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95 C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA 1 - La Rivoluzione francese 2 L’Ottocento. Le ideologie politiche e laffermazione dello stato liberale 1 - LA RIVOLUZIONE FRANCESE 0 - LA RIVOLUZIONE FRANCESE E IL RINNOVAMENTO DELLA VITA POLITICA 0.1 Il Settecento come spartiacque tra ancien régime e società contemporanea 1 - LA CRISI SOCIO-ECONOMICA E POLITICA DELLO STATO FRANCESE 1.1 La situazione economica: l’arretratezza nei confronti dell’Inghilterra 1.2 La situazione sociale: Primo, Secondo e Terzo Stato 1.2.1 Clero, nobiltà, borghesia e contadini 1.2.2 Il terzo stato 1.3 La situazione politica: la crisi finanziaria dello stato assoluto 1.3.1 I tentativi di riforma fiscale e le finanze pubbliche 1.3.2 Il dibattito sul deficit pubblico 2 - LA CONVOCAZIONE DEGLI STATI GENERALI E IL DIBATTITO POLITICO 2.1 Modalità di voto e numero di rappresentanti 2.2 Il ruolo del terzo stato 2.3 Le elezioni degli Stati generali 2.4 Gli obiettivi delle forze sociali 2.5 Le fasi della rivoluzione 3 - 1789-91: L’EGEMONIA BORGHESE E LO STATO COSTITUZIONALE 3.1 Il superamento dello stato assoluto e della società "ancien régime" 3.1.1 La trasformazione degli Stati generali in Assemblea costituente 3.1.2 La partecipazione della borghesia e delle masse popolari 3.1.3 L’abolizione del regime feudale 3.1.4 La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino 3.1.5 Il trasferimento del re a Parigi 3.1.6 La requisizione dei beni ecclesiastici e gli assegnati 3.2 L'egemonia borghese: la monarchia costituzionale 3.2.1 Le tre rivoluzioni e i loro protagonisti 3.2.2 Il dibattito politico nell’Assemblea costituente 3.2.3 La costruzione della monarchia costituzionale 3.2.4 Fuga e cattura del re A - Borghesia: dibattiti + ___________ utilizzare __________ nello scontro con il re organizza la Guardia_______ per: 1 ___________________________ 2 ___________________________ L’unico dei 3 gruppi sociali (vedi 3.2.1) ___________ ___________________________________________ B - _____________ Sommosse popolari contro _____________ Borghesi + masse popolari --> La presa della Bastiglia C Contadini Sommosse causa _____________________ La rivolta nelle campagne

C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

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Page 1: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

95

C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

1 - La Rivoluzione francese

2 – L’Ottocento. Le ideologie politiche e l’affermazione dello stato liberale

1 - LA RIVOLUZIONE FRANCESE

0 - LA RIVOLUZIONE FRANCESE E IL RINNOVAMENTO DELLA VITA POLITICA

0.1 Il Settecento come spartiacque tra ancien régime e società contemporanea

1 - LA CRISI SOCIO-ECONOMICA E POLITICA DELLO STATO FRANCESE

1.1 La situazione economica: l’arretratezza nei confronti dell’Inghilterra

1.2 La situazione sociale: Primo, Secondo e Terzo Stato

1.2.1 Clero, nobiltà, borghesia e contadini

1.2.2 Il terzo stato

1.3 La situazione politica: la crisi finanziaria dello stato assoluto

1.3.1 I tentativi di riforma fiscale e le finanze pubbliche

1.3.2 Il dibattito sul deficit pubblico

2 - LA CONVOCAZIONE DEGLI STATI GENERALI E IL DIBATTITO POLITICO

2.1 Modalità di voto e numero di rappresentanti

2.2 Il ruolo del terzo stato

2.3 Le elezioni degli Stati generali

2.4 Gli obiettivi delle forze sociali

2.5 Le fasi della rivoluzione

3 - 1789-91: L’EGEMONIA BORGHESE E LO STATO COSTITUZIONALE

3.1 Il superamento dello stato assoluto e della società "ancien régime"

3.1.1 La trasformazione degli Stati generali in Assemblea costituente

3.1.2 La partecipazione della borghesia e delle masse popolari

3.1.3 L’abolizione del regime feudale

3.1.4 La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino

3.1.5 Il trasferimento del re a Parigi

3.1.6 La requisizione dei beni ecclesiastici e gli assegnati

3.2 L'egemonia borghese: la monarchia costituzionale

3.2.1 Le tre rivoluzioni e i loro protagonisti

3.2.2 Il dibattito politico nell’Assemblea costituente

3.2.3 La costruzione della monarchia costituzionale

3.2.4 Fuga e cattura del re

A - Borghesia: dibattiti + ___________

utilizzare __________ nello scontro con il re

organizza la Guardia_______ per: 1 ___________________________

2 ___________________________

L’unico dei 3 gruppi sociali (vedi 3.2.1) ___________ ___________________________________________

B - _____________

Sommosse popolari contro _____________

Borghesi + masse popolari --> La presa della Bastiglia

C – Contadini

Sommosse causa _____________________

La rivolta nelle campagne

Page 2: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

96

4 - 1791-94: L’EGEMONIA DELLE MASSE POPOLARI E LO STATO GIACOBINO

4.1 La radicalizzazione della situazione

4.1.1 Il dibattito sulla fuga del re

4.1.2 La nuova assemblea legislativa

4.1.3 La guerra

4.1.4 La rivoluzione dei sanculotti

4.2 Il superamento della monarchia costituzionale

4.2.1 Le decisioni di politica economica

4.2.2 L’elezione della Convenzione nazionale

4.2.3 La proclamazione della repubblica e la condanna del re

4.2.4 La rivoluzione esportata

4.2.5 La guerra civile: la rivolta dei contadini

4.3 Il contrasto tra girondini e giacobini

4.3.1 Le richieste dei sanculotti

4.3.2 Il “maximun” del grano

4.3.3 Democrazia diretta e democrazia indiretta

4.3.4 La polemica tra giacobini e girondini

4.4 La dittatura giacobina

4.4.1 L’epurazione dei girondini

4.4.2 La costituzione del 1793

4.4.3 Il governo dei giacobini

4.4.4 Il terrore

4.4.5 L’eliminazione degli hèbertisti e degli indulgenti

4.4.6 Il Grande terrore e il colpo di stato del 9 Termidoro

5 - 1794-99: IL RITORNO DELL’EGEMONIA BORGHESE E LA STABILIZZAZIONE POLITICA

5.1 Lo smantellamento dello stato giacobino

5.1.1 La ricerca della stabilità politica

5.1.2 Il governo termidoriano

5.1.3 La Costituzione del 1795 e le nuove istituzioni

5.2 Il governo del Direttorio e la ricerca della stabilità politica

5.2.1 La sopravvivenza del ceto politico rivoluzionario

5.2.2 La congiura degli eguali

5.2.3 La guerra e il ruolo politico dei generali

5.2.4 Il ritorno dei monarchici e il primo colpo di stato

5.2.5 Il ritorno dei giacobini e il secondo colpo di stato

5.2.6 Il terzo colpo di stato: la presa del potere di Napoleone

Bonaparte e la nuova costituzione

6 - 1799-1813: IL REGIME NAPOLEONICO

6.1 Le basi sociali dello stato napoleonico

6.2 Lo stato napoleonico

6.3 Le guerre e l’Europa napoleonica

Organo di governo: ______________________

Leader:________________________ A - Politica economico-sociale:

1- ______________________________________

2 - ______________________________________ 3- pene per speculatori e accaparratori di grano

4 - ______________________________________

B - L’utopia sociale: a - ____________________ + lotta al lusso

limiti alla proprietà privata + ________________

società ideale = piccola ____________________ b – sostituire i vecchi _______________( vedi

nuovo ___________________)

C – Il terrore

- Obiettivi:

1 - ____________________________________________ 2 – reintrodurre libertà di culto

3 – abolire controllo prezzi 4 -_____________________________________________

- Politica antigiacobina:

abolizione provvedimenti giacobini (vedi 1,2,3) chiusura sedi ___________ + ________________ + ritorno

vita lussuosa

- La repressione delle _________: repressione con l’uso dell’ _______________ delle

manifestazione ______________________________ - Costituzione 17___: smantellamento stato ___________ e

creazione stato _________________

Page 3: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

97

1 - LA RIVOLUZIONE FRANCESE

0 - La rivoluzione francese e il rinnovamento della vita politica

1 - La crisi socio-economica e politica dello stato francese

2 - La convocazione degli stati generali e il dibattito politico

3 - 1789-91: l’egemonia borghese e lo stato costituzionale

4 - 1791-94: l’egemonia delle masse popolari e lo stato giacobino

5 - 1794-99: il ritorno dell’egemonia borghese e la stabilizzazione politica

6 - 1799-1813: il regime napoleonico

0 - LA RIVOLUZIONE FRANCESE E IL RINNOVAMENTO DELLA VITA

POLITICA

0.1 Il Settecento come spartiacque tra ancien régime e società contemporanea

La Rivoluzione Francese è considerata uno di quegli avvenimenti che hanno

fatto del XVIII sec. una sorta di spartiacque fra la società dell’Ancien Regime e

quella contemporanea. Il suo significato storico equivale, sul piano politico, al

significato che hanno avuto l’Illuminismo sul piano culturale e la rivoluzione

industriale sul piano economico e sociale, costituendo il momento più

caratteristico del processo di affermazione dello stato parlamentare

costituzionale nato in Inghilterra.

La Rivoluzione Francese ha profondamente modificato il modello di vita

politico caratteristico dell’Ancien Régime. Prima, la vita politica coincideva con

la vita di corte, a cui partecipava un ristretto numero di famiglie, omogeneo dal

punto di vista economico sociale perciò con obbiettivi simili, comunque volti a

difendere i propri privilegi. La vita politica era perciò caratterizzata dallo

scontro fra fazioni rivali, costituite da alleanze famigliari, per il controllo dei

posti di potere, prendendo spesso, durante il Cinquecento e il Seicento, la forma

dei complotti e degli assassini fra gruppi rivali. Tra la fine del Seicento e

l’inizio del Settecento lo scontro perse le caratteristiche dello scontro fisico

assumendo quelle delle dinamiche psico-sociali, poiché la vita politica

coincideva con la vita di corte.

Durante la rivoluzione francese si imposero o comunque apparvero alcune delle

modalità della vita politica destinate a caratterizzare l’Ottocento e il Novecento

quali: l’allargamento della partecipazione alla vita politica, rendendo parte

attiva la borghesia e le masse popolari parigine, che diventeranno i principali

soggetti della vita politica dell’800 e del ‘900; si modificò il modello della lotta

politica, che divenne uno scontro fra gruppi sociali che hanno un diverso

progetto di società, consono ai propri interessi. Il problema principale divenne

quello di conquistarsi l’appoggio dei gruppi sociali di riferimento; infine, il

luogo privilegiato della lotta politica si spostò dalla corte al parlamento e si

impose il ruolo dell’informazione nella formazione dell’opinione pubblica

borghese, destinata, insieme alla piazza, dove si manifestava invece l’opinione

popolare, a condizionare il comportamento dei politici.

La rilevanza della Rivoluzione francese è, tra il resto, motivata dal fatto che, a

differenza della rivoluzione americana, essa comportò l’effettivo abbattimento

di un regime politico-istituzionale. Inoltre, a differenza delle rivoluzioni inglesi

del Seicento, vide un livello di scontro sociale e politico effettivamente più

elevato, in quanto la società francese risultava più rigida e chiusa, nonché ebbe

LA RIVOLUZIONE FRANCESE E IL

RINNOVAMENTO DELLA VITA

POLITICA

Il Settecento come

__________________________________

___________________________________

Rivoluzione francese, rivoluzioni

_________________e_________________

Page 4: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

98

delle conseguenze molto più vaste e dirette sul resto dell’Europa, in quanto

sull’onda della rivoluzione francese in molti stati europei si registrarono

fermenti rivoluzionari.

1 - LA CRISI SOCIO-ECONOMICA E POLITICA DELLO STATO

FRANCESE

1.1 La situazione economica: l’arretratezza nei confronti dell’Inghilterra

1.2 La situazione sociale: Primo, Secondo e Terzo Stato

1.3 La situazione politica: la crisi finanziaria dello stato assoluto

1.1 La situazione economica: l’arretratezza nei confronti dell’Inghilterra

Mentre le due rivoluzioni inglesi furono determinate dal progetto della monarchia

inglese di dar vita a uno stato assoluto, la Rivoluzione francese è stata causata dal

fallimento dello stato assoluto indissolubilmente legato alla crisi della società che

esso governava, resa evidente dalle condizioni economico-sociale e dalla

situazione politica della Francia nella seconda metà del Settecento.

La caratteristica più evidente della situazione economica francese era

sicuramente costituita dalla prevalenza di una forte disomogeneità: accanto a

una Francia ricca e in rapido sviluppo esisteva una Francia arcaica e stagnante.

Il vero ritardo della Francia stava precisamente nel fatto che le forze più

dinamiche dell’economia stentavano a penetrare nelle zone geografiche ed

economiche più profondamente frenate dal peso delle tradizioni e dalla

presenza di strutture sociali che per molti aspetti potevano dirsi feudali.

Un confronto con la situazione inglese dimostra come la Francia fosse ancora

in grado di competere con lo sviluppo inglese nei tradizionali settori del

LA CRISI _________________ E

_________________ DELLO STATO

FRANCESE

FALLIMENTO _______________________+

CRISI_____________________________ =

_________________________________

LA SITUAZIONE ECONOMICA

_________________________________

Confronto con l’Inghilterra

a)_________________________________

_________________________________

LA VITA POLITICA PRIME E DOPO _________________________________________

Prima della rivoluzione

Luogo: _______________________

___________________: __________________________________________ Omogeneità _______________________________

___________________: __________________________________________

Processo di disciplinamento: da ________________________ a ______________________

Dopo la rivoluzione

_______________: allargamento della partecipazione: _______________________ + ______________________

disomogeneità _______________________________________________(ideologie politiche)

____________________:___________________________________________________________

priorità:_______________________________________________________

___ ____________: a ______________________________

b-________________________(____________)

c - ________________(______________________________)

Page 5: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

99

commercio internazionale (prodotti coloniali) e della produzione

manifatturiera (la seta esportata dalla Francia poteva competere con le

esportazioni inglesi di tessuti di lana).

Cominciavano, invece, a farsi assai più marcato il ritardo francese per quanto

riguarda l’industria cotoniera e la meccanizzazione che in Inghilterra stavano

dando l’avvio alla prima Rivoluzione industriale. Le macchine per filare erano

giunte in Francia solo pochi anni dopo la loro adozione oltre Manica, ma nel

1789 il numero dei fusi meccanici esistenti in Francia corrispondeva

solamente a un terzo di quelli inglesi e il distacco sembrava destinato ad

allargarsi.

Ricordiamo in ultimo lo sviluppo delle città: l’importanza industriale, e più

ancora commerciale e finanziaria, di Londra era incomparabilmente superiore a

quella di Parigi. La Francia, però, oltre a Lione, vantava un grande numero di

città portuali legate al commercio internazionale (soprattutto Bordeaux,

Nantes e Marsiglia), con un traffico pari o superiore a quello dei porti inglesi

di Liverpool o Bristol.

La nuova agricoltura e la politica della libertà di commercio come elementi di

sviluppo erano state teorizzate in Francia dalla fisiocrazia1 non meno di

quanto facevano nello stesso periodo in Inghilterra gli scrittori di agronomia e

di economia; ma in pratica la Francia era assai più indietro della sua diretta rivale.

La piccola conduzione familiare, con la sua scarsa produttività e la prevalenza

dell’autoconsumo sulla produzione per il mercato, era qui ancora la regola. I mag-

gesi improduttivi occupavano ancora la metà dell’arativo al sud e un terzo al nord,

dove vigeva prevalentemente il sistema dei campi aperti e dell’economia

comunitaria dei villaggi. Il tentativo di procedere alle recinzioni e di modernizzare

le forme di proprietà stava ottenendo risultati di scarso rilievo e perciò il peso

del passato era ovunque evidente: attrezzi poco efficienti, limitata diffusione delle

colture foraggiere - e quindi debole integrazione fra allevamento e cerealicoltura -,

scarsità di concimi, basso rendimento delle sementi. E ancora: i redditi dei contadini

continuavano a restare relativamente bassi e la loro partecipazione al mercato, sia

come offerta di prodotti agricoli sia come domanda di beni manifatturieri, era perciò

debole e precaria.

A ciò bisogna aggiungere l’andamento dello sviluppo demografico; esso fu più

limitato che in Inghilterra, ma soprattutto andò a gravare sulle campagne, accre-

scendone la sovrappopolazione e le tensioni sociali.

b) _________________________________

___________________________________

c) ________________________________

d) L’agricoltura

FISIOCRAZIA = _______________________

La produttività della terra come ________

__________________________________

e) ________________________________:

- +_______________________________

- _________________________________

1 La fisiocrazia costituisce la teoria economica tipica del Settecento Secondo i fisiocrati, il cui principale esponente è il

francese F. Quesnay (1694-1774), l’agricoltura rappresenta l’unica vera attività produttiva in quanto essa sola crea un

prodotto netto, mentre l’industria e il commercio si limitano a trasformare o a distribuire le merci. Di conseguenza la

ricchezza delle nazioni non dipende dal livello degli scambi e dalla quantità di moneta, come volevano i mercantilisti, quanto

invece dalla terra e dalla sua naturale fertilità. A Quesnay va il merito di aver per primo studiato i fenomeni economici a

prescindere dalle infinite operazioni individuali che li costituiscono, soffermandosi invece sui grandi scambi e sui rapporti

che si stabiliscono fra le classi sociali. Tali classi sociali sono per il Quesnay costituite dai proprietari terrieri, i lavoratori

produttivi, ovvero gli agricoltori, e i lavoratori sterili, non impegnati nell’agricoltura.

il prevalere della ________________________________ a conduzione _________________ sulla___________________________

1 ___________________________________________

2 + ________________________________________ - ________________________________

3 ___________________________________________________ (___________________________________________________)

4 bassi ____________________________________________ scarsa ____________________________________________

5) _____________________________________________________________________________________________________

Page 6: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

100

1.2 La situazione sociale: Primo, Secondo e Terzo Stato

Dell’arretratezza delle campagne francesi non furono solo responsabili il

tradizionalismo contadino e la capacità di resistenza delle strutture comunitarie di

villaggio. Come in tutti i paesi cattolici, la proprietà ecclesiastica era quella

amministrata peggio e sfruttata nelle forme più antieconomiche; il clero francese,

che contava 130.000 persone (0,5% circa della popolazione francese), possedeva il

6-10 per cento del suolo coltivabile, ma assorbiva per le sue spese improduttive

una quota del reddito nazionale assai più alta, perché accanto alle rendite tratte

dalla proprietà diretta poteva allineare le decime sottratte alla massa dei

contadini. All’interno del clero impressionante era il divario delle ricchezze tra

vescovi e clero regolare (ordini religiosi), che godevano quasi sempre di rendite

notevoli o almeno discrete, e il basso clero (parroci di campagna), la cui situazione

si avvicinava spesso, economicamente e socialmente, al popolo povero e sfruttato

delle campagne.

La proprietà della nobiltà (un totale di 3 o 400.000 individui, ovvero circa l’1,5%

della popolazione) era molto più estesa e corrispondeva al 20-25 per cento del

suolo. La differenza fra l’aristocrazia inglese e quella francese era fortissima. I1

mondo dei valori della prima si era allargato progressivamente, già alla fine del

Seicento, fino a non vedere più nessuna incompatibilità fra il senso del prestigio e

dell’onore e il mondo degli affari e del profitto. I nobili francesi erano invece ancora

del tutto chiusi alle opportunità offerte dallo sviluppo economico; spendere con

larghezza le proprie rendite era per loro un segno di distinzione di classe che non

poteva avere nessun rapporto con il lavoro produttivo e l’investimento oculato.

Mentre i nobili inglesi costruivano canali, attivavano miniere e concretizzavano la

nuova agronomia, quelli francesi continuavano a ignorare perfino la partecipazione

alle compagnie monopolistiche del grande commercio. Sulle loro terre l’affitto

capitalistico era l’eccezione, mentre la piccola conduzione, nella forma della

mezzadria e della locazione familiare, perpetuava un’agricoltura di sussistenza

debolmente legata al mercato.

Quando si valuta il peso e la ricchezza della nobiltà francese, occorre valutare

non solo la consistenza patrimoniale, ma anche i diritti feudali e signorili

(che potevano andare dalla riscossione di tasse per il passaggio di

proprietà, alienazione o eredità, dei beni terrieri all ’obbligo di servirsi

dei mulini signorili o pagare pedaggi), nonché delle pensioni e gratificazioni

di tipo diverso, particolarmente elevate, che lo stato distribuiva alla stessa nobiltà,

e, infine, il controllo (attraverso l’assunzione delle massime cariche della Chiesa)

anche di una parte delle proprietà ecclesiastiche. La nobiltà appariva quindi al

vertice di un sistema di potere complesso che investiva la Corte, lo Stato, la

stessa Chiesa, oltre che gli spazi locali, su cui esercitava direttamente il suo

controllo.

Anche la proprietà borghese, che corrispondeva a circa il 30 per cento del suolo, non

aveva assorbito a pieno le indicazioni della modernizzazione; gran parte di questa

proprietà era ancora gestita sulla scala ridotta della mezzadria e del piccolo

affitto e i diversi strati della borghesia (professionisti, uomini di legge,

funzionari pubblici, amministratori e via dicendo) si limitavano anch’essi a

trarre una rendita dal suolo, senza preoccuparsi troppo di innovazioni e investi-

menti. Esisteva certamente una minoranza consistente di proprietari terrieri

borghesi desiderosi di sperimentare tutto ciò che di nuovo veniva suggerito

dagli economisti e dagli agronomi, ma le loro iniziative dovevano vincere il diffi-

cile ostacolo delle strutture tradizionali nelle quali si allineavano, in una

tenace difesa del passato - fatta di maggesi e pascoli comuni -, tanto i villaggi

contadini che gli ordini sociali superiori del clero e della nobiltà.

I contadini formavano l’immensa maggioranza della popolazione francese, 20

milioni su 26, l’80 per cento del totale. La proprietà contadina si estendeva su

LA SITUAZIONE SOCIALE

a) _________________________________

PRIMO _______________________

lo 0,5% ________________________ che

controlla il ______ del ________________

___________________________________

speso in ________________

Diversità ___________________________

___________________________________

b) _____________________________

SECONDO ____________________

l’ ______ della ___________________ che

controlla il _____ del _________________

speso in ___________________________

La gestione _________________________

Le fonti ____________________________

1__________________________________

2__________________________________

3 _________________________________

4__________________________________

C) BORGHESIA

la gestione __________________________

__________________________________

Page 7: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

101

una quota considerevole del suolo, il 35-40 per cento, ma era, rispetto a quelle

del clero, della nobiltà e della borghesia, fortemente parcellizzata. Il piccolo

proprietario quasi sempre era costretto a integrare i redditi che gli provenivano

dalla terra che coltivava direttamente, con i proventi del lavoro salariato o di un

contratto di mezzadria. Inoltre, anche sulla terra dei contadini liberi gravavano

i prelievi di tipo feudale, signorile ed ecclesiastico. Il complesso di questi

prelievi, che per i gruppi sociali privilegiati si trasformavano in rendite,

variava da regione a regione. È difficile valutare il valore globale medio della

rendita riscossa nei modi più diversi dai contadini. Si può attribuire un 8 per cento

del raccolto alle decime ecclesiastiche e un 20-30 per cento ai diritti signorili. Ma

dopo il decimatore e l’agente del signore passava anche il funzionario del fisco

statale; quindi il totale dei pagamenti compiuti dal contadino ammontava al 40-60

per cento. Durante gli anni di bassi prezzi agricoli ciò significò un peso schiacciante

per le classi rurali, mentre ogni volta che il raccolto era inferiore al normale la

rovina incombeva su chi doveva pagare canoni in natura e non disponeva di una

parte commerciabile sufficiente per procurarsi il denaro per le imposte.

D) _________________________________

controllano il _____ del _______________

___________________________________

molto ______________________________

il ________________________ sul lavoro

contadino

Socialmente borghesia e contadini costituivano il terzo stato, indubbiamente

l’ordine sociale più complesso ed eterogeneo, comprendendo tutti quelli che non

appartenevano alla chiesa e alla nobiltà. Vale la pena cercare di identificarne i

principali gruppi. Al vertice del terzo stato stavano i finanzieri, i banchieri, i

mercanti, i grandi proprietari terrieri. I primi erano un tipico prodotto dell’Ancien

Régime: avevano accumulato patrimoni ingenti riscuotendo le imposte per conto

del sovrano. Proprio negli ultimi decenni del ‘700 emergeva la figura del

banchiere, in grado di investire capitali per sviluppare le manifatture. Più

varia è la consistenza patrimoniale dei commercianti e dei mercanti, che

giungevano ad accumulare patrimoni consistenti. Uno spaccato tipico del

terzo stato appare a fine secolo a Lione, dove 400 maestri mercanti controllavano

circa 6000 maestri setaioli che a loro volta nelle botteghe tenevano un certo

numero di operai. Accanto alla borghesia degli affari emergeva quella delle

professioni liberali, in particolare avvocati. e medici. I primi, come vedremo,

avranno un ruolo particolarmente significativo nella Rivoluzione, costituendo gran

parte dei nuovi quadri politici. Al di sotto di questi gruppi troviamo, accanto ai

contadini gli artigiani, i lavoratori dipendenti, gli apprendisti, i disoccupati. Qual

era la consistenza dei salariati e dei lavoratori dipendenti nella società pre-

rivoluzionaria? Gli studi sono particolarmente abbondanti per quanto riguarda

Parigi, dove su una popolazione di 600.000 abitanti gli storici calcolano che circa

la metà fosse formata da famiglie di artigiani. Questo significava circa 75.000

lavoratori, in media da 15 a 16 per maestro di bottega. Enorme era la massa dei

poveri, oscillante fra un decimo e un quindicesimo della popolazione, fino a

giungere, nel periodo più cruciale della Rivoluzione, a un nono (68.981 nel

1794). Gli storici hanno calcolato che nel bilancio delle famiglie popolari il pane

rappresentava circa la metà delle spese, mentre il 16% si consumava per le

altre vivande, il 15% per i vestiti, il 6% circa per riscaldamento e

illuminazione. I salari giornalieri alla vigilia della rivoluzione variavano da

15 a 40 soldi, questi ultimi percepiti solo dagli specializzati. Dato che una

C + D = TERZO ________________

1 _________________________________

__________________________________

2 _________________________________

___________________________________

3 _________________________________

4 _________________________________

5 _________________________________

e _________________________________

6 _________________________________

IL ________________________ SUL LAVORO CONTADINO

1 decime alla _____________________________ = ____________

_________________ spese _____________

2 __________________________ alla ________________ = ____________

3 tasse allo __________________ = ____________

40-60% del _______________ +

canoni in _____________ per mezzadria / ________________________

Page 8: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

102

libbra di pane costava 2 soldi, un salario medio permetteva di comperare poco più

di 3 chili di pane al giorno (la libbra corrisponde a 300-350 grammi).

Al di là delle stratificazioni sociali ed economiche, una buona parte dei

contadini, dei proprietari borghesi, della borghesia degli affari e degli artigiani

vedevano un’oggettiva confluenza dei propri interessi, nell’opposizione ai

privilegi e ai poteri della nobiltà e del clero. Accanto alle decime ecclesiastiche,

che oltre a colpire direttamente il coltivatore erano anche in concorrenza con

gli affitti pagati al proprietario borghese, esisteva una lunga serie di diritti

signorili gravanti in forme ed entità varie su tutti i gruppi che traevano dalle

attività produttive i loro redditi.

Lo sviluppo economico e sociale della Francia richiedeva che i contadini fossero

alleggeriti dal peso del fisco e della rendita, affinché potessero indirizzare i loro

redditi agli investimenti e agli acquisti dei prodotti dell’industria nazionale:

allo stesso tempo la nobiltà doveva essere costretta a migliorare la conduzione

delle proprie terre, abbandonando i pregiudizi di casta

1.3 La situazione politica: la crisi finanziaria dello stato assoluto

Per ciò che riguarda la struttura statale i problemi più importanti, che si erano

posti già più volte nel corso del Settecento, erano sicuramente due, strettamente

legati tra di loro, la crescita vertiginosa del debito pubblico (nel 1788 esso

costituiva il 50% del bilancio statale) e la riforma del sistema fiscale.

Tutti i tentativi di introdurre nuove imposte sul reddito da cui i membri della

nobiltà non fossero più esentati avevano avuto per tutto il Settecento scarso

successo. Ciò che si era riusciti a ottenere dalla nobiltà corrispondeva solo al 5-6

per cento delle entrate totali. Bisogna dire però che l’intera società francese era

fondata sul privilegio e che accanto alle esenzioni della nobiltà c’erano molte altre

situazioni di ineguaglianza; alcune città non pagavano la taglia e le imposte

indirette, mentre i dazi e i pedaggi interni, e soprattutto la gabella sul sale, colpiva-

no con incredibili disparità le varie regioni del paese. I privilegi della nobiltà

erano comunque quelli che urtavano di più, specialmente da quando essa aveva

cominciato a farli valere in maniera sempre più intransigente. Ormai da molti

decenni tutti i gradi più alti dell’amministrazione e del governo erano riservati ai

nobili e, dal 1781, occorreva provare i 4/4 di nobiltà per accedere ai gradi

superiori dell’esercito. Negli anni settanta e ottanta si era creata una forte

tensione fra nobiltà e borghesia, sia intellettuale sia dedita agli affari e

all’industria, e in questa crisi i due rami della nobiltà - quella più antica, “di

spada” e quella; più recente, “di toga” - avevano messo da parte le proprie

controversie per mantenere le posizioni di privilegio.

I primi segni di instabilità cominciarono a emergere là dove l’inefficienza dello

stato era con tutta evidenza maggiore, cioè nell’amministrazione delle finanze

pubbliche. L’intero settore delle imposte indirette (dazi e gabelle) era affidato in

appalto a un’istituzione chiamata Ferme générale (appalto generale), controllata

dai maggiori finanzieri non solo francesi, ma anche svizzeri. Questo sistema di

riscossione faceva disperdere nelle mani degli appaltatori gran parte delle

imposte (la corruzione regnava comunque anche negli uffici statali che

riscuotevano la taglia e le altre imposte dirette); ma lo stato non poteva fare a

meno dei fermiers, perché in mancanza di una banca pubblica era a loro che si

rivolgeva per ottenere i prestiti con cui colmare il deficit di bilancio. Le spese

statali sembravano essersi assestate nei primi anni del regno di Luigi XVI,

succeduto nel 1774 al nonno Luigi XV. Nel 1778 la Francia entrò ufficialmente in

guerra contro l’Inghilterra a fianco degli Stati Uniti e negli anni successivi le

spese statali raddoppiarono e di conseguenza crebbe il debito pubblico.

Nel 1781 Necker, un banchiere ginevrino a cui era stato affidato il più

convergenza d’interesse =

___________________________________

Linee di tendenza dello _______________

___________________________________

LA SITUAZIONE _____________________

I problemi dello _________________:

a) _____________________________

5% contributo della _________________

alle ________________________________

disparità _______________________

b) _____________________

Il sistema degli _____________________

delle ___________________

appalti e __________________________

Il _______________________ dello stato

cause del _________________________:

Page 9: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

103

importante incarico ministeriale francese, quello di controllore generale delle

finanze, pubblicò in forma ufficiosa un bilancio statale che, omettendo le

spese straordinarie di guerra, faceva figurare un attivo di 10 milioni al posto

del reale deficit di almeno 70 milioni di lire tornesi. Si trattava di un falso, con

cui il ministro intendeva ottenere il favore dell’opinione pubblica. Il

“Rendiconto al re” mostrava il peso degli interessi e dei rimborsi del debito

pubblico, nonché delle spese per la corte e per i molti favoriti gratificati con ricche

pensioni.

Passarono altri cinque anni, che videro arrivare il debito pubblico sui 100

milioni di lire tornesi, quando il successore di Necker, Calonne, riprese il

progetto d’istituzione di un’imposta unica sulla terra senza esenzioni; allo

stesso tempo Calonne rilanciò l’abolizione dei vincoli al commercio del grano

e suggerì l’abolizione di quella pesante imposta sui poveri che era la gabella

del sale. Per aggirare la prevedibile opposizione del parlamento di Parigi Calonne

decise di discutere le sue proposte con un’assemblea di notabili nominati dal re e

scelti fra la nobiltà di spada, la nobiltà di toga e l’alta burocrazia statale. Dopo

due mesi di discussioni che non approdarono ad alcuna conclusione Calonne

venne licenziato. Si era perso ancora del tempo prezioso e il nuovo controllore

generale non poté fare altro che presentare le stesse proposte di Calonne.

Il confronto con i notabili non andò meglio al suo successore e Luigi XVI decise

questa volta di accettare lo scontro diretto con il parlamento. Esso si rifiutò di

registrare sia il decreto che istituiva la nuova imposta, dichiarandolo illegale, sia un

decreto relativo a un prestito pubblico. I parlamentari stavano passando a una

strategia più ampia, il cui obiettivo ultimo non poteva essere che un mutamento

costituzionale profondo, con la trasformazione del parlamento stesso da organo

giudiziario in organo di governo. Dopo altri sei mesi di polemiche sempre più

accese, nel maggio del 1788 il re decise di sciogliere il parlamento. Subito tutti i

parlamenti provinciali insorsero in difesa dei colleghi di Parigi. L’intero corpo

della nobiltà denunciò l’assolutismo di Luigi XVI, facendo propri in maniera

inaspettata gli argomenti contro la tirannide tipici dei filosofi illuministi e

soprattutto di Montesquieu, che era stato anch’egli un nobile togato.

Più sorprendentemente ancora nobiltà e parlamentari ottennero un vasto appoggio

popolare. Sommosse e tumulti scoppiarono un po’ ovunque nell’estate, mentre la

richiesta avanzata continuamente dagli oppositori del re diventava una parola

d’ordine universale: era arrivato il momento di convocare gli Stati generali.

Il re ancora una volta cedette e mentre iniziavano i preparativi per gli Stati

generali, fissati nella primavera del 1789, Necker venne richiamato alla carica di

controllore generale.

2 - LA CONVOCAZIONE DEGLI STATI GENERALI E IL DIBATTITO

POLITICO

2.1 Modalità di voto e numero di rappresentanti

2.2 Il ruolo del terzo stato

2.3 Le elezioni degli Stati generali

2.4 Gli obiettivi delle forze sociali

2.5 Le fasi della rivoluzione

Un problema fondamentale riguardava la convocazione degli Stati generali:

si sarebbe confermata la consuetudine, votando per ordine (nel qual caso il

Terzo stato non aveva spazi, in quanto sarebbe stato messo in minoranza) o

per testa (cioè dando un voto per ciascuno dei deputati partecipanti)? Il

Parlamento di Parigi rivelò a questo punto la sua scelta conservatrice,

1_________________________________

2 _________________________________

3 _________________________________

La discussione sui ____________________

_______________________(imposte senza

_________________________sulla terra,

abolizione______________)

la rivolta dei _______________________

la richiesta di ________________________

__________________________________

LA CONVOCAZIONE DEGLI STATI

GENERALI E IL DIBATTITO POLITICO

Oggetti del dibattito:

a) voto per __________________ o per

_________________________________

b) _________________________________

__________________________________

Page 10: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

104

alienandosi così di colpo le simpatie del Terzo stato. Decise infatti che le

votazioni sarebbero state secondo le consuetudini, cioè per ordine, mentre

l’opinione pubblica si batteva ormai apertamente per la votazione per testa

e per un aumento della rappresentanza del Terzo stato. Necker, ancora una

volta, portò avanti una soluzione di compromesso. Accettò il

raddoppiamento della rappresentanza del Terzo stato, ma non prese

nessuna decisione per quanto riguardava il modo di votare.

La convocazione degli Stati generali fu accompagnata da un’intensa crescita

politica dell’opinione pubblica sia a Parigi, sia nelle province. Crescita

legata alla circolazione di un gran numero di opuscoli destinati a chiarire gli

obiettivi dei diversi gruppi. Particolarmente significativo fu a Parigi il testo

diffuso da Sieyès, un ex canonico, dal titolo Qu’est-ce que le trers etat? (Che

cos’è il terzo stato?) che lo stesso autore sintetizzava in questo modo:

«Il piano di questo scritto è molto semplice. Dobbiamo farci tre domande: 1. Che

cos’è il Terzo stato? Tutto; 2. Che cosa ha rappresentato finora nell’ordinamento

pubblico? Nulla; 3. Che cosa chiede? Di diventare qualcosa.».

