.Samvatsara è comunemente inteso per anno. In particolare esso rappresenta uno dei cinque anni che formanouno yuga (da non confondersi con i quattro yuga dell’Umanità). Gli altri sono denominati: Parivatsara,Idvatsara, Anuvatsara e Vatsara.--------------------------------------------------------------------------------16. Ora, esistono solamente tre mondi: quello degli uomini, quello dei Mani e quello degli dei. Il primo losi ottiene solamente attraverso un figlio e con nessun altro karma. Il mondo dei Mani, attraverso il karma.Quello degli dei mediante la conoscenza. Di tutti i mondi, quello degli dei è il migliore; è per tale motivo

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che si esalta la conoscenza.Esistono tre mondi o tre differenti livelli di coscienza. Il mondo fisico, dove si svolgono gli eventi concretidella vita. Il mondo dei Mani o degli antenati, appartenente al dominio del ricordo e della mente. Il mondoceleste o spirituale.Il primo è perseguibile solamente attraverso un figlio, perché solamente questi è tenuto a concludere le operee gli impegni che il genitore può non aver portato a termine nell’arco della sua vita. Quindi il genitore puòsempre ritenersi pienamente realizzato in questo mondo, attraverso l’eventuale debito onorato dal figlio.Il mondo degli antenati è perseguibile con il “karma” ossia rito e sacrifici dedicati ai defunti. Il mondo deglidei si ottiene mediante la conoscenza sacra, cioè come dire lo studio dei Veda.--------------------------------------------------------------------------------17. Ora parleremo della trasmissione dei doveri. Quando il padre si sente prossimo alla fine si rivolge alproprio figlio: “Tu sei il Brahman, tu sei il Sacrificio, tu sei il Mondo”. Avendo udito ciò, il figlio replica:“Io sono il Brahman, io sono il Sacrificio, io sono il Mondo”. Quindi il padre lo istruisce: “Tutto ciò che èstato da me letto, questo si identifica con Brahman; qualunque atto sacrificale si stato da me compiuto, questosi identifica con Sacrificio; tutto ciò che si è riferito al mondo, qesto si identifica con Mondo. Ecco tuttociò che esiste”. Dicendo ciò, pensa: “essendo egli il tutto, potrà giovarmi”. E’ perciò che un figlio istruito èconsiderato il mezzo per ottenere il mondo. E’ per tale motivo che egli lo istruisce. Nel momento in cui egliabbandona questo mondo, entra nel figlio con tutte le sue facoltà. Qualunque cosa sia rimasta incompiuta,egli lo libera da tale mancanza. Perciò il figlio ( putra ) è così chiamato. Egli continua ad esistere nel mondo,solamente attraverso lui; i suoi soffi divini ed immortali entrano in lui.Questo mantra non descrive propriamente l’ultimo sacramento (Antyeshti samskara) di un indù, ma lasciaintendere l’enorme importanza che questa cultura gli attribuisce. La procedura estremamente complessa elunga della cerimonia funebre (Antyeshti, appunto) ed i riti successivi (Shraddha) lo confermano. Il figliomaggiore, in tale circostanza, si assume sia l’onere pratico del complesso svolgimento della cerimoniafunebre, sia quello morale come descritto dal presente mantra. Numerosissimi sono i riferimenti scritturali;ne citiamo uno:

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“ Un uomo conquista i mondi grazie ad un figlio; tramite il figlio di un figlio ottiene l’immortalità, maraggiunge il mondo degli dei con il nipote di suo figlio. Swayambhu (l’Autoesistente) chiamò il figlio putra,dal momento che egli libera (trayate) suo padre dall’inferno (Put).”Leggi di Manu. IX- 137, 138Questa è più che una relazione spirituale tra padre e figlio.E’ ciò che viene chiamato sampratti o sampradhana:un rito eseguito per trasmettere elementi psichici da un individuo all’altro.--------------------------------------------------------------------------------18. Dalla terra e dal fuoco la parola divina entra in lui. Attraverso essa, qualunque cosa egli dica, si realizza.Dal corpo e dalla natura luminosa (mantra 11) essendo disconnessa dall’individualità, la sua parola acquistacarattere divino e può realizzare tutto ciò che afferma.--------------------------------------------------------------------------------19. Dal cielo e dal sole la mente divina entra in lui. Tale è in realtà la mente divina, mediante la quale eglidiviene beato privo di qualunque sofferenza.Dal corpo e dalla natura luminosa (mantra 12) essendo disconnessa dall’individualità, la sua mente acquistacarattere cosmico conferendo gioia infinita.--------------------------------------------------------------------------------20. Dalle acque e dalla luna il prana divino entra in lui. Egli è in realtà il prana divino per cui si muovao stia fermo non soffre nè perisce. Egli che così conosce diviene lo spirito di tutti gli esseri. Tale e qualequesta divinità. Così come tutti gli esseri adorano questa divinità, del pari adorano questo conoscitore.Qualunque sofferenza affligga le creature, questa presso di esse rimane. Il bene, invece, va verso di lui;infatti il male non tocca gli dei.Dal corpo e dalla natura luminosa (mantra 13) prana entra in lui.E’ stato già osservato come la forza vitalenon sia soggetta al male o alle sofferenze.Colui che realizza questa triplice divisione del cibo, diviene il Sé di tutti gli esseri.--------------------------------------------------------------------------------21. Ora parliamo dei doveri. Prajapati creò gli organi di azione. Subito dopo essi rivaleggiarono gli uni congli altri. “Io sola parlerò” disse la parola, stabilendo la sua funzione. “Io solo vedrò” disse l’occhio; “Iosolo ascolterò” disse l’orecchio e così tutti gli altri, secondo le loro funzioni. La morte li divise ed avendoliindeboliti, se ne appropriò. Questo è il motivo per cui la parola giunge all’esaurimento e così l’occhio el’orecchio. La morte non riuscì ad afferrare prana. Gli altri vollero conoscerlo. “Costui è il migliore tra noi

