42
2 Capire la missione nella prospettiva della morale 1. Dentro le ecclesiologie del Vaticano Il Per parlare della missione occorre avere un sottostante quadro di riferimento ecclesiologico, perché parlare della chiesa è parlare della missione e viceversa. Infatti, appartiene alla sua stessa autocoscienza la convinzione che «la chiesa peregrinante per sua natura è missionaria» 1 ; inoltre la chiesa, che ha accolto l'iniziativa di Dio che "si è fatto conoscere nel modo più pieno" rivelando il mistero della sua vita intima, si sente chiamata a proclamare nel mondo questa rivelazione perché ogni uomo possa conoscerla. Pertanto, è proprio «questa autorivelazione definitiva di Dio [che] è il motivo fondamentale per cui la chiesa è per sua natura mis- sionaria» 2 . Da qui la necessità di collocare il discorso della missione dentro il contesto ecclesiologico, consapevoli di una sorta di circolarità ermeneutica per cui i due termini, chiesa e missione, reciprocamente si chiariscono e si arricchiscono, e dipendono così profondamente l'uno dall'altro che stanno insieme o insieme cadono. L'identità della chiesa è la missione. Si colloca qui, però, un primo problema legato all'evoluzione del concetto di ecclesiologia nella storia 3 . Dall'iniziale concezione della chiesa intesa come strumento ed esperienza della missione di salvezza di Cristo, inviato dal Padre e operante nello Spirito 4 si passa, nel Medioevo, ad una concezione che lega in modo assai stretto la chiesa alla nozione di regno di Dio, che già qui in terra si lascia intravedere attraverso la chiesa, intesa soprattutto come societas perfecta 5 . La riforma protestante, che accentua la dimensione individuale della chiesa, produce nel seno della chiesa romana una nuova enfasi sulla sua struttura sociale e visibile, al punto che il criterio della sua autenticità 1 Ad gentes, 7 decembris 1965, 2. 2 JOANNES PAULUS Il, redemptoris missio, 5. 3 Per un rapido excursus cf. S. DIANICH, "Ecclesiologia", in Dizionario di Teologia, San Paolo, Cinisello Balsamo 2002, pp. 501-519. 4 Cf. K. RAHNER, L'ecclesiologia dei Padri, Paoline, Roma 1971. 5 Si può vedere A. ANGEL, EI misterio de la Iglesia. Evolución hist6rica de las ideas eclesiológica, I, Editorial Católica, Madrid 1986. 1

C. Cap 2 Capire La Missione Nella Prospettiva Della Morale Zuccaro

Embed Size (px)

Citation preview

Page 1: C. Cap 2 Capire La Missione Nella Prospettiva Della Morale Zuccaro

2 Capire la missione nella prospettiva della morale

1. Dentro le ecclesiologie del Vaticano Il

Per parlare della missione occorre avere un sottostante quadro di riferimento ec-clesiologico, perché parlare della chiesa è parlare della missione e viceversa. Infatti, appartiene alla sua stessa autocoscienza la convinzione che «la chiesa peregrinante per sua natura è missionaria»1; inoltre la chiesa, che ha accolto l'iniziativa di Dio che "si è fatto conoscere nel modo più pieno" rivelando il mistero della sua vita intima, si sente chiamata a proclamare nel mondo questa rivelazione perché ogni uomo possa conoscerla. Pertanto, è proprio «questa autorivelazione definitiva di Dio [che] è il motivo fondamentale per cui la chiesa è per sua natura missionaria»2. Da qui la necessità di collocare il discorso della missione dentro il contesto ecclesiologico, consapevoli di una sorta di circolarità ermeneutica per cui i due termini, chiesa e missione, reciprocamente si chiariscono e si arricchiscono, e dipendono così profondamente l'uno dall'altro che stanno insieme o insieme cadono. L'identità della chiesa è la missione. Si colloca qui, però, un primo problema legato all'evoluzione del concetto di ec-clesiologia nella storia3. Dall'iniziale concezione della chiesa intesa come strumento ed esperienza della missione di salvezza di Cristo, inviato dal Padre e operante nello Spirito4 si passa, nel Medioevo, ad una concezione che lega in modo assai stretto la chiesa alla nozione di regno di Dio, che già qui in terra si lascia intravedere attraverso la chiesa, intesa soprattutto come societas perfecta5. La riforma protestante, che accentua la dimensione individuale della chiesa, produce nel seno della chiesa romana una nuova enfasi sulla sua struttura sociale e visibile, al punto che il criterio della sua autenticità è il riconoscimento dell'autorità del papa e gli strumenti della sua crescita la celebrazione dei sacramenti. Finalmente a Tubingen si ha una svolta che riporta la riflessione sulla chiesa ai temi legati maggiormente alla tradizione dei Padri e alle fonti neotestamentarie, insistendo sugli aspetti spirituali, cristologici e trinitari6. Tutto il cammino storico è confluito nel rinnovamento conciliare riguardo alla chiesa. Spesso l'ecclesiologia che si evince dallo studio del Vaticano II, e in modo particolare dalla Lumen gentium, è presentata come un'ecclesiologia di comunione, per contrapporla ad una visione di chiesa ristretta dentro lo schema rigidamente istituzionale e gerarcologico. In effetti, come è stato chiaramente documentato7, sembra che proprio nella Lumen gentium possano riscontrarsi due linee di tendenza che si intersecano continuamente nella redazione finale del testo. Si tratta della sottolineatura di una concezione più giuridica della chiesa, portata avanti da una minoranza dei padri conciliari, il cui influsso, però, si è fatto sentire nonostante a maggioranza di coloro che ne avevano proposto un'immagine maggiormente spirituale. Tra questi ultimi,

1 Ad gentes, 7 decembris 1965, 2.2 JOANNES PAULUS Il, redemptoris missio, 5.3 Per un rapido excursus cf. S. DIANICH, "Ecclesiologia", in Dizionario di Teologia, San Paolo, Cini-sello Balsamo 2002, pp. 501-519.4 Cf. K. RAHNER, L'ecclesiologia dei Padri, Paoline, Roma 1971.5 Si può vedere A. ANGEL, EI misterio de la Iglesia. Evolución hist6rica de las ideas eclesiológica, I, Editorial Católica, Madrid 1986. 6 Come sappiamo, tra i nomi maggiormente di spicco troviamo J.A. MOLHER, L'unità nella chiesa. Il principio del cattolicesimo nello spirito dei Padri dei primi tre secoli, Città Nuova, Roma 1969.7 Si veda A. ACERBI, Due ecclesiologie. Ecclesiologia giuridica e ecclesiologia di comunione nella Lumen gentium, Dehoniane, Bologna 1975.

1

Page 2: C. Cap 2 Capire La Missione Nella Prospettiva Della Morale Zuccaro

comunque, e tenendo conto di tutto il Vaticano II, sembra oggi pacifico affermare che più che di "ecclesiologia", si debba parlare di "ecclesiologie", al plurale, dato che le prospettive della visione di chiesa sono molteplici, così come sembrano suggerire già le diverse immagini che la costituzione pastorale usa per adombrane la realtà8. Si parla, infatti, di chiesa come mistero. alleanza, comunione, regno, popolo di Dio, vigna, corpo, sacramento9 Di conseguenza, parlando della missione, si dovrà tener presente una duplice attenzione: da una parte il cambiamento dovuto all'evoluzione del concetto di chiesa e, dall'altra parte, anche le costanti irrinunciabili che sono legate comunque all'imprescindibile fatto della costituzione della chiesa ad opera di Gesù Cristo. Pertanto, come l'ecclesiologia, anche la teologia della missione deve comprendersi in forma dinamica, attraverso l'evoluzione della propria identità che permane pur nel cambiamento delle proprie forme espressive10. Non sempre, tuttavia, diventa agevole scegliere tra i diversi modelli di missione che rimandano ad un sottostante modello di ecclesiologia che li spiega e li motiva. La stessa nozione di modello è soggetta a diverse interpretazioni: esistono modelli che è possibile descrivere con immagini (per esempio la chiesa come vigna, gregge) ed altri che hanno una natura più astratta (per esempio la chiesa come comunità o istituzione). Esistono modelli utili a spiegare la realtà attraverso immagini particolarmente significative nel contesto quotidiano di vita (per esempio la parabola del grano e della zizzania nel campo serve a spiegare la realtà di una chiesa che è il campo dentro cui convivono giusti e peccatori). Esiste, inoltre, un altro livello in cui i modelli possono acquistare una valenza "euristica", poiché si dimostrano utili, non tanto nella spiegazione o manifestazione della realtà già conosciuta in base all'esperienza vissuta, ma piuttosto

8 «Come già nell'Antico Testamento la rivelazione del regno viene spesso proposta con figure, così anche ora l'intima natura della Chiesa ci si fa conoscere attraverso immagini varie, desunte sia dalla vita pastorale o agricola, sia dalla costruzione di edifici o anche dalla famiglia e dagli sponsali, e già preparate nei libri dei profeti. Così la Chiesa è l'ovile, la cui porta unica e necessaria è Cristo (cf. Gv 10, 1-10). È pure il gregge, di cui Dio stesso ha preannunziato che sarebbe il pastore (cf. Is 40, 11; Ez 34, 11ss,), e le cui pecore, anche se governate da pastori umani, sono però incessantemente condotte al pascolo e nutrite dallo stesso Cristo [. .. J. La Chiesa è il podere o campo di Dio (cf. 1 Cor 3, 9). In quel campo cresce l'antico olivo, la cui santa radice sono stati i patriarchi e nel quale è avvenuta e avverrà la riconciliazione dei giudei e delle genti (cf. Rm 11, 13-26). Essa è stata piantata dal celeste agricoltore come vigna scelta (cf. Mt 21, 33-43 par.; Is 5, 1ss.). Cristo è la vera vite, che dà vita e fecondità ai tralci, cioè a noi, che per mezzo della Chiesa rimaniamo in lui e senza di lui nulla possiamo fare (cf. Gv 15, 1-5). Più spesso ancora la Chiesa è detta l'edificio di Dio (1 Cor 3,9). Il Signore stesso si è paragonato alla pietra che i costruttori hanno rigettata, ma che è divenuta la pietra angolare (cf. Mt21, 42 par.; cf. At 4, 11; 1 Pt 2, 7; Sa/H7, 22). Sopra quel fondamento la Chiesa è stata costruita dagli apostoli (cf. 1 Cor 3, 11) e da esso riceve stabilità e coesione. Questa costruzione viene chiamata in varie maniere casa di Dio (cf. Tm 3, 13), nella quale abita la sua famiglia, la dimora di Dio nello spirito (cf. EI2, 19-22), "la dimora di Dio con gli uomini" (Ap 21, 3), e soprattutto tempio santo, rappresentato da santuari di pietra» (Lumen gentium, 6: i corsivi sono miei). 9 «La Chiesa è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano" (Lumen gentium, 1); «Comunicando infatti il suo Spirito, costituisce misticamente come suo corpo i suoi fratelli, chiamati da tutte le genti" (ibidem, 7); «Così la Chiesa universale si presenta come "un popolo che deriva la sua unità dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo"" (ibidem, 4); «La Chiesa perciò [' . .J riceve la missione di annunziare e instaurare in tutte le genti il regno di Cristo e di Dio, e di questo regno costituisce in terra il germe e l'inizio» (Ubidem, 5). 10 In questo senso può essere considerata l'opera di DJ. BOSCH, La trasformazione della missione. Mutamenti di paradigma in missiologia, Queriniana, Brescia 2000, a condizione che il termine paradigm shift non sia assunto come sinonimo di cambiamento così radicale della situazione della chiesa da cancellarne, di volta in volta, i tratti essenziali che sono stati voluti da Cristo e che dovranno comunque permanere ad ogni tornante di cambiamento.