Sieyès delineava una definizione del Terzo stato: contadini, artigiani,

mercanti, professionisti. Questi quattro gruppi, che erano in sostanza la

nazione completa, in quanto comprendevano i 19 ventesimi della società,

venivano tenuti ai margini delle funzioni pubbliche (spada, toga, chiesa e

amministrazione). L’attacco alla nobiltà era durissimo: «… occorre

dimostrare che l’ordine dei nobili non entra affatto nell’organizzazione sociale, che

può essere sì un peso per la nazione, ma che non potrebbe mai essere una parte di

essa... È impossibile trovare in ognuna delle parti elementari di una nazione, un posto

ove collocare la casta dei nobili...».

Sieyès formulava quindi tre rivendicazioni: che per il Terzo stato i

rappresentanti uscissero tutti dalle sue fila; che il numero dei suoi deputati

fosse almeno uguale a quello di entrambi gli altri ordini; che si votasse

per testa.

Le elezioni degli Stati generali si svolsero agli inizi del 1789 e videro eletti

con un suffragio praticamente universale 1.139 deputati. Vale la pena di

esaminarne più analiticamente la composizione: la deputazione del clero era

formata da 291 membri, fra cui oltre 200 curati. Era divisa in due schieramenti

di cui il più ampio ed aperto alle alleanze con il Terzo stato comprendeva gran

parte del basso clero e alcuni vescovi riformatori. I deputati della nobiltà, 270,

erano a loro volta divisi in due gruppi, quello reazionario, coordinato da

piccoli nobili di provincia e quello dei patrioti (90), guidato dal marchese de

la Fayette, che era stato un eroe della guerra americana. Nel Terzo stato (578

deputati) prevalevano gli avvocati, oltre 200, un centinaio di rappresentanti della

borghesia produttiva (mercanti, banchieri, uomini d’affari), una cinquantina di

proprietari terrieri, intellettuali e scienziati. Fra i deputati del Terzo stato

c’erano anche due transfughi da altri ordini: un marchese e il canonico Sieyès.

Un documento veramente notevole della campagna elettorale furono i

Cahiers de doléance, raccolte di critiche e di esigenze locali. Ogni assemblea

ne redigeva uno. Si tratta di una documentazione imponente, circa 60.000

testi, che esprimono con immediatezza i problemi, le inquietudini e le attese

della società nel 1789.

Comune, anche nei cahiers del Terzo stato, era la fiducia nella monarchia

riformatrice; comune, ancora, era la richiesta di una costituzione. Ma oltre

questa generica unanimità, cominciavano le profonde differenziazioni. Il

Terzo stato chiedeva uguaglianza giuridica, pari condizioni di rappresentanza

(un’unica sede e non camere separate), abolizione della venalità delle

cariche. In qualche caso emergeva la richiesta di abolire i diritti feudali.

Anche la chiesa era naturalmente posta sotto accusa, soprattutto per quanto

riguardava le immunità fiscali.

Gli obiettivi delle diverse componenti sociali alla vigilia dell’apertura degli Stati

Il dibattito pubblico

Sieyés “Che _______________________

le rivendicazioni del __________________

I _______________ degli Stati generali

1- ______________________________

a)_________________________________

b)_________________________________

2 - ________________________________

a)_________________________________

b)_________________________________

3 - Terzo stato

I _________________________________:

fiducia nella _____________ e richiesta di

_________________________________

GLI OBIETTIVI DEI

_____________________________

Page 11: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

105

generali possono, dunque, essere così riassunti: la monarchia puntava a

riaffermare il suo potere e a creare un sistema fiscale più efficiente; l’alto clero e

la nobiltà a difendere i propri privilegi; il terzo stato, nella sua componente

dominante la borghesia, intendeva superare lo stato assoluto e il tipo di società

che lo reggeva, abolendo i diritti per nascita o acquisiti, e ottenere l’uguaglianza

giuridica per tutti e un maggior peso politico per se stessa.

3 - 1789-91: L’EGEMONIA BORGHESE E LO STATO COSTITUZIONALE

3.0 Le fasi della Rivoluzione francese

3.1 Il superamento dello stato assoluto e della società “ancien régime”

3.2 L’egemonia borghese: la monarchia costituzionale

3.0 Le fasi della Rivoluzione francese

Possiamo suddividere gli avvenimenti legati alla Rivoluzione Francese in quattro

periodi così caratterizzabili:

1789-1791: abbattimento stato assoluto e costituzione di uno stato liberale

borghese

1791-1794: dallo stato liberale borghese al governo giacobino (prima forma di

stato democratico)

1794-1799: lo smantellamento dello stato giacobino e la stabilizzazione politica

1799-1814: periodo napoleonico, l’esperienza francese viene portata in tutta

l’Europa

GLI OBIETTIVI DEI _____________________________

Re = _________________________________ +__________________________________________

____________________ = ______________________________________________________________________________

Borghesia = _______________________________________________________ attraverso:

1 -________________________________________________________________________________________________

2 -________________________________________________________________________________________________

3 -________________________________________________________________________________________________

LE FASI DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE:

1789-91: L’EGEMONIA BORGHESE E LO STATO COSTITUZIONALE

A- IL SUPERAMENTO DELLO STATO ASSOLUTO E DELLA SOCIETÀ "ANCIEN RÉGIME"

1 - _________________________________________________________________________________________________________

2 - _________________________________________________________________________________________________________

3 - _________________________________________________________________________________________________________

4 - _________________________________________________________________________________________________________

5 - _________________________________________________________________________________________________________

Page 12: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

106

3.1 Il superamento dello stato assoluto e della società “ancien régime”

Dopo la seduta inaugurale del 5 maggio 1789, l’attività degli Stati generali rimase

subito bloccata per più di un mese dalla questione procedurale, a cui non si poteva

non attribuire un’importanza politica decisiva, relativa alle modalità di votazione. Il

Terzo stato voleva arrivare a imporre un criterio di votazione a maggioranza, fondato

sul numero dei deputati e non sull’equilibrio fra i tre ordini separati, e chiese perciò

che la verifica delle credenziali dei deputati fosse fatta in una seduta comune; per lo

più gli ecclesiastici e i nobili volevano invece che le tre assemblee cominciassero

subito e separatamente i loro lavori.

Il 17 giugno il Terzo stato, con l’appoggio di alcuni membri del basso clero, pose

fine agli indugi e compì il primo atto rivoluzionario proclamandosi assemblea

nazionale e attribuendosi un compito che andava assai al di là della semplice

votazione di un nuovo prestito, come invece il re avrebbe voluto. Il 20, i deputati,

trovata chiusa per ordine del re la loro sede, riuniti nella Sala della Pallacorda (un

locale adibito a un gioco simile al tennis), giurarono di non sciogliersi prima di

aver dato alla Francia una costituzione. A essi si aggiunse la maggioranza del clero

e, dopo qualche giorno, il re dovette cedere e ordinò alla nobiltà e alla minoranza del

clero di unirsi al Terzo stato (27 giugno). A questo, punto l’antico sistema

rappresentativo della società per ceti, gli Stati generali, cessava di esistere e di lì a

poco nasceva (9 luglio) l’Assemblea nazionale costituente.

Lo scontro con il re era solo rimandato e le forze riformatrici si prepararono

pensando soprattutto a utilizzare le tensioni crescenti del popolo di Parigi.

Ogni giorno migliaia di persone si riunivano per ascoltare oratori improvvisati

o i leader dell’opposizione antiassolutista di Versailles; gruppi borghesi

cominciavano a costituire club pubblici e a gettare le basi di una vera struttura

pronta all’azione e sicura di poter contare sull’appoggio delle masse popolari

degli artigiani e degli operai. Quali fossero le intenzioni del re lo si capì bene

quando 1’11 luglio Necker venne licenziato e si cominciarono a vedere

movimenti di truppe intorno a Versailles. Se la borghesia parigina aveva

pensato di poter spingere il popolo a una sommossa dimostrativa, non aveva

però calcolato che esso era già pronto per suo conto all’insurrezione.

Nonostante fossero iniziate le operazioni di un raccolto che si prevedeva

migliore di quello dell’anno precedente, il prezzo del pane non accennava affatto a

scendere: giugno era stato il mese delle punte più elevate e spontaneamente la notte

fra 1’11 e il 12 luglio gli operai e gli artigiani cominciarono a dare alle

fiamme i caselli dove le merci pagavano i dazi di entrata a Parigi innalzando i

loro prezzi. E ancora spontaneamente, i due giorni successivi, borghesi e

popolani si dettero convegno in più punti della città per andare a procurarsi

armi ovunque se ne trovassero. Il 13 luglio la municipalità di Parigi era in mano

ai capi della sommossa; la mattina del 14 luglio (era martedì) una folla di alcune

migliaia di persone si diresse verso la fortezza della Bastiglia. Benché in quel

momento fossero rinchiusi nella Bastiglia soltanto sette prigionieri, e non per

ragioni politiche, la vecchia mole dell’edificio aveva conservato tutta la sua

carica di simbolo dell’assolutismo; quando il comandante della guarnigione .ordinò di fare fuoco sui dimostranti (che lasciarono sul campo un centinaio di

morti), la spedizione mossasi alla ricerca di armi si trasformò di colpo in un

avvenimento storico: la Bastiglia, conquistata d’assalto, venne incendiata e

demolita. Gli insorti parigini avevano salvato i deputati di Versailles e il re fu

costretto a richiamare Necker.

Nei giorni precedenti la presa della Bastiglia venne costituita la Guardia

nazionale, una milizia armata espressione degli iscritti alle sezioni

elettorali della capitale che avevano continuato a riunirsi anche dopo avere

eletto i deputati agli Stati generali. Forza essenzialmente borghese, la

guardia nazionale doveva essere in grado di opporsi alle truppe regie e a1lo

1789-91: L’EGEMONIA BORGHESE E

LO STATO COSTITUZIONALE

A - SUPERAMENTO DELLO STATO A SSOLUTO

E DELLA SOCIETÀ “ANCIEN RÉGIME”

L’inizio dei lavori degli Stati generali: la

discussione sulle _____________________

1 – TRASFORMAZIONE STATI GENERALI IN

___________________________________

Il ____________________ della Pallacorda

La _________________ delle tre assemblee

La formazione ______________________

___________________________________

2 – __________________________ DELLA

BORGHESIA E DELLE MASSE POPOLARI

Borghesia:

- club ________________________,

- Guardia _________________________,

Masse popolari:

manifestazioni,

_________________________________

I momenti della partecipazione delle masse

popolari:

a) La ______________________________

(14 luglio_________)

La Guardia _______________________

Page 13: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

107

steso tempo essa doveva impedire che l’elemento più plebeo e anarchico

della popolazione parigina tubasse l’ordine pubblico.

Compatibilmente con la velocità di circolazione delle notizie, i fatti di Parigi

furono conosciuti nel giro di uno o due giorni nelle maggiori città francesi: da

Bordeaux a Nancy e da Le Havre a Strasburgo le autorità comunali furono rove-

sciate da analoghe sommosse popolari e borghesi e sostituite da governi locali

rivoluzionari. Nella profonda campagna della Francia le notizie arrivavano più

in ritardo, deformate e amplificate come dicerie; è certo comunque che la grande

sommossa contadina che si verificò un po’ dovunque nel mese di luglio ebbe

scarsi rapporti con i fatti di Versailles e di Parigi. I prezzi che continuavano ad

aumentare e la corsa all’incetta del nuovo raccolto di cereali avevano fatto in-

travedere un secondo anno di carestia (e in effetti i prezzi agricoli

continuarono a salire fino al maggio del 1790). Armati degli attrezzi del loro

lavoro e della loro ira, le armi immediate di tutte le jacqueries, i contadini si

mossero ovunque all’assalto dei castelli dei signori.

L’assemblea di Versailles, appena uscita vincitrice dal conflitto con il re, dovette

subito mettere da parte i suoi propositi di riforma costituzionale e prendere

delle rapide decisioni di fronte a quell’imprevista rivolta contadina che stava

coinvolgendo centinaia di migliaia di persone.

Sospinta da questi avvenimenti, in un’atmosfera di entusiastica volontà di-

struttiva del passato l’Assemblea, nella notte del 4 agosto, decise l’abolizione del

regime feudale. Nei giorni seguenti questa decisione fu tradotta in decreti che

sopprimevano tutti i privilegi giuridici e fiscali, la venalità delle cariche e la decima

ecclesiastica. Per i diritti feudali fu stabilito che quelli gravanti sulle persone

(come le corvées) erano interamente aboliti, mentre i diritti sulle terre, considerati

una forma di proprietà, dovevano essere riscattati.

Nella realtà, tuttavia, i contadini cessarono di pagare i censi e non pagarono

neppure il riscatto, da cui furono poi liberati anche formalmente dalla

successiva radicalizzazione del processo rivoluzionarlo e, nella stragrande

maggioranza, si legarono indissolubilmente al nuovo regime. Il clero fu l’unico a

essere veramente colpito, perché le sue decime non beneficiarono di nessuna

forma di riscatto e svanirono insieme alle corvées.

Prima che la delusione dei contadini riaccendesse le tensioni nelle campagne

sarebbero passati parecchi mesi; l’assemblea aveva ripreso in mano la situazione

e poteva ormai comportarsi come un vero organismo costituente, approvando il

26 agosto una Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Molte

tradizioni politiche venivano a confluirvi e accanto alle tracce di Locke e

Montesquieu era facile trovarvi quelle di Rousseau: infatti, da una parte vi si

affermavano la separazione dei poteri, i diritti naturali dell’individuo (in particolare

la libertà personale di fronte agli arbitri della polizia, la libertà di espressione del

pensiero e delle opinioni religiose, 1a libertà di stampa, il diritto di proprietà

inviolabile e sacro), l’uguaglianza di fronte alla legge; dall’altra si enunciavano

l’idea della sovranità nazionale, che avrebbe fatto del re soltanto un funzionario

della nazione, e la definizione della legge come espressione della volontà

generale. Era l’atto di morte dello stato assoluto e dell’ancien règime.

I risultati dell’agosto 1789 non divennero subito acquisizioni definitive: il re infatti

si rifiutava di approvare i decreti. La difficoltà di trovare un compromesso con la

monarchia rimaneva così uno degli elementi principali di instabilità. A Parigi

cresceva intanto il livello della partecipazione politica, (l’assicurata libertà di

stampa aveva cominciato a far nascere giornali che tenevano surriscaldata

l’atmosfera) ma aumentava anche la tensione popolare per la scarsità dei generi

alimentari e per il timore di una reazione aristocratica.

Ancora una volta la situazione venne sbloccata dall’intervento del popolo di

Parigi. Il 5 ottobre un corteo composto prevalentemente da donne si diresse alla

volta di Versailles per reclamare pane e per riportare il re a Parigi. Lo seguì a

breve distanza la Guardia nazionale (la milizia a reclutamento borghese) al

b) la rivolta delle ____________________

c) vedi pag. successiva

3 – L’ABOLIZIONE DEL _________________

_________________

Soppressione di:

a__________________________________

b _________________________________

c ______________________

d ______________________

il riscatto di _________________________

_______________________

Contadini, clero e ____________________

4 – LA DICHIARAZIONE DEI _____________

_______________________

a__________________________________

b__________________________________

c__________________________________

d _________________________________

e__________________________________

le resistenze del re a _________________

___________________________________

Page 14: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

108

comando di La Fayette. Nella notte il re cedette sui decreti anti-feudali e la mattina

successiva, dopo che un’invasione nel palazzo fu ostacolata dalla Guardia

nazionale, acconsentì, sotto la pressione della folla, a trasferirsi a Parigi, nella

reggia delle Tuileries. Il lungo corteo che il 6 ottobre mosse verso la capitale vide

provvisoriamente uniti in una concordia apparente tutti i protagonisti di un

dramma politico: il re e la sua famiglia, i deputati dell’Assemblea, il popolo

parigino, la Guardia nazionale. L’indebolimento della monarchia, ormai

prigioniera di Parigi, forse avrebbe potuto essere arginato se il re avesse accettato

l’obiettivo di una soluzione costituzionale all’inglese. Luigi XVI non aveva né le

capacità politiche, né la mentalità, né il temperamento per accettare il nuovo

regime e quindi venire coerentemente a patti con i suoi rappresentanti.

Nell’immediato, comunque, Assemblea costituente si trovò a dover affrontare il

grave problema finanziario che finì per diventare l’occasione per dare l’ultima

spallata alla struttura dell’ancien régime con la requisizione dei beni ecclesiastici (in

seguito, nel febbraio 1790, furono proibiti i voti monastici e aboliti gli ordini

religiosi, salvo quelli dediti all’insegnamento e all’assistenza ospedaliera).

Nell’affrontare il problema finanziario i costituenti non poterono fare nient’altro

che riconoscere l’intero debito pubblico, con tutto il peso sul bilancio che

esso comportava, volendo mantenere il consenso dei gruppi finanziari al nuovo

regime; si trovarono quindi a dover fronteggiare un bilancio ancora

fortemente deficitario.

Il nuovo sistema fiscale sarebbe stato fondato su imposte uguali per tutti,

senza privilegi di classe o provinciali; ma non si poteva sperare che le nuove

imposte dessero risultati soddisfacenti sin dalla loro prima applicazione, tanto più

che quella fondiaria presupponeva l’esistenza di un catasto, cosa di cui si

comincerà a parlare soltanto più di dieci anni dopo.

Perciò, prima ancora che la riforma fiscale venisse perfezionata, si pose la

questione di trovare un’altra fonte di entrata per lo stato; non restò altro che

nazionalizzare tutti i beni del clero, il cui valore era stimato i 3/5

dell’ammontare del debito pubblico alla fine del 1789. Il primo atto di

trasformazione di questo patrimonio terriero in beni nazionali fu compiuto il

2 novembre 1789, ma lo stato aveva bisogno subito di denaro e la vendita im-

mediata delle terre della Chiesa, oltre a essere praticamente irrealizzabile, avrebbe

avuto l’effetto negativo di deprimere eccessivamente i prezzi che si potevano

ottenere. L’assemblea decise allora l’emissione di buoni del tesoro con l’inte-

resse del 5 per cento (“assegnati”) di cui lo stato si sarebbe servito per fare i

propri pagamenti in attesa della vendita dei terreni. Non era ancora una vera e

propria cartamoneta, ma una sorta di prestito forzoso doppiamente garantito:

non solo dall’interesse, ma soprattutto dal fatto che gli assegnati sarebbero poi

serviti ad acquistare i beni nazionali, per venire infine via via distrutti.

Per togliere ogni dubbio sul fatto che gli assegnati non erano cartamoneta essi

sarebbero inoltre stati emessi solo in grossi tagli da 1000 lire tornesi. Ma già

pochi mesi dopo la decisione di una prima emissione di 400 milioni, l’interesse

fu ridotto al 3 per cento, i tagli furono in realtà anche da 200 e 300 lire e

l’assegnato ebbe corso legale, fu cioè ammesso anche nei pagamenti tra

privati oltre che in quelli fra lo stato e i privati. Nel settembre 1790

l’emissione totale salì a 1200 milioni e l’interesse fu abolito. Per trasformare

l’assegnato in cartamoneta c’era, un ultimo passo da compiere, l’emissione di

biglietti in tagli più piccoli da 5 lire, cosa che si verificò fra il maggio e il

giugno del 1791.

D’ora in poi i possessori di assegnati sarebbero divenuti strenui difensori della

rivoluzione, perché solo la vendita effettiva dei beni della Chiesa avrebbe dato un

contenuto reale a quei pezzi di carta. Nel settembre 1792, quando la situazione

politica era precipitata da un pezzo gli assegnati ammontavano ormai a 2700

milioni, le vendite dei beni nazionali già effettuate corrispondevano a circa 640

milioni. Di esse avevano beneficiato per lo più i borghesi benestanti, perché i

(c pag. precedente) La manifestazione

popolare:

il ritorno ___________________________

5 – LA REQUISIZIONE DEI _______________

___________________________________

Il problema _________________________

il riconoscimento del __________________

___________________________________

Il progetto di ________________________

La nazionalizzazione _________________

__________________________________

L’emissione degli assegnati

_________________________ garantiti da:

_________________________ +

___________________________________

da buoni del tesoro a __________________

La fedeltà alla rivoluzione dei __________

__________________________________

Page 15: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

109

lotti messi all’incanto erano sempre di dimensioni troppo grandi per le

possibilità economiche dei contadini.

3.2 L’egemonia borghese: la monarchia costituzionale

Nei due mesi trascorsi dal 17 giugno al 26 agosto tre rivoluzioni si erano

dunque succedute e intrecciate: quella del Terzo stato, quella del popolo di

Parigi e quella delle campagne. La seconda aveva oggettivamente portato

soccorso alla prima, ma tutte e tre avevano radici proprie e finalità non

coincidenti. Solo il Terzo stato aveva un programma ben definito e

un’immagine molto chiara del tipo di società che voleva costruire, visto che alle

sue spalle c’erano decenni di dibattito culturale illuminista, liberista e

fisiocratico. La rivoluzione borghese sarebbe proseguita senza traumi laceranti

se solo fosse stato possibile tenere sotto controllo Parigi e assorbire la protesta

delle campagne.

Nei ventuno mesi che passarono tra l’ottobre del 1789 e il giugno del 1791 la

rivoluzione sembrò aver trovato un suo equilibrio, specialmente dopo che dal

maggio del 1790 i prezzi del pane si erano avviati a tornare alla normalità.

Dopo l’estate del 1789 l’assemblea costituente modernizzò profondamente

tutte le istituzioni ed elaborò una costituzione che rendeva possibile un nuovo

patto fra la monarchia e il paese.

In realtà tutte le forze presenti nell’assemblea costituente erano consapevoli che la

tregua conquistata era provvisoria e fragile. Esse non assomigliavano a veri partiti

organizzati, ma le diverse posizioni erano ben distinte e su queste si sviluppò presto una

nuova terminologia politica. Il gruppo che sedeva abitualmente alla destra della

presidenza includeva non solo gli irriducibili avversari di ogni trasformazione, ma

anche elementi più accorti nella diplomazia parlamentare che proponevano di

prendere a modello la costituzione inglese attr ibuendo al re i l potere di

nominare una seconda Camera accanto a quella eletta dal popolo, e di apporre un veto

alle leggi che non avevano ottenuto il suo gradimento. Il più folto gruppo della sinistra,

nel quale spiccavano e Mirabeau e La Fayette, riuscì per lo più a imporre la sua visione

più rigorosamente parlamentare: Luigi XVI, divenuti ora “re dei francesi” avrebbe

avuto solo un diritto di veto sospensivo, che poteva essere scavalcato da una seconda

votazione dei deputati; il parlamento sarebbe stato composto da una sola Camera elettiva

e il re non avrebbe avuto il potere di scioglierla.

Su molti altri problemi la sinistra stessa era però divisa e soprattutto sull’estensione del

suffragio. Il suffragio universale (limitato ai cittadini maschi maggiorenni) doveva

derivare logicamente dall’affermazione dell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte

alla legge. Ma solo per una parte ristretta dei costituenti ciò che era giusto per i diritti

civili poteva trasferirsi nel diverso campo dei diritti politici.

La varietà e diversità delle posizioni non pregiudicò in questa fase il consenso

L’EGEMONIA BORGHESE: LA

MONARCHIA

COSTITUZIONALE

Le tre rivoluzioni: ___________________,

__________________________________,

__________________________________

IL DIBATTITO POLITICO NELL’ASSEMBLEA

COSTITUENTE:

A) IL NUOVO STATO:

destra:

1________________:_________________

2 _______________: _________________

__________________________________

3 sinistra: _________________________

_________________________________

B) IL SUFFRAGIO ____________________

prevalere del ________________________

B - LA COSTRUZIONE DELLA MONARCHIA COSTITUZIONALE

1 - _________________________________________________________________________________________________________

2 - _________________________________________________________________________________________________________

3 - _________________________________________________________________________________________________________

4 - _________________________________________________________________________________________________________

5 - ________________________________________________________________________________________________________

6 - _________________________________________________________________________________________________________

Page 16: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

110

largamente maggioritario ai risultati del 1789. Ma la traduzione di questi risultati in

nuove strutture e istituzioni pose le premesse di divisioni profonde. Quella che

potremmo definire la rivoluzione politica del Terzo stato si veniva organizzando

come un regime politico di borghesi benestanti, di proprietari terrieri (designati in

genere con il termine notabili): e in questo senso possiamo parlare di

rivoluzione borghese.

Quando, nel dicembre 1789, si trattò di decidere i criteri in base ai quali attribuire i diri tt i

politici, i cittadini furono distinti in attivi e passivi in base al censo, (cioè al

reddito, alla ricchezza). Soltanto quanti pagassero almeno un’imposta annua pari

a tre giornate di lavoro erano considerati attivi e entravano a far parte del corpo

elettorale, che risultò composto da oltre 4 milioni di cittadini maschi di età superiore ai 25

anni. Gli appartenenti agli strati più poveri della società, circa 3 milioni, erano

considerati cittadini passivi ed erano esclusi dal diritto di voto. Ma non tutti i

cittadini attivi erano eleggibili. Condizione per essere eletti deputati era

possedere una qualsiasi proprietà fondiaria e pagare almeno un marco d’argento

(52 lire) di imposte. Questo sistema elettorale censitario riservava ai notabili la

rappresentanza della nazione, ma rischiava di non essere compatibile con la

mobilitazione di larghi strati popolari, soprattutto urbani, in parte relegati nella

categoria dei cittadini passivi, privati dei diritti politici e formalmente esclusi

anche dalla Guardia nazionale.

Nonostante la sua importanza, la questione dei diritti politici rimase sullo sfondo

anche perché le elezioni si tennero solo nell’estate del 1791.

Dopo la requisizione dei beni della Chiesa apparve inevitabile che spettasse

allo Stato il mantenimento degli ecclesiastici, equiparati ai funzionari pubblici dalla

Costituzione civile del clero, votata nel luglio 1790. La Costituzione civile

attribuiva la nomina dei vescovi e dei parroci alle assemblee locali e, come

tutti gli altri funzionari, anche gli ecclesiastici furono obbligati a giurare

fedeltà alla nazione, al re, alla costituzione. Questa profonda modifica

dell’organizzazione ecclesiastica fu, come era prevedibile, condannata da

papa Pio VI. Solo 7 vescovi su 130 prestarono il giuramento, mentre il basso

clero si divise a metà fra favorevoli (costituzionali) e contrari (refrattari) alla

Costituzione civile. Il gravissimo scisma che si venne così aprendo nella

Chiesa di Francia ebbe come conseguenza lo schierarsi di una parte

consistente e progressivamente maggioritaria del clero tra le file della

controrivoluzione.

Nello stesso arco di tempo, fra il ‘90 e il ‘91, l’Assemblea costituente proseguì

nell’opera di edificazione delle nuove strutture amministrative, giudiziarie e

finanziarie.

La venalità degli uffici veniva soppressa; l’uguaglianza di tutti i cittadini

nell’ammissione alle cariche pubbliche era affermata senza eccezione alcuna; la

Francia fu suddivisa in 83 dipartimenti, geograficamente omogenei e tali che

dalla località più distante si potesse raggiungere il capoluogo in una giornata di

cammino. Fu instaurato un compiuto decentramento che rovesciava il sistema

accentrato voluto dalla monarchia assoluta e realizzato dagli intendenti.

Inoltre la giustizia doveva essere amministrata gratuitamente e i privilegi fiscali

erano tutti aboliti.

Per quel che riguarda la politica economica venivano abolite tute le dogane interne;

la liberalizzazione del commercio e della produzione la si ottenne togliendo i

privilegi alle compagnie monopolistiche e facendo scomparire l’intero regime

corporativo; più tardi, nel giugno 1791, la legge che portò poi il nome del

deputato Le Chapelier vietò gli scioperi e le associazioni operaie. Quest’ultimo

decreto esprimeva chiaramente la volontà dei costituenti di lasciare il mercato

sovrano nella formazione dei prezzi e dei salari, rompendo risolutamente con

una tradizione secolare di vincoli e favoritismi. Lo stesso doveva dunque

accadere anche nelle pratiche agricole: per chiudere definitivamente con il

regime dell’open field, veniva concessa l’assoluta libertà di disporre della propria

La rivoluzione ______________________

B - LA COSTRUZIONE DELLA MONARCHIA

COSTITUZIONALE

1 – L’ADOZIONE DEL __________________

______________________

Cittadini _______________e _______ ___

cittadini __________________________

2 – LA COSTITUZIONE _________________

_______________________

a _________________________________

b__________________________________

c__________________________________

Clero __________________________

3 – LA POLITICA______________________

_________________________________

4 – LA POLITICA______________________

a_________________________________

b__________________________________

c__________________________________

d__________________________________

Page 17: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

111

terra recintandola e sottraendola alle regole del villaggio che si opponevano

all’innovazione agronomica. Se a tutto questo aggiungiamo la concessione dei

diritti civili agli ebrei e ai protestanti, il divieto dei voti monastici, la

soppressione degli ordini religiosi puramente contemplativi e di tutti i titoli

nobiliari, vediamo ancora meglio profilarsi l’immagine di una società rinnovata

senza fare troppo ricorso alla violenza

Il regime politico che si veniva definendo con le norme elettorali e nella redazione

della costituzione era un regime liberale, fondato sulla separazione dei

poteri. I giudici divennero elettivi, fu previsto un Parlamento composto da una

sola camera, l’Assemblea legislativa, della durata di .2 anni. I ministri, di no-

mina regia, erano responsabili solo di fronte al sovrano e non potevano

essere membri dell’Assemblea. Il re aveva facoltà di opporre un veto sospensivo

alle leggi votate dall’Assemblea: solo dopo la conferma in due assemblee

successive tali leggi sarebbero diventate esecutive.

Il sistema previsto dalla Costituzione del 1791, approvata il 3 settembre, era

congegnato in modo da richiedere, per un suo corretto funzionamento, uno

stabile accordo tra il potere esecutivo e quello legislativo, fra sovrano e

Assemblea.

Ma l’equilibrata realizzazione, di una monarchia costituzionale, com’era nei voti

delle correnti politiche moderate, fu spazzata via dalla fuga del re da Parigi, il 20-21

giugno 1791. Il gesto del re mostrava la sua chiara adesione ai programmi degli

aristocratici emigrati e della controrivoluzione. Il disegno era quello di guidare

dall’estero una restaurazione armata della vecchia Francia. Riconosciuto e

fermato a Varennes, il re fu ricondotto a Parigi, insieme alla sua famiglia, fra due

ali di guardie nazionali e di popolo ostile e ammutolito.

4 - 1791-94: L’EGEMONIA DELLE MASSE POPOLARI E LO STATO

GIACOBINO

4.1 La radicalizzazione della situazione

4.2 Il superamento della monarchia costituzionale

4.3 Il contrasto tra girondini e giacobini

4.4 La dittatura giacobina

4.1 La radicalizzazione della situazione

Con la sua fuga il re aveva sconfessato il compromesso costituzionale dando

forza a chi lo considerava inadeguato e radicalizzato il dibattito politico: ben

presto la divaricazione fra rivoluzione liberale e rivoluzione democratica, fra

moderati e radicali sarebbe diventata insanabile. Infatti, a difesa del sistema

costituzionale che era stato creato e del re stesso, che ne rappresentava volente o

nolente il perno, intervennero sia l’assemblea costituente, che dapprima sospese

il re e in seguito ne proclamò l’innocenza accreditando la versione di un re rapito

contro la sua volontà, sia la Guardia nazionale, sparando sulla folla che

manifestava contro le decisioni dell’Assemblea costituente. A difesa delle

manifestazioni contro l’Assemblea si schierarono invece le forze più radicali: i

cordiglieri, che le avevano organizzate, e la grande maggioranza dei giacobini,

appartenente alla borghesia delle professioni liberali, che si orientò

5 – DIRITTI _________________________

- __________________________________

- __________________________________

6 – LA _____________________________

Re = _____________________________

Parlamento = _______________________

Fuga e _________________ (giugno 1791)

1791-94: L’EGEMONIA DELLE MASSE

POPOLARI E LO STATO GIACOBINO

LA RADICALIZZAZIONE DELLA SITUAZIONE

LA RIAPERTURA DEL PROCESSO

RIVOLUZIONARIO

IL DIFFERENZIARSI DELLE POSIZIONI:

_______________ (moderate) e _________

____________(____________________)

A)IL DIBATTITO____________ __________

a difesa del re = _____________________

___________+_______________________

contro il re = ________________ +______

_____________ + ____________________

Page 18: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

112

nettamente per un’evoluzione democratica del processo rivoluzionario2. Fra i

leader dei nuovi giacobini spiccava ora l’avvocato e costituente Robespierre, a

favore dell’alleanza con il popolo di Parigi - con le sue sezioni elettorali

attorno a cui si organizzava la partecipazione dei sanculotti3 - e con i

cordiglieri, di cui facevano parte Marat e Georges Danton, altro rappresentante

della borghesia intellettuale.

La crisi politica venne per il momento evitata; la costituente terminò i lavori e il

re, reintegrato, giurò fedeltà alla costituzione. Nel mese di settembre si tennero le

elezioni per la prima assemblea legislativa e il 10 ottobre 1791 ci fu la

prima riunione dei 745 deputati. La costituente aveva deciso per la non rieleggibilità

dei propri membri e perciò i personaggi politici degli ultimi tre anni scomparvero

momentaneamente di scena. Un terzo dei deputati entrò a far parte del club moderato

dei foglianti, un quinto aderì ai giacobini, ma la grande maggioranza rimase

neutrale rispetto alle fazioni che si erano formate durante i mesi precedenti ed

erano detti costituzionali, poiché si riconoscevano nella Costituzione. Fra i

nuovi dirigenti politici del parlamento un posto di rilievo spettava a Jean-Pierre

Brissot, attorno a cui si formò un piccolo raggruppamento di deputati che si con-

quistò presto un grande prestigio per l’oratoria radicale dei suoi esponenti, eletti

nel dipartimento della Gironda in rappresentanza della borghesia mercantile di

Bordeaux; furono chiamati girondini.

Nessuno di questi gruppi era in grado di esercitare un’egemonia politica,

mentre l’atmosfera politica era surriscaldata dall’opinione diffusa di una vasta

azione controrivoluzionaria concertata, che includeva gli emigrati (la grande

nobiltà e parte della corte stessa), il clero retrattario al giuramento

costituzionale, i gruppi reazionari interni, l’ambiente di corte e ora sempre

più i sovrani della Prussia e dell’Impero asburgico che avevano diffuso un

manifesto di preoccupazione sugli eventi francesi, da cui risultava che

l’influenza degli emigrati aveva superato i confini francesi.

L’iniziativa della guerra non venne però dall’esterno, ma dalla stessa Francia.

Nel marzo 1792 Luigi XVI nominò un ministero composto quasi per intero di

amici di Brissot e il 20 aprile questo dichiarò guerra all’Austria, in aiuto della

quale scattò subito l’alleanza della Prussia.

I girondini e una parte delle forze radicali erano convinte che una vittoria

avrebbe rinsaldato la rivoluzione; Luigi XVI cercava in pratica una sconfitta

militare della Francia che si trasformasse in una sconfitta della rivoluzione.

Molti uomini politici divenuti da tempo dei moderati, come La Fayette,

potevano sperare in una breve campagna militare vista soprattutto come

operazione di politica interna, per creare le condizioni per un potere centrale

più forte che ponesse fine all’estendersi dei processi rivoluzionari.

L’esercito francese fu lanciato impreparato e demoralizzato in questa

avventura militare; la maggior parte degli ufficiali, che erano tutti aristocratici,

aveva presentato le dimissioni andando a ingrossare le fila dell’emigrazione. La

condotta della guerra dette subito l’impressione che si stesse cercando la

sconfitta. I maggiori esponenti della sinistra democratica - Robespierre

(contrario alla guerra), Marat e Danton - avevano buone ragioni per gridare al

tradimento. Di fronte al licenziamento del ministero girondino, sostituito da

moderati foglianti, i quartieri popolari di Parigi tornarono a insorgere (20

giugno); Robespierre e Brissot trovarono un’intesa sulla parola d’ordine della

patria in pericolo e le forti emozioni di un patriottismo rivoluzionario si fecero

sentire in tutte le città francesi; l’assemblea confiscò i beni degli emigrati e le

Robespierre, ______________,

___________________

Il giuramento _______________________

__________________________________

B) LA NUOVA ASSEMBLEA LEGISLATIVA

1 costituzionali:______________________

___________________________________

2 _________________________:moderati

3 girondini:_________________

4 ____________:____________

C) LA GUERRA

Le forze controrivoluzionarie:

1__________ _____________________

2________________________________

3________________________________

4________________________________

La dichiarazione _____________________

(aprile 1792)

Le motivazioni:

1 re: sconfitta militare = _______________

___________________________________

2 girondini e _________________: vittoria

militare = vittoria ____________________

3 moderati: _________________________

___________________________________

Le polemiche _______________________

__________________________________

L’alleanza __________ - ______________

2 I due nomi derivano, come quello di altri raggruppamenti politici, da quelli dei conventi nei quali avvenivano le loro

riunioni. 3 Così chiamati perchè non portavano i calzoni al ginocchio come gli aristocratici e i ricchi borghesi, ma calzoni lunghi

(abbigliamento che finì per diventare uno dei simboli del rifiuto della società aristocratica e della fede nell’egualitarismo

rivoluzionario). Le folle rivoluzionarie parigine, i sanculotti, erano costituite soprattutto da maestri artigiani, apprendisti,

salariati delle botteghe, piccoli negozianti, nonché disoccupati e poveri.