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che, si muova o no, non soffre né perisce. Diventiamo quindi della sua stessa natura”. Per tale motivo essisono chiamati i “soffi vitali” Dopo di esso, colui che nasce in una famiglia, le dà il suo nome. Colui cherivaleggia con esso, si dissecca e muore. Fin qui dal punto di vista fisico.Quale occasione migliore di questo mantra, per dare libero sfogo alle nostre riflessioni?Nella dimensione profana dell’esistenza, la vita ci appare spesso enigmatica perché gli interessi (gli organi acui il mantra si riferisce) sono disgiunti da un filo comune, a volte persino contrastanti tra di loro. Mancandola visione unitaria che potrebbe dare un senso al nostro comportamento, ci sentiamo spesso stanchi esfiduciati. Questo malessere che nasce prima moralmente e psicologicamente, non tarda a ripercuotersi nellasfera fisica.--------------------------------------------------------------------------------22. Ed ora riguardo alla sfera cosmica. “Io solo avvamperò” disse il fuoco determinato. “Io solo riscalderò”disse il sole. “Io solo splenderò” disse la luna. E così tutti gli altri dei, secondo la loro natura cosmica.Così come prana primeggia tra questi organi, ugulamente l’aria tra le divinità. Perché tutte le altre divinitàindugiano, mai l’aria. L’aria è la divinità che non conosce mai sosta.Gli elementi del cosmo, secondo una visione antica, sono considerati come divinità che agiscono qualiforze, spesso in contrasto tra di loro (almeno, secondo la visione dell’uomo). Agni [non lo si pronunzi comein “agnello”, ma piuttosto con la “g” dura] è la personificazione del fuoco; Surya del sole; Soma dellaluna; Vayu dell’aria. Il messaggio monista della Upanishad si riafferma, trionfante: non bisogna adorare ledifferenti divinità, ma realizzare l’Assoluto, il Brahman.Un ulteriore sostegno alla comprensione (quasi ce ne fosse bisogno!): si può comprendere meglio la qualitàonnipresente dello Spirito (prana) considerando la qualità dell’aria, sua controparte microcosmica.--------------------------------------------------------------------------------23. Perciò il seguente verso: Donde sorge il sole, dove tramonta ! In realtà è dal Prana che sorge, nel Pranache tramonta. Gli dei osservarono questa Legge; così è oggi, così sarà domani. Ciò che rispettarono allora,lo rispettano oggi. Perciò occorre perseguire solamente uno scopo. Bisogna inspirare ed espirare, affinché lamorte non ci assalga. Se si segue questa pratica, occorre perseguirla fino in fondo. E’ così che si acquistal’unione intima con questa divinità e si dimora nella sua casa.

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L’Universo intero non è altro che un aspetto caleidoscopico della Realtà assoluta. L’aria, nel mantraprecedente, a causa della sua importanza vitale per l’uomo è stata utilizzata per comprendere la natura diprana. Il respiro è ciò che ci accomuna al Dharma, alla Legge secondo l’ordine dei ritmi: inspiro ed espiro;alba e tramonto; novilunio e plenilunio...Fine della quinta sezione

Brihadaranyaka UpanishadLibro primo (Madhu kanda) - Capitolo ISezione VI - Uktha Brahmana1. Questo mondo è formato dalla triade: nome, forma e azione. La parola è uktha, l’origine di questi nomi,perché è da essa che derivano. Questo suono è il loro sama perché è comune a tutti ed è il loro Brahman,perché li sostiene tutti.L’intero ambito della nostra esperienza soggiace ad un triplice condizionamento: nome, forma e azione. Sitratta di un vero e proprio condizionamento in quanto al di fuori di questa triade, non esiste conoscenzalogica. Siamo condizionati dai nomi perché l’attribuire un nome è il primo atto che la mente compie percatalogare un certo tipo di realtà. Successivamente riusciamo a diversificare le forme tra loro attraverso unaspecifica caratterizzazione, che altro non è se non l’attribuzione sempre più particolareggiata di un nome; -nel termine generico di “nome”, naturalmente, rientra l’attribuzione della qualità, del colore, dell’odore ecc,che i nostri sensi di percezione riconducono ad una espressione verbale -.Vi sono poi differenti “forme” di azione che possono essere considerate come una reazione “discorsiva” aidifferenti stimoli, anche quando si è in presenza di un impulso.La conferma di ciò si ha nel caso della meditazione. La sua esperienza non è né descrivibile, né quantificabileattraverso il comune linguaggio. Se proprio si volesse dare una descizione formale del ricordo di uno statomeditativo, si sarebbe costretti ad assumere un uso improprio di espressioni e contenuti che non trovanonessun riscontro nel senso comune delle cose.In fin dei conti, il nome - che si esprime attraverso l’espressione vocale,il suono - è il sostegno o la causa di tutti i nomi. L’Upanishad lo assimila simbolicamente all’ uktha, cherappresenta il nome di una porzione del Sama Veda creata dalla bocca di Brahma.--------------------------------------------------------------------------------2. Ora per quanto riguarda le forme. L’occhio è il loro uktha, la causa, perché da esso sprigionano tutte

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le forme. Esso è il loro sama, perché è comune atutte le forme. Esso è il loro Brahman in quanto lesostiene tutte.L’esperienza visiva degli oggetti è il secondo legame che dallo stimoloconduce all’azione. Interpretiamo larealtà in quanto è possibile distinguere la diversità delle cose fra loro attraverso la loro particolare forma.Siccome l’esperienza visiva non è altro che il riflesso di tutto ciò che esiste fuori dell’occhio, possiamometaforicamente affermare che è da esso che sprigionano o hanno origine tutte le forme.--------------------------------------------------------------------------------3. Ora per quanto riguarda l’azione. Questo corpo è l’uktha o la causa delle azioni, perché è da esso chesprigionano. Esso - il corpo - è il loro sama, in quanto comune a tutte le azioni. E’ il loro Brahman, inquanto sostegno di tutte le azioni. Sebbene triplice, questa trinità è una. Sebbene una, esso è questa trinità.Questo immortale è velato da satya. In verità questo prana è immortale. Nomi e forme sono satya. Questoprana è velato dai due.Il terzo aspetto della realtà concerne la reazione allo stimolo che i sensi percepiscono. E’ attraverso l’azioneche si può modificare la realtà e ciò è possibile solo con la partecipazione del corpo. Esso, dunque, è l’originedi tutte le azioni. In fin dei conti tale azione è l’unica risposta agli stimoli visivo e uditivo; come dire che inomi e le forme sono modificabili attraverso l’azione.La realtà, sebbene molteplice, può essere esperita solamente da questo corpo così come l’Universo, con lemille sfaccettature che tendono a distrarre e disorientare il ricercatore, non è altro che l’mmagine dell’Uno.L’ “immortale” è Prana; “satya” è ciò che definisce realtà. La realtà comune, l’esperienza quotidiana tendono,così, a velare l’immagine dell’Uno.Fine del capitolo I