2

Page 3: C. Cap 2 Capire La Missione Nella Prospettiva Della Morale Zuccaro

nello stimolo ad investigare ulteriormente la realtà, arricchendone la conoscenza. Non solo. Lo stesso concetto di modello va assunto con una certa circospezione all'interno del discorso riguardante la chiesa: occorre evitare di pensare al modello come ad una riproduzione in scala della realtà. Infatti, se tale concetto è vero per quanto concerne le realtà commensurabili, in quanto perfettamente determinate secondo ogni aspetto, di-venta problematico quando si applica alla chiesa. Essa non può essere mai ade-guatamente oggettivata, dal momento che nella sua realtà più intima non cessa mai di essere sé stessa, pur nelle variazioni e dal momento che chi dovrebbe oggettivarla non può mai parlarne solamente in terza persona, poiché egli stesso rimane comunque coinvolto dentro la realtà che descrive11. Tuttavia, come avvisa Dulles, non dobbiamo accettare esclusivamente una ecclesiologia apofatica, ma possiamo presentare alcune caratteristiche che appartengono alla realtà della chiesa e che si possono cogliere nei diversi modelli ad essa riferiti. Per questo anche il percorso storico tracciato da Dianich può essere di una qualche utilità, soprattutto se si tiene presente che i diversi "modelli" di missione da lui individuati non sono da comprendersi necessariamente in maniera diacronica. Essi si possono leggere anche in modo sincronico, nel senso che talune accentuazioni si ritrovano ora qua ora là nelle diverse stagioni della prassi missionaria e della riflessione teologica sulla missione. Non solo; ma come li presenta Dulles, ognuno dei diversi modelli (chiesa come "istituzione", "comunione mistica", "sacramento", "araldo", "servo") ha i propri lati positivi e le proprie zone d'ombra12. Per comprendere l'insieme dell'intreccio tra chiesa e missione si potrebbe, secondo Dianich, seguire l'ispirazione del principio storico come ermeneutico. Infatti, partendo dalla "comunicazione della fede" come principio storico ermeneutico, si supera più facilmente il duplice rischio di una ipostatizzazione della missione e di un appiattimento dell'esperienza viva di essere chiesa, rispettandone le diverse incarnazioni. Inoltre si recupera lo spessore della comunicazione interpersonale come facente parte dell'unica chiesa in missione, formata da persone vive che entrano in relazione tra loro. La salutare conseguenza è il superamento del rischio di pensare la chiesa in modo schizofrenico: da una parte quella mistica, che non è invischiata nel peccato e nel male, dall'altra quella fatta di persone che, vivendo nella storia, mostrano il lato oscuro e penoso di una chiesa affetta dal peccato. L'unica e medesima chiesa, quella «tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata»13, è quella fatta da uomini vivi e 11 Cf. S. DIANlcH, Chiesa in missione. Per un'ecc/esiologia dinamica, San Paolo, Cinisello Balsamo 1987, pp. 80-133.12 Pone l'accento sul "modello", come chiave di comprensione del mistero della chiesa, il gesuita americano, creato cardinale nel recente Concistoro del 2002, A. DULLEs, Models of the Church, Image Books, New York-London-Toronto-Sydney-Auchland 1974. In un modello di chiesa come "istituzione" per esempio, emergerà un'immagine di missione legata al numero dei nuovi battezzati che accrescono il corpo visibile della società perfetta della chiesa (cf. ibidem, p. 34). In un modello di "comunione mistica" lo slancio missionario potrebbe venire meno, poiché in primo piano non ci sa.rebbe più l'evangelizzazione o il battesimo, dal momento che la comunione ecclesiale sarebbe di natura soprattutto spirituale (cf. ibidem, p. 52). Un modello di chiesa "sacramento" farebbe più facilmente capire che «dovunque è pre-sente la chiesa come sacramento, la grazia di Cristo non è assente», per cui «qualcosa della chiesa come sacramento dovrà essere presente dovunque la grazia di Cristo è effettivamente all'opera» (ibidem, pp. 62-63). In un modello di chiesa "araldo", di stampo soprattutto protestante (Barth) , la missione è concepita innanzitutto come annuncio della parola: responsabilità della chiesa non è la costruzione del regno, ma quella dell'evangelizzazione (cf. ibidem, p. 76). In un modello di "chiesa che serve" la missione non consiste nell'ingrandire le file della comunità, «ma piuttosto nel porsi come aiuto di ogni uomo, dovunque si trovi. La speciale competenza della chiesa sta nel cercare di tener viva la speranza e l'aspirazione di ogni uomo per il Regno di Dio e per i suoi valori» (ibidem, pp. 89-90). 13 Ef 5, 27.

3

Page 4: C. Cap 2 Capire La Missione Nella Prospettiva Della Morale Zuccaro

questa verità è resa maggiormente visibile nel caso si assuma il principio storico come principio ermeneutico che illumini il mistero della chiesa in missione.

1.1 L'origine trinitaria dell'ecclesiologia

Sia la Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium14, sia il Decreto sull'attività missionaria della Chiesa Ad gentes15 si aprono in modo almeno formalmente simile, cioè con una struttura manifestamente trinitaria: la scaturigine del disegno universale di salvezza è il Padre che manda il Figlio nel mondo e lo Spirito santificatore. In effetti non sfugge come sia la Trinità il quadro di riferimento fondante della natura della Chiesa, al punto tale che la stessa costituzione conciliare può concludere che «così la Chiesa universale si presenta come "un popolo adunato dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito santo"»16. Questa enfasi sulla struttura trinitaria della Chiésa, in parte si spiega come reazione ad un rigido cristomonismo che insisteva sulla fondazione della chiesa ad opera di Cristo e ne accentuava il carattere verticistico e gerarcologico. Di fatto non si può negare come nella storia una tale fondazione ecclesiologica abbia finito per giustificare la politica di molte monarchie o degli imperi17. Ristabilire la centralità della Trinità anche riguardo alla ecclesiologia può dare meglio ragione della natura missionaria della chiesa, non soltanto perché appare più chiaramente l'attività missionaria delle tre persone18, ma anche perché diviene più manifesta l'indole comunitaria della missio ad gentes. L'unicità di Dio e la sua vita di relazione nell'amore trinitario diventano fondamentali per capire anche il dinamismo della missione; essa, infatti, da una parte deve tener presente che «scopo ultimo della missione è di far partecipare della comunione che esiste tra il Padre e il Figlio: i discepoli devono vivere l'unità tra loro, rimanendo nel Padre e nel Figlio, perché il mondo conosca e creda»19; dall'altra parte non deve dimenticarsi che questa unità si realizza attraverso una reale diversità, che diventa ricchezza per tutta la chiesa20

14 Ricordiamo i titoli dei paragrafi cui ci riferiamo: 2. Il disegno salvifico universale del Padre; 3. Missione e opera del Figlio; 4. Lo Spirito santificatore della Chiesa.15 Anche qui ricordo i titoli dei paragrafi: 2. Il disegno salvifico del Padre; 3. La missione del Figlio; 4. La missione dello Spirito Santo.16 Lumen gentium, 4; da notare il posto redazionale che occupa questa "conclusione": ci troviamo alla fine del n. 4, cioè dopo che il testo ha presentato la struttura trinitaria della Chiesa. 17 «Non per nulla il rigido monoteismo ariano fu spesso assunto sotto l'ombrello dell'unità imperiale promossa dalla corte bizantina» (S. DIANlCH, Ecclesiologia, cit., p. 508).18 «La chiesa peregrinante per sua natura è missionaria, in quanto essa trae origine dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito santo, secondo il disegno di Dio Padre. [...] E piacque a Dio chiamare gli uomini alla partecipazione della sua vita non solo ad uno ad uno, senza alcuna mutua connessione, ma riunirli in un popolo, nel quale i suoi figli che erano dispersi si raccogliessero in unità» (Ad gentes, 2, corsivo mio). 19 JOANNES PAULUS Il, Redemptoris missio, 23.20 «Tutti gli uomini sono chiamati a formare il nuovo popolo di Dio. [...] A questo scopo Dio ha mandato il Figlio suo [...]. Per questo pure ha mandato Dio lo Spirito del Figlio suo [...]. L'unico popolo di Dio è dunque presente in tutte le nazioni della terra [...] la Chiesa o popolo di Dio, che prepara la venuta di questo regno, nulla sottrae al bene temporale di qualsiasi popolo, ma al contrario favorisce e accoglie tutte le risorse, le ricchezze, le consuetudini del popoli, nella misura in cui sono buone, e accogliendole le purifica, le consolida e la eleva. [...] In virtù di questa cattolicità,le singole parti portano i propri doni alle altre parti e a tutta la Chiesa, di maniera che il tutto e le singole parti si accrescono con l'apporto di tutte, che sono in comunione le une con le altre, e coi loro sforzi verso la pienezza dell'unità» (Lumen gentium, 13).

4

Page 5: C. Cap 2 Capire La Missione Nella Prospettiva Della Morale Zuccaro

Naturalmente questa attenzione alla diversità e singolarità dei doni presenti in ogni cultura non deve far dimenticare l'unicità della mediazione salvifica di Cristo21. Di fatto, soprattutto in tempi recenti, si sono avanzate prospettive che insistono maggiormente sull'evento della creazione e sul teocentrismo che, lasciando in ombra l'unicità e l'universalità della mediazione salvifica di Cristo, sembrerebbero porre meno ostacoli al dialogo interreligioso e alla spiegazione della diversità dell'origine e delle culture dei popoli, in quanto depositarie dei doni di Dio22. Certo, anche per questo, come reazione a tali impostazioni, la successiva riflessione sulla presenza dei semina Verbi sparsi all'interno dei diversi popoli è stata costretta a misurarsi maggiormente con il mistero di Cristo. Penso, però, che al di là di ogni aspetto polemico, il recupero della teologia trinitaria possa assicurare allo stesso tempo l'unità/cattolicità della chiesa e la sua diversità, strutturata in carismi molteplici. Di conseguenza, apparirà più chiara anche una dimensione maggiormente dinamica della missione che accanto all'annuncio recupera anche il dialogo con culture e religioni altre, consapevole dei semi di salvezza che anche lì si trovano presenti23. L'enfasi sulla dimensione trinitaria della chiesa permette di superare più agevolmente anche una sorta di ecclesiocentrismo che, attraverso un'errata comprensione della tradizione patristica, si è imposto a partire soprattutto dall'eredità agostiniana. Mi riferisco all'assioma tradizionale dell'extra ecclesiam nulla salus, variamente interpretato attraverso la storia della chiesa fino alla svolta del Vaticano II24. Gli autori che per primi hanno scritto questa frase sono Origene (+254) e Cipriano (258). Il primo voleva esortare i cristiani perché, sotto la durezza delle persecuzioni, non si voltassero indietro per ricadere nel paganesimo; pertanto il suo discorso era intraecclesiale e non riguardava il rapporto della chiesa con coloro che ne stavano fuori25. Anche Cipriano, nonostante la diversa impostazione ecclesiologica, più giuridica rispetto a quella maggiormente mistica e spirituale di Origene, riferisce l'espressione ai cristiani che

21 «Se, dunque, è lecito e utile considerare i vari aspetti del mistero di Cristo, non bisogna mai perdere di vista la sua unità. Mentre andiamo scoprendo e valorizzando i doni di ogni genere, soprattutto le ricchezze spirituali, che Dio ha elargito a ogni popolo, non possiamo disgiungerli da Gesù Cristo, il quale sta al centro del piano divino di salvezza. Come "con l'incarnazione il Figlio di Dio s'è unito in un certo modo a ogni uomo", così "dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire in contatto"" (JOANNES PAULUS Il, Redemptoris missio, 6).22 Evoca questa tendenza il papa, quando scrive: «Accanto ad aspetti positivi, queste concezioni ne rivelano spesso di negativi. Anzitutto, passano sotto silenzio Cristo: il regno, di cui parlano, si fonda su un "teocentrismo", perché - dicono- Cristo non può essere compreso da chi non ha la fede cristiana, mentre popoli, culture e religioni diverse si possono ritrovare nell'unica realtà divina, quale che sia il suo nome. Per lo stesso motivo esse privilegiano il mistero della creazione, che si riflette nella diversità delle culture e credenze ma tacciono sul mistero della redenzione» (JOANNES PAULUS Il, Redemptoris missio, 17).23 In un contesto diverso e pur con qualche affermazione opinabile, giunge alle medesime conclusioni J. DUPIUS, Il cristianesimo e le religioni, cit., pp. 180-188.24 Per un commento cf. Y. CONGAR) Hors de l'Église pas du salut, in lD., Sainte Eglise. Etudes et approches ecclésiologiques, Cerf, Paris 1964; J. RATZINGER, Nessuna salvezza fuori della Chiesa, in ID., Il nuovo popolo di Dio, Queriniana, Brescia 1971; J.P. THEISEN, The Ultimate Church and the Promise of Salvation, St. John's University Press , Collegeville 1976; W. KERN, Ausserhalb der Kirche kein Heil, Herder, Freiburg 1979; FA SULLIVAN, Salvation outside the Church? Tracing the History of the Catholic Response, Paulist Press, New York 1992; G. CANOBBIO, Chiesa perché. Salvezza delf'umanità e mediazione ecclesiale, San Paolo, Cinisello Balsamo 1994; B. SESBOOE, "Hors de l'Eglise, pas de salut". Histoire d'une formule et problèmes d'interpretation, Desclée De Brouwer, Paris 2004. 25 Il primo lo fa nel suo In lesu Nave; commentando l'episodio di Gs 2, 9-21, scrive: «se uno vuole salvarsi, venga in questa casa della prostituta d'un tempo [...]. Nessuno perciò si illuda, nessuno inganni se stesso; fuori di questa casa, cioè fuori della chiesa, nessuno si salva. Se uno ne esce, diventa lui stesso reo della propria morte» (ORIGENE, In lesu Nave III,5; PG 12,841-842).

5

Page 6: C. Cap 2 Capire La Missione Nella Prospettiva Della Morale Zuccaro

diventano eretici o scismatici, frantumando così l'unità della chiesa26. Pertanto, non si possono estrapolare le loro espressioni, assumendole secondo un significato generale che prescinde dalla concreta situazione di persecuzione, la quale induceva i pastori a far ricorso ad ogni mezzo utile per incoraggiare i cristiani e spronarli alla perseveranza 27. Ciononostante, nei successivi periodi storici si finì per accentuare l'aspetto istituzionale, visibile e gerarchico della chiesa, soprattutto in seguito alla polemica antidonatista di Agostino. La chiesa andava difesa dal pericolo dello scisma donatista che ne aveva mutato il senso della cattolicità e dell'unità: non più visti attorno all'autorità del vescovo e all'universalità dell'estensione geografica, ma soltanto alla conservazione della purezza dei costumi, la quale era custodita e difesa soltanto dentro il loro gruppo. Sono i successori di Agostino, però, che riflettendo sulla sua dottrina della predestinazione si trovano a dover spiegare perché, nonostante la universale volontà di salvezza di Dio, solo alcuni sono eletti. La soluzione più veloce accentua il ruolo centrale e insostituibile della chiesa, ma della chiesa intesa in senso marcatamente gerarcologico e giuridico28. Da questo punto ri sultò patrimonio teologico acquisito l'assioma dell'extra ecclesiam nulla salus, anche se ci si dimenticò dell'origine storica dell'affermazione29.