S

i

n

i

s

t

r

a

Page 19: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

113

organizzazioni parigine dei sanculotti si prepararono a una seconda rivoluzione.

Un comitato insurrezionale si impossessò della municipalità di Parigi e il 10

agosto 1792 una folla composta di federati4, giunti da tutte le province, di

artigiani, bottegai e operai parigini, i sanculotti, invase il palazzo reale delle

Tuileries, dopo una battaglia che costò trecento morti agli insorti. Il re fu

arrestato, la vecchia guardia nazionale si dissolse, i foglianti abbandonarono la

scena politica (lo stesso La Fayette prese la via dell’emigrazione). A Parigi il

potere era in mano al consiglio della Comune rivoluzionaria, nel ricostituito

ministero girondino entrò anche Danton, ma questo organo costituzionale

contava già meno della Comune, sorta dalla rivoluzione dei sanculotti che

dava inizio alla fase democratica chiudendo l’esperienza della monarchia

costituzionale d’ispirazione liberale, voluta dalla borghesia degli affari.

e la mobilitazione popolare

La rivoluzione dei ____________________

La ____________________ rivoluzionaria

4.2 Il superamento della monarchia costituzionale

Nei trenta giorni successivi al 10 agosto l’assemblea legislativa dovette recepire

la spinta democratica che veniva dal basso. Il pagamento delle indennità per i

diritti signorili dichiarati riscattabili divenne più improbabile, perché toccava

ora agli ex signori dimostrare l’esistenza di un valido titolo di concessione della

terra; tutti gli ordini religiosi furono sciolti, i beni sequestrati degli emigrati

entrarono fra le terre nazionalizzate poste in vendita, i contadini furono au-

torizzati a spartirsi le terre dei pascoli comuni e soprattutto fu adottato il

criterio di vendere d’ora in poi i beni nazionali in piccoli lotti.

Mentre gli eserciti francesi capitolavano ormai su tutti i fronti e l’invasione

austro-prussiana dal Belgio e dalla Lorena era in pieno svolgimento, centinaia di

arresti furono compiuti a Parigi e un tribunale speciale ebbe il compito di

giudicare i traditori e i sospetti. Alla notizia che la fortezza di Verdun era

caduta, in un clima di esasperazione e paura incontrollata per cinque giorni,

dal 2 al 6 settembre, folle di sanculotti passarono da una prigione all’altra

reclamando l’esecuzione immediata di tutti i sospetti, massacrando più di mille

persone, che spesso si trovavano in carcere per reati non legati con la situazione

politica.

Poco dopo le stragi di settembre, l’assemblea legislativa che si era sciolta fu

sostituita da una nuova assemblea elettiva che prese il nome di Convenzione.

Questa volta si era ricorsi al suffragio universale, anche se in pratica i votanti

furono meno che nel 1791, con l’astensione di tutti gli avversari del potere

giacobino e girondino. Si apriva così, nel settembre 1792, una nuova fase che

sarà caratterizzata dai contrasti tra girondini e giacobini e che finirà nel

giugno 1793, quando una nuova insurrezione del popolo parigino porterà al

potere i giacobini.

Il 21 settembre i 749 membri della convenzione si riunirono per la prima volta e

IL SUPERAMENTO DELLA

MONARCHIA COSTITUZIONALE

1 LA POLITICA ___________________

a _________________________________

___________________________________

b__________________________________

c__________________________________

d__________________________________

e__________________________________

Le stragi di________________________

2 – L’ELEZIONE DELLA ________________

________ a suffragio _________________

I contrasti tra girondini e_______________

4 Federati erano detti i membri della Guardia nazionale che era diventata, insieme alle municipalità, uno dei più importanti

organismi di partecipazione e di diffusione degli ideali rivoluzionari nell’intera Francia.

IL SUPERAMENTO DELLA MONARCHIA COSTITUZIONALE

1 - _________________________________________________________________________________________________________

2 - _________________________________________________________________________________________________________

3 - _________________________________________________________________________________________________________

4 - _________________________________________________________________________________________________________

Page 20: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

114

vennero a conoscenza della vittoria ottenuta il giorno prima dall’esercito

francese presso Valmy che fermava la temuta invasione degli eserciti stranieri.

Il 22 settembre la convenzione proclamò la repubblica: era quello l’anno primo

di una nuova era. Il 10 dicembre cominciò il processo a Luigi XVI di fronte alla

convenzione riunita come alta corte di giustizia. Accusato di avere tramato

contro la nazione, il re fu riconosciuto colpevole da una larghissima

maggioranza dei giudici (693 su un totale di 749), che avevano a disposizione

prove indiscutibili dei suoi rapporti con gli emigrati e i nemici. Quando si trattò

di arrivare alla sentenza finale l’unanimità venne meno. I girondini vedevano

nella condanna a morte una rottura troppo drastica e tentarono di rimandare a

un plebiscito quel cruento scioglimento del dramma. Il 18 gennaio 1793 si

pronunciarono per la morte 387 convenzionali tra cui i giacobini, mentre i

girondini riuscirono a ottenere una consistente minoranza (334 voti)

chiedendo la detenzione a vita. Tre giorni dopo, il 21 gennaio 1793 Luigi XVI

venne ghigliottinato.

In questi primi quattro mesi di vita della convenzione un grande mutamento

era intanto avvenuto sui fronti militari; gli incrementi di effettivi dell’esercito

francese e l’intensa propaganda rivoluzionaria, nella quale Danton ebbe una

parte di rilievo, avevano accresciuto il grado di politicizzazione dei soldati e delle

nuove leve di ufficiali che venivano a riempire i vuoti lasciati dai vecchi capi

passati al nemico. Mentre un esercito a sud invadeva la Savoia e i francesi co-

minciavano a ottenere dei successi sul Reno, si procedette all’invasione del

Belgio. Due settimane dopo la convenzione emanò un decreto con cui si

prometteva l’aiuto della Francia a tutti i popoli che volevano acquistare la

propria libertà (fine novembre 1792)

Nella primavera successiva però, con l’entrata in guerra della Gran Bretagna,

la coalizione europea ricacciava le truppe francese dal Belgio e al di là del

Reno, mentre con la rivolta dei contadini della Vandea si apriva una vera e

propria guerra civile. Infatti, i contadini continuavano a restare insoddisfatti

del modo con cui stava procedendo la vendita dei beni nazionali e i primi atti di

requisizione del grano e il blocco dei prezzi agricoli generarono una forte

ostilità contro la convenzione, specialmente nelle regioni con una cultura arcai-

ca e più impermeabili all’ideologia rivoluzionaria. Fu il caso soprattutto del

dipartimento della Vandea, a sud della Bassa Loira, che espresse la sua

estraneità culturale, ancora più che politica, alla rivoluzione facendo propria

la causa della religiosità contadina tradizionale e accogliendo in qualche

misura la propaganda controrivoluzionaria degli aristocratici. In Vandea

(come pure nei dipartimenti confinanti) soltanto una parte minima del clero

aveva prestato nel 1791 il giuramento costituzionale e la popolazione aveva

dato il suo appoggio ai preti “refrattari” che rifiutavano di essere destituiti. Ma

la vera e propria rivolta esplose all’inizio del marzo 1793, quando i

commissari della convenzione tentarono di imporre la leva militare: per molti

mesi il nome “Vandea” (che in senso lato si era esteso anche a territori al di là

del dipartimento vero e proprio) diventerà sinonimo di una lunga guerra civile

fatta di atrocità inimmaginabili, una jacquerie reazionaria e fanatica che si

scontrò senza quartiere con il fanatismo rivoluzionario, simbolo stesso

dell’impossibilità di ogni compromesso.

4.3 Il contrasto tra girondini e giacobini

A Parigi, intanto, la vita politica era caratterizzata dalla presenza sempre più

attiva delle masse popolari. I sanculotti, senza costituire una classe omogenea o

una vera organizzazione politica, potevano però convergere almeno a breve

termine su alcuni obiettivi comuni: repressione violenta degli speculatori,

3 – LA PROCLAMAZIONE DELLA

__________________

Il processo e la condanna di Luigi XV

__________________: colpevole, ma no

morte

Giacobini:_________________________

4 – LA RIVOLUZIONE ________________

L’invasione della ____________________

e del __________________

L’entrata in guerra ___________________

La ________________________________

(la Vandea)

cause economiche:

a__________________________________

b__________________________________

c__________________________________

cause______________________________

IL CONTRASTO TRA GIRONDINI E

GIACOBINI

Page 21: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

115

controllo dei prezzi e sicurezza di un mercato di approvvigionamento non

perturbato, da un lato; democrazia diretta delle sezioni elettorali parigine, an-

che scavalcando la convenzione, dall’altro. Le loro richieste furono sostenute

soprattutto da Hébert e dai suoi seguaci, che facevano parte del club dei

cordiglieri, che con la loro leadership assicurarono al movimento dei sanculotti

una certa unità sul piano politico.

I sanculotti ottennero una prima vittoria quando i girondini furono costretti a

rinunciare al liberismo5 e la convenzione approvò un primo decreto sul

“maximum”, stabilendo i prezzi massimi consentiti per il grano. La grande

maggioranza dei convenzionali, giacobini compresi, continuò tuttavia a restare

contraria a ogni richiesta di “legge agraria”, cioè di più drastica limitazione

della proprietà privata della terra che non avrebbe fatto altro che allarmare

ulteriormente i contadini.

Un terzo aspetto dello scontro fra girondini e giacobini risultò forse ancora più

grave. Per entrambi gli schieramenti il valore della rivoluzione democratica era

fuori discussione. Ma in che modo si doveva instaurare la democrazia? In

quale contesto istituzionale la “volontà generale” poteva trovare una piena

attuazione? Fermo restando che in una nazione grande come la Francia era

indispensabile un sistema rappresentativo, come si poteva evitare che la

rappresentatività finisse per spogliare il popolo della sua sovranità? La breve

durata delle cariche, la revocabilità in ogni momento degli eletti da parte degli

elettori e il continuo controllo del popolo (dalle petizioni e proteste

all’assemblea rappresentativa alla presenza popolare alle sue riunioni) erano

5 Secondo il liberismo economico lo stato deve limitarsi a creare le condizioni perché la libera iniziativa individuale si possa

esprimere, senza intervenire a regolare in alcun modo il mercato il quale è in grado di autoregolarsi grazie alle sue leggi, tra

cui la principale è identificata nella libera concorrenza. Il liberismo, come vedremo, costituirà la teoria economica del

pensiero liberale.

IL CONTRASTO TRA GIRONDINI E GIACOBINI

A) IL PROCESSO E LA CONDANNA DI LUIGI XVI

Giacobini: __________________________________________________________

Girondini: ___________________________________________________________

B) LE RICHIESTE DEI SANCULOTTI - LA POLITICA SOCIO-ECONOMICA

il __________________ sul grano giacobini:_____________________ contrari _______________________________________________

girondini:______________________ difesa __________________________________________ liberisti

C ) LE FORME DELLA PARTECIPAZIONE

Girondini e giacobini: suffragio _______________

Giacobini: democrazia ___________________: a____________________________________________ b___________________________

c______________________________________________

_____________: democrazia_______________: a _____________________con mandato non revocabile e quindi ____________________

D – I MOTIVI POLEMICI

Giacobini: i girondini __________________________________________ Girondini: le proposte dei giacobini _______________________

E – I GRUPPI SOCIALI DI ______________________________

Girondini:______________________________________ Giacobini:______________________________________

Page 22: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

116

considerati dagli assertori della democrazia diretta come il migliore correttivo

alle degenerazioni della rappresentatività. Pur accettando il principio della

sovranità popolare, i girondini erano sospettosi nei confronti delle procedure

della democrazia diretta che avrebbero assicurato un potere particolare al po-

polo di Parigi. Fu sulla centralità o meno di Parigi che si espresse alla fine il

conflitto fra girondini e giacobini, assumendo ben presto i toni della più

esasperata denuncia, in particolare sulla questione scottante dei rapporti da

tenere con le sezioni dei sanculotti.

I girondini accusavano i giacobini di fare demagogicamente proprie le richieste

delle fazioni più avanzate dei sanculotti (fine della libertà economica,

comunismo, “legge agraria”), benché Robespierre e i suoi seguaci fossero

tutt’altro che avversari della proprietà privata. I girondini furono a loro volta

sottoposti alle accuse più improbabili di cedimenti e patteggiamenti col

nemico. Con l’inutile tentativo di salvare la vita al re, i girondini avevano

accresciuto il sospetto di una loro scarsa risolutezza a tagliare con il passato.

Ricapitolando, pur con qualche schematismo, possiamo dire che i girondini, che

erano assai legati alla grande borghesia mercantile dei porti della Francia

atlantica, pur sostenendo l’uguaglianza politica erano assai meno propensi dei

giacobini a collegarsi alle masse popolari, di cui non condividevano le richieste

volte a regolare il mercato per favorire le classi meno abbienti (come si è visto a

proposito del maximum sul grano) e le richieste di democrazia dirette. I

giacobini, anch’essi di estrazione borghese, invece erano fautori di forme di

democrazia avanzata, e, pur senza mai compiere fino in fondo il passaggio dalla

causa della democrazia politica a quella della democrazia sociale, erano

sicuramente molto più sensibili alle richieste dei sanculotti che andavano in

questa direzione; in ogni caso Robespierre si rendeva conto che senza l’appoggio

del popolo di Parigi lo spirito di resistenza richiesto dalle necessità belliche si

sarebbe presto esaurito.

4.4 La dittatura giacobina

Ecco perché quando il popolo di Parigi insorse nuovamente (31 maggio 1793)

e assaltò il 2 giugno i locali della convenzione - ripetendo quanto accaduto il

10 agosto 1792 - l’assemblea giudicò ormai inevitabile una nuova svolta che

consegnava il potere ai giacobini. Le richieste dei sanculotti furono accolte e

trentadue girondini proscritti dall’assemblea. Se la maggior parte dì essi riuscì

a sfuggire all’arresto, gli effetti della giornata del 2 giugno risultarono comunque

molto gravi. Tutte le regioni sedi dei maggiori porti, Normandia, Bretagna,

l’ovest di Nantes e Bordeaux, Provenza e Marsiglia e infine anche Lione, dove

i girondini erano più forti insorsero contro la convenzione. La nuova guerra

civile esplosa nei dipartimenti girondini si venne così ad aggiungere a quella già

LA DITTATURA GIACOBINA

(ESTATE 1793- ESTATE 1794)

L’epurazione dei _____________________

La guerra civile: _____________________

LA DITTATURA GIACOBINA

1 - _________________________________________________________________________________________________________

2 - _________________________________________________________________________________________________________

3 - _________________________________________________________________________________________________________

4 - _________________________________________________________________________________________________________

5 - _________________________________________________________________________________________________________

Page 23: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

117

in corso nella Vandea e alle disfatte militari sui fronti del Belgio e del Reno,

preannunciando un’estate sull’orlo del tracollo. Inoltre i disordini nelle

campagne avevano danneggiato il raccolto e l’aumento dei prezzi per la

caduta dell’assegnato sembrava inarrestabile.

La convenzione era stata inizialmente eletta anche per preparare una nuova

costituzione e il testo approvato alla fine di giugno risultò assai più democratico di

quello del 17916. Ma le condizioni dell’estate 1793 spingevano piuttosto verso

una dittatura rivoluzionaria, cosicché l’applicazione del nuovo assetto

costituzionale fu sospesa fino a tempi migliori.

Il principale strumento di questa dittatura fu il Comitato di salute pubblica,

costituito già dal mese di aprile all’interno della convenzione, e di cui aveva

fatto parte per i primi mesi anche Danton. Alla fine di luglio ne fece parte anche

Robespierre e, poiché Marat era stato assassinato tre settimane prima da una

monarchica per vendicare l’esecuzione di Luigi XVI e Danton cominciava a

prendere le distanze dalla politica della convenzione, fu Robespierre ad

assumere il ruolo di capo assoluto della rivoluzione, piegando sempre più, nei

dodici mesi seguenti, verso la dittatura personale.

Le misure prese nei mesi di luglio e agosto dal comitato di salute pubblica si

rivelarono subito decisive. I contadini furono maggiormente legati alle sorti

della rivoluzione con la completa abolizione del riscatto dei diritti feudali: i titoli

signorili, anche se esistevano, dovevano essere ormai dati alle fiamme. Nello stesso

senso agiva la vendita a piccoli lotti dei beni nazionali, divenuti più consistenti

con le confische effettuate contro le terre appartenute agli emigrati. A vantaggio

delle classi popolari urbane furono poi stabilite pene gravissime per chi speculava

sugli assegnati o per gli accaparratori di grano.

Dopo una nuova sollevazione dei sanculotti parigini fu infine emanato (11

settembre) il primo di un nuovo gruppo di decreti sul “maximum” che si

estendeva ora a tutti i beni e anche ai salari. Questi venivano maggiorati del 50

per cento rispetto al 1790, mentre l’aumento riconosciuto del prezzo del pane fu solo

del 30 per cento. In realtà il prezzo del pane era triplicato in tre anni e la vendita

del pane al mercato nero fu assai più attiva di quella del pane calmierato. Allo

stesso tempo si organizzò un esercito di massa del tutto nuovo, democratico nelle

forme e nella sostanza, capace di far fare rapida carriera ai giovani.

Probabilmente questi aspetti più “pratici” dell’attività di governo nel periodo del

comitato di salute pubblica non sarebbero risultati così efficaci se non fossero

stati accompagnati dalla prospettiva di un’utopia sociale. Utopia sociale che

prese le forme dell’egualitarismo o delle dottrine, che derivavano in parte da

Rousseau, contrarie al lusso corruttore o agli abissi fra ricchezza e povertà.

Infatti Robespierre e gli altri esponenti più radicali del comitato, Saint-Just e

Couthon, attaccarono la proprietà privata come fonte di disuguaglianza e

disgregazione sociale e posero forti limiti a essa e alla libertà del mercato; anche

se il loro ideale restò sempre quello di una società fondata sulla piccola

proprietà privata.

L’altra forma dell’utopia sociale si espresse nel tentativo di sostituire un nuovo

sistema di valori a quello del passato, soprattutto in fatto di religione. Il

nuovo calendario, che faceva decorrere l’inizio della nuova era dal 22

settembre 1792, volle sostituire il tempo rivoluzionario a quello cristiano e la

ragione alla superstizione; i suoi mesi di 30 giorni e senza domeniche, dai

nomi tratti dal succedersi delle stagioni e dei lavori agricoli, auspicavano una

nuova sacralità che partisse da una concezione laica.

Il terrore verso i nemici veri o solo sospetti della repubblica fu l’altra faccia

della guerra rivoluzionaria e dell’utopia. Migliaia furono gli arrestati a Parigi e

A – LA COSTITUZIONE DEL ____________

Diritti politici: _______________________

Diritti ___________________________:

______________________,____________

_______________, ___________________

B – LA DITTATURA ____________________

DI _____________________

il comitato di ______________________

C – LA POLITICA _____________________

1 _________________________________

___________________________________

2__________________________________

3_________________________________

4 _________________________________

D – L’UTOPIA SOCIALE

1-L’egualitarismo:

attacchi a _______________, ___________

Ideale sociale:_

____________________________

___________________________________

2 - ________________________________

E – IL TERRORE E IL GRANDE ____________

6 La nuova costituzione, oltre ad affermare il principio dell’uguaglianza politica e quindi del suffragio universale, allargava i

diritti politici fino a comprendervi il diritto all’insurrezione e proclamava importanti diritti sociali, quali il diritto alla

sussistenza, al lavoro e all’istruzione.

Page 24: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

118

una cifra decine di volte superiore in tutta la Francia, mentre i tribunali

rivoluzionari facevano lavorare senza posa la ghigliottina. Nei quattordici mesi

seguenti alla giornata del 2 giugno accanto a esponenti di classi e ceti

controrivoluzionari caddero anche i deputati girondini a cominciare da Brissot.

Nell’intera Francia le condanne capitali furono almeno 17.000, alle quali

bisogna aggiungere gli uccisi in azioni di guerra o repressione nelle regioni

teatro di sollevamenti contro la convenzione. Il terrore nelle province ribelli

fu in effetti assai più cieco e spietato di quello esercitato a Parigi. A Nantes,

per citare un solo esempio, il commissario inviato dalla convenzione fece

annegare nella Loira tremila persone.

Nella primavera del 1794 in un moto irresistibile di autodistruzione, il terrore

venne utilizzato come strumento della lotta politica interna allo stesso Comitato di

salute pubblica. In una dura lotta intrapresa dal gruppo dirigente robespierrista (lotta

politica, ma risolta con la ghigliottina) furono dapprima arrestati, processati e giustiziati

gli hébertisti. (14 marzo). La stessa sorte toccò poco dopo (5 aprile) ai cosiddetti

indulgenti, capeggiati da Danton, da tempo favorevoli a una politica meno

intransigente all’interno e all’estero. L’eliminazione delle «fazioni» di sinistra e di

destra ridusse la base politica e popolare del consenso, ma da arma di difesa, il

terrore si era ormai trasformato in una trappola, in un meccanismo cieco che non

poteva più essere fermato e la possibilità di una terza forza fra i montagnardi7 e la

controrivoluzione si era ormai ridotta al minimo.

Quando con la spietata legge del 22 pratile (10 giugno 1794) iniziò la fase del

grande terrore, le ragioni della dittatura rivoluzionaria erano già venute meno.

Infatti, la situazione militare era migliorata sia sul fronte della guerra civile ( la

rivolta vandeana venne schiacciata nel novembre 1793 e la rivolta nelle città

girondine si esaurì nel 1794) sia su quello della guerra esterna (riconquista del

Belgio). Al contrario le continue requisizioni ai danni dei contadini e l’erosione

dell’assegnato (universalmente rifiutato nelle campagne) avevano vanificato gli

intelligenti provvedimenti dell’anno precedente e anche il “maximum” era

lontano dal soddisfare le masse urbane. I prezzi previsti dal “maximum”

ebbero poco a che fare con quelli praticati al mercato nero, mentre il governo

non era disposto a ritoccare verso l’alto i salari e neppure a tollerare il ripetersi

di “giornate” popolari quali si erano viste l’ultima volta nel settembre 1793. In

tutta la Francia cresceva per questi motivi un’opinione pubblica sempre più

sfavorevole a Robespierre. Il 27 luglio 1794 (9 termidoro) dalla convenzione e

dallo stesso comitato di salute pubblica partì un colpo di stato che condusse al-

l’arresto di Robespierre, Saint-Just, Couthon e molti altri montagnardi: essi

vennero tutti ghigliottinati, il giorno successivo, in mezzo all’indifferenza o

all’approvazione del popolo di Parigi.

1 -contro i _______________________ e

__________________________________

2 – come lotta politica interna al ________

_________________________________:

l’___________________ del ceto dirigente

rivoluzionario

a) l’eliminazione dei seguaci di _________

___________ (sinistra)

b) l’eliminazione dei seguaci di _________

________ (________________________)

c) l’eliminazione di Robespierre (vedi

sotto)

3 – Il Grande terrore: _________________

__________________________________

La rottura con _______________________

______________________

c L’eliminazione di ___________________

(luglio- termidoro – 1794)

7 Così erano chiamati i deputati giacobini e del club dei cordiglieri che sedevano in alto a sinistra nella convenzione.

IL RITORNO DELL’EGEMONIA BORGHESE E LA STABILIZZAZIONE POLITICA

1 - _________________________________________________________________________________________________________

2 - _________________________________________________________________________________________________________

Page 25: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

119

5 - 1794-99: IL RITORNO DELL’EGEMONIA BORGHESE E LA

STABILIZZAZIONE POLITICA

5.1 Lo smantellamento dello stato giacobino

5.2 Il governo del Direttorio e la ricerca della stabilità politica

5.1 Lo smantellamento dello stato giacobino

La caduta di Robespierre non segnò la fine della rivoluzione, ma l’inizio di una nuova

fase caratterizzata, all’interno, da faticosi tentativi di stabilizzazione volti a

garantire la sopravvivenza del ceto politico rivoluzionario, all’esterno,

dall’espansione francese in Europa.

La congiura del 9 termidoro riconsegnò la maggioranza e il potere nella convenzione

a quella “pianura” che aveva dato il suo tacito assenso al terrore cercando di venirne

coinvolta il meno possibile; ma, un ruolo di primo piano nella caduta di

Robespierre fu svolto dallo stesso comitato di salute pubblica e in particolare da

Lazare Carnot, uno dei maggiori artefici delle vittorie delle armate rivoluzionarie.

Molti dei termidoriani8 erano stati comunque parte attiva nel periodo di dittatura e il

nuovo gruppo dirigente si venne subito a trovare in una situazione molto difficile:

esso doveva procedere allo smantellamento del terrore, liberando i prigionieri

politici e restituendo la libertà di culto alla Chiesa cattolica, oltre che abolendo il

controllo sui prezzi e riconducendo il mercato alla libertà e alla normalità; allo

stesso tempo, però, esso doveva fronteggiare il ritorno delle forze

controrivoluzionarie e dimostrare nei fatti di non essere affatto disposto a

rimettere in questione le conquiste essenziali degli anni precedenti, in

particolare il sequestro delle terre del clero e degli aristocratici.

A breve termine, comunque, le prime scelte andarono tutte nella direzione

antigiacobina. Si procedette alla reintegrazione dei girondini superstiti nella

convenzione, all’epurazione dei sanculotti dalle sezioni elettorali parigine e alla

chiusura di molte sedi giacobine. Le condanne a morte cominciarono a colpire i

responsabili del terrore, mentre un vero controterrore si scatenava nella capitale e

più ancora nelle altre città contro i giacobini. Finita l’epoca della virtù

repubblicana e dell’egualitarismo radicale, a Parigi tornò a comparire la vita di società

e la ricchezza non ebbe più timore o vergogna di presentarsi in pubblico,

anche se la sua origine, spesso recente, derivava dagli illeciti profitti realizzati

sulle forniture militari o sulle speculazioni legate al vettovagliamento urbano.

Contro il movimento popolare le sue organizzazioni si scatenò la jeunesse dorée

(«gioventù dorata») monarchica e alto-borghese: protetta e tollerata dai

moderati della Convenzione, fu protagonista di sanguinose caccie al giacobino

e al sanculotto.

Contro la cancellazione del maximum e la successiva nuova impennata del-

l’inflazione si mobilitarono nuovamente i sanculotti parigini ma, indeboliti dal-

l’abolizione della struttura organizzativa delle sezioni (disposta durante il Terrore) e

privi di una guida politica, furono facilmente sconfitti (aprile e maggio ‘95). La

repressione fu affidata all’esercito che, per la prima volta dall’inizio della

rivoluzione, marciò sui quartieri popolari e disarmò i sanculotti.

Compiuta l’opera di eliminazione della legislazione eccezionale dell’anno

precedente e di ritorno alla normalità nella vita religiosa e sociale, la

convenzione si trovò di fronte due problemi principali da risolvere: la fine

della guerra ancora in corso e la creazione di nuove istituzioni politiche che

1794-99: IL RITORNO DELL’EGEMONIA

BORGHESE E LA STABILIZZAZIONE POLITICA

A - LO SMANTELLAMENTO DELLO STATO

GIACOBINO

la ricerca della _____________________

per salvare _________________________

IL GOVERNO TERMIDORIANO

(L. CARNOT)

Le priorità:

a __________________________________

b__________________________________

c__________________________________

d__________________________________

1 – LA POLITICA _____________________

La riabilitazione dei _________________

La repressione dei ____________________

e __________________

La repressione delle __________________

L’intervento dell’_____________________

8 Il termine “termidoriano” indica il gruppo che prese il potere dopo l’eliminazione di Robespierre avvenuto nel mese di

luglio che il nuovo calendario repubblicano indicava come Termidoro.

Page 26: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

120

diedero l’avvio a un regime politico apertamente antidemocratico

La costituzione montagnarda del giugno 1793 sembrò troppo democratica e,

dall’aprile 1795, la Convenzione si dedicò all’elaborazione di un nuovo testo

costituzionale che doveva conferire stabilità al nuovo assetto politico borghese della

Francia. La Costituzione dell’anno III (1795) riprese in molti punti quella del ‘91

risultando, anzi, per certi aspetti più conservatrice come rileva il carattere

maggiormente censitario del sistema elettorale. Il potere esecutivo fu affidato a un

Direttorio di 5 membri, nominato dal parlamento e che a sua volta nominava i ministri.

Anche alla Costituzione del ‘95 fu premessa una Dichiarazione dei diritti, arricchita

questa volta da un elenco di doveri, di contenuto evangelico e moraleggiante. Fra i

doveri, particolarmente significativo fu quello relativo alla giustificazione del

principio di proprietà: «È sul mantenimento della proprietà che riposano la

coltivazione delle terre, tutte le produzioni, ogni mezzo di lavoro, e tutto l’ordine

sociale» (art. 8). I membri della Convenzione affermarono nel disegno costituzionale

che la Francia doveva essere governata dai «migliori», dai «più istruiti e dai più

interessati al mantenimento delle leggi», ossia da quanti «possedevano una

proprietà». Quella del ‘95 fu dunque una costituzione consapevolmente anti-

democratica e attentissima ad evitare i rischi di una dittatura.

Negli stessi mesi si riaffacciò pericolosamente la minaccia monarchica con uno sbarco

di emigrati in Bretagna e con l’organizzazione a Parigi di un’insurrezione realista.

Nell’ottobre del 1795 truppe governative, comandate fra gli altri da Napoleone

Bonaparte, repressero a cannonate la sommossa.

5.2 Il governo del Direttorio e la ricerca della stabilità politica

A conferma del debole radicamento delle istituzioni rivoluzionarie e

repubblicane nel paese, le successive elezioni videro il successo di un gran numero

di rappresentanti moderati o nascostamente monarchici. I repubblicani

conservarono la maggioranza solo grazie all’emendamento che obbligava alla

rielezione dei 2/3 dei vecchi deputati, costituiti dunque da ex convenzionali

regicidi. Ugualmente composto di ex convenzionali regicidi risultò il primo

direttorio, che includeva fra gli altri Carnot e Barras. Il nuovo regime continuò

dunque a restare prigioniero del proprio passato rivoluzionario. Ciò voleva dire

che per quanto il sistema direttoriale si orientasse su scelte moderate, i monarchici

avrebbero sempre continuato a considerarlo un nemico con cui il compromesso

era impossibile e, poiché i termidoriani avevano abbandonato i giacobini alle

vendette della destra risorta e le forze popolari al dramma dell’inflazione e alle

manovre degli speculatori, era facile prevedere che il margine di manovra del

governo si sarebbe fatto via via più ristretto.

Nell’inverno 1795-96 il paese si trovò nel pieno del disastro economico, travolto

dall’inflazione; il commercio estero era annientato, porti e manifatture erano

inattivi; il raccolto fu peggiore dell’anno prima, l’inverno vide la comparsa di

malattie infettive.

Esistevano dunque tutte le condizioni perché il popolo di Parigi tornasse a

insorgere. Dopo il fallito colpo di stato dei monarchici il direttorio favorì la

riapertura di club popolari, per servirsene all’occorrenza come una minaccia

contro la destra. Fra gli esponenti di questo nuovo sanculottismo emerse la figura

di Babeuf. Babeuf era stato in passato vicino al gruppo di Hébert e aveva avver-

sato la dittatura di Robespierre, considerando anzi una svolta positiva la

congiura del termidoro. Venute ormai meno le ragioni di dissenso fra i superstiti

seguaci di Robespierre, Marat o Hébert, nei mesi peggiori della crisi economica si

riformò in segreto un partito giacobino. Fra il vecchio giacobinismo e il gruppo di

Babeuf c’era però una differenza sostanziale: sul tronco comune della

democrazia radicale si aggiunse l’elemento del comunismo economico, estraneo

2 – LA COSTITUZIONE DEL ________

a) sistema elettorale: __________________

_________________________________

b) Direttorio(5 membri): _______________

_________________________________

3 ____________________________

4 _____________________________

Bonaparte e ________________________

__________________________

B - IL GOVERNO DEL DIRETTORIO

E LA RICERCA DELLA STABILITÀ POLITICA

(CARNOT E BARRAS)

La sopravvivenza ____________________

___________________:

il meccanismo _______________________

LA RIPRESA DEI ______________________

La congiura ________________

(Babeuf)

Il nuovo giacobinismo:

1_______________________________ +

_______________________________

Page 27: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

121

non solo a Robespierre ma allo stesso Hérbet. Ma più ancora che per il suo

comunismo, Babeuf fu innovatore nella pratica del vecchio giacobinismo,

sostituendo la “giornata” popolare spontanea con l’insurrezione preparata

accuratamente da un piccolo gruppo. La polizia del direttorio sventò comunque

quella che verrà poi conosciuta come “congiura degli eguali”, arrestando nel

maggio del 1796 Babeuf e i suoi compagni che verranno tutti condannati a

morte un anno dopo.

L’evento che determinò la futura evoluzione della Francia fu la decisione del

direttorio di riprendere in grande stile la guerra sin dalla primavera del 1796. La

guerra poteva far risorgere il nazionalismo repubblicano e rafforzare politica-

mente il direttorio, ma più ancora doveva condurre a delle annessioni

territoriali e a scaricare su altri popoli le difficoltà finanziarie della Francia. La

guerra finì, però, per far assumere ai generali dell’esercito un ruolo sempre più

politico.

La guerra era diretta contro l’Austria dopo che fra l’aprile e il luglio 1795 erano

stati firmati i trattati di pace con la Prussia e l’Olanda. Contrariamente ai piani

elaborati dal direttorio fu il generale Bonaparte9, a cui era stato affidato il compito

di trattenere nell’Italia padana una parte delle truppe austriache, a penetrare in

Italia e a giungere a soli 100 km da Vienna, costringendo l’imperatore austriaco ad

accettare i termini dell’armistizio.

Bonaparte aveva deciso autonomamente il contenuto dell’armistizio di aprile,

che anticipava in gran parte la successiva pace di Campoformio. Contro la

politica del direttorio aveva tolto all’Austria la Lombardia invece di insistere per

l’annessione di tutta la Renania: più tardi, in ottobre, egli scavalcò di nuovo

le istruzioni del direttorio, contrario alla cessione del Veneto.

La campagna d’Italia dimostrò dunque che l’esercito francese era diventato

una forza politica autonoma e che un generale come Bonaparte poteva ora usare

il prestigio, che gli derivava dai successi militari, per prendere decisioni sovra-

ne in fatto di diplomazia e assetto istituzionale di territori conquistati.

Bonaparte pose così la sua personale politica italiana davanti a quella renana

difesa dal direttorio.

Il partito termidoriano, d’altra parte, si trovò di nuovo a far fronte all’iniziativa

della destra monarchica. Nell’aprile 1797 si erano svolte le elezioni per il primo

rinnovo di 1/3 dei consigli. Al posto dei deputati uscenti, che secondo le

procedure previste dovevano essere metà degli ex convenzionali, il corpo

elettorale mandò in massima parte dei monarchici. I due consigli si trovarono

così ad avere quasi perduta la maggioranza repubblicana. I presidenti eletti

dalle due assemblee risultarono entrambi fautori del ritorno a una monarchia

costituzionale. Anche il direttorio vide il rinnovo di uno dei suoi membri, con

l’ingresso di un monarchico che venne ad appoggiare il sempre più marcato

spostamento a destra di Carnot, preoccupato più del neogiacobinismo che dei

realisti.

Barras e gli altri due direttori repubblicani si trovarono allora isolati di fronte

ai provvedimenti che il nuovo parlamento cominciava a prendere a favore

degli emigrati e del clero refrattario. Un colpo di stato militare risolse la crisi.

Bonaparte mandò a Parigi una parte delle sue truppe; i leader della destra

furono arrestati (ma Carnot riuscì a fuggire); nei dipartimenti che avevano

visto la vittoria di deputati controrivoluzionari le elezioni vennero annullate e

177 degli eletti di aprile furono dichiarati decaduti.

Il colpo di stato del 4 settembre 1797 (18 fruttidoro, secondo il calendario

repubblicano) rimise il potere in mano ai termidoriani di Barras, ma confermò i

militari, come Bonaparte, nel loro ruolo politico. Se il regime del direttorio

2 la sostituzione delle giornate popolari

con ____________________

La ripresa della guerra e il ruolo_________

dell’___________________

BONAPARTE E LA CAMPAGNA

_____________________

L’armistizio e il _____________________

I COLPO _________________

1797

Il ritorno dei ________________________

L’intervento _______________________

9 Napoleone Bonaparte, nato in Corsica nel 1769 - quando da poco l’isola era stata venduta alla Francia dalla repubblica di

Genova - era uno dei molti ufficiali usciti dall'esercito rivoluzionario del 1793; il comando dell'armata italiana

rappresentava una ricompensa per la parte di primo piano svolta sei mesi prima nella repressione dell'insurrezione

monarchica.