Libro primo (Madhu kanda) - Capitolo IISezione I - Ajatasatru brahmana1. Si narra di un oratore di indole superba, chiamato Balaki, appartenente al gotra dei Garkya. Disse, ungiorno, ad Ajatasatru - re di Kashi - : “Vostra maestà, vi parlerò del Brahman”. Ajatasatru, avendo udito ciò,rispose: “Per questa promessa, ti offro mille vacche, in modo che la folla accorra, gridando: “un Janaka,un Janaka!”.

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In questa sezione si tenterà una progressiva definizione della natura della Realtà, procedendo dal Brahmansaguna (1), verso il Brahman nirguna attraverso la discussione sugli stati di veglia, sonno, sonno profondo.Balaki, figlio di Balaka appartiene al gotra (2) dei Garkya. Janaka fu un re generoso e liberale ma la sua famaè dovuta, soprattutto, alla sua profonda erudizione. Il Mahabharata descrive numerosi episodi della sua vitamettendo quasi sempre in risalto la sua fama di illustre filosofo.--------------------------------------------------------------------------------2. Gargya disse: “Quell’essere che è nel sole, solo lui io adoro come il Brahman”. A ciò il re replicò: “Nonmi parlare di lui. Io lo considero solamente come un essere preminente, come il sovrano di tutti gli esseri.Colui che così lo medita, diviene preminente egli stesso, risplendente, sovrano di tutti gli esseri”.L’esperienza meditativa di Gargya è, evidentemente, basata su un aspetto formale del Brahman, dal momentoche egli lo identifica con il sole. Si tratta, appunto, di un livello meditativo inferiore, dove ancora non esiste lapossibilità di affrancarsi dalla forma (sa-guna) per accedere alla realtà essenziale (nir-guna) dove il Brahmannon può essere associato a nulla che cada sotto l’esperienza sensoriale. E’ ben nota l’espressione negativa:“neti, neti...” (non è questo, non è quello...).Il re Ajatasatru, invece, ha probabilmente già meditato sulla reale natura del Brahman, quindi respingecategoricamente tale insoddisfacente definizione, proposta dal superbo Gargya. E così continuerà a fare neimantra successivi, sino a che la situazione si ribalterà completamente: l’istruttore diviene l’allievo e l’allievodiviene l’istruttore.Queste situazioni paradossali sono ben conosciute da coloro che hanno una certa familiarità con la culturaindiana!--------------------------------------------------------------------------------3. Gargya disse: “Quell’essere che è nella luna, in realtà, io adoro e medito come il Brahman”. Al cheAjatasatru replicò: “Non mi parlare di essa. Io medito su di lei come la grande, dalla candida veste, comeil re Soma. Per colui che così medita, il soma è prodotto in abbondanza ogni giorno, il suo cibo non siesaurirà mai.L’associazione, ora, è posta sull’astro che risplende di luce riflessa e che viene, nella filosofia, associataalla mente. In tal caso Gargya identificherebbe il Brahman con quell’entità che esperimenta i frutti delle

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azioni quotidiane!Il re Ajatasatru, invece, associa la luna al simbolo della purezza, al Soma impiegato nei sacrifici, al cibo...Che genere di cibo? Si ricordi quanto affermato dalla Upanishad nella sezione IV, mantra VI.--------------------------------------------------------------------------------4. Gargya disse: “L’essere che è nel lampo, io medito come il Brahman”. Ajatasatru rispose: “Non miparlare di lui. Io lo considero come l’essere luminoso. Colui che medita su di esso diviene luminoso, cosìcome la sua progenie”.La luce è solamente una forma della luminosità ed il lampo è sovente indicato come una limitata forma diintuizione, certamente non identificabile con la Luce delle luci.--------------------------------------------------------------------------------5. Gargya proseguì: “Vostra maestà, quell’essere che è nel cielo, solo lui io medito come il Brahman”.Ajatasatru: “Non mi parlare di lui. Io lo considero solamente come l’essere pieno ed immobile; colui chemedita ciò sarà pieno (purna) di discendenza e di armenti. La sua progenie non si estinguerà mai da questomondo”.Il cielo, all’osservazione umana, è la dimensione immensa, piena (purna) ed immobile. tale immensità epienezza, basate su una mera considerazione formale, non conducono oltre la semplice ricchezza materiale.In sostanza, la Upanishad stà tentando di mettere in rilievo l’incapacità di Gargya di utilizzare il simbolonella sua funzione specifica, riducendolo ad una semplice metafora che in tal caso potrebbe condurre, nellapeggiore delle ipotesi, a pura e semplice idolatria.--------------------------------------------------------------------------------6. Gargya disse: “L’essere che è nell’aria, io medito come il Brahman”. Ajatasatru: “Non mi parlare di lui.In realtà io medito sull’aria, come Indra, l’irresistibile, il conquistatore degli eserciti. Colui che medita su ciòdiviene un conquistatore, invincibile, vincitore dei suoi nemici”.Gargya stà procedendo nella direzione diametralmente opposta a quella nella quale dovrebbe muoversi:verso gli effetti, anziché in direzione della causa, trattandosi della Realtà assoluta.Ajatasatru ribadisce che l’aria ha, certamente, le caratteristiche dell’irresistibilità, dell’invincibilità e, perquesto, viene tradizionalmente associata alla figura mitologica dell’esercito dei Marut e di Indra, re deglidei.--------------------------------------------------------------------------------