1.2 Un'ecclesiologia dinamica

La scoperta del nuovo mondo portò alla luce tanti altri popoli che non avevano co-nosciuto il Vangelo e, con questo, fece riemergere il problema di tanti che, non potendo conoscere il Vangelo e la chiesa, sarebbero destinati alla condanna. Si fa strada la convinzione che nel caso della sincerità e della buona fede Dio non avrebbe lasciato nessun uomo nell'ignoranza ma gli avrebbe mandato un'ispirazione, un predicatore o, addirittura, un angelo per condurlo alla fede30; infatti facienti quod in se est, Deus non denegat gratiam. Il primo a parlare di "ignoranza invincibile" sarà J. De Lugo che, nel suo De virtute fidei divinae, scrive: «un ebreo o un altro non cristiano potrebbe essereisalvato; poiché 26 «Chiunque, separandosi dalla Chiesa, ne sceglie una adultera, viene a tagliarsi fuori dalle promesse della Chiesa; chi abbandona la Chiesa di Cristo, non perviene certo alle ricompense di Cristo. Costui sarà un estraneo, un profano, un nemico. Non può avere Dio per Padre chi non ha la Chiesa per madre» (CIPRIANO, De unitate Ecclesiae VI; CSEL III/1,214-215). Ancora: «Non possono vivere cri-stianamente [i superbi e ribelli allontanati dalla Chiesa] se ne sono fuori, poiché la casa di Dio è una sola e nessuno può salvarsi se non nella Chiesa» (lD., Epistola 4,4; CSEL III/2, 476-477). 27 Giustamente scrive Duquoc: «Lo scopo di questo principio era una terapia interna e non una volontà di definire un quadro identificabile della salvezza ultima» (C. DUQUOC, L'unico Cristo. La sinfonia differita, Queriniana, Brescia 2003, pp. 59-60).28 In modo particolare possiamo ricordare Fulgenzio di Ruspe (t 533): «Se fosse vero che Dio vuole universalmente che tutti siano salvati e pervengano alla conoscenza della verità, com'è che la Verità stessa ha celato ad alcuni il mistero della sua conoscenza? [...] Se avesse desiderato salvare gli uni e gli altri, agli uni e agli altri avrebbe donato la conoscenza della verità» (FULGENZIO DI RUSPE, De veritate praedestinationis III, 16. 18; PL 65, 660.661). E ancora: «Ritieni con saldissima fede e non dubitare in nessun modo che non solo tutti i pagani ma anche tutti gli ebrei e tutti gli eretici e gli scismatici che terminano la vita presente fuori della Chiesa cattolica andranno "nel fuoco eterno preparato per il diavolo e per i suoi angeli"» (FULGENZIO DI RusPE, De fide ad Petrum 38; PL 65, 704). 29 Si veda la lettera di Innocenzo III all'arcivescovo di Tarragona (1208): «Con il cuore crediamo e con la bocca confessiamo una sola chiesa, non di eretici, ma la santa, romana, cattolica e apostolica, al di fuori della quale noi crediamo che nessuno si salva» (H. DENZINGER - P. HONERMANN (edd.), Enchiridion symbolorum definitionum et declarationum, de rebus fidei et morum, Dehoniana, Bologna 1995, 792). Inoltre lo stesso Concilio Lateranense IV (1215), nella Definitio contra Albigeses et Cathares: «Una, inoltre, è la chiesa universale dei fedeli, fuori della quale nessuno assolutamente si salva» (ibidem, 802),30 TOMMASO, In /I Sententiarum d. XXVIII, q. 1, a. 4, ad quartum; In 1/1 Sententiarum d. XXV, q. 2, a. 1, sol. 1, ad primum; De Veritate q. XIV, a. 11, ad primum.

6

Page 7: C. Cap 2 Capire La Missione Nella Prospettiva Della Morale Zuccaro

potrebbe avere la fede soprannaturale nell'unico Dio ed essere invincibilmente ignorante a proposito di Cristo. Ma una tale persona non sarebbe cristiana perché si viene detti cristiani in virtù della propria conoscenza di Cristo; [...] non dovrebbe poi essere definita non-cristiana perché, pur non aderendo visibilmente alla chiesa, interiormente ha tuttavia in comune con essa la virtù della fede abituale ed attuale e, sotto lo sguardo di Dio, verrà considerata con i cristiani». Anche se la tesi ha più di un punto non chiaro, finirà ugualmente per affermarsi; Pio IX, in particolare, la insegnerà nella Singulari Quadam (1854) e nella Quanta Conficiamur Moerore (1863)31, mentre Leone XIII32 e Pio X331a riprenderanno in alcuni loro interventi. Vi è qui un profondo ripensamento dell'assioma: solo coloro che sono colpevolmente fuori della chiesa non si salvano34. Trascurare, dunque, l'origine storica e assumere il lemma come un assioma dogmatico non dà ragione della sua verità. Sarebbe, per altro, incoerente con il resto della riflessione patristica relativa alla "convinzione nettissima" dell'azione universale di salvezza che, in vista del Verbo, Dio attua anche al di fuori e prima del l'elezione di Israele. In questo senso deve essere interpretata la teoria cosiddetta dei quattro testamenti o delle quattro alleanze: Adamo, Noè, Mosè e Cristo35. Addirittura Clemente Alessandrino scrive: «potrebbe darsi che la filosofia fosse stata data ai greci quale bene primario, avanti che il Signore li chiamasse, poiché anche essa educava la grecità a Cristo come la legge gli ebrei»36. Naturalmente rimane sempre vera l'affermazione riguardo alla necessità della chiesa come universale sacramento di salvezza per tutti gli uomini, ma, secondo la prospettiva

31 «Noto a noi e a voi che coloro i quali ignorano invincibilmente la nostra santissima religione e che osservando diligentemente la legge naturale ed i suoi precetti, scolpiti da Dio nel cuore di tutti, e disposti a obbedire a Dio conducono una vita onesta e retta, possono con l'aiuto della luce e della grazia divina conseguire la vita eterna, giacché Dio, il quale perfettamente vede scruta e conosce le menti, gli animi, i pensieri e il comportamento di tutti, non soffre per sua somma bontà e clemenza che sia punito con gli eterni supplizi chi non è reo di colpa volontaria» (H. DENZINGER - P. HONERMANN (edd.) , Enchiridion symbolorum definitionum et declarationum, cit., 2866). 32 LEONE XIII, Satis Cognitum (1896), AAS 28 (1895-1896), p. 708.33 PIO X, E Supremi (1903), MS 36 (1903-1904), p.136. 34 L'episodio in cui questo cambiamento trova la sua espressione più precisa è però la lettera del S. Uffizio (1949) all'arcivescovo di Boston, nella quale viene condannata la posizione di L. Feeney. I fatti sono i seguenti: nell'aprile 1949 tre professori laici del "Boston College", una istituzione guidata dai gesuiti, vengono allontanati dal rettore W.L. Kelcher per il loro insegnamento: sostenevano che chiunque non appartenesse visibilmente alla chiesa sarebbe destinato alla dannazione. Il reverendo L. Feeney, gesuita e direttore del "St Benedict's Center", prenderà pubblicamente le loro parti anche sul periodico From the Housetops; di conseguenza l'arcivescovo di Boston, Mons. R.J. Cushing, interverrà per condannare sia le attività del Centro sia Padre Feeney. Questi, lungi dal sottomettersi, raccoglierà attorno a sé un centinaio di seguaci, gli "Schiavi del Cuore Immacolato di Maria", e continuerà a diffondere le sue posizioni. Nell'estate del 1952, la Congregazione del S. Uffizio autorizzerà l'arcivescovo di Boston a rendere pubblica una lettera inviata - il giorno 8 agosto 1949 - dalla stessa Congregazione all'arcivescovo con l'impegno di mantenerla riservata; questa lettera contiene l'insegnamento della chiesa sul problema in questione. Resta da aggiungere che P. Feeney sarà scomunicato il 13 febbraio 1953. La lettera intende presentare l'insegnamento della chiesa sul nostro tema. Pur affermando che la chiesa è "il mezzo di sal -vezza senza del quale nessuno può entrare nel Regno della gloria celeste" (H. DENZINGER - P. HONERMANN (edd.), Enchiridion symbolorum definitionum et declarationum, ci t. , 3868), il testo sostiene che «non si richiede sempre, affinché uno ottenga l'eterna salvezza, che sia realmente incorporato come un membro nella chiesa, ma questo almeno è richiesto, che egli aderisca alla stessa con il voto e il desiderio. Questo voto, poi, non è necessario che sia sempre esplicito, come accade per i catecumeni, ma dove l'uomo soffre di ignoranza invincibile, Dio accetta pure un voto implicito, chiamato con tale nome perché è contenuto in quella buona disposizione dell'animo con la quale l'uomo vuole la sua volontà conforme alla volontà di Dio» Ubidem, 3870). 35 Vedi IRENEO, Adversus Haereses III, 11,8. 36 CLEMENTE ALESSANDRINO, Stromata I, 5, 3.

7

Page 8: C. Cap 2 Capire La Missione Nella Prospettiva Della Morale Zuccaro

della Lumen gentium, questo non va inteso come se la salvezza fosse circoscritta dentro la struttura gerarcologica e sociologica della chiesa. In effetti, per esempio, nella stessa autocoscienza ecclesiale, la salvezza si riceve anche attraverso il battesimo di desiderio37. Ma, dalla lettura della costituzione conciliare, emerge un'altra più ricca spiegazione che fa riferimento diretto non tanto alle singole persone, come se fossero loro a dover "fare ingresso" in una chiesa che rimane ferma, "in stato di attesa". Sembrerebbe, invece, che la stessa immagine di chiesa debba comportare una necessità dinamica, nel senso che la sua mappatura non è disegnata su di una figura fissa, ma si muove per raggiungere ogni uomo salvato dalla grazia di Cristo. Pertanto, se rimane vero che non ci si salva al di fuori della chiesa38 e se, dall'altra parte, rimane anche vero che Dio non nega la salvezza a chi la desidera e la cerca sinceramente39, allora possiamo, anzi dobbiamo, concludere che là dove si trova una persona salvata dalla grazia di Cristo, si ritrova anche la realtà della chiesa. Per questo il concetto di chiesa è molto più ampio e dinamico di quanto può suggerire l'immagine della societas. Non è la chiesa che allarga i propri confini per accogliere ogni persona che ne fa ingresso, ma, al contrario, è ogni persona che è salvata da Cristo che allarga i confini della chiesa 40. Pertanto si può comprendere come la necessità della chiesa quale sacramento di salvezza permanga "non nonostante", ma proprio attraverso la volontà salvifica universale di Dio, che può suscitare l'accoglienza del dono della grazia ovunque: là giungono i confini della chiesa, dove la grazia di Cristo opera la salvezza.

37 Secondo il Concilio di Trento, nel Decreto sulla giustificazione, il passaggio dallo stato in cui l'uomo nasce figlio del primo Adamo allo stato di grazia «dopo l'annuncio del Vangelo, non può avvenire senza il lavacro della rigenerazione o senza il desiderio di ciò» (H. DENZlNGER - P. HONERMANN (edd.), Enchiridion symbolorum definitionum et declarationum, cit., 1524).38 <<Il santo Concilio si rivolge dunque prima di tutto ai fedeli cattolici. Esso insegna, appoggiandosi sulla sacra scrittura e sulla tradizione, che questa Chiesa pellegrinante è necessaria alla salvezza. Infatti solo Cristo, presente per noi nel suo corpo, che è la Chiesa, è il mediatore e la via della salvezza; ora egli, inculcando espressamente la necessità della fede e del battesimo (cf. Me 16, 16; Gv 3, 5), ha insieme confermata la necessità della Chiesa, nella quale gli uomini entrano mediante il battesi mo come per la porta. Perciò non potrebbero salvarsi quegli uomini, i quali, non ignorando che la Chiesa cattolica è stata da Dio per mezzo di Gesù Cristo fondata come necessaria, non avessero tuttavia voluto entrare in essa o in essa perseverare» (Lumen gentium, 4). «Coloro che ignorano invincibilmente la nostra santissima religione [...] possono con l'aiuto [...] della grazia divina conseguire la vita eterna, giacché Dio, il quale perfettamente vede scruta e conosce le menti, gli animi, i pensieri e il comportamento di tutti, non soffre per sua somma bontà e clemenza che sia punito con gli eterni supplizi chi non è reo di colpa volontaria» (H. DENZlNGER - P. HONERMANN (edd.), Enchiridion symbolorum definitionum et declarationum, cit., 2866).39 «E Dio stesso non è lontano dagli altri che cercano un Dio ignoto nelle ombre e nelle immagini, poiché egli dà a tutti vita e respiro e ogni cosa (cf. At 17, 25-28), e come salvatore vuole che tutti gli uomini siano salvi (cf. 1 Tm 2,4). Infatti, quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa, e tuttavia cercano sinceramente Dio; e sotto l'influsso della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di Dio, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, pòssono conseguire la salvezza eterna. Né la divina Prowidenza nega gli aiuti necessari alla salvezza a coloro che senza colpa da parte loro non sono ancora arrivati a una conoscenza esplicita di Dio, e si sforzano, non senza la grazia divina, di condurre una vita retta» (Lumen gentium, 16). 40 «Dove c'è salvezza qui bisogna riconoscere la presenza della Chiesa. Anche se delle persone afferrate dalla grazia divina altro non si può dire se non che questa loro salvezza presenta una dimensione ecclesiale, ma senza aggiungere nulla sul modo in cui essa è venuta a verificarsi in questi uomini. È un segno che rimane nascosto nelle profondità misteriose dell'agire di Dio» (W. BEINERT - O. SEMMELROTH, Il nuovo popolo di Dio come sacramento della salvezza, in J. FEINER M. LOHRER, Mysterium Salutis. Nuovo corso di dogmatica come teologia della storia della salvezza, 7. L'evento salvifico nella comunità di Gesù Cristo, Queriniana, Brescia 1978, p. 369).