Page 28: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

122

non fosse stato in grado di durare con le proprie forze, la dittatura dei generali

sarebbe stato il so1o modo per salvare la repubblica dal ritorno dei monarchici.

Lo sfaldamento del regime direttoriale francese condusse infatti all’impero

napoleonico.

Il secondo rinnovo parziale dei corpi legislativi (aprile 1798) registrò uno

spostamento, questa volta a sinistra, del corpo elettorale, ma il governo annullò

con un nuovo colpo di stato (11 maggio 1798) l’elezione di 101 deputati

giacobini. Le gravi sconfitte militari del 1798-99 fecero tuttavia rinascere il

giacobinismo nazionalista e rivoluzionario, allarmando sempre più il governo

direttoriale. Al momento del terzo rinnovo dei corpi legislativi (aprile 1799) il

direttorio usò tutti i suoi poteri per influenzare gli elettori, ma una buona metà dei

nuovi eletti risultarono filogiacobini. Benché fossero ancora in maggioranza termi-

doriani, i due consigli decisero questa volta di opporsi alle illegalità del

direttorio, del quale era nel frattempo entrato a far parte uno dei protagonisti del

1789 Sieyès che divenne l’uomo forte del direttorio, nonchè convinto fautore di un

colpo di stato militare che rafforzasse il potere esecutivo modificando la

costituzione. D’altra parte la borghesia francese, tornata ad essere la classe

sociale di riferimento del gruppo al potere, aveva dimostrato negli anni

precedenti di non volerne sapere né di restaurazione monarchica né di

democrazia giacobina.

Napoleone Bonaparte, tornato in Francia nell’ottobre del 1799, abbandonando

la sua armata egiziana, finì per diventare il punto di riferimento di chi voleva il

colpo di stato militare. Il 9 novembre 1799 (18 brumaio dell’anno VIII

repubblicano) il corso, nominato comandante della guarnigione militare di

Parigi, sciolse con le baionette dei suoi soldati i due consigli legislativi,

ponendo fine alla costituzione del 1795. II giorno successivo, 10 novembre, una

commissione consolare formata da Sieyès, Bonaparte e Pierre-Roger Ducos

assunse i pieni poteri e cominciò a preparare una nuova costituzione.

Cinque settimane dopo il colpo di stato era già pronta una costituzione, in

essa Sieyès profuse la sua inventiva nei più complicati congegni istituzionali

ancor più che nella sua collaborazione ai testi del 1790-91 e del 1795. Il nuovo

assetto istituzionale legittimava la dittatura militare, pur limitata dai poteri di tre

diversi consigli nei quali la presenza di notabili borghesi era assicurata con

larghezza da meccanismi di cooptazione: questi toglievano significato alla conces-

sione del suffragio universale. La vera novità fu rappresentata piuttosto dal fatto

che Napoleone Bonaparte non accettò la parte di comprimario, ma pretese per

sé un forte potere personale; il sistema dei tre consoli restò in vigore, ma egli si

assunse il titolo di primo console e venne affiancato da due figure di secondo

piano che sostituirono Sieyès e Ducos.

6 - 1799-1813: IL REGIME NAPOLEONICO

6.1 Le basi sociali dello stato napoleonico

6.2 Lo stato napoleonico

6.3 Le guerre e l’Europa napoleonica

6.1 Le basi sociali dello stato napoleonico

Il ricorso a un colpo di stato militare non deve essere interpretato come la fine

della rivoluzione o della repubblica. Il processo rivoluzionario si era già

chiuso con il governo del termidoro, ma ciò non significò la rinuncia della

II COLPO ________________

1798

Il ritorno dei ________________________

Il ritorno di _____________

III COLPO _______________

1799

La presa del _______________di

_____________________

i tre consoli

La costituzione del ___________

I Consigli dei notabili borghesi e il

_______________________________

Bonaprte _______________

1799-1813: IL REGIME NAPOLEONICO

LE BASI SOCIALI DELLO STATO NAPOLEONICO

Page 29: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

123

borghesia all’opera di consolidamento della sua rivoluzione, che perciò

continuò, sia pure fra molte incertezze e difficoltà, anche dopo il luglio del

1794.

Il consenso della borghesia al regime napoleonico era dovuto al fatto che esso

oltre ad offrire un regime forte e stabile costituiva comunque un governo

rispettoso di alcune delle principali conquiste rivoluzionarie, quali l’uguaglianza

dei cittadini di fronte alla legge, la soppressione dei privilegi e dei vincoli feudali, la

libertà d’impresa, la laicità dello Stato, i diritti politici fondati sulla proprietà privata.

L’ideale politico cui Napoleone si ispira non era però quello democratico della re-

pubblica fondata sulla sovranità popolare, ma quello del despota illuminato che

diffida dell’iniziativa popolare e si serve dell’autorità assoluta per riformare lo

Stato.

Il successo di Napoleone Bonaparte aveva alle sue spalle, oltre all’appoggio della

borghesia, anche quello di un altro gruppo sociale: l’esercito. Dei dieci anni fra

1’89 il ‘99 sette erano stati anni di guerra. Dal momento in cui il popolo francese

si era identificato con la nazione in armi e questa identificazione era divenuta uno degli

elementi portanti della mobilitazione politica, il controllo dell’esercito e delle sue

possibilità di vittoria divenne la fonte principale del potere e la garanzia di una

stabilizzazione delle conquiste rivoluzionarie. Per questo Napoleone

rimarrà indissolubilmente legato ai successi militari e alla necessità di rinnovarli. Ma

proprio il dominio francese sull’Europa susciterà per contrasto l’emergere di forze

nazionali che decideranno il crollo dell’impero napoleonico.

Tranne un generale, tutti gli alti ufficiali dell’esercito francese restarono fedeli

alla repubblica, cui dovevano la propria carriera militare: erano consapevoli che

difficilmente avrebbero conservato il posto in caso di restaurazione della

dinastia borbonica. La vera base del potere militare - e in ultima analisi anche

politico - dei generali era, d’altra parte, non il direttorio ma l’esercito stesso; e

in esso si trasferirono le energie giacobine e nazionaliste-rivoluzionarie. Le

truppe che avevano creato intorno alla Francia la cintura delle repubbliche

satelliti non vedevano grande incompatibilità fra il saccheggio imposto agli

italiani e ai belgi e l’esportazione dello spirito della rivoluzione; esse rappre-

sentarono quindi un elemento di continuità in mezzo agli ondeggiamenti fra

destra e sinistra del direttorio.

6.2 Lo stato napoleonico

Poiché Napoleone era stato portato al potere anche dalle sconfitte militari del

direttorio, il suo primo problema fu di condurre a termine la guerra contro la

coalizione antifrancese. Favorito dall’abbandono della Russia, a causa dei

contrasti con l’Inghilterra, Napoleone sconfisse l’Austria (1800), ridando vita in

Italia alla Repubblica cisalpina includendovi il Piemonte e il Veneto; infine, nel

1802, firmò la pace anche con l’Inghilterra.

Da quest’ultima fase della guerra il potere personale di Napoleone uscì

notevolmente rafforzato e la dittatura poté ora assumere una forma più stabile.

La proposta di prolungare per dieci anni il suo titolo di primo console venne

facilmente trasformata in una nuova riforma istituzionale: Napoleone ottenne il

consolato a vita e una nuova costituzione (la quinta a partire da quella del 1791)

entrò in vigore nell’estate del 1802. I tre organi legislativi istituiti nel 1799

persero ogni apparenza di democrazia perché Napoleone nominava

personalmente i senatori; i deputati delle altre due camere del parlamento erano

eletti da un gruppo di notabili assai ristretto.

La legittimità del potere di Napoleone non dipese più da elezioni politiche, ma

dal sistema demagogico dei grandi plebisciti messi in atto già all’indomani del

18 brumaio: in questi casi il suffragio universale era la regola e l’elettorato,

A – _____________________________

B - _____________________________

Il ___________________ dell’esercito

La fedeltà al regime degli ______________

___________________________________

LO STATO NAPOLEONICO

Le vittorie contro ____________________

___________________________________

Il _________________________ a vita

La _________________________ del 1802

Elezioni a ________________________ +

___________________ diretta dei senatori

I _________________________

Page 30: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

124

messo di fronte a una semplice scelta senza prospettive fra un sì e un no,

rinnovò più volte la sua fiducia passiva nel primo console. In una democrazia

paralizzata la forza del numero cessò di essere pericolosa e fu messa al servizio

della dittatura, anche ammesso che i risultati delle votazioni non fossero truccati. Il

plebiscito sul consolato a vita vide appena poco più di 8.000 voti contrari su un

corpo votante di tre milioni e mezzo di elettori; il peso dei voti positivi mise in ombra

il fatto che gli astenuti fossero stati più di tre milioni.

Prima ancora di ottenere l’investitura a vita Napoleone aveva cominciato a

riorganizzare e stabilizzare tutte le istituzioni francesi. L’elemento che

maggiormente colpisce in quest’opera di riforma legislativa e amministrativa è

indubbiamente la creazione di un forte apparato burocratico, conservatore nei

suoi indirizzi politici ma dotato di una grande competenza tecnica e

professionale. Se Napoleone era stato portato al potere dalle sue qualità di

generale, egli vi restò per quindici anni, scavalcando e mettendo in ombra i

congiurati del 18 brumaio come Sieyès, per le sue qualità di uomo politico, in

grado di proporre un modello di società e di stato capace di rassicurare le classi

possidenti e conservare l’essenziale della rivoluzione borghese: la grande

dislocazione della proprietà terriera avvenuta fra il 1790 e il 1795 e l’unificazione

economica e giuridica della Francia. Il governo di Napoleone mise

definitivamente fuori gioco le forze democratiche, ma non poté cancellare

l’origine rivoluzionaria del regime. La sovranità della nazione francese, af-

fermata una volta per tutte nella fase eversiva della rivoluzione, ora poteva

continuare a esistere solo passivamente, essendo stata delegata a un’autorità

centrale che sembrava incarnare e far rinascere i principi settecenteschi del

dispotismo illuminato. Da questo punto di vista si può dire che Napoleone espresse

nel modo più diretto le idee politiche del XVIII secolo: un razionalismo

riformista che badò più all’efficienza che alla partecipazione popolare; che giudicò

realisticamente più attuali le esigenze dell’ordine che le prospettive ancora

lontane della democrazia; che non vide incompatibilità assoluta fra sovranità

nazionale e paternalismo autoritario; che contrappose piuttosto nettamente l’élite

intellettuale ed economica al popolo; che supplì con la bontà razionale del go-

verno dall’alto alla ristrettezza della classe politica.

La rivoluzione ruppe con la tradizione dell’assolutismo accentratore liberando

tutte le forze delle autonomie locali e rischiò di essere travolta

dall’insurrezione dei dipartimenti filogirondini nell’estate del 1793. Lo stato

napoleonico venne fondato sull’onnipotenza del ministro degli interni, che

rispondeva esclusivamente al primo console e che agiva nei dipartimenti

attraverso il potere dei prefetti, vertici dell’amministrazione provinciale e titolari

del potere di polizia. I prefetti, creati da una legge del febbraio 1800 destinata a

sopravvivere al regime bonapartista, costituivano evidentemente una riedizione

degli intendenti dell’antico assolutismo monarchico; il loro ruolo decisivo

permette oggi di affermare che il risultato effettivo della rivoluzione consistette

nell’assicurare la continuità dell’assolutismo, divenuto ora più efficiente,

razionale e impersonale. Come lo stato di Luigi XIV, anche quello di Napoleone

eserciterà un’influenza decisiva sull’evoluzione dell’intera Europa

continentale, ponendosi come modello da imitare. Sparirono in questo sistema

ogni autorità locale e l’elettività dei sindaci, nominati direttamente dal prefetto

nei comuni più piccoli e dal console in quelli più grandi. Parigi divenne il centro

di una struttura burocratica rigida e verticista. Sparirono allo stesso modo le

elezioni popolari dei giudici, la cui nomina spettava ora al governo.

La possibilità di durare e di riprodursi della burocrazia centralizzata dipendeva

dall’efficienza di un sistema educativo che preparasse continuamente futuri

amministratori disposti a una fedeltà assoluta allo stato. Più che della scuola

popolare, perciò, lo stato napoleonico si interessò dei licei e delle università,

proponendo anche qui un sistema educativo centralizzato e uniforme, che aveva

lo scopo di legare al regime i figli delle élite intellettuali ed economiche; accanto

LA RIORGANIZZAZIONE ________________

____________________________

1- creazioni di un ___________________

_________ conservatore ma ____________

Il razionalismo ___________________:

Napoleone ________________________

A – dal decentramento all’______________

______________________

Primo _________________ Ministro

______________ ________________

Amministrazioni _____________

______________

La continuità ______________________:

prefetti = ____________________

B - la riforma _______________________

sistema _________________ centralizzato

e ________________________________

cultura classica + ____________________

_____________ + università preparare

Page 31: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

125

ai modelli culturali neoclassici – con i loro valori di ordine, simmetria e dignità

- la scuola francese dette un largo posto alla scienza e alla tecnica, pensando alla

formazione di una futura classe dirigente di ingegneri, giuristi, amministratori. Al

termine di un’evoluzione durata parecchi secoli e ostacolata dalla venalità delle

cariche e dalla concezione ai privati delle funzioni pubbliche, condivisa sia

dalla nobiltà di spada sia da quella togata, lo stato divenne un valore oggettivo,

un fine in sé, con 1a sua efficienza e la sua razionalità.

Avendo rifiutato la matrice e il fondamento democratico-giacobino, lo stato

napoleonico non poté evitare di assumere connotazioni classiste. Prendiamo

il caso della finanza pubblica. La rivoluzione aveva abolito tutte le imposte di

consumo, che colpiscono i contribuenti senza considerazione per le loro diverse

condizioni economiche; Napoleone reintrodusse già dal 1802 le imposte sul

sale, sul tabacco e su altri generi di largo consumo. E se è vero che il catasto

fondiario assicurò una ripartizione equa delle imposte dirette, esse nel 1813

costituivano ormai meno di 1/4 del totale delle entrate. Il buon funzionamento

del sistema fiscale va poi collegato con la riuscita opera di stabilizzazione

monetaria. L’enorme massa di moneta cartacea stampata negli anni precedenti

venne via via ritirata dalla circolazione e sostituita dal franco. La stabilità

monetaria era un elemento essenziale per mantenere la fiducia dei ceti

proprietari: la Francia ebbe a partire dal 1800 la prima banca di stato della sua

storia, con il potere di emettere cartamoneta e con la funzione di liberare la

finanza pubblica dalla dipendenza verso i banchieri privati. Per le tasse - la cui

raccolta fu centralizzata e resa più efficiente - furono eliminati gli appalti con tutte

le forme di speculazione tradizionale che erano connesse a questo sistema. Era

anche un modo per indicare alla borghesia francese una direzione di investimenti

più moderna che non quella delle rendite sul debito pubblicò.

Se lo stato napoleonico era nato per assicurare l’efficienza amministrativa e la

fiducia economica, esso doveva anche procedere speditamente verso la pace

sociale, chiudendo definitivamente il capitolo del terrore; e questo aveva effettiva-

mente rischiato di riaprirsi nel 1798-99. Tutti gli ex nobili non avevano più

cittadinanza, mentre la legislazione contro i preti refrattari era tornata in vigore.

Inoltre, la repressione del brigantaggio, in Vandea e negli altri dipartimenti

dell’ovest, riassunse toni di forte crudezza nei confronti della popolazione

civile. In pochi mesi Napoleone riuscì a eliminare le bande ribelli della Vandea,

ma già a partire dal 1801 egli offrì ai controrivoluzionari la possibilità di

riappacificarsi con il nuovo regime, purché fossero disposti a giurargli fedeltà. Gli

emigrati (oltre 140.000) ripresero allora, a partire da La Fayette, a rientrare in

Francia.

Nello stesso anno fu concluso con papa Pio VII (1800-23) un concordato che pose

fine allo scisma religioso e alle persecuzioni del clero “refrattario”. Il

predecessore di Pio VII, Pio VI (1775-99), si era visto togliere nel 1797 le

province della Romagna; due anni dopo venne deportato in Francia dalle

truppe repubblicane e morì poco dopo a Valence. Il concordato del 1801 fu

quindi firmato dopo il momento drammatico che aveva visto praticamente

abolito il potere temporale della Chiesa. Tutti i vescovi, sia quelli della “Chiesa

costituzionale” sia quelli refrattari, vennero dichiarati decaduti e l’intero corpo

vescovile fu rinnovato. Abolita la costituzione civile del clero, si rafforzò il

carattere laico dello stato francese: il cattolicesimo, infatti, non divenne religione

di stato e neppure “dominante”; ma solo “religione della maggioranza dei

francesi” (l’ulteriore formula “religione de1 primo console” ebbe solo un

carattere diplomatico). Alcuni elementi del vecchio giurisdizionalismo

restarono in vigore, perché il primo console designava i vescovi, successivamente

consacrati dal papa.

Le forme assunte da questa offerta di pacificazione agli emigrati e alla Chiesa

non incontrarono nessuna opposizione nelle forze repubblicane e giacobine

ormai ridotte al silenzio. La rigida censura sulla stampa e un perfetto apparato

___________________ fedeli lo stato

come ___________________________

C – apparato poliziesco (vedi pag. 126)

2 - la politica ________________________

- la reintroduzione delle imposte ________

_______________________

- la stabilità _________________________

- La centralizzazione __________________

_________(abolizione ________________)

3 - _______________________________

La repressione ______________________

La riappacificazione con:

- __________________________________

- _________________________________

C – l’organizzazione del sistema ________

Page 32: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

126

poliziesco erano infatti gli elementi che completarono l’apparato

amministrativo e ne costituirono parte essenziale. Il giornalismo, che aveva

continuato a svilupparsi rigogliosamente negli anni del direttorio, subì un duro

colpo: 60 dei 73 giornali esistenti a Parigi furono soppressi. Più tardi il numero si

ridusse ulteriormente a quattro, tutti rappresentanti dell’ufficialità governativa.

L’ex montagnardo e protagonista del terrore Fouché ebbe l’incarico di

riorganizzare la polizia, servendosi allo stesso modo dello spionaggio e della

provocazione. Napoleone non ebbe mai difficoltà a trarre il suo personale

amministrativo dai più diversi gruppi, si trattasse di vecchi giacobini, di

emigrati rientrati, di moderati opportunisti o perfino di funzionari

dell’amministrazione prerivoluzionaria. Il ministro degli interni Chaptal

scrisse: “Bonaparte cercava sempre di unire e amalgamare ogni cosa.

Affiancava nello stesso comitato uomini che per dieci anni si erano

reciprocamente avversati, odiati, perseguitati. Fu così che egli radunò tutti i

talenti in ogni campo e spense tutte le fazioni. La storia della rivoluzione

divenne per noi remota come quella dei greci e dei romani». Napoleone

conservò il 14 luglio come festa nazionale, sopprimendo la festa del 21

gennaio, che ricordava il giorno dell’esecuzione di Luigi XVI e ugualmente

abolì dal 1806 il calendario repubblicano.

Ma queste rappresentavano soltanto le forme della rivoluzione: la sua sostanza-

dipendeva ormai dalle cose, e in particolare dalla grande redistribuzione della

proprietà fondiaria, che più nessuno tenterà di rimettere in questione.

L’emanazione del codice civile nel marzo 1804 realizzò infine il vecchio

obiettivo della completa unificazione giuridica della Francia. Fu promulgato il 21

marzo 1804 col nome di Codice civile dei francesi che più tardi divenne Codice

napoleonico e progressivamente fu esteso a tutti i paesi annessi o controllati

dalla Francia. Il codice confermava le maggiori conquiste della Dichiarazione

dei diritti, ma circoscrivendole: la libertà individuale, l’uguaglianza giuridica,

quella religiosa, la laicità dello Stato. Fondamentale appariva il diritto di

proprietà, uno dei cardini sui cui per i legislatori era costruita la società. La

preponderanza degli articoli dedicati all’affermazione di un diritto naturale alla

proprietà, l’enfasi posta sulla rilevanza del possesso, come garanzia fondamentale

della proprietà, erano chiaramente segni di una volontà di accettare di fatto

quanto era avvenuto con la Rivoluzione, cioè una forte dislocazione di

proprietà immobiliari (dal clero e dagli emigrati ai contadini e soprattutto alla

borghesia), ma di volerlo anche fissare per sempre in un nuovo diritto,

consolidando dal punto di vista giuridico tale nuova proprietà ed escludendo per

sempre le richieste degli antichi possessori. Tale scelta doveva rassicurare quanti si

erano impadroniti dei beni nazionali.

Nella famiglia era significativamente individuato un altro cardine della società

civile. Il Codice napoleonico rifletteva anche in questo settore una concezione

borghese: infatti il matrimonio, come tutte le relazioni di diritto privato, venne

legato alla proprietà. Ponendo al centro della famiglia gli aspetti patrimoniali, si

occupava di regolamentare in modo molto complesso il diritto di successione,

che investiva direttamente la proprietà stessa. Le leggi, sulla successione,

affermando i diritti di tutti i figli ad una parte del patrimonio familiare, colpivano

i meccanismi di trasmissione patrimoniale dell’aristocrazia e individuavano

una società in cui la mobilità delle ricchezze era un dato acquisito. Era

ammesso il divorzio.

______________________

(vedi apparato burocratico)

La reintegrazione nel _________________

________________________________

La sostanza ________________________

4 il ________________________________

La realizzazione ____________________

________________________________

Page 33: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

127

Lo Stato è il terzo cardine di questo modello di società, uno Stato che

regolamentava e garantiva tutto l’edificio costruito sulla proprietà e sulla

famiglia. Le scelte sul piano del lavoro e della sua regolamentazione erano di tipo

chiaramente liberistico: si opponevano a qualsiasi legame di servitù perpetua, ma

affidavano il salariato alle leggi del mercato non permettendogli nessuna

forma di organizzazione sindacale. Lo Stato napoleonico poteva così garantire

ai cittadini (e in particolare a quanti avevano ricchezza e proprietà) stabilità e

sicurezza.

Anche se la Francia restava sostanzialmente una repubblica, già dal plebiscito

sul consolato a vita il culto della persona di Napoleone assunse forme molto

pronunciate; la proclamazione di Napoleone a imperatore di Francia nel maggio

1804 non rappresentò quindi una vera rottura ed ebbe solo l’effetto di accrescere

il carattere pomposo, magniloquente e servile dell’arte ufficiale.

Il 2 dicembre 1804 lo stesso pontefice Pio VII venne a Parigi a incoronare

l’imperatore. Si aprì così la strada per la nascita di una nuova nobiltà imperiale

ereditaria, che somigliava però poco a quella tradizionale, estinta dieci anni

prima, essendo composta per lo più di funzionari statali, notabili dell’economia

e militari.

Fin dal periodo consolare vennero create onorificenze per militari (marescialli e

ciambellani) e benemeriti della Repubblica (Legion d’onore). Gradatamente

l’imperatore ricostituì una nuova gerarchia nobiliare, l’unica dotata di valore

legale, assorbendo in essa notabili, ricchi, funzionari, militari. Tale aristocrazia

era ereditaria, ma il titolo era trasmissibile solo a certe condizioni patrimoniali:

Dal consolato all’____________________

La rinascita della _____________________

i duchi dovevano avere un reddito di almeno 200.000 franchi l’anno, i conti di

almeno 30.000, i baroni 15.000 e i cavalieri di 3.000. Alcune funzioni davano

diritto alla nobiltà: erano fatti conti i ministri, i senatori, gli arcivescovi,

LE CONQUISTE ESSENZIALI DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE PER LA BORGHESIA CHE VENNERO CONSERVATE DAL REGIME NAPOLEONICO:

1 ___________________________________________________________________________________________________________

2 ___________________________________________________________________________________________________________

3 ___________________________________________________________________________________________________________

4 ___________________________________________________________________________________________________________

5 ___________________________________________________________________________________________________________

6 ___________________________________________________________________________________________________________

7 __________________________________________________________________________________________________________

IL CODICE NAPOLEONICO

- Riconosceva con dei limiti:__________________________, l’uguaglianza giuridica e _______________________, ______________

Cardini del sistema ___________:

1 il diritto __________________________ fondato sul ________________ (difesa _________________________________________)

2 la famiglia regolata in vista ____________________________________________________________________

Diritto di __________________: contro la trasmissione ereditaria aristocratica afferma ______________________________________

3 ______________________________________

Garante proprietà privata e leggi del _______________________________________________________

Page 34: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

128

mentre vescovi e sindaci di grandi città diventavano baroni. Poco meno di un

quarto della nuova aristocrazia napoleonica proveniva da ex nobili, il 58%

da borghesi e il 19,5% da uomini emersi dalle classi popolari.

6.3 Le guerre e l’Europa napoleonica

Contemporanee al processo di riforme interne furono le conquiste militari:

abbandonata la politica delle “frontiere naturali” - che prevedeva di estendere il

confine francese alle Alpi e al Reno - Napoleone progettò di imporre la propria

egemonia a tutto il continente. Si trattava di fare della Francia la “Grande

nazione”, che dopo aver portato all’intera Europa i valori e le grandi riforme

della Rivoluzione, ora esercitava su di essa un chiaro dominio economico e

politico. A tal fine Napoleone guidò le proprie armate in Italia, dove nel 1805

creò il Regno d’Italia, annetteva la Liguria alla Francia, nominava il fratello

Giuseppe re di Napoli; in Germania nel 1806 istituì la Confederazione del Reno

che univa tra loro quindici Stati regionali alleati della Francia e posti sotto la

protezione di Napoleone; nello stesso anno diede vita al Regno d’Olanda, che

destinò al fratello Luigi, e conquistò il Portogallo. Nel 1808 occupava la Spagna,

offrendo la Corona al fratello Giuseppe (che lascerà Napoli al cognato Gioacchino

Murat). Per piegare la più forte e temibile rivale, l’Inghilterra, sin dal 1806

decretò il blocco continentale con cui imponeva a tutti gli Stati vassalli, alleati,

occupati e neutrali di non commerciare con l’Inghilterra, di non trattare merci

britanniche, di non accogliere nei loro porti navi battenti bandiera inglese.

A partire dal 1810 le crescenti difficoltà economiche, dovute a cattive annate

agricole e alla crisi delle manifatture tessili, ma anche i primi insanabili rovesci

militari, frutto dell’incalzare degli eserciti nemici e di temerarie imprese di

Napoleone, come la campagna di Russia (1812), nonché l’inasprimento fiscale e la

coscrizione obbligatoria, decise per far fronte alle difficoltà finanziarie e militari,

contribuirono ad alienare il consenso che Napoleone era riuscito a lungo ad

avere dai francesi.

E tuttavia a determinare la caduta di Napoleone non fu la perdita di consenso all’in-

terno del Paese, ma l’incalzare degli eserciti stranieri. Dopo la clamorosa sconfitta

di Lipsia, nella quale le forze della sesta coalizione annientarono l’armata di Francia

(19 ottobre 1813), il destino di Napoleone era segnato: nel mese di aprile del 1814

l’esercito nemico entrò a Parigi dove la popolazione rassegnata non oppose

resistenza né manifestò segni di lealtà a Napoleone. Nello stesso mese l’imperatore

abdicò senza condizioni, ritirandosi nell’isola d’Elba.

LE GUERRE E L’EUROPA NAPOLEONICA

La conquista dell’______________

i regni ____________________________

il blocco ___________________ contro

_______________________________

Il calo di _____________________ interno

La sconfitta di _____________________

il ritiro __________________________

L’Europa

napoleonica

intorno al 1812

Page 35: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

129

Luigi XVIII, richiamato dal Senato sul trono di Francia, dichiarò di voler concedere

una nuova costituzione e sottoscrisse con le potenze nemiche un accordo che ri-

portava i domini francesi ai confini del 1792.

Di lì a qualche mese, nel marzo 1815, mentre i rappresentanti diplomatici delle prin-

cipali potenze erano riuniti a Vienna per ridefinire l’assetto geopolitico dell’Europa,

Napoleone, fuggito dall’Elba e sbarcato in Francia, fallirà il suo disperato tentativo

di riprendere il potere: le grandi potenze europee faranno quadrato contro l’esercito

da lui raccolto, sconfiggendolo a Waterloo il 18 giugno 1815 e costringendolo

all’esilio nell’isola atlantica di Sant’Elena (dove morirà nel 1821). Caduto

l’ultimo ostacolo, i congressisti di Vienna potranno portare a termine il progetto di

gettare un colpo di spugna sui danni prodotti dalla Rivoluzione e da Napoleone.

L’inserimento, diretto e indiretto, delle entità politiche italiane e tedesche

nell’Impero francese costituì la dimostrazione di una loro profonda arretratezza

politica ed economica che le lasciò del tutto impotenti di fronte al dinamismo

della Francia.

Ciò risultò tanto più vero per la Germania, la cui costituzione imperiale era solo

una sopravvivenza del Medioevo e che si trovava divisa in un centinaio di

centri di sovranità. In Italia la situazione era più differenziata, ma il crollo della

repubblica di Venezia rivelò quello che in fondo tutti sapevano, la debolezza

organica di una società irrigidita nella conservazione di un passato chiuso già da

un secolo. Di fronte alla modernità dell’amministrazione francese, del resto,

anche la Lombardia e la Toscana apparivano regioni spente e arretrate; le

riforme attuate a suo tempo dai sovrani asburgici si venivano rivelando

largamente sorpassate. Anche nelle due regioni di punta del riformismo

settecentesco fu soltanto sotto l’amministrazione napoleonica che venne

realmente compiuta la liquidazione della proprietà ecclesiastica e di quella

feudale. Gli effetti positivi del governo diretto francese nei dipartimenti creati in

Italia e sulla riva sinistra del Reno furono innegabili: l’introduzione del codice ci-

vile e l’estensione del catasto crearono le condizioni per lo sviluppo di una

proprietà fondiaria e di un sistema fiscale più razionali ed efficienti.

Il dominio napoleonico non creò forse la borghesia tedesca e italiana, ma

contribuì in maniera decisiva a farla crescere e divenire consapevole di sé. Dal

punto di vista economico, poi, i vantaggi dell’inserimento dell’Italia e della

Germania nel sistema continentale francese superarono per diversi anni gli

svantaggi. In Belgio e in Renania l’attivazione delle miniere di carbone e di ferro

ebbe un impulso fino ad allora sconosciuto; sia in Germania sia in Italia

l’abolizione delle corporazioni fu oggettivamente un elemento di progresso. Nel

regno di Napoli il dominio francese realizzò immediatamente, con la legge

dell’agosto 1806 sull’abolizione della feudalità, quella svolta radicale di fronte

alla quale i riformatori del Settecento avevano sempre esitato. Nelle regioni

italiane settentrionali il più forte legame con la Francia e con l’economia

europea rafforzò le strutture del mercato: i produttori di seta e, in minor misura,

quelli di lana ebbero molte ragioni di lamentarsi di un regime doganale che li

lasciava esposti alle esportazioni francesi e li danneggiava fortemente; ma è

improbabile che al di fuori del sistema imperiale essi sarebbero così presto

divenuti consapevoli dei vantaggi di un mercato dalla dimensione più che

regionale.

Il ritorno di ____________________ e dei

confini al ________________

Il ritorno di _______________________

la sconfitta di ____________________ e

l’esilio a ________________________

LA GERMANIA E L’________ NAPOLEONICHE

L’___________________ tedesca e italiana

il frazionamento ____________________

Regimi napoleonici e _________________

- la liquidazione _____________________

___________________________________

- modernizzazione __________________

_________________________________

- razionalizzazione ________________

- abolizione _________________________

- il rafforzamento del _________________

- la coscienza dell’___________________

______________________________

Page 36: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

130

2 – L’OTTOCENTO. LE IDEOLOGIE POLITICHE E L’AFFERMAZIONE DELLO

STATO LIBERALE

1 – ORIGINI E CARATTERISTICHE DELLO STATO LIBERALE

1.1 Dallo stato parlamentare allo stato liberale: le rivoluzioni borghesi

1.2 Le caratteristiche dello stato borghese

1.3 I luoghi, i mezzi e le caratteristiche della vita politica nello stato liberale

2 – LA FORMAZIONE DELLE IDEOLOGIE POLITICHE: LIBERALISMO E DEMOCRAZIA

RIVOLUZIONARIA

2.1 Elaborazioni teoriche ed esperienze di riferimento

2.2 I gruppi sociali di riferimento

2.3 I principi di riferimento

2.4 Il progetto di società

2.5 Le forme di stato

2.6 I modelli di rapporto stato-società

2.7 I principi di uguaglianza

2.8 I modelli di governo

2.9 I modelli del processo di cambiamento

2.10 Le scienze economiche: Smith, Ricardo, Bentham

3 – LE MODALITÀ E L’EVOLUZIONE DELLA VITA POLITICA DELLA PRIMA METÀ

DELL’OTTOCENTO

3.1 Modalità della vita politica dopo la Rivoluzione Francese

3.1.1 Movimenti politici e clandestinità

3.1 2 Il nazionalismo nella prima metà dell’Ottocento

3.2 L’evoluzione della vita politica dal 1815 al 1848

3.2.1 I moti degli anni '20 e '30

3.2.2 La formazione delle correnti politiche in Italia

- I democratici mazziniani

Un nuovo modello di azione politico

Il carattere religioso del pensiero del Mazzini

I tentativi mazziniani degli anni Trenta e Quaranta

Carlo Pisacane

- I liberali moderati

Il neoguelfismo

I moderati laici

- I federalisti

Carlo Cattaneo

Giuseppe Ferrari

3.3 Le rivoluzioni del 1848 e le nuove modalità della vita politica nella seconda metà dell’Ottocento

3.3.1L’allargamento dell’area liberale e lo scontro liberali – democratici

3.3.2 La spaccatura tra liberali e democratici

Page 37: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

131

- Il 1848 in Francia: la sconfitta dei socialisti e dei democratici radicali

3.3.3 I nuovi protagonisti e i nuovi luoghi della politica

4 – LE IDEOLOGIE POLITICHE NELLA SECONDA METÀ DELL’OTTOCENTO

4.0 L’origine delle nuove correnti politiche

4.1 La liberaldemocrazia: A. De Tocqueville

4.2 La democrazia radicale: J. Stuart Mill

4.3 Il darwinismo sociale: H. Spencer

4.4 Il socialismo

4.4.0 La storia del movimento operaio

4.4.1 L’anarchia: Bakunin

- La libertà come dimensione umana compiuta

- Le fonti dell’alienazione umana

4.4.2 La prima Internazionale

- Il sostegno alle lotte operaie

- Le spaccature ideologiche

4.5 I cattolici

5 - L'EVOLUZIONE DELLA VITA POLITICA NELLA SECONDA METÀ DELL’OTTOCENTO

5.5.1 Il processo di unificazione nazionale in Italia e Germania: analogie e differenze

5.5.2 L’unificazione italiana

- L’unificazione italiana

- Cavour: il progetto di modernizzazione di un liberale moderato

- La Seconda guerra d’indipendenza

- La spedizione dei Mille

5.5.3 Lo stato liberale: il modello inglese

5.5.4 Lo stato italiano nella seconda metà dell’Ottocento

6 - I RAPPORTI INTERNAZIONALI NELLA SECONDA METÀ DELL’OTTOCENTO

Page 38: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

132

2 – L’OTTOCENTO. LE IDEOLOGIE POLITICHE E L’AFFERMAZIONE

DELLO STATO LIBERALE

1 – Origini e caratteristiche dello Stato liberale

2 – La formazione delle ideologie politiche: liberalismo e democrazia

rivoluzionaria

3 – Le modalità e l’evoluzione della vita politica ottocentesca

4 – Le ideologie politiche nella seconda metà dell’Ottocento

5 - L'evoluzione della vita politica nella seconda metà dell’Ottocento

6 - I rapporti internazionali nella seconda metà dell’Ottocento

1 – ORIGINI E CARATTERISTICHE DELLO STATO LIBERALE

1.1 Dallo Stato parlamentare allo Stato liberale: le rivoluzioni borghesi

1.2 Le caratteristiche dello Stato borghese

1.3 I luoghi, i mezzi e le caratteristiche della vita politica nello Stato

liberale

Tra la metà del seicento e la metà dell’Ottocento, nell’Europa occidentale e negli

Stati uniti d’America, vennero superate le forme dello Stato assoluto. Il nuovo

modello di Stato può essere definito Stato parlamentare in quanto il parlamento

tende ad assumere una funzione centrale nella vita pubblica e nel funzionamento

dello Stato.