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7. Gargya disse: “Maestà, l’essere che è nel fuoco, io adoro come il Brahman”. Ajatasatru: “Non mi parlaredi lui. Io lo medito come un essere tollerante e colui che medita su esso diviene tollerante, così come lasua progenie”.Il fuoco ha la proprietà di bruciare tutto ciò che in esso viene gettato, non respingendo nulla. La metafora sibasa su tale qualità, che non prevede alcuna discriminazione. La tolleranza illimitata è una qualità dell’esseresupremo nel quale ogni creatura, indistintamente, desidera fondersi.--------------------------------------------------------------------------------8. Gargya proseguì: “ In realtà, vostra Maestà, è l’essere che è nell’acqua che io medito come il Brahman”.Ajatasatru rispose: “Non mi parlare di ciò. Io lo considero come l’essere in armonia con le scritture. Coluiche così medita riceve solamente cose gradevoli ed armoniose e da lui nasce un figlio gradevole.Nel pensiero filosofico indiano, le acque sono considerate il substato dal quale scaturisce la manifestazioneintera. Vishnu nasce dalle acque primordiali [l’immagine della home-page di questo sito ne rappresental’allegoria]--------------------------------------------------------------------------------9. Allora Gargya disse: “Vostra maestà, il principio che è nello specchio, io medito come il Brahman”. Aciò, Ajatasatru rispose: “Non mi parlare di ciò. Io medito su di esso come il rilucente. Colui che così meditadiviene esso stesso rilucente e con qualsiasi cosa si confronti, egli la sorpasserà in splendore”.Se si medita su una circostanza che riflette (come, in questo caso, lo specchio) una determinata qualità,stiamo procedendo verso un tipo di consapevolezza “mediata”. L’oggetto si “interpone” tra noi e l’esseredistorcendo e, spesso, ostacolando la realizzazione immediata.--------------------------------------------------------------------------------10. Gargya disse: “ il suono che proviene da colui che si allontana, questo io medito come il Brahman”.Allorché Ajatasatru rispose: “Non parlarmi di ciò. Io lo considero solamente come la vita. Colui che meditasu ciò, ottiene una lunga vita, il soffio non lo abbandonerà prematuramente”.Ancora un ulteriore fraintendimento sul simbolo e sulla realtà simbolizzata. Se Gargya avesse affermato dimeditare sul suono stesso, anziché sull’effetto materiale che il suono produce, probabilmente sarebbe statovicino ad un corretto sentire.In tutte le tradizioni, ed in particolar modo quella indiana, la Creazione nasce dal suono (la Om od il Verbo).

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Gargya, invece, non ha colto ancora questa realtà e continua a girare attorno ad una definizione del Brahmanil quale è, di per sé, indefinibile.--------------------------------------------------------------------------------11. Gargya proseguì: “In realtà sono i punti cardinali che io medito come il Brahman”. Ajatasatru: “Nonparlare in questo modo. Io medito su questa realtà, come gli dei inseparabili. Colui che così considera, nonsarà mai privo di un compagno, ed il suo seguito non si allontanerà mai da lui”.Le direzioni dello spazio rappresentano, metaforicamente, le differenti condizioni dell’esistenza. Quasi acolmare e a “sanare” tale frammentarietà, la mitologia indiana propone, a divinità tutelari, gli Asvin, gemelliinseparabili. La visione corretta sarebbe quella di vedere il Reale, dietro l’irreale; l’omogeneità dietro laframmentazione e la separatività. Ma non sembra che l’illustre Gargya abbia centrato l’obiettivo.--------------------------------------------------------------------------------12. Gargya disse, ancora: “In realtà, l’essere che possiede un’ombra io medito come il Brahman”. RisposeAjatasatru: “Non questionare in tal modo. Io medito su ciò come l’idea della morte. Colui che così loconsidera, in questo mondo ottiene l’integrità della durata della sua vita. La morte non lo coglie primadel tempo.Siamo ancora nel pieno della visione fenomenica, nonostante Gargya, in un tentativo quasi commovente,tenti di portare le argomentazioni su un piano meno materiale; non riesce, tuttavia, ad affrancarsi da questaprigione intellettuale. L’ombra è il contrario, l’aspetto negativo di un oggetto. Se l’unica Realtà è il Brahman,questo mondo rappresenta l’irrealtà sostanziale delle cose. Non sfuggirà certamente che nelle prime battute,questa Upanishad fa scaturire l’esistenza del mondo stesso dalla morte (mrityu).--------------------------------------------------------------------------------13. Gargya proseguì: “Vostra maestà, questo Sé che è in una persona, io medito come il Brahman”. RisposeAjatasatru: “Non esprimerti in questo modo. Io medito su di esso solamente come uno che possiede ilSé.Colui che così medita, avrà un Sé [una coscienza] così come la sua stirpe. Allora Gargya tacque.Non possiamo non convenire come durante tutto questo processo Gargya si stia affrancando dalla visioneottusa dalla quale era partito. Ora gioca la sua ultima carta e chi di noi, onestamente, si sentirebbe di nonessere d’accordo su quest’ultima intuizione?