8

Page 9: C. Cap 2 Capire La Missione Nella Prospettiva Della Morale Zuccaro

Tutto questo non va inteso come se ci fosse una riduzione o uno sconto, oppure una relativizzazione riguardo alla necessità della chiesa come sacramento di salvezza. Nemmeno è corretto interpretare il rapporto tra il dono della salvezza e l'appartenenza alla chiesa come se, così, non ci fosse più bisogno dell'annuncio e degli evangelizzatori. In effetti, ciò che cambia non è il dovere di rispondere al comando divino dell'euntes docete, ma forse, in parte, l'atteggiamento interiore del missionario: egli sa che l'annuncio di cui è portatore non cade e non si impone violentemente dall'esterno nel cuore dei destinatari, dal momento che lì si trovano già, sparsi dal Verbo, alcuni germi di salvezza41. Pertanto, la conseguenza non dovrebbe condurre ad una flessione dell'annuncio, ma, al contrario, dovrebbe spingere verso un suo nuovo slancio, rinvigorito dalla fiducia che esso cade dentro un terreno in qualche modo già pronto ad accoglierlo.

1.3 Ecclesiologia, cristologia trinitaria e antropologia

Come abbiamo potuto notare dall'itinerario storico che ha condotto a capire meglio la necessità sacramentale della chiesa in ordine alla salvezza di tutti gli uomini, il concetto "allargato" di chiesa, il quale va oltre la sua dimensione visibile e verificabile empiricamente, non contraddice, anzi postula la sua dimensione visibile e "istituzionale". Tornano in mente le parole di Lumen gentium, 8:

Questa è l'unica Chiesa di Cristo, che nel simbolo professiamo una, santa, cattolica e apostolica, e che il Salvatore nostro, dopo la sua risurrezione, diede da pascere a Pietro (cf. Gv 21, 17), affidandone a lui e agli altri apostoli la diffusione e.Ia guida (cf. Mt 28, 18; ecc.), e costituì per sempre la colonna e il sostegno della verità (cf. 1 Tm 3,15). Questa Chiesa, in questo mondo costituita e organizzata come una società, sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui, ancorché al di fuori del suo organismo visibile si trovino parecchi elementi di santificazione e di verità, che, quali doni propri della Chiesa di Cristo, spingono verso l'unità cattolica42.

In realtà, la stessa costituzione dogmatica metteva in risalto l'analogia della dimensione spirituale e sociale della chiesa con la struttura teandrica del Verbo incarnato43. Di conseguenza, sarà possibile vedere la missio ad gentes legata a doppio mandato con la chiesa e con la persona di Cristo, ricuperata all'interno della dimensione trinitaria. È legittimo, dunque, capire la dinamica della relazione tra gli uomini sul fondamento e alla luce del "principio trinitario": la vita di Dio è vissuta come relazione e rapporto permanente tra Padre, Figlio, Spirito Santo44. "Si tratta di un solo Dio, ma non di un Dio

41 «E ciò [la speranza della risurrezione] non vale solamente per i cristiani ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia. Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina, perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale» (Gaudium et spes, 22). «Lo Spirito si manife sta in maniera particolare nella chiesa e nei suoi membri; tuttavia, la sua presenza e azione sono universali, senza limiti né di spazio né di tempo. Il concilio Vaticano Il ricorda l'opera dello Spirito nel cuore di ogni uomo mediante i "semi del Verbo", nelle iniziative anche religiose, negli sforzi dell'attività umana tesi alla verità, al bene, a Dio» (JOANNES PAULUS Il, Redemptoris missio, 28). 42 Il corsivo è mio. 43 «Per una non debole analogia, quindi, [la Chiesa] è paragonata al mistero del Verbo incamato. Infatti, come la natura assunta è a servizio del Verbo divino come vivo organo di salvezza, a lui ndissolubilmente unito, in modo non dissimile l'organismo sociale della Chiesa è a servizio del lo Spirito di Cristo che lo vivifica, per la crescita del corpo» (Lumen gentium, 8).44 Rimando al trattato relativamente recente di G. GRESHAKE, Il Dio unitrino, Queriniana, Brescia 2000.

9

Page 10: C. Cap 2 Capire La Missione Nella Prospettiva Della Morale Zuccaro

solitario", perché, come sappiamo, vive la sua vita come relazione, al punto tale che in lui tutto è uno, e se c'è distinzione tra le persone questa è dovuta al fatto che ciascuna di esse si relaziona alle altre in un modo che gli è proprio. In continuità con la riflessione antropologica, possiamo dire che la relazione di amore in Dio è così intensa che, ad un tempo, da una parte esige l'alterità per potersi esprimere, dall'altra è costitutiva della stessa alterità. E questa circolazione di amore non ha né principio, né fine, perché esiste in un presente che è eterno. La Persona del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo non è ciascuna ripiegata su se stessa; ma, al contrario, è in atteggiamento di apertura e di dono nei confronti delle altre. Questo principio trinitario diventa un modello che aiuta ad umanizzare la vita della comunità degli uomini e ogni tipo di relazione interpersonale; l'altro non può essere interpretato come uno strumento che serve a poter vivere, ma come un dono di amore. Ad inunagine della Trinità, questo amore rinuncia al possesso dell'altro per poterlo accogliere come dono; pertanto è un amore così intenso da amare l'altro fino a perderlo, a rinunciare a lui, liberando e fondando, così, la sua alterità. All'interno della relazione trinitaria, Cristo esprime quasi "l'interfaccia" dell'amore di Dio che si rende comprensibile e visibile concretamente per l'uomo. Anche così possiamo leggere l'incarnazione, come la possibilità offerta agli uomini di capire e sperimentare il volto umano di Dio attraverso l'incontro con Gesù e l'ascolto della sua parola. il "principio dell'Incarnazione" vuole significare che solo attraverso la "carne" di Cristo, cioè la sua umanità, l'uomo può trovare la via di accesso ad un Dio che, per questo, cessa di essere nascosto ed irraggiungibile. Al contrario, possiamo pensare che, senza la "carne" di Cristo, l'amore di Dio per gli uomini si vaporizzerebbe, non perché verrebbe meno, ma perché sarebbe inconoscibile.

Il paradigma teologico dell'incarnazione, compreso dentro il mistero trinitario, illumina anche la verità umana delle relazioni che si instaurano tra le persone. Infatti, se da una parte la persona è strutturata dalla relazionalità, come abbiamo visto, dall'altra tale relazionalità non può concretamente esprimersi se non nella reciprocità di un incontro che passa attraverso l'umanità concreta. Da qui la necessità di mettere al bando ogni tentativo di surrogare la relazione e l'incontro con l'altro attraverso delle mediazioni fittizie che non incrocino la sua "carne", cioè il suo vissuto concreto. Non c'è posto per l'incontro per "delega", che non assume e non mette a contatto lo sguardo, la pelle, il volto, la mano dell'altro. Al contrario, occorre entrare dentro il dinamismo proprio di una umanità che concretamente si manifesta nel segno e nello spessore della "carne" la quale, lungi dall'opporsi alla libertà, ne rappresenta la condizione perché questa possa realizzarsi45. 2 La missione: l'exitus e Il reditus

Dopo aver presentato, in forma appena abbozzata, una linea di riflessione che potrebbe sviluppare l'ecclesiologia, possiamo ora entrare più direttamente dentro il discorso della missione, raccogliendo alcune indicazioni della scienza missiologica e integrandole con la riflessione magisteriale a proposito.

2.1 L'origine trinitarla della missione: l'exitus

45 Questo è già pubblicato in C. ZUCCARO, Cristologia e morale. Senso, interpretazione, prospettive, Dehoniane, Bologna 2003.

10

Page 11: C. Cap 2 Capire La Missione Nella Prospettiva Della Morale Zuccaro

Si cercherà di prendere coscienza della struttura della missione originata dalla Trinità46 e rivolta a tutti gli uomini che "sempre e in ogni luogo" sono i destinatari della salvezza/amore di Dio. Mi pare che sia ormai assodata questa dimensione che fa della missione non soltanto, o prima di tutto, un'opera umana, ma un'iniziativa divina47. Per questo, non va dimenticato che anche la chiesa, se da una parte è mandata dalla Trinità ad annunciare la missione di salvezza/amore, dall'altra continua a permanere nella condizione di chi è ancora e per sempre termine della missione di salvezza/amore della Trinità. Così, partendo dalla sua struttura trinitaria, si potrebbe comprendere la missione sotto il paradigma dell' exitus, vale a dire del movimento della Trinità che si proietta al di fuori di se stessa e che in Cristo manifesta la sua intenzione di amore verso tutti gli uomini. Il Verbo incarnato rappresenta il luogo teologico di maggiore estroversione della Trinità: essa giunge sempre là dove Cristo è presente. Pertanto è necessario recuperare la cristologia dentro il mistero della Trinità e vedere in tutto il mistero pasquale di Cristo non solo la kenosis del Figlio, ma anche quella del Padre e dello Spirito Santo48. Si tratta del fatto che lo Spirito Santo crea la condizione per rendere possibile l'ingresso di Dio nel mondo; tale condizione, per usare l'espressione di Bulgalov, consiste nel restringere, limitare e contenere l'energia di Dio perché egli possa trovare posto dentro il mondo: «la kenosis dello Spirito Santo non consiste in uno svuotamento di Sé, in uno spogliarsi della divinità; ma in una autolimitazione volontaria, in un assoggettarsi dell'incommen-surabile alla misura»49. Ma anche il Padre è coinvolto e partecipa in prima persona al movimento kenotico che trova nell'incarnazione e nella morte di Gesù la sua punta di diamante. Questa partecipazione diventa visibile nell'atto del Padre che "si ritira dal figlio", cioè "permette che gli venga sottratto" e vive tale privazione "da impotente", rimanendo attore e spettatore allo stesso tempo: Attore, perché questo sacrificio non è un incidente di percorso, ma è un preciso piano di amore per gli uomini; spettatore, perché partecipa al dramma del figlio e vi assiste senza poter intervenire, anzi senza volere intervenire con la sua potenza. Cercando di spiegare questa kenosis del Padre con l'analogia dell'esperienza umana, possiamo dire che egli, donando il proprio figlio, ha donato agli uomini più della sua stessa vita ed è, per così dire, "morto in croce" due volte, per sé e per il figlio. Per questo dà a pensare l'affermazione giovannea «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito» (Gv 3, 16). Al lettore che si aspetterebbe un Dio che dona se stesso per esprimere il suo amore verso il mondo, l'evangelista mostra un Dio che "si serve" del Figlio per esprimere il proprio amore verso gli uomini. Ora, ogni padre che abbia generato il proprio figlio nell'amore, sarebbe disposto a dargii ancora la vita, sacrificando la propria a vantaggio del figlio, se questo gli fosse possibile. Talvolta, nelle vicende di cronaca, assistiamo alla cosiddetta "vendetta trasversale", nel senso che per rendere più grave e velenosa la vendetta verso qualcuno si uccide non lui, ma suo figlio. Il Padre che offre suo Figlio per la salvezza

46 «Le difficoltà interne ed esterne non debbono renderei pessimisti o inattivi. Ciò che conta qui come in ogni settore della vita cristiana è la fiducia che viene dalla fede, eioè dalla certezza che non siamo noi i protagonisti della missione, ma Gesù Cristo e il suo Spirito» (JOANNES PAULUS Il, Redemptoris missio, 36). 47 Cf. Ad gentes, 2-5; JOANNES PAULUS Il, Redemptoris missio, 4-11.48 «La sua kenosis L.,] consiste appunto in una specie di svuotamento ipostatico di sé; nella sua pro-cessione dal Padre e sul Figlio, è come se essa [ipostasi dello Spirito] perdesse se stessa, non è più che la copula, ponte vivente tra il Padre e il Figlio, un tra ipostatico» (Bulgalov citato da N. CIOLA, Cristologia e Trinità, Boria, Roma 2002, p. 59). 49 Ibidem, p. 58.