Lo Stato parlamentare è all’origine dello Stato liberale o borghese che si affermerà

nel corso dell’Ottocento. Gli avvenimenti determinanti per la formazione dello

Stato parlamentare sono considerati, dagli storici, le due rivoluzioni inglesi del

seicento e, nel Settecento, la rivoluzione americana e quella francese. Nel secolo

successivo i moti degli anni ’20 e ‘30 e le rivoluzioni del 1848 porteranno

all’affermazione dello Stato liberale. L’insieme di tali avvenimenti viene

caratterizzato come le rivoluzioni borghesi in quanto l’imporsi dello Stato liberale

dell’Ottocento coincise con l’imporsi della borghesia come classe sociale

promotrice dello sviluppo economico, con l’industrializzazione, e di quello

culturale.

Lo Stato liberale ottocentesco è caratterizzato dall’uguaglianza dei cittadini di

fronte alla legge e dalla possibilità per una minoranza dei cittadini di partecipare,

attraverso dei rappresentanti, alla formazione delle leggi, compito principale del

parlamento.

Inoltre adotta una carta costituzionale, costituita da un documento scritto e

pubblico che regola il funzionamento e i compiti delle istituzioni statali e

stabilisce i diritti del cittadino che lo Stato riconosce. Tra questi diritti lo Stato

liberale riconosce l’uguaglianza giuridica, diritto che eliminava i privilegi della

nobiltà e del clero e i cosiddetti diritti individuali, che vengono fatti coincidere

con le libertà personali e con il diritto della proprietà privata.

Lo Stato liberale ottocentesco non riconosce invece né l’uguaglianza politica dei

cittadini, poiché riserva la possibilità di eleggere i propri rappresentanti al

parlamento a un’élite, stabilita in base al censo (suffragio ristretto), né

l’uguaglianza sociale, in quanto individua il proprio compito nel garantire le

condizioni per il libero sviluppo dell’iniziativa privata e della concorrenza e non

nell’assicurare ai cittadini i servizi sociali o pari opportunità di sviluppo.

ORIGINI E CARATTERISTICHE DELLO

STATO LIBERALE

DALLO STATO PARLAMENTARE ALLO STATO

LIBERALE: LE RIVOLUZIONI BORGHESI

____________________________(‘600)

+ _______________________________

_____________________________(‘700)

Stato __________________________

__________________________________

+ _______________________________

Stato __________________________

LE CARATTERISTICHE DELLO STATO

BORGHESE

Page 39: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

133

All’interno dello Stato liberale i luoghi deputati alla politica erano, da un lato, il

parlamento, nella misura n cui acquisiva le funzioni legislativa e di controllo sul

governo, e i giornali come rappresentanti dell’opinione pubblica.

Secondo il liberalismo ottocentesco, l’opinione pubblica era una collettività di

individui capaci sia di acquisire e di valutare le opinioni espresse da altri, che,

non solo di farsi una propria opinione, ma anche di esprimerla. In base a

quest’immagine, il primo mezzo di comunicazione di massa, la stampa, aveva la

funzione non di guidare o manipolare l’opinione pubblica, ma di rappresentarla.

L’opinione pubblica, in quanto costituita da coloro che leggevano i giornali, era

una la minoranza istruita della popolazione, socialmente rappresentata soprattutto

dalla borghesia delle professioni, avvocati, medici, farmacisti e, più, tardi

ingegneri, geometri, o dalla borghesia possidente. I democratici, invece, il cui

gruppo sociale era costituito dalle masse popolari non istruite tendevano a vedere

nei giornali soprattutto un mezzo per educare il popolo.

All’interno dello Stato liberale si definì anche il modello di scontro politico che ha

caratterizzato le società occidentali per tutto l’Ottocento e il Novecento.

La vita politica dell’ancien régime si svolgeva a corte ed era caratterizzata dallo

scontro fra fazioni rivali rappresentanti un ristretto numero di famiglie

aristocratiche dunque, omogenee dal punto di vista economico sociale, perciò con

obbiettivi simili, comunque volti a difendere i propri privilegi.

L’allargamento della partecipazione alla vita politica modificò il modello della

lotta politica, che divenne uno scontro fra gruppi sociali che hanno un diverso

progetto di società, consono ai propri interessi. Il problema principale divenne

quello di conquistarsi l’appoggio dei gruppi sociali di riferimento facendoli

diventare soggetti attivi della vita politica.

I LUOGHI, I MEZZI E LE CARATTERISTICHE

DELLA VITA POLITICA NELLO STATO

LIBERALE

VITA POLITICA ANCIEN RÉGIME: VITA POLITICA SOCIETÀ MODERNA :

- luogo: __________________________ - luoghi: a - ________________________________________________

b - ________________________________________________

- soggetti: ___________________________________ - soggetti: ________________________________________________

con obiettivi simili (___________________________) che hanno ___________________________________( ideologie politiche)

- forme: __________________________________ - forme: __________________________________

LE CARATTERISTICHE DELLO STATO __________________

1- _________________________________________________________________________________________________________

2 - _________________________________________________________________________________________________________

3 - _________________________________________________________________________________________________________

4 - _____________________________________ che stabilisce:

a - ________________________________________________________________________________________________

b - ____________________________: uguaglianza _____________________ + _________________________________

no _________________________________________________________________

Page 40: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

134

2 – LA FORMAZIONE DELLE IDEOLOGIE POLITICHE: LIBERALISMO E

DEMOCRAZIA RIVOLUZIONARIA

2.1 Elaborazioni teoriche ed esperienze di riferimento

2.2 I gruppi sociali di riferimento

2.3 I principi di riferimento

2.4 Il progetto di società

2.5 Le forme di Stato

2.6 I modelli di rapporto Stato-società

2.7 I principi di uguaglianza

2.8 I modelli di governo

2.9 I modelli del processo di cambiamento

2.10 Le scienze economiche: Smith, Ricardo, Bentham

Tra la Rivoluzione francese e i primi decenni dell’Ottocento vennero elaborate le

prime ideologie politiche ispirate da progetti di società e di Stato diversi e

destinate ad essere un punto di riferimento costane per la vita politica

contemporanea. Tali ideologie, che non rappresentavano ancora delle correnti, dei

movimenti politici veri propri quanto invece un orientamento ideale, una visione

del mondo, erano costitute dal liberalismo e dalla democrazia rivoluzionaria.

Esse, all’inizio dell’Ottocento, avevano alle spalle, una elaborazione teorica,

costituita, per i liberali, soprattutto dall’opera di J. Locke10 (1632-1704) e di alcuni

illuministi quali ad esempio Montesquieu (1689-1757) e, per i democratici,

dall’opera di un altro illuminista francese J.J. Rousseau11 (1712-78). Avevano,

inoltre, contribuito alla loro elaborazione anche alcune concrete esperienze

politiche costituite, a loro volta dalle fasi, moderate delle rivoluzioni inglesi e

francesi e dalla rivoluzione americana per i liberali e dalle posizioni dei livellatori

inglesi e dai giacobini francesi per i democratici.

Essi inoltre avevano gruppi sociali di riferimento che nella situazione di inizio

Ottocento erano socialmente, economicamente e culturalmente assai diversificati.

Infatti, essi erano costituiti per i liberali dalla borghesia, avviata a farsi promotrice

dello sviluppo economico con l’industrializzazione e interessata a promuovere il

passaggio dagli ordinamenti feudali a quelli richiesti dall’economia di mercato e,

comunque, in forte ascesa sociale. Per i democratici il gruppo sociale di

riferimento era costituito dalle masse popolari ancora difficilmente raggiungibili,

perché in gran parte disperse nelle campagne, poco istruite e socialmente assai

deboli. Situazione che, evidentemente, poneva maggiori difficoltà ai democratici

che ai liberali.

Il liberalismo e la democrazia identificano lo scopo dello Stato nella libertà

politica. Ma questa consonanza nasconde importanti differenze. Essi intendono

infatti la libertà politica diversamente: il liberalismo la intende come indipendenza

privata politicamente garantita, la democrazia come partecipazione collettiva al

potere politico. Per il primo siamo politicamente liberi se lo Stato ci assicura una

sfera di decisione personale sufficientemente ampia, per la seconda siamo

politicamente liberi sé abbiamo una sufficiente influenza sulle decisioni dello Stato.

Queste differenti concezioni hanno le loro radici in un differente modo di concepire i

rapporti tra individuo e comunità. Spesso coloro che optano per la visione

privatistica della libertà politica hanno una concezione individualistica o

atomistica della società. Coloro che adottano la visione partecipazionistica della

libertà politica hanno di solito una concezione organicistica della società. I primi

10 Per Locke vedi Filosofia Moderna, pag. 210 e successiva lettura n 12 11 Per Rousseau idem, pag. 212 e successiva lettura n 13

Page 41: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

135

cioè pensano la società alla stregua di una macchina, come uno strumento

artificiale che individui autonomi si danno al fine di meglio perseguire i loro

interessi. I secondi considerano invece la società come condizione di esistenza degli

stessi individui, così come l’organismo è condizione di esistenza delle sue membra.

In altri termini, i primi vedono la società come un’entità collettiva verso la quale gli

individui hanno obblighi solo parziali e comunque strumentali; i secondi come

un’entità che socializza integralmente gli individui e impone loro degli obblighi

che hanno priorità sugli interessi personali. Ciò che accomuna al di là delle pur

diverse preferenze chi fa riferimento all’area liberale è sicuramente costituto

dall’enfasi posta sulle libertà individuali, mentre per l’area democratica è costituto

dall’enfasi posta sulla partecipazione dei cittadini.

Dal diverso modo di concepire la società e la libertà politica conseguono anche

differenti concezioni dello Stato. I liberali hanno, infatti, un atteggiamento

formalistico in quanto ciò che legittima lo Stato sono le regole (forme) di

funzionamento dello Stato. Lo Stato per essere legittimo deve essere retto dal

principio del garantismo per cui garantisce il rispetto dei diritti dei suoi membri. Da

Locke, che è considerato uno dei padri del pensiero liberale, in poi tali diritti sono

compendiati dal diritto di proprietà privata. Infatti, secondo Locke, lo Stato sorge

per rendere sicuro il diritto naturale di proprietà, la cui difesa nello Stato di natura

finisce per determinare uno Stato di guerra di tutti contro tutti.

In quanto tutore dei diritti dei suoi membri e in primo luogo del diritto di proprietà

lo Stato deve essere uno Stato minimo, ovvero restringere la sua attività alle

funzioni di protezione dalla violenza e dalla frode.

Da un punto di vista teorico la presenza di uno Stato garantista e minimo rende poco

importante il problema, invece essenziale per la prospettiva democratica, della

partecipazione politica e conseguentemente dei diritti politici.

Tali diritti erano di fatto nello Stato liberale dell’Ottocento limitati alla borghesia

benestante che costituiva anche il gruppo sociale di riferimento delle correnti

liberali. I liberali non vedevano nel suffragio ristretto una limitazione alla libertà dei

cittadini e comunque ritenevano le masse incapaci di una partecipazione

responsabile in quanto il fatto stesso di non possedere beni costituiva il segno

dell’incapacità di prendere decisioni responsabili.

L’atteggiamento formalistico dei liberali si rivela anche per quanto riguarda il

problema dell’uguaglianza dei cittadini, dal momento che essi fanno propria la sola

uguaglianza di fronte alla legge (uguaglianza giuridica), ignorando il fatto che la

legge era fatta da pochi e che di fatto la legge trattava in modo uguale soggetti che

erano diversi.

Dello Stato, invece, i democratici avevano una visione decisamente

sostanzialistica per cui ritenevano importante, non il problema delle forme di

funzionamento dello Stato, ma il problema di chi esercitava il potere e

consideravano legittimo lo Stato solo se esprime la volontà popolare. Diventava

quindi essenziale estendere il diritto di voto per ottenere il suffragio universale, e

ridurre il più possibile la mediazione rappresentativa, promuovendo forme di

democrazia diretta: essi miravano quindi a espandere la partecipazione politica.

L’atteggiamento sostanzialistico dei democratici si manifesta anche nella loro

concezione dell’uguaglianza. Infatti i democratici si fanno promotori non della

sola uguaglianza giuridica ma anche di quella politica, promuovendo il suffragio

universale e ponendo il problema della partecipazione alla vita politica. Per i

democratici rivoluzionari, che si richiamavano ai giacobini francesi, lo Stato

doveva intervenire a favore dei gruppi sociali più deboli per promuovere anche

un’effettiva uguaglianza sociale.

A tale posizione si opponevano i liberali che vedevano nell’intervento dello Stato

un’inaccettabile superamento delle sue prerogative (Stato minimo). Infatti

secondo i liberali, che si fecero promotori del liberismo economico in nome dello

Stato minimo, lo Stato doveva limitarsi a creare le condizioni perché la libera

iniziativa individuale si potesse esprimere, il libero mercato avrebbe provveduto

Page 42: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

136

a armonizzare con “una mano invisibile” gli interessi individuali. Infatti, mentre la

richiesta del mercato di un determinato prodotto, meccanismo che, per i liberisti,

rivela l’utilità sociale del bene, incentiva la sua produzione, al contrario avviene a

un prodotto meno richiesto e quindi meno utile socialmente. Anche in questo caso

viene mantenuto, quindi, un atteggiamento formalistico

IDEOLOGIE POLITICHE

LIBERALE

DEMOCRATICA

Antecedenti

Gruppi sociali di

riferimento

Principio di

riferimento

Tipo di società

Tipo di Stato

Rapporti stato e

società

Tipo di

uguaglianza

Modello di

governo

Modello di

processo di

cambiamento

ignorando che non tutti i soggetti hanno lo stesso potere sul mercato. A questa

visione i democratici contrapponevano invece una visione per cui lo Stato deve

perseguire l’utile sociale che non coincide necessariamente con l’utile individuale,

anzi spesso è in contrasto con esso.

Anche per quel che riguarda le forme di governo vi era una profonda divergenza.

Per i liberali la miglior forma di governo era costituita da una monarchia

parlamentare e costituzionale il cui modello era costituito dalla monarchia inglese.

Per i democratici, invece, la miglior forma di governo era costituita dalla

repubblica in quanto tale ordinamento, non ammettendo poteri ereditari,

consentiva alla sovranità popolare di esprimersi più compiutamente.

L’indicazione di un diverso modello di forma di governo è da mettere in relazione

ad un’altra fondamentale divergenza tra liberali e democratici relativa al modo in

cui realizzare il nuovo modello di Stato.; infatti mentre i liberali propendevano per

le riforme i democratici per la via rivoluzionaria. Per i democratici la rivoluzione

costituiva un’occasione di mobilitazione delle masse popolari, il loro gruppo

sociale di riferimento, presentandosi inoltre come un importante momento di

educazione per il popolo. Al contrario i liberali vedevano nella rivoluzione un

pericolo perché essa comportava la mobilitazione delle masse ignoranti,

irresponsabili e dunque non degne di agire attivamente sulla scena politica.

La fondazione delle scienze economiche è contemporanea al processo di sviluppo

del sistema capitalistico. Per l’aristocrazia latifondista la produzione è solo un

mezzo per potersi dedicare alle attività ritenute superiori, adatte alla propria

LA FONDAZIONE DELLE SCIENZE

Page 43: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

137

condizione sociale (attività militari, culturali e politiche). Per la borghesia

capitalista, invece, l’attività produttiva ed economica è al centro dei propri

interessi e considera la produzione principalmente come un mezzo per

moltiplicare il capitale. Le prime teorie economiche espresse dalla borghesia sono

sicuramente i principi del mercantilismo che, coerentemente con gli interessi

mercantili e finanziari della borghesia seicentesca, poneva al centro delle sue

analisi gli scambi economici e non tanto l’attività produttiva, facendo dipendere la

ricchezza delle nazioni dalla disponibilità di moneta e dall’andamento delle

esportazioni e delle importazioni (bilancia commerciale).

Nel Settecento, a seguito del fatto che la borghesia impegnava sempre più

massicciamente i suoi capitali direttamente nelle attività produttive, dapprima

agricole e poi industriali, quest’ultima diventa centrale per l’analisi economica.

La ricchezza delle nazioni venne quindi identificata dapprima nella terra e

nell’agricoltura (i fisiocrati) e in seguito nel lavoro. Così la riflessione teorica di

A. Smith ( 1723-90) vedeva come fattore ultimo della "ricchezza delle nazioni"

non la fertilità della terra, ma il valore creato dal lavoro applicato alla produzione

condotta in vista dello scambio. Non i proprietari terrieri, che approfittavano del

loro controllo giuridico su un bene naturalmente limitato come la terra, ma i

capitalisti impegnati nella produzione manifatturiera erano il vero motore

dello sviluppo economico. Smith vedeva nella divisione e specializzazione del

lavoro il presupposto principale dello sviluppo, con la conseguente crescita

della produttività e del volume della produzione e la parallela crescita del

mercato. Se gli uomini fossero stati messi in grado di perseguire liberamente i

propri interessi, per quanto egoistici questi potessero essere, il risultato finale

conseguito sarebbe stato un aumento del benessere universale. Fra sviluppo

dei valori sociali e individualismo economico non vi è necessariamente

incompatibilità: “Cercando per quanto può di impiegare il suo capitale a

sostegno dell'industria interna” scriveva Smith “e di indirizzare questa industria

in modo che il suo prodotto possa avere il massimo valore, ogni individuo

contribuisce necessariamente quanto può a massimizzare il reddito annuale

della società... Egli mira soltanto al proprio guadagno e in questo, come in

molti altri casi, egli è condotto da una mano invisibile a promuovere un fine che

non entrava nelle sue intenzioni. Né per la società è un male che questo fine

non entrasse nelle sue intenzioni. Perseguendo il proprio interesse, egli spesso

promuove quello della società in modo più efficace di quando intende realmente

promuoverlo”.

Sull’ottimismo di Smith si costituirono le teorie economiche liberiste che

facevano del nascente capitalismo industriale la migliore società umana

possibile e del libero mercato l’unico vero regolatore della società. Per questo

lo stato doveva limitarsi a togliere tutti gli ostacoli che possono interagire con

l’iniziativa privata, tutelare la proprietà privata e lasciare che il mercato si

regolasse da solo: le regole del mercato avrebbero da sole regolato l’intero

meccanismo economico e sociale. Già nei primi decenni dell’Ottocento

l’ottimismo di Smith venne in parte rivisto da nuove analisi economiche e

nuove teorie sociali, che sono ben rappresentate da D. Ricardo (1772-1823),

nelle cui analisi l’armonia degli interessi privati e collettivi viene sostituita da

un’analisi degli interessi contrastanti delle diverse classi sociali. Le categorie

necessarie per studiare il sistema economico sono, secondo Ricardo, la rendita,

il profitto e il salario, sulla base dei quali si e definiscono tre gruppi sociali: i

proprietari terrieri, i capitalisti industriali e i lavoratori salariati. Tra di essi si

distribuisce la ricchezza globale e da ciò nasce la conflittualità economica e

sociale. Secondo Ricardo il profitto è la molla del nuovo sistema: ne deriva

quindi che una sua compressione dovuta a benefici eccessivi sul versante della

rendita fondiaria o del salario intralcerebbe lo sviluppo generale.

J. Bentham (1748-1832) fa dell’utilità il parametro fondamentale non della sola

attività del singolo, ma anche di quello delle istituzioni. Infatti, come

Page 44: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

138

l’utilità è alla base dell’attività morale del singolo allo stesso modo alla base

dell’azione delle istituzioni vi deve essere l’utilità, la felicità del massimo numero

possibile di persone; utilità che non può essere raggiunta spontaneamente dal

mercato ma deve essere ricercata attivamente dalle istituzioni, come volevano i

democratici.

LA FONDAZIONE DELLE SCIENZE ______________________

Aristocrazia attività ____________________ mezzo per dedicarsi alle attività ___________________

___________________ interesse per le attività economiche produttive mezzo per ______________________________________

Teorie economiche:

__________________________ : (borghesia investe nel commercio) ricchezza delle nazioni dipende da:

1 – disponibilità di ________________ 2 - _________________________________________________________________

Borghesia investe in attività produttive: 1- agricoltura la ricchezza dipende dalla fertilità della terre per l’agricoltura ( _______________)

2 – industrie la ricchezza dipende _____________________

A. Smith:

- valore creato dal ___________________ ricchezza per cui motore dello sviluppo _______________ che investono nella produzione

- sviluppo dipende da ______________ e ___________________________ del lavoro maggior _____________________

- il ____________________ concilia l’interesse ___________________ e quello __________________ (liberismo – vedi ____________)

occorre che gli uomini ___________________________________________________________________________________________

D. Ricardo:

- no armonia _____________________________________________________ ma ___________________interesse diverse classi sociali

rendita ____________________________ ; __________________ capitalisti; ___________________ lavoratori

- siccome progresso dipende ______________________ occorre difenderlo da eccessivo valore di _________________e _____________

J. Bentham

- le attività devono essere valutate in base alla loro ___________________

singolo utile ____________________ istituzioni politico-sociali utilità per il massimo _____________________________

che non è perseguita _____________________ dal mercato ma _______________ attivamente dalle istituzioni (vedi _____________)

Page 45: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

139

3 – L’EVOLUZIONE DELLA VITA POLITICA DELLA PRIMA METÀ

DELL’OTTOCENTO

3.1 Modalità della vita politica dopo la Rivoluzione Francese

3.2 L’evoluzione della vita politica dal 1815 al 1848

3.3 Le rivoluzioni del 1848 e le nuove modalità della vita politica nella

seconda metà dell’Ottocento

3.1 Modalità della vita politica dopo la Rivoluzione Francese

3.1.1 Movimenti politici e clandestinità

3.1 2 Il nazionalismo nella prima metà dell’Ottocento

All’indomani del 1815, dopo la sconfitta di Napoleone e il Congresso di

Vienna, si ristabilirono sui troni europei le vecchie case regnanti, il cui ritorno

significava non solo la restaurazione dei sovrani spodestati ma anche delle

gerarchie sociali tradizionali, degli ordinamenti prerivoluzionari, dei modi di

governare tipici dell’assolutismo.

In questa condizioni la vita politica, che nei vent’anni di guerre napoleonica

aveva acquisito le caratteristiche dello scontro pubblico, spesso anche cruento,

tornò a essere duramente repressa e fu costretta a riorganizzarsi nella

clandestinità, all’interno delle sette segrete, tra le quali, ad esempio, la

Carboneria che agiva soprattutto in Italia e Spagna.

La clandestinità a cui era costretta l’opposizione ai regimi restaurati comportò

un ulteriore restrizione della partecipazione alla vita politica, infatti la base

sociale delle sette segrete era costituita da pochissimi artigiane ed esponenti di

altri ceti popolari, qualche membro dell’aristocrazia liberale, qualche

rappresentante della borghesia del commercio e delle professioni, ma

soprattutto intellettuali, studenti e militari. Furono i militari, in particolare ufficiali

e sottufficiali formatisi nel periodo napoleonico, a fornire alle sette i nuclei più

preparati e intraprendenti; essi d’altra parte erano i soli che, disponendo di una

forza armata, fossero in grado di minacciare seriamente la stabilità di troni e

governi.

Un’altra conseguenza della clandestinità era costituita dalla mancanza di

MODALITÀ__________________________

DOPO LA RIVOLUZIONE FRANCESE

MODALITÀ DELLA __________________________________ DOPO LA RIVOLUZIONE FRANCESE

Restaurazione dei regimi ____________________ attività __________________ repressione ________________________:

movimenti _____________________ clandestinità per cui:

1 – ristretta _________________________________________; 2 – mancanza __________________________________

3 – nemico __________________________; 4 - ___ + ____ prevalere ___________________________:

a - ______________________ b - __________________________

obiettivi ___________________________ c - ___________________________________________________

d - __________________________________________________

Page 46: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

140

dibattito, non solo evidentemente pubblico, ma anche all’interno delle sette.

Questo, insieme alla presenza di un nemico comune a tutti gli orientamenti

politici costituito dagli stati restaurati, fece sì che nella pratica le divergenze tra i

diversi orientamenti si affievolissero facendo prevalere gli obiettivi comuni. La

linea divisoria fra liberali e democratici, molto netta sul piano teorico, si

faceva assai più sfumata nella pratica della lotta contro i regimi

assolutisti. La costituzione, il parlamento elettivo, la garanzia delle libertà

fondamentali erano obiettivi comuni, validi .per gli uni come per gli altri.

Questi obiettivi - che si possono genericamente definire liberali - costituirono il

programma minimo e il terreno comune di lotta per tutte le forze politiche che si

battevano contro i governi della Restaurazione.

In molti paesi europei, un ulteriore elemento di coesione fra tutti gli avversari

del vecchio ordine era dato dall'esigenza di liberazione da un dominio stra-

niero, dalla rivendicazione dell'indipendenza nazionale o dell’unità.

L'affermazione degli ideali nazionali e la stessa idea di nazione

rappresentarono, nell'Europa del primo ‘800, un’assoluta novità sul piano

politico e culturale: sino alla fine del ‘700, il concetto di nazione aveva

infatti un contenuto generico e dei confini incerti (poteva essere usato in

riferimento all'intera Europa come al Piemonte), e soprattutto non svolgeva un

ruolo centrale nella cultura politica e nel sentire comune. Il senso di

appartenenza a una nazione veniva, per importanza, dopo l’affiliazione a una

confessione religiosa e dopo l’identificazione con una comunità locale o

regionale: si era prima cristiani, poi piemontesi (o brettoni o tirolesi), e solo in

terzo luogo italiani (o francesi o tedeschi). L’idea che lo Stato dovesse

coincidere con una nazione era poi sostanzialmente estranea alla cultura

dell’antico regime (anche se Stati a base nazionale, come la Francia, la

Spagna, 1’Inghilterra, si erano costituiti già in età medioevale).

L'idea moderna di nazione nacque con Rousseau e con la sua concezione

dello Stato come espressione di un popolo, di una comunità di cittadini

capace di esprimere una volontà comune; concezione che la rivoluzione

francese avrebbe per la prima volta cercato di tradurre in realtà e che le

guerre napoleoniche avrebbero diffuso in tutta Europa. L’idea di nazione,

nata dunque all’interno dell’area democratica, era comunque condivisa

anche dalle correnti di ispirazione liberale per le quali coincideva con

quella di uno Stato costituzionale moderno, nonché con quella di un

allargamento del libero mercato, il quale, attraverso il processo di

unificazione, assumeva le dimensioni nazionali, più consone per l’avvio

dei necessari processi di ammodernamento.

Tale concetto di nazione subirà negli ultimi decenni un decisivo

cambiamento di contenuti che lo collegherà al nazionalismo,

collocandolo tra i valori ideali della destra conservatrice per gran parte

del Novecento i cui ultimi decenni hanno segnato, però, un declino sia

dell’idea di nazione sia di quella di Stato nazionale sotto la spinta, da un

lato, dell’imporsi di organismi sovranazionali (Comunità europea) e,

dall’altra, di spinte localistiche (vedi, ad esempio, il disfacimento della

Jugoslavia o dell’Urss o ancora la presenza della Lega Nord sulla scena

politica nazionale).

L’evoluzione dell’idea di ______________

A - Settecento:

- no _________________________ a una

nazione

no coincidenza _____________________

= ____________________________

B - Inizio Ottocento

Rousseau e ________________________ :

Stato = _________________ = nazione

Liberali:

nazione = _____________ costituzionale +

___________________________

C – Fine Ottocento e __________________

Nazionalismo _____________________

__________________________________

D – Fine __________________________

Fine idea di ________________________

Page 47: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

141

3.2 L'evoluzione della vita politica dal 1815 al 1848

3.2.1 I moti degli anni venti e trenta

3.2.2 La formazione delle correnti politiche in Italia

Gli avvenimenti decisivi per l’evoluzione politica nella prima metà

dell’Ottocento sono costituiti dai moti degli anni ’20, da quelli degli

anni ’30 e dalle rivoluzioni del 1848 che costituiscono , come si è visto,

gli ultimi episodi delle cosiddette rivoluzioni borghesi.

I moti degli anni ’20 coinvolsero aree economicamente e socialmente

arretrate, quali l’Europa mediterranea e l’America del Nord, ed ebbero

un carattere prevalentemente militare in quanto furono promossi

dall’ammutinamento di reparti dell’esercito.

In Piemonte, nel regno di Napoli e in Spagna l’obiettivo principale dei

rivoltosi fu quello di imporre l’adozione di una carta costituzionale,

ispirata ad un liberalismo molto moderato, mentre in Grecia e in

America latina i moti ebbero un carattere indipendentista, volti cioè ad

ottenere l’indipendenza da i turchi, per gli uni, e dagli spagnoli e dai

portoghesi, per gli altri.

In Piemonte dopo molte esitazioni dovute soprattutto ai contrasti fra i de-

mocratici e gli elementi moderati (che avrebbero voluto agire

d'accordo col re), il moto scoppiò nel marzo del ‘ 21, quando alcuni reparti

dell'esercito si ammutinarono, inducendo il re Vittorio Emanuele I ad abdicare

in favore del fratello Carlo Felice. Dal momento che il nuovo re si trovava

lontano dal regno, la reggenza fu affidata a l nipote Carlo Alberto, che aveva

manifestato qualche simpatia per la causa liberale ed era da tempo in contatto

segreto coi ribelli. Carlo Alberto sì impegnò dapprima a concedere una

costituzione; ma poi, sconfessato e richiamato all'ordine da Carlo Fe1ice, si unì

alle truppe lealiste che, all’inizio di aprile, con l’aiuto di contingenti austriaci,

sconfissero a Novara i rivoluzionari guidati dal conte Santorre di Santarosa.

La fine prematura dell’esperienza liberale piemontese si inquadrava del resto

nella

generale sconfitta delle correnti costituzionali dovuto sia alle resistenze

interne, rappresentate dai difensori dei regimi assoluti e spesso dalla

L'EVOLUZIONE DELLA VITA POLITICA

DAL 1815 AL 1848

1 - ________________________________

chiesa e dalle masse contadine da essa influenzate, sia all’intervento

dirette di potenze straniere, l’Austria in Italia e la Francia in Spagna,

MOTI ANNI’20

Tipologia aree geografiche coinvolte:___________________________________________________________

Moti _________________________

Aree coinvolte: _____________________________________ Promotori:________________________________________________

Obiettivi: __________________________________ ________________ riferimento ideologico: ____________________________

motivi fallimento: 1 ___________________________________________________________ 2 intervento Austri e Francia

Moti indipendentisti

Aree coinvolte: _________________________________ Obiettivo raggiungimento indipendenza da ________________________

motivo successo:

______________________________________________________________________________________________

Page 48: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

142

preoccupate di ristabilire l’ordine voluto dal Congresso di Vienna.

Ebbero successo invece i moti indipendentisti con l’ottenimento

dell’indipendenza della Grecia (1829) e degli stati del Sud America nei

primi anni ’20. decisivo fu, anche in questo caso, l’atteggiamento delle

maggiori potenze europee, interessate a indebolire l’impero turco nei

Balcani e a creare nuovi equilibri in America latina.

I moti degli anni ’30 coinvolsero sia aree marginali (Italia centrale a

Modena, Polonia) sia aree decisamente più progredite (Francia e

Belgio). Falliti ancora una volta nelle aree marginali essi ebbero

successo invece in Belgio e in Francia, dove portarono alla creazione di

regimi liberali decisamente moderati e in Belgio all’ottenimento

dell’indipendenza dal Regno dei Paesi Bassi.

Se i moti degli anni ’30 portarono ad una prima apertura dei vecchi

regime verso forme più liberali di Stato, furono le rivoluzioni del 1848 a

generalizzare il processo di affermazione dello Stato liberale.

3.2.2 La formazione delle correnti politiche in Italia

I democratici mazziniani

Un nuovo modello di azione politico

Il carattere religioso del pensiero del Mazzini

I tentativi mazziniani degli anni Trenta e Quaranta

Carlo Pisacane

I liberali moderati

Il neoguelfismo

I moderati laici

I federalisti

Carlo Cattaneo

Giuseppe Ferrari

La formazione delle differenti correnti politiche, con il conseguente

superamento delle sette segrete, avvenne in Italia nei decenni compresi tra il

1830 e la fine degli anni ’40, intrecciandosi con il problema di come

raggiungere l’unità nazionale. Infatti, già nel luglio del 1831a Marsiglia

Mazzini fondava la Giovane Italia di ispirazione democratica.

Giuseppe Mazzini (1805-72), fin da giovane si era dato all'impegno politico--

culturale, prima trasformando “L'indicatore genovese”, un semplice foglio di

avvisi economici, in un prestigioso strumento critico; poi collaborando con i più

attivi centri di elaborazione politica e culturale che andavano preparando il

moto risorgimentale (dall’”Indicatore livornese” di F.D. Guerrazzi alla

fiorentina “Antologia”), con saggi e interventi di accesa impostazione laica e

democratica.

Nel 1827 si era affiliato alla carboneria genovese, di cui era diventato maestro

nel 1829, imprimendo a quella "vendita" un attivismo particolare ed e-

stendendone l'attività anche al Piemonte e alla Lombardia sull'onda degli

entusiasmi sollevati dalla rivoluzione di luglio in Francia. Per questa ragione, in

seguito a una delazione, fu arrestato il 13 novembre 1830, rinchiuso nella

fortezza di Savona e poi costretto all'esilio a Marsiglia.

Con la riflessione sui falliti moti del 1831 e la conseguente critica all'esperienza

2 _________________________________

Aree _________________( Italia e Polonia)

________________________________

Aree sviluppate:

Francia costituzione regime __________

Belgio indipendenza dall’___________+

costituzione regime __________

Page 49: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

143

settaria, Mazzini incominciò a sviluppare in modo più autonomo la sua stra-

tegia.

Di quel moto egli da subito aveva sottolineato gli elementi dell'entusiasmo,

della partecipazione del popolo e “dell’iniziativa dal basso”. Ma l’atteggiamento

"oligarchico" e individualistico dei rivoluzionari, attenti solo alle classi

superiori, non aveva saputo cogliere le potenzialità di questa forza, organizzarla

in un moto collettivo, estenderla e sostenerla. Alla carboneria, agli "uomini del

passato" che la dirigevano, imputava limiti ed errori insanabili: la dimensione

localistica e provinciale, incapace di immaginare un'azione nazionale, la

segretezza degli intenti e del programma, il carattere aristocratico e

razionalistico, privo di fede e che non infiammava gli animi.

Alle vecchie strutture settarie contrappose il modello organizzativo della

Giovine Italia, che trovava nelle nuove generazioni di studenti e intellettuali,

influenzate dallo spirito romantico e libere dalle ipoteche all'epoca precedente,

il proprio quadro militante; egli proclamava un programma di accesa

impostazione democratica e repubblicana.

L'idea mazziniana può essere considerata per molti versi la prima anticipazione

in Italia del moderno partito politico: era infatti dotata di un programma politico

chiaro o conosciuto pubblicamente (addirittura "propagandato"), incentrato su

tre obiettivi fondamentali: unità, indipendenza e repubblica. Inoltre, con-

trariamente alle localistiche sette carbonare, essa si proponeva di agire come

organizzazione nazionale, operante cioè su tutto il territorio della penisola, con

linee politiche e programmi d'azione unificati. Infine, per la prima volta, esso si

poneva seriamente il problema del rapporto tra teoria e prassi, tra principio

ideale e pratica necessaria alla sua realizzazione.

In questo senso va visto il principio mazziniano “Pensiero e azione” e cioè la

convinzione che un movimento politico rivoluzionario deve dimostrare una

consequenzialità tra pensiero e azione , ovvero un gruppo politico deve stabilire

dei principi e sulla loro base scegliere obiettivi e strategie per realizzarli.

All’interno di tali strategie aveva per Mazzini un ruolo essenziale quello della

conquista del consenso. Da questa impostazione derivava dunque un modello di

organizzazione che individuava nell'educazione, cioè nella diffusione dei propri

principi e, per usare un termine moderno, nella propaganda, un momento

essenziale della sua attività. E nell'insurrezione il mezzo risolutivo, lo sbocco

finale di essa.

Il pensiero di Mazzini si differenzia dalle precedenti esperienze anche e soprat-

tutto per l'accentuato carattere religioso della sua concezione `politica,

fortemente influenzata dalla cultura romantica e in aperta rottura con

l'utilitarismo illuminista e con il pragmatismo arido della nuova élite orleanista.

Nella fede egli coglieva la forza trascinante che sola può trasformare gli uomini,

far loro superare la dimensione individuale e stimolare quell’entusiasmo

collettivo (l'associazione e la solidarietà) necessario alla realizzazione della

"missione nazionale". Infatti, la politica deve puntare a realizzare non qualcosa

di utile per un gruppo sociale ma la missione, sia per gli individui sia soprattutto

per le nazioni, che deriva da un piano provvidenziale che regge la storia.