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Eccolo lì: Gargya è l’umanità intera, nel suo faticoso cammino verso l’affrancamento dall’ignoranza. Anchese molto vicina alla verità, questa risposta non soddisfa pienamente il Re che, dal canto suo, ha già realizzatoil Brahman, ma non se ne fa vanto: poiché è perfettamente inutile.Il Sé di un singolo uomo è solamente un aspetto limitato e limitante del Sé universale, il quale non puòessere identificato da nulla.--------------------------------------------------------------------------------14. Ajatasatru chiese: “E’ tutto qua?”. Gargya replicò: “E’ tutto qua”. Ajatasatru replicò: “Attraverso taleconoscenza, il Brahman non può essere compreso”. Rispose Gargya:” Accettami come discepolo”.Siamo nel pieno della Tradizione ortodossa: benché intelligente e colto, Gargya non potrà realizzarsi senzaprima farsi discepolo ai piedi di un maestro.--------------------------------------------------------------------------------15. Disse Ajatasatru: “Tutto ciò è contrario al costume in voga, che un Brahmano chieda ad uno Kshatryal’insegnamento; tuttavia ti istruirò sulla conoscenza del Brahman”.Prendendolo per mano lo condusse accanto ad un uomo che stava dormendo: “O grande, dalle bianche vesti,o Soma”. Ma l’uomo non si mosse. Quindi lo toccò con una mano e questi si svegliò.--------------------------------------------------------------------------------16. Ajatasatru disse: “Quando quest’uomo era profondamente addormentato, dove era la sua coscienza, eda dove è tornata?”.--------------------------------------------------------------------------------17. Ajatasatru soggiunse:” Quando questa persona dormiva la sua coscienza, ritirando la consapevolezzadegli organi sensoriali, si ritraeva nello spazio del cuore. E fintanto che qui si trattiene, si dice che questapersona dorma. Allora questo essere trattiene l’olfatto, la parola, la vista, l’udito e la mente.Secondo la Tradizione, il centro del cuore è il luogo dove la coscienza si ritira quando un individuo èaddormentato e dal quale gli organi dei sensi operano in una forma cosciente nello stato di veglia.Il cuore è il simbolo del Brahman. (3) I differenti canali di coscienza balzano dal centro del cuore e quiritornano, come i diversi raggi di una ruota, tenuti insieme dal mozzo. Vanno nelle innumerevoli direzioniattraverso i sensi e si oggettivano in nome, forma e azione.Allorché questi canali si ritraggono, l’individuo cade nel sonno e la coscienza sensoriale è unificataall’autocoscienza; da ciò scaturisce il senso di felicità: ananda.

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La risposta alla prima domanda di Ajatasatru è che durante il sonno profondo la coscienza individuale vieneunificata con la sua origine: la coscienza universale.Ambedue cessano di essere, in quanto individualità ed universalità sono strettamente dipendenti. Senza l’unanon può esistere l’altra e quando viene ad esistenza l’una, anche l’altra appare.Nel sonno profondo i cinque Kosha di cui è composto l’individuo (jivatman) e cioè:anna maya kosha - l’involucro fatto di sostanza (cibo)prano maya kosha - l’involucro energeticomano maya kosha - la componente dei processi mentalivijnana maya kosha - l’aspetto intellettivo (conoscenza intuitiva)ananda maya kosha - l’involucro di beatitudineinsieme all’universo intero si ritirano nell’Atman. L’Atman resta in sé stesso nella originaria purezza, senzacontatto con qualsiasi altro elemento, perché nulla esiste al di fuori di sé.Per tale motivo lo stato di sonno profondo è quello più vicino all’Assoluto.--------------------------------------------------------------------------------18. “Quando egli si muove nello stato di sogno, questo è il suo mondo; egli diviene un Maharaja o ungrande Brahmano; sperimenta condizioni di vita alte o umili. Come un grande Re egli si muove a suopiacimento nel regno circondato dai suoi vassalli, allo stesso modo che la sua coscienza circola nel corpoassistito dai sensi”.Questo mantra, per l’evidenza della sua argomentazione, si commenta da sé. Quante volte ci sarà capitatodi provare durante un sogno, un effettivo dolore fisico, di percepire un odore sgradevole o, al contrario, unprofumo sublime come normalmente avviene nello stato di veglia?Nello stato di sogno (e non di sonno profondo) abbiamo le stesse percezioni materiali perché il Re (lacoscienza) si muove sempre insieme ai suoi vassalli (le impressioni sensoriali).A chi fosse interessato all’approfondimento di questi concetti, consigliamo la lettura della MandukyaUpanishad.--------------------------------------------------------------------------------19. Quando giace nel sonno profondo [sushupti] e l’individuo non ha conoscenza di nulla, le 72.000 nadichiamate hita partendo dal cuore si dirigono in ogni parte del corpo. Così come un fanciullo, un grande Re, oun grande brahmano avendo raggiunto un profondo stato di felicità può dormire, così questo sé riposa.Continua la descrizione della fisiologia mistica del jivatman. Nella condizione descritta non vi è piùdifferenza tra soggetto ed oggetto, tra me ed il mondo, tra microcosmo e macrocosmo: ciò avviene indifferentemente

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nel fanciullo, in un potente Re, in un grande letterato. Questo stato è caratterizzato dall’assenzadi dualità e non, ovviamente, da assenza di coscienza. Tale dualità è invece presente, come abbiamo visto,nei precedenti due stati: di veglia e di sogno.--------------------------------------------------------------------------------20. Come un ragno si muove attraverso il filo che produce, o così come le scintille sprigionano dal fuoco,ugualmente da questo Sé emanano tutti i sensi, tutti i mondi, tutti gli dei e tutti gli esseri. La conoscenzadell’Atman è la “verità delle verità”; i sensi sono il reale; l’Atman è la loro realtà.L’origine dell’intero Universo, degli uomini, di tutte le forme di esistenza, di tutti gli organi dei sensi è ilsupremo Sé che è anche il sé dell’uomo che dormiva.In questa disquisizione, partendo dal grossolano ci siamo approssimati ad elementi sempre più sottili, finoad arrivare ad una impossibilità descrittiva. Ma se abbiamo capito il senso, chi può proibirci di meditareil Brahman in un sasso inerte?Fine della I sezione

Brihadaranyaka UpanishadLibro primo (Madhu kanda) - Capitolo IISezione II - Shishu Brahmana--------------------------------------------------------------------------------1. Colui che conosce il neonato, la sua dimora, il sostegno, il palo e la corda distrugge i sette parenti rivali.Il Prana nel corpo è questo neonato. Il corpo è la sua dimora, la testa è il sostegno, l’energia il palo edil cibo è la corda.Due metafore assunte nell’ambito della vita quotidiana aprono questa sezione dedicata alla meditazionesu Prana.Il neonato si riferisce al vitello, che nella sua condizione risiede costantemente all’interno del recinto oassicurato ad un palo mediante la corda: non conosce il mondo al di fuori della sua dimora.Nel microcosmo la dimora di prana è, appunto, l’organismo umano. Non può esperire la realtà esterna, senon attraverso i sensi ed i loro organi di percezione.Sono proprio essi, in numero di sette [cioè le sette aperture: occhi, orecchie, narici e bocca] che con ilfascino delle forme esteriori irretiscono l’animo umano, distraendolo subdolamente dalla ricerca interioree spirituale.