11

Page 12: C. Cap 2 Capire La Missione Nella Prospettiva Della Morale Zuccaro

del mondo non è segno di un Dio cattivo ed egoista, ma di un Dio che per far capire la profondità del suo amore per l'umanità non risparmia il tesoro più prezioso: la vita dello stesso Figlio. Naturalmente non sfugge alla riflessione teologica il fatto che la missione del Figlio, cui tutta la Trinità prende parte, se da un lato si presenta come l'exitus di Dio che si "estro mette" per raggiungere l'umanità, dall'altro lato è già l'inizio del reditus di tutta l'umanità che viene ricondotta a Dio. Questa verità viene testimoniata dalla preparazione veterotestamentaria e in modo particolare dall'attualizzazione evangelica. Soprattutto i carmi del servo di Jawhè mostrano come la sua missione consista nel ricondurre all'unità tutti i figli di Israele che erano dispersi50. La stessa missione che Gesù, nei Vangeli, si mostra consapevole di dover portare avanti, dal momento dell'investitura ufficiale del Battesimo nel Giordano da parte del Padre: «Questi è il Figlio mio prediletto nel quale mi sono compiaciuto»51; lo stesso Matteo attribuirà ancora esplicitamente la missione del Servo isaiano a Gesù, interpretando in quella prospettiva la sua attività taumaturgica, ma proiettando già, in filigrana, la sua fine simile a quella del servo sofferente52. Il desiderio di riunire la famiglia umana sembra trovarsi emblematicamente espresso, secondo i Padri della chiesa, anche nel segno teologico della tunica lasciata intera e non divisa53. A questo movimento di "esternazione" dell'amore trinitario, Cristo lega a sé la sua Chiesa: anche essa deve seguire la via tracciata dal Maestro e concepire la propria identità come la prosecuzione della sua missione. Pertanto essa dovrà lasciarsi guidare dal movimento di Cristo e seguirlo verso il mondo, mantenendo, però, viva una duplice consapevolezza. Da una parte, quella relativa al fatto che il suo essere missionaria non la pone al di fuori del mondo e che il ritorno a chi l'ha mandata non può avvenire senza la compagnia del mondo cui è stata inviata. Dall'altra parte, la consapevolezza che la via che tale missione deve seguire è stata già battuta da Cristo «il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò sé stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò sé stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2, 6·18). Da qui deriva uno "stile kenotico" nella missione della chiesa, là dove questo deve significare la disposizione permanente della chiesa a morire per generare la vita del Cristo. Detto altrimenti, la chiesa deve "de-concentrarsi" e sbilanciarsi all'e-sterno, dove trova l'umanità da accogliere, servire e ri-condurre insieme ad essa nel Regno. Dunque

50 «Ora disse il Signore che mi ha plasmato suo servo dal seno materno per ricondurre a lui Giacobbe e a lui riunire Israele, poiché ero stato stimato dal Signore e Dio era stato la mia forza mi disse: "E troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti di Israele. Ma io ti renderò luce delle nazioni perché porti la mia salvezza fino all'estremità della terra"» (ls 49, 5-6). E ancora: «Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti. Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca» (ls 53, 6-7).51 Mt3,17.52 «Ordinò loro di non divulgarlo, perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta Isaia: "Ecco il mio servo che io ho scelto; il mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Porrò il mio spirito sopra di lui e annunzierà la giustizia alle genti. Non contenderà, né griderà, né si udrà sulle piazze la sua voce. La canna infranta non spezzerà, non spegnerà il lucignolo fumigante, finché abbia fatto trionfare la giustizia; nel suo nome spereranno le genti"» (Mt 12, 16-21). 53 Rimando a I. DE LA POTTERIE, La mort du Christ d'après Jean, "Studia Missionalia" 31 (1982), 19-36, qui 20-24.

12

Page 13: C. Cap 2 Capire La Missione Nella Prospettiva Della Morale Zuccaro

non una chiesa "introversa", ma una chiesa "estroversa"54; è come se per raggiungere l'identità della sua missione, e quindi la sua stessa identità, la chiesa dovesse cercarsi al di fuori di sé: «una Chiesa al di fuori della chiesa»55. L'enfasi della missione della chiesa non dovrebbe condurla a difendere i propri confini, ma ad aprirli perché possa proiettarsi al di fuori, perché possa crescere attraverso l'adesione di nuovi popoli. Naturalmente l'ingresso di nuovi gruppi di persone dentro la chiesa e l'apertura della chiesa a nuovi gruppi di persone determinano una sorta di "instabilità"e di "precarietà" istituzionale, nel senso che l'eredità della fede che trae origini da Cristo stesso è sottoposta alle sfide rivolte da nuove concezioni di vita edanuove culture. In questo incontro, come vedremo meglio in seguito, le culture plasmeranno in modo nuovo la fede e la fede plasmerà in modo nuovo le culture, ma sempre in modo tale che né l'identità dell'una, né quella delle altre vengano radicalmente stravolte. Pertanto, nella sua missione evangelizzatrice, la chiesa dovrebbe diventare sempre più la trasparenza di Cristo, quasi rappresentarne il prolungamento interpretativo e attualizzante del suo amore verso tutti gli uomini.

2. 2. Cristo al centro della missione

L'estroversione della chiesa, di cui abbiamo parlato, ha un destinatario, l'umanità verso la quale si muove, ma possiede anche un cuore, da cui scaturisce: l'amore trinitario che si incarna e si lascia vedere e incontrare nella carne di Gesù Cristo. Certo, l'azione evangelizzatrice della chiesa non si limita all'annuncio, ma è da considerarsi più ampia e «in situazioni nelle quali per ragioni politiche o di altra natura l'annuncio in quanto tale è praticamente possibile, la Chiesa sta già portando avanti la sua missione evangelizzatrice non solo tramite la presenza e la testimonianza, ma anche per mezzo di attività come lo sforzo per una promozione dello sviluppo umano integrale e per il dialogo»56. Eppure in via assiologica e soprattutto oggi è ribadita la necessità di porre l'annuncio di Cristo, come epifania dell'amore trinitario, al centro della missione, come emerge, tra l'altro, non solo dalle affermazioni esplicite, ma anche dalla struttura della Redemptoris missio, la cui prima parte è dedicata proprio all'annuncio di "Gesù Cristo unico salvatore"57. Anche il Sinodo dei vescovi dell'Africa mantiene chiaramente l'affermazione della centralità dell'annuncio di Gesù Cristo come impegno prioritario dell'evangelizzazione, sebbene la inserisca in un contesto più ampio relativo ai problemi dell'Africa58. In modo particolare, tenendo conto delle esperienze e delle cristologie

54 L'espressione è di G. CANOBBIO, Chiesa estroversa oggi, "Rivista di teologia della evangelizzazione" 5 (2001), 59-74.55 Era già l'intuizione di L. ZANDER, Ecclesia extra eccJesiam, "Kerigma und Dogma" 5 (1960), 214-226, sebbene l'autore riflettesse nell'ambito di spie gazione dell'adagio "extra ecclesiam nulla salus'. 56 PONTIFICIO CONSIGLIO PER IL DIALOGO INTERREUGIOSO - CONGREGAZIONE PER L'EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI, Dialogo e annuncio: riflessioni ed orientamenti sul dialogo interreligioso e sull'annuncio del vangelo di Gesù Cristo, 76.57 «Nella realtà complessa della missione il primo annunzio ha un ruolo centrale e insostituibile, perché introduce "nel mistero dell'amore di Dio, che chiama a stringere in Cristo una personale relazione con lui" e apre la via alla conversione» (JOANNES PAULUS Il, Redemptoris missio, 44).58 «"Il Sinodo ricorda che evangelizzare è annunciare attraverso la parola e la vita la Buona Novella di Gesù Cristo, crocifisso, morto e risuscitato, via, verità e vita". All'Africa, pressata d'ogni parte da germi d'odio e di violenza, da conflitti e da guerre, gli evangelizzatori devono proclamare la speranza della vita radicata nel mistero pasquale. È proprio quando, umanamente parlando, la sua vita sembrava destinata alla sconfitta, che Gesù instituì l'Eucaristia, "pegno dell'eterna gloria", per perpetuare nel tempo e nello spazio la sua vittoria sulla morte. Ecco perché l'Assemblea speciale per l'Africa, in questo periodo in cui il

13

Page 14: C. Cap 2 Capire La Missione Nella Prospettiva Della Morale Zuccaro

indiane, anche l'esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Asia ribadisce la centralità dell'annuncio di Cristo come cuore dell'evangelizzazione59. Non fa eccezione nemmeno la successiva esortazione apostolica di Giovanni Paolo il, Ecclesia in Europa, 28 giugno 2003, che insiste sulla centralità di Cristo per la missione (cf. cap. I: Gesù Cristo è nostra speranza, nn. 6-22). Questa insistenza sull'unicità e sulla universalità di Cristo come redentore e salvatore si spiega anche come reazione critica nei confronti di alcune impostazioni cristologiche, che non riescono a spiegare come l'universalità della salvezza possa darsi dentro la singolarità di una persona. Pertanto queste cristologie, alcune delle quali sono intenzionate ad entrare in un contesto di dialogo interreligioso, introducono uno iato più o meno evidente tra la dimensione storica di Gesù di Nazareth e la sua pretesa di salvezza universale. Così la dottrina di Calcedonia viene svilita, perché interpretata come il tentativo linguistico di dare forma e contorno ad un'esperienza sempre in trasformazione e che deve trovare sempre nuove forme di espressione. Si tratterebbe, insomma, di considerare l'esperienza dell'unicità e della universalità di Cristo come un "mito", cioè il tentativo di narrare attraverso parole e immagini un'esperienza esistenziale inafferrabile60. La nozione di "simbolo", invece, è propria di Haight, già docente di teologia sistematica nell'istituto teologico dei gesuiti americani: la Weston School of Theology di Cambridge nel Massachussets. Cristo è certamente un mediatore di salvezza, ma accanto al altri mediatori indipendenti da lui; infatti, come simbolo del Logos e della sapienza divina, egli non è l'unico61. Una certa riflessione teologica ha imboccato un percorso di

continente africano per certi aspetti versa in condizioni critiche, ha voluto presentarsi come "Sinodo della risurrezione, Sinodo della speranza [...]. Cristo, nostra Speranza, è vivo, noi vivremo!. L'Africa non è votata alla morte, ma alla vita! È dunque necessario "che la nuova evangelizzazione sia centrata sull'incontro con la persona vivente di Cristo", "Il primo annuncio deve mirare a far fare questa esperienza sconvolgente ed entusiasmante di Gesù Cristo che chiama e trascina al suo seguito in un'avventura di fede"» (JOANNES PAULUS Il, Ecclesia in Africa, 14 septembris 1995, 57). 59 «Mentre andava svolgendosi la discussione sinodale sulle complesse realtà dell'Asia, diventava sempre più evidente a tutti che lo specifico contributo della Chiesa ai popoli del Continente è la proclamazione di Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo, il solo e unico Salvatore di tutte le genti. Ciò che distingue la Chiesa dalle altre comunità religiose è la fede in Gesù Cristo; ed essa non può tenere per sé questa preziosa luce della fede sotto il moggio (cf. Mt 5, 15), poiché la sua missione è quella di condividerla con tutti. "La vita nuova che ha trovato in Gesù Cristo, [la Chiesa] la vuole offrire a tutti i popoli dell'Asia che ricercano la pienezza di vita, affinché possano instaurare la stessa comunione con il Padre e con suo Figlio Gesù Cristo nella potenza dello Spirito Santo", È questa fede in Gesù Cristo ad ispirare l'attività evangelizzatrice della Chiesa in Asia, spesso portata avanti in circostanze difficili, se non addirittura pericolose. I Padri sinodali hanno osservato che proclamare Gesù quale unico Salvatore può presentare particolari difficoltà nelle loro culture, dato che molte religioni dell'Asia insegnano esservi divine automanifestazioni che mediano la salvezza» (JOANNES PAULUS Il, Ecclésia in Asia, 6 november 1999, 10; tutti i corsivi sono miei). 60 «Naturalmente il cristianesimo è unico nel senso preciso e letterale in cui ogni tradizione religiosa è unica, cioè nel senso che ce n'è una soIa di quel genere, e quindi non c'è nulla di esattamente uguale. Ma in molti discorsi cristiani "l'unicità del cristianesimo" ha assunto un significato mitologico in senso lato. È arrivato a significare la definitività, l'assolutezza; la normatività e la superiorità del cristianesimo nei confronti delle altre religioni del mondo» (J. HICK, Prefazione, in J. HICK - P. F. KNITTER (edd.), L'unità cristiana: un mito? Per una teologia pluralista delle religioni, Cittadella, Assisi 1994, p. 49).61 Cf. R. HAIGHT, Jesus, symbol of God, Orbis Books, Maryknoll-New York 1999. Ricordiamo che la Congregazione per la Dottrina della Fede in data 13 dicembre 2004 ha pubblicato una "Notificazione" nei riguardi di questo libro del P. Roger Haight S.J. In modo particolare la Congregazione contesta il metodo teologico del P. Haight, secondo cui il linguaggio simbolico condurrebbe a cambiare le definizioni conciliari sulla divinità di Cristo, sulla sua preesistenza e sulla sua identità di redentore unico e universale, nonché, di conse guenza, anche sulla natura della Trinità. Non si può accettare, secondo la Congregazione che, sulla base di un metodo teologico, si debba dare «una lettura non solo diversa, ma contraria al vero significato dei dogmi» fino a negare «che il cristianesimo sia la religione superiore o che

14

Page 15: C. Cap 2 Capire La Missione Nella Prospettiva Della Morale Zuccaro

circolarità ermeneutica, nel senso che si muove continuamente dalla teodicea alla soteriologia. Pertanto, se la salvezza è fondata soltanto sul mistero di Dio, ciò vuol dire che tale mistero certamente può operare la salvezza attraverso Gesù Cristo, ma tale possibilità non necessariamente va intesa in termini esclusivi, dal momento che essa può attuarsi anche attraverso altre mediazioni storiche. Ammettere tale possibilità, del resto, significa riconoscere che si può giungere a Dio anche attraverso "mediazioni altre" rispetto a quella rappresentata da Gesù Cristo62.Ma la centralità dell'annuncio di Cristo come cuore dell'evangelizzazione non si spiega soltanto sulla base della contingenza culturale di trovare una risposta alle sfide del dialogo interreligioso. L'esigenza di questa centralità fa parte della coscienza stessa della chiesa e deve essere pertanto ritenuta dogmaticamente fondata e compresa, al di là di ogni riduzionismo che minacciasse di svilirne lo spessore. Lo ricorda l'Ad gentes, quando scrive che

La ragione di questa attività missionaria discende dalla volontà di Dio, il quale "vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità. Vi è infatti un solo Dio ed un solo mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Gesù Cristo, che ha dato se stesso in riscatto per tutti" (1 Tm 2, 4-6), "e non esiste in nessun altro salvezza" (At 4, 12). È dunque necessario che tutti si convertano al Cristo, conosciuto attraverso la predicazione della chiesa, ed a lui e alla chiesa, suo corpo, siano incorporati attraverso il battesimo63.