L’adesione a questa missione deve essere vissuta come una fede, una fede che si

è liberata completamente dal carattere trascendente proprio del cristianesimo e

che si presenta come forza morale, come principio etico che presiede allo

sviluppo storico. “La nazionalità è la parte che Dio ha attribuito a un popolo nel

lavoro umanitario. È la sua missione, il suo compito da svolgere in terra perché

il pensiero di Dio possa realizzarsi nel mondo: l'opera che gli dà diritto di

cittadinanza nell'umanità”: all'Italia, a Roma è affidata la missione più alta,

quella di unificare per la terza volta l'umanità (la prima era stata l’unificazione

politica della Roma dei Cesari, la seconda quella religiosa della Roma dei papi)

realizzando la democrazia in Europa, rimuovendo gli ultimi ostacoli dalla via

del progresso: il potere temporale del papa e l’impero austriaco, emblemi della

Page 50: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

144

restaurazione.

Su queste basi il programma mazziniano rompeva frontalmente con le posizioni

dei moderati, i quali lavoravano per un lento processo guidato dalle classi

dirigenti: esso infatti affidava all'iniziativa rivoluzionaria del popolo la conqui-

sta tanto della libertà quanto dell'unità e dell'indipendenza della patria, da

realizzarsi attraverso l'associazione e nel quadro di un principio radicalmente

democratico che faceva dell'eguaglianza un valore irrinunciabile e della

repubblica la forma istituzionale più adeguata. Ciò sarebbe dovuto avvenire per

opera di un'iniziativa insurrezionale dal basso capace di coinvolgere tutto le

classi sociali secondo un criterio di priorità che anteponeva in ultima analisi la

rivoluzione politica (unità e indipendenza, repubblica) alla soluzione della

"questione sociale" (l’uguaglianza anche socio-economica).

Negli anni Trenta e Quaranta, tutti i tentativi insurrezionali promossi dalla

Giovine Italia fallirono miseramente: nel 1833 falli una sommossa nel Regno di

Sardegna e lo stesso risultato lo conseguì, nel 1834, una spedizione armata in

Savoia. Particolarmente drammatica fu la spedizione organizzata da Attilio ed

Emilio Bandiera in Calabria nel 1844. I due fratelli speravano di far insorgere i

contadini del Regno delle Due Sicilie, ma la popolazione del luogo li ignorò. Le

truppe borboniche, subito accorse, li catturarono dopo un breve scontro a fuoco.

I fratelli Bandiera e i loro compagni vennero catturati e giustiziati. Il popolo,

che nelle intenzioni di Mazzini sarebbe dovuto insorgere per sostenere il gruppo

di militanti promotore del moto, non mostrò alcun interesse nei confronti delle

idee di unità e indipendenza nazionali. Le sconfitte mazziniane spinsero allora

sia Mazzini, sia un altro leader democratico, Carlo Pisacane (1818-1857), ad un

ripensamento dell'intera strategia rivoluzionaria.

A giudizio di Carlo Pisacane, il completo disinteresse mostrato dalle masse

popolari nei confronti del programma mazziniano derivava dal fatto che esso

rinviava la soluzione di tutti i problemi sociali ad un secondo momento, cioè

dopo l'avvenuta unificazione nazionale. Pisacane, al contrario, assunse posizioni

coerentemente socialiste e si fece promotore di una rivoluzione sociale che, tra i

suoi obiettivi, metteva anche l'abolizione della proprietà privata. Tuttavia, anche

la spedizione promossa dallo stesso Pisacane nel 1857 si risolse in un totale

disastro: sbarcato a Sapri (in Campania) con circa trecento uomini, incontrò

dapprima l'ostilità popolare e poi la resistenza dell'esercito borbonico. Per

sfuggire alla cattura, Pisacane si uccise il 2 luglio 1857.

Gli anni trenta e quaranta furono caratterizzati, oltre che dai fallimenti dei

tentativi mazziniani, da un primo e lento avvio di progresso economico che

rendeva evidente per le forze borghesi, soprattutto lombarde, che lo avviarono

la necessità di un mercato nazionale, fattori che diedero forza al liberalismo

moderato, caratterizzato dal rifiuto della pratica rivoluzionaria e favorevole

invece a una pratica riformistica attuata dai principi. L’adesione di questi alla

causa nazionale italiana era considerata necessaria per una realistica soluzione

del problema dell'indipendenza italiana.

I mazziniani rivendicavano il carattere autonomo della rivoluzione italiana, a

essi i moderati contrapponevano il modello francese e puntavano sull'appoggio

della monarchia orleanista, alla romantica religione dell'umanità preferivano il

cattolicesimo ortodosso e alla repubblica la monarchia parlamentare. Anch'essi,

come Mazzini, affidavano alla nazione una missione storica, ma ne ricercavano

le radici nella tradizione, nella rivalutazione di un passato rivisitato con occhio

attento agli spunti di indipendenza e libertà. Fiorirono allora gli studi storici -

come quelli di Cesare Balbo — e si moltiplicarono le opere a fondo storico, dai

romanzi di d'Azeglio ai Promessi sposi di Manzoni. Il papato e il cattolicesimo

assursero a simbolo di unità spirituale e insieme di un'indiscussa supremazia

italiana in campo civile e morale. Questo punto di vista trovò la più compiuta

Page 51: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

145

espressione nell'opera di Gioberti “Del primato morale e civile degli italiani”

(1843): vi si affermava che la rinascita italiana avrebbe potuto avvenire solo

sotto l'egida del papato e della Chiesa. A essi spettava, come compito di

giustizia, la funzione di assicurare l'indipendenza e la libertà alla nazione.

Veniva abbandonata l'idea, ritenuta utopistica, dell'unificazione italiana, e si

proponeva che il papa, grazie al suo indiscusso prestigio morale, promuovesse

una lega federale tra tutti gli stati e ne assumesse la presidenza. Tale proposta

voleva conciliare il rispetto del principio dinastico nelle diverse regioni con

l'aspirazione all'indipendenza nazionale.

Questa posizione, chiamata neoguelfismo per il primato assegnato al papato

nella politica italiana, sembrò vicina alla realizzazione nel 1846, quando salì al

soglio pontificio col nome di Pio IX il cardinale Giovanni Mastai Ferretti: Egli

concesse un'ampia amnistia- politica e si conquistò subito l'appellativo di "papa

liberale": un'ondata di entusiasmo nei suoi confronti in ampi strati dell'opinione

pubblica progressista lo spinse a moderate riforme — come l'istituzione di una

consulta di Stato aperta anche ai laici e la formazione di una guardia civica — e

creò un'aspettativa sproporzionata e destinata ben presto a essere delusa.

Ma il neoguelfismo non era l'unica anima del moderatismo italiano. Il punto di

vista del moderatismo italiano non cattolico era espresso dal libro di Cesare

Balbo “Delle speranze d'Italia”, pubblicato solo un anno dopo il Primato di

Gioberti, a parziale correzione e integrazione del programma in esso affermato.

Balbo più che individuare missioni ideali fondava la sua proposta su un’analisi

politico-diplomatica che individuava come nemico principale l'Austria e

indicava la monarchia sabauda, più che il papa, come possibile guida nel

cammino verso l'indipendenza. Balbo faceva leva sulle ambizioni

espansionistiche del Piemonte e sulla sua abile diplomazia (che avrebbe dovuto

approfittare degli spazi aperti dalla questione d'Oriente per contrattare con

l'Austria una sua espansione nei Balcani, che compensasse l'abbandono del

Lombardo-Veneto), e propugnava la costituzione di un regno dell'Alta Italia,

sotto la sovranità di Carlo Alberto. Questi avrebbe poi promosso una

confederazione italiana sotto l'egemonia sabauda.

In quegli stessi anni andò delineandosi una terza prospettiva che accomunava

quanti puntavano alla costruzione di un'Italia repubblicana ma organizzata su

base federale. Si trattava di una soluzione che si poneva in termini critici nei

confronti sia della proposta dei moderati sia di quella mazziniana e che, pur

riconoscendo, al pari di Mazzini, nell'intera comunità degli italiani il titolare

della sovranità nazionale, intendeva tuttavia garantire il rispetto delle diversità

locali.

La corrente federalista contrapponeva al nazionalismo acceso dei mazziniani un

razionalismo e un cosmopolitismo di respiro europeo; al cattolicesimo guelfo

una concezione rigorosamente laica, che riconosceva nel progresso l'unica legge

storica e che affermava una netta separazione tra Chiesa e Stato. Essa non

insisteva in modo particolare sull'idea di nazione, rifiutava il concetto

giobertiano di "missione italiana" e affidava il raggiungimento dell'indi-

pendenza non tanto alla costruzione dell'unità, quanto piuttosto alla formazione

di una confederazione (sul modello svizzero e statunitense), che rispettasse il

pluralismo delle differenti identità regionali. D'altra parte, avversava in sommo

grado l'autoritarismo, la soppressione delle libertà e la limitazione delle

autonomie, respingeva il principio monarchico e propugnava una forma di

Stato-amministrazione che rispondesse a criteri di utilità e di giustizia. Questi

due fondamenti della posizione radicale e federalista portavano coerentemente a

privilegiare il valore della libertà su quelli dell'unificazione e dell'indipendenza

e ad accentuare i contenuti democratici del programma politico. Infatti solo la

partecipazione popolare avrebbe potuto realizzare il principio dell'autonomia,

Page 52: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

146

così come solo entità' amministrative limitate, come quelle regionali, avrebbero

potuto realizzare la vera democrazia. L'idea federalista entrava così in contrasto

con quanti proporranno un progetto. di unificazione incentrato sul ruolo

preponderante del Piemonte sabaudo.

A esprimere con più vigore questa posizione fu il milanese Carlo Cattaneo

(1801-1869). Ispirato dalla cultura illuminista e contrario a ogni deriva mistico-

religiosa, dalle pagine del prestigioso periodico "Il Politecnico", di cui fu diret-

tore dal 1839 al 1845, espose un progetto incentrato su un intreccio tra sviluppo

economico, pensiero scientifico e progresso della società. Un progetto, dunque,

in cui alla fede romantica nella missione della nazione si sostituiva la fede

positivista nel progresso e nell’utilità della scienza. Artefici di questo progetto

avrebbero dovuto essere i ceti borghesi, in grado di coniugare conoscenze

scientifiche e capacità economiche per il bene dell'intera comunità mediante

l'attuazione di efficaci riforme. Proprio per la centralità riservata alla borghesia

e per il suo gradualismo riformista, Cattaneo è stato talvolta assimilato ai

moderati. In realtà, sia le sue rivendicazioni a favore della libertà individuale e

la sua avversione nei riguardi di mire espansioniste dinastiche (prima tra tutte

quella dei Savoia) sia il fatto che ammettesse, all'occorrenza, soluzioni di

carattere radicale, risultano tali da marcare una sostanziale differenza tra la sua

visione delle cose e quella dei moderati.

Da grande estimatore qual era del sistema americano, Cattaneo

proponeva, come obiettivo finale del movimento indipendentista italiano,

un assetto istituzionale di carattere federale che riteneva congeniale alle

caratteristiche storico-politiche dela penisola. Inserite in un ordinamento

repubblicano, le autonomie locali avrebbero contribuito al progresso della

nazione senza arroccarsi su determinati interessi e particolarismi

municipalistici.

Forti riserve nei confronti delle ipotesi moderate e di quelle mazziniane furono

espresse anche da Giuseppe Ferrari (1811-1876), pure lui milanese. Emigrato a

Parigi dalla metà degli anni Trenta, dalle pagine della prestigiosa rivista "Revue

des deux mondes" avanzò a più riprese l'ipotesi di un moto di dimensioni

europee con l'avallo della Francia e il sostegno di "pubbliche manifestazioni"

delle popolazioni oppresse. Lo sviluppo di forme di democrazia popolare

avrebbe determinato, alla fine, la liberazione della penisola e segnato l'avvento

di una repubblica federale. Ferrari riservò particolare attenzione alla

componente sociale e popolare della nazione mutuando, in proposito, alcune

riflessioni dalle teorie del francese Proudhon. Anche per questo, per il suo

approccio culturale di matrice socialista, fu uno dei primi a porre in relazione il

problema nazionale italiano con la questione sociale.

Page 53: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

147

3.3 LE RIVOLUZIONI DEL 1848 E LE NUOVE MODALITÀ DELLA VITA

POLITICA NELLA SECONDA METÀ DELL’OTTOCENTO

3.3.1 L’allargamento dell’area liberale e lo scontro liberali –

democratici

3.3.2 La spaccatura tra liberali e democratici

- Il 1848 in Francia: la sconfitta dei socialisti e dei

democratici radicali

3.3.3 I nuovi protagonisti e i nuovi luoghi della politica

Le rivoluzioni del 1848, a differenza dei moti precedenti, coinvolsero

l’intera Europa ad eccezione del paese più arretrato, la Russia zarista, e

di quello più avanzato, l’Inghilterra.

Oltre che più generali gli avvenimenti del 1848 ebbero una

partecipazione molto più vasta in quanto furono diretti oltre che da forze

liberali e borghesi, come i moti degli anni ’20 e ’30, anche da forze

democratiche che mobilitarono le masse popolari.

Le rivoluzioni divisero l’Europa in due aree, poiché mentre in Francia

l’obiettivo era costituito da un rafforzamento del regime liberale già

esistente, nel resto dell’Europa (Impero austriaco, Prussia e Italia) gli

obiettivi prevalenti delle forze rivoluzionarie erano costituiti

dall’ottenimento dell’unità nazionale e di una carta costituzionale che

desse vita a un regime liberale moderato.

Le rivoluzioni del 1848 finirono per delineare almeno quattro

caratteristiche del quadro entro cui si collocò la vita politica europea

nella seconda metà dell’Ottocento.

Infatti, in primo luogo, determinarono l’allargamento dell’area liberale,

in quanto entrarono a farne porte, seppure conservando molti aspetti

decisamente autoritari, la Prussia, l’Impero austro -ungarico, e il

Piemonte.

Per quanto riguarda il Piemonte lo Statuto albertino, concesso da Carlo

Alberto all’inizio delle agitazioni, fu mantenuto anche dopo la sconfitta

dell’esercito piemontese, affiancato da quello dei volontari, nella I

guerra d’indipendenza nazionale.

L’ importanza storica Statuto albertino risiede nel fatto che esso divenne, nel

1861, la Costituzione del Regno d'Italia, che l'avrebbe conservata fino al 1946.

Lo Statuto albertino, come la costituzione francese del 1814, era una

Costituzione concessa. Il principio della sovranità, dunque, continuava a

risiedere nel re (sovrano per diritto divino), non nel popolo; come Luigi XVIII

in Francia, anche Carlo Alberto — liberamente e per propria iniziativa —

decise di limitare il proprio potere, che aveva ricevuto per grazia di Dio.

Di conseguenza, nello Statuto albertino la separazione dei poteri era tutt'altro

che netta, ed il re controllava di fatto quasi ogni organo dello Stato. I giudici

(che esercitavano il potere giudiziario) erano istituiti dal re e i ministri (investiti

del potere esecutivo) dovevano rispondere delle loro azioni solo al sovrano. In

virtù del diritto di sanzione, inoltre, il re si era riservato una sorta di possibilità

di veto in campo legislativo, in quanto spettava a lui approvare in via definitiva

(oppure respingere) le nuove leggi votate dal Parlamento.

Come nel modello francese del 1814, anche lo Statuto prevedeva che il potere

legislativo fosse esercitato da due Camere, una delle quali (detta Senato) di

nomina regia. L'altro ramo del Parlamento — la Camera dei deputati — era

3 - LE RIVOLUZIONI DEL

_______________

Differenze con i moti del ____ e del _____

1 - ________________________________

2 - ________________________________

Borghesia _____________________ +

_______________ ________________

3 – diversità ______________________

LE NUOVE MODALITÀ DELLA VITA

POLITICA NELLA SECONDA METÀ

DELL’OTTOCENTO

1- prevalere area __________________

Page 54: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

148

eletto dai sudditi, ma il suffragio previsto era rigidamente censitario, cioè

ristretto solo a coloro che possedevano un reddito molto elevato. Decisamente

moderato persino in un'ottica liberale, lo Statuto albertino non era dunque per

nulla democratico, nel senso che sia in linea teorica (la sovranità risiedeva nel

re) sia all'atto pratico (il suffragio era censitario) escludeva la partecipazione

del popolo dalla gestione del potere e dello Stato.

Infine, per contrasto rispetto al modello costituzionale americano, va ricordato

che lo Statuto albertino non era neppure una Costituzione rigida, in quanto

poteva essere modificata da una legge ordinaria approvata dal Parlamento:

nessuna legge, di fatto, avrebbe mai potuto essere considerata

anticostituzionale, il che esponeva i cittadini a possibili abusi di autorità da

parte delle Camere e del sovrano, che in parte — come si è visto — continuava

a controllare l'attività del potere legislativo.

Parallelamente all'avvento dei regimi costituzionali, che inizialmente coinvolse

anche gli altri stati italiani, andò rapidamente manifestandosi un generale moto

politico nei centri urbani grandi e piccoli, coinvolgendo ampi settori della

popolazione; esso si prefigurava l'obiettivo di porre fine alla dominazione

austriaca nella penisola e avviare il processo di unificazione del paese.

Obiettivo che non venne però raggiunto né dall’iniziativa del regno sabaudo

(sconfitto dall’esercito dell’impero austro-ungarico nella I guerra

d’indipendenza), né dai tentavi di rovesciare i vecchi regimi operari da liberali

e democratici a Firenze, Roma e Venezia.

Inoltre, nel corso degli avvenimenti del ’48 si manifestò, soprattutto in

Francia, quella spaccatura fra i movimenti politici che prima non era

emersa a causa della repressione e della presenza di un nemico comune e

che anche essa rimarrà come una costante della vita politica europea dei

decenni successivi.

In Francia le forze democratiche e socialiste promotrici dell’insurrezione

popolare scoppiata a Parigi sul finire del febbraio del ’48,che diede il

via agli avvenimenti rivoluzionari, ottennero un forte peso nel governo

provvisorio che, oltre ad indire l’Assemblea costituente da eleggersi a

suffragio universale, promosse una serie di misure a favore delle classi

lavoratrici fissando l’orario massimo giornaliero in 11 ore e, soprattutto,

promuovendo il diritto al lavoro, attraverso la creazione delle “officine

nazionali” che pensate come vere e proprie cooperative di produzione si

ridussero in realtà a impiegare i lavoratori in lavori di pubblica utilità.

I gravi problemi finanziari che le officine nazionali posero e la vittoria

dei moderati alle elezioni per l’assemblea nazionale finirono per

estromettere dal governo i democratici più radicali e i socialisti. La

I guerra ________________________

e rivoluzioni del _________in Italia

2 – spaccatura __________________

_____________________________

in ________________________

Le misura _________________________

_______________ del governo provvisorio:

- 11 ore ___________________________

- le _______________________________

vittorie dei ___________________ nelle

elezioni:

- estromissione dei ___________________

e dei socialisti

LO STATUTO _______________________

Concesso da ______________________ nel ________, esteso al Regno _____________ nel ______, rimasto valido fino al _________

Caratterizzato da:

1 – Concesso quindi _____________________________________________________________________________________________

2 – Prevalere del ________ sul ______________________. Il re: 1 - _______________________________________________________

2 - _______________________________________________________

Soprattutto a partire da Cavour prevalse un’interpretazione parlamentare dello Statuto

3 – Sistema parlamentare poco __________________. Senato nomina____________; Camera dei deputati suffragio ____________

4 – Non rigido: _________________________________________________________________________________________________

Page 55: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

149

reazione popolare a seguito della chiusura delle officine popolari fu

duramente repressa dal governo con l’invio dell’esercito, segnando in

questo modo una decisiva svolta antidemocratica. Le elezioni

presidenziali, avvenute nel dicembre del ’48, vinte dal candidato delle

forze conservatrici, Luigi Napoleone Bonaparte, che un plebiscito

quattro anni dopo avrebbe eletto imperatore, chiuse definitivamente la

fase democratica.

Gli avvenimenti del 1848 portarono sulle scene della politica anche

quelli che ne saranno i nuovi protagonisti, ovvero la borghesia liberale e

le masse popolari organizzate dalle forze democratiche e, sempre più

nella seconda metà dell’Ottocento, socialiste.

Mentre lo scontro tra borghesia e masse popolari si sostituiva allo

scontro tra borghesia e aristocrazia che aveva caratterizzato il periodo

precedente e che spesso aveva assunto le forme dello scontro tra

parlamento e re, al parlamento, ora egemonizzato da forze liberali

moderate, quale unico luogo deputato alla politica, si aggiungevano le

piazze quali luoghi in cui si manifestava la partecipazione, o meglio la

richiesta di partecipazione delle masse popolari; si veniva delineando

così uno scontro parlamento-piazze che manifestava lo scontro

ideologico, tra liberali e democratici e socialisti, e quello sociale tra

borghesia e masse popolari.

Infine a caratterizzare la seconda metà dell’Ottocento intervennero

anche mutamenti ideologici che, come vedremo tra poco, porteranno

all’affermazione di due nuove correnti dall’alveo della democrazia

rivoluzionari, da un lato, la liberaldemocrazia, e dall’altro, il socialismo.

Nel periodo compreso tra il 1848 e l’ultimo decenni del secolo si

affermarono dunque in Europa dei regimi borghesi di ispirazione

liberale, in quanto la borghesia industriale e finanziaria aveva ormai

affiancato l’aristocrazia quale componente del blocco sociale al potere.

Tali regimi conservavano nell’Europa continentale, ovvero nella Francia

dell’impero di Napoleone III, nella Germania del cancelliere Bismark,

nell’impero austro-ungarico di Francesco Giuseppe o nell’Italia dei

governi della Destra e della Sinistra, caratteri ancora alquanto autoritari,

mentre l’Inghilterra della regina Vittoria continuava a rappresentare il

modello di Stato liberale.

- chiusura delle _____________________

e repressione delle manifestazione in loro

difesa

- elezione a presidente della Repubblica di

Luigi Napoleone (____________________)

3 – nuovi ______________________ e

e nuove modalità della vita politica

4 – i mutamenti __________________

Il nuovo blocco ___________________al

potere: ________________________ +

________________________________

LE NUOVE MODALITÀ DELLA VITA POLITICA NELLA SECONDA METÀ DELL’OTTOCENTO

1 - _____________________________________________________________________________________________________________

2 - ____________________________________________________________________________________________________________

3 - ____________________________________________________________________________________________________________

Prima Dopo

Scontro _____________: nobiltà / _________________________ ____________________ / __________________

Protagonisti: __________ / parlamento parlamento / ________________________

eletto a ______________________ guidate da:________________________

guidato da ______________________ _______________________________

Page 56: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

150

4 – LE IDEOLOGIE POLITICHE NELLA SECONDA METÀ DELL’OTTOCENTO

4.0 L’origine delle nuove correnti politiche

4.1 La liberaldemocrazia: A. De Tocqueville

4.2 La democrazia radicale: J. Stuart Mill

4.3 Il darwinismo sociale: H. Spencer

4.4 Il socialismo

4.5 I cattolici

Nel corso della seconda metà dell’Ottocento si vennero delineando insieme al

nuovo quadro politico, costituito dallo Stato liberale sul modello inglese, anche

alcuni significativi mutamenti all’interno del quadro ideologico e delle correnti

politiche.

Lo sviluppo del pensiero politico è legato a un duplice processo di diversi-

ficazione, iniziato già negli anni trenta e quaranta dell’Ottocento, che

interessa da una parte la tradizione democratica e dall’altra la tradizione

liberale. Dalla originaria matrice democratica si viene differenziando, per

un verso, un filone socialista che si appropria della componente egualitaria

in essa presente e ne fa il centro di un’autonoma dottrina politica e, per

l'altro, un filone liberaldemocratico che, pur riconoscendosi in alcune

originarie richieste democratiche, come l’estensione del suffragio, la

repubblica o l'istruzione universale, rifiuta le venature organicistiche,

presenti nella democrazia rivoluzionaria, e innesta tali richieste su di una

concezione della libertà politica e dello Stato che è originariamente liberale.

Non tutta la tradizione liberale confluisce peraltro nel filone libe-

raldemocratico: alla fine del secolo, nella forma del darwinismo sociale, si

assiste alla rinascita di un liberalismo intransigente che esalta la

competizione sociale e contesta l’intervento filantropico e educativo dello

Stato. Nemmeno tutta la tradizione democratica si perse, in quanto rimase

viva una corrente di democratici radicali che spingeva per mutamenti più

rapidi e radicali di quelli voluti dai liberaldemocratici. Pur dimostrando una

maggiore attenzione al problema sociale, comunque, rispetto ai socialisti

essi tendevano a ritenere prioritaria la questione politica invece di quella

sociale.

Costretto a fare i conti con le sfide che provenivano dalle concezioni liberali,

democratiche e socialiste il cattolicesimo mantenne una netta chiusura verso la

modernità producendo, solo alla fine del secolo, significativi, per quanto

ambigui, aggiornamenti della propria concezione della società, elaborando in

particolare il corporativismo come alternativa tanto alle visioni socialiste della

vita collettiva quanto a quell’individualiste di derivazione liberale.

Difensori regimi assoluti

Locke

Rousseau

1800

-

1850

Liberali Democratici

1850

-

1900

__________________

Spencer

____________________ _____

__________________ _____

________________ ____________________

______________ __________________

Page 57: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

151

Il maggior teorico europeo della democrazia liberale è costituito da Alexis de

Tocqueville (1805-59), il quale cerca di integrare i principi fondamentali del

liberalismo con la prospettiva di una partecipazione sempre più estesa

all'esercizio del potere. Egli pensa la libertà politica come assicurazione per mezzo

delle leggi di una sfera di indipendenza individuale; difende la separazione dei

poteri, la laicità dello Stato e il principio della tolleranza. Ma ritiene anche

che le masse possano e debbano essere coinvolte nella politica. Si pronuncia a

favore del suffragio universale. Indica negli Stati Uniti d'America il modello di

una democrazia in cui il popolo educa gradualmente se stesso a partecipare in

maniera responsabile alla vita politica, attraverso una fitta rete di autonomie locali,

gruppi civici e organizzazioni economiche e culturali. Tocqueville contrappone

al dispotismo socialista una democrazia fedele ai principi liberali; infatti non

ritiene che la partecipazione del popolo sia inevitabilmente destinata a

introdurre nella politica elementi di irrazionalità. Egli pensa invece che,

attraverso le opportune riforme in campo educativo, l'esercizio della ragione

possa progredire liberando gradualmente i cittadini dai vincoli dei pregiudizi e

dell'ignoranza.

Proprio perché propone una democrazia che è democrazia liberale, Tocqueville,

che pure esalta le potenzialità educative del sistema americano, non esita a

denunciarne anche i pericoli intrinseci. Sono i pericoli intrinseci a tutta la nuova

democrazia. Essa è esposta al rischio della “tirannide della maggioranza”:

l’opinione pubblica esercita una pressione dispotica sul singolo, tende ad

appiattire idee e costumi e a scoraggiare il libero pensiero. Precisamente in

virtù del fatto che abbatte le forme tradizionali di dispotismo, essa tende

inoltre a spoliticizzare gli individui. La scomparsa delle antiche gerarchie induce

gli individui a occuparsi dei loro affari privati e a delegare ad altri le loro funzioni

politiche. La democrazia è dunque un delicato equilibrio che non può essere

acquisito una volta per tutte e che è necessario sorvegliare permanentemente.

Anche John Stuart Mill (1806-73) denuncia la tendenza moderna a una crescente

burocratizzazione e le minacce di un dispotismo dell'opinione pubblica. Egli

insiste sugli aspetti mistificatori dell'idea della sovranità popolare e addita il

regime plebiscitario di Napoleone III come esempio di un sistema dove il

consenso di massa è manipolato e non implica una vera libertà politica .

Analogamente Mill polemizza contro il socialismo, perché intravede nei suoi ideali

egualitari il rischio di un’oppressione della società sull’individuo. La libertà

politica infatti, secondo Mill, è misurata dalla possibilità di dissenso

individuale: non solo e non tanto dalla centralità del principio di maggioranza,

quanto piuttosto dalla garanzia dei diritti delle minoranze. Il pluralismo è una

sua condizione essenziale.

Mill d’altra parte non argomenta il principio della libertà politica sulla base di

un ragionamento di tipo giusnaturalistico (in base cioè a un supposto diritto

naturale): egli ritiene che l'idea di diritti presociali inalienabili sia solo una

finzione teorica. La giustificazione di Mill è piuttosto di tipo utilitaristico. Per

Mill la libertà politica dovrebbe essere preferita perché essa è più del

dispotismo idonea a favorire il benessere generale: in primo luogo, perché

educa gli individui, sviluppa le loro capacità e li rende più forti e coraggiosi; in

secondo luogo, perché consente di sperimentare diverse possibili soluzioni per

i problemi sociali e dunque accresce la razionalità delle scelte politiche; e, in

terzo luogo, perché il sentimento di libertà, a parità di altre condizioni, rende gli

uomini più felici.

Mill si pronuncia a favore dell'istruzione universale e dell'estensione del

suffragio. Sostiene l’opportunità di mettere alla prova le ipotesi socialiste su

Page 58: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

152

piccola scala, in forme cooperative, e di praticare politiche di redistribuzione

del reddito, al fine di diffondere in tutti gli strati della società quella possibilità

di libera espressione della personalità che la sperequazione delle ricchezze

finora ha limitato ai ceti più abbienti. E, ancora più significativamente, si batte

contro la soggezione delle donne al dominio maschile e alla famiglia patriarcale.

Mill rifiuta l’idea che tale soggezione discenda da una inferiorità naturale

della donna: essa discende invece per lui da una storia di continui soprusi, che ha

convertito la debolezza fisica in servitù e ha creato artificialmente una natura

femminile tutta finalizzata alle esigenze degli uomini.

Accanto al liberalismo democratico, nella seconda metà del secolo, si afferma

tuttavia anche un liberalismo intransigentemente antistatalista, propugnatore di

una visione competitiva della società. Sulla formazione di tale filone liberale

esercitano un influsso decisivo le idee di Darwin e soprattutto il cosiddetto

darwinismo sociale, cioè la proposta di estendere la portata delle idee darwi-

niane dal campo dei rapporti tra le specie biologiche al campo dei rapporti tra gli

individui e i gruppi umani. Così come Darwin ha mostrato che la lotta per

l'esistenza e la selezione naturale costituiscono il motore dell’evoluzione delle

specie viventi, il darwinismo sociale suggerisce l’ipotesi che il progresso della

civiltà umana sia legato alla competizione tra individuo e individuo, e tra

comunità e comunità; competizione che porta all’eliminazione delle forme

sociali meno perfette e al prevalere delle più perfette.

Herbert Spencer (1820-1903), un positivista inglese, rappresenta il maggiore

esempio di queste posizioni. Per Spencer l’evoluzione segue leggi naturali non solo

per le specie ma anche nel campo delle società umane, leggi che comportano il

passaggio ad uno Stato di maggior complessità. Così le società tendono a

passare dal tipo militare, fondato sulla cooperazione coatta, sulla soggezione

degli individui alla collettività e sul primato dei guerrieri, al tipo industriale

fondato sulla cooperazione volontaria, sulla libera concorrenza degli

individui e sul primato dei produttori. Via via che si afferma la società

industriale si affievolisce l’esigenza di un controllo politico. Lo Stato dovrebbe

intervenire il meno possibile limitandosi a garantire la leale competizione fra

individui: infatti, per Spencer, ogni intervento filantropico premia, con grave danno

del meccanismo evolutivo, gli elementi meno idonei, impedendo il prevalere dei

più adatti. Forma estrema di insensato interventismo statale è il socialismo che

rappresenta una regressione dalla società industriale alla società militare. Per Spencer, il

principio della selezione naturale vale nei rapporti tra gli individui così come nei

rapporti tra le comunità. Infatti nei loro conflitti anche le società più evolute

prevalgono inevitabilmente su quelle meno evolute. Non è un caso perciò, e ha

una precisa giustificazione nello sviluppo complessivo della civiltà, se una

società evoluta come quella inglese ha potuto creare un vasto impero coloniali

sottomettendo le società più primitive con cui è entrata in contatto.

La disuguaglianza sociale che Locke aveva giustificato con l’introduzione della

moneta diventava per i nuovi liberali di destra un fattore naturale, indipendente

dalla volontà umana. Infatti, Locke ipotizza che l’uguaglianza naturale tra gli

uomini sia stata superata nel momento in cui questi ultimi hanno accettato,

convenzionalmente, l’uso della moneta. La sua introduzione ha, infatti,

consentito di superare i limiti naturali che erano posti all’accumulazione di beni,

costituiti dal non potersi impadronire di una quantità di beni eccedenti la

capacità di usarli, in quanto sarebbero deperiti, e dal non sottrarre agli altri i beni

necessari. Agli occhi di Locke, che in questo modo sembra ignorare l’esistenza

del secondo limite che pure considera naturale, l’introduzione della moneta, che

supera il limite imposto dalla possibilità di deteriorarsi dei beni, appare

sufficiente per giustificare il superamento dell’uguaglianza naturale.

Il darwinismo sociale sembra dunque accentuare gli aspetti conservatori presenti

Page 59: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

153

nelle teorie liberali finendo per considerare un dato naturale, e quindi in quanto

tale non da giustificare, la disuguaglianza sociale che Locke, quasi due secoli

prima, tentava invece, pur con qualche problema, di giustificare.

4.4 Il socialismo

4.4.0 La storia della protesta sociale e del movimento operaio

4.4.1

4.4.2 L’anarchia: Bakunin

- La libertà come dimensione umana compiuta

- Le fonti dell’alienazione umana

4.4.3 La prima Internazionale

- Il sostegno alle lotte operaie

- Le spaccature ideologiche

Prima di esaminare l’ultima ideologia politica ottocentesca, il socialismo,

daremo un breve sguardo alla storia del movimento operaio.

Nelle società preindustriale dell’ancien régime la protesta sociale ha come suoi

protagonisti i contadini, in quanto gruppo sociale più consistente dei non

abbienti, e si esprime in scoppi di rivolte episodiche determinate dall’improvviso

aggravarsi delle condizioni di vita, dovuto a carestie prolungate, richieste di

nuovi tributi, ecc... Essa è quindi la manifestazione spontanea del disagio sociale

caratterizzata dalla breve durata e dalla violenza. Infatti, le rivolte sociali in

genere si esaurivano nell’assalto ai simboli del potere (palazzo comunale,

palazzi dei ricchi, conventi) nel tentativo di sfogare la rabbia e di impossessarsi

dei viveri contenuti nei magazzini dei ricchi. La rivolta aveva termine sia per

l’incapacità delle masse di organizzarsi di fronte alle prime reazioni dei ceti

dominanti e dello Stato, sia perché non si ponevano il problema di mettere in

discussioni i rapporti sociali per dar vita a un nuovo modello di società, non

avendo quindi una vera e propria valenza politica. In effetti, le uniche richieste

elaborate dalle masse non andavano al di là delle motivazioni elementari dettate

dalla pura sopravvivenza (più pane) e le uniche proposte di una società diversa

LA GIUSTIFICAZIONE DELLA DISEGUAGLIANZA

LOCKE

______________________ naturale degli uomini diritto ad appropriarsi dei beni con due limiti

1 - __________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

2 - __________________________________________________________________________________

introduzione moneta : possibilità di _____________________________________________________________

superamento _____________________________________(Locke ignora _______________________)

DARWINISMO SOCIALE

_____________________ naturale degli uomini: evoluzione ________________________________________________

(lotta per la sopravvivenza + _____________________)

Page 60: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

154

12 Vedi Storia XIV-XVI secoli, pag. 213-14.

elaborate, ad esempio dagli intellettuali riformisti più radicali (vedi T.

Müntzer12), non andavano al di là del richiamo alla fratellanza evangelica.

Infine, le rivolte dei ceti subalterni nelle società europee preindustriali erano

caratterizzate dal localismo delle loro manifestazioni che non riuscivano a

coordinarsi quando scoppiavano in diverse località.

La storia del movimento operaio europeo costituisce il superamento di questi

limiti delle rivolte sociali dell’ancien régime, avendo dato vita a forme

organizzative in grado di superare la protesta episodica, spontanea, violenta,

localista e priva di un vero progetto politico che era tipica delle lotte sociali

prima della rivoluzione industriale.