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Così come farebbero degli insospettati parenti che volessero appropriarsi dei beni di un individuo.Il sostegno di prana, si dice sia la testa. Sostiene la Chandogya upanishad: “Quando un uomo sta per morire,la parola (1) si riassorbe nel manas, questo nel prana, il prana nel fuoco, il fuoco nella suprema divinità”.La corda ed il palo a cui è legato, mantengono il vitello al suo posto, così come prana risiede nell’organismofintantochè l’energia ed il cibo che la fornisce assicurano la vita.--------------------------------------------------------------------------------Sette esseri imperituri sono vicino a lui. Quelle righe rosse che sono nell’occhio: attraverso esse Rudra è alui [il prana] unito. Mediante il liquido che è nell’occhio, parjanya è a lui unito. Allo stesso modo mediantela pupilla, il sole; mediante il nero dell’iride , Agni; mediante il bianco della cornea, Indra. La terra è unitaad esso mediante la palpebra inferiore ed il cielo mediante quella superiore. Colui che così conosce nonmancherà di nutrimento.La sede speciale di Prana, durante lo stato di veglia [Vaishvanara - consulta l’audio “Gli stati di coscienza”] èl’occhio, perché tramite la vista l’essere si confronta con la realtà esteriore.Nell’occhio risiedono i sette nomi segreti di prana: rudra, parjanya, aditya, agni, indra, prithivi, dyau.Quelle sette parti dell’occhio che ne rappresentano la sua costituzione e riuniscono in sé il fattore della vistasono quindi assimilati alle sette potenze che prevengono il decadimento della condizione ordinaria dellostato di veglia [Vaishvanara].L’importanza di Rudra risiede nel fatto che la tarda mitologia ha finito per assimilarla a quella di Shiva,figura di rilievo nel pantheon indù, incarnandone spesso il suo carattere distruttivo. Più anticamente Rudrarappresentava, infatti, l’azione selvaggia e distruttiva della natura.In questa Upanishad i Rudra (plur.) sono i dieci soffi vitali (prana), alcune volte considerati in numero ditre, sette o undici.Parjanya è il signore della pioggia. Elargisce agli uomini la buona salute. Nell’Atharva Veda viene imploratoperché invii agli uomini le piogge abbondanti: “Possano le brumose regioni sorvolare insieme e le nuvoleforiere di pioggia, spinte dal vento, raggrupparsi. Possano veloci ruscelli fluire dalle tuonanti nubi nel cielo,allietando la terra”. [AV, libro IV, inno XV, mantra1]Aditya sono i figli di Aditi che è chiamata anche Devamatri - la madre degli dei. Nelle scritture vediche gli

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Aditya sono sei, o più frequentemente sette. In realtà otto figli nacquero da Aditi, ma ella si presentò agli deicon sette, avendone cacciato via l’ottavo, Martanda - il sole.Successivamente il numero crebbe a dodici, rappresentando gli aspetti del sole nei dodici mesi dell’anno.Aditya ha finito, così, per essere uno dei nomi del sole.Il sole è chiamato anche Surya o Vivasvat, il capo degli dei.Le dodici dinastie solari o personificazioni del sole sotto i diversi nomi e segni dello zodiaco sono chiamateAditya. Esse appartengono ad un periodo anteriore ai Veda.Nel contesto di questa Upanishad si capisce facilmente l’assimilazione del sole alla pupilla dell’occhio: tuttie due sono la porta che dischiude le forme visibili.Agni. Non ripeteremo qui le considerazione già fatte abbondantemente negli altri mantra di questa Upanishad.Solamente una, di notevole rilievo per il presente commento: i nomi e gli epiteti di Agni sonomolteplici - Vahni, Anala, Pavaka, Vaishvanara !Indra è la personificazione dell’atmosfera e come tale governa sul tempo metereologico e dispensa lapioggia, causa di fertilità. Nel RigVeda la principale caratteristica di Indra è la potenza e il vigore. QuandoVaishvanara - il sé nello stato di veglia - identifica sé stesso nella fruizione degli oggetti esteriori, èconosciuto con il nome di indra.Prithivi è la terra personificata come divinità. In questo caso rappresenta uno dei due elementi che rappresentanoil mondo fisico, l’altro essendo dyau, il cielo.--------------------------------------------------------------------------------3. Vi sono dei versi che si riferiscono a questo soggetto: “C’è un vaso con la bocca rivolta in basso ed ilfondo in alto. In esso è contenuta la conoscenza universale. Sul bordo sono seduti i sette rishi. La parolaè l’ottavo che è associato ai Veda.”Il vaso con la bocca rivolta in basso ed il fondo in alto è la testa. In essa è riposta tutta la conoscenza, perchégli organi dei sensi - che sono i saggi - sono lì.Così il mantra si riferisce agli organi dei sensi.Sette saggi seduti sul bordo si riferiscono alle sette divinità [potenze] degli organi nella testa.La facoltà della parola è l’ottavo ed è associato ai veda, perché essa viene dopo gli altri per pronunciarei veda.Il mantra riproduce un verso dell’Atharva Veda dove i sette orifizi che sono nel capo - già descritti nelprecedente mantra - sono assimilati ai saptarishi, i sette saggi: Gotama, Bharadvaja, Vishvamitra, Jamadagni,