Dieci anni dopo, con mirabile intuizione e apertura di animo, Paolo VI ribadisce la necessità dell'evangelizzazione per la chiesa, sottolineando, ancora una volta, il suo fondamento dogmatico e il suo contenuto nell'annuncio di Gesù Cristo, volto visibile della salvezza e dell'amore della Trinità:

Una tale Esortazione ci è parsa di capitale importanza, perché la presentazione del messaggio evangelico non è per la Chiesa un contributo facoltativo: è il dovere che le incombe per mandato del Signore Gesù, affinché gli uomini possano credere ed essere salvati. Sì, questo messaggio è necessario. È unico. È insostituibile. Non sopporta né indifferenza, né sincretismi, né accomodamenti. È in causa la salvezza degli uomini. Esso rappresenta la bellezza della rivelazione64.

E ancora, a proposito della necessità di una testimonianza cristiana che diventi annuncio esplicito e formale, scrive:

Tuttavia ciò [testimonianza di vita] resta sempre insufficiente, perché anche la più bella testimonianza si rivelerà a lungo impotente, se non è illuminata, giustificata - ciò che Pietro chiamava "dare le ragioni della propria speranza" - esplicitata da un annuncio chiaro e inequivocabile del Signore Gesù. La Buona Novella, proclamata dalla testimonianza di vita, dovrà dunque essere presto o tardi annunziata dalla

Cristo sia il centro assoluto al quale tutte le altre mediazioni storiche sono relative» (cf. ONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Notificazione sul libro "Jesus Symbol of God" di Padre Roger Haight, S.J., "L'Osservatore Romano" (2005) 7-8 febbraio, 7). In fondo, si ritiene incompatibile la riflessione di Haight con la prospettiva della Dominus Jesus. 62 L'impossibilità di coniugare insieme la storicità di Gesù e, proprio dentro questa, la portata universale della salvezza ha condotto, per altre vie, alla riduzione del cristianesimo a uno dei tanti sim boli che interpretano la trascendenza di Dio: «È qui il caso di ricordare che anche in [...] Luigi Pareyson, l'incarnazione di Dio in Gesù Cristo, lungi dall'essere una smentita e una delegittimazione dei miti delle religioni altre, ne è, sia pure implicita, autorizzazione. È proprio perché il Dio cristiano si incarna in Gesù che è possibile pen sare Dio anche sotto la forma di un altro essere naturale, come accade in tante mitologie religiose non cristiane. I simboli naturali e storici [...] possono davvero valere come simboli di Dio» (G. VATTIMO, Dopo la cristianità. Per un cristianesimo non religioso, Garzanti, Milano 2002, p. 31).63 Ad gentes, 7.64 PAULUS VI, Evangelii nuntiandi, 8 decembris 1975,5.

15

Page 16: C. Cap 2 Capire La Missione Nella Prospettiva Della Morale Zuccaro

parola di vita. Non c'è vera evangelizzazione se il nome, l'insegnamento, la vita, le promesse, il Regno, il mistero di Gesù di Nazareth, Figlio di Dio, non siano proclamati65.

Su questa stessa linea si pone Giovanni Paolo II nella più volte menzionata enciclica Redemptoris missio. Il pontefice richiama in modo esplicito sia l'Ad gentes che l'Evangelii nuntiandi66, mentre si riferisce, a più riprese, alla sua prima enciclica programmatica Redemptor hominis. Il riferimento a questo documento, dentro l'enciclica missionaria, è oltre modo significativo della volontà di enfatizzare la centralità del mistero di Cristo nell'azione evangelizzatrice:

"Il compito fondamentale della chiesa di tutte le epoche e, in modo particolare, della nostra -ricordavo nella prima enciclica programmatica- è di dirigere lo sguardo dell'uomo, di indirizzare la coscienza e l'esperienza di tutta l'umanità verso il mistero di Cristo". La missione universale della chiesa nasce dalla fede in Gesù Cristo, come si dichiara nella professione della fede trinitaria: "Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figiio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli ... Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della vergine Maria e si è fatto uomo”67.

Per questo penso che si possa concludere che fa parte dell'attuale autocoscienza della chiesa il fatto che l'annuncio di Cristo rappresenti il cuore della missione. Tale affermazione, come abbiamo avuto modo di osservare, deve tuttavia essere compresa all'interno di un più "vasto contesto di amore trinitario", di cui Gesù rappresenta il sacramento primordiale, e di una "chiara connotazione antropologica", trovando nella salvezza dell'uomo e nell'attenzione alla sua situazione la ragione fondamentale della sua destinazione.

2.3 La Missio ad gentes come reditus ad Deum

Innanzitutto occorre precisare il significato dell'espressione missio ad gentes, per evitare di appiattire la dimensione missionaria della chiesa esclusivamente sul parametro geografico, come se esistessero "terre di missione" accanto a terre non più bisognose di annuncio di salvezza. Non possiamo dimenticare che la dimensione della "cattolicità", come nota caratterizzante la chiesa di Cristo, ha subito un'evoluzione che ha lasciato indietro un'interpretazione "geografica" territoriale e statistica, basata sullo stesso credo, sullo stesso culto, sulla stessa legge68.

La "geografia culturale e religiosa" del nostro tempo è tale da richiedere la necessità dell'annuncio della salvezza dovunque: le gentes da evangelizzare non si trovano sempre lontano da noi, ma spesso condividono la nostra cultura e la nostra condizione

65 Ibidem, 22.66 «A venticinque anni dalla conclusione del concilio e dalla pubblicazione del decreto sull'attività missionaria Ad gentes, a quindici anni dall'esortazione apostolica Evangelii nuntiandi del pontefice Paolo VI di v.m., desidero invitare la chiesa a un rinnovato impegno missionario, continuando il magistero dei miei predecessori a tale riguardo» (JOANNES PAULUS Il, Redemptoris missio, 2).67 Ibidem, 4.68 La riflessione di Dulles ci aiuta a capire come la comprensione della "cattolicità " , che insieme alla santità, all'unità e alla apostolicità è una delle note costitutive della vera chiesa, sia condizionata dal modello ecclesiologico adottato. Pertanto, partendo dal modello di chiesa come istituzione, storicamente si è compresa la sua dimensione catto lica in termini di estensione geografica statistica e la missione in termini di «uno sforzo imperialistico di portare il più lontano possibile il gregge. Lo scopo consisteva perciò nella necessaria conseguenza di un'interpretazione letterale della massima; extra ecclesiam nulla salus» (D. DULLEs, Models ofthe Church, cit., pp. 120-121).

16

Page 17: C. Cap 2 Capire La Missione Nella Prospettiva Della Morale Zuccaro

storica69. Sembra che anche la Redemptoris missio non sia estranea a questa esigenza quando mostra consapevolezza di un'unica missione della chiesa che, tuttavia, si specifica in base a condizioni storicamente contingenti, piuttosto che dogmaticamente fondate. Come a dire che la necessità dell'annuncio della salvezza è unica e universale, ma la sua forma si specifica in "missio ad gentes", in "cura pastorale" e in "nuova evangelizzazione". Scrive l'Enciclica:

Le differenze nell'attività all'interno dell'unica missione della chiesa nascono non da ragioni intrinseche alla missione stessa, ma dalle diverse circostanze in cui essa si svolge. Guardando al mondo d'oggi dal punto di vista dell'evangelizzazione, si possono distinguere tre situazioni. Anzitutto, quella a cui si rivolge l'attività misionaria della chiesa: popoli, gruppi umani, contesti socio-culturali in cui Cristo e il suo vangelo non sono conosciuti, o in cui mancano comunità cristiane abbastanza mature da poter incarnare la fede nel proprio ambiente e annunziarla ad altri gruppi. È questa, propriamente, la missione ad gentes. Ci sono, poi, comunità cristiane che hanno adeguate e solide strutture ecclesiali, sono ferventi di fede e di vita, irradiano la testimonianza del Vangelo nel loro ambiente e sentono l'impegno della missione universale. In esse si svolge l'attività, o cura pastorale della chiesa. Esiste, infine, una situazione intermedia, specie nei paesi di antica cristianità, ma a volte anche nelle chiese più giovani, dove interi gruppi di battezzati hanno perduto il senso vivo della fede, o addirittura non si riconoscono più come membri della chiesa, conducendo un'esistenza lontana da Cristo e dal suo vangelo. In questo caso c'è bisogno di una "nuova evangelizzazione", o "rievangelizzazione”70.

Eppure l'Enciclica continua ancora a mantenere con una certa enfasi che il senso stretto della missio ad gentes va inteso come l'annuncio destinato a -"i popoli e i gruppi che ancora non credono in Cristo", "coloro che sono lontani da Cristo", tra i quali la chiesa "non ha ancora messo radici" e la cui cultura non è stata ancora influenzata dal Vangelo»71. Va senz'altro accolta la preoccupazione dell'Enciclica riguardo al fatto che l'assenza di un tale anelito conduce ad un appiattimento nella missione globale di tutto il popolo di Dio, ma rimane innegabile che la nozione di gentes oramai non si distingue passando tra i diversi confini delle nazioni, ma li attraversa tutti in modo trasversale. Pertanto ci si potrebbe chiedere se davvero «senza la missione ad gentes la stessa dimensione missionaria della chiesa sarebbe priva del suo significato fondamentale e della sua attuazione esemplare»72. Oppure se anche la "cura pastorale" e la "nuova evangelizzazione" entrino con lo stesso diritto della "missio ad gentes" nell'identificazione dell'unica missione della chiesa. Come si vede, il problema non è solo di termini, ma implica un'idea particolare di missione. Rimane comunque vero che, a partire dalla teologia trinitaria che si "incarna" nel mistero di Cristo, la missione può essere concepita nella sua dimensione di amore che scaturisce dal cuore della Trinità e che raggiunge tutti gli uomini, per ricondurli allo stesso amore fontale come destino beatifico ultimo. Abbiamo anche notato come ci sia una continuità tra la "dimensione teologale" della missione e il mandato che Cristo ha affidato alla chiesa, di annunciare questo vangelo dell'amore trinitario. Pertanto diventa ormai comprensibile che anche la missio ad gentes dovrà essere strutturata come exitus, perché, come da una grembo, trova la sua origine nell'amore trinitario; ma anche come reditus, perché rendendo l'umanità consapevole di questo amore trinitario, continuamente l'indirizza e la riconduce dentro tale grembo.

69 Un attento studio sul termine e sulla sua evoluzione storica dopo l'Enciclica è stato fatto da G. COLZANI, Missione. Bilancio di un concetto fondamentale dalla Redemptoris Missio ad oggi, "Euntes Docete" 60 (2002). 9-35.70JOANNES PAULUS Il, Redemptoris missio, 33. 71 Ibidem, 34.72 Ivi.