La prima manifestazione delle lotte sociali all’interno delle fabbriche si ebbe, in

Inghilterra sul finire del Settecento, con il Luddismo che mantenne, comunque,

tutte le caratteristiche di cui abbiamo parlato. Questo movimento prese il nome

dal leggendario tessitore Ned Ludd che nel 1779 avrebbe distrutto un telaio. I

luddisti contrastavano il diffondersi della prima meccanizzazione (come la

navetta volante) adottando come principale, anche se non unica, forma di

lotta la distruzione delle macchine, nel cui impiego veniva individuata la

causa fondamentale della disoccupazione e dei bassi salari. In questa

spontanea ed elementare protesta trovavano espressione soprattutto il

rifiuto del nuovo ordinamento della produzione e delle condizioni di vita

che a questo accompagnavano, ma anche la reazione alla politica

governativa improntata alla repressione di ogni fermento e di ogni spinta

associativa dei ceti subalterni. La durissima legislazione penale inglese, non

solo contro i distruttori di macchine ma contro qualsiasi forma di

organizzazione, di sciopero e di rivendicazioni salariali (che era stata definita

a più riprese dal 1725 in poi), venne ulteriormente inasprita nel 1812 con

l'introduzione della pena di morte contro i luddisti. Le agitazioni luddiste, che raggiunsero l'apice nel 1811-12, lasciarono il posto

alle prime forme di organizzazione come le società di mutuo soccorso che,

ricollegandosi alla tradizione delle corporazioni artigiane di origine medioevale,

si dedicavano più alla cooperazione e al mutuo soccorso fra i soci

(organizzavano spacci alimentari a basso costo, collette per membri infortunati,

malati, ecc...) che non alle lotte rivendicative. Spesso queste forme di solidarietà

erano promosse dagli stessi industriali che vedevano in esse un modo per

controllare le masse operaie, o da intellettuali democratici (ad esempio in Italia i

LE CARATTERISTICHE ______________________________________________

1- _________________________________________________________________________________________________________

2 - _________________________________________________________________________________________________________

a - _________________________________________

b - _________________________________________

3 - _________________________________________________________________________________________________________

4 - _________________________________________________________________________________________________________

a - __________________________________________________________________________________________

b - __________________________________________________________________________________________

5 - _________________________________________________________________________________________________________

Page 61: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

155

mazziniani) che pensavano ad esse come un primo strumento per educare il

popolo.

Accanto alle società di mutuo soccorso apparvero ben presto le prime leghe di

categoria e le prime organizzazioni sindacali che fecero delle rivendicazioni

economiche, e comunque migliorative delle condizioni di lavoro e di vita degli

operai, l’aspetto prioritario della loro attività. Negli anni '20 gli operai inglesi,

guidati per lo più da leader democratico-radicali, avevano cominciato a sperimentare

forme di agitazione pacifica (manifestazioni, comizi, scioperi) in cui le

rivendicazioni economiche si mescolavano a quelle politiche; e avevano lottato per

ottenere l'abrogazione di quelle leggi che - in Gran Bretagna come in altri paesi -

dichiaravano illegali le associazioni fra i prestatori d'opera e proibivano il ricorso allo

sciopero. Da queste lotte - in parte coronate da successo grazie legge del 1824 che

legalizzava le associazioni operaie - nacquero le prime Trade Unions, nucleo

originario di un movimento sindacale destinato a grandi sviluppi.

Nei paesi dell’Europa continentale, il processo di formazione del proletariato

di fabbrica e di crescita delle organizzazioni operaie fu naturalmente molto più

lento. In Francia e in Germania, attorno alla metà del secolo, gli occupati

dell’industria erano circa un quarto della popolazione (per di più molti occupati in

attività ancora di tipo artigianale), mentre già raggiungevano il 50% in Gran

Bretagna.

Alla fine degli anni ’30 risalgono le prime rivendicazioni di tipo politico con

l’esperienza del cartismo che vide le Trade Unions e gli intellettuali democratici

radicali richiedere l’adozione del suffragio universale, visto come il mezzo più

idoneo per far valere gli interessi dei lavoratori nel parlamento e nel governo. La

sconfitta del movimento cartista convinse i leader dei sindacati inglesi ad

abbandonare il terreno delle agitazioni politiche per concentrarsi su quello delle

rivendicazioni economiche.

Nelle esperienze continentali, partite in ritardo come si è detto, ha inizio dalla fine

degli anni ’40 una nuova fase della storia del movimento operaio, che giunse a

elaborare una propria autonoma strategia politica in cui si esprimeva un progetto

di società alternativo a quello capitalistico-borghese. Gli avvenimenti del ’48

LE TAPPE DELL’EVOLUZIONE DEL ____________________________________________

1 - _____________________________________________

__________________________________________________________________________________________________

[come nell’ancien régime]

2 - ______________________________________________

___________________________________________________________________________________________________

[ viene superato ______] (in riferimento allo schema precedente)

3 - _________________________________________________ [ viene superato ________]

______________________________________________________________________________________________________

4 - _________________________________________________

______________________________________________________________________________________________________

5 - _________________________________________________

______________________________________________________________________________________________________

[ viene superato ______]

Page 62: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

156

13Fino alla Rivoluzione russa del 1917 i termini comunismo e socialismo non saranno quasi mai contrapposti, e non

saranno impiegati per indicare posizioni politiche sostanzialmente distinte. Il termine socialismo sarà comunque il più

diffuso. In ragione di tale circostanza faremo un uso estensivo dì questo termine per designare l'intera area del nuovo

egualitarismo

furono decisivi in questo senso: avevano infatti dimostrarono come i governi

liberali si rifiutassero di affrontare la questione sociale e come i democratici, che

fino ad allora avevano guidato il movimento operaio, privilegiassero quella

politica. Ciò era stato reso evidente dal fatto che il governo rivoluzionario, sorto

anche grazie al contributo dei lavoratori parigini, represse con violenza

l’insurrezione in difesa del diritto al lavoro e delle “officine nazionali”. Si vide in

quella occasione, secondo le parole di Marx, come il proletariato rappresentasse

una forza sociale alternativa.

Dopo il ’48 a guidare il movimento operaio furono soprattutto intellettuali di

ispirazione socialista che elaborarono i modelli di società e le strategie politiche

che si contesero la guida delle organizzazioni operaie.

Il socialismo13, nelle sue molte varianti e diramazioni concettuali di cui il

marxismo e il pensiero anarchico sono la massima espressione ottocentesca, è

una derivazione radicale dell'egualitarismo presente nella tradizione della

democrazia rivoluzionaria e rappresenta il filone centrale di ciò che, a partire

dall'Ottocento, sarà chiamato sinistra politica. Quest'area del pensiero politico

ottocentesco è accomunata dall'idea che una distribuzione ineguale del potere e

della ricchezza all'interno della società sia di per sé una forma di ingiustizia e

che questa ingiustizia possa e debba-essere eliminata.

Una tale idea non è ovvia. Per secoli il pensiero conservatore ha sostenuto che le

disuguaglianze sociali sono un male inevitabile derivante dalla natura delle cose

umane, oppure un male contingente, ma da accettare con umiltà quale punizione

divina per il peccato, o, addirittura, che sono un bene, in quanto strumento

essenziale per consentire una maggiore efficienza del meccanismo sociale.

Anche il pensiero liberale ha in generale riconosciuto la legittimità delle

differenze sociali accogliendo gli argomenti della tradizione conservatrice,

oppure, con Locke, sostenendo che le differenze sociali in gran parte derivano

dal lavoro individuale e non sono perciò ingiuste. Contro questi assunti l'utopia

della società egualitaria era fiorita soprattutto nelle correnti radicali del pensiero

religioso medievale e moderno. L’egualitarismo contemporaneo nasce con

Rousseau e dalla tradizione della democrazia rivoluzionaria. Infatti, è all'interno

di questo filone che esso trova una nuova base teorica, specificatamente laica,

nell'idea del nuovo contratto sociale, creatore di una comunità sovrana,

collettivamente responsabile della distribuzione di ogni ruolo e di ogni

distinzione tra gli uomini. A chi proviene da questa matrice teorica la

disuguaglianza non apparirà più né invitabile né giustificabile sulla base delle

condizioni individuali prepolitiche.

Ci sono almeno due idee che sembrano accomunare tutto il pensiero di sinistra

ottocentesco. Tutti i più importanti pensatori egualitari ottocenteschi vedono la

battaglia contro l'ingiustizia sociale come costruzione di un nuovo modello di

società; essi condividono dunque l'idea che la società possa essere progettata e

riprogettata, e che abbia senso il concetto di un assetto sociale globalmente

Le idee comuni:

1 - ____________________________________________________________________________________________________________

2 - ____________________________________________________________________________________________________________

3 - _____________________________________________________________________________________________________________

Page 63: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

157

14 Per Marx vedi Filosofia Contemporanea, pag. 143-76

.

Consigli di un artista ai suoi figliuoli.

Ovvero dei diritti, dei doveri e delle

convenienze sociali” scritto dal

saviglianese Pietro Casimiro Gandi e

stampato nel 1877.

Il libro contiene alcuni capitoli (“Degli

scioperi”, “Del socialismo e del

comunismo” e ”Dell’Internazionale”) in

cui il benestante saviglianese esprime i

suoi giudizi sulle nuove ideologie e sugli

strumenti di lotta del movimento operaio

i cui primi echi stavano giungendo anche

da noi.

Sotto è riportato una parte del capitolo

relativo agli scioperi

diverso dall'attuale. L'ipotesi di un socialismo che non si proponga di creare un

nuovo modello di società, bensì di migliorare la società esistente, sarà quasi solo

del Novecento. Inoltre il nuovo assetto sociale, per tutti i pensatori dell’area

socialista, si fonderà sulla proprietà collettiva dei mezzi di produzione.

Marx14 è sicuramente il teorico del movimento operaio più rappresentativo, in

quanto le sue idee sono state la base delle maggiori organizzazioni politico-

sindacali che lo stesso movimento si è dato, grazie anche all’ampiezza delle sue

analisi: Marx ha infatti elaborato sia una teoria sociale, sia una teoria economica.

Esamineremo tali teorie nel corso di filosofia pertanto ci limiteremo qui a

presentare il pensiero anarchico.

L’anarchia è stata, nella seconda metà dell’Ottocento, l’altra componente

ideologica che, con il marxismo, ha caratterizzato il movimento operaio. Il

termine nella seconda metà del secolo indicava la posizione che estende la

richiesta egualitaria fino a rifiutare ogni gerarchia sociale e politica, considera

Page 64: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

158

legittime solo le scelte collettive che vengano concordemente accettate da tutti i membri

della comunità, e dunque condanna lo Stato e in generale qualsiasi forma di autorità.

Il russo M. A. Bakunin (1814-1876) è stato, con il francese P. J. Proudhon (1809-

1865), il maggior esponente del movimento anarchico. Bakunin fu più che un

pensatore sistematico un attivista, un divulgatore e un organizzatore; il suo pensiero è

affidato a una raccolta di saggi “Stato e anarchia” pubblicato nel 1873.

Al centro del pensiero di Bakunin vi è l’idea di libertà intesa come la prerogativa

fondamentale dell’uomo. Libertà che non viene identificata nel godimento dei diritti

formali dei liberali, né nella libertà politica dei democratici, in quanto è intesa come la

possibilità di raggiungere una dimensione umana compiuta che coincida con la piena

autonomia, la piena padronanza di sè e la capacità di organizzare il proprio destino

insieme agli altri. La libertà del singolo, infatti, deve essere intesa come assoluta e

illimitabile, tuttavia la libertà non è pensabile come condizione esclusivamente

individuale, in quanto l’individuo in quanto tale può essere libero solo quando tutti gli

individui sono liberi, dal momento che le esistenze individuali sono indissolubilmente

legate tra loro.

Per raggiungere la libertà così intesa occorre eliminare le principali fonti

dell’alienazione umana costituite in primo luogo dalla religione e dallo Stato. Dio e la

religione sono viste, sulle orme di Feuerbach, come fonti di alienazione in quanto

ammettere un creatore equivale ad ammettere una volontà a cui l’individuo deve per

forza obbedire e sottomettersi. Il primo atto di liberazione è dunque l’ateismo’ perché

“finché avremo un padrone in cielo saremo schiavi in terra”.

Lo Stato è, agli occhi di Bakunin, in ogni sua forma uno strumento di oppressione,

negazione della libertà e della responsabilità dell’individuo. Lo Stato rappresenta il

maggior ostacolo in vista del raggiungimento della felicità individuale, perché con la

forza obbliga l’individuo ad accettare le altre fonti dell’alienazione umana, le norme

sociali e le disuguaglianze, originate dalla proprietà privata dei mezzi di produzione,

utilizzando a tale scopo la religione. Lo Stato rappresenta, insieme alla religione, lo

strumento di cui si servivano le classi dominanti per mantenere la maggioranza

della popolazione in condizioni di inferiorità economica e intellettuale. Abbattuto il

potere statale, il sistema di sfruttamento economico basato sulla proprietà

privata sarebbe inevitabilmente caduto. Il comunismo si sarebbe instaurato

spontaneamente come l'ordine più consono alle esigenze naturali delle masse, senza

che allo Stato dovesse sostituirsi nessuna organizzazione di tipo centralizzato e

coercitivo. Conseguentemente Bakunin pensava che la rivoluzione delle masse

oppresse avrebbe dovuto comportare, come suo obiettivo primario, non l’abbattimento

delle attuali forme dello Stato ma all’eliminazione di qualsiasi forma di Stato.

È evidente quanto queste concezioni fossero distanti da quelle di Marx. Anche Marx

vedeva nella religione e nello Stato degli strumenti al servizio delle classi dominanti;

ma collocava l'uno e l'altra nella sfera della sovrastruttura, li considerava cioè come il

prodotto della struttura economica basata sullo sfruttamento: solo la distruzione di

quella struttura - ossia del sistema capitalistico - avrebbe reso possibile la distruzione

dello Stato borghese. Anche per Marx l'avvento del comunismo avrebbe portato con

sé l’«estinzione dello Stato»; ma questo stadio finale sarebbe stato raggiunto solo dopo

una fase transitoria, quella della «dittatura del proletariato», necessaria per

neutralizzare la reazione delle classi dominanti. Per Bakunin, uno Stato proletario

non era meno oppressivo dello Stato borghese, al servizio dei capitalisti, in quanto

si sarebbe inevitabilmente tradotto nel dispotismo di una nuova classe, la

burocrazia del partito; pertanto, il concetto marxista di dittatura del proletariato, che

Marx aveva abbozzato nel Manifesto (e che avrebbe trovato in Russia, dopo il 1917

e nella particolare versione leninista-stalinista, la sua attuazione pratica), fu oggetto di

radicale avversione da parte di Bakunin e di tutti i militanti anarchici dopo di lui.

La società sognata da Bakunin, dunque, si caratterizzava in primo luogo per

1'anarchia (= assenza di comando), cioè sarebbe dovuta essere priva di Stato. Gli

uomini, subito dopo essersi ribellati ai tiranni con un gesto di radicale rottura

Page 65: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

159

rivoluzionaria, si sarebbero radunati in unità, in comunità di modesta entità, in

cui il potere coercitivo dell’autorità sarebbe Stato minimo, e quindi incapace di

opprimere di nuovo l’individuo.

Altre fondamentali divergenze tra Marx e Bakunin riguardano i soggetti

promotori e i tempi e le modalità del passaggio alla nuova società portatrice di

felicità a tutto il genere umano. Marx, infatti, era convinto che il ruolo principale

nel processo rivoluzionario spettasse al proletariato industriale, mentre

Bakunin riteneva che gli operai, in virtù della loro capacità organizzativa,

sarebbero riusciti con il tempo ad ottenere buoni salari e condizioni dignitose: i

lavoratori dell'industria, a quel punto, avrebbero perduto ogni volontà di riscatto

e si sarebbero adattati a convivere con il capitalismo e con il potere statale.

Quindi, per Bakunin, gli unici elementi veramente rivoluzionari erano i contadini più

miserabili (che Marx considerava ottusi, ignoranti, troppo facilmente manipolabili

dal potere), il sottoproletariato e tutti gli individui più disperati marginali, non

esclusi i delinquenti comuni. Inoltre, Marx insisteva, che la rivoluzione proletaria

avrebbe avuto possibilità di successo solo quando il capitalismo fosse giunto al

limite della propria espansione, al punto di crollare sotto il peso

insopportabile delle sue interne contraddizioni, e, pur non credendo nella

possibilità di trasformare il sistema borghese dall'interno, riteneva utile che la classe

operaia cominciasse a combattere le sue battaglie già dentro il sistema. Bakunin era

decisamente contrario a ogni prospettiva del genere: per lui l’unica forma di lotta

era, oltre alla ribellione individuale alle convenzioni sociali e alla religione, la

rivolta armata che avrebbe risvegliato la volontà delle masse di abbattere il sistema.

La convinzione che il comunismo si sarebbe spontaneamente imposto si fonda, in

Bakunin, sulla convinzione che l’uomo è naturalmente socievole e che lo Stato e

la sua inevitabile violenza non servano a tenere uniti la società ma solo ad

opprimere gli individui, a sottometterli a vantaggio di qualcuno. L’equilibrio tra

impulsi egoistici e altruistici non richiede alcuna coercizione esterna ma può

essere raggiunta attraverso la solidarietà, sentimento che spinge alla libera

coesione sociale.

Con l’abbattimento del regime oppressivo esistente, gli individui vivranno in una

dimensione comunitaria che pone come unico vincolo alla libertà individuale i

vincoli sociali di solidarietà. Ma, perché la libertà dell’individuo possa conciliarsi

con il massimo di solidarietà, occorre che ognuno possa collaborare

all’elaborazione delle leggi e alla gestione politica della comunità in modo che la

dimensione sociale costituisca una parte essenziale del suo essere uomo.

L’abbattimento dello Stato, oltre alla partecipazione diretta degli individui alla

gestione della comunità, comporta anche l’abbattimento della terza fonte di

alienazione umana: la proprietà privata che è la diretta responsabile della

disuguaglianza sociale e della miseria delle masse.

La proprietà privata dei mezzi di produzione, e quindi le attuali industrie, saranno

sostituite da associazioni spontanee di produttori in quanto il lavoro diventerà un

bisogno naturale, un modo di esprimersi dell’individualità.

Mentre la tradizione marxista propende per una gestione centralizzata

dell’economia, almeno nel periodo di transizione al comunismo maturo,

Bakunin, e con lui l’intera tradizione anarchica, propende per un’organizzazione

dal basso delle attività economiche, incentrate su piccole unità produttive che

agiscono autonomamente coinvolgendo nella produzione e nella gestione tutti i

loro membri. Secondo Bakunin tali associazioni di produttori si uniranno ad altre

associazioni, dando vita a confederazioni sempre più grandi sino ad estendersi

all’intera Europa, dapprima, e, in seguito, a tutto il mondo.

L’ultima fonte di alienazione dell’uomo è costituta dalle convenzioni sociali, in

particolare dalla morale. Esse rappresentano un impedimento alla felicità

individuale ponendo dei limiti alle possibilità dell’individuo di vivere una vita

emotiva ed affettiva piena, regolando in maniera repressiva le relazioni tra

individui. In particolare Bakunin evidenzia i limiti all’espressione degli affetti e

Page 66: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

160

della sessualità, costretti entro il limitato e soffocante ambito della famiglia.

Il contrasto tra marxisti e anarchici esplose all’inizio degli anni settanta

all’interno dell’Associazione Internazionale operaia (detta in seguito Prima

Internazionale) fondata a Londra nel 1864, in margine alla prima esposizione

internazionale, da un gruppo di rivoluzionari e operai inglesi, francesi, tedeschi e

italiani (esponenti della democratica corrente mazziniana).

L'Associazione, almeno nei primi anni, si caratterizzò proprio per il fatto di non

essere omogenea dal punto di vista ideologico: al suo interno operavano figure

molto differenti tra loro, che partivano da presupposti filosofici molto distanti,

e trovarono solo nell'azione concreta un significativo punto d'incontro; i primi

Congressi dell'Internazionale non registrarono così clamorose fratture o scontri

frontali impossibili da ricucire. Negli anni 1867-1869, la preoccupazione

principale dell'Associazione fu quella di sostenere gli scioperi in cui, di volta

involta, gruppi di operai delle diverse nazionalità erano impegnati. Per manifestare

la solidarietà dei lavoratori di tutti i paesi, l'Associazione faceva arrivare denaro e

sussidi agli scioperanti, in modo da rendere loro possibile proseguire l'agitazione il

più a lungo possibile. Verso la fine degli anni Sessanta queste azioni di protesta

sostenute dall'Internazionale divennero le più temute sia dai singoli capitalisti sia

dallo Stato che intervenne con raddoppiato vigore: nel giugno e nell'ottobre del

1869, ad esempio, per far terminare lo sciopero dei minatori belgi e francesi, l'eser-

cito sparò sui dimostranti, provocando numerosi morti. A partire dagli anni settanta

LE FONTI DELL’ALIENAZIONE UMANA

DIFFERENZE MARX - BAKUNIN

Page 67: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

161

Da “Consigli di un artista ai suoi figliuoli. Ovvero dei diritti, dei doveri e delle convenienze

sociali” di P. C. Gandi, parte del capitolo sull’Internazionale

a avvennero le prime spaccature ideologiche tra le diverse componenti della Prima

Internazionale. Mazzini nel 1871 pubblicò diversi articoli molto severi nei confronti di

Marx, di Bakunin e della loro Internazionale, a cui inizialmente avevano preso parte

anche dei suoi rappresentanti. Innanzitutto Mazzini respingeva nettamente l'ateismo,

poiché riteneva che l'eliminazione di Dio avrebbe comportato la soppressione di ogni

moralità e di ogni forma di convivenza umana. Inoltre, mentre difendeva

apertamente il diritto di proprietà, Mazzini accusò marxisti e anarchici di voler

frantumare con la lotta di classe la nazione, considerata d'istituzione divina. Furono

comunque i contrasti tra Marx e Bakunin a determinare la spaccatura

dell'Internazionale in due filoni, uno marxista e uno anarchico. Trasferitosi negli

Stati Uniti, il Consiglio Generale dell'Internazionale (interamente controllato dai

seguaci di Marx) decise di sciogliere l'associazione il 15 luglio 1876. Marx,

in realtà, considerava l’Internazionale uno strumento ormai inefficace e

puntava, invece, sullo sviluppo nei vari Stati di forti partiti socialisti

nazionali che fossero in grado di inquadrare la maggioranza della classe

operaia dei vari paesi.

L'Internazionale degli anarchici sopravvisse a quella marxista per un altro

anno, ma poi essa stessa si sciolse, nel settembre 1877. Dopo il fallimento

della Prima Internazionale (1864-1877), l'anarchismo non si sarebbe più ripreso;

anche quando singoli militanti anarchici, verso la fine dell'Ottocento,

riuscirono a portare a termine diversi clamorosi attentati terroristici, e al limite ad

uccidere alcuni sovrani e capi di Stato, con lo scopo di spingere le masse alla

rivolta, queste non si mossero. Di fatto, il movimento fondato da Bakunin rimase

vitale solo in Spagna e in parte in Italia: negli altri paesi, soprattutto quelli più

industrializzati, l’anarchismo scivolò lentamente verso la marginalità. La sconfitta

delle tesi anarchiche fu determinata anche dai cambiamenti avvenuti all’interno

della classe operaia. Infatti, al momento della nascita della Prima Internazionale

erano ancora prevalenti gli operai dei mestieri tradizionali (edilizia,

abbigliamento, mobili), più legati alla dimensione artigianale, in cui era

concepibile l’interesse per le cooperative di produzione, mentre a partire dagli

anni settanta affluirono nella classe operaia operai siderurgici, meccanici e

chimici, la cui mentalità non era più legata all’esperienza artigianale cooperativa.

Page 68: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

162

Socialisti e anarchici non furono i soli a protestare contro le ingiustizie della società

borghese e a denunciare i guasti, veri o presunti, del capitalismo industriale. Infatti

anche il mondo cattolico assunse, sia pure da posizioni opposte, un atteggiamento,

forse ancora più che di critica, di netta chiusura nei confronti di una civiltà che si

basava su presupposti laici e individualistici e che tendeva a relegare la religione

nell'ambito delle superstizioni e delle credenze popolari. La Chiesa si opponeva in

questo modo al processo di secolarizzazione che tendeva a ridurre il suo ruolo

nella vita dell’individuo sottraendole una serie di funzioni, quali l’educazione o

l’assistenza che tradizionalmente essa svolgeva, per affidarle allo Stato.

Capofila di questa crociata ideologica fu Pio IX che si preoccupò soprattutto di

riaffermare la più rigida ortodossia dottrinale e di incoraggiare le tradizionali

pratiche di devozione, soprattutto quelle relative al culto mariano. Nel 1854 fu

proclamato il dogma dell'Immacolata Concezione (con cui si stabiliva che la

Vergine era stata concepita libera dal peccato originale). Dal 1858, la cittadina

francese di Lourdes, luogo di una miracolosa apparizione della Madonna, divenne

meta di ininterrotti pellegrinaggi; si incoraggiavano in questo modo nuovi culti,

destinati a affiancarsi o a sostituire, per chi aveva dovuto abbandonare le comunità

d’origine per inurbarsi, i culti mariani locali. Nel Concilio Vaticano I, conclusosi

nell'estate del 1870, Pio IX fece proclamare il dogma dell'infallibilità del papa nelle

sue pronunce ufficiali in materia di fede e di morale; una decisione che rafforzava

l'autorità del pontefice nei confronti dell'episcopato e che anche per questo non

piacque ai governi degli Stati cattolici, accentuando così l'isolamento della

Santa Sede. Quando, nel settembre 1870, le truppe italiane entreranno in

Roma, nessuno dei governi europei si muoverà per salvare i potere temporale del

papa.

Lo scontro fra la Chiesa cattolica e la cultura laica e borghese ebbe il suo culmine nel

1864 quando Pio IX emanò l'enciclica Quanta cura, nella quale accomunava in

una condanna senza appello il liberalismo, la democrazia, il socialismo e l 'intera

civiltà moderna. Per dare maggior forza alla condanna, il papa fece pubblicare,

assieme all'enciclica, una sorta di elenco - o Sillabo - degli errori del secolo: dalla

sovranità popolare alla laicità dello Stato, alla libertà di stampa e di opinione.

Mentre i vertici vaticani si impegnavano in una battaglia puramente negativa contro

la civiltà del tempo, continuavano a manifestarsi nel mondo cattolico tendenze che

cercavano di adeguare la presenza della Chiesa alle trasformazioni della società.

La condanna intransigente della civiltà borghese, se schiacciava e riduceva al

silenzio le correnti cattolico-liberali, lasciava in compenso un certo spazio ai

movimenti cristiano-sociali che si svilupparono in questo periodo in Belgio, in

Francia, in Austria e soprattutto in Germania. Qui il tradizionale appello al

senso di responsabilità delle classi più elevata si accompagnava alla richiesta

di un intervento dello Stato, sotto forma di leggi e iniziative assistenziali a

favore dei lavoratori, e auspicava lo sviluppo della cooperazione e del mutuo-

soccorso fra i lavoratori stessi. Su questa base si realizzarono, soprattutto nei

paesi dell'Europa centrale, i primi esperimenti di moderno associazionismo

cattolico, fondato sulle unioni di mestiere, sulle cooperative, sulle casse rurali e

artigiane, creando in questo modo una rete organizzativa che avrebbe, in

seguito, permesso ai movimenti cattolici di contare su una propria base

organizzata, non solo fra i ceti rurali ma anche fra i lavoratori urbani (soprattutto

artigiani), e di contendere il passo ai socialisti sul terreno degli organismi di massa.

Page 69: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

163

5 - L'EVOLUZIONE DELLA VITA POLITICA NELLA SECONDA METÀ

DELL’OTTOCENTO

5.5.1 Il processo di unificazione nazionale in Italia e Germania: analogie

e differenze

5.5.2 L’unificazione italiana

5.5.3 Lo Stato liberale: il modello inglese

5.5.4 Lo Stato italiano nella seconda metà dell’Ottocento

5.5.1 Il processo di unificazione nazionale in Italia e Germania: analogie e

differenze

A caratterizzare il decennio compreso fra il 1861 e il 1871 vi fu il fatto

che vennero portati a termine due importanti processi di unificazione

nazionali quali quello tedesco e quello italiano.

Due nazionalità da secoli divise acquistarono per la prima volta una struttura sta-

tale unitaria, modificando profondamente la carta politica d'Europa e i rapporti

di forza fra le potenze.

I due processi in alcuni momenti si intrecciarono in quanto la terza guerra

d’indipendenza italiana, che coincise con la prima fase dell’unificazione tedesca,

vide i due stati alleati contro l’impero austriaco e la presa di Roma avvenne dopo

la sconfitta, ad opera dell’esercito tedesco, della Francia di Napoleone III che si

era sempre opposto sia per motivi di politica interna, in quanto questo gli

garantiva l’appoggio della chiesa francese molto influente soprattutto nelle

campagne, sia di prestigio internazionale.

La Francia, che era stata fin allora la maggiore potenza continentale, comunque

svolse un ruolo decisivo in entrambi i processi: come alleata nel caso italiano

(intervenne direttamente nella II guerra d’indipendenza e diede il suo consenso alla

conquista del Mezzogiorno), come avversaria in quello tedesco.

Fra le due esperienze vi sono altri punti in comune. In Italia, con lo Stato sabaudo,

come in Germania, con la Prussia, il conseguimento dell'unità fu reso possibile

dall'esistenza di uno Stato più forte degli altri economicamente e militarmente,

capace di fungere da guida e da nucleo centrale della nuova compagine statale.. Sia

in Italia sia in Germania, un potente stimolo all’unificazione politica venne dalle

esigenze di una borghesia in crescita, desiderosa di creare o di estendere quel

mercato nazionale che era considerato una premessa indispensabile allo sviluppo

economico. Inoltre nell’uno e nell'altro caso fu determinante il ruolo svolto da

uomini politici di eccezionale levatura - Bismarck in Prussia, Cavour in Piemonte -

che si trovarono a reggere il potere negli Stati leader.

Ma le analogie si fermano qui. In Italia i ceti borghesi, per quanto numericamente

deboli ed economicamente meno vitali che in Germania, furono, col sostegno di

ampi strati popolari urbani, gli indiscussi protagonisti della rivoluzione nazionale.

In Germania, la borghesia dovette subire l'iniziativa politica dei rappresentanti

dell’aristocrazia terriera e della casta militare. In Germania l’unità fu fatta

discendere dall’alto, senza alcuna concessione ai principi di sovranità popolare e

alle ideologie liberai-democratiche. In Italia lo Stato nazionale, consacrato dai

plebisciti, nacque dalla combinazione di un’iniziativa dall’alto (la politica di

Cavour e della monarchia piemontese, determinanti per la II e la III guerra

d’indipendenza) e di un’iniziativa dal basso(le insurrezioni nell'Italia centrale e la

spedizione garibaldina, determinanti per la riunificazione del Mezzogiorno ).

Nell’incontro fra la componente democratica e quella moderata e dinastica,

quest’ultima risultò comunque nettamente vincente, tant’è che alcuni storici hanno

Page 70: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

164

visto nel Risorgimento una “rivoluzione tradita”, poiché i democratici non seppero

sfruttare la mobilitazione popolare, particolarmente evidente nel caso della spedizione

dei Mille, per imporre nuovi equilibri politici. Il Risorgimento si trasformò così in

una conquista regia con la semplice estensione delle strutture dello Stato piemontese,

ispirate a un liberalismo alquanto moderato, al nuovo territorio nazionale.

L’impossibilità per la popolazione di far sentire la propria voce all’interno delle

strutture statali si espresse allora in una rivolta, il cosiddetto brigantaggio, che se non

arrivò ad avere contenuti politici impedì per alcuni anni al nuovo Stato di esercitare

un effettivo controllo su buona parte del Sud.

5.5.2 L’unificazione italiana

Cavour: il progetto di modernizzazione di un liberale moderato

La Seconda guerra d’indipendenza

La spedizione dei Mille

Nel corso degli anni cinquanta il Regno di Sardegna riuscì ad affrontare alcuni

importanti problemi.

Innanzitutto il re, Vittorio Emanuele II, si rassegnò a scegliere come,

Presidente del Consiglio l'esponente più prestigioso della maggioranza

parlamentare uscita dalle elezioni, accettando quindi un’interpretazione

parlamentare dello Statuto albertino.

Questo consentì a Camillo Benso, conte di Cavour (1810 - 1861), di rivestire

l’incarico di Primo ministro dal 1852 sino alla sua morte.

Cavour può essere definito un liberale moderato; il suo modello politico di

riferimento fu, sempre, la monarchia costituzionale inglese, che garantiva i

diritti dei cittadini, ma anche l'ordine sociale. Egli, pertanto, non solo fu

sempre decisamente ostile nei confronti dei repubblicani, ma si oppose anche

con determinazione all'allargamento del suffragio, che a suo giudizio doveva

restare censitario. Il suo ideale politico, insomma, era una specie di giusto

mezzo fra l'immobilismo dei conservatori e la rivoluzione dei democratici,

nella convinzione che proprio le riforme, graduali ma incisive, fossero in grado

di evitare le crisi e, quindi, i tumulti insurrezionali.

Nella sua azione di presidente del Consiglio Cavour procedette all'attuazione

del suo progetto modernizzatore. Innanzi tutto ricordiamo che Cavour, nel

L’UNIFICAZIONE ITALIANA

CAVOUR: IL PROGETTO DI MODERNIZZAZIONE

DI UN LIBERALE MODERATO

L’interpretazione ___________________

dello Statuto albertino

Cavour un ________________________

il modello _________________________

riforme __________________ necessarie

per evitare _______________________

Processo di unificazione in Germania e in Italia

Analogie:

1- ruolo della Francia:_________________________________________________________________

2- presenza di uno Stato _______________________________________________________________

3- esigenza della borghesia di ___________________________________________________________

4- presenza di leader politici forti: ________________________________________________________

Differenze:

1- ceti borghesi: _______________________________________________________________________

2- tipo di iniziativa:_____________________________________________________________________

Page 71: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

165

15 Nel 1830, dopo una lotta durata otto anni, la Grecia riuscì a rendersi indipendente dal dominio turco; era il primo segnale

della grave crisi che avrebbe caratterizzato per tutto l'Ottocento, fino alla prima guerra mondiale, l'Impero ottomano, ormai

incapace di competere, sul piano tecnologico e militare, con le grandi potenze europee.

La Russia, che voleva aprire gli stretti del Bosforo e dei Dardanelli al libero passaggio della propria flotta da guerra, fu il

primo Stato deciso ad approfittare de debolezza turca. Nel 1853 lo zar aprì le ostilità, Francia e Inghilterra intervennero a

fianco dell'Impero ottomano e inviarono un esercito a sostegno del sultano; la guerra si svolse, negli anni 1853-1856, nella

penisola della Crimea, all'estremità meridionale della Russia. Sul piano militare gli alleati anglo-francesi riuscirono a

sconfiggere i russi in campo aperto, obbligandoli a rinchiudersi nella piazzaforte di Sebastopoli.

L'assedio della fortezza durò fino al settembre 1855, e la sua evacuazione pose poi fine al conflitto. Le perdite, complessiva-

mente, toccarono la quota di 250 000 morti. Numerosi soldati, tuttavia, non morirono in battaglia, ma per colpa del colera,

una nuovi malattia di origine asiatica che si era manifestata per la prima volta a Calcutta, in India, nel 1817, e aveva rag-

giunto l'Impero turco nel 1828-29.

campo del commercio con l'estero, adottò una linea liberista; in pratica, egli si

propose di sviluppare la produzione dei prodotti agricoli piemontesi, destinati

all'esportazione in Inghilterra, in cambio di manufatti industriali britannici. Nel

frattempo, Cavour si preoccupò di potenziare le linee del telegrafo e,

soprattutto, di migliorare le comunicazioni. Negli anni Cinquanta, in Piemonte

furono costruiti 400 chilometri di strade e centinaia di chilometri di strade

ferrate: nel 1859, il Regno di Sardegna, da solo, possedeva una rete ferroviaria

di 914 chilometri, mentre tutti gli altri stati italiani, nel loro complesso, ne

avevano 986.

La costruzione di questa vasta e moderna rete ferroviaria fu quasi interamente a

carico dello Stato. L'adozione del libero scambio, dunque, secondo Cavour

poteva essere compatibile con una forte presenza dello Stato nella vita

economica, almeno in quei settori (come la costruzione delle ferrovie) che

necessitavano di ingenti investimenti di capitali, non disponibili da parte dei

privati cittadini. Una simile strategia, per altro, comportò un aumento della

tassazione e la rinuncia alla parità del bilancio, ovvero un pesante

indebitamento dello Stato, che non riusciva, con le sole imposte, a coprire le

enormi spese richieste dalla modernizzazione del paese. In effetti, il reddito

dello Stato aumentò da 91 a 164 milioni di lire fra il 1850 e il 1859, ma il

debito pubblico, da 120 milioni di lire nel 1847, toccò la quota di 725 milioni

nel medesimo 1859.

In linea con il suo progetto politico moderato, anche per quel che riguarda il

problema dell’unificazione nazionale l’azione di Cavour era volta ad evitare un

coinvolgimento diretto delle masse, preferendo ai moti e alle rivoluzioni

l’iniziativa dall’alto (dello stesso Stato piemontese) e gli accordi internazionali.

Nel 1854, il Regno di Sardegna decise di intervenire, nella guerra di Crimea a

fianco degli inglesi e dei francesi, che nell'assedio di Sebastopoli stavano

affrontando una prova militare durissima15. La partecipazione al conflitto

permise a Cavour di essere presente al Congresso di Parigi che, nel 1856,

definì i termini del trattato di pace con la Russia.