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Vasishtha, Kashyapa e Atri. Questi organi esperiscono tutta la conoscenza che può essere sintetizzataattraverso la parola - l’ottavo - e, ancor meglio, dalla parola sacra: i Veda.--------------------------------------------------------------------------------4. Le due orecchie sono Gotama e Bharadvaja. Il destro è, in verità, Gotama ed il sinistro Bharadvaja.Gli occhi sono Vishvamitra e Jamadagni. Il destro è Vishvamitra ed il sinistro Jamadagni.Le due narici sono Vasishtha e Kashyapa. La destra è Vashistha e la sinistra Kashyapa.La bocca è Atri perché è attraverso la bocca che esso viene consumato. Così Atti è ciò che viene conosciutocome Atri. Colui che così realizza diviene l’assimilatore di tutto ed ogni cosa rappresenta cibo.Il mantra va ancora oltre l’analogia, realizzando una sorta di identità (simbolica, naturalmente) tra ciascunodei sette saggi e gli organi di senso.Alcuni cenni sui personaggi:Gotama, un rishi vedico a cui viene attribuita la composizione di alcuni brani del RigVeda.Bharadvaja, anche ad esso sono attribuiti alcuni inni vedici. Il Taittiriya Brahmana sostiene che visse trevite - intendendo probabilmente una durata molto lunga - che divenne immortale ed ascese al mondo celesteunendosi al sole. Il Mahabharata sostiene che questo rishi visse ad Haridwar, mentre il Ramayana sostieneche ricevette Rama e Sita nella città di Prayaga che fu così celebrata nei secoli.Vishvamitra. Secondo il Ramayana fu, in base alla casta di provenienza, originariamente uno kshatrya.Successivamente praticò molte austerità sulle montagne himalayane divenendo così un brahmano. La suastoria si collega a quella di:Jamadagni. Sua madre, Satyavati, era figlia del re Gadhi, uno kshatrya. Durante il periodo di gestazionedi Satyavati suo marito, Ricika, allestì un banchetto allo scopo di garantire che il nascituro possedesse lequalità di un brahmano. Un altro banchetto allestì per la madre di Satyavati, al fine di garantire le qualitàdel guerriero (kshatrya) al futuro figlio del re. La donna scambiò i banchetti e così Jamadagni nacque con lepredisposizioni di uno kshatrya e Vishvamitra con quelle di un prete.Vasishtha. Sembra ci fosse una speciale rivalità tra esso ed il saggio Vishvamitra che trasformò il suo rangoda quello guerriero a quello brahmano.Vasishta possedeva la “vacca dell’abbondanza” chiamata Nandini che aveva il potere di garantirgli tutte lecose (vastu) che desiderava.

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L’inimicizia tra Vasishtha e Vishvamitra è messa in risalto nel Ramayana. Vishvamitra governò come re permolte migliaia di anni ma desiderava ardentemente la vacca dell’abbondanza che aveva visto nella dimoradel suo rivale e che eveva tentato di impossessarsi con la forza.Una grande battaglia seguì tra gli ospiti del re Vishvamitra ed i guerrieri generati dalla vacca dell’abbondanzaper difendere il loro signore.Centinaia di figli di Vishvamitra furono ridotti in cenere da un soffio della bocca di Vasishtha. Il rivale,sconfitto, abdicò e si ritirò sull’Himalaya.I due si incontrarono nuovamente, scontrandosi in un combattimento singolo. Vishvamitra nuovamentesconfitto dal potere brahmanico, decise di praticare austerità per acquisire le doti di brahmano in modo daeguagliare il suo rivale.Condusse a termine il suo scopo diventando un brahmano, ma al tempo stesso procurando rancore nel suorivale, Vasistha, per questo novello potere.I cento figli di Vasishtha denunciarono Vishvamitra accusandolo di comportarsi come un brahmano sebbenefosse uno kshatrya.Questo fece infuriare Vishvamitra che maledì i figli del suo rivale riducendoli in cenere e condannandoli arinascere come fuori casta per settecento rinascite.Finalmente Vasishtha, convinto dagli dei, si riconciliò al suo rivale. Gli riconobbe il diritto a tutte leprerogative di un rishi brahmano e, a sua volta, Vishvamitra, onorò il suo ex rivale.Queste dispute leggendarie si rifletterono, successivamente, sulle guerre fra i sovrani discendenti per ilpossesso della “Vacca dell’abbondanza”, per la conquista, cioè, del Madhyadesha, il cuore dell’Indiasettentrionale. Guerre che continuarono fino ad una relativa stabilità assicurata da vincoli matrimoniali trale due famiglie e da alleanze politiche.Kashyapa. Secondo il Mahabharata egli ebbe come mogli le tredici figlie di Daksha (simboleggianti i tredicimesi lunari) e fra queste Adity con la quale generò i dodici Aditya, simboleggianti i dodici mesi dell’annosolare.Atri, letteralmente colui che mangia. Nel periodo epico è considerato uno dei dieci Prajapati o signoridella crazione.L’accostamento con il verbo “atti”, mangiare spiega l’assimilazione descritta nel presente mantra.

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Sezione III - Murta - Amurta Brahmana1. Il Brahman possiede due aspetti. Uno formale, l’altro senza forma; uno mortale, l’altro immortale; unolimitato, l’altro infinito; uno percettibile, l’altro impercettibile.“Murti” è un termine sanscrito che indica una manifestazione dimensionale e visiva di una divinità.L’espressione che più comunemente si conosce è “tri-murti”, le tre espressioni formali dell’Assoluto(Brahma, Vishnu, Shiva).Il termine Murtamurtam [murta - a - murtam] significa, quindi, personale ed impersonale.Nella realtà dell’esperienza quotidiana noi possiamo avere conoscenza solamente delle cose che cadonosotto il nostro sguardo, che possiedono cioè una forma (murta). Nella logica comune, quindi, un ente cheracchiuda in sé tutte e due le caratteristiche: murta e amurta, esprime un paradosso, una contraddizionein termini.Ma il mantra sta trattando della natura di Brahman, di quell’ente che nella metafisica viene indicato anchecon la parola “infinito”. E l’infinito, per poter essere tale, deve contenere in sé tutta la somma delle possibilitàe delle contraddizioni e di tutto il sostrato che possa essere anche solamente concepito dalla mente umana.E’ solamente a causa della della limitatezza della mente, necessaria all’esperienza normale delle cose, che sicolgono le contraddizioni. Se così non fosse, se cioè tutte le forme e le idee non possedessero una diversitàl’una dall’altra, limitandosi reciprocamente, ci troveremmo in una assurda omogeneità della realtà che non ciconsentirebbe di discriminare e quindi di capire.-Un esempio: la luce del sole non possiede, in sé, una forma. Tuttavia essa appare grande o piccola a secondadella grandezza dell’apertura che la lascia filtrare, illuminando così solo un piccolo angolo della stanza orischiarando tutto l’ambiente.Questo mantra, quindi, concilia l’immanenza e la trascendenza del Brahman. Quando noi descriviamoil Brahman sottile, imperituro, infinito, impercettibile, ecc., lo facciamo dal punto di vista empirico,formulando una Tatashta lakshana, cioè una nozione indiretta di cosa il Brahman sia, sulla base delledefinizioni che lo indicano come la causa della creazione, preservazione e distruzione dell’Universo.Quando lo consideriamo dal punto di vista a-cosmico, definendolo “saccidanada” [sat-cit-ananda=esistenza,