17

Page 18: C. Cap 2 Capire La Missione Nella Prospettiva Della Morale Zuccaro

Si evidenzia qui anche la struttura dell'annuncio della salvezza, che può essere compreso come l'amore della Trinità donato, accolto, testimoniato73. In questa "riconduzione" dell'umanità a Dio occorre avere presente la prospettiva escatologica, nel senso che l'opera non può essere inghiottita dentro il terreno dell'immanenza storica, ma deve aprirsi al "non ancora" del futuro che verrà74. Questo significa una impostazione dialettica del rapporto tra chiesa e Regno di Dio, superando ogni visione alternativa, ma anche ogni appiattimento e schiacciamento del Regno di Dio sulla nozione di chiesa75. Su questo tenta di fare chiarezza, a mio avviso, la Redemptoris missio, 12-20, che segna un obiettivo passo avanti nei confronti dell'Ad gentes, dove nella prima parte, "i principi dottrinali", subito dopo aver presentato il fondamento trinitario della missione, passa immediatamente a prolungare questa missione affidata alla chiesa. La struttura della Redemptoris missio è diversa, perché, condizionata dalla riflessione teologica attuale - che sottolinea il teocentrismo unitamente alla creazione - e, in risposta ad essa, insiste sulla unicità e sulla universalità della salvezza in Cristo76. Inoltre, in questo contesto, l'enciclica, prima di parlare della missione della chiesa, accentua ed enfatizza il discorso del Regno rispetto a quello della chiesa, come si può notare anche dal punto di vista redazionale e dell'importanza e lunghezza del discorso. Si tratta di prendere coscienza della necessità della missio ad gentes, ma anche del fatto che non deve trattarsi di una conquista o colonizzazione. Infatti non è la chiesa l'origine della missione, ma essa deve esserne lo strumento, il "sacramento". Torna a questo punto il ricordo puntuale e opportuno dello "stile kenotico" della missio Dei, di cui abbiamo precedentemente parlato e che la chiesa deve imitare, se vuole essere fedele al suo mandato. Naturalmente questo stile non può e non deve sacrificare i contenuti dell'annuncio, come se l'apertura al mondo dovesse significare il tradimento del messaggio, cioè - per riecheggiare le parole del l'Evangelii nuntiandi - del nome, dell'insegnamento, della vita, delle promesse, del Regno, del mistero di Gesù di Nazareth, Figlio di Dio. Sempre in questo dinamismo di umiltà e di apertura al mondo si pone l'atteggiamento di attenzione nei confronti dei germi evangelici già presenti nelle diverse culture. Si tratta di accoglierli non solo per integrarli nel Vangelo da annunciare, ma anche nel Vangelo che la chiesa possiede e che si arricchisce con questi nuovi aspetti. li magistero sottolinea a tal punto la realtà di questi semi del Vangelo come preparazione alla sua piena accoglienza, che non esita ad affermare che

proclamando il messaggio di Dio in Gesù Cristo, la chiesa evangelizzatrice deve ricordare sempre che il suo compito non è esercitato nel vuoto assoluto, poiché lo Spirito Santo, lo Spirito di Cristo, è presente e attivo tra roloro che odono la Buona Novella ancor prima che l'azione missionaria della chiesa sia operativa. Essi potrebbero in molti casi aver già implicitamente risposto all' offerta della salvezza in Gesù Cristo data da Dio: un segno di ciò è ]a pratica sincera delle proprie tradizioni religiose, nella misura in cui esse contengono autentici valori religiosi. Essi potrebbero essere già stati raggiunti dello Spirito e, in un certo qual modo, potrebbero essere stati associati in maniera sconosciuta al mistero pasquale di Gesù Cristo77.

73 Mi permetto il riferimento a C. ZUCCARo,"Santità", in Dizionario di Teologia, San Paolo, Cinisello Balsamo 2002, pp. 1461-1473. 74 Cf. C. ZUCCARO, Tempo, storia, speranza. In dialo go con J. Moltmann, in F. COMPAGNONI - S. PRIVITERA (edd.), /I futuro come responsabilità, San Paolo, Cinisello Balsamo 2002, pp. 248-273. 75 Non sfugge questa consapevolezza ad A. DULLES, Models of the Church, cit., pp. 95-113. 76 Cf. i contributi raccolti in G. COLZANI - P. GIGLIONI S. KAROTEMPREL (edd.), Cristologia e missione oggi, Urbaniana University Press, Roma 2001.77 PONTIFICIO CONSIGLIO PER IL DIALOGO INTERRELIGIOSO- CONGREGAZIONE PER L'EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI, Dialogo e annuncio: riflessioni ed orienta menti sul dialogo

18

Page 19: C. Cap 2 Capire La Missione Nella Prospettiva Della Morale Zuccaro

Nella stessa Istruzione Dialogo e annuncio si menziona anche la coscienza morale, come condizione che rende possibile l'accoglienza della salvezza di Cristo e la parte-cipazione al suo Regno cui la chiesa è ordinata. Così come il testo appare, e leggendolo in continuità con quello appena riportato, si evince la possibilità che i fedeli di altre confessioni religiose, nella loro coscienza, possano percepire la chiamata di Dio e rispondervi. Soprattutto si evince che «da pratica sincera delle proprie tradizioni religiose, nella misura in cui esse contengono autentici valori religiosi» può rappre-sentare il modo concreto con cui essi percepiscono la chiamata di Dio alla salvezza78. Possiamo notare che si tratta di una particolare modulazione del termine missione, che tendenzialmente riconosce e apprezza la verità presente dentro le tradizioni religiose non cristiane. Rimandando alla seconda parte del volume la discussione sulla possibilità che le religioni altre siano da considerarsi autentiche vie di salvezza, conviene, però, già da ora, porsi la domanda se anche gli autentici valori religiosi che esse custodiscono non possano entrare dentro l'annuncio missionario della chiesa. Nella misura in cui le ricchezze presenti nelle tradizioni religiose non cristiane sono frutto dell' opera dello Spirito di Dio, esse entrano dentro le mirabilia Dei che vanno proclamate al mondo intero. Sotto questo particolare punto di vista, allora, la missione, intesa inizialmente come missio ad gentes, potrebbe recuperare alcuni elementi delle religioni come elementi utili alla salvezza. In questo modo le gentes non sarebbero considerate più soltanto i destinatari della missione, ma, sotto certi punti di vista, potrebbero considerarsi anche come soggetti della missione. Esisterebbe, così, una sorta di equilibrio tra la missio ad gentes e la missio inter gentes.79 Attraverso un itinerario che parte dal tema dell'inculturazione, tema che sarà oggetto specifico di interesse nel rapporto tra morale e missione, penso dunque che si possa raggiungere un risultato analogo circa il superamento di un concetto di missione strettamente legato al criterio geografico. Infatti, l'inculturazione del Vangelo è un impegno che non si configura come un'iniziativa a senso unico, che va, cioè, dall'evangelizzatore, che ha una parte attiva, ai destinatari, che passivamente assumono dentro la loro cultura la fede annunciata.

3. Missione e annuncio

3.1 Evangelizzazione e morale

Nell'autocoscienza della Chiesa la missione evangelizzatrice trova il suo centro nell'annuncio del Cristo, ma un tale annuncio non mira semplicemente alla trasmissione di un grappolo di verità da imparare. Esso, piuttosto, propone agli ascoltatori l'invito ad accogliere l'esperienza dell'incontro personale con Cristo, ad aderire con la propria vita alla persona di lui e al senso profondo che tale adesione personale comporta. Pertanto,

interreligioso e sull'annuncio del vangelo di Gesù Cristo, 68.78 «Alla Chiesa, come sacramento nel quale il Regno di Dio è presente "nel mistero", fanno riferimento o si orientano ("ordinantur") i membri delle altre tradizioni religiose, i quali, dal momento che rispondono alla chiamata di Dio così come essa viene percepita dalla loro coscienza, sono salvati in Gesù Cristo [...]. Una parte del suo ruolo consiste nel riconoscere che la realtà embrio naie del Regno si può trovare anche al di fuori dei confini di se stessa, ad esempio nei cuori dei seguaci delle altre tradizioni religiose» Ubidem, 35). 79 Cf. W.R. BURROWS, Creating Space to Rethink the Mission of Christian. The Contribution of Jacques Dupuis, in D. KENDALL - G. O'COLLINS (edd.), In Many and Diverse Ways, Orbis Books, Maryknoll-New York 2004, pp. 211-221.

19

Page 20: C. Cap 2 Capire La Missione Nella Prospettiva Della Morale Zuccaro

una tale adesione, proprio in virtù del suo carattere esistenziale, non può lasciare indifferente il vissuto del fedele. Questi è interpellato a verificare la propria condotta alla luce dei criteri di fondo che scaturiscono dal Vangelo di Gesù. Abbiamo già visto nel capitolo precedente che non bisogna vedere la verifica come la sovrapposizione di una griglia di lettura evangelica ai diversi ambiti della vita del fedele per lasciame emergere errori o conferme. In verità, la sequela e l'imitazione di Gesù non si lasciano ridurre ad una copia, peraltro impossibile, delle sue azioni, ma implicano comunque una personale interpretazione della sua intenzionalità riguardo al vivere.. Sulla base di quanto andiamo dicendo, si capisce come nella prassi missionaria sia l'annuncio che l'accoglienza comportino una dimensione morale, che non si appiccica ad essi dall'esterno, ma che entra dentro la loro stessa costituzione. Questo significa che eliminando la dimensione etica si vanifica e si tradisce la natura stessa dell'annuncio e dell'accoglienza, dentro cui quella esigenza è scritta. Pertanto è chiaro che la missione evangelizzatrice comporta anche l'esigenza della conversione morale allo spirito del Vangelo e al suo orientamento. Tra le conferme autorevoli del Magistero vorrei fare cenno all'enciclica Verilatis splendor, a motivo della sua indole specificamente morale, e alla Redemptoris missio, a motivo della sua specifica indole missionaria. Così risulta meglio evidente la compenetrazione di orizzonti, in quanto partendo da una prospettiva morale si proietta il discorso in chiave missionaria e, viceversa, partendo da una prospettiva missionaria si giunge a prolungare il discorso in chiave morale. Intanto, la missione della chiesa, mater et magistra, non può essere vista come oppressiva soltanto perché comporta la responsabilità, secondo Veritatis splendor, di testimoniare la verità morale. Al contrario, sarebbe tradire il servizio alla persona e negarle un atteggiamento di compassione se le si nascondesse la verità, oppure la si indebolisse nella sua pretesa di assolutezza. L'Enciclica è esplicita nell'affermare che

«in realtà, la maternità della Chiesa non può mai essere separata dalla sua missione di insegnamento, che essa deve compiere sempre come Sposa fedele di Cristo, la Verità in persona: "Come Maestra, essa non si stanca di proclamare la norma morale ... Di tale norma la Chiesa non è affatto né l'autrice né l'arbitra. In obbedienza alla verità, che è Cristo, la cui immagine si riflette nella natura e nella dignità della persona umana, la Chiesa interpreta la norma morale e la propone a tutti gli uomini di buona volontà, senza nascoderne le esigenze di radicalità e di perfezione»80. Dunque l'insegnamento entra nella missione della chiesa e l'obbedienza a Cristo, Verità in persona, si esprime anche attraverso l'affermazione delle norme morali e delle loro inderogabili esigenze. Questa intransigenza va coniugata insieme all'attenzione nei confronti della situazione delle persone, ricordando sempre, come scriveva Paolo Vl, che «non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo è eminente forma di carità verso le anime». Il contesto più significativo, tuttavia, in cui emerge il legame tra morale e missione si trova nella descrizione che l'enciclica fa della "nuova evangelizzazione". L'evan-gelizzazione non è tanto esigita dall'attuale congiuntura storica di un cristianesimo che non informa più in modo massiccio la società e la cultura contemporanee. Essa, invece, si fonda sul «mandato di Gesù Cristo risorto, che definisce la ragione stessa dell'esistenza della Chiesa: "Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura"»81. Inoltre, la scristianizzazione, che è all'opera in molti paesi, comporta anche la caduta e la perdita del senso morale; anche questa è una testimonianza che esiste una

80 JOANNES PAULUS Il, Veritatis splendor, 95.81 Ibidem, 106.

20

Page 21: C. Cap 2 Capire La Missione Nella Prospettiva Della Morale Zuccaro

dimensione morale talmente legata alla fede cristiana, che tendenzialmente scompare e si dissolve con l'eclissi di quest'ultima82. Per questo si richiede un "nuova evangelizzazione", nuova nel suo ardore, nei suoi metodi e nella sua espressione, tale che possa annunciare la fede in Gesù e le esigenze morali che essa comporta. Infatti

«L'evangelizzazione -e pertanto la "nuova evangelizzazione"- comporta anche l'annuncio e la proposta morale. Gesù stesso, proprio predicando il Regno di Dio e il suo amore salvifico, ha rivolto l'appello alla fede e alla conversione (cf. Mc 1,15). E Pietro, con gli altri Apostoli, annunciando la risurrezione di Gesù di Nazareth dai morti, propone una vita nuova da vivere, una ''via'' da seguire per essere discepoli del Risorto (cf. At 2,37-41; 3,17-20). Come e ancor più che per le verità di fede, la nuova evangelizzazione che propone i fondamenti e i contenuti della morale cristiana manifesta la sua autenticità, e nello stesso tempo sprigiona tutta la sua forza missionaria, quando si compie attraverso il dono non solo della parola annunciata, ma anche di quella vissuta»83.