Nelle intenzioni del primo ministro piemontese, dunque, il conflitto doveva

essere, per il Regno di Sardegna, l'occasione per entrare in contatto con le

grandi potenze europee. La guerra del 1848-1849, in effetti, aveva mostrato

che, da solo, il Piemonte non era in grado di sconfiggere l'esercito austriaco,

ma che era necessario il sostegno di qualche altra potenza europea, interessata

a modificare l'assetto politico italiano. Cavour identificò tale forza nella

Francia di Napoleone III, che aspirava a far entrare l'Italia nella propria orbita.

L'imperatore e il primo ministro piemontese, il 21 luglio 1858, si incontrarono

a Plombières e concordarono che, in caso di aggressione austriaca al Regno di

Sardegna, la Francia sarebbe intervenuta in sua difesa. Dopo la vittoria, il

Piemonte avrebbe ottenuto l'annessione del Lombardo-Veneto, ma in cambio

avrebbe ceduto alla Francia la città di Nizza e la regione della Savoia. Gli stati

dell'Italia centrale sarebbero stati accorpati e assegnati ad un principe francese,

mentre il Regno delle Due Sicilie sarebbe rimasto sotto i Borboni. Il papa

avrebbe perso parte dello Stato della Chiesa, ma sarebbe diventato il presidente

Le iniziative di Cavour

1 - la politica economica: ______________

il miglioramento delle ________________:

telegrafo, ________________ e ferrovie

Libero scambio + intervento ___________

aumento _____________________

no ________________________________

2 - L’unificazione ___________________

No ____________________________

Si iniziativa _____________________

La guerra di ________________________

per ottenere _______________________

----------------------------

gli accordi di _____________________

Page 72: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

166

di una Confederazione composta dai regni dell'Alta Italia, dell'Italia Centrale e

dell'Italia meridionale.

Dal momento in cui ebbe la certezza dell'appoggio francese, Cavour intraprese

i preparativi della guerra contro l'Austria. In effetti, secondo lo statista

piemontese, dopo i moti del 1848-1849 la situazione italiana esigeva una rapida

e radicale trasformazione, pena l'esplosione di nuovi disordini di matrice

democratica e repubblicana.

Secondo Cavour, insomma, i tempi per l'espulsione dell'Austria dall'Italia

erano senza dubbio maturi: ogni iniziativa, tuttavia, secondo lui doveva essere

condotta senza insurrezioni e senza mobilitazione popolare, sotto la guida della

monarchia

sabauda e all'insegna dell'ordine, non del caos rivoluzionario. Cavour inoltre, a

differenza di Mazzini, non riteneva possibile il raggiungimento dell'unità

nazionale in tempi brevi. Nelle sue intenzioni, tutto doveva svolgersi in modo

graduale e, soprattutto, con il consenso delle grandi potenze.

Nel 1859, Cavour si sentì pronto per sfidare l'Austria e incaricò Giuseppe

Garibaldi (un comandante militare di idee democratiche, che già si era distinto

nella difesa della Repubblica romana, nel 1849) di organizzare un corpo di

volontari. Si trattava, chiaramente, di una provocazione nei confronti

dell'Austria, che, in effetti, il 29 aprile del 1859, dichiarò guerra al Regno di

Sardegna. Mantenendo fede agli accordi di Plombières, Napoleone III

intervenne in Italia, e gli eserciti franco-piemontese e austriaco si scontrarono

in alcune violente e sanguinose battaglie (Palestro, Magenta, Solferino e San

Martino).

Nei mesi di aprile-maggio 1859, mentre l'esercito austriaco era costretto ad

abbandonare la Lombardia, in Emilia-Romagna e in Toscana si verificarono

delle insurrezioni popolari, che rovesciarono le autorità tradizionali e

instaurarono dei governi provvisori, che scelsero immediatamente di

sottomettersi all'autorità di Vittorio Emanuele II.

Napoleone III si rese conto che ogni speranza di sostituire la Francia all'Au-

stria, per il controllo di un'Italia debole e frammentata, stava svanendo.

Pertanto, senza consultare Cavour, si affrettò a stipulare con l'Austria

l'armistizio di Villafranca (11luglio 1859), che prevedeva il passaggio della

Lombardia al Regno di Sardegna, ma lasciava il Veneto sotto dominazione

austriaca. Il 1° aprile 1860, il Piemonte e la Francia trovarono un accordo: in

cambio di Nizza e della Savoia, Napoleone III acconsentì al fatto che il Regno

di Sardegna annettesse la Toscana, l'Emilia e la Romagna.

A quel punto, la situazione italiana sembrava bloccata, nel senso che, per via

diplomatica o militare, non pareva possibile modificare ulteriormente l'assetto

della penisola in direzione dell'unità

Malgrado ciò, la situazione subì in tempi brevi una rapida accelerazione: il 4

aprile 1860, infatti, esplose un'insurrezione popolare a Palermo. Deciso a

sfruttare l'occasione, Garibaldi incominciò allora ad organizzare una spedizione

militare, finalizzata a portare la rivoluzione nel Regno delle Due Sicilie.

Ufficialmente, il governo del Regno di Sardegna non era coinvolto nell'impresa

eppure, Garibaldi poté apertamente radunare uomini e mezzi a Genova, senza

incontrare alcun ostacolo da parte delle autorità piemontese.

La spedizione di Garibaldi era molto diversa da tutte quelle che, negli anni

precedenti, erano state organizzate da Mazzini e da altri democratici.

Soprattutto, era diversa l'entità delle forze coinvolte: mentre i tentativi

mazziniani erano stati condotti da gruppi ristretti di militanti, Garibaldi poté

raccogliere circa 1100 volontari, cioè organizzare un vero piccolo esercito.

Infine, va poi segnalato un altro fondamentale elemento di diversità: i

mazziniani degli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta avevano tentato di

suscitare l'insurrezione del popolo, ma poi avevano finito con il trovarsi isolati,

in quanto il popolo stesso non reagiva ai loro appelli rivoluzionari Garibaldi,

Differenze tra Cavour (liberale moderato)

e ________________ (democratico):

1 – mobilitazione popolare (___________)

iniziativa _____________ Cavour)

2 – in tempi ______________ (Mazzini)

__________________________________

LA II GUERRA DI ______________________

I preparativi _________________________

L’intervento di _____________________

Le insurrezioni popolari in _____________

_______________________________

L’armistizio di ______________________

tra _______________________________

l’accordo tra Piemonte e Francia: ________

_____________ in cambio dell’annessione

di ________________________________

LA SPEDIZIONE _____________________

l’insurrezione popolare di ______________

(4 aprile ________)

____________________ prepara la

___________________________

Diversità spedizione di _____________

e azioni mazziniane:

1 – tolleranza ________________________

2 – entità dei partecipanti

Page 73: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

167

invece, andava a sostenere e rafforzare una rivolta già esplosa, cioè era sicuro

del sostegno popolare. I Mille di Garibaldi partirono da Quarto (vicino a

Genova) la notte del 5 maggio1860; approdati in Sicilia, riuscirono a

sconfiggere l'esercito borbonico a Calatafimi il 16 maggio e ad entrare a

Palermo il 27 del medesimo mese. Durante l'estate, Garibaldi si trovò a

fronteggiare un problema imprevisto: i contadini della cittadina di Bronte, nella

Sicilia orientale, uccisero alcuni proprietari terrieri e procedettero alla

spartizione delle terre.

Garibaldi, consapevole del fatto che solo l'appoggio della borghesia siciliana

(e, più in generale, meridionale) poteva garantire successo alla sua impresa di

unire il Sud Italia al regno di Vittorio Emanuele II (comprendente ormai tutta

l'Italia settentrionale, ad eccezione del Veneto), ordinò l'immediata repressione

3 – insurrezione popolare già ___________

La partenza da ________________

(5 maggio 1860)

La vittoria di _______________________

e l’entrata a ______________________

(27 _____________)

.

del moto contadino di Bronte. La città venne riportata all'ordine in modo

spietato dal suo luogotenente, Nino Bixio.

Pacificata la Sicilia, Garibaldi sbarcò sul continente e, senza difficoltà, il 7

settembre entrò a Napoli; la prossima meta, nelle intenzioni del generale,

sarebbe dovuta essere Roma, a costo di scatenare la dura reazione della Fran-

cia, che difendeva il papa dal 1849.

Da parte sua, di fronte a quanto stava accadendo nelle regioni meridionali

Cavour modificò la sua strategia politica: nel timore di vedersi scavalcato

dall'iniziativa dei democratici e ormai convinto dell'irreversibilità del processo

unitario, decise di estendere la presenza piemontese anche nel Meridione,

procedendo all'invasione dello Stato della Chiesa dopo aver avuto il nulla osta

da Napoleone III. Le truppe piemontesi occuparono le Marche e l'Umbria e, il

18 settembre 1860, dopo aver sconfitto a Castelfidardo le forze papaline,

giunsero al confine con il regno delle Due Sicilie, evitando però di passare per

il Lazio, che Napoleone III aveva chiesto di lasciare al pontefice. Cavour

ordinò di marciare verso Napoli, pronto addirittura a uno scontro con i

democratici e con lo stesso Garibaldi che sembra avesse intenzione di

La repressione della ________________

di Bronte e _______________________

___________________________________

L’entrata a ______________________

(___________________________)

L’iniziativa di ______________________

l’occupazione delle __________________

e _____________________________

la vittoria di Castelfidardo sul ___________

la vittoria del ______________________

Page 74: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

168

procedere fino a Roma. Ma questi, dopo aver definitivamente sconfitto i

borbonici nella battaglia del Volturno (2 ottobre), decise di lasciare la scena:

non si ebbe perciò alcun confronto militare, ma anzi un accordo per il

passaggio delle operazioni nelle mani del governo piemontese. Ciò venne

sancito il 26 ottobre nell'incontro passato alla storia come "incontro di Teano",

nei pressi di Caserta. Garibaldi cedette il controllo sulle terre conquistate a

Vittorio Emanuele II, che riconobbe come re d'Italia.

Nel frattempo si erano già svolti nuovi plebisciti per l'annessione del regno

delle Due Sicilie (21 ottobre 1860), sancita quasi all'unanimità dei votanti.

Dopo che altre consultazioni avevano avuto luogo per Marche e Umbria (4

novembre), il 7 novembre 1860 il sovrano piemontese fece il suo ingresso a

Napoli come re del nuovo Stato unitario.

Nel gennaio-febbraio 1861 si tennero le prime elezioni politiche dell'Italia uni-

ta; la legge elettorale piemontese a suffragio ristretto fu estesa a tutti i territori

annessi. Potevano votare i cittadini maschi che avessero almeno 25 anni di età,

sapessero leggere e scrivere e pagassero almeno 40 lire di tasse annue. Lo

sbarramento censitario non riguardava alcune categorie di cittadini qualora

avessero capacità sufficienti a esercitare consapevolmente il diritto di voto,

indipendentemente dal livello di reddito (per esempio i laureati). Ma si trattava

di percentuali minime e nel complesso l'elettorato non superava l'1,9% della

popolazione.

Il 17 marzo 1861 si inaugurò il primo Parlamento nazionale. In questa circo-

stanza fu approvata la legge che proclamava Vittorio Emanuele II re d'Italia

«per grazia di Dio e per volontà della Nazione»; si trattava, in effetti, di una

strana formula, in quanto mescolava la tradizionale concezione discendente del

potere con la moderna idea della sovranità popolare. Torino fu la prima

capitale del nuovo regno che comprendeva l'intera Penisola, ad eccezione del

Veneto e del Lazio, rispettivamente sotto dominio dell'Austria e del papa.

Il processo di unificazione nazionale dell'Italia fu senza dubbio un importante

evento politico, accompagnato — nelle classi colte — da un serrato dibattito

ideale e politico. Il contributo popolare, in varie circostanze, fu indiscutibile e

determinante, al punto che si può senza dubbio parlare (per gli anni 1848-1861)

di sinergia tra iniziativa rivoluzionaria e attività diplomatica e militare del

Regno di Sardegna. Ciò nonostante, per i ceti più umili (e, soprattutto, per i

contadini, specialmente nel Meridione) il Risorgimento (cioè quell'insieme di

avvenimenti politici e militari che condussero l'Italia alla conquista

dell'indipendenza e alla sua unificazione) non significò praticamente nulla, cioè

non cambiò in nessuna maniera le loro dure condizioni di vita e di lavoro.

Soprattutto, poi, restò completamente immutata la ripartizione complessiva

della ricchezza, dal momento che il potere era tenuto saldamente da individui

preoccupati di difendere a qualunque costo l'ordine sociale e convinti che ogni

rivendicazione proveniente dai ceti subalterni fosse un attentato al diritto di

proprietà.

Inoltre, il nuovo Stato unitario, per quanto fosse retto da una monarchia

costituzionale, non era assolutamente democratico, in quanto lo Statuto

albertino prevedeva che l'elezione della Camera avvenisse a suffragio cen-

sitario.

Garibaldi contro _____________________

(2 ottobre ______)

L’incontro di _________________

(26 ottobre _______)

I plebisciti per _______________________

Vittorio Emanuele II a _______________

(7 _______________________)

L’estensione della legge elettorale del

Piemonte a ________________________

e le prime _______________

il 17 marzo 1861: la proclamazione del

__________________________________

Il compimento del processo di unificazione

nazionale frutto dell’_________________

del regno di _________________ e _____

___________________________

ma

il nuovo Stato rimase rigidamente _______

e poco __________________________

Page 75: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

169

16 Il sistema elettorale rappresenta uno degli aspetti qualificanti di un sistema politico in quanto dà la misura della

partecipazione politica dei cittadini.

Un qualsiasi sistema elettorale è giudicabile in base a parametri quali: la percentuale di aventi diritto al voto, il rapporto eletti

- popolazione, ovvero il numero di cittadini rappresentati da un eletto, il tipo si sistema elettorale, proporzionale o

maggioritario. Nel sistema proporzionale ciascun gruppo politico ha un numero di rappresentanti in base alla percentuale di

voti, mentre nel sistema maggioritario chi ottiene la maggioranza di voti viene premiato con un numero maggiore di seggi.

Con il sistema proporzionale si assiste in genere al proliferare dei partiti, ottenendo un parlamento rappresentativo dei

molteplici interessi e punti di vista presenti nel paese, ma anche un governo che si deve reggere su un difficile accordo tra

molti partiti, finendo per enfatizzare il peso dei partiti minori sul cui appoggio diventa indispensabile. Con il sistema

maggioritario si ottiene, invece, un governo più stabile ma un parlamento meno rappresentativo e in generale minori garanzie

per le minoranze. Inoltre un sistema elettorale può essere uninominale o a liste. Un sistema uninominale (il più tipico

nell’Ottocento) prevede la scelta tra persone diverse, mentre in un sistema a liste la scelta è prevalentemente tra movimenti

politici diversi. Inoltre nel sistema a liste l’elettore può o non può avere la possibilità di esprimere delle preferenze. Nel caso

di un sistema elettorale a liste i partiti tendono a svolgere un ruolo maggiore, rafforzato nel caso in cui l’elettore non possa

esprimere una preferenza tra coloro che sono in lista.

5.5.3 Lo Stato liberale: il modello inglese

Come più volte accennato l’Inghilterra ha rappresentato, per tutto

l’Ottocento, il modello di Stato liberale fungendo da riferimento per

l’evoluzione politica del continente.

Oltre che dal punto di vista politico la Gran Bretagna rappresentava il più

progredito dei paesi europei anche dal punto di vista economico, in quanto era

il più industrializzato, Londra era la capitale commerciale e finanziaria del

mondo e, inoltre, gli inglesi possedevano l’impero coloniale più vasto.

La qualità media della vita era più alta rispetto agli altri paesi: gli abitanti

avevano più risorse alimentari a disposizione e il livello di analfabetismo era

più basso.

A caratterizzare l’evoluzione politica inglese fu innanzitutto un rafforzamento

del regime liberali che si realizzò in primo luogo attraverso una serie di riforme

del sistema elettorale16.

In effetti il nodo principale da sciogliere era quello dell’allargamento del

diritto di voto, allora limitato a una ristretta minoranza della popolazione

(poco più del 3%). Un problema a sé era poi costituito dalle circoscrizioni

elettorali disegnate secondo i criteri di un secolo prima, quando il paese

non era stato ancora investito dalla rivoluzione industriale e dai conseguenti

fenomeni di urbanizzazione. Accadeva così che le circoscrizioni urbane

(contee) fossero gravemente sacrificate nella distribuzione dei seggi a

vantaggio di quelle rurali, mentre vi erano collegi rurali ormai abbandonati in

cui bastavano poche decine di elettori per mandare in Parlamento un

deputato: con evidente vantaggio per l'aristocrazia terriera, visto che l'eletto

era quasi sempre il signore del luogo. La legge, approvata dal Parlamento nel

1832, allargava il corpo elettorale di o1tre i1 50% e, cosa ancora più importante

ridisegnava le circoscrizioni, aumentando il numero di quelle urbane a scapito

di quelle rurali. Il sistema restava censitario, ma era pur sempre il più avanzato

dell’Europa di allora.

L’allargamento del suffragio politico non valse, però, a far tacere la protesta

dell'opposizione democratica, che faceva capo agli intellettuali radicali e agli

operai organizzati nelle Trade Unions (il sindacato inglese). Dalle Trade

Unions partì l'iniziativa di una grande agitazione popolare per imporre alla

classe dirigente l'adozione del suffragio universale, visto come il mezzo più

LO STATO LIBERALE: IL MODELLO

INGLESE

Page 76: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

170

17 Per valutare il ruolo del parlamento occorre far riferimento a criteri quali la rappresentatività (che dipende dal sistema

elettorale) e le funzioni che esso esercita. Funzione che è innanzitutto quella legislativo, la quale può essere esercitato in

modo più o meno esteso a seconda delle modalità di funzionamento del parlamento stesso. Di particolare importanza è il

problema dell’iniziativa legislativa (di chi è il compito di presentare le leggi da discutere) che può essere del parlamento

stesso o di altre istituzioni, quali il re o il governo. Un altro potere che può essere esercitato dal parlamento è il controllo

degli altri poteri, quali il potere esecutivo (governo) o giudiziario.

idoneo per far valere gli interessi dei lavoratori nella Camera e nel governo.

Nel 1838 fu elaborato un documento in sei punti, la Carta del popolo, che

chiedeva, fra l'altro, il suffragio universale maschile, la garanzia della

segretezza del voto e una nuova riforma dei collegi elettorali. Il movimento

cartista , così chiamato appunto dalla Carta del popolo del '38, rimase attivo

anche negli anni successivi, dando vita a una lunga serie di manifestazioni,

comizi e scioperi. Ma non riuscì a ottenere nessuno dei suoi obiettivi, dopo un

decennio di lotte, finì con l'esaurirsi, anche perché i leader delle Trade Unions

abbandonarono progressivamente il terreno delle agitazioni politiche per

concentrarsi su quello delle rivendicazioni economiche.

L’allargamento della base elettorale proseguì con due nuove riforme (anni ’60

e ’80), fino ad ammettere al voto i lavoratori urbani a reddito più elevato,

ovvero gli operai qualificati, e la piccola borghesia.

A rafforzare il regime liberale concorse anche l’azione di consolidamento del

sistema parlamentare17 che nella situazione inglese aveva almeno due limiti:

non controllava il governo che era subordinato più alla fiducia del re che a

quella del parlamento. Inoltre a limitare i poteri del parlamento elettivo

concorreva anche la presenza della Camera dei Lord, a cui si accedeva per

nomina regia o per diritto di nascita. Tra questi poteri vi era quello di

respingere i bilanci, controllando in questo modo l’azione del governo.

Mentre quest’ultimo limite non venne superato, in quanto i privilegi della

Camera dei Lord vennero intaccati solo all’inizio del ‘900, già nel corso

dell’Ottocento il parlamento assunse sempre di più le funzioni di controllo sul

governo tendendo a lasciare al re un ruolo puramente simbolico.

A caratterizzare l’evoluzione dello Stato inglese, insieme al rafforzamento del

regime liberale, vi fu l’adozione delle prime forme di politica sociale. Già nella

prima metà dell’Ottocento lo Stato liberale inglese si fece promotore di una

politica di riforme sociali volta ad allentare la tensione derivata dalle

condizioni di estremo disagio delle classi più povere. Una politica che era tesa

a rafforzare il sistema, evitando i motivi più evidenti di contrasto sociale.

Tra le riforme più significative vi furono, negli anni ’20 il riconoscimento del

diritto dei lavoratori di associarsi in sindacati, negli anni ’30 l’imposizione

delle 10 ore lavorative massime per i giovani sotto 18 anni, e di 8 per i ragazzi

sotto i 12, nel 1875 venne riconosciuto e legalizzato lo sciopero, e nel 1880

resa obbligatoria l’istruzione elementare.

Anche per ciò che riguarda la politica economica le linee seguite dallo Stato

inglese vennero riprese dagli altri stati europei, almeno sino agli anni ottanta

Tale politica economica era per l’Inghilterra ispirata ai principi del liberismo

che sostenevano la limitazione dell’attività statale all’eliminazione di ciò che

poteva costituire un impedimento per l’iniziativa privata, nella convinzione che

le leggi del mercato avrebbero provveduto da sole a far coincidere l’interesse

privato con l’utile sociale.

Questa politica del “laissez faire” si espresse nell’ambito doganale in una

posizione antiprotezionista che sosteneva la necessità diminuire, o meglio

abolire i dazi, al fine di favorire la circolazione delle merci, presupposto

indispensabile per un’economia di mercato.

Page 77: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

171

In Inghilterra negli anni quaranta venne perciò abolito il dazio sul grano in

entrata, riforma significativa in quanto adottata dopo un duro scontro con

l’aristocrazia terriera, che temeva un crollo del prezzo del grano. Tale

provvedimento, da un lato, chiamava in causa i bisogni delle classi popolari,

poiché il dazio protettivo manteneva elevato il prezzo dei cereali a esclusivo

vantaggio dei produttori e a scapito dei consumatori; dall'altro esprimeva gli

interessi della borghesia industriale, desiderosa di veder rimossi tutti gli

ostacoli che impedivano l’affermazione dei suoi prodotti sui mercati

stranieri. Il dazio sul grano in entrata era uno di questi ostacoli, in quanto

provocava per ritorsione l'imposizione da parte dei paesi esportatori di cereali

di analoghe tariffe sui prodotti industriali inglesi. Inoltre una diminuzione del

prezzo del pane consentiva una diminuzione dei salari, o almeno un

impedimento alla loro crescita, dal momento che i salari tendevano a

coincidere con il minimo indispensabile per la sopravvivenza fisica dei

lavoratori e dei loro figli.

5.5.4 Lo Stato italiano nella seconda metà dell’Ottocento

Anche in Italia sotto i governi della Destra storica (1861-1876) e della Sinistra

storica (1876-1887) venne costituendosi, dopo il raggiungimento dell’unità,

uno Stato di stampo liberale.

Il nuovo Stato, nato con la proclamazione del Regno d’Italia avvenuta il 17

marzo 1861, fece sue le istituzioni dello Stato piemontese, ispirate sin dagli

anni cinquanta, per opera di Cavour, ad un liberalismo moderato. Si trattava di

uno Stato costituzionale che riservava ampi poteri, soprattutto attraverso il

controllo del governo, al re. Nella pratica, però, come era già avvenuto con

l’avvento al potere di Cavour, morto all’indomani della proclamazione del

Regno d’Italia, si affermò un’interpretazione parlamentare dello Statuto

albertino che, andando oltre la lettera del testo costituzionale, faceva dipendere

la vita del governo non solo dalla fiducia del sovrano, ma anche e soprattutto

dal sostegno di una maggioranza parlamentare.

Per quanto riguarda il sistema elettorale esso era fortemente censitario, in

quanto la legge elettorale piemontese, estesa a tutto il regno, concedeva il

diritto di voto solo a quei cittadini maschi che avessero compiuti i venticinque

anni, sapessero leggere e scrivere e pagassero almeno 40 lire di tasse, ovvero

meno del 2% della popolazione totale e del 7% dei maschi adulti. Grazie

all’esiguo numero di votanti e al vigente sistema del collegio uninominale (il

LO STATO ITALIANO NELLA

SECONDA METÀ DELL’OTTOCENTO

Linee di tendenza sviluppo stato inglese:

1- Rafforzamento dello stato liberale

a - _____________________________ allargamento base elettorale

b – consolidamento sistema parlamentare___________________________________________________

2 - _____________________________________

anni ’20:_________________________________ anni ’30:_________________________________

anni ’70:_________________________________ anni ’80:__________________________________

3 - Adozione di una politica economica _________

Page 78: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

172

sistema in cui le circoscrizioni elettorali sono di piccole dimensioni e designano

ciascuna un solo deputato), bastavano poche centinaia o addirittura poche

decine di voti per mandare un uomo in Parlamento. Risultava così esasperato il

carattere oligarchico e personalistico della vita politica. Nell'assenza di partiti or-

ganizzati nel senso moderno del termine, la lotta politica si imperniava su singole

personalità più che su programmi definiti; era dominata da pochi notabili in

grado di sfruttare la propria influenza e le proprie relazioni per ottenere i

suffragi necessari all'elezione; ed era pesantemente condizionata dalle ingerenze

del potere esecutivo, cui non era difficile favorire la riuscita dei candidati

«governativi».

Una nuova legge elettorale venne introdotta solo nel 1882, sotto il governo

delle sinistre. Essa introduceva come requisito fondamentale l'istruzione,

concedendo il diritto di voto a tutti i cittadini che avessero compiuto il

ventunesimo anno d'età e avessero superato l'esame finale del corso elementare

obbligatorio, o dimostrassero comunque di saper leggere e scrivere. A causa

dell'alto tasso di analfabetismo, la consistenza numerica dell'elettorato restava

sempre piuttosto esigua: il 7% della popolazione, circa un quarto dei

maschi maggiorenni. Il corpo elettore risultava tuttavia più che triplicato

rispetto alle ultime consultazioni e, quel che più conta, profondamente

modificato nella composizione. Grazie alla nuova legge accedeva alle urne

anche una frangia non trascurabile di artigiani e operai del Nord. Le

premo elezioni a suffragio allargato (ottobre 1882) videro infatti l'ingresso

alla Camera del primo deputato socialista, il romagnolo Andrea Costa.

La riforma elettorale dell'82 segnò il coronamento, ma anche il punto

terminale, della breve stagione di riforme inaugurata con l'avvento della

Sinistra. Furono proprio le preoccupazioni suscitate dall'allargamento del

suffragio e dal conseguente prevedibile rafforzamento dell'estrema sinistra a

favorire quel processo di convergenza fra le forze moderate di entrambi

gli schieramenti che nacque da un accordo elettorale fra Depretis e il

leader della Destra Minghetti e che prese il nome di trasformismo. La

sostanza del trasformiamo non stava - come sosteneva Depretis nella

«trasformazione» dei moderati in progressisti, ma piuttosto nel venir meno

delle tradizionali distinzioni ideologiche fra Destra e Sinistra e nella

rinuncia da parte di quest’ultima a una precisa caratterizzazione

programmatica. Si compiva cosa un mutamento irreversibile nella fisionomia

della Camera e nei caratteri stessi della lotta politica. A un modello

«bipartitico» di stampo inglese (destra contro sinistra, maggioranza contro

opposizione, conservatori contro progressisti) se ne sostituiva un altro

basato su un grande centro che tendeva a inglobare le opposizioni moderate

e a emarginare le ali estreme (i conservatori più intransigenti da un lato,

l'estrema sinistra dall'altro). La maggioranza non era più definita sulla

base di precise discriminanti programmatiche, ma veniva «costruita»

giorno per giorno a forza di compromessi e patteggiamenti: il che

provocava un sostanziale immobilismi nel1’azione di governo, oltre che

un netto scadimento nel tono della vita politica.

Il nuovo Stato inoltre era fortemente accentrato, in quanto prevalsero le

esigenze pratiche immediate, le quali spingevano i governanti a stabilire un

controllo il più possibile stretto e capillare su tutto i1 paese, basato su

ordinamenti uniformi per tutto il Regno e su una rigida gerarchia di

funzionari dipendenti dal centro.

Del resto, le premesse dell'accentramento statale erano implicite nel modo stesso

in cui si era giunti all'unificazione del paese, mediante successive annessioni

al Regno di Sardegna, le cui leggi divennero anche le leggi del nuovo Stato

unitario . Decisive a questo proposito erano state alcune leggi varate fra il

giugno '59 e il gennaio '60 e riguardanti i settori-chiave della vita del

paese: in particolare la legge Casati, che stabiliva il principio dell'istruzione

Page 79: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

173

elementare obbligatoria (demandandone però l'attuazione ai comuni) e la

legge Rattazzi che poneva i comuni e le province sotto il controllo

rispettivamente dei sindaci, di nomina regia, e dei prefetti rap-

presentanti del potere esecutivo.

Fra i motivi che spinsero la classe dirigente ad accantonare ogni progetto

di decentramento amministrativo, il principale fu costituito certamente dalla

situazione che si era venuta a creare nel Mezzogiorno. Ne l l e p rovince

meridionali liberate dal regime borbonico, il malessere antico delle masse

contadine si sommò a una diffusa ostilità verso il nuovo ordine, che non

aveva portato nessun mutamento radicale nella sfera dei rapporti sociali, anzi

aveva visto la borghesia rurale fare rapidamente causa comune con i

«conquistatori». Man mano che la realtà del nuovo Stato si venne

manifestando con i suoi tratti più spiacevoli agli occhi delle popolazioni

meridionali (la pesante fiscalità, il servizio di leva obbligatorio), i disordini

si fecero più estesi e più frequenti, fino a trasformarsi in un generale moto

di rivolta, incoraggiato da una parte del clero e sovvenzionato dalla corte

borbonica in esilio a Roma.

La risposta dello Stato al disagio sociale fu una spietata repressione

militare che si concretizzò nell’invio di dell’esercito, la fucilazione di

5000 briganti e l’incarcerazione di altrettanti. Se il brigantaggio venne

sconfitto non venne invece affrontato il problema della secolare

aspirazione dei contadini alla proprietà della terra. La divisione delle

terre demaniali non fu portata avanti e la vendita delle terre requisite

agli enti ecclesiastici si risolse, grazie alle vendite all’asta di grandi

lotti, nel rafforzamento della grande proprietà.

Anche il problema del completamento dell’unità venne affrontato

esclusivamente per via militare per evitare il coinvolgimento delle masse

popolari cosa che avrebbe potuto comportare una messa in discussione dei

rapporti sociali.

Fu così che l’annessione del Veneto avvenne grazie all’alleanza con la Prussia

di Bismark e una guerra con l’Austria, mentre la presa di Roma venne

compiuta all’indomani della sconfitta, sempre per opera di Bismark, della

Francia che si era opposta, per ragioni di politica interna.

Il nuovo Stato era il frutto di un blocco dominante che era l’espressione,

durante i governi della Destra, soprattutto degli interessi dei grandi proprietari

terrieri e, sotto i governi della Sinistra, di un alleanza tra questi e la nascente

borghesia industriale e finanziaria; blocco dominante che rimarrà, pur mutando

gli equilibri interni, costante fino alla seconda guerra mondiale.

In effetti sia gli ingenti costi sia della costruzione del nuovo Stato unitario, sia

quelli della costruzione del mercato nazionale finirono per gravare soprattutto

sulle classi popolari. La costruzione del nuovo Stato aveva infatti comportato

spese ingentissime, sia nel campo delle comunicazioni sia in quelli

dell'amministrazione pubblica, dell'istruzione e dell'esercito, così come le

infrastrutture (strade e ferrovie) richieste dal creazione del mercato

nazionale. Per far fronte a queste spese, i governi della Destra dovettero

ricorrere a una serie di inasprimenti fiscali, che colpivano soprattutto i consumi

(tasse sui sali e i tabacchi, dazi locali sui generi alimentari). La situazione si

aggravò dopo il '66, in conseguenza di una crisi internazionale e delle spese

sostenute per la guerra contro l'Austria. Per rinsanguare le casse dello Stato, i

governi succedutisi fra il '66 e il '69 furono costretti ad appesantire le imposte

già esistenti e, nell'estate del 1868 a vararne una nuova: quella sulla

macinazione dei cereali, meglio nota come tassa sul macinato. Si trattava in

pratica di una tassa sul pane, cioè sul consumo popolare per eccellenza, che

colpiva duramente le classi più povere. Inoltre, dovendo essere pagata ai

mugnai all'atto del ritiro della farina, non risparmiava nemmeno quei

lavoratori agricoli che producevano da soli i cereali o li ricevevano come parte

Page 80: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

174

del salario. L'introduzione di questa tassa accrebbe l'impopolarità della

classe dirigente e provocò, all'inizio del 1869, le prime agitazioni sociali su

scala nazionale della storia dell'Italia unita La repressione fu anche in

questo caso durissima.

Là politica di duro fiscalismo e di inflessibile rigore finanziario ottenne alla

fine gli effetti sperati. Le condizioni del bilancio statale migliorarono rapida-

mente fino a raggiungere, nel 1875, l’obiettivo del pareggio. Ma intanto il fronte

degli scontenti si allargava. Alla protesta dei ceti popolari, al cronico mal-

contento del Mezzogiorno, si aggiunsero le pressioni degli industriali e dei

gruppi bancari e speculativi in favore di una politica economica meno rigida e

restrittiva, che lasciasse più ampi margini alla formazione della ricchezza

privata. I1 peso di questi interessi finì per essere decisivo nel provocare la

caduta della Destra (1876), ma non chiaramente nell’abolizione della

tassa sul macinato, che in effetti colpiva le classi popolari, che avvenne

solo nel 1884.

LA POLITICA DELLO STATO UNITARIO ITALIANO:

1 –Rafforzamento stato liberale

a - interpretazione ________________ dello Statuto albertino

Trasformismo: dal modello ________________ al grande __________ mancanza distinzioni ideologiche e

_________________ ________________ azione governo

b – riforma ____________________________

c - ______________________

estensione delle leggi _____________ al nuovo stato

2 – _________________________: a -________________ b – presa di Roma

3 - ___________________________________

Le tasse gravavano soprattutto ____________________ colpendo ________________ (tassa sul macinato)

Base sociale dei governi unitari:

Destra storica : _________________________________________

Sinistra ___________: _____________________________________ + borghesia industriale e_______________

Page 81: C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

175

18 Una politica doganale protezionistica consiste nell’innalzamento delle tariffe doganali come misura di

protezione dei prodotti nazionali dalla concorrenza di prodotti stranieri che risultano gravati dalle ta riffe

doganali

6 - I RAPPORTI INTERNAZIONALI NELLA SECONDA METÀ

DELL’OTTOCENTO

Per quanto riguarda i rapporti internazionali questi rimasero per

l’Europa continentale nel quadro tracciato dal Congresso di Vienna

sostanzialmente fino agli anni ’60, quando ebbe inizio il processo di

unificazione tedesca. All’interno di tale quadro l’Austria, la Francia e la

Russia svolgevano un ruolo egemone e infatti nei moti degli anni ’20 e

’30 furono loro a riportare l’ordine nelle rispettive zone di influenza.

Nel 1870 portando a compimento il proprio processo di unificazione

sconfiggendo la Francia, che nei decenni intorno alla metà del secolo

aveva raggiunto una posizione di egemonia, la Germania ruppe

definitivamente questo quadro dando inizio a quella “politica di

potenza” che, fondata sullo sviluppo degli eserciti permanente e sulla

corsa agli armamenti, sfocerà nella prima guerra mondiale.

Nel periodo che va dal 1870 alla prima guerra mondiale non vi furono

comunque mai scontri diretti tra le grandi potenze europee.

Lo scontro assunse così forme indirette come l’ingerenza in zone

marginali dell’Europa, dove la debolezza dell’impero turco consentiva

alle potenze europee di intervenire sostenendo una delle diverse parti in

conflitto.

Anche la politica coloniale divenne un’altra forma di conflitto indiretto

che portò l’Inghilterra, la Francia e, in misura minore, il Belgio e

soprattutto la Germania a dividersi l’Africa e l’Asia in zone di rispettivo

controllo. Lo scontento della Germana, arrivata ultima nella gara

coloniale, costituirà uno dei motivi di attrito tra le grandi potenze.

Un’ultima forma di scontro indiretto fu rappresentato dalle cosiddette

guerre doganali scatenate dall’abbandono del libero scambio a favore di

politiche doganali protezionistiche18 che comportò tutta una serie di

ritorsioni nei confronti dei propri concorrenti commerciali. L’abbandono

del libero scambio fu una delle prime conseguenze della grave crisi

economica che il sistema industriale europeo attraversò a partire dagli

anni ’80.

I RAPPORTI _________________ NELLA

SECONDA METÀ DELL’OTTOCENTO

A – 1815 - __________

L’egemonia di __________________

_________________________

1870: sconfitta della _____________

ad opera della ____________________

B – Dopo 1870

Inizia la _________________________

Scontro assume forme indirette:

1 - ________________________________

________________________ (vedi ______

____________________________)

2 - ______________________________

3 – politiche doganali _________________

___________________________________