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coscienza, felicità] formuliamo una descizione diretta ed essenziale: Svarupa lakshana.--------------------------------------------------------------------------------2. Qualunque cosa sia differente dall’aria e dall’etere, questa è ciò che possiede una forma grossolana(fuoco, acqua, terra). Questa è mortale, limitata, percettibile; di ciò che ha forma, che è mortale, limitato epercettibile, questo sole è l’essenza, questo [il sole] che risplende, perché esso è l’essenza del percettibile.In questo mantra risuona l’eco della filosofia Samkhya, che descrive l’evoluzione dell’Universo secondol’emanazione dei cinque elementi sottili: etere, aria, fuoco, acqua, terra seguendo il progressivo grado di“densità”.Le proprietà di ciascun elemento si sommano a quelle dell’elemento successivo e così via...formando, infine,le caratteristiche complete della materia:Etere con le proprietà del suonoAria con suono e tattoFuoco con suono, tatto e formaAcqua con suono, tatto, forma e gustoTerra con suono, tatto, forma, gusto e odoreL’Autore utilizza i tre elementi che sono facilmente percepibili dall’occhio umano - fuoco, acqua, terra - peresprimere il concetto della limitatezza e della decadenza. Ciò che possiede una forma è mortale; ciò che nonè esprimibile formalmente ne rappresenta l’essenza.Il paragone cade sul sole o, piuttosto, sulla luce solare che sostiene tutte le forme. Il simbolismo ci sembraabbastanza facile da capire.--------------------------------------------------------------------------------3. Ora, per quanto riguarda ciò che non ha forma: aria ed etere. Esso è l’immortale, illimitato, impercettibile.Di ciò che è senza forma, illimitato, impercettibile, immortale, questa è l’essenza: quell’Essere che si trovanel disco solare. Questa è l’essenza del trascendente. Ciò per quanto riguarda il mondo divino.Si pone l’accento sulla interdipendenza delle qualità relative all’informale, all’infinitudine ed allaimpercettibilità assimilandole a quella dell’immortalità.Aria ed etere, quindi, proprio perché possiedono queste caratteristiche fisiche simboleggiano l’Essereimmortale.Si noti, in queste righe, l’intenzione a privilegiare, per importanza, tutto ciò che è invisibile, illimitato,informale rispetto a ciò che comunemente cade sotto l’esperienza ordinaria dei sensi. Una tendenza

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diametralmente opposta a quella del mondo attuale.L’essenza del trascendente è, simbolicamente parlando, il sole in quanto come già detto nel mantraprecedente, la sua luce è la condizione essenziale per l’esperienza delle forme e, quindi, del dominio mortale.--------------------------------------------------------------------------------4. Ora per quanto riguarda l’individuo. La forma grossolana è questo [corpo] che è differente da prana[soffio] e dallo spazio [interiore=etere]. Esso è mortale, finito, percettibile. Di questo [corpo] grossolano,mortale, finito questa è la sua essenza: ciò che è nell’occhio, perché esso è l’essenza del percettibile.Se nell’Universo la forma grossolana del Brahman è la terra, l’acqua ed il fuoco, nel jivatman essa costituisceil corpo materiale. L’occhio umano è, continuando nella metafora, il sole del microcosmo.--------------------------------------------------------------------------------5. Ed ora per quanto riguarda l’informale. Esso è il prana e lo spazio [etere] all’interno del corpo. Questo èimmortale, infinito, impercettibile. Di questo ente senza forma, infinito, immortale e impercettibile questa èla sua essenza: il principio che risiede nell’occhio destro, perché esso è l’essenza dell’impercettibile.La sottile forma divina nell’individuo è simbolizzata dagli altri due elementi: aria (il soffio) ed etere, lospazio interno.L’essenza risiede nell’occhio destro in quanto si ritiene che, nello stato di veglia, la percezione avvengainizialmente attraverso di esso e, solo successivamente, mediante gli altri organi.--------------------------------------------------------------------------------6. La forma di questo essere [viene descritta]. Esso è come una tunica color zafferano, come il colore grigiodella lana di una pecora, come l’insetto indragopa, come la fiamma del fuoco, come il bianco del loto, comeil colore di un lampo improvviso. Da qui la definizione del Brahman “neti, neti”. Perché non vi è altradefinizione che “neti, neti”. Il suo nome è la verità delle verità. Il prana è la verità.Con questo mantra si conclude la terza sezione sui due aspetti della realtà assoluta: quella relativa almondo fenomenico (murta) e l’altra, relativa al suo aspetto genuino, non rivestita delle sovrastrutture dellinguaggio (amurta).Per tale motivo l’utima deve ricorrere ad una enunciazione apofatica: neti, neti (non è questo, non è questo).La prima è dominio comune delle religioni, la seconda dell’indagine metafisica.Prima di poter realizzare la prima è necessario, però, riconoscere il mondo, così com’è nella sua quotidianità

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attraverso le esperienze, ossia i “colori” che l’autore cita dalla esperienza di tutti i giorni: una veste colorzafferano, il vello di una pecora, il rosso acceso dell’insetto chiamato indragopa, la fiamma del fuoco - forsedel fuoco rituale - il candore dei petali del loto, il colore di un lampo improvviso.Se queste “visioni” saranno mantenute da occhi innocenti è probabile che l’illuminazione avvenga propriocome un “lampo improvviso”, facendo cadere tutte quelle sovrastrutture della mente e del linguaggio checoprivano la forma genuina della Realtà.Allora, pur continuando a riconoscerla nelle cose di tutti i giorni, non sarà più possibile descriverla conil linguaggio ordinario.Neti, neti... sarà l’unica espressione possibile: non è questo, non è quello.