Da quanto è emerso, mi pare che si riesca a cogliere con sufficiente chiarezza la testimonianza del legame che esiste tra la missione evangelizzatrice della chiesa e la dimensione morale che essa comporta inscindibilmente. Il fatto che il testo non sviluppi il modo con cui tale relazione debba concretamente avvenire non in debolisce l'affermazione di fondo. L'itinerario dell'enciclica si articola prendendo avvio dalla missione della chiesa di custodire, testimoniare e annunciare la verità, e mostra come tale annuncio non sia possibile senza includere le esigenze morali espresse nella norma. La Redemptoris missio, pur avendo un oggetto formale diverso dalla precedente enciclica, ne condivide tuttavia il punto di partenza: è sempre la missione che Cristo affida alla chiesa che esige l'annuncio di una salvezza integrale. Pertanto, se la «tentazione oggi è di ridurre il cristianesimo a una sapienza meramente umana, quasi scienza del buon vivere84, tuttavia non bisogna dimenticare «la radicale novità di vita, portata da Cristo e vissuta dai suoi discepoli. Questa nuova vita è dono di Dio, e all'uomo è richiesto di accoglierlo e di svilupparlo, se vuole realizzarsi secondo la sua vocazione integrale in conformità a Cristo»85. Nella prospettiva dell'enciclica, la proposta e l'accoglienza della vita nuova donata da Dio non può essere frutto di costrizione, perché la fede esige la libera adesione dell'uomo. Da qui la necessità dell'annuncio perché «la fede nasce dall'annunzio, e ogni comunità ecclesiale trae origine e vita dalla risposta personale di ciascun fedele a tale annunzio»86. La categoria morale attraverso la quale il fedele esprime la vita nuova donata da Dio è quella della conversione, come esplicitamente scrive l'enciclica:

L'annunzio della parola di Dio mira alla conversione cristiana, cioè all'adesione piena e sincera a Cristo e al suo vangelo mediante la fede. [ ... ] La conversione si esprime fin dall'inizio con una fede totale e radicale, che non pone né limiti né remore al dono di Dio. Al tempo stesso, però,

82 «La scristianizzazione, che pesa su interi popoli e comunità un tempo già ricchi di fede e di vita cristiana, comporta non solo la perdita della fede o comunque la sua insignificanza per la vita, ma anche, e necessariamente, un declino o un oscuramento del senso morale: e questo sia per il dissolversi della consapevolezza dell'originalità della morale evangelica, sia per l'eclissi degli stessi principi e valori etici fondamentali» (ivi). 83 Ibidem, 107; i corsivi sono miei.84 JOANNES PAULUS Il, Redemptoris missio, Il.85 lbidem, 7.86 «l'annunzio ha la priorità permanente nella missione: la chiesa non può sottrarsi al mandato esplicito di Cristo, non può privare gli uomini della "buona novella" che sono amati e salvati da Dio. [...] Nella realtà complessa della mis sione il primo annunzio ha un ruolo centrale e insostituibile, perché introduce "nel mistero dell'amore di Dio, che chiama a stringere in Cristo una personale relazione con lui" e apre la via alla conversione» (ibidem, 44).

21

Page 22: C. Cap 2 Capire La Missione Nella Prospettiva Della Morale Zuccaro

essa determina un processo dinamico e permanente che dura per tutta resistenza, esigendo un passaggio continuo dalla "vita secondo Jà. carne" alla "vita secondo lo Spirito"87.

n contesto nel quale Redemptoris missio parla della conversione è piuttosto sa-cramentale, in quanto essa è legata all'evento del battesimo, ma ciò non toglie che il dinamismo della conversione alla vita nuova si caratterizza in termini di decisione etica, come verrà messo in evidenza in modo esplicito nei capitoli successivi. Per ora basti fermare l'attenzione sul fatto che la missione, nella descrizione della sua natura e nella prassi che la realizza, mantiene un legame necessario con la dimensione morale. L'annuncio e l'accoglienza del dono di Cristo, dunque, non possono prescindere da un itinerario che coinvolge il cambiamento di vita e conduce ad adeguare le scelte del fedele all'intenzionalità cristiana, per vivere non più "secondo la carne", ma "secondo lo Spirito". Derivano da qui almeno due errori particolari nel concepire e nel realizzare la missione. Il primo consiste nel pensare che l'annuncio e l'accoglienza di Cristo possano prescindere dalla dimensione etica. Pertanto, si sarebbe portati a credere, e di conseguenza ad agire, come se l'unico aspetto importante fosse la ricezione della fede, disinteressandosi della necessità che essa diventi una forza che trasforma la vita vissuta. Il secondo rischio è opposto e consiste nell'appiattimento dell'annuncio sul piano del comportamento morale, che viene così privato della sua intenzionalità specifica cristiana. Come sappiamo dallo studio del precedente capitolo, non è possibile privare la morale cristiana di ciò che la caratterizza e che consiste nel fatto che essa deriva la sua isp~one e il su~ criterio fondamentale dall'intenzionalità che ha animato la vita di Cristo. Per chi annuncia il Vangelo e per chi lo accoglie non può esistere un Cristo senza etica, né un'etica senza Cristo.

3.2 Evangelizzazlone e testimonianza

La missione non è concepibile senza l'annuncio di Cristo come salvatore universale e unico; come abbiamo visto, proprio questo annuncio appartiene alla natura della stessa missione. Questa verità, che è relativamente facile da comprendersi, diventa comunque più impegnativa nella prassi missionaria, quando si cerca di farne capire concretamente il significato per la vita della persona. Occorre infatti considerare che già da tempo è emersa la coscienza della riappropriazione della storia e delle tradizioni da parte dei paesi una volta teatro della missione e della conquista dell'Occidente cristiano. Con la fine dell'eurocentrismo, inoltre, si è fatto sempre più acuto quello che Collet chiama "il fardello della storia", vale a dire l'eredità di un'azione missionaria più volte compromessa con la colonizzazione e gli aspetti negativi da questa prodotti. Per questi motivi, lo stesso termine missione e l'annuncio, che ne è la modulazione fondamentale, generano già sospetto e riesumano il vecchio fantasma della colonizzazione88. Si tratta di un'eredità storica che va accettata e dalla quale ci si deve affrancare senza, per questo, rinunciare all' euntes docete del Signore risorto. Parte da qui la prospettiva di una riflessione nuova sulla natura e sulla prassi del la missione. Nell'autocoscienza di alcuni cristiani, infatti, si approfondisce il tema della testimonianza, come ispiratore e criterio fondamentale della missione89. In effetti, anche

87 Ibidem, 46.88 Cf. G. COLLET, " .. .fino agli estremi confini della terra". Questioni fondamentali della missione, Queriniana, Brescia 2004, pp. 260-267.89 Cf. J.-A. BARREDA, La domanda su Cristo: implicanze cristologiche della testimonianza cristiana, "Euntes Docete" 55 (2002), 59-80.

22

Page 23: C. Cap 2 Capire La Missione Nella Prospettiva Della Morale Zuccaro

nell'autocoscienza del magistero della chiesa, il tema della testimonianza nell'ambito della riflessione sulla missione è abbondantemente presente ed è considerato costitutivamente necessario e non solo storicamente attuale per le ragioni appena menzionate90. Esiste una dimensione insostituibile della testimonianza soprattutto in riferimento alla profezia del Vangelo, cioè all'annuncio di una verità. che riguarda la vita della persona in relazione alla comunità. La testimonianza, infatti, tende a tradurre nella pratica e a storicizzare le indicazioni d i una profezia. Pertanto esiste una connessione stretta tra le due realtà: ciò che la profezia indica è la testimonianza a realizzarlo, e la testimonianza, a sua volta, rilancia la profezia che l'ha ispirata e la rende credibile. Per questo esiste una sorta di circolarità tra il profeta che ispira il testimone e il testimone che autentica il profeta. Questa dialettica lascia emergere il fatto che, in fondo, testimonianza e profezia sono concretamente unificate nell'azione missionaria della chiesa. La testimonianza, inoltre, avrebbe il vantaggio di significare in modo più comprensibile la dimensione pratica dell'annuncio evangelico, in quanto diventa forza attiva di trasformazione politica. Questo non va, ovviamente, inteso come uno scendere in campo della chiesa che quasi sacralizza una determinata corrente politica contro un'altra. Non va, però, nemmeno inteso come un atteggiamento di neutralità che si dichiara praticamente tollerante e indifferente nei confronti di quelle strutture di peccato che mortificano la dignità della persona e che sono comunque sostenute da responsabilità personali91. In effetti, si chiede Collet, «non fu forse l'astinenza politica o una presunta "neutralità" a trasformare la chiesa in complice di tutte le potenze che andavano contro la sua missione?»92. Compresa in questa prospettiva, la testimonianza va oltre il valore spirituale legato alla singola persona, o meglio, mostra come l'autenticità di quel valore trovi nella realizzazione politica, attraverso le diverse forme concretamente possibili, una sua conferma. Vorrei infine attirare l'attenzione su un'altra possibile apertura del discorso della testimonianza in relazione alla missione. In genere, e non senza ragione, la te-90 «Ed essa [la Buona Novella] deve essere anzitutto proclamata mediante la testimonianza [...] per la Chiesa, la testimonianza di una vita autenticamente cristiana, abbandonata in Dio in una comunione che nulla deve interrompere, ma ugualmente donata al prossimo con uno zelo senza limiti, è il primo mezzo di evangelizzazione» (PAULUS VI, Evangelii nuntiandi, 21 e 41). «La testimonianza della vita cristiana è la prima e insostituibile forma della missione» (JOANNES PAULUS Il, Redemptoris missio, 42). L'esortazione apostolica Ecclesia in Africa, dopo aver citato esplicitamente, al n. 21, l'Evangelii nuntiandi nel passo sopra menzionato, scrive: «Una vera testimonianza da parte dei credenti è oggi essenziale in Africa per proclamare in maniera autentica la fede. In particolare, è necessario che essi offrano la testimonianza di un sincero amore reciproco» (JOANNES PAULUS Il, Ecclesia in Africa, 77). L'e-sortazione Ecclesia in Asia, dopo aver mostrato consapevolezza che <<la Chiesa sa che la silenziosa testimonianza di vita a tutt'oggi rimane l'unico modo di proclamare il Regno di Dio in motti luoghi in Asia, dove la proclamazione esplicita è proibita e la libertà religiosa negata o sistematicamente ridotta», ricollegandosi alla Redemptoris missio, scrive che <<In ogni caso, è chiaro che non vi può essere vero annuncio del Vangelo, se i cristiani non offrono in pari tempo la testimonianza di una vita che si accordi al messaggio che predicano» (JOANNES PAULUS Il, Ecclesia in Asia, 23 e 42). Cf. anche JOANNES PAUlUS Il, Ecclesia in Oceania, 22 novembris 2001, 19, e ID., Ecclesia in Europa, 28 iunii 2003, 49. 91 Non si nasconde all'orizzonte la figura delle varie "teologie della liberazione", su cui a più ri prese e con diversi accenti ha richiamato l'attenzione la CONGREGATIO PRO DOCTRINA FIDEI, Libertatis nuntius, 6 augusti 1984, e ID., Libertatis conscientiae, 22 mars 1986. Tra gli autori cf. G. GUTIÉRREZ, TeologIa de la liberacion: perspectivas, Sigueme, Salamanca 19778 (I edizione nel 1971); L. BOFF, Iglesias, carisma y poder, Sal Terrae, Santander 1985; J. ELLACURIA, Conversion de la Iglesia al reino de Dios: para anunciarlo y realizarlo en la historia, UCA, San Salvador 1985; J. SOBRINO, Jesucristo liberador: lectura historico-teologica de Jesus de Nazaret, Trotta, Madrid 1991; R. ALVARADO - J. ELLACURIA- J. SOBRI NO (edd.), "a quella libertad esclarecida", Sal Terrae, Santander 1999. 92 G. COLLET, " ... fino agli estremi confini della terra", cit., p. 268.

23

Page 24: C. Cap 2 Capire La Missione Nella Prospettiva Della Morale Zuccaro

stimonianza è una categoria che viene invocata nell'ambito della relazione della comunità cristiana nei confronti dei destinatari dell'annuncio. Esiste, però, un altro modo di intenderla, che aiuta anche ad acquisire una nuova autocoscienza della missione: si tratta di un'accezione intraecclesiale. Per capirla è utile richiamare la storia della missione, e precisamente l'attitudine del cristianesimo occidentale ad offrire alle giovani chiese impiantate nei "paesi di missione" la propria testimonianza come normativa anche per la vita di quelle chiese. In questo senso esisteva una sorta di "testimonianza asimmetrica" che, cioè, poneva le chiese di giovane tradizione come destinatarie dell'azione delle chiese europee. Si va oggi prendendo sempre più coscienza della necessità da parte delle chiese dell'Occidente cristiano di ricevere la testimonianza delle nuove chiese come necessaria per rivitalizzare un tessuto non di rado invecchiato e stanco. Così si evidenzia meglio la reciprocità della testimonianza all'interno dell'unica chiesa, consapevoli del ruolo propositivo e attivo che le chiese giovani svolgono accanto a quelle di antica tradizione. Si tratta ora di richiamare soltanto il filo della riflessione e rilanciare il prossimo capitolo. Siamo partiti dall'osservazione delle ecclesiologie presenti nel Vaticano II per metterne in risalto il carattere dinamico, aperto e incarnato. Abbiamo sottolineato che questo dinamismo trova nella cristologia, letta all'interno della teologia trinitaria, il suo collocamento originale e naturale. A guidare una tale scelta è stata una consapevolezza di fondo: il legame indistruttibile e reciprocamente condizionantesi tra l'ecclesiologia e la teologia della missione. Da qui deriva una comprensione della missione che, prima ancora di configurarsi come missio ad gentes affidata alla chiesa, si caratterizza in termini "teologali", cioè come la missio ne della Trinità. Il Padre, invia Gesù e lo Spirito Santo per rendere visibile e operante il suo amore per tutti gli uomini e insieme fa partecipe la chiesa di questa missione. Ad essa, infatti, è affidato il mandato di testimoniare in modo efficace l'amore trinitario all'umanità che accompagna nel cammino di ritorno verso la sua stessa fonte. Questo amore, che ha spinto Cristo ad incrociare i passi dell'uomo e a toccare la sua carne malata, è lo stesso amore che deve spingere la chiesa ad incontrare l'uomo. Non l'uomo in genere, ma l'uomo di ogni tempo dentro il proprio tempo, l'uomo di ogni spazio dentro il proprio spazio. La missio ad gentes incrocia così la missio inter gentes e la dimensione missionaria si apre alla realtà dell'inculturazione, che, come ricordiamo, anche la riflessione sulla morale era stata costretta a prendere in esame, proprio in forza della natura del suo statuto episte-mologico.

24